Verdementa di Fiamma Drakon (/viewuser.php?uid=64926)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una coppia complementare ***
Capitolo 2: *** Gigli dichiarativi ***
Capitolo 3: *** Nina French ***
Capitolo 4: *** Appuntamento sotto le stelle ***
Capitolo 5: *** Un triste addio ***
Capitolo 1 *** Una coppia complementare ***
Verdementa 1_Una coppia complementare
Una coppia complementare
Il sole di
mezzogiorno brillava alto nel cielo senza nuvole della prateria. I suoi
raggi caldi e luminosi illuminavano l’erba alta, donandogli un
colore acceso e brillante. La giornata serena metteva di buonumore.
Nell’immensa distesa
d’erba nulla si muoveva, tranne tre figure che procedevano
lentamente, spossate dalla calura del mezzogiorno.
A capo dei tre, camminava una
ragazza alta e pallida, con lunghi e ondulati capelli color cremisi che
le circondavano il viso per poi scenderle in morbide ciocche sulle
spalle e arrivarle fino al bacino. Le sopracciglia erano coperte da
alcuni ciuffetti di capelli che le ricadevano sulla fronte a mo’
di frangia. Le sue iridi erano tinte d’una magnifica
tonalità di rosso che le faceva somigliare a piccole fiammelle
innocue.
Indossava una canotta nera
aderente, un paio di jeans scuri strappati alle ginocchia e, nascoste
da una grossa risvolta alla fine dei pantaloni, portava un paio di
consunte scarpe da ginnastica bianche. I pantaloni erano sostenuti in
vita da una sbiadita cintura marrone, alla quale era fissata una
catenella d’argento che spariva poi nella tasca sinistra dei
jeans.
Aveva un’andatura ed un
portamento decisi, le spalle dritte. Pareva essere il classico tipo di
ragazza che non andava contraddetta per nessuna ragione al mondo.
Più che camminare, sembrava che stesse marciando verso una meta
che desiderava raggiungere al più presto.
Subito dietro di lei
camminava una bizzarra armatura che la superava in altezza di circa
venti centimetri. Dalla sommità della testa gli spuntava un
lungo pennacchio bianco che gli arrivava poco più giù
delle spalle, sulle quali erano fissati due pezzi di metallo dai quali
spuntavano tre punte ciascuno.
Pareva essere fatta di ferro, forse acciaio.
Rispetto alla ragazza, camminava con molta più calma. Pareva, al contrario di lei, un tipo tranquillo.
Molto più indietro di
loro, camminava un ragazzo abbastanza... basso. Niente a che vedere con
gli altri due suoi compagni di viaggio. Era alto forse un metro e
cinquantacinque, massimo uno e sessanta. Il viso era circondato da due
lunghi ciuffi di capelli biondi lasciati fuori dalla treccia che
raccoglieva il resto della capigliatura. Fra l’attaccatura dei
due ciuffi di capelli, se ne stava un capello ribelle, lievemente
piegato.
Le palpebre erano calate quasi per metà sugli occhi, nascondendo un poco le grandi iridi color oro liquido.
Indossava un giubbino nero
con il bavero rialzato a coprire una parte del collo e provvisto di
zip, un paio di pantaloni, anch’essi neri, fermati in vita da una
cintura di cuoio marrone, dalla quale pendeva una sottile catenella
d’argento, la cui fine era nascosta nella tasca destra dei
pantaloni e un paio di stivaletti, neri con le suole rosse,
dall’imboccatura larga con uno spacco sul davanti, che si
restringevano in corrispondenza delle caviglie, in modo che non si
sfilassero. Sopra a tutto, indossava una lunga giacca rossa che gli
arrivava fino alle ginocchia, dietro alla quale era disegnata una croce
nera avvolta da un filo nero che si ricongiungeva poi con la punta del
braccio in basso della croce. Alle mani portava un paio di guanti
bianchi.
Camminava piano, con le spalle ricurve, trasportando una valigia.
In realtà,
l’unico ad essere fiaccato dalla calura del mezzogiorno era
proprio lui, il giovane Edward Elric, l’Alchimista
d’Acciaio. Suo fratello minore Alphonse e Fiamma parevano non
accorgersi neppure del caldo soffocante che pressava l’aria
circostante.
Il biondo sbadigliò.
- Si può sapere quanto
manca ancora prima di raggiungere la prossima città? Non so voi,
ma io inizio ad avere fame... -
Silenzio. Sembrava che né Fiamma né Alphonse gli prestassero attenzione.
- Ti pareva che non si
lamentasse un po’...? - mormorò la ragazza fra sé e
sé, alzando gli occhi al cielo.
- Ed è sempre il solito! Quando imparerà a sopportare in silenzio? - pensò Alphonse, spazientito.
- Mi state ascoltando?! EHI! - esclamò Edward, irritato.
Fiamma si voltò di
scatto, paonazza. - ABBIAMO CAPITO, MA A NESSUNO DI NOI INTERESSA!!! -
urlò, fuori di sé.
Edward parve rimpicciolirsi
ancora di più sotto quello sguardo che sembrava d’un
tratto una vampata di fuoco pronta ad incenerirlo.
Lei ne aveva fin sopra i
capelli delle sue lamentele. Non perché fossero stupide, anche
se lo erano, ma per il semplice fatto che in appena due giorni di
viaggio lei e Alphonse si erano dovuti sorbire circa una cinquantina di
lamentele diverse da parte di Edward. Ormai tenere il conto era
diventato il loro miglior passatempo durante le lunghe giornate di
viaggio. Lei e Al si divertivano a rammentarsele la sera, prima di
dormire, quando Edward era già nel mondo dei sogni.
Quando si fu accertata che il biondo avesse capito il messaggio, si voltò e riprese il cammino.
- Alchimista d’Acciaio
un corno! Pensavo che avesse una maggior resistenza ai lunghi viaggi...
Alphonse mi aveva detto che avevano viaggiato tanto prima che ci
incontrassimo, ma non pensavo che lui potesse avere una pazienza tale
da poter sopportare il tappo d’acciaio e le sue noiose lamentele
per tre anni. Forse aspira a diventare santo, perché di questo
passo lo diventerà di certo! Sicuramente fare da “angelo
custode” all’Alchimista d’Acciaio non è
un’impresa tanto facile, impulsivo ed energico
com’è! Manderebbe fuori di testa chiunque abbia la sua
stessa pazienza. Alphonse, invece, è di tutt’altra pasta:
benché sia il fratello minore, si comporta come se fosse il
più grande dei due e in effetti, forse è meglio
così. Immaginarsi Edward nei panni del fratello maggiore fa
un’impressione... -. Immersa nel proprio flusso interiore, la
ragazza pareva non essersi resa conto che, alle sue spalle, Edward e
Alphonse avevano iniziato a chiacchierare.
- Secondo te a cosa
starà pensando? - mormorò Edward a bassa voce. - Non
so... è concentrata... - gli rispose Alphonse. - Bah... valle a
capire le femmine... - bisbigliò il biondo facendo spallucce. Il
suo stomaco iniziò a brontolare. - Che fame... - esclamò
in tono lamentoso. Be’... era un po’ difficile dargli
torto, anche se per Al non era una questione degna di attenzione, nelle
sue condizioni. Nonostante tutto, l’ultima volta che si erano
fermati per mangiare era stata due giorni addietro, prima di partire.
Durante il viaggio poi, Edward e Fiamma si erano accontentati di poco.
Ora che erano vicini ad una qualche città, il biondo era di
nuovo preda della fame.
Alphonse non gli rispose.
- Ragazzi! Ci siamo! Siamo
arrivati! -. Le parole di Fiamma riecheggiarono nel subconscio di
Edward con una forza tale che ebbe timore che il petto avrebbe vibrato.
Erano davvero finalmente giunti alla meta, per quanto ignota e
indefinita?
- Finalmente mangerò qualcosa di decente! - urlò Edward saltellando.
- Ti pareva... sempre il
solito... - mormorò Alphonse fra sé. Fiamma aveva
iniziato a correre. Era incredibile quanta energia potesse ancora avere
in serbo quella ragazza, dopo due estenuanti giorni di cammino senza
tregua. Edward, al settimo cielo, le corse dietro saltellando.
Al, rimasto indietro, si
affrettò a raggiungerli, per evitare di perderli di vista: era
incredibile la percentuale di probabilità che quei due avevano
di combinare casini se lasciati da soli anche per pochissime frazioni
di secondo.
Correre nell’erba alta
della prateria era davvero un’impresa, ma riuscirono a farsi
strada fino a che non furono nei pressi della città. Attorno
alla periferia, l’erba era tagliata a formare un cerchio perfetto.
Entrati nel raggio del
cerchio, i tre si avvicinarono. La prima cosa che li colpì
furono i fiori. Non fiorellini di campo, margherite eccetera, ma un
vero e proprio giardino botanico. Tutti i fiori che erano possibili da
immaginare, probabilmente erano tutti lì. Le mura delle case
erano di un caldo e vivace color crema. Alle finestre, vicino alle
porte, sui balconi, decine, centinaia, migliaia di fiori. Addirittura
ad una delle prime case i tre notarono una parete di gelsomini lunga
quasi un metro, che scendeva giù da un balcone. Poi,
c’erano rose, garofani, papaveri e chi più ne ha
più ne metta. Insomma, più che una città, pareva
una ricostruzione piuttosto ben riuscita del giardino dell’Eden.
All’imboccatura della
strada che conduceva nella città, c’era un’arcata
non molto spessa di marmo bianco. Le colonne che la sorreggevano erano
avvolte da tralci d’edera. Sulla parte superiore
dell’arcata, era riportato il nome della città: Lilium.
- Alla faccia della piccola cittadina di campagna! - esclamò Edward, meravigliato, guardandosi attorno.
- Che bella città allegra... - aggiunse Fiamma, sorridendo.
Percorsero la strada fino ad
arrivare in una grande piazza, al centro della quale c’era una
grossa fontana di marmo circondata di rose rosse. All’intorno,
era stato allestito un mercato: c’era chi passeggiava
tranquillamente osservando le bancarelle, chi faceva la spesa, chi si
fermava a discutere. Dava l’impressione di una tranquilla
città campagnola.
Fiamma si voltò verso i due Elric.
- Allora... ci fermiamo un
po’ qui? - domandò. Lo stomaco di Edward brontolò.
- A me va bene! - rispose immediatamente il biondo. Alphonse
annuì.
- Bene, allora non ci rimane
altro da fare che trovare un albergo e sistemare le nostre cose
lì... poi mangiamo, così Ed si mette l’animo e lo
stomaco in pace e poi decideremo cosa fare... okay? -. Il prospetto non
dispiacque a nessuno. Senza aggiungere altro, Fiamma si avviò
verso il centro della piazza.
Edward, Fiamma e Alphonse
passarono la mezz’ora successiva a cercare un albergo. La ricerca
fu un po’ difficile inizialmente, dato lo scarso orientamento in
quel posto sconosciuto, ma alla fine ci riuscirono.
Presero due camere e sistemarono i bagagli, dopodiché pranzarono, con somma gioia di Edward.
Dopo pranzo, uscirono e
girovagarono per la piazza. Di tanto in tanto, Fiamma si fermava ad
osservare qualche fiore dalle tinte forti, soprattutto
l’attiravano quelli rossi: aveva sempre avuto un debole per tutto
ciò che era di quel colore. Nero e rosso erano i suoi colori
preferiti e, soprattutto, le piaceva lo stridente effetto dei due
colori messi insieme.
Più tardi, i tre si spinsero un po’ fuori della piazza.
Mentre percorrevano
un’ampia strada alla periferia sud della città,
incrociarono un tratto di fiume. Il sole risplendeva sulla superficie
liscia dell’acqua cristallina e il suo riflesso mandava chiari
bagliori sulla riva coperta da un sottile strato di erba verdeggiante.
Qua e là, la superficie del fiume era punteggiata da ninfee dai
colori sgargianti.
Fiamma si avvicinò
estasiata al ciglio della strada, oltre il quale correva un dolce
pendio erboso che conduceva alla riva del fiume.
- Che bello! - esclamò
lei, scendendo giù. - Fiamma torna indietro! - la chiamò
Edward, ma lei non gli diede ascolto: si sedette a gambe incrociate sul
prato ad osservare l’acqua. Il biondo sbuffò, spazientito,
prima di raggiungerla assieme ad Al.
- Fiamma... andiamo? - chiese
il ragazzo, impaziente. - Che fretta hai? È ancora presto... non
abbiamo creature alchemiche alle costole e nessuno ci sta aspettando.
Dai, Ed... rilassati... è da tanto che non ci concediamo un
po’ di tempo insieme, no...? - rispose lei con calma. Lui
s’irrigidì e avvampò improvvisamente. Alphonse,
alle sue spalle, osservava la scena divertito: era da tanto che non
vedeva suo fratello così imbarazzato. Ovvio: Fiamma era una
ragazza diretta, forse anche più di Edward. Il suo concetto di
"eufemismo" era ben diverso da quello delle persone normali.
Imbarazzato al massimo,
Edward si sedette accanto a lei e unì la sua mano sinistra a
quella destra di Fiamma. Il sole fece risplendere di un singolare
scintillio la mano della ragazza: a scintillare era stato
l’argento dell’anello con rubino che lei portava
all’anulare destro. Non era un anello da gran signora: la
montatura era semplice, senza nessun ghirigoro arzigogolato. Pareva un
piccolo serpente d’argento, nella cui testa stava incastonato un
piccolo rubino. Quella era la prova tangibile del loro affetto,
ciò che li teneva uniti come un legame invisibile e
indissolubile.
Alphonse rimase in disparte
ad osservarli: era incredibile come quei due potessero stare
così bene insieme. Lui testardo e impulsivo, lei autoritaria e
responsabile: si bilanciavano l’un l’altra. Anche se spesso
litigavano, andava sempre a finire che si dimenticavano il motivo della
disputa e tornavano uniti come prima. La loro non era una relazione a
livello fisico, ma piuttosto a livello psicologico: erano l’uno
il complementare dell’altra, come se fossero nati al solo scopo
di completarsi.
Alphonse non poté fare
a meno di ripensare a quando quella relazione era nata e alle
novità che aveva portato con sé. Erano stati momenti che,
a distanza di così tanto tempo, ricordava ancora perfettamente.
Si sedette a fissare i due in silenzio.
Pian piano, scivolò nei ricordi e ritornò con la mente a due mesi prima, quando tutto ebbe inizio...
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Capitolo 2 *** Gigli dichiarativi ***
Verdementa 2_Gigli dichiarativi
Gigli dichiarativi
Era da poco sorto il sole.
Central City era ancora
addormentata, mentre le prime luci dell’aurora iniziavano a
illuminare il cielo da dietro le montagne.
Il giorno precedente si era
concluso l’esame annuale per guadagnare il titolo di Alchimista
di Stato: su cento candidati, solo cinque erano riusciti a conquistare
tale titolo. Una fra questi era Fiamma Drakon, alla quale era stato
assegnato il soprannome di Alchimista Cuorardente, per il segno nero e
rosso, simile ad un foro da arma da fuoco, che aveva in
prossimità del cuore.
Quella mattina, Edward si
risvegliò madido di sudore, il battito del cuore accelerato,
come se avesse corso la maratona dei cento chilometri. Erano già
cinque notti consecutive che sognava Fiamma e la cosa iniziava ad
infastidirlo, dato che il sogno terminava sempre con lei e lui in abiti
nuziali davanti al colonnello Mustang nei panni del prete. Le
possibilità erano solo due: o stava impazzendo o dietro
all’amicizia con la ragazza c’era qualcosa di più...
profondo. La seconda ipotesi era sopraggiunta qualche notte prima,
quando si era ritrovato a sognarsi in spiaggia con lei, in
un’atmosfera davvero romantica.
Le notti di incubi gli
gravavano addosso come macigni e influivano non poco sul suo aspetto:
quando andò in bagno a sciacquarsi il viso, nello specchio
vide riflesse due occhiaie paurose che gli cerchiavano gli occhi,
facendolo somigliare ad un morto vivente. Dopo essersi sciacquato il
viso, si sentiva un po’ più sveglio. Doveva esserlo:
quella mattina avrebbero preso un treno per le regioni ad ovest di
Central City. Si asciugò e, fra uno sbadiglio e l’altro,
si vestì. Era incredibile quanto il sonno arretrato lo facesse
sentire stanco. Quando si fu vestito, fece per avviarsi verso la porta,
ma si fermò. Si voltò verso il letto e ci si
sdraiò sopra. Lentamente le palpebre iniziarono a farsi pesanti.
Stava ormai per cadere nuovamente addormentato quando la porta si
aprì con uno schianto.
Edward sobbalzò e si
mise ritto in piedi. Alphonse si alzò e spostò la sua
attenzione alla ragazza ferma sulla porta. Fiamma era già
vestita di tutto punto e fissava Edward senza sbattere le palpebre,
sorpresa.
- Che cos’hai da
guardare?! - chiese il biondo irritato. - Sei sicuro di stare bene? Hai
delle occhiaie spaventose! - disse la ragazza. Edward si zittì,
offeso. - Se ho queste occhiaie è solo colpa tua... -
mormorò fra sé e sé.
- Allora... partiamo? Dove andiamo? -. Fiamma era evidentemente impaziente di partire.
- Il treno arriverà in
stazione alle undici... non credi che sia un tantino presto per andare?
- ribatté Edward con sarcasmo.
- Fratellone, forse è meglio se fai colazione... sinceramente: non hai una bella cera... - intervenne Alphonse.
- Uffa! Non ho niente che non
va! - esclamò il biondo spazientito, precedendo i due fuori
della camera. Sapeva che non li avrebbe convinti in quel modo, ma non
aveva alcuna intenzione di essere oggetto delle loro preoccupazioni:
sapeva benissimo cavarsela da solo.
Mentre si avviava verso la
sala pranzo dell’albergo, si augurò che la colazione
potesse ridargli un po’ delle forze perdute con le nottatacce
degli ultimi giorni.
La colazione non
sortì, purtroppo, gli effetti sperati. Edward non aveva affatto
appetito, il che era parecchio strano. L’alchimista si
limitò a mangiucchiare qualcosa e nient’altro. Fiamma e
Alphonse lo guardavano fissi, con evidente preoccupazione.
- Ed... tutto bene? Non hai
fame? - gli chiese Fiamma, allungando una mano verso la sua. Quando si
sfiorarono, Edward avvertì una stranissima e spiacevole
sensazione di imbarazzo mista a timore. Non gli era mai successo prima.
Si sottrasse al tocco della ragazza. - No... non ho molta fame... -
mormorò stancamente.
- Fratellone, non so Fiamma,
ma io sono preoccupato... è da un po’ che ti comporti in
modo strano... non mangi, parli nel sonno, hai quelle strane
occhiaie... - disse Alphonse.
- Parlo nel sonno? - ripeté Edward sorpreso.
- Sì... qualche notte
fa ti ho sentito che parlavi a proposito di un matrimonio con Fiam...
-. Alphonse s’interruppe e scoccò un’occhiata alla
ragazza, immobile seduta accanto a lui. Era improvvisamente diventata
rigida. I suoi occhi dalle iridi ardenti fissavano Edward con terrore.
Sembrava essere sull’orlo del pianto.
- ... un matrimonio con
Fiamma... - terminò con voce flebile. Si alzò
automaticamente e si allontanò con una rapidità che
rasentava il soprannaturale.
Gli occhi di Alphonse ritornarono sul fratello, che stava a capo chino, con gli occhi spenti.
- Stavi sognando di sposarti
con Fiamma davvero? - chiese Alphonse in un sussurro. Edward non
poté far altro che annuire: non poteva certo mentirgli
così spudoratamente.
- Adesso inizio a capire il
perché di quelle occhiaie... - sussurrò Alphonse,
più a se stesso che a Edward. Il biondo sospirò, afflitto.
- Non so più cosa
fare! Ho paura perfino di andare a dormire, ma tanto poi il sonno
arretrato ha la meglio e mi ritrovo punto e a capo la mattina dopo.
È un inferno, non ce la faccio più! - esclamò.
Sembrava essere sollevato di poter raccontare a qualcuno i sentimenti
degli ultimi giorni. Alphonse non lo interruppe. - Sono dibattuto con
me stesso. Sto impazzendo per tutto lo stress degli ultimi giorni?
Oppure è realmente possibile che la ami? E perché
l’amore, se davvero di questo si tratta, fa così MALE?! Io
non resisto più Al! Lo sai, non sono mai stato bravo con le
faccende di cuore, non sono mai stato innamorato di nessuna, non so
cosa voglia dire, so solo che stare con lei mi fa male dentro. Voglio
poter dormire di nuovo, parlarle di nuovo senza sentire dolore...
voglio di nuovo una vita NORMALE! -. Edward si zittì:
probabilmente si era sfogato a sufficienza. Alphonse rimase in silenzio
ancora qualche istante.
- Per me dovresti provare...
in fondo, se la ami, dirle che ti piace dovrebbe farti sentire meglio.
Magari potresti anche scoprire che lei ricambia quello che
ipoteticamente provi per lei... se non è d’amore che
soffri, allora dovrò portarti da un bravo psicanalista... -
disse Al. Edward rimuginò qualche istante sui pro e i contro di
quello che Alphonse gli aveva appena consigliato e decise di provare:
se la sua crisi emotiva era dovuta ad altro, si sarebbe abbandonato
alle cure di uno psicanalista. Sarebbe stato molto meglio che passare
il resto della vita chiuso in un manicomio con la camicia di forza.
Il biondo si alzò e si avviò verso la camera di Fiamma: era certo di poterla trovare lì.
- Ah, fratellone... perché non provi a portarle dei fiori? Penso che si sia offesa per prima... - disse Alphonse.
- Offesa... sono io quello
che rischia di finire con la camicia di forza a quindici anni e lei si
offende per cose del genere... bah! Però forse Al ha ragione...
- mormorò fra sé e sé il biondo.
Prima di andare da Fiamma, Edward uscì, diretto in centro.
Nel frattempo, nella camera
di lei, Fiamma era in preda ad un contrasto emotivo. Camminava
furiosamente avanti e indietro di fronte alla finestra, guardando a
terra, rimuginando fra sé: - È tutta colpa mia! È
a causa mia che Edward si comporta in modo strano! Non avrei mai
pensato che potesse soffrire per sogni che ho anch’io! Oh...
forse è meglio se li lasciassi viaggiare da soli, così
Edward non soffrirebbe più. Perché sono causa di tutti
questi problemi?! Se l’avessi saputo me ne sarei andata subito
dopo la fine dell’esame ieri pomeriggio e me ne sarei tornata a
casa... dopotutto, non era mia intenzione creare loro tutti questi
disagi... -. Questi e molti altri pensieri affollavano la mente della
ragazza, competendo fra loro per attirare l’attenzione di lei su
di essi. Il rimorso per tutto quello che era successo e la
consapevolezza di esserne la causa erano due degli innumerevoli pugnali
che sfregiavano nel profondo il subconscio della ragazza. Erano ferite
che, prima o poi, sapeva che si sarebbero rimarginate: in fondo, erano
solo ferite emotive. Era riuscita a sopravvivere alla morte del suo
migliore ed unico amico d’infanzia, sarebbe riuscita a
sopravvivere anche a quello. Era terribilmente doloroso separarsi senza
aver avuto una chance con Edward, senza potergli dire addio, ma se
l’avesse rivisto un’ultima volta prima di andarsene sarebbe
stato tutto più difficile.
La ragazza alzò lo
sguardo e iniziò a preparare i suoi bagagli. Fu una cosa veloce,
dato che viaggiava leggera. Appena ebbe concluso, si sedette sul letto
e fissò il cielo azzurro oltre la finestra. Non poteva finire
così, ma doveva. Era inevitabile. Se fosse rimasta, Edward
avrebbe continuato a soffrire. Partendo, avrebbe impedito almeno a lui
di provare altro dolore. Aggiungere altra sofferenza a quella che
già provava dopo aver perso Dario non era niente per lei, dato
che la trasmutazione umana che le aveva portato via Dario le aveva
anche strappato parte della sua anima. La sua sfera emotiva era stata
molto danneggiata dal suo tentativo di invadere il territorio divino,
il tentativo di sottrarre Dario a una morte inevitabile e le emozioni
che provava erano più deboli rispetto a prima di quella
trasmutazione. Sarebbe stato facile per lei guarire da quel dolore: uno
o due anni, forse di più, ma aveva la certezza di superare la
separazione. In fondo, nella vita si incontrano tante persone, ma
bisogna anche saper dire addio. Quella era una di quelle volte.
Fiamma sospirò e si
alzò. Prese il suo zaino e stava per metterselo in spalla,
quando qualcuno bussò alla porta della camera. Sorpresa,
poggiò il bagaglio e andò ad aprire. L’unica cosa
che vide furono fiori. Tantissimi fiori dai petali bianchi che, ad una
più attenta analisi, giudicò essere gigli.
Arrossì, imbarazzata, mentre si sporgeva per cercare di vedere
chi ci fosse dietro a quel mazzo di gigli. Poi lo vide: un capello
biondo ribelle ritto fra l’attaccatura di due ciuffi più
consistenti di capigliatura bionda.
- Edward... - mormorò,
spostando il mazzo. Dietro poté chiaramente osservare il viso
del giovane Alchimista d’Acciaio: teneva gli occhi bassi, aveva
le guance infiammate e si mordeva nervosamente il labbro inferiore,
evidentemente a disagio.
- Ehm... ecco io... -
esordì lui. Fiamma si fece da parte per farlo passare. Lui
entrò nella camera di lei e si fermò in mezzo alla
stanza. - Allora... che cosa vuoi? - domandò lei in tono molto
più scortese di quanto volesse. Edward parve ritrarsi un poco,
ma sembrava deciso. Inspirò a fondo e iniziò: - Fiamma...
io volevo dirti che... mi piaci. Sì... mi piaci e... -.
S’interruppe quando sentì dentro di sé un immenso
sollievo, come se si fosse tolto un enorme peso dalla coscienza.
Alphonse aveva ragione: soffriva d’amore. Era davvero innamorato
di Fiamma, anche se non riusciva ancora a capacitarsi di come o
perché fosse accaduto tutto ciò.
Da parte sua, Fiamma non
poté fare a meno di rimanere in silenzio, visibilmente
scioccata. Forse si era tutto un sogno, doveva esserlo di sicuro. Nella
realtà Edward avrebbe mai avuto il coraggio di dirle una cosa
simile? Ma soprattutto, avrebbe mai potuto provare amore verso una come
lei? Fiamma sbatté più volte le palpebre: era certamente
la realtà. Lei avanzò sicura verso il ragazzo, ancora
immobile e imbarazzato al centro della stanza. Prese il mazzo di gigli
e lo lanciò sul letto, in modo da avere libero lo spazio che la
separava da lui e lo baciò. Quello era il suo primissimo vero
bacio. Dal canto suo, Edward era rimasto sorpreso dalla mossa
improvvisa della ragazza, ma era troppo stordito dalla felicità
per potersi sottrarre volontariamente a quel bacio. Si sentiva
benissimo, una sensazione nuovissima, mai provata in vita sua. Come
fosse un riflesso condizionato, le cinse i fianchi con le braccia, come
a proteggerla da un pericolo inesistente.
Fiamma si sentì ardere
le guance e, a malincuore, si sciolse dal bacio. Fissò Edward
dritto nelle sue profonde iridi color oro: sembravano vive, pronte ad
emanare scintille.
- Fiamma... io ti... -. Il dito di lei scivolò lentamente sulle sue labbra, zittendolo.
- Non dire altro. Lo so
già... ti amo anch’io - mormorò lei. Il suo tono di
voce caldo e affettuoso fece letteralmente sciogliere il biondo, che
avvampò di nuovo.
Fiamma lo vide armeggiare con
la giacca rossa, alla ricerca di qualcosa. Poi, quando finalmente
trovò quello che cercava, arrossì ancor di più:
era arrivato il momento più imbarazzante e sincero della sua
vita, l'unico modo che aveva per assicurarsi una forse momentanea pace
interiore, almeno per quanto riguardava le faccende amorose.
S’inginocchiò e le mostrò una piccola scatola nera,
dentro alla quale si scorgeva un anellino d’argento simile ad un
serpente, nella cui testolina era incastonato un piccolo rubino.
- Oh... Edward...! -
esclamò lei, arrossendo. Lui sembrava essere ancora più
imbarazzato di prima: si sentiva un emerito imbecille, eppure era
assolutamente convinto di quello che stava facendo.
- Fiamma... vorresti farmi l’onore di diventare la mia fid...! -.
- SÌ! Oh, sì
Edward, sì! - esclamò lei, felicissima. Edward si
rialzò, spiazzato da una reazione tanto energica e le
infilò l’anello all’anulare destro. Fiamma lo
osservò, estasiata, prima di abbracciare Edward, che
ricambiò l’abbraccio con energia.
Alle undici di quella stessa mattina, Edward, Fiamma e Alphonse partirono verso le regioni dell’ovest...
- AL! Ehi, Al! Mi senti?!
È ora di andare! -. La voce di Edward riportò bruscamente
Alphonse alla realtà. Si volse per guardarsi attorno e
notò Fiamma e Edward sul ciglio della strada, mano nella mano.
- Eccomi, arrivo! - esclamò Alphonse, salendo di corsa su per il pendio erboso.
Il pomeriggio era trascorso
velocemente. Ormai il sole era prossimo al tramonto e tingeva il cielo
di calde tonalità tendenti al rosso e all’arancio. Era uno
spettacolo meraviglioso.
Il trio fece ritorno all’albergo, dove Edward e Fiamma cenarono.
Successivamente, i tre si
diressero verso le loro stanze. Fiamma si fermò fra le camere e
si voltò verso gli altri due.
- Be’... qui ci separiamo. Buonanotte! - esclamò, baciando Edward su una guancia.
- Separarci... guarda che non
andiamo mica tanto lontano... ci vediamo domattina... ‘notte... -
mormorò, avviandosi nella camera a destra, seguito da Alphonse.
Fiamma entrò nella sua stanza e si preparò per la notte.
Stanca dopo la lunga giornata e i due giorni di viaggio, la ragazza
cadde quasi istantaneamente in un sonno profondo.
Nella camera accanto, mentre
Alphonse se ne stava tranquillo steso sul letto aspettando di prendere
sonno, Edward si spogliava: si sciolse i capelli, che gli ricaddero in
una pioggia di sottili fili d’oro sulle spalle, si tolse la
giacca rossa, il giubbino nero, i pantaloni e gli stivaletti, che
appoggiò ad una sedia ai piedi del letto. In canottiera e
mutande, il ragazzo s’infilò sotto le coperte.
- ‘notte Al... - farfugliò, già mezzo addormentato.
- Buonanotte fratellone... - gli rispose l’altro.
Edward, spossato dalle lunghe
giornate di viaggio, scivolò rapidamente nel sonno, mentre
Alphonse, nel letto accanto, veniva lentamente avvolto da un tranquillo
torpore.
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Capitolo 3 *** Nina French ***
Verdementa 3_Nina French
Nina French
Quando Alphonse si
risvegliò, il mattino seguente, avvertì il quieto russare
regolare di suo fratello Edward, ancora beatamente addormentato nel
letto accanto. Era incredibile quanto potesse essere pigro suo
fratello, le guerre che doveva fronteggiare tutte le mattine quando
doveva svegliarlo. Fortuna che ad aiutarlo aveva Fiamma, altrimenti non
aveva idea di come potesse riuscire in quell’impresa titanica che
era riuscire a svegliare il famoso Alchimista d’Acciaio.
Cercando di non far rumore,
si alzò. Dalla finestra entrava una tenue luce rosata. Era
l’alba. Non era mai stato un gran dormiglione, come Edward,
perciò non si stupì affatto del fatto di essersi
svegliato alle idi del mattino. C’era abituato. Uscì dalla
camera e, senza fare rumore, uscì anche dall’albergo. Le
strade erano completamente deserte. Probabilmente era l’unico
essere vivente al mondo ad avere una sveglia incorporata regolata su
“sveglia all’alba”. Oppure era l’unico stupido
ad uscire a quell’ora, ma stare da solo di tanto in tanto gli
faceva bene. Dopo aver girovagato un po’ per la città,
riprese la strada del giorno prima per il fiume: era un posto
tranquillo dove probabilmente non si fermava mai nessuno e, se Fiamma e
Edward fossero andati a cercarlo, probabilmente avrebbero iniziato dai
posti che conoscevano.
In breve, Alphonse
arrivò alla strada che fiancheggiava il fiume. Sembrava deserta
pure quella. Poi... gli occhi di lui caddero su una figura esile, che
fissava il fiume. Era indistinguibile da quella distanza, ma era
evidente che fosse una ragazza. I lunghi capelli neri erano una macchia
corvina che si mescolava al viola scuro dei suoi vestiti. Quando
Alphonse la vide rimase estasiato, mentre un sentimento nuovo che mai
aveva provato fino ad allora si faceva lentamente strada dentro di
lui...
Era attratto da lei come una
scheggia di ferro da un magnete. Fece un passo avanti e lei
portò immediatamente la sua attenzione su di lui. Rimase in
quella posizione per qualche istante, prima di voltarsi e correre via,
sparendo alla vista. Alphonse era ancora immobile, lo sguardo fisso sul
punto dove pochi istanti prima era ferma la ragazza. Sembrava in stato
catatonico. Era senza parole. Che cosa aveva quella ragazza di
così... magnetico? Perché si sentiva vuoto, privato di
tutto? Anche se era solo un’anima sigillata ad un’armatura,
era pur sempre umano e come tale avrebbe dovuto provare emozioni e
pensare. Nell’istante in cui quella ragazza lo aveva guardato,
tutto era sparito, lasciandolo completamente vuoto: niente emozioni,
niente pensieri.
Fece un passo avanti,
incerto. Pian piano, riprese il controllo di sé e scese lungo il
pendio erboso che conduceva alla riva del fiume. Si sedette
sull’erba e fissò lo sguardo sulla superficie cristallina
e perfettamente liscia del corso d'acqua.
La domanda che gli martellava
nella mente era solo una, ma lo opprimeva come mai nulla prima di quel
momento: - Che cosa di lei lo attraeva a quel modo? -. Difficile dare
una risposta, anche perché lui stesso non sapeva precisamente
cosa era successo pochi minuti prima. L’unica certezza era che
qualcosa era successo. Una ben misera constatazione, ovvia. In quei
casi, era Edward quello “bravo ad affermare l’ovvio”.
Lui era più profondo e trovava nelle circostanze qualcosa di
più. In quel momento, però, non riusciva a trovare niente
di coerente e non ovvio riguardo a ciò che era appena accaduto.
Circostanza davvero bizzarra, più unica che rara.
- AL! EHI, AL! - gridò
una fin troppo familiare voce maschile. Alphonse ritornò
bruscamente alla realtà e si voltò verso la strada, dalla
quale Edward si stava sporgendo per cercarlo. Quando finalmente il
biondo lo vide, scese lungo il pendio e lo raggiunse.
- Finalmente ti ho trovato!
Fiamma si è presa un infarto quando è venuta a svegliarmi
e te non c’eri. Il bello è che ha fatto prendere un colpo
pure a me! Mi ha letteralmente trascinato a cercarti... - disse,
mostrandogli il polso sinistro, sul quale erano impressi quattro segni
da un lato e uno dall’altro. Evidentemente erano i lividi
lasciati dalla salda presa della ragazza. Edward si massaggiò il
polso.
- Ha una presa che ha
dell’incredibile, mi sembrava di avere il polso chiuso in una
morsa d’acciaio! Speriamo che guariscano alla svelta... -
mormorò. Alphonse chinò la testa.
- Al... c’è
qualcosa che non va? Sembri strano... - indagò Edward, sedendosi
accanto a lui, guardandolo. Se avesse potuto, Alphonse sarebbe
arrossito.
- No... niente. Dai, andiamo da Fiamma... - disse, alzandosi: non voleva che suo fratello sapesse cosa gli era successo.
Edward lo seguì con lo
sguardo, incuriosito dal suo bizzarro comportamento. Era davvero strano
che Alphonse si comportasse in modo così anomalo. Non fece
domande e si limitò a seguirlo sulla strada verso
l’albergo.
- AL! Si può sapere
dov’eri finito?! - esclamò Fiamma appena vide Alphonse
entrare nell’atrio. - Sono uscito presto... non volevo farti
preoccupare... - rispose lui, a disagio. Fiamma sospirò,
cercando di riprendere un briciolo di contegno.
- Allora... dove si va oggi?
Si torna al fiume? - domandò. - NO! Al fiume no! - la interruppe
Alphonse, scuotendo energicamente la testa. Gli occhi degli altri due
saettarono su di lui in contemporanea.
- Ehm... cioè...
perché non andiamo da qualche altra parte? - azzardò lui.
Il ricordo della ragazza lo aveva indotto a fermarli prima di
rendersene conto. Fiamma continuò a tenere gli occhi fissi su di
lui, senza sbattere le palpebre. Era terribile sentirsi quegli occhi
fiammeggianti addosso. - Allora? - chiese Alphonse. - Va bene...
facciamo un giro... - gli rispose Fiamma con voce inespressiva,
precedendo lui e Edward fuori dall’albergo.
Se non altro, fare un giro
avrebbe dato l’opportunità ad Alphonse di dimenticarsi
dell’incontro di quella mattina, ma non sembrava proprio che
quell’incontro sarebbe rimasto un fatto isolato. Tutto in quel
posto, chissà come o perché, gli ricordava quella
ragazza. Era strano, eppure Alphonse aveva come la sensazione che
presto l’avrebbe rivista.
Le ore trascorsero
inesorabili, mentre Alphonse veniva consumato dalla certezza che
l’avrebbe rivista. Quel pensiero gli provocava una sensazione che
non aveva mai provato né sapeva spiegarsi. Gli ricordava la
speranza, ma era un sentimento molto più pressante.
A mezzogiorno, Edward e
Fiamma pranzarono. Successivamente, il trio ritornò in piazza.
Dopo circa mezz’ora, Fiamma si avvicinò ad Alphonse.
- Perché sei
così strano oggi? Ti è successo qualcosa? - gli chiese,
fissandolo. Edward camminava davanti a loro e, apparentemente, sembrava
non accorgersi della discussione.
- No... non mi è successo niente... - mentì lui.
- Al... anche se sei
un’anima legata ad un’armatura, sei un libro aperto.
È facile capirti, anche per chi, come me, ti conosce da poco...
c’è sicuramente qualcosa che non va... - gli disse la
ragazza. Alphonse si dibatteva interiormente: glielo doveva dire o
doveva continuare a far finta di niente? Soppesò accuratamente i
pro e i contro di ciascuna opzione e scelse per la verità: non
era mai stato bravo a mentire.
- Be’... ecco, il fatto
è che... - s’interruppe quando vide dove si trovavano.
Nell’ultimo tratto di strada non aveva fatto caso a dove andava e
seguiva suo fratello che, per qualche strana e perversa ragione, lo
aveva riportato sulla strada che costeggiava il fiume.
Quando si fermò, si
voltò verso di lui. Ma Alphonse non lo guardava minimamente: la
sua attenzione era concentrata tutta sull’esile figura che era
ricomparsa nello stesso punto di quella mattina. Fiamma seguì lo
sguardo dell’armatura e s’irrigidì quando
puntò gli occhi sulla ragazza.
- Non è possibile...
è davvero...? - mormorò Fiamma. La ragazza fece un passo
avanti e la figura femminile dai capelli neri si voltò verso di
loro. Rimase a fissarli per qualche istante poi, molto lentamente,
iniziò ad avvicinarsi.
Fiamma fece qualche passo
avanti, fino a fermarsi accanto a Edward. L’altra ragazza si
avvicinò ancora, scrutando Fiamma. Più si avvicinava,
più Alphonse iniziava a scorgere nuovi particolari: il suo
sguardo, i vestiti, i capelli... era una ragazzina come tante altre.
Quando fu proprio di fronte a
Fiamma, la mora rimase immobile a fissarla, mentre Alphonse la
osservava. Era alta all’incirca quanto Fiamma. Aveva lunghi
capelli lisci neri che le arrivavano fino ai gomiti e, in fondo, erano
tinti d’un verde delicato e tenue, che ricordava molto la menta.
In breve, un verde menta delicato. Le ciocche le ricadevano come fili
di seta nera attorno al viso pallido. Sulla fronte le ricadevano alcuni
capelli più corti, che però lasciavano scoperte le
sottili sopracciglia nere. Gli occhi erano grandi e le iridi azzurre
somigliavano al colore del cielo terso del mattino. Indossava una
maglietta scollata viola che le lasciava scoperto l’ombelico, una
gonna viola che le arrivava fino alle ginocchia e un paio di stivali
neri con il tacco basso. La gonna era sostenuta in vita da una sottile
cintura nera. La corporatura snella la faceva sembrare più
aggraziata.
No. Non era come le altre:
tutto di lei sembrava enfatizzare quell’osservazione. Al primo
impatto ad Alphonse era parsa una ragazzina comune, ma dopo averla
squadrata con molta più attenzione, era arrivato alla
conclusione che quella ragazza non era... normale. Era qualcosa di
più. Di nuovo, Alphonse avvertì la stranissima sensazione
che aveva provato quella mattina. Era un’emozione forte, che non
era ancora riuscito a definire con certezza. Sapeva solo che era
un’emozione che, in misura molto minore, aveva già
provato. L’esatta definizione gli sfuggiva di pochissimo.
- Nina...? - mormorò Fiamma, sorpresa.
- Fiamma...? Fiamma Drakon? -
le rispose la ragazza in un sussurro. Si strinsero in un abbraccio che
lasciò Edward e Alphonse allibiti.
- Voi due vi conoscete? - chiese Edward. Alphonse era senza parole.
- Certo! Prima che mi trasferissi a Jujika, dove mi avete incontrata, lei era la mia migliore amica... - spiegò Fiamma.
Quando l’altra si
staccò dall’amica, i suoi occhi saettarono verso Alphonse,
che s’irrigidì, imbarazzato.
- Fiamma... chi è lui?
- domandò Nina, accennando lievemente ad Al con il capo. La voce
della ragazza somigliava al lieve tintinnare del cristallo. Era una
voce chiara, flebile, ma perfettamente udibile. Fiamma scoccò
un’occhiata sorpresa ad Alphonse, che non accennò parole
né movimenti, poi si rivolse di nuovo all’amica: - Lo
conosci? - chiese, incuriosita.
- Non proprio... ci siamo
incontrati di sfuggita questa mattina... - spiegò Nina. Gli
occhi di Fiamma ritornarono su Alphonse. La ragazza inarcò un
sopracciglio in modo assai eloquente. Alphonse distolse lo sguardo,
imbarazzato. Edward gli diede una lieve gomitata al fianco.
- Meno male che non era successo niente... - mormorò maliziosamente.
- Bene! - esordì Fiamma. Prese per mano Nina e la portò di fronte ad Alphonse, spostando Edward.
- Alphonse... questa è
Nina French... Nina... questo è Alphonse Elric... - li
presentò la rossa. Nina si strinse nelle spalle, a disagio.
Alphonse abbassò lo sguardo, imbarazzato. Era la prima volta che
si trovava in una situazione del genere. Il “sentimento
ignoto” era ancora più forte ora che Nina era vicina a
lui.
Mentre Alphonse rialzava lo sguardo, la sua attenzione cadde sulla catenella argentata che portava fissata alla cintura.
- Sei un’Alchimista di
Stato? - chiese, curioso. Nina abbassò lo sguardo sulla
catenella ed estrasse da una tasca della gonna un orologio
d’argento a carica manuale finemente cesellato, con su impresso
l’araldo dell’esercito.
- Sì... ho sostenuto l’esame l’anno scorso... Alchimista Verdementa - rispose lei, lievemente rossa in viso.
- Anche noi siamo...! -
esordì Edward, tanto per farsi considerare un po’, ma
Fiamma lo afferrò per la treccia e lo trascinò indietro.
- Taci, Ed...! - mormorò a denti stretti. - Ahi, ahi! Mi fai male! - esclamò lui.
Alphonse e Nina si fissarono:
le iridi azzurre di lei erano come calamite per lui, mentre i secondi
passavano inesorabilmente scandendo quei meravigliosi istanti. Nina si
avvicinò a lui, le guance tinte lievemente di rosso. Alphonse si
mosse automaticamente verso di lei e in pochi, brevissimi movimenti
furono l’uno dinanzi all’altra.
- Guarda Ed... non trovi che
siano... carini? - mormorò Fiamma. - Sì, tutto quello che
vuoi... mi lasci andare? Sto buono... dai! Lasciami! - esclamò
lui, dimenandosi nel tentativo di sottrarsi alla micidiale morsa della
ragazza, che teneva saldamente la treccia di capelli biondi come se
fosse un guinzaglio.
Nina e Alphonse si
scontrarono dolcemente l’un con l’altra. La differenza era
smisurata: lui un’enorme armatura di quasi due metri, lei una
fragile bambolina di porcellana al confronto. Una leggera brezza
soffiò sulla strada, agitando un poco i capelli corvini di Nina.
La fine dei ciuffi di capelli color verde menta delicato si muovevano
lievemente. Così, a parere di Alphonse, era ancora più
bella.
Rimasero in silenzio, così da non rischiare che discorsi detti a sproposito rovinassero quel momento.
- Ehm... Alphonse... - disse Nina timidamente, guardandolo più intensamente di prima.
- Sì...? - domandò lui esitante.
- Ti... ti andrebbe di uscire
domani sera? - chiese lei. Per qualche istante, Alphonse rimase in
silenzio: la domanda stava arrivando alla sua mente. Quando fu
recepita, elaborata e fu inviata la risposta, lui parve riprendersi.
- Sì. Perfetto! -
rispose. Lei si aprì in un raggiante sorriso e, alzandosi sulla
punta dei piedi, diede un bacio ad Alphonse.
- Ti aspetto domani in piazza alle sette... - disse, prima di fare un passo indietro e allontanarsi.
Lui rimase lì,
immobile, come inebetito. - Sei libero di andare... - disse Fiamma,
mollando la presa sulla treccia di Edward. Quest’ultimo si
avvicinò ad Alphonse.
- Ti piace, eh? Lo ammetto... non è male... - disse il biondo, in tono di chi la sapeva lunga.
- Prego?! - ringhiò
Fiamma alle sue spalle. Lui si voltò. - Eh... no, cioè...
non intendevo dire che è più bella di te... esprimevo un
giudizio! - si giustificò lui, cercando di calmarla.
- Uhm... lo spero per te... -
mormorò Fiamma a denti stretti. - Alphonse dove intendi andare
domani con lei? - chiese poi la ragazza, voltandosi verso
l’armatura immobile al suo fianco.
- Ehm... Al?! - chiese Fiamma, agitandogli una mano davanti al viso. Niente.
- Che cosa credi che gli sia successo? - mormorò lei, preoccupata, rivolta a Edward.
- È andato in stato
catatonico, però... ho la soluzione! - disse il biondo, alzando
un dito, come se avesse avuto una immediata illuminazione.
- Ed, quando fai così
mi metti paura... - commentò Fiamma. Edward la ignorò e
si voltò verso Alphonse.
- Guarda Al! C’è Nina! - esclamò.
- Dove?! - domandò l’armatura, guardandosi intorno.
- Visto? Te l’avevo detto che avevo la soluzione! - disse Edward orgoglioso.
- Ma se non sai neanche che cosa vuol dire “catatonico”! - ribatté Fiamma.
Alphonse sospirò, afflitto.
- Che cos’hai? Sei triste? - chiese la ragazza, lasciando perdere Edward. L’armatura non rispose immediatamente.
- No... è solo che...
non so come comportarmi con lei... è... difficile... non sono
mai uscito con nessuna... - mormorò Alphonse. Edward
scoppiò a ridere.
- Tsk! E io che pensavo fossi
angosciato per chissà che! Guarda che anch’io non sono mai
uscito con Fiamma! - esclamò.
- Ma la sua è una
situazione diversa... non uscirei con te per niente al mondo, anche se
stiamo insieme... tanto dovrei farti da babysitter e preferisco evitare
l’esperienza... - disse la ragazza.
- Non è giusto! Sei cattiva! - ribatté il biondo.
- Dai, Al... vedrai che
andrà tutto bene... - lo consolò lei. Il pomeriggio
trascorse lentamente, mentre Alphonse si consumava rimuginando sulla
sera successiva. Aveva quattordici anni, non era ancora in grado di
sostenere tutto quello stress! Fortunatamente il “Fiamma Pronto
Intervento” era a due passi. Se non ci fosse stata lei, avrebbe
dovuto fare uno sforzo e chiedere comprensione a Edward e,
probabilmente, non ne avrebbe avuta. Ma perché le questioni di
cuore erano tanto spinose? Forse era nel DNA Elric l’assoluta
negazione per tutto ciò che riguarda le faccende di cuore...
No. Doveva rimanere calmo, doveva ritornare Alphonse Elric.
Il pomeriggio era finalmente
trascorso. Alphonse era seduto sul suo letto, gli occhi fissi sul cielo
stellato fuori della finestra dell’albergo, mentre Edward parlava
al vento, convinto che suo fratello lo stesse ascoltando.
Niente. Era ancora lo stesso
Alphonse di sempre, eppure si sentiva in qualche modo diverso. Non si
sarebbe mai aspettato una situazione del genere, almeno, non in un
posto come quello. Ma Nina era... Nina. Semplicemente se stessa. Odiava
essere tanto ovvio, ma non trovava niente per esprimere cosa suscitava
in lui quella ragazza. Erano sentimenti confusi, difficilmente
riconoscibili, anche se il “sentimento ignoto” era sempre
lì in agguato, pronto a ritornare all’attacco.
- Al?! Ehi, Al! Mi senti? AL! -
Alphonse alzò lo
sguardo e si ritrovò suo fratello Edward davanti, a meno di
mezzo millimetro di distanza dalla faccia.
- Sì...? - mormorò l’armatura.
- Posso... parlarti? - chiese
Edward. Aveva un tono di voce diverso, più... maturo? Il biondo
si sedette accanto al fratellino. Dallo sguardo di lui Alphonse
capì che stava per arrivare uno dei rarissimi momenti nei quali
Edward faceva la parte del fratello maggiore. Faceva impressione
pensare una cosa del genere, eppure era così.
- Senti, Al... riguardo a
questa storia di Nina... non credo che dovresti preoccuparti
così tanto... sembra più una croce che un amore...
senti... - Edward s’interruppe e sospirò, a disagio -
ah... uffa! Non so cosa dirti! Non sono bravo in questo genere di
situazioni! Ascolta... quando... cioè prima... insomma! Prima
che mi fidanzassi con Fiamma... incredibile, non avrei mai creduto che
sarei riuscito a dire una cosa del genere, comunque... anch’io
avevo qualche crisi, ma non ero così... esplicito... insomma...
voglio dire... io almeno mi sfogavo nel sonno, anche se non era
precisamente piacevole, ma almeno era un modo, anche se involontario di
tenermi la storia di Fiamma per me... ora, questo fatto di Nina, penso
che ti stia prendendo un po’ troppo... non voglio dire che tu
debba lasciar perdere, accidenti, solo che mi sembra strano vederti
così... turbato... insomma... non è una cosa che capita
tutti i giorni... quello turbato di solito sono io! - concluse il
biondo. Alphonse rimase in silenzio ancora per qualche istante.
- So che non avrai capito
nulla di quello che ti ho detto, ma non sono bravo in questi
frangenti... - aggiunse poi Edward, imbarazzato. Si alzò e si
diresse verso il proprio letto.
- Aspetta... fratellone... - mormorò Alphonse. Edward si voltò, sorpreso.
- Sì...? - chiese.
- Ehm... sono contento che tu
abbia provato a... consolarmi. Apprezzo il gesto e, in un certo senso,
ho capito cosa volevi dirmi: niente preoccupazioni. Ho capito - disse
Alphonse.
- Davvero? Meno male...
credevo di essere proprio negato nelle questioni da “fratello
maggiore”... - esclamò Edward.
Il biondo sbadigliò vistosamente.
- ‘notte Al... -
mormorò, infilandosi sotto le coperte. Alphonse, rincuorato dal
tentativo di suo fratello di tirarlo su di morale, gli rispose: -
Buonanotte fratellone... -.
Il leggero russare di Edward
giunse ben presto ad accompagnare il quieto dormiveglia di Alphonse,
che attendeva con trepidazione il giorno seguente, quando avrebbe
potuto rivedere Nina.
Dopo quasi un’ora, anche Alphonse prese finalmente sonno.
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Capitolo 4 *** Appuntamento sotto le stelle ***
Verdementa 4_Appuntamento sotto le stelle
Appuntamento sotto le stelle
Il mattino seguente Alphonse
si svegliò calmo e rilassato. Rimase disteso sul proprio letto a
fissare il soffitto, sovrappensiero, mentre questo veniva illuminato
dalla luce del sole che iniziava a filtrare attraverso la finestra.
Quella mattina si era
svegliato un po’ più tardi del solito. Purtroppo, la
quiete che aveva trovato grazie al sonno non durò troppo a
lungo. Verso le sette, Edward si svegliò. Era un evento che
aveva dell’incredibile: una delle più uniche che rare
occasioni nelle quali si svegliava completamente da solo! Sbadigliando,
si alzò e, mentre si stiracchiava, esclamò: - Allora,
stasera esci con Nina, vero? -. La fortezza di tranquillità che
era andata formandosi nell’inconscio di Alphonse durante la notte
fu totalmente rasa al suolo da una semplice frase, una frase che
sortì l’effetto di una bomba atomica.
Demolito il forte di quiete
interiore, l’angoscia prese di nuovo possesso di Alphonse, mentre
Edward si vestiva, ignaro del micidiale effetto delle sue parole.
L’appuntamento era
fissato per quella stessa sera. Non c’era neanche il tempo di
organizzarsi. Nonostante la sera prima suo fratello e Fiamma gli
avessero detto di stare calmo, di calma non ne aveva neanche un
po’. Ogni minuto che passava diventava sempre più nervoso.
Prima o poi sarebbe stato assalito da una crisi di panico esagerata. Il
suo nervosismo, in qualche modo, attirò l’attenzione di
Edward, che si voltò verso suo fratello, visibilmente
preoccupato. - Al? Al, tutto bene? - chiese, avvicinandosi. Alphonse
annuì meccanicamente. In occasioni di assoluto nervosismo come
quella, sia lui che Edward andavano in automatico: si muovevano,
pensavano e parlavano senza che la coscienza intervenisse. Erano
occasioni rare, ma già verificatesi.
Alphonse continuava ad
annuire, benché Edward avesse ormai afferrato il concetto. -
Ehm... Al? Guarda che ho capito... - mormorò il biondo. Niente
da fare: Alphonse continuava ad annuire fissando davanti a sé,
imbambolato. - Dannato automatismo... - sussurrò a denti stretti
il biondo, chinandosi davanti al fratellino. Ovviamente, essendo
Alphonse un’anima legata ad un’armatura, non poteva
prenderlo a schiaffi, come invece faceva Alphonse quando ad andare in
automatico era lui. - AL! Al, smettila! - esclamò Edward,
cercando di farlo ritornare in sé, ma senza alcun esito. Stufo
di quella sceneggiata, l’Alchimista d’Acciaio
afferrò il pennacchio bianco di Alphonse e gli prese la testa.
In quell’istante, lui ritornò in sé. - Fratellone!
Ridammela! - esclamò l’armatura. - Prima mi devi
promettere che smetterai di angosciarti tanto da arrivare
all’esaurimento fino a stasera. Prometti! - ordinò Edward,
facendo ciondolare la testa di Alphonse. - Non posso! Non ci riesco! -
ribatté quest’ultimo. - Almeno sforzati! Provaci! Non
voglio essere costretto a tenerti al guinzaglio fino a stasera! -
controbatté il biondo. - Non ti costringe nessuno! -
sbottò l’altro. - Sì, mi costringi te! Stai andando
fuori di testa per Nina! - sbraitò Edward. Alphonse
scattò al suono del nome di Nina e in un istante fu addosso a
suo fratello.
L’uscio si aprì
con un violento schianto. - Si può sapere che cos’è
tutto questo macello a quest’ora del mattino?! - esclamò
Fiamma con voce autoritaria. Quest’ultima si fermò sulla
soglia di fronte alla scena che gli si parava dinanzi. - Al...
perché stai tenendo Ed per la treccia? E Ed... perché hai
in mano la testa di Al? Avanti... spiegatemi! -. Il tono era quello di
chi conteneva a stento la rabbia e cercava di mantenere la pazienza.
All’unisono, i due esclamarono: - Ha iniziato lui! -.
- Non m’importa chi ha
iniziato! Alphonse metti giù Ed... Edward, restituisci ad Al la
testa... SUBITO! - ordinò Fiamma. I due ubbidirono
all’istante. In due mesi di viaggio insieme a lei erano arrivati
a stabilire un’unica regola universale che sarebbe valsa fino
alla fine dei loro giorni: non irritare mai e per nessun motivo Fiamma,
perlomeno non oltre i limiti della sopportazione umana.
- Ora... Al, come ti senti? - chiese la ragazza, ricomponendosi.
- Nervoso... - si limitò a rispondere lui.
-Ok... è una reazione
accettabile... avete voglia di uscire oggi? - domandò lei,
più ad Alphonse che a Edward. L’armatura annuì e il
trio uscì dall’albergo.
Il sole brillava alto nel
cielo senza nuvole. Nell’aria aleggiava il profumo tipico dei
fiori: rose, fresie, fiori d’arancio e molti altri. Fiamma pareva
stranamente più eccitata del solito, probabilmente per
l’evento della serata, anche se non era lei ad avere un
appuntamento.
Lentamente, il timore e il
nervosismo che attanagliavano Alphonse si dissolsero, sostituiti da una
sensazione più pressante, che lui identificò come
impazienza: era impaziente di rivedere Nina. La malinconia di quella
mattina svanì e Alphonse ritornò a comportarsi come
sempre, con l’unica eccezione di un piccolo accenno di
iperattività. Edward e Fiamma furono stupiti
dall’improvviso cambiamento ma, al contempo, sollevati: almeno
non soffriva più.
Edward in particolare, era
contento che suo fratello non fosse più angosciato: iniziava a
preoccuparsi e temeva ripercussioni gravi sul suo inconscio, tipo
traumi o cose del genere.
L’ora di pranzo
arrivò in un lampo. Edward quella mattina era particolarmente
affamato e il pranzo riuscì ad ammansire la sua sorprendente
voracità.
Dopo, non si sa il
perché, Alphonse insistette per tornare al fiume. Ormai, era
diventato il suo posto preferito e forse, pensò Edward, voleva
tornarci per controllare se anche Nina era lì.
Quando arrivarono, Alphonse
non scorse alcuna esile figura immobile ad osservare il corso
d’acqua. Nessuna traccia di Nina. Edward e Fiamma, seguiti a
ruota da Alphonse, scesero lungo il pendio erboso che portava alla riva
del fiume. La ragazza si sedette e, piegate le gambe, ci
appoggiò sopra il mento, mentre osservava la superficie del
fiume che risplendeva alla luce solare. Edward si sedette a gambe
incrociate vicino a lei, osservando il cielo.
Alphonse, un po’
più in là, stava tracciando qualcosa su un pezzo di
terreno dove non c’era l’erba.
- Edward... riguardo a quella
cosa che mi hai detto ieri... - mormorò Fiamma, spostando lo
sguardo sul biondo seduto accanto a lei, che d’un tratto si era
voltato a fissarla, perplesso. - Quale cosa? - chiese, sorpreso. -
Ecco... - proseguì lei senza badargli - ... mi chiedevo se... ti
andrebbe di uscire stasera? -. La domanda lo aveva colto alla
sprovvista. Forse non aveva capito bene: Fiamma gli aveva seriamente
chiesto di uscire? - Ehm... va bene... - rispose, titubante. Fiamma
sorrise e chinò di nuovo lo sguardo, riportando la sua
attenzione sul fiume. In fondo, era il loro primo appuntamento e valeva
la pena di tentare.
Edward era imbarazzato
dall’improvvisa richiesta della ragazza, ma non gli dispiaceva
affatto l’idea. L’unica cosa era che, non essendo mai
uscito con nessuna, non sapeva come comportarsi, ma non se ne fece un
gran cruccio.
Nel frattempo, Alphonse aveva
finito e stava osservando compiaciuto la propria opera: con il gessetto
che solitamente utilizzava per tracciare i cerchi alchemici aveva
scritto il nome di Nina con una grafia davvero particolareggiata.
All’intorno, aveva disegnato rose e gigli. Se non altro, aveva
trovato un modo per sfogare l’iperattività.
Il pomeriggio trascorse
lentamente. I tre rimasero in riva al fiume fino al tramonto, quando
decisero di rientrare in albergo per prepararsi.
Fiamma e Edward si separarono
in corridoio con un semplice bacetto sulla guancia. Una volta di nuovo
solo con suo fratello, Alphonse fu assalito un'altra volta dal
nervosismo che, a quanto pareva, animava anche Edward. Il biondo,
infatti, frugava freneticamente nella valigia, alla ricerca di qualcosa
di carino da mettersi per l’occasione.
Per Alphonse, il problema dei vestiti era irrilevante.
Dopo aver praticamente
svuotato la valigia, Edward si voltò a fronteggiare il putiferio
che aveva provocato nella stanza. - E ora che cosa mi metto?! Non ho
niente di decente! - esclamò, in preda alla tipica crisi
adolescenziale del primo appuntamento. L’indecisione sui vestiti
era uno dei punti più critici. - Perché non vai senza la
giacca rossa semplicemente? Risolveresti il problema! -
consigliò Alphonse. Edward eseguì e si girò verso
suo fratello.
- Ti sembrò
presentabile? No... ho bisogno di qualcosa di meglio... qualcosa di...!
- s’interruppe a metà della frase, mentre uno strano
sorrisetto gli si dipingeva in volto.
- Al, mi passi quei pantaloni
neri? - chiese, mentre radunava i vestiti sparsi per la camera,
lanciandoli alla rinfusa nella valigia. Ne risparmiò solo tre:
una camicia bianca a mezze maniche, un paio di jeans blu a vita bassa e
un paio di consunte scarpe da ginnastica. Non era proprio
l’abbigliamento perfetto, ma probabilmente era il meglio che
potesse trovare. Si spogliò in fretta e si mise i nuovi vestiti:
jeans e camicia gli stavano un po’ stretti. Le scarpe erano
perfette. L’ampia scollatura della camicia lasciava intravedere
la canottiera nera sotto. Il biondo si sistemò il bavero e si
voltò verso Alphonse, che aveva osservato la scena immobile.
- Allora? - chiese Edward.
- Sì... penso che
possa andare... - rispose l’altro. Edward si sedette accanto ad
Alphonse. - Sei nervoso? - gli domandò. - Be’... un
pochino sì, ma posso farcela. Tu? - domandò a sua volta
Al. - Io? Be’... non sono esattamente il ritratto della
tranquillità... - gli rispose il biondo con una punta di
sarcasmo nella voce.
Rimasero a discutere fino
alle sette meno cinque. A quel punto, i due si alzarono in
contemporanea e si diressero verso la porta. Appena Edward aprì
l’uscio, si trovò di fronte Fiamma.
- Sei... bellissima... cioè, molto più del solito... - mormorò il biondo imbarazzato. Fiamma sorrise.
- Grazie... - mormorò,
lusingata. Squadrò Edward per qualche istante, poi prese la
treccia del ragazzo e tolse il laccio che la teneva legata. I capelli
del biondo gli ricaddero sulle spalle come tanti fili d’oro.
- Ecco... così sei molto più carino... - puntualizzò. Lui rimase immobile, imbarazzato dalla circostanza.
- Andiamo? - chiese Fiamma, avviandosi. Gli altri due la seguirono in silenzio.
Fiamma era davvero bella: per
l’occasione aveva messo un vestito rosso sangue aderente che le
arrivava fino alle ginocchia. L’ampia scollatura lasciava
scoperto il marchio rosso e nero che aveva in prossimità del
cuore. La capigliatura color cremisi era più mossa del solito e
nascondeva un grosso paio di cerchi d’argento appesi ai lobi
delle orecchie. All’anulare destro portava l’anello di
fidanzamento di Edward. Ai piedi calzava un paio di stivaletti neri che
le arrivavano alle caviglie. Ogni suo passo era accompagnato dal tipico
rumore dei tacchi a spillo.
Alphonse era di nuovo
nervoso, ma non era nervosismo da crisi di panico, era più un
nervosismo dettato dall’impazienza. Di lì a pochi minuti
più tardi avrebbe rivisto Nina e l’idea lo elettrizzava.
Accelerò il passo. Solo pochi metri lo separavano dalla ragazza
dai capelli corvini striati di verde. Appena uscì nella tenue
luce della notte, Alphonse si diresse frettolosamente verso la piazza.
E proprio lì, accanto
alla fontana, una figura esile stava in piedi, illuminata dalla flebile
luce emanata dalle lanterne appese a fili che intessevano una ragnatela
di luci sulla piazza.
Alphonse si avvicinò
titubante alla ragazza che, non appena lo vide, gli corse incontro e
fece per cingergli con le braccia le spalle.
- Alphonse... -
mormorò lei. Al contatto con Nina, il nervosismo impaziente del
giovane svanì all’istante, sostituito dal
“sentimento ignoto”.
Edward e Fiamma erano più indietro e stavano decidendo dove andare.
- Dove vuoi andare? - chiese Alphonse, titubante. Nina rimase in silenzio per qualche istante.
- Andiamo a cena fuori? - propose la ragazza.
- Ehm... - le rispose
Alphonse, incerto. Lui non poteva mangiare e, se fossero andati in un
ristorante, come avrebbe potuto giustificare il digiuno?
Nina evidentemente si era accorta che non voleva andare al ristorante.
- O se vuoi andiamo in un altro posto... ne conosco uno molto carino... è proprio dietro casa mia! - propose.
- Sì... va bene -
accettò Alphonse. Nina lo prese per mano e lo condusse in una
strada secondaria. Alphonse era felice come non mai. Era come se il
contatto con Nina gli trasmettesse un costante influsso di
felicità. Non si era mai sentito così bene con qualcuno.
Pochi minuti più tardi, Nina rallentò fino a fermarsi e si voltò verso Alphonse.
- Siamo arrivati... è
proprio qui dietro... - mormorò. Appena girato l’angolo,
Alphonse si trovò dinanzi ad un torrente. L’acqua scorreva
lentamente, cadendo giù da una piccola cascatella. Le sponde del
torrente erano un pendio sul quale spuntavano tantissimi fiori simili a
ninfee. Sotto la luce delle stelle, quello scenario appariva più
romantico, quasi magico.
Nina lo condusse verso la riva. Lì si sedette e lui accanto a lei.
- È bello, vero? - chiese Nina.
- Sì, ma non bello
quanto te... - le disse Alphonse. Lei si voltò verso di lui e lo
fissò per qualche istante, stupita. In quel preciso istante,
Alphonse identificò il “sentimento ignoto”, che si
andava intensificato di secondo in secondo: era l’amore. Era
innamorato, era innamorato di Nina. Lei gli sorrise, poi tornò a
fissare la superficie del torrente.
- Senti, Alphonse... posso farti una domanda? - chiese Verdementa.
- Sì...? - domandò lui.
- Come mai sei venuto in...
armatura? - disse lei, guardandolo di nuovo. Per lui quella domanda era
una sorta di schiaffo, la peggior domanda che avesse potuto fargli in
un momento simile. Che cosa doveva risponderle?
Abbassò lo sguardo.
- Nina... c’è un... motivo se vado in giro sempre con l’armatura... - esordì lui.
- Cioè? - domandò lei, invitandolo a continuare.
- Ecco... è
perché io sono... -. Non riuscì a terminare la frase: non
trovava le parole. Dire a qualcuno che non era altro che un’anima
legata tramite alchimia ad un’armatura vuota non era una cosa che
si poteva dire così, alla leggera.
- Tu sei...? - mormorò Nina, incuriosita.
- Ecco... io sono... - ripeté lui.
- Sì...? - lo invitò a proseguire Verdementa.
- Non posso... non ce la faccio... mi dispiace... - sussurrò lui, chinando il capo.
Nina rimase in silenzio per qualche istante.
- Perché...? - chiese lei, alzando di nuovo lo sguardo su di lui.
- Non voglio mentirti, ma... non riesco a dirtelo... - le rispose Alphonse.
Un improvviso alito di vento
spazzò il luogo. Nina si rannicchiò sul posto e Alphonse
le si avvicinò, cingendola con le braccia. Stretta nella sua
dolce presa, Nina ribaltò all’indietro la testa di lui,
che ricadde con un leggero tonfo sull’erba.
Con uno scatto repentino si rialzò in piedi e si allontanò di qualche passo dall’armatura.
- Che... che significa?
Dentro sei... dentro sei completamente vuoto... - mormorò lei,
spaventata. Alphonse si rimise la testa a posto e si alzò.
- Nina posso spiegarti... -
esordì lui, facendo un passo avanti. Lei indietreggiò.
Alphonse rimase di stucco quando incrociò gli occhi di lei: era
uno sguardo vitreo, rimasto immobilizzato in una maschera di terrore. -
Nina... - sussurrò lui.
- No... stammi lontano Alphonse. Non... non... - la ragazza fece ancora qualche passo indietro, prima di voltarsi e correre via.
- Nina... - mormorò lui, atterrito.
Non era possibile. Ma
perché tutto era finito così? Si sentiva uno stupido.
Perché aveva lasciato che il suo peccato gli rovinasse quella
bellissima serata?
Ormai si rendeva a stento
conto di dove fosse e di cosa facesse. Interiormente era in uno stato
indicibile: dolore, tristezza, odio... emozioni negative che si
sovrapponevano le une alle altre. Alphonse si voltò e,
barcollando, fece ritorno all’albergo, mentre nel suo subconscio
iniziava a formarsi uno squarcio sproporzionato e dolorosissimo.
Quando arrivò in
albergo, andò dritto in camera sua e di suo fratello e si stese
sul suo letto. Avrebbe tanto voluto morire. Una morte rapida e
indolore, che avrebbe cancellato tutta quella tristezza dal suo
inconscio. Nella sua mente continuava a presentarsi il ricordo degli
occhi terrorizzati di Nina che lo fissavano vitrei. Erano un ricordo
orribile che desiderava scacciare con tutto se stesso.
Solo qualche ora più
tardi, Alphonse sentì la porta aprirsi e vide comparire Edward.
Il biondo aveva uno sguardo trasognato ed un segno di rossetto sulla
guancia destra.
Quando i suoi occhi si posarono su Alphonse, riprese subito il solito contegno di sempre e si sedette sul suo letto.
- Divertito? - chiese Edward al fratellino.
Alphonse non rispose.
- Al, che ti è successo? - domandò il biondo.
- È corsa via quando
ha scoperto che dentro ero vuoto, ecco cos’è successo!
Sono uno stupido, avrei dovuto dirglielo subito, spiegarle come stavano
le cose... e invece ho rovinato tutto! - esclamò Alphonse. Non
avendo gli occhi per piangere, almeno poteva sfogarsi a parole, anche
se le parole non avrebbero mai potuto esprimere il caos interiore di
quel momento.
- Io... Al, mi dispiace... - mormorò Edward.
- Di che ti devi dispiacere?
Non è colpa tua. È soltanto colpa mia. Tutta colpa mia. E
ora lei se ne è andata per sempre. Non la rivedrò mai
più! - continuò Alphonse, distrutto. Edward rimase a
fissarlo per qualche istante: suo fratello era davvero inquietato e lo
vedeva bene. Chi altri poteva conoscerlo meglio di lui, il suo
fratellone? Non gli era mai capitato di vederlo così afflitto.
- Al... - mormorò il biondo, sfiorandogli appena il braccio.
- Buonanotte! -
esclamò Alphonse, interrompendolo bruscamente. Edward, resosi
conto che il fratello non era nella condizione adatta a discutere,
lasciò cadere il discorso e si spogliò. Appena pronto,
s’infilò sotto le coperte senza fiatare.
Alphonse era ancora
arrabbiato e stava lentamente sbollendo da solo: avrebbe avuto una vita
intera per essere arrabbiato con se stesso. Appena si fu un poco
tranquillizzato, la stanchezza lo colse all’improvviso, facendolo
cadere in un profondo sonno tormentato.
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Capitolo 5 *** Un triste addio ***
Verdementa 5_Un triste addio
Un triste addio
Quando Alphonse si
risvegliò il mattino seguente, sentì come una voragine
aprirsi nel suo inconscio, mentre la realtà gli pioveva addosso
con la forza di una valanga: Nina non c’era più. Non
l’avrebbe mai più rivista. Era una constatazione che gli
provocava un immenso dolore che quasi superava il leggero confine che
separava il dolore emotivo da quello fisico. Era un sentimento
orribile, che lo dilaniava come una spada conficcata nell’anima,
dato che non era altro che quello: un’anima legata ad
un’armatura. Non aveva niente dell’Alphonse che era stato,
l’unica cosa che gli era rimasta era l’anima.
Quando Edward si
svegliò, Alphonse era già in piedi. Osservava silenzioso
il cielo oltre la finestra e sembrava non essersi reso conto del
biondo. Edward sospirò e si accostò al fratellino.
- Al, forse è meglio ripartire... - esordì l’alchimista. Alphonse rimase in assoluto silenzio.
- Sì, cioè... se a te va bene... - precisò il biondo.
Alphonse non rispose di
nuovo: stava soppesando l’ipotesi di partire. Se era condannato a
non rivedere più Nina, che cos’altro lo tratteneva a
Lilium? Però era anche vero che forse avrebbe potuto incontrarla
di sfuggita, magari sarebbe riuscito a spiegarle la situazione. Il
dolore emotivo, però, lo spinse ad accettare la partenza.
- Sì, fratellone... è meglio ripartire... - mormorò.
Fu il turno di Edward di
rimanere in silenzio: l’idea che Alphonse si fosse arreso al
dolore gli dava una profonda preoccupazione, ma non ne accennò
con lui.
Appena il biondo fu pronto, i due uscirono dalla camera e, riunitisi a Fiamma, andarono a fare colazione.
La ragazza, non appena vide
Alphonse, capì che qualcosa non andava: era stranamente lento a
reagire, a rispondere. Probabilmente, gli era accaduto qualcosa di
brutto durante l’appuntamento della sera prima.
Durante la colazione, mentre Edward mangiava e Alphonse fissava un punto fisso dinanzi a sé, la ragazza si decise.
- Mi scusate un attimo? - chiese, alzandosi.
- Dove vai? - domandò Edward, alzando gli occhi su di lei.
- Ecco... mi sono ricordata di un impegno... torno fra poco! - gli rispose lei, avviandosi di corsa verso l’uscita.
Edward rimase a guardare per
qualche istante il punto oltre il quale era appena sparita la ragazza,
prima di riportare la sua attenzione sulla colazione.
Alphonse non si era neanche
accorto che Fiamma se ne era andata: era imbrigliato in un forte
conflitto interiore: la sua voglia di rimanere contro lo sconforto che
lo spingeva a partire. Era uno scontro che sembrava non dover finire
mai. In mezzo a quel campo di battaglia emotivo, c’era una
“zona di sicurezza”, la postazione dalla quale Alphonse
cercava di prendere una decisione: rimanere e tentare di riparare a
ciò che aveva involontariamente scatenato o partire e cercare di
lasciarsi tutto alle spalle? Era una decisione che spettava solo e
unicamente a lui.
Appena Edward ebbe finito di fare colazione, lui e il suo fratellino si diressero verso la loro camera per preparare i bagagli.
Nell’atrio, però, Fiamma li fermò.
- Aspettate! Possiamo andare un’ultima volta al fiume? Vi prego...! - li supplicò lei.
- Ma perché?! Ci siamo stati pure ieri pomeriggio! - ribatté Edward.
- Dai, Ed... Al... vi prego...? - chiese ancora, in tono più supplichevole.
- Aw... e va bene... andiamo... - concesse il biondo, esasperato da tanta insistenza.
Seguito da Alphonse, ancora
perso nella sua battaglia emotiva che si stava lentamente trasformando
in una guerra, Edward si avviò verso la stradina che, dalla
piazza, portava al fiume.
- Ora mi spieghi il
perché di tanta insistenza! - mormorò l’alchimista
all’orecchio di Fiamma, che procedeva a passo svelto verso la
meta.
- Spiacente... non posso
anticipare niente a... nessuno... - gli rispose lei. Il biondo
lasciò cadere il discorso: era incuriosito dalla strana euforia
che la sua fidanzata sembrava avere. Che cosa la rendeva tanto allegra?
Suppose, senza scervellarsi troppo, che fossero “cose da
femmine”.
- Eccoci! Siamo arrivati... - esclamò Fiamma, voltandosi verso i due fratelli Elric, che la seguivano a rilento.
Edward si guardò
intorno e posò lo sguardo sulla ragazza. Con sua sorpresa,
notò che l’attenzione di lei era rivolta ad Alphonse, che
teneva gli occhi bassi, come assorto in chissà quali pensieri.
- Siamo arrivati...! - ripeté lei, enfatizzando le parole.
Alphonse uscì
momentaneamente dalla guerra emotiva che stava vivendo e
contemporaneamente combattendo e alzò lo sguardo, guardandosi
intorno: erano di nuovo lungo il fiume.
Una fitta di dolore lo
colpì al ricordo di quando aveva per la prima volta incontrato
lì Nina. Il suo sguardo si spostò automaticamente sul
punto dove l’aveva...
I suoi occhi caddero
sull’ultima cosa o meglio, persona, che si sarebbe aspettato di
rivedere. Un’esile figura che avanzava incerta, le mani strette
al petto, gli occhi arrossati e cerchiati. Alcuni dei ciuffi di capelli
che circondavano il suo viso erano attaccati alla pelle.
Era lì, in uno stato
pietoso e gli stava venendo incontro. Un flebile sorriso apparve su
quel volto candido, deformato dal dolore. Alphonse rimase impietrito,
incapace di muoversi. Nonostante la sofferenza che lei sembrava emanare
come un’aura nera, rimaneva comunque un angelo. Un candido angelo
addolorato che gli corse incontro e affondò il viso nel suo
petto.
- Alphonse... - mormorò Nina, in preda ai singulti.
Lui rimase in perfetto e assoluto silenzio.
- Alphonse... sono stata una stupida... non avrei dovuto trattarti così! - pianse lei.
Lui le cinse la schiena con
le braccia: adesso capiva lo strano impulso di Edward di cingere Fiamma
quando gli era vicina. Sentiva un senso di dovere nei suoi confronti.
Si sentiva in dovere di proteggerla.
Alphonse le prese dolcemente il viso fra le mani e lo alzò, mentre le asciugava le lacrime.
- Nina... - sussurrò lui, togliendole i capelli dal viso.
- Oh, Alphonse... potrai mai
perdonarmi? Ti ho fatto soffrire, lo so e ho mentito a me stessa...
perché Alphonse... io ti amo... - disse lei tutto d’un
fiato, lasciandolo spiazzato. Era innamorata di lui, come lui era
innamorato di lei.
- Non m’importa se sei solo un’armatura vuota, io ti amo Alphonse... - proseguì lei.
- Anch’io... - proferì lui in un sussurro quasi inudibile.
Alle loro spalle, Fiamma e Edward osservavano la scena.
- Dì la verità, hai combinato tu l’incontro, vero? - la punzecchiò il biondo.
- Non so di cosa tu stia parlando... - gli rispose lei, alzando lo sguardo al cielo con fare innocente.
- Uhm... va bene... meglio così, altrimenti avrei dovuto ringraziarti... - aggiunse Edward.
- E allora...? Sto aspettando! - esclamò lei, indignata.
- Che cosa? - domandò lui.
Fiamma gli si piazzò di fronte.
- Il tuo ringraziamento... - rispose, avvicinandosi al ragazzo.
Automaticamente, il braccio destro del biondo scattò e circondò i fianchi di Fiamma, che sorrise.
- Vedo che capisci quando ti parlo... - disse in tono ironico.
- Bizzarra circostanza... sarà un effetto collaterale... - mormorò lui, avvicinandosi a lei.
- Malato d’amore? - chiese Fiamma, guardandolo di sottecchi.
Lui fece finta di rifletterci su.
- Sì... malato d’amore... - concluse Edward, prima di baciarla.
Alphonse e Nina erano stretti
in un abbraccio pieno d’affetto. La ragazza aveva di nuovo
affondato il viso nel petto di metallo di Alphonse e pareva essere
intenzionata a non separasi mai più, per nessun motivo, da lui.
Però...
Alphonse sciolse la presa e Nina alzò lo sguardo su di lui.
- Nina... noi dobbiamo ripartire... - mormorò lui tristemente.
Lei si rattristò.
- Sì... lo so... sapevo che prima o poi te ne saresti andato... - disse lei.
Alphonse si voltò verso suo fratello, impegnato in un lungo bacio appassionato con Fiamma.
- Ehm... Ed... possiamo posticipare la partenza di qualche ora? - domandò l’armatura.
Edward sciolse il bacio e fissò suo fratello.
- Ti è venuta voglia
di restare, eh? D’accordo. Io non ho nulla in contrario... ti va
bene se rimandiamo per le tre? - disse lui.
- E io non conto niente? - esclamò Fiamma, indignata.
- Oh, sì... certo che conti... - le rispose il biondo con fare ironico.
- Ed, sei sempre il solito! - disse lei, arrabbiata.
Alphonse lasciò
perdere il piccolo litigio e ritornò a fissare Nina. Le iridi
azzurre dei suoi occhi sembravano ancora più belle del solito.
- Alphonse... verrò a salutarti... - mormorò lei e fece per allontanarsi, ma lui la fermò.
- No, aspetta... non te ne andare, per favore - le chiese Alphonse.
Lei si voltò di nuovo
verso di lui e gli si avvicinò. In punta di piedi, la ragazza
riuscì a dargli un bacetto.
- Allora? Che cosa vuoi fare? - chiese lei.
Alphonse ci rifletté su qualche istante.
- Uhm? Dove sono andati a finire Al e Nina? - chiese Edward, perlustrando con lo sguardo la strada vuota.
- Saranno andati a cercare un
luogo dove potranno stare un po’ più tranquilli...
probabilmente erano stufi di sentirci bisticciare.... - gli rispose
Fiamma.
- Già... che cosa facciamo noi nel frattempo? L’ora della partenza è lontana... - disse Edward, sconsolato.
Fiamma si voltò verso il biondo.
- Ti va una sessione di allenamenti extra? Acciaio contro Cuorardente? - gli propose lei entusiasta.
- Ci sto! Non credere che
avrò pietà solo perché sei la mia fidanzata... -
disse lui, scendendo giù per il pendio erboso.
Fiamma si fermò di fronte a lui.
- Detto da te suona un
po’ strano... comunque non credere che ti chiederò
pietà! - ribatté lei, partendo all’attacco.
Nel frattempo, Alphonse e
Nina erano tornati di nuovo al torrente della sera precedente. Lui le
cingeva dolcemente le spalle, mentre le spiegava in linea generale come
aveva fatto a diventare un’armatura.
- ... e così il mio
fratellone ha legato la mia anima ad un’armatura per salvarmi,
sacrificando il braccio destro - concluse Alphonse.
- Dev’essere stato
doloroso... aspetta. Hai detto “fratellone”... non
sarà mica quel tappetto biondo che litigava con Fiamma? - chiese
Nina.
- Sì. Lui è il famoso Alchimista d’Acciaio... spesso ci confondono... - le spiegò lui.
- Be’... mi sembra ovvio... - commentò lei, accennando un sorriso.
Rimasero in silenzio per qualche istante.
- Mi mancherai tantissimo quando te ne andrai... - mormorò Nina.
- Ti ricorderò per
sempre... magari un giorno potremmo tornare... - disse Alphonse,
cercando di farla stare di buonumore: l’idea di doverla
abbandonare lo faceva sentire un verme.
- Alphonse... prima o poi tornerai normale, no? - chiese lei.
- Non lo so... io e mio
fratello stiamo cercando di riparare a ciò che abbiamo fatto...
perché? - domandò Alphonse, incuriosito.
Nina arrossì.
- Se mai ritornerai normale,
verrai di nuovo a trovarmi? Vorrei tanto vederti... normale... e
magari... - disse, ancora più rossa.
Lui rimase in silenzio. Aveva
capito a cosa alludeva, ma non se la sentiva di prometterle un prossimo
ritorno, dato che non era sicuro che potesse riavere il suo corpo.
Malgrado la mancanza di sicurezze riguardo la riuscita della loro
ricerca, si sentì in dovere di darle almeno una certezza.
- Sì... te lo prometto... - le rispose lui.
Nina si alzò
lievemente dal posto e baciò Alphonse di nuovo. Lui avrebbe
tanto voluto poter sentire il contatto con le sue labbra, ma non
poteva. Ecco perché Nina avrebbe voluto rivederlo da normale
essere umano: avrebbe voluto baciarlo. Baciarlo come si baciavano
Edward e Fiamma. Avrebbe voluto un bacio da umano a umano e, in
chissà quale remota parte di sé, anche lui sentiva di
volerlo. Per due persone che si amavano, baciarsi era normale. Ma nelle
sue condizioni attuali Alphonse non avrebbe mai potuto dare quella
soddisfazione né a Nina né tantomeno a se stesso.
Stretti in un dolce e fragile
abbraccio, i due rimasero lì a parlare, osservando il torrente,
mentre i minuti trascorrevano velocemente e si trasformavano in ore.
Le tre del pomeriggio giunsero rapidamente e con esse arrivò per Alphonse e Nina il momento della separazione.
Sotto l’arcata
dell’ingresso in città attendevano Fiamma e Edward.
Alphonse li raggiunse seguito da Nina. Quando fu sotto l’arcata
si voltò verso Verdementa, che lo osservava con gli occhi colmi
di lacrime e le carezzò il viso.
- Non devi piangere... ti ho promesso che, umano o non, tornerò... - la consolò l’armatura.
- Mi mancherai Alphonse...
spero che tu possa tornare presto... fino a quel momento ti
aspetterò... - disse lei, sorridendo fra le lacrime che ormai
scendevano copiose, rigandole le guance.
Alphonse la strinse ancora in un abbraccio che Nina ruppe dopo pochi istanti.
- A presto... buona fortuna
per il viaggio... - mormorò Nina, alzandosi in punta di piedi
per baciare un’ultima volta Alphonse. Il suo bacio era incerto,
timido, intriso di un amore profondo.
Una leggera brezza
spazzò il luogo, alzando leggermente la capigliatura venata di
verde menta della ragazza, che fece qualche passo indietro, osservando
Alphonse intensamente.
Lui ricambiò quel suo
sguardo profondo per qualche istante, prima di voltarsi e avviarsi
fuori città, insieme a Edward e Fiamma.
Alphonse si sentiva
stranamente svuotato, ma sapeva che quello non era un vero addio, era
solo una separazione temporanea. Con quella certezza nell’animo,
si lasciò Lilium alle spalle.
Nina fissò il profilo
dell’armatura accompagnata da Edward e Fiamma fino a che non fu
indistinguibile all’orizzonte. Alphonse se n’era andato, ma
le aveva lasciato una speranza, la promessa che sarebbe tornato da lei,
che non l’avrebbe abbandonata per sempre. Una fitta di dolore al
pensiero della lontananza di Alphonse la colpì improvvisamente,
ma fu scacciata quasi immediatamente dalla speranza che prese vita come
una fiammella dentro di lei. Non le importava quanto, sarebbe rimasta
in attesa. Avrebbe aspettato finché non fosse tornato,
perché glielo aveva promesso.
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