Breathe Into Me

di VahalaSly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ***
Capitolo 2: *** Solite Bugie ***
Capitolo 3: *** Inevitabile ***
Capitolo 4: *** Gelato di Febbraio ***
Capitolo 5: *** Nessuno è Perfetto ***
Capitolo 6: *** La Festa ***
Capitolo 7: *** Un Mercoledì Burrascoso ***
Capitolo 8: *** Lezioni di Guida ***
Capitolo 9: *** Verità Bugiarde ***
Capitolo 10: *** Un Problema Tira l'Altro ***
Capitolo 11: *** L'ultima Speranza ***
Capitolo 12: *** Verità ***
Capitolo 13: *** Finalmente Diciotto ***
Capitolo 14: *** Monaco ***
Capitolo 15: *** Perso in Partenza ***
Capitolo 16: *** Legami di Sangue ***
Capitolo 17: *** Nuovo Inizio ***
Capitolo 18: *** Doccia Fredda ***
Capitolo 19: *** Stanca di Mentire ***
Capitolo 20: *** Giornate Disastrose ***
Capitolo 21: *** Meglio Tardi Che Mai ***
Capitolo 22: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** L'inizio ***


Breathe Into Me

Capitolo Primo:
L'inizio

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"Se sai di non sapere, sai già molto"

Amanda scarabocchiò la frase sul quaderno, poi si fermò a rileggerla. Avere Socrate come insegnante sarebbe una pacchia, decise, domandandosi perché i suoi professori non adottassero quella filosofia. Con rammarico, si rese conto che nemmeno in quel caso sarebbe stata la prima della classe.

Non riuscì a non voltarsi per l'ennesima volta verso Paolo, seduto accanto a lei, al momento concentrato a digitare furiosamente sul suo cellulare, ridacchiando di tanto in tanto. Si chiese cosa o chi lo stesse facendo sorridere in quel modo. Lei non ci era mai riuscita.

In realtà, era già tanto se riusciva a salutarlo la mattina senza arrossire fino alle radici dei capelli, cosa che capitava praticamente ogni volta. Sapeva di essere ridicola – era la prima ad essere imbarazzata dal proprio comportamento – eppure non ci poteva fare niente. Con quegli occhioni blu e il fisico sportivo, Amanda era convinta Paolo fosse uno dei ragazzi più belli della scuola. Era stata la sua sagacia comunque a colpirla e, spesso, si ritrovava ad ascoltarlo ammirata mentre leggeva un suo tema davanti alla classe, o esponeva un capitolo di storia con quel suo tono perennemente allegro.

"Amanda?" la richiamò una voce, riportandola immediatamente alla realtà. Sollevò lo sguardo, cercando di ignorare i sogghigni dei suoi compagni di classe alle sue spalle, e vide il professor Navarra che la osservava con attesa, chiaramente aspettando una risposta.

"Mi scusi, potrebbe ripetere la domanda?" chiese Amanda, scatenando una nuova ondata di risolini. La ragazza arrossì lievemente, sforzandosi di mantenere un'espressione impassibile, ma il professore si limitò a sorriderle pazientemente, voltandosi poi verso Paolo "Credo che il tuo cellulare rimarrà fermo dov'è anche se non lo controlli ogni due minuti, Paolo" disse, attirando finalmente l'attenzione del ragazzo su di sé, che si affrettò a poggiare il telefono sotto il banco.

“Tornando a noi” fece poi il professore, concentrandosi nuovamente su Amanda “Vorrei sapere se ricordi chi è il principale testimone della filosofia di Socrate”

Amanda non dovette stare troppo a pensarci “E'... è Platone” disse, felice di ricordare ancora la lezione precedente “Ha scritto trentasei dialoghi su Socrate”

L'uomo la guardò con approvazione, un gentile sorriso che incurvava le sue labbra “Sì, è giusto” disse, tornando verso la lavagna “Ed è proprio di Platone che parleremo in questa e nelle prossime lezioni. Vi conviene prestare attenzione, perché nel compito in classe della prossima settimana potrebbero esserci delle domande al riguardo...”

Qualcosa colpì Amanda alla nuca, strappandole un'esclamazione di dolore. Si voltò alla sua destra, dove pochi tavoli più in là sedeva Giulia che la guardava con trepidazione.

Che c'è? Mimò, controllando che il professore non la vedesse nuovamente distratta. Giulia gesticolò verso la sedia di Amanda, indicando qualcosa ai suoi piedi.

Amanda si chinò, raccogliendo un bigliettino accartocciato.

E' una mia impressione o oggi Mr. Cheesy è più sexy del solito?

Amanda sospirò divertita, scribacchiando velocemente una risposta (Per te ogni giorno è più sexy!) poi le rilanciò il foglietto di carta.

Mr. Cheesy era il soprannome che Giulia aveva affibbiato al professor Navarra il primo giorno di scuola, poiché affermava che doveva essere certamente gustoso come una Cheesecake. Amanda non aveva mai trovato niente da obbiettare.

Il primo punto a favore del professore era, sicuramente, la sua giovane età. Non dimostrava più di trent'anni, in effetti spesso veniva scambiato per uno studente. Più che l'aspetto fisico, erano i suoi modi di fare a dare questa impressione: era amichevole, informale e, molto spesso, anche piuttosto confusionario. Inutile specificare che tutti lo adoravano.

Non pochi avevano poi manifestato una forte attrazione verso l'uomo e, con enorme imbarazzo da parte di Amanda, lei non era esclusa.

Osservandolo, comunque, non poté biasimarsi. Il professor Navarra era un uomo alto, sicuramente sopra il metro e ottanta, con il fisico da sportivo. Aveva ricci capelli castano cioccolato, che non sembravano mai voler stare al loro posto, e occhi di un grigio così cristallino da far pensare fosse un effetto artificiale.

Era solito indossare camice scure, spesso complete di una cravatta a tinta unita, a cui arrotolava le maniche fin sopra i gomiti, probabilmente per salvaguardarle dalla sottile polvere di gesso che sembrava ricoprire l'intero edificio scolastico.

Sì, il professore era oggettivamente un bell'uomo, ma erano l'entusiasmo che metteva nell'insegnamento e il suo carisma i sui veri punti forti. A dirla tutta, Amanda era proprio convinta che sarebbe stato impossibile non prendersi una cotta colossale per uno così.

La gomma la colpì più forte in testa questa volta, rimbalzandole sulla tempia e cadendo a terra. Giulia la guardava impaziente, indicando il bigliettino accanto ad Amanda, che giaceva lì ignorato da almeno cinque minuti.

Io dico solo ad alta voce quello che pensi anche tu ;)”

Amanda le lanciò un'occhiata scettica, scandendo “Ma davvero?!” con le labbra, anche se conosceva benissimo la risposta.

Giulia sembrava saperlo a sua volta, poiché annuì vivacemente, scuotendo così l'enorme massa di capelli ricci sul suo capo. Erano sempre stati tanti, ma da quando aveva rinunciato al suo naturale color biondo in favore del rosso sembravano essersi moltiplicati a dismisura.

Il professor Navarra in quel momento passò accanto all'amica, osservandola lievemente perplesso mentre continuava a spiegare Platone. Con un pesante sospiro, Amanda afferrò la penna e cominciò a prendere appunti.


 

Giulia raggiunse Amanda con un balzo, afferrando frettolosa i libri sul banco di quest'ultima e aiutandola a sistemarli nello zaino “Uno penserebbe che dopo dodici anni di carriera scolastica tu abbia imparato a prepararti da sola la cartella”

Amanda sbuffò, cercando l'astuccio nel ripiano sotto il tavolo “Solo perché non mi lancio fuori dalla porta appena suona la campanella, non vuol dire che non sia capace di mettere dei libri in una borsa. Prendo solo le cose con più calma”

“Tutta questa calma prima o poi ti farà perdere l'autobus”

“Come se fosse mai possibile. L'ultima volta è arrivato con quaranta minuti di ritardo, stavo cominciando a farci la muffa su quella panchina” disse, afferrando l'elastico che aveva attorno al polso e usandolo per legarsi i capelli in una coda disordinata “E poi, potrei sempre farmela a piedi. Casa mia non è così distante”

Giulia le lanciò un'occhiata scettica “Dieci chilometri, che saranno mai. Io faccio fatica perfino ad arrivare fino alla porta di casa”

“Ma a te non viene a prenderti tuo padre in macchina?”

“Appunto”

Amanda ridacchiò, chiudendo finalmente lo zaino e mettendoselo in spalla “Beh, a me camminare non dispiace. E' rilassante”

L'amica si limitò a scuotere piano la testa, borbottando qualcosa di vagamente simile a “Se lo dici tu....” e affrettandosi verso l'uscita, lanciando un'ultima occhiata alla classe. Amanda fece automaticamente lo stesso, controllando di non aver dimenticato niente. In quattro anni di superiori, aveva lasciato più roba in classe di quanta ne avesse riportata a casa.

“Com'è andato a te il compito? Io ero un po' indecisa sulla domanda cinque, ma alla fine ho risposto Federico d'Asburgo. Insomma, quello lì c'entrava sempre qualcosa, no? Tra lui e Carlo V, o forse era IV? Vabbé, quello. Anyway, non so chi sia il più fastidioso. Sempre in mezzo, tipo il prezzemolo”

Amanda corrucciò lievemente le sopracciglia “Ma non era mica Ferdinando d'Asburgo?”

Giulia la fissò per qualche secondo, poi spalancò gli occhi “SHIT!” esclamò, facendo voltare un paio di studenti intenti a chiacchierare verso di lei, con espressione confusa “Federico era quello della scorsa verifica! Ahhhh, sono morta”

Amanda le diede una pacca sulla spalla con fare consolatorio “Se ti fa stare meglio, io ho confuso le date della Guerra Dei Trent'anni. L'ho spostata di una cinquantina d'anni nel futuro”

Giulia non sembrò comunque prestarle attenzione, troppo occupata a borbottare tra sé “Ma inventarsi dei nuovi nomi no, eh? Federico, Francesco, Ferdinando. Fantasia zero”

In quel momento qualcuno le toccò una spalla, facendola voltare. Michela le sorrideva entusiasta, le mani dietro la schiena “Indovina chi è stata invitata da Edoardo ad uscire?” disse, il tono di voce così alto che Amanda temette potesse rompersi qualche corda vocale. Giulia le lanciò un'occhiata, poi si allontanò veloce. Per quanto Amanda ci provasse, non riusciva proprio a far andare d'accordo le due ragazze: mentre Michela trovava Giulia troppo strana, con tutte quelle sue fisse per personaggi di vari telefilm e il suo strambo modo di parlare (“Tutti parliamo inglese qui, siamo ad un linguistico! Non c'è bisogno di mettersi in mostra usando un termine inglese ogni due frasi”), Giulia credeva che Michela, parole sue, avesse bisogno di un bel trattamento contro l'acidità.

Amanda da parte sua voleva bene ad entrambe allo stesso modo. Conosceva Michela da praticamente una vita, erano cresciute insieme e i loro padri erano andati nella stessa scuola; quella che per Giulia era acidità, in realtà era solamente estrema sincerità, qualità di Michela che Amanda apprezzava molto. Giulia d'altra parte era arrivata all'inizio dell'anno scolastico precedente da un'altra scuola, ma le due ragazze avevano subito legato. Poiché Michela era in una sezione diversa da quella di Giulia e Amanda, quest'ultima riusciva a frequentare entrambe le ragazze senza troppe difficoltà, anche se continuava a sperare che un giorno le sue due amiche riuscissero a superare i loro pregiudizi e provassero almeno a scambiarsi due frasi senza scannarsi. Non ci sperava troppo, comunque.

Amanda guardò con allegria Michela quasi saltellare sul posto per l'eccitazione “Quando te lo ha chiesto?” le domandò interessata, incamminandosi con l'amica verso la fermata dell'autobus. Michela sospirò, spostandosi una lunga ciocca di capelli castani dietro l'orecchio “Qualche minuto fa. Mi stava aspettando fuori dalla classe”

“Era ora che si svegliasse” disse sincera Amanda. Era difficile che qualcuno non notasse Michela, con le sue lunghe gambe affusolate e degli spiazzanti occhi azzurri. La ragazza era di una grazia disarmante, quasi ingiusta. Se c'era qualcuno che aveva ricevuto delle preferenze il giorno in cui era stata distribuita la bellezza, quella era lei.

“Ha detto che passa a prendermi questa sera alle nove. Spero che mia madre si sia ricordata di ritirarmi il mio vestito in lavanderia”

“Quello rosso dici?”

Michela annuì, lo sguardo ancora sognante “Non è un po' troppo...” cominciò Amanda.

“Elegante? Ci ho pensato anche io, ma dopotutto non mi aspetto certo di andare a mangiare in un fast-food, se capisci cosa intendo”

Amanda stava per dire corto, ma lasciò perdere. Non era di certo la persona giusta per dare questi genere di pareri, considerato che tutta la sua esperienza sui ragazzi si basava su quanto vedeva nei film.

“Spero che mi compri dei fiori. Credi che mi comprerà dei fiori?” domandò Michela, continuando prima che l'altra avesse il tempo di rispondere “Probabilmente sì. Quando usciva con Francesca Rosati sembra che le lasciasse una rosa sotto casa tutte le mattine”

“Sembra piuttosto impegnativo”

“E romantico. Sarà meglio per lui farlo anche con me, non ho intenzione di sentirmi meno importante della Rosati. Ha preso almeno cinque chili negli ultimi mesi, l'hai notato? Non mi meraviglia che Edoardo l'abbia lasciata”

Ok, Amanda doveva dare almeno un poco di credito a Giulia. La sincerità di Michela tendeva ad essere... condita con una spruzzatina di acidume.

Le due ragazze si sedettero sulla panchina della fermata, posando lo zaino ai loro piedi. Fortunatamente, pochissimi studenti utilizzavano quella fermata. La maggior parte prendeva l'autobus che andava in direzione opposta, perciò Michela e Amanda trovavano sempre posto per sedersi. Se tutto fosse andato come sperato, comunque, presto Michela avrebbe avuto la macchina ed entrambe avrebbero potuto smettere di prendere l'autobus che anche quel giorno, sorpresa sorpresa, era in ritardo.

Amanda alzò lo sguardo, notando Paolo che chiacchierava con un paio di amici dall'altro lato della strada e, quando questo si voltò nella sua direzione, sollevò la mano in segno di saluto. Il ragazzo ricambiò con un cenno della testa, tornando poi a concentrarsi sui due ragazzi davanti a lui.

A Michela non sfuggì lo scambio “Ah, Amanda. Non perdere tempo con quel perdente! Puoi avere di molto meglio”

La ragazza arrossì lievemente, abbassando lo sguardo “E' solo un mio compagno di classe, niente di più” borbottò, amareggiata da quanto fosse vera quella frase.

Fu più che sollevata quando finalmente l'autobus si fermò davanti a loro, aprendo le porte per farle entrare. Domani gli parlerò, decise mentre il mezzo ripartiva, osservando Paolo farsi sempre più lontano, fino a scomparire dalla sua visuale. Domani lo farò.
 

 

“Sono a casa!” esclamò Amanda aprendo la porta con la spalla, mentre cercava di rimettere le chiavi nella tasca esterna dello zaino. Quando nessuno le rispose, si guardò attorno con fare incerto, entrando in casa “Roby?”

Dei passi frettolosi risuonarono dal piano di sopra, seguiti dal suono di acqua che scorre. Amanda sospirò, poi salì le scale con passo pesante, fermandosi davanti alla porta del bagno “Roberta?” chiamò ancora “Sono io. Dai, aprimi”

Il rumore dell'acqua si arrestò. Con uno scatto, la porta del bagno venne aperta e davanti ad Amanda comparve una piccola bambina dai lunghi capelli biondi, con il viso completamente impiastricciato.

Amanda si chinò, guardandola negli occhi “Quante volte abbiamo detto che non bisogna giocare con i trucchi di mamma? Lo sai che non vuole”

La bambina annuì, abbassando lo sguardo pieno di vergogna. Amanda le diede un piccolo buffetto sul naso “Dai, vieni che ci ripuliamo” disse, poi la prese in braccio e la sollevò, facendola sedere sulla lavatrice. Prese un po' di carta igienica e la bagnò sotto il getto d'acqua del lavandino – anch'esso ricoperto di rossetto e matita – poi la strofinò delicatamente sul viso di Roberta, cercando di eliminare tutte le tracce di trucco.

“Chi eri questa volta, Cenerentola?” domandò Amanda, cercando di risollevarle il morale. Lo sguardo di Roberta si illuminò all'istante “No, Rapunzel!” esclamò felice “Lo abbiamo guardato oggi a scuola. Ha i capelli lunghissimi e i vestiti tutti colorati! E poi esce dalla torre scivolando con i capelli e va a cercare le lanterne insieme a un ragazzo, un cavallo e un camaleonte!”

“E anche lei indossa tutto questo rossetto?” chiese Amanda ridacchiando e prendendo altra carta. La bambina sembrò pensarci per qualche secondo “Beh, no. Però io non ho né i capelli così lunghi come i suoi, né i suoi vestiti. Qualcosa dovevo aggiungerlo”

Amanda ringraziò silenziosamente che non fossero state le scarpe della madre; l'ultima volta che le aveva messe era quasi capitolata giù dalle scale.

“Perché non prendi i miei di trucchi? Lo sai che puoi farlo” disse la ragazza, frugando in cerca dello sgrassante nello scaffale sotto il lavandino. Non appena lo trovò ne spruzzò un'abbondante quantità nel lavello, poi prese a strofinare.

“Ma tu ne hai così pochi! Quelli della mamma sono molti di più. Perché non posso usare i suoi?” si lamentò la bambina, abbassando le braccia con fare frustrato.

“Su, Roby, non fare così. Lo sai che alla mamma non piace che si tocchino le sue cose. Vuoi che si arrabbi?” un lampo di paura passò nello sguardo della piccola, e Amanda si pentì subito delle sue parole “Tranquilla, rimetteremo tutto a posto. Non si accorgerà di niente” le promise, dandole un lieve bacio sulla fronte. Roberta sorrise felice, poi strinse le braccia attorno al collo di Amanda “Sei la sorella migliore del mondo”

“Questo non è possibile” disse le ragazza, sciogliendosi dall'abbraccio della bambina “Perché la migliore del mondo è proprio davanti a me”

Roberta ridacchiò, poi saltò giù dalla lavatrice “La tavola l'ho già apparecchiata” disse con orgoglio “Però ai bicchieri non ci sono arrivata nemmeno oggi”

Amanda studiò attentamente la sorella, fingendo di misurarla “Visto la velocità con cui stai crescendo, non dubito che è solo questione di settimane!” decretò infine, sorridendo all'espressione soddisfatta della sorella “Ora va a lavarti le mani in cucina, che io qui finisco di pulire, poi ti preparo la pasta al pesto, ti va?”

La bambina saltellò contenta “Oh sì, ti prego!” esclamò, per poi lanciarsi verso la porta del bagno, correndo fuori nel corridoio. Amanda ridacchiò di nuovo, aprendo l'acqua e eliminando le ultime traccie di rossetto dalla ceramica.

Buttò tutta la carta igienica nel water, poi raggiunse la sorella al piano di sotto. Quella era già seduta al suo posto, che giocava con la sua bambola preferita. A quanto sembrava, in quel momento le stava facendo fare il bagno in un'immaginaria vasca da bagno, che era, in effetti, un piatto fondo.

“Ho apparecchiato anche per papà. Forse oggi viene a pranzo” disse Roberta, indicando il quarto piatto sulla tavola. Amanda si sforzò di sorridere “Forse” concordò, sapendo benissimo che era assai improbabile. Il padre di Amanda era un uomo d'affari, uno di quelli che si vedono sempre nei classici film per adolescenti e, come tale, passava ben poco tempo a casa. Se spendeva quel tempo a lavoro o nel letto di qualche sua amante, questa era tutta un'altra questione. Amanda comunque preferiva così, odiava la sua presenza; non era tanto il fatto che sembrasse appena cosciente di avere una famiglia, né il suo tradire ripetutamente la moglie, quanto la completa noncuranza con cui lo faceva, senza nemmeno sforzarsi di inventare delle scuse decenti quando – e se – rientrava alle cinque del mattino. Tutti sapevano la verità, anche la madre di Amanda stessa, ma questa preferiva semplicemente fingere di credere a tutte le bugie del marito, andando la sera a bere con le amiche e Dio sapeva solo cos'altro. La ragazza non se la sentiva comunque di spiegare tutto ciò a sua sorella, ma preferiva invece inventare sempre delle scusanti per il comportamento dei suoi genitori. Sapeva che molto probabilmente Roberta sapeva la verità, o almeno una parte di essa, ma questa sembrava felice di ascoltare le rassicurazioni di Amanda, che continuava a ripetersi che sei anni erano troppo pochi per essere consapevole di quanto profondamente incasinata è la propria famiglia.

Mangiarono in silenzio, poi Roberta aiutò Amanda a sparecchiare, coprendo come d'abitudine il piatto pieno della madre con della carta trasparente e riponendolo in frigo. Quando ebbero finito, entrambe si ritirarono nella propria stanza, non prima però che Amanda promettesse di aiutare la sorella con i compiti quel pomeriggio.

Quando finalmente fu sola, la ragazza si lanciò sul letto, cadendo di faccia sul cuscino. Stava quasi per cedere al sonno, quando il suo cellulare vibrò prepotente, destandola dallo stato di dormiveglia in cui era caduta. Cercò di tirarlo fuori dalla tasca, ma alla fine si arrese e con un grugnito, si sdraiò di schiena, sfilando il cellulare dai pantaloni.

C'era un nuovo messaggio, da Michela: Controlla la tua pagina Facebook, IMMEDIATAMENTE!!!

Amanda si sollevò a sedere, leggermente confusa. Non fece comunque in tempo a posare le gambe a terra che il suo cellulare vibrò nuovamente. Un altro messaggio, questa volta da Giulia: Forse è meglio se entri su fb. Quell'idiota è morto.

L'agitazione prese il posto della confusione, e la ragazza si affettò ad accendere il suo portatile. Continuò a battere il piede con nervosismo sul pavimento mentre lo schermo si illuminava con pigrizia, il segnale della batteria quasi scarica che lampeggiava insistente.

Quando finalmente fu acceso, Amanda digitò frettolosamente l'indirizzo del sito web. Tre notifiche e cinque messaggi. C'era decisamente qualcosa che non andava, la sua pagina Facebook in genere era quasi completamente inattiva.

Decisa di cominciare dalle notifiche.

Mirco Toris ha scritto sulla tua bacheca”

Amanda corrucciò le sopracciglia. Mirco era un ragazzo della quarta D, la stessa classe di Michela. Causa la sua timidezza, o più probabilmente la sua mania di portare le carte dei Pokemon ovunque andasse, il ragazzo era piuttosto isolato.

Era stato per caso che lui e Amanda avevano fatto quella che potrebbe essere generosamente definita amicizia, finché la sera prima lui non l'aveva invitata ad uscire. Lei aveva accettato, leggermente a disagio, ma si era detta che sarebbe stato scortese rifiutare. Così aveva portato Roberta a casa di una sua amica e si era preparata per uscire. Si era resa conto del suo errore solo quando lui a fine serata si era sporto per baciarla e lei, d'istinto, si era ritirata indietro. L'espressione gentile sul viso di lui era cambiata istantaneamente, trasformandosi in una maschera di rabbia. Amanda ricordava ancora la paura che aveva avuto per qualche secondo, la paura di quello che una persona con quello sguardo avrebbe potuto fare, ma per sua fortuna lui infine si era semplicemente limitato a girarsi ed andarsene senza degnarla di una parola.

Fu con agitazione che la ragazza aprì la sua bacheca, il post di Mirco subito in primo piano. Lo lesse con disgusto, sentendo le viscere che si stringevano in una morsa d'acciaio.

Sei una troia! Per colpa tua mi sono preso lo scolo! Mi fai schifo, non farti più vedere!”

Rilesse il post più volte, chiedendosi per quale motivo avesse scritto una cosa del genere. Fu sopraffatta da una marea di emozioni: ripugnanza, paura, dolore, rabbia. Non sapeva cosa fare, era paralizzata.

Si rese conto con orrore che, nonostante fosse stato pubblicato meno di venti minuti prima, l'intera scuola sembrava averlo già commentato. Provò a leggerne alcuni, ma smise quando un forte senso di nausea la assalì. Erano tutti irrisori e pieni di disgusto.

Afferrò frettolosamente il mouse e cancellò il post, ma presto cominciarono a comparire nuove notifiche di messaggi privati. Non aveva più bisogno di controllare per sapere cosa dicevano, così in uno scatto chiuse lo schermo del computer, allontanandolo da sé. Poi, abbracciando il cuscino, scoppiò in lacrime.




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Capitolo 2
*** Solite Bugie ***


Breathe Into Me

Capitolo Secondo:
Solite Bugie

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    Amanda riuscì a fingersi malata nei successivi due giorni, così da non dover andare a scuola; non che ai suoi interessasse particolarmente, comunque. Passò entrambe le giornate chiusa in camera, le serrande completamente abbassate.

Non appena era riuscita a frenare le lacrime, aveva subito disattivato il suo profilo, così che la smettessero di mandarle messaggi. Sia Michela che Giulia avevano continuato a chiamarla in quei due giorni, ma lei aveva lasciato suonare il telefono. Sapeva che se avesse risposto, loro avrebbero sicuramente tirato in ballo la storia del post, e lei non voleva parlarne. Sperava quasi che se ne fosse dimenticata lei, così avrebbero fatto gli altri.

La sera del secondo giorno, comunque, Amanda capì subito che c'era qualcosa che non andava quando sentì sua madre parlare concitatamente al telefono, il tono di voce che diventava più cupo ad ogni risposta. Riconobbe il suono dei suoi passi sulle scale e, istintivamente, si strinse le coperte addosso, arretrando il più possibile verso la spalliera del letto. Quando la madre spalancò la porta, la ragazza rabbrividì leggermente, ma si sforzò di mantenere un'espressione piatta. Conosceva la collera scritta sul volto di sua madre, l'aveva vista più spesso di quanto le sarebbe piaciuto.

“Malata, non è così?” le domandò con voce rabbiosa, avvicinandosi al letto. Amanda arretrò ancora, toccando la spalliera con la schiena “Perché la madre di Michela mi ha appena chiamato, dicendomi ben altro!”

“Mamma, ascolta, posso spiegare...”

“FA SILENZIO!” le urlò la donna, dandole uno schiaffo abbastanza forte da farle voltare la testa. Quando Amanda la vide sollevare nuovamente la mano, cercò automaticamente di sottrarsi, ma si accorse troppo tardi di essersi intrappolata da sola. E la rabbia della madre sembrava crescere di minuto in minuto “Come credi che mi senta a sapere che tutti sanno che mia figlia è una puttana, eh?” sputò, afferrandole violentemente il polso “Ci hai pensato prima di darla in giro? CI HAI PENSATO?” La colpì nuovamente, gli anelli che si scontravano dolorosamente contro le ossa del volto. Amanda comunque non emise un lamento, sapendo bene che la cosa migliore era lasciarla sfogare.

Il rapporto con sua madre non era sempre stato così, anche se in momenti come quelli Amanda faticava a crederlo. Fino ai suoi dieci anni, la sua era una tipica famiglia proletaria: padre lavoratore, madre casalinga, figlia amata.

Eleonora, sua madre, spesso era infelice; e anche se allora Amanda non lo sapeva, il motivo era l'infedeltà del padre. Le cose, tuttavia, andavano bene.

Quando però una delle amanti di suo padre aveva dato alla luce una bambina, morendo poi di parto, tutto era caduto a pezzi. Luigi, il padre di Amanda, aveva deciso di riconoscerla come sua e la aveva portata in casa, ignorando le proteste della moglie. Amanda ricordava ancora le infinite litigate la sera, quando la bambina piangeva ininterrottamente. Mentre i suoi genitori erano impegnati a discutere, lei andava in camera di sua sorella e la prendeva in braccio, cercando di calmarla. Perché per quanto ne dicesse sua madre, Roberta era sua sorella.

Da allora comunque Eleonora aveva perso completamente la ragione. Decisa a fingere di avere una famiglia perfetta, aveva detto a tutti che la bambina era stata adottata. Il padre aveva accettato questa versione, mostrando il suo solito disinteresse; nonostante si fosse preso l'incarico di occuparsi di Roberta, presto il comportamento di sua moglie gli fece cambiare idea. Se prima era poco presente in casa, da quando aveva preso la bambina era praticamente scomparso.

Eleonora invece faceva quello in cui era più brava: fingeva che la bambina non esistesse. Quando però le cose si facevano troppo pesanti per lei, tendeva a sfogarsi con Amanda. La ragazza era convinta che l'odio che sua madre provava chiaramente nei suoi confronti fosse nato dall'affetto che invece lei provava per la sorella. Spesso si era chiesta cosa sarebbe successo se Roberta non fosse mai nata, ma era giunta alla conclusione che sarebbe stata solo una questione di tempo prima che il fragile equilibrio che sembrava tenere in piedi la sua famiglia cedesse. E poi c'erano gli attacchi d'ira...

“Non ti ho cresciuta perché tu potessi rovinarmi la vita! Sei una piccola stronzetta ingrata. Dopo tutto quello che ho fatto per te, tu così mi ripaghi?!” Amanda nascose il viso tra tra le braccia per proteggersi dai colpi, continuando ad incassarli in totale silenzio. Come suo solito, cercò di rintanarsi nel suo posto felice. Ne aveva letto una volta su internet e da allora cercava di utilizzarlo ogni volta che la madre aveva uno dei suoi momenti. Era un prato, simile a quello che c'era a qualche chilometro da casa sua. Era sempre fiorito nonostante spesso nevicasse e, quando Amanda andava lì, niente poteva più raggiungerla. Si sdraiava, assaporando l'odore di pino nell'aria e ascoltava il canto degli uccelli. Da qualche mese, capitava che anche Paolo facesse parte del suo posto felice; si sedeva con lei sull'erba, mettendole qualche fiore tra i capelli, e la stringeva forte a sé sussurrandole che andava tutto bene.

“Amanda...” mormorò una voce, riportandola alla grigia realtà. Sua sorella era ferma sulla porta, strofinandosi gli occhietti assonnati e stringendo al petto il suo orsacchiotto preferito. Quando si accorse di quanto stava accadendo, subito spalancò gli occhi, arretrando di qualche passo.

“Ah, eccoti. Il piccolo angioletto di casa” disse Eleonora, una punta di puro astio nella voce. Prima ancora che la madre potesse fare un passo, Amanda si era alzata dal letto e si era messa tra lei e Roberta, guardando aspramente la donna “Lasciala stare” fece in tono secco, sforzandosi di impedire alla voce di tremare. Sua sorella non l'avrebbe toccata, non finché c'era lei a proteggerla.

La madre sorrise aspramente, lo sguardo ferito “Certo, quando mai tu non sei pronta a difendere quella piccola puttanella? Mi chiedo perché non vi ho già sbattute in strada entrambe. Non dovreste fare fatica a trovare lavoro, dico bene? Vi basterebbe aprire le vostre sporche gambe da troie”

Amanda si sentì disgustata, disgustata all'idea che la madre usasse certe parole davanti ad una bambina. Quanto devi essere consumato dall'odio per disprezzare così una ragazzina di sei anni?

“Roberta, perché non torni in camera tua?” le domandò gentilmente Amanda, senza voltarsi a guardarla. La bambina non si mosse, continuando a spostare lo sguardo dalla madre alla sorella, gli occhi gonfi di lacrime. “Vai in camera, adesso!” le ordinò allora Amanda, felice di sentire i suoi passi che si allontanavano. La madre da parte sua, però, non sembrava della stessa idea. Con uno slanciò si lanciò verso la ragazzina, ma Amanda le si parò davanti, bloccandola. Capì di aver appena fatto un enorme errore quando vide lo sguardo della madre iniettarsi di sangue. Questa prese il braccio della figlia e glielo piegò all'indietro, facendo cadere la ragazza in ginocchio. Quando poi Amanda provò a rialzarsi, la donna le sbatté il viso contro lo stipite della porta. Il dolore la colpì così all'improvviso che Amanda per un attimo perse completamente il senso del tempo. sentì le gambe cederle e si accasciò a terra, la vista appannata dalle lacrime. Sentì sua madre respirare pesantemente al suo fianco, poi sedersi accanto a lei “Ecco, vedi cosa mi fai fare?” piagnucolò, accarezzando dolcemente i capelli della figlia. La ragazza rimase immobile, la testa che le pulsava dolorosamente, cercando di non emettere un suono. Come ogni volta, sentiva un fiume di parole premerle sulla lingua, cercando disperatamente di uscire. Voleva urlare tutto il suo disprezzo a sua madre, il suo odio, il suo disgusto nei suoi confronti. Voleva lanciarle addosso tutto quello che le capitava sotto mano e guardarla accasciarsi a terra, finalmente senza la forza di torturare la sua stessa figlia. Come ogni volta, si trattenne. Ancora qualche mese pensò qualche mese e me ne andrò via da questo inferno. E Roberta verrà via con me.

Con questi pensieri si addormentò, la madre che ancora le accarezzava i capelli canticchiando una malinconica ninna nanna.

 

Quando la mattina riaprì gli occhi, Amanda era distesa sul suo letto, le coperte accuratamente rimboccate che la avvolgevano sofficemente. Fece per sbadigliare, ma un lancinante dolore alla guancia glielo impedì, e subito le tornò alla mente quanto era accaduto la notte prima. Con un gemito si sollevò dal letto, avvicinandosi all'enorme specchio accanto all'armadio. Quando vide il suo riflesso, trattenne appena un'esclamazione di orrore: la metà sinistra del suo viso era di un inquietante violetto, che si spandeva dalla tempia fino alla mandibola. C'era del sangue secco tra i suoi capelli, e un piccolo taglio appena dopo il sopracciglio. Provò a premere un dito sulla guancia, ma dovette subito ritirarlo, rilasciando un lieve lamento.

Mai aveva avuto dei tali segni, sopratutto non in volto. Sua madre in genere era molto attenta a non procurarle dei danni evidenti, cose che non si potessero spiegare con una caduta dalla bicicletta. La storia di questi lividi era fin troppo chiara.

Fu con un sobbalzo che si rese conto della presenza della madre alle sue spalle, che le sorrideva gentile “Stavo venendo a svegliarti” fece con tono dolce, avvicinandosi ad Amanda, la quale si stava sforzando di non arretrare.

“Oh, guarda qui che brutti lividi!” esclamò guardando la ragazza, il volto pieno di preoccupazione “Non ti preoccupare, mamma ha già pensato a tutto!” e con questo tirò fuori dalla sacchetta che teneva in mano un fondotinta e della cipria, sedendosi poi sul letto e facendo cenno alla figlia di raggiungerla. Amanda obbedì esitante, accomodandosi in silenzio accanto alla madre.

La donna si mise un po' di fondotinta su un dito, poi cominciò a picchiettarlo delicatamente sul volto di Amanda, che subito sentì gli occhi riempirsi di lacrime per il dolore.

“Lo so, tesoro, lo so” disse Eleonora, accarezzando con il dorso della mano il lato senza lividi del viso della ragazza “Però non puoi certo andare a scuola ridotta così. Farò in fretta, te lo prometto”

Amanda abbassò lo sguardo, desiderando solo che la madre se ne andasse. Quella comunque impiegò almeno altri cinque minuti buoni prima di annuire soddisfatta, afferrando il mento della ragazza e spostandole il viso in varie angolazioni per controllare che il colore fosse omogeneo “Perfetta” decretò, dandole un bacio sulla punta del naso “La mia bellissima bambina”

Amanda sentì crescere un enorme senso di nausea, ma rimase ferma, riuscendo perfino a piegare le labbra in un piccolo sorriso. Eleonora sorrise di rimando soddisfatta, poi si alzò “Io e Marta andiamo a fare una piccola gita oggi, perciò non penso che riuscirò ad essere a casa prima delle otto” disse entusiasta, controllandosi l'acconciatura allo specchio “Se saremo fortunate forse riusciremo ad arrivare fino alla Chiesa di Santa Madre Teresa. La ricordi? E' quella piccola in cima alla collina, da piccola ti ci portavo sempre!”

“Sì mamma, me la ricordo” mentì Amanda. Non era sicura di come avrebbe dovuto comportarsi, perciò si limitava a mantenere un'espressione piatta. Finalmente, dopo essersi ammirata per l'ultima volta, la madre le diede un bacio sulla fronte, uscendo poi subito dopo dalla camera e scendendo frettolosamente le scale. Amanda tornò finalmente a respirare, rendendosi conto solo in quel momento di aver quasi trattenuto il fiato dalla tensione.

Andò velocemente in bagno e, cercando di non rovinare il trucco, si sciacquò il sangue dai capelli, che risaltava brutale sulla tonalità castano-dorata di quest'ultimi.

Si vestì, analizzando sommariamente i lividi sulle braccia, poi andò a svegliare Roberta, che stava dormendo abbracciata alla sua bambola. Fecero entrambe una rapida colazione, dopodiché lo scuolabus passò a prendere la bambina, che fortunatamente sembrava già aver dimenticato quanto era successo la notte precedente.

Amanda si diresse invece verso la sua fermata, cercando di non pensare al quello che aveva scritto Mirco su di lei. Non poteva evitare la scuola per sempre, questo era sicuro, però avrebbe desiderato aspettare ancora qualche giorno prima di tornare. Sapeva comunque che più fosse rimasta a casa, meno avrebbe avuto voglia di fare ritorno a scuola. Inoltre, sua madre non le aveva dato molta scelta.

Quando arrivò a scuola, poco più di mezz'ora dopo, le sembrò che qualunque studente nel raggio di cento metri la stesse osservando. Tenendo la testa bassa, si affrettò ad entrare in classe, trovando Giulia che l'aspettava seduta al suo banco “Ehi” la salutò, andandole in contro “Cominciavo a non sperarci più”

Amanda sorrise tristemente, lanciando un'occhiata ai suoi compagni, che la stavano indicando ridacchiando tra loro “Non sono stata bene” le disse, anche se entrambe sapevano benissimo qual'era la verità. Dirlo ad alta voce, però, sarebbe stato come renderlo ancora più reale. Giulia sembrò capirla, perché annuì “Sì, l'ho immaginato. Ho avvertito anche i professori. Volevano che ti passassi i compiti. Ah! Gli ho detto, non vorrete mica che faccia i compiti con quarantuno di febbre!”

“Quarantuno? ”

“Beh, sì. Che c'è, preferivi che ti dessero i compiti?”

Amanda scosse la testa, sorridendo sinceramente per la prima volta da giorni. Era questo che le piaceva così tanto della presenza di Giulia: era capace di risollevarle sempre la giornata.

“Insomma, gli ho detto, ha il cervello talmente surriscaldato che a malapena si ricorda il suo nome, pensate davvero possa risolvere problemi di matematica?!”

“Non ti sembra sia stata un po' drastica la cosa? Come minimo oggi vedendomi penseranno sia un fantasma”

“O uno zombie. O un vampiro. O...”

“Sì, sì. Ho capito il concetto” ridacchiò, salutando la professoressa di matematica che entrò in quel momento in classe. Giulia tornò velocemente al suo posto e Amanda si sedette al suo, lanciando un'occhiata a Paolo, seduto come sempre alla sua sinistra. Quando lo vide allontanarsi quasi impercettibilmente da lei, sentì una nuova ondata di vergogna prendere il sopravvento e per poco non scoppiò nuovamente a piangere.

Un bigliettino atterrò sul suo banco, attirando immediatamente la sua attenzione.

O una mummia!

Amanda non riuscì a trattenere un sorriso. Sì, Giulia era davvero un'ottima amica.

 

Le cose andarono meglio del previsto... per le prime due ore. Non appena la campanella annunciò la ricreazione, un piccolo gruppo di ragazze si raccolse fuori dalla porta, adocchiandola per poi ridacchiare tra loro. Probabilmente avrebbero continuato per tutti i venti minuti di pausa, se Giulia non le avesse prese a male parole, chiudendogli la porta in faccia. Amanda gli fu grata, ma ciò che non era stato chiuso fuori era in classe con lei, e sogghignava esattamente nello stesso modo.

Il momento peggiore, però, fu quando qualche ora dopo andò in bagno. Sfortuna volle che all'interno ci fosse già un gruppo di ragazze del quinto anno, che subito si zittì non appena Amanda aprì la porta.

La ragazza si ritirò velocemente in uno degli scomparti con il gabinetto, ma non poté fare a meno di sentire ciò che dissero le altre ragazze, che sembravano parlare di proposito in un tono esageratamente alto.

“Ha davvero avuto il coraggio di presentarsi a scuola”

“E' incredibile come le riesce bene la parte da santarellina. Dovrebbe tenere dei corsi”

“Che ipocrita”

Amanda si sedette sul water, stringendo la testa tra le mani. Possibile che la notizia si fosse sparsa in quel modo? Non sembrava esserci uno studente nell'intero comprensorio scolastico che non sapesse del post. O che non ci credesse.

Perfino i suoi stessi compagni di classe sembravano essere convinti della sua colpevolezza, ma la cosa peggiore è che trovavano la situazione divertente da morire. Paolo da parte sua sembrava fare il possibile per fingere che Amanda non esistesse, evitando perfino di guardare nella sua direzione.

Forse avrebbe dovuto parlare con Mirco. Forse avrebbe dovuto chiedergli di confessare la verità. Sapeva però che, ormai, niente avrebbe convinto i suoi compagni di scuola che la storia era menzogna. Ci andavano matti per il gossip quelli, sopratutto se erano del tipo che rovina la vita delle persone. Più una storia era imbarazzante, più a lungo sopravviveva tra quelle mura.

 

 

Quando finalmente l'ultima campanella annunciò la fine delle lezioni, non fu il sollievo ad avere il sopravvento su Amanda, bensì un'enorme senso di tristezza. Il pensiero di tornare lì il giorno dopo la faceva stare male, come se non ci fosse abbastanza ossigeno nella stanza. L'idea di tornare a casa, poi, non era di certo più allettante. Avrebbe semplicemente voluto prendere il primo treno e scappare via, lasciandosi dietro tutti i suoi problemi, ma il pensiero di abbandonare sua sorella glielo impediva. Si ripeté per l'ennesima volta che mancavano pochi mesi alla sua maggiore età, ma questa volta non funzionò come dovuto.

Quando Giulia fece per aspettarla alla porta, Amanda la liquidò frettolosamente, asserendo di dover andare nuovamente in bagno. Non appena l'amica si allontanò, la ragazza tornò a sedersi al suo banco, poi nascose la testa tra le mani e finalmente scoppiò nel pianto che aveva trattenuto per tutta la mattinata.

“Amanda?” la chiamò una voce, facendole alzare di scatto la testa.

Il professor Navarra era in piedi davanti a lei, che la guardava con evidente curiosità. Quando vide le lacrime sul suo volto, questa mutò in una velata preoccupazione “Stai bene?”

La ragazza si asciugò frettolosamente le lacrime e annuì senza trovare il coraggio di guardare il professore negli occhi. L'uomo sembrò indeciso per qualche secondo, poi prese una sedia e la posizionò davanti ad Amanda, sedendocisi sopra.

“Per i prossimi” lanciò un'occhiata all'orologio “Trenta minuti, dimenticati che sono un tuo professore. Fingi che sia un tuo compagno”

“Dovrebbe iniziare a ridere allora” si lasciò sfuggire Amanda, rimpiangendo immediatamente le sue parole. L'uomo la osservò confuso “E' successo qualcosa in classe?”

La ragazza scosse nuovamente la testa, poi, quando vide che lui aspettava caparbiamente dei chiarimenti, si passò una mano sul volto “E' solo... un ragazzo ha... ha diffuso delle informazioni false sul mio conto. E sembra che non ci sia una sola persona a scuola che non ne sia venuta al corrente”

“Posso chiedere che genere di informazioni?”

“Preferirei non parlarne”

L'uomo annuì comprensivo “Ne hai parlato con i tuoi genitori? Forse possono fare qualcosa”

La ragazza trattenne a stento un'amara risata “Lo sanno” si limitò invece a dire. Il professore si passò una mano tra i capelli, sospirando “Purtroppo, non sono mai stato un granché con i consigli. Però, non so se questo potrà aiutarti, ma ricordo che accadde una cosa simile anche ad una mia vecchia amica ai tempi del liceo. Ed... ecco... spesso fui proprio io a spargere menzogne sul suo conto”

Amanda alzò lo sguardo verso l'uomo seduto davanti a lei, chiedendosi se per caso si stesse prendendo gioco di lei. Lui sembrò intuire i suoi pensieri, perché ridacchiò piano “Sì, lo so. Nemmeno il mio io del passato ti crederebbe se gli dicessi che ora sono un professore” disse, tornando poi serio “Quello che volevo dire, comunque, è che spesso io non mi rendevo nemmeno conto di quanto potessi ferire una persona con i miei comportamenti. Lo facevo perché ero... beh, stupido. E pieno di me”

“Non credo sia il suo caso” fece la ragazza con voce cupa, distogliendo nuovamente lo sguardo “Quello che ha fatto, l'ha fatto con l'intento di ferirmi”

“Come puoi esserne così certa?”

“Perché l'ho visto nel suo sguardo” Amanda si rese conto della verità di quelle parole non appena lasciarono le sue labbra. Sì, lei lo aveva visto. Aveva visto la rabbia nei suoi occhi, così simile a quella che invadeva sua madre. E in quel momento, si sentì incredibilmente stupida. Avrebbe dovuto aspettarselo, avrebbe dovuto sapere che la storia non sarebbe finita lì.

Il professore la osservò curioso, meditando sulla sua risposta. Non era quello che si aspettava, questo di sicuro.

“Allora se è questo ciò che vuole, tu non darglielo. Cioè che ha detto è una menzogna, giusto? Bene, comportati sapendo che è tale. Tieni la testa alta, ignora i commenti. So che è difficile, ma vedrai che presto la gente si stancherà dell'argomento”

La ragazza annuì incerta. Sapeva che aveva ragione, eppure, fingere che tutto andasse bene come se niente fosse? Non pensava fosse possibile. Niente andava bene.

Con immenso imbarazzo, sentì nuove lacrime percorrerle le guance. L'uomo dovette accorgersene a sua volta, poiché si frugò nelle tasche, tirando fuori un pacchetto di fazzoletti e tendendone uno alla ragazza, che lo prese e lo utilizzò per asciugarsi. Fu solo dopo che, strofinando troppo forte, una fitta di dolore le si diradò per il viso che si ricordò del trucco. Lanciò un'occhiata al fazzoletto, inorridendo nel constatare che ora era pieno di fondotinta.

Il professore seguì il suo sguardo e, dopo aver visto il fazzoletto, tornò a concentrarsi sul volto della ragazza. Sobbalzò lievemente quando vide un enorme livido nero circondarle l'intero occhio sinistro, scendendo poi fino allo zigomo.

“Amanda, cosa ti è successo?” le domandò, sporgendosi automaticamente verso il suo volto. Lei si alzò di scatto, cercando di nascondere la contusione con i capelli “Io... non è... ora forse è meglio che vada”

La ragazza fece per dirigersi verso la porta, ma l'uomo le si parò velocemente davanti, bloccandole la fuga. Prima che potesse impedirselo, Amanda arretrò spaventata, rendendosi poi conto di quanto fosse dovuta sembrare patetica. Lo sguardo di lui comunque inizialmente si fece turbato, poi si riempì di apprensione. Sollevò subito le braccia, cercando di mostrarle che non era sua intenzione farle alcun male.

“E' stato quel ragazzo a farti questo?” chiese ancora, avvicinandosi lentamente “Amanda, ti prego, dimmelo”

“E' stato un incidente. Sono caduta dalla bicicletta” affermò, capendo subito che l'uomo non ci avrebbe mai potuto credere. Proprio come aveva visto quella mattina allo specchio, i segni questa volta erano ben chiari.

“Amanda...”

“Voglio solo andare a casa. Per favore” lo supplicò, cercando un modo per sottrarsi alle sue domande. Se si fosse saputo di sua madre, se qualcuno fosse venuto a conoscenza della verità... non poteva rischiare di perdere sua sorella.

L'uomo abbassò le braccia, una tale angoscia nel volto che lei non poté fare a meno di chiedersi se la causa fossero davvero i suoi lividi, se non ci fosse altro.

Non appena lui si spostò di lato, comunque, Amanda corse verso l'uscita evitando di guardarsi indietro.  

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Capitolo 3
*** Inevitabile ***


Breathe Into Me

Capitolo Terzo:
Inevitabile

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 “Pronto?

Amanda tirò un sospiro di sollievo. Temeva che l'amica fosse già a scuola “Giulia, sono Amanda. Dove sei?”

Si sentì chiaramente uno sbuffo dall'altra parte della cornetta, e Amanda non ebbe alcun problema ad immaginarsi l'amica mentre sollevava gli occhi al cielo “A casa a prepararmi, dove dovrei essere?

La ragazza rimase qualche secondo in silenzio, indecisa se continuare continuare con il suo programma oppure no. Sapeva benissimo che aveva già fatto troppe assenze in quei giorni, eppure... “Ti va di andare al mercato insieme?”

Che? Adesso?

“O da qualche altra parte, puoi decidere tu”

Silenzio. Poi una risata “Vuoi fare sega?

“Sì. No! Insomma, ho pensato che visto che oggi era una giornata abbastanza tranquilla a scuola... e poi il tempo è così bello...”

Ehi, tranquilla. Mi avevi già convinta alla storia del mercato, sono secoli che programmo di andarci. Al parco tra quindici minuti?

Amanda sorrise “Facciamo venti. Passo a prendere un paio di cornetti”

Tu sì che sai come trattare una ragazza! Al cioccolato, mi raccomando!”

“Non potrei mai sbagliare. A dopo”

Later!” esclamò Giulia, per poi riattaccare.

Amanda lanciò il cellulare sul letto, seguendolo all'istante. Quella mattina, appena la sorella aveva preso lo scuolabus, si era sentita un enorme peso sul petto al pensiero di andare a scuola. Dopo quello che era successo il giovedì precedente con il suo professore di filosofia, aveva passato il venerdì e il sabato con il terrore di rincontrarlo per i corridoi, come se tutta la storia della sua presunta attività sessuale non fosse stata abbastanza. In tutta onestà, non sapeva nemmeno lei di cosa avesse paura, fatto sta che non si sentiva ancora pronta ad affrontarlo.

Quel lunedì, comunque, non ci sarebbe stato modo di evitarlo, avendo filosofia alla quinta ora. Era stato per questo che aveva deciso di non andare a scuola, nonostante sapesse che questo modo di sottrarsi ai problemi stesse diventando un fastidioso vizio.

Comunque, in casa non sarebbe potuta rimanere: sua madre era tornata molto tardi la notte precedente, perciò non era uscita quella mattina. Se poteva evitarlo, Amanda preferiva non stare sola con lei.

Non era sicura del perché avesse deciso di chiamare Giulia invece di Michela. O forse lo era. Giulia aveva questo suo modo di capire quando Amanda preferiva semplicemente divertirsi, accentando qualunque suo piano senza porre domande. Inoltre, nonostante la ragazza continuasse a ripetersi che Michela non avrebbe avuto modo di sapere come avrebbe reagito Eleonora, non riusciva a dimenticare che era stata proprio la madre della ragazza ad informarla di quanto stava accadendo a scuola.

Scosse la testa, imponendosi di non pensarci. Era ingiusto nei confronti dell'amica, che si era solo preoccupata per lei.

Si risollevò dal letto e si controllò velocemente allo specchio, assicurandosi che il fondotinta coprisse completamente i lividi; non aveva voglia di ripetere l'incidente dell'ultima volta. Erano diventati di un pallido verdino, circondati da un'enorme chiazza gialla. Erano sicuramente molto migliorati rispetto a quattro giorni prima, ma purtroppo senza trucco erano ancora ben chiari. Tornò verso il letto e sollevò il materasso, prendendo i soldi che il padre le aveva lasciato l'ultima volta che era passato. Più stava lontano da casa, più la cifra sembrava crescere, e questa volta era quasi arrivata a toccare i cinquecento euro. Se non altro, pensò, non dovrei aver problemi a comprare quei due cornetti.

 

“Io ti amo!” esclamò Giulia correndole incontro “Sei la cosa migliore che mi sia capitata al mondo!” continuò, afferrando il suo cornetto “Sei così fantastico che mi dispiace quasi mangiarti”

Amanda ridacchiò “E io che per un attimo speravo parlassi con me. Avrei dovuto sapere che non posso competere con il cibo”

Giulia sollevò lo sguardo verso di lei, la labbra completamente ricoperte di cioccolato “Oh, è vero che ci sei anche te” esclamò, senza preoccuparsi di mettersi una mano davanti alla bocca. L'altra scosse la testa, frugando nella busta della pasticceria e tirando fuori una manciata di fazzoletti, che l'amica afferrò subito “Un giorno mi dovrò far dare la ricetta di questi cosi. Mia padre ci ha provato a rifarli, ma gli si sono ammosciati tutti appena tolti forno. Dovresti vedere come ci è rimasto male, avevo paura si mettesse a piangere da un momento all'altro. Io stavo per farlo”

“Forse avrebbe dovuto lasciarli nel forno un altro po'”

“Può darsi” fece Giulia, alzando le spalle “Comunque abbiamo rimediato andandone a prendere una decina dal pasticciere e sbafandoceli prima ancora di arrivare a casa. Credo di aver preso come minimo dieci chili, tutti in brufoli”

Amanda scoppiò a ridere, sentendo come sempre una punta di invidia nei confronti dell'amica. Nonostante la madre le fosse morta quando era piccola, il suo rapporto con il padre era tutto ciò Amanda aveva mai desiderato di avere con il suo. Era capitato che andasse a casa dell'amica e ogni volta, appena varcata la soglia di casa, aveva sentito una magnifica sensazione di pace invaderle le ossa. Si era spesso chiesta se era quella la sensazione che avrebbe dovuto provare arrivando a casa sua, e ogni volta si era sentita più patetica della precedente.

Quando arrivarono al mercato, ormai si erano fatte le dieci. Avevano percorso il tragitto con comodo, fermandosi di tanto in tanto ad osservare le vetrine dei negozi. Si erano bloccate per più di quaranta minuti nel negozio di fumetti, dove Giulia aveva speso praticamente tutti i soldi che si era portata dietro, più qualcosa di Amanda. Quest'ultima comunque ne aveva approfittato per curiosare lei stessa tra i fumetti, passione che le aveva passato proprio l'amica. Aveva iniziato a comprare qualche numero, anche se aveva ancora qualche difficoltà a sceglierli. A differenza di Giulia, che sembrava avere una vera e propria adorazione per i supereroi della Marvel, lei preferiva quelli della DC. E poi, su, a chi non piace Batman?

“Aquaman?!” le aveva domandato ad un certo punto l'amica, storcendo il naso alla vista dei fumetti che aveva appena passato all'uomo alla cassa “Perchè Aquaman?”

“Perché è considerato inutile” aveva risposto, lanciando un'occhiata verso quello che sembrava un enorme poster di Spiderman “Sono curiosa di capire perché”

“Quel tipo cavalca cavallucci marini”

“Come se non volessi farlo anche tu”

Giulia era rimasta qualche secondo in silenzio, poi aveva sbuffato “Ok, sì. Continuo comunque a preferire una bella armatura ultra tecnologica. Possibilmente accessoriata di un Tony Stark nudo al suo interno”

La faccia del commesso a quelle parole aveva fatto pentire amaramente Amanda di aver intrapreso il discorso.

Una volta al mercato, i fumetti furono riposti al sicuro negli zaini. Fortunatamente il lunedì non c'era molta gente, perciò le due ragazze poterono godersi in tutta tranquillità le bancarelle che sembravano vendere praticamente di tutto.

Si fermarono a tre diversi banconi di dolciumi, oltre che ad uno che emanava un fantastico profumo di pollo arrosto per tutto il viale.

“Ohh, quanto mi sei mancato!” esclamò Giulia, addentando la sua coscia di pollo e chiudendo gli occhi in una decisamente esagerata espressione di estasi “Con Lorenzo la quantità di carne che assumo è scesa sotto il limite sopportabile. Non fraintendermi, amo tutta la storia del amo troppo gli animali per mangiarli, però spesso avrei semplicemente voglia di una bistecca, e al diavolo le mucche”

“Credevo lui non avesse problemi con quello che mangi” disse Amanda, pungendo un pezzetto di pollo con un lungo stuzzicadenti e portandoselo alla bocca.

“No, non ne ha. Però sai, mi sento in colpa a mangiare questa roba davanti a lui. Insomma, è come se mangiassero un bambino davanti a me. No, anzi, quello probabilmente mi farebbe solo venire fame”

Amanda scosse la testa con rassegnazione “A volte mi fai paura”

“Ehi, che vuoi da me? Dicono che sappiamo di maiale”

“Non voglio nemmeno sapere chi ha assaggiato la carne umana per poterne descrivere il sapore”

“Probabilmente qualcuno rimasto bloccato con un amico da qualche parte per parecchi giorni”

“Allora non voglio nemmeno sapere cosa ha bevuto”

L'amica sembrò decisa a rispondere, però si fermò, emettendo invece un pesante sospiro “Comincio a pensare che dovrei davvero passare meno tempo su Tumblr”

Amanda scosse la testa, pulendosi le mani con un fazzoletto e accartocciando la busta di carta che conteneva il pollo, ora vuota “Sinceramente, se sei riuscita a trovare un ragazzo nonostante passi in media dodici ore su internet, direi che puoi permetterti di non smettere”

Giulia sollevò la testa verso l'amica, sorridendo “Sai cosa? Hai proprio ragione. Ho un ragazzo. Come faccio ad avere un ragazzo?”

“Me lo chiedo da mesi” dichiarò Amanda,

“Credo che il trucco stia nella pizza. Lorenzo è dovuto venire talmente spesso a portarmela che alla fine ha deciso che conveniva direttamente accoppiarsi con me e farla finita”

“Eeeh... ecco tutto il romanticismo che saluta e se ne va”

“A che mi serve il romanticismo quando ho la pizza?”

Amanda scosse la testa, rassegnata “A questa non so davvero come rispondere”

Giulia sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma in quel momento il cellulare di Amanda squillò. Le ragazze si osservarono per un istante lievemente agitate, chiedendosi entrambe se per caso qualcuno avesse capito che avevano saltato la scuola. Quando tirò fuori il telefono, comunque, Amanda si rese conto con sorpresa che era già l'una e un quarto “Sì?” rispose incerta, non riconoscendo il numero sullo schermo.

Amanda? Sono Paola Anni, la madre di Caterina” Amanda riconobbe il nome della migliore amica di Roberta. Giulia le lanciò uno sguardo curioso, e lei mimò Roberta con le labbra.

“Oh, ciao! Dimmi pure”

Volevo solo informarti che Roberta è venuta a casa con noi. Avremmo avvertito prima, ma purtroppo tua sorella non ricorda il numero di tua madre, e tu eri a scuola, perciò...

“Oh, certo, non ti preoccupare. Ci penserò io ad avvertire mamma. A che ora devo... ehm, dobbiamo passare a riprenderla?”

Quando vi fa più comodo, non vi preoccupate. Le bambine devono fare una sorta di progetto. A qualcosa a che vedere con i pesci...

I delfini, mamma!” urlò qualcuno dall'altra parte della cornetta.

Perciò probabilmente è meglio lasciargli tempo fino a sera

Amanda sospirò. Odiava andare in giro col buio “Va bene, allora magari vedremo per dopo cena”

Sì, direi che è perfetto

“D'accordo allora. Grazie mille per l'ospitalità!”

Oh, figurati, mi fa solo piacere. Buona giornata, e salutami tua madre

“Certo, lo farò. Arrivederci” fece appena in tempo a dire Amanda, prima che la donna mettesse giù.

Giulia, che durante la telefonata si era fermata ad osservare una maglietta, tornò a voltarsi verso l'amica “So? Problemi?”

Amanda scosse la testa “Solo una sorella di sei anni con molta più vita sociale di me”

L'amica scoppiò a ridere, dandole una pacca sulla spalla “Cara ragazza, non hai idea di quanto ti capisca”

 

Ovviamente Amanda non si preoccupò di informare la madre, che non era nemmeno a casa quando la ragazza vi fece ritorno. Lei stessa, dopo aver fatto i compiti alla bell'e meglio e ripassato un minimo di letteratura tedesca per la lezione del giorno dopo, preferì uscire nonostante mancassero almeno due ore all'ora in cui sarebbe dovuta andare a prendere la sorella.

Si diresse a passo spedito verso il parco, accomodandosi sotto l'albero cui era solita sedersi a leggere e, incapace di trattenere una risata, tirò fuori i suoi nuovi fumetti di Aquaman. Da Doktor Faustus a questo in meno di trenta minuti. Non so nemmeno se considerarlo davvero un peggioramento.

Con un sospiro appoggiò la schiena all'albero, ringraziando che ci fossero i lampioni che illuminavano tutto e aprendo il primo fumetto. Le ci volle poco più di un'ora per finirli tutti, e per rendersi conto che qualcuno la stava osservando da lontano.

Proprio davanti a lei, sulla panchina appena accanto alle altalene, sedeva il professor Navarra. Quando si rese conto che Amanda si era accorta della sua presenza, si alzò aggiustandosi la giacca e si diresse a passo spedito verso di lei, come se temesse che potesse scappare via da un momento all'altro.

“Mi sta seguendo?” non poté trattenersi dal chiedere la ragazza, ma desiderando subito di aver tenuto la bocca chiusa. Non poteva negare comunque che la sua presenza lì fosse sospetta.

Lui si guardò attorno a disagio “Veramente abito qui davanti” fece, indicando un palazzo rosa pallido dall'altra parte della strada. Amanda arrossì violentemente, guardandosi attorno in cerca di una pala con cui seppellirsi molto, molto in profondità. Aveva appena dato del maniaco al suo professore di filosofia?

Lui comunque non sembrò essersi scoraggiato, facendo invece un cenno con la testa verso di lei “Posso?”

La ragazza annuì, tenendo gli occhi bassi. Tutto ciò che sperava a quel punto era che le cose non diventassero ancora più imbarazzanti, non credeva avrebbe avuto più il coraggio di presentarsi a scuola altrimenti.

L'uomo si sedette al suo fianco, incrociando le gambe “Non sei venuta a scuola oggi”

Certo, non sono venuta per evitarti. “Mal di testa” dichiarò invece, notando subito lo sguardo scettico di lui “Mi è passato nel pomeriggio”

Lui non commentò, fissando invece il sole che tramontava proprio davanti a loro. Amanda sceglieva sempre di proposito quel posto, e ora condividere questo momento con il suo professore stava rendendo tutto incredibilmente strano. Per un breve secondo, provò una lieve irritazione nei suoi confronti.

“Hai risolto le cose con quel ragazzo, alla fine?” le chiese lui improvvisamente, interrompendo l'imbarazzante silenzio calato tra loro. Amanda sospirò. Si immaginava che avrebbe toccato quel tasto, sperava solo non succedesse così presto “Ho seguito il suo consiglio. Ho cercato di non ascoltare i commenti che facevano su di me nei corridoi. In realtà, ho proprio cercato di evitarli, i corridoi. Ho finto di non sentire quello che dicevano in classe, o le occhiate che di tanto in tanto mi lanciava la professoressa di italiano. Sembra che anche lei abbia Facebook, dopotutto”

Si bloccò di colpo, rendendosi improvvisamente conto della sua risposta. Mentalmente, si diede uno schiaffo, cercando di ricordarsi che nonostante tutto, stava ancora parlando con un professore. Un professore molto giovane, e con quella luce i suoi occhi sembravano fatti di cristallo e... no. Riavvolgi e cancella l'ultima frase.

Lui comunque si limitò a guardare in basso con aria colpevole, osservando con particolare interesse un filo d'erba. Un'orribile idea si fece strada per la mente di Amanda “Lei non ha... lei non...”

“Mi dispiace, sono stati i miei colleghi a mostrarmelo” ammise lui, sollevando lo guardo e fissando la ragazza con gli occhi pieni di rincrescimento “Erano preoccupati per te”

Amanda si nascose la faccia tra le mani, sentendo un'ondata di vergogna travolgerla. Perfino i professori ormai ne erano al corrente, davvero? Maledisse il giorno in cui aveva deciso di iscriversi a quel maledetto sito web, ma ancora di più quello in cui aveva deciso di rivolgere la parola a Mirco.

“Credono a quello che dice il post, non è vero?” domandò, il volto ancora nascosto. L'uomo parve sul punto di dire qualcosa, ma poi sembrò cambiò idea “Sì” rispose semplicemente, osservando la ragazza abbassare con aria sconfitta le spalle. Amanda aspettò qualche secondo in silenzio, una domanda sulla punta della lingua. Non aveva il coraggio di chiedere ma, ancora di più, temeva la risposta. Alla fine comunque si fece forza, alzando la testa e guardando il suo professore dritto negli occhi “E lei?” domandò con un filo di voce. Lui sembrò essere preso alla sprovvista “No, certo che no”

La ragazza sorrise brevemente. Non sapeva se lo stava dicendo solo per tirarla su di morale, o se lo pensasse sul serio. Qualunque cosa fosse, gli era immensamente grata.

“Vorrei solo poter fare qualcosa per aiutarti” aggiunse, ed Amanda seppe subito a cosa si stava riferendo. Lo sguardo di lui era infatti posato sul suo lato sinistro del volto, proprio dove entrambi erano consapevoli esserci nascosti i lividi che sapevano essere stati causati da delle botte. Solo che lui sospettava della persona sbagliata.

“Certe cose semplicemente non possono essere sistemate” rispose lei sorridendo tristemente e distogliendo nuovamente lo sguardo. Non sapeva esattamente perché, ma si sentiva incredibilmente colpevole nei suoi confronti.

“E altre sì. Se non farai qualcosa al riguardo, altri potrebbero uscirne feriti. O potresti essere tu quella che viene ferita. Di nuovo”

Questa volta non riuscì ad impedire ad un'amara risata di lasciare le sue labbra “Non mi interessa di essere io quella ferita, al momento non c'è niente che potrebbe importarmi di meno. Quello che voglio, quello che davvero so di dover impedire, è che un altro soffra per colpa mia. E se dirò... se farò qualcosa al riguardo, so con certezza che accadrà”

Lui la fissò cupo, scuotendo la testa con incredulità “Un ragazzo non può avere tutto questo potere su di te. Come puoi...”

Avrebbe semplicemente potuto dirgli che non era stato Mirco. Avrebbe potuto spiegargli di come a malapena lo conoscesse, di come non gli avrebbe mai permesso di farle una cosa simile. Eppure non lo fece. Gli abusi domestici non sono una rarità, lo sapeva bene. Se avesse escluso il ragazzo violento, sarebbero rimasti praticamente solo quelli. E anche se molto probabilmente avrebbe pensato che fosse il padre l'artefice dei lividi, non poteva condurlo così vicino alla verità.

Si alzò di scatto in piedi, passandosi le mani sui pantaloni per togliere i fili d'erba che vi si erano attaccati “Lei non capisce” disse, fermandolo prima che potesse controbattere “Mi dispiace, ma ora devo andare a prendere mia sorella. Sono già in ritardo”

L'uomo si alzò dopo di lei, lanciando un'occhiata alla strada, ora quasi completamente al buio “A piedi?”

La ragazza osservò la strada a sua volta, poi sollevò le spalle. Non è che avesse molta scelta.

“Dove devi andare?” domandò allora lui, frugandosi nelle tasche. Lei ci dovette pensare qualche secondo. Roberta era già stata a casa di Caterina.

“Via Milano”

“Bene” esclamò, posando una mano sulla spalla della ragazza e conducendola con sé “Mi scusi, cosa sta facendo?”

“Mi sembra ovvio: ti accompagno” dichiarò, tirando fuori le chiavi della macchina e puntandole verso un enorme SUV giallo. “Io...” cominciò la ragazza, ancora fissando incredula la macchina “Non ce ne bisogno. Posso benissimo andare da sola” dichiarò, sfuggendo alla sua presa. Lui comunque non sembrava intenzionato a darsi per vinto “Non lascerò andare in giro una ragazza da sola a quest'ora, sopratutto se al ritorno le ragazze diventano due” disse, aprendole la portiera e facendole cenno con la testa di accomodarsi.

Amanda rimase incerta davanti all'auto ancora per qualche secondo, poi sbuffò “Non ne dubito” borbottò, salendo sull'auto e sistemandosi nel sedile, allacciandosi la cintura. Lui la raggiunse poco dopo, infilando le chiavi e accendendo la macchina, che prese vita con un rumoroso rombo. La radio si accese all'istante, diffondendo immediatamente per la macchina una musica aggressiva e familiare.

"I Rammstein?” domandò scettica Amanda. Non pretendeva di sapere come dovesse essere un professore nella sua vita privata, ma di certo non si aspettava questo.

“Li conosci?”

“Giulia li adora. Penso sia stata a tutti i loro concerti degli ultimi cinque anni”

L'uomo scoppiò a ridere, abbassando contemporaneamente il volume della radio “Sì, le ho visto la maglietta addosso un paio di volte” confessò, mentre faceva manovra per uscire dal parcheggio. Per guardare indietro si voltò, posando il braccio sul sedile di Amanda, appena sopra la sua spalla. Lei si sentì immediatamente avvampare, più per la strana situazione in cui si trovava che per il – quasi – contatto fisico. Era in macchina con il suo professore, lo stesso che guidava una macchina gialla e ascoltava i Rammstein, che al momento aveva un braccio praticamente attorno alle sue spalle. Professore per il quale, si dava il caso, lei avesse una cotta da quando aveva cominciato ad insegnare nella loro scuola, due anni prima.

“I tuoi genitori dove sono?” domandò lui improvvisamente, forse cercando di rompere il silenzio imbarazzato che stava lentamente scendendo tra di loro. Lei comunque non era sicura che preferisse questa domanda all'imbarazzo.

“Mia madre è fuori con alcune amiche” a sbronzarsi “Hanno questo appuntamento fisso il lunedì” e praticamente tutti gli altri giorni della settimana.

“E tuo padre?”

A saperlo “Lavora molto”

Lui la osservò dubbioso, ma non commentò oltre.

Pochi minuti dopo la macchina rallentò, fermandosi a in mezzo alla strada “Qual è la casa?” le domandò lui, controllando velocemente allo specchietto che non stessero arrivando altre macchine. Amanda si guardò attorno, osservando i palazzi che la circondavano “Dovrebbe essere quella laggiù, con il lampione verde accanto al cancello”
L'uomo ingranò la marcia e partì di nuovo, fermandosi davanti al palazzo indicato dalla ragazza. Quest'ultima scese dalla macchina incerta, avvicinandosi al citofono e controllando i cartellini con i cognomi, trovando velocemente quello con su scritto Anni. Fortuna che era un cognome facile, difficilmente se lo sarebbe ricordato altrimenti.

Sì?” gracchiò una voce al citofono.

“Um, Paola? Sono Amanda. Sono venuta a riprendere mia sorella”

Oh, certo. Te la faccio scendere all'istante” esclamò la donna, riattaccando con un tonfo.

“Grazie...” bisbigliò la ragazza a nessuno in particolare, lanciando un'occhiata di sottecchi alla macchina ferma a pochi passi da lei.

Sua sorella arrivò nel giro di pochi secondi, correndole incontro con le braccia spalancate. Amanda la afferrò al volo, sollevandola e girando su se stessa, sentendo un enorme sorriso formarsi istantaneamente sulle sue labbra al suono della risata di Roberta.

“Ammy, non puoi nemmeno immaginare quanto mi sono divertita!” esclamò la bambina mentre la sorella la rimetteva a terra “Caterina aveva tutti quei vestiti delle principesse! E mi ha lasciato essere Cenerentola, perché io ho i capelli biondi, mentre lei no”

Amanda afferrò la mano della sorella, trascinandola verso la macchina mentre questa continuava a raccontare “E poi la madre ci ha fatto queste crocchette, che però non erano normali! Erano... dove stiamo andando?”

“Una persona si è offerta di darci un passaggio oggi” le spiegò Amanda pazientemente, lanciando uno sguardo all'uomo al volante, che osservava la bambina con vivido interesse. La ragazza aprì lo sportello posteriore dell'automobile e fece salire con attenzione la sorella, poi chiuse la portiera, tornando a sedersi al suo posto.

“Professore, le presento mia sorella. Roberta, lui è...” Amanda si bloccò, rendendosi conto di non conoscere il nome dell'uomo. Possibile?

“Sono Alessandro” fece lui, stringendo la mano che la bambina gli stava educatamente porgendo “Molto piacere”

Roberta lo osservò con curiosità, piegando leggermente la testa “Sei il fidanzato di mia sorella?”

Amanda si voltò istantaneamente, spalancando gli occhi. WOAH “No! No” esclamò con più foga di quanto desiderasse, lanciando delle occhiate preoccupate verso Alessandro.

Lui comunque non sembrò particolarmente infastidito dalla domanda “Sono solo un amico” precisò, sorridendo gentilmente. La ragazza lo esaminò con incertezza. Un amico? Lo era davvero? Amanda scosse lievemente la testa, dandosi della stupida. Certo che no. Lo sta dicendo solo per gentilezza.

“Allora, cosa dicevi a proposito delle crocchette?” chiese alla sorella, cercando disperatamente di cambiare discorso. Roberta tornò subito a guardarla entusiasta “Erano dei dinosauri! Avevano le zampe e la coda e tutto! Però non penso fossero fatte di dinosauro. I dinosauri si sono estinti, ce l'ha detto la maestra”

“Magari qualcuno ha pensato bene di conservare un po' di carne di dinosauro in un enorme congelatore”

La sorella alzò gli occhi al cielo “Non c'erano mica i congelatori quando c'erano i dinosauri. Sono tipo cento anni fa”

Sia Amanda che Alessandro ridacchiarono, scambiandosi uno sguardo “Pensi di poterle fare anche tu domani a pranzo?” le domandò allora la sorella, guardandola con aria supplichevole.

La ragazza sospirò “Non penso di riuscire a comprarle entro domani mattina, mi dispiace Roby. Però l'altro ieri ho comprato dei Cordon bleu, che ne dici se faccio quelli?”

La sorella sembrò soppesare per qualche secondo la proposta, poi annuì vivacemente “Con le patatine fritte?”
Amanda sghignazzò “E possibile mangiarli senza?”

“No!” esclamò ridendo la sorella, per poi poggiarsi con un balzo allo schienale del sedile.

Amanda si accorse solo allora che l'uomo al suo fianco la stava osservando con la coda dell'occhio, mentre continuava a guidare “Cosa?” non riuscì a trattenersi dal chiedere, arrossendo lievemente. L'uomo sorrise “Tu e tua sorella siete davvero adorabili insieme” disse semplicemente, contribuendo solamente ad intensificare la colorazione della ragazza, che abbassò lo sguardo imbarazzata.

“Se vuoi conosco un supermercato aperto ventiquattro ore su ventiquattro qui vicino. Possiamo cercare le crocchette di cui parla tua sorella” propose lui improvvisamente, senza distogliere lo sguardo dalla strada. Amanda scosse subito la testa “No, si figuri, non ce n'è bisogno. Glieli comprerò domani pomeriggio, abbiamo un centro commerciale accanto a casa”

Lui annuì, poi aprì la bocca come per aggiungere qualcosa, ma la richiuse con uno scatto. Dopo qualche secondo comunque sospirò “Quando siamo fuori da scuola puoi anche darmi del tu, davvero. Ventotto anni sono troppo pochi per sentirmi già vecchio”

“Io... certo, mi...scusa” borbottò lei, ora completamente a disagio. Dargli del tu sembrava semplicemente... strano. E sbagliato.

Passarono il resto del viaggio in silenzio, escluse le indicazioni stradali che dovette dare Amanda nella parte finale del tragitto, che fortunatamente però si concluse nel giro di pochi minuti. Quando finalmente arrivarono a destinazione, Amanda si accorse che sua sorella era raggomitolata su se stessa e dormiva profondamente, perciò scese dalla macchina e fece per svegliarla. Alessandro però la precedette, prendendo la bambina ancora addormentata fra le braccia e avviandosi verso l'entrata della casa. La ragazza lo raggiunse a passo veloce, tirando fuori le chiavi e infilandole nella serratura,per poi aprire la porta e tornare a voltarsi verso l'uomo.

Doveva farlo entrare in casa? Non era convinta fosse molto appropriato. Lui dovette pensare lo stesso, poiché improvvisamente osservò la bambina tra le sue braccia a disagio, come se non sapesse esattamente cosa farne.

“Ecco, dalla pure a me” propose Amanda, decidendo di toglierlo da quella situazione che lo stava chiaramente mettendo in difficoltà. Alessandro le passò Roberta con delicatezza, sorridendo nel vederla stringere le braccia al collo della sorella, continuando però a dormire indisturbata.

Si frugò poi per qualche istante nelle tasche, tirando poi fuori un biglietto da visita e passandolo ad Amanda “Per qualunque cosa, sentiti libera di chiamarmi” le disse in tono serio, tenendo gli occhi fermi sui suoi. Amanda fece un cenno con la testa, poi si voltò verso la porta “Sai” disse improvvisamente, voltandosi nuovamente verso di lui “Non deve... devi sentirti obbligato. Nei miei confronti intendo. Solo perché sei il mio professore non vuol dire che devi fare tutto questo per me”

Alessandro sorrise tristemente, guardando ai suoi piedi e sospirando rumorosamente “La verità, Amanda, è che non dovrei farlo proprio perché sono il tuo professore”

Alzò lo sguardo verso di lei un'ultima volta, poi si voltò e tornò verso la macchina, mettendo immediatamente in moto e sparendo nella notte. Amanda rimase ferma alla porta, la sorella ancora aggrappata al collo. Non era sicura di cosa pensare. Non era nemmeno sicura di non essersi appena immaginata l'intera serata in effetti.

“Amanda?” borbottò assonnata la sorella, distogliendola dai suoi pensieri.

La ragazza abbassò lo sguardo, osservando la bambina sollevare lievemente la testa “Sì?”

“Mi piace il tuo amico”

Amanda sorrise debolmente, puntando lo sguardo nella direzione in cui si era appena allontanata la macchina.
“Sì. Sì, piace anche a me” confessò.
Poi entrò in casa, chiudendosi la porta alle spalle.

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Capitolo 4
*** Gelato di Febbraio ***


Breathe Into Me

Capitolo Quarto:
Gelato di Febbraio

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Il giorno dopo, mentre attraversava svogliatamente i corridoi della scuola, Amanda sarebbe potuta cadere da un precipizio e non accorgersene. Aveva un tale affollamento di pensieri nella testa che le era impossibile riuscire a concentrarsi su ciò che stava accadendo attorno a lei. Non riuscì a a farlo sul chiacchiericcio frenetico di Giulia, né poi successivamente sulla lezione che la professoressa di italiano sembrava spiegare con tale enfasi.

In effetti, la sua mente era talmente affollata che quasi faticava a concentrarsi sui suoi stessi pensieri. Era come se fosse stata rinchiusa in una stanza piena di televisori accesi e non riuscisse a decidere a quale prestare attenzione. Non appena le sembrava di essere riuscita a captare qualcosa da uno, ecco che un altro attirava il suo interesse, riportandola nel caos.

Pensava a sua sorella, alla storia di Mirco, al compito in classe dell'ultima ora, a Paolo che sembrava aver smesso di guardarla come se fosse infetta. Pensava al professor Navarra, o meglio a quanto era successo con lui la sera precedente.

Che poi, cosa era successo?
Niente. Era proprio questo che la confondeva.

Non era successo niente, eppure lei non riusciva a smettere di pensarci.

O almeno credeva di non riuscirci, non era nemmeno più sicura di essere in grado di formulare un pensiero coerente. Tutta quella confusione nella mente le stava facendo venire un tremendo mal di testa; avrebbe semplicemente voluto spegnere il cervello per qualche secondo.

L'ultima ora arrivò senza che Amanda avesse nemmeno il tempo di rendersene conto e, dopo quello che fu probabilmente il peggior compito di matematica nella storia dell'uomo, finalmente l'ultima campanella risuonò per le mura della scuola.

La ragazza consegnò il compito praticamente in bianco con sguardo vuoto, la testa che minacciava di scoppiarle da un momento all'altro. Decise che, appena arrivata a casa, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata prepararsi una camomilla.

“Ferri, aspetta un secondo” la richiamò la professoressa Liviani mentre faceva per uscire dalla porta, obbligando la ragazza a tornare sui suoi passi. La donna era in piedi accanto alla cattedra, gli occhiali in pericoloso equilibrio sulla punta del naso e la solita sciarpa arrotolata così stretta attorno alla gola che Amanda temeva sempre potesse soffocare da un momento all'altro. La cosa peggiore era che sembrava indossarla perfino d'estate.

La donna sfogliò velocemente il compito della ragazza, stringendo le labbra in una smorfia di disapprovazione “Non hai scritto praticamente niente. Questo ti varrà un due, lo sai vero?”

Amanda abbassò lo sguardo, lievemente a disagio, ma non rispose. La donna sospirò, tornando a sistemare per qualche secondo i fogli sparsi sulla cattedra, poi alzò nuovamente lo sguardo verso Amanda “Ascolta, capisco che gli avvenimenti degli ultimi giorni possano averti scombussolato un po', ma smettere di impegnarti a scuola non ti sarà di alcun aiuto” abbassò un po' la voce, avvicinandosi al volto della ragazza “Se non riuscirai a diplomarti, non riuscirai a fare niente nella vita. So che alla tua età i ragazzi e il sesso sembrano la cosa più importante, lo capisco. Ehi, ci sono passata anche io”

Amanda arretrò d'istinto alle parole della donna, guardando incredula il modo un cui cercava di fingere indifferenza “Però l'esperienza che hai avuto ti sarà di lezione. Nessuno vieta di sperimentare, sei decisamente abbastanza grande ormai, ma le protezioni vanno sempre usate”

“Professoressa, io non...”

La donna la fermò con un cenno della mano, per poi posargliela sulla spalla “Voglio solo che tu capisca che la vita va avanti. Non lasciarti abbattere da avvenimenti di così poca importanza. Impegnati di più nello studio, e vedrai che tra qualche anno riderai sopra la tua adolescenza chiedendoti perché mai ti sei preoccupata così tanto di problemi così piccoli”

La professoressa continuò a sorriderle per qualche secondo, e Amanda non poté fare altro che fingere un sorriso a sua volta, desiderando solo di dileguarsi dalla classe il prima possibile.

Se davvero i problemi che aveva erano da considerarsi piccoli confronto a quelli che avrebbe avuto una volta adulta, allora non era sicura che valesse davvero la pena diventarlo.

“Io dovrei davvero andare ora” disse con fare incerto, arretrando verso la porta. La donna annuì “Certo. E preparati per giovedì, potrei decidere di interrogarti”

Amanda si trattenne dal commentare, limitandosi invece a voltarsi ed allontanarsi a passo veloce dalla classe. Avrebbe semplicemente voluto che la lasciassero tutti in pace, invece di fingere una preoccupazione nei suoi confronti che chiaramente non provavano.

Anche se...

No, nessun se. Non c'era nessuna eccezione. L'unico motivo per cui gli insegnanti si interessavano a lei era che volevano sistemarsi la coscienza. Un bel discorso alla ragazza con la gonorrea e improvvisamente potevano permettersi di trattarla come preferivano senza sentirsi in colpa.

Che lei la gonorrea non l'avesse però non sembrava importare a nessuno.

Intravide Michela ferma davanti al portone della scuola che chiacchierava con una compagna di classe e per qualche istante provò l'istinto di evitarla. Si riscosse subito comunque, rendendosi conto che la situazione stava diventando assurda. Michela era la sua migliore amica da sempre, non c'era motivo per trattarla così.

Si diresse perciò a passo veloce verso l'amica, salutandola con un breve “Ciao” non appena fu alle sue spalle. Michela si voltò sorridente “Amanda, finalmente! E' tutto il fine settimana che provo a chiamarti. Ieri poi a scuola non ti ho visto...”

“Sì, scusami. Non sono proprio venuta”

L'amica scosse le braccia impazientemente “Hanno deciso di farla davvero!”

“Eh?”

Michela alzò gli occhi al cielo “Andiamo Amanda, ma su che pianeta vivi? La festa, quella che i ragazzi della zona alta programmano di fare da anni. A quanto pare sono finalmente riusciti a trovare i fondi. A quanto ho capito c'entrano qualcosa le corse clandestine.” Amanda sgranò gli occhi, fissando incredula l'amica “Comunque, qualunque cosa sia, la festa si farà! Non sei eccitata?”

“A dire la verità, non molto. Perché mai dovrebbero fare una festa innanzitutto?”

“C'è davvero bisogno di un motivo?”

“Sì...?”

La ragazza la ignorò “La faranno nel vecchio locale in fondo a via Marconi, hai presente quello che hanno chiuso un paio di anni fa?” Amanda non aveva idea di cosa stesse parlando, ma annuì comunque “A quanto pare qualche mese fa qualcuno l'ha comprato e ristrutturato completamente, lasciandolo disponibile per eventi e feste”

“Perciò...”

“Perciò tieniti libera per il 10, perché andiamo a scatenarci!”

Amanda impiegò qualche secondo ad interpretare ciò che aveva appena detto l'amica “Cosa? Vuoi che venga anche io?”

“Certo, tu devi venire!” esclamò Michela, guardandola come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Ma... io... lo sai che non mi piacciono questo genere di cose” borbottò Amanda, cercando di tirarsi fuori dalla storia. Una festa non era sicuramente quello di cui aveva bisogno al momento “E poi lo sai, non posso lasciare Roberta da sola a casa”

“C'è mio fratello, può badare lui a tua sorella. Lo sai che è bravo con i bambini, ha guardato perfino noi da piccole un paio di volte, ricordi?”

“Ricordo che tu una volta ti sei quasi soffocata con l'imbottitura del divano mentre lui giocava a Mario Kart”

Michela la ignorò di nuovo “Non puoi dirmi di no. Vuoi davvero farmici andare da sola?

“Perché non ci vai con Edoardo? Ti divertirai molto di più se ci vai con lui”

“No, non posso, la nostra relazione non è ancora a quel punto. Non voglio che pensi che sono una maniaca ossessiva o qualcosa del genere. E poi, voglio andarci con te. Vuoi davvero negarmi il piacere di una serata tra amiche?”

Amanda scosse la testa con rassegnazione, curvando le labbra in un leggero sorriso “Ci penserò, va bene?”

Michela scoppiò a ridere, gettandosi al collo dell'amica e stringendola in un abbraccio “Sei la migliore!”

“Non ho ancora detto di sì!”

Michela non rispose, sciogliendo l'abbraccio e continuando a sorridere a trentadue denti. Amanda si ritrovò a chiedersi se avesse mai davvero avuto anche solo la minima possibilità di rifiutare.

In quel momento una ragazza bionda si avvicinò a Michela, battendole sulla spalla con un dito; Amanda ricordava di averla già incontrata un paio di volte nei corridoi.

“Andiamo?” domandò quella all'amica, facendo segno verso un gruppo di persone a qualche metro da loro. Michela non ripose, voltandosi verso Amanda e guardandola con aspettativa “Vieni con noi?”

“Uh?” fece lei, cercando di ignorare lo sguardo derisorio che le stava rivolgendo la ragazza bionda.

“A prendere un gelato”

“A febbraio?”

Michela strinse le spalle “E' praticamente Marzo, e la gelateria è aperta. Ci siamo io e qualche mio compagno di classe, più qualcuno della tua” affermò, lanciando un'occhiata alla sua sinistra. Amanda seguì il suo sguardo, notando immediatamente Paolo seduto sulla panchina che le osservava parlare, il piede che batteva ritmicamente a terra con impazienza.

Amanda distolse veloce lo sguardo, sentendo le guance colorarsi appena di rosa. Michela sorrise furbamente “Sì, viene anche lui”

La ragazza continuò a fissarsi le punte delle scarpe con vivido interesse “E' solo un compagno” borbottò; ma quando Michela si voltò, incamminandosi verso la gelateria, Amanda la seguì.

 

La gelateria non era lontana dalla scuola, forse trecento o quattrocento metri. Ad Amanda, comunque, la strada parve particolarmente infinita quel giorno.
Michela si era presto riunita con Edoardo, lasciandosi stringere in un abbraccio mentre si lamentava del freddo. Aveva provato a coinvolgere Amanda nella conversazione, ma quest'ultima era rimasta di proposito indietro di qualche passo, lievemente a disagio al pensiero di ritrovarsi in mezzo alla coppia.
Oltre Paolo, solo altre due ragazze tra il gruppo erano nella sua classe, e Amanda non aveva particolare confidenza con nessuna delle due. Perciò, il tragitto verso la gelateria fu solitario e silenzioso per la ragazza, che si ritrovò a desiderare che Giulia fosse lì con lei: in quel caso di certo il problema del silenzio non vi sarebbe stato.
Quando finalmente arrivarono Amanda aspettò pazientemente il suo turno, controllando annoiata l'orario sul suo telefono. Roberta il martedì usciva da scuola alle tre e mezza, arrivando con lo scuolabus a casa per le quattro; la ragazza aveva svariate ore davanti a sé prima che la sorella tornasse a casa.
"Panna e pistacchio, grazie" disse al barista che aspettava pazientemente dietro il bancone, posando le monete davanti a sé. Pochi secondi dopo afferrò il cono che le veniva porto, rabbrividendo lievemente mentre si portava il gelato alle labbra. Ora che ci ripensava, non era affatto sicura di averlo davvero voluto quel gelato.
Qualcosa le arrivò addosso da dietro, spingendola verso il bancone e rischiando di farle scivolare il cono dalle mani. Istintivamente strinse la presa, sentendo la cialda sbriciolarsi sotto le sue dita e osservando le palline di gelato oscillare pericolosamente.
"Oddio Amanda, scusa!"
La ragazza aspettò di essere sicura che il suo gelato fosse in salvo prima di girarsi, solo per bloccarsi alla vista di Paolo che scuoteva un fazzoletto nella sua direzione "Mi dispiace da morire!"
Sapeva che avrebbe dovuto dire qualcosa, ma era paralizzata. Non si aspettava che il ragazzo sapesse il suo nome - il che era stupido, considerato che si trovavano nella stessa classe da più di tre anni e mezzo - né che potesse arrossire in quel modo. E sì, perché Paolo in quel momento aveva le guance scarlatte, una mano che sventolava il tovagliolo e l'altra a reggere un gelato semi-distrutto, guardando Amanda con espressione mortificata.
Il ragazzo le afferrò una spalla, facendola voltare di centottanta gradi così da poterle osservare il retro del cappotto. Amanda inizialmente non capì, fissando il bancone davanti a sé con espressione persa, ma quando finalmente le parole del ragazzo arrivarono a destinazione si accese in lei un barlume di comprensione.
Ruotò la testa il più possibile, cercando si osservare il retro della sua giacca. Le bastò scorgere l'inizio di una macchia marrone per sentirsi morire, le guance in fiamme. Che figura!

Paolo cercò di pulire la macchia di cioccolato alla bell'e meglio, riuscendo solo a far arrossire la ragazza ancora di più. Dopo tanti anni di osservazione a distanza, tutto quel contatto così improvviso era decisamente troppo.

“C'è una fontanella nella via qui davanti” disse lui, appallottolando il fazzoletto e gettandolo nel cestino “E' meglio provare a lavarlo subito, prima che assorba”

Amanda annuì, il cervello che sembrava continuare a fare cilecca: era come provare a mettere in moto una macchina senza benzina.

Seguì silenziosa il ragazzo, accorgendosi appena delle occhiate curiose che le stavano rivolgendo gli altri.

“Ecco, forse è meglio se te lo togli” fece lui quando si fermarono davanti alla fontanella, togliendole il gelato dalle mani e aiutandola a sfilarsi il cappotto dalle spalle. Un'ondata di gelo investì immediatamente la ragazza, facendola rabbrividire “Uh, grazie” sussurrò, riprendendo il gelato e guardandosi attorno in cerca di un cestino. Lo avvistò qualche metro più in là, raggiungendolo veloce e buttandovi il gelato, poi tornò sui suoi passi.

“Star Trek?” domandò Paolo non appena Amanda gli fu nuovamente accanto, mettendo il cappotto sotto il getto dell'acqua.

Amanda abbassò lo sguardo verso la sua felpa, la faccia del capitano Kirk stampata sopra – un regalo di Giulia – e annuì piano.

Paolo rimase in silenzio per qualche secondo, concentrandosi nuovamente sul cappotto, poi tornò a guardarla “Sta per uscire il nuovo film al cinema”

“Sì, lo so. È da un po' che lo aspetto” disse Amanda, ripensando a tutte le volte che aveva guardato il trailer; sarebbe stata capace di recitarlo a memoria.

Paolo sorrise, un sorriso sincero e gentile, e il cuore di Amanda fece una capriola, lasciandola senza fiato.

“Anche io, ma non trovo nessuno che voglia venire a vederlo con me. Troppo nerd per alcuni, troppo poco per altri. Capisci cosa intendo?”

“Credo di sì”

Il ragazzo sembrò farsi pensieroso qualche secondo, posando un dito sulle labbra “Che ne dici se andiamo a vederlo insieme? Offro io, almeno mi faccio perdonare per il cappotto”

Per qualche infinito istante, Amanda credette di essersi appena immaginata l'ultima frase. Le labbra di Paolo si erano davvero mosse, o gli occhi le avevano giocato un brutto scherzo? Le aveva davvero appena chiesto di andare al cinema con lui in tono così leggero da farla sembrare la cosa più normale del mondo?

“Forse hai già preso l'impegno con qualcun altro?” domandò lui, piegando appena la testa in un'espressione confusa. Amanda tornò immediatamente alla realtà “No! No... nessun impegno” esclamò con troppo slancio, mordendosi poi le labbra con imbarazzo. Beh, aveva programmato di andarlo a vedere con Giulia, ma era sicura che l'amica avrebbe capito.

Paolo tornò a sorridere, passando nuovamente il cappotto – ora fradicio, ma pulito – ad Amanda “Allora direi che è perfetto. Possiamo andare sabato sera, che dici? Non dovremmo avere molti compiti per lunedì comunque”

“Sì, sabato sarebbe perfetto” Amanda non riusciva nemmeno a capire dove avesse trovato la forza di rispondere, il cervello completamente annebbiato. Non capiva. Non capiva perché improvvisamente Paolo volesse uscire con lei, quando mai aveva sembrato degnarla di una seconda occhiata. Non capiva perché le stesse anche solo rivolgendo la parola, quando negli ultimi giorni sembrava essersi allontanato più che mai.

Ma, osservando il sorriso sul suo volto, si disse che niente aveva importanza.

Aveva un appuntamento con Paolo.

Oh mio Dio.

 

Tornando verso casa, i passi di Michela che risuonavano leggeri sull'asfalto al suo fianco, Amanda avrebbe potuto giurare di avere le ali ai piedi. Si sentiva galleggiare come se fosse stata intrappolata in una bolla di sapone, ma senza aver intenzione di uscirne per nulla al mondo. A differenza di quella mattina, ora la sua testa sembrava essere stata svuotata di qualunque cosa che non fosse il pensiero di ciò che la aspettava sabato, qualcosa che Amanda aspettava da anni, e le faceva sembrare il mondo più brillante, più gioioso. Gli alberi avevano davvero sempre avuto dei colori così accesi? Il cielo era davvero sempre stato così azzurro? L'aria l'aveva sempre abbracciata in quel modo così rassicurante?

Sì, Amanda stava proprio bene nella sua bolla di felicità, ed era sicura che niente avrebbe potuto distogliere la sua attenzione da essa.

“OH.MIO.DIO. E' il professor Navarra quello?!”

POP!

La suddetta bolla esplose all'istante alle parole di Michela, lasciando per qualche istante Amanda nella confusione più totale. Si guardò intorno, osservando i palazzi estranei e il campo da calcio a pochi passi da loro.

“Scusa, ma dove siamo?” domandò all'amica, chiedendosi come avesse fatto a non accorgersi prima che avevano sbagliato strada.

“Via Meli, ho fatto il giro lungo per comprare le sigarette” rispose quella, mostrandole il pacchetto “Ti ho anche avvertita”

Amanda arrossì appena, borbottando uno sbrigativo “Ero sovrappensiero”

Michela sollevò appena un sopracciglio, poi scosse la testa “Non è importante. Questo lo è” disse, afferrando il mento di Amanda e facendole ruotare impazientemente il viso, così che tornasse a guardare il campo di calcio.

La ragazza inizialmente non capì, osservando le reti che lo circondavano e gli spalti vuoti, le grida dei giocatori che risuonavano per la strada deserta. Ricordava vagamente di esserci già passata davanti un paio di volte.

Cercando di capire cosa intendesse l'amica, Amanda mise meglio a fuoco, rendendosi conto per la prima volta che quello non era un campo di calcio, bensì di Rugby. Una trentina di ragazzi – più o meno grandi – erano disposti in vari punti del campo, correndo dietro ad un pallone che pareva vagamente ovale. La metà dei suddetti giocatori era a petto nudo, e Amanda si ritrovò immediatamente a chiedersi se non temessero di prendersi un accidenti con il freddo che faceva.

Questo almeno finché i suoi occhi non si posarono sul professor Navarra.

Alessandro, corresse una voce nella sua testa.

Michela piegò le labbra in un sorriso divertito, osservando l'uomo con espressione sarcastica “Hai capito il professore...”

Amanda distolse veloce lo sguardo, il volto in fiamme. Doveva allontanarsi di lì immediatamente, prima che lui le notasse; la situazione tra loro due era già abbastanza complicata così.

“Andiamo a salutarlo!” esclamò l'amica, prendendo Amanda per il polso e trascinandola verso gli spalti. Questa quasi inciampò sui suoi stessi piedi, presa alla sprovvista “Cosa? No! E' imbarazzante!”

“Imbarazzante? E perché mai? Non sei mica tu quella a petto nudo e sudaticcia, dico bene?”

“E' il mio professore!”

“Difficile dimenticarlo, anche perché se ci fosse stata la mia ultra-cinquantenne insegnante di filosofia a petto nudo non credo che lo spettacolo sarebbe stato altrettanto piacevole”

Amanda rabbrividì appena disgustata al pensiero, poi però si riprese, fermandosi e osservando l'amica sedersi su una panca con espressione supplichevole “Andiamocene prima che ci veda, ti prego! Non riuscirei più a guardalo in faccia!”

Michela alzò gli occhi al cielo “Quante storie per un po' di pettorali. Siediti e goditeli come sto facendo io! Ah, no, troppo tardi. Ci ha viste”

Amanda rilasciò un suono frustrato, poi si voltò – non prima però di aver lanciato un'occhiata assassina all'amica – cercando nuovamente Alessandro con gli occhi. Non appena i loro sguardi si incrociarono l'uomo le sorrise, arcuando le sopracciglia con fare incuriosito, poi le fece un veloce segno di saluto con la mano.

Michela rispose entusiasta al suo fianco, mentre lei si limitò a sollevare timidamente il braccio, sperando che da lontano lui non notasse il colore porpora delle sue guance, né lo sguardo che continuava a vagare fuori controllo sul suo petto nudo.

Amanda aveva sempre immaginato il fisico del professore come quello di uno sportivo – non che ci avesse mai pensato troppo, sia chiaro – ma vederlo con i propri occhi era una cosa completamente diversa.

Non era sicura sarebbe mai stata in grado di cancellare quell'immagine. Né era sicura di volerlo fare.

“Ora te li stai godendo decisamente troppo” borbottò divertita Michela, distogliendo Amanda dallo stato di trance in cui era caduta e riportandola alla triste e dura realtà, in cui lei era una studentessa e lui il suo professore.

Si sedette di scatto, abbassando il volto e osservando di sottecchi Alessandro che si avvicinava ad una panchina al lato del campo, afferrando una maglietta giallo brillante e indossandola con movimenti meccanici. Salì poi a passi veloci sugli spalti, raggiungendo le due ragazze in pochi secondi e parandosi loro davanti.

“Ehi” esclamò amichevole, scostandosi i capelli appiccicati alla fronte “Interessate al Rugby?”

“Più a lei, in realtà”

Amanda guardò incredula Michela, desiderando che la terra si aprisse sotto i suoi piedi inghiottendola all'istante. Alessandro arcuò a sua volta le sopracciglia con fare sorpreso, ma la ragazza si limitò a sorridere tranquilla “L'abbiamo vista dalla strada, non sapevamo giocasse”

L'uomo osservò la ragazza incuriosito, piegando appena la testa “Tu sei nella classe della professoressa Giuliani?”

“Quarta D” confermò lei, tendendo la mano “Sono Michela”

“Alessandro, e dammi pure del tu”

Amanda osservò lo scambio in silenzio, invidiando l'incredibile naturalezza di Michela nell'intrattenere un discorso con l'uomo davanti a loro. Lei da parte sua sembrava incapace anche solo di incrociare il suo sguardo, imbarazzata e allo stesso tempo gelosa della confidenza che lui stava riservando alla sua amica. Si sentiva più ridicola del solito.

“Ti alleni per una partita? So che tra poco inizia il Campionato di Eccellenza*”

Alessandro osservò Michela con fare impressionato, lanciando poi un'occhiata confusa ad Amanda.

“Le piacciono gli sport” spiegò questa, divertita dall'aria compiaciuta dell'amica che si limitò a stringere le spalle “Solo la teoria, in realtà. Cerco di tenermi informata”

“Ci stiamo allenando per la partita di sabato. Niente a che vedere con il Campionato di Eccellenza però, non raggiungiamo assolutamente i livelli professionistici,” spiegò lui, guardando poi verso il campo. Un ragazzo gli urlò di sbrigarsi, facendo poi l'occhiolino in direzione di Michela. Alessandro fece una smorfia “Ora purtroppo ho parecchia fretta, devo tornare di sotto. Però sapete cosa? Mi farebbe piacere se veniste alla partita. È sabato sera, verso le sette”

Amanda cercò di non focalizzarsi troppo sul sorriso che l'uomo stava loro rivolgendo, cercando invece di concentrarsi sulle sue parole. Sabato sera. Partita di Rugby.

La ragazza aveva come l'impressione che non sarebbe dovuta essere tanto allettante quanto le sembrava.

“Ci saremo di sicuro!” esclamò Michela con convinzione, attorcigliandosi una ciocca di capelli attorno ad un dito.

Amanda si stupì nel constatare di essere infastidita, riconoscendo il gesto che l'amica era solita fare davanti ai ragazzi che le interessavano. Provò quasi l'impulso di mettere in chiaro con Alessandro che Michela era già fidanzata, per poi rendersi immediatamente conto di quanto misera e assurda fosse l'idea. Cosa le stava succedendo?

Alessandro era un professore – il suo professore – e anche se non lo fosse stato non avrebbe avuto alcun diritto su di lui, sicuramente non quello di sentirsi gelosa.

Amanda sapeva quale era il problema, anche se non voleva concedersi di pensarlo. Sarebbe stato troppo patetico ammettere che le era bastato un maledetto passaggio in macchina per farle credere di avere una qualche connessione con lui, quando era così chiaro che lui lo aveva fatto più per una questione di responsabilità che altro.

Undici anni di differenza non erano uno scherzo; lui probabilmente la vedeva come una bambina, una bambina per cui provava pena. E lei si rendeva più ridicola ogni secondo che passava.

La ragazza si accorse appena del cenno di saluto che le rivolse Alessandro prima di voltarsi e allontanarsi, troppo persa nei suoi pensieri per notare l''occhiata esitante che le lanciò. Sentì invece chiaramente l'amica fare un apprezzamento sul didietro dell'uomo, rifiutandosi però di seguirne lo sguardo, cercando di mettersi bene in testa che Alessandro era un uomo, e lei una ragazzina.

Non Alessandro, decretò con decisione, Professor Navarra.

“Io sabato non posso” borbottò non appena tornarono sulla strada, lo sguardo fisso sul marciapiede “Ho da fare”

Michela la osservò con curiosità, aspettandosi chiaramente dei delucidazioni. Amanda sospirò piano, preparandosi alla effetto che avrebbe avuto la frase successiva “Ho già un appuntamento”

L'amica non parve particolarmente impressionata, sollevando un sopracciglio con fare scettico "Ce l'hai?"
"Paolo, mi ha invitato poco fa..." disse Amanda, arrossendo appena. Inaspettatamente Michela si fermò, un sorriso a trentadue denti sul volto. "Allora il mio piano ha funzionato!"
Amanda si bloccò a sua volta, osservando la sua amica senza capire. Ci volle qualche secondo prima che Michela si rendesse conto della sua confusione, guardando verso l'alto con aria innocente "Potrei aver spinto Paolo. Prima, in gelateria"
"Aspetta, cosa?"
"Ascoltami, sono anni che lo guardi con aria da cucciolo senza fare niente al riguardo. Ho pensato che vi sarebbe stata utile una piccola spinta. Letteralmente"
Amanda era basita. Non sapeva neanche lei come avrebbe dovuto sentirsi, così preferì concentrarsi su altro, decisa a rimandare la questione a più tardi "Ora però con la storia della partita..."
"Scegliere tra le due non dovrebbe essere troppo difficile, direi. Avverti il tuo prof la prossima volta che lo vedi, non penso se la prenderà," disse Michela stringendosi le spalle.
Amanda annuì. Andare ad un appuntamento con Paolo, possibilità che aspettava da anni, o alla partita di Rugby del suo professore. La scelta era difatti molto semplice.
Allora perché le sembrava così difficile?




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*Il Campionato di Eccellenza è il più importante campionato italiano di rugby a 15 maschile.
Preciso che di Rugby io ne capisco poco o niente, perciò se faccio errori al riguardo sentitevi liberissimi di correggermi!


 

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Capitolo 5
*** Nessuno è Perfetto ***


Breathe Into Me

Capitolo Quinto:
Nessuno è Perfetto

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“Non è andata così male!” esclamò Giulia, chinandosi accanto ad Amanda. Quest'ultima era distesa con tutto il busto sul banco, la testa nascosta tra le braccia e i capelli a fare da sipario.

“Eri solo un po'... incerta, ecco”

“Ho fatto scena muta, Giulia”

“Non è vero! Alla prima domanda hai risposto. Più o meno”

Amanda sospirò, raddrizzandosi e spostandosi le ciocche mosse dietro le orecchie “E' stata un'interrogazione terribile. Lo sai tu, lo so io e decisamente lo sa la Liviani. La cosa peggiore è che mi aveva pure avvertita”

Si portò nuovamente il volto alle mani, chiudendo gli occhi con desolazione. Un altro tre in matematica, proprio quello di cui aveva bisogno, come se ultimamente non avesse già abbastanza materie insufficienti. Il pomeriggio precedente aveva provato a studiarla, lo aveva fatto davvero, ma tutto quello a cui era riuscita a pensare era stato il suo appuntamento con Paolo il sabato successivo.

Il giorno prima, quando era entrata in classe, lui le aveva sorriso, salutandola e avvicinando un poco il suo banco a quello di lei. Le aveva chiesto conferma per il cinema, e lei non ci aveva dovuto pensare due volte. Si erano dati appuntamento per le 19:00; Paolo aveva il motorino, perciò sarebbe passato a prenderla davanti a casa, riportandola per le 22:00. Ad Amanda sarebbe piaciuto rimanere con lui qualche ora in più, ma aveva comunque dovuto insistere per il contrario. Sapeva che Roberta sarebbe stata con il padre quel pomeriggio – era un appuntamento fisso che avevano ogni sabato – ma non tornava mai più tardi delle dieci, e Amanda non aveva intenzione di lasciare la sorella da sola a casa in piena notte, considerato che più che spesso il padre doveva andarsene in tutta fretta per 'questioni di lavoro'.

Ciononostante, il pensiero di trascorrere quelle poche ore con Paolo era stato più che sufficiente per farla restare su di giri l'intero mercoledì pomeriggio, togliendole completamente la concentrazione necessaria per dedicarsi allo studio.

“Se non mi bocciano quest'anno non lo faranno più” borbottò, spingendo con forza i libri di matematica nello zaino, quasi sperasse di riuscire a vendicarsi della loro dannata indecifrabilità. Giulia le lanciò un'occhiata comprensiva, tornando poi rapidamente al suo posto quando l'ondata di compagni che rientravano veloci dal corridoio annunciò l'arrivo del professor Navarra; Amanda si limitò ad alzare lo sguardo verso quello di lui, solo per poi distoglierlo all'istante, decidendo invece di concentrarsi sul lungo graffio che attraversava il suo banco.

Con la storia di Paolo era quasi riuscita a dimenticarsi della partita del professore, ma ora che era davanti a lei il pensiero era tornato ben presente nella sua mente. Doveva informarlo che non ci sarebbe andata; sarebbe bastato spiegargli che non poteva, che ci voleva? Alla fine, era piuttosto sicura che a lui non cambiasse granché. Doveva solo andare lì e dirglielo.

Eppure, anche dopo che il professore si fu seduto sul bordo della cattedra, Amanda rimase ben piantata al suo posto, rispondendo appena al saluto che lui rivolse alla classe, e cercando di convincersi che era meglio dirglielo alla fine della lezione.
Davvero, cosa c'era che non andava in lei?
Era solo una stupida partita!
Quello forse era meglio non dirglielo però.
Passò l'intera ora osservando l'orologio con maniacale insistenza, combattuta tra il desiderio che la lezione finisse immediatamente e quello che non finisse mai. Era talmente concentrata che quando la campanella annunciò la ricreazione se ne accorse appena, restando immobile al suo posto mentre gli altri compagni si precipitavano fuori dalla porta, riscuotendola bruscamente dai suoi pensieri con il loro rumoroso vociare.

Osservò con aria perplessa la classe ora vuota, guardandosi attorno in cerca di Giulia, ma non trovandone traccia.

“E' andata in segreteria”

Amanda alzò lo sguardo sorpresa, osservando Alessandro davanti a lei che sistemava alcuni fogli dentro la sua valigetta. Stava pensando così intensamente a lui che quasi si era dimenticata fosse lì, e la cosa non aveva alcun senso.

“Ti ha chiamata, ma sembravi essere concentrata su altro” disse lui, una smorfia divertita sul volto. Amanda lo fissò senza rispondere, mordendosi appena le labbra. L'immagine dell'uomo senza maglietta improvvisamente si fece molto vivida nella sua testa, lasciandola incapace di ragionare. Ora che sapeva cosa si nascondeva dietro a quelle camicie scure, era molto più facile notare come fosse teso il tessuto accanto ai bottoni, piccoli spiragli che si formavano tra le due estremità della maglia non appena muoveva le braccia, abbastanza per scorgere dei lembi di pelle.

Sotto le maniche arrotolate, poi, Amanda poteva chiaramente scorgere il gonfiore di bicipiti, i muscoli che guizzavano veloci mentre l'uomo chiudeva la valigetta, facendo scattare le chiusure.

“Tutto bene?”

La ragazza riuscì appena a trattenersi dal sussultare, rendendosi improvvisamente conto di aver fissato Alessandro spudoratamente per tutto il tempo. Abbassò di scatto il capo, arrossendo violentemente e pregando che il professore non avesse realizzato cosa le stava passando per la testa. Ci mancava solo che la prendesse per una maniaca e a quel punto avrebbe potuto semplicemente cambiare scuola e farla finita.

Non sapeva se la colpa era degli ormoni adolescenziali o dello stupidamente eccezionale corpo dell'uomo, fatto sta che doveva smetterla immediatamente. Le cose le stavano decisamente sfuggendo di mano.

“Sì, solo un po' stanca” disse sbrigativa, passandosi una mano sul volto con forza quasi potesse portarsi via il rossore delle sue guance.

Lui sorrise, sedendosi nuovamente sul bordo della cattedra.“Ho notato, hai fissato l'orologio tutto il tempo. Ammetto che è stato un po' un colpo per la mia autostima constatare con quanta impazienza aspettassi la fine dell'ora”

Ovviamente se ne era accorto. Amanda fece una smorfia, chiedendosi come riuscisse a incasinare sempre tutto. Ora si sentiva pure in colpa.

“Mi dispiace, davvero. Oggi ho la testa tra le nuvole”

“Problemi a casa?”

“No, lì tutto bene” Niente di diverso dal solito, se non altro “Solo qualche grana con la matematica”

Alessandro fece un cenno di comprensione con il capo. “Ah, ci siamo passati tutti” dichiarò con decisione “Devo ancora trovare qualcuno che possa affermare di non aver mai vacillato nello studio di quella – perdonami il francesismo – diabolica materia”

Amanda ridacchiò, scuotendo la testa “Mia sorella se la cava alla grande, è una specie di piccolo genio. Sono convinta che presto dovrò essere io a farmi aiutare da lei con i compiti”

L'uomo scoppiò a ridere, e Amanda si ritrovò a fare lo stesso prima di potersene anche solo rendere conto. Fu così liberatorio lasciarsi andare per qualche secondo, dimenticandosi di tutti i problemi che la assillavano da quella mattina. Inoltre, Alessandro quando rideva era bellissimo.

“A proposito di tua sorella, quelle fantomatiche crocchette di dinosauro le hai poi più trovate?” domandò quest'ultimo non appena tornò tranquillo, le labbra ancora piegate in un ghigno divertito.

Lei scosse piano la testa “Si sta rivelando più difficile del previsto”

Un paio di sue compagne rientrarono in classe parlottando tra loro, abbassando il tono di voce non appena notarono che il professore era ancora lì. Si andarono a posizionare vicino al termosifone, sedendosi a terra e continuando a chiacchierare.

Alessandro si sollevò, passandosi le mani sui pantaloni con gesti veloci “Beh, immagino ci vedremo sabato allora”

Amanda si voltò appena, preoccupata non sapeva nemmeno lei bene per cosa, verso le due ragazze alle sue spalle, ma queste sembravano troppo assorte nella loro conversazione per prestare attenzione al professore.

Quest'ultimo dovette notare il disagio negli occhi di lei, poiché le lanciò una veloce occhiata di scuse, afferrando la valigetta e dirigendosi verso la porta. Amanda fece appena in tempo a realizzare che se ne stava andando prima di riuscire ad alzarsi, seguendolo di corsa e rischiando quasi di ruzzolare per terra.

“Sabato non posso!” esclamò tutto di un fiato, parandoglisi davanti appena oltre la porta. Si bloccò subito dopo, chiedendogli per quale motivo al mondo l'avesse detto con quel tono, come se stesse annunciando un'apocalisse imminente. Si schiarì appena la voce, cercando un contegno che sembrava aver ormai perso da tempo e di ignorare lo sguardo chiaramente divertito dell'uomo “Ho già un impegno. Ho dimenticato di dirglielo martedì e, ecco, credevo fosse giusto che lo sapesse”

Alessandro la fissò per qualche istante, gli occhi che vagavano liberi per il suo volto velati da quella che sembrava curiosa malinconia. Per un poco sembrò così perso nei suoi pensieri che Amanda si ritrovò a chiedersi se avesse sentito quanto gli aveva appena detto.

“Sarà per la prossima volta, allora” disse finalmente, il solito sorriso cordiale sul volto. Amanda annuì, sentendosi stranamente stordita, e il professore si allontanò, non prima però di farle l'occhiolino, mormorando un promettente “Ci conto”

Amanda si ritrovò a chiedersi se non sapesse esattamente l'effetto che le faceva.

 


Sabato arrivò presto.

Troppo presto, considerato che Amanda ancora sembrava far fatica a realizzare quello che l'aspettava di lì a poche ore. Più ci pensava, più si convinceva che sarebbe successo qualcosa, qualcosa che le avrebbe impedito di andare all'appuntamento e riportato l'universo al suo naturale ordine in cui Paolo era solo un perfetto miraggio lontano, qualcosa che lei sapeva bene non avrebbe mai potuto raggiungere.

Eppure, nonostante le sue paure, a scuola Paolo fu gentile come al solito, chiedendole se preferisse andare a mangiare una pizza o del cinese, discutendo con lei sulla scelta dei posti al cinema, assicurandole che le previsioni davano bel tempo quella sera, perciò non si sarebbero bagnati andando in motorino.

Seduta sull'autobus, mentre tornava a casa, si ritrovò a pensare a come poco meno di due settimane prima avesse osservato il ragazzo dallo stesso finestrino da cui era affacciata in quel momento, facendosi promesse che sapeva non avrebbe mantenuto.

Lanciò un'occhiata a Michela, ringraziando silenziosamente l'amica per il prezioso aiuto che le aveva dato. Questa al momento aveva il volto ostinatamente rivolto verso il suo telefono, forse cercando di ignorare le occhiate ostili che continuava a lanciarle Giulia seduta davanti a lei. Amanda fece gesto alla ragazza di smetterla, alzando gli occhi al cielo quando questa in risposta scimmiottò l'espressione concentrata di Michela. Era sempre così: ogni volta che Giulia veniva a casa sua, prendendo perciò l'autobus insieme a lei, la tensione all'interno del mezzo diventava così palpabile che perfino le persone attorno a loro parevano parlare a voce più bassa, quasi non volessero rischiare di essere notate.

Fu un sollievo quando finalmente l'autobus si fermò, lasciando scendere le due ragazze.

“Sta sempre al telefono” borbottò Giulia, lanciando un'ultima occhiata al pullman.

“Sta sempre al telefono quando ci sei tu” precisò l'altra, incamminandosi verso il portone della villetta lì davanti. Giulia finse un'espressione offesa, tirando indietro il busto e posandosi una mano sul petto “Mi stai dicendo che non le piaccio?!”

Amanda ridacchiò, cercando le chiavi nella tasca del cappotto. “Comincio a sospettarlo”

Entrarono in casa, i loro passi che echeggiavano per il corridoio vuoto, l'odore di detersivo alla lavanda diffuso in tutto l'ambiente.

Amanda amava il sabato: Rita, la donna delle pulizie, arrivava la mattina, pulendo la casa da cima a fondo – la ragazza si era sempre chiesta come facesse, considerato che l'abitazione non si poteva definire piccola – mentre Roberta solitamente si divertiva a seguirla in giro, 'aiutandola' nelle pulizie. La madre di Amanda il sabato non era mai a casa, o almeno non vi era mai stata negli ultimi quattro anni; solitamente usciva il venerdì sera, per poi tornare il sabato notte o addirittura la domenica mattina. La ragazza sospettava c'entrasse la presenza del padre. Eleonora non voleva incontrare Luigi almeno quanto non lo voleva Amanda.

“Roby, sono a casa!” urlò rivolta alle scale, posando lo zaino accanto all'ingresso. “C'è Giulia con me”

La bambina scese di corsa, saltando senza preavviso in braccio alla riccia. Giulia la afferrò al volo, stringendola con gioia e lasciandola poi scivolare per terra “Ciao Scimmia!”

Roberta ridacchiò “Hai portato i videogiochi?”

“Sempre la solita piccola sfruttatrice, eh?!”

La bambina annuì con convinzione, lasciando vagare lo sguardo sullo zaino di Giulia. Quest'ultima lanciò un'occhiata di finta esasperazione ad Amanda, aprendo poi la cartella e tirandone fuori un sacchetto bianco, il contenuto facilmente indovinabile.

Ecco un'altra ragione per cui Amanda amava il sabato.

Amanda e Giulia avevano un accordo molto semplice: poiché Amanda possedeva una PlayStation – e da poco ne aveva comprata una seconda – ma quasi nessun videogioco, mentre la console di Giulia si era rotta tempo prima, ogni due o tre sabati del mese quest'ultima andava a casa dell'amica, portandosi dietro un paio videogame.

Non ci era voluto molto perché Roberta assumesse il monopolio dello scambio, decidendo a cosa avrebbero giocato la volta successiva.

Amanda osservò i giochi che la sorella aveva tirato fuori dalla confezione, voltandosi verso Giulia e corrugando appena le sopracciglia “Watch Dogs? Non è un po' troppo violento per lei?”

L'amica si strinse le spalle. “E' vietato ai minori di diciotto anni. Sarebbe un po' un controsenso dirle che non può giocarci quando teoricamente non potremmo nemmeno noi, no?”

Non faceva una piega.

Mangiarono veloci, buttandosi poi davanti alla televisione del salotto. Passarono almeno un'ora cercando di capire come funzionasse il gioco, Roberta che osservava con interesse Giulia sparare ad ogni cosa che le capitasse a tiro. Amanda dovette letteralmente togliere il Joystick dalle mani dell'amica per impedirle di far fallire per l'ennesima volta la missione, correndo poi per tutta casa nel tentativo di non farglielo riprendere. La battaglia fu persa non appena Roberta le tese un agguato sulla tromba delle scale, salendole sulle spalle e urlando vittoria mentre Giulia si riprendeva il Joystick.

Il tempo passò veloce, ed Amanda per qualche ora riuscì a togliersi completamente Paolo dalla testa, riuscendo a risparmiarsi la tensione che avrebbe avuto altrimenti a così poche ore dal fatidico appuntamento. Solo più avanti si ritrovò a pensare che forse Giulia aveva insistito per non cancellare il loro sabato insieme proprio per questo motivo, offrendosi poi anche di aiutarla a scegliere l'abbigliamento per la serata.

Il gioco si rivelò molto più interessante del previsto, e presto le due ragazze si ritrovarono incollate allo schermo, rendendosi appena conto che Roberta si era raggomitolata sul divano, addormentandosi profondamente.

Un rumore di chiavi nella toppa, poi la porta d'ingresso si spalancò. Amanda non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che si trattava del padre, riconoscendo immediatamente il suono ovattato delle sue scarpe sul tappeto d'ingresso e il familiare tintinnio del suo portachiavi a forma di giraffa.

Ricordava vagamente di averglielo regalato quando aveva sette anni.

Roberta si sollevò di scatto, i capelli scarmigliati e il volto arrossato nel punto in cui si era appoggiata per dormire, correndo immediatamente a salutare il padre. Amanda ascoltò impassibile la voce gioiosa dell'uomo mentre la bambina correva ad abbracciarlo, sforzandosi di fingere che niente fosse cambiato rispetto ad un paio di minuti prima.

L'uomo avanzò impacciato verso il salotto, lasciandosi trascinare da Roberta.

Amanda si concentrò sul videogioco, uccidendo un nemico con particolare piacere.

“Ehi”

La ragazza non rispose, continuando a fissare con ostinazione lo schermo. Non capiva perché Luigi dovesse sempre fare quella farsa, invece di prendere Roberta ed uscire direttamente di casa. Non capiva perché fingesse che gli importasse qualcosa di lei. A lei non importava di lui.

Giulia si voltò verso l'uomo, salutando cordiale con un veloce movimento della mano. Amanda non aveva mai dato spiegazioni all'amica riguardo ai suoi rapporti con il padre, ma quella non aveva nemmeno mai fatto domande.

Luigi sorrise cordiale “Giulia, giusto?”

Questa annuì, sorridendo a sua volta “Sempre io”

Ci fu un attimo di silenzio, poi l'uomo si schiarì la voce. “Sofia?”

Amanda storse la bocca. Odiava quando il padre la chiamava così, sopratutto poiché era solo lui a farlo. Si ricordava ancora di quanto ne fosse fiera quando era piccola, raccontando a tutti di come il suo secondo nome appartenesse alla sua bisnonna. Ora solo sentirlo le dava la nausea.

Non sapeva perché fosse così. Non sapeva perché provasse così tanto odio nei confronti di suo padre, più di quanto ne avesse mai provato per la madre. Non riusciva nemmeno a pensare a lui senza essere inondata di una rabbia così profonda e sconosciuta da farle quasi paura.

Odiava la sua voce gentile, gli occhi del suo stesso color miele, i lineamenti del viso così simili ai suoi. Avrebbe semplicemente voluto che se ne andasse per sempre, così che lei non fosse obbligata ad avere un promemoria costante di quanto le mancasse.

Avrebbe voluto che l'abbracciasse, che le dicesse che le voleva bene, che la portasse ancora una volta sulle spalle, proprio come faceva quando lei era poco più alta di Roberta.

Ma non gli avrebbe mai permesso di farlo. Lei non aveva bisogno di lui. Non più.

Amanda distolse a malavoglia gli occhi dallo schermo, voltandosi verso Luigi “Sì?”

Questo le sorrise impacciato, la mano stretta in quella di Roberta. Amanda ignorò la piccola fitta che le procurò quella visione.

“Porto tua sorella a fare un giro. Rientriamo tra qualche ora, va bene?”

Perché fingi di aver bisogno della mia approvazione? Avrebbe voluto chiedergli. Si limitò invece ad annuire, rivolgendo un piccolo sorriso alla sorella. Fu proprio mentre la osservava che le tornò in mente della festa a cui l'aveva invitata Michela.

“Il prossimo sabato devi riportarla da Fabio, però” annunciò sbrigativa. Fabio era il padre di Michela, oltre che ex compagno del liceo di suo padre; sapeva bene che il padre ne conosceva l'indirizzo.

L'uomo fece un'espressione sorpresa “Non sei a casa?”

“Ho impegni”

Luigi sembrò essere preso leggermente alla sprovvista, riprendendosi però in fretta. “Meglio così allora. Avevo già intenzione di portare Roberta con me quel fine settimana” annunciò, stringendo la mano della bimba con affetto “Pensavo potremmo andare a Mirabilandia, per festeggiare il suo compleanno”

Roberta spalancò la bocca con incredulità, cominciando a saltellare felice “Mirabilandia! Mirabilandia!”
Amanda non era così convinta, però. “Il suo compleanno è il mercoledì successivo, e ci sarà una festa qui a casa, te l'avevo detto”

L'uomo abbassò appena lo sguardo con aria colpevole, grattandosi il capo “Non penso di poterci essere. Sai, impegni di lavoro e tutto il resto... Mi dispiace piccola” aggiunse non appena vide l'espressione delusa che si era formata sul volto di Roberta “Lo sai che il papà è molto impegnato”

La bambina annuì mogia, strusciando un piede sul pavimento. Il padre le diede un paio di colpetti sulla spalla, poi si voltò nuovamente verso la porta. Roberta lo seguì di qualche passo prima di voltarsi nuovamente verso Amanda, l'espressione improvvisamente entusiasta “Possiamo invitare Alessandro allora?”

La ragazza fissò la sorella con incredulità per una manciata di secondi, cercando di capire se si stesse effettivamente riferendo alla persona a cui stava pensando lei o se il cervello le stesse giocando un brutto scherzo. Dovette scorrere l'intera lista dei conoscenti di Roberta prima di poter confermare i suoi sospetti. Lanciò un'occhiata a Giulia, che ora la osservava con curiosità, poi si avvicinò alla sorella, chinandosi davanti a lei “Roby, lo conosci a malapena”

“Lui mi piace, e piace anche a te”

Amanda arrossì appena, sapendo bene che la sorella intendeva il concetto in maniera completamente innocente “Io... non... Roby, non posso invitarlo”

“Perché no?”

“Roby...” Non sapeva cosa dire, come spiegarle quanto fosse complicata la situazione.

Roberta fissò la sorella, l'espressione nuovamente delusa. Amanda odiava far sentire la bambina così, ma non aveva altra scelta. Di certo non poteva invitare il suo professore al compleanno di sua sorella. Non sapeva nemmeno da dove quest'ultima lo avesse tirato fuori.

“Va bene” borbottò lei, voltandosi nuovamente in direzione del padre. L'uomo la aspettava con il suo cappottino teso tra le mani, il solito sorriso cordiale stampato sul volto. Quando si accorse dello sguardo di Amanda lo tirò ancora un poco, ma lei si limitò a voltargli le spalle, tornando verso il divano. La porta fece appena in tempo a chiudersi prima che Giulia le si avvicinasse, lo sguardo pieno di curiosità “So, chi sarebbe esattamente questo Alessandro?”

 


Amanda si chiuse la porta alle spalle, poggiandovisi contro e scivolando lentamente a terra.

Aveva atteso l'arrivo dell'appuntamento con Paolo per giorni, aspettando senza sosta che qualcosa la riportasse con i piedi per terra, sicura che la serata non sarebbe mai potuta avvenire se non nella sua immaginazione.

Eppure mai, mai si sarebbe aspettata di ritrovarsi a desiderare che non fosse mai accaduta.

La serata era iniziata nel migliore dei modi: Paolo si era presentato puntuale alla sua porta di casa, giusto pochi minuti dopo che Giulia se ne fu andata.

Aveva aiutato Amanda a salire sul motorino, partendo poi alla volta del cinema. Fortunatamente le preoccupazioni di Amanda riguardo ai silenzi imbarazzanti che si sarebbero potuti creare furono vane: il ragazzo sembrava essere secondo solo a Giulia per quanto riguardava la parlantina, e in pochi minuti aveva già fornito alla ragazza più informazioni di quanto quest'ultima fosse riuscita a raccogliere in quattro anni.

Non si era fatto fermare nemmeno dal film, continuando a parlare per l'intera durata della pellicola. Alla ragazza inizialmente non aveva infastidito particolarmente; ma, per quanto fosse lusingata dal fatto che lui continuasse a rivolgerlesi come se fossero stati amici da una vita, con il passare delle ore si era resa conto di far fatica a seguire tutti i suoi discorsi, ritrovandosi a dover nascondere più di uno sbadiglio.

L'argomento preferito di Paolo sembrava essere il calcio – piuttosto cliché, in effetti – e il ragazzo era riuscito a parlarne per almeno un'ora filata, facendo rimpiangere ad Amanda di essere andata a vedere con lui un film in cui era davvero interessata.

Quando erano usciti dal cinema, dirigendosi verso la pizzeria, Amanda stava ormai sguazzando  in una pozza di insicurezze. Aveva la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava con Paolo: lo aveva osservato più di quanto avrebbe voluto ammettere a sé stessa in quei quattro anni, ed era piuttosto sicura di poter affermare che mai il ragazzo aveva parlato così tanto e così ininterrottamente. Sembrava quasi stesse cercando di camuffare il suo nervosismo semplicemente dicendo tutto quello che gli passava per la testa e, per quanto sarebbe stato appagante, Amanda sapeva bene che non era lei a renderlo nervoso.

E dire che alla fine bastò una semplice frase per dare un senso a tutto.

“Fammi capire bene: tua sorella sia chiama Francesca, e tu Paolo?” aveva domandato Amanda, seduta davanti al ragazzo in pizzeria con una pizza ai quattro formaggi davanti a sè.

Paolo si era stretto le spalle “I miei hanno sempre avuto una passione per Dante. Hanno recitato entrambi nel musical della Divina Commedia, ed è proprio così che si sono conosciuti. Non appena hanno saputo di aspettare due gemelli, non hanno esitato un secondo a scegliere i nomi”

“Non sembrano molto propizi come nomi. Voglio dire, dopo la fine che hanno fatto quelli originali...”

Paolo aveva annuito “E' quello che dice sempre anche mio cugino Mirco, ma immagino che-”

Probabilmente se il ragazzo avesse continuato a parlare non si sarebbe accorta di niente. Avrebbe pensato ad una coincidenza, un semplice caso di omonimia. L'espressione che Paolo aveva assunto non appena si era accorto di aver pronunciato quel nome, però, non aveva lasciato alcun dubbio.

“Aspetta, Mirco? Toris?” aveva chiesto, un fastidioso peso che ora le comprimeva il petto. Paolo aveva abbassato lo sguardo, facendosi improvvisamente silenzioso, e la ragazza si era sentita morire.

Mirco. Lo stesso Mirco che le aveva regalato la settimana più infernale della sua vita. Cosa c'entrava con Paolo? Quell'appuntamento era stato tutto un piano congegnato dai due per farla stare ancora più male? Non gli era bastato averle rovinato la reputazione con l'intera scuola?

“Mi dispiace, volevo parlartene prima,” aveva cominciato Paolo, giocherellando con le patatine sul suo piatto, “Ma non sapevo come... cominciare il discorso”

Il ragazzo aveva alzato finalmente lo sguardo, posandolo su Amanda “Lui mi ha raccontato la verità su quel post, quello che aveva pubblicato su Facebook. Se ne è pentito, Amanda. Se ne è pentito amaramente. Dovevi vedere quanto è stato male...”

Amanda era stata sopraffatta da un forte senso di nausea, restando senza fiato “Lui è stato male”

Paolo si era presto reso conto del suo errore “Non intendevo... mi dispiace da morire per quello che è successo, mi dispiace di averti giudicato, ma ti posso assicurare che lui se ne è pentito”
“E' per questo che sei uscito con me? Per convincermi a perdonarlo?”

“Io... volevo solo... ho pensato che magari così saresti stata più disposta ad ascoltarmi”

Amanda non aveva replicato, troppo arrabbiata con se stessa per riuscire a parlare. Come aveva davvero potuto pensare che lui volesse uscire con lei? Come aveva anche solo potuto sperare di interessargli? Era stata così stolta, così ingenua.

“Lui vorrebbe tornare con te. E' disperato, non fa altro che parlarmi di voi due-”

Noi due?!” la ragazza aveva guardato Paolo con espressione incredula, sollevando le sopracciglia “Cosa ti ha raccontato esattamente?”

Paolo aveva alzato un secondo lo sguardo, quasi stesse cercando di ricordare le esatte parole di Mirco “Mi ha detto di essere pentito di aver pubblicato quel post, che era in preda alla rabbia e non ha riflettuto. Ha capito che cose del genere dovrebbero rimanere private, sopratutto in una coppia...”
Amanda a quel punto era rimasta davvero senza parole. Se prima era stata arrabbiata, ora si era sentita solo incredula. Non voleva credere alle sue orecchie.

“Forse è meglio se mi riaccompagni a casa” si era ritrovata a dire, alzandosi e afferrando il cappotto dalla sedia. Paolo l'aveva seguita immediatamente, la bocca serrata e lo sguardo basso. Improvvisamente ad Amanda era stato tutto chiaro, più chiaro di quanto fosse mai stato. Si era sentita tradita, manipolata.

Avevano diviso il conto, salendo poi sul motorino e percorrendo l'intero viaggio in silenzio. Solo una volta arrivati Paolo si era arrischiato a parlare di nuovo “Mi dispiace davvero per quello che è successo, e se deciderai di non perdonarlo ti capisco, ma lui si è davvero pentito. Prova a dargli un'altra chance”

“Un'altra chance?” si era ritrovata a chiedere Amanda, sentendo tutta la rabbia che aveva accumulato in quelle ultime settimane esplodere “Io e lui non siamo mai stati insieme! Mai! E posso assicurarti di non avergli passato alcuna malattia venerea!”

Paolo l'aveva osservata con sorpresa, la bocca aperta in una piccola 'o'. “Non stavate insieme?”

“No. Né ci sono mai andata a letto, se è questo che ti stai chiedendo”

“Io... non lo sapevo. Credevo che... lui mi ha detto... oddio, ho fatto un casino, non è vero?”

Amanda non aveva risposto, abbassando però le spalle con sconfitta. Non riusciva nemmeno a restare arrabbiata con Paolo, che altro non aveva fatto che cercare di aiutare il cugino. Come poteva immaginare che in questo modo l'avrebbe illusa? Come poteva sapere della cotta che lei aveva da anni per lui?

Non poteva. E Amanda non poteva fargliene una colpa.

“Dimentichiamocene, va bene?” aveva chiesto, sospirando appena “Dimentichiamoci semplicemente l'intera serata”

Lui la aveva osservata con tristezza, avvicinandosile appena “Mi dispiace davvero” aveva borbottato, posandole una mano sulla spalla “Ho incasinato tutto. Ho passato l'intera serata a ciarlare, cercando di prendere tempo. Mi avrai preso per un pazzo”

“Non sei un così bravo attore” aveva ribattuto allora lei, sforzandosi di sorridere. Lui aveva sorriso a sua volta, infilandosi il casco e salendo sul motorino “Mi sono divertito, nonostante tutto. Magari possiamo riprovarci un'altra volta, per davvero però”

Amanda avrebbe fatto i salti di gioia se solo lui le avesse rivolto queste parole qualche ora prima. In quel momento invece tutto ciò a cui era riuscita a pensare era stato che le cose sembravano essere state destinate sin dall'inizio ad andare in quel modo. E, per qualche strana ragione, a lei andava bene così.
“Meglio di no” aveva detto infine, sentendo solo un lieve pizzicore allo stomaco nel pronunciare quelle parole. Paolo le aveva sorriso un ultima volta, poi si era voltato verso la strada, dando gas e allontanandosi a tutta velocità.

Ora, rientrata in casa ed appoggiata alla porta, Amanda avrebbe voluto piangere, rannicchiarsi sul letto e nascondersi sotto le coperte per settimane intere.

Ma, sorprendentemente, non ne sentiva il bisogno.

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NdA:
Sento in questo capitolo il bisogno di fare qualche precisazione.
Innanzitutto, so che è piuttosto lungo e noioso. Non credo di essere mai stata così insoddisfatta di un capitolo prima d'ora, ma purtroppo ho fatto talmenta fatica a tirarlo fuori che riscriverlo sarebbe stata una tortura.
Vi chiedo perciò perdono e di essere pazienti, posso assicurarvi che dal prossimo si entrerà molto più nel vivo dell'azione ( o, nel nostro caso, della romance ).
Ne approfitto ovviamente per ringraziare chiunque abbia messo questa storia tra le preferite, seguite o ricordate e tutti coloro che sono stati così gentili da lasciarmi una ( o più ) recensioni! Vi amo tutti <3
Ci vediamo - presto - con il prossimo capitolo ^^

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Capitolo 6
*** La Festa ***


Breathe Into Me

Capitolo Sesto:
La Festa

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Dopo il terribile appuntamento con Paolo, il tempo per Amanda sembrò riprendere il suo normale corso, lasciandola tornare alla sua quotidianità. Più ci ripensava, più si convinceva che – per quanto disastrosa – quella serata fosse stata un vero toccasana: era come se finalmente fosse riuscita a tirarsi fuori da una realtà idealizzata, in cui Paolo era un essere senza difetti e lei altro non aspettava che essere salvata da lui.

Ma lui era tutt'altro che perfetto, e lei non doveva essere salvata proprio da nessuno.

In effetti, la situazione sembrava essersi ribaltata: era lui ora che la salutava incerto, abbassando poi lo sguardo con imbarazzo. Amanda sapeva che probabilmente si sentiva ancora in colpa per quanto era successo, ma lei da parte sua era ben decisa a sfruttare l'accaduto come un'istruttiva esperienza.

Era per certi versi felice di averla vissuta, ma decisa a non ripeterla mai più.

Non aveva tuttavia raccontato la verità a Michela e Giulia al riguardo, sapendo bene che queste difficilmente l'avrebbero lasciata correre a Mirco per una seconda volta. Erano entrambe, a loro modo, ragazze piuttosto violente.

No, Amanda non voleva dare nuovamente a Mirco la soddisfazione di mostrarsi ferita. Non sapeva se quest'ultimo avesse detto quelle cose a Paolo con il proposito che accadesse quanto accaduto o se lo avesse semplicemente fatto per rendersi migliore agli occhi del cugino, né le interessava. Per quanto la riguardava, Mirco e tutti i problemi che si portava dietro avevano smesso di esistere.

Anche a scuola ormai la storia del post era diventata poco meno di un ricordo, e i professori stessi erano tornati ad osservare Amanda con la solita espressione annoiata.

Beh, quasi tutti almeno.

“C'è un motivo per quell'espressione beata?”

Amanda si riscosse dai suoi pensieri – che stavano cominciando a prendere una svolta pericolosa – staccando la fronte dal finestrino gelido e voltandosi a guardare Michela, seduta sul sedile accanto a lei.

“No. Stavo solo pensando alla festa” mentì, sorridendo senza troppa convinzione.

Michela non ci credette nemmeno per un secondo, sorridendo furbescamente “Stai pensando a Paolo, eh?”

Il fratello di Michela staccò gli occhi dalla strada, osservandole dallo specchietto retrovisore “Paolo? Dovrei preoccuparmi di sto tizio?”

“No e no” disse Amanda, sollevando gli occhi al cielo e tornando a rivolgersi all'amica “Te l'ho detto, non ha funzionato”

“Tutti hanno diritto ad una seconda possibilità, giusto? Magari è alla festa, e quale occasione migliore per riappacificarsi se non quando sembri una top-model?”

La ragazza scosse la testa, sorridendo appena. Quando Michela aveva detto che ci avrebbe pensato lei a prepararla per la festa, Amanda non si era decisamente aspettata quello. Aveva trovato ad attenderla la più grande collezione di oggetti per il trucco che avesse mai visto, completa di decine e decine di arnesi che Amanda non aveva mai visto in vita sua. Michela si era messa subito all'opera, divertendosi decisamente troppo nell'utilizzare l'amica come modella personale.

Quando finalmente aveva finito, Amanda quasi aveva stentato a riconoscersi allo specchio. Si era quasi pentita di non essersi messa altro addosso che un paio di jeans e una camicia chiara, ma aveva comunque rifiutato con decisione il minuscolo vestito che le aveva proposto l'amica in cambio.

Doveva ammettere però che non si era mai sentita così sicura del suo aspetto. Uscendo dalla casa di Michela, quel sabato sera, si era davvero sentita come se per una volta non fosse invisibile.

“Paolo c'è alla festa, ma lo ha detto ieri” disse infine, cercando di ignorare come entrambe le persone nell'abitacolo ora la stessero osservando con malizia.

“No, davvero, chi è sto tipo?”

Michela sbuffò. “Michael, smettila di fare l'impiccione e pensa a guidare, che siamo già in ritardo”

Questo fece una smorfia, voltandosi nuovamente verso la strada. Amanda ridacchiò, osservando Michael farle l'occhiolino dallo specchietto. Nonostante quei due litigassero in continuazione, lamentandosi poi ad ogni occasione disponibile per la poca fantasia che avevano avuto i loro genitori in fatto di nomi, raramente Amanda aveva incontrato fratelli più uniti.

Michael era poi stato la prima grande cotta di Amanda, inevitabilmente ( e tristemente) sfumata non appena aveva scoperto che, beh, quest'ultimo avrebbe più facilmente ricambiato i sentimenti di Paolo che non i suoi.

Michela le si avvicinò, sistemandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio e controllandole un'ultima volta il trucco“Lo stenderai stasera, vedrai”

“Non ho intenzione di stendere proprio nessuno” ribadì la ragazza per l'ennesima volta, sospirando pesantemente “Sopratutto non Paolo”

“Riccioli d'oro, non penso che potrai farci niente” sghignazzò Michael, svoltando a sinistra “Stasera riusciresti a stendere perfino me”

 

Michela le fece strada nel locale, la mano stretta nella sua mentre la trascinava tra la folla. La musica a tutto volume e la calca di persone stavano rendendo ad Amanda difficile perfino pensare, tuttavia il locale sembrava essere meno peggio di quanto aveva previsto. Era piuttosto grande, il soffitto altissimo da cui pendevano strane lampade lunghe almeno un metro, le quali emettevano una luce soffusa e colorata. Amanda adocchiò subito alcuni divanetti in un angolo, ma Michela la trascinò nel senso opposto, verso il bancone del bar.

Non fu difficile capire il perché, Paolo seduto su uno degli sgabelli che le salutava con entusiasmo.

“Ehi!” urlò, cercando di farsi sentire oltre il frastuono generale. Puntò poi il suo sguardo su Michela, sorridendo “Michela, giusto?”

L'amica annuì, sorridendo a sua volta. “Tu devi essere Paolo” disse civettuosamente, fingendo inconsapevolezza “Amanda mi ha parlato molto di te”

Amanda diede una gomitata all'amica, cercando di farla passare inosservata. Quando Paolo si voltò verso di lei si limitò a scuotere la testa con impazienza, sollevando gli occhi al cielo.

“Stai benissimo stasera” urlò lui, osservandola da capo a piedi.

Amanda sorrise “Anche tu”

“Siete qui da sole?”

“Sì” confermò Michela “Serata tra ragazze”

“E Giulia?”

Amanda ignorò l'occhiata infastidita di Michela “Questa non è esattamente il suo genere di serata. Inoltre aveva da fare”

Paolo annuì, facendo segno verso il bancone del bar “Bevete qualcosa?”

Michela si sedette su uno sgabello, osservando le bottiglie davanti a sé “Qualcosa da consigliarmi?”

“Fanno un Bloody Mary eccezionale. Aspetta però, ho visto la carta dei drink da qualche parte...”

Amanda si sedette a sua volta, lasciando Paolo e Michela a destreggiarsi con la lista e richiamando a sé il barista.

“Un'aranciata per favore” urlò, osservando poi una figura familiare posarsi accanto a lei al bancone, dando a sua volta il suo ordine al barman. Fu probabilmente per lo shock che le ci volle così tanto a riconoscerla.

“Professore!” si ritrovò ad esclamare, pentendosi immediatamente di averlo fatto. Alessandro si voltò con aria sorpresa, sgranando appena gli occhi non appena la vide “Amanda! Che ci fai qui?”

“Serata tra ragazze” ripeté, indicando Michela al suo fianco. Questa sollevò la testa “Guarda chi si vede!” esclamò entusiasta. Paolo si animò a sua volta, sporgendosi così da avvicinarsi un poco. “Prof! Anche lei a festeggiare?”

“In realtà questo è il locale di un mio amico” spiegò Alessandro, guardandosi poi attorno “Sono qui perché... ah, eccola!”

Una donna si avvicinò a loro, osservando i tre ragazzi con evidente curiosità. Amanda ricambiò, ammirando la cascata di capelli ramati che le scendeva per le spalle e il fisico asciutto. Seppure non fosse un'incredibile bellezza, c'era qualcosa in quella donna di così particolare da renderla ipnotica. Forse erano gli occhi azzurri, così chiari da risaltare perfino nella penombra del locale. O forse erano i tratti del volto, incredibilmente marcati. Qualunque cosa fosse, ad Amanda non piaceva nemmeno un po'.

“Lara, loro sono Amanda, Michela e Paolo, tre studenti della mia scuola” disse, passando un bicchiere alla donna e voltandosi poi verso di loro “Ragazzi, lei è Lara”

“La sua ragazza” aggiunse questa, ignorando le facce stupefatte dei tre giovani. Amanda era paralizzata, la sua mente che cercava di assimilare l'ultima frase della donna, solo per fallire miseramente.

“Non mi sembra di averti vista sabato, alla partita” fece Michela, piegando appena la testa con fare curioso. Amanda arcuò le sopracciglia: non sapeva nemmeno che ci fosse andata.

“No, non c'ero infatti” rispose Lara “Ero a Milano, io vivo e lavoro lì. Sono arrivata poche ore fa con la macchina”

Paolo spostò lo sguardo da Alessandro a Lara “Relazione a distanza quindi. Forte!”

Alessandro fece una smorfia divertita, la donna invece sospirò “Faticosa più che altro, ma fortunatamente tra qualche mese il problema sparirà”

Amanda non riuscì a trattenersi “Si trasferisce qui?”

Lara sorrise, scuotendo appena la testa “Qui? No, non fa proprio per me. È Alessandro che viene a Milano”

Se qualcuno avesse fatto ingoiare ad Amanda una granata prossima all'esplosione, probabilmente non sarebbe riuscito ad emulare la sensazione che quest'ultima stava provando. La ragazza osservò Alessandro con incredulità, notando la smorfia seccata sul suo volto. Possibile che non avesse detto niente? Non che si aspettasse con condividesse un'informazione simile con lei, ma almeno con la classe! Non riteneva fosse il caso di informare i suoi alunni che avrebbero cambiato insegnante?

La ragazza scosse la testa. Era inutile mentire a se stessa. Sapeva bene che il senso di tradimento che provava era completamente personale. Insensato, ma personale.

“Forse ora è meglio se andiamo” fece lui, ora chiaramente a disagio. Lara sospirò “Sì, troviamo Stefano in fretta, che poi io ho davvero bisogno di andarmene a letto. Sono distrutta”

Amanda sorrise, facendo un veloce saluto con la mano e sperando che il suo volto non mostrasse come effettivamente si sentiva. Non sapeva nemmeno bene il motivo, non era come se avesse mai sperato di avere una chance con Alessandro – era il suo professore, oltre ad avere quasi undici anni più di lei – né in effetti ci aveva davvero mai pensato, tuttavia vederlo con Lara le stava dando i crampi allo stomaco.

Sapere poi che entro qualche mese se ne sarebbe andato... Dio, era pietosa.

E dire che ormai avrebbe dovuto aver imparato a smettere di vivere nelle sue fantasie.

Senza nemmeno aspettare che la coppia si fosse allontanata si voltò nuovamente verso il bancone, la voce di Paolo che che le giungeva ovattata alle orecchie, quasi fosse solo nella sua immaginazione. Osservando l'aranciata posata davanti a sé, la ragazza sentì il senso di desolazione crescere ancora di più in lei, lasciandola esausta.

“Sa cosa?” disse al barista, allontanando da sé la bottiglietta di aranciata “Mi dia una birra”

Forse, se avesse smesso di sognare ad occhi aperti, avrebbe anche smesso di restare delusa. Forse doveva solo imparare a vivere davvero.

 

Due birre e un tempo imprecisato più tardi, Amanda cominciò a pentirsi amaramente di aver scelto proprio quella sera per 'cominciare a vivere'. Incominciava ad avere la vista appannata, le palpebre pesanti per la sonnolenza ed era piuttosto convinta che prima la musica non fosse stata così alta. Le sembrava di avere delle casse acustiche dentro le orecchie.

Ricordava di essersi ubriacata una volta, quando aveva dodici anni, e le cose non erano andate proprio per il meglio. Era rimasta a casa da sola con Roberta, la bambina che dormiva profondamente nella sua culla, e aveva trovato una bottiglia di Vodka nell'armadio della madre. Aveva – stupidamente – pensato bene di berne un po', tanto per assaggiarla.

Aveva compreso il suo errore dopo essersi denudata e gettata nella piscina gonfiabile del vicino.

Da allora si era tenuta ben lontana dall'alcol, decisa a non ripetere l'esperienza. Almeno fino a quella sera.

Si voltò verso gli sgabelli di Paolo e Michela, corrucciando le sopracciglia quando li vide vuoti. Si concentrò, ricordandosi di come l'avessero invitata ad andare a ballare, e lei avesse rifiutato. Non era sicura al cento per cento che fosse successo davvero, però.

La ragazza scese dallo sgabello, afferrando il bordo del bancone così da non cadere, la testa che le girava.

“Sai mica dov'è il bagno?” domandò al barista, battendo un paio di volte le palpebre nel tentativo di scacciare la sonnolenza. Non si era accorta fosse così carino. Forse avrebbe dovuto chiedergli il numero.

Questo comunque si limitò ad indicare alla sua sinistra, tornando veloce a servire le persone che si stavano affollando attorno al bancone. Amanda sospirò, incamminandosi incerta verso il punto che le era stato indicato. Qualcuno avrebbe decisamente dovuto sistemare il pavimento, era tutto storto.

Cercò di farsi strada tra la folla, borbottando di tanto in tanto uno “scusate” quando si scontrava con qualcuno, cercando di mantenere l'equilibrio ormai sempre più precario. In qualche modo riuscì a perdersi, ritrovandosi al centro della pista da ballo, le persone sempre più schiacciate tra loro che si muovevano a ritmo di musica. Amanda si fermò, alzandosi sulle punte dei piedi e cercando con lo sguardo qualcosa che assomigliasse all'insegna di una toilette. Fu quasi tentata di chiedere ad un tipo lì vicino di prenderla sulle spalle, così da poter vedere meglio.

Fortunatamente non era così ubriaca.

Certo che però era proprio alto. Lo osservò meglio, accorgendosi solo in un secondo momento della ragazza appiccicata a lui, le braccia strette attorno al collo e la bocca appiccicata alla sua. Cercò di mettere meglio a fuoco, sicura di averlo già visto da qualche parte.

Edoardo! Ma certo! Fece per avvicinarsi e salutarlo – non si erano nemmeno mai parlati, ma in quel momento non le sembrava così importante – quando l'idea che stesse baciando una ragazza riuscì finalmente a insinuarsi nella sua mente. Una ragazza che decisamente non era Michela.

Oh porca paletta.

Doveva intervenire. No, anzi, doveva andare a dirlo all'amica. Subito.

Si voltò, guardandosi attorno spaesata. Dirlo a Michela. Una parola. Non sapeva nemmeno da dove iniziare a cercarla.

Qualcuno le afferrò una spalla, facendola voltare. Amanda focalizzò lo sguardo sugli occhi marroni davanti a sé, arretrando appena.

“Mirco”

Il ragazzo le sorrise timido, stringendosi una mano nell'altra “Ehi”

“Non voglio parlarti”

Lui le afferrò un polso, trattenendola “Ascolta, voglio solo scusarmi”

“Non ho tempo adesso” la ragazza cercò di liberarsi dalla sua stretta, il cervello che continuava a mandarle messaggi di allarme. Ora stava decisamente pentendosi di aver bevuto.

“Solo un paio di minuti, per favore”

Amanda strinse le labbra, poi annuì. Un paio di minuti, non le costava niente. Un paio di minuti e poi avrebbe potuto smettere di pensarci una volta per tutte.

Lui sorrise, poi cominciò ad avviarsi verso un lato del locale, fino a quando non si trovarono entrambi schiacciati in un angolo. Lei faticò a stargli dietro, rischiando di inciampare un paio di volte. Quando finalmente si fermarono lui la osservò curioso “Sei ubriaca?”

“No” mentì lei, la risposta chiaramente troppo repentina per essere onesta.

Il suo sorriso si allargò, e Amanda si posò a disagio contro il muro, sentendosi quasi in trappola. Forse non avrebbe dovuto seguirlo. Non aveva la mente nemmeno lontanamente abbastanza lucida.

“Sei davvero bella stasera” sussurrò lui, avvicinandosi appena. Lei si ritrasse, guardandolo con diffidenza, al che lui si allontanò un poco. “Senti, mi dispiace davvero per quel post. Ero arrabbiato e ho agito di impulso. Me ne sono pentito appena l'ho pubblicato, te lo giuro!”

“Perché non l'hai cancellato allora?” le parole le uscirono leggermente impastate, la lingua che le dava una strana sensazione in bocca, come se non dovesse trovarsi lì.

“Ormai l'avevano visto già alcune persone, non potevo tirarmi indietro”

“Certo che potevi. Dovevi”

Mirco fece una smorfia di disapprovazione “Ti avevo portato a cena, capisci? Un bacio me lo dovevi”

Amanda sollevò le sopracciglia “Io non ti dovevo proprio niente”

“Oh, andiamo, non fare così. Non intendevo che dovevi, però insomma, è come una regola non scritta, giusto?”

“Io adesso devo proprio andare” Amanda provò a scansarlo, decisa a superarlo ed andarsene. Non sapeva se era l'alcol o quello che le stava dicendo Mirco, fatto sta che le stava venendo la nausea.

Lui la bloccò, obbligandola a tornare a poggiarsi al muro “Solo un altro minuto”

Sospirò, passandosi una mano sul volto “Ho fatto un errore, va bene? Mi dispiace. Non puoi dimenticalo? Ti imploro. Ho davvero bisogno di sapere che mi perdoni”

Amanda era stanca. L'aria stava cominciando a diventare irrespirabile, e le gambe facevano sempre più fatica a reggerla. Voleva solo andarsene da lì “Sì, certo” disse, chiudendo gli occhi “Va bene”

“Davvero? Cazzo, sei la migliore! Magari possiamo uscire uno di questi giorni, così, per sigillare la nostra pace”

“Mirco” lo bloccò lei “Ti perdono, ma quello che hai fatto è stato orribile. Mi dispiace, ma non sono interessata a te né lo sono mai stata. Non voglio uscire con te”

Lui la osservò sorpreso, quasi non riuscisse a credere alle sue parole. Amanda stessa era un po' sorpresa di quanto fosse stata diretta, tuttavia ne era felice. Se non altro in questo modo aveva messo le cose bene in chiaro.

“Dai, non dire così” borbottò lui, avvicinandosile fino a lasciarla schiacciata contro il muro. Lei sollevò un braccio, cercando di spingerlo via.

“Posso migliorare, te lo giuro. Dammi solo una possibilità”

“Devo andare” si lamentò lei, cercando di spingerlo via con più forza, ma notando come lui sembrasse appena sentirla “Lasciami passare”

Lui le si avvicinò ancora, finché tra loro lo spazio fu quasi completamente eliminato. Si chinò verso di lei, poi la baciò.

Amanda spalancò gli occhi, cercando di sfuggire al suo tocco. Il suo corpo reagì d'istinto, facendo scattare il ginocchio verso l'alto e andando a picchiare con forza tra le gambe del ragazzo. Mirco emise un lamento, staccandosi da lei e chinandosi, il volto arrossato e il respiro mozzo.

“Stronza!” esclamò, la voce rotta dal dolore.

Lei non aspettò un attimo, scavalcandolo e allontanandosi veloce, tornando in mezzo alla folla. La testa le girava sempre di più, ora per l'agitazione oltre che per gli effetti dell'alcol. Si passò con forza una mano sulla bocca, l'orribile sensazione delle labbra di Mirco che non accennava ad andarsene, quasi non si fossero mai staccate.

Di nuovo un forte senso di nausea la colpì, e lei fu costretta a fermarsi, posandosi le mani sulle ginocchia e respirando profondamente. Doveva calmarsi. Doveva calmarsi e poi uscire da lì.

“Amanda!” la voce di Mirco la raggiunse, facendola nuovamente scattare in piedi. Avvistò il ragazzo a qualche passo da lei, il volto ancora arrossato “Mi dispiace! Per favore!”
Amanda si voltò, cominciando a correre tra la folla, decisa a non ripetere due volte lo stesso errore. Scansò malamente un paio di persone, ignorando i loro lamenti indignati. Andò a sbattere in pieno petto contro qualcuno, rischiando di cadere all'indietro. Questo la afferrò, impedendole di cadere, ma la ragazza cercò comunque di sfuggire alla sua presa. Non ci capiva più niente, le sembrava tutto uguale, non riusciva più a pensare. Doveva uscire. Doveva uscire!

“Amanda? Amanda, va tutto bene?”

Riconobbe la voce, sollevando il volto con sorpresa. Alessandro la osservava preoccupato, gli occhi che vagavano sul suo viso, quasi cercasse qualcosa che non andava.

“Amanda!” la voce di Mirco era più vicina stavolta, facendola sussultare. Sentì le braccia di Alessandro spostarla, e dopo pochi istanti era dietro di lui, il suo corpo a fare da scudo tra lei e il ragazzo.

“C'è qualcosa che non va?” domandò a Mirco, una punta di rabbia nella sua voce. Il ragazzo osservò l'uomo con cautela, quasi lo stesse studiando. “Professore” borbottò, riconoscendolo “Anche lei qui?”

Alessandro non rispose, lo sguardo puntato su quello di Mirco e le braccia tese verso Amanda, quasi a circondarla. Mirco strinse le labbra, lanciando un'occhiata veloce alla ragazza e voltandosi poi indietro, perdendosi presto in mezzo alla folla.

Alessandro finalmente si rilassò, girandosi e posando entrambe le mani sulle spalle di Amanda, abbassandosi leggermente così da poterla guardare attentamente negli occhi “Tutto bene?”

“Solo un 'aintendimento” borbottò, facendo un profondo sospiro e cercando di calmarsi. Alessandro sollevò un sopracciglio, piegando la testa “Hai bevuto?”

Lei si passò la lingua sulle labbra, sorridendo appena “Solo un po' di birra”

“Il barista ti ha servito alcolici? A diciassette anni?”

“E' legale dai sedici” ribadì lei, sicura di aver letto la cosa da qualche parte - non che il barista si fosse preoccupato di chiederle un documento. Stava per aggiungere che lo stesso valeva per il sesso con i maggiorenni, ma riuscì a fermarsi in tempo.

Inoltre, la regola non valeva per i professori.

“Forse sarebbe meglio se andassi a casa”

Amanda annuì, guardandosi attorno “Michela, devo andare con lei. Devo anche dirle qualcosa...” rifletté la ragazza, grattandosi la tempia.

“Sai dov'è?” chiese Alessandro, cercandola con lo sguardo. Amanda sollevò le spalle, scuotendo la testa. Il movimento fu troppo brusco, rischiando di farle perdere nuovamente l'equilibrio. Alessandro la tenne ferma, osservandola con apprensione. Dopo un po' si frugò nelle tasche dei pantaloni, tirando fuori qualcosa di familiare “Dai, ti accompagno io. So già dove vivi intanto, giusto?”

“Lo sai, così è suonata molto inquietante”

Lui ridacchiò, spingendo piano la ragazza verso l'uscita “Sì, nella mia testa era decisamente migliore”

“E Lara? La lasci qui?”

Lui scosse la testa, aprendo la porta del locale e lasciando passare la ragazza, la quale accolse l'aria pulita con un sospiro inebriato.

“Se n'è andata da un po', ha fatto parecchie ore di viaggio oggi”

“Tu sei rimasto”

“Sì, beh, ero con Stefano, ma è troppo impegnato a dirigere questo posto per darmi attenzione” scherzò.

Amanda annuì. Ora che era fuori all'aria aperta cominciava a sentire la mente schiarirsi, ritrovando un po' di lucidità.

“Se comincio a spogliarmi, ti prego fermami”

Alessandro si voltò verso di lei, fissandola con scetticismo. Amanda si limitò ad agitare una mano “Lunga storia”

Lui scosse la testa, aprendole la portiera, e lei entrò subito in macchina, posando la testa con stanchezza sullo schienale del sedile.

“Mi dispiace” borbottò, non appena lui si sedette accanto a lei, infilando le chiavi nel blocchetto d'accensione della macchina. Lui si voltò a guardarla con sorpresa “Per cosa?”

“Per lo sfruttamento come autista”

Lui scoppiò a ridere, girando la chiave e accendendo il motore “Sbrigati a prendere la patente, così potrai ricambiare”

“Non penso che la prenderò. Le macchine mi fanno paura. Non saprei nemmeno come imparare”

“Fanno dei corsi alla Scuola Guida, no?”

“Non posso. Il pomeriggio devo stare con Roby e lì non me la lasciano portare. Ho chiesto” borbottò, chiudendo gli occhi e rilassandosi completamente sul sedile, cullata dal movimento dell'automobile.

Dopo pochi secondi si raddrizzò di scatto, aprendo gli occhi. Lui la osservò curioso. “Che succede?”

“Devo avvertire Michela! Penserà mi avranno rapita” spiegò Amanda, frugandosi nelle tasche. Tirò fuori il telefono a fatica, cercando di focalizzarsi sul tasti. Impiegò più del previsto a formulare un messaggio che non sembrasse essere stato scritto sotto la minaccia di un coltello alla gola, ma alla fine il risultato sembrò piuttosto passabile.

Ho trovato un passaggio, sto tornando a casa. Non sto andando a casa di uno sconosciuto a fare sesso semi-consenziente. Ti spiego meglio domani.

Alessandro adocchiò lo schermo del telefono, poi sorrise, scuotendo appena la testa e tornando a focalizzarsi sulla strada davanti a sé.

“Senti,” cominciò, lasciando scorrere le mani sul volante “Se vuoi posso darti io qualche lezione. Di guida, intendo. L'ho già fatto con un amico”

“Grazie ma mia sorella-”

“Puoi portarla, non c'è alcun problema” la interruppe, volandosi a guardarla per qualche secondo “Conosco un posto perfetto per provare a guidare senza il rischio di fare un incidente”

Amanda lo osservò con curiosità, sentendo un sorriso nascerle sulle labbra. Lui le lanciò un paio di occhiate, poi sorrise a sua volta “Che c'è?”

“Niente” sussurrò lei “Solo che, beh, sei gentile”

Lui continuò a fissare davanti a sé, e per qualche istante comparve un sorriso malinconico sul suo volto “E' che mi ricordi una persona”

Amanda non domandò oltre, riconoscendo immediatamente un forte senso di tristezza nella sua voce. Si sistemò invece meglio nel sedile, così da guardare anche lei la strada davanti a sé. Sentiva le palpebre farsi sempre più pesanti, ma non era intenzionata ad addormentarsi nella macchina del suo professore. Inoltre, le piaceva passare il tempo con lui, e non desiderava sprecarne nemmeno un minuto.

“Quindi ti trasferisci” disse, decisa a combattere il sonno.

“Non è una domanda”

“Hai ragione” fece Amanda, osservando il semaforo davanti a loro diventare rosso “Perché non vuoi trasferirti?”

Lui si voltò verso di lei, sorpreso “Come?”

“La tua faccia. Quando lei ha detto che ti saresti trasferito tu”

“Cosa aveva la mia faccia?”

“Era... contrariata. Non sembravi felice”

Ora Alessandro sembrava davvero attonito. Batté un paio di volte le palpebre, poi arricciò appena il naso “Immagino di non poterlo negare”

Amanda piegò la testa “Allora non vuoi?”

“E' più complicato di così” mormorò “Qui ho amici, lavoro, una casa... però Lara non può trasferirsi, la sua vita è molto più organizzata della mia. E la nostra relazione sta cominciando a risentire della distanza”

La ragazza si morse un labbro “Tu la ami?”

Di nuovo, lui si voltò a guardarla con sorpresa “Credo che tu abbia bevuto decisamente troppo”

“Questo era già stato appurato” biascicò lei, continuando però a fissarlo in attesa di una risposta. Alessandro vedendo che non demordeva sospirò, sfregandosi una mano sulla fronte “E' più complicato di così” ripeté.

“Lo è?”

Questa volta lui non rispose, approfittando del verde per tornare a guardare la strada invece della ragazza. Amanda si pentì delle sue parole, rendendosi conto di quanto fossero state inappropriate. Decise che lei e l'alcol da quel momento in poi avrebbero preso strade separate.

“E tu, con quel ragazzo? Era lo stesso del messaggio di Facebook, vero?”

Amanda annuì “Era lui”

Alessandro azzardò una nuova occhiata “La situazione sembrava piuttosto tesa. Non ha...?”

“Non è stato lui a farmi quei lividi” sbottò lei, sapendo bene dove volesse andare a parare. Perché non poteva semplicemente dimenticarsi di quella storia?

L'uomo corrucciò le sopracciglia, ma non commentò oltre, probabilmente sapendo che difficilmente lei avrebbe risposto alle domande che gli affollavano la mente.

“Scusami” sussurrò lei, sospirando “E' che non posso davvero... vorrei solo che fingessi non fosse mai successo, va bene?”

“Non credo di poterlo fare,” mormorò lui “Ma se è quello che vuoi, allora ci proverò. Promettimi però che non lo lascerai accadere di nuovo”

Amanda abbassò lo sguardo, mordendosi le labbra. “Promesso” mentì, sapendo bene che non aveva alcun modo di mantenere un impegno simile. Lui non sembrò molto convinto, voltandosi ad osservarla e stringendo le labbra, tuttavia non commentò oltre.

Nel veicolo scese il silenzio, e Amanda si voltò verso il finestrino, posandovi la fronte. Non si era nemmeno accorta che avesse iniziato a piovere, ma ora piccole gocce bagnavano il vetro, colando lentamente fino a sparire. Le osservò per qualche secondo, chiudendo poi gli occhi.

Il rumore di una portiera fece sobbalzare la ragazza. Si stiracchiò, stropicciandosi gli occhi; doveva essersi addormentata senza nemmeno accorgersene. Osservò Alessandro dirigersi verso di lei con un ombrello, aprendole poi la portiera e tendendole una mano per aiutarla ad uscire.

“Grazie” borbottò, strofinandosi la fronte dolorante. Doveva avere un aspetto orribile, decretò, abbassando il volto nella speranza che i capelli lo coprissero abbastanza da nasconderlo alla vista.

Alessandro richiuse la portiera, poi si incamminò insieme ad Amanda verso la porta di casa. La ragazza lo osservò di sottecchi, cercando di capire se per caso fosse arrabbiato con lei, ma lui sembrava solo molto stanco.

Quando arrivarono davanti all'ingresso lei tirò fuori le chiavi, riuscendo ad infilarle nella toppa dopo un paio di tentativi. Prima di aprire la porta però si voltò nuovamente verso di lui; dopo tutto quello che gli aveva detto quella sera, tanto valeva concludere “Ascolta, lo so che... che probabilmente non puoi. Né vuoi. Però, ecco... mia sorella voleva che ti invitassi alla sua festa, mercoledì. Le ho già detto che sarebbe infattibile, però... insomma, volevo dirtelo”

Santo cielo, sembrava una balbuziente.

“Mi piacerebbe” disse lui, un sorriso sincero sul volto “Ma quel pomeriggio ho già da fare, ci sono i consigli di classe”

Lei annuì, girando la chiave ed aprendo la porta “Riferirò”

“Falle gli auguri da parte mia, d'accordo?” esclamò Alessandro, richiamando la sua attenzione “E bevi tanta acqua prima di andare a letto. Ti aiuterà”

“Lo farò. Per entrambe” assicurò lei, entrando e poggiandosi allo stipite “E grazie per il passaggio”

“Ci metteremo d'accordo per quelle lezioni di guida, va bene?”

Amanda annuì. Quasi se ne era dimenticata.

“Buona notte, Amanda”

“Buona notte, Alessandro”

Lo guardò voltarsi, incamminandosi verso la macchina, poi chiuse la porta.

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Capitolo 7
*** Un Mercoledì Burrascoso ***


Breathe Into Me

Capitolo Settimo:
Un Mercoledì Burrascoso

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Erano ormai tre giorni che Amanda tentava di parlare con Michela, inutilmente.

Dato che le aveva mandato quel messaggio, dopo essere salita in macchina con Alessandro, era stata convinta che il giorno successivo – se non la notte stessa – sarebbe stata tempestata di domande. Tuttavia l'amica sembrò pensarla diversamente, perché non si fece sentire né la domenica, né il lunedì successivo, in cui addirittura non si presentò a scuola.

Amanda era seriamente preoccupata: temeva che stesse male, o che, magari, non fosse nemmeno tornata dalla festa. Una breve chiamata a Loredana, la madre, aveva confutato i suoi timori, lasciandola tuttavia con l'amaro in bocca.

Era piuttosto chiaro, ormai, che l'amica la stesse volutamente evitando.

Sospetti confermati quando martedì, non appena Michela incrociò il suo sguardo, Amanda la vide letteralmente voltarsi e raggiungere in tutta fretta Edoardo sul motorino, partendo a tutto gas senza nemmeno guardarsi indietro.

Amanda cominciò a diventare paranoica. Che avesse combinato qualcosa il sabato precedente? Ricordava buona parte della serata, tuttavia i momenti passati nel locale erano confusi, sfocati, privi di un filo cronologico. Ricordava fin troppo bene l'incontro con Mirco, il suo bacio ancora stampato a fuoco sulle sue labbra, così come ricordava – purtroppo, ma quella era un'altra storia - quasi tutto quello accaduto con Alessandro.

Eppure, era sicura che ci fosse qualcos'altro, qualcosa che le stava sfuggendo, e temeva fosse proprio quello il motivo di tanta freddezza. Dopo parecchi tentennamenti decise di rivolgersi a Paolo, ma questo a sua volta fu molto schivo nei suoi confronti, limitandosi ad alzare le spalle dichiarando che non ricordava granché.

“Non riesco proprio a ricordare cos'ho fatto” esclamò frustrata Amanda, “Mi sembra di essere rimasta seduta su quello sgabello per l'intera serata”

Era ormai metà mattinata del mercoledì, la prima campanella dell'intervallo era appena suonata e la classe era piacevolmente vuota, fatta eccezione per Giulia e Amanda stessa.

Giulia sospirò, sedendosi sul bordo del suo banco. “Forse non hai fatto niente. Forse è solo di malumore”

“Tu non l'hai vista, mi sta chiaramente evitando. È perfino andata a casa con Edoardo pur di non prendere l'autobus con me, e lei odia i motorini!”

“Allora forse è arrabbiata perché non sei tornata a casa con lei” provò ancora, sollevando poi le sopracciglia “Che poi mi devi ancora chiarire con chi sei effettivamente tornata a casa”

Amanda chiuse gli occhi, posandosi le dita sulle tempie “Te l'ho detto, nessuno di importante” si fermò un secondo, poi prese un respiro e aggiunse “Ho avuto la fortuna di incrociare un collega di mio padre, e lui si è offerto di darmi un passaggio”

“Nessuno ti ha mai detto che non si va in macchina con gli sconosciuti?”

“Non era uno sconosciuto”

“Ah sì, e come si chiama?”

“Ehm, uh... Matteo” borbottò, voltandosi a frugare nella cartella così da sfuggire allo sguardo dell'amica. Odiava dire bugie, e ultimamente ne stava dicendo decisamente troppe.

“Ed è carino?”

Amanda si voltò nuovamente verso l'amica, presa alla sprovvista, e Giulia si aprì in un sorriso, puntando il dito verso di lei. “Sei arrossita!”

“Non è vero!”

“Ti piace!”

Amanda si girò completamente, alzandosi in piedi “Ha almeno dieci anni più di me, Giulia”

Questa se non altro era la verità.

“E allora? L'età è solo un numero, sempre detto io”

“E' fidanzato”

“Che non è sinonimo di felice! Devi imparare a sfruttare le tue opportunità, ragazza”

Amanda sospirò con rassegnazione, chiudendo nuovamente gli occhi. Chissà come avrebbe reagito se avesse saputo di chi stavano veramente parlando.

Decise che era meglio tornare all'argomento precedente. “Comunque non ha senso, perché avrebbe dovuto prendersela?”

“Ma chi? Matteo?”

“Michela! Tieni il ritmo”

“Scusa, che ci posso fare se continui a saltare da un argomento all'altro! Lo sai che ho un basso indice d'attenzione"

“E se avessi fatto qualcosa di orribile? E se non mi rivolgesse più la parola?”

Giulia non commentò, ma Amanda lesse una risposta più che eloquente nel suo silenzio.

“Non fare quella faccia” borbottò, gli occhi ancora serrati. Poté quasi sentire Giulia storcere la bocca.

“Quale faccia?”

“Quella faccia. La faccia da 'meglio così'”

“Non mi stai nemmeno guardando, come fai a sapere che faccia ho?”

“La percepisco”

“Beh, lasciati dire che ti sbagli di grosso. Ho una faccia assolutamente imperturbabile” dichiarò Giulia. Dopo qualche secondo di silenzio sospirò, schiarendosi appena la voce “E va bene, potrei avere un pelo di faccia da 'meglio così', ma il fatto è che se anche avessi fatto qualcosa di male, il suo comportamento di certo non aiuta. Potrebbe semplicemente venire qui e dirti cosa c'è che non va!”

Qualcuno si schiarì la voce, facendo sollevare contemporaneamente il volto ad entrambe le ragazze. Michela era ferma sul ciglio della porta, lo sguardo incerto e una mano che si accarezzava piano l'orecchio. Amanda riconobbe il familiare sintomo di nervosismo dell'amica, sentendosi immediatamente più tesa.

Rimasero a fissarsi per qualche istante, nessuna delle due che sapeva bene cosa dire. Giulia alla fine scese con un balzo dal tavolo, dirigendosi verso la porta. “Vi lascio un po' di privacy, ho capito” disse, poi uscì, chiudendosi la porta alle spalle.

Amanda fece qualche passo verso l'amica “Miky, se ho fatto qualcosa che non va alla festa, mi dispiace. Non ricordo molto e-”

“Tu non hai fatto proprio niente” la interruppe, lo sguardo basso “Sono io che... oh Amy, mi dispiace così tanto!”

Ora Amanda era anche più confusa di prima. “Per cosa? Non hai fatto niente”

“E invece sì” esclamò, alzando gli occhi e osservandola con un'espressione carica di pentimento “Sono un'amica orribile”

“Che è successo?”

Michela continuò a giocherellare con il lobo dell'orecchio, inspirando poi profondamente “Io... io ho baciato Paolo!”

Oh.

Oh.

“Tu...?”

“Sì! E non mai stata così pentita in vita mia!

“Come... come è successo?” chiese Amanda, sinceramente curiosa. Michela abbassò nuovamente lo sguardo, avvicinandosi alla cattedra e sedendosi.

“Poco dopo che mi hai mandato quel quel messaggio, Michael mi ha chiamata. Mi ha detto che mentre tornava a casa la macchina gli si è fermata, e che ormai da più di un'ora che aspettava il carro attrezzi, ma non ce n'era ancora l'ombra.

Mi ha detto che sarebbe venuto a prendermi con un taxi, ma Paolo era accanto a me, e ha sentito tutto. Si è proposto di riportarmi lui a casa. Io... beh, ho accettato. Ero brilla, e non sono stata nemmeno troppo a pensarci” si fermò, mordendosi piano il labbro inferiore. “Quando siamo usciti io... avevamo passato la serata a parlare, a ballare. Sono salita sul suo motorino – e tu sai quanto io detesti quei cosi – e quando sono arrivata a casa… oddio Amanda, mi dispiace così tanto. L'ho baciato. L'ho fatto senza nemmeno rendermene conto. Mi sento malissimo”

Amanda osservò l'amica per qualche secondo, piena di incertezze. L'idea che si fossero baciati non era affatto piacevole, ma temeva che fosse più per il fatto che Michela fosse riuscita a conquistare quello che lei aveva tentato di avere per anni un una sola serata più che per il bacio stesso. Sapeva di essersi lasciata Paolo alle spalle, era giusto così, perciò cercò di scrollarsi di dosso la sensazione di invidia e rancore nei confronti dell'amica.

“Dì qualcosa!” esclamò questa, abbassando le braccia con frustrazione.

“Non so bene cosa dire” disse Amanda “Non sono arrabbiata”

“Perché no? Sono stata una stronza. Ho tradito la tua fiducia, e la nostra amicizia. Non ho nemmeno avuto il coraggio di dirtelo subito..."

“Ti avevo detto che tra me e Paolo non aveva funzionato. Non stavo mentendo” la rassicurò, avvicinandosile e posandole una mano sul ginocchio “Inoltre, non è stata colpa tua. Eri ubriaca”

Questa almeno era la scusa che Amanda continuava a ripetere a se stessa quando ripensava a tutte le cose che aveva detto ad Alessandro. Se anche solo la metà di quello che pensava di aver detto l'aveva detto davvero, allora non credeva avrebbe più potuto guardarlo in faccia. Fortunatamente il lunedì precedente aveva interrogato per l'intera ora, almeno si era sentita libera di osservarlo di sottecchi senza essere obbligata ad incrociare il suo sguardo.

“Davvero? Non sei arrabbiata nemmeno un po'?”

Amanda scosse la testa, sorridendo rassicurate “Nessun rancore, prometto”

In effetti era, per certi versi, piuttosto sollevata. Aveva davvero temuto il peggio.

C'era però ancora qualcosa che era sicura fosse successa alla festa, qualcosa che riguardava Michela, eppure proprio non riusciva a ricordarsi cosa.

“Edoardo”

“Uh?”

“Non so se dirlo ad Edoardo” dichiarò l'amica, ora palesemente più tranquilla “Sarebbe probabilmente giusto farlo, ma alla fine era solo un bacio, e ci tengo a far sì che tale rimanga”

“Hai più parlato con Paolo?”

“No. Non abbiamo niente da dirci. È stato un errore, succede”

“Sei sicura che per lui sia lo stesso? In questi giorni sembra piuttosto... assente”

Michela piegò la testa con curiosità, gli angoli della bocca che si piegarono involontariamente all'insù “Davvero?”

Amanda annuì, fingendo di non notare l'espressione compiaciuta dell'amica.

“E ti ha detto niente?”

“No, no. Probabilmente non sapeva se era il caso. Sai, credo proprio che dovresti parlargli, almeno per mettere le cose in chiaro”

Michela annuì, lo sguardo convinto “Credo proprio che tu abbia ragione. Magari alla fine delle lezioni”

L'insistente risonanza della campanella annunciò la fine dell'intervallo, e Michela scese dalla cattedra, dando una veloce occhiata all'orologio appeso davanti a lei.

“Ci sei oggi, alla festa?” le domandò Amanda.

Michela sembrò doverci ragionare un secondo, poi annuì “A casa tua alle quattro, giusto?”

“Sì, appena Roby torna da scuola”

La ragazza annuì di nuovo, poi si diresse verso l'uscita. Forse distratta dai suoi stessi pensieri, non si accorse che Paolo stava entrando in quel momento, andandogli addosso. Entrambi sollevarono contemporaneamente lo sguardo, fissandosi per qualche istante, poi si affrettarono in direzioni opposte.

Amanda aveva la netta impressione che la storia tra quei due non fosse affatto conclusa.

 

Cominciò a sentire le urla prima ancora di aprire la porta di casa.

Sua madre, ovviamente; avrebbe riconosciuto la furia nella sua voce ovunque. Si fermò un secondo alla soglia, chiedendosi cosa ci facesse in casa a quell'ora; più che raramente rimaneva a casa il pomeriggio, preferendo invece stare in giro con le amiche fino a notte tarda.

Tenne la mano ferma sulle chiavi già infilate nella toppa, chiedendosi se fosse veramente il caso di entrare e non semplicemente voltarsi e tornare più tardi, lasciando che la donna finisse la telefonata che sembrava stesse facendola infuriare così tanto.

Sospirò, aprendo la porta e posando lo zaino a terra. Doveva preparare per la festa di Roberta, inoltre era piuttosto affamata; sperava solo che la madre non avesse voglia di litigare anche con lei oltre che con chiunque lo stesse già facendo.

“Non solo devo continuare a tenerti qui in casa mia, ma ora devo anche rinunciare ai miei programmi per te! Sei solo una piccola ingrata!”

Amanda tese le orecchie, fermandosi davanti alla porta della cucina. Le bastò sentire dei singhiozzi per rendersi conto di quanto stesse accadendo.

Si precipitò dentro la porta, appena in tempo per vedere la madre alzare la mano con rabbia, pronta a colpire la bambina in lacrime davanti a lei.

La ragazza non dovette pensarci due volte, correndo verso Roberta e parandolesi davanti, il cuore che le batteva all'impazzata. Eleonora rimase con il braccio fermo a mezz'aria, osservando la figlia con irritazione. “Non ho neanche più il diritto di punire mia figlia adesso!?”

Amanda ignorò la domanda, tendendo un braccio all'indietro e toccando con fare rassicurante la spalla della sorella. “Che ci fate a casa?”

“Perché non lo chiedi alla bastarda che nascondi dietro la schiena, eh?” fece la donna con fare infuriato “Mi ha rovinato il pomeriggio! Tuo padre aveva detto che se ne sarebbe occupato lui di tutte le faccende della ragazzina, e invece ovviamente sono io quella che deve fare da serva a tutti!”

“E' successo qualcosa?”

“Qualcosa?” quasi sputò la parola, avanzando di qualche passo “La sua maestra mi ha chiamato dicendomi che questa piccola bastarda ha picchiato un altro bambino. Sono dovuta stare due ore, DUE ORE, a parlare con i suoi genitori, scusandomi come se fossi stata io, come se io ne fossi in qualche modo responsabile!”

Amanda lanciò un'occhiata incredula a Roberta, osservando la bambina abbassare lo sguardo pieno di vergogna. Guardando la madre fare un altro passo avanti, la ragazza non dovette nemmeno stare a chiedersi dove la sorella avesse imparato ad usare la violenza.

“Io non ne posso più! Voi siete cattive dentro! Lo fate apposta, non è vero? Volete rovinarmi la vita!”

Eleonora si sedette pesantemente su una sedia, prendendosi il volto tra le mani. “Cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo? Non ho forse diritto anche io ad un poco di felicità? Perché va tutto così male?”

Amanda osservò in silenzio la madre scoppiare in lacrime, i singhiozzi che le scuotevano la schiena. Sentì Roberta stringersi al suo braccio, tirando su con il naso, tuttavia non riuscì a distogliere gli occhi dalla donna, sentendo una fastidiosa sensazione di pietà.

La verità era che sua madre ne aveva passate tante, troppe forse, e nonostante questo non giustificasse il suo comportamento, né gli abusi verso le figlie, Amanda spesso si sentiva dispiaciuta per lei, chiedendosi come sarebbero state diverse le cose se solo la vita fosse stata un po' più generosa con Eleonora.

Per quanto avrebbe voluto non fosse così, Amanda proprio non riusciva a non provare dell'affetto per la madre. Ci aveva provato per anni, decisa a cancellare qualunque forma di amore nei suoi confronti, eppure c'erano sempre dei momenti in cui la ragazza sentiva il desiderio di renderla fiera e felice, di vederla sorridere di nuovo.

“Mi dispiace” bisbigliò Roberta, cercando di avanzare verso la madre. Amanda la trattenne, il ricordo della mano alzata della donna ben stampato nella mente; Eleonora non aveva mai toccato la bambina, ed Amanda temeva cosa sarebbe potuto accadere se solo avesse deciso di rientrare a casa più tardi.

Finalmente, Eleonora tirò su un'ultima volta con il naso, passandosi un dito sotto gli occhi così da eliminare le tracce di mascara colato, poi si sollevò, superando le due ragazze e dirigendosi verso il bancone della cucina. Afferrò la borsa e ne tirò fuori un piccolo specchietto, controllando poi il proprio aspetto. “Quello che è fatto è fatto” dichiarò, la voce che ancora sapeva di pianto “Ma che sia l'ultima volta. Se succederà di nuovo non risponderò delle mie azioni, è chiaro?”

La donna si rivolse unicamente ad Amanda, perciò fu questa ad annuire, cercando di non dare ascolta alla sensazione di panico che le avevano provocato quelle parole.

È solo una frase fatta, si ricordò, non riuscendo tuttavia a spazzare completamente il senso di allarme.

“Io e Marta siamo state invitate ad una serata, non so per che ora tornerò. Non aspettarmi alzata, va bene?”
Amanda annuì nuovamente.

Eleonora si sistemò la maniglia della borsa nell'incavo del gomito, voltandosi poi verso il corridoio e dirigendosi verso la porta. La donna non era ancora uscita che la ragazza già si era voltata verso la sorella, stringendola in un abbraccio. Roberta si accoccolò tra le sue braccia, tirando su con il naso.

“Non volevo fare male a Luca,” singhiozzò, la voce che giungeva ovattata mentre la bambina premeva il volto sul maglione della sorella, “Non l'ho picchiato. Stavamo giocando e si è fatto male. Non è stata colpa mia”

“Va tutto bene” sussurrò Amanda, accarezzandole i capelli “So che non l'hai fatto apposta”

La bambina rimase in silenzio per qualche istante, poi scoppiò a piangere, afferrando con forza la sorella e stringendo la stoffa del suo maglione tra i pugni. “Non voglio rovinare la vita di mamma” disse con disperazione, le palpebre chiuse con forza “N-Non faccio apposta neanche quello!”

Amanda sentì una fitta al cuore, ora anche lei con gli occhi lucidi. Strinse la bambina con più forza, desiderosa di proteggerla da tutto e da tutti, ma consapevole di non esserne in grado.

“Non stai rovinando la vita di nessuno, posso assicurartelo. Lo ha detto solo perché era arrabbiata, e lo sai che dice tante cose che non pensa”

“E se invece è vero?”

“Se anche fosse vero, tu rendi la mia vita incredibilmente migliore, e non so come farei senza di te, piccola peste” disse, sollevando il volto della sorella e dandole un leggero bacio sulla fronte “Perciò non essere triste, altrimenti sono triste anche io, d'accordo?”

La bambina annuì, stropicciandosi gli occhi e abbracciando nuovamente la sorella con forza. Amanda chiuse un istante gli occhi, cercando di calmarsi, e quando Roberta si staccò la ragazza aveva ormai un sorriso pronto sulle labbra.

“Andiamo, abbiamo un compleanno da organizzare!”

 

“Io odio i bambini”

Sia Amanda che Michela si voltarono verso Giulia, la quale si affrettò a scuotere le mani “Niente di personale, Roberta è un'eccezione, giuro! Ma insomma... guardateli!”

Un bambino passò loro accanto, rischiando di andare a sbattere contro il tavolo al quale erano sedute le tre ragazze e rovesciare un bicchiere al di sopra. Amanda lo afferrò veloce, rimettendolo al suo posto.

“Sembra di stare in un manicomio”

“Se non ti piacciono i bambini, perché sei alla festa di una seienne?” borbottò Michela, lanciandole un'occhiata seccata.

Giulia storse il naso, aprendo le mani in un gesto di esasperazione. “Seienne? Ma che parola è?” mimò ad Amanda, voltandosi poi verso Michela “Mi ha invitata. La tua scusa qual'è?”

“Conosco Roberta da quando è nata, e non ho mai saltato un suo compleanno, ecco qual'è. Non sono io quella saltata fuori dal nulla”

Amanda sospirò, lasciando le due amiche ai loro battibecchi e focalizzandosi invece sul vagone di bambini che correvano per tutto il salone. Erano arrivati tutti da ormai due ore, i regali erano già stati consegnati e aperti e la torta già mangiata, perciò era arrivato il momento più temuto:

la caccia al tesoro.

Amanda e Giulia si erano occupate della preparazione, nascondendo indizi in cassetti e vasi, creando istruzioni e indovinelli. Era stata la prima volta, poiché solitamente Roberta aveva sempre festeggiato il compleanno all'asilo con i compagni, per poi festeggiare ulteriormente con una cenetta insieme ad Amanda e Michela – e raramente Luigi – una volta a casa. Ora che era alle elementari, però, il discorso era cambiato, così Giulia ed Amanda si erano munite di computer e avevano passato il pomeriggio mettere in pratica le idee gentilmente offerte da internet. Un paio di madri ora stavano coordinando il gioco, facendo da giudici.

I compagni di Roberta si erano rivelati essere un po' più del previsto, dando nuovamente prova dell'incredibile vita sociale che riusciva ad avere in qualche misterioso modo Roberta.

Erano arrivati ben ventisette bambini, tutti in costume proprio come era stato scritto sui biglietti d'invito. Poiché il tema era “Principi e Principesse”, in quel momento la casa era infestata da bambini vestiti con gli abiti più stravaganti. Amanda si era ritrovata ad osservare divertita ben cinque Rapunzel suonare alla porta - due delle quali era piuttosto sicura fossero maschi – svariati principi Eric e una piccola ragazzina vestita da drago, la coda che continuava a sbattere ad ogni angolo.
Roberta dal canto suo aveva scelto Alice nel Paese delle Meraviglie, senza curarsi troppo del fatto che, in effetti, non era una principessa.

Ma d'altronde c'era anche un bambino vestito da robot.

Ovviamente, la regola non aveva fatto eccezione per le tre adolescenti. Mentre Michela ed Amanda l'avevano accettata di malgrado, arrangiandosi nel mettere insieme dei costumi, Giulia si era mostrata entusiasta; a quanto pareva erano mesi che desiderava trovare un'occasione per indossare il costume di Merida che aveva comprato in per andare al Comic-Con.

Amanda da parte sua aveva puntato sul semplice, fermando i capelli tra due piccole ciocche legate con una molletta e indossando una canottiera bianca con un lungo pareo rosso a fare da gonna, interpretando così Jane, l'intrepida deuteragonista di Tarzan.

Nonostante i capelli non fossero del giusto colore ( la Disney non sembrava proprio essere al corrente che vi fosse una via di mezzo tra il marrone e il biondo ), la ragazza aveva potuto ritenersi piuttosto soddisfatta.

Michela aveva invece avuto la fortuna di imbattersi in un vestito da Megara in un centro commerciale, legandosi poi i capelli in una coda alta e fermandoli con un nastro dorato. La ragazza aveva ben poco in comune con il personaggio, ma Roberta aveva deciso di chiudere un occhio sulla faccenda.

Ad Amanda faceva quasi paura quanto riuscisse ad essere autoritaria delle volte.

“Gliel'hai detto?!”

La ragazza si riscosse dai suoi pensieri, voltandosi verso una piuttosto innervosita Michela. “Le hai detto che ho baciato Paolo?!”

Amanda si voltò a guardare Giulia, la quale strinse le labbra con fare desolato, sollevando appena le spalle.

“Voleva sapere cosa fosse successo, non pensavo...”

Michela sbuffò “Che fosse una faccenda privata? Certo che lo è! Non te l'ho detto perché andassi a raccontarlo ai quattro venti!”

“Ehi, sei tu quella che è andata a baciare il ragazzo che le piace! Non hai proprio diritto di farle la morale!” sbottò Giulia.

“Tu non intrometterti!”

Amanda alzò le mani, cercando di calmare le due ragazze, poi si voltò verso Michela “Mi dispiace, ho fatto una stupidaggine. Scusami”

“Tu non hai fatto proprio niente!” insistette Giulia, alzando il tono di voce. Michela la ignorò, alzandosi in piedi. “Non ci posso credere. A lei poi!” disse, scavalcando una bambina inginocchiata a terra e afferrando il cappotto “Forse è meglio che ti lasci con la tua migliore amica, non vorrei mettermi in mezzo”

“Non fare così...” provò Amanda, cominciando a chiedersi se per caso quello di deludere le persone era un suo speciale talento, considerato quanto sembrasse brava nel farlo.

Michela la ignorò, voltandosi e dirigendosi a passo spedito verso l'uscita. “Ci vediamo a scuola” borbottò, chiudendosi poi con forza la porta alle spalle.

Amanda lasciò cadere la testa sul tavolo, sospirando pesantemente. Possibile che non riuscisse a fare una giusta? Era un disastro.

“Ma perché ti lasci sempre trattare così?” chiese Giulia con fare seccato, facendole rialzare il volto. “Dovresti essere tu quella arrabbiata!”

“Ha ragione, non avrei dovuto dirtelo. Era un segreto suo, non mio”

Giulia la osservò incredula, alzando le braccia e lasciandole ricadere pesantemente “E ora la difendi pure! Ma cos'hai che non va?! Sei incredibile!”

Amanda si passò le mani sul volto. “Ora non ti ci mettere anche tu!”

“Quindi va bene arrabbiarsi con me ma non con lei?”

“Non sono arrabbiata con te. Non ho voglia di litigare, per favore” affermò pacata, cercando di trattenersi dallo sdraiarsi a terra e rimanere lì per il resto del pomeriggio. O della vita.

Giulia non rispose, facendosi silenziosa. Passarono la successiva ora in silenzio, Amanda che non sapeva come rompere la tensione, e Giulia troppo testarda per farlo.

Finalmente anche quest'ultima si alzò, chiudendo il fumetto che stava leggendo e affermando di dover andare a casa a fare i compiti. Amanda annuì, nonostante sapesse bene che non avevano compiti per il giorno dopo, osservando l'amica andare a salutare Roberta e poi uscire veloce.

Dopo di lei, lentamente tutti gli invitati cominciarono ad andarsene, e ad Amanda pareva quasi che anche loro fossero arrabbiati con lei, come se in qualche modo fosse riuscita ad incasinare le cose perfino con loro. Roberta dopo un po' la raggiunse, sedendosi accanto a lei e poggiando la testa sulle sue gambe, lasciandosi accarezzare dolcemente i capelli.

Finalmente, la casa fu nuovamente vuota. Amanda osservò i bicchieri poggiati su ogni mobile e le patatine sparse ovunque, espirando pesantemente. Sarebbe stata una serata terribile.

In quel momento, qualcuno suonò alla porta di casa.

Amanda e Roberta si scambiarono uno sguardo, poi la ragazza si alzò, raggiungendo incerta la porta. Si avvicinò allo spioncino, guardandovi dentro, e si lasciò sfuggire un'esclamazione di sorpresa quando vide Alessandro che aspettava paziente sotto il porticato.

La ragazza fece un passo indietro, adocchiando il disordine alle sue spalle e sistemandosi con gesti veloci i capelli e la maglietta. Dopo qualche secondo prese un profondo respiro, poi aprì la porta, accogliendo l'uomo con un sorriso.

“Alessandro” esclamò, socchiudendosi la porta alle spalle “Sei venuto”

Lui le sorrise, alzando le spalle “I consigli sono finiti in anticipo, e non sapevo a che ora fosse la festa, perciò ho deciso di tentare. A giudicare dal silenzio, direi che è finita”

“L'hai mancata di qualche minuto” disse Amanda, notando con la coda dell'occhio Roberta aprire la porta. La bambina fece un timido saluto con la mano, stringendosi alla sorella.

Alessandro osservò entrambe le ragazze con aria critica “Non mi avevi detto che era una festa in costume”

“Non pensavo saresti venuto davvero”

“Ad essere onesto, non lo sapevo nemmeno io. Non ho neanche avuto il tempo di comprare un regalo come si deve” disse, porgendo un sacchetto di carta a Roberta “Perciò mi sono arrangiato”

La bambina afferrò il pacchetto con curiosità, sbirciandoci dentro. Amanda vide chiaramente come improvvisamente il volto le si illuminò, tirando fuori due scatole e guardandole con aria meravigliata.

Amanda scoppiò a ridere quando si rese conto di cosa fossero.

“Le crocchette di dinosauro!” esclamò Roberta “Le hai trovate!”

Alessandro ridacchiò, annuendo soddisfatto “Il supermercato accanto a casa mia ne ha uno scaffale completamente dedicato”

La bambina le strinse al petto con gioia, poi le rimise nella busta, lanciandosi invece ad abbracciare l'uomo. Alessandro osservò la bambina con sorpresa, le braccia leggermente sollevate come se non sapesse esattamente cosa fare. Amanda si avvicinò, pronta a staccargli la sorella di dosso, ma questo dopo qualche istante si aprì in un sorriso, stringendo a sua volta la piccola e scompigliandole i capelli.

“Vuoi entrare?” gli domandò la ragazza, facendo per aprire la porta. Lui scosse la testa, sorridendo nuovamente a Roberta non appena questa lo liberò dal suo abbraccio. “In realtà, stavo pensando potremmo fare quelle lezioni di guida di cui abbiamo parlato”

Lei arcuò le sopracciglia, sorpresa “Adesso?”

“Se non è troppo tardi”

“No, no. È solo che...” Amanda si bloccò a metà frase, non sapendo bene come continuare. Non riusciva a trovare un motivo per cui avrebbe dovuto rifiutare, se non il fatto che avrebbe dovuto riordinare la casa dopo il passaggio di quel tornado di bambini. E ad essere onesti, desiderava solo una scusa per non farlo.

“Aspettatemi qui, prendo i cappotti”

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Capitolo 8
*** Lezioni di Guida ***


Breathe Into Me

Capitolo Ottavo:
Lezioni di Guida

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Alessandro tirò il freno a mano, fermando la macchina davanti ad un vecchio cancello arrugginito, la vernice nera ormai quasi completamente scrostata che lasciava intravvedere il grigio metallico al di sotto.

“E' questo il posto?” domandò Amanda, adocchiando con diffidenza quello che sembrava un desolato parcheggio al di là della cancellata. L'atmosfera in quel posto era a dir poco inquietante, le luci che sfarfallavano e i lontani lamenti di cani randagi che di certo non aiutavano.

Alessandro annuì, una gamba già fuori dalla portiera aperta “Dieci anni fa era il parcheggio di una fabbrica, poi la ditta che la possedeva è fallita e il posto è stato abbandonato. Non dei posti più invitanti, ma almeno qui nessuno ci disturberà”

La ragazza non commentò, cercando di ignorare i brividi che le dava quel posto; se mai avesse avuto bisogno di un posto per commettere un omicidio, quello sarebbe sicuramente stato la sua prima scelta.

“Sembra quel posto nel videogioco di Giulia” disse Roberta, facendo spuntare la testa tra i due sedili anteriori. “Quello dove gli uomini con i cappelli strani vendevano lo zucchero”

Amanda ispirò con forza, chiudendo gli occhi e posando la testa sullo schienale. Non sapeva se essere più preoccupata per il posto in cui si trovavano o per esaltazione nel tono di voce di Roberta.

E Giulia deve decisamente smettere di portare giochi simili, decretò.

Non fece in tempo a lasciarsi trascinare dal senso di privazione che il pensiero dell'amica le aveva procurato, poiché il rumore di qualcosa di metallico che cadeva a terra attirò la sua attenzione, facendole riaprire gli occhi.

Con scetticismo osservò Alessandro raccogliere un lucchetto e metterselo in tasca, spalancando poi a fatica il cancello. Tornò poi nuovamente verso la macchina, passandosi un paio di volte la mani sui jeans e sedendosi veloce accanto ad Amanda.

“Che c'è?” le domandò non appena ebbe chiuso lo sportello, notando l'espressione diffidente.

Lei spostò un paio di volte lo sguardo da Alessandro al cancello “Entriamo così? Sembra piuttosto... illegale”

Lui scoppiò a ridere, mettendo in moto la macchina “Non lo sono forse tutte le cose migliori?”

Amanda annuì appena, poi abbassò veloce lo sguardo, arrossendo violentemente. Le era venuta in mente un'altra cosa decisamente illegale che avrebbero potuto fare insieme e, a giudicare dal modo in cui Alessandro si stava schiarendo la voce, il pensiero non era sfuggito nemmeno a lui.

“Scusami, probabilmente non sono il genere di cose che dovrei dire ad una mia alunna” borbottò, lo sguardo ben piantato davanti a lui “Non granché come insegnamento”.

“Nessun problema” ribadì lei, voltandosi poi verso Roberta “Ma evitiamo di seguirlo, che dici?”

La bambina annuì, lo sguardo divertito che continuava a spostarsi da Amanda ad Alessandro quasi avesse compreso esattamente il motivo dell'improvviso imbarazzo tra i due; cosa che Amanda sperava vivamente non fosse vera, altrimenti avrebbe decisamente voluto dire che era tempo di togliere la televisione alla sorella.

Alessandro fermò nuovamente la macchina, tirando il freno a mano e scendendo veloce. Amanda lo sentì chiudere il cancello alle sue spalle, guardandosi intanto attorno nel tentativo di abituarsi all'ambiente. Era già abbastanza agitata all'idea di guidare quell'enorme fuoristrada, non aveva bisogno di essere anche spaventata dalla sua stessa ombra.

Cosa che stava decisamente accadendo, considerato il salto che fece quando Alessandro aprì improvvisamente la sua portiera, lasciandola senza fiato per lo spavento.

Roberta scoppiò a ridere, seguita poi a ruota dall'uomo, che le tese una mano per aiutarla ad uscire.

“Agitata?”

“Da cosa l'hai capito?” chiese lei sarcasticamente, affrettandosi ad uscire. Lui si infilò velocemente al suo posto, sedendosi e aspettando pazientemente che Amanda entrasse dalla parte del guidatore.

La ragazza si sistemò sul sedile, espirando profondamente e posizionando le mani sul volante. Era incredibilmente tesa, il suo istinto che continuava a dirle che quella era una pessima idea, che avrebbe combinato un disastro, tipo distruggere la macchina o bruciare il motore, che avrebbe fatto realizzare ad Alessandro quanto fosse incapace. Non le erano mai piaciute le macchine; non le piaceva niente di cui non avesse il pieno controllo, come le biciclette, o i suoi stessi piedi.

“Rilassati, è più facile di quanto sembra” la rassicurò lui, indicandole la leva del cambio “Sposta quello al centro, così la macchina rimarrà ferma quando metterai in moto”

Amanda fece come le era stato detto, scuotendola appena così da assicurarsi che fosse inserita correttamente.

“Questa è la folle” le spiegò lui “In questo modo disinserisci le marce, utile in caso di fermata con motore acceso. Ora gira la chiave”

“L'auto non partirà, giusto?” chiese Amanda, incapace di nascondere l'agitazione. Alessandro scosse la testa, sorridendo in maniera rassicurante, e la ragazza non poté fare a meno di ritrovarsi nuovamente a pensare a quanto fosse affascinante, rendendosi per la prima volta conto di quanto fossero vicini, di come il respiro dell'uomo le sfiorasse il collo.

Deglutì, cercando di scuotere via quei pensieri dalla mente che altro non facevano che portarla in un posto in cui non voleva andare, pronti a mostrarle qualcosa che non poteva avere.

“Giro allora” mormorò, afferrando la chiave e ruotandola nel quadro, sentendola scattare e osservando i quadri accendersi.

“Un altro po'”

Amanda girò ancora, ed ecco che con un rombo la macchina improvvisamente si mise in moto. Roberta lanciò un'esclamazione entusiasta, sollevandosi in piedi e posando il mento sulla spalla della sorella “Stai guidando!”

La ragazza ridacchiò, lasciando la chiave e osservando la macchina tremare sotto di lei. “Non proprio”

“Siamo a buon punto” disse Alessandro “Ma prima di andare avanti manca qualcosa”

Amanda lo guardò senza capire, aspettando che aggiungesse qualcosa. L'uomo comunque continuò a fissarla per qualche istante, poi sospirò, tendendosi pericolosamente verso di lei.

Amanda quasi squittì quando Alessandro si protese verso di lei, osservando le sue braccia muscolose e le sue imponenti spalle, i capelli così vicini che poteva sentirne il profumo del suo shampoo. Ginepro, giudicò, provando l'impulso di tendersi appena verso di lui, solo qualche millimetro, così da poter sfiorare i soffici ricci con la punta del naso, affondando poi il volto nell'incavo del suo collo.

Fortunatamente Alessandro si scostò, tornando a sedersi al suo posto, e solo dopo aver sentito il “click” Amanda si rese conto che aveva afferrato la sua cintura, allacciandola.

E lei gli era quasi saltata addosso. Le cose si stavano mettendo di male in peggio.

“Mai partire senza essersi allacciati la cintura” disse lui, apparentemente ignaro di cosa avesse provocato nella ragazza con il suo gesto. “E lo stesso vale per il resto dei passeggeri” aggiunse, voltandosi verso Roberta con cipiglio divertito.

La bambina saltò all'indietro con un leggero sbuffo, affrettandosi a fare quanto le era stato detto.

“Ora manca solo un po' di musica” disse lui, non appena si fu a sua volta allacciato la cintura, indicando dei CD infilati nello scompartimento della portiera di sinistra.

Amanda lo osservò per qualche istante, poi si voltò e ne afferrò un paio, segretamente chiedendosi perché non si fosse semplicemente teso per prenderli, proprio come aveva fatto poco prima.

Si era forse reso conto della reazione di Amanda? O era forse stato messo a disagio dal suo stesso gesto?

La ragazza non era affatto sicura rispetto a quale opzione preferisse.

Porse i due CD ad Alessandro, tirandone fuori poi un terzo e sollevando un sopracciglio con espressione scettica. “Lady Gaga?”

Lui le tolse veloce il disco dalle mani, lanciandolo sotto il sedile e schiarendosi la voce “E' di Lara”

I due si osservarono in silenzio per qualche istante, poi scoppiarono contemporaneamente a ridere, eliminando finalmente la tensione che si era creata ormai da svariati minuti nel veicolo. L'uomo tese un dito verso di lei, cercando di tornare serio “Non provare nemmeno a farne parola con qualcuno. Ho una reputazione da mantenere”

“Non so, ci devo pensare. Per inciso, il mio silenzio è negoziabile” dichiarò Amanda con fare divertito, tendendosi appena verso di lui. Gli occhi le scesero autonomamente verso le labbra dell'uomo, e improvvisamente si pentì amaramente delle sue parole, allontanandosi e tentando di camuffare il suo gesto con una nuova risata, la quale risuonò incredibilmente finta nell'abitacolo.

E tanti saluti alla tensione allentata.

Alessandro la osservò ancora per qualche secondo, poi posò lo sguardo sui CD tra le sue mani, aprendo il primo e infilandolo nel lettore della macchina.

Una musica leggera cominciò a diffondersi, seguita subito da una voce maschile, il tono alto e intenso. Amanda la ascoltò in silenzio per qualche secondo, piacevolmente sorpresa. Era piuttosto sicura di riconoscere il cantante, tuttavia non avrebbe saputo dire di chi si trattava. Le bastò lanciare uno sguardo alla copertina dell'album per capirlo.

“Rammstein, Lady Gaga, Muse. Gusti piuttosto elastici” commentò, rifiutandosi però di voltarsi verso Alessandro, fingendo di essere completamente presa dalla lancetta del gas. Il serbatoio della benzina sembrava essere appena stato riempito, e Amanda non poté fare a meno di chiedersi se lui lo avesse fatto apposta per la loro lezione. Servì solo a farla sentire più in colpa per quanto ci stava impiegando anche solo a mettere in moto la maledetta automobile.

Lui comunque non rispose, abbassando invece il volume non appena il ritmo della canzone aumentò e riponendo i due CD nello scompartimento del suo sedile “Rimettiamoci all'opera, che dici?”

Amanda annuì, lanciando un'occhiata a Roberta attraverso lo specchietto retrovisore. La bambina sembrava essersi stancata dell'attesa e aveva acceso il Nintendo DS appena ricevuto in regalo dalla sorella, il viso contratto in una morsa concentrata mentre fissava lo schermo.

“Ora viene la parte più difficile” disse Alessandro, ignorando lo sguardo preoccupato della ragazza. “Devi premere il pedale alla tua sinistra, la frizione, in modo da cambiare la marcia, poi senza lasciare il pedale mettere la prima”

Amanda guardò ai suoi piedi, posizionandosi come le era stato detto.

“Metti anche un piede sul freno, quello al centro, per sicurezza”

Il fatto che ci fosse bisogno di sicurezza non le piaceva per niente, ma non commentò, limitandosi a schiacciare anche il secondo pedale.

“Perfetto” dichiarò lui “Ora metti la prima”

Amanda posò la mano sul cambio, provando a spostarlo, ma questo non si mosse di una virgola. Ci riprovò, temendo però di rovinare qualcosa se avesse continuato a spingere in quel modo.

La mano di Alessandro improvvisamente fu sulla sua, e la ragazza si sentì avvampare, abbassando il capo così che i capelli nascondessero il viso completamente rosso alla vista dell'uomo.

“Premi meglio il pedale della frizione” disse lui, osservandola mentre faceva come le aveva detto. Con la mano sempre su quella di lei mosse poi il cambio, spostando la leva sulla prima marcia con un sorprendentemente delicato gesto del polso. “Devi farla entrare senza sforzare” spiegò, riportando nuovamente il cambio in folle, “Devi sentirla scivolare delicatamente al suo posto” spostò nuovamente la leva, tornando in prima, “Non andare dritta in diagonale, ma falla curvare appena, accompagnandola”

“Ora prova da sola” disse infine, togliendo finalmente la mano. Amanda sentiva l'intero braccio formicolare, ma cercò di ignorare la sensazione, imitando invece i gesti dell'uomo e riuscendo finalmente ad inserire la prima.

“Perfetto” decretò lui, sorridendole con fare affabile “E ora togli il freno a mano”

“Ma così la macchina non partirà?”

“Non se tieni ben premuti i pedali. Inoltre, far partire la macchina è proprio il nostro scopo”

Amanda ridacchiò, afferrando poi con forza la leva del freno a mano, abbassandola delicatamente e cercando di concentrarsi nel contempo sul piede che premeva sul freno invece che sulla vicinanza di Alessandro.

Era sempre più evidente che l'unico motivo per cui aveva accettato la proposta di Alessandro era l'alcol, perché da sobria mai si sarebbe lasciata trascinare volontariamente in una situazione così.

La presenza dell'uomo era soverchiante, poteva sentirla con ogni singola fibra del suo corpo, quasi ci fosse qualcosa che continuava ad attirarla verso di lui. Aveva bisogno di un bicchiere d'acqua. Aveva bisogno di una doccia fredda.

Gelida.

“Adesso lascia il freno”

“Cosa?”

“Non partirà ancora la macchina, non ti preoccupare”

Amanda alzò lentamente il piede, e come promesso la macchina non si mosse di un centimetro.

“Ora l'ultimo passaggio. Molto, molto lentamente, lascia andare la frizione e contemporaneamente premi l'acceleratore, il pedale a destra”

Non sembrava difficile, decise la ragazza, osservandosi i piedi e cominciando lentamente a premere sull'acceleratore. Stava pensando che forse si era fatta tante paranoie per niente quando, allentando la pressione sul pedale della frizione, la macchina fece uno scatto avanti, facendole prendere uno spavento e spegnendosi immediatamente.

Alessandro ridacchiò, voltandosi così da guardare anche Roberta, ora nuovamente interessata a quanto stava accadendo nel veicolo. “Tranquille, succede sempre le prime volte. Bisogna farci l'abitudine”

Amanda sorrise incerta, poi si rilassò sullo schienale del sedile, preparandosi mentalmente a quella che – era sicura – sarebbe stata una lunga serata.



 

“Continua così, stai andando benissimo” dichiarò Alessandro, continuando a spostare lo sguardo dalla strada alla ragazza accanto a sé. Amanda sorrise soddisfatta, dando un po' più di gas e muovendo lentamente la macchina lungo la strada vuota.

C'erano voluti altri quattro tentativi prima di riuscire a mettere in moto il veicolo, ma alla fine ce l'aveva fatta, e ora procedeva tranquilla per il parcheggio, gli abbaglianti che illuminavano ogni angolo, rendendo il posto decisamente meno spaventoso di quanto le era sembrato all'inizio.

Roberta aveva definitivamente spento il suo Nintendo, osservando invece con ammirazione la sorella mentre girava il volante e svoltava a destra, ricordandosi perfino di mettere la freccia.

“Cerca di capire dal rumore quando va cambiata la marcia” spiegò Alessandro, indicando poi il contagiri “Puoi anche controllare quello. Appena vedi l'ago avvicinarsi alla parte rossa, vuol dire che è tempo di cambiare”

Amanda annuì, limitandosi però ad avanzare ancora di qualche metro, ben piantata in seconda e non intenzionata ad aumentare la velocità nel prossimo futuro. Aprì appena il finestrino, affacciandosi nel tentativo di capire dove finisse il marciapiede che stava costeggiando, e Roberta rabbrividì un poco, stringendosi le braccia attorno al petto.

“Hai freddo?” le domandò Alessandro. Roberta annuì, e l'uomo le indicò con un cenno una giacca alle sue spalle, posata e appiattita vicino al vetro posteriore. “Prendi pure quella, è pesantissima”

Amanda lanciò una breve occhiata ai due, poi però tornò a piantare gli occhi in strada, decisa a non andare a sbattere contro qualche muro.

“E' rosa” ridacchiò la bambina, indossandola e seppellendocisi dentro “Come una principessa”

Alessandro sbuffò, passandosi una mano tra i capelli “Così mi hanno detto. Purtroppo dopo avermela lasciata comprare”

Roberta lo guardò senza capire, e Amanda stessa tese le orecchie con fare curioso.

“Spiegazione semplice: sono daltonico e ho degli amici tremendi” disse lui con fare scherzoso, scuotendo appena la testa.

Amanda lanciò una nuova occhiata sorpresa ad Alessandro, osservandolo per qualche secondo di troppo. Non l'avrebbe mai detto, ma se non altro questo spiegava la sua passione per i completi scuri, escludendo ovviamente gli strani capi gialli.

“Cos'è Dantonico?” domandò Roberta, sinceramente interessata.

“E' una persona che non riesce a distinguere alcuni colori” spiegò Amanda, voltando poi un secondo la testa verso Alessandro “Rossi e verdi, giusto?”

“Generalmente sì, ma sfortunatamente a me è capitata una forma più rara. E' chiamata tritanopia, ed è pressappoco la cecità per il blu” spiegò paziente “Fatico a distinguere il verde dal blu, così come tutte le varie tonalità di giallo dal rosa” si fermò un secondo, indicando Roberta “E questo spiega la giacca”

“Perciò la tua macchina...?” domandò Amanda divertita, chiedendosi come dovesse essere il mondo attraverso gli occhi di Alessandro. Quest'ultimo comunque scosse la testa con decisione “No, quella l'ho richiesta appositamente così. Adoro il giallo”

Amanda gli lanciò un paio di occhiate, continuando intanto a guidare, poi finalmente parlò “Non hai appena detto di non distinguerlo, il giallo?”

“Lo so, non ha molto senso” disse Alessandro, ridacchiando, “Ma è proprio il fatto che non posso vederlo che lo rende così interessante. E' come un mistero di cui non saprò mai la soluzione. Frustrante, ma intrigante da morire”

Roberta strinse gli occhi con fare cospiratorio “Sei proprio strano”

“Roby!”

Alessandro scoppiò a ridere, ignorando l'espressione contrariata di Amanda e quella sempre più decisa di Roberta, la quale era chiaro averlo ormai etichettato come un pazzoide.

Ovviamente il suo tipo di persona preferito.

Qualcosa sfrecciò improvvisamente davanti alla macchina, e Amanda non fece nemmeno in tempo a pensare di schiacciare il freno che si ritrovò spinta in avanti, sentendo una fitta di dolore quando la fronte andò a sbattere contro il volante.

Le ci volle qualche secondo per riuscire a riaprire gli occhi, il cuore che batteva a mille, risuonandole terrificante nelle orecchie. Una mano le spostò i capelli dal volto, e i suoi occhi incrociarono quelli di Alessandro, il volto carico di preoccupazione. “Stai bene?”

Amanda annuì, voltandosi poi immediatamente verso la sorella e chiamando il suo nome; la bambina annuì a sua volta, il respiro affannoso e lo sguardo carico di paura.

“Io... è saltato fuori dal nulla...” provò a spiegare Amanda, ancora in preda al panico. Alessandro le posò una mano sulla spalla, fissandola negli occhi con espressione rassicurante, cercando di calmarla “Va tutto bene, stavi andando pianissimo. Non è successo niente”

Si affrettò poi ad aprire la portiera dell'auto, precipitandosi fuori, ed Amanda non dovette pensarci due volte prima di fare lo stesso, incapace di contenere la paura di quello che avrebbe trovato una volta all'esterno.

“E' un lupo?”

Entrambi si voltarono verso Roberta, la quale li aveva chiaramente seguiti. Gli occhi della bambina erano invece puntati sull'enorme animale steso davanti alla macchina, il pelo lungo e folto e il muso nascosto da un'enorme zampa.

Alessandro si avvicinò ad esso, accarezzandogli piano il collo “Solo un cane troppo cresciuto” decretò, toccandogli piano la zampa. L'animale emise un leggero ringhio, seguito poi da un mugolio di dolore, e Amanda si sentì morire.

“Dobbiamo portarlo da un veterinario” disse, avvicinandosi e chinandosi accanto al cane, gli occhi inevitabilmente lucidi “Ti aiuto a caricarlo in macchina”

Alessandro annuì, e Roberta si affrettò ad aprire la porta posteriore del SUV, spostandosi così che potessero passare. Amanda afferrò saldamente la parte inferiore dell'animale, sollevando con tutte le sue forze e ignorando il dolore che le provocava l'incredibile peso dell'animale sulle braccia. Si mossero lentamente verso l'automobile, il cane che ancora mugolava piano, poi finalmente riuscirono a sistemarlo nei sedili posteriori.

Amanda si sedette immediatamente accanto ad esso, facendo cenno a Roberta di sedersi davanti. Il cane al momento era calmo, ma non voleva rischiare che mordesse la sorella, conoscendo sopratutto la mania di quest'ultima di mettere le mani dove non avrebbe dovuto.

Alessandro sembrò capire, perché non fece domande, limitandosi a sedersi nuovamente alla guida e a mettere in moto.

Ci misero poco meno di una quindicina di minuti a raggiungere la clinica veterinaria, ma ad Amanda parvero ore. Si sentiva incredibilmente in colpa, non riusciva a smettere di pensare a come avrebbe potuto evitare l'incidente; forse se non si fosse distratta, se fosse andata più lentamente, se fosse stata capace di premere quel maledetto freno. Ogni nuovo mugolio del cane era una pugnalata al petto, e vedere come tentava inutilmente di tendere la zampa una tortura. Presto si ritrovò ad affondare il volto tra la sua pelliccia, sussurrando parole dolci nel tentativo di rassicurarlo.

Spesso sentiva lo sguardo di Alessandro addosso, lo percepiva sulla cute come se riuscisse a passarla da parte a parte, leggendo tutti i suoi pensieri, ma non sollevò lo sguardo, continuando ad accarezzare la fulva pelliccia dell'animale.

Quando la macchina si fermò, Alessandro scese immediatamente, entrando nella clinica veterinaria e uscendone pochi secondi dopo seguito da un paio di uomini con un piccolo carrellino di metallo.

Aprirono velocemente la portiera, afferrando senza troppi preamboli il cane e posandocelo sopra. Amanda fu quasi tentata di protestare, allungando un braccio nel tentativo di fermare tanta rudezza, ma Alessandro le prese le mani tra le sue, aiutandola a scendere dalla parte opposta della macchina.

“Se ne occuperanno loro, non ti preoccupare” le disse, richiudendo lo sportello. Amanda rilassò i muscoli, passandosi una mano sul volto e strofinandosi gli occhi, poi accolse Roberta tra le sue braccia.

“Starà bene?” domandò la bambina, stringendosi alla sorella. Amanda annuì, accarezzandole piano i capelli con il dorso della mano “Sono sicura di sì”

Alessandro fece qualche passo verso la clinica, voltandosi poi verso le due ragazze “Venite, andiamo dentro. Credo ci sarà da aspettare un po'”



 

“Mi dispiace per la macchina” mormorò Amanda con sguardo basso, rompendo il silenzio presente da ormai svariati minuti “E anche per... tutto il resto”

Alessandro si voltò verso di lei, distogliendo l'attenzione da Roberta. Erano seduti nella sala d'attesa della clinica, incredibilmente bianca e pulita, piccoli sedili blu che occupavano due intere pareti. Oltre a loro tre vi erano solo altre due persone: un'anziana signora con un enorme gatto nero tra le braccia, e una coppia con ben quattro cagnolini in una gabbietta, i quali in quel momento erano occupati a farsi coccolare da Roberta.

“Non è stata colpa tua. Il cane si è lanciato davanti alla macchina, non ci sarebbe stato modo di evitarlo” disse Alessandro, passandosi una mano tra i ricci “Inoltre, non è successo niente di grave. A tutti capita un piccolo incidente di tanto in tanto”

“Non alla prima guida”

L'uomo ridacchiò, cercando di catturare nuovamente lo sguardo della ragazza “Vedrai che la prossima volta andrà meglio” la rassicurò. Aspettò qualche secondo, ma quando vide che non sembrava affatto convinta sospirò, sistemandosi meglio sulla poltroncina.

“Ti ho detto di aver già dato lezioni di guida ad un amico, giusto? Stefano, sempre lui. Io avevo diciannove anni, lui diciassette, e abbiamo deciso un giorno di prendere la macchina e farci un giro. Lui voleva guidare, e io non sono stato a pensarci troppo. Non ero proprio la responsabilità fatta a persona”

Si fermò un istante, quasi stesse assaporando il ricordo.

“Eravamo in una strada piuttosto isolata, così Stefano ha dato gas alla macchina e siamo partiti a tutta velocità. Tutto molto divertente, finché non siamo andati a sbattere contro una pattuglia dei carabinieri, con il risultato che io ho passato una notte in carcere, e a Stefano è stato proibito di frequentarmi fino alla maggiore età. Per non parlare poi della multa...”

Amanda fissò l'uomo con gli occhi sbarrati, indecisa se scoppiare a ridere o scappare a gambe levate. Più conosceva Alessandro, più si convinceva che l'uomo maturo che mostrava in classe come professore, altro non fosse che una facciata. Non era affatto sicura, però, di esserne dispiaciuta.

“Dopo quella volta abbiamo trovato la fabbrica, ai tempi molto meno fatiscente, e abbiamo continuato lì con le guide”

“Immagino la risata che si farà quando verrà a sapere che sono riuscita a fare un'incidente anche lì”

Alessandro scoppiò a ridere, annuendo divertito “Non me la lascerà passare, no. Mi ha sempre definito un pessimo insegnante”

“Nah, non sei poi così male” scherzò Amanda, dandogli un colpo con la spalla e ridacchiando a sua volta. Ora che sapeva di non essere stata la prima a rovinare la macchina di Alessandro, si sentiva decisamente più tranquilla.

Almeno non l'aveva fatto finire in prigione.

“I signori Navarra?” chiamò una voce, facendo voltare entrambi. Ci volle un po' troppo perché la ragazza si rendesse conto di essere stata chiamata con il nome di Alessandro, ma ormai era troppo tardi per obbiettare. Inoltre, lui non sembrava essersene fatto un problema.

Una giovane infermiera si avvicinò loro, portando con sé una cartelletta bianca e una penna, tendendole poi verso di loro. “Il vostro cane è stabile. Gli è stata fasciata la zampa e entro qualche settimana dovrebbe essere in grado di camminare di nuovo. Potete portarlo via questa sera stessa, ma sappiate che è obbligatorio microchippare i propri animali, e il vostro sembra esserne sprovvisto”

“Ah, no. No, il cane... il cane non è nostro. Mio” disse Alessandro, ora in piedi “Era in strada quando è saltato davanti alla mia macchina. Non so da dove provenga”

L'infermiera non sembrò affatto impressionata, mantenendo invece un'espressione annoiata “Come ho già detto, il cane è sprovvisto di microchip. Finché non sarà guarito, spetta a voi occuparvene”

“Non è possibile mandarlo in qualche centro, o qualcosa del genere?” domandò Amanda, sentendo Roberta avvicinarsi e poggiarsi al suo fianco.

“No, non finché non sarà guarito”

Alessandro si voltò verso Amanda, e questa sollevò le spalle “Non può stare da me, mio padre è allergico”

L'infermiera le lanciò un'occhiata stizzita, ed Amanda ebbe proprio l'impressione di non piacerle affatto “Forse avreste dovuto pensarci prima di investirlo”

Alessandro osservò la donna incredulo, sollevando leggermente le sopracciglia “Immagino che lo prenderò io, allora” disse, afferrando la cartelletta e leggendo il modulo al di sopra. Quando ebbe finito firmò sul fondo, riconsegnando tutto all'infermiera, la quale si allontanò senza degnarli di una seconda occhiata.

“Mi dispiace, ho combinato un macello” disse Amanda, passandosi le mani sul volto “Se il cane è un problema, posso organizzarmi per tenerlo chiuso da qualche parte...”

“Nessun problema, mi sono sempre piaciuti i cani” le assicurò lui, tornando a sedersi “E immagino che ora, considerato che lo terremo per varie settimane, ci serva un nome”

Amanda sorrise, alzando lo sguardo al soffitto con aria pensierosa “Visto quanto va veloce, direi che potremmo chiamarlo Flash”

“Flash” disse l'uomo, quasi stesse pregustando il nome “Mi piace. Tu che ne pensi?” domandò, voltandosi verso Roberta.

La bambina osservò Alessandro per qualche secondo, poi si voltò verso Amanda. Dopo qualche istante ripeté l'operazione, fermandosi finalmente sull'uomo “Penso che questo è il migliore compleanno di sempre!”

 

 

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Capitolo 9
*** Verità Bugiarde ***


Breathe Into Me

Capitolo Nono:
Verità Bugiarde

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DRIIIN!

Amanda staccò il dito dal campanello, mettendo entrambe le braccia dietro la schiena e mordendosi le labbra con agitazione. Sentì vari rumori dall'altra parte della porta, compreso quello improvviso di vetri rotti, poi finalmente dei passi che si avvicinavano.

Trattenne appena il fiato, preparandosi a fare il discorso che si era preparata a scuola quella mattina, ma quando la porta si aprì il suo sguardo si posò su un uomo bassino di mezz'età, i lunghi capelli biondi legati in una piccola coda e il volto ricoperto di piccole macchie di vernice.

Da quando Amanda lo conosceva, Eugene era sempre stato disordinato, ma quel giorno sembrava che gli fosse esploso un dipinto in faccia.

“Oh bonjour Amanda, Giulia non mi aveva detto che saresti passata” disse, cercando di pulirsi la fronte con il dorso della mano.

“Non l'ho avvertita che sarei venuta... speravo di poterle parlare”

Ad Eugene non serviva altro, poiché immediatamente spalancò completamente la porta, facendole segno di entrare “Ma certo, entra pure”

Si incamminò poi veloce verso il corridoio, lasciando che la ragazza lo seguisse, e raggiunse frettoloso quello che Amanda sapeva essere il suo studio, le macchie di vernice su tutti i muri circostanti che sembravano quasi essere state fatte appositamente con l'intento di preparare eventuali ospiti a quello che avrebbero trovato una volta dentro la stanza.

Amanda tuttavia era però sicura che niente avrebbe potuto preparare qualcuno al completo caos che vi regnava, i pennelli e le tele che ricoprivano ogni singola superficie, i barattoli di colore sparsi per tutto il pavimento insieme a fogli di appunti e matite. A giudicare dai cocci di un vaso su uno dei tanti piccoli tavolini nella stanza, era da quello che era giunto il rumore di vetri rotti sentito pochi minuti prima.

Giulia era seduta su uno sgabello, la fonte posata su un tavolo e le cuffiette alle orecchie. Proprio come suo padre, anche lei sembrava essere ricoperta di macchie di vernice, ma nel suo caso erano i capelli a sembrare essere appena usciti da una furiosa battaglia di Paintball.

Eugene si avvicinò alla figlia, scuotendola appena per una spalla. La ragazza bofonchiò qualcosa, poi sollevò lo sguardo verso il padre, gli occhi che faticavano a stare aperti.

Amanda fece un gesto con la mano, cercando di attirarne l'attenzione, sorridendo incerta quando l'amica incrociò il suo sguardo. Giulia sbadigliò sonoramente, poi si tolse le cuffie dalle orecchie e le ripose sul tavolo insieme al piccolo mp3 verde, sollevandosi in piedi e raggiungendo a passo veloce l'amica.

“Noi andiamo in camera mia!” annunciò ad Eugene, afferrando Amanda per un braccio e trascinandola con sé.

Amanda aspettò che Giulia si sedesse sul letto prima di chiudere lentamente la porta, poggiandocisi contro con la schiena. “Sono venuta per scusarmi, visto che a scuola non c'eri” annunciò subito, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio “Mi dispiace per come mi sono comportata ieri; non intendevo prendermela con te, né ignorarti poi in quel modo per tutto il resto del tempo. È che ogni tanto mi sembra di sbagliare tutto, non riesco a capire come dovrei comportarmi, cosa dovrei fare. Non volevo mettere Michela a disagio, né volevo che ci finissi tu in mezzo, e vorrei poter stare con entrambe senza ferire nessuno, ma sembro non esserne capace” si fermò un secondo per riprendere fiato “E tutto questo discorso serve solo per dirti che sono davvero dispiaciuta, e che ti chiedo scusa”

Amanda quando finì di parlare abbassò lievemente le spalle, quasi si sentisse già più leggera. Osservò Giulia fissarla in silenzio per qualche secondo, poi l'amica finalmente parlò:

“Tu ti scusi troppo”

Amanda si aprì in un sorriso, strofinandosi una mano sulla fronte “Sempre con sincerità però”

“Non ne dubito” disse Giulia, avvicinandosile “Ma questa volta non ce n'era proprio bisogno. Non hai fatto niente, né a me né tanto meno a Michela. Lei se l'è presa per un motivo ridicolo, e io me la sono presa perché lei se l'era presa per un motivo ridicolo. Non ero arrabbiata con te per te, ero infastidita che non ti rendessi conto di come Michela non avesse alcun diritto di essere arrabbiata! Voglio dire, sono anni che sei palesemente persa per Paolo-”

“Non lo sono più!” la interruppe Amanda, scuotendo velocemente la testa “E Michela lo sapeva. Glielo avevo detto, più e più volte. Aveva tutto il diritto di baciare Paolo senza dovermi dare alcuna spiegazione. Ma anche se fossi stata davvero ancora... interessata a lui, di certo non avevo nessuna pretesa”

Giulia sospirò “Non c'è proprio verso di farti ragionare eh?”

Amanda non rispose, cercando invece di farsi coraggio per quello che aveva intenzione di fare adesso. Ci aveva pensato tutta la notte, girandosi e rigirandosi nel letto senza trovare pace, e alla fine aveva deciso che aveva bisogno di parlare con qualcuno, di confidarsi, prima che la testa le esplodesse o i suoi pensieri la conducessero dritta in manicomio.

“Non sono venuta qui solo per scusarmi” butto lì con fare casuale, ammirando con interesse i vagamente inquietanti disegni dell'amica appesi al muro.

“Immaginavo fossi anche venuta per ammirare la mia superba persona, ma mi pareva scortese dirlo” disse Giulia, sorridendo pienamente soddisfatta. Dopo qualche secondo comunque si tese verso l'amica, gli occhi che brillavano di interesse “Nessuna risposta, eh? La cosa deve essere importante allora”

Amanda strinse le spalle leggermente a disagio “Non direi importante. Si tratta di... ehm, Matteo. Il collega di mio padre, non so se ricordi”

“Certo che me ne ricordo! Il tizio figo con almeno dieci anni più di te. What about him?”

Amanda cercò di ignorare l'espressione euforica dell'amica “Io... ecco, la sera della festa lui... lui mi aveva offerto delle lezioni di guida”

“Spero bene per te che tu le abbia accettate”

“Sì. No! Le ho accettate, ma non per il motivo che pensi tu” disse, ispirando pesantemente “Mi serve davvero la patente, e quando me l'ha chiesto io ero... non completamente in me, perciò ho accettato”

“La tua te ubriaca è molto più saggia della tua te sobria, lasciatelo dire” asserì con assoluta serietà Giulia, annuendo decisa “Perciò queste lezioni...”

“Ieri si è presentato alla porta di casa mia, poco dopo la festa, e mi ha proposto di fare la prima”

“Così? In pareo e canottiera?”

Amanda arrossì appena “Ho messo un paio di pantaloni prima di uscire”

“Perdendo così un'ottima occasione per mostrare le gambe. Ragazza mia, a te manca proprio la tecnica”

“Giulia!”

“Ehi, io sto dicendo la verità. Sono sicura che lui avrà pensato lo stesso”

Amanda rimase in silenzio per qualche secondo, la mente che provava a visualizzare Alessandro dispiaciuto di non poterle vedere le gambe. Il pensiero era talmente ridicolo che dovette scuotere fisicamente la testa per scacciarlo. O forse troppo piacevole.

“Lui non è interessato a me in quel modo” dichiarò “Non so nemmeno se io sono interessata a lui in quel modo”

Giulia sollevò un sopracciglio, osservandola piena di scetticismo “A me sembri decisamente interessata”

“Lo sono, per certi versi. Per altri però... non lo so. Non è come con Paolo, con lui era tutto molto più semplice. Mi piaceva osservarlo da lontano, mi piaceva pensare che forse un giorno si sarebbe accorto di me, che mi avrebbe...” salvata “amata”

Chiuse gli occhi, i pensieri che sembravano diventare più chiari ad ogni parola “Ma con Al... con Matteo, con lui non è così. Con lui io mi sento... non saprei, più spensierata, forse. E quando dico che non so se sono effettivamente interessata in quel modo, è perché anche solo lo stare con lui, così, senza alcun motivo particolare, senza alcun legame, è qualcosa di incredibilmente piacevole.

Ne sono attratta, non fraintendermi. Forse fin troppo, in effetti. Però so bene che tra noi non potrebbe mai esserci niente. E la mia mente sembra saperlo meglio di me, perché mi sembra impossibile anche solo immaginare uno scenario simile”

“O forse semplicemente sei tu che non vuoi permetterti di immaginarlo, perché temi che ci resteresti troppo male se non avvenisse” disse Giulia, la testa appena piegata verso destra e l'espressione sinceramente addolcita “Perché non ti ritieni abbastanza, perché non credi che lui potrebbe mai interessarsi a te. Beh, notizia flash: è già interessato a te. Forse non in un senso romantico, ma lui ti ha notata. Ha fatto proprio quello che Paolo non è stato in grado di fare – e personalmente ritengo questa già un grande punto a favore dell'intelligenza di questo Matteo – e ora tu hai paura di rimanere delusa”

Amanda sentì le parole di Giulia penetrarla come fossero frecce, la verità di quest'ultime che non lasciava scampo, facendosi impietosamente strada verso il suo cervello. Certo che non si sentiva abbastanza, lei non era abbastanza. Non era abbastanza per i suoi professori, non era abbastanza per sua madre, non era abbastanza per suo padre. Non era un'amica abbastanza brava, né una sorella abbastanza capace. Non era una ragazza abbastanza bella, né abbastanza intelligente. Come avrebbe potuto essere abbastanza per Alessandro? Come avrebbe potuto essere abbastanza per chiunque?

Lui l'aveva notata, era vero, ma solo perché per qualche contorto motivo si sentiva responsabile per lei, provava pena per lei. Se il giorno prima la madre non l'avesse picchiata, lei avrebbe continuato ad essere una delle sue tante studentesse – e nemmeno tra le più brillanti, per giunta.

“Perché ti ostini a sottovalutarti? Perché non vuoi vedere come sei davvero?” domandò Giulia, cercando di catturare il suo sguardo, ora puntato verso il pavimento.

“Come sono Giulia? Cosa sono se non ordinaria? Io mi vedo perfettamente, sei tu che non sei abbastanza obbiettiva”

“E anche se fossi ordinaria? E' davvero così terribile? Sei gentile, altruista, intelligente. Hai sacrificato la tua intera adolescenza per prenderti cura di Roberta, e basta vedere la magnifica bambina che è per capire quanto sei meravigliosa tu stessa. Sei una delle persone più forti che conosco. Fidati di me, se tutte le persone ordinarie fossero così, il mondo sarebbe un posto molto migliore”

Amanda sentì gli occhi inumidirsi, lo sguardo ancora fisso sui suoi piedi “Non sono forte. Vorrei esserlo, ma non ci riesco”

“Se questo è ciò che pensi, allora non è un buon motivo per smettere di provarci. Piccoli passi, non c'è nessuna fretta. E quale miglior modo di iniziare se non smettere di essere terrorizzata al solo pensiero di poter effettivamente piacere a Matteo?”

“Anche se fosse” sussurrò la ragazza, asciugandosi veloce gli occhi “Sarebbe tutto troppo sbagliato. Lui è più grande ed è fidanzato, inoltre metterebbe a serio rischio la sua carriera”

“La sua carriera?”

Amanda strinse gli occhi, maledicendosi mentalmente. Restò qualche istante in silenzio, la mente furiosamente in cerca di una qualche scusa vagamente verosimile, poi sollevò lo sguardo verso l'amica “Se mio padre lo scoprisse, non credo ne sarebbe felice. Potrebbe decidere di licenziarlo”

Giulia corrucciò le sopracciglia, l'espressione confusa “Aspetta, credevo fossero colleghi. Mi stai dicendo che Matteo è un dipendente di tuo padre? Ma non era un imprenditore?”

“Sì, esattamente. Matteo è una specie... una specie di stagista. Circa” se avesse potuto rimangiarsi ogni singola parola l'avrebbe fatto. Era decisamente un disastro ad inventarsi bugie, sopratutto così in fretta. Inoltre, dopo la sincerità e supporto mostrati dall'amica, il senso di colpa per le sue menzogne stava diventando sempre maggiore.

Dopo quell'inconveniente, tuttavia, le due ragazze continuarono a parlare di Alessandro. Amanda raccontò a Giulia l'intera precedente serata, cercando poi di dissuadere l'amica dall'idea di conoscere Flash, dichiarando con fermezza che non aveva intenzione di tendere un agguato a Matteo.

Fu solo dopo che ebbero mangiato un enorme pizza che Amanda decisa finalmente di tornare a casa, decisa ad approfittare dell'abitazione vuota per godersi qualche ora di relax.. Roberta sarebbe rimasta a casa di Caterina fino alla mattina dopo, perciò il pomeriggio di Amanda era completamente libero.

Uscì da casa di Giulia con un piccolo quadretto in mano, regalo di Eugene. L'uomo non la lasciava mai andare via senza prima averle donato una qualche opera da lui prodotta, e Amanda si sentì segretamente sollevata quando vide quel dipinto così innocuo, il ricordo dell'ultima statua di fil di ferro ancora ben stampata nella mente.

Era ormai a metà strada quando si fermò, ispirando ed espirando lentamente. Prese con qualche difficoltà il cellulare dalla tasca, poi frugò in quella del cappotto, tirando fuori un piccolo bigliettino bianco. Lo osservò per qualche secondo in silenzio, poi compose il numero scritto su di esso sul telefono, salvandolo nella rubrica e aprendo un nuovo messaggio.

Ehi, sono Amanda. Questo è il mio numero nel caso dovesse servirti. Spero che con Flash sia tutto ok :)

Lo rilesse svariate volte, aggiungendo e togliendo parole, continuando ad osservare lo smile alla fine del messaggio e chiedendosi se non fosse troppo confidenziale, troppo infantile. Alla fine premette invio, riponendo il cellulare in tasca.

Piccoli passi Amanda, piccoli passi.

 

 

Una volta arrivata a casa, passò le successive due ore ad osservare ossessivamente il telefono posato sul comodino, le orecchie tese nella speranza di sentire la familiare suoneria che indicava l'arrivo di un messaggio. Dopo aver controllato per l'ennesima volta lo schermo, senza successo, decise che aveva decisamente bisogno di darsi una calmata. Si stiracchiò, ascoltando il piacevole suono delle ossa che scrocchiavano, poi riempì la vasca da bagno, decisa a passare qualche minuto di totale relax.

Versò la solita, esagerata, quantità di bagnoschiuma ai frutti di bosco, poi si spogliò veloce, immergendosi con un mugolio di piacere nell'acqua bollente.

Posò la nuca sul comodo cuscinetto posto al bordo della vasca e chiuse gli occhi, ascoltando il rumore delle bolle di sapone che scoppiavano e facendo profondi respiri.

Per quanto avrebbe voluto svuotare la mente, ciò che aveva detto Giulia quella mattina continuava a premere insistente, domandando attenzione. C'era davvero forse una qualche possibilità che potesse succedere qualcosa tra lei e Alessandro? O anche solo che a lui lei potesse interessare in senso romantico?

L'idea le pareva assolutamente ridicola, eppure si sforzò di immaginare una simile eventualità. Probabilmente che a lui potesse piacere una ragazza di diciassette anni sarebbe apparso vagamente anomalo, ma era anche vero che, alla fine, la loro differenza di età non era così immensa.

I genitori di Amanda avevano ben quindici anni di differenza, e nessuno sembrava aver mai trovato niente da obbiettare al riguardo.

Il problema principale probabilmente sarebbe stato il fatto che lui era il suo professore. Nell'assurdo caso che fosse successo qualcosa tra loro due, lui non avrebbe solo rischiato di perdere per sempre la possibilità di insegnare di nuovo, ma sarebbe anche potuto finire in carcere.

Inoltre c'era Lara, l'indipendente e di successo Lara. Perché mai Alessandro avrebbe dovuto voler lasciare una donna così splendida per una ragazzina?

Però Amanda ancora ricordava quello che Alessandro le aveva detto il sabato della festa, la sua elusiva risposta quando gli aveva chiesto se ne era innamorato. “E' più complicato di così” non era sicuramente un elogio al loro rapporto. Eppure, entro l'anno successivo si sarebbe trasferito con lei a Milano.

Amanda batté con rabbia i pugni sulla superficie dell'acqua, bagnando le piastrelle pallide del pavimento. Perché stare a riflettere su inutili frasi che non era neanche sicura non fossero accadute solo nella sua mente? Lei non voleva una relazione romantica con Alessandro! La sua vita era già abbastanza complicata così, senza aggiungerci relazioni clandestine e decisamente illegali.

E anche se l'avesse voluta, mai e poi mai sarebbe potuta accadere. Era del suo professore che stava parlando, lo stesso uomo che due anni prima si era scontrato con una lei appena quindicenne in corridoio, chiedendo informazioni sull'aula professori. Amanda era rimasta a fissarlo imbambolata per quindici secondi buoni, chiedendosi grazie a quale miracolo divino quello fosse il nuovo professore di filosofia – o, come le aveva confessato qualche mese dopo Giulia, chi avesse venduto l'anima a Satana per averlo.

Sicuramente lui ricordava l'incidente, senza dubbio uno dei momenti più imbarazzanti della carriera scolastica di Amanda. Quando ormai si era accertato che lei non avrebbe proferito parola, aveva ridacchiato con fare divertito, promettendole che non l'avrebbe morsa – non in presenza di testimoni almeno.

Il volto di Amanda si colorò di rosso al ricordo di quanto fosse stato umiliante quel loro primo incontro, e la ragazza con un rapido movimento lasciò scivolare il viso sotto il pelo dell'acqua, quasi sperasse di cancellare via ogni traccia del ricordo.

Aprì gli occhi, ignorando l'iniziale bruciore del sapone e assaporando la calma che regnava nel piccolo mondo subacqueo della sua vasca. Se avesse potuto, probabilmente sarebbe rimasta lì per sempre; quanto sembravano futili i suoi problemi là sotto!

Ascoltò il suono del sangue che le pulsava nelle orecchie fino a quanto non cominciarono a bruciarle i polmoni, poi lentamente riemerse, il tempo che sembrò improvvisamente riprendere a scorrere.

Si insaponò velocemente capelli e corpo, poi dopo essersi sciacquata per bene uscì dalla vasca, cercando senza troppo successo di ridurre al minimo gli sgocciolamenti. Si avvicinò al lavandino, asciugando con un asciugamano il vapore formatosi sullo specchio e guardandosi dritta negli occhi ambrati. Era in momenti come quelli, quando scendeva quella patina di calma nella sua quotidianità, che Amanda si rendeva conto di come la sua vita quasi non le appartenesse. Ogni singola giornata era vissuta con inerzia, compiendo gli stessi gesti, provando le stesse, contrastanti emozioni. Spesso era quasi come se lei altro non fosse che una spettatrice della sua stessa vita, e quelli che le sembravano suoi gesti, sue decisioni, altro non erano che un inganno.

Passandosi una mano tra i capelli bagnati, cercò di concentrarsi, ascoltando il battito del proprio cuore, la sensazione delle gocce d'acqua che le scendevano lungo le spalle e la schiena, la consistenza del tappeto sotto i piedi nudi.

Era davvero così importante stabilire cosa ci fosse e cosa non tra lei e Alessandro? Era davvero così necessario farsi tutti quei problemi, tutte quelle paranoie?

Non poteva semplicemente godersi il tempo passato con lui, e prendere le cose come venivano?

Sì, decise, era proprio quello che avrebbe fatto. Doveva rilassarsi, prendere le cose più alla leggera. Aveva problemi ben più gravi, e considerato la sua incombente maggiore età avrebbe dovuto cominciare a preoccuparsi di quelli.

E fu proprio con questa appena ritrovata filosofia di vita che, dopo essersi lavata i denti, si mise addosso l'accappatoio e tornò in camera sua, dando un'ultima veloce occhiata al cellulare così da mettersi una volta per tutte il cuore in pace.

Cuore che quasi le saltò fuori dal petto quando vide che c'era un nuovo messaggio.

Volevo giusto chiederti il numero ieri sera, ma me ne sono scordato. E se vuoi raggiungerci, Flash e io stiamo andando al parco in questo preciso istante

Amanda controllò l'orario, sussultando appena quando si accorse che il messaggio era stato ricevuto alle sei, oltre mezzora prima.

Forse doveva rispondergli, chiedendogli di aspettarla; avvertirlo che sarebbe arrivata.

Ma lui d'altronde non le aveva chiesto se voleva raggiungerli, aveva solo fatto una proposta.

Era passata mezzora, non era molto, probabilmente sarebbe rimasto lì almeno altri venti minuti. Se si fosse preparata in fretta, lei in dieci minuti avrebbe potuto essere fuori casa; altri quindici per arrivare al parco, e il gioco era fatto.

Non stette nemmeno a rifletterci su, lanciandosi verso l'armadio e togliendo tutti i vestiti che riusciva dalle grucce, poggiandoli senza troppi preamboli sul grande letto matrimoniale.

Nonostante fosse appena il 15 di Marzo, la giornata era sorprendentemente calda, il sole che brillava ancora in cielo.

Afferrò perciò una leggera camicia bianca a maniche corte, buttando a terra l'accappatoio e lottando con la chiusura del reggiseno, che proprio non voleva saperne di allacciarsi. Afferrò poi un paio di jeans, rischiando di cadere a terra nel tentativo di infilarseli contemporaneamente in entrambe le gambe. Stava quasi per allacciarli, quando il suo sguardo si posò su una delicata gonna azzurrina lunga appena sopra il ginocchio. Gliela aveva regalata la madre per natale, asserendo come suo solito che ad Amanda serviva qualcosa di più femminile dei Jeans che indossava sempre.

Non aveva ancora avuto occasione di indossarla, e onestamente non pensava nemmeno che l'avrebbe mai fatto, ma le parole di Giulia erano ben presenti nella sua mente, il pensiero che ad Alessandro potessero davvero interessare le sue gambe si rifiutava di lasciarla in pace.

Si sfilò veloce i pantaloni, ringraziando il cielo di essersi depilata il giorno prima per mettere il pareo, poi si infilò la gonna, indossando un paio di sandali marroni. Si diede una rapida occhiata allo specchio, osservando con disapprovazione i capelli fradici. Afferrò la spazzola posata sul suo comò e cominciò a districarsi senza pietà tutti i nodi, ignorando il lago che si stava formando ai suoi piedi. Decise di lasciarli sciolti, nella speranza che durante il tragitto si asciugassero, poi afferrò la borsa e si lanciò fuori casa, rischiando quasi di chiudersi le dita in mezzo alla porta.

Percorse l'intero tragitto fino al parco camminando il più velocemente possibile, continuando a ricordarsi che lui avrebbe potuto essersene già andato, che non c'era bisogno di agitarsi in quel modo. Possibile che la sua nuova filosofia fosse stata spazzata via così da un semplice messaggio?

Quando finalmente scorse il parco, rallentò, cercando di riprendere fiato. Si avvicinò all'entrata con fare casuale, buttando uno sguardo qui e lì alla ricerca di Alessandro, dirigendosi automaticamente verso l'albero sotto il quale era solita sedersi a leggere.

Arrivata davanti alla pianta si fermò sorpresa, osservando una familiare figura seduta sul prato con la schiena poggiata al tronco, la mano stretta in un enorme guinzaglio marrone e un altrettanto gigantesco cane accovacciato lì accanto.

E così non se n'è andato.

Flash sollevò il muso quando la vide avvicinarsi, lasciandosi accarezzare la morbida pelliccia e strusciando la testa contro le gambe di Amanda, la quale nel frattempo si era seduta accanto a loro.

Alessandro sembrava essere profondamente addormentato, la pancia che si alzava ed abbassava ritmicamente e le labbra leggermente dischiuse. Amanda lo osservò in silenzio, studiandone oggi centimetro. Per l'ennesima volta, si stupì di quanto Alessandro fosse bello; i ciuffi ribelli che gli accarezzavano il volto, il filo di barba che accentuava il rosa pallido delle sue labbra, il pomo d'Adamo che di tanto in tanto sussultava, mettendo in risalto le vene sul collo.

Indossava una maglietta rosso spento che metteva in mostra il suo fisico robusto, lasciando intravvedere i pettorali che Amanda sapeva bene esserci sotto. Provò il bruciante desiderio di tendere una mano e scostagli i capelli dalla fronte, o posare la testa sul suo petto, ascoltando il battito del suo cuore, ma si trattenne, continuando invece ad accarezzare Flash.

Stava quasi cadendo lei stessa in preda al torpore quando Alessandro mugugnò qualcosa, stiracchiandosi e stropicciandosi gli occhi con aria intontita. Sembrò impiegare un po' ad accorgersi della presenza di Amanda, sbadigliando profondamente e sorridendo appena.

“Da quanto sei qui?” domandò, la voce impastata dal sonno. Amanda si strinse le spalle “Non più di dieci minuti”

“Avresti dovuto svegliarmi”

“Perché mai? Sei così carino quando dormi” scherzò, cercando di nascondere il leggero rossore che pronunciare quella frase le aveva procurato.

Alessandro storse la bocca, raddrizzandosi e tirando indietro le spalle “Immagino” borbottò, adocchiando poi Flash “E tu, brutto Giuda, non ti sei preoccupato di svegliarmi”

Flash osservò per qualche secondo Alessandro, poi sbadigliò, voltando il muso dall'altra parte.

“Non sembra molto impressionato” notò Amanda, trattenendo una risata.

Alessandro sospirò rumorosamente, passandosi una mano tra i capelli “Sono contento che sei venuta, non ci speravo più”

“Ero occupata” disse Amanda, scegliendo di restare sul generico “Appena ho finito sono venuta”

“Lavori part-time come vigile del fuoco?”

“Uh?”

“Sei tutta bagnata”

Amanda abbassò lo sguardo, rendendosi improvvisamente conto di come i capelli le avessero completamente infradiciato la camicia, lasciando intravvedere il reggiseno al di sotto. “Oh” borbottò, stringendosi le braccia al petto “Ho fatto un bagno”

“Battuta triste, chiedo venia. Credo sia una caratteristica essenziale per diventare professore, sai, quella di avere un pessimo umorismo”

Amanda preferì non commentare quell'affermazione.

Flash spostò pigramente il muso sul grembo di Amanda, allungando il collo così da raggiungere alcune margherite dall'altra parte, masticandole con svogliatezza.

“Sembrano buone” disse Amanda, grattandogli delicatamente un orecchio.

Alessandro rilasciò uno sbuffo “Non quanto delle scarpe di Prada, immagino”

“Non dirmi che...”

“Oh sì. Tornando da scuola l'ho trovato in camera da letto a sgranocchiare spensieratamente tutte le scarpe di Lara, comprese il nuovissimo paio comprato lo scorso fine settimana. Non so chi tra me e Flash sarà il primo a lasciare questo mondo quando lei lo scoprirà”

Amanda nascose il viso tra le mani, scuotendo con forza la testa “Oddio, mi dispiace tantissimo” disse, non sapendo se ridere o piangere. Alessandro scosse una mano “Ah, in tutta onestà ho sempre pensato fossero piuttosto brutte. Sono contento di sapere che il piccolo mostro condivideva la mia opinione”

“Credi che deciderà di mandarlo via?”

“Fino a prova contraria, quella è ancora casa mia. Abbiamo convissuto per un paio di anni, ma ora lei ha un appartamento a Milano, e ti assicuro che lì ha abbastanza scarpe da nutrire Flash per una vita”

Amanda si morse il labbro inferiore, curiosa ma allo stesso tempo restia a parlare “Deve essere difficile mantenere una relazione a distanza”

“E' piuttosto liberatorio, in realtà. Entrambi abbiamo bisogno dei nostri spazi, e quando vivevamo insieme faticavamo a stare anche un solo giorno senza litigare. Credo che la distanza ci abbia fatto solo che bene”

“Ma tra poco ti trasferirai da lei, non è vero? Cosa pensi succederà allora?”

Alessandro rimase in silenzio per qualche secondo “Onestamente, non lo so. Il rapporto tra me e Lara è piuttosto particolare. Io rispetto lei, lei rispetta me, ed entrambi condividiamo lo stesso bisogno di spazio. Immagino troveremo un modo per convivere in tranquillità”

Amanda abbassò lo sguardo, stringendo appena le labbra. Alessandro dovette notarla, perché sporse appena la testa verso di lei “Non sembri convinta”

“Io... non saprei. È che non credo riuscirei a stare in un rapporto basato esclusivamente su del rispetto. Cosa ne è dell'amore, dell'attrazione, della spontaneità?” sussurrò, sospirando appena “Ma queste probabilmente sono solo mie fantasie. Non sono nemmeno più tanto sicura che esista, l'amore”

“Esiste”

Amanda alzò lo sguardo sorpresa, incrociando quello incerto di Alessandro. L'uomo ispirò, passandosi una mano sul mento “Durante i miei primi anni alle superiori, avevo un amico, Luca. Avevamo frequentato insieme anche le medie, e in effetti era stato solo per lui che avevo scelto il liceo classico, invece di andare ad un professionale. Durante il terzo anno, però, si innamorò di questa ragazza, Veronica. Era una ragazzina piccolissima, ma capace di muovere montagne. Era la migliore amica di sua sorella, e per questo motivo da quando si erano messi insieme non potevamo più uscire da soli senza che si aggregassero anche le due ragazze. Non capivo perché la situazione mi desse così fastidio, immaginai che fosse un semplice istinto protettivo nei confronti del mio migliore amico, così decisi che avrei dovuto impegnarmi per far si che quei due si lasciassero”

Ridacchiò appena, scuotendo la testa “Me ne sono dato di pena per riuscire nel mio intento, non ne hai idea. Ho messo in giro le voci più assurde sul conto di quella povera ragazza, le ho reso il secondo anno assolutamente impossibile. Sono andato avanti finché Veronica non si è stancata dell'impassibilità di Luca di fronte al mio comportamento, rompendo con lui”

Prese un respiro, diventando immediatamente più serio “Ne uscì distrutto. Non mangiava, quasi non parlava più, i suoi voti stavano scendendo drasticamente. Per la prima volta, mi resi conto di quanto fosse veramente innamorato di Veronica, e di quanto egoista ero stato. Passai i successivi tre mesi a fare di tutto per far sì che tornassero insieme, passando le mie giornata a parlare con Veronica nel tentativo di farle capire che era tutta colpa mia, che Luca aveva bisogno di lei.

Fu proprio nel momento in cui riuscì a farli tornare insieme che mi resi conto di essermi innamorato di Veronica”

Amanda arcuò con sorpresa le sopracciglia, osservando Alessandro con tristezza.

“Forse ero innamorato di lei da molto prima, forse lo ero dal primo momento in cui l'avevo vista, fatto sta che me ne accorsi solo quando ormai era troppo tardi. Decisi di dimenticarla, sapendo bene che non avrei mai potuto averla. Il fatto che dovessi passare con lei quasi ogni giorno non rendeva però le cose facili, e inevitabilmente finì per fare una cosa stupida, confidandole i sentimenti che provavo per lei.

Non saprei descrivere la felicità che provai quando mi confessò di ricambiarli. Al momento non pensai alle conseguenze che tutto quello avrebbe portato, mi preoccupai solo di noi due, di lei. Quel giorno persi un amico, ma ero talmente innamorato che quasi non me ne importava”

Alessandro si fermò, guardando Amanda dritta negli occhi “Siamo rimasti insieme per due anni. Poco dopo le fine del quinto anno, Veronica mi confessò di essere sempre stata innamorata di Luca, che io ero stato un errore. Per quanto ne so, si sono sposati un paio di anni dopo”

Amanda era senza parole. La tristezza negli occhi di Alessandro era immensa, e la ragazza era più che sicura che non avesse mai davvero superato l'amore nei confronti di Veronica.

“E' terribile, mi dispiace”

Alessandro sorrise, un sorriso velato di tristezza “Lo è, ma se potessi tornare indietro non cambierei niente. La felicità che ho provato è valsa tutto il dolore”

Amanda non commentò, abbassando lo sguardo. Non condivideva l'ultima frase di Alessandro, ma non poteva di certo dare un'opinione sui sentimenti di qualcun altro.

“Allora perché hai smesso di cercare?” domandò dopo qualche secondo “Se sai che esiste, perché non tentare di provare ancora qualcosa di simile? Con un finale più felice, magari”

“Perché credo che certe cose ti capitino solo una volta nella vita, e io ho usufruito della mia occasione”

“Balle”

Amanda strinse gli occhi, rendendosi conto di aver espresso il suo pensiero ad alta voce. Avrebbe voluto sotterrarsi, avrebbe voluto che una nave aliena la rapisse proprio lì, in quell'istante.

Sollevò timidamente lo sguardo, quasi sperando che Alessandro non l'avesse sentita, ma lui era lì che la fissava con scetticismo, chiaramente in attesa di una spiegazione.

“Mi dispiace, fingi che non abbia detto niente”

“Difficile farlo, quando sembra chiaro che disapprovi il mio pensiero”

“Questa storia non mi riguarda, perciò non ho diritto di metterci becco”

“Sono io che ti chiedo di farlo. Davvero. Credi che non sia vero? Credi che ci sia più di un'occasione? Non avere paura di esprimere la tua opinione” disse, e Amanda non potè fare a meno di notare la punta di fastidio nella sua voce.

Si morse le labbra a disagio, facendosi forza “Non credo che tu lo pensi veramente, ecco tutto”

Alessandro continuò ad osservarla con insistenza, chiaramente non soddisfatto della risposta.

“Non penso che tu creda... che ci sia solo un'occasione. Né credo che la poca felicità che hai provato sia valsa tutto il dolore che stai ancora chiaramente provando. Se davvero ritenessi che fosse così, allora andresti oltre ciò che credi, e proveresti comunque a cercare di ripetere l'esperienza, e cercare di rivivere quell'amore che ti ha reso così felice. Io credo che tu abbia paura di innamorarti di nuovo, perché temi che finiresti per provare nuovamente tutto il dolore che hai provato con Veronica. E personalmente ti capisco, so cosa vuol dire avere paura di restare delusi, di soffrire, ma questo non dovrebbe impedirti di provare”

Complimenti per l'ipocrisia, Amanda, pensò, sentendosi una completa impostora. Non era forse lei la prima che si rifiutava di anche solo tentare, così da non rischiare illudersi? Non aveva forse affrontato poche ore prima lo stesso discorso con Giulia, solo a ruoli invertiti?

Come poteva pensare di fare un discorso simile ad un uomo adulto, quando lei stessa ancora non era nemmeno vicina a liberarsi delle sue insicurezze?

Lo sguardo di Alessandro era fisso su di lei, l'espressione illeggibile. Gli occhi di lui erano puntati su quelli di lei, scrutandovi dentro come se potessero rubarle l'anima. Fu solo quando questi scesero verso le sue labbra che Amanda notò la differenza nel suo sguardo, quasi qualcosa si fosse acceso in lui, qualcosa che le faceva sentire dei brividi lungo la schiena.

Fu questione di secondi, perché improvvisamente quella luce di spense, quasi qualcuno avesse premuto un interruttore. Alessandro chiuse gli occhi, rilassando le spalle, e Amanda rimase ferma, l'ombra del desiderio che aveva visto nello sguardo dell'uomo stampato a fuoco nella sua mente.

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Capitolo 10
*** Un Problema Tira l'Altro ***


Breathe Into Me

Capitolo Decimo:
Un Problema Tira l'Altro

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Amanda si sedette con un tonfo sulla sedia, schiarendosi la voce. Sollevò lo sguardo verso Alessandro, solo per riabbassarlo imbarazzata quando si rese conto che lui la stava fissando, sorridendo in quel suo modo così disarmante.

Si guardò attorno, osservando i suoi compagni chiacchierare tra loro, non troppo interessati a quanto stava accadendo alla cattedra.

Le piaceva essere così vicina ad Alessandro, talmente vicina da poter sentire il suo profumo di ginepro e muschio, il calore emanato dal suo corpo, il veloce battito del suo cuore. Si sporse verso di lui, sussurrando appena: “So cosa hai pensato al parco”

Non ci fu risposta alla sua affermazione, perciò Amanda sollevò gli occhi. Alessandro era a pochi centimetri da lei, i suoi occhi ora quasi neri tanta era la lussuria che vi bruciava.

Non ci fu bisogno di dire altro, che le braccia di lui la circondarono, attirandola a sé. In pochi istanti Amanda si ritrovò in piedi, schiacciata contro il petto dell'uomo mentre le di lui labbra le sfioravano piano la spalla, il mento, la bocca.

Ricambiò i suoi baci, il respiro pesante mentre cercava disperatamente di riuscire a recuperare tutto l'ossigeno possibile nei brevi istanti in cui riusciva a staccarsi da Alessandro. Lasciò che le mani le scivolassero lungo la sua schiena, scendendo fino al bordo dei pantaloni. Con un gesto brusco gli sfilò la camicia da quest'ultimi, sollevandola poi abbastanza da toccargli la schiena nuda, aggrappandovisi come se la sua vita dipendesse da quello.

Sentiva la testa che le girava, ma non se ne curò affatto. Quasi si lasciò scappare un gemito quando le labbra dell'uomo si spostarono sulla sua gola, trattenendolo forzatamente sapendo bene che avrebbero potuto sentirla.

Un'orribile sensazione la colpì, obbligandola a fermarsi.

I suoi compagni! Come aveva potuto dimenticarsene?! Erano proprio lì, in quella stanza insieme a loro. Avrebbero potuto vedere ogni cosa, e Alessandro sarebbe sicuramente finito nei guai.

Si scansò a fatica dal petto dell'uomo, ma quando sì voltò si rese conto che in classe non c'era proprio nessuno.

“Siamo solo noi” bisbigliò lui, sollevandola e facendola sedere sulla cattedra, le mani che le accarezzavano tutto il corpo e le labbra nuovamente sul suo collo.

Amanda lasciò cadere la testa all'indietro, chiudendo gli occhi e stringendo tra le dita i morbidi riccioli di Alessandro.

“Come puoi farmi questo?!” domandò una voce in tono rabbioso, parandosi davanti a loro. Amanda osservò le lacrime sul volto di Lara, voltandosi poi verso Alessandro. Questo non sembrò essersi accorto di niente, perché continuò a baciarla, stringendosi sempre più a lei.

Solo allora Amanda si rese conto che Lara si stava rivolgendo a lei.

“Lui non ti ama” le rispose, Alessandro che nel frattempo scendeva giù per la sua gola, per il suo petto “Tu non lo ami”

“Pensi che lui ami te?” domandò allora Lara, avvicinandosi ancora. Amanda guardò nuovamente l'uomo, quasi si aspettasse che fosse lui a rispondere a quella domanda, ma le sue speranze furono vane.

“Lui non ti amerà mai. Ha amato solo una persona nella sua vita, e non sei tu”

“Può amare ancora”

Lara scoppiò a ridere “E se anche fosse, credi che quella persona saresti tu? Pensi che potresti mai farlo innamorare di te, quando io non ci sono riuscita?”

Amanda non riuscì a rispondere, poiché Alessandro le afferrò il mento, obbligandola a guardarlo negli occhi “Sei solo una bambina”

“Questa è una bugia!” esclamò Amanda, scuotendo la testa “Non lo pensi davvero. Non è così che mi guardi, non è così che mi stai baciando”

Alessandro sorrise appena, un velo di cattiveria nel suo sguardo che stonava con il suo aspetto angelico “Baciarti? Io non ti bacerei mai”

Amanda si allontanò appena “Ma... lo stavi facendo... io...” si allontanò ancora, e improvvisamente si rese conto che Alessandro non si era mai alzato dalla sua sedia, i capelli in ordine e la camicia infilata nei pantaloni.

“Non eri così, no, no! E' successo davvero!”

“Pensi davvero che potrei mai desiderarti? Pensi davvero che potrei mai essere interessato a te?”

“Io l'ho visto... l'ho visto...”

Alessandro sorrise nuovamente, poi si sporse verso di lei, asciugandole una piccola lacrima furtiva “Forse è stato solo un sogno”

 

 

Amanda aprì gli occhi di scatto.

Le ci volle qualche secondo per rendersi conto di essere in camera sua, sdraiata nel suo letto sotto un lenzuolo leggero. Lasciò sprofondare la testa ancora più profondamente nel cuscino, facendo dei profondi respiri nel tentativo di calmarsi e osservando come nonostante il sogno stesse lentamente svanendo, l'angoscia da esso lasciata fosse ancora chiaramente lì con lei.

Una vampata di calore le si sparse per le guance non appena riuscì a ricordarsi cosa stesse facendo prima che il sogno si trasformasse in un incubo, il sapore della pelle di Alessandro ancora sulle sue labbra. Strinse gli occhi con forza, incredibilmente imbarazzata.

Le cose stavano davvero superando ogni limite. Come avrebbe fatto anche solo a rivolgergli la parola adesso?

In effetti, forse quello non sarebbe stato poi un problema così grande: era da oltre una settimana che Alessandro si comportava in maniera fredda nei suoi confronti. Era sempre gentile con lei, salutandola la mattina per i corridoi e sorridendole in classe, ma era innegabile la differenza con la quale lo faceva, portandola quasi a chiedersi se tutto quello che credeva di aver visto nei giorni precedenti altro non fosse stato che frutto della sua fantasia.

Forse si sentiva a disagio dopo averle confessato di Veronica; forse credeva che fosse lei a sentirsi a disagio, ed era per questo che il suo comportamento era così strano.

Eppure, per quanto fingesse di non crederci, non riusciva proprio a togliersi dalla testa quello sguardo, quell'unico infinitesimale sguardo che le aveva rivolto quel pomeriggio al parco, chiedendosi se avesse destabilizzato lui quanto aveva fatto con lei.

Ma più ci ripensava, più Amanda si convinceva di esserselo immaginato. Per questo negli ultimi giorni aveva cercato di non pensarci, decisa a conservarne il ricordo ancora per un po', prima che la sua mente lo distruggesse completamente sotto pressanti ed inevitabili supposizioni.

Il bruciore alla gola la costrinse a mettere da parte quei pensieri e sollevarsi a sedere, scostando con uno sbuffo il lenzuolo e strusciando la punta dei piedi a terra alla ricerca delle pantofole.

Ancora mezza addormentata si sollevò, sbadigliando profondamente e incamminandosi a tentoni verso la porta, la sete che vinceva ogni torpore.

Fu solo dopo essere uscita nel corridoio che si rese conto delle voci provenienti dal piano di sotto, abbastanza alte da farle domandare se forse non fossero state proprio quelle a svegliarla. Si mosse lentamente verso la scala, affacciandosi poi alla ringhiera, non stupita di trovare sua madre e suo padre che litigavano, le espressioni furiose. Luigi sembrava sinceramente esasperato, e Amanda non poté trattenere il senso di fastidio nel vederlo sempre così insofferente all'avvilimento della moglie; Eleonora da parte sua aveva il viso contratto in una smorfia, i capelli scompigliati come se si fosse appena alzata dal letto. I loro toni erano talmente concitati che la mente ancora addormentata di Amanda inizialmente fece fatica a seguire il discorso, ma dopo pochi secondi capì che la discussione era diversa dalle solite a cui aveva assistito. Il problema riguardava il lavoro di suo padre, questo era chiaro, considerato gli insulti che la madre stava rivolgendo al signor Martini, il proprietario dell'azienda in cui lavorava il padre. La donna continuava ad insistere che si erano sposati per formare una famiglia, e non perché lei facesse da balia ai figli mentre lui se ne andava in giro per i fatti suoi. Lui invece si limitò a ripetere che quello che faceva era per il bene della famiglia, per concedere alle sue figlie – Eleonora storse la bocca a quella frase – e a lei stessa tutto ciò di cui avevano bisogno.

“Io ho bisogno di un marito! E se non comincerai a comportarti come tale, farò bene a procurarmene uno vero!”

Con quella frase la donna si voltò, spegnendo le luci e lasciando l'uomo impalato in mezzo al corridoio. Pochi secondi dopo si sentì sbattere una porta, chiaramente quella della loro camera da letto. Luigi sospirò, poi si diresse verso il salotto, preparandosi all'ennesima notte sul divano.

Amanda aspettò ancora qualche minuto lì sulla scala, cercando di riordinare i pensieri. Non era sicura di cosa fosse successo, ma di certo non erano buone notizie, e la cosa non le piaceva nemmeno un po'. Possibile che non vi fosse mai un momento di tranquillità?

Cercando di fare il meno rumore possibile, cominciò a scendere le scale, togliendosi a metà strada le pantofole così da limitare al minimo gli scricchiolii. Si diresse poi a passo veloce verso la cucina, passando davanti al salotto e notando la sagoma di suo padre seduta sul divano, la televisione accesa, il volume così basso che Amanda dubitava che Luigi potesse comprendere anche solo una parola di quello che veniva detto.

Aprì il frigorifero e afferrò la prima bottiglia d'acqua che le capitò sotto mano. Stava per richiudere lo sportello quando la voce del padre le giunse all'orecchio, bloccandola sul posto “Ele?”

Amanda si raddrizzò, schiarendosi la voce e avvicinandosi al salotto “No, sono io”

“Oh, tesoro” borbottò lui, voltandosi a guardarla. “Ti abbiamo svegliato, mi dispiace”

La ragazza non smentì, limitandosi a scuotere le spalle. “Sono scesa a prendere dell'acqua” disse, mostrandogli la bottiglia. Luigi annuì, poi batté un paio di volte la mano sul sedile del divano “Ti va di fare un po' di compagnia al tuo vecchio?”

Amanda non rispose, sapendo bene che al padre non sarebbe piaciuta la verità. Posò invece la bottiglia accanto alle scale, andando poi a sedersi accanto all'uomo, lo sguardo puntato verso la televisione.

“Hai sentito quello che ho detto a tua madre?” domandò lui con fare incerto, quasi speranzoso. Amanda scosse la testa, capendo dall'espressione che fece che il padre avrebbe preferito non doverglielo ripetere.

“A lavoro mi hanno fatto un'ottima offerta, una di quelle che non si possono rifiutare. Potrebbe essere l'affare della mia vita, potrei guadagnare più di quanto abbia mai fatto”

“Ma?”

“Ma l'offerta è la gestione di un affare a Vancouver, in Canada”

Amanda sollevò sorpresa le sopracciglia, voltandosi finalmente verso il padre “Vuoi andartene?”

Questo scosse subito la testa “Certo che no! Non so neanche se accetterò ancora; insomma, non è una scelta da fare alla leggera”

“Per quanto staresti via?”

Luigi si mosse leggermente a disagio “Sei mesi, non di più”

La ragazza spalancò gli occhi, fissando il padre incredula. Sei mesi. Voleva andarsene, lasciandola sola ad accudire Roberta per sei mesi. Lasciandola sola con Eleonora per sei mesi.

“Non dovrei partire subito” affermò subito lui, notando l'espressione agitata della figlia “La partenza sarebbe verso Giugno. Tu avrai ormai diciotto anni, sarai indipendente...”

“Non puoi andare” sussurrò Amanda, rendendosi conto solo in quel momento di quanto l'idea di suo padre lontano per tutti quei mesi la terrorizzasse. Nonostante tutto, nonostante il loro difficile rapporto, Luigi era l'unica persona su cui Amanda poteva davvero contare in caso di necessità. Per quanto suo padre fosse assente, la ragazza sapeva bene che sarebbe stato sempre pronto ad aiutarla, pronto ad occuparsi delle faccende di cui lei non poteva o non riusciva.

“Non puoi lasciarci. Pensa a mamma, pensa a Roberta” pensa a me “Come faremo con lei? Ha bisogno di te! Ci saranno i colloqui con i suoi insegnanti, giustifiche da firmare, gite a cui accompagnarla. E questo solo per quanto riguarda la scuola”

Il padre sorrise dolcemente “Non devo esserci per forza io ad occuparmene”

“Lo sai che mamma non lo farà”

“Lo so bene, ma tu invece sei una ragazza matura, e sono sicura che te la caveresti egregiamente”

Amanda abbassò le spalle con sconforto, sentendo improvvisamente un enorme peso sulle spalle, come se qualcuno vi ci avesse posato un gigantesco masso. Non era pronta per delle simili responsabilità. Non era pronta per essere l'unica responsabile per Roberta. Non ne era in grado, non ne era capace. Eppure non disse niente a suo padre, limitandosi a raddrizzarsi e tornare a guardare verso lo schermo della televisione “Ma non è detto che accetterai, giusto?”

“No, ho ancora tempo per decidere. Devo valutare tutto con calma, inoltre non c'è ancora niente di certo. Per quanto ne so, potrebbe non farsi più niente. Con questi ricchi uomini d'affari non si può mai sapere, potrebbero sempre cambiare idea all'ultimo momento”

Amanda non sarebbe potuta essere più d'accordo.

“E' meglio che torni a letto adesso” mormorò, desiderando di non essersi mai alzata “Domani ho scuola”

“Certo, hai ragione” annuì lui, frugandosi poi nella tasca dei pantaloni. Con un po' di fatica riuscì a tirare fuori il portafoglio, aprendolo e afferrando una banconota da 200 euro, mettendoli poi nella mano di Amanda “Tieni questi, nel caso dovessi uscire con qualche amica”

La ragazza osservò i soldi per qualche istante, poi si alzò, borbottando uno sbrigativo “Grazie”. L'idea di essere stata pagata in cambio del suo tempo non l'abbandonò per il resto della nottata.

 

 

“Bene, chi c'è oggi?”

Un paio di mani si sollevarono timide, un'altra invece scattò così in alto che Amanda temette potesse staccarglisi il braccio dalla spalla. Il professor Navarra osservò i volontari per l'interrogazione con vago interesse, poi socchiuse appena gli occhi “Solo tre?”

Silvia, una delle ragazze che avevano alzato la mano, si schiarì appena la voce “Alfieri si era segnata per oggi, ma non è venuta”

“Sta male?”

Silvia fece spallucce, e Alessandro sospirò, strofinando le mani “Ragazzi, io ho bisogno di sentire quattro persone. Nessuno che si senta abbastanza pronto?”

Tutti improvvisamente trovarono qualcosa di più interessante del professore da guardare, studiandolo con particolare attenzione. Amanda continuò invece a fissarlo, ma lui fu ben attento a non incrociare il suo sguardo.

“Allora dovrò estrarre casualmente” disse dopo qualche secondo, scatenando una generale ondata di lamentele. Alessandro non diede loro troppo peso, tornando verso la cattedra e aprendo il registro “Comincio con i tre volontari, perciò vi conviene ripassare nel frattempo. Pietrone, vuoi cominciare tu?”

Come al solito, il primo volontario andò a sedersi accanto alla cattedra, i gesti bruschi che tradivano la sua agitazione. Amanda restò ancora concentrata su Alessandro per qualche istante, poi abbassò lo sguardo, chiedendosi perché si sentisse così ferita dal suo comportamento.

Una sedia le venne posizionata davanti, e Giulia vi si sedette sopra con uno sbuffo “Ci mancava solo questa. Sono secoli che non apro il libro di filosofia”

Paolo, avvicinandosi, sospirò a sua volta “Io non ci capisco niente”

“Io l'ho letta ieri, ma onestamente non ricordo molto” confessò Amanda, tirando fuori il libro e posandolo sul banco “Faccio un po' di confusione tra tutte le teorie sul moto dei pianeti”

L'espressione di puro panico che si dipinse sui volti di Paolo e Giulia convinse Amanda ad aprire immediatamente il libro, mentre provava a spiegare ai due ragazzi nel modo più riassuntivo possibile tutto quello che le sembrava di ricordare. Ogni tanto si azzardava a sollevare lo sguardo verso Alessandro, ma la disperazione di Giulia lasciava poco spazio alla distrazione.

Il tempo passò in fretta, e loro non avevano ripassato nemmeno la metà degli argomenti dell'interrogazione quando Alessandro mandò a posto Giacomo Pirra, dichiarando che a quel punto avrebbe chiamato lui qualcuno.

Giulia tornò al suo posto, non prima di aver lanciato un'ultima occhiata terrorizzata ad Amanda. Nella classe scese un silenzio carico di tensione, interrotto da qualche insulto sporadico a Erica Alfieri sussurrato a bassa voce. Alessandro afferrò un libro dalla sua borsa, poi lo aprì casualmente, controllando il numero delle pagine “Ottantasette, otto più sette? Quindici”

Afferrò poi il registro, controllando la lista “Morgante?”

“Sono già stata interrogata, prof”

Lui annuì, poi prese nuovamente il libro “Riproviamo allora. Um... undici. Uno e uno due. Alfieri... che è assente” sollevò lo sguardo, sorridendo appena “C'è qualcuno che vi odia lassù ragazzi: vuole proprio vedervela sudare questa lezione”

Di nuovo prese il libro, di nuovo lo aprì “Trentaquattro” disse, cominciando di nuovo a scorrere la lista. Amanda si raddrizzò, sapendo bene che era lei il numero sette, e ringraziò il cielo di aver deciso di ripassare il giorno prima. Quando l'uomo raggiunse il suo nome, comunque, sollevò solo per un istante lo sguardo, poi tornò a concentrarsi sul registro “Quattro meno tre è uno. Alberti, ti tocca”

Federico si sollevò, lanciando uno sbuffo e lamentandosi che “Ovviamente proprio ora doveva decidere di sottrarre invece che sommare”, ma Amanda non gli prestò attenzione.

A giudicare dall'espressione colpevole dell'uomo, se prima era solo un pensiero, ora quella di Amanda era una convinzione:

Alessandro la stava evitando. Anche piuttosto spudoratamente.

Forse, dopotutto, quello che aveva pensato sin dall'inizio era vero: Alessandro non era mai stato interessato a lei, romanticamente o non. Tutto ciò che aveva fatto in quelle settimane era stato aiutarla per pietà, e ora si era reso conto di essersi stancato di fare il buon samaritano.

Se era così, allora Amanda non aveva intenzione di imporgli la sua presenza. Con un gesto veloce si alzò, ignorando le occhiate curiose che le rivolse Paolo, e si avvicinò alla cattedra.

Alessandro alzò lo sguardo verso di lei, guardandola sorpreso “Amanda?”

“Dovrei andare in bagno” mormorò, sentendo gli occhi pizzicarle ma sforzandosi di rimanere impassibile “Posso?”

“Ma certo” disse lui “Va tutto bene?”

Lei annuì veloce, poi senza dargli il tempo di aggiungere altro sgusciò fuori dall'aula, raggiungendo in fretta il bagno e chiudendocisi dentro. Aprì la finestra e vi si affacciò, respirando l'aria fresca del mattino e lasciando scivolare leggere le lacrime sulle sue guance.

Perché devo sempre piangere? Si chiese, chiudendo gli occhi. Perché anche le piccole cose mi fanno così male?

Avrebbe voluto essere forte come Michela: mai aveva visto la sua amica piangere, non dai tempi dell'asilo almeno. Lei sapeva sempre come uscire vincente da ogni situazione, come prendere ogni avvenimento dal punto giusto, rigirandolo a suo favore. Ma Amanda no, lei non ci riusciva. Non quando tutto sembrava confermare i suoi più oscuri pensieri, quando tutto sembrava confermare che lei altro non fosse che una stupida ragazzina, solo capace di invaghirsi e fidarsi delle persone sbagliate.

Dopo qualche minuto fece un paio di profondi sospiri, poi aprì il rubinetto e si sciacquò un paio di volte la faccia, cercando di concentrarsi su tutte le cose positive, ricordandosi che lei non aveva il diritto di sentirsi triste, depressa. Viveva in una splendida casa, aveva delle ottime amiche – anche se una di loro ancora era arrabbiata con lei – aveva una sorella che amava e che l'amava.

Eppure, anche dopo che si sforzò di sorridere, non poté scacciare l'oscurità che si stava insediando sempre più profondamente in lei. Come faceva ormai da anni la seppellì il più a fondo possibile, fingendo che non fosse lì. Non sapeva cos'era, sapeva solo che la spaventava e che non poteva permettersi di lasciarsi trascinare giù da essa, o non sarebbe mai più risalita.

Sapeva di essere in bagno da almeno dieci minuti, ma non voleva tornare in classe, non quando si sentiva così fragile. Non era solo Alessandro il motivo di quella sua improvvisa inquietudine, lo sapeva bene; in quel periodo stava succedendo così tanto, e lei poteva così poco. Forse aveva solo sperato che lui potesse aiutarla, che potesse ancora farla stare così bene come quel giorno al parchetto, o quando le dava un passaggio, ma avrebbe dovuto capire che affidare la propria felicità a qualcuno era un gioco pericoloso, e ora ne stava pagando le conseguenze.

La ricreazione sarebbe iniziata entro pochi minuti, così decise di rimanere in bagno; di sicuro se non altro Alessandro avrebbe preferito così. Si chiuse dentro uno dei cubicoli e si sedette sul gabinetto, stringendo le gambe al petto e sospirando rumorosamente. Le sembrava di essere tornata a qualche mese prima, quando era successa tutta la storia con Mirco e il post di Facebook. Anche allora le era sembrato che niente sarebbe più andato per il verso giusto, ma le cose si erano sistemate, la gente era tornata ad pensare agli affari propri, dimenticandosi di lei. Eppure le sembrava che questa volta fosse diverso. Questa volta non avrebbe potuto sfuggire ai suoi demoni, perché erano tutti ben seppelliti in lei, seguendola in ogni suo gesto. Solo lei avrebbe potuto aiutarsi a stare meglio, anche se ancora non sapeva come. Forse non l'avrebbe mai saputo.

Finalmente la campanella risuonò per i corridoi, e Amanda inspirò un'ultima volta prima di uscire dal bagno, passandosi una mano tra i capelli scompigliati. Si voltò per tornare in classe, ma quasi si scontrò con Michela, indietreggiando.

“Oh, ehi” mormorò, sorridendo appena.

Amanda sapeva bene che l'amica tendeva a legarsi le cose al dito per un po' prima di lasciarle andare, perciò non si stupì quando queste le fece solo un cenno, sorpassandola e raggiungendo Edoardo fermo a pochi passi da loro. Gli diede un delicato bacio sulle labbra, poi si misero in fila davanti al distributore automatico, lui che la stringeva a sé.

Quel gesto fu per Amanda come uno schiaffo, quasi come se improvvisamente qualcuno avesse deciso di svegliarla nel più duro dei modi. Il ricordo le tornò incredibilmente chiaro alla mente, quasi la scena stesse accadendo davanti ai suoi occhi proprio in quel momento.

Here you are!” esclamò Giulia, raggiungendola “Cominciavo a preoccuparmi, e mi sa che non ero l'unica. Mr Cheesy continuava a guardare verso la porta, credevo che di lì a qualche minuto sarebbe venuto a cercarti lui stesso”

“Ho visto Edoardo baciare una tizia, alla festa” proruppe Amanda, senza staccare gli occhi dalla coppia “Una tizia che non era Michela”

“Fermi tutti. Chi e a quale festa?”

“Il ragazzo di Michela, alla festa che c'è stata un paio di settimane fa”

“Quella in cui Michela ha baciato Paolo? Sono proprio fatti l'uno per l'altra eh”

Amanda scosse la testa, voltandosi finalmente verso l'amica “No, è diverso. Non stava semplicemente baciandola, era una cosa... beh, parecchio più intima. Decisamente non un bacio dato nella foga del momento”

Giulia sollevò un sopracciglio “Se la stava limonando, in parole povere”

“Sì, direi che la definizione calza”

“Cosa vuoi fare?”

Amanda sollevò le spalle, mordendosi il labbro inferiore “Non lo so. Dovrei dirglielo, ma è ancora arrabbiata con me. Non sono sicura mi ascolterebbe”

“Se non lo farà sarà solo colpa sua. Perché mai dovresti dirle che il suo ragazzo si stava ripassando una tipa alla festa se non fosse vero?”

La domanda di Giulia non ricevette risposta, poiché Amanda era troppo impegnata ad osservare Paolo ora fermo alle spalle dell'amica, l'espressione fredda come il ghiaccio. Giulia fece appena in tempo a girarsi prima che questo si dirigesse a passo spedito verso Michela ed Edoardo.

Giulia guardò Amanda con espressione allarmata “Oh merda. Mi ha sentita, non è vero?”

In quell'istante Paolo raggiunse Edoardo, allontanandolo da Michela con uno spintone “Sei un coglione!” sbraitò sotto l'espressione sconvolta della ragazza “Lei si è fatta ventimila paranoie, quando tu eri in giro a fare il cazzone!”

“Ma che cazzo vuoi!” Edoardo era furioso, ricambiando a sua volta lo spintone, mentre tutti gli studenti nei paraggi si allontanavano, formando una cerchia attorno ai due “Sei deficiente?”

Paolo rincarò la dose, ignorando Michela che cercava di mettersi in mezzo ai due “Hai una ragazza perfetta, e ancora fai il puttaniere! Poi hai anche il coraggio di farti vedere in giro”

“Paolo, smettila!” urlò la ragazza, parandosi davanti ad Edoardo “Che stai facendo?”

“Perché non lo chiedi a lui, uh? Chiedigli cosa stava facendo alla festa al Planet”

Michela guardò Paolo senza capire, poi si voltò verso Edoardo “Mi avevi detto che non c'eri”

“Non c'ero infatti! Non so che problemi ha sto cretino!”

“Allora immagino che non ci fosse nemmeno la tipa che ti stavi facendo, vero?” esclamò Paolo con fare infuriato “La prossima volta, se devi tradire qualcuno, cerca di non farlo in pubblico”

Amanda si coprì la bocca con una mano, guardando Giulia con espressione orripilata. Questo non era decisamente il modo in cui sperava che Michela lo venisse a sapere, non così, non davanti all'intera scuola.

La ragazza ora aveva gli occhi spalancati, l'espressione incredula “E' vero?” domandò ad Edoardo, allontanandosi da lui “Eri lì con un'altra?”

“No che non è vero! Che vuoi fare, credere a sto decerebrato?! È chiaro come il sole che ti sbava dietro, si sta inventando di avermi visto tanto per fare il grande”

Paolo sorrise con fare vittorioso, quasi non aspettasse altro che quella frase “Ma non sono io ad averti visto”

Amanda indietreggiò appena, avendo la netta impressione di sapere esattamente come sarebbe finita quella storia. Ti prego no, non dirlo. Ti prego.

“E' stata lei”

Tutti gli occhi improvvisamente furono su Amanda. Giulia le afferrò il braccio, sussurrando appena un “Fuck” e osservando tutte le persone davanti a loro.

“Amanda, sta dicendo la verità?” la voce di Michela era disperata, e Amanda non poté fare a meno di annuire piano, incapace di reggere lo sguardo accusatorio dell'amica.

Edoardo ora era decisamente furioso, la voce quasi traballante “Certo, perché lei invece è più credibile, non è vero? La stessa troia che ha fottuto Mirco. Sarà solo gelosa della nostra relazione, visto che ora che tutti sanno com'è veramente non se la incula più nessuno”

Amanda corrucciò le sopracciglia, pronta a ribattere, ma prima che potesse anche solo aprire bocca un sonoro schiaffo risuonò per il corridoio, facendo calare il silenzio.

Michela, la mano ancora a mezz'aria, stava fissando Edoardo con un'espressione talmente disgustata che sembrava potesse vomitare da un momento all'altro. Questo si passò una mano sulla guancia, incredulo, poi puntò lo sguardo sulla ragazza, avvicinandosile pericolosamente. Paolo non perse altro tempo, ponendosi tra i due e tirando un pugno al ragazzo, che cadde a terra tra i lamenti.

Giulia lanciò un gridolino “Dio, vale la pena di essermi alzata dal letto solo per questo”

Quando Edoardo si sollevò di nuovo, i denti stretti in un ringhio silenzioso, Amanda decise che era tempo di intervenire. Si avvicinò veloce ai tre, afferrando Michela per un braccio ed allontanandola dai due ragazzi, cercando poi di raggiungere Paolo, troppo preso dalla lotta però per accorgersi di quello che stava accadendo attorno a lui.

Alcuni ragazzi decisero finalmente di intervenire, cercando di separare Paolo ed Edoardo, ma fu solo l'arrivo di alcune professoresse che riuscì finalmente a calmare i due. La professoressa Felici, l'insegnante di italiano di Amanda, si avvicinò alle due ragazze, guardandole con espressione sconvolta “Si può sapere che è successo?”

Michela e Amanda si scambiarono un'occhiata, ma prima che potessero parlare la donna scosse la testa, osservando i due ragazzi che venivano portati verso l'ufficio del preside “Tornate in classe, le lezioni stanno per ricominciare. E niente più guai”

La donna si allontanò, probabilmente desiderosa di scoprire il motivo della lite, e così fece quasi tutto il resto della folla. Michela si voltò verso Amanda “Pensi che Paolo passerà dei guai?”

“Penso che entrambi li passeranno” dichiarò lei, strofinandosi poi una mano sulla spalla “Mi dispiace di non avertelo detto subito, che tu sia dovuta venire a saperlo così”

“Perché non me l'hai fatto allora? Perché non me l'hai detto?”

“Io... non me lo ricordavo. Mi è tornato in mente solo quando vi ho visto oggi in corridoio, e Paolo mi ha sentito mentre lo stavo dicendo a...” Amanda si interruppe, timorosa della reazione dell'amica, ma questa sospirò.

“A Giulia, ovviamente. Credo che dovrò cominciare a farmene una ragione”

“E' una buona amica” sussurrò Amanda, lanciando un'occhiata alla ragazza ancora ferma accanto alla porta del bagno “E lo sei anche tu. Non voglio dover scegliere, Micky”

Michela storse appena la bocca, poi sorrise “Non voglio che tu lo faccia. Vorrei solo che non ti dimenticassi di me”

“Non lo farei mai, e lo sai”

Michela sorrise di nuovo, poi afferrò Amanda per le spalle, stringendola in un abbraccio. Giulia sollevò in alto i pollici, e Amanda ridacchiò piano. Quando si separarono Michela si sistemò i capelli, voltandosi verso l'ufficio del preside “Spero che Edoardo la paghi cara”

“Forse dovremmo andare a spiegare quello che è successo”

Michela annuì. “Vado io. Ho parecchie cose da dire” disse, poi senza aggiungere altro si incamminò per il corridoio, scomparendo dietro l'angolo.

Amanda osservò l'amica allontanarsi, ma prima che potesse tornare verso Giulia una mano le toccò la spalla, facendola voltare.

Alessandro era davanti a lei, l'espressione lievemente turbata.

“Dobbiamo parlare”






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Bene, è arrivato il momento. Chiunque abbia letto l'altra mia long ora starà sollevando gli occhi al cielo, e li capisco anche.
E' il momento delle scuse. E sì, perchè non si pubblica un capitolo con oltre due settimane di ritardo senza delle scuse appropriate. Come immaginerete, purtroppo qui il problema è che - per mia immensa delusione - la vita vera non si può ignorare, e spesso e volentieri è decisamente più impegnativa di quanto uno desidererebbe. Il capitolo per di più n0n è stato tra i più facili da scrivere ( ho tagliato e aggiunto decide di scene ), più che altro perchè come potrete notare la componente romantica scarseggia, e non volevo rischiare di scrivere un capitolo troppo noioso ( ma necessario per la trama ). 
Vi ringrazio comunque per la pazienza, e spero che le vacanze di Pasqua mi permetteranno di dedicarmi completamente alla storia, così da andare un po' avanti. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e grazie ancora per tutto il supporto che mi date.
Un abbraccio,
Vahala.


 

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Capitolo 11
*** L'ultima Speranza ***


Breathe Into Me

Capitolo Undicesimo:
L'ultima Speranza

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Dobbiamo parlare”

Amanda osservò per qualche istante l'uomo in completo silenzio, poi annuì. Si voltò veloce verso Giulia, facendole un cenno con la mano; l'amica sollevò appena un sopracciglio, ma non disse nulla, limitandosi ad annuire.

Alessandro non si fermò ad osservare lo scambio tra le due ragazze, cominciando invece ad incamminarsi verso l'aula di bilinguismo, notoriamente sempre vuota se non per qualche rara eccezione pomeridiana. Amanda affrettò il passo per raggiungerlo, poi lo seguì dentro la classe, chiudendosi piano la porta alle spalle.

“Ho fatto qualcosa che non va?” non riuscì ad evitare di chiedere, non sapendo nemmeno lei se stesse rivolgendo quella domanda al professor Navarra o ad Alessandro. Forse ad entrambi.

“No, niente del genere” rispose lui, passandosi una mano sul mento. Amanda vi notò i primi accenni di barba, lasciando intuire che fosse passato qualche giorno dall'ultima rasatura. “In realtà, sono io che volevo scusarmi”

La ragazza corrucciò le sopracciglia, confusa. “Scusarti?”

“Questa settimana è stata vero e proprio inferno, e io non c'ero proprio con la testa” disse, passandosi una mano tra i capelli “So che poteva sembrare...” si interruppe, lasciando la frase in sospeso, forse incerto su come finirla. “Pensavo potessimo organizzarci per provare di nuovo con la guida, magari sabato pomeriggio”

Amanda si morse delicatamente il labbro inferiore, sentendosi piuttosto confusa. Il comportamento di Alessandro in quegli ultimi giorni era stato decisamente strano, ma solo poche ore prima la situazione era decisamente precipitata. Lui non la guardava nemmeno, dannazione! E ora improvvisamente era lì, davanti a lei, a scusarsi e a proporle un nuovo appuntamento.

“Lara non scende?” domandò infine, cercando così di prendere più tempo per decidere se accettare o meno. Non che non volesse – oh, Dio solo sapeva quanto lo voleva – ma solo pochi minuti prima aveva avuto la prova di come Alessandro le stesse lentamente entrando in circolo, quasi ne stesse diventando dipendente. Non era sicura di essere pronta a rischiare di peggiorare la situazione, non era sicura di volersi illudere nuovamente, di dare così tanto potere ad un uomo che chiaramente la giudicava poco più di un hobby. Eppure, quella di dire di no era davvero una possibilità quando ogni singola fibra del suo corpo desiderava solo passare qualche altro minuto con lui?

“Non penso scenderà, non per un po' almeno” disse Alessandro, sospirando appena “Abbiamo avuto una mezza discussione su Flash, che ha finito per diventare un'enorme discussione su... beh, tutto.”

“Oh” fu tutto quello che riuscì a dire Amanda, sentendosi immediatamente un'idiota. Alessandro comunque non sembrò farci caso, sorridendo invece con fare rassicurante.

“Non so nemmeno perché te l'ho detto, ho perso completamente il punto del discorso”

Amanda si strinse le spalle “Tutti ogni tanto hanno bisogno di buttare fuori i loro problemi. Aiuta a sentirsi più leggeri, meno soli”. Ultimamente, si rese conto Amanda, non riusciva a dire una sola frase senza sentirsi una completa impostora.

Alessandro annuì, poi rivolse nuovamente lo sguardo verso di lei “E tu?”

“Io?”

“Non sei più tornata in classe, temevo stessi male”. C'era chiaramente apprensione nella sua voce, e Amanda si sentì leggermente a disagio, quasi colpevole.

“Solo un po' di nausea, ma ora va meglio”

“Forse dovresti tornare a casa. Può venire qualcuno a prenderti?”

“Non ce n'è bisogno” disse Amanda, insistendo (“Dico davvero!”) davanti all'espressione non troppo convinta dell'uomo.

Alessandro alla fine cedette, sollevando appena gli occhi al cielo con aria divertita “Sarà meglio che non venga a sapere che ti sei sentita male a metà lezione, o dovrai vedertela personalmente con me”

“Oh, allora nel caso cercherò di farlo senza essere notata”

Entrambi ridacchiarono divertiti, nonostante vi fosse ancora qualcosa nell'aria che Amanda non riusciva ad identificare. Decise di ignorarlo, rendendosi conto che molto probabilmente erano solo sue paranoie.

Alessandro aprì la porta dell'aula, facendo spazio perché Amanda potesse passare. “Facciamo sabato per le cinque allora?”

Lei annuì, cercando di non mostrare quando l'idea la rendesse felice “Mi farò trovare fuori dalla porta” disse, uscendo poi dalla stanza e controllando quasi istintivamente che non vi fosse nessuno nelle vicinanze.

Quando pochi secondi dopo si voltò per salutarlo, Amanda vide che Alessandro le aveva già dato le spalle, allontanandosi a passo veloce nella direzione opposta. Osservandolo andare via, la ragazza non poté fare a meno di pensare che non fosse stato completamente onesto con lei, che vi fosse qualcosa che non aveva voluto dirle. E, per qualche strana ragione, il pensiero le faceva paura.

 

 

Amanda sbirciò un'ultima volta dalla porta, prima di chiuderla definitivamente dietro di sé.

A differenza del solito, la macchina di Alessandro era ancora ferma nel vialetto di casa. Amanda inizialmente aveva pensato che stesse aspettando che fosse dentro casa prima di ripartire, ma anche dopo che lei aveva finto di chiudere la porta, lasciandola invece socchiusa e sbirciando dallo spiraglio, l'uomo non era sembrato intenzionato ad andarsene. Fuori ormai era quasi buio, e i finestrini della macchina erano leggermente oscurati, perciò Amanda non era sicura se l'ombra che aveva visto posare la fronte sul volante fosse effettivamente Alessandro o solo frutto della sua immaginazione.

Scosse appena la testa, cercando di liberarsi di quei pensieri. Aveva passato tutto il pomeriggio ad analizzare ogni singolo gesto di Alessandro, a cercare di leggere nel suo sguardo furtivo, nei suoi gesti più attenti, nel suo tono più formale, e tutto quello che ne aveva ricavato era un terribile mal di testa.

Forse ha capito che sono attratta da lui, pensò con orrore, passandosi una mano sul viso. Forse è in imbarazzo per me.

Si tolse di dosso la giacca, appendendola accanto alla porta.

Anche se fosse, decise, non era di certo colpa sua. Non poteva di certo decidere da chi sentirsi attratta, non c'era un pulsante da premere che spegnesse tutto – magari ci fosse stato, la sua vita sarebbe stata incredibilmente più semplice.

Non riuscì ad evitare di avvicinarsi nuovamente alla porta, sbirciando dallo spioncino, e quasi si sentì delusa quando vide che la macchina era sparita. Chiuse per un istante gli occhi, ispirando profondamente, cercando di rilegare Alessandro nell'angolino più nascosto della sua mente.

Fu proprio in quel momento che le venne un'ottima idea.

Aprì gli occhi, lanciando un'occhiata veloce all'orologio. Le 19.45. Il supermercato chiudeva alle otto, forse poteva ancora farcela.

Senza nemmeno riprendere la giacca si lanciò fuori dalla porta, correndo poi il più velocemente possibile lungo la via principale, rischiando quasi di essere investita quando svoltò verso la via del supermercato. Raggiunse il negozio in meno di cinque minuti, dovendo fermarsi un attimo a recuperare il fiato davanti alle porte, ignorando gli sguardi curiosi della gente attorno. Si assicurò che fosse ancora effettivamente aperto, poi entrò e comprò tutti gli ingredienti riuscì a ricordarsi, sperando di non dimenticarsi niente di fondamentale.

Per le 20.10 era di nuovo a casa, le buste posate sul bancone della cucina e i capelli così scarmigliati che le sembrava di essere appena stata investita da un monsone. Sapeva che Roberta sarebbe tornata presto, Luigi l'aveva avvertita che aveva un appuntamento di lavoro alle nove, perciò avrebbe riportato prima la bambina. Mentre aspettava la sorella tirò fuori tutti gli utensili necessari, stendendo poi una vecchia tovaglia sul tavolo e togliendo la spesa dalle buste. Proprio mentre stava indossando il grembiule il capannello risuonò rumorosamente per casa, e Amanda si affrettò ad andare ad aprire.

Luigi era fermo davanti alla porta, un sorriso imbarazzato sul volto “Ho dimenticato le chiavi in ufficio”

“Nessun problema” disse Amanda, abbassandosi e dando un leggero buffetto sul naso a Roberta. La bambina ridacchiò divertita, poi osservò la sorella con sospetto. “Perché sei vestita come il macellaio?”

Amanda ridacchiò. “Perché stasera faremo dei buonissimi biscotti”

Roberta esultò felice, e Luigi sorrise a sua volta “Me ne dovrete lasciare qualcuno, sopratutto se sono al cioccolato”

“Te ne lasceremo tantissimi, vero Amy?”

Amanda osservò la sorella per qualche istante, poi sollevò lo sguardo verso il padre “Certo, come sempre”

L'uomo strinse appena le labbra, poi si piegò verso Roberta, stringendola in un abbraccio e dandole un rumoroso bacio sulla fronte “Ci vediamo presto, d'accordo? Domani mattina presto dovrò lavorare, ma prometto che il pomeriggio lo dedicherò tutto a te, va bene?”

La bambina annuì felice, e Amanda sentì una fastidiosa sensazione alla bocca dello stomaco. Quando Luigi si sollevò di nuovo lei alzò appena una mano in un gesto di saluto, poi si voltò e rientrò in casa, aspettando pazientemente che Roberta la seguisse senza mai rialzare lo sguardo verso il padre.

Quando finalmente anche questa volta la porta fu chiusa, Amanda tornò a sorridere, guardando divertita la sorella che frugava con curiosità tra gli ingredienti comprati e li scuoteva piena di entusiasmo.

Era stata davvero un'ottima idea: era da tanto che lei e Roberta non cucinavano qualcosa insieme, e per Amanda non c'era serata migliore di quella per tenere la mente occupata.

“Ok, cominciamo con la farina” disse, indicando il pacco. “Aprila con calma, mi raccomando” aggiunse, ricordando come aveva dovuto passare l'intero pomeriggio a passare l'aspirapolvere, l'ultima volta. Roberta sembrava ricordarlo bene a sua volta, perché salì sulla sedia e lentamente tirò i due lembi del pacco, riuscendo miracolosamente a non rovesciarne nemmeno un granello.

Amanda sorrise divertita alla faccia soddisfatta della bambina, lanciandosi poi con terrore quando la vide dare un colpo al pacco che oscillò pericolosamente al bordo del tavolo. Fortunatamente riuscì ad afferrarlo in tempo, sentendo però un velo di farina finirle sui capelli, imbiancandoglieli completamente.

Roberta strinse il viso in una smorfia. “Ops” mormorò, ridacchiando all'occhiataccia che ricevette in risposta. Dopo una veloce scrollata ai capelli tornarono al lavoro, pesando accuratamente tutti gli ingredienti con le quantità trovate su internet, il computer ora posato sul bancone insieme a tutto il resto, la colonna sonora di Hercules che andava a tutto volume.

Presto le due ragazze si ritrovarono a ballare e cantare a squarcia gola, Roberta che tentava inutilmente di tenere il ritmo della canzone e Amanda che ne conosceva ogni singola parola.

Tutti gli ingredienti finirono nel mixer, le gocce di cioccolato che superavano di almeno 200 g la quantità consigliata. Amanda fece partire l'apparecchio a velocità massima, ma prima che potesse anche solo rendersi conto del suo errore il coperchio saltò via, e l'impasto dei biscotti cominciò a volare per l'intera cucina, appiccicandosi su armadietti, soffitto e persone.

Quando finalmente riuscì a spegnere l'infernale congegno la cucina sembrava ormai la scena del crimine di qualche film dell'orrore, o almeno era così che la vide Amanda.

“Maledizione, me ne dimentico ogni volta!” sbottò, togliendosi un po' di impasto dal naso. Erano ormai mesi che la chiusura del coperchio del mixer si era rotta, eppure ci fosse mai stata una volta in cui era riuscita a ricordarselo.

Roberta scoppiò a ridere, afferrando una ciocca di capelli completamente impiastricciata e mettendosela in bocca, masticandola come se fosse la cosa più normale del mondo.

Amanda non commentò nemmeno, posandosi con i gomiti sul bancone e osservando con rassegnazione il locale. Questa volta non poteva nemmeno dare la colpa alla sorella.

Il campanello suonò all'improvviso, e Amanda era talmente concentrata che quasi lasciò cadere il mento dalle mani, risollevandosi appena in tempo.

“Vai tu Roby? Papà avrà dimenticato qualcosa” cosa che succedeva piuttosto spesso. Luigi era una delle persone più smemorate che Amanda avesse mai conosciuto. Roberta fece per allontanarsi, ma Amanda la afferrò un secondo per le spalle, togliendole i capelli dalla bocca e cercando di eliminare ogni altra traccia di impasto dai quest'ultimi, senza molto successo.

Sperava se non altro che il padre pensasse che fosse solo Roberta ad essere conciata così.

“Mi raccomando, nessuna emozione” disse con fare cospiratorio, la solita frase che utilizzavano quando dovevano nascondere qualcosa a qualcuno. Roberta annuì con estrema serietà, dirigendosi poi verso il corridoio e sparendo dietro la porta della cucina.

Amanda sospirò, avvicinandosi al computer e constatando che fortunatamente sembrava essersi salvato dal danno, solo un paio di gocce sullo schermo. Si fermò ad osservare le Muse di Hercules che ballavano, canticchiando insieme a loro mentre afferrava senza pensarci un po' di impasto dal grembiule con un dito e se lo portava alla bocca. Uhm, se non altro era buono.

Qualcuno si schiarì la voce. Amanda sollevò lo sguardo dal pc, solo per incontrare quello di Alessandro, fermo sull'uscio della cucina con l'espressione più compiaciuta che si potesse immaginare stampata in faccia, Flash al guinzaglio che scodinzolava contento.

I due si fissarono per un po', incapaci di muovere un muscolo o di distogliere lo sguardo - anche se per motivi completamente diversi. Quando Amanda riuscì ad uscire dallo stato di shock a cui sembrava essersi abbandonata, si raddrizzò di scatto e si pulì le mani sul grembiule, tentando poi inutilmente di sistemarsi i ciuffi di capelli disordinati – e anche un piuttosto impastati - dietro le orecchie.

Alessandro ridacchiò con aria divertita "Sono arrivato in un brutto momento?"

Amanda storse la bocca in una smorfia, sentendo le guance diventare quasi incandescenti. Roberta sembrò non curarsi particolarmente delle dinamiche tra i due, più occupata a starsene inginocchiata accanto a Flash, lasciandosi leccare tutta la faccia. "Stiamo facendo i biscotti" disse poi candidamente, come se quello spiegasse ogni cosa.

"Il coperchio del mixer era rotto" borbottò Amanda poco convinta, cercando evitare lo sguardo di Alessandro. Possibile che non riuscisse mai a combinarne una giusta?

L'uomo dovette notare il suo imbarazzo, perché le si avvicinò, fermandosi ad assaggiare un po' di impasto dal bancone. “Una volta ho quasi frullato un criceto” disse, scuotendo la testa al solo ricordo “Non ho idea di come abbia fatto a sopravvivere, ad essere sincero.”

Amanda lo guardò sorpresa, ritrovandosi suo malgrado a sorridere. Alessandro si illuminò immediatamente, tornando a ghignare divertito.

“Come mai sei qui?” domandò lei, cercando di non fare troppo caso al modo in cui lui si era portato il dito alla bocca, socchiudendo appena le labbra e succhiando via l'impasto. Alessandro sembrò ricordarsi solo allora di essere lì per un motivo, infilandosi una mano in tasca e tirando fuori il cellulare di Amanda. “L'hai dimenticato nella mia macchina”

La ragazza lo prese, sollevando le sopracciglia e battendo un paio di volte le palpebre con stupore “Non me ne ero nemmeno accorta” troppo impegnata a cercare di non pensare a te. “Grazie mille”

“Nessun problema”

Amanda gli sorrise ancora, posando il telefono accanto al computer, mentre la colonna sonora di Aladdin andava sostituendo quella di Hercules.

Alessandro sospirò, guardandosi intorno. “Be', vedo che siete impegnate, e non ho intenzione di disturbarvi oltre” disse, sollevando appena le mani e richiamando Flash a sé. Fece per allontanarsi, ma Roberta gli corse incontro, parandoglisi davanti.

“Perché non resti ad aiutarci? I biscotti di Amy sono i più buoni del mondo!”

Alessandro sollevò appena un sopracciglio, osservando con aria eloquente la cucina “Immagino”

“Il coperchio era rotto!” ripeté Amanda, ma nessuno sembrò prestarle troppa attenzione. Roberta continuò a fissare Alessandro con aria quasi adorante. “Per favooore?”

“Non credo che-”

“E' molto più divertente se ci sei anche tu” insistette la bambina, afferrando una delle maniche della giacca dell'uomo.

Alessandro osservò la piccola con aria combattuta, poi posò lo sguardo su Amanda “Se non è un problema...”
Certo che è un problema! Avrebbe voluto urlare. La serata doveva servire a toglierselo dalla testa e stava andando tutto a scatafascio.

Eppure dalle sue labbra uscì un “No, assolutamente" e non provò nemmeno a mentire a se stessa: l'idea che lui restasse la rendeva quasi euforica.

Alessandro le rivolse un sorriso, annuendo quasi impercettibilmente, poi con un teatrale sospiro si tolse la giacca, posandola su una delle sedie attorno al tavolo. Roberta sorrise soddisfatta, prendendo Flash per il guinzaglio e portandolo con sé verso il bancone. Dopo essersi arrampicata su una sedia, cominciò a mangiare gocce di cioccolato come se nulla fosse cambiato.

“Credo che dovrai spiegarmi come fare” sussurrò Alessandro, avvicinandosi ad Amanda e arrotolandosi le maniche della camicia. La ragazza annuì, cercando di non fissare le braccia muscolose dell'uomo. Poi si voltò verso il computer “Vuoi ascoltare qualcosa in particolare?”

Alessandro strinse le spalle “Quello che ascolti tu di solito”

Amanda annuì, poi aprì la cartella Musica, impostando la riproduzione automatica e lasciando che il suo computer facesse il resto. “Non sono sicura che si abbini molto alla situazione”

Alessandro rimase fermo per qualche secondo, ascoltando le prime note della canzone e corrucciando le sopracciglia “Questo è...”

“Hans Zimmer. Ha scritto le colonne sonore di tantissimi film” disse Amanda, chiudendo gli occhi con un sospiro “E' un genio”

“Quindi è questo che ascolti? Colonne sonore?” domandò Alessandro, le labbra piegate in un sorrisetto e le sopracciglia sollevate. Amanda riaprì gli occhi, annuendo. “Ascolto un po' di tutto, in realtà” spiegò “Ma questo tipo di musica è il mio preferito. Credo si chiami orchestrale elettronico, ma non ne sono sicurissima”

“Non è affatto male” disse Alessandro, fissando gli occhi sul muro per concentrarsi meglio sulla melodia “E' coinvolgente”

Amanda sorrise soddisfatta, osservando l'uomo di sottecchi, poi si voltò verso il bancone, afferrando nuovamente tutti gli ingredienti necessari per l'impasto. “Dobbiamo rincominciare da capo” disse, afferrando la farina e versandola in una ciotola. Sussultò appena quando il braccio di Alessandro le passò accanto, afferrando un paio di uova e rompendole sopra la farina.

“Credevo non sapessi come fare” mormorò Amanda, voltando appena il viso e mordendosi piano il labbro inferiore nel constatare quanto Alessandro le fosse vicino.

“I primi passaggi sono sempre gli stessi” disse lui, rubandole la ciotola dalle mani e cominciando a girare l'impasto con la forchetta.

Amanda osservò con curiosità la familiarità con la quale lo amalgamava. “Cucini spesso?”
“Non più, purtroppo” mormorò lui, scuotendo la testa “Ma le mie sorelle amavano preparare dolci, e a me piaceva aiutarle”

“Hai delle sorelle?”

Alessandro sembrò esitare per un istante, poi annuì. “Silvia e Lucrezia, entrambe più grandi”
“Dev'essere bello crescere in una famiglia così grande” mormorò Amanda, adocchiando con sospetto Roberta, che continuava a masticare silenziosamente le gocce di cioccolato mentre li osservava con interesse, come se fossero pop corn al cinema.

Alessandro le lanciò un'occhiata curiosa “Non più grande della tua, dopotutto”

Amanda abbassò un istante lo sguardo, poi annuì. Spesso le sembrava quasi di dimenticare che non c'erano solo lei e la sorella. Non aggiunse altro, riprendendo la ciotola dalle mani di Alessandro e aggiungendovi gli altri ingredienti, per poi versare tutto nuovamente nel mixer.
Questa volta si assicurò di tenere il coperchio ben premuto, lasciando che Alessandro lo facesse partire. Quasi mollò la presa quando arrivò il primo contraccolpo, ma immediatamente una mano si posò sulle sue, tenendo il mixer ben fermo. Amanda la osservò sorpresa, risalendo piano con gli occhi lungo il braccio braccio fino a posare lo sguardo su Alessandro. L'uomo fece lo stesso, ma non appena i loro sguardi si incrociarono tolse la mano, schiarendosi appena la voce e allontanandosi dalla ragazza per recuperare Flash. Il cane, che nel frattempo si era liberato dalla presa di Roberta, aveva infatti cominciato a girovagare per la cucina. Alessandro fece per legarlo ad una delle gambe del tavolo, ma Amanda lo bloccò.

"Lascialo pure libero, tanto ci siamo solo noi in casa" disse, fermando finalmente il mixer.
Alessandro sollevò lo sguardo. "A tuo padre non darà fastidio?"

La ragazza scosse la testa, frugando intanto nel cassetto alla ricerca delle formine per i biscotti. "Dubito che tornerà stanotte, e io devo pulire la cucina lo stesso, perciò probabilmente nemmeno se ne accorgerà" spiegò, ringraziando con un sorriso silenzioso Roberta che nel frattempo le stava porgendo le formine.

"E' fuori per lavoro?"

"Qualcosa del genere"

Aiutò la sorella a versare l'impasto nelle formine, ferme sulla teglia da forno. Le ci volle qualche secondo per rendersi conto che lo sguardo di Alessandro era ancora fermo su di lei, chiaramente in attesa di una spiegazione.

"Mio padre... è una situazione un po' complicata" mormorò, sorridendo appena a Roberta.
"I tuoi sono separati?"

"No, non apertamente almeno"

Alessandro sembrò ragionare per qualche secondo, grattandosi la barba in sovrappensiero. "Credo di aver incontrato tuo padre un paio di volte ai colloqui. Mi è sembrato una persona molto... equilibrata"
"Sei stato fortunato allora. Qui da noi ormai è diventato una specie di leggenda metropolitana. Credo che presto dovrò cominciare anche io a prendere degli appuntamenti"

Roberta ridacchiò, ma Amanda non poté fare a meno di sentirsi in colpa per quanto aveva appena detto. Sapeva bene che la bambina era molto affezionata a Luigi, e Amanda aveva sempre cercato di non commentare il comportamento del padre davanti a lei.

Sospirò appena, scuotendo la testa. “Scusami, è stata una cattiveria gratuita”

“Tranquilla, buttare fuori i propri problemi aiuta a sentirsi meno soli” disse Alessandro, accennando un sorriso furbo “O almeno così mi è stato detto”

Amanda rispose con una smorfia, ma non riuscì a non sorridere a sua volta, tornando poi a concentrarsi sui biscotti.

Le ci volle un po' per riuscire effettivamente ad infornarli, dato che Roberta e Alessandro continuavano a rubare pezzi di impasto, costringendo la ragazza a fermarsi ogni due secondi per assicurarsi che non stessero pianificando qualche attentato. Inoltre, Roberta aveva mangiato talmente tante gocce di cioccolato che Amanda si ritrovò costretta ad andare a recuperare una barretta di cioccolato sperduta in uno degli scompartimenti della cucina, che Alessandro si offrì di spezzettare.
Quando finalmente i biscotti furono in forno e Roberta si fu piazzata davanti alla televisione in salone, Amanda si buttò a sedere su una sedia, sospirando pesantemente.

Mai avrebbe pensato che fare dei biscotti potesse essere così complicato e faticoso, ma d'altronde la colpa era sua: avrebbe dovuto immaginare che cucinare con due bambini non sarebbe stata un'impresa semplice.
Alessandro afferrò una sedia, posizionandola con lo schienale verso Amanda e poi sedendocisi sopra a cavalcioni, posando le braccia e il mento sulla spalliera.

“Che aria pensierosa” mormorò, piegando appena la testa.

Gli occhi di Alessandro erano puntati sui suoi, e ad Amanda non ci volle molto per perdercisi dentro. Le sembrava incredibile come degli occhi così chiari potessero trasmettere tanto calore, come bastasse un solo sguardo per riempirle di fuoco le ossa, consumandola lentamente

Lasciò vagare inconsciamente lo sguardo sul volto dell'uomo, ammirandone ogni particolare e dimenticandosi completamente di essere a sua volta osservata, troppo persa per preoccuparsene. Ora che si stava lasciando crescere la barba – per quanto fosse ancora corta – la sua età era molto più evidente, eppure tutto quello a cui riusciva a pensare Amanda era quanto avrebbe voluto sentirla contro la sua pelle, contro le sue labbra.

Alessandro strizzò lievemente gli occhi e si mosse appena, liberando un braccio e tendendolo verso di lei. Amanda immediatamente si impietrì, trattenendo il fiato mentre l'uomo le si avvicinava, sfiorandole la guancia con la mano. Solo dopo capì che doveva avere ancora un po' di impasto sul viso, quindi arrossì visibilmente e abbassò lo sguardo, chiedendosi che diamine le fosse preso.

Il braccio di lui si bloccò a mezz'aria e, a giudicare dallo sguardo che le lanciò, fu perché anche lui si era reso conto di quanto male potesse essere stato interpretato il suo gesto.

Amanda era mortificata. Perché non era capace di godersi semplicemente questi momenti passati con lui, invece di rovinare sempre tutto? Non c'era da stupirsi se poi lui la evitava.

“Forse è meglio se inizio a sistemare questo disastro” borbottò Amanda, sollevandosi di scatto e voltandosi verso il lavandino, nella speranza che Alessandro non si accorgesse di quanto pesante fosse diventato il suo respiro.

Dopo pochi secondi lo sentì schiarirsi la voce. “Certo, ti aiuto”

Amanda non lo guardò nemmeno mentre gli passava una spugnetta, concentrandosi invece su quella che stava bagnando. Iniziò a pulire il bancone, mentre Alessandro preferì iniziare dal tavolo.

Senza fermarsi, Amanda chiuse gli occhi, sospirando. Non doveva andare così la serata, non doveva creare nuova tensione, farle fare ancora più viaggi mentali. Avrebbe semplicemente voluto tornare a quel pomeriggio al parco, quando Alessandro l'aveva lasciata sdraiare accanto a lui, quando l'aveva guardata in quel modo.

La risata di Roberta arrivò squillante dal salone, e Amanda si riscosse dai suoi pensieri, riaprendo gli occhi. Diede una nuova sciacquata allo strofinaccio, poi si guardò attorno, cercando ogni traccia di impasto; ne eliminò un po' dagli armadietti, controllando che non fosse penetrata all'interno, poi adocchiò con una smorfia il soffitto.

Ah.

Era sicura ci fosse una scala da qualche parte in casa, ma non aveva la voglia né il tempo di andare a cercarla, così afferrò una scopa e ci sistemò sopra la spugnetta, cercando di fissarla alla bell'e meglio

Si arrampicò poi con un po' di fatica sul bancone, tendendo la scopa verso l'alto e cercando di raggiungere l'impasto.

Sentì Alessandro ridacchiare. “Hai bisogno di una mano?”

“No grazie, ce la faccio” disse, sollevandosi sulle punte e cominciando a pulire le macchie. Le ci volle un po' per riuscire a tenere la scopa dritta, ma alla fine capì come fare, pulendo per bene tutto il soffitto. C'era solo un pezzo di impasto alla sua sinistra che non riusciva proprio a raggiungere, così lentamente cominciò a sporgersi, afferrando l'anta di un armadietto per maggiore sicurezza.

Riuscì appena a toccarlo prima che la scopa cominciasse a cadere, trascinando Amanda con sé. La ragazza rafforzò la presa sull'armadietto, ma questo si aprì, e prima che potesse anche solo rendersene conto la sua faccia era a venti centimetri dal suolo.

Alessandro si lanciò verso di lei, afferrandola prima che cadesse, ma la scopa – che era ancora in aria – gli volò dritta in testa, facendogli perdere l'equilibrio.

Amanda non seppe mai come, fatto sta che nel giro di tre secondi si ritrovò a terra, Alessandro fermò sopra di lei che si strofinava una mano sulla fronte, la scopa incastrata fra di loro.

Quando entrambi realizzarono dove si trovavano, si fissarono nel più completo silenzio, increduli.

Poi, dal soffitto, l'impasto rimasto cadde dritto sulla fronte di Amanda.

La ragazza poté chiaramente leggere lo sforzo che fece l'uomo per rimanere serio, ma nel giro di qualche istante scoppiò a ridere, una risata così energica che Amanda temette potesse sentirsi male da un momento all'altro. Non ci volle molto perché anche lei cominciasse a sentirsi contagiata, e presto entrambe le loro risate echeggiavano per la cucina, mentre Amanda si godeva a pieno quella sensazione così liberatoria.

Quando i loro sguardi si incrociarono di nuovo, però, le loro risate si smorzarono in fretta, improvvisamente entrambi ben coscienti della posizione in cui si trovavano. Il volto di Alessandro non era che a pochi centimetri da quello di Amanda, tant'è che la ragazza poteva sentire il suo respiro sulle labbra, e il suo corpo premuto contro quello di lei non migliorava di certo la situazione.

Lentamente l'uomo si sollevò, stando ben attento a non toccare niente che non fosse il pavimento, per poi aiutare Amanda a fare lo stesso.

“Grazie” mormorò lei, passandosi un paio di volte le mani sui pantaloni. Avrebbe voluto sollevare lo sguardo, ma temeva ciò che avrebbe visto se l'avesse fatto, perciò si limitò a sorpassare Alessandro, cercando di raggiungere il lavandino.

La mano di Alessandro la afferrò all'improvviso per il braccio, obbligandola a voltarsi, e prima che Amanda potesse anche solo rendersene conto, le labbra di lui erano su quelle di lei.

Spalancò gli occhi, sorpresa, ma fu questione di istanti prima che si abbandonasse al bacio, stringendo le braccia attorno al collo di Alessandro. Non poteva credere che stesse succedendo davvero; tutto in lei urlava che era sbagliato, che avrebbe dovuto smettere, ma mentre tutto urlava nulla ascoltava, ed ogni parte di lei desiderava solo avvicinarsi ancora di più ad Alessandro, per non lasciarlo andare mai.

Sentì la presa di lui rafforzarsi, e un gemito le sfuggì dalle labbra. Si accorse a malapena di stare indietreggiando, e presto si ritrovò con la schiena premuta contro il frigorifero.

E, proprio come era iniziato, improvvisamente tutto finì.

Alessandro si staccò di colpo, allontanandosi di qualche passo. Le sue mani erano ancora tese verso di lei, quasi la stringessero ancora; la sua bocca era semi-aperta, quasi non potesse credere a ciò che era appena accaduto.

Ma fu guardando i suoi occhi che Amanda capì di averlo appena perso per sempre.







N.d.A.: Questo capitolo non sarebbe mai stato sfornato senza l'enorme aiuto di Amrita, che ringrazio enormemente! 
Ne approfitto per ringraziare anche tutti i miei lettori e le mie fantastiche recensitrici <3
Spero che il capitolo vi sia piaciuto :3
A presto!

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Capitolo 12
*** Verità ***


Breathe Into Me

Capitolo Dodicesimo:
Verità

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Amanda non avrebbe saputo dire per quanto rimasero lì a fissarsi, entrambi immobili. Forse ore, forse minuti, o forse per appena pochi secondi; la ragazza non si era nemmeno resa conto di essersi portata una mano alle labbra, coprendole con essa quasi non volesse lasciar sfuggire il sapore di Alessandro.

Finalmente quest'ultimo distolse lo sguardo, passandosi una mano sulla fronte. “Mi dispiace” disse in un sospiro, allontanandosi poi di qualche passo. “Mi dispiace” ripeté.

Amanda mosse qualche passo nella sua direzione, ma lui si allontanò ancora, afferrando la giacca e uscendo velocemente dalla cucina.

Lo sentì dire qualcosa a Roberta, la sua voce che risuonava nervosa mentre richiamava a sé Flash, ma fu solo al suono della porta d'ingresso che veniva chiusa che Amanda si sbloccò improvvisamente, muovendosi prima ancora di rendersi conto di quanto stesse facendo.

Corse verso la porta di ingresso, aprendola di scatto e superandola in fretta. Alessandro era già arrivato alla macchina, e teneva la porta posteriore aperta mentre Flash saltava sul sedile.

“Aspetta!” urlò lei, chiudendosi la porta alle sue spalle. Alessandro richiuse lo sportello, quasi non l'avesse sentita, ma lei lo raggiunse e gli afferrò l'avambraccio, obbligandolo a fermarsi.

“Ti prego” mormorò con voce rotta, “Aspetta”

Alessandro era ancora voltato, le spalle che si alzavano e abbassavano ritmicamente mentre faceva dei profondi respiri. Amanda temeva che sarebbe semplicemente salito in macchina, lasciandola lì senza una singola parola. Nessuno dei due sembrava prestare la benché minima attenzione alla pioggia che ora cadeva insistente, inzuppando i vestiti e nascondendo le lacrime.

“Non andartene, per favore” lo implorò Amanda, e sapeva che Alessandro avrebbe capito che non intendeva solo per quella sera. Lo vide sollevare le mani e passarsele sul viso, poi finalmente si voltò.

“Ho fatto un errore” disse, le gocce di pioggia che cadevano impietose sul suo volto “Un enorme errore”

Amanda fece come per avanzare, ma si fermò quando vide Alessandro ritrarsi. “Non deve essere per forza un errore” disse, ma la sua affermazione suonò più come una domanda.

L'uomo emise una risata amara. “Che razza di persona sarei se non lo considerassi tale? Cazzo Amanda, hai diciassette anni!”

“Non deve per forza ripetersi. Quello che è successo stasera... non voglio...” perderti, perché il solo pensiero mi sta uccidendo. “Posso dimenticare il bacio, posso fare finta che non sia mai successo”, questo non era vero, ma era disposta a fingere.

Lo sguardo di Alessandro si indurì, e per un attimo Amanda si ritrovò ad esserne spaventata.

“Io non ti ho baciata” disse con voce incolore, quasi stesse recitando un copione. La ragazza corrucciò le sopracciglia, confusa: non capiva dove volesse arrivare. Era forse deciso a fingere da subito? O voleva davvero convincerla che si era immaginata quanto era appena successo? Non credeva avrebbe mai potuto riuscirci, non quando il calore delle labbra di Alessandro non accennava a lasciare le sue, non quando la pressione delle sue mani era ancora ben presente su di lei.

Alessandro abbassò per un istante lo sguardo, la mandibola serrata in una morsa. Quando lo risollevò, una nuova risoluzione sembrava brillarvi “Non sei tu quella che ho baciato”
“Cosa-”
“In queste ultime settimane, più ti frequentavo più sentivo c'era qualcosa che in te che mi attirava” la interruppe, dando un leggero colpo alla macchina. “Credevo mi ricordassi mia sorella, credevo che il bisogno di starti vicino che provavo fosse solo affetto, niente di più” disse, scuotendo poi la testa con rabbia “Ma è ormai da settimane che so la verità, ho solo finto di non vederla, ho finto per non costringermi a fare quello che dovevo fare”.Prese un respiro, mentre Amanda tratteneva il suo.“Non è mia sorella quella che mi ricordi” sussurrò, quasi se ne vergognasse “E' Veronica”

Amanda spalancò gli occhi, sentendo un improvviso dolore al petto. Avrebbe voluto fermare Alessandro, avrebbe voluto chiedergli di smetterla, di non aggiungere una sola parola, ma lui non lo fece.

“Il bacio che c'è stato tra noi era solo una bugia, un'illusione creata da un ricordo che si ostina a non svanire. Ho baciato un sogno, ma tu non sei Veronica, e io non ho più diciassette anni.

Mi dispiace di averti illusa, di essermi comportato in maniera così irresponsabile. Tutto quello che c'è stato tra noi è un errore, un enorme sbaglio che vorrei dimenticassi, per il bene di entrambi”

“Quindi cosa dovrei fare?” domandò Amanda, non cercando più di nascondere le lacrime, e sapendo bene che Alessandro avrebbe potuto facilmente distinguerle dalla pioggia “Non rivolgerti più la parola? Fingere di non conoscerti?”

“Certo che no” disse lui, raddrizzando appena le spalle “Sono il tuo professore, e questo dovrà essere il nostro rapporto. Almeno finché non me ne andrò”

“Sei crudele”

“Non è crudeltà” sbottò, ed era chiaro quanto nemmeno lui credesse a quelle parole, “Sto solo facendo la cosa giusta!”

“E in che modo? Ferendomi? Trattandomi come se fossi la peggior cosa che ti sia mai capitata?!”

“Lo sei!”

Questa volta fu Amanda ad indietreggiare, il cuore che batteva dolorosamente nel petto. Non appena quelle parole lasciarono la bocca di Alessandro, l'uomo chiuse gli occhi, posandosi una mano sulla fronte. “Non intendevo-”

“No, non è vero” disse lei, senza nemmeno sapere dove stava trovando la forza per parlare ancora, quando non sembrava essere rimasta aria nei suoi polmoni. “E' proprio quello che intendevi”

Si allontanò ancora di qualche passo, lo sguardo di Alessandro ora fisso su lei, le sue labbra sigillate.

“Vai via, per favore” disse Amanda, in quello che era poco più di un sussurro, appena udibile sotto lo scrosciare della pioggia. Alessandro tuttavia sembrò sentirla, perché si voltò nuovamente verso la macchina, il respiro pesante. Posò una mano sulla maniglia della portiera, ma poco prima di aprirla si girò nuovamente. Allungò di poco una mano verso la ragazza e aprì appena la bocca, quasi volesse dire qualcosa, ma finì solo per fissarla in silenzio per qualche secondo. Finalmente distolse lo sguardo, salendo veloce in macchina e allontanandosi in retromarcia. In pochi secondi sparì.

Solo a quel punto Amanda si lasciò cadere a terra, scossa dai singhiozzi.




I giorni successivi passarono immersi nella nebbia.

La domenica, Amanda si svegliò sicura di aver sognato la serata precedente, poiché il solo pensiero che potesse essere successa davvero le dava la nausea. I vestiti bagnati accasciati sulla sedia e il brutto raffreddore la convinsero del contrario, lasciandola in uno stato comatoso per il resto della giornata. Per quanto continuasse a rivivere quegli ultimi istanti con Alessandro, per quanto continuasse a ripetere le sue parole nella mente, non riusciva ad accettare che fosse accaduto a lei. Era come se avesse visto un brutto film che a tradimento le aveva strappato via il lieto fine. Triste, ma non personale.

Roberta non le chiese mai perché era rientrata dopo più di un'ora completamente fradicia, né perché Alessandro se ne era andato in tutta fretta, e Amanda preferì così: non avrebbe saputo cosa inventarsi, non sapeva nemmeno se avrebbe avuto anche solo la forza di provare ad inventarsi qualcosa. Il lunedì mattina arrivò troppo in fretta. Amanda pensò di non andare a scuola; non era sicura di essere pronta a trovarsi davanti Alessandro, temeva che incontrarlo l'avrebbe obbligata ad affrontare la verità. Come un'automa si alzò dal letto, obbligandosi ad uscire di casa. Sapeva bene che più a lungo avesse rimandato quel momento più difficile sarebbe stato. Inoltre, era inutile negarlo, per certi versi nutriva ancora la speranza che Alessandro avesse deciso di aver commesso un errore e la fermasse per i corridoi per chiederle perdono.

Anche se quello avrebbe voluto dire ammettere che quel sabato non era stato solo un incubo.

Non ricordava di essere più stata così male al pensiero di entrare in classe da quando era successa la storia con Mirco, solo che ora non erano i compagni quelli di cui doveva preoccuparsi, ma la bomba ad orologeria dentro di lei pronta ad esplodere da un momento all'altro.

Passò le prime quattro ore a fissare il vuoto, incapace di ascoltare una sola parola di quello che veniva detto in classe. Annuì un paio di volte quando sia Giulia che Paolo che chiesero se andava tutto bene, poi a ricreazione rimase in classe con la scusa di avere mal di testa, posando la testa sul banco e chiudendo gli occhi, sentendosi trascinare sempre più giù da quell'oscurità che tanto aveva temuto fino a qualche giorno prima. Ora non capiva più il motivo di tanta paura.

A metà della quarta ora, una bidella entrò in classe annunciando che il professor Navarra era assente quel giorno, perciò avrebbero avuto un'ora buca. Amanda si sentì inizialmente sollevata alla notizia, quasi stesse portando un peso sullo stomaco del quale non era a conoscenza, ma con il passare dei minuti sentì crescere un disagio sempre maggiore. Era davvero così codardo? Non era stato forse lui a dire che avrebbero dovuto comportarsi come se nulla fosse accaduto? La odiava davvero tanto da non volerla nemmeno vedere?

Ed improvvisamente, ecco che la nebbia si dissolse.

Amanda si alzò di scatto, uscendo dalla classe prima che qualcuno potesse anche solo rendersene conto. Non si fermò ad ascoltare la professoressa che richiamava il suo nome, correndo il più velocemente possibile per i corridoi, la vista sempre più sfocata. Superò i bagni senza degnarli di un'occhiata, sapendo bene che questa volta non sarebbero bastate quelle quattro mura a contenere il dolore che stava provando. Quasi si lanciò fuori dalle porte della scuola, continuando a correre anche una volta uscita nel parcheggio, nascondendosi tra una macchina e la siepe. Fu solo dopo essersi inginocchiata che finalmente riuscì a lasciarsi andare al pianto, più debole di quello di sabato eppure immensamente più doloroso.

Era stata così stupida, così stupida! Sapeva quello che sarebbe successo, sapeva quello che stava rischiando, eppure aveva lasciato ad Alessandro tutto il potere di distruggerla. Non poteva credere di aver affidato così facilmente la sua felicità nelle sue mani, quando l'aveva sempre tenuta ben nascosta perfino ai suoi più sinceri amici. Ora improvvisamente capiva anche perché era stata attratta così tanto da Paolo, e perché perderlo l'aveva lasciata tanto indifferente: lui era stato un porto sicuro, un posto in cui riporre le proprie speranze e lasciarle germogliare, un'ancora a cui aggrapparsi nei momenti di difficoltà. Perdere Paolo era stato come perdere un pezzo intercambiabile nel momento in cui non aveva più la sua utilità, pronta a sostituirlo con uno più adatto. Ma invece di rimpiazzarlo con un punto fermo, Amanda era stata così ingenua da aggrapparsi ad una trave che andava alla deriva, lasciandosi trascinare in un'acqua sempre più alta ed inesplorata; ed ora che la trave si era inabissata, lei non aveva le forze per restare a galla. Il pensiero di lasciarsi andare improvvisamente non era più così spaventoso, ed era proprio questo che invece terrorizzava Amanda. Aveva resistito per così tanto, e ora buttare via tutti quegli sforzi sembrava così semplice.

Forse non era un'idea così sbagliata. Forse era arrivato il momento di gettare la spugna. Non aveva forse diritto anche lei ad un po' di felicità, un po' di pace? Nessuno si sarebbe accorto della differenza, non era mai stata così importante. Forse Giulia e Michela avrebbero sentito la sua mancanza per un po', ma poi non ci sarebbe voluto loro molto tempo perché passassero oltre, e i suoi genitori ne sarebbero forse addirittura stati sollevati: Roberta era una figlia molto migliore. Roberta. Il solo pensiero della sorella le riportò un po' di serenità, ma anche di preoccupazione. Cosa avrebbe pensato Roberta di lei? L'avrebbe odiata per averla abbandonata? Sarebbe cresciuta pensando di non essere stata abbastanza per sua sorella?

Ma Roberta era abbastanza. Roberta era tutto. Amanda non avrebbe potuto immaginare una vita senza di lei. Eppure eccola lì, a reputare il pensiero di un solo uomo più importante dell'amore di sua sorella.

Avrebbe mai davvero avuto il coraggio di lasciarla da sola, quando sapeva benissimo che aveva bisogno di lei? Come poteva anche solo pensare di fare una cosa del genere, di tradire in questo modo la sua fiducia?

D'un tratto, i pensieri che aveva avuto appena qualche istante prima le parvero incredibilmente stupidi. Non riusciva a credere di aver davvero preso in considerazione l'idea di... era così assurdo. La sua vita non era mai stata facile, e lei lo sapeva bene, ma aveva sempre tenuto duro, per sua sorella e per la speranza di un futuro migliore, lontano da quella vita.

Era davvero bastato Alessandro a farla cedere? Era così davvero così fragile?

No, lei non si sarebbe arresa. Non ancora, non per così poco.

Le lacrime le si erano ormai seccate sulle guance quando Giulia la trovò, tirando un sospiro di sollievo non appena la vide. Senza dire una parola le si sedette accanto, appoggiandosi con la schiena contro la macchina.

"Mi dispiace" mormorò Amanda, chiudendo gli occhi. Non sapeva bene per cosa si stesse scusando, se per lo spavento che le aveva probabilmente fatto prendere, per l'essere un'amica così terribile, o per tutte le bugie che le aveva raccontato. Forse per tutte e tre.

"Niente di cui scusarti" disse Giulia, poi prese un respiro "Ne vuoi parlare?"

"Non proprio, no"

L'amica non insistette, ma Amanda poté chiaramente sentirne lo sguardo fisso su di sé. Riaprì gli occhi, sapendo bene che erano ancora rossi e gonfi di pianto. "La Liviani se l'è presa molto?"

"No, era solo un po' perplessa. Mi ha detto di venire a cercarti, poi ha ripreso a spiegare la sua lingua aliena. Quella donna non ha emozioni. E' un robot. Questo spiegherebbe anche in effetti come faccia a scrivere tutte quelle dimostrazioni in dieci minuti"

Amanda suo malgrado ridacchiò.

"Credi che dovrei rientrare?"

"Nah. Sono e cinquanta, tra dieci minuti abbiamo l'ora buca. Nessuno si accorgerà che non siamo tornate"Un nuovo peso si abbatté su Amanda, ricordandole il perché avevano quell'ora buca, ma lei si sforzò di scacciarlo via.

"E' Matteo, non è vero?"

Gli occhi di Amanda si spostarono immediatamente su Giulia, che ora la guardava piena di consapevolezza. Le ci volle qualche istante per ricordarsi chi fosse Matteo, un'altra delle sue bugie. Era incredibile come nonostante tutte le sue menzogne, Giulia riuscisse comunque sempre a capire cosa le passava per la testa.

"Davvero, non voglio parlarne" ripeté, sentendosi come sull'orlo di un burrone, un sottilissimo filo a reggerla e il vuoto sotto i piedi.

Giulia emise uno sbuffo, scostandosi i capelli dalla faccia "Non puoi sempre fare così! Fa male, lo sai? Tenersi tutto dentro. Ti consuma, ti corrode, ti fa sentire sempre più sola. Tu non sei sola, Amy. Ci sono io, c'è Michela" la sua voce suonò appena sarcastica quando pronunciò il nome della ragazza, "Di cosa hai paura, si può sapere? Di essere giudicata?"Amanda osservò l'amica con stupore. Aveva sempre pensato che per Giulia fosse completamente ok con il fatto che non si parlasse dei loro problemi, eppure in quel momento Amanda si ritrovò a chiedersi se forse non l'avesse semplicemente tollerato per tutto quel tempo, forse in attesa che fosse proprio lei a fare il primo passo. "Non..." cominciò, incapace di riordinare i pensieri. Giulia sembrò notare la sua difficoltà, addolcendo l'espressione e sfiorandole la spalla con una mano. Era forse la prima volta che vedeva l'amica così seria.

"Io non voglio obbligarti a confidarti con me" sussurrò, la voce appena udibile "Voglio solo che tu sappia che ci sono, e che qualunque cosa ci sia che non va, tu puoi parlarmene"

Non era la prima volta che sentiva parole simili. Il pensiero le fece stringere i denti. Quante parole, quante buone intenzioni, ma c'era forse qualcuno che le intendeva davvero? Qualcuno che fosse pronto a non voltarle le spalle alla prima occasione, lasciandola a pezzi senza voltarsi neanche una volta indietro.

Improvvisamente si sentì arrabbiata. Incredibilmente arrabbiata. Non era sicura di essersi mai sentita così prima d'ora. Non contro sua madre, non contro suo padre, nemmeno contro se stessa.

"A cosa serve?" sbottò, gli occhi che le pizzicavano fastidiosamente. Odiava la sua incapacità di trattenere il pianto, ma in quel momento non se ne interessò, il cuore che le batteva furioso in petto. "A cosa serve convincersi che non si è da soli? E' una bugia, lo so io, lo sai tu. Noi siamo soli, siamo tutti soli. E a nessuno interessa davvero di noi.

Per quanto tutti fingano. Per quanto tutti vogliono mostrarsi pieni di premura, pronti a correre in tuo soccorso, è tutta una farsa. Il momento in cui avrai bisogno del loro aiuto, saranno spariti tutti. Nel momento in cui avrai deciso di fidarti di loro, in cui ti sarai finalmente appoggiata, loro saliranno sulla loro macchina senza nemmeno degnarti di un'occhiata, lasciandoti sotto la pioggia mentre ti dicono che sei la peggior cosa che gli sia mai successa!"

Era il turno di Giulia di osservarla con gli occhi spalancati e pieni di sorpresa.

"E io sono stanca. Sono stanca Giulia. Non voglio più soffrire, per favore" la voce le si ruppe, e l'amica le si avvicinò, stringendola in modo che Amanda potesse poggiare la testa sulla sua spalla.

"Mi dispiace" mormorò piano "Non lo sapevo. Mi dispiace"Lasciò passare qualche secondo, poi finalmente parlò ancora "Non sono tutti così, Amy. Non tutti. Ti prego, non chiuderci tutti fuori. Io sono qui, e ci sarò sempre. Sei la mia migliore amica, e non c'è nulla al mondo che potrebbe mai convincermi a lasciarti sola"

"Non esiste nessun Matteo"

Quello di Amanda era stato poco più di un sussurro, ma Giulia la sentì comunque. Si distanziò appena, quel tanto che bastava per riuscire a guardarla negli occhi. "Come?"

"Matteo non esiste" ripeté allora la ragazza, chiudendo gli occhi per la vergogna. Non sapeva perché glielo stava dicendo, perché proprio ora. Forse voleva solo che Giulia una volta scoperte tutte le bugie la odiasse, provando così che Amanda aveva ragione.

O forse voleva che non lo facesse.

"Lui-?"

"Esiste qualcuno" precisò, guardandosi le mani intrecciate "E quello che ti ho raccontato, le cose che sono successe, erano quasi tutte vere"

L'espressione di Giulia era illeggibile, e Amanda per un istante desiderò non aver mai parlato."Ma?"

"Ma non si chiama davvero Matteo, e non è un collega di mio padre"

"Hai intenzione di dirmi chi è?"Amanda annuì, poi si bloccò. Aveva davvero intenzione di farlo? Questo segreto non apparteneva solo a lei. Se Giulia avesse deciso di non mantenere il segreto, lui avrebbe potuto passare dai guai seri. Non importava quanto avesse sofferto per colpa sua, non poteva permette che un errore gli rovinasse la vita.

"E' molto importante che tu non lo dica a nessuno" disse, puntando lo sguardo su quello dell'amica "E' importante che nessuno venga mai a saperlo"

Giulia corrucciò appena le sopracciglia "Amanda, in cosa ti sei andata a cacciare?"

"Promettilo e basta. Ti prego"

Giulia la osservò con diffidenza ancora per un istante, poi annuì "Lo prometto"

"Devi capire che è successo per sbaglio" si ritrovò a dire Amanda, scuotendo appena la testa "Mi ha vista in difficoltà, mi ha aiutata, poi sono capitati altri incontri... è stato un caso, Giulia, un enorme coincidere di eventi. Né io, né sopratutto lui, ci saremmo mai potuti aspettare... e l'altro ieri sera, quando mi ha baciato..."

"Vi siete baciati?"

Amanda annuì, mordendosi le labbra nel tentativo di impedire loro di tremare "Se ne è pentito immediatamente. Mi ha detto che l'ha fatto solo perché gli ricordo una sua vecchia fiamma, poi mi ha accusato di essere la peggior cosa che gli sia mai capitata"

La sua voce suonò quasi robotica a quelle parole, lo sguardo fisso davanti a sé.

Giulia la guardò con occhi sbarrati "Che brutto figlio di..."

"Voglio solo che tu capisca che non era qualcosa che lui voleva, non era qualcosa che lui ha cercato. E' stato un enorme errore, ma se qualcuno venisse a saperlo... nessuno lo capirebbe, e le conseguenze per lui sarebbero enormi"

"E se lo meriterebbe! Dimmi solo chi è, giuro che vado personalmente a prenderlo e-"

"No! Niente del genere. Prometti!"

L'amica sospirò, poi annuì "Sì, sì. Prometto. Permettimi almeno di lanciargli una maledizione voodoo"

Amanda sorrise appena. Dopotutto, forse Giulia aveva ragione: si sentiva già molto meglio. Ora non restava che dire il nome. Non era difficile, giusto?

"Alessandro" disse, e fu come quasi lasciare andare un enorme peso "Il suo nome è Alessandro"

"Nome da stronzo"

Amanda lanciò un'occhiataccia all'amica, ma questa sembrava troppo impegnata a pensare per rendersene conto.

"Non credo proprio di conoscere qualche Alessandro" disse poi, scuotendo la testa "Beh, certo, a parte l'amico che tua sorella voleva venisse alla festa"

Amanda abbassò appena lo sguardo, e Giulia emise un suono schifato "Ommioddio Amanda, non avrai mica baciato un bambino di sei anni!"

La ragazza cadde dalle nuvole "Cosa? No! Mio Dio, no! Non è veramente un amico di mia sorella... più o meno"

"Definisci più o meno"

"Non ha sei anni, ok? Ne ha ventotto"

Giulia storse la bocca "E tua sorella ha un amico di ventotto anni perché..."

Amanda abbassò con forza le braccia, roteando appena gli occhi "Ci siamo incontrati parecchie volte, e qualche volta c'era anche mia sorella. Tutto qui"

"Quindi quella dell'essere un amico di tua sorella era una scusa"

"Certo. Non potevo ammettere chi fosse lì davanti a mio padre" disse Amanda, e non ci fu bisogno di precisare che non avrebbe potuto dirlo nemmeno davanti a Giulia perché l'amica lo capisse.

"Non potevi ammetterlo? Quindi lo conosco davvero. Ma com'è possibile? Sono piuttosto sicura di non conoscere nessun-" Giulia si bloccò all'improvviso, spalancando gli occhi. Quando il suo sguardo tornò a posarsi su Amanda, era carico di incredulità.

"Amanda, qual è il cognome di Alessandro?"

La ragazza lasciò passare qualche secondo, poi sospirò, distogliendo lo sguardo da Giulia. "Alessandro Navarra"




N.d.A.: Colpo di scena: sono viva!
A malapena ad essere onesti, reduce dal mese scolastico più infernale di sempre e 800mila colloqui di lavoro, ma ci sono!
Mi dispiace avervi fatto aspettare così tanto per questo capitolo, che non è neanche sto granché, lo so, ma ho avuto oltre agli impegni anche un gigantesco blocco. Avete presente quel momento in cui cominciate a leggere quello che avete scritto e venite presi da un attacco di malaria? Ecco.
Ero stufa comunque di lasciarvi qui ad attendere, perciò mi sono fatta forza e ho buttato giù il capitolo ( le cui due metà sono state scritte con un mese di differenza l'una dall'altra, quindi abbiate pietà se notate qualche incongruenza).
Spero che vi piaccia comunque, e non perdete le speranze: le vacanze sono iniziate, e ora ho tutto il tempo del mondo per scrivere <3
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 13
*** Finalmente Diciotto ***


Breathe Into Me

Capitolo Tredicesimo:
Finalmente Diciotto

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"Ma guardati, stai benissimo!" esclamò Michela venendole incontro, un enorme sorriso sul volto. La afferrò per le spalle e la obbligò a girare su se stessa, osservandola piena di sorpresa. "Quando mi hai detto di averli tagliati mi è venuto un colpo, e invece mi devo proprio ricredere. Sei splendida"

Amanda ridacchiò, arrossendo appena. Quasi involontariamente si toccò i capelli, che ora le arrivavano appena sotto le orecchie, accarezzandole appena il collo nei punti più lunghi. Il giorno prima, quando era tornata dal parrucchiere, non era riuscita a smettere un secondo di toccarseli, quasi potesse ancora sentire le lunghe ciocche sfiorarle la schiena. Era ancora così strano non sentirne più il peso.

Erano passati anni dall'ultima volta in cui aveva tagliato i capelli, fatta eccezione per una spuntata di tanto in tanto; ma quella mattina, entrando dal parrucchiere, aveva immediatamente capito che questa volta non sarebbe bastata una semplice aggiustatina. Aveva chiesto qualcosa di drastico, perfino pauroso all'inizio, ma era stanca di vedere sempre la solita vecchia Amanda allo specchio. Non voleva più essere quella persona, non voleva più essere la povera, fragile ragazzina. E quale miglior modo di iniziare la trasformazione se non con un nuovo taglio di capelli?

"Queste vacanze di pasqua ti hanno fatto proprio bene" scherzò l'amica, abbracciandola con affetto "Sembri perfino più alta"

"Oh, lo sono" disse lei, ridendo a sua volta. "Lunedì mi sono sdraiata sotto il cielo stellato e ho chiesto come regalo di compleanno due centimetri in più"

"E la casa con piscina?"

"Quella la tengo per i diciannove"

Risero ancora, e anche quando smisero Amanda non riuscì a smettere di sorridere. Era da tre giorni che andava avanti così. Nel momento in cui l'orologio aveva segnato la mezzanotte del 9 Aprile, annunciando così finalmente la sua maggiore età, tutto le era sembrato diventare più brillante, più felice. Perfino il fastidioso ricordo di ciò che era successo poche settimane prima con Alessandro, che continuava a premere insistente nella sua testa, non era riuscito ad oscurare la sua felicità. Aveva passato le intere vacanze Pasquali ad ignorarlo, decisa a lasciarsi tutto alle spalle, e anche se non poteva dire di esserci completamente riuscita, se non altro ora riusciva a vedere le cose con più obiettività.

Non aveva perso tempo, e il giorno dopo aveva già cominciato ad andare in giro, ignorando il fatto che la maggior parte dei negozi fosse ancora chiusa, alla ricerca di un lavoro. Non c'era molto che sapeva fare, ma era sicura che avrebbe imparato in fretta. Inoltre, le sarebbero bastate poche centinaia di euro al mese per mantenersi, confidando nel fatto che il padre l'avrebbe sicuramente aiutata economicamente.

Se tutto andava bene, entro poche settimane lei e Roberta se ne sarebbero potute andare a vivere per conto loro, lontane da Eleonora, lontane dalla paura.

E, anche se non voleva ammetterlo a se stessa, lontane da Alessandro e dai ricordi che aveva lasciato dietro di sé.

Entrarono a scuola ancora aggrappate l'una all'altra, ricevendo occhiate ostili da tutti gli studenti che ancora rimpiangevano i loro caldi letti. Amanda per una volta non se ne curò, decisa a godersi quell'ultimo istante di pura euforia fino all'ultimo.

Arrivata davanti alla porta della sua classe prese un profondo respiro, cercando con tutte le sue forze di mettere da parte Alessandro ancora per qualche ora. Sapeva che alle dieci ci sarebbe stata filosofia, ma non voleva ancora pensarci. Non ancora.

Era andata così bene durante quelle vacanze, e non aveva intenzione di rovinare tutto il lavoro alla sola vista dell'uomo.

Professor Navarra, si ricordò, il mantra che si era ripetuta in tutti quei giorni. Niente più e niente meno di un professore.

Dopo aver salutato Michela con un cenno, finalmente entrò.

Individuò subito Giulia seduta al solito posto, stranamente in anticipo. Aveva una mela mezza mangiucchiata in una mano e un fumetto nell'altra, di cui interrompeva di tanto in tanto la lettura per lanciare qualche occhiataccia ai compagni più rumorosi. Quando notò Amanda sollevò un braccio, sorridendo entusiasta.

"Finalmente!" disse non appena l'amica le si fu seduta accanto. "Stavo per impazzire qui in mezzo. Una settimana di vacanze e quasi mi ero dimenticata quanto infernale sia il liceo"

Amanda sospirò pesantemente. "Aspetta che riprendano le interrogazioni"

"Grazie mille, ora mi sento molto meglio" borbottò Giulia, imbronciandosi. Un ulteriore sguardo all'amica e la sua espressione cambiò radicalmente.

"Oh my God! I tuoi capelli!"

"Ti piacciono?"

Giulia scosse la testa "Mi prendi alla sprovvista. Voglio dire, nemmeno mi hai avvertita. Mi sembrava chiaro che i tuoi capelli fossero di mia proprietà. E adesso a chi le faccio le trecce, eh? Sei un'insensibile"

Amanda scosse appena la testa, ma non fece in tempo a ribattere che l'amica le si avvicinò con fare circospetto, sussurrandole appena nell'orecchio: "La verità è che ti odio, perché tu con quel taglio stai da Dio, e io sembrerei un barboncino finito in un frullatore"

Il resto dell'ora passò veloce. La professoressa di inglese ci provò a fare lezione, ma ci rinunciò quando vide come oltre metà della classe era in chiaro stato catatonico. Dopo una ramanzina e la promessa di una lezione doppia il giorno dopo, uscì dalla classe per andare a prendersi un caffè, forse per combattere anche lei il sonno post-vacanze.

Paolo era tornato di un bel colorito rossiccio, merito della settimana che lui e sua sorella avevano passato al mare e della poca protezione solare. Giulia passò l'intera ora ad inventare nuovi soprannomi per il povero ragazzo, che non sembrò prendersela affatto, cercando invece di inventarsene qualcuno da sé. Era talmente preso dall'attività che Giulia finì per lanciare uno sbuffo, stringendo le braccia al petto e borbottando tra sé e sé che così non era affatto divertente.

Durante l'ora successiva ovviamente le cose furono ben diverse. La Liviani ricominciò a spiegare nell'istante in cui mise piede in classe, apparentemente ignara del vuoto che regnava sovrano nelle teste dei suoi studenti. Per quanto ne sapeva Amanda, la Liviani poteva benissimo essere rimasta in ibernazione per l'intera settimana, scongelandosi l'istante prima di entrare in classe - teoria fortemente approvata da Giulia. Indossava ovviamente il suo solito scialle, attorcigliato ben tre volte attorno al collo, e Amanda poté giurare di vedere almeno tre dei suoi compagni cercare di allentarsi un invisibile cappio intorno alla gola.

Quando la campanella suonò, Amanda fu l'unica a non emettere un sospiro di sollievo, sentendosi invece come se improvvisamente fosse lei quella pronta per la gogna. Era inutile continuare a mentire a se stessa: non era affatto pronta a rivederlo, non dopo quel sabato, non dopo quelle parole.

Con le vacanze pasquali di mezzo e la settimana di malattia che si era preso Alessandro, quella sarebbe stata la prima volta che l'avrebbe rivisto da quella maledetta serata di marzo.

Lanciò una veloce occhiata a Giulia, e non fu sorpresa di trovarla già lì a fissarla, lo sguardo ora mortalmente serio, quasi arrabbiato. Amanda sapeva bene che quella rabbia non era rivolta a lei, ricordando ancora la spropositata e vergognosa quantità di insulti che l'amica aveva lanciato al professore, una volta rivelatele il nome di quest'ultimo. Mr Cheesy si era improvvisamente trasformato in Mr Little Shit, e Amanda non aveva avuto niente da dire al riguardo.

Dei familiari passi risuonarono all'entrata della classe. Amanda ispirò profondamente un'ultima volta, poi si raddrizzò sulla sedia e si sforzò di piantarsi in faccia il sorriso più grande che riuscisse a fare. Voleva che Alessandro vedesse come avesse completamente dimenticato quello che era accaduto tra loro - che poi non fosse vero, poco importava.

Le bastò vedere la punta della scarpa dell'uomo per sgonfiarsi, abbandonando il sorriso e voltandosi invece frettolosamente verso Paolo, cambiando improvvisamente strategia.

Se non poteva fingere, allora l'avrebbe ignorato.

"So che sei uscito con Michela" buttò fuori, ignorando l'espressione confusa dell'amico "Com'è andata?"

Paolo sembrò pronto a chiedere il perché dell'improvviso interessamento, ma qualcosa nell'espressione di Amanda dovette fargli cambiare idea. Quello, e lo sguardo assassino di Giulia alle loro spalle.

"Um, bene, credo" disse, spostandosi la frangetta dalla fronte. "Perché, lei ti ha detto qualcosa?"

"Solo che si è divertita molto" disse Amanda, ed era sincera. Mai aveva sentito l'amica parlare così entusiasticamente di un appuntamento dai tempo di Enrico, la sua prima cotta.

Paolo si aprì in un enorme sorriso, e Amanda riuscì per un attimo a dimenticarsi di Alessandro, godendosi invece l'espressione di assoluta beatitudine nel volto dell'amico.

Questo almeno finché una mano non si posò sul suo banco.

"Buongiorno anche a voi" disse Alessandro, spostando lo sguardo da Paolo ad Amanda, senza soffermarsi particolarmente su nessuno dei due.

Ha davvero dimenticato tutto? Si ritrovò a chiedersi Amanda, notando come nel suo sguardo non vi fosse niente di Alessandro, ma solo la fredda e cortese apparenza del professor Navarra. E' stato davvero così facile?

Fu tentata di chiederglielo.

"Oh, scusi prof. Non l'abbiamo sentita entrare" disse Paolo, il sorriso che non accennava a scemare. Amanda annuì appena, ignorando il groppo che le si era formato in gola.

Alessandro - no, il professor Navarra - sorrise, raddrizzandosi "Le vacanze fanno sempre questo effetto, non è vero?"

Guardò l'intera classe, quasi si aspettasse una risposta. Sembrò trovarla, perché emise un leggero sospiro, passandosi una mano tra i capelli. "Bene allora. Per oggi potremmo fare qualcosa di diverso, che ne dite? Un po' di filosofia personale, uh?"

Qualche "Sì" e "Daje" riecheggiò per la classe, ma per il resto gli alunni continuarono a fissarlo come se non fosse nemmeno lì.

"Oggi proveremo ad avere un dibattito. I filosofi sarete voi, e io dovrò decidere a quale delle vostre filosofie aderire. Potrete anche semplicemente aggiungere o modificare qualcosa dalla filosofia di un vostro compagno. E no" aggiunse, notando la mano di Riccardo scattare in alto "Il calcio non è una filosofia"

Tutti ridacchiarono tranne Riccardo, che riabbassò la mano un po' abbattuto. Amanda era ancora troppo concentrata a studiare l'uomo per rendersi conto di cosa le stesse accadendo intorno.

Non sapeva cosa si era aspettata di trovare, ma di sicuro non quello. Assurdo come il fatto che lui la guardasse faceva più male di quando lui invece evitava il suo sguardo, ma se non altro allora sapeva che c'era qualcosa che non andava.

Ora la guardava, sì, ma esattamente come guardava tutti gli altri: professionalmente.

"... quindi io dico che Dio non esiste, perché se esistesse vorrebbe dire che il bene è più forte del male, e dunque non vi sarebbe più equilibrio nell'universo" stava dicendo una compagna, profondamente concentrata.

"Interessante filosofia, Gloria. Un po' troppo basata sull'idea cristiana di Dio, forse" disse il professore, annuendo appena. "Qualcuno vorrebbe aggiungerci qualcosa?"

Amanda osservò i compagni davanti a sé, ma nessuno sembrava star prestando la benché minima attenzione alla lezione. Il chiacchiericcio stava crescendo sempre di più, e qualcuno si era addirittura sistemato la giacca sul banco, utilizzandola come cuscino e appisolandocisi sopra.

Fu per questo che restò così sorpresa quando lo sentì esclamare: "Ah, Giulia. Qualcosa da aggiungere?"

Amanda si voltò con estrema lentezza verso l'amica, sentendosi stranamente agitata. Quando vide l'espressione sul suo volto, tutte le sue peggiori paure sembrarono trovare conferma.

"In realtà" proclamò quella, tirando indietro le spalle "Io avrei una filosofia mia da proporre"

L'uomo non sembrò notare le occhiate di fuoco che Giulia gli stava lanciando, e se lo fece non lo diede a vedere. Fece invece un gesto con la mano, chinando appena la testa. "Prego"

"La mia filosofia si riferisce alla duplicità dell'uomo" disse la ragazza, ignorando lo sguardo implorante dell'amica.

"Vede, ci sono così tante persone che si presentano in un certo modo. Tu pensi che siano persone perbene, addirittura ottime persone, ma alla fine finiranno per mostrare ciò che sono veramente, ossia vili ipocriti senza spina dorsale, pronti a prendersi quello che vogliono e poi lasciare i resti a terra"

Il professor Navarra sembrò essere preso un po' alla sprovvista. Sbatté un paio di volte le palpebre, poi si schiarì la voce "Non sono sicuro che questo sia un argomento filo-"

"Prendiamo ad esempio lei" lo interruppe Giulia, e pronunciò quelle parole con così tanta freddezza che riuscì a silenziare l'intera classe. "Lei sembra una persona per bene, con quelle sue camice abbottonate fino al penultimo bottone e i gilet vecchio stile, ma è davvero così? Per quanto ne sappiamo noi, fuori da queste mura potrebbe benissimo essere tutt'altro. Un codardo, ad esempio? Lei non sembra un codardo, dico bene? E invece potrebbe benissimo esserlo. Un irresponsabile, anche. Per quanto ne sappiamo noi, lei potrebbe essere una di quelle persone che piuttosto che affrontare la realtà continuano a mentire a se stesse, finché non si ritrovano in un punto in cui non possono fare altro che accettarla. E allora cosa fanno? Fuggono, i codardi. Se la danno a gambe. E chi se ne importa se nel farlo feriscono qualcuno, giusto? Chi se ne importa se tradiscono la fiducia di una persona che magari contava su di loro, l'importante è che loro stiano bene. Chi se ne importa se si comportano da veri e proprio stron-"

"Credo che abbiamo capito il concetto" la fermò il professor Navarra, il tono improvvisamente serio "E per quanto possa essere considerato veritiero, non è sicuramente argomento di questa lezione. Se ti interessa così tanto, però, ti invito a continuare a svilupparlo. Chiaramente hai ancora molto da dire"

Giulia strinse appena i denti, posandosi sullo schienale della sedia, le braccia incrociate al petto. "Oh, lei non immagina quanto"

Si fissarono ancora per qualche secondo, e così fecero tutti gli altri alunni. Era chiaro per tutti che quella di Giulia non era stata una semplice, seppur concitata, argomentazione filosofica, ed erano tutti curiosi di scoprire cosa vi fosse sotto.

Il professore fu il primo a distogliere lo sguardo, dirigendosi verso la lavagna e afferrando un gessetto. "Forse è meglio concludere qui. Chiaramente non è il genere di attività che si può svolgere quando la metà di voi è ancora in vacanza"

Forse qualche minuto prima quel commento sarebbe stato appropriato, ma al momento non c'era una sola persona in classe con non lo stesse fissando con assoluta attenzione.

"Cominciamo invece a fare una veloce presentazione del nostro prossimo filosofo: John Locke"

Dalla classe si sollevò un lamento collettivo, ma il professore non vi fece caso. Tornò a voltarsi e si sistemò davanti alla cattedra, sedendosi sul bordo. Fece scorrere nuovamente gli occhi sulla classe, soffermandoli per un istante su Amanda. Fu solo quello, un istante, ma lei lo vide chiaramente.

Alessandro.

 

 

Festeggiò il suo compleanno il sabato successivo.

Era solita fare un cosa intima, tranquilla, ma per la prima volta in vita sua sentiva davvero che ci fosse qualcosa da festeggiare. Fu proprio per quello che, appena usciti da scuola e con gli zaini ancora in spalla, si fermarono davanti alla biglietteria del Lunapark.

Raramente era uscita con un così vasto gruppo di amici. Forse mai. C'era ovviamente Giulia, che si era portata dietro, per la prima volta, anche Lorenzo; il ragazzo era spaventosamente alto, molto più di quanto ricordasse Amanda, e Giulia cercava sempre di stare sotto la sua ombra. Letteralmente.

"Il sole picchia, e io non ho messo la crema solare" aveva annunciato.

C'erano poi Michela e Michael (che si era in verità auto-invitato) e perfino Paolo. Amanda aveva pensato di portare anche Roberta, ma il padre le aveva fatto notare che probabilmente non sarebbe potuta salire quasi su nessuna giostra, e perciò si sarebbe sicuramente annoiata. Amanda aveva annuito, ma la verità è che aveva la netta impressione che Luigi stesse in qualche modo cercando di prendersi più cura della bambina e forse, chissà, concedere un po' più di libertà ad Amanda. Era da quando si era offerto di tenere Roberta per tutta la settimana del viaggio studio a Monaco di Amanda - pagandoglielo anche - che il pensiero non riusciva ad abbandonare la ragazza.

Non appena furono dentro, Michael afferrò Amanda di peso, lanciandola poi dentro la fontana davanti all'ingresso. La ragazza non si rese nemmeno conto di quanto stesse accadendo che l'acqua gelida la colpì, togliendole il fiato.

"Sei così morto" disse, e se le occhiate avessero potuto uccidere lo sarebbe stato davvero. Il ragazzo si limitò a scoppiare a ridere, almeno finché Michela non arrivò con una bottiglia piena d'acqua, rovesciandogliela sulla schiena.

Presto la battaglia si espanse a tutti i membri del gruppo, che si ritrovarono completamente fradici in pochi minuti. Era un sollievo, a dirla tutta, considerato il caldo asfissiante che vi era quel giorno. La sicurezza non dovette pensarla allo stesso mondo, e i ragazzi si ritrovarono improvvisamente a dover fuggire, ignorando il fatto che nessuno si fosse preso la briga di inseguirli.

"Finalmente maggiorenne, eh" disse Michael qualche ora dopo, una volta che si furono seduti ad uno dei tavolini di uno dei ristoranti del parco. Amanda annuì soddisfatta, non cercando nemmeno di nascondere il sorriso che le si aprì involontariamente sul volto.

Lorenzo si tolse il cappellino, usandolo poi per farsi aria "Non aprire un conto in banca. A me mi hanno convinto, quegli avvoltoi. Peggior errore della mia vita"

"E certo, che ladri. Il 2% di interesse su tutti e sedici gli euro che hai messo nel conto" commentò Giulia.

"Una vera rapina" concordò lui, e lo disse con una tale serietà che Amanda non capì se stava scherzando o no.

"Hai già una lista di cose da fare?" chiese Paolo, mangiucchiando alcune patatine che aveva ordinato. La sua mano era accanto a quella di Michela, quasi fosse intenzionato a prenderla, ma bastò uno sguardo da parte di Michael per fargli cambiare idea.

"Cose da fare?"

"Sì, sai, cose che puoi fare solo una volta maggiorenne"

Amanda aveva in mente qualcosa. Lavorare, per esempio. Prendersi un appartamento. Fare la patente.

Alessandro.

Non l'aveva appena pensato davvero.

"Niente di particolarmente eccitante in quella lista, mi spiace" disse, e poté giurare che Giulia le mandò un'occhiata eloquente.

Michela sollevò un dito "Una cosa c'è che potresti fare"

"Uh?"

"Non dovremmo neanche spostarci, è già qui"

Michael sembrò capire a che si riferiva, perché si illuminò "Oh sì"

"Potrei sapere di che state parlando?"

"Il Pitone!" disse Michela, che chiaramente non stava più nella pelle.

"Che?"

Michael sbuffò "Il Pitone, le montagne russe + 18 che hanno aperto l'anno scorso"

Giulia si tese in avanti, interessata "E perché sarebbero riservate ai maggiorenni?"

"Perché sono parecchio pericolose" spiegò Michela "E non vogliono assumersi responsabilità"

Amanda li guardò come se fossero impazziti. "Oh no. No, no, no. Ho appena compiuto diciotto anni, e mi piacerebbe arrivare a diciannove"

"Non sono davvero così pericolose" disse Michela "E' più una questione di marketing, in realtà, hai presente? Se metti un limite di età, allora tutti al di sopra del limite vorranno salirci"

"Cazzo, voglio salirci" proclamò Paolo, osservando in lontananza con aria sognante. "Qualcuno di voi ha per caso un documento falso?"

"Io mi sa che passo" disse Lorenzo, scuotendo la testa "Mi viene la nausea solo al pensiero di salire su un'altra di quelle giostre"

Giulia scosse la testa, puntando lo sguardo su Amanda "Perché il rito sia eseguito correttamente-"

Michela sbuffò "Non stiamo per sacrificarla a Satana, lo sai, vero?"

"-Amanda ci deve salire da sola. Niente storie" aggiunse, notando l'espressione sconvolta e probabilmente anche piuttosto verdina dell'amica "Non si può dire di no allo spirito dei diciotto"

"Mi piace come pensa questa ragazza!" dichiarò Michael, beccandosi in risposta un'occhiataccia dalla sorella.

"No, davvero, io non so se-"

Michael scosse la testa "Ci vai con le tue gambe o ti ci dobbiamo portare con la forza?"

Amanda si guardò attorno, cercando tra gli amici un alleato, ma tutti la osservavano come se fossero davvero pronti a prenderla di peso e caricarla su quelle montagne russe. Finalmente sbuffò, sollevando gli occhi al cielo. " Bene, ma mi avrete sulla coscienza"

 

Amanda aveva quasi cominciato a sperare che la fila fosse davvero infinita come sembrava, costringendola così a rinunciare al giro sulla giostra e tornare a casa, quando l'addetta all'entrata la fece passare, avvertendola di allacciarsi bene le cinture. Non riuscì ad annuire, e la donna dovette chiaramente pensare che avesse delle turbe mentali, perché l'accompagnò fino a uno scompartimento vuoto, mostrandole come allacciare la cintura. Stava quasi per abbassare la barra di chiusura, quando un ragazzo si infilò tra di loro, sedendosi accanto ad Amanda e sorridendole a trentadue denti.

"Spero che tu abbia lo stomaco forte" disse subito, battendo con impazienza le dita sulla barra e salutando l'addetta con un occhiolino.

"Lo spero anche io" fu tutto ciò che riuscì a dire Amanda, respirando profondamente. Quando si sentì un po' più calma si voltò verso il ragazzo, osservandolo con curiosità mentre questo si guardava in giro.

Era indiscutibilmente attraente, su questo non c'erano dubbi. Avrà avuto venti, forse ventidue anni. Indossava una canottiera nera e dei pantaloni al ginocchio, mettendo in risalto i muscoli e la pelle abbronzata. I capelli biondi erano in netto risalto con gli occhi castani, circondati da folte ciglia. Erano talmente vicini che Amanda poteva vedergli anche le lentiggini sul naso.

Probabilmente lo fissò un po' troppo, perché improvvisamente lui sollevò un sopracciglio, guardandola con espressione furba "Ti piace quello che vedi?"

Amanda si riscosse, scuotendo appena la testa. "E' che ho l'impressione di averti già visto", confessò, e non era una bugia. Provò a cercare di ricordare dove, ma proprio non riusciva a farselo venire in mente. A giudicare dall'aspetto, poteva benissimo essere stato in una rivista o in televisione.

"Mi ricorderei di sicuro di te, se ti avessi già incontrata" disse lui, sorridendo sornione. La fissò per qualche altro secondo, poi tese la mano "Sono Stefano, piacere"

"Amanda"

Il vagone si mosse di scatto, e Amanda istantaneamente si aggrappò con tutte le sue forze alla barra metallica. Stefano rise, poggiando le sue mani accanto a quelle di lei. "Prima volta eh?"

"Uh - uh" mormorò Amanda, ripromettendosi che non avrebbe vomitato davanti ad un ragazzo così carino.

I vagoni si mossero ancora, e finalmente uscirono alla luce del sole. Ad Amanda ci vollero pochi secondi prima di individuare i suoi amici, che la salutavano qualche metro più sotto. Giulia aveva in mano un fazzolettino bianco, che scuoteva con fare drammatico mentre si asciugava finte lacrime.

"Tuoi amici?" chiese Stefano, incuriosito. Amanda annuì, maledicendoli mentalmente "Hanno insistito perché salissi da sola. Una specie di rito di passaggio per i diciotto anni"

"Molto premuroso da parte loro" disse, poi il suo sorriso si allargò ancora di più "Tanto di guadagnato per me"

Amanda arrossì appena, non sapendo bene come rispondere. Nessuno aveva mai flirtato così apertamente con lei, tanto apertamente da non lasciare nemmeno dubbi sul se se lo stesse immaginando o no.

Era tanto spiazzante quanto liberatorio.

"E i tuoi amici?" chiese allora, cercando di distrarsi in vista della lunghissima discesa che li aspettava pochi metri più avanti.

"Depressi" disse lui con semplicità "Abbiamo appuntamento al bar qui davanti tra un'ora, e io ho pensato: 'perché non farmi un giro al parco? Magari incontro qualche bella ragazza', come vedi, raramente mi sbaglio"

Amanda probabilmente sarebbe arrossita di nuovo, se non fosse stata troppo impegnata a sbiancare completamente. Erano in cima alla salita, e da lì la discesa che li aspettava sembrava più spaventosa che mai.

"Oddio no" sussurrò lei.

"Oddio sì" corresse lui.

Poi il vagone scese in picchiata.

 

 

Il giro terminò proprio com'era iniziato: troppo in fretta.

Amanda lasciò che Stefano la aiutasse ad uscire, ridacchiando quasi fosse ubriaca quando si rese conto di non riuscire a stare in piedi. Vide Lorenzo dall'alto dei suoi due metri di altezza che le faceva segno poco più in là, perciò si voltò verso Stefano, sorridendo.

"Mi ha fatto piacere conoscerti" disse, notando solo ora che era in effetti piuttosto bassino, un paio di centimetri più alto di lei. Difficilmente raggiungeva il metro e settantacinque.

"Non fai un altro giro?"

"No, credo che la dose di adrenalina per oggi sia sufficiente"

L'espressione di Stefano sembrò onestamente dispiaciuta, ma Amanda dubitava che lui lo fosse davvero. Era abbastanza sicura che al prossimo giro avrebbe già trovato un'altra ragazza.

"Che ne dici allora di raggiungermi al bar, più tardi?" domandò, guardandola piena di aspettativa. "Così posso presentarti il mio amico depresso"

"Non posso lasciare i miei amici"

"Porta anche loro, non c'è problema. Più siamo meglio stiamo!"

Amanda studiò Stefano per qualche secondo. C'erano tante ragioni che le venivano in mente per dire di sì, e nessuna per dire di no. In fondo, cosa aveva da perdere?

Forse la nuova Amanda poteva essere proprio questa. Una che non ha paura del nuovo, dell'incerto. Le piaceva l'idea.

"Certo, perché no" disse alla fine, felice della sua scelta. Sorrise un'ultima volta a Stefano, poi raggiunse di corsa gli altri, non riuscendo a non voltarsi indietro un paio di volte.

"Chi era il bel tipo con cui parlavi?" le domandò Michael non appena lo raggiunse, lanciando qualche occhiata verso Stefano. Amanda lo obbligò a voltarsi, tirandolo via dall'ingresso della giostra. "Se solo fossi venuto con me, forse avresti potuto conoscerlo"

“Azz, il Karma è uno stronzo”

Passarono il resto dell'ora facendo qualche ultimo giro sulle giostre - fermandosi particolarmente sulle famose tazze rotanti - e divertendosi ai tiro-a-segno. Non fu davvero una gran sorpresa per nessuno che Giulia fosse la migliore a sparare, se non forse per l'espressione maniaca che le si dipingeva sul volto ogni volta che prendeva in mano il fucile. Lorenzo ammise di trovarla incredibilmente sexy, e Michela finse di vomitare.

Mai aveva visto le due ragazze andare così d'accordo.

Quando arrivarono le sette, Amanda propose in maniera piuttosto casuale di andarsi a prendere un qualcosa da bere al bar lì di fronte. Era comunque quasi ora di andare, perciò tutti accettarono la proposta di buon grado, trascinando via Giulia dalle ultime giostre ed incamminandosi verso l'uscita.

Erano quasi arrivati al bar, quando Amanda scorse una figura familiare. Inizialmente pensò quasi fosse un'allucinazione, ma le morbide curve dei suoi ricci e la figura slanciata non lasciavano spazio all'immaginazione: era proprio Alessandro quello che stava entrando nel bar.

Prima che potesse anche solo pensarci, Amanda si era già voltata indietro, dirigendosi spedita verso la via dove sapeva esserci un altro locale.

"Quello è più economico" borbottò, e fu l'unica spiegazione che diede al riguardo. Nessuno chiese niente, e lei continuò ad avanzare, decisa a mettere più distanza possibile tra sé e quel bar.

L'espressione di Stefano quando le aveva chiesto di raggiungerlo al bar le tornò in mente, ma si costrinse a scacciarla via, l'immagine di Alessandro ben più presente.

A quanto pareva, proprio non ne voleva sapere di lasciarsi dimenticare in pace.

 

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Capitolo 14
*** Monaco ***


Breathe Into Me

Capitolo Quattordicesimo:
Monaco

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Amanda osservò la maniglia della portiera ancora per qualche secondo, la sua mano che proprio non voleva decidersi ad afferrarla. Sapeva bene di essere già in ritardo - probabilmente tutti gli altri erano già al gate, biglietto in mano e valigia in stiva - ma non riusciva a convincersi ad uscire dalla macchina.

"Staremo bene" disse Luigi, capendo esattamente quali fossero i pensieri della figlia. Amanda si voltò, adocchiando prima lui, poi la sorella.

"Lo so" disse, ma in realtà non era poi così vero. Per quanto il padre continuasse a rassicurarla, lei non riusciva a smettere di preoccuparsi: mai era stata lontana da Roberta per più di tre giorni, figurarsi una settimana. L'idea di lasciarla sola per tutto quel tempo le metteva addosso un'agitazione surreale, impedendole perfino di pensare razionalmente. "Forse dovrei restare"

Luigi scosse la testa. "Non se ne parla" disse con tono fermo, chiarendo che non ammetteva repliche "Sono settimane che ci organizziamo. Ho avvertito la scuola e ho anche già comprato i biglietti del traghetto. Senza contare che questo viaggio studio è costato ben 700 euro. Non rimborsabili"

"Ma-"

"Niente ma. Tu va e goditi il tuo viaggio. Io e Roberta ci divertiremo tantissimo insieme, non è vero?" domandò. rivolgendosi alla piccola seduta sul sedile posteriore. La bambina annuì, gli occhi che le brillavano pieni di eccitazione.

"Sarà bellissimo!"

"Visto?"

Amanda non era ancora convinta. "Sicuro che le maestre non le faranno problemi se si assenterà per una settimana?"

"Affatto. Erano anzi contente che avrà finalmente la possibilità di conoscere i suoi nonni"

"E mamma-"

"Tua madre è più che felice di avere la casa tutta per sé"

Ok, dovette ammettere Amanda, suo padre per una volta aveva fatto le cose per bene. E allora perché non riusciva a togliersi quella fastidiosa sensazione dallo stomaco?

Quando Luigi era arrivato a casa, il lunedì pomeriggio del 9 aprile - quasi un mese prima ormai - e aveva annunciato ad Amanda di averle portato un regalo di compleanno, la ragazza tutto si era aspettata tranne di scoprire che l'uomo aveva deciso di pagarle il viaggio studio a Monaco. A quanto pareva quando era andato agli ultimi colloqui, a febbraio, e aveva scoperto che Amanda aveva deciso di non aderire al viaggio, senza dirle niente si era messo d'accordo con l'insegnante di tedesco e aveva firmato i moduli di partecipazione. Era riuscito a mantenere il segreto fino al compleanno della figlia, e questa ne era rimasta a dir poco stupita. Non credeva che Luigi avrebbe mai perso tanto tempo dietro un qualcosa che la riguardasse, né che avrebbe mai messo tanto impegno nel farle un regalo di compleanno.

Non si era infatti solo assicurato che Amanda partecipasse al viaggio, ma si era anche organizzato in modo che Roberta non rimanesse sola a casa durante quella settimana. Loro due erano infatti diretti quel giorno stesso verso un piccolo paesino in Sicilia, dove vivevano i nonni paterni di Amanda. Lei li aveva incontrati solo una volta, svariati anni prima, ma Roberta non ne aveva ancora avuto l'occasione. Se non fosse stata così incredula, forse sarebbe anche riuscita ad ammettere che quella del padre era stata davvero una buona idea. Il giorno si era invece limitata a fissarlo con espressione allucinata, continuando a pensare perché quel piano non sarebbe stato fattibile.

Non aveva trovato niente.

E così, il trenta aprile, eccola lì all'aeroporto, la maniglia ora stretta nella sua mano mentre continuava a ripensare a cosa sarebbe potuto andare storto, cosa non avrebbe potuto funzionare.

"Se non ti sbrighi, finirai per dovertela fare a piedi" annunciò il padre, facendo un gesto verso la portiera. Quando non vi fu alcuna reazione da parte di Amanda, si sporse e la spalancò lui stesso, facendo segno alla figlia di uscire.

"Hai bisogno di aiuto con la valigia?"

"No, ce la faccio" disse Amanda, tirandola fuori dal portabagagli e lasciandola cadere a terra con un tonfo.

Osservò l'entrata dell'aeroporto davanti a sé, e ancora non riusciva a credere che stava davvero per farlo. Non aveva mai lasciato l'Italia. Accidenti, a malapena aveva mai lasciato casa sua. Eppure eccola lì, pronta a partire.

La portiera posteriore dell'automobile si aprì, e la sorella ne uscì di corsa, lanciandosi su Amanda e abbracciandola. La ragazza la strinse a sua volta tra le sue braccia, chiudendo gli occhi e assaporando la sensazione di calma che un così semplice gesto era capace di infonderle. Quando finalmente si staccarono, Roberta aveva gli occhi lucidi, le labbra che tremolavano appena.

"Ci scrivi, vero?"

Amanda sorrise, abbassandosi appena e mettendole le mani sulle spalle "Vi scriverò ogni giorno, e tu dovrai fare lo stesso, ok?"

"Ok"

"Non dimenticarti di salutarmi la nonna"

"No"

"E anche il nonno"

Roberta annuì, tirando su con il naso. "Te li saluterò cinque volte. Anzi sei"

"Sei la sorella migliore del mondo" disse Amanda, dandole un bacio sulla fronte. Roberta scosse la testa. "Non è possibile. La sorella migliore del mondo è davanti a me" disse, e Amanda riconobbe le sue parole, le stesse che le aveva ripetuto lei stessa così tante volte. Se prima era riuscita a trattenersi, ora sentì a sua volta gli occhi inumidirsi, e strinse nuovamente a sé la bambina. Non riusciva ad immaginare quanto le sarebbe mancata.

Finalmente si separarono, e questa volta Amanda forzò Roberta a salire in macchina, salutando con un cenno anche Luigi. Quando richiuse la portiera, la macchina partì immediatamente, e Amanda si ritrovò costretta a voltarsi, afferrando la valigia e dirigendosi verso l'aeroporto.

Dovette quasi lanciarsi al banco d'accettazione, imbarcando subito la valigia e ritirando il biglietto precedentemente prenotato. Sfortunatamente i posti erano stati assegnati casualmente, ed essendo arrivata così tardi molto probabilmente non sarebbe riuscita a sedersi accanto Michela o Paolo. Non le interessava più di tanto: il viaggio sarebbe durato meno di tre ore, e Giulia, che aveva deciso di non venire, le aveva lasciato la sua PSP, perciò era sicura che a malapena se ne sarebbe accorta.

Superati i controlli cominciò a cercare il gate d'imbarco, mentre ancora cercava di riallacciare la collana che aveva dovuto togliere al metal-detector, maledicendo il gancio che proprio non ne voleva sapere di aprirsi. Passò davanti alla sua classe ben due volte prima di notarla, e probabilmente l'avrebbe fatto ancora se Paolo non l'avesse richiamata.

Quando raggiunse i suoi amici era senza fiato, e Michela le passò pronta una bottiglietta d'acqua ancora sigillata.

"Ferri" l'accolse il professor Rozzoni non appena la vide, l'insegnante di tedesco, lo sguardo severo come sempre. "Più puntuale la prossima volta"

Amanda si sforzò di restare ben dritta sotto il suo sguardo. "Mi scusi. Abbiamo trovato un incidente sulla statale"

Una donna sui trent'anni si avvicinò, aggiustandosi il cappellino che aveva in testa. Amanda la riconobbe come l'insegnante di francese della classe di Michela, anche se non era sicura di ricordarne il nome.

"Forse è per questo che Alessandro è in ritardo"

Amanda si paralizzò a quelle parole, tendendo immediatamente le orecchie. In preda ad un atroce dubbio si tese verso Michela, il cuore che ora le batteva furente nel petto.

"Alessandro? E' un tuo compagno?"

Michela scosse la testa. "No, stanno parlando del professor Navarra. Doveva essere qui almeno mezz'ora fa"

Eccola lì, quella fastidiosa stilettata allo stomaco. "Il professor Navarra? Non doveva venire la Lutz con noi?"

"Doveva, ma due giorni fa le è venuta la colite. Avrà mangiato troppi crauti o che so io. Il Navarra era l'unico disponibile con un così breve preavviso. Oh, parli del diavolo..."

Amanda si voltò appena in tempo per vedere Alessandro che correva verso di loro, un piccolo zaino stretto in mano e i capelli scompigliati. Se non fosse stata troppo impegnata a mandare a quel paese la sorte, probabilmente avrebbe pensato che era bellissimo.

"Scusate" disse non appena fu accanto a loro, posando lo zaino a terra e cercando di riprendere fiato. "C'era una coda infinita sulla statale"

"Sì, Ferri ha avuto il tuo stesso problema" disse il professor Rozzoni, e Alessandro alzò automaticamente lo sguardo verso di lei. Amanda vi colse una punta di sorpresa, quasi non si aspettasse di trovarla lì, e lei non riuscì a non sentirsi un poco indignata.

Se c'era qualcuno che aveva il diritto di sentirsi sorpreso, quello non era di certo lui.

Passò qualche altro minuto prima che venisse chiamato il loro volo, e poi almeno un'altra mezz'ora prima che arrivassero davanti all'aereo. Le scalette per salirvi sembravano incredibilmente instabili, e Amanda non poté fare a meno di fissarle per qualche istante prima di decidersi a metterci piede sopra.

Sospirò. Se delle precarie scalette alte sì e no due metri erano capaci di farle quell'effetto, non voleva nemmeno immaginare come sarebbe stato il volo. Forse era stata un po' troppo sbrigativa nel giudicare la sua capacità di adattarsi ad un viaggio di tre ore sospesa nel vuoto.

Quando finalmente fu dentro, uno steward dall'aspetto simpatico la salutò cortesemente, dando uno sguardo al suo biglietto e indicandole dove fosse il suo posto. Amanda storse un po' la bocca nel costatare che era finita in uno dei posti a tre al centro dell'aereo, ma se non altro vide che Alessandro era seduto a più di tre file davanti a lei.

Salutò con un cenno Michela e Paolo, che erano riusciti ad accaparrarsi dei posti accanto, poi si avvicinò al suo posto, sistemando con un po' di fatica lo zaino nello scompartimento sopra i sedili e sedendosi con uno sbuffo sul sedile 13 D.

Era proprio al centro, e la cosa non la faceva impazzire, ma fortunatamente al momento solo il sedile alla sua sinistra era occupato. La ragazza che vi sedeva era un'amica di Michela, anche lei della quarta D, e fortunatamente era piuttosto magrolina, perciò occupava pochissimo spazio.

Pochi secondi dopo il professor Rozzoni e la professoressa di francese - che Michela le aveva ricordato chiamarsi Irene Conciati - si fermarono proprio accanto a loro, sedendosi nei sedili a due posti alla sua sinistra. La ragazza della 4D sbuffò infastidita, forse vedendo svanire i suoi piani di alzarsi durante il volo per andare a chiacchierare con i suoi amici, ma Amanda non ci fece troppo caso. Non aveva mai volato in vita sua, perciò dubitava che avrebbe mai comunque trovato il coraggio di staccarsi dal sedile. Non poteva negare comunque che la prospettiva di stare per tre ore filate sotto lo sguardo attento del professore di tedesco la metteva un po' in soggezione.

Qualcuno si sedette alla sua destra, e Amanda si voltò verso il nuovo arrivato. Non appena ne incrociò lo sguardo, però, il sangue le si gelò nelle vene.

"Mirco"

"Amanda" la salutò quello, sorridendo. "Da quanto non si ci vede"

"E per un buon motivo" disse lei, ritraendosi quasi involontariamente verso sinistra. Il sorriso di Mirco non accennò a svanire. Il ragazzo sollevò una mano, afferrando poi una ciocca dei capelli di Amanda. "Stai molto meglio così"

La ragazza si voltò, dandogli così le spalle. Quel viaggio si stava trasformando in un vero e proprio inferno.

"Alessandro!" chiamò la professoressa Conciati, sollevando in alto la mano e cominciando a sventolarla. "Che ci fai lì tutto solo? Vieni qui accanto a noi!"

Amanda allungò appena il collo, e vide che Alessandro aveva fatto esattamente la stessa cosa. Quando la vide lo riabbassò immediatamente, scuotendo poi la testa. "Tranquilla Irene, qui va benissimo"

"Non scherziamo. Unisciti a noi, sono sicura che anche Marta preferirebbe stare insieme ai suoi compagni" disse la donna, voltandosi poi verso la ragazza seduta accanto ad Amanda. Marta annuì immediatamente, alzandosi quasi non aspettasse altro.

Amanda fu tentata di afferrarla per le spalle e rimetterla giù, legandola al sedile.

Alessandro esitò ancora, ma i gesti impazienti della Conciati non gli lasciarono altra scelta. Con estrema lentezza si alzò dal suo posto, lasciandovi sedere Marta ed accomodandosi a sua volta al posto di quest'ultima. Amanda quasi saltò via dal sedile quando il braccio di Alessandro sfiorò il suo, voltandosi immediatamente dall'altra parte - solo per incontrare il ghigno soddisfatto di Mirco.

Con quello che pareva un imminente attacco di cuore di raddrizzò sul sedile, sforzandosi di guardare dritto davanti a sé. Si rese conto di aver dimenticato la PSP nello zaino, ma alzarsi per prenderla avrebbe voluto dire salire praticamente in braccio a Mirco, e lei non ne aveva la benché minima attenzione. Un sospiro esasperato lasciò le sue labbra, e con rassegnazione si lasciò sprofondare nel sedile.

Sarebbe stato un viaggio incredibilmente lungo.

 

Quando Amanda guardò l'orologio, un'ora dopo, quasi le venne una crisi nervosa. Non era possibile che si trovasse lì, in quel suo incubo personale, da solo sessanta minuti. Era fisicamente impossibile. Che avesse visto male?

Per sicurezza diede una nuova occhiata, ma l'orario 10:31 continuava a lampeggiare pigro, quasi si stesse facendo beffe di lei. Amanda aveva voglia di urlare.

Non appena Alessandro le si era seduto accanto, chiaramente ancora più a disagio di quanto lo fosse lei, si era immediatamente voltato verso i suoi colleghi, dandole le spalle. La ragazza aveva approfittato della situazione per voltarsi a sua volta verso sinistra, così da allontanarsi il più possibile da Mirco. Tra i due mali non c'erano dubbi su quale preferisse, ma allo stesso tempo non voleva imporre la sua presenza ad Alessandro, che le aveva fatto capire più che chiaramente di non volerla. Quanto era successo il mese precedente era un ricordo che difficilmente Amanda avrebbe potuto cancellare, e la vicinanza dell'uomo non faceva che riportare a galla quello che lei aveva cercato di seppellire così in profondità.

Dopo che la professoressa si fu alzata per andare in bagno, il professor Rozzoni tirò fuori un enorme libro dalla sua valigetta, immergendovisi profondamente, e Alessandro fu costretto a voltarsi nuovamente, sistemandosi sul sedile. Rimase a fissare lo schienale davanti a lui per due minuti buoni, poi si alzò di scatto, annunciando a nessuno in particolare che avrebbe fatto un giro del aereo per controllare gli studenti. Rozzoni annuì impercettibilmente, ma non diede altro segno di aver sentito il collega.

Non appena si fu allontanato, Amanda si rilassò: era come se qualcuno improvvisamente avesse aperto una finestra del minuscolo stanzino in cui era rimasta rinchiusa per giorni (e no, nessuno l'avrebbe convinta che fosse stata solo un'ora), facendo finalmente entrare un po' di aria fresca.

Fu tentata lei stessa di alzarsi, magari per raggiungere Michela e Paolo, ma il timore di incontrare Alessandro nei corridoi le fece cambiare idea. Inoltre, per quanto viaggiare in aereo si stesse rivelando molto più tranquillo di quanto si era aspettata, non si sentiva ancora abbastanza sicura da alzarsi in piedi. Quasi rimpiangeva il Pitone.

Approfittando del nuovo spazio, si allargò appena, afferrando le cuffiette dalla tasca del pantaloni. Avrebbe voluto prenderle prima, ma lo spazio era talmente ristretto che temeva avrebbe finito per dare una gomitata ad uno dei suoi vicini di posto. Ora invece non ebbe troppo difficoltà a tirarle fuori, attaccandole immediatamente alla radiolina posta nei braccioli del sedile e sperando di trovare qualche canzone che le piacesse.

"Finalmente se n'è andato" mormorò Mirco accanto a lei, stiracchiandosi. Una delle sue braccia le finì addosso, e Amanda dubitava fortemente fosse stato un incidente. Anche perché quel braccio rimase lì anche dopo che Mirco ebbe finito di stendersi.

"Ho delle nuove carte, vuoi vederle?" le chiese, avvicinandosi a lei. Amanda si spostò ancora un po' a sinistra, ma se avesse continuato così avrebbe finito per sedersi direttamente sul sedile di Alessandro.

"No, grazie" rispose freddamente. Lo sguardo le cadde involontariamente sulle labbra di Mirco, e si ritrovò a dover nascondere una smorfia disgustata mentre ricordava come l'aveva baciata in quel locale. Immediatamente le tornò anche un altro bacio in mente, e per quanto molto più piacevole, era anche molto più doloroso, perciò cercò di scacciare via entrambi.

"Allora potremmo fare qualcos'altro? Non so te, ma io mi sto proprio annoiando" disse lui, sbadigliando e approfittandone per sistemare meglio il braccio attorno alle spalle di Amanda. La ragazza questa volta si allontanò bruscamente, lasciando che cadesse sul sedile.

Mirco scoppiò a ridere, allontanando finalmente il braccio e sistemandosi sul suo sedile. "Ti ricordavo più passiva"

"Tu invece non sei cambiato di una virgola"

"Ahi ahi, la tigre graffia"

Amanda era stanca di quei giochetti. Con un movimento si infilò le cuffie alle orecchie, accendendo la radio. Dovette scorrere un po', ma alla fine trovò una canzone che le piaceva. Questo almeno finché non si accorse che era dei Muse. Brontolando cambiò ancora stazione, finendo così per ascoltare quella che sembrava una via di mezzo tra una canzone country e il rumore che faceva la macchina di sua madre quando veniva rimessa in moto dopo anni di riposo.

Come se non bastasse, dopo pochi minuti Alessandro tornò, forse stanco di girovagare senza meta per tutto l'aereo. Erano solo due classi in gita, e non c'erano nemmeno tutti, quindi erano in totale poco più di venti studenti; Amanda immaginava non ci fosse poi molto da controllare.

Amanda decise di ignorare la sua presenza, proprio come stava facendo con Mirco. O almeno come stava cercando di fare, visto che il ragazzo non sembrava darsi per vinto. Amanda proprio non capiva cosa ci fosse che non andava in lui: le pareva di aver messo bene in chiaro che non era interessata a lui in alcun modo, se non con le parole almeno con il calcio che ricordava bene avergli tirato lì dove non batte il sole, eppure il ragazzo non sembrava intenzionato a demordere. Amanda cominciava a sospettare che lo facesse solo per infastidirla.

"Va tutto bene?"

La ragazza si voltò incredula verso Alessandro, credendo di essersi appena immaginata di aver sentito la sua voce. Lo trovò invece a fissarla, lo sguardo che era su di lei eppure in qualche modo non lo era.

"Um, sì, tutto a posto"

"Forse un po' più di aria ti farebbe bene. Vieni, siediti al mio posto" disse, e la sua voce risuonò quasi meccanica. Amanda lo guardò senza capire.

"No, davvero, sto-" qualcosa nello sguardo di Alessandro la ammutolì. Si rese conto solo allora che lui non stava guardando lei, bensì Mirco - o, più precisamente, la mano che Mirco aveva strategicamente posizionato a pochi millimetri dalla sua coscia.

"Sì, forse hai ragione. Un po' di aria sarebbe l'ideale" mormorò, schiarendosi poi appena a voce. Avrebbe voluto ringraziarlo, eppure allo stesso tempo prenderlo a schiaffi. Le aveva detto che non voleva avere più niente a che fare con lei, che il loro rapporto doveva limitarsi a quello tra professore e alunna, eppure eccolo lì, a praticamente imporle di cambiare posto con lui pur allontanarla da Mirco.

Si sollevò in piedi, approfittandone per lasciar refluire il sangue ai piedi, ormai completamente addormentati. Avrebbe volentieri afferrato lo schienale davanti a lei per tenersi alzata, visto che non si sentiva ancora affatto sicura in piedi su un pezzo di metallo che volava in mezzo al nulla più assoluto, ma il ragazzo davanti aveva ben pensato di distenderci i lunghi capelli, lasciandoli pendere sullo schienale come fossero una tendina.

Alessandro si attaccò il più possibile al suo sedile, facendole così spazio per passare. Amanda iniziò a muoversi imbarazzata, cercando di non pensare a quanto fossero vicini in quel momento.

All'improvviso, uno scossone fece tremare bruscamente l'aereo. Vari gridolini si sollevarono tra i passeggeri, e Amanda perse l'equilibrio. Fortunatamente riuscì ad atterrare sul suo sedile, o almeno così pensava finché non vide l'espressione assolutamente orrificata sul viso della professoressa di francese, che, ora che ci pensava, era un po' troppo vicina.

Fu a quel punto che si rese conto di essere seduta su Alessandro.

Si rialzò di scatto, allontanandosi bruscamente e uscendo nel corridoio, il viso così accaldato che temeva potesse sciogliersi da un momento all'altro.

Alessandro era assolutamente immobile. Talmente immobile, in effetti, che Amanda per un secondo si chiese se stesse anche solo respirando. Senza distogliere lo sguardo da davanti a sé si spostò con un movimento veloce nel posto di Amanda, continuando poi a fissare insistentemente il sedile di fronte.

"Mi dispiace" borbottò la ragazza, sedendosi a sua volta. Sorrise insicura alla professoressa Conciati, che ancora la fissava sconvolta, poi finalmente si permise di rilassarsi. Ora che Alessandro era seduto tra lei e Mirco, la situazione era molto più sopportabile.

Un nuovo scossone, questa volta più forte. Molti iniziarono a chiamare preoccupati le varie hostess che passavano per i corridoi, ma quelle erano troppo impegnate a correre da una parte all'altra per prestare loro attenzione. Il segnale delle cinture di sicurezza venne riacceso, e Amanda cominciò ad essere seriamente spaventata. Lanciò un'occhiata a Riccardo, un suo compagno che sapeva aver viaggiato spesso in aereo, e vederlo completamente a suo agio la tranquillizzò un po'.

"Signore e signori buonasera. Sono il comandante. Stiamo incontrando una leggera turbolenza dovuta al maltempo, niente di preoccupante. Per ragioni di sicurezza siete pregati di tornare ai vostri posti ed allacciare le cinture".

Tutti fecero come gli era stato detto, ed Amanda non fece eccezione. Allacciando la cintura si rese conto di quanto fosse stata regolata larga, e lanciò un'occhiata ad Alessandro, che stava invece pazientemente allargando la sua. I loro sguardi si incrociarono, e un lieve sorriso si aprì sulle labbra dell'uomo. Fu questione di pochi secondi, poi tornò nuovamente serio, distogliendo lo sguardo.

L'aereo fece un balzo, e Amanda dovette trattenere un grido. Stava per vomitare. No, peggio, stava per morire. Ci fu un nuovo scossone, e questa volta la ragazza notò Alessandro voltarsi di scatto dall'altro lato. Curiosa, si sporse un po', cercando di capire cosa avesse attirato la sua attenzione in maniera così immediata, e spalancò gli occhi quando vide la mano di Mirco stretta attorno al braccio dell'uomo. La presa del ragazzo era talmente forte che le nocche della sua mano erano ormai bianche, ma mai bianche quanto lo era la sua faccia.

L'espressione di Alessandro era talmente sorpresa che Amanda sarebbe potuta scoppiare a ridere, se non fosse stata lei stessa così spaventata. L'uomo fece per allontanare il braccio di Mirco, ma quello non sembrò neanche accorgersene, il volto che diventava sempre più verde mano a mano che nuovi scossoni si susseguivano.

Dopo qualche minuto, Amanda scoprì che stava quasi cominciando a godersi la situazione. Mirco era ormai completamente aggrappato ad Alessandro, che sembrava solo desiderare andarsene via da lì il prima possibile, e la situazione era talmente divertente che Amanda smise perfino di pensare alla sua possibile morte imminente. Afferrò una delle buste di carta sistemate nella tasca del sedile davanti a lei, passandola con fare d'intesa ad Alessandro. Questo la osservò inizialmente senza capire, poi finalmente l'idea che quella busta sarebbe presto potuta servire a Mirco lo colpì, e quasi si staccò dal ragazzo, un'espressione disgustata in volto. Si voltò poi con aria disperata verso Amanda, la quale si limitò a posargli la busta in grembo, appoggiandosi poi allo schienale del suo sedile e rimettendosi le cuffiette nelle orecchie, chiudendo gli occhi.

Forse sarebbe davvero morta quel giorno, ma se non altro avrebbe potuto dire di ritenersi finalmente soddisfatta: ah sì, il Karma era davvero uno stronzo.

 

La turbolenza sfortunatamente durò solo poco più di quindici minuti, ma mise Amanda talmente di buon umore che il resto del viaggio fu decisamente più piacevole. Riuscì perfino a recuperare la PSP alla fine, anche se dovette fare l'intero giro del corridoio per riuscirci. Ne approfittò per fare una visita a Michela e Paolo, che trovò però profondamente addormentati.

Quando il pilota annunciò l'imminente atterraggio, Amanda poté chiaramente vedere Alessandro emettere un sospiro di sollievo, e la ragazza non seppe se fosse perché finalmente avrebbe riavuto indietro il suo braccio, o perché si sarebbe potuto allontanare da quella imbarazzante atmosfera.

Non appena l'aereo toccò terra, Mirco si slacciò la cintura, lanciandosi verso l'uscita del velivolo prima ancora che l'aprissero. Alessandro scosse un paio di volte la spalla, cercando di far tornare il sangue nella mano ormai prossima alla necrosi, e Amanda dovette abbassare la testa per nascondere il ghigno che le si era formato sulle labbra.

Uscendo dall'aereo si riunì con Michela ed insieme presero la navetta che le portò fino all'aeroporto. Una volta che tutti ebbero recuperato i bagagli e si furono riuniti, il professor Rozzoni li condusse fino ad un nuovo pullman, quello che li avrebbe portati alla struttura in cui avrebbero alloggiato per l'intera settimana.

Essa era un vecchio collegio privato, e Amanda rimase a bocca aperta nel constatare quanto fosse grande. Era alto cinque piani, con enormi finestre che affacciavano direttamente al giardino, e la ragazza adocchiò immediatamente un paio di altalene che dondolavano solitarie in un angolo.

Forse per la prima volta nella sua vita fu felice di essere iscritta ad una scuola privata, dubitava che altrimenti vi sarebbe stata anche solo la possibilità di alloggiare in un posto simile.

"Credo che io rimarrò qui" disse Michela, osservando meravigliata le tendine di pizzo della finestra della loro camera. Amanda annuì, lanciandosi sul morbido letto a una piazza e mezzo e annusando le coperte fresche di bucato.

"Quanto credi che costi un posto simile?" domandò all'amica. Quella si strinse le spalle "Non saprei. Sicuramente più di quattrocento euro al mese" disse, poi la sua attenzione fu catturata da qualcosa in giardino.

"Amanda, sbrigati, vieni a vedere!"

La ragazza si alzò di scatto, raggiungendo in fretta l'amica. Guardò giù, e la bocca le si aprì in una piccola O quando vide un gruppo di ragazzi giocare a pallavolo. Erano tutti alti e biondi, fatta eccezione per un paio con i capelli corvini. Indossavano delle canottiere gialle e nere con su scritto il nome dell'istituto e dei pantaloncini al ginocchio neri, e sembravano tutti molto presi dalla partita.

"Dev'essere la squadra della scuola" disse Amanda. Michela annuì.

"La scuola dei miei sogni"

Qualcuno bussò alla porta socchiusa della loro camera, poi la testa di Paolo spuntò dall'apertura. "Hallo, mi hanno mandato a dirvi che in sala mensa stanno dando il pranzo"

"Oh, grazie" rispose frettolosa Amanda, voltandosi poi nuovamente verso la finestra.

"Che fate di bello?"

"Guardiamo la partita"

Paolo si avvicinò curioso, guardando a sua volta i ragazzi giocare. Dopo qualche istante sollevò un sopracciglio, l'espressione scettica. "La partita eh?"

"Lo sai?" disse Michela, senza distogliere l'attenzione da ciò che accadeva in giardino “Credo che da qualche parte si stia allenando anche la squadra femminile"

"Io vado a farmi un giro. A dopo!" annunciò Paolo, e in un istante fu di nuovo fuori. Amanda osservò la porta chiudersi, poi spostò lo sguardo sull'amica.

Certo che erano una strana coppia.

Scesero a pranzo qualche minuto dopo, adocchiando con sospetto i vari purè che stavano servendo. Amanda finì per riempirsi il piatto di patatine - così come avevano fatto quasi tutti gli altri studenti - mentre Michela fu abbastanza coraggiosa da provare alcune delle specialità dell'istituto.

Quel giorno nel refettorio vi erano solo gli studenti italiani, poiché a quanto pareva quelli tedeschi avevano già mangiato. Il pranzo, li avvertì la professoressa Conciati, da allora in poi sarebbe stato a mezzogiorno, e per quell'ora avrebbero sempre dovuto farsi giù. La colazione era invece fissata per le otto, mentre la cena alle sei del pomeriggio. Amanda non era affatto sicura che sarebbe riuscita a mangiare così presto.

"Oggi avete la giornata libera. Domani, dopo che avrete partecipato alle vostre lezioni, potrete visitare uno dei tre luoghi a scelta che vi proporremo, accompagnati ovviamente da uno dei docenti"

Tirò fuori un foglietto dalla tasca della giacca, spiegandolo e iniziando a leggere.

"Il professor Rozzoni accompagnerà gli studenti che vogliono visitare il palazzo reale, il professor Navarra quelli che vogliono visitare l'Englischer Garten e io chi invece è interessato a fare un giro per la Kaufingerstrasse, anche chiamata la via dello shopping" disse, pronunciando a fatica i nomi tedeschi.

Un coro di mormorii si sollevò per l'intera sala.

"Bene, alzi la mano chi vuole venire con me" chiese, e più della metà degli studenti lo fece, Amanda compresa. Era onestamente più interessata all'enorme parco tedesco che allo shopping, ma di andare con Alessandro non se ne parlava.

"Chi vuole invece visitare il palazzo reale?"

Silvia Verderio alzò la mano, ma fu l'unica. Amanda capiva bene i suoi compagni. Il problema non era tanto il palazzo in sé, che già probabilmente non era la meta più interessante, quanto la brutta mania che aveva il professor Rozzoni di chiedere vocaboli tedeschi a sorpresa a chiunque gli capitasse a tiro. Non era difficile immaginarlo andare in giro per i corridoi del castello ad indicare armature e quadri chiedendo "Wie sagt man*?"

La professoressa di francese si guardò in giro un po' a disagio. Chiaramente non era questo il risultato che si aspettava.

"Nessun professore può avere con sé più di dieci studenti" disse glaciale il Rozzoni, che probabilmente invece si era aspettato proprio quel esito "Dunque qualcuno deve per forza venire con me"

Tutti cominciarono a scambiarsi occhiate, ma nessuno alzò la mano.

"Ottimo" disse allora il professore, alzandosi dal tavolo in cui sedeva con Alessandro "Abbiamo voluto darvi una possibilità di scelta, ma chiaramente non siete ancora abbastanza maturi per tali libertà. Le divisioni verranno fatte secondo ordine alfabetico, senza eccezioni"

Tutti cominciarono a lamentarsi, protestando che fosse ingiusto, ma il Rozzoni raramente tornava indietro nelle sue decisioni.

"Tutti coloro i cui cognomi vanno dalla A alla E verranno con me. Dalla F alla O con il professor Navarra, e dalla P alla Z con la professoressa Conciati"

"Ma professore-" si lamentò Silvia, l'unica abbastanza brava in tedesco da potersi permettere tutte le domande sui vocaboli che voleva.

Il Rozzoni non si fece impressionare. "Fine della discussione"

Amanda non poté fare a meno di chiedersi perché il fato la odiasse così tanto.





*
Come si dice? 

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Capitolo 15
*** Perso in Partenza ***


Breathe Into Me

Capitolo Quindicesimo:
Perso in Partenza

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"Dunque, chi è con me?" domandò Alessandro, voltandosi a guardare il gruppetto di allievi che gli si era raccolto attorno. Erano otto persone, ma solo tre di quelle erano suoi studenti, perciò abbassò gli occhi verso l'elenco che aveva in mano.

"Irisi Paolo, Morgante Gloria, Flauti Giacomo, Lest Ionut, Girelli Marina, Lievi Marialuisa, Ovidi Andrea" si fermò per un istante, schiarendosi la voce "E Ferri Amanda. Ci siete tutti? Bene, allora direi che possiamo cominciare ad incamminarci"

Amanda lanciò un'ultima occhiata a Michela, ferma davanti alla professoressa Conciati, desiderando solo di poter andare al comune più vicino a cambiare cognome. Il pomeriggio di compere in quel momento sembrava più allettante che mai.

"Ci è andata bene, eh?" disse Paolo, salutando Michela con un cenno della mano e tornando poi a concentrarsi su Amanda. "Tre ore di shopping o di interrogazione di tedesco. Non so a quale dei due gruppi vada peggio."

"Oh, io un'idea ce l'avrei" mormorò Amanda, adocchiando le facce disperate dei ragazzi intenti ad ascoltare il programma del professor Rozzoni. Perfino lei non era sicura di poter dire di essere in una posizione peggiore.

"Credi che si sia portato dietro il registro?"

"Per il bene di Riccardo, spero proprio di no. Non credo che riuscirebbe a sopportare un altro 2"

Paolo annuì, poi insieme si misero in fila dietro ai loro compagni, seguendo Alessandro. Camminarono per una buona mezz'ora, ammirando tutto ciò che incontravano nel loro percorso. Amanda sapeva che avrebbe avuto un'intera settimana per esplorare la città, ma non poté fare a meno di fermarsi ogni due passi, piena di meraviglia.

Meraviglia che si moltiplicò non appena arrivarono all'entrata dell’Englischer Garten.

Decise all'istante che definirlo parco era praticamente un insulto. Da quanto poteva vedere, le distese d'erba del posto si estendevano per chilometri e chilometri, creando uno spettacolo incredibile. Le bastò solo quella vista per farle dimenticare dove si trovasse, perché improvvisamente la sua mente la riportò in un altro posto, uno che fino allora era esistito solo nella sua mente.

Il mio posto felice, si ritrovò a pensare, lanciando poi un'occhiata a Paolo. Le sembrava impossibile che, proprio ora che il ragazzo era davvero lì con lei, come aveva immaginato per mesi e mesi, il loro rapporto fosse cambiato così tanto. Il solo pensare a come l'aveva idealizzato ai tempi quasi le faceva venire da ridere, eppure allo stesso tempo le provocava una strana melanconia.

Proprio in quel momento Alessandro si fermò, voltandosi verso di loro, e Amanda fu riportata bruscamente alla realtà.

"Bene, ho una proposta da farvi" disse, passandosi una mano tra i capelli con fare stanco. "Visto che so bene che molti di voi preferirebbero essere a fare altro, o per lo meno per i fatti propri, vi darò questa possibilità. Coloro tra voi che sono già maggiorenni possono se vogliono andare per conto proprio, l'importante è che si facciano ritrovare esattamente in questo punto per le cinque e trenta. Che dite, ci state?"

Cinque tra loro annuirono, tra cui Amanda. Andarsene per conto suo, non c'era altro che desiderava di più. Forse aveva insultato il fato troppo presto.

"Allora, dove vuoi andare?" chiese entusiasta a Paolo, già pronta ad allontanarsi da lì. L'espressione del ragazzo la bloccò all'istante.

"Er, io non posso andare da nessuna parte. Ancora minorenne, ricordi?"

Ah, già. Tutto l'entusiasmo abbandonò immediatamente la ragazza, che abbassò con aria sconfitta le spalle.

"Ma tu vai se vuoi! Non voglio mica trattenerti qui"

"No, nessun problema. Mi piace il parco, davvero" disse lei, cercando di rendere il suo tono il più spensierato possibile. Onestamente, non era proprio di Paolo che si era preoccupata - sapeva bene che probabilmente era amico di tutti i presenti, e non avrebbe faticato a sostituirla - ma di se stessa. Senza Paolo, infatti, allontanarsi dal gruppo avrebbe voluto dire passare le successive tre ore completamente da sola in giro per Monaco. Non la prospettiva più allettante.

Osservò Gloria e altri tre studenti della 4D avviarsi in gruppo nella direzione inversa al parco, forse diretti verso quel locale che avevano incrociato durante il percorso, e trattenne a stento un sospiro, salutando la sua ultima possibilità di trascorrere un pomeriggio in santa pace.

Sempre più afflitta, seguì Paolo all'interno del parco.

 

 

Sorprendentemente, il pomeriggio fu molto più piacevole del previsto.

Inizialmente la presenza di Alessandro, sempre a pochi passi da loro, fu piuttosto distraente per Amanda, che continuava quasi involontariamente a lanciargli veloci occhiate, ma presto tutte le meraviglie che custodiva il parco riuscirono a catturare nuovamente a pieno la sua attenzione.

Ce n'era un po' per tutti i gusti: panchine all'ombra, laghetti con cigni, natura incontaminata, monumenti e perfino una piccola cascata su cui fare surf. Paolo rimase particolarmente affascinato da quest'ultima, perciò rimasero una buona mezz'ora ad osservare intrepidi turisti provare a restare in piedi sulla tavola. Ce ne fu uno particolarmente bravo che sembrò proprio volerci rimanere su per tutta la giornata, ma alla fine anche lui dovette cedere e lasciarsi trasportare via dal fiume.

Incapparono loro malgrado anche in una zona riservata ai nudisti, e si affrettarono ad allontanarsi cercando di cancellare dalla loro memoria immagini che avrebbero preferito non aver acquisito, considerato sopratutto che l'età media dei praticanti era sui cinquant'anni.

Il posto preferito di Amanda, tuttavia, era la pacifica prateria che raggiunsero alla fine del loro giro. Il parco era davvero estesissimo, perciò dopo poco più di un'ora di cammino accettarono tutti di buon grado l'idea di stendersi per un po' sull'erba a prendere il sole e godersi l'aria pulita. Marialuisa tirò fuori dalla sua borsa un enorme telo da mare, mentre Ionut si affettò a prendere il suo mazzo di carte.

Paolo, invece, era momentaneamente impegnato in una profonda discussione con Alessandro. Avevano iniziato a parlare di surf, oltre quindici minuti prima, e da lì erano riusciti a spostarsi agli argomenti più vari. Amanda non se ne curò troppo, cercando di origliare il meno possibile, ma tutti i suoi sforzi furono vanificati quando Paolo decise di toccare un argomento più delicato.

"Che poi prof, non ci ha più fatto sapere niente di Lara. E' ancora deciso a trasferirsi da lei quest'anno? Sa, averla alla maturità sarebbe il massimo"

Alessandro sorrise appena a quelle parole, ma il su sguardo rimase serio. "No, non mi trasferirò più a Milano"

"Grande! Come mai?"

"Io e Lara ci siamo lasciati"

"Ah"

Amanda non poté fare a meno di voltarsi verso di lui a quelle parole, l'espressione sorpresa. Quando era successo esattamente?

Ricordava che avevano avuto dei problemi qualche settimana prima, Alessandro le aveva raccontato di una discussione che avevano avuto, ma da lì a lasciarsi ce ne voleva. Possibile che... no, era assurdo. Alessandro non avrebbe rotto una relazione che durava da anni solo per un bacio dato ad una ragazzina, per quanto quella relazione potesse essere poco emotiva.

"Quindi rimarrà con noi anche l'anno prossimo?" chiese Paolo, speranzoso. Alessandro però scosse la testa, abbassando lo sguardo con fare dispiaciuto.

"Temo di no"

"No? Perché?"

"Ormai avevo già chiesto il trasferimento. Non andrò fino a Milano, ovviamente, ma cercherò di essere assunto in qualche altra scuola nelle vicinanze"

"Non può semplicemente annullare il trasferimento?"

Alessandro esitò un attimo, poi scosse nuovamente la testa. "Forse potrei, ma il trasferimento rimane comunque la scelta migliore. Ci sono stati dei... problemi, cose personali, per cui è meglio che io me ne vada"

Amanda abbassò immediatamente la testa, fingendo di essere profondamente concentrata sulla partita a carte tra Marina e Ionut e sperando che Alessandro non si fosse accorto che stava ascoltando. Perché sì, questa volta non c'erano dubbi. Il 'merito' del trasferimento di Alessandro era tutto suo, ci avrebbe messo la firma.

Non era sicura di voler ascoltare altro, ma per fortuna Alessandro fu veloce a cambiare argomento, chiedendo a Paolo dei suoi allenamenti di calcio.

"Ionut!" urlò una voce, richiamando l'attenzione di tutti i presenti. Quando Amanda alzò il volto vide davanti a sé una quindicina di ragazzi e ragazze, e ne riconobbe alcuni come studenti del collegio in cui alloggiavano. Con un paio di essi aveva perfino scambiato qualche frase quella mattina in classe.

"Guten Morgen!" rispose Ionut, sollevandosi in piedi e andandogli incontro. "Was machen sie hier?1"

"Volleyball" fu la breve risposta della ragazza bionda che l'aveva chiamato, mentre sventolava in aria una piccola palla. "Spielen sie mit!2"

Ionut si voltò verso Alessandro. "Chiede se giochiamo con loro a pallavolo"

"Siete liberissimi di farvi distruggere. Quelli lì sono tutti professionisti" scherzò l'uomo, scuotendo appena la testa.

"Wir kommen!3" urlò allora Ionut alla ragazza, porgendo poi la mano a Marialuisa ed aiutandola ad alzarsi. Amanda si voltò verso Paolo, guardandolo speranzosa, ma questo si era già re immerso nella conversazione con Alessandro, spiegando vivacemente come era riuscito, nell'ultima partita, a segnare ben tre goal in dieci minuti.

Con uno sbuffo, la ragazza si alzò, raggiungendo poi il gruppo di tedeschi. Era solo una partita, di certo non le serviva la scorta. E poi era anche tempo che cominciasse a fare nuove amicizie; Ionut sembrava proprio un ragazzo simpatico, e aveva notato che Marialuisa possedeva una maglietta di Superman. Non le sarebbe dispiaciuto conoscerli un po' meglio.

Si divisero in due squadre, decidendo poi i ruoli di ognuno in quello che sembrava un miscuglio tra italiano, tedesco ed inglese. Amanda, che di pallavolo ne capiva poco pure in italiano, cercò di imitare il più possibile quello che facevano gli altri, rendendosi però presto conto di quanto fosse impossibile. Alessandro aveva avuto ragione dicendo che quei ragazzi erano professionisti, ma fortunatamente almeno Ionut e Marialuisa erano nella sua stessa situazione, ossia con gli occhi perennemente puntati al cielo e le mani tese in avanti quasi sperassero la palla ci cadesse dentro.

Nonostante ciò, presto cominciò a prenderci gusto, e riuscì anche a farsi qualche risata. Uno dei suoi compagni di squadra era particolarmente simpatico, e presto la partita si trasformò in una lotta a chi riusciva a farlo cadere a terra più volte nel tentativo di recuperare la palla. Il gioco andò avanti per altri quaranta minuti, ma alla fine Amanda dovette chiamarsi fuori; non era abituata a muoversi così tanto, sopratutto non in modo così frenetico. Cercando di recuperare il fiato uscì dall'immaginario campo, attenta a non pestare le due ciabatte che segnavano la rete, e cominciò a guardarsi attorno alla ricerca di una fontanella.

Il ragazzo simpatico, ormai completamente sporco di terra ed erba, le si avvicinò, anche lui senza fiato. "Do you want something to drink?4" chiese, la pronuncia molto marcata. Amanda annuì, segretamente felice che avesse deciso di usare l'inglese e non un tedesco che il suo cervello stanco probabilmente non avrebbe avuto la forza di tradurre. Il ragazzo fece allora segno con il gomito, asciugandosi poi le goccioline di sudore dalla fronte con la maglietta.

"There's a... um, I don't remember the name in English. Ein Kiosk?5" disse, guardandola poi con aspettativa.

"Yes, I think I got it6" disse lei. Kiosk, doveva essere per forza un chiosco, no? Conoscendo il tedesco, non ne era poi così sicura.

Aveva comunque troppa sete per stare a rimuginare sui dettagli, perciò si lasciò condurre verso un piccolo sentiero a qualche metro da lì, seguendo poi il ragazzo.

Raggiunsero la loro destinazione in pochi minuti, ed entrambi praticamente si lanciarono sul bancone, ordinando due bottigliette d'acqua. Per qualche secondo ci fu silenzio, entrambi troppo concentrati a bere per preoccuparsi di fare conversazione, ma quando entrambi ebbero abbassato le bottiglie, Amanda teste la mano verso il ragazzo, che l'afferrò stringendola.

"I'm Amanda"

"Georg. Nice to meet you"

Entrambi troppo stanchi per tornare indietro, decisero di restare a riposare per qualche minuto su una panchina lì accanto, posizionata strategicamente sotto un enorme albero che proiettava una piacevolissima ombra.

Lasciarono passare il tempo chiacchierando - con qualche difficoltà - del più e del meno. Georg a quanto pareva aveva quindici anni, e si era iscritto da pochi mesi al collegio. Proprio come aveva pensato Michela, il prezzo del posto superava di parecchio i quattrocento euro, ma Georg spiegò ad Amanda che era possibile ridurre il costo attraverso una borsa di studio. Quando però le disse quale media serviva per riuscire ad averla, la ragazza spalancò lo sguardo, incredula.

Per avere una media simile, quel ragazzo doveva essere un genio.

Parlarono anche della scuola di Amanda, ma quando Georg chiese informazioni sul professore che li aveva accompagnati quel giorno, la ragazza capì che era arrivato il momento di passare ad altro. Gli raccontò allora di sua sorella, e lui confessò che gli sarebbe piaciuto presentarle suo fratello, anche lui di sette anni, affermando che sarebbero sicuramente andati molto d'accordo.

Finirono per essere talmente presi dalla conversazione che nessuno dei due si accorse del tempo che passava, questo almeno finché Paolo non sbucò trafelato dal sentiero, emettendo un sospiro di sollievo quando la vide.

"Grazie al cielo ti ho trovata" disse, raggiungendola veloce. "Ti stavamo cercando dappertutto"

Amanda sollevò appena un sopracciglio, confusa. "Cercando?"

"Sì, sei sparita per più di mezz'ora e nessuno ti ha vista andare via. Al Navarra sta per venire un infarto, forse è meglio se gli fai vedere che sei ancora viva"

"Uh, ok" sussurrò, voltandosi verso Georg e spiegandogli brevemente il problema. Si riavviarono insieme verso la radura, Amanda ancora un po' confusa. Non pensava che sarebbe davvero potuto sorgere un problema se si fosse allontanata, ma d'altronde forse avrebbe effettivamente fatto meglio ad avvertire. Che Alessandro invece si fosse preoccupato, quello era tutto un altro paio di maniche. Si era preoccupato per lei? O solo perché mancava una studentessa all'appello?

La risposta arrivò non appena si trovarono in prossimità di Alessandro, che mutò immediatamente la sua espressione da preoccupata a truce, espirando pesantemente.

"Cosa ti è saltato in testa?!" domandò immediatamente, avvicinandosi a lei. Paolo e Georg sembrarono capire l'antifona, perché entrambi si sbrigarono ad allontanarsi, raggiungendo gli altri ragazzi, ora seduti sull'erba.

"Ho alzato gli occhi e tu non c'eri più, nessuno sapeva dove fossi. Lo sai che spavento mi hai fatto prendere?"

"Mi dispiace, sono solo andata a prendere dell'acqua" disse lei sulla difensiva. Si era aspettata un veloce rimprovero, non di certo una ramanzina.

"Avresti potuto avvertirmi!"

"Ho detto che mi dispiace!" sbottò lei, sorprendendo anche se stessa. Forse era solo stufa di questo suo comportamento, e forse era il fatto che ormai sembrava rivolgerle la parola solo per darle ordini, fatto sta che ne aveva avuto più che abbastanza. "La prossima volta avvertirò."

Detto questo si voltò, allontanandosi a passo spedito.

"Si può sapere dove stai andando adesso?" le urlò lui dietro, il tono ancora arrabbiato.

"I diciottenni devono farsi trovare al cancello, giusto? Bene, sto andando" rispose ostinata, muovendosi con fare rigido. Non aveva intenzione di stare accanto ad Alessandro un secondo di più.

Riuscì ad allontanarsi meno di una ventina di metri prima di sentire dei passi dietro di lei.

"Puoi smetterla di comportarti come una bambina, per favore?" bisbigliò l'uomo a denti stretti.

"Se magari smettessi di trattarmi come tale" rispose lei senza voltarsi, continuando a camminare.

Sbucarono in una delle vie principali del parco, e Amanda seguì le indicazioni verso l'uscita ovest.

"Io sto solo facendo il mio lavoro"

Amanda si voltò di colpo, bloccandosi. "Puoi smettere di fingere, almeno per qualche secondo? Almeno mentre siamo soli. Forse tu riesci ad andare avanti con questa farsa, ma io no." Si passò una mano tra i corti capelli, scuotendo la testa con rabbia. "Non riesco nemmeno più a starti attorno, sei come un promemoria vivente di quel sabato e vederti così indifferente... mi sento una stupida"

Alessandro sembrò essere preso alla sprovvista. "Sto solo cercando di fare la cosa giusta" disse, la voce che tremava appena sotto il peso di quelle parole. "Ciò che è meglio per entrambi"

"Meglio per entrambi?" Amanda quasi rise a quell'affermazione, incapace ormai di fermare il fiume di parole che le premevano sulla lingua. Quante volte era stata zitta? Quante volte aveva lasciato che fossero gli altri a parlare, ascoltando in silenzio?

"Hai davvero mai pensato a me, in tutta questa storia? Hai pensato a me mentre mi dicevi che non ero altro che un modo per ricordare Veronica? Hai pensato a me quando mi hai accusata di essere la cosa peggiore che ti sia mai capitata? Sai cosa? Dovresti unirti a mia madre e scriverci un libro, sembrate andare molto d'accordo sull'argomento." Amanda si interruppe per un attimo, cercando di far sbollire la rabbia, e quando riprese a parlare la sua voce si era fatta più ferma e tagliente. "Hai pensato a me mentre mi dicevi che avrei dovuto dimenticare tutto e tornare a vederti solo come il mio professore?" Cercò gli occhi di Alessandro, che però continuò ad evitare il suo sguardo. "Tutto ciò che hai fatto, l'hai fatto per te. L'hai fatto perché avevi paura, e ora non hai nemmeno il coraggio di ammetterlo. Giulia ha ragione: sei un codardo"

"Non dovevi raccontarlo a Giulia" fu l'unica risposta dell'uomo, che sembrava sollevato di aver trovato un appiglio per evitare le altre domande. "Non puoi sapere se manterrà il segreto. Non puoi fidarti così delle persone"

"Solo perché tu non ti sei rivelato degno di quella fiducia, non vuol dire che nessuno lo sia. Ti sei divertito a giocare con me, un gioco molto pericoloso, solo per renderti conto che la posta in gioco era troppo alta, e io come una scema ci sono cascata. Ho davvero creduto che tu tenessi a me, mi sono affidata completamente a te, ma immagino a te interessasse solo il brivido del proibito. Dopotutto, le cose illegali sono le migliori, giusto?" a queste parole, Alessandro scosse la testa quasi impercettibilmente, l'espressione ombrosa "Ti sei mai fermato a pensare a quanto male mi hai fatto?"

"Ogni singolo giorno" disse, la voce spezzata. Il suo tono era talmente disperato che Amanda non dubitò nemmeno per un istante della veridicità di quell'affermazione. Rimase immobile, il respiro pesante e gli occhi che le pungevano fastidiosamente.

"Ma questo non vuol dire che non fosse la cosa giusta da fare"

"E lo era davvero?"

Alessandro la fissò per qualche secondo, e sul suo viso Amanda poté leggere finalmente tutte le emozioni che aveva provato anche lei in quelle ultime settimane. Si chiese da quanto tempo l'uomo stesse portando quella maschera, e per la prima volta non fu più così sicura che Alessandro avesse davvero già dimenticato quanto era successo tra loro.

Proprio mentre questo apriva la bocca come per rispondere, Ionut, Paolo e Marialuisa spuntarono dietro di loro, chiacchierando rumorosamente. L'espressione di Alessandro tornò immediatamente illeggibile, le sue spalle si raddrizzarono, e quando l'uomo si voltò verso i suoi studenti nulla era rimasto che lasciasse trasparire il dolore che, ora Amanda lo sapeva, anche lui stava provando.

 



Per tutta la settimana successiva, né Amanda né Alessandro menzionarono più il piccolo incidente al parco. Le cose tornarono per quanto possibile alla normalità, e Amanda cercò di godersi il tempo rimanente a Monaco.

Non riuscì mai però a dimenticare l'espressione dell'uomo, né il suo tono di voce, così diverso da quello fermo e duro che aveva utilizzato quel lontano sabato di Marzo. Non riusciva a togliersi dalla testa quel fastidioso senso di colpa che ora la tormentava, facendola rigirare per tutta la notte nel morbido letto tedesco, impedendole di chiudere occhio.

Era arrabbiata con Alessandro, quello l'aveva capito chiaramente quando si era vista esplodere davanti ai suoi occhi, incapace di fingere che andasse tutto bene per un secondo di più; eppure, per quanto potesse avere tutte le ragioni del mondo, non aveva avuto assolutamente intenzione di essere così dura con lui. Continuava a ripensare alle parole che aveva usato, alle accuse che gli aveva lanciato. Cosa le era saltato in mente?

Se questo era davvero parte della nuova Amanda, allora non era più così sicura di voler cambiare. Era felice di essere riuscita finalmente a dire ciò che pensava, ma ancora poteva sentirsi sulla lingua la crudeltà con la quale aveva praticamente sputato le parole, che ad altro non miravano che vedere finalmente Alessandro provare qualcosa, qualunque cosa.

Ora che era riuscita nell'impresa, però, stava perfino peggio di prima. Perché per quanto volesse mentire a se stessa, la verità era solo una: lei non odiava Alessandro. Non lo odiava nemmeno un po'.

La cosa più strana era che ora era lei quella che non riusciva più a guardarlo in faccia, mentre sentiva gli occhi dell'uomo seguirla ad ogni suo passo, come se altro non aspettasse che incrociare il suo sguardo. Fu per questo che, una volta atterrati nuovamente all'aeroporto italiano, Amanda sentì un'immensa sensazione di sollievo, accompagnata da una più strana, quasi fosse per certi versi delusa. Da cosa? Non lo sapeva nemmeno lei.

Trovò la madre ad aspettarla all'uscita, un enorme sorriso stampato in faccia. Quando sorrideva, Eleonora sembrava perfino più giovane dei suoi trentasette anni, il viso che si illuminava di luce propria. Era in quei momenti che Amanda capiva perché Luigi se ne era innamorato, era in quei momenti che capiva che donna fosse Eleonora prima di diventare una madre. Una donna felice, forse.

Non appena la raggiunse, la madre la strinse in un profondo abbraccio, e Amanda riconobbe il familiare profumo alla pesca che indossava costantemente da anni.

Tornarono a casa in taxi, un viaggio breve e silenzioso. Una volta arrivate Amanda non perse tempo nel riportare la valigia in camera, lasciandosi cadere a letto e stringendosi in posizione fetale, bisognosa di recuperare tutte le ore di sonno che aveva perso.

Fece sogni confusi, il volto di Alessandro che continuava a ripresentarsi in ognuno di essi, facendola sentire triste e confusa. Sognò anche se stessa: si sognò raggomitolata in una stanza, le ginocchia al petto e la testa nascosta tra di esse, le pareti che tremavano ad ogni suo nuovo singhiozzo. Fu l'unico sogno in cui Alessandro non apparve.

Fu il campanello a svegliarla, lasciandola per qualche secondo in uno stato di profonda confusione. Guardando l'orologio vide che erano le 19.47, e rimase sorpresa nel costatare che voleva dire che aveva dormito per più di cinque ore. Non si sentiva affatto riposata.

Il campanello suonò altre due volte prima che raggiungesse la porta, e Amanda capì che la madre probabilmente non era in casa. Quando, aprendo la porta, si ritrovò davanti Luigi e Roberta abbronzati e sorridenti, capì anche perché.

"Ammy!" esclamò la sorella, correndole in braccio. Amanda la afferrò al volo, stringendola a sé e sentendo immediatamente le labbra piegarsi in un enorme sorriso. Non riusciva a credere di essere riuscita a stare un'intera settimana senza di lei, le sembrava impossibile.

"Oh, ti devo raccontare un sacco!" disse Roberta non appena si separarono, afferrando poi Luigi per una mano e obbligandolo ad entrare. L'uomo si lasciò trascinare con una risata, chiudendo la porta dietro di sé, e Amanda ne fu quasi sorpresa.

"I nonni sono fantastici! Nonna Maria ci ha preparato un sacco di dolci, e Nonno Pino ci ha portato a vedere i delfini, come quelli che abbiamo studiato a scuola! Erano bellissimi, non è vero papà?"

Luigi annuì, aiutando la bambina a togliere la giacca e appendendola accanto alla porta.

"Non le raccontare tutto, altrimenti non rimarrà niente per cena"

"Ti fermi a cena?"

"Sono in ferie fino a lunedì, e come meglio spendere il mio tempo se non con le mie due bambine?"

Amanda lo fissò interdetta. Fu quasi tentata di ribattere che in tutti quegli anni ne aveva trovati eccome di modi alternativi per passare il tempo, ma non voleva rovinare la piacevole atmosfera che vi era in quel momento in casa. Inoltre, forse Luigi stava davvero mettendo finalmente la testa a posto, e a cinquantadue anni sarebbe anche stata l'ora. Forse stava davvero provando ad essere un padre migliore, e chi era lei per impedirglielo? Se non per lui, almeno per Roberta, che in quel momento sembrava talmente felice da non riuscire nemmeno a star ferma.

Ordinarono cinese da un ristorante lì vicino, e si sedettero tutte e tre sul divano a mangiare, Roberta che quasi rischiava di strozzarsi dalla velocità con la quale stava raccontando tutte le cose che avevano visto in Sicilia, che avevano fatto al mare, che le avevano raccontato i nonni - il tutto mentre si rimpinzava di anatra alla piastra e riso. Luigi di tanto in tanto si intrometteva del racconto, spiegando ad Amanda in maniera più pratica alcune delle cose che Roberta tanto aveva amato. Non le sfuggì come il padre buttasse di tanto in tanto un "la prossima volta lo vedremo insieme" o "i nonni non vedono l'ora di rivederti, quando gli ho mostrato le foto quasi non credevano che fossi cresciuta così tanto".

Presto, anche lei si lasciò trascinare in quella bolla di entusiasmo, sentendosi finalmente di nuovo in famiglia. Era una sensazione talmente piacevole che riuscì perfino a dimenticarsi di quanto precaria fosse, di quanto facilmente sarebbe potuto cadere tutto a pezzi.

"Che poi, Roberta mi ha detto che hai trovato lavoro" disse Luigi, porgendole un po' di pollo con mandorle.

Amanda annuì, sorridendo con fierezza. "Alla gelateria di via Verdi" disse "Comincerò a Giugno, appena sarà finita la scuola."

"E hai già un'idea su come utilizzare i guadagni?"

"Un appartamento, possibilmente. Ho già cominciato a dare un'occhiata in giro"

Luigi sembrò essere preso un po' alla sprovvista. "Vuoi andartene di casa? Non è un po' presto?"

Fu il turno di Amanda di restare interdetta. Il padre era davvero così cieco da non essersi mai accorto di quello che succedeva in quella casa?

"Non sarà mai troppo presto" fu la sua unica risposta, e decise che se il padre avesse voluto capire lo avrebbe fatto. Roberta sembrò notare la tensione che si era improvvisamente andata a creare nella stanza, perché subito si alzò, proponendo di giocare a Monopoli.

Giocarono fino a tarda notte, approfittando del fatto che fosse sabato, e Roberta manco a dirlo li ridusse in men che non si dica in miseria, cominciando a costruire alberghi per tutto il percorso e collezionando tasse su tasse. Allo scoccare della mezzanotte la bambina lanciò un grande sbadiglio, così Amanda e Luigi decisero che era il caso di andare a letto - forse anche timorosi che se avessero continuato a giocare Roberta si sarebbe appropriata anche delle loro mutande.

Fu solo mentre stava per salire in camera sua che Amanda notò la borsetta della madre sul tavolino di ingresso, il punto dove l'aveva lasciata quando erano tornate dall'aeroporto. Lanciò un'occhiata alla porta della sua camera, sentendosi stranamente a disagio al pensiero che la donna era stata per tutto quel tempo in casa, ma scacciò via la sensazione con una scrollata di spalle, salendo le scale e mettendosi subito a letto.

 



La mattina dopo, quando si svegliò, la borsa di sua madre era sparita, così come la sua macchina. Fu invece sorpresa di trovare il padre in cucina, seduto al tavolo a leggere il giornale, inzuppando i biscotti nella tazza del caffè senza nemmeno guardare e finendo così per continuare a infilarli in immaginarie tazze. Rimase a fissarlo per qualche minuto buono, sentendo nuovamente quella sensazione di familiarità che l'aveva circondata la sera precedente. Non era la prima volta che vedeva il padre così, ma chissà quanti anni erano passati dall'ultima volta in cui era successo. Forse prima ancora che Roberta nascesse.

"Buongiorno" disse Luigi non appena la vide, ripiegando il giornale e afferrando la caffettiera. "Ne vuoi un po'?"

E così fecero colazione insieme. La situazione era talmente surreale che per un istante Amanda si chiese se per caso stesse ancora dormendo. Poco dopo li raggiunse anche Roberta, stropicciandosi gli occhi e sbadigliando, ma riprendendosi immediatamente non appena li vide seduti al tavolo. Amanda quasi la invidiava, il modo in cui semplicemente riusciva ad accettare tutto quello senza farsi nemmeno una domanda, senza farsi un solo problema, mentre lei non riusciva a smettere di pensare che fosse tutto troppo bello per durare. Forse in un'altra famiglia quella era la normalità, ma non nella sua.

Le cose ripresero un poco della loro quotidianità quando Luigi annunciò che quel pomeriggio sarebbe dovuto andare via per qualche ora, assicurando però le due ragazze che sarebbe tornato per cena.

"Potremmo andare in quel posto dove facevano quella pizza alle acciughe che ti piaceva tanto. Ricordo che ne chiedevi sempre una seconda, anche se poi non riuscivi mai a finirla. Me ne hai fatti mangiare talmente tanti di avanzi che è finita per piacere anche a me."

Amanda impiegò un po' per ricordarsi di quale stesse parlando, poi scosse appena la testa. "L'hanno chiusa cinque anni fa"

"Davvero?" domandò l'uomo, perplesso. Non si lasciò comunque abbattere. "Vorrà dire che ne proveremo una nuova" disse.

E così, Roberta e Amanda passarono il pomeriggio per conto loro. La bambina inizialmente insistette per andare al parco, ma Amanda temeva che avrebbe potuto esserci Alessandro - metodo sicuro per rovinarle tutta la appena ritrovata tranquillità - così le propose invece di aiutarla con i compiti, in modo da avere la serata completamente libera per il padre.

Erano a metà di un problema di geometria, Amanda che cercava di capire come facesse la sorella a risolvere i calcoli così in fretta, quando sentirono la porta di ingresso sbattere, il familiare rumore dei tacchi delle scarpe di Eleonora che ora risuonavano per il pavimento. Amanda si sollevò dal divano, avvicinandosi quasi involontariamente alla madre. Tutta la tranquillità era stata spazzata via, e la ragazza capì subito che c'era qualcosa che non andava. Lentamente, si fermò sullo stipite della porta del salone.

"Ciao" disse, il cuore che le batteva veloce nel petto. "Tutto bene?"

"Oh sì, tutto benissimo" rispose la donna, sorridendo con fare soddisfatto. Quella visione servì solo a far agitare ancora di più Amanda, che riconobbe l'espressione vittoriosa della madre. Raramente portava qualcosa di buono.

"Sono stata dal mio avvocato" disse, posando la borsa al suo posto e avvicinandosi ad Amanda. La ragazza rientrò in salone, lasciando passare la madre, la quale si sedette su una delle poltrone, non degnando Roberta di neanche uno sguardo.

"Dall'avvocato? Come mai?"

"Questioni burocratiche" rispose la donna, il sorriso sempre più largo. "Ho chiesto un po' di informazioni sulla tutela parentale."

Ci fu qualche secondo di silenzio, e Amanda poté letteralmente sentire il suo cuore saltare un battito. Fu a quel punto che la donna si voltò verso di lei, lo sguardo gelido.

"Ti ho sentito parlare con tuo padre, ieri" disse, e ora non sorrideva più. "Credevi di potermi tenere nascosto il tuo piano?"

"Mamma, non c'è nessun piano. Voglio solo-"

"Andartene!" urlò la donna, sollevandosi in piedi. "Vuoi andartene. Lasciarmi qui da sola, proprio ora che finalmente hai una qualche utilità. Dopo tutti i sacrifici che ho fatto per te, tu mi ripaghi così!"

"Non puoi trattenermi qui" disse Amanda, che però ora non ne era più così sicura. Possibile che vi fosse una qualche legge che le imponesse di restare con Eleonora? Che avesse davvero trovato un modo per tenerla con sé, impedendole di andarsene?

"Oh no, è vero, non posso costringere te a restare. Ma Roberta sì" disse, e con una mossa veloce afferrò la bambina per un braccio, sollevandola bruscamente dal divano e attirandola a sé, quasi volesse sottolineare le sue parole.

Amanda osservò la sorella con orrore, trattenendosi dallo scattare in avanti e staccarla dalla presa di Eleonora. "Perché mai vorresti farlo?" chiese, anche se già sapeva la risposta. "Non ti è mai importato di lei, perché proprio ora?"

"Perché lei è mia" disse la donna, stringendo talmente forte che Roberta cominciò a dimenarsi, piangendo. "Non la volevo, ma non ho avuto scelta. E ora è mia"

"Non puoi farlo." Il tono di Amanda ora era disperato. Si sentiva in trappola, la stessa trappola da cui pensava di essere scappata allo scoccare dei diciotto anni. "Non te lo lascerò fare."

"E cosa vorresti fare, sentiamo?" sbottò la madre, strattonando Roberta così che smettesse di muoversi. Il gesto servì solo ad agitare di più la bambina, che ora tirava il braccio della donna con forza, cercando di liberarsi.

"Tu sei libera di andartene. Comincia pure a preparare le valige se vuoi, ma la bambina da qui non-"

Un ultimo strattone, e Roberta fu libera. Amanda la osservò mentre si guardava la mano ora libera quasi con sorpresa, senza nemmeno accorgersi di non avere più un appoggio. La lentezza con la quale cadde all'indietro fu quasi surreale, e Amanda da quel giorno non smise mai per un istante di chiedersi perché non si lanciò verso di lei, perché rimase lì a fissarla mentre continuava a cadere, finché il suo corpo non incontrò il tavolino di vetro alle sue spalle, distruggendolo.

Nel silenzio che improvvisamente regnava nella casa, Amanda si ritrovò ad osservare sua sorella a terra, una pozza di sangue che si allargava sempre di più sotto il suo piccolo corpicino.


 




1 Cosa fate qui?
2 Giocate con noi!
3 Arriviamo!
4 Vuoi qualcosa da bere?
5 C'è un ... um, non ricordo il nome in inglese. Un chiosco? ( in tedesco)
6 Sì, credo di aver capito.



NdA: Vi voglio bene <3


 

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Capitolo 16
*** Legami di Sangue ***


Breathe Into Me

Capitolo Sedicesimo:
Legami di Sangue

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E dopo la quiete, seguì il caos.

Amanda si lanciò verso Roberta, chinandosi su di lei e chiamandola, piena di terrore. Avrebbe voluto afferrarla, stingerla tra le sue braccia, ma temeva che la bambina avesse il collo rotto e sapeva che sollevarla avrebbe voluto dire peggiorare la situazione.

"Chiama un'ambulanza!" urlò alla madre, sperando solo che, per una volta, Eleonora facesse la cosa giusta. Non la guardò nemmeno correre verso il telefono, accarezzando i capelli della sorella e sussurrandole che andava tutto bene. C'era così tanto sangue. Amanda non credeva che una bambina così minuta potesse averne tanto. Cercò di fermare malamente l'emorragia con un cuscino che afferrò veloce, premendolo poi sul suo capo. Rimase lì per quella che sembrò un'eternità, pregando qualunque cosa fosse in ascolto di aiutarla, almeno per una volta, di non lasciare che l'unica cosa che ancora la teneva ancorata alla realtà se ne andasse.

Finalmente, una mano si posò delicata sulla sua spalla. Appena si accorse delle voci attorno a sé, poi un uomo le prese il braccio e lo allontanò dalla bambina, guardando Amanda dritta negli occhi e dicendole qualcosa. La ragazza continuava a fissare sua sorella, l'intero mondo ovattato. Alla fine qualcuno la sollevò di peso, posandola su una poltrona e mettendole una coperta attorno alle spalle.

Amanda osservò un gruppo di quattro persone mettere un collarino attorno al collo di Roberta, caricandola poi su una barella e legandola anche su quella. Provarono a puntarle una luce negli occhi, ma non ci fu alcuna reazione da parte della bambina. L'espressione dei medici si fece ancora più cupa, e ad Amanda venne voglia di vomitare.

Fu solo quando questi cominciarono ad uscire, trasportando delicatamente la barella, che la ragazza uscì improvvisamente dallo stato di shock in cui era caduta, sollevandosi e raggiungendoli veloce.

"Vengo con voi" disse, e lo stesso uomo che le aveva parlato poco prima annuì con un cenno del capo, lasciandola salire sull'ambulanza e sedere accanto a Roberta, ancora incosciente.

Arrivarono in pochi minuti, e non appena le porte dell'ambulanza si aprirono Roberta fu caricata su una barella con le ruote, che poi venne trascinata di corsa all'interno dell'ospedale. Amanda stava per inseguirli, ma una donna la fermò, scuotendo appena la testa. "Non ti faranno entrare" disse, guardandola con pietà. "Va a sederti in sala d'attesa, ti faranno sapere loro."

Amanda annuì, camminando verso l'ospedale come se non riuscisse nemmeno a capire dove si trovava, entrando poi dalle porte e socchiudendo gli occhi quando la luce delle lampade la colpì.

Sentì qualcuno trattenere il respiro, e quando riaprì gli occhi vide che tutti la stavano fissando, gli occhi spalancati. Un uomo seduto dietro il bancone dell'accettazione le si avvicinò di corsa, controllandola da capo a piedi.

"Signorina, sta bene? E' ferita?"

Amanda scosse la testa, confusa, ma una breve occhiata ai suoi vestiti completamente ricoperti di sangue le bastò come spiegazione. Immaginò di averne anche in faccia.

"Hanno portato mia sorella" sussurrò, cercando di schiarirsi la mente. Le sembrava che il suo intero corpo si fosse svuotato, le sembrava di levitare, galleggiando senza una precisa meta. "Devo vederla."

"Sua sorella è la bambina bionda che è appena entrata?"

"Credo-credo di sì"

L'uomo annuì, facendo un cenno ad un'infermiera lì accanto. "Porta questa ragazza a darsi una ripulita" le disse, "Poi vedi se riesci a sapere qualcosa sulla bambina che hanno appena portato dentro".

L'infermiera non perse tempo, afferrando delicatamente il braccio di Amanda e portandola con sé, il tono gentile. "Da questa parte" disse, aprendo la porta di un piccolo bagno.

"Tu lavati pure con calma, io vado a vedere come sta... "

Amanda strinse appena gli occhi. "Roberta"

"Roberta" ripeté la donna, sorridendo gentile e uscendo, richiudendo dietro di sé la porta del bagno.

Amanda si ritrovò da sola, il silenzio interrotto di tanto in tanto dal rumore di passi nel corridoio. Si avvicinò al lavandino, alzando il volto verso lo specchio e osservando il sangue rappreso sui capelli e sul mento. Come un automa aprì l'acqua, lasciandola prima scorrere sulle sue mani, poi finalmente cominciò a lavarsi il viso. Sentiva il sapore metallico del sangue sulle labbra, ne percepiva l'odore pungente, ne tastava la vischiosità sotto le dita, e quando aprì gli occhi vide come l'intero lavandino era ora macchiato di rosso.

Scivolò a terra, una mano ancora aggrappata al lavello, non curandosi dell'acqua che ancora continuava a scorrere, e rimase ferma lì a fissare il vuoto, incapace di emettere un solo suono.

Non una lacrima lasciò i suoi occhi quella sera.

 

 

Quando Luigi arrivò, circa un'ora dopo, Amanda era seduta in sala d'attesa, la testa stretta tra le mani. L'infermiera che l'aveva accompagnata in bagno era tornata dopo dieci minuti, dicendole che Roberta era in Terapia Intensiva e che avrebbe dovuto aspettare un po' per ulteriori notizie, chiedendole poi se volesse chiamare qualcuno. Amanda aveva immediatamente dato il numero di Luigi. Di Eleonora non c'era più traccia, e Amanda dubitava che avrebbe comunque mai avvertito l'uomo.

Luigi si sedette immediatamente accanto, obbligandola ad alzare lo sguardo.

"Come sta?" chiese subito, l'aspetto sconvolto. Amanda scosse la testa, notando una macchia di rossetto sulla sua camicia.

"L'hanno portata in Terapia Intensiva quasi un'ora fa, non mi hanno voluto dire altro."

"Oh, Sofia" sussurrò l'uomo, afferrandola per le spalle e stringendola in un abbraccio. Per la prima volta da anni, Amanda non si sentì infastidita dall'utilizzo del suo secondo nome, lasciandosi invece sprofondare tra le braccia del padre, rilassandosi appena. Non si era mai davvero accorta di quanto le fosse mancato fino a quel momento, il momento in cui finalmente si sentì di nuovo protetta, proprio come quando era una bambina.

"E' lei il padre di Roberta Ferri?" domandò una voce, facendoli separare. Luigi si alzò immediatamente in piedi, annuendo. "Come sta mia figlia? Si è svegliata?"

"Qualche minuto fa, sì"

"E possiamo vederla?"

"Mi dispiace, non ancora. La caduta è stata piuttosto violenta, e le ha provocato una leggera contusione cerebrale, che ha dato il via ad un'emorragia interna."

La dottoressa dovette notare il terrore negli occhi di Luigi e Amanda, perché si affretto a sollevare le mani davanti a sé.

"Sembra più grave di quanto non sia, almeno per ora. Le sue condizioni sono piuttosto stabili, e in questo momento i miei colleghi la stanno monitorando costantemente per assicurarsi che l'emorragia si sia fermata. Se tutto andrà bene, entro pochi minuti le faremo una TAC, così da controllare l'effettiva estensione del danno. La bambina sembra comunque rispondere positivamente agli stimoli esterni, quindi siamo piuttosto certi che non sia stata lesionata nessuna parte importante del cervello."

Luigi espirò rumorosamente, passandosi una mano sul volto.

"L'unico problema è che ha perso molto sangue, e per questo ha bisogno di una trasfusione"

"Posso donarlo io" disse subito l'uomo. "Sono anni che dono il sangue, so di essere idoneo"

La dottoressa sorrise, annuendo. "Era proprio ciò che speravo. Vede, il gruppo zero negativo è sempre il più difficile da trovare. Abbiamo già preso contatto con l'ospedale più vicino per farcene portare qualche sacca, ma non arriverà prima di una mezz'ora"

Luigi a quelle parole si bloccò, confuso. "Zero negativo?" domandò, corrucciando le sopracciglia. "Io... maledizione, non posso aiutarla. Io sono AB positivo, e la madre della bambina..."

"Lei è AB positivo? Ne è sicuro?" domandò la donna, che ora sembrava incredibilmente a disagio.

"Sì, gliel'ho detto. Dono il sangue abitualmente"

Amanda sentì un campanello d'allarme suonare da qualche parte nella sua testa, riconoscendo qualcosa di sbagliato in quello che aveva appena sentito. Le tornò alla mente il capitolo sui gruppi sanguigni che aveva studiato in terza, e improvvisamente spalancò gli occhi.

"Non è possibile" sussurrò, al che Luigi si voltò verso di lei, mentre la dottoressa la osservò semplicemente con sguardo carico di comprensione.

"Come?" domandò l'uomo, sempre più perplesso. Amanda aveva come l'impressione che fosse in fase di negazione, perché era impossibile che non ci fosse arrivato anche lui.

"Perché una persona sia di gruppo zero, entrambi i suoi genitori devono avere il gene 0"

"Forse Alice..."

"Entrambi, papà" disse, guardando l'uomo dritto negli occhi. Luigi arretrò appena, voltandosi poi verso la dottoressa. "Cosa state dicendo?"

"Signor Ferri, vede, potrebbe esserci la possibilità che..."

"Roberta non è tua figlia" mormorò Amanda, e sentendo immediatamente il peso di quelle parole non appena le pronunciò. "Non è mia sorella."

"E' uno scherzo?"

"Signor Ferri-"

"Le analisi devono essere per forza sbagliate, non c'è altra spiegazione"

Amanda afferrò il braccio del padre, attirandolo verso di sé. "Non hai mai fatto il test del DNA?"

L'uomo scosse la testa. "No, certo che no. Mi sono fidato della parola di Alice, non credevo..."

"Che anche lei potesse avere un amante?"

Lo sguardo di Luigi si indurì per un secondo, poi però l'uomo abbassò le spalle con fare rassegnato, chinando la testa.

La dottoressa li guardò con espressione preoccupata. "Vuole un bicchiere d'acqua?"

"No, stiamo bene" rispose Amanda per lui, aiutandolo a sedersi. "Ci faccia solo sapere al più presto le condizioni di mia sorella, per favore" disse, e sottolineò il più possibile la parola sorella. La dottoressa annuì, forse un po' più tranquilla, e si allontanò per il corridoio.

"Papà" chiamò, abbassandosi in ginocchio così da incontrare lo sguardo del padre. "Papà, non è cambiato niente."

"Tutti i problemi che ho creato" mormorò l'uomo, stringendosi la testa tra le mani. "Tutte le liti con tua madre, il matrimonio distrutto. Tutto per niente, per una bugia. Tutto per una bambina che non è neanche mia."

Amanda cercò di non ascoltare le parole del padre, dicendosi che erano solo frutto dello shock.

"Quello è il passato" disse, scandendo bene le parole. "Roberta è il presente. Roberta, tua figlia. Che non sia biologicamente tua è davvero così importante? Non vale forse ogni singolo sacrificio, che il suo gruppo sia 0 negativo o no?"

Luigi non rispose, fissando Amanda come se neanche la vedesse. Dopo qualche secondo si sollevò di scatto, rischiando quasi di far cadere la ragazza, e tirando fuori il telefono.

"Devo fare una cosa" mormorò, voltandosi verso l'uscita. "Non ci vorrà molto. Tu aspettami qui, ok?"

"Papà..."

"Tornerò tra qualche ora al massimo, poi andremo insieme a visitare Roberta. Scrivimi se ci sono novità"

"Non puoi restare?" chiese Amanda, sentendosi più fragile che mai. Voleva solo che Luigi la abbracciasse di nuovo, proprio come aveva fatto qualche minuto prima.

Ma l'uomo si limitò a scuotere la testa, sistemandosi la giacca. "Non ora, no" disse, poi si uscì a passo spedito dall'ospedale, non guardandosi indietro nemmeno una volta.

E così Amanda fu di nuovo sola.

 

 

 

Erano ormai undici quando la chiamarono, facendole sapere che Roberta era ancora sotto osservazione, ma sembrava essersi ripresa completamente. La condussero in una stanzetta al secondo piano, e Amanda sentì un'enorme sensazione di sollievo quando vide la sorella seduta sul lettino, mangiando con gusto un budino al cioccolato. La informarono che avrebbero tenuto la bambina in ospedale per altre 48 ore, poi se non ci fossero stati peggioramenti sarebbe stati libera di andare; la tac non aveva rivelato nessun danno cerebrale, escludendo la lieve contusione, perciò i medici si erano mostrati molto positivi per quanto riguardava la sua completa guarigione.

Non appena entrò nella stanza, Amanda abbracciò Roberta così forte che quasi rischiò di soffocarla. La tenne stretta a sé per qualche minuto, sentendosi come se improvvisamente il mondo fosse tornato a girare.

"Non ricorda niente della caduta," le spiegò la solita infermiera, che in quel momento stava sollevando lo schienale del lettino della bambina. "Ma l'amnesia è un sintomo piuttosto comune del trauma cranico. Potrebbe recuperare il ricordo con il tempo, o non farlo mai. Dipende anche molto da quanto è stato traumatico".

Per il bene di Roberta, Amanda sperò non lo recuperasse mai.

"Può addormentarsi?" chiese allora, ricordando di aver letto da qualche parte che i pazienti che avevano subito un trauma cranico dovevano restare svegli. L'infermiera comunque annuì, sistemando visto che c'era anche il cuscino.

"Certo. La dottoressa dovrebbe passare ogni due o tre ore a svegliarla però, per controllare che sia tutto a posto"

Roberta corrucciò il volto sentendo quell'informazione, per niente contenta di sapere che sarebbe stata svegliata più volte quella notte, ma Amanda annuì grata: non credeva che sarebbe stata capace di chiudere occhio altrimenti.

Essendo l'unica parente presente in ospedale - Luigi ancora non era tornato, nonostante i messaggi di Amanda - le prepararono una brandina accanto a quella di Roberta, e la ragazza si addormentò mano nella mano con la sorella, ascoltando il suo lento respiro fino a quando il sonno non la trascinò via.

Quando si svegliò, la mattina dopo, ci mise un po' a ricordare dove si trovasse. Osservò lo sconosciuto soffitto, la luce che arrivava dal punto sbagliato, ma fu l'odore pungente di disinfettante che la riportò alla realtà. Lanciò un'occhiata a Roberta, che anche con quel caldo dormiva sotto vari strati di coperte, poi si sollevò con un lamento, massaggiandosi la schiena dolorante.

Afferrò il cellulare che aveva poggiato sul comodino la sera prima. Le 7:51, forse Giulia non era ancora entrata a scuola. Le scrisse un veloce messaggio, spiegandole che c'era stato un incidente con Roberta e che si trovavano in ospedale, chiedendole di giustificarla con i professori e pregare la professoressa di matematica di non metterle il debito, che avrebbe rifatto la verifica che avevano segnato per quel giorno il prima possibile. Controllò poi per eventuali chiamate perse da parte di Luigi, ma l'uomo sembrava essersi volatilizzato nel nulla. Fu a quel punto che si ricordò della scoperta del giorno prima, tornando a guardare Roberta. Forse era perché ora sapeva la verità, ma guardando la bambina si ritrovò a chiedersi come non l'avesse mai intuita prima.

Roberta aveva capelli biondi e lisci, mentre i suoi erano di un miele tendente al castano, mossi. Il colore l'aveva preso dalla madre, ma il mosso era generosa eredità del padre, proprio come gli occhi ambrati. Quelli di Roberta erano invece verdi, e Amanda aveva sempre dato per scontato che li avesse presi da sua madre, Alice. Anche la forma del viso era molto diversa, quella di Amanda più spigolosa, mentre l'altra era più delicata, e perfino l'altezza non corrispondeva. Amanda sapeva che ovviamente Roberta aveva ancora molto da crescere, ma per la sua età era comunque piuttosto bassa, mentre lei era sempre stata la più alta della classe, sin dall'asilo.

Scosse la testa, cercando di scacciare quei pensieri. Serviva davvero a qualcosa pensarci? La verità non sarebbe di certo cambiata, non per lei almeno: Roberta era sua sorella, lo era sempre stata e lo sarebbe stata per sempre. Decise comunque che le avrebbe raccontato tutto non appena le cose si fossero sistemate, perché non aveva intenzione di tenerle nascosta una cosa così importante, e aspettare troppo non sarebbe servito a nulla.

Sentì lo stomaco brontolarle, così si alzò in piedi, stiracchiandosi e cercando di staccarsi i jeans che erano ormai diventati un tutt'uno con le sue gambe. Cercando di non svegliare la sorella, uscì in corridoio, guardandosi attorno alla ricerca di un bagno. Lo intravide qualche stanza più in là, e una volta accertatasi che fosse libero vi entrò, cercando di lavarsi alla bell'e meglio. Indossava ancora i vestiti sporchi di sangue, e quella visione la fece rabbrividire appena, riportandole alla mente il terrore che aveva provato appena qualche ora prima. Avrebbe voluto cambiarsi, ma dubitava che qualcuno avesse qualcosa da prestarle lì all'ospedale. Afferrò il telefono e di nuovo scrisse a Luigi, chiedendogli questa volta di passare da casa prima di tornare all'ospedale, portando un cambio per lei e Roberta. Cercò di non pensare all'agitazione che le stava provocando la mancanza di risposte da parte dell'uomo, concentrandosi invece sui capelli impiastricciati. Decise alla fine di metterli per un po' sotto il getto dell'acqua, sperando di riuscire a pulirli almeno un po', temendo di provocare un infarto a qualcuno se si fosse presentata al bar in quel modo.

Il risultato poté considerarsi quasi decente, così, dopo esserseli asciugati un minimo con un po' di carta igienica e averli legati in una crocchia, finalmente si diresse verso il bar. Aveva solo cinque euro con sé, che si era fortunatamente infilata in tasca la mattina precedente, così si prese un cornetto vuoto e un succo, più tre cioccolatini fondenti per Roberta. Restò al bar meno di cinque minuti, ma riuscì comunque a far girare verso di sé più di trenta persone, che osservavano i suoi vestiti sporchi di sangue, bisbigliando poi tra loro.

Se ne andò tenendo la testa bassa, infastidita da tutte quelle attenzioni, e continuando a guardare a terra finché non arrivò davanti alla camera di Roberta. Fu per quello che si accorse solo una volta entrata che vi era già qualcuno.

"Le dinamiche sono molto sospette" stava dicendo una voce, il tono molto grave. "Dobbiamo assicurarci che l'avvenuto sia stato effettivamente un incidente".

Amanda alzò lo sguardo, sorpresa, e si ritrovò a guardare un agente di polizia in piedi accanto al letto di sua sorella, che ancora dormiva serena. Eleonora era ferma davanti a lui, annuendo con tranquillità mentre un sorriso leggero le addolciva l'espressione seria.

Mai Amanda aveva provato l'impulso di procurare del male fisico a qualcuno, ma in quel momento dovette infilarsi le unghie nei palmi per impedirsi di saltare addosso alla madre, sbattendola a terra.

"Suo marito non era in casa al momento dell'incidente, giusto?" domandò il poliziotto, al che Eleonora scosse la testa, lo sguardo innocente.

"No, c'eravamo solo io e mia figlia Amanda"

"E la bambina"

"Sì, esatto. Io e Amanda stavamo parlando, e sa, Roberta è una bambina molto vivace. Stava correndo in giro per tutto il salone, a nulla sono serviti i miei richiami. Ad un certo punto abbiamo sentito un rumore di vetri, e quando ci siamo girate la bambina era lì" si fermò un istante, il labbro inferiore che le tremolava. "E' stato uno spettacolo orribile, mia figlia non riusciva nemmeno a muoversi. Per fortuna che io sono una persona molto lucida, sopratutto nelle situazioni difficili, perciò mi sono affrettata a chiamare un'ambulanza"

"E a fatto un ottimo lavoro signora. Ha salvato la vita di sua figlia"

"Ho fatto solo quello che avrebbe fatto qualunque madre. E ti prego, chiamami Eleonora!"

Amanda ne aveva avuto abbastanza. Con uno scatto avanzò, fermandosi proprio dietro il poliziotto e guardando la madre dritta negli occhi, senza preoccuparsi di nascondere la rabbia che vi stava ribollendo.

Il poliziotto si voltò verso di lei, curioso, e se notò il suo sguardo assassino non lo diede a vedere.

"Tu devi essere Amanda" disse, non aspettando una risposta. "Ero qui solo per controllare un paio di questioni, non disturberò oltre." Si frugò nella tasca, tirando fuori un blocchetto e staccandovi un foglio, dandolo poi ad Amanda. "Se mai sentirai il bisogno di parlare di qualcosa, chiama pure questo numero".

Eleonora osservò il bigliettino tra le mani di Amanda con preoccupazione. "Non ce n'è bisogno, ne ha già dato uno a me" disse all'uomo. Quest'ultimo non diede segno di averla sentita, dando invece una pacca sulla spalla alla ragazza ed augurando buona giornata, uscendo dalla stanza.

"Cosa ci fai qui?" chiese immediatamente Amanda, infilandosi il biglietto nella tasca dei pantaloni. Eleonora abbassò lo sguardo, facendo una smorfia. "Sono venuta a vedere come sta mia figlia"

"Meglio" rispose secca Amanda. "Non certo grazie a te".

"Non l'ho fatto apposta" mormorò quella "Non avevo intenzione di farle del male"

"Giusto, quel trattamento lo riservi a me"

Eleonora alzò lo sguardo a quel commento, assottigliando lo sguardo. "Educare i propri figli ora è diventato un crimine?"

Amanda strinse i denti, avvicinandosi appena alla donna. "No, ma riempirli di lividi lo è" sibilò, "E sono sicura che quel poliziotto sarebbe d'accordo con me".

"Non fare niente di avventato, per favore. Appena torneremo a casa ne discuteremo con calma e troveremo una soluzione"

"Tu credi davvero che io tornerò a casa con te dopo questo?" domandò Amanda, indicando Roberta che ancora dormiva nel suo letto.

Eleonora strinse le labbra, lo sguardo arrabbiato. "Quello che ti ho detto ieri non è cambiato"

"Non lo è?" Amanda avanzò ancora, e per la prima volta vide sua madre indietreggiare sotto il suo sguardo deciso. "Mettiamola così, allora: prova a toccare un'altra volta me o mia sorella, prova anche solo a cercare di avvicinarti a noi, e io ti prometto che mi assicurerò che il resto della tua vita tu lo passi in prigione".

Eleonora la fissò in silenzio, sbalordita. I suoi occhi erano spalancati, il petto che si alzava e si abbassava veloce mentre osservava la figlia piena di incredulità. Tese una mano verso di lei, cercando di sfiorarle il volto, ma la ragazza si ritrasse.

"Non sto scherzando"

Eleonora abbassò il braccio, corrucciando le sopracciglia. "Cosa ti è successo, Amanda? Eri una ragazzina così dolce. Ora non fai altro che trattarmi male! Io ci sono sempre stata per te, ho sacrificato la mia vita per crescerti. Come puoi farmi questo?"

"Lo faccio perché ti voglio bene mamma" sussurrò, scuotendo appena la testa. "Ma non te ne voglio abbastanza."

"Non-"

"Passerò tra qualche giorno a prendere le mie cose e quelle di Roberta, poi i nostri rapporti saranno ufficialmente conclusi. Puoi considerare questo un addio"

Si fissarono negli occhi ancora per qualche secondo, e alla fine lo sguardo irremovibile di Amanda vinse. Eleonora abbassò la testa, espirando pesantemente, e senza un'altra parola si diresse verso l'uscita della stanza. Amanda la sentì trattenere il respiro, e quando sollevò lo sguardo vide Alessandro sul ciglio della porta, immobile mentre scrutava la donna con espressione impenetrabile. Eleonora lanciò un ultimo sguardo alla figlia, poi superò l'uomo e uscì.

Amanda dal canto suo rimase a fissare Alessandro, troppo sorpresa anche solo per dire qualcosa. Lui la fissò di rimando per un po', poi lentamente si avvicinò, un sorriso triste sul volto.

"Da quanto sei qui?" riuscì finalmente a chiedere la ragazza, deglutendo rumorosamente.

"Abbastanza, immagino" disse lui, fermandosi davanti a lei. "Sono stato proprio cieco"

"Non avevi modo di sapere"

"Avrei potuto averlo, se solo mi fossi sforzato di più"

"E a quel punto non sarebbe cambiato niente"

Sorprendentemente, Alessandro annuì. "Hai ragione. Questa era una cosa che dovevi fare da sola" disse, sospirando e sedendosi sulla brandina di Amanda, lo sguardo fisso su Roberta. "Ma forse avrei potuto impedire quello"

"Perché sei qui, Alessandro?"

L'uomo tornò a guardarla. "Giulia mi ha fermato prima che entrassi in classe, e mi ha detto quello che era successo. Ho dovuto corrompere un paio di infermieri per convincerli a farmi entrare."

"Eri preoccupato per Roberta?"

"Per lei. E per te" mormorò, bagnandosi le labbra. "Volevo assicurarmi che stessi bene"

"Io-"

"Non intendo fisicamente, Amanda" la interruppe, lanciando un'occhiata ai suoi vestiti pieni di sangue.

La ragazza lo osservò confusa. "Perché sei qui?" ripeté, e sapeva che Alessandro avrebbe capito cosa stava chiedendo. Perché sei qui, dopo quello che mi hai detto? Perché sei qui, quando per settimane altro non hai fatto che starmi lontano?

"Voglio darti delle spiegazioni" disse. "E... voglio scusarmi".

"Ascolta, non ce n'è bisogno, ok? L'altro giorno sono stata troppo dura con te, non intendevo aggredirti in quel modo. Ho detto cose che non pensavo"

"Hai detto cose vere. Quasi tutte almeno" disse. "Ed è proprio per questo che voglio spiegarmi. Ti chiedo solo di ascoltarmi per qualche minuto, poi giuro che, se lo vorrai, non ti cercherò mai più".

Amanda non rispose, continuando a fissarlo, centinaia di emozioni che si scontravano in lei. Alessandro prese il suo silenzio come un invito ad andare avanti, abbassando lo sguardo ed espirando profondamente.

"Quando ero piccolo, mio padre era solito bere molto. Era disoccupato da anni, e questo lo portava a soffocare i suoi dispiaceri nell'alcool. Mia madre lavorava per mantenere la famiglia, e così ha cominciato a fare la mia sorella maggiore, Silvia, non appena compiuti i quindici anni.

A mio padre non piaceva essere mantenuto da due donne, era qualcosa che non riusciva a sopportare. Me lo diceva spesso quando mi portava a pescare, i pochi fine settimana in cui era sobrio, continuando a ripetermi che una donna non avrebbe mai dovuto avere più potere di un uomo. Si sentiva umiliato, pensava che mia madre e Silvia si prendessero gioco di lui con le amiche, mettendo in imbarazzo l'intera famiglia. Era per questo che, spesso, ci teneva a mettere in chiaro chi fosse a comandare in quella casa"

Amanda trattenne il respiro, capendo immediatamente dove stesse portando quella storia.

"A me non mi ha mai toccato, non aveva niente contro di me, ero il suo unico figlio maschio, ma con le mie sorelle non è mai stato così gentile. Ero troppo piccolo per fare qualcosa, troppo impaurito per fermarlo, per difenderle" la sua voce si spezzò per un istante, ma prima che Amanda potesse dire qualcosa riprese. "Mio padre morì in un incidente stradale quando avevo quattordici anni, ma la mia famiglia non riuscì mai completamente a superare gli anni passati con lui. Mia sorella Lucrezia, soprattutto. Continuò ad avere incubi ogni notte per mesi dopo la morte di mio padre, aveva paura della sua stessa ombra. Aveva appena iniziato ad andare in terapia con uno psicologo quando si buttò dal balcone di casa, due anni dopo. Lo trovai io. Sono passati dodici anni da quel giorno, ma ancora ricordo quel momento come se lo stessi vivendo ora".

"Alessandro, mio Dio..."

"Non ti sto dicendo questo perché tu mi compatisca, Amanda. Voglio solo che tu capisca come mi sono sentito quando ho visto quei lividi sul tuo volto, come mi sono sentito quando sei indietreggiata quando ho cercato di fermarti, la stessa paura nel tuo sguardo che avevo visto tante volte negli occhi di Lucrezia. E' stato come rivivere tutto daccapo."

"Sapevo che convincerti a raccontarmi chi era stato sarebbe stato impossibile, io stesso non ho mai detto a nessuno a mio padre prima d'ora. E' strano come quasi provi più vergogna la vittima del carnefice, non credi?

Quando lunedì non ti sei presentata a scuola, per un attimo ho temuto il peggio. Mi sono informato sul ragazzo di cui mi avevi parlato, ho visto il post su facebook, e ho deciso che non importava come, avrei trovato il modo di aiutarti. Non avrei lasciato che quello che era successo a mia sorella si ripetesse.

Quel pomeriggio ti ho visto dalla finestra del mio appartamento. Eri seduta sotto un albero a leggere, e ho deciso di fare un nuovo tentativo. Proprio come immaginavo, non appena ho nominato Mirco tu ti sei richiusa a riccio, ma io non ero intenzionato a mollare. Immagino fosse proprio perché non riuscivo a smettere di compararti a mia sorella che mi sentivo così protettivo nei tuoi confronti. Sentivo il bisogno di proteggerti fin dentro le ossa. Mi sembravi così fragile, allora. C'è voluto un po' perché capissi quando mi sbagliavo."

"C'è stata poi la serata al Planet. Ricordo che quando ti ho vista, la prima cosa che ho pensato è stata che eri bellissima. Non me ne ero mai accorto prima di allora, il che è un bene, immagino. Ho scacciato in fretta quel pensiero dalla mente, fingendo che non fosse mai esistito. Quando più tardi ti ho trovata, terrorizzata, Mirco che ti inseguiva, per un attimo ho fatto fatica a trattenermi. Ho dovuto concentrarmi con tutte le mie forze per ricordarmi che Mirco era uno studente, un ragazzino. Quella rabbia mi ha sorpreso, ma mi sono detto che era solo perché mi ricordava mio padre.

Poi, ecco che in macchina mi hai detto che i lividi non te li aveva fatti lui. Se non fossi stata così ubriaca probabilmente avrei pensato mentissi, ma non sembravi nelle condizioni di farlo. Ho subito pensato a tuo padre, ma mi sembrava impossibile che lo stesso uomo che avevo incontrato ai colloqui potesse fare qualcosa di simile. Quella notte, dopo averti lasciata a casa, sono rimasto sveglio a pensare a chi poteva averti fatto una cosa simile, poi al perché mi ero offerto di darti delle lezioni di guida. Sarà un ottimo modo per aiutarla a fidarsi di me, ho pensato. E' solo per questo che lo sto facendo.

Sono sempre stato particolarmente bravo a mentire a me stesso.

Il mio muro di sicurezze ha iniziato a crollare dopo il nostro secondo incontro al parco. Mentre ti ascoltavo parlare, analizzarmi come nessuno - sopratutto io - era mai riuscito a fare, per un istante, un solo istante, ho provato qualcosa che sapevo bene non avrei dovuto provare. Mi era già capitato durante la nostra lezione di guida, ma non in quel modo, e sopratutto allora avevo potuto incolpare la vicinanza. Dopotutto, tu sei una bella ragazza, e io sono pure sempre un uomo. Ma per quello che era successo al parco, no, lì non c'erano scusanti.

E così ho deciso che fosse arrivato il momento di prendere le distanze. Mi sono reso conto che forse avevo esagerato, mi ero avvicinato troppo a te. La mia intenzione era quella di aiutarti, non darti ulteriori problemi. Ero spaventato, spaventato a morte dal bisogno che provavo di starti vicino. Di nuovo ho preferito mentire, dicendomi che volevo starti accanto solo perché mi ricordavi mia sorella, che stavo interpretando male i miei sentimenti. Ho deciso di provare che avevo ragione proponendoti una nuova lezione, ma è servita solo a mandarmi ancora più nel panico. Quello che stavo provando non aveva proprio niente di fraterno, ormai era chiaro. Se solo potessi descriverti come mi sentivo, Amanda. Non riuscivo a capire cosa ci fosse di sbagliato in me. Tu ti stavi affidando a me, e io mi stavo approfittando della tua fiducia in quel modo.

Ho deciso di darmi un'altra possibilità. Avevi lasciato il telefono in macchina, perciò ho pensato che riportartelo sarebbe stata l'occasione perfetta per dimostrare a me stesso che ero abbastanza forte da combattere i miei istinti. Credo che tu sappia bene che non ha funzionato."

"Mi hai baciata" sussurrò Amanda.

Alessandro annuì. "Ti ho baciata. E farlo mi è sembrato così... giusto. Era da anni che non mi sentivo più così, era dai tempi di Veronica. Fu quel pensiero che mi fece capire - no, che finse di farmi capire - quello che provavo per te. Veronica, la stessa ragazza che mi aveva aiutato a superare il suicidio di mia sorella, che mi aveva accompagnato nel momento più difficile della mia vita. La stavo rivedendo in te. Mi sembrò chiaro al momento, quasi ovvio. I tuoi lividi non mi avevano ricordato Lucrezia, mi avevano ricordato l'amore di Veronica. Non persi tempo ad accettare quella spiegazione, troppo codardo per soffermarmi anche solo un secondo a pensare a quanto fosse ridicola.

Dentro di me sapevo però la verità, ed è stato per questo che ti ho detto quelle cose. Al momento ho pensato che lo stessi facendo perché era meglio essere sincero, ma mi sono bastate poche ore per capire che l'avevo fatto per allontanarti, terrorizzato al pensiero che se fossi rimasto con te un solo secondo in più, sarei stato costretto ad affrontare la verità. E la verità è che io ero attratto da te, Amanda. Non dal ricordo di Veronica, non dal senso di colpa nei confronti di mia sorella. Eri tu quella di cui sentivo il bisogno."

"Quella notte, quando mi sono reso conto della stronzata che avevo fatto, avrei voluto prendermi a pugni. Sono stato tentato di venire da te, così, nel cuore della notte, scusarmi e supplicarti di perdonarmi, di darmi un'altra occasione, ma sapevo di non meritarla. Se anche ti avessi raccontato la verità, non sarebbe cambiato il fatto che mi ero comportato da vigliacco, che ti avevo illusa e poi avevo mentito per salvare me stesso. Inoltre, nulla sarebbe mai potuto succedere tra noi due. Io sono il tuo professore, un uomo di ventotto anni, e tu una ragazza che deve ancora sperimentare la vita. Ho deciso di lasciare le cose così. Sapevo che probabilmente mi avresti odiato, ma ero pronto a lasciartelo fare pur di liberati dalle catene che ti avevo involontariamente messo attorno.

Ovviamente non mi sono reso conto di quanto effettivamente ti avessi ferita, come sempre troppo concentrato a pensare a me stesso, finché non abbiamo avuto quella discussione qualche giorno fa. Le tue parole mi hanno fatto capire che, di nuovo, altro non stavo facendo che proteggere me stesso allontanandomi da te, senza nemmeno darti la possibilità di scegliere.

Non voglio più farlo. Voglio che tu mi conosca davvero, Amanda. Voglio che tu conosca il codardo che sono stato, ma che non voglio più essere. Voglio che tu capisca che non ho mai avuto intenzione di ferirti, ma questo non mi ha impedito di farlo. Voglio che tu capisca che non sto chiedendo il tuo perdono, né una seconda possibilità. Non ti sto chiedendo di dimenticare quanto ho fatto, perché io di sicuro non lo farò mai. Voglio solo che tu sappia la verità, che tu sappia che io ti sarò per sempre grato per avermi obbligato a aprire gli occhi, per avermi mostrato quante bugie continuavo a raccontarmi giorno dopo giorno, per avermi reso una persona migliore."

Quando Alessandro finì di parlare, la stanza divenne così silenziosa che ad Amanda parve di poter sentire il proprio sangue scorrerle nelle vene. Era ferma in piedi, esattamente dov'era prima, eppure le sembrava che l'universo intero le fosse appena cambiato sotto i piedi. Se qualcuno le avesse detto che ora il sole sorgeva di notte e tramontava al mattino, probabilmente ci avrebbe creduto, perché non era possibile che niente fosse cambiato, quando invece era chiaramente cambiato tutto.

Alessandro era esattamente lo stesso, eppure Amanda davanti a sé vedeva un estraneo, una persona che non aveva mai visto prima di allora.

Eppure, ora aveva la sensazione di conoscere quella persona meglio di quanto potesse dire di conoscere se stessa.

"Credevo mi odiassi" riuscì a dire, sentendo la sua voce uscirle debole, quasi estranea. "Quello era facile da capire. Ora invece mi sembra di non sapere più niente"

Alessandro si alzò dalla brandina, avvicinandosi a lei e afferrandole delicatamente il viso, spostandole i capelli dietro le orecchie. "Arriverei ad odiare me stesso, prima di poter odiare te" disse in un soffio, gli occhi puntati sui suoi. "E non c'è bisogno che tu capisca tutto adesso. Hai tutto il tempo per farlo, perché questa volta io non ho intenzione di andare da nessuna parte."

"Non posso farlo di nuovo" mormorò Amanda, abbassando lo sguardo. "Non posso rischiare di nuovo. E' stato troppo, Alessandro. Non posso permettermi di essere così debole, non ora che devo essere più forte di quanto sia mai stata".

"E io non ti sto chiedendo di farlo. Sappi solo che se mai avrai bisogno di aiuto, per qualunque cosa, io ci sono. Non voglio niente, Amanda. Sopratutto, non voglio niente in cambio. Hai capito?"

Amanda annuì, posando poi con un sospiro la fronte sul petto di Alessandro. Lui rimase per qualche istante immobile, poi la strinse delicatamente a sé, accarezzandole dolcemente i capelli.

Il tempo parve quasi fermarsi, e Amanda chiuse gli occhi, respirando il profumo di Alessandro e lasciandosi cullare dal battito del suo cuore.

 

 
 

Alessandro tornò anche il pomeriggio successivo, questa volta durante l'orario delle visite, pochi minuti dopo che Michela se ne fu andata. Roberta era sveglia, ora anche circondata di fiori e dolciumi, e non appena lo vide lo chiamò entusiasta, lasciandosi scompigliare i capelli e chiedendo immediatamente notizie di Flash. Dopo che si fu assicurata che il cane stesse bene - l'uomo le spiegò che nell'ultima settimana era stato in un campo di villeggiatura per cani che faceva vergognare qualsiasi albergo a cinque stelle - insistette per giocare insieme a lui al Nintendo, ignorando le deboli proteste di Amanda che le ricordava doveva agitarsi il meno possibile.

Quando anche Giulia arrivò, portando con sé un pacco di cioccolatini e quello che pareva un enorme orso imbalsamato, i due erano ancora seduti uno accanto all'altra sul letto, discutendo su come sarebbe stato meglio fare i capelli della modella, perché no, biondi proprio non si abbinavano al vestito (e nemmeno rosa, come Alessandro aveva inizialmente pensato fossero).

"E' venuto davvero" mormorò Giulia ad Amanda, salutando l'uomo con un cenno. "Non credevo ne avrebbe davvero avuto il coraggio".

"Sì è scusato" sussurrò Amanda, sorridendo appena.

L'amica la guardò con fare accusatorio. "L'hai già perdonato!"

"Erano delle scuse molto convincenti." borbottò, aggiungendo subito: "E ho detto perdonato, non che gli sono saltata tra le braccia." Arrossì appena a quell'affermazione, sapendo che non era del tutto vera. "Gli ho spiegato che per me quello è un capitolo chiuso".

"Certo, certo. E io sono una maratoneta professionista"

Un infermiere entrò qualche minuto dopo, annunciando che l'orario delle visite era terminato. Giulia e Alessandro uscirono insieme, salutando Roberta, e Amanda poté solo sperare che l'amica non decidesse di fare qualcosa di drastico durante il tragitto.

La ragazza passò il resto del pomeriggio a chiamare Luigi, maledicendolo quando per l'ennesima volta non rispose. Cominciò quasi a sentirsi preoccupata, chiedendosi dove potesse essere finito. Quella sera Roberta sarebbe stata dimessa, e Amanda non sapeva dove sarebbero potute andare. Non aveva un soldo in tasca, e nonostante Giulia le avesse gentilmente prestato dei vestiti puliti e portato uno spazzolino e una spazzola, Amanda sentiva l'impellente bisogno di una bella doccia calda.

Aveva quasi ormai abbandonato le speranze, chiedendosi se fosse il caso di insistere perché l'ospedale tenesse Roberta almeno un'altra notte, quando suo padre bussò alla porta della camera, entrando con un sorriso sghembo e un mazzo di fiori mal nascosto dietro la schiena.

"Papà!" esclamarono entrambe le ragazze, anche se in toni completamente diversi. Luigi si limitò a tirare quel sorriso un po' di più, avvicinandosi a Roberta e stringendola tra le braccia, posando i fiori sul letto.

"Mi sei mancata, principessa" mormorò, dandole un leggero bacio sulla fronte. Roberta ridacchiò - da quando aveva battuto la testa, sembrava non riuscire a fare altro, ma i medici avevano assicurato ad Amanda che fosse normale - poi fece segno al padre di sedersi con lei.

"Veramente" disse Amanda, cominciando a dirigersi verso la porta. "Io e papà dobbiamo parlare per due minuti da soli, ok?"

Roberta annuì, e l'uomo con un sospiro si alzò dal letto, seguendo la figlia fuori dalla stanza. Amanda socchiuse appena la porta, sapendo bene che la bambina probabilmente sarebbe rimasta in ascolto.

"Dov'eri finito? Ti sto chiamando ininterrottamente da due giorni"

Luigi annuì, abbassando lo sguardo. "Lo so tesoro, scusami, ho avuto degli impegni e... sapevo che te la saresti cavata".

"Qui non si parla di cavarsela, papà. Ho bisogno del tuo aiuto." L'uomo la guardò curioso, e Amanda sospirò. "Ho detto a mamma che non torneremo a casa, né io né Roberta. Non dopo quello che è successo."

"Quello che è successo?"

"Non fingere di non sapere come Roberta sia finita su quel tavolino, per favore"

Luigi non rispose, ma la sua espressione di fece più rassegnata. "Immagino ti servano dei soldi allora"

"Non solo quelli. Ho diciotto anni, ma non sono ancora un'adulta. Non posso gestire tutto questo da sola, non ancora. Non ho nemmeno cominciato a lavorare, e non posso far vivere Roberta in un albergo, senza sapere quanto mi ci vorrà per trovare un appartamento. Ho bisogno di te, papà. Entrambe abbiamo bisogno di te. Potremmo prenderci una casa vicino al tuo ufficio, e se tu-"

"Non posso" mormorò Luigi, stringendo appena le labbra.

Amanda lo fissò incredula. "Non puoi? O non vuoi?"

"Non posso" ripeté, passandosi una mano sul volto. "Non posso perché sto per partire"

"Cosa?"

"Hanno anticipato la partenza a Vancouver. Ho l'aereo stanotte stessa"

Amanda era immobile, cercando di processare quello che le era stato appena detto. Non riusciva a credere che l'uomo avesse davvero preso in considerazione l'idea di lasciarle lì da sole, proprio nel momento in cui avevano più bisogno di lui. "Avevi detto che non era certo. Avevi detto..." si bloccò, un'idea improvvisa. Alzò lo sguardo verso il padre, sperando solo di sbagliarsi. "Quando hai accettato la proposta, papà?"

L'uomo sembrò in difficoltà. "Io... non era una cosa da accettare alla leggera, te l'ho detto. E' da settimane che ci rifletto e-"

"Quando hai accettato?"

"Due sere fa"

"Proprio quando hai scoperto che Roberta non è la tua figlia biologica. Solo una coincidenza, giusto?"

Luigi non rispose, rifiutandosi di incrociare il suo sguardo.

"Come puoi farci questo, papà? Come puoi abbandonarci proprio ora?" afferrò l'uomo per il polso, obbligandolo a guardala. "Come puoi scappare da tua figlia in questo modo?"

"Roberta non è mia figlia"

"Ma io lo sono!" sbottò, allontanandosi quasi involontariamente da lui. "Eppure sembri ricordartelo solo quando ti fa comodo".

Luigi si avvicinò a lei, il volto corrucciato in un'espressione piena di angoscia. "Sofia, ti prego, cerca di capirmi. Mi serve un po' di tempo per riflettere, per capire come gestire la mia vita".

"Almeno tu, papà" sussurrò la ragazza, allontanandosi ancora. "Credevo che almeno tu fossi dalla mia parte".

"Lo sono"

"Spero che tu sia fiero di te stesso" mormorò Amanda, voltandosi verso la porta. "Se due sere fa hai perso una figlia, ora ne hai appena persa un'altra".

"Sofia, aspetta..."

Amanda si voltò, scostandosi dalla porta e aprendola. "A te l'onore di spiegarlo a Roberta" disse. "E goditi il viaggio".

Detto questo si allontanò per il corridoio, tirando fuori il telefono dalla tasca. Lo osservò per qualche secondo, pensando e ripensando a tutte le possibili alternative che aveva, ma già sapeva che non ve ne erano, non ora che Luigi non era più lì per aiutarla. Odiava farlo, odiava doversi nuovamente appoggiare a lui, proprio ora che aveva deciso di non farlo più, ma per Roberta era pronta a fare qualunque cosa, e la bambina aveva bisogno di una casa.

Appoggiò il telefono all'orecchio, ascoltandolo suonare. Finalmente, al quinto squillo, una voce rispose.

"Pronto?"

"Alessandro, sono Amanda. Ho bisogno del tuo aiuto."

 






NdA: Mi è stato gentilmente stato fatto notare da 
Mary143 che avevo fatto un errore per quanto riguarda i gruppi sanguigni, perciò ho cambiato quello di Luigi da A ad AB. Scusate per l'errore, e grazie mille a Mary :D

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Capitolo 17
*** Nuovo Inizio ***


Breathe Into Me

Capitolo Diciassettesimo:
Nuovo Inizio

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Alessandro aprì la porta con una leggera spinta della spalla, lasciando che si spalancasse davanti a loro. Ad Amanda ci volle qualche secondo per riprendersi dai quattro piani di scale, chiedendosi come avesse fatto Alessandro a percorrerli così in fretta e per di più con Roberta in braccio, profondamente addormentata. Decise di dare il merito all'esercizio, altrimenti avrebbe dovuto ammettere di essere lei quella completamente fuori forma. Forse avrebbe davvero dovuto prendere in considerazione l'idea di iscriversi in palestra.

"Casa dolce casa" sussurrò Alessandro, facendole segno di entrare. La ragazza esitò per un istante, sbirciando dentro l'appartamento. Avrebbe mentito se avesse detto di non essere nervosa all'idea di entrare in casa di Alessandro, per di più a quell'ora della notte. Non che non si fidasse dell'uomo, sia chiaro. Quella di cui non si fidava era se stessa, visto il modo in cui il suo cervello sembrava andare completamente in panne ogni volta che l'uomo le si anche solo avvicinava.

Ad essere onesti, quando aveva chiamato Alessandro, confessandogli di non avere un posto dove andare quella notte - o le successive, per quel che importava - quasi si era aspettata che lui le dicesse che per aiuto non aveva inteso una cosa di quella portata, o forse sotto sotto lo aveva sperato; perché quando lui si era offerto di ospitarle 'per tutto il tempo necessario', offrendosi persino di passarle a prendere in ospedale, Amanda aveva capito che, forse, non aveva davvero pensato a quel suo piano abbastanza a lungo. Non solo stava andando ad alloggiare sotto lo stesso tetto del suo professore di filosofia per un tempo indeterminato, ma stava anche per trovarsi a fisso contatto con l'uomo per cui aveva una cotta colossale, che aveva confessato di provare dei sentimenti per lei e, come se non bastasse, che lei aveva deciso di dimenticare, almeno in senso romantico.

In sua difesa, c'era da dire che di alternative non ce n'erano molte. A dirla tutta, non ce n'era proprio nessuna, se non forse quella di imboscarsi nello sgabuzzino dell'ospedale.

Roberta si lamentò tra le braccia di Alessandro, e Amanda si riscosse dai suoi pensieri, osservandola con preoccupazione. Sapeva bene perché quella era la scelta giusta, lo aveva saputo nell'istante in cui aveva preso il telefono tra le mani. Era la paura che le stava facendo avere quegli inutili ripensamenti - inutili, sì, perché ormai era già stata presa una decisione. Alessandro comunque non le fece pressioni, né le chiese di sbrigarsi ad entrare; forse l'uomo aveva intuito i suoi dubbi, e Amanda gli era immensamente grata per lo spazio che le stava concedendo.

Finalmente, la ragazza si decise ad entrare, ignorando tutti quei piccoli allarmi nel suo cervello che cercavano di ricordarle che, da quella notte in poi, tra lei e Alessandro ci sarebbe stato solo qualche muro. Sentì la porta richiudersi dietro di lei, ma non si voltò, osservando invece con curiosità l'appartamento.

Si trovava in un piccolo salotto, un divanetto e una poltrona sistemati davanti ad un vecchio televisore, una XBOX in bilico sopra di esso. Sopra il divano vi erano alcuni vestiti buttati alla rinfusa, più vari fogli che Amanda sospettò fossero i loro compiti in classe, comprendendo se non altro finalmente perché ritornavano sempre tutti stropicciati.

Poco più in là si poteva intravedere la cucina, separata solo da un bancone alto circa un metro. Era completamente dipinta di giallo, dagli armadietti fino al tavolino nel mezzo, anch'esso ricoperto di fogli e documenti, più quello che sembrava un cartone della pizza mezzo sepolto. Alla sinistra di Amanda vi era un corridoio, e da lì si potevano vedere diramarsi altre tre stanze. La ragazza si morse appena il labbro quando si rese conto che due di esse avevano delle porte a vetri, la privacy salvaguardata solo dalla pallida opacità di quest'ultimi.

"Mi spiace per la confusione" borbottò lui, afferrando e infilandosi in tasca qualcosa che assomigliava terribilmente ad un paio di boxer. "Quando mi hai chiamato stavo per entrare ad un consiglio di classe, e appena è finito sono venuto a prendervi. Non ho avuto tempo per... dare una sistemata".

"Va benissimo così" disse Amanda, sorridendo sincera. Ad essere onesta, dubitava che gli sarebbe bastata una giornata per mettere in ordine anche solo il salone, ma il disordine non le dava fastidio. Dava alla casa un senso di familiarità che la sua non aveva mai avuto; le ricordava un po' la casa di Giulia, togliendo qualche schizzo di vernice e le inquietanti statue che ne addobbavano ogni angolo.

Si voltò verso l'uomo, sperando che riuscisse a leggere la gratitudine del suo sguardo. "Alessandro, quello che stai facendo per noi... "

"Non è niente" disse lui, scuotendo appena la testa. "Ho avuto molti coinquilini fino a qualche anno fa, non sarà poi così diverso".

Amanda ne dubitava, ma si limitò ad annuire. "Grazie comunque. Davvero."

Alessandro sorrise appena, sistemandosi meglio Roberta tra le braccia. Si voltò poi verso il corridoio, e Amanda lo seguì.

"Questo è il bagno" disse, indicando la porta al centro, l'unica senza vetro. "C'è una vasca, ma se vuoi farti la doccia puoi tirare la tendina. La manopola destra è per l'acqua fredda, quella sinistra per la calda. Sta attenta perché i colori sono invertiti. L'idraulico era chiaramente più daltonico di me."

Amanda ridacchiò, annuendo divertita, e Alessandro si spostò verso la porta alla loro destra. "Questa è la camera degli ospiti" cercò di afferrare la maniglia, ma Roberta gli intralciava i movimenti, così Amanda si sporse e l'aprì per lui.

La camera era piccolina - forse poco più grande di dieci metri quadrati - ma Alessandro era comunque riuscito a farci stare un letto matrimoniale e un armadio ad angolo, oltre ad un piccolo comodino con una bajour.

L'uomo entrò nella camera, posando finalmente la bambina sul letto, poi tornò verso Amanda, che a sua volta aveva posato la borsa contenente le poche cose che aveva portato lei e Roberta dall'ospedale, e socchiuse la porta. "C'è un ventilatore nell'armadio se mai vi venisse caldo, ma non consiglio di usarlo di notte, visto che fa un rumore infernale".

"Cercherò di ricordarmelo"

"Ed infine" disse Alessandro, aprendo l'ultima porta. "Qui c'è la mia camera". Non appena fu aperta, un’ enorme palla di pelo ne uscì, lanciandosi su Amanda. La ragazza scoppiò a ridere, chinandosi e cominciando ad accarezzare Flash, il quale cercava disperatamente di riuscire a leccarle la faccia.

Alessandro sospirò, non riuscendo a nascondere una smorfia divertita, poi cercò di tirare indietro l'enorme cane. "Come vedi ha anche l'antifurto" disse.

Amanda si sporse appena, curiosa. Proprio come quella degli ospiti, anche la camera di Alessandro non era particolarmente grande, qualche metro quadrato in più. Forse proprio per via del poco spazio, i muri erano stati completamente ricoperti di mensole, e su di esse giacevano decine e decine di libri. La ragazza riconobbe un paio di titoli, tra cui Il Signore degli Anelli, il Conte di Montecristo e il Simposio di Platone. Lei non si poteva certo definire una grande lettrice (dei primi due aveva visto i film, mentre dell'ultimo ne avevano analizzato alcuni punti in classe), più per mancanza di tempo che di volontà, ma non riuscì comunque a non rimanere affascinata dallo spettacolo che le si era presentato davanti. Alessandro dormiva letteralmente immerso nella letteratura.

Il resto della camera era piuttosto semplice: anche lì vi era un armadio, un paio di comodini e un cassettone rilegato in un angolo. L'unica cosa che stonava in quell'ambiente era la delicata trapunta azzurra adagiata sul letto, che Amanda immaginò essere una rimanenza di Lara, riconoscendovi un chiaro tocco femminile.

La ragazza era talmente presa dalla sua ispezione che quasi non si rese conto di essere praticamente entrata nella camera dell'uomo, curiosandosi attorno e cercando tra i libri qualche altro titolo conosciuto. Fu solo quando questo entrò a sua volta, seguito da uno scodinzolante Flash, avvicinandosi al comò e cominciando a frugare in uno dei cassetti, che Amanda divenne ben cosciente di dove si trovava, facendo quasi un salto indietro e tornando veloce alla porta, arrossendo fino alla radice dei capelli.

Sapeva che era una reazione probabilmente esagerata, ma non poté evitarla. Non era mai stata prima di allora nella camera di un ragazzo, figurarsi la camera di un uomo. Le sembrò improvvisamente di aver appena fatto una cosa molto intima e poco adatta al registro che aveva deciso di adottare con Alessandro, ma questo non sembrò dare affatto peso alla cosa, anzi, non sembrò notarla affatto; il che servì solo a metterla ancora più a disagio, ricordandole che, ovviamente, quella non era invece la prima volta che una donna entrava nella sua camera.

"Ecco" disse lui, avvicinandosile e porgendole un paio di asciugamani. "Se preferisci un accappatoio posso cercarne uno, sono piuttosto sicuro ci sia da qualche parte".

Amanda scosse la testa, afferrandoli e stringendoli al petto. "No, vanno benissimo". Esitò un secondo, poi si schiarì un poco la voce, cercando di non arrossire. "E' un problema se mi faccio una doccia adesso?"

"Amanda, non devi chiedermi il permesso per lavarti"

"Giusto" mormorò lei, arrossendo ancora di più. Sperava vivamente di riuscire ad abituarsi in fretta a quella nuova situazione, altrimenti avrebbe finito per venirle un aneurisma al cervello. "Allora vado"

Alessandro annuì, chiaramente divertito, e la osservò mentre si dirigeva verso il bagno. Dopo che Amanda fu entrata si voltò nuovamente verso di lui, chiudendo lentamente la porta, ma l'uomo ancora non sembrava volerne sapere di distogliere lo sguardo. Lei si bloccò, chiedendosi se magari avesse fatto qualcosa di sbagliato, ma Alessandro a quel punto voltò di scatto la testa, borbottando che sarebbe andato a riordinare un po' in giro.

Amanda lo fissò perplessa ancora per qualche secondo, poi chiuse la porta a chiave, cominciando immediatamente a spogliarsi e sciogliendo i capelli. Entrò nella doccia, aprendo veloce l'acqua e lasciandosi sommergere dal suo tocco.

Tocco assolutamente gelido.

Amanda lanciò un urlo, ricordandosi improvvisamente delle manopole invertite, e chiuse la doccia saltellando da un piede all'altro.

Perfino con la porta che li separava, Amanda poté sentire Alessandro scoppiare a ridere.

 

 

Fu Roberta la prima a svegliarsi la mattina successiva, scuotendo Amanda per una spalla e ignorando i grugniti assonnati della sorella, che tentò di ripararsi immergendo con maggior forza la testa nel cuscino.

"Ammy" la chiamò in un bisbiglio, scuotendola ancora. "Ammy, svegliati"

"Che ore sono?" sbiascicò, sollevando appena la testa e afferrando con fatica il telefono dal comodino, emettendo un lamento quando vide che non erano nemmeno le sei e mezza. "Torna a dormire Roby".

"Amanda!" la richiamò con più forza la sorella, dandole una pacca sulla schiena. La ragazza riconobbe una punta di preoccupazione nella voce di Roberta, perciò con fatica si voltò, aprendo gli occhi.

"Che c'è? Un altro incubo?" chiese, osservandola con attenzione. I medici le avevano detto di controllare per almeno altre due settimane eventuali stranezze nella bambina, che potevano essere un sintomo di ricaduta, ma Amanda non era sicura che gli incubi rientrassero tra queste.

Roberta si guardò attorno con aria spaesata. "Dove siamo?"

Ah, già, si ricordò Amanda. La sorella si era addormentata in macchina, perciò era normale che non riconoscesse il posto. "A casa di Alessandro".

"Perché?"

"Te l'ho spiegato ieri, ricordi? Non possiamo tornare a casa per un po'"

"Perché papà se n'è andato"

Amanda sentì un nuovo peso sullo stomaco, ma cercò di non curarsene. "Tra le tante cose".

Roberta sembrò riflettere un attimo. "E quanto restiamo?"

"Non lo so" fu la sincera risposta della ragazza. "Finché non ci troveremo una casa tutta nostra". Il che sperava fosse presto. A casa di Eleonora aveva lasciato tra le tante cose quasi ottocento euro di risparmi, inoltre sperava che nonostante la partenza il padre avesse deciso di metterle qualcosa nel libretto. Se tutto andava bene, entro massimo un mese sarebbe dovuta riuscire a trovare un appartamento da qualche parte.

La sorella sembrò soddisfatta dalla risposta, e Amanda con un sospiro cercò di rimettersi a dormire.

"Ammy" la richiamò la bambina, scuotendola appena. Amanda questa volta non tentò nemmeno di resistere, capendo all'istante che per quel mattino aveva finito di dormire.

"Ho fame"

Con un sospiro si sollevò a sedere, stropicciandosi gli occhi. "Ti vado a prendere qualche biscotto, ok? Tu aspetta qui"

Roberta annuì, e Amanda scese dal letto, posando i piedi nudi a terra. Si avvicinò alla sedia dove vi erano poggiati i pantaloni che le aveva prestato Giulia, infilandoseli malamente sotto l'enorme maglietta da rugby che invece le aveva dato Alessandro come pigiama. Trattenendo un'imprecazione quando andò a sbattere contro una delle gambe del letto, aprì lentamente la porta, uscendo in corridoio.

Le persiane del salone erano aperte, lasciando entrare la piacevole luce mattutina. Amanda si passò una mano tra i capelli, ispirando profondamente. Ancora non le sembrava vero di essere lì, in quella casa, con Alessandro che dormiva a pochi passi da lei. Sentì l'impulso di tornarsene in camera, nascondendosi tra le coperte, ma sapeva che era un'idea insensata. Se davvero sarebbe dovuta rimanere lì per oltre tre settimane, allora sarebbe stato meglio abituarsi in fretta.

In punta di piedi, cercando di fare meno rumore possibile, superò la porta della camera di Alessandro, dirigendosi poi verso la cucina.

Una volta lì, la ragazza adocchiò gli sportelli con aria critica, cominciando ad aprirli lentamente. Nel primo trovò le pentole, ammucchiate lì dentro come se vi fossero state lanciate; nel secondo invece c'erano i piatti e i bicchieri, questi se non altro sistemati con una certa logica. Finalmente aprendo il terzo trovò del cibo, e tra varie salse di pomodoro e preparati al pesto intravide un pacco di biscotti già aperto.

Lo afferrò, prendendo poi un piatto e versandocene qualcuno dentro, rimettendo i biscotti al loro posto. Cominciò ad allontanarsi verso il corridoio, ma con la coda dell'occhio notò Flash accucciato sul divano che la osservava, scodinzolando festoso. Incapace di trattenere un sorriso, posò il piatto sul bancone, avvicinandosi silenziosamente al cagnolone. Fu solo quando fu a pochi passi da lui, già pronta a riempirlo di coccole, che notò un piede che spuntava da uno dei braccioli. Lo seguì con lo sguardo, individuando finalmente Alessandro sdraiato sul divano, lo sguardo profondamente concentrato sul foglio che stava leggendo ed una penna rossa stretta tra le labbra.

Amanda lo osservò sorpresa, sentendo automaticamente le labbra piegarsi in un sorriso. L'uomo aveva delle piccole cuffiette bianche alle orecchie, ed era probabilmente per quello che non si era accorto di lei, il piede che si muoveva a ritmo con la musica. Aveva un'espressione incredibilmente assorta, le sopracciglia leggermente corrucciate e gli occhi che scorrevano veloci sulle parole. Doveva chiaramente essersi svegliato da poco anche lui, almeno a giudicare dai capelli ancora più arruffati del solito e la maglietta stropicciata che indossava.

Flash abbaiò, forse offeso che Amanda non gli stesse più prestando attenzione, e Alessandro alzò di scatto lo sguardo, facendo sobbalzare appena la ragazza. L'uomo la osservò sorpreso, poi si tolse con un gesto le cuffie dalle orecchie e la penna dalla bocca, sorridendo.

"Già sveglia?"

Amanda provò a non arrossire, ci provò davvero, ma insomma, era stata praticamente beccata a spiarlo. Tentò di camuffare il suo imbarazzo con un gesto della mano, salutandolo nella maniera più casuale possibile e cercando di frenare il cuore che le stava battendo come impazzito nel petto - e no, non per colpa della pessima figura.

"Roberta ha fame" gli spiegò, cercando di distrarsi. "Le sto portando dei biscotti".

Alessandro si sollevò, scostandosi di dosso tutti i compiti in classe e posandoci sopra la penna rossa. Amanda si rese conto per la prima volta che i vestiti che c'erano la sera prima erano spariti, così come i fogli, ora raggruppati tutti sul tavolino - fatta eccezione per quelli che stava correggendo in quel momento.

"Che ore sono?" domandò lui, sbadigliando appena. Amanda scosse le spalle. "Le sei e mezza, credo". Alessandro annuì, avviandosi verso la cucina.

"Un'ora e ho corretto solo cinque verifiche" si lamentò, sospirando. "Ecco perché preferisco interrogare". Si avvicinò al bancone, afferrando una caffettiera lì accanto e rubando un biscotto dal piatto preparato da Amanda.

Si sedette su una delle sedie del tavolo, osservò poi la ragazza ancora immobile accanto al divano con un sopracciglio sollevato. "Ti sta bene" disse, indicando con un cenno della testa la maglietta che aveva indosso. Amanda si sentì subito immensamente grata di essersi messa addosso i pantaloni prima di uscire dalla camera.

L'uomo si schiarì la voce, bagnandosi le labbra con la lingua e tornando a concentrarsi sul caffè che ora si stava versando in una tazza. "Chiama pure Roberta, almeno facciamo colazione tutti insieme".

E così fecero, sedendosi tutti insieme al tavolo e mangiando con tranquillità, approfittando del fatto che erano tutti piuttosto in anticipo. Amanda non riusciva a smettere di guardare Alessandro di sottecchi, sentendosi sempre più stregata dalla sua vicinanza. L'atmosfera era serena, quasi familiare, e la ragazza se ne sentì come minacciata, incapace di non compararla alla mattinata passata con il padre solo qualche giorno prima. Ormai non riusciva a fare a meno di pensare che, se qualcosa andava bene, allora prima o poi sarebbe successo qualcosa che avrebbe distrutto la sua felicità. Era successo con Paolo, con suo padre e perfino con Alessandro stesso, e lei sapeva che se non fosse stata attenta probabilmente sarebbe successo di nuovo.

Eppure, la tentazione di lasciarsi semplicemente andare era forte, sopratutto quando Alessandro le sorrideva con quel sorriso sincero, gli occhi che non volevano lasciare i suoi. Voleva davvero riuscire a fidarsi di Alessandro, ma allo stesso tempo sapeva di non poterselo permettere, non rischiando così di commettere due volte lo stesso errore.

Alessandro si offrì di accompagnarla a scuola, ma lei rifiutò, facendogli notare che non era il caso di farsi vedere dall'intera scuola mentre scendevano dalla stessa macchina. Inoltre, Roberta aveva bisogno di essere accompagnata, poiché lo scuolabus ancora passava al loro vecchio indirizzo.

Decisero allora che sarebbero andati insieme a riprenderla, così poi da passare anche da casa di Eleonora per recuperare un po' di vestiti di ricambio.

"Ho un colloquio con alcuni genitori fino alle tre" spiegò lui, controllando sulla sua agenda. "Poi passo direttamente a casa e andiamo a prendere Roberta, ok?"

Amanda annuì. "Almeno io ne approfitto per dare alla segreteria il nuovo indirizzo per lo scuolabus".

Quando finirono di mangiare e si furono preparati, Alessandro diede ad Amanda un paio di chiavi. "Così non devi aspettare me per entrare" disse.

Amanda fu la prima ad uscire, essendo sicuramente quella che ci avrebbe messo di più. Fece la strada con calma, godendo del tempo che la camminata le concedeva per pensare. La situazione con Alessandro era a dir poco bizzarra, se non completamente folle. Quella mattina, mentre chiacchieravano a colazione, Amanda aveva dovuto ripetersi più volte che no, non stava sognando e sì, era davvero a casa dell'uomo a mangiare tè e biscotti. Ogni tanto il pensiero che fosse lì perché suo padre aveva deciso di abbandonarla di punto in bianco le tornava in mente, ma Amanda era ormai diventata brava a concentrarsi solo su alcune cose, tralasciandone altre.

Si concentrò allora sul fatto che Alessandro, appena due giorni prima, aveva ammesso di provare dei sentimenti per lei. Aveva usato il passato, certo, ma era innegabile il fatto che non avesse nemmeno mai affermato di non provarne più. Lui aveva detto di aver avuto bisogno di lei. Il pensiero era talmente assurdo che la sua mente si rifiutava di processarlo. E poi quando l'aveva stretta tra le sue braccia... oh Amanda, maledizione, ti eri ripromessa di dimenticarlo, si rimproverò, affrettando un po' il passo. Forse avrebbe solo dovuto smettere di rifletterci, prendendo le cose per com'erano e non cercando di leggere tra invisibili righe che esistevano solo nella sua testa. Alessandro provava qualcosa per lei? Assurdo, ma stranamente possibile. Lei provava qualcosa per Alessandro? Decisamente, ma irrilevante. Possibilità di un lieto fine? Inesistenti. Possibilità di restare ferita (di nuovo)? Elevate.

I grafici parlavano da sé, e allora perché lei non riusciva ad eliminare quella speranza che continuava a spuntare fuori in ogni suo singolo pensiero? Era davvero così ingenua da non aver ancora imparato la lezione?

Decise di dare la colpa ad Alessandro. Era chiaramente lui la causa di quel barlume, lui con quei suoi stupidi capelli perennemente in disordine e quei suoi discorsi illusori, che continuavano a tormentarla senza lasciarle la possibilità di riprendere fiato.

Le aveva messo davanti ciò che desiderava di più, pronto ad essere afferrato, sapendo meglio di lei che non poteva farlo. Si divertiva a torturarla, non c'era altra spiegazione. Era talmente combattuta che si ritrovò perfino a desiderare che lui non le avesse mai detto la verità, lasciandola lì a credere di essere odiata; se non altro, allora la speranza era bella che morta.

Arrivò a scuola che ancora stava maledicendo Alessandro, notando come la sua macchina fosse già lì. Fortunatamente quel giorno non aveva filosofia, non era preparata psicologicamente per vederlo nelle sue vesti di professore, non ora che sapeva così tanto di lui. I professori per lei erano sempre stati questi esseri mitologici che vivevano dentro le quattro mura scolastiche e morivano con esse, fatta eccezione per qualche sporadica comparsa al supermercato o al tabacchino. Certo, era ormai da un po' che non vedeva più Alessandro in quel modo, ma ora la situazione era perfino peggiore, perché mentre prima aveva sempre distinto Alessandro dal professor Navarra, ora non poteva più farlo. Non dopo averlo visto quella mattina sdraiato sul suo divano a correggere verifiche.

Una macchina si fermò proprio accanto a lei, e Giulia scese impacciata dal sedile del passeggero. Amanda salutò Eugene scuotendo la mano in aria, poi si ricongiunse all'amica, aiutandola a liberarsi dalla cintura che le si era incastrata alla gamba nella fretta di scendere.

"Delle trappole mortali, ecco cosa sono" borbottò questa, finalmente libera. "Ho rischiato più volte la vita per colpa di una cintura di sicurezza che per un incidente".

Amanda trascinò con sé l'amica, superando il parcheggio e svoltando poi dietro un angolo, così da allontanarsi da orecchie indiscrete. "Devo raccontarti qualcosa" annunciò, controllando che non ci fosse nessuno che potesse sentirle.

"Uhh, e c'entra per caso un certo Mr Little Shit?"

"Credevo fossimo tornate a Mr Cheesy"

Giulia scosse la testa. "Solo perché tu l'hai perdonato non vuol mica dire che l'abbia fatto pure io".

Amanda sollevò gli occhi al cielo, tornando poi a concentrarsi su di lei. "Allora forse non ti piacerà quello che sto per dirti".

"Goddamit Amanda, che hai combinato?"

"Perché devo essere io ad aver combinato qualcosa?"

Giulia arcuò le sopracciglia, e Amanda sospirò. "Non avevo altra scelta, ok?" mormorò, fermandosi un istante. Sapeva che se voleva raccontare a Giulia della sua momentanea convivenza con Alessandro, avrebbe dovuto spiegarle anche di Luigi, e la cosa non la entusiasmava affatto. Forse avrebbe dovuto raccontare anche di Eleonora, ma non si sentiva affatto pronta a compiere un passo del genere. Forse non se la sarebbe mai sentita.

"Quando siamo andati all'ospedale, a Roberta serviva del sangue. Mio padre si è offerto di donarlo, e così abbiamo scoperto che... insomma, Roberta non è la mia sorella biologica".

"Che?"

"Lo so, è stato uno shock anche per noi. Sopratutto per mio padre apparentemente, che ha deciso di partire per Vancouver ieri notte e restarci per i prossimi sei mesi".

Giulia spalancò gli occhi, e Amanda continuò. "Ci sono stati dei problemi con mia madre, problemi seri, e per questo io e Roberta non possiamo tornare a casa."

"Ma si può sapere che famiglia hai?" chiese Giulia, stringendo poi le labbra. "Scusa, commento indelicato".

Amanda sospirò. "Purtroppo me lo chiedo io stessa da anni" disse, poi scosse appena la testa. "Il punto è che io ieri sera mi sono ritrovata improvvisamente da sola, con Roberta che sarebbe stata dimessa nel giro di qualche ora e nessun posto in cui portarla."

"Avresti potuto chiamare me, lo sai che ti avrei ospitato volentieri"

"Giulia, casa tua sarà grande sì e no quarantacinque metri quadrati, e tuo padre dorme in salone. Inoltre, qui non si parla di una sistemazione per una notte. Ho bisogno di un po' di tempo per trovare un appartamento in affitto".

"Dimmi che non hai fatto quello che io penso tu abbia fatto"

"Se tu pensi che io abbia chiamato Alessandro e gli abbia chiesto di ospitarci" mormorò Amanda, corrucciando il volto con espressione colpevole, "Allora potrei averlo fatto".

"O perdincibacco!"

Amanda fissò l'amica, scettica, poi decise di lasciar perdere. "Ti ho detto che non avevo altra scelta".

"Quindi ti sta ospitando lui?"

"Per il momento sì, ma ho intenzione di pagargli almeno metà dell'affitto. Mi sento già abbastanza a disagio così"

Giulia sorrise furba. "Oh, sono sicura che lui preferirebbe tutto un altro tipo di pagamento"

"Giulia!" esclamò Amanda, dandole un colpo sulla spalla. La ragazza ridacchiò, riparandosi, poi guardò nuovamente Amanda. "Questo vuol dire che puoi spiarlo mentre si fa la doccia?"

"Credevo che ce l'avessi ancora con lui"

"Perché, essere arrabbiata con una persona vuol dire non poter apprezzare il favoloso e marmoreo corpo che si ritrova?"

Amanda si coprì il viso con le mani. "Oddio"

Giulia rise di gusto. "Scusami, è che questa storia è talmente assurda che è proprio difficile prenderla sul serio".

"Lo so" piagnucolò Amanda. "Non so più cosa fare".

"Lui ti piace ancora, giusto?" domandò dopo un po' l'amica, piegando appena la testa. Amanda annuì, il volto ancora nascosto. "E se lui ti ha baciata, probabilmente anche tu piaci a lui, ignorando tutta quell'idiota storia della sua cotta adolescenziale".

Amanda annuì di nuovo, senza precisare che ora lei sapeva come quella storia fosse stata solo una bugia.

"Ok, la mia domanda è una sola. Che stai aspettando?"

La ragazza sollevò di scatto la testa, osservando l'amica come se fosse impazzita. "Per caso ti sei dimenticata com'è finita l'ultima volta?"

"Ma si è scusato, giusto?"

"Potrebbe rifarlo"

"E allora perché l'hai perdonato?"

Amanda aprì la bocca come per ribadire, poi però la richiuse, sbattendo un paio di volte le palpebre. Giulia sorrise vittoriosa. "Tu non credi davvero che lo rifarebbe".

"Magari non di proposito..." sussurrò Amanda, mordendosi il labbro inferiore. Giulia sospirò, afferrandola per la spalla. "Ascolta, capisco che sei spaventata, ok? Ma auto-negarsi la felicità è proprio masochistico. Non ti voglio spingere a fare niente che tu non ti senta di fare, per carità, ma datti un po' di tempo, cerca di non stare a farti troppi film mentali, e vedrai che le cose verranno da sé"

Amanda ispirò profondamente, lanciando all'amica un'occhiata accusatrice. "Mi sa che tu non ce l'hai affatto con lui"

Giulia si strinse le spalle. "Solo perché tengo più alla tua felicità che alla mia vendetta, non vuol dire che non gliela farò pagare comunque, in qualche modo".

 

 
 

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Capitolo 18
*** Doccia Fredda ***


Breathe Into Me

Capitolo Diciottesimo:
Doccia Fredda

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Amanda salì con passo pesante le scale, fermandosi ad ogni pianerottolo per riprendere fiato. Dopo oltre due settimane che le faceva più volte al giorno, altro non le era rimasto che ammettere di essere decisamente fuori allenamento, continuando a sperare che riparassero al più presto l'ascensore. Quel sabato non aveva nemmeno la scusa della cartella pesante, poiché ormai la fine della scuola era alle porte e la quantità di libri da dover portare si stava riducendo al minimo.

La ragazza a quel pensiero si ritrovò a sorridere tra sé e sé, pregustando la libertà che quelle vacanze avrebbero portato con loro.

Automaticamente sollevò lo sguardo, osservando la porta dell'appartamento di Alessandro ad un paio di rampe da lei. Amanda aveva fatto proprio come le aveva suggerito Giulia, cercando di smettere di preoccuparsi e lasciando che le cose seguissero il proprio corso, e con il passare dei giorni il suo soggiorno a casa di Alessandro si era fatto sempre più piacevole, più quotidiano. L'uomo viveva una vita piuttosto tranquilla, uscendo solo per gli allenamenti di rugby e un paio di serate con gli amici, e presto avevano imparato a regolare i loro impegni in modo da riuscire a ritrovarsi insieme a pranzo e a cena; Amanda era arrivata ad aspettare quei momenti con ansia.

Finalmente arrivò alla porta, cercando di riprendersi prima di infilare la chiave nella toppa ed entrando in casa. Il suono di spari le arrivò prepotente alle orecchie, subito seguito da alcune imprecazioni e risate. Il sabato era il giorno libero di Alessandro, che evidentemente ne aveva approfittato per giocare all'XBOX. Amanda lo osservò divertita mentre tentava inutilmente di evitare una granata, notando poi una seconda persona seduta accanto a lui, anch'essa profondamente concentrata sul gioco. Individuò infine Roberta seduta poco distante dai due, osservando lo schermo piena di interesse.

Decise che si sarebbe presentata più tardi - sapendo bene che al momento probabilmente sarebbe riuscita a strappare dai due uomini poco meno di un cenno - e invece si diresse in camera, posando lo zaino e avvicinandosi per qualche secondo al ventilatore, lasciando che l'aria la colpisse in faccia. Flash, che sembrava l'unico ad essersi accorto dell'arrivo della ragazza, le arrivò alle spalle, sedendosi davanti a lei e aspettando pazientemente i suoi saluti. Amanda lo accontentò, grattandolo dietro le orecchie e sul collo, lasciandosi leccare il volto con una smorfia disgustata. Andò poi verso l'armadio, spalancandolo e frugando tra i suoi vestiti in cerca di una canottiera e un paio di pantaloncini, desiderosa di sfuggire a quel caldo torrido. L'armadio era stato riempito due fine settimana prima, quando Alessandro l'aveva accompagnata a casa di Eleonora a recuperare tutta la roba. Era stata una cosa veloce e indolore: la donna come suo solito non era in casa, e Amanda aveva velocemente recuperato tutto l'essenziale, lasciando ciò di cui sapeva né lei né Roberta avrebbero sentito la mancanza. In meno di un'ora avevano finito, e mentre alcune cose erano state sistemate nella camera degli ospiti, alcune scatole erano invece state riposte nel garage del condominio, ancora sigillate, in attesa di una sistemazione fissa.

Amanda aveva recuperato anche i soldi che le erano rimasti, ancora nascosti sotto il materasso, ma sfortunatamente sul suo libretto non aveva trovato niente. Aveva comunque insistito per dare 300 euro ad Alessandro, decisa a pagare almeno un minimo delle spese. L'uomo aveva inizialmente rifiutato, asserendo che quello di ospitarle era il suo modo per sdebitarsi con Amanda, ma fortunatamente aveva sembrato capire quanto l'idea di restare da lui come ospite la mettesse a disagio, accettando così i soldi della ragazza sotto la promessa che da quel giorno in poi si sarebbe comportata come fosse casa sua - poiché, teoricamente, per quel mese lo era davvero.

Così, dopo essersi cambiata, fatta una veloce coda e sciacquata il viso, Amanda tornò in salone, andando verso il frigorifero e prendendo una bottiglia d'acqua. Stava bevendo quando i suoni dell'XBOX si interruppero, e nonostante fosse di spalle capì che Alessandro doveva essersi accorto della sua presenza.

"Sei tornata" disse infatti con voce appena affannata, reduce dal gioco. Amanda annuì, voltandosi e posando il bicchiere sopra il tavolo della cucina.

"Abbiamo ordinato la pizza" aggiunse Alessandro, indicando il cartone posato sopra il tavolino.

Amanda fece per seguire la sua indicazione, ma il suo sguardo intercettò la figura seduta accanto ad Alessandro, fermandocisi sopra. I biondi capelli erano più lunghi dell'ultima volta in cui lo aveva visto, e la canottiera questa volta era beige, ma sarebbe stato impossibile non riconoscerlo.

"Stefano?" si ritrovò ad chiedere, incredula. L'uomo sembrava tanto sorpreso quanto lei, osservandola curioso. "Amanda!" esclamò, aprendosi in un enorme sorriso.

Alessandro osservò lo scambio tra i due con aria confusa, spostando lo sguardo dall'uno all'altro. "Vi conoscete?"

"Il ragazzo delle montagne russe"

"La ragazza che mi ha dato buca"

Amanda arrossì appena, abbassando lo sguardo. Ops.

"Aspetta, è lei la tipa che stavi aspettando al bar?" domandò Alessandro, inarcando le sopracciglia. Stefano annuì, chiaramente divertito.

"Proprio lei"

Amanda spostò lo sguardo su Alessandro. "Allora tu sei l'amico depresso"

L'uomo la guardò ancora più confuso di prima, ma Stefano strinse le spalle. "E tu la causa della sua depressione. Com'è piccolo il mondo, eh?"

Alessandro osservò l'amico con espressione corrucciata. "Non mi avevi detto si chiamasse Amanda."

"Se è per questo nemmeno tu me l'hai detto. Non sono mica un veggente".

"Uh, io mi sa che sapevo di te, Stefano" disse Amanda, sentendosi un po' colpevole, "Ma non ho proprio collegato". E per forza! Tralasciando quanto scarse erano le probabilità che un tizio conosciuto su una giostra potesse essere il migliore amico dell'uomo che stava cercando di dimenticare, lo Stefano che aveva davanti decisamente non dimostrava ventisei anni, età che invece Amanda sapeva l'amico di Alessandro avesse. Tuttavia, ora che sapeva chi fosse, non le fu difficile ricordare dove l'aveva già visto: in una lontana giornata di febbraio, in un campo di rugby. Era lui il ragazzo che aveva richiamato l'attenzione di Alessandro, facendo poi l'occhiolino a Michela.

"Sei quello che è andato a sbattere contro una macchina della polizia, giusto?" domandò poi, cercando di unire tutte le informazioni che ricordava su di lui.

Questa volta fu il turno di Alessandro di ridacchiare. "Proprio lui"

"Questa storia me la tirerai dietro proprio fino alla morte, vero?" borbottò Stefano, arricciando il naso. Si riprese qualche secondo dopo, un sorriso inquietante sul volto. "La mia offerta è ancora valida, comunque" disse ad Amanda, facendole l'occhiolino. Era proprio una mania.

Alessandro scosse la testa, sollevando gli occhi al cielo. "E' troppo giovane per te, vecchio maniaco".

"Anche per te, ma questo non ti ha impedito di guardarle il sedere giusto due minuti fa".

Fortuna che Amanda aveva già inghiottito l'acqua, perché altrimenti probabilmente a quel commento avrebbe finito per sputarla. Alessandro spalancò gli occhi, sconvolto. "Non ho fatto niente del genere! Io-" spostò lo sguardo su Amanda, "Giuro che non l'ho fatto".

Stefano sghignazzò, afferrando una fetta di pizza. "Con le bugie sei perfino peggio che con l'XBOX".

"Sei il peggior pezzo di str-" si voltò verso Roberta, intenta ad osservare lo scambio tra di loro con fervido interesse. "-aaada... che abbia mai avuto la sfortuna di conoscere".

Stefano annuì. "E sono il tuo migliore amico. Questo la dice lunga".

Amanda guardò i due uomini sinceramente divertita, cercando con tutte le sue forze di dimenticare il commento di Stefano, decisa a non lasciarsi distrarre così da quella che era sicuramente stata una battuta. E dire che ormai avrebbe dovuto saperlo che non era proprio capace di dimenticare niente.

Si riempì nuovamente il bicchiere, andando poi a sedersi accanto a Roberta e Flash sul tappeto e afferrando affamata un fetta di pizza.

"Sei il proprietario del Planet?" domandò a Stefano. L'uomo annuì, non cercando di nascondere la sua espressione fiera.

"L'ho comprato lo scorso novembre, lo vendevano per un fesseria. Appena l'ho visto ho capito che aveva potenziale. Dovresti vedere com'è diventato!"

"Sì, ci sono stata qualche mese fa" disse Amanda, lanciando una veloce occhiata ad Alessandro. "Mi piacevano le lampade".

Cosa stai dicendo?

Stefano comunque sembrò apprezzare il complimento, gonfiandosi un poco. "Belle, vero? Le ho scelte personalmente. Sei andata in bagno? Quelle sono le migliori".

"Va bene, direi che è ora di cambiare argomento" annunciò Alessandro con l'aria di uno che aveva assistito a quella scena centinaia di volte, ignorando l'espressione vagamente offesa dell'amico. Decisero all'unanimità di riprendere a giocare all'XBOX, Stefano e Alessandro che cominciarono a spiegare ad Amanda come giocare, solo per poi vedersi inevitabilmente morire sotto i colpi della pistola di quest'ultima. Se a giocare con Giulia si imparava qualcosa, era che farsi sottovalutare era il modo migliore per vincere.

Arrivò anche il turno di Roberta, che si accanì particolarmente contro Stefano. Non sapeva cosa fosse successo tra quei due prima che arrivasse, ma ad Amanda non sfuggirono le occhiate di fuoco che continuavano a scambiarsi, senza contare che poche volte in vita sua Roberta era stata così silenziosa.

Alla fine la curiosità ebbe la meglio, e lentamente si sporse verso Alessandro, facendogli segno di abbassarsi e chiedendogli in un sussurro quale fosse il problema tra i due.

"Prima che arrivassi stavano giocando a Mario Kart. e lui le ha rubato il controller, facendola perdere" le spiegò lui, le sue labbra a pochi centimetri dal suo orecchio. Lei dovette concentrarsi particolarmente per riuscire a capire cosa le stesse dicendo, sentendo un brivido attraversarle il collo. "Non è quello che si dice una persona sportiva".

Sollevò lo sguardo verso di lui, allontanando appena il volto quando si accorse di quanto fosse vicino. Lui le sorrise, i suoi occhi incatenati a quelli di lei, poi si risollevò, tornando ad osservare la feroce partita sullo schermo della televisione.

Amanda rimase ferma ancora per qualche istante, chiudendo gli occhi. Ecco un'altra cosa che in quelle due settimane aveva abbondato: giochi di sguardi, frasi appena sussurrate, innocui quanto indimenticabili sfioramenti. Quello tra lei ed Alessandro sembrava essere diventato un gioco che nessuno dei due era in grado di controllare, ma di cui non avevano mai abbastanza.

Non sapeva più nemmeno lei cosa voleva, e ciò la stava facendo ammattire. Alessandro, non Alessandro? Rischiare o no?

Sospirò, posando la testa sul bordo del divano, proprio a pochi centimetri da dove penzolava la mano dell'uomo. Quella vicinanza delle volte sapeva essere un vero e proprio tormento.

La battaglia tra Roberta e Stefano andò avanti per buona parte del pomeriggio. L'uomo si stava chiaramente divertendo un po' troppo a provocare la bambina, mentre quest'ultima aveva una spaventosa luce omicida nello sguardo. Mai Amanda l'aveva vista così arrabbiata; Stefano doveva avere proprio un talento speciale.

Alla fine Amanda decise di intervenire, proponendo di guardare un film tutti insieme e lasciar perdere per un po' la console, sperando così di placare la sanguinosa faida. Seguì Alessandro in camera sua, scacciando con prepotenza il nervosismo e frugando con fare esperto tra suoi DVD, storcendo di tanto in tanto il naso.

"Come tu mi vuoi, davvero?" domandò, tirando fuori il DVD e tenendolo con due dita. Alessandro fece una smorfia, affrettandosi ad afferrarlo e gettarlo sul letto.

"Quello era davvero di Lara" disse, scuotendo la testa. "Non giudicarmi".

"Anche Il Diario di Bridget Jones lo è?"

"Oh no, quello è mio. Me lo guardo ogni domenica sera mangiando gelato al cioccolato".

Amanda scoppiò a ridere. "La prossima volta pretendo un invito allora" disse, continuando poi a frugare tra le custodie riposte ordinatamente - forse l'unica cosa in tutto l'appartamento - sulla mensola.

Alla fine optarono per L'Era Glaciale, l'unico film nel mucchio che potesse andare bene sia per Stefano che Roberta, e tornarono di là con dei cuscini e alcune coperte, stendendosi poi tutti insieme a terra mentre Alessandro faceva partire il DVD.

Dopo che le serrande furono abbassate e le luci spente, Alessandro si unì agli altri, sdraiandosi accanto ad Amanda e sistemandosi un cuscino sotto la testa.

“Sai” sussurrò lui verso metà film, ispirando profondamente. “Era da anni che non facevo più una cosa simile”.

“Guardare un film?”

Alessandro sogghignò. “Passare un intero pomeriggio a non fare nulla. In genere ho sempre avuto qualcosa da correggere, o una lezione da preparare, e quando arrivavano le vacanze ci pensava Lara a tenermi occupato”.

“Da quanto stavate insieme?” domandò Amanda, lanciandogli un'occhiata di sottecchi.

“Poco meno di quattro anni” disse Alessandro, sollevando appena le spalle. “Ci siamo conosciuti attraverso alcuni amici. Io ero appena uscito dall'università, lei invece lavorava in uno studio notarile. Siamo usciti insieme per quasi due anni prima di... rendere le cose ufficiali”.

Quasi sei anni, quindi. Le sembrava un tempo lunghissimo.

“Voglio che sia chiaro” disse improvvisamente lui, girandosi sulla pancia e poggiandosi sui gomiti, così da poter guardare Amanda negli occhi, “Che la relazione tra me e Lara era ormai finita da anni, per entrambi. Quello che è successo tra di noi-” la sua voce, già un sussurro, divenne ancora più bassa. “Mi ha solo aiutato a capire che quello che avevo con lei non era reale, non era abbastanza. Non è stata la causa dalla mia rottura con Lara” scosse appena la testa. “Lo è stata, ma non direttamente, ok? Lo è stata in un modo positivo”.

Amanda annuì, mordendosi gentilmente il labbro inferiore. Per quanto lui stesse cercando di rassicurarla, lei non riuscì a non sentirsi un po' colpevole – se non nei confronti di Alessandro, nei confronti di Lara. Non le era mai davvero passato per la mente che il loro bacio era stato anche un tradimento, ma l'idea la stava solo facendo sentire peggio.

“Lei hai detto...”

Alessandro scosse la testa. “No, non l'ho mai detto a nessuno” disse, e il modo in cui la guardò nel pronunciare quella frase la fece sentire come se le mancasse l'aria.

“Io l'ho-”

“Detto a Giulia, sì” mormorò lui, sorridendo appena. “Ed è giusto così. Mi dispiace di essermela presa, all'inizio. Ero solo un po'... spaventato, credo”.

“Mi dispiace di averti messo così a rischio” sussurrò Amanda. “Mi dispiace di farlo ancora adesso”.

Alessandro piegò appena la testa, corrucciando le sopracciglia. “Dispiace a te? Sono io che...” si fermò, forse insicuro su come continuare, poi si passò una mano tra i capelli. “Tutto quello che è successo è stato una mia scelta, e continua ad esserlo”.

“Ed è anche mia” disse lei, ispirando. “Ho sempre saputo quello che volevo, Alessandro, molto prima che lo sapessi tu. Solo non credevo sarebbe mai potuto accadere davvero. E... anche io ero spaventata, e non capivo. Non capisco tutt'ora”.

Lui la osservò in silenzio, il suo respiro lento e pesante, poi con un movimento veloce tornò a sdraiarsi. Erano ormai talmente vicini, però, che la sua testa finì per posarsi sulla spalla di Amanda. Quando se ne accorse, Alessandro sollevò il volto verso di lei, ma la ragazza si limitò a sorridere dolcemente, chiudendo gli occhi quando lui tornò a guardare il film, annusando l'odore di shampoo dei suoi capelli, lasciando che i morbidi riccioli le accarezzassero il collo.

Il film terminò quasi un'ora dopo, ma Amanda non era riuscita a seguirne nemmeno un minuto, troppo concentrata a pensare ad Alessandro ed al calore della sua pelle, al desiderio che provava di sentire i suoi capelli tra le dita. Quando l'uomo si alzò a sedere, la ragazza sentì immediatamente una sensazione di vuoto, come se avesse appena perso qualcosa. Voleva tenerlo stretto a sé, voleva sentirlo tra le sue braccia senza mai lasciarlo andare, e questo la spaventava enormemente. Aveva deciso che l'avrebbe dimenticato, eppure eccola lì, a desiderarlo più che mai.

“Sembra che darsi battaglia all'XBOX sia più faticoso del previsto” mormorò Alessandro, sogghignando.

Amanda seguì il suo sguardo, ridacchiando a sua volta: Roberta e Stefano erano profondamente addormentati, il braccio destro della bambina posato sulla faccia dell'uomo, che non ne sembrava affatto disturbato.

“Sono carini” disse Amanda, cercando di contenere le risate. Alessandro la osservò scettico, sollevando un sopracciglio, ma non commentò l'affermazione. Spense la televisione, sorpassando poi i due con una lunga falcata e raggiungendo la cucina.

Il più silenziosamente possibile cominciò a tirare fuori qualche padella e alcuni ingredienti dagli armadietti, posando tutto sul bancone. Amanda lo raggiunse veloce, accendendo una delle piccole luci sistemate sulla cappa così che solo la cucina restasse illuminata.

“Posso darti una mano?” domandò poi, adocchiando il guanciale e gli spaghetti sistemati sul bancone. Alessandro annuì, passandole un cartone di uova appena tirate fuori dal frigo. “Pensavo di fare una carbonara, veloce e semplice. Puoi occuparti tu di separare il tuorlo dall'albume? Quattro uova”.

“Certo” mormorò lei, afferrando due vaschette e cominciando a rompere le uova. Cercò di concentrarsi su quello che stava facendo, ma proprio non riusciva a smettere a lanciare delle veloci occhiate ad Alessandro, alla maglietta a maniche corte che indossava, i muscoli che guizzavano ad ogni suo movimento, le spalle che sembravano ancora più larghe del solito. Poteva ancora sentire il suo odore nelle narici, ma, ancora peggio, proprio come ogni volta che cucinavano insieme, non riusciva a smettere di pensare alla volta in cui avevano preparato insieme i biscotti, quel sabato di Marzo a casa sua, e come era andata a finire. Se si concentrava, non era difficile riportare alla mente la sensazione delle labbra di lui premute contro le sue, le mani sulla sua vita, il corpo così stretto al suo da renderle difficile perfino respirare. E in quei momenti, tutto ciò che riusciva a fare era chiudere gli occhi, assaporando il ricordo e maledicendosi per essere incapace di smettere di pensarci.

“Tutto ok?” domandò una voce spaventosamente vicina al suo orecchio, facendola sobbalzare. Amanda si voltò di scatto, pentendosi immediatamente del suo gesto non appena si ritrovò a pochi centimetri da Alessandro, il quale la stava osservando con espressione curiosa. La ragazza annuì furiosamente, abbassando lo sguardo e cercando di nascondere il rossore che ora le colorava le guance.

“Ero sovrappensiero, tutto qui” mormorò, schiarendosi appena la voce e voltandosi poi nuovamente verso il bancone. Continuò a sentire chiaramente la presenza di Alessandro alle sue spalle per ancora qualche secondo, e dovette usare tutto l'autocontrollo possibile per non semplicemente girarsi e nascondere il volto nell'incavo del suo collo. Quando lo sentì di nuovo muoversi tra le pentole espirò profondamente, cercando di concentrarsi sul guanciale che stava tagliuzzando.

Quando la cena fu pronta e il tavolo apparecchiato, fu il momento di svegliare i due bei dormienti. Roberta si lasciò trascinare al tavolo mentre si strofinava gli occhi, sbadigliando profondamente, ma Stefano tirò ben tre cuscini addosso ad Alessandro prima di convincersi ad alzarsi.

“Abbiamo pranzato tipo due ore fa” si lamentò l'uomo, passandosi le mani sul volto.

“Sei ore fa, in realtà” disse Alessandro. “Avete dormito parecchio”.

Stefano fece una smorfia. “Non stavo mica dormendo” borbottò. “Riflettevo ad occhi chiusi”.

“Con tutto il tempo che ci hai messo, mi aspetto di leggere il tuo trattato filosofico a breve”.

“Oh, ma tu la mia filosofia la conosci perfettamente” disse Stefano con un ghigno, voltandosi poi a guardare Amanda. Alessandro si limitò a grugnire qualcosa in risposta, sollevando gli occhi al cielo.

Mangiarono con calma, chiacchierando del più e del meno. Stefano sembrava piuttosto curioso di sapere come funzionasse la convivenza tra i tre, e Amanda si sforzò di non arrossire quando chiese come facessero con il bagno.

“Cosa?” domandò quando vide la faccia di Alessandro, che non sembrava per niente contento della domanda. “Ci sono rimasto chiuso dentro due volte. Io non mi fiderei affatto a chiudere a chiave”.

“Non è che abbiamo altra scelta” sibilò l'altro, lanciandogli un'occhiata di fuoco.

Stefano si strinse le spalle. “Potreste lasciarla aperta, tanto visto come stanne le cose...”

Amanda corrucciò le sopracciglia. “Come stanno... come?”

“Uh, beh, credevo che... insomma, se non ora prima o poi”.

Alessandro sollevò le braccia. “Si può sapere cosa vai farneticando?”

“Mi state dicendo che voi due non avete ancora... approfondito il rapporto?” domandò Stefano, voltandosi poi verso Roberta. “Tu forse dovresti andare a letto”.

“Sono le otto!” sbottò la bambina, incrociando le braccia al petto. “E non ho nemmeno finito di mangiare”.

“Non c'è bisogno che vada da nessuna parte” disse Alessandro, schiarendosi appena la voce. “Perché non c'è proprio niente da dire”.

“Quindi è un no. Ok. E progettate di farlo prima o poi?”

Amanda, che in quel momento mangiando della pasta, cominciò a tossire, rischiando di strozzarsi, guardando Stefano con espressione incredula. Non credeva sarebbe mai arrivato il giorno in cui l'avrebbe detto, ma quell'uomo era perfino peggio di Giulia.

“Questi non sono affari che ti riguardano” disse Alessandro, osservando l'amico come se fosse completamente impazzito – reazione piuttosto comprensibile. L'altro comunque si limitò a sporgersi ancora di più sul tavolo, avvicinandoglisi. “E' un sì?”

“No!” sbottò l'uomo, evitando palesemente lo sguardo di Amanda. “Assolutamente no”.

Stefano annuì, posando la schiena sulla sedia. “Quindi non sei interessato a lei in quel modo, giusto?”

Alessandro si schiarì appena la voce, passandosi una mano dietro il collo. “...no.”

“Ne sei proprio sicuro, per niente?”

“La smetti di fare queste domande?!”

“Va bene” fece Stefano, palesemente soddisfatto. “Allora non ci sono problemi se invito Amanda fuori a cena, vero?”

Difficilmente Amanda avrebbe mai dimenticato l'occhiata che lanciò Alessandro all'amico, talmente infuriata che la ragazza per un istante fu sicura che gli sarebbe saltato al collo, cercando di strozzarlo. Niente del genere accadde. Dopo qualche secondo, Alessandro strinse le labbra, abbassando lo sguardo, non prima di averlo spostato per qualche istante su Amanda. “Nessun problema” disse infine.

“Ottimo!” esclamò Stefano, battendo le mani come un bambino a cui avevano appena servito il dolce. “Allora direi che si può fare. Tu ci stai Amanda, vero?”

“Ehm” mormorò lei, incerta. “Credo di sì?”

“Perfetto. Domani ho un impegno, e il prossimo sabato sera lavoro, ma che ne dici della prossima domenica?”

Amanda fu tentata di spostare lo sguardo su Alessandro, ma si convinse del contrario. Non doveva chiedergli certo il permesso. Inoltre, non aveva forse già accettato una volta di uscire con Stefano? Era anche giusto farsi perdonare per la volta precedente. E lui le piaceva, le piaceva davvero. Giulia aveva detto che le cose sarebbero venute da sé, e non era forse quello il caso?

E Alessandro. Troppo c'era in gioco con Alessandro. Lui stesso aveva appena detto di non essere interessato a lei in quel modo, giusto? La situazione era perfetta così, nessuno dei due ne avrebbe sofferto e tutti sarebbero potuti essere felici. Era quello che voleva, giusto?

“Domenica mi sembra perfetto” disse, cercando di sorridere il più sinceramente possibile. “Passi tu?”

Ma niente era perfetto.

 

 

Quella notte si girò e rigirò per ore nel letto, incapace di chiudere occhio. Non riusciva a smettere di pensare all'espressione di Alessandro, al suo tono di voce. Per quanto volesse fingere che non fosse così, la bugia nelle sue parole era stata incredibilmente palese, perfino per lei. Aveva davvero fatto bene ad accettare l'invito di Stefano? E se non l'avesse fatto, poi cosa ne avrebbe ricavato? La situazione tra lei e Alessandro era così confusa che oramai nulla la sembrava giusto. Tra loro non c'era niente, eppure le sembrava comunque di star facendo qualcosa di sbagliato. Forse avrebbe solo voluto che Alessandro rispondesse che sì, la vedeva come un qualcosa di più. Però poi cosa sarebbe successo? Lui le aveva già confessato i suoi sentimenti, e lei invece continuava a dirsi che avrebbe dovuto passare oltre. Era lei quella che si stava tirando indietro, eppure continuava a mettere in dubbio Alessandro. Non aveva proprio senso.

Si alzò dal letto con uno sbuffo, asciugandosi il sudore dalla fronte e avvicinandosi alla finestra in cerca di un po' d'aria. Roberta stava dormendo tranquilla, avvolta come suo solito dalle lenzuola, e Amanda si ritrovò ad invidiare la sua capacità di dormire con qualunque temperatura. A lei bastava qualche grado di troppo, qualche fastidioso pensiero, ed ecco che poteva dire addio ad un'intera notte di sonno.

Sbuffò pesantemente, afferrando l'elastico che aveva al polso e usandolo per legarsi i capelli in una crocchia, gesto che servì solo a farle notare quanto il suo pigiama si fosse ormai appiccicato alla pelle.

Lentamente uscì dalla camera, entrando silenziosamente in bagno e chiudendo la porta. Stava per girare la chiave, quando le parole di Stefano sull'essere rimasto chiuso dentro le tornarono in mente. L'idea di dover svegliare Alessandro per riuscire ad aprire la porta non le piaceva per niente – considerato sopratutto quanto dormiva pesantemente - così lasciò perdere.

Aprì il rubinetto dell'acqua fredda della vasca (assicurandosi che fosse quello giusto, visto tutte le volte che aveva finito per scottarsi negli ultimi giorni), e si sedette sul bordo mentre quest'ultima si riempiva, lasciando i piedi a mollo e godendosi la sensazione di fresco che le si diramò per il corpo. Quando il livello dell'acqua fu sufficientemente alto si spogliò, immergendosi nell'acqua gelida e trattenendo il respiro quando questa le sfiorò la pancia, facendola ritrarre. Alla fine si lasciò scivolare tutto di colpo, trattenendo a stento un gridolino ma sentendo immediatamente il senso di caldo e appiccicaticcio abbandonarla, facendole emettere un mugolio felice.

Chiuse le tendine della vasca, posando poi la testa sul bordo e chiudendo gli occhi, chiedendosi tra sé e sé se sarebbe stato un problema se avesse dormito lì, la mente che già cominciava ad annebbiarsi.

Probabilmente finì davvero per addormentarsi, perché quando il rumore della porta le fece aprire di scatto gli occhi le ci volle qualche istante per riordinare i pensieri, ricordandole dove si trovava. Si guardò attorno per qualche istante, ancora mezza addormentata, poi la luce del bagno venne accesa, facendola pietrificare.

C'era qualcuno nel bagno.

Fu tentata di chiedere chi fosse, sia per sapere se era Roberta che per avvertire della sua presenza, ma si ritrovò incapace di emettere un solo suono. La figura che si muoveva oltre la tendina chiaramente non era Roberta, e invece di convincere finalmente Amanda ad avvertire che c'era già lei in bagno, la scoperta riuscì solo a immobilizzarla ancora di più. Perché, perché non aveva chiuso la porta? Sarebbe stato mille volte meglio rimanere chiusa dentro che ritrovarsi nuda in bagno con Alessandro.

Oddio, era nuda. Nuda!

E a giudicare dai rumori che sentiva, anche lui era in procinto di spogliarsi. Dì qualcosa! Qualunque cosa!

Ma invece di parlare, la curiosità la spinse a scansare leggermente la tenda, sbirciando aldilà di essa.

Alessandro era di spalle e senza maglietta, e Amanda si ritrovò ad osservargli i muscoli della schiena a bocca aperta e occhi spalancati. Doveva essere merito del Rugby, senza dubbio, perché non credeva altrimenti sarebbe stato possibile avere un fisico del genere. Era talmente distratta che non si rese conto che l'uomo si stava sfilando i pantaloni finché non li posò sul lavandino, restando solo in boxer.

Era un attacco cardiaco quello che stava avendo? Le sembrava proprio di sì. Non le sarebbe dispiaciuto morire così però, decise.

Capì di aver raggiunto un punto di non ritorno quando le dita di Alessandro si fermarono all'elastico delle mutante, cominciando a sfilare anche quelle. Con uno scatto Amanda richiuse la tendina, schiaffandosi una mano sulla bocca per impedirsi di emettere suoni di cui poi si sarebbe amaramente pentita.

Con il suo balzo però rovesciò la boccetta di bagnoschiuma nell'acqua, che cadendovi fece un rumoroso splash. Immediatamente dopo, nel bagno scese un profondo silenzio, interrotto solo dalle gocce che di tanto in tanto cadevano dal rubinetto sull'acqua.

“Amanda?” chiese finalmente Alessandro, incerto. La ragazza ringraziò il cielo che ci fosse una tendina tra loro due che gli impedisse di vedere quale colorazione di rosso fosse riuscita a raggiungere.

“Sì?” sussurrò in un tono decisamente troppo alto, posandosi poi le mani sugli occhi. Sentì l'uomo emettere un suono di sorpresa, poi dai rumori di stoffa capì che si stava rivestendo.

“Che ci fai qui?”

“Avevo caldo, volevo farmi un bagno”

Lo sentì deglutire. “Sei... dentro la vasca?”

La domanda che non aveva voluto fare aleggiò comunque per l'intera stanza, facendola arrossire ancora di più. “Di solito è così che si fa il bagno”

“Giusto. Domanda stupida.” mormorò lui. “Perché non ti sei chiusa a chiave?”

Ecco, quella era una domanda da un milione di dollari.

“Stefano ha detto... non lo so, ho pensato...”

Un sospiro. “Stefano ti stava solo prendendo in giro. La serratura ha sempre funzionato benissimo”.

“Ah”

“Già”

Di nuovo silenzio. Nessuno dei due si mosse.

“Ora esco e ti lascio il bagno libero” disse Amanda. “Ci metto due minuti”.

“Certo”.

Amanda aspettò qualche secondo, poi si schiarì la voce. “Se puoi... uscire un attimo”

“Oh, certo!” disse l'uomo, con il tono di uno che si è appena risvegliato da un lungo sogno. “Esco subito”.

Amanda si tolse finalmente le mani da davanti agli occhi, osservando la sua ombra dirigersi verso la porta. Dopo che ebbe abbassato la maniglia, comunque, si fermò, abbassando appena la testa.

“Per quello che è successo stasera” cominciò, esitando per qualche istante. “Lo sai che ho mentito a Stefano, vero?”

Amanda si morse il labbro inferiore, chiudendo gli occhi. “Lo so” sussurrò alla fine. L'uomo annuì, schiarendosi di nuovo la voce e uscendo dal bagno, chiudendosi la porta alle spalle.

Con un enorme sospiro, Amanda si lasciò scivolare sotto il pelo dell'acqua, che ormai non le sembrava più così gelida.




NdA: Scusate tantissimo per il ritardo, ma il mio computer/ la mia connessione internet mi odiano. Ieri avevo quasi finito il capitolo, ma ovviamente il mio pc è impazzito e si è spento, cancellandone una buona metà. Oggi poi la mia connessione ha deciso di smettere di funzionare, quindi ho dovuto aspettare finchè non ha deciso di concedermi un po' di ADSL. Me la sta dando comunque con il contagocce, roba che sto navigando a qualcosa come 60 kb al secondo. Un pianto.
Comunque, ecco qui il capitolo. Non succede molto, ma sono sicura che almeno qualcosa vi piacerà. EHEH.
Ahem, tornando a noi, mi dispiace di avervi fatto aspettare, e spero che il capitolo vi piaccia! Grazie mille a chiunque ha aggiunto questa storia tra le preferite, le ricordate o le seguite, e ovviamente a tutte le mie fantastiche recensitrici!
A presto :D

 

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Capitolo 19
*** Stanca di Mentire ***


Breathe Into Me

Capitolo Diciannovesimo:
Stanca di Mentire

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Piccolo riassunto: Amanda e Roberta, dopo aver scoperto che quest’ultima non è la figlia biologica di Luigi (padre di Amanda) sono costrette ad affidarsi ad Alessandro, che accetta di ospitarle per un po’ a casa sua. Vivono con lui per circa tre settimane quando, un sabato, tornando a casa, Amanda trova a giocare alla playstation con Alessandro Stefano, un ragazzo che aveva conosciuto per caso sulle montagne russe. Viene a sapere che i due sono migliori amici. Quella sera, mentre cenano tutti insieme, Stefano la invita fuori a cena la domenica successiva. Più tardi, dopo che il ragazzo se n’è andato, Alessandro entrerà in bagno mentre Amanda si sta lavando. Lui le confesserà che, quando a cena ha detto che non ha problemi all’idea di Stefano e Amanda insieme fuori a cena, ha mentito.  


“Ho visto Alessandro nudo”

Amanda pronunciò la frase prima ancora che il suo zaino toccasse terra, sedendosi sulla sedia di Giulia con un sospiro tormentato. Erano svariate ore che sentiva il bisogno di dirlo ad alta voce, forse per riconoscere la realtà della situazione, o forse solo per tentare di togliersi l'immagine dell'uomo dalla testa. Notando però l'espressione incredula dell'amica, seduta sul banco a pochi centimetri da lei, quasi si pentì di non essersi convinta il giorno prima a dirglielo per telefono.

Cosa?

“Alessandro. Nudo. Oh Dio” dirlo ad alta voce non stava migliorando la situazione.

L'espressione di Giulia si illuminò, e le sue labbra si piegarono in un sorriso entusiasta. “Non stai scherzando, vero?”

Amanda scosse la testa, scuotendo le braccia. “Ti pare che scherzerei su una cosa simile?” domandò, nascondendosi poi il volto tra le mani. “Come farò a guardarlo in faccia?!”

“Era così grande?”

“Che!? No! Non lo so! Non era così nudo”

Giulia emise un suono deluso, e Amanda dovette guardarsi attorno per assicurarsi che nessuno stesse facendo caso al loro scambio. “Come hai fatto ieri a guardarlo in faccia?”

“Non l'ho fatto. E neanche lui se è per questo. Ci siamo evitati per tutto il giorno”

Giulia sollevò un sopracciglio. “Quindi lui sa che l'hai visto nudo?”

“No! Spero di no.” Il pensiero si fece strada nella mente di Amanda, e la ragazza si voltò verso l'amica con espressione atterrita. “Oddio, e se lo sa? Che faccio se lo sa?”

“Magari se mi spieghi com'è successo...”

“Stavo facendo il bagno, e... un suo amico aveva fatto un commento sulla chiusura della porta, quindi potrei non averla chiusa a chiave...” borbottò, passandosi una mano sulla fronte con fare sconsolato. Quanto poteva essere idiota? Anche se l'affermazione di Stefano fosse stata vera, come aveva potuto pensare che rimanere chiusa nel bagno sarebbe potuto essere peggio di quello?

Lo sguardo di Giulia si fece solo più scintillante. “Ti imploro, dimmi che-”

“Alessandro è entrato mentre ero nella vasca”

“Io ti odio!” sbottò la ragazza riccia, stringendo le mani a pugno. “Quanto, quanto puoi essere fortunata?! Che è successo poi? E sii il più dettagliata possibile, che già mi devo accontentare delle briciole”

“Non è divertente” disse Amanda, lanciandole un'occhiataccia. “E' stato a dir poco imbarazzante”.

“Sì, sì. Ora però i dettagli!”

Dopo aver lanciato un'ultima occhiataccia all'amica, la ragazza cominciò a raccontarle quello che era successo, dovendo soffermarsi molto più di quanto avrebbe voluto – o almeno così si disse – sulla descrizione del busto di Alessandro. Il solo ricordo la fece arrossire violentemente, sopratutto quando si rese conto di come l'immagine le si fosse stampata perfettamente nella mente, quasi l'avesse ancora davanti agli occhi.

“Sapevi che era lui, che si stava spogliando, e hai scostato la tendina comunque? Non sei così senza speranze allora” fu il commento di Giulia, che però non prese altrettanto bene la seconda parte del racconto. “Cosa? Hai chiuso la tenda? Nel momento migliore?! Ritiro tutto.”

“Giulia!”

“Scusa, scusa, ma è la verità. Tutte queste occasioni sprecate” borbottò, sospirando drammaticamente. Rimase poi per qualche secondo in silenzio, quasi assaporando l'idea. Amanda dovette schiarirsi rumorosamente la voce per riportarla alla realtà.

“Quindi pensi che lui ti stia evitando per questo?” chiese Giulia, riprendendosi.

Amanda scosse appena la testa, mordendosi il labbro inferiore. “No, non per questo. È successa un'altra cosa”

“Un'altra? Che sabato movimentato, complimenti”

La ragazza non sarebbe potuta essere più d'accordo.

“Quando sono tornata a casa, ho trovato Stefano sul divano a giocare all'XBOX con Alessandro e Roberta, che, tra parentesi, non lo sopporta. Hai mai visto Roberta non sopportare qualcuno? E' assurdo”.

Giulia corrucciò il volto, confusa. “Stefano?”

“Ricordi il giorno in cui siamo andati al luna-park, quando mi avete obbligata ad andare su quella giostra infernale da sola?”

“Esagerata”

“C'era un tizio seduto accanto a me. Biondo, canottiera nera.”

“Sì, ricordo vagamente. Era piuttosto gnocco. No, aspetta. Stai dicendo che l'hai rincontrato a casa di Alessandro? Te l'ho già detto che ti odio?”

Amanda annuì. “Aspetta di sentire questa: a quanto pare, è il migliore amico di Alessandro”

No shit

“E non è tutto. Mi ha invitata ad uscire, domenica sera. E' un tale casino...”

“Casino? Qua si parla di intrippo livello Gossip Girl. Serena Van Der Woodsen ti lucida le scarpe”

“Non ho idea di chi sia, ma grazie, ora sto infinitamente meglio” disse Amanda, storcendo la bocca. Giulia sembrò intuire l'umore dell'amica, perché strinse appena le labbra, l'espressione immediatamente più seria. “Alessandro non ha detto niente?”

“A cena no, anche se era abbastanza chiaro il fatto che la cosa non gli va a genio. E' stato dopo... dopo l'incidente in bagno. Mentre stava uscendo mi ha praticamente detto di... non lo so, provare qualcosa?”. Solo pronunciare quelle parole le sembrava talmente ridicolo che quasi scoppiò in una risata isterica. Era ormai la terza volta che Alessandro le diceva più o meno velatamente di provare dei sentimenti nei suoi confronti, eppure ogni volta le sembrava più assurdo.

Il volto di Giulia comunque sembrava tutt'altro che divertito. “Amanda!”

“Cosa?”

“Ma si può sapere che stai facendo? Ho sempre saputo che sei un po' masochista, ma qui stiamo raggiungendo dei livelli da malattia! Scusami, hai quel figo di Alessandro Navarra-” Amanda irruppe in un disperato shhh, controllandosi attorno con aria frenetica. “Che praticamente ti confessa il suo amore-”

“Non ha fatto niente del genere”

“E tu invece di saltargli al collo che fai? Lo eviti? Ma che problemi hai?! L'hai pure visto nudo! Ci sono solo due reazioni nel vedere un uomo nudo, ok? Schifata, o arrap-”

“Oddio, non dovevo dirtelo”

“E non provare a spacciarmi la bavetta alla bocca che avevi solo al ricordo per disgusto perché-”

“Sì, sì! Ho capito. Sono una scema” chiuse gli occhi, abbassando la testa con aria sconfitta. “E sono spaventata a morte”.

“Perché hai accettato?” domandò Giulia, il tono più tranquillo. “Con Stefano, intendo”.

“Non lo so. Alessandro... niente sembra sensato, capisci? Ogni cosa che faccio mi sembra uno sbaglio. E ho una tale paura che sia così... se è così ora, come pensi potrei mai gestire qualcosa di più? Inoltre, il pensiero di me e lui... perfino dirlo è ridicolo. Eppure è così giusto... non riesco nemmeno a capire cosa ci sia che non va, cosa continua a frenarmi. Mi sento come se non avessi più controllo sui miei stessi pensieri. Su niente, in realtà. Ha senso?”.

Giulia annuì appena, sospirando. “Io avrei una definizione per quello che ti sta succedendo, ma mi sa che te lo lascerò scoprire da sola”.

Amanda osservò l'amica per qualche secondo, riscuotendosi quando la campanella suonò prepotente. Si schiarì appena la voce, cercando di sfruttare gli ultimi secondi che le rimanevano. “Con Stefano invece, lui è semplicemente...”

“Bono”

“Eh, sì. Ed è anche simpatico. Mi piace la sua compagnia”

“Non emozionarti troppo che poi mi commuovo eh” ribadì sarcasticamente l'amica, ignorando l'occhiataccia che le lanciò l'altra.

“Voglio qualcosa di sicuro”

“Qualcosa di sicuro con un ragazzo che hai appena conosciuto? E, ci scommetto le tette, pure dongiovanni?”

Con un sospiro, Amanda si sollevò dalla sedia, restando però ferma dov'era. “Non è quello che intendo. Non voglio cadere da troppo in alto”.

“Quindi hai intenzione di rimanere per tutta la vita direttamente ancorata al terreno?”

“Lo sai? Non ti sopporto quando fai la poetica”

Il sorriso di Giulia si limitò ad allargarsi. “Solo perché ho ragione. E tu lo sai che è così, così come sai benissimo cosa fare. Devi solo accettarlo. E ti conviene farlo in fretta.”

Alessandro in quel momento entrò in classe, salutando con il solito tono tranquillo, ma per Amanda fu tutt'altro che tale. Con uno scatto abbandonò il tavolo di Giulia – lanciandole un'ultima occhiata di sostegno – e si sedette al suo posto, costringendosi a tenere lo sguardo sollevato. Quando Alessandro lo incrociò, la sua bocca si aprì in un sorriso sincero, mascherato poi con una mano passata ad accarezzarsi la corta barba, e Amanda si ritrovò a chiedersi se lui l'avesse davvero evitata il giorno prima, o se invece avesse fatto tutto lei. Non era praticamente nemmeno mai uscita dalla sua stanza. Era davvero così idiota?

La sua domanda non trovò risposta, il familiare suono di un bigliettino che atterrava sul suo banco che attirò repentino la sua attenzione. Non ebbe nemmeno bisogno di alzare gli occhi per sapere da parte di chi fosse, e se avesse davvero avuto bisogno di una conferma, il contenuto era decisamente inconfondibile:

Altrimenti, mal che vada, c'è sempre l'opzione del threesome.

 



I giorni successivi passarono con una dolorosa lentezza, lasciando ad Amanda e Alessandro la possibilità di sentire a pieno tutta la tensione che si era ora creata tra di loro, un po’ per l’incidente con la vasca da bagno, un po’ per la situazione di stallo in cui si trovavano.

Amanda non riusciva a capire cosa stesse facendo. Proprio come le aveva detto Giulia, doveva smettere di trascinarsi in quella nebbia di insicurezza e prendere una decisione.

Tuttavia, quando la domenica arrivò, Amanda afferrò un vestito dall’armadio e cominciò a prepararsi con movimenti automatici, sentendosi come se non riuscisse più a seguire il filo della sua stessa vita. Voleva tutto e non voleva niente, rimpiangeva ciò che le era stato offerto e desiderava ciò che aveva rifiutato.

E’ la tua vita si disse, chiudendo la porta del bagno dietro di sé, smetti di comportarti come se non fossi tu a controllarla.

Si lavò il viso con acqua gelida, cercando di svegliare la sua mente che sembrava fluttuare in mondi lontani, distaccata dal corpo come un aquilone cui filo è stato reciso.

Si legò i corti capelli in un morbido chignon, lasciandovi fuori i ciuffi più corti che le ricaddero sul volto, poi cominciò a truccarsi con mano incerta, applicando un poco di correttore sotto le profonde occhiaie causate dalla notte insonne e stendendo un leggero strato di fondotinta. Impiegò circa venti minuti a finire l’opera, usando alcune tonalità di marrone per gli occhi e un rosa pallido per le labbra, poi, dopo aver dato un’ultima sistemata al vestito, aprì la porta e uscì in corridoio.

Mancavano pochi minuti alle otto, l’orario a cui Stefano le aveva detto sarebbe venuto a prenderla attraverso un messaggio il giorno prima. Si incamminò con passo lento verso il salone, non completamente stabile sui tacchi che aveva addosso, e si rilassò quando vide Roberta che la aspettava seduta sul bracciolo del divano.

“Sembri la mamma” fu il suo commento, e per quanto Amanda ne avrebbe decisamente preferito un altro, sapeva che la bambina lo intendeva come un complimento. Inoltre, la ragazza aveva già notato la somiglianza tra lei e Michela non appena aveva indossato il vestito nero: la profonda scollatura coperta da una stoffa velata e il taglio semplice e corto erano tratti tipici dell’abbigliamento della madre. L’abito, d’altronde, era stato un suo regalo.

Alessandro, sdraiato sul divano con un libro in mano, alzò lo sguardo quasi automaticamente, lasciandolo poi scorrere con avidità su Amanda, soffermandosi per un secondo di troppo sulle gambe nude.

“Allora?” sussurrò lei, ruotando leggermente da entrambi i lati. “Che ne dici?”

L’uomo aspettò qualche secondo prima di rispondere, incontrando gli occhi della ragazza quasi con difficoltà. “Sei perfetta” sussurrò, mentre un sorriso malinconico gli curvava le labbra.

Amanda si aprì a sua volta in un sorriso, ma nel suo vi regnava solo soddisfazione. Improvvisamente non le interessava più nulla della cena, di Stefano o della sua incapacità di prendere una decisione.

Alessandro la trovava perfetta.

Quasi scoppiò a ridere quando si rese conto che quella era davvero l’unica opinione che le interessava. Non si era preparata che per lui, per vedere la sua reazione. Il sorriso le morì sulle labbra. Davvero intendeva ancora fingere di non sapere quello che voleva?

“Alessandro, ascolta.  Io-“

Il campanello suonò prepotente, interrompendola prima ancora che riuscisse a finire di formulare la frase.

Alessandro le rivolse un ultimo sguardo prima di voltarsi nuovamente e tornare a concentrarsi sul suo libro, e Amanda non potè fare a meno per sentirsi in colpa per il modo in cui stava giocando con i sentimenti dell’uomo.

“Io-” riprovò, ma il campanello suonò ancora, e questa volta lui non si disturbò nemmeno di staccare gli occhi dalla pagina.  “Per una volta che è riuscito ad arrivare puntuale, non farlo aspettare” mormorò con malinconico sarcasmo. “Hai tutto il tempo del mondo per parlare con me”.

Amanda scosse la testa, rilasciando un forte sospiro, poi afferrò la giacca appesa all’attaccapanni, diede un leggero bacio sulla fronte a Roberta e si precipitò giù dalle scale.

Stefano era seduto sul primo gradino fuori dal portone principale, i capelli accuratamente scarmigliati e una sigaretta tra le labbra. Il fascino del cattivo ragazzo che si portava dietro, con una noncuranza quasi naturale, era innegabile, ma Amanda non riuscì a goderselo quella sera, non appieno almeno.

“Eccoti qui!” esclamò lui non appena la vide, emettendo poi un breve fischio. “Eccoti sul serio! Devo chiamare un’ambulanza?”

“Come?”

“Vuoi dirmi che Alessandro non è svenuto vedendoti così? Nemmeno un po’ di sangue dal naso? Mi dispiacerebbe lasciarlo lì a morire mentre noi ci godiamo la cena” concluse con una smorfia divertita, sollevandosi in piedi. Cercando di nascondere il rossore, Amanda sollevò egli occhi al cielo, segretamente soddisfatta.

Stefano si avvicinò dunque ad una lunga macchina nera,  vagamente simile a quella che possedeva Luigi (somiglianza che provocò una piccola morsa allo stomaco ad Amanda), e aprì la portiera del passeggero, lasciando sedere Amanda.

“Te la cavi bene con questo genere di cose” disse lei non appena anche Stefano si fu seduto, le portiere chiuse e l’aria condizionata accesa.

Lui la adocchiò curioso. “La galanteria?”

“Gli appuntamenti”

L’uomo scosse le spalle, mettendo in moto la macchina. “Sai come si dice: la pratica rende perfetti”.

 

Arrivarono a destinazione nel giro di un quarto d’ora. Parcheggiarono a qualche metro dal ristorante in cui aveva prenotato Stefano, un piccolo locale piuttosto intimo e tranquillo. Un enorme cartellone appeso alla porta assicurava specialità italiane preparate esclusivamente con ingredienti freschissimi, ma Amanda aveva guardato troppi episodi di Kitchen Nightmares per fidarsi.

Cambiò rapidamente idea quando vide i deliziosi piatti che i camerieri stavano servendo agli altri clienti, il loro profumo che la raggiunse non appena superò la porta d’ingresso.

“Uno dei migliori ristoranti della città” disse Stefano con aria soddisfatta, “ma non dirlo a nessuno, altrimenti non avrò più un posto dove portare ignari appuntamenti”.

Amanda fece una smorfia. “Sei proprio un Don Giovanni”

“Il che potrebbe quasi suonare come un complimento, bada bene.”

Si lasciarono condurre ad un tavolo da un cameriere che non riusciva a smettere di lanciare occhiate malevole a Stefano, sedendosi l’uno di fronte all'altra davanti ad una deliziosa finestra che dava ad un balconcino, al momento chiusa per i nuvoloni che annunciavano un’imminente pioggia.

“Allora: tu e Alessandro” disse Stefano, afferrando il menù che Amanda aveva appena aperto e mettendolo da parte. “E’ chiaro che la corrente situazione non sta andando da nessuna parte”

La ragazza spalancò gli occhi, sorpresa. “Non credevo avremmo parlato di questo, stasera” borbottò dopo essersi schiarita la voce, abbassando lo sguardo. Stefano in risposta piegò lievemente la testa con fare curioso.

“Mi sembra di averti già fatto capire che sei una ragazza che mi interessa molto, Amanda, ma non vado dietro a persone che sono chiaramente innamorate di qualcun altro. Sopratutto se quel qualcun altro è il mio migliore amico”.

“Allora perché invitarmi fuori a cena?” domandò, cercando di ignorare la parte riguardo l’innamoramento, non affatto sicura di poterla negare.

Stefano fece una smorfia, poggiandosi con aria stanca allo schienale della sedia. “Perché conosco Alessandro, e so che tende a non mettersi in gioco finché non è sul punto di perdere. ”

“Ah” esclamò Amanda, sentendo le guance scaldarsi. “Allora… ahem… potresti aver preso un granchio”.

“Uh?”

“Alessandro si è già messo in- voglio dire, mi ha già detto- due volte in effetti…  ” alzò lo sguardo verso Stefano, incontrando un’espressione assolutamente esterrefatta. “Sono un'idiota.”

L’uomo non commentò l’ultima affermazione, stringendo le labbra. “L’avessi saputo prima, avrei invitato lui a cena” disse, e non vi era traccia di umorismo nella sua voce. “Anche se non so quanto la cosa ti avrebbe spronato”.

Il cameriere tornò al loro tavolo, chiedendo le ordinazioni, e Amanda si limitò ad ordinare lo stesso piatto di Stefano - una bistecca ai ferri con patate di contorno - troppo presa dai propri pensieri per soffermarsi  sul cibo, e un’aranciata.

“Prendiamo entrambi una birra” la corresse lui, “Ne avremo bisogno”.

“Credo sia giusto avvertirti che io e l’alcool non abbiamo proprio un buon rapporto” disse Amanda una volta che il cameriere si fu allontanato, il ricordo dell’ultima volta che aveva bevuto ancora fresco. Stefano le lanciò un’occhiataccia, scuotendo appena la testa. “Non dirmi che anche tu sei astemia”.

“Non esattamente. Chi altro lo è?”

“Alessandro. Motivi familiari” mormorò Stefano, alzando le spalle.

Amanda capì immediatamente, incupendosi. “Suo padre” disse, e l’uomo annuì, osservandola nuovamente con interesse.

“Sono sorpreso che te l’abbia detto. Le persone a cui lo ha raccontato possono contarsi sulle dita di una mano.” Si fermò un istante a ragionare, poi riprese. “ Immagino tu sappia anche di Veronica, allora”.

La ragazza annuì, non proprio felice di intraprendere quel discorso. “Non credo si libererà davvero mai di lei”, disse, e restò sorpresa nel rendersi conto che lo pensava davvero, ancora di più nello scoprirsi gelosa. Gelosa di un fantasma del passato.

Le birre arrivarono al loro tavolo. Amanda afferrò immediatamente la sua, capendo cosa aveva voluto dire Stefano poco prima quando aveva affermato che ne avrebbero avuto bisogno. Stefano invece continuò a fissare la ragazza, assorto.

“Credo proprio che l’abbia già fatto”.

Ad Amanda ci volle qualche secondo per riprendere il filo del discorso. “Per quale motivo?”

“Dallo stato in cui stava nel periodo che… non ho mai capito in effetti cosa sia successo tra voi due. Si è sempre rifiutato di dirmelo. Immagino sia perché sei una sua studentessa”.

Ed ecco un altro particolare che Amanda stava disperatamente cercando di dimenticare.

“L’ho visto passare tra un bel po’ di relazioni più o meno stabili dopo Veronica, prima di stabilirsi con quella piattola di Lara - per la cronaca, mai piaciuta - e ti posso assicurare che non ha mai battuto ciglio ad una rottura. Perfino quando si è lasciato con Lara stessa, con cui è stato insieme per un tempo schifosamente lungo. Eppure per te… quando ho scoperto chi eri, credevo fosse perché sei una sua alunna, per la differenza di età e bla bla bla... ho pensato si sentisse in colpa, tipico, ma il modo in cui ti guarda non lascia molto spazio a fraintendimenti. Alessandro è chiaramente innamorato di te”.

Amanda fissò il ragazzo con sguardo vuoto, la bottiglia ancora tra le labbra. "Come scusa?"

Stefano ingoiò due o tre sorsi di birra, lanciandole un'occhiata di sbieco.

“Lui non è innamorato di me” riuscì infine a dire, la voce poco più di un sussurro. “E’ solo attrazione” per qualche misteriosa ragione.

“Ah! Quindi è per questo che ti stai tirando indietro,” disse Stefano, “è tutta una questione di autostima”.

Amanda scosse la testa. “No, niente del genere. E’ solo che… insomma, lui innamorato di me? E’ ridicolo”.

Stefano annuì, guardandola come si potrebbe guardare un bambino che ha appena scoperto che Babbo Natale non esiste. “Esattamente. Autostima. Tu non credi di essere abbastanza per lui, il che è ridicolo, ovviamente. Qualunque cosa lo renda felice è chiaramente abbastanza, la cosa è più che logica.”

“Io non-” cominciò lei, ma poi smise di parlare. Era vero che si sentiva così, ne avevano già discusso con Giulia quella che sembrava una vita fa. Stava davvero continuando a tirarsi indietro solo per quello?

“Io voglio stare con lui” ammise infine, sentendo l’effetto dell’alcool darle più coraggio. “Ma mi sembra una cosa impossibile. Non solo per… beh, me. Alessandro, lui… lui è la mia fantasia. Le fantasie non sono fatte per diventare realtà, e se lo diventano non possono che essere una delusione. Non credo di essere pronta a perderla”.

“Volevo farlo stasera, però” continuò, osservandosi le mani poggiate sul grembo. “Poco prima che arrivassi. Volevo… non lo so, non lo so cosa volevo fare. Ma era qualcosa.”

Stefano sorrise incoraggiante. “Qualcosa è abbastanza. Qualcosa è qualcosa, che è più di niente”.

“Qualcosa” ripeté Amanda, quasi assaporando la parola. Era da parecchio, dopotutto, che non faceva qualcosa.

I loro piatti finalmente arrivarono, e Stefano, forse contento dei risultati della serata, passò ad argomenti più leggeri, lasciando ad Amanda solo il compito di ascoltare. Di tanto in tanto, però, la osservava come se stesse cercando di captare i suoi pensieri, con la curiosità che avrebbe potuto mostrare nell'assistere ad uno spettacolo teatrale.

Erano appena le dieci quando uscirono dal ristorante, ridacchiando divertiti e vagamente brilli. Le nuvole, come previsto, avevano portato con loro la pioggia, che ora cadeva fitta. Stefano non si scompose, afferrando un ombrello (che Amanda era più che sicura non gli appartenesse) dal portaombrelli  vicino alla porta e aprendolo sopra le loro teste.

“Dovevi vedere la faccia di Lara quando ha aperto il regalo. Il rossetto era giallo canarino, ci mancava solo si mettesse a cantare. Quando Alessandro ha capito che avevo suggerito male di proposito mi è quasi saltato al collo, ma ne è valsa la pena. E sai qual’è la cosa migliore? Che Lara il regalo se l’è pure tenuto. Me la immagino con il suo rossetto giallo canarino mentre firma le pratiche ad un cliente” disse Stefano, scoppiando poi a ridere.

Amanda scosse la testa, sinceramente divertita. “E’ stato incredibilmente meschino da parte tua approfittarti così del fatto che è daltonico” disse, senza riuscire a fingere il disappunto che avrebbe dovuto accompagnare quella frase. “E poi, visto che c’eri, potevi farglielo comprare verde”.

“Non l’avevano! Era la mia prima scelta. Stai riaprendo una vecchia ferita, amica mia”.

Detto questo, Stefano afferrò le chiavi della macchina, aprendola e accompagnando Amanda fino alla sua portiera, aspettando che vi salisse. Dopodiché richiuse l’ombrello e lo lanciò verso il ristorante, osservandolo atterrare a pochi centimetri dal portaombrelli da cui era stato precedentemente preso.

“Mi accontento” disse, entrando veloce in macchina e mettendo in moto.

Il viaggio di ritorno sembrò molto più breve, forse anche a causa dell’atmosfera più leggera, amichevole. Ora che avevano messo le cose bene in chiaro, Amanda si sentiva decisamente più serena. Le piaceva Stefano, le piaceva davvero, ma non era Alessandro. E andava benissimo così.

Quando arrivarono a casa di Alessandro dovettero girare parecchio per trovare un parcheggio, e alla fine Stefano si limitò ad accostare in seconda fila a qualche metro dal portoncino, lasciando scendere Amanda.

“Ora che ci penso, probabilmente avrei dovuto tenerlo, l’ombrello” borbottò, osservando la ragazza mentre cercava di ripararsi dalla pioggia e contemporaneamente chiudere la porta. Amanda scosse la testa, ridacchiando.

“Va benissimo così. Grazie mille per la serata, dico davvero. Mi sono divertita”.

Stefano sorrise a sua volta, annuendo. “Anche io. E ora va a fare qualcosa, su, su!” disse, facendole segno con le mani di sbrigarsi. Amanda gli lanciò un’ultima occhiata, poi chiuse la portiera con un tonfo, correndo verso il portone della palazzina.

Lo raggiunse in tutta fretta, frugando nella borsa mentre saliva i gradini, non rendendosi perciò conto della figura appollaiata su di essi, apparentemente ignara della pioggia. Questo almeno finché la suddetta figura non si sollevò di colpo, facendo fare alla ragazza un veloce salto indietro, la quale finì così per sbilanciarsi, oscillando sui gradini.

Alessandro le afferrò velocemente un braccio, rimettendola in equilibrio, e i loro sguardi si incontrarono. Amanda non riuscì a nascondere la propria sorpresa, corrucciando le sopracciglia mentre osservava i vestiti completamente fradici dell’uomo, quasi fosse stato ore sotto quella pioggia.

“Non volevo spaventarti” disse lui, lasciandole andare il braccio e indietreggiando di qualche passo. La ragazza continuò a fissarlo perplessa.

“Si può sapere che stai facendo qui fuori alla pioggia?” domandò la ragazza. “Starai morendo di freddo” aggiunse poi, addolcendo il tono di voce.

Alessandro abbassò lo sguardo con aria imbarazzata, i capelli che gli ricaddero pesantemente sul viso. “Mi prenderesti per pazzo se ti dicessi che ti stavo aspettando?”

“Potevi farlo anche dentro. Lo sai, vero?”

“Sì… sì, avrei potuto” mormorò, quasi se ne stesse rendendo conto per la prima volta. Se Amanda non fosse appena venuta a sapere che Alessandro era astemio, avrebbe sicuramente creduto fosse ubriaco. “Non riuscivo a stare fermo ad aspettarti” disse poi, chiudendo gli occhi. “Lo so che ti ho detto che non mi aspetto nulla da te -ed è così!- ma mentirei se dicessi che il pensiero di te e Stefano… non sono capace di lasciarti andare. Non posso. Non voglio. Ho lasciato che troppe cose mi sfuggissero dalle mani, ho sempre pensato che ciò che deve succedere succederà, indipendentemente dai nostri sforzi, ma non sono pronto a perderti senza lottare. Non quando sono convinto che-”

Amanda non seppe mai di cosa era convinto Alessandro, perché proprio in quel momento, mentre la pioggia cadeva leggera e la pallida luna illuminava la notte, lei decise di fare qualcosa.

E fu così che, sollevandosi sulle punte dei piedi, lo baciò.

Un bacio lieve, quasi appena accennato, che riuscì ad ammutolire l’uomo e ad esprimere tutto ciò che Amanda non era mai riuscita a dire. Un bacio che parlava di futuro.

 

“Non ho voglia di andare a scuola” borbottò Roberta, stropicciandosi con fare impacciato gli occhi e tirando fuori un ciuffo biondo dalla tazza di latte. Amanda sospirò pesantemente.

“Solo un’altra settimana e poi abbiamo finito. Dobbiamo tenere duro” disse, ma la realtà è che era lei stessa incredibilmente tentata dall'idea di rimettersi a letto e tornare a dormire, la mancanza di sonno della notte precedente che si faceva sentire.

D'altronde, non era di certo colpa sua. Difficile addormentarsi quando tutto ciò a cui riusciva a pensare erano le labbra di Alessandro, meravigliose perfino bagnate e fredde per via della pioggia. Il bacio della sera precedente era stato così diverso, oh così diverso da quello che si erano scambiati mesi prima, dolce e onesto. Amanda quasi era esplosa di gioia quando aveva sentito l’uomo sorridere sotto le sue labbra, quando le braccia di lui l’avevano circondata, ricordandole quanto le era mancato il suo tocco.

Con un sonoro sbadiglio lasciò cadere la testa sul tavolo, chiudendo gli occhi. No, di andare a scuola proprio non aveva voglia nemmeno lei, ma era la penultima settimana, e quel giorno aveva un’interrogazione a cui non poteva mancare.

Un clacson suonò insistente sotto la loro finestra, e mentre Flash cominciò ad abbaiare furioso, sia Amanda che Roberta si risvegliarono improvvisamente dallo stato comatoso in cui si trovavano.

“Lo scuolabus!” esclamò la bambina, saltando giù dallo sgabello e afferrando lo zaino. Flash cominciò a girarle intorno con entusiasmo, forse sperando in una passeggiata mattutina.

Amanda sollevò lo sguardo verso l’orologio.

“Che? E’ così tardi?” domandò. Le lancette ferme sulle 7:40 furono una risposta più che sufficiente.

Mentre Roberta si lanciava fuori dalla porta, correndo a tutta velocità per le scale, Amanda si affacciò dalla finestra, urlando un vago “Arriva”, nella speranza che l’autista riuscisse a sentirla. Poco dopo la sorella spuntò dal portone ed entrò nel pulmino, che non perse tempo a chiudere le porte e sfrecciare via.

Quello che si dice un promettente inizio di giornata.

Flash abbaiò nuovamente, questa questa volta chiaramente seccato di essere stato lasciato indietro. Amanda si voltò verso di lui, chinandoglisi accanto e accarezzandogli dolcemente il muso: “Che c’è? Il tuo padrone non ti ha ancora portato fuori stamattina? Uh?” domandò, dandogli poi un veloce bacio sul capo peloso. “In effetti, ho l’impressione che il tuo padrone non si sia proprio svegliato”.

Quando si era alzata quella mattina e non lo aveva trovato in cucina, aveva dato per scontato fosse uscito presto per andare a correre - non sarebbe stata la prima volta - ma sarebbe dovuto essere tornato già da un po’. Inoltre, raramente dimenticava di portarsi dietro Flash.

Con passo leggero si diresse verso la camera di Alessandro, bussando lievemente alla sua porta. Quando non ricevette risposta la aprì lievemente, sbirciando all’interno.

La stanza era quasi interamente al buio, fatta eccezione per poche linee di luce che penetravano dalla serranda non completamente abbassata. Quelle le bastarono a delineare una vaga figura distesa nel letto, accompagnata dal suono del suo respiro pesante, interrotto da qualche sporadico colpo di tosse.

“Ale?” bisbigliò, aprendo un altro poco la porta ed entrando. “Posso?”

Un mugugno fu l’unica risposta che ricevette, che lei interpretò come una conferma. Si avvicinò ad Alessandro, sentendo Flash seguirla all’interno della stanza e accomodarsi  senza troppi complimenti sul letto. Amanda,ignorando la propria incertezza, lo imitò.

“Che ore sono?” borbottò Alessandro con voce impastata da un punto imprecisato sotto il lenzuolo.

“Otto meno un quarto”.

Silenzio. Poi con uno scatto un ammasso di lenzuola si sollevò in aria, rivelando l’uomo nascosto al loro interno. Alessandro, ora seduto, la fissava con sguardo incredulo, i capelli completamente appiccicati ad un lato della testa. Amanda dovette trattenersi dal scoppiargli a ridere in faccia.

“Dimmi che stai scherzando”.

“Mai stata più seria”.

“Merda”. Con movimenti impacciati fece per scendere dal letto, ma un attacco di tosse lo obbligò a fermarsi.

Amanda lo osservò preoccupata, portando automaticamente una mano a tastargli la fronte. “Sei bollente,” disse, corrucciando le sopracciglia “mi sa che stare sotto la pioggia non sia stata la migliore delle idee”.

Alessandro scosse le spalle, osservandola furbescamente. “Non sono dello stesso avviso”.

La ragazza arrossì, incapace di trattenere un sorriso . “Hai la febbre” si limitò a dire, cercando di ridarsi un certo contegno - inutilmente - “non credo ti convenga uscire oggi”.

L’uomo scosse la testa, sbadigliando. “Non posso non andare, devo interrogare”.

“Lo so bene. Devi interrogare me”.

Alessandro fece una smorfia. “Quindi è così che stanno le cose eh, signorina Ferri? E io che credevo fosse preoccupata per la mia salute”.

Amanda ridacchiò, sollevandosi in piedi e obbligando l’uomo a distendersi, cercando di non soffermarsi troppo su i muscoli che riusciva a tastare sotto la maglietta. “Mi ha beccata, professore. Il mio è stato tutto un lungo piano cominciato mesi fa per riuscire a rimandare la mia interrogazione di fine anno”.

“Mi sono lasciato giocare come un principiante” mormorò lui, sistemandosi sui cuscini, “che imbarazzo. E di grazia, cosa mi concede in cambio della mia collaborazione?”.

“Sta forse chiedendo una bustarella? E io che la credevo un uomo di princìpi”.

“Solo nei giorni festivi”.

“Che ne dice allora di questo? Appena tornerò da scuola mi preoccuperò di prepararle un bel brodo caldo e una spremuta, farò uscire il suo povero cane,” a questa affermazione Flash alzò la testa, “e se farà il bravo le leggerò anche una storia”.

Alessandro emise un grugnito. “Perché ho la sensazione che questo sia il trattamento della febbre standard riservato a Roberta?”.

“Perché lo è,” ammise Amanda, ridacchiando “ma magari riusciamo ad aggiungerci qualche extra”. E detto questo gli diede un leggero bacio sulle labbra, sorprendendo decisamente più se stessa che lui. Quando si staccò Alessandro chiuse gli occhi e si lasciò affondare nei cuscini con espressione contenta.

Amanda gli sistemò le lenzuola, coprendolo per bene. “Torno tra qualche ora, tu approfittane per dormire”.

“Devi proprio andare?”.

“Ehi, c’eri anche tu tra i professori che si sono lamentati delle mie assenze”.

Alessandro sbadigliò profondamente. “Mi sono solo aggregato alla massa”.

“Beh, il resto della massa non sarebbe affatto contento se ne facessi un’altra. Inoltre, devo proprio parlare con Giulia” disse, evitando di aggiungere che doveva parlarle proprio di lui.

“Mh-mh” borbottò lui, rigirandosi nel letto e finendo con la faccia premuta sul cuscino, per poi mugugnare un vago: “Buona notte, Amanda”.

“Buona notte, Alessandro”.


 


Sono una persona orribile. Non odiatemi D:
Il giorno in cui inventeranno una cura contro la procrastinazione mi offrirò da cavia, lo prometto!

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Capitolo 20
*** Giornate Disastrose ***


Breathe Into Me

Capitolo Ventesimo:
Giornate Disastrose

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Amanda arrivò a scuola con un ritardo di quasi mezz'ora, consegnando la giustificazione auto-firmata (viva la maggiore età!) e sedendosi al suo posto, ignorando le occhiatacce della professoressa di inglese.

Giulia non perse un attimo a farsi notare, cominciando a gesticolare verso Amanda con impazienza, ma la ragazza le fece segno di aspettare. Quello che aveva da raccontarle non poteva di certo essere espresso a gesti.

Dovettero dunque aspettare il suono della prima campanella per potersi finalmente appartare in un angolo della classe, tutto nella speranza che il professore di ginnastica si fermasse anche quel giorno a prendersi una lunga, lunga pausa caffè.

“Vi siete baciati?” domandò subito Giulia in tono un po’ troppo alto, avvicinandosi poi ancora di più ad Amanda. Quest’ultima guardò l’amica con diffidenza.

“Come fai a saperlo?”

“Non lo sapevo! Allora è successo davvero?!” l’esclamazione assomigliò particolarmente ad uno squittio. “Tu e Stefano! Non la coppia che mi aspettavo, ma una ragazza si sa accontentare…”.

Amanda alzò gli occhi al cielo, sorridendo tra sé e sé. “In realtà-” cominciò, ma un’ombra comparve sopra le loro teste. Lei alzò lo sguardo, solo per trovare Paolo osservarle con espressione curiosa, gli occhi ancora appannati dal sonno.

“Che fate di bello?” domandò, apparentemente ignaro di aver appena interrotto una conversazione più che personale. Non lo rimase a lungo, comunque, quando vide l’espressione vagamente assassina di Giulia.

“Oh, chiaccherata tra ragazze. Ricevuto. Torno al banco”.

“No, non preoccuparti. Andiamo in bagno” borbottò la ragazza, afferrando Amanda per una manica. “Per questo genere di discorsi mi serve una stanza a prova di urletti fangirlosi”. E detto questo si allontanarono, lasciando Paolo a cercare di decifrare il significato dell’ultima frase.

Non appena si furono rifugiate in uno degli scomparti del bagno, la porta accuratamente chiusa alle spalle, Amanda non perse tempo.

“Non mi sono baciata con Stefano, tanto per la cronaca”.

“Uh?”

“La cena è andata bene. Lui è stato davvero gentilissimo e tutto, ma a quanto pare non ha mai avuto intenzione di… provarci seriamente. Non sapendo che c’era una situazione irrisolta tra me e Alessandro”.

Giulia fece una smorfia. “E allora perché ti ha invitato a cena?”

“Stessa domanda che gli ho fatto io,” confessò Amanda. “A quanto pare credeva che Alessandro non avesse ancora fatto la sua… come dire… prima mossa, immagino? Lui non gli ha raccontato molto di noi”.

“Ok, ricapitoliamo. Lui ti ha invitato a cena per far “smuovere” Alessandro, ma ad Alessandro non serviva essere smosso, quanto infilato in un trita rifiuti-”

“Giulia...”.

“-quindi esattamente cosa avete fatto per il resto della serata? No, anzi, aspetta; ho una domanda più urgente: chi, esattamente, avresti baciato. Perché io in questo momento ho una persona sola in mente, e sappi che se ho ragione avrai bisogno di un riparo perché l’urlo che lancerò potrebbe seriamente distruggere qualunque vetro nel raggio di 10 metri”.

“Alessandro”.

“OH MIO DIO! OH MY… DEAR JESUS LORD ON A CANDY HORSE, NON CI CREDO! DIMMI CHE NON SCHERZI! DIMMI CHE NON STAI GIOCANDO CON IL MIO POVERO CUORE!”. I vetri non si distrussero, ma i timpani di Amanda non furono così fortunati.

“Nessuno scherzo!” esclamò quando riuscì a riprendesi, sorridendo apertamente. “Io e Alessandro. Baciati. Sotto la pioggia. E’ stato…”

“Caliente? Meraviglioso? Passionale?”

“Romantico. E dolce”.

Giulia sbuffò. “Riesci a rendere noiose perfino le cose illegali,” disse, per poi fermarsi a riflettere: “Che poi, è ancora illegale? Voglio dire, tu ora hai diciotto anni. Non sono sicura che per un professore sia illegale andare con una studentessa maggiorenne”.

Amanda alzò le spalle. “Onestamente, non lo so nemmeno io. Ma non è poi così importante. Due settimane e lui non lavorerà più qui”.

“Ma guardati,” disse Giulia, un sorriso a trentadue denti sul volto. “Guarda come ti illumini a parlarne. Awww, sei adorabile. Quasi da diabete. Mi viene voglia di commissionare a qualcuno una fanfiction su voi due”.

Amanda tentò di tornare seria, ma cominciava davvero a credere di avere una paralisi facciale.

“Sono felice”.

“Si vede”.

“Credo davvero che potrebbe funzionare. Magari non per molto, ma… non lo so, non capisco perché non me ne sono convinta prima”.

Giulia sollevò un dito in aria con fare irremovibile. “Invece hai fatto proprio bene ad aspettare. Doveva soffrire un po’, dopo quello che aveva combinato. E’ fortunato che tu abbia deciso di perdonarlo, perché altrimenti avrebbe dovuto vedersela con me - oltre che perdersi il tuo bel sederino”.

“Giulia!” esclamò Amanda, arrossendo fino alla radice dei capelli.

“Che c’è?!”

“No! No, no, no. Non dire mai più niente del genere”.

“Sederino? E’ il termine che uso con mia nipote”.

“Appunto. Non… torniamo in classe e basta, ok? Ah.” disse Amanda, andando verso la porta.

Giulia sollevò le braccia, per poi lasciarle ricadere con forza. “Eh, ma come ti smonti in fretta”.

“Sei imbarazzante”.

“Io? Cosa preferivi? Culo, didietro? Carrozzeria? Se vuoi cambio lingua eh. Ass, booty, Arsch…”.

Amanda cominciò ad uscire, limitandosi a scuotere la testa con rassegnazione. Fu solo con la coda dell’occhio che notò un movimento vicino alla porta. Restò con lo sguardo fisso su quel punto per qualche istante, finché Giulia non la riportò alla realtà passandole una mano davanti agli occhi. “Sei ancora lì?”.

“Uh? Oh, sì, scusa. Credo solo di aver appena visto qualcuno uscire dal bagno”.

Giulia scosse le spalle. “Poco male. Non abbiamo mica detto niente di compromettente”.

“Ehm, direi che questo è opinabile,” disse Amanda, ma poi si limitò a seguire l’amica fuori dal bagno, dimenticando presto la faccenda.

Il sollievo, purtroppo, non durò a lungo. Per essere precisi, durò fino alle 11, quando, quasi simultaneamente con il suono della campanella, Michela si affacciò in palestra. “Prof, potrei rubarle Amanda per qualche minuto? La vogliono in segreteria”

Amanda fissò l’amica con espressione perplessa, sapendo bene che difficilmente la segreteria avrebbe mandato un’allieva a chiamarne un’altra, ma il professore non sembrò farsi lo stesso problema. Con un veloce gesto della mano le fece segno di andare, tornando poi a concentrarsi sullo schermo del suo cellulare.

Giulia, d’altro canto, sembrò rendersi conto anch’essa che c’era qualcosa che non quadrava, forse anche grazie all’espressione agitata di Michela. Senza curarsi troppo di avvertire il professore, seguì le due ragazze fuori dalla palestra, capendo di aver fatto la scelta giusta quando le vide svoltare verso l’uscita dell’edificio. Amanda le lanciò un’occhiata piena di confusione, e lei non poté fare a meno di rispondere allo stesso modo.

Una volta fuori dalle porte, Michela finalmente si fermò, voltandosi senza esitare verso Amanda  - e ignorando apertamente Giulia.

“Sei completamente impazzita?!” domandò finalmente Michela, mostrando a pieno la sua incredulità. “Non posso credere che tu sia potuta finire in una situazione simile! E ovviamente lei ti ha appoggiato!” disse, indicando Giulia con un gesto.

Amanda ebbe la terrificante sensazione di sapere esattamente di cosa stava parlando.

“Non sono sicura di sapere cosa intendi,” si limitò a dire, sperando vivamente di sbagliarsi. Purtroppo non era così.

“Uscire con un professore! Cosa ti è passato per la testa, me lo dici?” il tono di Michela era decisamente sconvolto, e si poteva chiaramente percepire la preoccupazione che portava con sé.

Giulia si guardò automaticamente intorno, assicurandosi che non ci fosse nessuno nei paraggi, e Amanda prese una profonda boccata d’aria prima di parlare: “Eri tu la persona in bagno”.

Michela sbuffò. “E menomale che ero io. Ti immagini cosa sarebbe potuto succedere se ti avesse sentito qualcun’altro? La storia di Mirco non ti ricorda niente?”.

“Non ci aspettavamo di certo che qualcuno ci stesse origliando,” disse Giulia con fare infastidito.

“Come se avessi potuto fare altrimenti. Non siete certo state il fiore della discrezione”.

“Sicuro. Perché vuoi farmi credere che non ti sei appostata lì con il solo intento di impicciarti degli affari nostri? Sure”.

Michela arrossì. “Beh, forse non avrei bisogno se Amanda la smettesse di tagliarmi fuori da tutto! Da quando sei arrivata tu non riesco nemmeno più a parlarle! Dovresti cercarti una migliore amica tua, e lasciar stare la mia”.

“Cos’è? Un telefonino? Non hai di certo l’esclusiva!”.

Le due ragazze si erano avvicinate sempre di più tra di loro, e Amanda fu costretta a mettersi in mezzo tra le due, alzando le braccia. “Smettetela immediatamente!” sbottò, allontanandole con una leggera spinta. “Sono stanca di vedervi sempre litigare, e di finirci in mezzo. L’ho detto e ribadito più volte che sono amica di entrambe, accettatelo e fatela finita”.

Michela la guardò con aria ferita. “Sei amica di entrambe, eppure escludi solo me. E con che risultati! Davvero credi che una persona che tiene a te ti avrebbe lasciato essere usata da un professore? Perché spero tu sappia che è questo che sta facendo, e anche se non lo è, un professore che va dietro alle sue studentesse non è una brava persona, per quanto possa fingere di esserlo”.

Amanda scosse la testa, passandosi le mani sulla fronte. “Non è così, Micky. La storia è molto più complicata”.

“Allora perché non me ne hai parlato prima?!”

“Perché sapevo mi avresti giudicata senza stare ad ascoltarmi!” esclamò Amanda, che stava cominciando ad innervosirsi. “Perché sei sempre pronta a sentenziare, senza preoccuparti di capire le ragioni degli altri!”.

“Cavolo, ne sei davvero convinta.” mormorò Michela, e il tono sconfitto fece pentire immediatamente Amanda di aver usato parole così dure. “Io non ti sto giudicando, né lo farei mai.  Sono preoccupata per te, possibile che non lo capisci? E’ da mesi ormai che sei completamente distante, che non ti confidi più. E non accetto che tu mi accusi di non provare a capire le ragioni degli altri, perché se fosse così non sarei stata zitta per anni ogni volta che ti vedevo arrivare con un nuovo livido, aspettando che fossi tu a parlarmene”.

Amanda sentì Giulia trattenere il fiato alle sue spalle, e lei stessa spalancò gli occhi, sorpresa.

“Lo sapevi?”

“Di tua madre? Pensi davvero che avrei potuto non accorgermene, in tutti questi anni? Ma che avrei dovuto fare? Ogni volta che provavo a tirare fuori il discorso inventavi scuse, ci giravi attorno. E io ho sempre rispettato la tua scelta, ho sempre rispettato ogni tua decisione, perché ti voglio bene, e perché ho sempre creduto nella tua capacità di giudizio”.

“E allora credici anche questa volta. E’ la prima volta che sono davvero, davvero certa su qualcosa”.

Michela scosse la testa. “Non sono così sicura di crederci più. Vuoi sempre vedere il meglio in chiunque, Amanda, ma davvero pensi che se il professor Navarra l’ha fatto con te non potrà farlo anche con la prossima studentessa di turno? Come puoi fidarti di un uomo del genere?”

“Non è successo così, non come pensi tu” disse Amanda, faticando a trovare le parole per spiegare quello che davvero era successo tra di loro, qualcosa che a malapena riusciva a comprendere lei stessa. “Nessuno dei due voleva questo. Ma ormai mi sono innamorata, e non intendo tornare indietro”.

“Innamorata?” domandò Michela, “Oh Amanda, in che casino ti sei andata ad infilare”.

“Nessuno. Non se questa storia rimane un segreto”.

“Mi stai chiedendo di non dirlo a nessuno”.

Amanda si limitò ad annuire, e l’amica abbassò lo sguardo. “Non starò di nuovo a guardarti restare ferita fingendo che tutto vada bene”.

Giulia a quelle parole fece per parlare, ma Amanda la bloccò con un gesto. “Se lo dirai a qualcuno, Alessandro perderà il suo lavoro, oltre a rischiare molto altro. Non potrei mai perdonartelo”.

“D’accordo allora, non lo dirò a nessuno,” disse Michela, superando velocemente Amanda e Giulia, e afferrando la maniglia della porta d’ingresso, “ma quello che ho detto non cambia: non resterò a guardare. Non di nuovo”. La aprì, voltandosi poi verso Giulia. “Spero che tu sia felice: ora è tutta per te.”

E detto questo tornò dentro l’edificio, chiudendosi la porta alle spalle.


Amanda aprì la porta dell’appartamento il più silenziosamente possibile, richiudendosela alle spalle e lasciando cadere la cartella a terra. Se la giornata era cominciata male, stava continuando sempre peggio.

Voleva andare a controllare se Alessandro fosse già sveglio, ma allo stesso tempo temeva lo fosse. Non era sicura di avere la forza di confrontarlo, non quando le parole di Michela ancora le risuonavano chiare in testa. Ovviamente, sapeva bene che l’amica si sbagliava: non avrebbe mai dubitato delle intenzioni di Alessandro, non dopo tutto quello che era successo. Era anzi ancora parecchio infuriata con lei, che aveva preferito saltare alle sue conclusioni senza aspettare una spiegazione. Ed era incredula, incredula al pensiero che Michela sapeva da chissà quanto tempo dei suoi problemi con la madre. Non riuscì ad evitare di sentirsi arrabbiata per il fatto che l’amica avesse preferito far finta di nulla, ma allo stesso tempo ne era sollevata. Dopotutto, non parlandogliene non le aveva dato molta scelta. E lei non le aveva mai parlato di tantissime cose, perché era stata troppo occupata a cercare di non sembrare una vittima, di dimostrare di essere capace di risolvere tutto da sola.

E per colpa di quella sua testardaggine ora Michela aveva perso completamente fiducia in lei.

Cosa avrebbe dovuto fare se avesse deciso di non mantenere la parola? Se lo fosse andata a raccontarlo anche a una persona sola?

E invece preferiva davvero l’idea di aver perso la sua amicizia?

Michela non aveva di certo un carattere facile, ma se c’era qualcuno che si era comportata da terribile amica, quella era stata Amanda.

Un colpo di tosse le fece sollevare lo sguardo. Alessandro, uno spazzolino infilato tra i denti, era fermo sullo stipite della porta che la osservava con preoccupazione. Fu solo allora che si rese conto che, persa nei suoi pensieri, si era lentamente lasciata scivolare lungo il muro, le gambe strette al petto.

“On ihmi e eh ao ontahata!” sbiascicò, portando il mento in avanti nel tentativo di non far uscire dentifricio. Scosse poi la testa, alzando un dito e allontanandosi di fretta. Amanda lo sentì aprire il rubinetto in bagno, e pochi secondi dopo tornò con un asciugamano tra le mani e uno spazzolino in meno tra le labbra.

“Non dirmi che ti ho contagiata!” ritentò, asciugandosi il volto. “Vuoi distenderti?”.

Amanda scosse la testa, tentando di sorridere. “No, sto benissimo. Tu invece non avresti dovuto alzarti dal letto, anche se ti senti meglio”.

“Volevo preparare qualcosa a Roberta, ma non mi ero accorto fosse così tardi” lanciò un’occhiata all’orologio. “Dovrebbe già essere qui da un pezzo”.

“E’ andata a casa di un’amica, resta lì anche a dormire. Vista la facilità con cui si prende la febbre, ho pensato fosse meglio allontanarla dal paziente alfa”.

Alessandro ridacchiò. “Pensi sempre a tutto eh?”.

“Purtroppo no” rispose lei. Cercò di far suonare la frase come una battuta, ma fallì miseramente. Di nuovo, Alessandro si fermò ad osservarla.

“E’ successo qualcosa?”

Amanda fu tentata di rispondere negativamente, ma, dopotutto, era proprio stata quella sua mania una delle cause principali del suo ultimo, freschissimo problema. “Michela ha scoperto di… uhm, noi due. Non l’ha presa proprio bene”.

L’espressione di Alessandro si fece immediatamente più seria. “Pensi intenda dirlo a qualcuno?”.

“No. O almeno, così ha detto”. Il sollievo negli occhi dell’uomo fu evidente, ma anche il senso di colpa che lo seguì.

“Però?”

“Però ha resto piuttosto chiaro che non intende più avere niente a che fare con me,” mormorò Amanda, chiudendo gli occhi. “Crede che tu mi stia prendendo in giro, e non vuole restare a guardare”.

“E’ comprensibile”.

Amanda spalancò gli occhi, guardando Alessandro con fare incredulo.

“Andiamo, Amanda, non è forse la prima cosa che penserebbe chiunque? Lo penserei anche io, se non fossi direttamente coinvolto. C’è un motivo se le relazioni tra insegnante e studente sono vietate. C’è una disparità di potere che rischia di rendere qualunque rapporto impari e potenzialmente pericoloso, oltre alla inevitabile differenza di età”.

“Mi stai dicendo che ha ragione lei?”.

Alessandro scosse la testa, accucciandosi a terra e posando una mano sulla guancia di Amanda, accarezzandole dolcemente il volto. “Sto solo dicendo che capisco la sua preoccupazione, e ancora di più il suo scettiscismo. Lei non ha vissuto la storia con noi. Non può sapere che io non mi sono innamorato della mia allieva, ma di Amanda. Ed è questo che cambia tutto”.

“Quindi cosa dovrei fare? Lasciarla andare?” sussurrò Amanda, socchiudendo gli occhi.

“Dalle un po’ di tempo, poi raccontale semplicemente la verità”.

“La verità?”.

“Dille che ti amo,” disse lui, sfiorando le labbra di lei con le sue. “Dille che sono l’uomo più fortunato del mondo ad averti trovata, e ad aver avuto la fortuna di essere ricambiato. Dille che ti ho ferito, una volta, e che strapparmi il cuore avrebbe fatto meno male”.

Amanda, malgrado gli occhi lucidi di commozione, scoppiò a ridere. “Scusami,” disse tra una risata e l’altra, tirando nel frattempo su con il naso, “è che certe volte sei così… intenso!”.

Fortunatamente l’uomo non sembrò prendersela, aprendosi a sua volta in un sorriso. “Sono pur sempre laureato in filosofia. Essere intenso è il mio lavoro,” disse, sistemando una ciocca di capelli dietro l’orecchio di Amanda e alzandosi. “Ora però credo che raggiungerò Flash a letto. Mi è stato promesso un brodo caldo, dopotutto”.

“Alessandro?” lo richiamò la ragazza.

Lui si voltò, e ad Amanda in quel momento sembrò più bello che mai, ma anche più reale. Finalmente lo vedeva veramente, senza alcun tipo di fantasia a fare da filtro, senza alcuna emozione contrastante. Finalmente vedeva Alessandro. E lo desiderava come non lo aveva mai desiderato prima d’ora.

“Sì?”

“Ti amo anche io”.


Proprio come previsto, con il passare delle ore la temperatura di Alessandro si alzò di nuovo, fino a raggiungere il suo picco alle sette di sera, sfiorando i quaranta gradi.

L’uomo si rivelò essere un pessimo paziente, rifiutando di prendere qualunque medicina e di ammettere di avere freddo, tremando talmente forte da far scappare Flash dal letto. Finalmente, dopo essere stato sommerso da coperte su coperte e aver declinato un’ultima volta l’antibiotico, riuscì ad addormentarsi, solo la punta del naso visibile da sotto il mucchio di lana.

Amanda, a sua volta esausta, si sdraiò accanto a lui, ascoltandone il respiro. Chiudendo gli occhi poteva quasi perdercisi, abbandonando il filo di pensieri e sentendo ogni singolo muscolo distendersi e rilassarsi. Cercò di sincronizzare il proprio respiro a quello di Alessandro, e da lì ci vollero pochi minuti perché anche lei scivolasse nel  mondo dei sogni.

Quando si risvegliò il sole era già calato da un pezzo, come dimostrava la completa oscurità che regnava nella camera. Si voltò assonnatamente verso Alessandro, sollevandosi a sedere quando trovò il letto vuoto.

“Proprio non lo capisce che deve rimanere a letto” borbottò tra sé e sé, dando una sistemata alle coperte tutte arrotolate prima di alzarsi e cercare a tentoni la porta. Una volta aperta le ci volle qualche secondo per abituarsi alla forte luce emessa dalla lampada del corridoio, e il fatto che fosse ancora stordita per il sonno non la aiutò di certo.

“Buon giorno” mormorò, una volta in salone alla figura accanto al bancone della cucina che riusciva a malapena a distinguere attraverso gli occhi socchiusi. Se li strofinò con forza, cercando di aprirli del tutto.

“Sono le due del mattino, ma buon giorno anche a te,” rispose Alessandro, alzando un bicchiere d’acqua nella sua direzione, quasi stesse brindando. Amanda nemmeno lo vide, concentrando tutta la sua attenzione su ben altro.

“Sei, uhm” si schiarì la voce. “Perché sei a petto nudo?”. Questo è un attentato bello e buono.

Alessandro fece una smorfia, bevendo un sorso d’acqua. “Stavo morendo di caldo. Non guardarmi così, lo so che dovrei stare sotto le coperte, ma rischiavo veramente di evaporare”.

“Almeno mettiti una maglietta!” O no. Uh? Credo di avere una carenza di ossigeno. “Probabilmente hai caldo perché stai sfebbrando, ma se ti scopri adesso siamo punto a capo”.

L’uomo alzò le braccia in segno  di resa, non facendo altro che evidenziare i muscoli del petto e delle braccia. Amanda dovette fisicamente sforzarsi per  tenere le mani al loro posto.

Quando finalmente si fu allontanato a prendere la maglietta, Amanda si lasciò cadere sul divano, piegando la testa all’indietro nel tentativo di schiarirsi la mente. Mai come in quel momento si era sentita un’adolescente in preda agli ormoni, o una maniaca sessuale, a dipendere dalle interpretazioni.

“Vuoi una tazza di latte?” le chiese la voce di Alessandro alle spalle, facendola sobbalzare. Si voltò verso di lui, osservando la camicia a bottoni che aveva indossato.

“Hai sbagliato bottoni,” ridacchiò, indicando come i due lati della suddetta non combaciassero. “Hai saltato il primo. Aspetta…”. Afferrò l’uomo per la manica, tirandolo verso di sé, e lo fece sedere accanto a lei sul divano. Si sentiva la mente annebbiata, e fu forse solo questo che le diede il coraggio di afferrare il secondo bottone della camicia e farlo scivolare fuori dal suo occhiello, continuando così fino a che la camicia non fu completamente sbottonata.

A quel punto si fermò, alzando lo sguardo verso il volto di lui. Alessandro la stava guardando con la stessa intensità, una familiare emozione che bruciava viva nei suoi occhi, facendola sentire in fiamme.

La consapevolezza che lui la desiderava quanto lei desiderava lui eliminò le ultime difese che le erano rimaste, e prima che potesse rendersene conto gli aveva stretto le braccia al collo, baciandolo con tutta la passione che sentiva animarla. La risposta di Alessandro non si fece attendere: in pochi istanti l’uomo la afferrò in vita, sollevandola e avvicinandola al proprio corpo, lasciando poi scorrere le mani lungo la schiena e i fianchi.

Quando una di esse raggiunse il bordo della sua maglietta, sollevandola, Amanda staccò le sue labbra da quelle di Alessandro, allacciando lo sguardo al suo. Mentre le dita di lui sfioravano ogni centimetro della sua pelle nuda, Amanda poté leggergli negli occhi ogni singola emozione, ogni insicurezza, e ogni goccia di desiderio. Lentamente e con esitazione, anche lei tese le mani verso il petto dell’uomo, prima sfiorandolo con la punta delle dita, percorrendo la linea che va dal collo all’ombelico e fermandosi poco prima dell’elastico del pantaloni; poi vi distese entrambi i palmi, salendo lungo la pancia e fino alle spalle, tastando ogni muscolo come aveva desiderato fare per decisamente troppo tempo.

Sollevò le braccia mentre lui le sfilava la maglia, poi chiuse gli occhi quando sentì scattare l’apertura del reggiseno. L’istinto di coprirsi il petto nudo fu più forte di lei, arrossendo per l’imbarazzo.

“Sei bellissima,” sussurrò lui, sfiorandole la spalla con il dorso della mano e lasciandola scivolare fino al polso. Amanda abbassò lo sguardo, e lui si fermò. “Se non vuoi-”

“No, no. Certo che lo voglio” disse lei, sollevando nuovamente le sguardo. “Solo… se magari spegnessimo le luci mi sentirei più a mio agio”.

Alessandro curvò un poco la testa. “Sei imbarazzata”.

“Lo sai? In spagnolo questa frase avrebbe tutt’altro significato1”.

“Caspita. Sei molto imbarazzata. Se è per colpa mia…”

Amanda scosse la testa. “No. Beh, sì. E’ che non ho mai fatto niente del genere e... non sono ben sicura di quello che ti aspetti”.

“Mai?” domandò Alessandro, con sincera curiosità. “Ora sì che mi sento un vecchio maniaco,” disse, ma era evidente il suo tono scherzoso. “Per quanto riguarda quello che mi aspetto,” chinò il viso verso di lei baciandole dolcemente il mento, “abbiamo già,” la baciò sul collo, “superato” scese ancora, “le aspettative” concluse, lasciandole un leggero bacio sulla clavicola.

“Adulatore” disse Amanda, ma Alessandro era effettivamente riuscito a sciogliere la tensione che si era sentita addosso, per cui si lasciò baciare con trasporto sulle labbra, togliendo finalmente le braccia da davanti al petto e spostandole sulle spalle dell’uomo, immergendo le mani nei suoi capelli. Quest’ultimo qualche secondo dopo si alzò all’improvviso, voltandosi verso il divanetto al loro fianco e corruciando le sopracciglia.

“Qui c’è un po’ troppa compagnia” disse, adocchiando Flash che li osservava scodinzolando dalla sua postazione. “Sarà meglio spostarci” aggiunse poi, afferrando Amanda tra le braccia e incamminandosi verso la camera da letto.

La ragazza scoppiò a ridere, stringendosi al collo di Alessandro e dandogli un veloce bacio sulle labbra. Bastò quell’attimo di distrazione per farli finire contro lo stipite della porta.

“Auch!” esclamò Amanda, scoppiando poi di nuovo a ridere. “Questa giornata è un disastro”.

Alessandro sorrise. “Qualcosa mi dice che la conclusione rimedierà a tutto,” poi, con un leggero calcio, chiuse la porta.
 


1Embarazada in spagnolo vuol dire "Incinta". Amanda è pazza. 

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Capitolo 21
*** Meglio Tardi Che Mai ***


Breathe Into Me

Capitolo Ventunesimo:
Meglio Tardi Che Mai

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 Quando l’insistente risuonare della sveglia strappò Amanda dal mondo dei sogni, la tentazione di gettarla fuori dalla finestra fu forte. Tastò il comodino alla ricerca del telefono, ancora semi-addormentata, grugnendo infastidita quando non riuscì a trovarlo.

“Mi sa che è il mio” brontolò una voce accanto a lei, seguita poi dal fruscio di coperte. Finalmente l’allarme venne spento, e Amanda si voltò verso il centro del letto, tornando felicemente ad accoccolarsi tra le braccia di Alessandro.

“Devo andare a scuola”, mormorò dopo qualche secondo, sbadigliando.

Sentì Alessandro annuire. “Anche io”.

Nessuno dei due si mosse di un millimetro, se non le braccia dell’uomo, che la strinsero ancora più a sé.

“Dobbiamo alzarci”, riprovò lei.

“Mhm-mhm”.

“Arriveremo in ritardo”.

“Oppure potremmo restare a letto”.

Amanda socchiuse appena un occhio. “Chi sei, il mio personale diavoletto tentatore?”

“Ora che l’abbiamo appurato torniamo a dormire?”.

Amanda scosse la testa ma non replicò, troppo assonnata per riuscire ad opporglisi. Chiuse gli occhi quasi involontariamente, e in pochi secondi si riaddormentò. Si risvegliò qualche ora più tardi, sentendo la mano di Alessandro accarezzarle dolcemente il volto.

“Se mi bocciano sarà tutta colpa tua” fa la prima cosa che borbottò, aprendo lentamente gli occhi.

L’uomo ridacchiò. “Posso giustificarti io”.

“Sono convinta che saranno entusiasti di sapere che non sono andata per rimanere a letto con te”.

“Magari vorranno condividere”.

Amanda si sollevò di scatto, fissando Alessandro con occhi spalancati. Quest’ultimo aprì gli occhi a sua volta, appena in tempo per vedere un cuscino diretto verso la sua faccia.

“Che schifo!” esclamò Amanda, colpendolo ancora. “Che orrore, che orrore, che orrore!”

“Intendevo condividere me! Me!” disse lui, ridendo. “Giuro che non ho intenzione di condividerti con nessun professore!”.

“Anche se,” aggiunse non appena Amanda si fermò, “La professoressa Marini, con tutti i suoi sessanta-tre anni…”.

“Ahh! No! Nooo!” esclamò Amanda, ricominciando a sbattergli il cuscino addosso. “Perché mi metti queste immagini nella testa?! Hai preso lezioni da Giulia o che?!”.

Alessandro continuò a ridere incontrollatamente, cercando di sfuggire ai colpi di Amanda. Alla fine fu costretto ad alzarsi dal letto, e Amanda poté ammirarlo in tutto il suo splendore.

Guardandolo così, alla luce del sole, quasi non poteva credere di aver… beh, fatto quello che aveva fatto. Il ricordo era sfocato, confuso, ma le emozioni erano ancora tutte lì, vivide come se non fosse passato nemmeno un istante.

“Hai fame?” domandò Alessandro di punto in bianco, afferrando una maglietta del comò e infilandosela. “Pensavo di andare a comprare qualcosa”.

Amanda sbadigliò, stiracchiandosi. “Vengo con te, devo comprarmi un paio di cose pure io”. Fece per alzarsi, rendendosi poi conto di essere lei stessa completamente nuda. Fu tentata di afferrare il lenzuolo e coprirsi, ma si obbligò a non farlo. Dopotutto, Alessandro non aveva forse detto che la trovava bellissima?

Così sì alzò, sussultando appena quando l’aria fredda le sfiorò la pelle nuda, e si diresse con passo deciso verso il bagno.

Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che lo sguardo di Alessandro la seguì fino alla porta.

 

“Oh, i Cheerios sono in offerta!” esclamò Amanda con entusiasmo, afferrando la preziosa scatola e lanciandola nel carrello. “Roberta me li chiede da settimane”.

Alessandro posò le bottiglie che aveva in mano, fermandosi ad osservare i vari cereali esposti: “Io mi sa che punterò su quelli rossi. Ehm, no” disse quando Amanda fece per prenderli, “quelli sotto”.

“Questi?”

L’uomo annuì, osservando la confezione più da vicino. “Non sono rossi?”.

“Arancioni, ma ci sei andato vicino”.

“Amanda?”, chiamò una voce alle loro spalle, facendola voltare. Aveva la riconobbe immediatamente, ma finché non posò lo sguardo sull'uomo credette di essersela immaginata. E anche dopo averlo fatto, faticò a credere ai propri occhi.

“Papà?!” domandò incredula, lanciando una veloce occhiata ad Alessandro. “Che ci fai qui?”.

Lui si avvicinò, facendo il gesto di abbracciarla, ma Amanda fece un passo indietro. “Dovresti essere a Vancouver”.

Lo sguardo di Luigi ne tradì il dolore, ma l’uomo non commentò il gesto della figlia. Sotto quell’aspetto erano sempre stati simili.

“Sono tornato la settimana scorsa. Ho avuto la possibilità di riflettere e… Sofia, ti prego, ti chiedo scusa. Non sarei mai dovuto partire”.

“Sei qui da una settimana?”.

Luigi annuì. “Sono venuto a cercarti a casa, ma tua madre non ha voluto dirmi dove fossi”.

“Ti avevo detto che non potevo tornarci” disse Amanda, stringendo i denti nel tentativo di mantenere la calma. “E sai bene perché”.

“Sì, lo so”, mormorò l’uomo, abbassando lo sguardo. “E mi dispiace anche per quello”.

“Sei tornato solo per scusarti?”.

Luigi scosse la testa, osservando poi la figlia con maggiore interesse. “Volevo assicurarmi che stessi bene, che Roberta si fosse ripresa. Lei come sta?”.

Amanda dovette sforzarsi per non voltarsi e andarsene. “Sta bene”.

“Sa di… di me?”.

“Intendi se sa che non sei il suo padre biologico, o se sa che hai deciso di non essere suo padre in ogni senso?”.

“Non ha mai smesso di essere mia figlia, e questo lo sai bene”.

Amanda arcuò le sopracciglia. “Lo so? Perché l’ultima volta mi pare avessi detto una cosa ben diversa”.

Il padre sembrò essere preso alla sprovvista, quasi non ricordasse le sue stesse parole. Amanda scosse la testa, incredula.

“Sa che non sei il suo vero padre, e sa che le manchi”.

“Come l’ha presa?”.

La ragazza scosse le spalle. “Non le importa. Per lei tu sei suo padre, e non ha senso dire il contrario”. Vedendo che l’uomo si era fatto silenzioso, prese e afferrò il carrello. “E ora che ti sei assicurato che stiamo bene, direi che puoi tornare in Canada con la coscienza pulita”.

“Non ho intenzione di tornare in Canada. E anche se volessi, non potrei. Ho rinunciato al lavoro”, disse lui, sorridendo malinconico. “Ho intenzione di diventare più presente, da adesso in poi. So che sono stato spesso assente, ma-”

“Assente? Sei letteralmente scappato!” Amanda era incredula. Dal modo in cui si stava comportando, sembrava quasi si stesse scusando per essere arrivato tardi a cena.

“Io... “ si interruppe, scuotendo la testa. “Mi dispiace averti lasciato da sola. Non ho idea di come tu sia riuscita a badare sia a te stessa che a Roberta, con la scuola e tutto”.

Amanda fece una smorfia “Ho avuto chi mi ha aiutato” disse, ricordandosi finalmente della presenza di Alessandro, e guardandolo dritto negli occhi. L’uomo ricambiò il suo sguardo, sorridendole incoraggiante.

Luigi notò lo scambio, voltandosi a sua volta verso Alessandro.

“Immagino di doverti ringraziare, allora” disse, tendendo la mano. Alessandro fece per afferrarla, ma improvvisamente lo sguardo di Luigi si fece confuso.

“Per caso noi ci conosciamo?” domandò, strizzando gli occhi nel tentativo di riconoscerlo.

Amanda capì immediatamente il suo errore.

“Sono sicuro di averti già visto, magari all’istituto di mia figlia? Sembri un po’ grandicello per andare ancora al liceo”.

Alessandro scosse nervosamente il capo, cercando inutilmente di fingere indifferenza. “Non credo proprio di averla mai incontrata, mi dispiace. Forse mi sta confondendo con qualcun altro?”.

“Ma certo, non ti ho forse incontrato il giorno dei colloqui? Insegni filosofia, dico bene?”. Il voltò di Luigi si oscurò. “Cosa ci fai qui con mia figlia?

“Ci siamo incontrati qui per caso”, disse Amanda, scuotendo le spalle. “Niente di più”.

Luigi tornò a concentrarsi su di lei, lo sguardo severo che non indossava più da molti anni. “Non prendermi per un idiota, Sofia. Voglio sapere cosa sta succedendo, e spero non sia quello che penso”.

Amanda arcuò le sopracciglia, incrociando le braccia al petto. “Quello che sta succedendo non ti riguarda”.

“Me ne sono andato credendoti una ragazza responsabile. Invece…” lasciò scivolare via la frase, spostando lo sguardo su Alessandro. “Amanda torna a casa con me”.

“Puoi scordartelo!” esclamò la ragazza, osservandolo incredula. “Come ti permetti di-”

Luigi le afferrò l’avambraccio, tirandola a sé: “Ho intenzione di essere un padre migliore, Amanda. E ho intenzione di iniziare subito”.

Alessandro fece un passo verso di loro, lo sguardo puntato sulla mano di Luigi ancora stretta attorno al braccio della figlia. Amanda tuttavia lo fermò con un gesto della testa, poi si allontanò dal padre con uno strattone deciso.

“Hai smesso di essere mio padre nel momento in cui te ne sei andato. Ho diciotto anni, e non devo più avere niente a che fare né con mamma, né con te”.

“Alessandro” continuò, “mi ha aiutato quando non sapevo a chi rivolgermi, quando avresti dovuto esserci TU ad occuparti di me. Quindi ora non osare, non osare pretendere di avere un qualunque ruolo nella mia vita. Tu per me non sei nessuno, e così vale la tua opinione ”.

Luigi abbassò lo sguardo, poi dopo qualche secondo cominciò a frugare nella tasca della giacca. “Lascia almeno che ti dia queste”, disse, porgendole un piccolo mazzo di chiavi. “Ho pensato che avrebbero potuto servirti. Sono di un appartamento in centro, ho concluso l’acquisto in tuo nome un paio di giorni fa. E’ un ottimo posto, una delle nuove costruzioni, già arredato. Ti manderò per e-mail tutte le informazioni e i documenti. Ho anche depositato una piccola somma sul tuo conto, per qualunque eventualità”.

Amanda osservò le chiavi tra le sue mani, sentendo un misto di emozioni. Si sentiva grata al padre per il suo gesto, ma allo stesso tempo lo odiava ancora di più per aver impiegato così tanto a ricordarsi di avere una figlia. Decise di non dire nulla, limitandosi ad infilare le chiavi nella tasca dei jeans e annuendo appena, evitando lo sguardo dell’uomo.

“Tutto ciò che mi interessa è che tu sia al sicuro” mormorò, voltandosi quando non ricevette risposta e fissando un’ultima volta Alessandro prima di allontanarsi, dirigendosi con le spalle curve verso l’uscita.

Quando finalmente le porte automatiche si chiusero dietro di lui, Amanda si voltò verso Alessandro, ritrovando in lui lo stesso sguardo incerto che era sicura aleggiasse nei suoi occhi.

 

 

Quando l’ultima campanella scolastica dell’anno risuonò per le classi ed i corridoi, qualcuno con un ottimo udito avrebbe facilmente potuto riconoscere il suono di un centinaio di adolescenti (e non solo) rilasciare un profondo sospiro di sollievo. Amanda non aspettò più di un istante prima di sollevarsi dalla sedia, salutando Paolo con un veloce abbraccio e raggiungendo Giulia, impegnata a digitare sul telefono.

“Hai intenzione di restare qui fino a settembre?”

Giulia ripose con candida innocenza il cellulare in una tasca, per poi alzare lo sguardo verso l’amica. “Sarebbe di sicuro un bel risparmio di tempo, ma credo che per quest’anno passo”.

Si incamminarono insieme verso il corridoio, aspettando che l’enorme fila verso il portone si dissipasse. Giulia continuava a tirare fuori il cellulare, controllando lo schermo e sbuffando.

“Hai fretta?”, domandò Amanda piuttosto divertita. L’amica scosse la testa, lisciandosi la maglietta.

“Chi, io? No, sto solo aspettando un messaggio. Da Lorenzo”, precisò notando l’espressione curiosa dell’altra. “Nulla di importante”.

Amanda lasciò correre, capendo che Giulia non aveva voglia di parlare di qualunque cosa stesse succedendo. Si concentrò invece sulle macchine parcheggiate davanti alla scuola, cercando di scorgere una familiare Jeep gialla. Quando finalmente la vide salutò velocemente Giulia, correndo verso Alessandro. Si controllò freneticamente attorno prima di entrare nella vettura, terrorizzata che qualcuno riconoscesse l’autista. Sapeva che teoricamente da quel momento in poi non stavano facendo niente di male - la scuola era finita e con essa anche il ruolo di professore di Alessandro - eppure voleva evitare qualunque possibile problema.

“Ehilà”, la salutò lui, sorridendole. Amanda sorrise a sua volta, sentendosi immediatamente a casa. Un braccio le si strinse attorno al collo, seguito da una piccola testa bionda. “Andiamo a vedere la casa nuova!”, esclamò felice Roberta, rischiando di strozzare la sorella. “Posso scegliere la mia camera, vero?”.

Amanda ridacchiò, voltandosi verso di lei mentre Alessandro metteva in moto. “Non sappiamo ancora quante stanze ci sono, però. Forse dovremo condividerla”.

L’entusiasmo di Roberta non scemò minimamente. “Allora sarà ancora più bella”, decise, tornando ad accarezzare Flash sistemato accanto a lei.

Arrivarono all’appartamento dopo pochi minuti. Il quartiere era molto simile a quello della casa dei loro genitori - d’altronde non erano nemmeno particolarmente lontani, ma qui i palazzi erano chiaramente nuovi, con la vernice ancora perfetta e i vari cartelli delle compagnie di costruzione che annunciavano la vendita di appartamenti a prezzi tutt’altro che modesti.

Mentre salivano le scale, Amanda continuò a giocare con le chiavi di quella che, teoricamente, ora era casa sua. Si era detta che aveva aspettato così tanto per andare a vederla per via della scuola, ma la verità era che ancora non era completamente sicura di voler accettare qualcosa da suo padre. Era come se in quel modo stesse invalidando tutto quello che gli aveva detto; tuttavia non aveva intenzione di continuare a gravare così sulle spalle di Alessandro, soprattutto ora che avevano ufficialmente iniziato una relazione, perciò non aveva avuto molta scelta.

“Pronta?” chiese Alessandro quando si fermarono davanti alla porta. Amanda guardò l’espressione entusiasta di Roberta, poi infilò la chiave. Il suono della serratura che scattava sembrò accendere un interruttore nella testa di Amanda, che si rese per la prima volta davvero conto che quell’appartamento era suo. Suo. Aprire quella porta voleva dire diventare ufficialmente un’adulta, qualcuno che non solo avrebbe dovuto badare a se stesso in maniera autonoma, ma anche ad una bambina di sette anni.

“Sì”, rispose, aprendo la porta, “sono pronta”.


L'appartamento si rivelò essere ben oltre le aspettative di Amanda, ma d'altronde a Luigi era sempre piaciuto strafare. La porta di ingresso apriva direttamente sul salone, completamente arredato con moderni mobili bianchi. La cucina era alla loro sinistra, mentre a destra stava un corridoio con tre stanze e un bagno. Roberta, entusiasta, scelse immediatamente la propria, affacciandosi all'enorme finestra accanto al letto.

“Si vede il parco!” esclamò. Indicandolo agli altri due. “E lì sta la casa di mamma e papà”.

Amanda annuì, sforzandosi di non storcere il naso: non era la più grande fan di quella vicinanza.

“E lì c'è la mia”, aggiunse Alessandro, indicando la palazzina appena oltre il parco e sorridendo ad Amanda. “Credo che possiamo definirci praticamente vicini di casa”.

“Uhm, vorrà dire che saprò da chi andare quando ci finisce lo zucchero” disse lei, facendo ridere gli altri due.

La seconda stanza si presentava come uno studio, anche se il divano-letto sistemato sul fondo suggeriva un possibile secondo utilizzo. Amanda immaginò fosse un modo non troppo subdolo con cui il padre si era creato uno spazio dove dormire dopo qualche eventuale visita.

Dopo aver controllato il bagno, piccolo ma ben arredato, fu il turno della camera da letto padronale. Amanda aprì la porta con sospetto, quasi temesse che Luigi, tentando di mandare un altro messaggio, vi avesse messo un letto singolo. Si trovò tuttavia davanti ad uno spettacolo piuttosto piacevole: la camera era grande, con un semplice letto matrimoniale al centro, due armadi, una libreria vuota e perfino un piccolo televisore sistemato sopra al comò.

“Tuo padre è un fanatico del minimalismo, vedo” disse Alessandro, osservando la camera con sguardo perplesso. “E del bianco”.

Amanda annuì, sorridendo. “Vorrà dire che gli daremo noi gli ultimi ritocchi”.

Roberta a quelle parole quasi saltò dalla gioia.

 

 

“Ehm, Alessandro?”, disse Amanda, richiamando l'attenzione dell'uomo alla guida, “questa non è la strada di casa”.

Alessandro non rispose, sorridendo enigmatico. Avevano lasciato l'appartamento di Amanda qualche minuto prima, dopo aver fatto della spesa e aver rifornito il frigorifero, e in teoria a quel punto sarebbero dovuti andare a casa di Alessandro a recuperare le valigie. Chiaramente l'uomo aveva altro in mente.

Gli si avvicinò, sussurrandogli piano nell'orecchio così da non farsi sentire da Roberta: “Non stai per portarci in un campo abbandonato per assassinarci, vero?”.

L'uomo ridacchiò. “Come facevi a saperlo?”, chiese, e proprio in quel momento svoltò in una stradina di campagna.

Amanda lo adocchiò confusa, tuttavia decise di fidarsi. Questo non le impedì di continuare ad osservare i dintorni con sospetto.

Si fermarono pochi minuti dopo, parcheggiando davanti ad un piccolo canale circondato da una piccola distesa di verde. Non appena scesero dalla macchina, Roberta corse verso un gruppo di gente seduta attorno ad una tovaglia da picnic, sistemata strategicamente sotto l'ombra di un albero. Amanda fece per richiamarla, ma improvvisamente riconobbe una delle persone lì sedute. Poi le riconobbe tutte.

“Cosa?...” domandò, incredula, voltandosi verso Alessandro. “L'hai organizzato tu?”.

Lui scosse la testa, indicando Giulia, che ora stava venendo in contro ad Amanda; questa le si piazzò davanti, sorridendo a trentadue denti: “Benvenuta alla nostra piccola festicciola”.

Amanda scosse la testa, incredula. Attorno alla tovaglia sedevano Paolo, Stefano, Lorenzo – il ragazzo di Giulia- e perfino Michael; non furono loro tuttavia quelli su cui si concentrò Amanda. Insieme a loro, anche Michela sedeva a terra, e le sorrideva emozionata.

“Cosa si festeggia?” fu tutto ciò che riuscì a chiedere. Giulia sollevò le braccia al cielo con fare drammatico, poi spostò lo sguardo su tutti i presenti, Flash compreso, e se possibile il suo sorriso si allargò ancora di più.

“La felicità”, disse, “che tende ad essere sempre piuttosto ritardataria, ma alla fine arriva sempre. Un po' come la fine della scuola, insomma.”

Amanda ridacchiò, poi, prendendo la mano di Alessandro nella sua, andò anche a lei ad aggiungersi ai suoi amici, incapace di smettere di sorridere.

Quel pomeriggio sarebbe per sempre rimasto nella memoria di Amanda come uno dei più belli della sua vita. Michela non aspettò un secondo prima di lanciarlesi al collo, stringendola a sé e chiedendole scusa per quello che era successo; Amanda la fermò, scuotendo la testa. “Sono io a dovermi scusare: non avrei dovuto tagliarti fuori in quel modo. Sono stata un'idiota”.

“Forse un po'”, concordò l'amica, posando lo sguardo su Alessandro, “ma fortunatamente ci ha pensato qualcun altro a fornirmi i dettagli”. Amanda si voltò a sua volta verso l'uomo, guardandolo con un misto di incredulità e gratitudine, poi verso Giulia, sapendo bene che, probabilmente, anche quello era stato parte del suo piano.

Passarono il resto del tempo mangiando e chiacchierando, mentre Flash e Roberta correvano su e giù per il prato come se non avessero mai fatto nulla di più divertente; quando Michael tirò fuori un frisbee dalla sua macchina, anche gli altri si unirono a loro, finché sedute a terra non erano rimaste che Giulia ed Amanda.

“Hai notato”, domandò la prima, sdraiata a terra, “che di cinque ragazzi qui presenti, quattro sono stati almeno una tua cotta?”.

Amanda storse il naso. “Sì, la cosa non mi era sfuggita”.

“Per caso sei innamorata di Lorenzo?”.

“Che? Sei impazzita?”.

Giulia sbuffò. “Peccato, avrebbe chiuso il cerchio”. Amanda preferì non commentare.

Il sole era quasi tramontato quando decisero di andarsene, tutti estremamente sudaticci ma con un enorme sorriso stampato in faccia. Passarono una buona mezz'ora a cercare Stefano e Michael, che sembravano essere spariti nel nulla, finché Alessandro non tornò da dietro una siepe spingendo via l'amico con fare impaziente, immediatamente seguiti da Michael, rosso come un peperone.

Giulia guardò l'espressione vittoriosa di Stefano con la bocca spalancata, voltandosi verso Amanda. “E' appena successo quello che credo sia appena successo?”.

L'amica era altrettanto esterrefatta, e Stefano dovette notare la sua espressione, perché passandole accanto le diede dei colpetti sulla spalla, sussurrando: “Bisessuale”, per poi lasciarsi trascinare via da Alessandro.

Giulia li osservò allontanarsi verso la macchina, chinandosi leggermente verso Amanda. “Ti prego, dimmi che gli proporrai un threesome. Ti prego”.

Amanda fu quasi tentata di annuire.

 

 

 

Squillano le trombe. Ho aggiornato signori e signore. Incredibile, lo so. So anche di essere una brutta persona, non preoccupatevi. Ringrazio come al solito tutte le persone che mi sostengono e mi scrivono nonostante i tempi vergognosi con cui ho aggiornato questi ultimi capitoli. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e che vi piacerà anche il prossimo, che sarà l'epilogo.

Siete tutti meravigliosi <3

A presto!

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Capitolo 22
*** Epilogo ***


Breathe Into Me

Capitolo Ventiduesimo:
Epilogo

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 Amanda infilò un’ultima maglietta dentro la valigia, prima che Giulia ci si lanciasse sopra con uno grido di guerra, chiudendo a fatica la cerniera.
“Comincio a pensare che abbiamo esagerato con i vestiti”, disse poi, rialzandosi con quello che pareva un enorme sforzo.
Michela sbuffò. “Io continuo a dire che avremmo dovuto prendere una valigia più grande”.
“Sì, delle dimensioni di un cucciolo di balena”.
Le due ragazze si lanciarono sguardi malevoli.
Amanda sollevò il bagaglio, osservandolo pensierosa. Sarebbe partita per due settimane, eppure quello che aveva portato sarebbe bastato per almeno due mesi. Tutta colpa delle differenze di gusto delle sue amiche, che continuavano a suggerirle di portare capi completamente diversi.
“Beh, la macchina di Alessandro è grande”, provò, piegando la testa come se una diversa prospettiva potesse rimpicciolire la valigia.
“Inoltre”, disse Michela, “non sai ancora com’è la sua famiglia. Potrebbero essere estremamente fancy o terribilmente casual. In questa valigia hai tutte le opzioni possibili”.
“Sperando che non siano minimalisti. Nel caso lasceranno te e quella valigia fuori dalla porta, I’m telling you”, disse Giulia.
Amanda si sedette sul letto con fare sconsolato.
Stava aspettando ormai da oltre un mese questo giorno. Verso la metà di Luglio, Alessandro le aveva detto che sua madre e il suo compagno li avevano invitati alla loro casa al mare, e poiché la gelateria in cui stava lavorando Amanda quell’estate chiudeva per due settimane nel periodo di ferragosto, avevano scelto quel momento per partire.  Amanda aveva accettato di buon grado, soprattutto dopo aver passato tutto Giugno a studiare per recuperare il debito in storia – ed era riuscita a passare l’esame con il massimo dei voti, grazie ad un piccolo aiuto da un certo laureato in storia e filosofia -  senza dare troppo peso al fatto che avrebbe incontrato la madre di Alessandro. Ora però tutta l’ansia si stava facendo sentire.
“E se non le piacessi?”, chiese, coprendosi il volto con le mani. “Magari non le va giù la differenza d’età”.
“O il fatto che eri una sua studentessa”, aggiunse Michela.
“Grazie mille”, disse Amanda, mentre Giulia alzava gli occhi al cielo.
“Sei tipo il sogno di ogni genitore, Amanda. Smetti di farti tutte queste paranoie e finisci di prepararti che sono le nove”.
La ragazza fece un salto, correndo in bagno. Alessandro sarebbe arrivato da lì a momenti.
Nonostante ormai vivesse in quella casa da più di due mesi, Amanda ancora non era riuscita ad abituarsi completamente all’idea. Insieme alle sue amiche e al suo ragazzo – altra cosa a cui faticava ad abituarsi – l’aveva ridecorata, ed ora le sembrava assolutamente perfetta. Roberta adorava la sua camera, nonostante adesso ne avesse un’altra nella nuova casa del padre. Amanda continuava a rifiutarsi di passare del tempo con Luigi, ma l’uomo stava davvero facendo quello che poteva per riallacciare i rapporti, e con Roberta le cose stavano andando alla grande. La bambina ormai viveva più da lui che da Amanda, ma alla ragazza non dispiaceva: sapeva che Roberta aveva bisogno di suo padre, e non aveva intenzione di toglierle questo diritto.
Forse un giorno anche con la madre le cose si sarebbero sistemate, si diceva di tanto in tanto Amanda, senza però sperarci troppo.
Il campanello suonò squillante.
“Ehi lumaca, guarda che Alessandro è qui!”, urlò Michela da dietro la porta. Amanda finì di aggiustarsi i capelli, ormai lunghi ben oltre le spalle, e uscì.
Salutò le sue amiche con un abbraccio, promettendo di mandare foto e chiamare non appena sarebbe tornata. Lasciò le chiavi a Michela, che aveva chiesto se poteva prendere in prestito l’appartamento durante la sua assenza, poi caricò la valigia in ascensore e raggiunse Alessandro, che l’aspettava fuori dal portone. Indossava dei pantaloni a mezza gamba e una maglietta bianca, e con i capelli spettinati dal vento e gli occhiali da sole ad Amanda parve più bello che mai. Lasciò la valigia e gli saltò al collo, baciandolo.
“Ci hai nascosto Giulia lì dentro?”, domandò l’uomo adocchiando la valigia. Amanda annuì convinta, osservandolo trascinarla con fatica verso la Jeep.
“Ha insistito tanto. Non ho saputo dire di no”.
Alessandro la caricò nel bagagliaio con un grugnito, poi tirò un sospiro. “Forse è il caso che ci dia un taglio con tutte quelle patatine”.
Giulia, che li stava osservando dalla finestra dell’appartamento, urlò un “Ehi!” indignato.
Salirono in macchina e dopo aver salutato per un ultima volta le amiche affacciate alla finestra partirono, i finestrini abbassati e Flash sistemato nel sedile posteriore che tentava di sgattaiolare sul grembo di Amanda.
“Non preoccuparti per la mia famiglia”, disse Alessandro, probabilmente percependo il nervosismo della ragazza. “Ti adoreranno. Non potrebbero fare altrimenti”.
“Sanno che… insomma, ho diciotto anni?”.
“Sanno che ti amo, e questo è tutto ciò che importa”.
“Insomma non gliel’hai detto”.
Alessandro si schiarì la voce. “No”.
Amanda annuì, lo sguardo fisso davanti a sé. “Ottimo”.
“Non gli interesserà, fidati. Conosco la mia famiglia. Vogliono solo che io sia felice, e non lo sono mai stato così tanto”.
La ragazza si attaccò al suo braccio, stringendolo al petto. “Anche io lo sono”.
Alessandro le baciò il capo, poi si sporse ad alzare il volume della musica. “Questa canzone è la mia preferita”, disse.
Amanda ascoltò con interesse. Il ritmo era intenso e graffiante. “Come si chiama?”.
Alessandro sorrise, spostando lo sguardo dalla strada quel tanto che bastava per incontrare i suoi occhi. “Breathe into Me”.
Amanda chiuse gli occhi, ascoltando la canzone con un sorriso sulle labbra, i capelli che le volavano attorno al volto mossi dal vento, e in quell’istante seppe che la sua felicità era appena iniziata.

 

And this is how it feels when I ignore the words you spoke to me
And this is where I lose myself when I keep running away from you
And this is who I am when, when I don't know myself anymore
And this is what I choose when it's all left up to me

Breathe your life into me
I can feel you
I'm falling, falling faster
Breathe your life into me
I still need you
I'm falling, falling
Breathe into me
Breathe into me

And this is how it looks when I am standing on the edge
And this is how I break apart when I finally hit the ground
And this is how it hurts when I pretend I don't feel any pain
And this is how I disappear when I throw myself away

Breathe your life into me
I can feel you
I'm falling, falling faster
Breathe your life into me
I still need you
I'm falling, falling
Breathe into me
Breathe into me
Breathe into me
Breathe into me

Breathe your life into me
I can feel you
I'm falling, falling faster
Breathe your life into me
I still need you
I'm falling, falling
Breathe into me

Breathe your life into me!
I'm falling, falling faster
Breathe your life into me!
falling, falling, falling
Breathe into me
Breathe into me
Breathe into me
Breathe into me

 




E così è finita anche quest'avventura. Sono contenta di essere riuscita ad arrivare fino alla fine, nonostante gli alti e bassi che hanno accompagnato questa storia, e sono estremamente grata a tutti coloro che mi hanno seguito fino alla fine e che mi hanno accompagnato con le loro recensioni o anche solo semplicemente seguendo la storia. Non ce l'avrei fatta senza di voi.
Un enorme abbraccio <3

- VahalaSly

 

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