A little party never killed nobody

di papavero radioattivo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo primo ― ❛ a little party never killed nobody ❜ ***
Capitolo 2: *** capitolo secondo ― ❛ sette proiettili e dieci bossoli ❜ ***



Capitolo 1
*** capitolo primo ― ❛ a little party never killed nobody ❜ ***


Note d’Autrici.

Piccolo appunto prima di cominciare: il capitolo inizia con un articolo di giornale che abbiamo deciso di mettere in .jpg nella storia. Nel caso stiate aprendo la fan fiction dal cellulare o da un altro apparecchio che non vi permetta di leggere l’immagine con chiarezza, seguite questo link.

Ci scusiamo per il disagio e ci rivediamo a fine capitolo!

  papavero radioattivo

 

 


 

c a p i t o l o p r i m o

 

A little party never killed nobody

So we gon’ dance until we drop, drop

A little party never killed nobody

Right here, right now’s all we got

A LITTLE PARTY NEVER KILLED NOBODY

 

 

 

 

 

 


Hiashi svuotò velocemente il bicchiere pieno di liquido ambrato, accartocciando il foglio di giornale e gettandolo nel camino accanto a lui.

«Ci mancava solo questa» borbottò, versandosi altro liquore nel cristallo sotto gli occhi del fratello, stanco di sentirlo lamentarsi, «Ora inizieranno ad incolparci tutti!» e con tre lunghi sorsi mandò giù anche il secondo bicchiere di whiskey. Prima che potesse servirsi nuovamente, Hizashi afferrò la bottiglia trasparente e la mise tra lui e il figlio. Neji fingeva di non seguire la conversazione e fissava il fuoco, i bordi della carta di poca qualità annerirsi e scomparire velocemente, assieme alle parole del giornalista.

«Dovresti preoccuparti di meno» proferì Hizashi, sospirando e accendendosi una sigaretta, «Tanto noi non c’entriamo, no?».

«Certo che no» borbottò l’altro. accavallando le gambe e rivolgendosi al fuoco come il nipote, «Non siamo quel genere di famiglia». I suoi occhi sembravano continuare a ripetere quelle parole: non siamo quel genere di famiglia. Hizashi sospirò, passandosi una mano sul viso, massaggiandosi la base del naso mentre Hiashi tornava ad agitarsi sulla poltrona. «Facilmente reperibili nelle megaville di Peconic Bay» disse il più grande, ripetendo le parole del giornale, sibilando le lettere tra i denti come se dovesse nasconderle, «Ce l’hanno con noi, Hizashi, te lo dico io» e si alzò preoccupato, iniziando a camminare avanti e indietro per la sala, scandendo il tempo con il rumore dei passi pesanti con cui scavava il pavimento «Secondo te non avranno pensato “sono stati gli Hyuuga!”?» continuò.

«Sei troppo preoccupato» lo ammonì il gemello, e Neji sospirò d’accordo con il padre.

«E tu troppo poco!» sbottò all’improvviso, appoggiando la mano sullo schienale del divano occupato dagli altri due, facendo rabbrividire Neji. Si sentiva di troppo, come se lo zio non volesse parlare apertamente in sua presenza. Aspettò che si allontanasse, ritornando a camminare per la stanza, prima di guardare il padre e chiedergli silenziosamente di andarsene.

La scelta sembrò giovare a tutti quanti. Prima di chiudere la porta della sala, sentì Hiashi sospirare e Hizashi invitarlo a sedersi accanto a lui, mentre con la coda dell’occhio osservava il padre servire da bere al fratello.

Il 1922 si prestava essere un anno lunghissimo, e l’inverno sembrava più freddo che mai.

«Va tutto bene di là?».

Hinata gli si materializzò davanti come un fantasma, perfetta come la ricordava. Non la vedeva da qualche mese e ora che si era recato con il padre a Long Island, trovarla così cresciuta gli sembrava quasi impossibile. «Da quanto tempo» le disse, quasi sorridendo, mentre lei gli si avvicinava per stringerlo in un abbraccio, aveva le mani morbide e fredde. Ricambiò la stretta, allontanandola  e porgendole il braccio per invitarla a camminare con lui.

Hinata aveva dei modi di fare molto antichi, quasi Vittoriani, forse era questo che la rendeva così delicata, così fuori dal mondo.

«Allora?» riprese a parlare, «Che succede in sala?».

«Tuo padre sta dando i numeri per quello che è successo dagli Inuzuka» mormorò conducendola in un’altra stanza con lunghe e ampie vetrate che davano sul giardino innevato, «Con tutto il rispetto» concluse poi, lasciando che lei si sedette sul divanetto.

Hinata non sembrò felice della notizia, abbassò le palpebre e arricciò le labbra, nascondendo le mani nelle maniche della giacca, «È solo molto nervoso» tentò di giustificarlo, ma nemmeno lei sembrava convinta.

«È troppo nervoso» concluse lui. Neji si accorse presto quanto lui assomigliasse a suo padre e quanto poco Hinata sembrasse figlia di Hiashi. «Non mi sorprenderei a sapere che non ha chiuso occhio, stanotte» suppose lui, estraendo dalla giacca un portasigarette, offrendone una alla cugina che rifiutò graziosamente con un cenno del capo.

«Infatti» annuì Hinata, perdendosi negli alberi spogli oltre le finestre, come se cercasse di scappare da quella conversazione.

«Tu non eri alla festa, ieri?» chiese all’improvviso. La vide sussultare e poi bloccarsi, come se l’avesse colta a fare qualcosa di tremendamente sbagliato.

«No, no» scosse la testa, «Mio padre voleva che fossimo tutti qui ad aspettare il vostro arrivo» continuò, girandosi a guardarlo. Sembrava la versione femminile di se stesso, e la cosa lo metteva a disagio – aveva una paura folle di assomigliare a lei, di avere punti deboli così visibili come quelli di Hinata, di essere un finissimo vaso di ceramica pronto a rompersi al primo soffio di vento.

«Pensavo che Hiashi avrebbe fatto le cose in grande stile, quest’anno» commentò passandosi una mano tra i capelli, aspirando nuovamente dalla sigaretta, «E invece non ha fatto nessuna festa per capodanno».

«Le cose non sono andate molto bene con gli altri membri della famiglia, Neji» lo ammonì lei, con una forza nella voce che quasi lo stupì, «Lo sai» continuò, «Hoheto e gli altri non hanno ancora superato certe… divergenze» concluse.

«Giusto» borbottò lui, «Le divergenze».

«Non parlarne come se fosse una lite tra bambini, Neji» continuò lei, quasi indispettita, «Sai benissimo che è una cosa seria».

«Io lo so» ribatté lui, premendo la sigaretta contro il posacenere con una tale forza da distruggerla quasi interamente, «Sei tu che non dovresti sapere nulla, e invece sai molto più di quanto ti dovrebbe essere concesso».

Hinata sospirò, appoggiandosi allo schienale del divano e stringendosi la base del naso, esattamente come faceva il padre di Neji. Il ragazzo le si avvicinò, sfiorandole la mano, «Perché non sei andata alla festa, cugina? Tu adori le feste» le disse, cercando di avere un tono più comprensivo, quasi dolce.

«Mio padre non voleva» borbottò, «C’erano anche gli Uchiha» e si raddrizzò, aggiustandosi le pieghe dei pantaloni, «Dice che portano solo guai».

«Beh» Neji si alzò, infilandosi le mani in tasca, camminando lentamente per la stanza alla ricerca dei liquori, «Aveva ragione, a quanto pare».

Mentre si versava da bere, la porta della stanza si spalancò e Hizashi, con il volto stanco ma rilassato, sorrise ai due giovani, avvicinandosi al figlio e passandogli un braccio attorno alle spalle, «Vieni con me dal barbiere, Neji?» chiese, facendo roteare il bastone da passeggio mentre il ragazzo sorseggiava quel poco di liquore che era riuscito a mettersi nel bicchiere.

«Quel barbiere?» chiese, appoggiando il cristallo sul mobilio, «Da Jiraya, intendi?».

Hinata si girò di colpo, appoggiandosi allo schienale del divano, quasi curiosa.

«Da Jiraya» annuì Hizashi, lasciando il figlio e avviandosi verso la porta. Si fermò di colpo, puntando il bastone contro il divano, e quindi ad Hinata, «Vuoi venire anche tu, Hinata?» e le sorrise, «A tuo padre andrà sicuramente bene, non preoccuparti».

La ragazza non se lo fece ripete due volte, «Vado a cambiarmi, ci metto cinque minuti!» e si alzò velocemente dal divano, scivolando via dalla stanza e salendo le scale per dirigersi verso la propria camera. 

 

 

Le ballerine si muovevano a ritmo di musica davanti ai suoi occhi stanchi, annebbiati dalla notte trascorsa in bianco ad asciugare le lacrime di sua madre, e a sopportare le grida di suo padre.

Sasuke portò fiaccamente la sigaretta alle labbra, aspirando una boccata di fumo mentre il ragazzo davanti a lui continuava a blaterare cose che non voleva sentire, parole al vento che non venivano assimilate dalla sua testa, troppo impegnata ad osservare il trio che aveva appena messo piede nel locale.

«Mi stai ascoltando?» la voce di Naruto lo riscosse un attimo, facendolo sussultare, «Ti ho chiesto come sta tua madr―».

«Ci sono gli Hyuuga» lo interruppe lui con un cenno del capo, indicando la primogenita del suo vicino di casa, «Hanno anche il fegato di farsi vedere in giro» aggiunse, ma questa volta quello distratto sembrava essere il suo migliore amico.

Non sarebbe dovuto andare a parlarne con lui, sarebbe stato meglio restarsene in casa, con la polizia e il pianto straziante della moglie di Itachi.

Sospirò finendo la sigaretta, accartocciandola malamente nel posacenere prima di tornare a fissare un punto vuoto e distante in quel locale ricolmo di ricchi sfondati, che provavano a fuggire dalle nuove stupide leggi proibizionistiche.

Era assolutamente certo che loro c’entrassero con la scomparsa di suo fratello, che il Signor Hyuuga – di certo non direttamente – aveva deciso di giocare colpi ben più bassi a suo padre, e che dalle semplici liti per qualche superficiale discordanza tra famiglie si fosse arrivati a rapimento di persona.

La cosa che non riusciva a capire era il perché: Che cosa ci avrebbero guadagnato?

Nulla, almeno che non avessero chiesto un riscatto.

Almeno che suo fratello non fosse già morto. Almeno che non avessero tolto di mezzo il primogenito ereditario del patrimonio di famiglia. In quel caso il prossimo sarebbe stato lui.

Niente più Uchiha, niente più rivali in Borsa.

Naruto lo guardò sconvolto e confuso, «Oh, andiamo!» esclamò, poggiando un po’ troppo violentemente il bicchiere sul tavolo, «Non puoi credere che siano stati loro» ammise, comunicandogli ufficialmente che non lo avrebbe avuto di certo dalla sua parte.

Che be migliore amico, affidabile.

«Ma tu da che parte stai, scusa?».

Naruto si strinse nelle spalle fingendo di pulire il tavolo, così da non essere ripreso dalla donna bionda che si aggirava dietro il bancone, «Dalla tua, ovviamente» rispose, infilandosi lo straccio bianco nel grembiule, «Ma non hai prove per accusarli, e non le ha nemmeno la polizia» spiegò.

«Naruto!» la voce autoritaria di Tsunade li interruppe, «Stai di nuovo procrastinando» lo ammonì, e il ragazzo si irrigidì di colpo, sforzandosi di sorridere.

«Arrivo subito!» affermò convinto, lanciando un’occhiata di scuse a Sasuke, «Ne parliamo più tardi, quando ho finito» gli mormorò, e poi si allontanò verso altri tavoli.

Sasuke sospirò svuotando in fretta il bicchiere, sistemandosi la giacca elegante sulle spalle. Aveva ben altro a cui pensare, altro da fare, e restare in quel speakesay avrebbe solo aumentato l’ansia di sua madre, e la rabbia di suo padre.

Lanciò un ultimo sguardo al tavolo a cui si erano accomodati i tre membri di quella famiglia che lui sapeva essere colpevole, il modo disinvolto e tranquillo con cui bevevano e fumavano, l’eleganza della ragazza che aveva visto più volte passeggiare nel giardino, al di là del lago, e i suoi occhi puntati su Naruto.

I due avevano una relazione segreta, non era la prima volta che Sasuke la vedeva – anche da sola – in quel posto decisamente poco adatto ad una donna del suo ceto sociale.

Probabilmente suo padre non lo sapeva.

Si alzò dalla seggiola recuperando il cappello, passando dal bancone e lasciando i soldi a Tsunade che, con un occhiolino, lo salutò, «Porta le mie condoglianze a tua madre» gli disse, e poi tornò ad urlare contro i suoi camerieri mentre lui si avviava a risalire il sottoscala di quel negozio.

Era strano che una donna come Tsunade, ultima discendente di una famiglia ricca, si fosse sposata un uomo come Jiraya e si fosse chiusa in una cantina, a gestire un blind tiger illegale.

Non tutti sapevano della sua doppia vita, e sua madre era una di quelle che fortunatamente non sapeva.

Salì in macchina e mise in moto, preparandosi psicologicamente per affrontare l’interrogatorio della polizia.

Non ne poteva più dei pianti, non ne poteva più di sentire gli agenti parlare di morte presunta.

Non c’era nessun cadavere, nessun corpo, e questo bastava a tenere accesa quella fiammella di speranza nel suo cuore.

Guidò fra i boschi della baia, e quando attraversò una serie di fattorie si rese conto di aver sbagliato strada e che, sovrappensiero, la sua memoria motoria lo aveva portato dove era solito passare la maggior parte del tempo.

Accostò in mezzo agli alberi, davanti a quel cottage sporcato dalla neve, caduta durante tutta la notte. L’altalena in giardino si muoveva da sola, smossa dal vento, la stessa su cui aveva visto per la prima volta quella bellissima ragazza dondolarsi avanti e indietro, stringendo un libro fra le mani.

Spense l’auto mentre una tenda bianca si scostava appena dalla finestra, e ancora prima che aprisse la portiera l’ingresso si aprì, e lei si precipitò fuori, avvolta in una coperta.

Si fermò sugli scalini in legno, lo sguardo rassicurante e fermo mentre lui si avvicina e si lasciava abbracciare.

Non le disse nulla, e lei nemmeno, si limitò a farlo entrare, a farlo accomodare sul divano, sotto il tocco di quelle dita che gli sistemavano delle ciocche ribelli.

«Ti aspettavo da quando l’ho saputo» gli mormorò lei, sfiorandogli la guancia con la punta delle dita.

«Ho la polizia che alloggia stabilmente in casa, Sakura» spiegò, stringendola un poco per la vita. Voleva andare da lei da quando l’aria nella villa si era fatta viziata, da quella mattina, ma non gli era stato permesso di uscire.

«Ho immaginato» la sua voce era il calmante di cui aveva bisogno, quel posto sicuro e tranquillo in cui avrebbe voluto restare fino alla fine dell’indagine.

Lei non chiedeva niente, sapeva che non lo avrebbe fatto. Chiuse gli occhi poggiando la tempia sulla sua spalla, cercando di riposare, ripetendosi all’infinito che Itachi era vivo, e che se la polizia non lo avrebbe cercato, allora lo avrebbe fatto lui.

 

 

 

 

 

 

 

Note d’Autrici.

Beh, benvenuti a tutti quelli che sono giunti fino a qui! ♥

Siamo sempre noi – per chi ci conoscesse già, e siamo tornate con un’altra AU, ma questa volta più storica e meno commedia romantica, se vogliamo l’altro nostro progetto “Colla” in questo modo.

Sappiamo che che questi ruggenti anni venti sono un po’ misteriosi per tutti, perché a scuola si studiano molto blandamente, e quindi si sa solo che esisteva il proibizionismo, che sono gli anni del Jazz e del Charleston, che il grandissimo Francis Scott Fitzgerald ha scritto The Great Gatsby (che è anche un bellissimo film con il nostro amato Leonardo DiCaprio ;__;), che nel 1929 crolla Wall Street… e fondamentalmente finisce qui. In tutti i casi, ci sembrava un periodo storico molto interessante in cui fiondare i nostri protagonisti, e quindi ne abbiamo approfittato.

L’AU nel 1920 ci frullava già in testa, ma abbiamo avuto l’illuminazione definitiva per questa storia dopo aver ascoltato circa cinquanta volte A little party never killed nobody che, appunto, è anche il titolo della fan fiction (e del capitolo, per questa volta, sì), scoperta perché all’interno della colonna sonora di The Great Gatsby. E così è nato questo giallo in versione Naruto.

Abbiamo pensato, per prima cosa, di trasporre le famiglie più importanti di Konoha e farle diventare i “ricchi” di questo tempo. Abbiamo dovuto riadattare anche le età e alcuni eventi dell’opera originale, infatti i personaggi si aggirano tutti sui vent’anni e alcuni che dovrebbero essere già morti sono ancora in vita (e sono già morti, vedasi Itachi). Infine, abbiamo cercato di intrecciare una trama soddisfacente (si spera anche per voi) attorno a questo splendido scenario dell’America degli anni 20, usando come ambientazione Long Island e, in particolare, Peconic Bay.

Gli speakeasy erano locali nascosti nelle cantine e nei sottoscala dei negozi (come i barbieri), vendevano illegalmente alcolici ed erano soprannominati anche blind tiger, o blind pig.

Per quanto riguarda gli Hyuuga e gli Uchiha, abbiamo mantenuto viva questa loro eterna rivalità per chi è il più bello, il più bravo, il più ricco, quello che ha i capelli più belli, e cose del genere – come aveva detto Kishimoto agli inizi del manga. Nonostante faranno la loro comparsa quasi tutte le famiglie, il focus si manterrà molto su Hyuuga e Uchiha, un po’ meno sugli Yamanaka e gli Inuzuka, quasi per niente sugli Aburame (ci dispiace per i fan di Shino!).

Alla fine dei conti, abbiamo Hinata e Sasuke che fanno parte dell’alta società, Sakura che è andata a studiare a New York e abita in un cottage in mezzo alle ville dei ricchi e Naruto che, poveraccio, lavora come cameriere nello speakeasy. Cosa importante: dato che non sarà una storia molto lunga, abbiamo deciso per motivi di trama di dare per scontato che tutti i protagonisti si conoscessero e che Naruto, Sakura, Sasuke e Hinata sapessero delle relazioni segrete che hanno gli uni con gli altri.

Insomma, è la prima storia del genere che scriviamo, e speriamo che tutto risulti chiaro a tutti con l’avanzare dell’intreccio. Ci impegneremo un sacco ad essere chiare e vedremo che ne sarà.~

Finché non finiremo di scrivere tutti i capitoli, pubblicheremo ogni tre settimane (quindi ci rivediamo il 18 agosto). Quando la storia sarà conclusa, intensificheremo le pubblicazioni.

Queste note sono uscite troppo lunghe, accidenti a noi!

 

Alla prossima!

  papavero radioattivo

 

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Capitolo 2
*** capitolo secondo ― ❛ sette proiettili e dieci bossoli ❜ ***



 

c a p i t o l o s e c o n d o

 

I don’t know what you do, but you’re unbelievable

I don’t know how you get over, get over

Someone as dangerous, tainted and flawed as you

SETTE PROIETTILI  E DIECI BOSSOLI  

 

 

 

 

 

 

Shikamaru si sfilò la sciarpa dal collo, appoggiandola malamente sul bancone. Di fianco a lui, Sai provvedeva a nascondere il blocco degli appunti nella giacca e Choji richiamava l’attenzione di una delle bariste.

«Guarda chi si vede» la voce di Temari arrivò pungente alle sue orecchie, strappandolo dalla stanchezza che lo aveva improvvisamente avvolto dopo la terza nottata in bianco per colpa del caso Uchiha. «L’Ispettore Nara e i detective, eh?» e si appoggiò al tavolo con un gomito mentre puliva un bicchiere dall’aria pesante, «Che vi porto, ragazzi?».

«Un caffè, grazie» sorrise Sai, tamburellando sul bancone, Choji si appoggiò a lui e indicò con le dita il numero due.

«Tre caffè» esordì Shikamaru, estraendo dalla tasca del pantaloni un pacchetto di sigarette, offrendole ai compagni, che non rifiutarono. Prima che potesse rimetterle via, Temari allungò le dita rovinate e dal detersivo e sfilò l’ultima stecca, infilandosela dietro l’orecchio.

«Tre caffè ai signori al bancone, arrivano subito» ridacchiò, facendo l’occhiolino a Shikamaru prima di allontanarsi per andare a preparare le tazze.

Choji mugugnò, tenendo il gomito sulla spalla di Sai, «Quando ti rubo io l’ultima sigaretta t’incazzi sempre però».

«Almeno lei la fuma davvero» rispose Shikamaru, passando l’accendino agli altri due, per poi allungarsi dall’altra parte del bancone a recuperare un posacenere libero, «Non fa come te che ne fumi metà e poi la butta via».

Sai ridacchiò, «O semplicemente è perché non vi staccate gli occhi di dosso» disse provocante, alludendo alla loro quasi-non-più-riservata relazione, e Choji rise.

«Non siamo qui per questo» borbottò Shikamaru, agitando la sigaretta con la mano.

Choji sospirò, «Secondo me sei troppo stressato, Shikamaru» suggerì, e di fianco a lui Sai annuiva vigorosamente.

«Faccio solo il mio lavoro, a differenza di voi due» provocò l’Ispettore, e Choji lo guardò offeso.

«I vostri caffè» li interruppe Temari, facendo scivolare sul bancone le tazze dei due detective, posando con più delicatezza quella di Shikamaru davanti al cliente. Poi, prima di andarsene, si guardò a destra e a sinistra, sorrise all’Ispettore ed estrasse dalla tasca del grembiule una piccola boccetta, stappandola e versandone il contenuto trasparente nella tazzina.

«Non dovresti fare questo davanti ad un agente della polizia» le sussurrò Shikamaru, sfiorandole la mano.

«Ci sono un sacco di cose che non dovrei fare davanti ad un agente della polizia, ma le faccio comunque, no?» sorrise, «E poi tu sei quello degli omicidi, non quello dell’alcol illegale», un altro cliente la chiamò dall’altra parte del bancone e lei fuggì prima che Shikamaru potesse risponderle.

«Hai l’aria stanca, comunque» commentò Sai, interrompendo il continuo cozzare dei cucchiaini contro la ceramica spessa delle tazzine, riprendendo il discorso di prima.

«Asuma mi tiene alla centrale quasi tutta la notte» borbottò Shikamaru, aspirando dalla sigaretta e passandosi la mano sugli occhi. Era davvero stanco, e il fatto che fosse svogliato di natura e pigro non aveva niente a che vedere con il suo desiderio di toccare il cuscino, e rimanerci attaccato per le prossime dodici ore.

«E ci vai anche stanotte?» domandò l’altro, che si era già scolato la sua dose di caffeina.

«No, oggi no» sospirò Shikamaru.

«Quindi mi posso aspettare un invito a cena, Ispettore Nara?» Temari comparse nuovamente davanti a loro, scuotendo il ragazzo dal torpore che minacciava di farlo crollare sul bancone ogni minuto che passava, «Magari semplicemente passo io da te, agente» propose poi, comprendendo la mole di lavoro che gravava sulle spalle del fidanzato.

«Va bene» assentì semplicemente, finendo il proprio caffè, lasciando che la ragazza recuperasse le tazzine vuote e andasse a lavarle.

«A quanto pare il tuo superiore è un altro, eh, Ispettore?» cantilenò Choji.

«Avete parlato con i presenti alla festa?» domandò Shikamaru, spostando l’attenzione da sé al vero motivo di quella riunione: il caso Uchiha.

Sai tossicchiò, aggiustandosi la giacca, «Le foto sono da sviluppare» commentò, iniziando a parlare con quel suo tono professionale che colpiva tutti, alla polizia, «Abbiamo interrogato quelli della città che sappiamo erano alla festa: liceali, universitari, c’era pure qualche marinaio, figurati…».

«E gli Uchiha» aggiunse Choji.

«E gli Uchiha» gli fece da eco Sai, «Così come tutti quelli della baia, c’era pure una dei Senju» informò, «In tutti i casi i loro sospetti ricadono sono sugli Hyuuga, dubitano fortemente delle altre famiglie di Peconic Bay».

«Oh, sì!» si intromise Choji, «Il vecchio Uchiha era furioso, non ti dico! Continuava a dire che Hiashi era un figlio di puttana e che lui e la sua famiglia non sanno fare altro che reagire male alle cose» annuì, incrociando le braccia, «Non l’ho mai visto perdere così tanto la pazienza. Ha detto più insulti Fugaku in questi tre giorni che Asuma in tutti gli anni di servizio che ha fatto fin’ora». 

Shikamaru sospirò, spegnendo la sigaretta nel posacenere e ignorando tutte le notizie futili che gli avevano dato, «E con gli Hyuuga ci avete parlato?».

«Asuma ha detto che voleva farlo di persona dopo aver esaminato a fondo tutte le prove» commentò Choji, «Per avere qualcosa con cui metterli in difficoltà, aveva detto».

Sai sospirò, «Il Capo si sta impegnando un sacco per questo caso, vero?».

Shikamaru storse le labbra, «Diciamo che impegnarsi a fondo è la cosa migliore che il Capo del Dipartimento possa fare, se si tratta di una delle famiglie di Peconic Bay» spiegò, e questo bastò a tutti per capire cosa intendesse, «In tutti i casi Asuma non ha niente in mano per incastrarli» mormorò a voce alta Nara, «Quindi quando andrà da loro farà un buco nell’acqua, anzi, è probabile che faccia andare fuori di testa Hiashi».

«Hiashi è sparito dalla circolazione» pensò Choji a voce alta, «Dici che sta tramando qualcosa?».

Shikamaru sospirò, «Dico che sta cercando di controllarsi. Lui non esce di casa, ma il fratello, il nipote e la figlia sono stati visti da Jiraya».

Choji batté una mano sul tavolo, «Quel posto non è ancora chiuso! Non dovrebbe essere chiuso?» chiese, ma la sua domanda non ricevette risposta. 

«Ma Asuma ci andrà comunque» Sai si chinò sul bancone, appoggiando i gomiti su questo, «Così come ha detto che avrebbe parlato con tutte le famiglie della baia. Ha già parlato con gli Inuzuka, nonostante sia successo in casa loro, non sembrano essere i colpevoli…».

«E di Aburame e Yamanaka non si sospetta minimamente» disse Shikamaru.

«Alla fine sembra davvero che siano stati gli Hyuuga» concluse Sai, consapevole di non poter sostenere la sua tesi con nessuna argomentazione, «Se non troviamo nulla per incastrarli e dichiariamo scomparso Itachi cosa succede?».

«Che Fugaku si arrabbierà moltissimo» mormorò, dannandosi di aver lasciato che Temari prendesse l’ultima sigaretta.

«Ma tutto quello che abbiamo detto lo sapevi già!» s’intromise Choji, «Perché ce lo hai fatto raccontare?».

«Di solito quando lo dice un’altra persona riesco a cogliere un qualche particolare che mi è sfuggito, ma questa volta niente».

Sembrava che il vento avesse ucciso e rubato Itachi Uchiha.   

 

 

Sakura si portò il bicchiere alle labbra, fissando il suo fidanzato percorrere il soggiorno avanti e indietro, continuando a blaterare cose riguardo agli Hyuuga.

Sapeva che quella non era una semplice visita di cortesia, lo aveva capito da come si era precipitato in casa senza neanche salutarla, ignorando completamente il fatto che erano tre giorni che non si faceva vedere o sentire.

Non era venuto per vedere lei, o per cercare conforto dopo che la polizia aveva dichiarato la presunta morte di suo fratello.

«Non lo hanno cercato» disse, accendendosi poi un’altra sigaretta, l’ennesima, oramai aveva perso il conto di quante ne avesse fumate da quando aveva incominciato a camminare ininterrottamente davanti al camino. «Mio padre ha chiesto che fossero fatti degli interrogatori agli Hyuuga, ma hanno risolto tutto in due giorni» continuò, aspirando dal filtro e bloccandosi davanti a lei, fissandola come se potesse vederle attraverso.

Stava praticamente parlando da solo, non valeva nemmeno la pena di aprir bocca.

«Sono sospettato anche io, lo sai?» chiese retorico, lasciandosi andare poi in un’amara risata, aspirando un’altra boccata di fumo.

Sarebbe andato fuori di testa se avesse continuato così.

Sakura gli prese il polso, strattonandolo un poco verso il basso per invitarlo a sedersi accanto a lei. Gli tolse il cappello, posandolo sul tavolino, e poi gli lasciò in mano il bicchiere del whiskey, accarezzandogli la guancia.

«Hai mai pensato al fatto che forse non siano stati gli Hyuuga?» gli domandò, e in un secondo lo sguardo del ragazzo mutò, diventando ancora più pensieroso.

Non voleva fare la pianta grane, ma non capiva perché tutti avessero immediatamente pensato a loro. Certo, sapeva dell’eterna rivalità di quelle due famiglie, in due anni aveva imparato che ogni scusa era buona per vederli discutere e azzuffarsi, ma non le sembravano il genere di persone in grado di fare una cosa simile.

Sasuke si spense per qualche secondo, lasciando che la sigaretta morisse fra le sue dita e il liquore oscillasse un poco nel bicchiere. Lui non sapeva dell’esistenza di nessun nemico di suo padre al di fuori di Hiashi Hyuuga, ma questo non significava che non ce ne fossero.

«E se il bersaglio fosse stato un altro?» parlò poi, fissando la legna che scoppiettava nel camino, «Ma non avrebbe senso, perché altrimenti non avrebbero portato via il corpo» si rispose da solo, cercando di fumare la sigaretta oramai spenta.

«Quindi volevano lui» la voce di Sakura fu seguita dal suono dell’accendino che scattava, «Forse per un ricatto, mi sembra la cosa più logica e plausibile» aggiunse, alzandosi dal divano e sistemandosi la maglia bianca nei pantaloni lunghi a zampa larga, «O per un regolamento di conti».

«E questo ci riporta agli Hyuuga», tutto urlava la loro colpevolezza, a partire dal fatto che il giorno prima lui e Itachi avevano rotto una finestra della loro villa giocando a polo.

Suo padre non li aveva difesi, ovviamente, ma aveva discusso a lungo con il Signor Hyuuga anche per quello.

Non era un movente credibile, però.

«Se fossero stati loro lo avrebbero già trovato» la voce di Sakura era sicura e dolce, si vedeva che non voleva contraddirlo, stava solo cercando di farlo ragionare. «Avete sentito gli spari venti minuti dopo la mezzanotte, e poi il rombo del motore di una macchina che si allontanava» spiegò, fissando l’enorme e vecchia cartina di Long Island che aveva sopra il camino. Era lì da quando l’aveva conosciuta, e forse anche da prima, probabilmente non aveva cambiato nulla dell’arredamento di quel cottage che aveva affittato per poter studiare e lavorare a Brooklyn. «Se avessero voluto che nessuno li sentisse avrebbero potuto farlo allo scoccare della mezzanotte, durante lo spettacolo pirotecnico» continuò, la mano poggiata sul fianco mentre continuava ad osservare la cartina, «Quindi volevano che qualcuno sentisse la macchina allontanarsi dalla casa degli Inuzuka».

Sasuke si illuminò, «Così la polizia avrebbe messo dei posti di blocco sulle strade attorno alla villa, lasciando scoperto il mare sulla baia», aveva senso, mentre li cercavano sulla terraferma, loro si nascondevano fra la nebbia di Peconic Bay.

«Ma setacciare la baia richiede tempo» gli fece notare lei, girandosi a guardarlo, «E mi dispiace dirtelo, ma da futuro medico posso dire che su dieci bossoli sono stati ritrovati solo tre proiettili, e se era ferito probabilmente sarà gi―».

Sasuke sbatté il pugno sul tavolo, bloccandola prima che potesse concludere la frase, «Non dirlo» la sua voce non era irritata, piuttosto rotta e ferita da quel pensiero realistico, «È vivo…» mormorò, cercando di ricomporsi subito dopo, scostandosi indietro alcune ciocche ribelli.

«Va bene…» lo assecondò, voltandosi di nuovo verso la mappa geografica, «Supponiamo che questo individuo avesse conoscenze mediche e che lo abbia medicato» disse, recuperando una penna e dei fogli, incominciando a scrivere, «Se hanno portato via il corpo, di sicuro era ancora vivo, e quindi non lo hanno colpito in dei punti vitali» continuò, mentre la penna scorreva sul foglio. «Quindi…» aggiunse, aprendo uno dei cassetti del mobile in legno che costeggiava il soggiorno, estraendone un sacco di cianfrusaglie prima di sorridere soddisfatta, trovando quello che stava cercando. Aprì la scatolina di metallo che stringeva fra le mani, e ne estrasse degli spilli da cucito, puntando il foglietto contro la cartina, esattamente sopra la villa degli Inuzuka. «Sette proiettili, dieci bossoli, la macchina, e la presenza del sangue» ricapitolò velocemente, «Se fossero stati gli Hyuuga bisognerebbe perquisire la loro barca, o perquisire tutte quelle della baia» gli fece notare mentre lui si alzava, avvicinandosi a lei, «Ma noi non possiamo farlo, è sfortunatamente illegale, e l’ultima cosa che voglio è essere arrestata, fatico già a studiare così, figurati dietro le sbarre» scherzò, cercando di strappargli un sorriso con scarsi risultati. Gli sfiorò il dorso della mano, lentamente, salendo verso l’osso del polso, «Potresti parlare alla polizia, convincerli a cercare nella baia, e intanto indagare sui nemici di tuo padre» gli consigliò con un sorriso mentre lui intrecciava le dita con le sue, stringendosela piano al petto.

«Grazie…» le mormorò, scostandole una ciocca di capelli dietro le orecchie.

«Ci saresti arrivato anche da solo se non avessi avuto la mente annebbiata dagli Hyuuga» ridacchiò poggiandogli la mano sul petto, allungandosi sulle punte dei piedi per sfiorargli le labbra con le sue, «Ma adesso dovresti andare, prima che la polizia lasci casa tua e ti tocchi andare fino a New York».

 

 

Naruto posò i due bicchieri sul tavolo assieme alle olive e si avvicinò ad Hinata, aiutandola a togliersi di dosso la pesante giacca. La lasciò sedersi, osservandola mentre si sfilava i guanti, delicatamente e lentamente, fissando il ghiaccio scintillare nel cristallo, mosso dalle onde del whiskey. Sembrava distratta almeno quanto lui – non aveva nemmeno tutti i torti, in realtà.

Fece strisciare la sedia e si accomodò di fianco a lei, estraendo dalla tasca il pacchetto accartocciato di sigarette e tirandone fuori due, poggiandole sul tavolo. «Speravo tu venissi, in realtà» confessò lui, prendendo una delle due stecche e accendendosela, afferrando poi il proprio bicchiere con la mano libera, facendo oscillare il liquore al suo interno prima di sbuffare fuori il fumo e bere un sorso.

«Lo sai che sarei venuta» sorrise lei, raddrizzando la sigaretta che lui le aveva offerto sul tavolo, prima stringere il bicchiere tra le dita, «E poi…» continuò a voce più bassa, tenendo lo sguardo sul ghiaccio, «Volevo vederti».

Naruto non la biasimava: con tutto quello che era successo, era normale che Hinata volesse parlare con qualcuno che, almeno secondo lei, le dava fiducia. E lui le credeva, assolutamente, sapeva che Hinata non avrebbe mai impugnato una pistola, se non fosse stata costretta. Se dubitava, dubitava del resto della sua famiglia, di suo padre e degli altri numerosi Hyuuga sparsi per New York e per l’America.

«Hanno provato ad uccidere Jiraya, stanotte» disse tutto d’un fiato, bevendo poi dal bicchiere e sospirando. Aveva passato una notte d’inferno e le urla di Tsunade gli facevano ancora male alla testa – meno male che lei aveva lavorato negli ospedali dopo la guerra e che quel vecchio avesse la pellaccia. Ci mancava che finissero anche loro sui giornali per una pallottola alla spalla. «Hanno sparato due volte e colpito una» la informò.

Hinata si irrigidì, lasciò il bicchiere e prese la sigaretta, cercando l’accendino nella borsetta Naruto la precedette ed estrasse i fiammiferi dalla tasca, accendendole la stecca. La vide inspirare e cercare di rilassarsi, appoggiandosi allo schienale della sedia.

«Non sei stata tu, lo so» borbottò il biondo, storcendo le labbra, «Cioè, è ovvio che non sia stata tu di persona. Volevo dire che non credo sia stata la tua famiglia…».

La ragazza aspirò e le sue spalle si mossero, prese da un brivido minuscolo, «Non siamo stati noi» sussurrò, appoggiando la sigaretta sul posacenere, girandosi poi  a guardare Naruto, «Credimi Naruto, non siamo stati noi» e allungò una mano a sfiorare quella di lui.

Le dita di Hinata erano gelide, «Lo so» sussurrò, e girò la mano per stringere quella di lei nella sua, «Jiraya non ha cattivi rapporti con gli Hyuuga» constatò, accarezzandole il piccolo anello con il diamante che tiranneggiava sul suo indice.

«Chi può essere stato?» domandò, afferrando nuovamente la sigaretta con la mano libera, «Forse aveva dei nemici che hanno approfittato della scomparsa di Itachi per provare ad ucciderlo…» propose.

«Le cose non sono collegate, dici?».

«Forse no…» mormorò, «Il caso di Itachi era così… perfetto, capisci cosa intendo? Neanche un’impronta o un libro fuori posto… da quello che mi hai detto, invece, l’omicida non aveva neanche una buona mira» concluse, e si zittì con un sorso di whiskey.

«Hai ragione» annuì Naruto, guardandosi attorno come se potesse trovare qualche indizio sul colpevole nello speakeasy vuoto.

«Ora sta bene?».

«Ora sta bene» e accennò un sorriso rassicurante.

Hinata inspirò un ultima volta dalla sigaretta, spegnendola poi nel portacenere, «Credo di dover andare, ora, Naruto» gli disse a malincuore, facendo scivolare la sua mano lontana da quella di lui, prendendosi il cappotto per indossarlo.

«Aspetta, ti aiuto» propose, togliendole da mano la mantella per aiutarla. Nel farlo, le sfiorò il collo con la punta delle dita e dovette stare attendo a non rovinare il complesso intreccio di boccoli che aveva sul capo. «Mi piacciono i tuoi capelli» le sussurrò, appiattendole il collo di ermellino per lasciarle un bacio sul collo, dove la pelle sembrava fatta di porcellana.

Il respiro caldo di Naruto la fece rabbrividire. I suoi modi di fare rendevano tutto difficile, tremendamente. «Io sono venuta qui per chiederti, da parte di mio padre, di fare da servizio catering alla sua festa…» borbottò lei, cercando di concentrarsi su qualcos’altro che non fosse Naruto così vicino.

«Certo che saremo noi» disse, vicino al suo orecchio, «Siamo sempre stati noi a fare da camerieri ed intrattenitori alle feste di tuo padre» e si allungò in avanti, sfiorandole la guancia con le labbra.

«Anche con Jiraya ferito?» Hinata non resistette, trattenne il respiro mentre si girava verso Naruto, senza dargli più le spalle. Appoggiò le mani sul suo panciotto, seguendo con le dita i segni delle cuciture. Naruto era bellissimo e Hinata sapeva di potersi fidare di lui, che lui l’avrebbe sempre protetta e sarebbe sempre stata dalla sua parte.

«C’è la nonna Tsunade» affermò convinto, sorridendo, «E poi ci sono io. Jiraya veniva alle feste solo per fare baldoria» e si chinò a lasciarle un bacio sulle labbra, prima di lasciarla andare via.     

 

 

 

 

 

 



 

Note d’Autrici.

 

Siamo tornate! Ci scusiamo per il ritardo, ma ci siamo prese una vacanza anche nel mondo delle fanfiction, giusto per riposare per bene e tornare belle cariche. Non c’è molto da dire, in realtà. Speriamo che i personaggi risultino comunque IC, soprattutto se si tiene conto che l’ambientazione e alcuni avvenimenti (i genitori di Sasuke sono vivi, per esempio)  influiscono in maniera piuttosto pesante sul carattere dei personaggi. Di certo un Sasuke senza il massacro, è un Sasuke meno introverso. O almeno, noi la vediamo così. Ai tempi era un bambino solare che aveva una venerazione per il fratello, e di certo se non ci fosse stato il massacro non sarebbe impazzito. Per quanto riguarda il fumo, può sembrare che stiamo promuovendo la vedita di tabacchi,  ma all’epoca chiunque fumava, e abbiamo deciso di tenere anche questo piccolo dettaglio del periodo storico.

Per il resto speriamo che sia tutto chiaro, e che la trama vi incuriosisca.

Grazie a tutti quelli che hanno recensito, risponderemo appena possibile! E grazie anche a chi ha inserito la storia fra le seguite.

Siete dei bellissimi cupcakes. ~

 

Alla prossima!

  papavero radioattivo

 

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