Hope For Changing

di emmegili
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO #1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo #2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo #3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo #4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo #5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo #6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo #7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo #8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo #9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo #10 - Fine ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO #1 ***


CAPITOLO 1

Il telefono squilla. Non voglio alzarmi per andare a rispondere, perciò spero con tutto il cuore che mia madre abbia il buonsenso di mettere fine a questi fastidiosi “driin” e vada a rispondere.
Spero giusto: sento la voce della mamma dire “Pronto?” e il telefono smettere di squillare.
Rimango distesa sul letto, euforica. Mio padre sta finalmente tornando dall’Afghanistan. E’ terminata la sua missione laggiù ed è sopravvissuto. Ora sta tornando a casa con i suoi colleghi. Che bello! Non avrei sopportato un altro minuto senza di lui…
Ho sempre ammirato il lavoro di mio padre. Serve il suo Paese, salva vite, aiuta le persone, le protegge. Eppure ho anche sempre temuto il suo lavoro. Ho assistito a decine di funerali militari, tutti compagni di papà, tutti morti servendo il proprio Paese. E’ una cosa che, a lungo andare, logora una persona. Come si può vivere senza avere la certezza che la persona che ami sia ancora viva? Perché è così: ora può essere viva e fra due secondi può essere già morta.
Mia madre bussa alla porta della mia stanza.
- Vieni, mamma –dico confusa, considerando che non bussa mai.
Quando si apre la porta per poco non svengo: è bianca come un lenzuolo, gli occhi vuoti mi fissano sconvolti. Trema come una foglia in autunno, si regge alla maniglia della porta per non cadere.
- Cosa c’è, mamma? –balbetto preoccupata.
Lei apre la bocca per parlare, ma non emette alcun suono.
Mi avvicino a lei e le stringo una mano. Inizio a preoccuparmi.
- Mamma?
- Tuo…tuo padre, Shay… -mormora in un filo di voce – L’autobus con cui stava tornando a casa assieme agli altri militari ha avuto un brutto incidente…sono tutti al pronto soccorso…
Mi sento mancare il pavimento sotto i piedi. Un incidente? E’ sopravvissuto all’Afghanistan ed ora rischia di morire per un incidente?
Lascio la mano di mia madre e prendo la giacca. Dobbiamo andare al pronto soccorso. Subito.

I medici vanno avanti e indietro come formiche. Più di qualche militare è grave, appeso ad un filo. C’è chi rischia un’amputazione, chi è già morto, chi ha solo qualche graffio.
Stanno operando mio padre. I dottori cercano di sollevarci il morale, ma io so che nemmeno loro sono fiduciosi. E’ in sala operatoria da tre ore. Non resisto più.
Mia madre stringe i braccioli della sedia talmente forte che le nocche le sono diventate bianche.
Io giocherello nervosa con una penna, seduta accanto a lei. E’ assolutamente inconcepibile. Mio padre rischia di morire per un incidente.
Una dottoressa ci raggiunge, tesa.
- Signora Miles? –chiede a mia madre.
Lei alza lo sguardo.
- Se non lascia affluire il sangue alle mani dovremo ricoverare anche lei. Stia tranquilla, le prometto che suo marito ce la farà. –la voce è dolce, ma sta lasciando intendere che non hanno né tempo né spazio per ricoverare un’altra persona per motivi futili.
Mia madre annuisce e si rilassa un pochino.
La dottoressa mia lancia un’occhiata comprensiva e si volta per andarsene. Incontra un ragazzo in sedia a rotelle. Indossa i pantaloni militari e una t-shirt color cachi. Le targhette di metallo risaltano sopra la maglietta. E’ giovanissimo, avrà al massimo diciannove anni. Ha i capelli biondi interrotti da un taglio ricucito ai lati della testa.
- Stia attento, Prescott. –gli intima la dottoressa.
Gli occhi verdi del soldato Prescott guizzano a quelli della dottoressa.
- Ho solo un graffio in testa, dottoressa. Ci sono altri militari che hanno bisogno delle sue cure, quindi la prego di smettere di preoccuparsi per me. Sto bene, davvero.
- Ha solo un graffio in testa che gli fa perdere l’equilibrio, Prescott. E ciò lo costringe alla sedia a rotelle. Stia calmo.
La dottoressa se ne va e il soldato Prescott si avvicina cigolante a noi.
- Signora Miles? –chiede.
Mia madre gli sorride triste.
- Mi dispiace per il capitano Miles. Sono sicuro che ce la farà. Vorrei essere io al suo posto…di me possono fare a meno, ma non del capitano.
- Oh, no, no, Ryan! –squittisce mia madre –Non devi nemmeno pensarlo!
Io guardo il soldato dagli occhi verdi che vorrebbe essere al posto di mio padre perché si sente inutile. Non so come faccia mia madre a conoscerlo e viceversa, ma non chiedo nulla.
- Comunque ha ragione la dottoressa, Prescott –intervengo senza staccare gli occhi dal suo viso –Dovresti riposare, altrimenti ci finirai veramente, al posto di mio padre.
Lui mi guarda e mi sembra di vedere l’ombra di un sorriso sul suo volto.
- Non ti preoccupare, Shailene. So badare a me stesso meglio di quanto faresti tu stessa –dice a denti stretti.
Sussulto sulla sedia. Come fa a sapere il mio nome?
Non faccio in tempo a chiederglielo, perché il soldato Prescott se ne va.

NOTA DELL'AUTRICE:
Salve a tutti! ^.^
E' la prima storia su cui mi concentro, perchè ho l'abitudine di stufarmi presto di ciò che scrivo...xD Prometto che finirò questa storia, parola di scout...xD
Comunque sia, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate di questa storia!
Un bacio,
emmegili

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Capitolo 2
*** Capitolo #2 ***


CAPITOLO 2
E’ il secondo giorno in questo inferno di ospedale. Altri due soldati sono morti, uno è peggiorato. Mio padre, durante tutta la notte, è stato in sala operatoria. Ora non può ricevere visite.
Mi alzo dalla sedia dalla quale non mi sono scollata un attimo, stiracchiandomi. Ho bisogno di un caffè, per lo meno…
- Mamma, ti va un caffè? –chiedo alla donna ridotta ad uno straccio accanto a me. Stare qui la logora dieci volte di più di quanto non farebbe non avere notizie del marito da due settimane.
Lei scuote la testa, quasi impercettibilmente.
Mi avvio per il corridoio, incrociando pazienti e dottori. Raggiungo veloce la macchinetta del caffè.
Mi volto appena in tempo per incrociare gli occhi verdi, ipnotizzanti e magnetici di Ryan Prescott. Non è più sulla sedia a rotelle, al contrario mette in mostra i suoi muscoli e tutta la sua altezza.
- Ti hanno tolto la sedia a rotelle… -noto lentamente dopo essermi decisa a staccargli gli occhi di dosso.
- Già. Non la avrei sopportata un giorno di più. –sorride lui –Ho sentito che l’operazione di tuo padre è riuscita, speriamo si rimetta.
Annuisco sorseggiando un caffè.
- Se va bene perderà le gambe –sussurro –E poi sarà distrutto per aver perso tutti quegli uomini…
Lui fa una smorfia.
- Questo non lo sapevo… -borbotta avvicinandosi. Lo guardo scettica.
- Cosa c’è? –mi chiede quando tra noi ci sono appena dieci centimetri.
- Veramente? –balbetto- Veramente ci stai provando con me ora e qui?
Ryan Prescott sorride come a trattenere una grossa, fragorosa risata.
- Veramente, signorina Miles, volevo solo farmi un caffè –ridacchia.
Ah. Ogni tanto dovrei stare zitta. Sento le guance andare a fuoco. Che stupida. Sono una scema, un’idiota. Cretina, cretina, cretina!
Comunque…a proposito di “signorina Miles” ...
- Comunque… -tossisco –Tu come fai a sapere il mio nome?
Il soldato Prescott si volta verso di me, un bicchiere di caffè tra le mani. Abbassa lo sguardo.
- Tuo padre ha sempre una fotografia con sé. La guarda di continuo. Così un giorno gli ho chiesto di parlarmene.
Mi appoggio al muro con le braccia incrociate, attenta alla storia.
- Raffigurava una bambina di circa quattro, forse cinque anni. Era bellissima: aveva due occhioni grandi, blu come il cielo. I capelli castani, pieni di boccoli, le ricadevano morbidi sulle spalle –mentre racconta, un sorriso compare sul volto di Ryan – Sorrideva, era bellissima. Quando ho chiesto al capitano chi raffigurasse, lui mi disse che era sua figlia Shailene.
- E tu che ne sai che Shailene non avesse una sorella? –gli chiedo riferendomi a quando mi aveva chiamato per nome il giorno prima.
Prescott alza lo sguardo, puntandolo su di me.
- Gli occhi –mormora –sono gli stessi bellissimi occhi blu.
Gli sorrido timida, giocherellando con il bicchiere vuoto dove fino a poco prima c’era il caffè.
- E mia madre? Come mai vi conoscete? –sussurro.
Lui beve un sorso del suo caffè prima di rispondere.
- Ci eravamo già incontrati –si stringe nelle spalle.
- No. Mia madre sembrava volerti bene. –contraddico guardandolo con gli occhi socchiusi.
Sorride.
- Fai caso ai dettagli, eh?
- Chiunque ci sarebbe arrivato.
Ryan Prescott mi guarda per un po’, senza aprire bocca.
- Non penso siano affari tuoi –dice infine.
Faccio per ribattere, ma mia madre arriva agitata.
- Shailene –dice con voce stridula –Tuo padre.
Il soldato la raggiunge e la aiuta a restare in piedi.
- Cos’è successo, signora Miles? –chiede.
Lei lo guarda con occhi vitrei, vuoti, privi di ogni espressione.
- Devono amputargli entrambe la gambe.

NOTA DELL'AUTRICE:
Salve a tutti! Ho aggiornato presto perchè ho visto che più di qualcuno segue e recensisce questa storia e perchè io stessa ho voglia di mandarla avanti =)
Ditemi tranquillamente cosa pensate su questo capitolo, per ora, non mordo...xD
A presto!
emmegili
 

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Capitolo 3
*** Capitolo #3 ***


CAPITOLO 3
Il vetro è freddo, si appanna a causa del mio respiro affannoso. Aldilà di questo freddo vetro c’è un letto circondato da strani macchinari e, in questo letto, c’è mio padre. Se non fossi certa che c’è, non lo vedrei.
E’ sommerso da coperte e tubicini di ogni sorta. A stento si vede.
Dorme tranquillo, ignaro. Ignaro di essere senza gambe, perché quando i dottori hanno deciso che per la sua salute era meglio amputarle lui non era cosciente. E non lo è nemmeno ora. Da un lato spero che si risvegli per poterlo abbracciare, per potergli parlare. Dall’altro lato non voglio che riprenda coscienza, perché so che la sua reazione sarà più che esagerata, che non si riprenderà mai più da uno shock del genere.
Mia madre è impazzita. Parla di continuo, non si ferma un attimo, deve occupare il tempo per non scoppiare in lacrime. In ospedale dà una mano a chiunque, qualunque cosa possa essere fatta, lei la fa.
Ryan Prescott è stato dimesso, ma ogni tanto torna in ospedale a trovare mio padre e gli altri militari ricoverati. Non abbiamo più parlato da quando hanno dovuto amputare le gambe a mio padre…quindi tre giorni fa, credo…
Aspetto che si svegli, perché solo allora potrà ricevere visite.

Sono accasciata sulla sedia, fuori dalla stanza di mio padre. Nonostante siano passate ore, non si è ancora svegliato.
Dal fondo del corridoio vedo arrivare verso di me la dottoressa che aveva ammonito Prescott il primo giorno.
- Come sta, Shailene? –mi chiede quando mi è vicina.
Mugugno qualcosa che non comprendo nemmeno io, sono troppo stanca, sfinita e distrutta per rispondere ad una domanda inutile come questa.
- Suo padre dovrebbe svegliarsi a momenti, vuole entrare ed aspettare con me?
Una luce mi si accende negli occhi. Ora non mi interessa più che reazione avrà, voglio solo riabbracciare mio padre.
- Certo –mi alzo dalla sedia e seguo la dottoressa dentro la stanza. Lei mi fa cenno di sedermi sulle sedia accanto al letto.
Armeggia per un po’ con i macchinari accanto al letto mentre guardo il viso sereno di mio padre.
E’ sempre stato un uomo bellissimo, affascinante. Buono, dolce. Ma anche forte, determinato ed assolutamente testardo. E la testardaggine l’ho presa da lui, di sicuro.
- Si sente ancora le gambe? –chiedo alzando lo sguardo verso la dottoressa.
- Probabilmente sì, è una reazione normale. Le consiglio di dargli la notizia con molta calma, Shailene.
Annuisco.
- Penso non la prenderà bene…
- Shay?
Mi volto di scatto. A parlare era stata una versione più roca della voce di mio padre.
Ha aperto gli occhi, mi guarda con un sorriso sulle labbra.
- Ciao, papà…-mormoro accarezzandogli una mano.
- Per qualunque cosa, sono nei paraggi –mi assicura la dottoressa andandosene.
Mio padre alza la mano che non gli stringo e mi carezza il volto.
- Sei cresciuta –sorride –Non sei più la mia bambina.
- Mi hai visto un anno fa, papà…E comunque, sarò sempre la tua bambina.
Una lacrima mi riga il volto. Mi affretto ad asciugarla, prima che la noti. Troppo tardi.
- Perché piangi, tesoro? –mi chiede –Sono tutto intero, sto bene, non vedi?
Altre due lacrime. Accidenti. Mi sto tradendo da sola. Respira, Shay, respira…
- Tu…sai cos’è successo, papà? Te…te lo ricordi? –chiedo in un sussurro.
Scuote la testa, ma prima di lasciarmi parlare mi fa un’altra domanda:
- Dov’è tua madre?
Deglutisco.
- Ecco, lei verrà dopo a trovarti…ora non sta tanto bene.
Mi lancia un’occhiata che vuole spiegazioni. Le pretende.
Prendo un bel respiro.
- Stavi tornando a casa su un autobus assieme ai tuoi colleghi. –inizio guardando le nostre mani intrecciate –E l’autobus ha avuto un brutto, brutto incidente, papà.
Lui annuisce.
- Molti dei tuoi uomini sono morti. Altri sono gravi. –lo dico in un mormorio, temendo la sua reazione.
Lui chiude gli occhi in una smorfia, poi impreca.
- C’è qualcuno di intatto? –chiede scettico.
Ci penso su. Sì che c’è. Ed è l’unico.
- Quasi. Ryan Prescott si è beccato solo un taglio in testa.
Mio padre sussulta al nome del soldato. Perché? Decido che, sfortunatamente, ora ho cose peggiori e di primaria importanza di dirgli. Alle domande su Prescott passerò dopo, se sarà ancora in grado di rispondere.
- Anche io, però, sono praticamente intatto –conviene mio padre, un’espressione di disgusto sul volto al pensiero degli uomini morti.
Faccio una smorfia.
- Li ho protetti dall’Afghanistan e loro sono morti in un incidente. –lo dice con disgusto, sento montare la rabbia –E io, che dovevo proteggerli, sono rimasto intatto, solo qualche graffio! Scoppio di salute, maledizione!
- Tu non sei intatto! –quasi urlo.
Lui mi guarda sconvolto.
- Sì, invece –ribatte fissandomi.
Altre lacrime mi sgorgano dagli occhi.
- No, papà –sussurro guardandolo, anche se quello che vedo è sfocato a causa delle lacrime-Non lo sei. Nell’incidente hai preso un brutto colpo e…e…per la tua…salute...hanno dovuto amputarti le gambe all’altezza del ginocchio.
L’ultimo pezzo lo dico tutto d’un fiato, come se dirlo velocemente potesse renderlo innocuo.
Mio padre non cambia espressione, rimane a fissarmi come aveva fatto fino ad ora.
- Cosa? –devo leggere il labiale per capirlo, la voce gli è quasi scomparsa.
Annuisco, ormai piangendo.
- Avete permesso che mi tagliassero le gambe? –ora la sua voce è normale, anzi, per poco non urla di rabbia –Tu hai permesso che mi tagliassero le gambe?
Quell’accentuazione del “tu” mi fa male. Cosa avrei dovuto fare?
Scatta a sedere, mi guarda con occhi vuoti ma allo stesso tempo neri di rabbia.
- Hai permesso che mi tagliassero le gambe? –ora urla, inveendo contro di me.
Mi alzo dalla sedia, impaurita.
- Sono un uomo morto! Sono un soldato, come pensi farò senza gambe, eh?!
Sento il monitor segnalare l’eccessiva velocità del battito cardiaco del paziente, ma me ne resto incollata la muro, ormai terrorizzata.
- Mi hai tradito! Traditrice! Come hai potuto lasciare che mi facessero questo?! Come hai potuto farmi questo?!
E’ ufficialmente sclerato. Inizia a strapparsi i tubi dalle braccia, scaraventa a terra i macchinari.
La porta si spalanca all’improvviso e tre, forse quattro dottori entrano nella stanza. Qualche mano mi spinge fuori. Sono incapace di intendere e di volere, sono sotto shock.
Sbatto contro il petto di qualcuno.
Lo guardo. Un sorriso amareggiato. D’istinto lo abbraccio e lui ricambia, stringendomi a sé. Mi abbandono alle lacrime, mentre la voce di chi mi abbraccia sussurra cose dolci, tranquillizzanti.
Ho bisogno di qualcuno che mi abbracci, che mi consoli, che mi dica che andrà tutto bene. E non mi interessa se questo qualcuno è Ryan Prescott.

≈ Salve a tutti!
Mancano 500 parole alla lunghezza ideale che mi ero posta, ma ho preferito dividere il capitolo in due, perchè voglio che il prossimo abbia tutta l'attenzione possibile (Non vi svelo nulla...tranne il fatto che leggerete qualcosa in più su Ryan Prescott).
A dire la verità ho voluto focalizzare l'attenzione anche su questo capitolo, perchè lo reputo abbastanza...importante.
Che ne dite?
Un bacio,
emmegili ≈

 

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Capitolo 4
*** Capitolo #4 ***


CAPITOLO 4
Apro gli occhi. Sbatto più volte le palpebre. Lentamente, mi guardo attorno. E quasi mi viene un colpo.
Sono in ospedale, su un divanetto in sala d’aspetto. E fin qui tutto bene, se non fosse che mi trovo letteralmente tra le braccia di Ryan Prescott.
Lui è seduto in posizione composta. Abbastanza, per lo meno…Io sono rannicchiata accanto a lui, che mi stringe con un braccio.
Dorme tranquillo. Quasi mi dispiace svegliarlo…
Mi guardo in giro: non c’è nessuno, tranne qualche infermiera che passa ogni tanto. Cerco con lo sguardo qualche orologio. E lo trovo: segna le cinque. Di mattina o di pomeriggio? Probabilmente di mattina…c’è troppo poco movimento.
Rimane una sola domanda: come sono arrivata qui?
Sento Ryan stiracchiarsi il braccio con il quale mi stringeva a sé. Mi volto verso di lui. Appena si accorge che sono sveglia mi sorride. Mi siedo composta come lui e aspetto che parli. Perché deve parlare. Deve farlo. O no?
- Buongiorno –borbotta.
Non gli rispondo. Cerco di fare mente locale.
- Cosa c’è? –mi chiede quasi annoiato.
Lo guardo terrorizzata.
- Dimmi cos’è successo. –mormoro.
Ryan Prescott scoppia a ridere.
- Non ti preoccupare, niente di cui potresti pentirti. –risponde.
Lo guardo, in attesa.
- Hai detto a tuo padre la verità e lui…diciamo che si è scaldato un pochino –annuisce lui, più a sé stesso che a me.
- Ah. Giusto. E quando mi hanno buttato fuori dalla stanza…ci siamo abbracciati –sussurro quasi con disgusto.
Annuisce, senza lasciar trapelare emozioni.
- Poi siamo venuti qui e tu…sei crollata. –continua il soldato, improvvisamente attratto dai miei occhi.
Faccio una smorfia. Santo Cielo. Dovevo proprio dare mostra del meglio di me?
- E adesso cosa si fa? –chiedo cercando di mettere in un angolo la vergogna.
- Cosa ti va di fare?
Ci penso su. Non tornerò da mio padre, questo è sicuro. Mia madre non so dove sia, ma è maggiorenne e vaccinata, perciò sa badare a sé stessa. Però devo restare qui, non si sa mai.
- Tu non vai…a casa? –chiedo ricordandomi improvvisamente che anche il soldato Prescott ha una vita.
- Nah. Non ci andrei comunque, fidati.
- Okay. Allora parliamo –decido, improvvisamente di buon umore. Ho troppe domande da fare a questo bell…a questo ragazzo.
Mi guarda curioso.
- Un gioco. Tu mi fai una domanda ed io rispondo e viceversa. L’importante è essere sinceri.
Mi guarda per un po’, indeciso. Poi annuisce.
- D’accordo, ma inizio io.
Improvvisamente mi rendo conto che non è un gioco poi tanto responsabile…Ma io devo sapere…
- Mi trovi attraente? –chiede in un sorriso beffardo.
Alzo gli occhi al cielo.
- Non fare il cretino! –sbuffo –Parlavo seriamente!
-Anche io!
Gli lancio un’occhiataccia. Lui inarca un sopracciglio, in attesa della risposta. Distorco il naso.
- Tocca a me –mugugno.
- Ehi, aspetta, la mia domanda! –esclama lui.
- Davvero ti aspetti che io risponda?
Ci fissiamo per qualche istante. Poi lui alza le mani in segno di resa.
- Okay. –riprendo- Parlami di te.
- Doveva essere una domanda –obbietta lui. Sbuffo.
- Mi parli di te, Prescott? –chiedo imitando una voce sdolcinata.
- No.
Lo guardo male. Non va bene. Devo giocarmela meglio.
- Come conosci mia madre? –proseguo scandendo bene le parole. Lui mi lancia un’occhiata esasperata. Mi fissa per un po’.
- E’ una lunga storia.
Sorrido. Lo sapevo. Ora devo solo farlo cantare.
- Abbiamo tutto il tempo che ti serve, Ryan –proseguo. Sussulta al suono del suo nome. Probabilmente in pochi lo chiamano così. Compresa mia madre: tasto giusto.
- Missione in Iraq, due anni fa.
- Aspetta, aspetta! –lo blocco –Ma se hai diciannove anni!
Mi guarda divertito.
- E chi te l’ha detto?
Giusto. Io avevo dedotto che avesse diciannove anni, nessuno me l’aveva detto.
- E quanti ne hai, allora?
- Ventuno.
Per poco non urlo un esclamazione. Ventuno anni??
- Li porti bene –mugugno.
Sorride mentre fissa il vuoto davanti a sé. Poi prosegue con il racconto.
- In Iraq, due anni fa. Io e il capitano, cioè tuo padre, ci siamo allontanati dalla base per un sopralluogo. Si stava bene. Non faceva caldo, era sera. Parlavamo di… -si blocca e mi guarda. Sta omettendo qualcosa.
- Di cosa? –chiedo.
- Parlavamo e basta.
Gli lancio un’occhiata torva.
- Di cosa stavate parlando, soldato Prescott? –sibilo. So la risposta, ma voglio sapere perché.
Mi lancia un’occhiata imbufalita.
- La smette di interrompermi, signorina Miles? –chiede.
- Solo se risponde alla mia domanda, soldato Prescott –rispondo imitando il suo tono.
Alza gli occhi al cielo.
- Parlavamo di te, d’accordo? –ammette –Tuo padre ha accennato alla figlia e io, tanto per passare il tempo, gli ho chiesto di parlarmene. Ricordo quella conversazione come fosse ieri.
Ha detto che avevi sedici anni ed eri la più bella ragazza sulla faccia della terra. Ha detto che eri dolce, simpatica e fastidiosamente testarda. Che, però, eri la sua vita e che per questo portava sempre una tua foto con sé. Me l’ha mostrata. Avevi quattro anni, ma eri bellissima comunque. Più o meno sono riuscito ad immaginarti a sedici anni.
- Perché t’interessava tanto? –chiedo, colpita dall’interesse nei miei confronti.
Ryan si stringe nelle spalle.
- Eri l’unica cosa bella in mezzo a morte e distruzione. –sussurra distogliendo lo sguardo dal mio viso. Wow. Incredibile. Che bellissimo complimento…
Ma torno alla realtà: la storia non è finita.
- E poi? –balbetto –Cos’è successo?
- Poi è esplosa una mina. –lo ha detto direttamente, quasi fosse normale.
- Una…mina? –chiedo.
- Sì, a pochi metri da noi.
- E come ha fatto? Cioè, ha bisogno di essere urtata, no?
- In teoria sì, ma è esplosa comunque…E siamo finiti in ospedale, qui, in patria. Tuo padre è stato dimesso dopo poco tempo di convalescenza: i mezzi americani lo hanno aiutato molto. Io invece ero molto più grave e sono stato ricoverato per due mesi.
- E com’è che io non me lo ricordo? –chiedo –Lo saprei, non credi?
- I tuoi non te l’hanno detto. Ritenevano che fosse inutile, dato che tuo padre era come nuovo. Ed è ripartito subito dopo essere stato dimesso. Tua madre mi ha assistito durante tutta la mia convalescenza.
Ecco spiegato il mistero. Tutto qua. Mia madre era stata gentile con l’affascinante Prescott.
- Ah. Pensavo peggio.
Ryan ridacchia.
- E la tua famiglia? –chiedo.
Lui deglutisce, poi mi guarda.
- Mio padre è in carcere per aver ucciso mia madre, Shay.
Colpo basso. Non ci voleva.
- Accidenti, mi dispiace. Non hai fratelli, zii o qualsiasi altra sorta di parenti?
- Hai occhio per le disgrazie: avevo solo una sorella, Jackie, che è stata uccisa da un tir il giorno del suo quindicesimo compleanno.
- Dovrei imparare a tenere chiusa la bocca… -mormoro amareggiata.
- Forse sì –sorride Prescott guardandomi…intensamente? Spero proprio di no.
- Solo qualcun’altra, però… -insisto –Perché ti sei arruolato?
- Per uccidere la gente come mio padre. –lo dice con un tono gelido, che annuncia morte. Rabbrividisco.
- …ti piacciono…i cani? –chiedo nel disperato tentativo di sollevare la conversazione.
Scoppia a ridere, di gusto.
- Tocca a me farti una domanda, ora.
Annuisco.
- Usciresti con me domani sera?

≈Salve!
Come va? ho aggiornato con un giorno di ritardo, ma penso non cambi molto...Mi piacerebbe sapere cosa pensano della storia le persone che la seguono ma che non l'hanno mai recensita, giusto per vedere se non la recensiscono perchè fa schifo...xD Scherzi a parte, mi farebbe davvero piacere! =)
Comunque...che ne pensate di questa gita, seppur cortina, dentro il nostro (scordatevelo, mio xD) Prescott? E' solo l'inizio di una lunga serie di viaggi dentro il soldato, poco ma sicuro!
Un bacio!
emmegili≈

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Capitolo 5
*** Capitolo #5 ***


CAPITOLO 5
Devo parlare con mia madre. Non posso, non devo uscire con Ryan Prescott. Eppure una piccola, insignificante parte di me vuole farlo. Ma è da irresponsabili. Persino io so che è da irresponsabili! E io non sono una persona che si possa definire responsabile…
Vago per l’ospedale in cerca di mia madre. La trovo davanti alla stanza di mio padre in compagnia di…Ryan Prescott. Maledizione! Deve essere sempre tra i piedi?!
Li raggiungo.
- Oh, ciao, cara! –sorride mia madre, di buon umore.
- Posso parlarti? –chiedo guardando Ryan. Lei annuisce.
- In privato –specifico.
- Tu mi devi una risposta! –esclama Ryan andandosene. Lo so, lo so…
Lancio un’occhiata dentro la stanza di mio padre. Dorme.
- Senti…mamma…avrei bisogno di un consiglio. –azzardo.
- Dimmi.
La guardo per un po’.
- Ryan mi ha chiesto di uscire con lui, stasera. Non so che fare.
Mia madre sembra illuminarsi. Sorride, sorride come solo lo stregatto saprebbe fare.
- Sul serio? –chiede. Alzo gli occhi al cielo. Ovvio che dico sul serio!
- Escici e basta, Shay! E’ il ragazzo che qualsiasi madre vorrebbe vedere al fianco della figlia!
La guardo scioccata. D’accordo, quando vuole sa essere…profondo, ma per la maggior parte del tempo è…è…un cretino, un superbo cretino!
- E…se lo chiedessi a papà? –propongo nella speranza che lui mi offra una scusa da presentare a Prescott (“Papà mi ha detto di no, Ryan...”).
Mia madre si stringe nelle spalle.
L’unico problema è che non ho più parlato con mio padre da…dall’ultima volta. Sii coraggiosa, Shay, si coraggiosa!
Mi faccio coraggio ed entro nella stanza. Mio padre stava solo sonnecchiando, perché quando entro apre gli occhi.
- Ciao, papà…-mormoro avvicinandomi al letto.
Lui mi fissa in silenzio, i suoi occhi sono taglienti.
- Cosa vuoi? –chiede.
- Sapere cosa pensi di Ryan Prescott –sputo.
Mio padre sorride.
- Si è fatto avanti, eh? Finalmente…un’altra missione così e l’avrei ucciso con le mie stesse mani… -non ho la più pallida idea di cosa intenda, ma, come sempre, ho un altro punto da raggiungere.
Scuoto lentamente la testa.
- E’ un bravo ragazzo, Shay. Se ti ha chiesto di uscire, fallo. –lo dice lasciando intendere che la discussione è finita. Mi porta ancora rancore? Lo guardo attenta.
- Mi odierai per sempre, papà? –chiedo con un nodo in gola.
Lui non risponde, distoglie lo sguardo.
- Odiare è un verbo forte. In fondo, sei mia figlia. –quella frase mi colpisce come un pugno in pancia. In fondo, sono sua figlia?! Se non lo fossi mi odierebbe? A proteggermi dal suo odio è uno stupido legame di sangue?! Basta fare la vittima, è ora di reagire.
- Già, in fondo, sei solo mio padre. Avrei dovuto lasciarti morire con le gambe, piuttosto che farti vivere senza. La prossima volta ne terrò conto –sibilo. Lo stupore si forma sul suo volto, ma non me ne frega niente. Giro i tacchi e me ne vado.

La giornata va di male in peggio. Mia madre ha un’idea dopo l’altra, e sono tutte tra le peggiori idee che un essere umano abbia mai avuto in tutta la storia.
- Ryan, ascoltami –aveva detto al soldato sotto i miei occhi –Non vai a casa tua da quando sei tornato dalla missione. Sarà da riordinare, pulire…vai a farti una doccia a casa nostra, anzi, fermati per cena!
Fermati per cena? Sul serio? Come se si fosse dimenticata del nostro appuntamento!
Ryan sorride, mi lancia un’occhiata di trionfo.
- Veramente, signora Miles, avevo chiesto a sua figlia di uscire con me.
Gli lancio un’occhiata odiosa. Brutto…
- Oh, davvero? –finge lei. Che bugiarda!
- Sì, davvero –sibilo io fulminandoli entrambi.
- Be’, allora sarà meglio che tu vada a prepararti a casa tua –dice a Ryan –Ma conta sull’invito per un’altra volta, magari quando anche mio marito tornerà a casa.
- Certo, signora Miles. Ah, Shay?
- Cosa vuoi? –ringhio.
- Passo a prenderti alle sette. –dice andandosene.
- Chiama Jenny, tesoro. Hai bisogno di una mano per prepararti.
Sbuffo, sbuffo e sbuffo. Jenny è la mia migliore amica. Aspetta che io abbia un appuntamento dalla prima elementare. Vuole prepararmi e rendermi perfetta. Che idea idiota.

- Un appuntamento! Un appuntamento! –canticchia Jenny frugando nel mio armadio.
Io la guarda annoiata.
- E’ bello? –chiede sorridente.
- E’ orrendo –biascico pensando che tutto quello che vorrei è prendere a pugni il bel faccino di Ryan Prescott. E anche quello di mia madre. E quello di mio padre. E anche quello di Jenny, perché dall’armadio tira fuori un vestitino di stoffa bianca e delle scarpe col tacco del medesimo colore.
Sorride soddisfatta.
- Scordatelo. –nego.
- Se è tanto brutto dagli almeno qualche gioia, no? Sarai l’unica ragazza che ha accettato ad uscire con lui!
Ne dubito. Guardo l’orologio. Manca un quarto d’ora alle sette. Anche Jenny se ne accorge e, in tutta fretta, mi fa indossare quello che aveva tirato fuori dal mio armadio-tutto-tute.
La lascio fare, inerte. Non ne vale la pena. Tanto, prima o poi, una gonna avrei dovuto indossarla.

Quando mi guardo allo specchio, non sembro nemmeno più io. I miei boccoli castani sono fermati, dietro l’orecchio destro, da un giglio bianco. L’abito fresco, estivo, mi dona veramente tanto, soprattutto se abbinato a quelle odiose scarpe coi tacchi.
Sul mio polso sinistro c’è un braccialetto di pietre azzurre, in tono coi miei occhi.
- Wow, Jenny… -borbotto stupita.
Lei sorride.
- Figurati.
Suonano al campanello. Jenny insiste per voler conoscere Ryan, così mi segue ad aprire la porta.
Un ragazzo sorridente –è un sorriso ancora trionfante, intendiamoci –mi guarda. Ha indosso una camicia e dei jeans.
- Ecco, Jenny! –sbotto –Potevo metterli, i jeans!
Jenny mi si affianca, e sorride a Ryan, anche lei trionfante, il sorriso di una che la sa lunga.
- Ciao, sono Jenny. –tende una mano –Sai, ti aspettavo un po’ più…com’è che hai detto? Ah, sì, orrendo!
Mi guarda scettica. Le faccio una smorfia.
- Ryan Prescott –ridacchia lui.
Li guardo entrambi, inviperita. Non voglio uscire con Ryan Prescott, questo ormai è sicuro.
 

≈ Salve gente!
Che ne pensate? Ammetto che avevo un'idea diversa per questo capitolo, ma questa mi soddisfa di più...
Un bacio,
emmegili ≈

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Capitolo 6
*** Capitolo #6 ***


CAPITOLO 6

Di Ryan Prescott mi sarei aspettata tutto, ma non che fosse un tipo romantico.
Dopo aver salutato Jenny siamo saliti sul pick-up nero di Ryan, e io non ho aperto bocca durante tutto il tragitto, ignorandolo deliberatamente.
Quando poi ci siamo fermati, mi sono resa conto che eravamo sulle rive di un lago contornato da fresca erba verde e fiori.
E siamo ancora qui, accanto al pick-up. Guardo Ryan, che mi stava fissando già da un po’. Quando i nostri sguardi si incrociano, mi sorride.
- Allora? –chiede speranzoso.
- Wow –mormoro io guardandomi attorno. Dal cassone del pick-up Ryan prende un cestino in vimini e ne tira fuori una coperta. Ci incamminiamo.
Siamo abbastanza distanti dal pick-up quando stende a terra la coperta e ci appoggia sopra il cestino.
- Un picnic! –esclamo io in preda all’euforia. Amo i picnic.
Ryan mi guarda e sorride, divertito. Ma è un divertimento diverso dal suo solito, quasi…dolce. Ecco, sembra soddisfatto…contento.
- Ti piace? –mi chiede sedendosi sulla coperta.
- Certo! –sorrido raggiante.
Mi siedo accanto a lui sulla coperta, il cestino a separarci.
- Come facevi a sapere che mi piacciono i picnic? –gli chiedo. Improvvisamente la serata si è fatta serena, non sono più arrabbiata col mondo.
- E’ una lunga storia –sorride lui.
- Ho tutto il tempo che ti serve, soldato Prescott –ribatto ricordando quando mi aveva raccontato del modo in cui aveva conosciuto mia madre.
Mi guarda. Poi fruga nel cestino e mi porge un tramezzino. Sorrido e lo prendo.
- Grazie –mormoro –Ma sputa il rospo.
- E’ alquanto imbarazzante…
Rido.
- E dai, cosa mai sarà!
- Stavolta no, cara mia…Non parlerò… -lo dice in un sorriso.
- D’accordo –mi rassegno.
Ryan prende un panino e lo addenta.
- Mi piace la tua amica Jenny –annuncia.
Lo guardo.
- Non stare ad ascoltarla…dice tutto quello che le passa per la mente –intervengo subito.
- Ma almeno è sincera. Altrimenti non saprei che mi trovi…aspetta, com’è che hai detto? Ah, sì, orrendo! –lo dice sorridendo, ma sembra quasi crederci. Lui non era quello sicuro di essere figo e bello?
- Non sprizzavo di gioia ad uscire con te, dovresti saperlo –mi difendo.
- Non mi stupirei se in camera tua ci fosse una mia foto attaccata al muro usata come bersaglio del tiro a freccette.
- Non ti sarai mica offeso? –chiedo dopo aver ingoiato l’ultimo boccone del mio panino –Non eri tu quello che sapeva di essere bello?
Mi sorride.
- Sì, sono io. Perché tra i due, tu sicuramente non ti credi bella. Quindi, per esclusione, sono io.
Lo guardo confusa.
- Cosa intendi, Prescott? –gli intimo.
- Intendo dire che, nonostante tu sia bellissima, non ti credi minimamente carina –mi fissa mentre lo dice, e mi sento arrossire.
- Chiuderesti il becco, per favore? –gli chiedo infastidita.
Scoppia a ridere.
- D’accordo, smettiamo di parlare di te –conviene.
- Parliamo dell’incredibile e affascinante Ryan Prescott? –chiedo imitando una voce teatrale.
Annuisce sorridendo.
- Okay, signorina Miles. Cosa vuole sapere?
- Qualunque singola cosa –dico a bassa voce, fissandolo, scandendo le parole.
- Potresti essere più specifica? –mi chiede sarcastico.
- Okay. Allora ti faccio delle domande –sentenzio allegra.
Lui si stringe nelle spalle.
- Come andavi a scuola? –gli chiedo. Sospira di sollievo quando si rende conto che sono domande leggere.
Sorride.
- Ero bravo in educazione fisica –borbotta.
Rido.
- Matematica? –chiedo sorridendo.
- Prossima domanda?
- Okay, okay. Qual è il tuo colore preferito?
- Giallo.
- Oh, anche il mio! ...Numero fortunato?
- Otto.
- Il mio è il quattro.
- Frena, sembri una mitragliatrice –sorride.
Posa la sua mano sulla mia, sulla coperta. Le fisso per un po’, poi alzo lo sguardo su di lui. Mi guarda teneramente, in un modo particolare. Alla fin fine, Ryan Prescott non è altro che un dolcissimo ragazzo la cui vita è stata rovinata dalle disgrazie, un ragazzo che ha bisogno di serenità, un po’ come me. Stringo le labbra e, timidamente, incrocio le mie dita alle sue.
- D’accordo. Ti concedo qualche domanda –cedo alla fine rivolgendo lo sguardo verso il lago.
Sorride.
- Non ho domande da farti, Shay –sussurra in un sorriso.
- Nemmeno una? –chiedo incredula.
- Non ho domande importanti da farti, rassegnati. –ride.
- Okay… -sbuffo –Ma non è finita qui.
- Significa che uscirai di nuovo con me?
- Forse.
- Forse? –scatta in piedi, sorridendo –Solo forse? Mi stai dicendo che non usciresti ancora con questo bel fusto?
Scoppio a ridere.
- Inizia a correre, perché se ti prendo finisce male –minaccia in un sorriso.
Salto su e inizio a correre, anche se so che mi prenderà dopo due secondi.
Ci allontaniamo dalla coperta, correndo come forsennati.
L’erba e i fiori mi sfiorano le gambe, solleticandole. In breve due mani mi afferrano per i fianchi e mi voltano verso Ryan Prescott. Mi stringe a sé. Tra i nostri visi ci sono pochi centimetri. Sorrido.
- Non vale, però –sussurro.
- E perché?
- Perché sei grande, grosso e veloce. Avresti preso chiunque! –protesto.
- E’ un complimento?
- Forse –ridacchio.
Alza gli occhi al cielo, ma sorride.
- Adesso ti insegno la differenza tra un complimento e un insulto. –annuncia. Sorrido. Sentiamo.
- Sei lentissima, schiappa –dice –E’ un insulto.
Annuisco.
- Ma se ti dico che sei la ragazza più bella che abbia mai visto, allora è un complimento –sussurra spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, dolcemente.
- Capito. –confermo sorridendo.
- Ma in entrambi i casi dico la verità –continua.
- Non so se sentirmi offesa o lusingata, soldato –commento.
Lui sorride, abbassando lo sguardo.
- Sentiti come ti pare, basta che non rovini la serata.
Ha ragione, non vale la pena rovinare la serata.
- Allora grazie per il complimento –decido. Sorride contento. Non è poi così male come credevo.

Non ho mai visto tante stelle.
Cammino verso la porta di casa mia, con Ryan a fianco. In breve arriviamo alla porta. E’ stata una serata bellissima. Mi dispiace che sia già…finita…
Mi giro verso Ryan, rassegnata. Lui mi sorride.
- Be’…buonanotte, allora –sussurro.
- Aspetta, Shay. Ho una domanda, ora.
Lo guardo curiosa.
- Ti sei divertita?
- Sì, molto. –ammetto –Mi dispiace che sia finita.
- Bene, questo è l’importante. Ma non ti preoccupare: ce ne saranno molte altre –sorride soddisfatto.
Apro la porta, ma Ryan mi blocca.
- Non mi merito nemmeno un bacio?
Ah, ecco il caro, vecchio, Ryan Prescott. Ma, in effetti, ha ragione…
Veloce come un gatto mi avvicino e gli do un bacio fugace sulle labbra, talmente veloce da valere meno di un bacio sulla guancia.
Ma sia per me sia per Ryan vale molto, molto più di qualsiasi altra cosa.
 

Ciao!
Ho aspettato la fine del weekend per aggiornare, giusto per non essere troppo veloce...
Ammetto che questo capitolo non mi soddisfa molto, ma il parere è il vostro!
Un bacio,
emmegili

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Capitolo 7
*** Capitolo #7 ***


CAPITOLO 7

Non ho più parlato con mio padre dopo la sera dell’appuntamento con Ryan. Non sarei riuscita a tenergli testa ancora una volta e, anche se fosse, lo avrei ferito davvero, lasciandomi prendere la mano.
Per una volta, voglio essere io a prendere l’iniziativa, perciò prendo un caffè per me e uno per Ryan.
So che è in giro per l’ospedale, devo solo trovarlo.
Probabilmente è buffo vedermi camminare frettolosa e attenta a non spandere il caffè, ma non mi importa.
Mi piace Ryan Prescott, l’ho detto. Non è la solita cotta adolescenziale, però. Io sono innamorata di Ryan Prescott, se cercassi di levarmelo dalla testa non ci riuscirei.
Finalmente lo trovo e…ci vuole una buona dose di forza di volontà per non avvicinarmi e buttargli il caffè bollente in faccia.
E’ davanti all’ingresso dell’ospedale e sta abbracciando –talmente stretto da entrare nel Guinness dei primati –una bellissima ragazza bionda. Le carezza la schiena, i fianchi. Le bacia il collo.
Che razza di…
- Stronzo! –urlo. Di solito sono educata, ma non mi sono riuscita a trattenere. Come accidenti ha potuto uscire con me quando usciva, o nel peggiore dei casi era fidanzato, con un’altra ragazza??
Mi tremano le mani a tal punto che il caffè traballa dentro le tazzine di plastica. Si volta verso di me, sciogliendo l’abbraccio con la biondina. Mi guarda e il mondo mi cade addosso. Perché, perché accidenti questi suoi occhi verdi mi ipnotizzano a tal punto da dimenticarmi di essere arrabbiata? No, Shay, così non va! Riprenditi!
Adocchio la prima infermiera che passa e metto sul suo carrello il caffè, poi giro i tacchi e me ne vado. Me ne vado perché sto per piangere, e non va bene. Mi aveva sollevata da un brutto momento e ora mi ci fa ricadere più a fondo di prima.
Vago per l’ospedale a passo spedito, preda di violenti singhiozzi. So che Ryan mi è dietro, lo so. Vorrei soltanto che qualcuno lo fermasse e lo riempisse di botte, perché altrimenti lo farò io.
Raggiungo la stanza di mio padre, intenta ad entrarci e a dirgliene quattro pure a lui, perché sicuramente sapeva che Prescott non era single. Lo sapeva.
Non posso aprire la porta, però, perché una mano mi blocca.
Mi giro velenosa verso Ryan e mi libero dalla sua stretta.
- Lasciami in pace! –strillo.
- Aspetta, Shay! Posso spiegarti…
- Vai al diavolo! –gli urlo a due centimetri dal suo viso.
Non voglio nemmeno più vedere mio padre, così gli lancio un’ultima occhiata velenosa e vado via.

- Oh, mi dispiace, Shay… -mormora Jenny accarezzandomi i capelli.
Sprofondo le testa nel cuscino del suo letto, tanto ormai è già zuppo.
- Sembrava un bravo ragazzo –continua ad infierire lei –E poi era bellissimo.
- Jenny, chiudi la bocca! –brontolo.
- Oh, ma sta’ tranquilla! Le cotte sono passeggere, te lo dimenticherai presto!
- E’ qui il problema –singhiozzo –Non è una cotta…
Jenny mi guarda stupita.
- Oh. Wow. Tu ne eri innamorata?
- Io ne sono innamorata, Jenny!
Lei rimane zitta, non sa cosa dire. Forse è meglio, ho bisogno di silenzio.
- Ma sei sicura che fosse la fidanzata? Insomma, poteva essere un’amica, o una cugina!
- Le ha baciato il collo, Jenny –mormoro.
- Okay, forse un’amica no…
Suonano il campanello.
- Aspettavi gente, Jen? –chiedo sollevandomi dal letto e asciugandomi le lacrime.
- Io, in realtà, no…
- Va’ ad aprire. Ti aspetto qui.
Jenny mi sorride e sgattaiola fuori dalla stanza. Mi siedo sul letto, tento di darmi una sistemata. Slego la coda e mi metto a testa in giù, scompiglio i capelli. Quando mi rialzo la porta della stanza si apre. La testa di Jenny sbuca dall’uscio.
- Ehm…scusami, Shay –dice, poi scompare.
Mi passo una mano tra i capelli, confusa. E solo allora capisco. Nella stanza di Jenny entra Ryan Prescott.
Lo guardo male. Ma come ha potuto farmi questo? E sto parlando di Jenny, ora.
- Sparisci, non ti voglio vedere –sibilo.
Ha l’espressione di un cane bastonato.
- Almeno ascoltami –mormora avvicinandosi.
- Vattene –ripeto, le lacrime ricompaiono.
- No.
Si avvicina ancora di più.
- Vattene, non ti voglio vedere! Ti odio, ti odio, ti odio! –urlo picchiando sul suo petto.
Mi blocca i polsi.
- Ascoltami, Shailene. –ripete calmo.
- Non voglio sentire un’altra sola parola venire dalla tua bocca, anzi, sparisci dalla mia vita! -urlo. E sono seria. Deve sparire per sempre.
Forse lo capisce dalla durezza dei miei occhi, perché mi molla i polsi e si allontana.
Mi guarda un’ultima volta, poi sparisce.
E spero sia per sempre, questa volta.
Jenny rientra nella stanza. Ha una brutta espressione, mortificata. Guardo male anche lei.
- Gli hai detto tu che ero qui, non è vero? –le chiedo, gli occhi annebbiati dalle lacrime.
Lei annuisce, la testa bassa.
- Credevo che almeno tu mi capissi, Jenny! –continuo –Rivederlo mi ha fatto solo più male!
- Mi dispiace, Shay, io…
- Tu? –esclamo –Tu cosa, Jenny?
Mi guarda.
- Sai una cosa? Lascia stare, dimenticati di me e di Ryan, dimenticati di Shailene Miles –sussurro ricominciando a piangere. Prendo la borsa ed esco dalla stanza, scendo le scale e me ne vado. Mi farò tutta la strada a piedi, non m’importa. Ho bisogno di pensare.
Come ha potuto la mia migliore amica farmi questo? Come ha potuto ingannarmi e farmi vedere il ragazzo del quale sono dannatamente innamorata e che mi ha già tradita? Come ha potuto?
Certo io sono un tipo precipitoso, una che salta sempre alle conclusioni, ma questa volta non vedo un'altra risposta alla mia domanda: chi era la biondina?
Però facevo Ryan meno stupido: vedersi con la fidanzata nello stesso ospedale dove sono io…
Non faccio nemmeno attenzione a dove metto i piedi, sembra che quest’ultimi sappiano a memoria la strada.
Arrivo a casa, stremata.
Mi butto sul letto di camera mia, senza nemmeno essermi fatta una doccia.
Vorrei dormire, eccome se vorrei dormire! Ma la testa mi si riempie di immagini che non vogliono andare via.
Ryan, il suo sorriso, il picnic che aveva organizzato per me, il suo dirmi che ero bellissima, le sue mani calde sul mio viso, la sua innocenza nel non credersi bello, nella sua semplicità, nella sua potenziale capacità di amare.
Vedo quel suo sguardo complice il primo giorno che l’ho visto, vedo quel suo sorriso sarcastico alla mia domanda “Ci stai provando con me ora e qui?”. Vedo la sua infanzia difficile e dolorosa, la perdita della madre, la morte della sorella, la rabbia nei confronti del padre. Vedo la sua voglia di arruolarsi per vendetta nei confronti dell’assassino di sua madre, la sua rabbia anche solo a parlarne. Vedo il desiderio di cui ardeva all’idea di uscire con me, come un bambino per un gelato. Vedo la sua bocca chiedermi un bacio, alla luce della luna. Vedo la sua espressione dopo averglielo concesso, seppur quasi trasparente. E poi vedo l’immagine che spezza la serenità che ero riuscita a crearmi: Ryan Prescott che bacia il collo ad un’altra ragazza, che la abbraccia, che la tocca con le stessi mani dolci che avevano spostato i miei capelli dietro l’orecchio.
E ricomincio a piangere.

 

Ciao!
Mi sento...com'è che si dice? Ah, sì, satanica....xD Sono proprio soddisfatta di questo capitolo...Avviso che ho già due capitoli pronti, perciò gli aggiornamenti continueranno ad essere regolari^^
Comunque sia, dovevo dare pepe alla storia. Ora lascio a voi le domande...
un bacio!
emmegili

 

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Capitolo 8
*** Capitolo #8 ***


CAPITOLO 8

Barcollo per l’ospedale, ancora assonnata. Non ho chiuso occhio tutta la notte e, l’unica volta che mi sono appisolata, ho sognato Ryan Prescott. C’è qualcosa che non va. Ryan non può condizionarmi in questo modo.
Apro la porta della stanza di mio padre, intenta a chiedere spiegazioni.
- Ciao, papà -dico sedendomi sulla sedia accanto al letto.
Mi guarda.
- Che hai fatto? Sei stata ad una festa fino a qualche ora fa, Shailene? –mi chiede fissandomi.
- Non ho dormito. Ed è anche colpa tua. –lo accuso.
- Perché? –chiede lentamente.
- Sapevi che Prescott aveva una fidanzata? –chiedo.
- Prescott non è fidanzato –dice lentamente lui.
- Allora chi era la bionda che stava sbaciucchiando ieri? –sibilo.
Lui corruga la fronte.
- Biondina…biondina…ah, sì! E’ Melanie, un’amica di famiglia! Sua madre è morta ieri, per questo era in ospedale. E’ venuta dal Canada per dirlo a Ryan.
- Andiamo, papà! –sbotto, anche se meno convinta –Le stava baciando il collo!
Si stringe nelle spalle.
- Questo deve spiegartelo lui –borbotta. Poi torna a guardarmi, con un sorriso sulle labbra.
- Ti piace, eh?
Non vedo motivo di mentire.
-Eccome… -sussurro.
- Ascoltami, Shay. Non posso dirti perché o come faccia a saperlo, ma credimi se ti dico che sei vittima di un equivoco. Quel ragazzo ti ama più della sua vita.
Lo guardo interdetta.
- Ma se ci conosciamo da così poco –protesto –com’è possibile che mi ami più della sua vita?
- Ah. Ecco. Sapevo che dovevo stare zitto…Be’, tesoro, questo deve dirtelo lui. Non è mio compito.
Sbuffo. Ora ho ben due ragioni per parlare con Ryan Prescott…
Mi alzo dalla sedia e mi dirigo verso la porta.
- Ah, Shay?
Mi volto di scatto. Mio padre sorride.
- Sono uno stupido. Ti prego, perdonami per come ti ho trattato la prima volta. Non ho scusanti, sono proprio un mostro. Inveire così contro mia figlia…terribile.
Sorrido.
- Non scusarti, papà. In fondo non è che ti abbia portato poi così belle notizie…
- Sì, ma tu non c’entravi nulla. Perdonami.
- Ti voglio bene, papà.
- Anch’io.
Sorrido ed esco dalla stanza. Prendo in mano il cellulare. Scorro la rubrica fino a raggiungere il numero di Ryan Prescott.
Dobbiamo parlare. A casa mia alle 20.00 gli scrivo.
E, per quanto male possa fare, so che è giusto così.

Otto e dieci.
Mi avvicino alla finestra della mia stanza. Sto aspettando Ryan, ma non so cosa dirgli. Chiedergli spiegazioni? Certo, fin qui ci siamo. Ma quando dovrò chiedergli dei sentimenti che prova per me…allora sì, che farò un disastro!
E, a quel punto, dopo che avrà detto che mi ama, anche io dovrò fare lo sforzo di esprimere i miei sentimenti…Che impresa ardua! Probabilmente sverrò prima di aprire bocca, per l’emozione.
Ma ne varrà la pena, perché chiarirò le cose con Ryan.
All’improvviso la porta della mia stanza si apre con un assordante tonfo. Ryan Prescott viene verso di me a passo spedito, veloce come un fulmine. Sul volto ha un’espressione…arrabbiata. No, forse solo determinata. Ma a fare cosa?
Senza fermarsi nemmeno un attimo arriva a pochi passi da me. Lo guardo curiosa. Il problema è che non si ferma nemmeno lì.
Quando tra di noi ci sono appena tre centimetri sono convinta che ora si fermerà, e per fortuna lo fa. Anzi, ferma le gambe.
In uno scatto mi prende il volto tra le mani e, senza fermarsi, posa le sue labbra sulle mie. Ecco cosa voleva tanto fare!
E’ troppo impossibile resistergli, perciò decido che è il caso di ricambiare il bacio.
Ryan si rilassa un po’. Sposta le sue mani dal mio volto ai miei fianchi, e io gli prendo il viso tra le mani.
Sembrava bramare questo momento da chissà quanto. Gli accarezzo una guancia, lui si separa da me. Mi sorride.
- Pensavi di scampare ad una ramanzina? –gli sussurro in un sorriso.
Si stringe nelle spalle.
- Sai, ci speravo –ridacchia.
Tenendomi per mano si siede sul mio letto e mi fa accomodare in braccio a lui.
Mi bacia il collo. Rabbrividisco. Dobbiamo parlare.
- Senti, Ryan…mio padre mi ha parlato di una certa Melanie. –sussurro.
Anziché abbassarlo, alza lo sguardo e mi fissa negli occhi.
- Sua madre è morta. E’ venuta a dirmelo. Eravamo parecchio legati. Comunque sia, tra noi non c’è niente, insomma, ha quindici anni!
- Io ne ho diciotto –obietto. Sorride.
- Ma tu sei tu.
Sospiro, mi mordo un labbro.
- E perché le hai baciato il collo? –deglutisco, ancora triste.
Mi guarda confuso.
- Baciarle il collo?
Annuisco.
- No, non l’ho baciata. Le ho solo sussurrato una cosa all’orecchio. Magari da lontano hai frainteso –propone scostandomi i capelli da davanti al volto.
Ah. Ho veramente frainteso. Che idiota.
- Sul serio? –sussurro ricominciando a piangere.
- Ehi, ehi. Tranquilla. Ci sono, sono qui –mi bisbiglia stringendomi a sé.
- Scusami Ryan. Sono un idiota, come ho potuto dubitare? –singhiozzo.
- Non è che fosse facilmente interpretabile, quella scena –sorride Ryan. Mi asciuga le lacrime con una mano. Passa delicatamente un pollice sulle mie labbra.
Sorrido. Lo abbraccio.
- Mi dispiace, Shay. Non volevo farti soffrire.
Mi scosto da lui e mi sciugo le guance. Ho un altro argomento da affrontare.
- Ehm…Ryan? –borbotto –Mio padre mi ha detto anche un’altra cosa. Ha detto che non dovevo preoccuparmi perché tu mi ami più della tua vita.
Ora abbassa lo sguardo. Sospira.
- Non sono ancora pronto per questa discussione, Shay. E’ più complicato di quanto sembri.
Gli bacio una guancia.
- Ascoltami. Io sono innamorata di te. E non è una cosa leggera. Il tuo presunto tradimento mi ha distrutta. Perciò penso sia il momento per questa discussione che tu tanto temi.
Mi sorride timido.
- Prometti che non ti arrabbierai?
- Perché dovrei arrabbiarmi?
- E’ una cosa alquanto strana.
Mi stringo nelle spalle.
Ryan prende un grande respiro. Mi guarda.
- Io e tuo padre eravamo in missione. Avevamo già un ottimo rapporto. Spararono a tuo padre. Dritto poco sopra la clavicola. Lo portammo veloci all’accampamento. Mentre lo medicavano gli stringevo una mano. E mi fece giurare una cosa. Mi fece giurare di proteggerti al suo posto se non avesse dovuto farcela. E io, io gliel’ho giurato. Poi si è ripreso. E ha cominciato a leggermi le lettere che gli scrivevi. Erano allegre, spensierate. Quando eravamo soli, tuo padre mi parlava di te, di quanto eri bella, di quanto fossi incredibile. E io…io sono finito con l’innamorarmi di una ragazza che nemmeno avevo visto. –racconta.
Arrossisco. Wow. Dovrei essere arrabbiata perché ha letto le lettere di mio padre, in imbarazzo per tutte queste attenzioni o lusingata?
- Caspita –dico in un sussurro –Tu…tu già mi amavi? E io non sapevo nemmeno della tua esistenza.
Annuisce in un sorriso.
- Lasciami un po’ di tempo per assimilare –mormoro. Ryan annuisce.
Ryan mi ama. Ed è amore. Non innamoramento, ma amore.
Scatto in piedi.
- Cosa significa per te “amore”? –chiedo, quasi in tono di accusa.
Ryan mi guarda. Resta in silenzio per un po’. Poi risponde.
- Amore è quella cosa che ti fa abbassare lo sguardo quando io alzo il mio, quella cosa che ti rende felice in ogni situazione, quella cosa con le farfalle nello stomaco. Amore è baci, abbracci, parole, frasi, discorsi, discussioni, poesie. Amore è emozione, è sentimento, è vita. Amore è altruismo, sacrificio, dedizione. Amore è passione. Amore è…è la ragione per cui ti alzi la mattina e quella per cui ti addormenti la sera, il tuo primo ed ultimo pensiero ogni giorno. Amore è complicità e intesa. Ma soprattutto, amore sei tu, siamo noi.
Ryan è davanti a me, quasi sudato per il discorso appena tenuto. Lo fisso, sconcertata. Che magnifica teoria.
- Il mio amore sei tu –continua posandomi le mani sulle guance – E’ per merito tuo se sono qui, se invece di lasciarmi morire in Afghanistan o in Iraq mi sono rialzato.
Per poco non scoppio a piangere di nuovo. Salto al collo di Ryan, lo abbraccio.
Lui mi stringe a sé.
- Ti amo, Shay. –sussurra.
Deglutisco. Sono solo due parole, posso farcela. Devo farcela.
- Ti amo anch’io –mormoro in mezzo alle lacrime.
Mi stacco da Ryan, per quanto difficile possa risultare.
Mi sorride, confortato. Mi bacia di nuovo.
- Ti piacciono i cavalli, Shay? –chiede.
Annuisco, confusa. Cosa c’entrano i cavalli, ora?
- Bene. Passo a prenderti domani alle nove, pensi di essere sveglia, per quell’ora? –sorride –E mettiti i jeans, mi raccomando!
Fa per uscire dalla stanza.
- No, resta qui, ti prego! –lo supplico.
- Ma devi dormire, Shay –protesta –E, francamente, ho sonno pure io.
Sorrido.
- E chi l’ha detto che devi restare sveglio? Per favore, mamma subito parte e fa la notte in ospedale, voglio compagnia! –lo supplico come una bambina.
Sbuffa, ma sorride. Mia madre urla qualcosa dal piano di sotto, poi la porta sbatte. E’ andata da papà.
Rivolgo a Ryan un’occhiata di supplica.
Annuisce, alzando gli occhi al cielo.
Mi distendo sul letto, tanto indosso una tuta. Non fa molta differenza tra una tuta e un pigiama.
Ryan spegne la luce e si stende accanto a me, mi abbraccia.
- Come hai fatto a trovare il letto nel buio? –gli chiedo.
- Non sai che dopo un po’ di tempo passato al buio si sviluppa la visione notturna? Ce l’ha anche tuo padre –scherza lui. Ridacchio.
- Parlavo seriamente!
- Infatti la tua era una domanda molto seria ed indispensabile –mi prende in giro. Sbuffo.
- Come sei superficiale!
Ryan mi bacia il collo.
- Guarda che non era un complimento.
- Definisci “superficiale” …-chiede. Ridacchio.
- Che si ferma alle apparenze –rispondo.
- Be’, dipende dai punti di vista. Una persona superficiale può essere una persona che ama vedere solo i lati belli delle cose, che sono i primi che si presentano.
- Giusto, perché la prima cosa che vedi in un serial killer è la bontà. –commento sarcastica –il tuo ragionamento non fa una piega.
- Comunque sia –m’interrompe –Io non sono una persona superficiale. Tu, all’apparenza, sembri una ragazza dura ed insensibile. Ma io so che sei anche dolce, timida e altruista. Ed è proprio per questo che ti amo.


 

Eccoci qui!
Spiegato tutto come promesso, tutti vittime di un malinteso!
Volevo tropp bene a Prescott per rvinarlo così...xD
Che ne dite? Avreste regito diversamente da Shay? Come?
Un bacio!
emmegili
p.s. prossimamente alzerò il rating ad arancione, ma solo per sicurezza, per poter stare "larga" nella scrittura, senza dovermi preoccupare di non superare il rating^^

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Capitolo 9
*** Capitolo #9 ***


CAPITOLO 9

Suona la sveglia. La sveglia? Ah, sì. Ho l’appuntamento con Ryan.
La luce del sole filtra attraverso le tende.
Guardo l’ora. Sono le otto e un quarto. Mi siedo sul letto e mi stiracchio. Accanto a me c’è un biglietto. Lo prendo.
Ti sei addormentata prima del previsto, ieri sera. Vengo a prenderti alle nove.
Sorrido. Allora alla fine se ‘è andato appena ho iniziato a dormire, eh?
Mi alzo dal letto e vado a farmi una doccia.
Ritornata in camera, indosso i jeans, una t-shirt verde e degli scarponcini. Scendo a fare colazione. Una tazza di latte, qualche biscotto ingurgitato per forza e sono già le nove meno dieci.
Esco di casa ad aspettare Ryan. Chissà dove vuole portarmi?
In breve vedo arrivare la sua jeep nera. Scende dall’auto, euforico.
Gli vado in contro. Mi abbraccia.
- Ti fidi di me? –mi chiede.
Annuisco confusa.
- Bene. Salta in macchina, si parte! –esclama euforico.

Ryan guida per circa un’ora e mezza.
Parliamo di cose stupide, ad esempio di galline e uova.
La jeep imbocca un vialetto in mezzo alla campagna verde. Ryan si ostina a non volermi dire dove stiamo andando.
Dopo la trentatreesima volta che glielo chiedo, si limita ad accennare davanti a noi. Seguo le sue indicazioni con lo sguardo.
All’orizzonte compare un’enorme casa di legno accostata ad un lungo stabile. Degli steccati iniziano a comparire ai lati del vialetto. Dei cavalli brucano l’erba.
- Un ranch! –esclamo.
Ryan sorride soddisfatto.
- Un ranch! Un ranch! Un ranch! –continuo.
- Andremo a fare una passeggiata a cavallo, ti va?
- Se mi va? Me lo chiedi anche? –salto sul sedile euforica.
Ryan parcheggia l’auto e scende. Io lo seguo eccitata.
- Di chi è? –cinguetto.
Ryan mi prende sotto braccio sorridendo.
- Di un mio amico. E di sua moglie.
Saliamo gli scalini che portano al portico della grande casa di legno. Ryan bussa alla porta, che si apre quasi subito.
Una ragazza –avrà due anni più di me –ci sorride raggiante. E’ bellissima. I capelli ramati le ricadono morbidi sulle spalle, gli occhi scuri sembrano sorridere assieme alle sue piccole labbra.
Indossa un paio di jeans rovinati, una camicetta bianca e cappello e stivali da cowboy.
- Ryan! –squittisce abbracciandolo. Sorrido timida.
- E tu devi essere Shay, giusto? –mi chiede contenta.
- Sì, sono io. –sorrido stringendole la mano.
- Che carina. Io sono Alice. Prego accomodatevi –sorride Alice lasciandoci entrare.
Lancio un’occhiata a Ryan, ma non sembra accorgersene.
La casa, all’interno, sembra quella dei classici film western: completamente di legno, ha un arredamento in stile cowboy, con una testa di alce appesa al muro.
Io e Ryan ci sediamo sul divano verde in centro al salone.
- Arrivo subito, vado a chiamare Luke –annuncia Alice scomparendo.
- E’ la figlia? –chiedo in un sussurro a Ryan. Lui sorride.
- No, è la moglie.
- Ma avrà due anni più di me!
- Luke ha la mia età. –anticipa guardandomi.
- E perché si sono sposati così presto? –chiedo in un soffio.
Ryan si stringe nelle spalle.
- Vedrai.
Sospiro.
Nella stanza arriva un bambinetto biondo, paffuto, di circa tre anni. E’ bellissimo. Due occhioni blu mi guardano ridenti.
Corre in contro a Ryan.
- Ryan! –urla.
Ryan lo prende in braccio.
- Come va, campione? –sorride teneramente lui.
- Chi sei? –mi chiede il bimbo.
- Io mi chiamo Shay. –sorrido.
- Shay. Io sono Tommy.
Tommy mi sorride raggiante.
- Tommy, non dovevi dare una mano a papà, tesoro? –chiede la voce di Alice, che ci raggiunge.
Dietro di lei c’è un ragazzo in sedia a rotelle. Ha un bellissimo viso, dolce, abbronzato. I capelli neri, gli occhi blu. Sorride. Mi rendo conto di averlo già visto in ospedale.
- Ehilà, Prescott –esclama abbracciando Ryan.
Poi si volta verso di me.
- La figlia del capitano, vero? –sorride.
- Shailene –annuisco.
- Io sono Luke.
Sorrido. Ryan mi stringe una mano.
- Okay. Penso abbiate voglia di fare quello per cui siete venuti –interviene solare Alice.
Ryan scatta in piedi. Mi tende una mano, per aiutarmi ad alzarmi.
Seguiamo Alice fuori casa. Ci guida fino alle stalle.
- Come te la cavi a cavallo, Shailene? –mi chiede. Sorrido.
- Magnificamente.
A Ryan scappa un risolino.
- Che hai? –lo punzecchio.
- Niente, niente.
Legati fuori dai loro box ci sono due cavalli già sellati, solo da montare.
Uno è castano scuro, la criniera e la coda nere.
L’altro, un po’ più grande del primo, è completamente bianco, un occhio per colore.
Sono sellati con attrezzature da monta americana, quella dei cowboy. Ed è una fortuna, perché io so montare solo quella.
Alice si avvicina al cavallo bianco.
- Questo è Spot. –annuncia accarezzandogli il collo –Chi lo vuole?
Alzo una mano. Ryan sorride abbassando lo sguardo.
- Il mio lato infantile è semplicemente più raggiante del tuo –gli schiamazzo –Io non facevo finta di essere Superman, da piccola.
Alice ci lascia ai cavalli. Dice che deve andare a preparare il pranzo, ma che ci aspetta per cena. Quindi la nostra cavalcata durerà per tutto il giorno.
Io e Ryan portiamo i cavalli fuori dalla stalla, saltiamo in sella ed imbocchiamo un sentiero laterale alla casa.
- Comunque non mi piacevano, i supereroi. –bofonchia Ryan tenendo le redini del cavallo con una mano sola –Piuttosto giocavo a fare il poliziotto. E ammazzavo gli assassini.
La sua voce ritorna fredda, e mi sento un’idiota.
- Scusa per prima, proprio non ci ho pensato –mormoro.
Attorno a noi iniziano a comparire degli alberi, stiamo entrando in un bosco. L’erba è quasi sempre più alta, accompagnata da qualche fiore colorato di tanto in tanto.
- Figurati. Per quanto pessime siano, hai diritto di fare delle battute anche tu –ghigna. Sbuffo.
- Quindi Alice e Luke si sono sposati perché lui è in sedia a rotelle? –chiedo.
- No. Non hai visto quanto si amano, come si guardano l’un l’altra? Non è che una sedia a rotelle annuncia una morte, Shay. Eravamo in missione assieme quando ha perso le gambe, povero ragazzo.
- Quindi non è stato a causa dell’incidente? –chiedo stupita –Ma l’ho visto in ospedale!
- Certo, era venuto a vedere come stavamo.
- E comunque, no. Non avevo fatto caso al modo in cui si guardavano. Me ne ricorderò stasera a cena –sorrido.
Ryan ricambia.
- Però sono giovanissimi per avere un bimbo di quell’età. E’ come se io, ora, avessi un bambino. E’ inconcepibile.
- Non ti piacciono i bambini, Shay?
- Sì, certo che sì! Io adoro i bambini, ma ora non vorrei averne uno. Comunque Tommy ti vuole tanto bene, avresti dovuto vedere in che modo si sono accesi i suoi occhi quando ti ha visto. Si è illuminato.
Ryan sorride. E’ di poche parole, oggi.
Cavalchiamo ancora un po’, fino ad un laghetto circondato da sassolini colorati. Un piccolo molo di legno entra nel lago.
- Ti piacciono tanto i laghi? –chiedo a Ryan legando il cavallo ad un albero. Lui si stringe nelle spalle e si siede accanto all’acqua, i piedi nudi bagnati da qualche corrente vagabonda.
Mi siedo accanto a lui; mi cinge a sé con un braccio.
- Ryan, posso chiederti una cosa?
Mi guarda.
- Certamente.
- Mi racconti un po’ di te? Della tua storia? Perché tutti hanno una storia.
Lui sospira. Con il braccio libero lancia un sasso nel lago.
- Sono nato nel Texas ventuno anni fa. Mia madre era commessa in un supermercato della zona e mio padre un mandriano. Poco dopo che compii quattro anni, arrivò mia sorella, Jacqueline o Jackie che sia. Mio padre era un alcolista, spesso se la prendeva con mamma e spesso la picchiava. Ma io ero troppo piccolo e innocente per capire. Credevo che se mia madre non se ne andava voleva dire che le stava bene. E poi, quando io avevo otto anni e mia sorella appena quattro, mio padre uccise mia madre al culmine di una lite. Fui io a chiamare la polizia, sconvolto. Vivemmo con nostra nonna fino a quando non compii diciotto anni, dopodiché ottenni la custodia di Jackie e ci trasferimmo qui in California. Ero già arruolato nell’esercito quando, un anno dopo, venne investita da un tir. Era tutto quello che mi era rimasto. Ero solo. Solo come un cane. Poi in missione conobbi tuo padre e la mia vita iniziò a riprendere la giusta strada.
- Non hai avuto un’infanzia molto semplice… -borbotto carezzandogli il braccio –Almeno hai trovato il tempo di imparare a nuotare, Prescott?
Sorrido complice. Mi tolgo gli scarponcini.
- Certo –esclama.
Scatto in piedi ed inizio a correre verso il molo. Chissà in preda a quale istinto, Ryan mi segue.
Correndo a perdifiato mi sfilo la maglietta e la getto a terra. Tentando di non inciampare lancio via anche i jeans.
Rimasta in biancheria intima raggiungo il limite del molo e mi tuffo in acqua.
E’ calda, tiepida. Riemergo e noto che Ryan mi fissa divertito dal molo.
Lo guardo scettica.
Inizia a ridere e si sfila camicia e pantaloni, poi si tuffa.
L’acqua mi schizza in faccia. Quando riemerge me lo trovo davanti.
- Per un momento ho pensato non ti tuffassi, fifone –lo prendo in giro.
Si avvicina e mi prende il viso tra le mani.
- Mai sottovalutare Ryan Prescott –sorride baciandomi.


Salve gente!
Anzitutto mi scuso per questo ritardo madornale, ma avevo perso l'ispirazione...-.-'
Francamente non sono contentissima di questo capitolo, ma era uno di modi migliori che visualizzavo per una full-immersion nel passato di Prescott.
Che dite?
Un bacio,
emmegili

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Capitolo 10
*** Capitolo #10 - Fine ***


CAPITOLO 10

-Tuo padre torna a casa! Tuo padre torna a casa! –canticchia mia madre in cucina. Sorrido guardandola dal divano.
Sta organizzando un mega cenone per stasera: mio padre verrà dimesso. Gli invitati sono Jenny e i suoi genitori, Ryan e qualche vecchio amico di mio padre.
Io e Ryan daremo ufficialmente l’annuncio della nostra relazione. Sarà bellissimo. Devo solo chiarire le cose con Jenny, perché sono già passati cinque giorni dal nostro “litigio”. A dire il vero, io l’ho aggredita, poverina.
Però non posso abbandonare ora mia madre: mancano poche ore alla cena e devo aiutarla con i preparativi. Chiamerò Jenny e poi le ripeterò le mie scuse stasera di persona.
- Mamma, faccio una chiamata e arrivo.
- Certo, tesoro –cinguetta lei.
Salgo in camera e prendo in mano il cellulare. Avvio la chiamata sedendomi sul letto.
- Pronto? –sento la sua voce.
- Ciao, Jenny. Sono io.
- Sì, lo so. Cosa ti serve?
- Un minuto del tuo tempo. So che per telefono non fi aggiusta niente, ma ora non ho tempo di venire da te…sai, i preparativi per stasera…comunque, volevo chiederti scusa, Jen. Mi sono comportata malissimo, non ti meritavi un trattamento simile.
- Lo so, Shay. Però anche io non mi sono comportata bene. Sono tua amica, dovrei aiutarti, non metterti nei casini. Mi dispiace tanto!
- Oh, se solo fossi qui! Ti racconterei tante di quelle cose…
- Be’, tu non puoi venire qui, ma io posso venire da te. La cena è fra qualche ora, posso darvi una mano.
- Che bell’idea! Allora ti aspetto!
- A dopo!
Chiudo la telefonata e corro al piano di sotto.
- Mamma!
- Sì, cara?
- Viene Jenny. Dobbiamo parlare, ma dopo possiamo aiutarti coi preparativi. –spiego.
- Oh, d’accordo. Tovaglia rossa o bianca?
- Mm…direi bianca. Comunque, mamma, sono solo le quattro, la cena è alle otto!
Mia madre fa un gesto di noncuranza. In fondo, so che sarà puntuale come sempre.
Faccio per salire le scale, ma mi blocca.
- Ah, tesoro?
La guardo. E’ cosparsa di farina su ogni dove.
- C’è qualcosa tra te e Ryan? O la prima uscita che avete fatto è stata l’ultima?
Mentire. Mentire per mantenere la sorpresa.
- No, è solo che non abbiamo molto in comune. E’ stata un’uscita amichevole, tutto qui. Siamo…amici. –spiego. Che bugiarda. Non potevo essere più Pinocchio di così.
Assume un’espressione delusa. Mi acciglio.
- Ma è un così caro ragazzo! –protesta –E poi tuo padre lo adora! Sai come sarebbe difficile trovare un altro ragazzo che gli vada a genio?!
- Andiamo, mamma! –esclamo correndo alla porta. Jenny ha suonato il campanello.
Apro la porta.
- Shay! –piagnucola Jenny abbracciandomi. La stringo.
- Ciao, Jen. –mormoro –Andiamo in camera mia.
Io e Jenny passiamo davanti alla cucina. Mia madre urla un saluto alla mia amica, che ricambia.
Ci buttiamo sul mio letto, una volta entrate nella stanza.
- Jenny, per una volta lasciami parlare senza interrompermi. –esordisco.
- Okay.
Mi siedo a gambe incrociate.
- Innanzitutto, mi dispiace tantissimo, non avrei dovuto aggredirti così, mi sento un cane. Ma ho come l’impressione che tu mi abbia già perdonata.
Jenny fa per parlare, ma la blocco. Altrimenti perderò il filo del discorso.
- In secondo luogo, l’argomento è Ryan.
Inizio a parlare a mitraglia e le racconto tutto, ogni cosa, dell’equivoco, del bacio, della sera in cui è restato con me e della cavalcata; anche di Alice, Luke e Tommy, del fatto che fossi la sua speranza quand’era in guerra, che fosse già innamorato di me da tempo.
Quando smetto di parlare lei non dice nulla, rimane zitta e mi fissa.
- E stasera annuncerete la vostra relazione. –conclude. Annuisco.
- Ma…insomma, pensi che sia una cosa seria? –mi chiede.
Deglutisco.
- Io…io credo di sì.
- Ma cosa ne sarà del tuo sogno? Dell’università? Come pensi di gestire queste cose?
Abbasso lo sguardo. Studio come una forsennata da anni, e il mio intento è quello di terminare l’università al più presto. Perché? Perché voglio fare l’avvocato, voglio diventare un bravo avvocato e voglio farlo in fretta. Lavorerò per un’agenzia a Los Angeles e mi trasferirò. Pura utopia, ma è un’utopia che inseguo dalle scuole medie. Come farò a mantenere una buona relazione con Ryan se sarò occupata dallo studio, se dovrò viaggiare e ad un certo punto trasferirmi? Jenny ha ragione, sarà dura. E poi Ryan di sicuro vorrà ripartire in missione. Come farò? Come faremo? Tra poco più di un mese ci saranno gli esami e la consegna dei diplomi, poi, università. Così, subito. Come farò? Come faremo?
- Hai ragione, Jen –mormoro desolata.
- Sai che ti dico? Goditela fino a fine scuola, poi tu e Ryan vedrete. Io sono pessimista, questo si sa. E so anche avere una forte influenza sugli altri, anche questo è risaputo. Sii felice, Shay! Vivi la vita, non preoccuparti per i miei pensieri. Sai anche tu che non ho mai ragione.
Le sorrido. Mi ha allo stesso tempo messa al corrente della realtà e consolata.
- Hai ragione, Jen –ripeto.
- Perfetto. E, adesso, prepariamoci –sorride, complice. Forse dovrei preoccuparmi, ma non lo faccio.

Guardo l’orologio sul polso di Jenny. Otto e un quarto. Sono tutti al piano di sotto, lo sento. Sudo freddo. La mia migliore amica ha voluto che indossassi un elegante abito nero. Tremo solo al pensiero di quando dovrò comunicare a Ryan le mie paure e a tutto il resto degli invitati la nostra relazione. Devo vederlo. Ma Jenny mi ha imposto di non uscire dalla mia stanza, così ora aspetto che abbia finito di prepararsi nel mio bagno.
Esce frettolosa. Indossa un semplicissima gonna e una maglietta.
- E perché io sono vestita così? –sbraito. Lei alza gli occhi al cielo, poi esce dalla stanza. Rimango immobile, confusa. La sento sgridare qualcuno, poi Ryan compare al suo posto.
Chiude la porta e ci si appoggia, stremato.
- Ma come fai a sopportarla? –mi chiede.
Indossa giacca e cravatta, è proprio elegante. Mi si avvicina.
- Allora, sei pronta? –mi sorride.
- Ryan, dobbiamo parlare –mormoro. Lui mi guarda preoccupato.
- Il mio sogno è quello di debuttare a Los Angeles come avvocato –inizio.
- Questo lo so.
- Sì, ma…come faremo? Mi trasferirò, seguirò gli studi, viaggerò! Tu ritornerai in missione! Come faremo a gestire tutto questo, Ryan?
Lui mi prende il viso tra le mani, quasi sconcertato.
- Ce la faremo, il nostro amore supererà ogni singola cosa, Shay. Perché è di amore che stiamo parlando.
Gli sorrido.
- E poi ci trasferiremo vecchi e doloranti in una casetta nel Texas e guarderemo i nostri nipoti giocare. –continua in un sorriso sghembo.
Sorrido ancora. Gli do un bacio fugace.
- Grazie –sussurro.
Scendiamo di corsa le scale. In soggiorno sono radunate una quindicina di persone. E poi lo vedo. Mio padre su una sedia a rotelle, in disparte a chiacchierare col padre di Jenny.
Non so cosa mi passi per la mente, ma gli corro letteralmente addosso, lo abbraccio.
- Oh, papà!
Lui mi stringe, ridacchiando.
- Shay, tesoro…
Mi separo da lui, tutti che mi fissano.
- Salve, gente! –saluto impacciata. Gli ospiti scoppiano in una fragorosa risata.
Mi rivolgo a mio padre. Improvvisamente, mi ricordo che lui sa qualcosa di me e Ryan. Impallidisco.
- Sei bellissima, tesoro –sussurra ammirandomi.
- G…grazie, papà.
Mia madre arriva in salotto, portando un altro vassoio di antipasti.
- Ehm, scusate! –urla Jenny –Gente! Un attimo di attenzione!
So cosa sta per fare e le lancio un’occhiata disperata.
Mi ignora deliberatamente e sale su una sedia per attirare l’attenzione. Gli ospiti si zittiscono e la guardano curiosi.
- Che c’è, Jenny cara? –le chiede mia madre.
- Shailene deve fare un annuncio! –esordisce.
Mi avvicino a Ryan, tentando di sembrare indifferente.
- Non so di cosa tu stia parlando, Jen –rispondo a denti stretti.
- Oh, non essere…non essere te, per una volta! –protesta –Altrimenti lo dico io!
Guardo Ryan, allarmata. Lui sorride.
- Gente, l’annuncio lo faccio io al posto suo! –esclama.
Gli ospiti rivolgono lo sguardo su di lui, ancora più confusi e curiosi. Tento di sorridere, ma mi sa che la mia assomiglia più ad una smorfia.
Il silenzio diventa assordante.
- Io e Shailene stiamo insieme –annuncia cingendomi la vita con un braccio. Mi sento mancare i sensi. L’ha detto. L’ha detto!
Tutti restano in silenzio.
- Era ora! –urla poi mio padre. Strabuzzo gli occhi, poi gli applausi iniziano a circondare le mie orecchie, assieme ad urla, fischi ed esclamazioni.

Un mese e mezzo dopo…

Guardo la scuola davanti a me, poi tutte le persone che, come formiche, si muovono ansiose avanti e indietro.
Mia madre mi si avvicina brontolando e mi infila la tunica dall’alto, poi mi mette il cappello.
- Su, tesoro, muoviti! –mi esorta.
E’ il giorno dei diplomi. Poi farò un passo avanti verso il mio sogno. Ciò significa anche che ho esaurito il tempo con Ryan, ora tutto diventerà più difficile.
Entro nella sala dove sarà tenuta la cerimonia e mi siedo al mio posto.
Sono troppo agitata per rendermi conto del tempo, così quando chiamano il mio nome devono ripeterlo più volte.
Arranco fino al palco, arraffo il rotolo di carta, stringo la mano al preside e, impacciata, torno al mio posto. Sono un disastro totale!
Lancio un’occhiata dietro di me, vedo mia madre piangere e mio padre stringerle la mano, accanto a Ryan che mi guarda e sorride beffardo.
Gli faccio una smorfia, e lui sorride.

Finita la cerimonia mi ritrovo sommersa da parenti, amici, amici di parenti e parenti di amici.
Pacche sulla spalla, abbracci, strette di mano e congratulazioni.
Una mano mi prende il braccio e mi tira in disparte. Ryan.
Gli sorrido.
- Congratulazioni, avvocato –mi sussurra. Posa le sue labbra sulle mie, e mi bacia come se fosse la prima volta. Vorrei precisare che non sono ancora un avvocato, ma lascio perdere: a chi importa?
Quando si stacca dal mio viso, mi sorride triste.
- Devo dirti una cosa.
- Dimmi.
Mi guarda negli occhi.
- Mi hanno chiesto di fare ancora otto anni nelle armi. Missioni divise da licenze di più o meno giorni, poi sarò libero.
-Ah.
Lo sapevo, lo sapevo. E allora perché mi prende tanto di sorpresa?
- Ce la faremo, vero? Staremo insieme per sempre, vero? –chiedo con gli occhi lucidi.
- Certo che ce la faremo, siamo un avvocato e un super soldato, che timori hai? –ride.
Sorrido anche io.
- E poi?
- Poi cosa?
- E poi cosa faremo?
- C’è tempo per il poi, viviamo il presente.
- Giusto, viviamo il presente.

Nota dell'autrice:
Ciao!
Ho deciso di terminare la storia con un numero tondo di capitoli, ma non preoccupatevi: ho concluso presto perchè ho già in mente un sequel che spero tutti voi seguirete...Sarà una storia più seria, promesso, come prometto che ne pubblicherò il primo capitolo lunedì^^
E' stato bellissimo leggere le vostre recensioni, che mi hanno accompagnato durante tutto questo viaggio.
Vi voglio bene,
emmegili

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