Lover you should've come over di AngeliqueDelPlessis (/viewuser.php?uid=91691)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 1 *** Capitolo I ***
Capitolo I
Desclaimer:
Con
questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non
intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste
persone, nè offenderle in alcun modo, soprattutto in riferimento al
loro orientamento sessuale.
Note
autore in fondo al capitolo.
CAPITOLO I
Non ricordo chi, ma qualcuno un giorno mi disse che
per inventare una storia credibile bisogna aver vissuto molto.
Io ho solo venticinque anni per cui mi limiterò a
raccontare.
Se qualcuno dovesse avere dei dubbi sulla mia storia, è
bene che sappia che ci sono altre persone, a Londra, che possono
confermare quello che sto per dire.
E' un caso, infatti, se solamente io posso raccontarla,
visto che solo a me sono stati riportati certi particolari, senza i
quali questa storia non avrebbe senso.
Era la mattina del 12 marzo 2015 e stavo bevendo il mio
primo tè della giornata davanti al computer.
Controllavo la mia casella di posta, ripulendola dallo
spam, quando mi sono imbattuto in una e-mail della casa d'asta
MacDougall's.
Mi informavano che il 16 marzo ci sarebbe stata una
vendita di mobili e oggetti d'arredamento.
L'e-mail non diceva a chi appartenesse la collezione in
vendita, ma mi informava che nelle giornate del 13 e 14 avrei potuto
visitare l'abitazione da cui provenivano.
Molte case d'aste adottano questo espediente. Pare,
infatti, che ammirare gli oggetti nel loro ambiente originario aiuti
nelle vendite.
L'e-mail non era un fastidioso spam. Avevo già
partecipato ad alcune aste in passato, dando così inizio alla mia
carriera da collezionista, che in realtà era solo un hobby piacevole
e, a volte, dispendioso.
Decisi di visitare quell'appartamento, con la speranza
di scovare qualche pezzo da aggiungere alla mia raccolta.
La mattina seguente, quindi, presi la metro per
raggiungere il numero 9 di Aldford St.
Saranno state appena le dieci ma l'appartamento era già
invaso da gente curiosa.
Avendone avuto la possibilità avrei potuto comprare di
tutto.
La casa era bellissima, arredata come solo nei miei
sogni da collezionista in erba e un po' esaltato, avrei potuto
immaginare.
Ogni
grande designer del passato era presente con almeno uno dei suoi
pezzi più famosi: Le
Corbusier,
Mies
Van der Rohe, Charles Eames, Claudio Castiglioni; mi
innamorai all'istante di una consolle di
Frank Lloyd Wright e
rimasi imbambolato di fronte ad una LC4, numerata e firmata da Le
Corbusier in persona, per almeno quindici minuti.
Era chiaro che chiunque fosse il proprietario non aveva
solo soldi da spendere, ma anche un gusto impeccabile.
Continuai la visita seguendo gli altri avventori, stanza
per stanza, finché non finimmo in una camera da letto.
Un ambiente grande ma sorprendentemente intimo e
accogliente, dove il letto la faceva da padrone e dove, su un comò
di qualche designer quotato, si poteva ammirare una splendida
collezione di orologi da uomo.
Non ne avevo mai vista una così bella e varia in tutta
la mia vita.
Riconobbi facilmente un paio di Rolex Datejust,
in acciaio e in acciaio e oro, un Daytona e un paio di
Submariner dalle ghiere colorate.
Il Panerai Luminor GTM copriva il segmento
sportivo della collezione, dei Jaegar Le Coultre, invece, non
riuscivo a tenerne il conto.
C'erano almeno un paio di Reverso, più alcuni
modelli poco visti, con il cinturino in acciaio, in coccodrillo, in
pelle.
Erano tantissimi.
Talmente tanti, che alcuni marchi e modelli non li avevo
mai visti e non sapevo giudicare il loro effettivo valore, a parte
quello di un Calatrava Patek Philippe che brillava in tutta la
sua semplice perfezione da dentro una teca in vetro.
Non sono un esperto del settore, ma faticavo comunque a
capire la logica di quella raccolta.
Sembrava non esserci un filo conduttore, cosa che di
solito accomuna tutti i collezionisti, al di là degli oggetti
ricercati.
Solamente quando spostai la mia attenzione sui
cartellini esposti vicino ad ogni orologio, e quando lessi la
dicitura “incisione sul retro” poco sotto, capii.
Erano regali. Tutti quanti.
Solo un regalo poteva giustificare un incisione su degli
oggetti simili.
La conferma arrivò quando osservai il resto
dell'esposizione.
Gemelli, ferma cravatte, ferma soldi, anelli da uomo,
era tutto su quel ripiano, sorvegliato a vista da un incaricato della
MacDougall's e quasi tutti avevano impressa un'incisione, non sempre
visibile e il più delle volte limitata a semplici lettere, iniziali
probabilmente.
Una giovane coppia poco distante da me, di sicuro gente
con possibilità, osservava quegli stessi oggetti con stupore,
parlottando fra loro e lasciandosi andare, a tratti, a risate
sommesse che nascondevano nel palmo della mano.
Non erano i primi a comportarsi così.
Fin da quando avevo messo piede in quella casa, avevo
avuto la strana sensazione che tutti gli altri visitatori
nascondessero un segreto, che io potevo solo intuire osservando le
loro labbra strette in smorfie che andavano dal divertimento allo
stupore.
Lanciai un ultimo sguardo alla collezione e mi avvicinai
all'addetto della casa d'asta.
'Mi scusi, sa dirmi di chi è l'appartamento?'
Il custode mi osservò a lungo prima di rispondere.
'Era di Harry Styles'.
Sapevo chi era Harry Styles, non lo conoscevo
personalmente, ma era piuttosto noto in certi ambienti e avevo avuto
modo di vederlo in giro per Londra più di una volta.
'Oh, ha deciso di trasferirsi all'estero e sta
vendendo tutto?', domandai ancora al custode
Ero certo che solo un trasferimento dall'altra parte del
mondo potesse giustificare una vendita in blocco di tutti quei pezzi
favolosi.
Il custode mi fissò nuovamente negli occhi per qualche
secondo.
'No Signore, Harry Styles è morto'.
'Harry Styles è morto?', chiesi stupito e forse
un po' troppo a voce alta.
'Si, circa un mese fa Signore'.
'Ma perché state vendendo tutto?', continuai
incredulo.
'Debiti. Pare ne avesse molti. Ma con la vita che
conduceva c'era da aspettarselo', concluse il custode, prima di
fare un passo indietro e tornare alla sua postazione.
Io lo segui, spinto da una curiosità inspiegabile.
'Ma il ricavato dell'asta basterà a pagare tutti i
debiti, vero? Perché sono certo che avanzerà addirittura qualcosa,
ci sono dei pezzi davvero introvabili qui!'.
'Si, la MacDougall's ha stimato un avanzo dalla
vendita che andrà alla famiglia', rispose, paziente, l'addetto.
'Non sapevo che ne avesse una', commentai
attonito.
'Solo una sorella a quanto pare'.
Dopo questa informazione ringraziai il custode e lasciai
l'appartamento pensando ad Harry Styles.
Non potevo fare a meno di provare pietà per quel
ragazzo morto così giovane.
Conoscevo le voci che correvano su di lui, sapevo che
tutti lo consideravano una marchetta che in pochi potevano
permettersi, ma chi ero io per giudicare?
Cosa ne potevo sapere io dei motivi che avevano spinto
Harry Styles a condurre quella vita?
Era giovane e bellissimo e adesso era morto e per me
questo bastava a giustificare la mia pietà.
Nota autrice:
Ciao a
tutti,
mi scuso
fin da subito se questa nota sarà un po' troppo lunga, ma vorrei
tentare di spiegare nel migliore modo possibile cosa ho intenzione di
fare con questa storia, per evitare qualsiasi tipo di
fraintendimento.
Qualcuno
di cui mi fido molto in fatto di scrittura, e che sa le difficoltà
che ho sempre avuto nel terminare le mie storie, (ne ho un HD pieno
di incomplete), un giorno mi ha consigliato di fare un tentativo con
questo tipo di esercizio.
Mi ha
detto, “Ange prendi un libro, magari il tuo preferito, quello che
hai letto almeno 20 volte e riscrivilo, reinventalo, cambia i
personaggi, le ambientazioni, ma non la trama. Vedrai, imparerai
molto!”, io ci ho pensato su per qualche tempo, forse un paio di
mesi ed ho concluso che effettivamente poteva tornarmi utile per
capire i vari meccanismi della scrittura.
Ma anche
solo per concentrarmi su dei particolari che molto spesso chi si
limita a leggere e non a scrivere non coglie, non tanto per ignoranza
sia chiaro, ma semplicemente perché quando leggiamo un periodo non
sempre ci soffermiamo a chiederci il perché di determinate scelte da
parte dell'autore.
E' vero
anche il contrario del resto, in alcuni casi infatti succede, a me
capita spesso di riflettere su certe scelte stilistiche degli autori
che amo di più, ma so che non per tutti è così e, comunque, per
dieci particolari che mi colpiscono e che mi fanno riflettere,
certamente da lettrice me ne lascio sfuggire altrettanti che passano
inosservati sotto i miei occhi.
Ecco,
riscrivendo una storia tutto questo difficilmente può accadere,
riscriverla ti costringe a prestare attenzione ad ogni dettaglio, a
vagliare ogni scelta, a riflettere su ogni azione e, credetemi, è
davvero utile, perché scrivere è, forse, una delle cose più
difficili al mondo.
Per cui
eccomi qui.
Questa
storia è la mia personalissima rivisitazione di un libro che ho
amato moltissimo nella mia adolescenza e che ho riletto infinite
volte, La Signora delle camelie di Alexandre Dumas figlio.
Si,
è il romanzo che ha ispirato La Traviata
di Verdi, (con
qualche variazione sul finale che, se riuscirò a terminare questa
storia, vi rivelerò, sempre che già non lo sappiate), che
è stato a sua volta ispirato da una donna realmente esistita e che
Dumas ha molto amato, Marie Duplessis.
Ho
pensato, quindi, che condividere questo esperimento con qualcun
altro, ascoltare pareri diversi, altri punti di vista, mi potrebbe
aiutare a terminare, finalmente, qualcosa nella mia triste vita da
aspiranti imbrattacarte.
Vi
sorprenderebbe sapere quanto l'adattamento di questo romanzo ai Larry
sia perfetto. Mentre abbozzavo lo schema della storia e la
suddivisione dei vari ruoli, personaggi, località, ecc. io stessa
faticavo a crederci, è incredibile!
Spero
che andando avanti negli aggiornamenti la cosa risalti con maggior
chiarezza che in questo breve primo capitolo.
Ovviamente
se non avete letto il romanzo non posso che consigliarvi di farlo.
Ho
ambientato la storia in Inghilterra, a Londra e ai nostri giorni,
piuttosto che in Francia, a Parigi nel 1874 come nel romanzo.
Non
seguirò alla lettera la suddivisione originale di Dumas, alcuni
capitoli saranno accorpati inevitabilmente e non escludo qualche
altro tipo di variazione, ma sappiate che la storia è questa, Harry
Sryles è morto e niente e nessuno potrà cambiare questo dato di
fatto, tanto meno la sottoscritta, per cui mi dispiace darvi questo
dolore ma credo sia giusto metterlo subito in chiaro.
Per
gli aggiornamenti non ho previsto un giorno in particolare in cui
postare, questo perché per quanto possa essere estremamente semplice
riscrivere qualcosa di già esistente rispetto a creare qualcosa di
inedito, gli accorpamenti e certe scelte che sarò inevitabilmente
costretta a fare, (ma è per questo che lo faccio in fondo no?!),
possono richiedere qualche giorno di riflessione per la stesura del
capitolo.
Arrivati
a questo punto, quindi, a costo di sembrare ripetitiva devo
riscriverlo, tutti i crediti e gli eventuali meriti vanno
esclusivamente a Alexandre Dumas, che non ringrazierò mai
abbastanza per aver scritto questo romanzo.
Per
il resto spero che vi divertirete a leggerla come io mi sto
divertendo a riscriverla!
Grazie
a chi mi legge!
Angelique
Per
il titolo voglio ringraziare di cuore Irene che mi ha consigliato
l'omonima canzone di Jeff Buckley.
Lover, You
Should've Come Over la trovate anche su Wattpad
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(Angelique79).
Questo
è il mio account Twitter @sunbozzi79.
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Capitolo 2 *** Capitolo II ***
Capitolo I
CAPITOLO
II
Ero stato in viaggio per lavoro a Los Angeles e ero
rientrato a Londra da poco, per questo non ero venuto a sapere prima
della morte di Harry.
Se fossi stato in Inghilterra lo avrei saputo in tempo
reale, anche se non era di certo una notizia così importante
nell'economia della mia vita.
Mi sarei ritrovato a cena con qualche amico, di quelli
che amano frequentare un certo tipo di ambiente e mi avrebbero
informato distrattamente buttandomi li un, 'Hai saputo di Styles?
E' morto. Che spreco Cristo Santo, era stupendo!' e poi avrebbero
continuato a bere dai loro bicchieri.
Qualcuno che lo aveva conosciuto più intimamente,
forse, si sarebbe lasciato andare a qualche ricordo più sentito, per
poi cancellarlo definitivamente dalla memoria.
Quanto a me, Liam Payne, non avevo mai conosciuto Harry
Styles intimamente, ma mi ero ritrovato a pensare alla sua
morte più a lungo di quanto forse meritasse.
Mi tornavano in mente tutte le volte che lo avevo
incontrato in qualche locale, o in uno di quegli attici dove le feste
non possono non riuscire bene.
Perché di certo Harry non batteva per la strada.
Lo vedevi arrivare sempre solo all'evento della
settimana, lasciava la sua auto ai parcheggiatori e, nascondendosi
sotto ai suoi capelli, entrava a testa bassa.
Era altissimo e magro, quasi sempre fasciato da stretti
jeans e camicie di seta di cui non riuscivo nemmeno ad immaginarne il
costo al dettaglio.
In inverno dei cappotti scuri avvolgevano la sua lunga
figura mettendo ancora di più in risalto il suo pallore.
L'eleganza era nata con lui, non l'aveva acquisita con i
soldi o l'esperienza.
I suoi boccoli lunghi e scuri erano leggendari, tanto
quanto i suoi enormi occhi verdi dalle ciglia infinite. Aveva delle
labbra rosse e carnose, sempre un po' lucide di saliva e la prima
parola a cui riuscivi a pensare guardandole, e era impossibile non
farlo, era “peccato”.
Eppure, ero certo di non essere stato l'unico a
chiedersi come fosse possibile che Harry riuscisse a mantenere
quell'espressione da eterno adolescente nonostante la vita che
conduceva.
Era
sempre presente agli eventi che contavano, che fosse la festa più
attesa, una prima teatrale o cinematografica, l'inizio della stagione
della moda o i BAFTA,
lui era li,
con quelle sue fusciacche al collo che spiccavano sul torace bianco e
tatuato, lasciato in bella mostra dalla camicia tenuta insieme da
soli due bottoni.
Magari
a qualcuno quello squarcio di pelle brillante sarà sembrato un
chiaro simbolo di offerta, ma a me faceva pensare al sacrificio,
forse a causa di quel crocifisso che dondolava, ipnotizzandoti, sul
suo petto nudo.
Chi
lo frequentava assiduamente, i suoi amici, i suoi amanti dicevano che
per venticinque giorni al mese quelle fusciacche fossero nere e per
cinque bianche*, ma nessuno era mai riuscito a spiegarsi il perché.
Certi
ambienti sono come paesi, o dei piccoli quartieri se preferite, si sa
tutto di tutti. Quindi, non era certo un segreto per nessuno in
quella cerchia esclusiva che ho frequentato anche io, che Harry era
stato l'amante dei personaggi più in vista.
Harry
stesso non aveva problemi ad ammetterlo e i suoi amanti se ne
vantavano in giro tranquillamente.
Le
cose cambiarono dopo un suo viaggio in America, dal quale tornò
insieme a un certo produttore.
Non
ne sapevo molto in realtà, ma in giro si diceva che Harry Styles era
partito per Los Angeles per alcune visite mediche. Non stava bene e
il clima londinese non lo aiutava.
Non
era chiaro il modo in cui conobbe il produttore con cui rientrò in
Inghilterra dopo qualche mese, dando scandalo.
Jeff
Azoff non solo era famoso nell'ambiente cinematografico e musicale e
molto ricco, ma fu subito chiaro a tutti che era anche estremamente
generoso, soprattutto con Harry.
Il
tenore di vita in cui lo manteneva Azoff era oggetto dei pettegolezzi
più velenosi, soprattutto perché la sua generosità andava di pari
passo con la sua gelosia.
Harry
ormai si vedeva sempre meno in giro per Londra e c'era chi giurava di
aver assistito ad una delle leggendarie scenate di gelosia di Azoff,
che non poteva sopportare le fughe di Harry dalla sua gabbia dorata,
per andarsi a gettare tra le braccia del primo disposto a farlo
divertire come ai vecchi tempi.
O
almeno questo era quello che la gente raccontava.
Il
16 marzo arrivai alla sede della MacDougall's
intorno alle undici.
La
sala dell'aste era gremita di gente.
I
posti a sedere erano tutti occupati e non mi fu difficile scorgere
tra la folla molte mie conoscenze, sia lavorative sia di quelle che
si fanno sempre durante qualche party particolarmente riuscito.
Era
davvero una strana assemblea quella.
Manager,
squillo, attori e attrici, giocatori d'azzardo, stimati
professionisti della moda e del cinema, rinomati spacciatori,
creditori in attesa di riscuotere e addirittura un paio di Lord per
niente a disagio, tutti seduti uno di fianco all'altro e intenti a
chiacchierare piacevolmente, in attesa di spartirsi quello che
rimaneva della vita di Harry Styles.
Confesso
che quel pensiero mi intristì.
Non
potevo fare a meno di pensare a Harry come a una vittima, e a quella
gente come ai suoi aguzzini, che in vita avevano preteso tutto da
lui, il suo corpo, il suo tempo, il suo amore, la sua felicità e la
sua bellezza, forti di quei soldi spesi per lui, dei regali costosi,
dei viaggi indimenticabili, degli appartamenti lussuosi in cui lo
avevano fatto vivere solo per soddisfare la loro vanità, e che ora
che Harry non c'era più, sedevano sorridenti e incuranti, in attesa
di riprendersi quello che gli avevano dato ad un terzo del prezzo,
come se lui non fosse mai esistito.
Non
avevo conosciuto Harry Styles, è vero, ma ogni volta che le nostre
strade si erano incrociate nel corso degli anni, la sua educazione
impeccabile, al limite del ridicolo, la sua innata gentilezza,
insieme alla sua naturale eleganza e bellezza, mi avevano sempre
ispirato un curioso sentimento di rispetto verso di lui.
Ero
sempre stato convinto che nessuno, al di fuori del suo ambiente,
avrebbe mai potuto scambiare quel ragazzo dalla voce calda e lenta e
dal sorriso infantile per una costosa puttana, ma piuttosto per un
giovane principe di qualche piccolo Paese sconosciuto.
Nonostante
i miei pensieri tristi l'asta era cominciata e procedeva a ritmo
serrato.
Opere
d'arte, mobili e oggetti d'arredamento si vendevano a una velocità
incredibile.
Non
so bene perché mi presentai li quel giorno. Non sono un morto di
fame, ma molti di quegli oggetti erano al di fuori delle mie
possibilità, me ne ero già reso conto durante la mia visita a casa
di Harry.
Fu
la curiosità, credo, che mi spinse a uscire di casa quella mattina.
La
curiosità e il desiderio, forse un po' infantile, di salutare Harry
alla presenza degli oggetti che gli erano appartenuti e che forse in
vita aveva amato.
I
quadri, i soprammobili, le litografie erano stati i primi ad essere
depennati dalla lista del banditore.
La
LC4 firmata Le
Corbusier
era stata venduta, insieme a tutti gli altri mobili.
Poi
era stato il turno della collezione di orologi, che era stata
smembrata e ceduta pezzo per pezzo, insieme agli altri accessori
appartenuti a Harry.
Un
bel tipo, moro e dalla carnagione scura marchiata da tatuaggi, si era
aggiudicato una chitarra, un pezzo raro in perfette condizioni e ora
sfoggiava un ghigno soddisfatto.
Uno
dei due Lord, un biondo agitato e dalla risata contagiosa, si
aggiudicò l'intera collezione di vinili, una raccolta stupenda che
gli costò una piccola fortuna.
Tutto
procedeva come previsto, fino a quando il banditore, un tizio calvo e
grasso che stava sudando più di quanto richiesto dal suo lavoro, con
la voce arrochita dalle troppe trattative, quasi gridò:
'Un
libretto d'opera*, della prima de La Traviata al teatro La Fenice di
Venezia il 6 marzo del 1953. Buone condizioni. Dedica a penna sulla
prima pagina. Prezzo di partenza trecento sterline'.
'Trecentocinquanta',
sentenziò qualcuno, dopo un momento di silenzio.
'Quattrocento',
mi sentii ribattere, quasi sicuramente per quella dedica a penna.
Il
“quattrocentocinquanta”
del mio rivale mi sfidò apertamente.
Facemmo
ancora un paio di rilanci, fino a quando esasperato e testardo gridai
un definitivo “ottocento
sterline”.
Qualcuno
in sala si girò a guardarmi incuriosito.
L'altro
pretendente, dopo un momento di esitazione, mi fissò negli occhi per
poi chinare appena il capo in segno di resa.
Fu
così che mi aggiudicai quel libretto e che me la diedi a gambe per
non rischiare di lasciarci lo stipendio di un anno di lavoro.
Sbrigai
le pratiche burocratiche davanti a un addetta precisa e gentile, che
mi consegnò il mio acquisto.
Sulla
prima pagina dell'opera più famosa di Verdi la dedica diceva:
Violetta
a Harry*
Umiltà
La
firma era di un certo Louis Tomlinson.
Durante
il viaggio in metro verso casa non feci altro che fissare quella
dedica chiedendomi il vero significato della parola umiltà.
Secondo
questo Tomlinson, Violetta riconosceva a Harry una superiorità nel
vizio o del cuore?
Sicuramente
del cuore, pensai.
Tutti
conoscono la storia de La
Traviata
e la figura ormai mitica di Violetta, ma quel giorno pensando a
quell'opera, con la figura di Harry Styles in mente, mi commossi
profondamente.
Violetta
aveva vissuto, come Harry, nel lusso e nel vizio ma aveva amato, e
anche in punto di morte, nonostante la solitudine in cui era caduta
durante la sua malattia, aveva almeno avuto la felicità di morire
fra le braccia del suo Alfredo.
Harry
era stato altrettanto fortunato?
O
era morto solo, abbandonato da tutti, come un bell'oggetto rovinato
che si dimentica di avere?
Arrivato
di fronte al portone di casa pensai distrattamente che non lo avrei
mai saputo.
Ma
mi sbagliavo.
Note
al testo:
- Nel
romanzo Marguerite
sfoggiava per 25 giorni al mese delle camelie bianche e per 5 giorni
rosse, per questo la sua fioraia l'aveva soprannominata la “Signora
delle Camelie”. Non ho potuto evitare di inserire un riferimento
rivisto e corretto!
- Nel
romanzo di A. Dumas la voce narrante non acquista un libretto
d'opera, ma un romanzo, Manon
Lescaut
di Antoine
François Prévost,
altra storia in cui protagonista è una mantenuta e molto in voga
all'epoca di Dumas.
- La
dedica di Louis è identica a quella usata nel romanzo da Armand
Duval,
il protagonista. Cambiano solo i nomi di Violetta e Harry, nel libro
infatti si legge: “Manon
a Marguerite Umiltà”.
Nota
autrice:
Oggi
sarò breve, promesso!
Prima
cosa, non abituatevi a questi ritmi di aggiornamento perché, no.
I
primi due capitoli erano pronti da un po' e visto che il primo è
molto breve ho pensato di postarli molto velocemente, ma vi dico
subito che non sarà sempre così.
Spero
che le note al testo siano abbastanza chiare, se così non fosse,
comunque, in rete trovate tutte le info sul romanzo e l'opera.
Ho
avuto qualche dubbio sull'oggetto acquistato da Liam, che nel romanzo
è un semplice libro di poco valore, ma non volevo citare lo stesso
romanzo di Dumas e alla fine ho avuto quasi un'illuminazione e mi
sono detta, perché non proprio l'opera di Verdi?
Ho
fatto alcune ricerche in rete e quel libretto esiste davvero, ma non
sono riuscita a capire minimamente il suo effettivo o stimato valore,
per cui la cifra battuta all'asta l'ho completamente inventa, spero
solo di non aver scritto qualche stronzata colossale.
Non
ho molto altro da dire sul capitolo, ma per qualsiasi curiosità
chiedete pure.
Grazie
per avermi letto!
Angelique
Lover,
You Should've Come Over la trovate anche su Wattpad
(Angelique79).
Questo è il mio account Twitter
@sunbozzi79.
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Capitolo 3 *** Capitolo III ***
Capitolo I
CAPITOLO
III
L'asta si era conclusa.
L'appartamento di Harry era stato venduto e con esso
tutto quello che conteneva.
La vendita era riuscita a coprire i debiti e era
avanzata una somma per la sorella, una ragazza giovane che si era
presentata alla MacDougall's per
ritirare l'assegno e poi, così come era comparsa, dal nulla, sparì
senza lasciare traccia.
A Londra la notizia della sua morte e tutto quello che
ne derivò passò di bocca in bocca ancora per qualche giorno, fino a
quando l'interesse scemò nell'indifferenza generale.
Anche io avevo ripreso la mia solita vita fatta di
lavoro, famiglia e amici.
Quasi non ricordavo più come fossi riuscito a farmi
coinvolgere in questa storia, che in fondo riguardava qualcuno a cui
non avevo mai rivolto la parola.
Ma è proprio quando si smette di pensare a qualcosa,
certi di averlo dimenticato, che un evento inaspettato ci costringe,
trascinandoci quasi, a concentrarci di nuovo e con più
coinvolgimento su quello che pensavamo superato.
Una settimana dopo l'asta mi trovavo a casa.
Era mattina e stavo lavorando al computer già da un
paio d'ore. Faccio lo sceneggiatore e occasionalmente collaboro con
quei cantanti che hanno bisogno di qualche traccia in più per i loro
dischi.
Ero concentrato su uno scambio di battute
particolarmente importante, quando qualcuno suonò alla mia porta.
Lasciai la mia scrivania sbuffando per l'interruzione a
mi affrettai ad aprire.
Mi ritrovai di fronte un ragazzo, all'incirca della mia
età.
Non era alto e il cappuccio di una felpa grigia gli
copriva i capelli castani e arruffati.
Aveva un aspetto trasandato e l'aria di qualcuno che
aveva vagato a piedi per il mondo senza fermasi mai da nessuna parte.
Quando i suoi occhi incontrarono i miei il loro azzurro
catturò subito la mia attenzione, ma quello che mi colpì davvero
furono le lacrime che cercavano di trattenere.
Non si sforzò di nascondere le sue emozioni e, prima
che io potessi rivolgergli la parola, con voce sottile e rotta mi
chiese:
'Liam Payne?'
Io assentii con il capo. Lui sospirò leggermente,
nervoso.
“Non ci conosciamo. Sono Louis Tomlinson. Scusami
se mi presento così a casa tua, ti sembrerò un pazzo, ma ti
assicuro che non sono pericoloso', disse agitato e sempre più
commosso.
Io sorrisi gentilmente per rassicurarlo.
“Ciao. Non ti preoccupare, come posso aiutarti?'
Louis strinse le labbra in un sorriso stanco, distolse
gli occhi dai miei per guardarsi intorno a disagio.
'Ecco io...sono venuto qui perché avrei bisogno di
chiederti un favore', disse tirando su con il naso, 'capisco
che la situazione sembra assurda, ma davvero, ti rubo solo qualche
minuto e poi ti lascio in pace'.
Non sono una persona diffidente di natura, ma quello che
mi spinse a spalancare la porta per fare entrare Louis in casa mia
non fu la fiducia, ma una pena profonda che non potevo fare a meno di
provare vedendolo così stanco e disperato.
Il suo nome, poi, aveva già smosso i miei ricordi
permettendomi di collegare questo ragazzo disperato alla mia porta,
alla dedica sul libretto d'opera che ora si trovava nel mio studio.
Louis non aggiunse altro quando mi vide farmi da parte
per lasciarlo entrare, si limitò a sorpassarmi fermandosi
nell'ingresso.
Gli feci strada fino al salotto e lo feci accomodare sul
divano, mentre lui si calava il cappuccio sulle spalle.
'Vuoi un caffè?'
Le sue occhiaie mi dicevano che ne aveva bisogno, anche
se forse per il suo attuale stato d'animo una camomilla sarebbe stata
l'ideale.
'Grazie. Mi piacerebbe, ho ancora il fuso e non mi
reggo in piedi'.
'Torno subito', lo informai, per poi lasciarlo li
sul divano a fissarsi le piccole mani nervose.
Mentirei se dicessi che non ero curioso. Lo ero.
Cosa voleva da me la persona che aveva regalato La
Traviata a Harry Styles? E perché sembrava sull'orlo di una
crisi di nervi? Cosa poteva essergli accaduto per ridurlo in quello
stato?
Me lo chiedevo riempiendo due tazze di caffè forte.
Quando rientrai in salotto lo vidi asciugarsi
velocemente qualche lacrima, prima di sorridermi debolmente
accettando la tazza. Mi sedetti al suo fianco, probabilmente con un
velo di preoccupazione negli occhi.
'Sei molto gentile Liam Payne, te l'ha mai detto
nessuno?', commentò lui, cercando di infondere un po' d'ironia
nelle sue parole, viste le circostanze.
Io gli sorrisi per ringraziarlo del complimento e mi
accomodai meglio sui cuscini, decidendo di non rispondere per
lasciargli il tempo di riorganizzare i suoi pensieri.
Louis si limitò a sorseggiare il caffè per qualche
istante, fissando lo sguardo nel vuoto.
'Qualche giorno fa c'è stata un'asta alla
MacDougall's',
disse poi, sempre con quella sua voce sottile come un lamento.
'Si',
mi limitai a rispondere.
'Scusami
ancora Liam, ma ho bisogno...vorrei sapere se ci sei andato”,
mi chiese allora, con lo sguardo pieno di lacrime e qualcosa simile
alla speranza nascosta dietro.
'Si,
ci sono andato e
non scusarti, davvero, vorrei poterti aiutare'.
Ero quasi tentato
di afferrare la sua mano in un gesto di conforto.
Lui continuò a
guardarmi, ma ero certo che la sua mente fosse altrove.
'Sai
che gli oggetti in vendita erano di Harry Styles?'
La sua voce morì
sulle le ultime due parole.
'Si,
certo, lo so',
sussurrai abbassando lo sguardo, pensando alla morte di Harry.
Lui si asciugò una
lacrima con un gesto nervoso.
'Hai
comprato qualcosa all'asta di Harry?',
mi chiese allora, con un tremore nella voce.
'Si,
un libretto d'opera'.
'La
Traviata?'
'Esatto'.
'E...ce
l'hai ancora?'
'E'
di là, nello studio'.
Louis si lasciò
andare a un piccolo sospiro di sollievo.
Io mi alzai
immediatamente per andare a recuperare il libretto.
Quando glielo misi
fra le mani lui lo afferrò con delicatezza e disse solo: 'Si,
è questo'.
Ormai piangeva
apertamente osservandone la copertina ingiallita.
'Ci...ci
tieni molto?', mi
chiese, sempre senza staccare gli occhi dal piccolo libro.
'Perché
me lo chiedi?'
'Perché
vorrei ricomprarlo da te', concluse
lui.
'Scusa
Louis, ma qui sopra c'è la tua firma, il tuo nome, l'hai regalato tu
ha Harry?', domandai
gentilmente, per non risultare troppo invadente.
'Si,
è così', rispose.
'Allora
tienilo, è tuo',
conclusi, felice di poter fare qualcosa per lui.
'Grazie,
ma vorrei rimborsarti almeno'.
'Lascia
perdere. Non ce n'è bisogno, davvero',
dissi con noncuranza.
'Come
fai a dire che non c'è n'è bisogno? Hai sborsato ottocento
sterline', ribatté.
'E
tu che ne sai?', gli
chiesi un po' stupito.
'Beh
io...pensavo di fare in tempo a tornare a Londra per partecipare
all'asta, ma sono riuscito a arrivare solo stamattina presto. Sono
andato subito alla MacDougall's per sapere se era rimasto qualcosa di
invenduto. Ovviamente no. Allora ho supplicato per dare uno sguardo
alla lista degli acquirenti e quando ho visto che La Traviata l'avevi
comprata tu, ho pensato di venirti a chiedere di rivendermela, anche
se quando ho visto il prezzo a cui è stata battuta, ho avuto paura
che per te fosse legata a qualche ricordo particolare'.
Era chiaro che
Louis temeva che anche io avessi conosciuto Harry molto intimamente
e che non fossi disposto a separarmi da qualcosa che era stato suo.
'Conoscevo
Harry solo di vista. La sua morte mi ha colpito. Ho lasciato salire
il prezzo solo perché sono uno stupido, davvero. Il libretto è tuo
Louis'.
Volevo rassicuralo
il più possibile.
'Grazie,
sei davvero un amico',
disse Louis, stringendo appena il mio ginocchio con una mano.
'Spero
di diventarlo, sembri averne bisogno'.
Avevo un milione di
domande in testa che avrei tanto voluto fare a Louis in quel momento,
ma mi trattenni, per non essere frainteso.
Non volevo che
pensasse che avevo rifiutato i suoi soldi per ricevere qualche
confidenza da parte sua, con cui avrei potuto fare conversazione
durante una delle mie noiose cene del sabato sera.
Non so se lui lo
capì davvero, so solo che mi chiese:
'Conosci
La Traviata?'
“Si certo”,
risposi.
'Hai
letto la mia
dedica?'
'Si'.
Louis mi guardò
negli occhi, come se si aspettasse di leggerci una condanna, che non
trovò. Allora mi disse:
'Harry
era un angelo'.
Poi infilò una
mano tremante in tasca per tirarne fuori uno smartphone.
Tirò su con il suo
piccolo naso, fissando il video e muovendo le dita leggere sullo
schermo, in cerca di qualcosa.
Dopo qualche
istante mi passò il cellulare, senza aggiungere altro.
Quella che mi
ritrovai davanti era una e-mail:
Lou,
non hai idea di quanto la tua e-mail mi abbia
reso felice. Ho sempre pensato che tu fossi un 'buono'
e me ne hai dato l'ennesima prova.
Non sto bene Lou. Nessuno ci capisce niente con
il mio cuore e la situazione è grave, anche se oggi, dopo aver letto
le tue parole, mi sembra di stare meglio.
Non penso che ci rivedremo. Ma forse è meglio
così, non sono più l'Harry che hai conosciuto.
Mi scrivi chiedendomi perdono. Certo Lou che ti
perdono, ho sempre saputo che il male che mi hai fatto, me l'hai
fatto solo perché mi amavi.
Tengo
così tanto a te e alla tua stima che c'è qualcosa che conservo solo
per te. Quando riuscirai a tornare a casa, se davvero mi vuoi bene,
vai a trovare Lou Teasdale, lei ti darà qualcosa da parte mia.
Lou
è un vero angelo. Si prende cura di me da quando ho avuto la
'ricaduta'. Parliamo spesso di te, abbiamo letto la tua e-mail
insieme e si è commossa molto.
Per
me, per te, per noi.
Vorrei
tanto lasciarti qualcosa di mio, ma a quanto pare niente lo è più
in questa casa, ma forse è sempre stato così.
Sto
praticamente morendo e devo combattere ogni giorno per trovare
qualche tipo di accordo con i miei creditori.
Per
cui quando metteranno tutto all'asta, (è questo il mio piano), ti
prego, compra qualcosa.
Se
solo riuscissi a rivederti prima di andarmene mi sembra che non avrei
più niente da rimpiangere.
Scusami
se sono solo poche righe, ma so che capirai che, ormai, mi stanco in
fretta.
Con
amore.
H.
Riconsegnai
il cellulare a Louis. Il suo sguardo azzurro mi disse che conosceva
quel testo a memoria.
'Riesci
a crederci che chi ha scritto questa mail faceva marchette?'
Lo
disse con la sguardo basso, mentre strofinava il video del cellulare
sui pantaloni della tuta, in un gesto automatico e allo stesso tempo
nervoso.
'E'
morto solo. Non ho fatto in tempo a tornare da lui. Non lo rivedrò
mai più. Non so se me lo perdonerò mai'.
Le
lacrime uscivano lente e chiare dai suoi occhi, come le sue parole.
Strinse
ancora il mio ginocchio con la sua piccola mano.
'Sono
un idiota, vero? Sto qui a disperarmi per una puttana. Ma credimi
Liam, nonostante tutto il male che gli ho fatto, Harry non ha fatto
altro che amarmi. Mi ha perdonato sempre tutto e io darei dieci anni
di vita solo per rivederlo e buttarmi ai suoi piedi'.
Forse
Louis aveva ragione a dire che ero una persona gentile, ma tutta la
mia naturale gentilezza in quel momento mi sembrava completamente
inutile.
Era
inconsolabile.
Era
chiaro che soffrisse molto, ma io non sapevo esattamente perché, ma
soprattutto non avevo mai sofferto come lui in tutta la mia vita, di
questo ne ero certo.
Come
avrei potuto aiutare qualcuno se il suo dolore mi era praticamente
sconosciuto?
Io
non lo sapevo allora, come forse non lo so oggi. Ma Louis non mi era
indifferente, per cui presi per la prima volta la sua mano fra le mie
stringendola appena e gli dissi:
'Mi
sembra di aver capito che sei di queste parti. Forse dovresti passare
un po' di tempo con i tuoi. Ti farebbe bene, ne sono sicuro Louis'.
Louis
strinse appena la mia mano e poi si alzò in piedi, guardandosi in
giro un po' spaesato.
'Hai
ragione. Ti sono piombato in casa angosciandoti la giornata,
scusami'.
“No
Louis, davvero, mi hai frainteso. Vorrei tanto aiutarti e se passare
del tempo insieme può aiutarti sarei felice di farlo. Credimi'.
Lui
sospirò leggermente.
“Scusami.
Solo che....è tutto semplicemente troppo da sopportare, credo.
Grazie per Verdi. Sarò sempre in debito con te, Liam'.
Io
mi affrettai a trovare qualcosa su cui scrivere sulla mia scrivania e
poi gli allungai il mio numero di telefono.
'Se
vuoi sdebitarti allora prometti di chiamarmi una di queste sere. Ci
andiamo a bere qualcosa e potrai raccontarmi come mai sei in questo
stato. Magari parlarne ti aiuterà'.
Louis
fissò la mia calligrafia per qualche istante.
'Lo
farò, ma dammi qualche giorno. Ora non sarei di compagnia. Ma mi
farò vivo, okey?'
Io
assentì, accompagnandolo alla porta.
Louis
mi strinse la mano, mentre con l'altra teneva La
Traviata
stretta al petto.
'Chiamami,
okey? A presto
Louis',
gli dissi, cercando i suoi occhi con i miei.
'Grazie
di tutto Liam',
mi rispose lui, distogliendo in fretta la sguardo per nascondere le
lacrime.
Poi,
con un movimento veloce, che nascondeva tutto il suo desiderio di
rimanere da solo, uscì di casa, scendendo i pochi gradini che lo
separavano dal portone, come se scappasse.
Io
rimasi sulla porta qualche istante a fissare il pianerottolo.
Poi
rientrai, ma prima di rimettermi a lavoro, scostai di poco le tende
della finestra che affacciava sulla strada.
Louis
si era calato di nuovo il cappuccio sulla testa e osservava la via
dal ciglio del marciapiede.
Fermò
un taxi di passaggio, parlò brevemente con il conducente e salì.
Lo
vidi appoggiarsi allo schienale e abbassare la testa, una mano a
nascondere i suoi occhi.
Poi
il taxi ripartì.
Louis
non si fece vivo per tutta la settimana successiva.
Ma
pensai molto a lui, visto che il nome di Harry uscì fuori in quasi
ogni conversazione che ebbi con le persone più diverse.
Sapete
come funziona, sembra quasi una magia.
All'improvviso
anche le persone più insospettabili, quelle che mai avresti potuto
associare a quella storia o persona, iniziano a raccontarti aneddoti,
circostanze particolari che ti fanno capire di aver condiviso momenti
della tua vita con qualcuno che non ricordavi nemmeno fosse li,
insieme a te.
Coincidenze
inspiegabili che insieme al dolore di Louis ancora in testa, mi
resero curioso, tanto da spingermi a domandare.
Allora,
quando mi si presentava l'occasione, chiedevo ai miei amici, ma anche
a semplici conoscenti: 'Conoscevi
Harry Styles?'
'Parli
del riccio?'
'Proprio
lui'.
Le
risposte andavano da “molto”,
a “parecchio”,
a “l'ho
conosciuto almeno un paio di volte”,
fino a “la
miglior scopata della mia vita”.
I
gay popolano Londra, ma nessuno di loro riusciva mai a darmi qualche
informazione in più su di lui.
Dicevano
tutti che era stato un bellissimo, bravo ragazzo, che sapeva stare al
mondo, ma andare oltre a queste vaghe informazioni era quasi
impossibile.
Almeno
fino a quando non incontrai, a una cena di lavoro, uno di quei
cinquantenni che si capisce subito da come ti guardano che hanno
molto da raccontare, uno di quegli uomini che ti osservano come se di
persone come te ne avessero già conosciute a centinaia.
Alla
mia solita domanda, se aveva conosciuto Harry Styles, lui sorrise,
come se pensasse a un bel ricordo.
'Abbastanza',
mi disse, ma senza risultare volgare, 'la
sua morte è stata una tragedia'.
'Sai
per caso se ha avuto una storia con un certo Tomlinson, Louis
Tomlinson?'
'Chi,
il piccoletto con quegli occhi azzurri?'
'Si'.
'Si,
hanno avuto una storia'.
'Che
tipo era Louis?'
'Era
completamente fuori di testa per Harry. Ma era anche povero, o forse,
troppo poco ricco, chi lo sa. Alla fine è stato costretto a
lasciarlo'.
“Harry
lo amava?'
'Moltissimo.
Ma Harry era quello che era e alle persone come lui è sempre meglio
non chiedere troppo'.
'Che
fine ha fatto Louis?'
“Non
ne so nulla. Sono stati insieme per poco meno di un anno, credo. Ma
l'ho conosciuto poco. Passavano la maggior parte del tempo fuori
Londra, non so bene in che paesino sperduto e, quando Harry è
rientrato in città, Louis è ripartito subito. Poi non l'ho più
visto'.
Ormai
anche a me sembrava di non vedere Louis da mesi, anche se in realtà
erano passate appena un paio di settimane.
La
gratitudine che avevo letto nei suoi occhi durante il nostro primo
incontro mi era sembrata sincera.
Ero
sicuro che mi avrebbe telefonato, o che si sarebbe presentato di
nuova alla mia porta.
Ma
se ancora non era successo, forse doveva esserci una spiegazione.
Magari
era ripartito, o era in visita dai suoi.
Più
ci pensavo più i dubbi e le ipotesi aumentavano, fino a quando un
sabato mattina decisi di fare qualcosa per metterli a tacere.
Cercai
in rete, sui siti dei maggiori quotidiani, tutte le informazioni
disponibili sul funerale di Harry.
Scoprì
dove lo avevano seppellito, comprai dei fiori e andai a fargli
visita.
Con
le informazioni avute al Trent
Park Cemetery mi incamminai verso il settore che mi era stato
indicato.
La
lapide era semplice e squadrata, essenziale in tutto.
Harry
sorrideva mostrando le sue fossette dalla foto in ceramica sopra il
suo nome.
Era
una tomba comune, niente di eccezionale, se non fosse stato per il
semplice fatto che era invasa da camelie bianche.
Un
tappeto di camelie la ricopriva, come fosse un aiuola ben curata di
un giardino.
Per
un momento rimasi interdetto con i fiori in mano, guardandomi in
giro.
Quella
era opera di Louis, ne ero certo e il giardiniere che lavorava
pacifico li intorno me lo confermò.
'Si,
è stato un ragazzo a realizzarla. E' bellissima, vero?'
Io
annui semplicemente.
'L'ho
visto seduto qui per terra a piangere ogni giorno. A essere sinceri è
anche l'unico che ho visto davanti a questa tomba. Ma non ha
importanza penso, se l'unico che si presenta fa per dieci, non
credi?'
'Credo
di si',
commentai commosso, 'Mi
sembra di capire che non si fa vivo da un po', è così?'
'Si,
una decina di giorni. Ma credimi, tornerà. Forse si è ammalato o ha
avuto dei problemi, ma tornerà. Troppo dolore. Conoscevi anche tu
questo Styles?',
mi chiese alla fine il giardiniere.
'Solo
di vista'.
'Beh,
fattelo dire, è davvero un bel gesto il tuo, venire fino qui per uno
sconosciuto'.
Io
non risposi.
Il
giardiniere mi procurò un piccolo vaso con dell'acqua nel quale
lasciai i miei fiori, prima di ringraziarlo e andarmene.
Dopo
quella visita ero ancora più deciso a rintracciare Louis.
C'era
troppo dolore dietro a tutte le sue azioni e iniziavo a preoccuparmi
davvero per lui.
Mettendo
da parte il pudore e la mia timidezza cercai sull'elenco telefonico,
pregando che avesse un'utenza a suo nome.
Quando
lo trovai mi appuntai il suo indirizzo e gli lasciai un messaggio in
segreteria.
Gli
dicevo che se non lo disturbavo sarei passato a trovarlo il giorno
successivo nel pomeriggio, per il tè.
Gli
lasciai di nuovo il mio cellulare, nel caso in cui non ci fosse stato
o avesse altri impegni per quel giorno.
Intorno
all'ora di cena il mio cellulare squillò.
Il
messaggio diceva solo, 'Ti
aspetto. Louis'.
Nota
autore:
Dopo aver riletto i tre capitolo confesso che sto
amando il personaggio di Liam, ma la cosa non dovrebbe stupirmi,
visto che anche nel romanzo di Dumas la voce narrante, (che non ha un
nome ma che è impossibile non identificare con l'autore stesso), ha
la sua stessa compassione e gentilezza.
Ma sono comunque soddisfatta da come il personaggio
di Liam si incastri perfettamente con il comportamento del
personaggio originale, sembrerebbe quasi che la parte sia stata
scritta appositamente per lui.
Posso dire che da adesso in poi le cose si faranno
molto più interessanti.
Liam incontrerà Louis e il racconto entrerà davvero
nel vivo, sarà Louis in prima persona a narrare la sua storia e
quella di Harry, per cui Liam finirà inevitabilmente in secondo
piano.
Non ho molto altro da aggiungere se non che questo
capitolo in realtà ne contiene due del romanzo originale.
Inizialmente avevo deciso di eliminare la parte del
cimitero, che nel romanzo è più lunga e pesante ma accessoria
all'evolversi della storia, dal momento che Liam non sa come
rintracciare Louis/Armand e riceve le informazioni dal custode del
cimitero.
Ambientando la storia ai giorni nostri questa
necessità non esisteva. Liam avrebbe molti modi per rintracciare
Louis, ma poi ho pensato che mostrare la tomba di Harry ricoperta di
fiori potesse dare una forma concreta e profonda al dolore di Louis
in quel momento, quindi, ho deciso di mantenere la scena, usandola,
anche, come pretesto per spingere un Liam preoccupato a cercare
Louis, piuttosto che aspettare un suo cenno di vita.
Come sempre grazie per avermi letto, recensito,
aggiunto alle liste e seguito!
Angelique
P.S. Un grazie di cuore al mio editor, a cui non
sfugge niente e che ama cazziarmi per le mie “d” inutili!
Lover,
You Should've Come Over la trovate anche su Wattpad
(Angelique79).
Questo
è il mio account Twitter
@sunbozzi79.
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Capitolo 4 *** Capitolo IV ***
Capitolo I
CAPITOLO
IV
Quella
domenica pioveva.
Mi
riparavo sotto il mio ombrello di fronte al civico 17 di Saville Row.
Era
una piccola palazzina dalle mura bianche e il portone nero, a metà
strada tra Soho e Mayfair.
La
via era silenziosa, tanto che sentii distintamente il suono del
citofono di Louis provenire dal piano terra, quando schiacciai il
piccolo bottone dorato sotto la scritta Tomlinson.
Il
portone si aprì con uno scatto e quando mi affrettai ad entrare vidi
subito Louis sull'uscio di casa.
Gli
sorrisi istintivamente avvicinandomi con l'ombrello in una mano e dei
biscotti da tè nell'altra.
'Ciao
Liam',
mi salutò facendosi da parte per farmi entrare.
La
felpa verde con il cappuccio che indossava era almeno due taglie più
grande del necessario e i pantaloni grigi gli si arrotolavano alle
caviglie, lasciandogli a malapena scoperte le dita dei piedi nudi. I
suoi capelli sottili erano
alzati
a
caso sulla testa, il lungo ciuffo nascondeva occhiaie scure, che
mettevano in risalto i lucidi occhi azzurri e il suo pallore, reso
ancora più brillante da un leggero velo di sudore.
Non
aveva un bella cera.
'Ciao,
come stai?',
chiesi preoccupato.
Louis
alzò le spalle in un gesto indifferente e mi precedette verso il
soggiorno.
Lo
vedevo muoversi lentamente mentre aggirava il tavolino per andarsi a
rintanare in un angolo del divano, dove si avvolse in un plaid,
sospirando per lo sforzo.
Poggiai
i biscotti sul tavolo prima di sedermi sull'unica poltrona del
salotto.
'Hai
la febbre?',
chiesi ancora.
'Già.
Da quasi una settimana'.
Lo
disse con gli occhi a mezz'asta per la spossatezza.
Allora
mi rimisi in piedi e mi avvicinai per posargli una mano sulla fronte,
sotto il ciuffo di capelli un po' umidi.
Louis
chiuse gli occhi e si lasciò andare ancora di più contro il cuscino
del divano. Scottava.
'Stai
prendendo qualcosa? Sei bollente'.
Lui
indicò il tavolino di fronte a sè, su cui era poggiata una semplice
confezione di aspirine.
'Non
credo che l'aspirina sia abbastanza, sai Louis? Dovresti farti
prescrivere qualcosa di più forte',
constatai pratico.
'E'
solo influenza, passerà'.
'Facciamo
così. Metto su l'acqua per il tè e intanto chiamo il mio medico',
proposi.
'Grazie',
acconsentì lui.
Il
soggiorno di Louis in realtà era un open space di medie dimensioni,
in cui la cucina occupava l'intera parete di fondo e dalla quale lo
tenevo d'occhio, aspettando che l'acqua bollisse e che il mio dottore
rispondesse al telefono.
Dopo
essermi appuntato il nome del farmaco riattaccai, sciacquai due tazze
in un lavello pieno di piatti sporchi e poi ci versai l'acqua per il
tè.
Durante
tutte quelle operazioni non potei evitare di guardarmi in giro in
quello spazio silenzioso ma caotico.
Louis
non era un maniaco dell'ordine.
Riviste
e libri erano poggiati un po' ovunque, alcuni svettavano in pile
instabili agli angoli della stanza. L'arrendamento era moderno, nei
toni del grigio, che tappezzava divani, poltrone, tende e cuscini in
varie tonalità.
Diversi
vestiti erano stati dimenticati a terra chissà da quanto, almeno due
paia di Vans erano state abbandonate dove Louis se le era tolte:
sotto al tavolo, sul tappetto di fronte al divano; una camicia con
dei fenicotteri rosa spiccava sullo schienale di una delle quattro
sedie del tavolo da pranzo.
Era
una casa trascurata, abbandonata a se stessa, quasi immobile nel
tempo. Come se chi ci vivesse avesse deciso, improvvisamente e per un
motivo incomprensibile, che non valeva più la pena occuparsene,
lasciando alla polvere e al caso il compito di ricoprire ogni cosa di
una patina incolore e inerte, interrotta solo dall'unico grande
quadro appeso alla parete di fronte al divano.
In
realtà non era un vero e proprio quadro. Osservandolo meglio capii
che era una fotografia, ingrandita e riportata su tela, senza nessuna
cornice a proteggerla.
La
foto era sfuocata ad arte. Una macchia di colori caldi e armoniosi in
cui si poteva intravedere il sorriso radioso di Harry e i suoi ricci
scomposti da un movimento fluido.
Somigliava
a una serigrafia di Andy Warhol, ma dai contorni meno definiti, forse
perché il soggetto era stato immortalato in movimento, pensai.
Mi
avvicinai a Louis per porgergli la tazza, che afferrò con un gesto
lento ma preciso, segno dello sforzo che stava facendo anche solo per
reggere quel piccolo oggetto.
'Grazie',
sussurrò, prima di bere un sorso di tè.
'Di
nulla. Sai, per educazione dovrei dirti che se stavi già così male
potevamo spostare il nostro appuntamento, ma sono felice che tu non
lo abbia fatto. Non c'è nessuno a Londra che può occuparsi di te?',
chiesi, risedendomi in poltrona.
'La
mia famiglia vive a Doncaster e io sono rientrato a Londra da poco.
Non ho avuto tempo di avvisare nessuno',
spiegò indifferente.
'Allora
ho fatto bene a cercarti. Avevo paura di essere troppo invadente, ma
poi, sai, sono stato al Trent Park ieri e...',
lasciai
la frase in sospeso.
Louis
parve subito più attento. Si stringeva il plaid addosso, fissandomi.
'L'hai
vista? La tomba intendo',
mi chiese, con la voce bassa.
'Si.
E' bellissima Louis. Il giardiniere mi ha detto che non ti facevi
vivo da un pò per occupartene, mi sono preoccupato e ho pensato di
rintracciarti',
spiegai.
'Sempre
così gentile Liam Payne',
commentò Louis, con un sorriso triste.
Sorrisi
di rimando, perché anche se non conoscevo ancora così bene Louis da
poterne essere sicuro, avevo iniziato a sospettare che in condizioni
normali doveva essere dotato di un'ironia pungente che avevo sempre
amato scoprire nelle persone.
'Guarda,
sono talmente gentile, che sai cosa faccio ora? Scendo in farmacia a
comprarti qualcosa'.
Dicendo
questo mi alzai, mentre vidi Louis già pronto a protestare.
'Risparmia
il fiato Tomlinson, sono anche testardo. Tu rimani li al caldo e
riposati, torno subito'.
'Prendi
le chiavi. Sono all'ingresso',
disse solo, prima di chiudere gli occhi stanchi.
E
così feci. Presi le chiavi di casa di Louis, il mio ombrello e scesi
a cercare una farmacia.
Oltre
alla medicina e a delle vitamine, comprai tutto quello che pensavo
potesse servirgli per guarire più velocemente: arance da spremuta,
verdure per della minestra e un po' di carne bianca.
Quando
mezz'ora dopo tornai nell'appartamento trovai Louis addormentato.
Era
sempre sdraiato sul divano e anche se aveva allungato le gambe per
stare più comodo, sembrava ancora una delle persone più piccole e
fragili che avessi mai incontrato.
Forse
fu in quel momento, per via di quell'impressione così chiara, che
decisi che mi sarei occupato di lui finché non fosse guarito.
E'
impossibile rimanere indifferenti quando il dolore e la disperazione
si mostrano così chiaramente nel corpo di chi le sopporta.
Louis
era malato fisicamente, ma la sua indifferenza nei confronti delle
sue condizioni di salute, mostrava bene quanto lo fosse ancora di più
moralmente.
Questo
disinteresse verso se stesso, verso la sua casa, verso i suoi amici e
la sua famiglia, che erano ancora all'oscuro della sua malattia, mi
sembravano tutti sintomi di un problema più grande, per risolvere il
quale non sarebbe bastato l'antibiotico più potente.
Diedi
una pulita veloce alla cucina e iniziai a preparargli la cena.
Mentre
la minestra bolliva sul fuoco cercai qualcosa da leggere.
Evitai
il libretto de La
Traviata
abbandonato sul tavolino insieme alle aspirine e al termometro e mi
decisi per una delle tante opere di Shakespeare sparpagliate un po'
ovunque.
Mi
accomodai in poltrona ed iniziai a leggere, senza sapere che quella
sarebbe diventata un'abitudine.
Louis
si vegliò intorno all'ora di cena e lo convinsi a mandare giù la
minestra, gli misurai la febbre sempre molto alta e gli feci prendere
la medicina.
Lui
rispondeva appena alle mie domande e ai miei stimoli, si lasciò
accudire senza protestare. Lo lasciai sul divano, consigliandogli di
spostarsi a letto e dormire, prima di andarmene con la promessa di
ritornare il giorno dopo alla stessa ora.
Da
quella domenica iniziai ad andare da Louis tutti i pomeriggi dopo il
lavoro.
Se
non avevo impegni importanti mi fermavo a cena da lui, cucinando
qualcosa di leggero.
Non
parlava mai di Harry e io non feci mai il suo nome, temendo di
peggiorare solamente le sue condizioni.
In
quei primi giorni della nostra amicizia Louis stava troppo male per
poter sostenere una vera e propria conversazione. La febbre sembrava
non voler scendere e io ne parlavo preoccupato al telefono con il mio
medico, che mi rassicurava dicendomi di aspettare l'effetto del
farmaco, che prima o poi avrebbe agito.
Nonostante
la situazione venni a sapere qualcosa in più sulla sua vita.
Louis
era originario di Doncaster, dove viveva tuttora la sua famiglia,
composta da suo padre, o per meglio dire patrigno e da sua sorella
Lottie.
Il
suo padre naturale lo aveva abbandonato appena nato e sua madre si
era risposata con quello che lui aveva sempre considerato il suo vero
padre, a cui era molto legato e che non smise mai di occuparsi di lui
e di sua sorella, neanche dopo la morta di sua madre avvenuta cinque
anni prima.
Mark,
così si chiamava il suo patrigno, aveva una catena di ristoranti a
Doncaster e a Louis non era mai mancato nulla nella sua adolescenza.
Aveva frequentato le migliori scuole e quando decise di trasferirsi a
Londra per studiare arte drammatica alla Royal
Academy of Dramatic Art,
suo padre comprò l'appartamento,
gli pagò gli studi e lo mise nelle condizioni migliori per
realizzare tutti i suoi sogni.
Louis
parlava di quell'uomo con amore, riconoscenza e tanta stima, ero
certo che gli mancasse molto in quei giorni.
Nell'arco
di una settimana, comunque, Louis migliorò.
Gli
scese la febbre, riacquistò un po' di appetito e io mi sentii subito
più tranquillo, almeno per quanto riguardava la sua salute.
Ora
quando passavo a trovarlo lo facevo più per il piacere di stare con
lui che per la necessità di accudirlo.
In
un modo strano, silenzioso e tranquillo eravamo diventati amici.
Credo
che apprezzasse la mia discrezione, il fatto che pur trovando il
libretto de La
Traviata
ogni giorno abbandonato in un punto diverso dell'appartamento, sul
tavolo, sulla poltrona, lasciato aperto sul tappeto del salotto o
addirittura nel leggio da ricette sul ripiano della cucina, non gli
domandassi mai nulla.
O
che facessi sempre finta di ignorare il fatto che Louis passasse gran
parte del suo tempo sul quel divano, a fissare la grande foto di
Harry, che occupava chiaramente il posto di uno schermo al plasma.
O,
ancora, che fingessi di non notare la strana immobilità di alcuni
oggetti che, anche quando sembrava che Louis si fosse sforzato di
mettere un po' d'ordine in giro, rimanevano dove li avevo sempre
visti; come quella strana camicia con i fenicotteri, che dopo aver
visto Louis vestito quasi sempre con una tuta e qualche maglietta per
due intere settimane, avevo iniziato a sospettare essere appartenuta
ad Harry.
Louis
non sembrava più il ragazzo disperato che mi ero ritrovato sulla
porta di casa, ma la sua disperazione non era scomparsa, si era solo
silenziata.
Non
era più quel tormento che gli avevo letto negli occhi un mese prima,
ma un dolore costante e profondo che sembra non abbandonarlo mai, al
quale lui dedicava tutti quegli oggetti, quelle strane abitudini,
quei rituali che ero certo compisse senza nemmeno rendersene conto.
Come
se fossero le uniche cose che era in grado di fare davvero.
Per
quanto mi riguarda, all'inizio, Louis Tomlinson mi aveva affascinato
proprio per il perenne contrasto tra quel suo dolore profondo, così
umano e degno di compassione e il suo fascino algido e distaccato.
Era
magrissimo e basso e tutto in lui sembrava
duro
e freddo, come
i suoi occhi azzurri.
Aveva
l'aspetto e l'aria di qualcuno che non si sarebbe lasciato ferire da
niente e da nessuno, ma poi lo vedevo parlare su Skype con Lottie, o
al telefono con suo padre e lo sforzo che faceva per sorridere a sua
sorella e fingersi felice con Mark, mi mostrava tutto il suo
altruismo, il suo desiderio che nessuno che amava si preoccupasse
troppo per lui e io mi ritrovavo a pensare all'email di Harry, a
quel, “ho
sempre pensato che tu fossi un 'buono'”.
Aveva
sempre l'aria seria e lo sguardo triste, ma certi giorni il suo
umorismo riusciva lo stesso a filtrare tra le sue parole.
Sapeva
essere ironico e apprezzava l'ironia negli altri e io speravo di
riuscire, prima o poi, a sentire la sua risata.
Louis
era un contrasto vivente e questa sua caratteristica gli tornava
utile nel suo lavoro.
Faceva
l'attore di teatro, quello per cui aveva studiato tanto e cosa che
spiegava la
quantità
di opere di Shakespeare che lo circondava. Non poteva essere solo la
conferma di uno stupido cliché, che vuole tutti gli inglesi
innamorati del Bardo.
Era
molto di più, il teatro era la sua vita e era bravo nel suo lavoro.
Era
stato in tournée in America per molti mesi, mettendo in scena una
qualche opera di Ibsen,
che io non avevo mai sentito nominare.
'Sei
mai stato in America?'
Me
lo chiese una sera, dopo venti giorni dal nostro secondo incontro.
Avevamo
cenato insieme a casa sua come accadeva spesso, poi ci eravamo
spostati sul solito divano con due bicchieri di vino rosso e un cd
che non avevo mai ascoltato prima.
Gli
stavo parlando del mio lavoro di sceneggiatore e Louis mi era
sembrato sinceramente interessato.
Sicuramente
rivedeva in me l'altra faccia della medaglia del suo essere un
attore. Io ero quello che scriveva la parte che lui avrebbe potuto
interpretare e la cosa lo incuriosiva e lo stupiva al tempo stesso.
'Si,
molte volte, per lavoro',
spiegai.
'A
L.A?'
'E'
li che nascono i film, no?',
ribattei con un sorriso.
'Già,
la città degli angeli',
commentò lui con il solito sorriso triste.
'Non
sono tutti angeli, credimi Lou',
risposi io per poi lasciarmi andare ad una vera risata a quel
pensiero.
'Penso
che sia arrivato il momento di ripagare il mio debito',
mi disse a quel punto, serio ma tranquillo.
'Di
che debito stai parlando, si può sapere?',
domandai confuso.
'Hai
ragione. In realtà ho più di un debito con te Payne. Per le
ottocento sterline ce la potrei fare, ma per ripagarti della tua
amicizia ho paura che potrei rovinarmi',
disse con quella sua leggera vena ironica che avevo imparato a
riconoscere.
'Non
mi devi nulla. Lo sai. Il libretto era tuo e a me piace venire qui, a
fare l'infermiere. Questa casa, tu che non fai che dormire, fissare
il muro, bere tè e ora che sei guarito fumare, mi rilassate. Dovrei
essere io a pagarti, davvero'.
Mantenni
intenzionalmente un tono ironico, per paura che il minimo accenno a
La
Traviata,
a l'asta e tutto quello che rappresentavano per lui, potessero
rovinargli l'umore e la bella serata che stavamo passando insieme.
'Vorrei
comunque mantenere la parola data. Ti avevo promesso un drink e una
storia quando ci siamo conosciuti. Il drink lo stai bevendo, stiamo
belli comodi qui sul divano e io vorrei raccontarti di me e di Harry.
Magari, se sei davvero bravo come dici, quando avrò finito di
raccontarti la nostra storia, potresti scriverci una sceneggiatura e
trasformarla in un film. A quel punto si che avrò pagato tutti i
miei debiti, non credi?'
Era
deciso a raccontarmi tutto. Glielo lessi negli occhi che mi fissavano
sfidandomi a controbattere.
Forse
confidava anche nella mia curiosità e a ragione. Ero curioso.
Ma
ero stato un mese intero a guardare Louis soffrire in silenzio e
l'idea di risvegliare in lui quel dolore riusciva a farmi passare
quasi del tutto il desiderio di sapere, finalmente, cosa c'era stato
tra lui e Harry Syles.
Louis
sembrò leggermi nel pensiero, nei miei occhi improvvisamente vigili.
'Credo
che mi farebbe bene parlarne Liam'.
Non
era più una sfida ora, ma una richiesta, un desiderio di
condivisione, con la speranza di alleggerire il penso che lo stava
annientando e contro cui lottava ogni giorno, a modo suo.
'Sei
sicuro?',
non potevo non chiederglielo.
'Stai
tranquillo. Vai a prendere l'altra bottiglia di vino e poi torna
qui',
disse semplicemente, accomodandosi meglio sul divano e spostando lo
sguardo sulla parete di fronte.
Su
Harry.
Feci
come mi disse.
Louis
si accese una sigaretta e dopo il primo lungo tiro sorseggiò
velocemente dal suo bicchiere.
Era
sereno come non lo avevo mai visto, mentre fumava e fissava il
fantasma di Harry che sembrava quasi sbucare come un ectoplasma da
quel muro bianco.
Poi
senza guardarmi, iniziò a raccontare.
Era
una sera di aprile, proprio come questa.
Ero
stato tutta la
giornata in teatro a provare lo spettacolo che dovevamo mettere in
scena quella stagione. Dopo le prove trovai Niall, Niall Horan, o
forse sarebbe più giusto chiamarlo Lord Horan, nel mio camerino ad
aspettarmi, con quel suo sorriso grandioso e l'entusiasmo alle
stelle.
Eravamo
buoni amici, suo padre era un sostenitore della nostra compagnia
teatrale e ci eravamo conosciuti qualche anno prima ad un evento
organizzato dalla sua famiglia.
Mi
disse di sbrigarmi a cambiarmi, o ci saremmo persi la premiere
migliore della stagione, quella di The
Avengers Age of Ultron,
che si sarebbe tenuta quella sera al Vue Cinema Westield.
Niall
non stava più nella pelle all'idea di assistere all'evento e
praticamente mi trascinò fuori dal teatro fino alla sua auto, dove
il suo autista ci stava aspettando.
Assistemmo
all'arrivo delle star nella hall e ci godemmo la visione del film da
un'ottima posizione in sala. A conti fatti essere nobili in
Inghilterra porta ancora qualche vantaggio.
Dopo
la proiezione ci sarebbe stato il solito party offerto dalla casa di
produzione e io e Niall seguimmo il resto della folla fuori dalla
sala, già pregustando il nostro bicchiere di champagne.
Nel
corridoio vidi passare un ragazzo altissimo che Niall salutò con un
gesto della mano.
'Chi
era Horan?',
gli chiesi.
'Era
Harry Styles',
mi rispose lui continuando a camminare in cerca del bar.
'Non
lo avevo riconosciuto',
commentai, 'non
sembrava nemmeno lui',
conclusi stupito.
'Il
ragazzo cresce a vista d'occhio, ma in realtà credo che non stia
molto bene'
e lo disse aggrottando appena le sopracciglia.
La
verità, Liam, è che era almeno un anno, se non di più che ogni
volta che incontravo Harry Styles mi trasformavo in un adolescente.
Ammutolivo all'istante in preda alle palpitazioni e tutti i miei
amici non facevano che ridere di me per questo.
Ero
diventato la barzelletta dell'intera compagnia.
Ma
era davvero qualcosa più forte di me, quel ragazzo mi lasciava
letteralmente senza parole e ci mettevo sempre qualche minuto per
uscire da quella sorta di trance in cui cadevo solo guardandolo.
La
prima volta che lo avevo visto camminavo in Oxford Street.
Una
berlina scura sostava davanti l'ingresso di Yves
Saint Laurent, all'improvviso
ne scese questo ragazzo alto e magro, indossava una paio di Ray-Ban
scuri, dei jeans bianchi attillati e una camicia dai colori accessi.
Gli
uomini e le donne che passavano davanti al negozio mentre lui ne
varcava l'ingresso, si fermarono tutti ad osservarlo ammirati.
Io
rimasi inchiodato su quel marciapiede per tutto il tempo che ci mise
a concludere la sua sessione di shopping.
Lo
osservavo dalla vetrina scegliere alcune camice assistito da un
commesso.
Non
sapevo chi fosse, ma era bellissimo, sembrava illuminare l'intero
negozio e quando uscì dalla boutique per risalire in macchina, la
vista di tutti quei tatuaggi, dei suoi capelli scuri e lucidi, il
particolare delle sue lunghe dita coperta da anelli, che reggevano la
busta, quasi mi accecarono.
Il
commesso che lo aveva servito era rimasto sul marciapiede, seguendo
con lo sguardo la sua auto che si immetteva nel traffico, per poi
sparire svoltando in una traversa.
Senza
nemmeno rendermene conto gli chiesi: 'Ma
chi era?'
'Harry
Styles',
rispose lui, prima di tornare al suo lavoro.
Dopo
quell'incontro, o visione, chiamala come vuoi, andavo in giro per
Londra con l'unico desiderio di rincontrare Harry Styles.
Lo
cercavo ovunque, anche
in fila alla posta,
pur sapendo che probabilmente lui non ne aveva mai fatta una, se
l'autista e il negozio in cui lo avevo visto, potevano darmi qualche
indizio sul suo stile di vita.
Non
mi era mai successo di sentirmi così per qualcuno a cui non avevo
mai nemmeno rivolto la parola, ma stava succedendo e io non sapevo
bene come gestire quell'emozione, non avendola mai provata prima.
Ero
ridicolo, lo so ora come lo sapevo in quel momento.
Cinque
giorni dopo ero stato a cena con Ed Sheeran, un mio amico cantautore.
Dopo aver mangiato insieme in un ristorante giapponese un po' fuori
mano, mi chiese se avessi voglia di
bere
qualcosa in centro, al Project
Club, di
certo con la speranza di
incontrare qualche produttore a cui lasciare una copia della sua
demo.
Arrivammo
intorno all'una, la serata era in pieno svolgimento. La gente era
euforica, ma non ancora così ubriaca o troppo fatta da non reggersi
in piedi e la musica vibrava piacevolmente.
Io
e Ed ci facemmo largo fra la folla per raggiungere il bar.
Stavamo
costeggiammo il perimetro del prive rialzato, quando vidi Harry
seduto a uno dei tavoli vicino alla balaustra, stava guardando nella
nostra direzione e improvvisamente sorrise a Ed, lo salutò con la
mano e gli fece cenno di raggiungerlo.
Io
non riuscii a trattenermi dal commentare.
'Sempre
agli etero tutte le fortune'
dissi, senza staccare gli occhi da Harry.
Ed
sembrò intenerirsi di fronte alla mia invidia, mi strattonò per un
braccio, urlandomi:'Dai,
andiamo!'
Ma
stava accadendo tutto troppo velocemente.
Di
colpo Harry era li e avevo l'opportunità di conoscerlo, di sentirlo
parlare, di guardarlo ballare e ridere e fui preso dal panico.
'Ed,
no, aspetta',
gli dissi, opponendo resistenza alla sua presa.
'Beh,
ora che c'è?',
mi chiese lui, avvicinandosi per farsi sentire al di sopra della
musica.
'Non
mi posso presentare li così, dai, nemmeno mi conosce!',
mi giustificai.
'Ma
di cosa stai parlando Tommo,
si può sapere?'
Ero
in imbarazzo.
Non
potevo spiegare a Ed che avrei voluto essere io quello con una
prenotazione al prive.
Avrei
voluto essere io a invitare Harry al mio tavolo e offrigli da bere
tutto quello che avesse voluto.
Avrei
voluto essere io a fargli passare una serata indimenticabile.
Era
così che sarebbero dovute andare le cose nella mia testa.
Lanciai
ancora uno sguardo al tavolo, dove Harry stava parlando con una
ragazza.
Era
ancora più bello di come lo ricordavo.
Ed
parve capire la situazione, mi conosceva da un po' ormai per sapere
verso cosa era orientato il mio interesse e su quello di Harry, beh,
non potevano esserci dubbi.
Quindi
si avvicinò ancora di più, buttandomi un braccio al collo e
parlandomi direttamente nell'orecchio.
'Tommo,
quello fa marchette, chiaro?Non c'è bisogno di fare tutti questi
complimenti',
disse, lanciandomi poi un lungo sguardo d'intesa.
Avrei
voluto prenderlo a pugni.
Avevo
passato giorni interi a sognare, letteralmente ad occhi aperti, tutto
quello che avrei potuto fare per conquistare Harry Styles una volta
che l'avessi rivisto e adesso il mio amico mi stava dicendo che tutto
quello che avrei dovuto fare era pagare.
Avrei
voluto piangere come un ragazzino.
Abbassai
lo sguardo, riflettendo.
Non
era così che avrei voluto conoscere Harry, ma non potevo nemmeno
lasciarmi sfuggire quell'occasione. Anche solo per capire che tipo
fosse.
'E'
chiaro', dissi
allora, 'ma
almeno avvisalo che sei con me'.
Ed
alzò gli occhi al cielo.
'Okey,
okey. Aspettami al bar, vado e torno',
acconsentì.
Lo
vidi salire le poche scale di accesso al prive e poi sparire
all'interno.
Io
raggiunsi il bar e mi misi in fila per cercare di ordinare un drink.
Quando
Ed mi raggiunse al bancone pochi minuti dopo, mi assestò una pacca
sulla spalla dicendo: 'Allora,
sei pronto Romeo?Miss Styles, ci aspetta'.
'Non
mi fai ridere, sai Ed?'
'No,
io no, ma tu...dovresti vederti amico'
e buttò lo testa all'indietro scoppiando a ridere.
'Okey,
falla finita e andiamo',
tagliai corto.
'Calma
Tommo, prima devo prendere da bere alle signore',
disse lui, facendomi l'occhiolino e cercando di attirare l'attenzione
del barman.
'Lascia,
faccio io, prendo una bottiglia',
mi offrii subito.
'No,
niente bottiglie, Harry beve solo Martini Cocktail, lo sanno tutti'
e ne ordinò quattro al barista.
Quando
io e Ed arrivammo al tavolo di Harry, con due bicchieri per mano a
testa, lui ci stava ballando sopra insieme alla sua amica. Una
bellissima ragazza bionda che non avevo mai visto prima.
Ridevano
complici, mentre oscillavano al ritmo di musica su quella superficie
specchiata.
Abbassò
lo sguardo su di me con ancora l'ombra di un sorriso sulle labbra.
Ed
ci presentò velocemente urlando il mio nome nel suo orecchio e Harry
mi salutò con un cenno del capo, per poi chiedere a alta voce: 'E
il mio Martini?'
Io
allunga il bicchiere verso di lui che nel frattempo era sceso dal
tavolo.
Come
sempre non riuscii a dire una sola parola. Lo guardavo e basta.
Indossava
una camicia rosso fuoco aperta fino all'ombelico e un paio di jeans
neri che gli fasciavano perfettamente le lunghe gambe. Era
leggermente sudato e i suoi ricci non facevano che ricadergli
continuamente davanti agli occhi, che ancora non ero riuscito a
fissare come avrei voluto. Lui li afferrava con un gesto veloce della
mano, portandoseli indietro sulla fronte e più ripeteva quel gesto
più io ne rimanevo ipnotizzato.
Probabilmente
sembravo un povero cretino, fermo davanti a quel tavolo, con la
faccia seria e lo sguardo fisso e credo che fu per questo che Ed mi
venne in aiuto come meglio riuscì a fare.
'Harry
non te la prendere se Lou non apre bocca. Credo che tu l'abbia
lasciato senza parole',
gli disse ridendo.
Harry
diede un lungo sorso al suo Martini, fece schioccare le labbra,
soddisfatto del sapore e poi disse: 'Sai
che penso invece Sheeran? Che tu te lo sei trascinato dietro a forza,
per non passare la serata da solo con noi'.
'Scusa,
ma se fosse così, che motivo avrei avuto di insistere con Ed per
chiederti se poteva portare un amico al tuo tavolo?'
'Magari
speravi
che dicessi di no. Così saresti potuto tornartene a casa dal tuo
fidanzatino perfetto',
ribatte Harry, lanciandomi un'occhiata divertita, accesa appena da un
velo di cattiveria.
Vorrei
poterti dire, Liam, che resistetti al colpo, ma non fu così.
Niente
di quello che usciva dalla bocca di Harry poteva lasciarmi
indifferente a quel punto.
Lui
sicuramente si divertiva a mettere in difficoltà le persone che
incontrava per la prima volta. Forse è una forma di rivalsa che
quelli come lui si prendono nei confronti di quel mondo che li
umilia, fatto da quelle persone che li chiamano froci, puttane,
marchette, che si vergognano di farsi vedere con loro, ma che poi di
nascosto vanno a bussare alle loro porte in piena notte.
Ma
io non me lo aspettavo, non ero preparato a rispondere alla sua
ironia e così feci l'unica cosa che mi venne in mente in quel
momento.
Poggiai
il mio bicchiere sul tavolo e dissi: 'Se
la pensi così, forse è meglio che vada'.
Salutai
con un gesto vago della mano, girai sui tacchi e mi allontanai.
Per
quanto attutito dalla musica, sentii comunque Harry e la sua amica
scoppiare a ridere davanti alla mia reazione.
Raggiunsi
le scale che mi avrebbero riportato in pista e lanciai un ultimo
sguardo verso il loro tavolo.
Stavano
ancora ridendo. Di me.
Ed
mi corse dietro e mi intercettò quando ormai ero arrivato
all'uscita.
“Cristo
Tommo, ma che cazzo combini, si può sapere?',
mi disse bloccandomi per un braccio, 'ti
hanno preso per un pazzo'.
'E'
questo che ha detto Harry?'
'No.
Lui ha solo riso e ha detto di non aver mai visto qualcuno più
ridicolo di te'.
Di
fronte al mio silenzio Ed mi osservò per un momento, come
valutandomi.
'Ma
che ti aspettavi? Quelli come lui hanno solo l'aria dei principi'.
'Ma
che cazzo me ne frega? E' l'ultima volta che lo vedo, lasciamo
perdere, dai...'
Ed
assentì, mi mise un braccio sulle spalle guidandomi verso l'uscita.
'E
bravo Lou! Anche se non mi stupirei più di tanto se venissi a sapere
che stai mandando a puttane la tua vita per lui. A volte è uno
stronzo, lo conosco, ma lo hai guardato? Farebbe impazzire pure un
Santo! E stai parlando con un etero eh'
concluse scoppiando a ridere.
Dopo
quella sera incontrai altre volte Harry in giro per Londra.
Era
sempre circondato da gente diversa, sempre allegro, euforico e pieno
di vita.
E
io ero sempre quello che perdeva l'uso della parola di fronte a lui.
Una
sera di uno di quegli incontri casuali, arrivai addirittura a
seguirlo quando lasciò il club. Le strade deserte delle quattro di
mattina mi permisero di scoprire che abitava al n. 9 di Aldoford St.
e di vederlo rientrare a casa da solo. Ne fui così stupidamente
felice che guidai fino al mio appartamento con un sorriso ridicolo
stampato in faccia.
Poi
per venti giorni sparì dalla circolazione. Chiesi sue notizie a
Niall, che mi disse che Harry non stava bene.
'Uno
dei suoi soliti periodi
'no' Lou''.
'Ma
che ha?Si può sapere?'
'Non
sono il suo medico Tomlinson, ma da quello che ho capito ha seri
problemi al cuore e non credo che campare a quel modo gli faccia
bene',
concluse.
Allora
passai da casa sua e lasciai una camelia per lui al suo portiere.
Non
lo rividi più per molto tempo.
Iniziai
una tournée che mi portò lontano da Londra per mesi e assorbì gran
parte delle mie energie e pensieri.
A
volte mi capitava di pensare a lui, ma lo facevo sempre come se si
trattasse di un ricordo un po' ridicolo che avrei potuto raccontare a
qualche amico per farlo ridere.
Per
questo quando lo rividi alla prima dei The Avengers insieme a Niall
rimasi così stupito.
Una
volta mi sarebbe bastato intravedere la sua sagoma per riconoscerlo,
ma in quel momento, quando ci passò accanto nel corridoio del
cinema, i suoi capelli erano cresciuti tantissimo e gli coprivano
quasi del tutto il viso, che teneva basso fissando il pavimento, era
stretto in un cappotto nonostante fosse aprile e sembrava ancora più
magro di come lo ricordavo.
Quando
capii davvero che era lui, quell'emozione che pensavo di essermi
lasciato alle spalle, esplose di nuovo.
Ma
anche se ero consapevole che in fondo nulla era cambiato per me, mi
sentivo più sicuro rispetto a un tempo e morivo dalla voglia di
farlo capire anche a Harry.
Con
questo pensiero raggiunsi il bar insieme a Niall e prendemmo due
flûte
di champagne. Poi iniziai a vagare per quella sala cercandolo tra la
folla.
Quando
lo scovai, lui poggiava una spalla al muro e teneva lo sguardo basso
verso una ragazza, che gli parlava gesticolando nervosamente con un
drink in mano.
Il
lungo cappotto scuro lo avvolgeva fino alle gambe, aveva il solito
Martini in una mano e sorrideva indulgente verso la sua amica.
Quando
soffermai la mia attenzione su di lei, la riconobbi subito.
Era
Eleanor Calder.
L'avevo
conosciuta durante un'audizione per non mi ricordavo neanche più
quale pièce.
Era
una di quelle ragazze che avrebbero fatto di tutto pur di ottenere
una qualsiasi parte, in uno spettacolo teatrale anche solo vagamente
interessante.
Passava
da un'audizione all'altra senza mai cavarne un ragno dal buco. Era
bella, questo era innegabile, ma nel teatro, a differenza che nel
cinema, la bellezza non sempre basta e lei ne era la prova.
Comunque,
eravamo in confidenza, grazie a tutto il tempo che avevamo passato
insieme in attesa di esibirci in tutti quei provini e, in quel
momento, mi sembrava il mezzo migliore per arrivare a Harry.
Fu
mentre escogitavo il modo migliore di abbordarla che Harry,
sentendosi osservato, spostò il suo sguardo su di me. Mi sorrise
timidamente, pensando di riconoscermi, ma io non risposi al suo
saluto, in uno stupido gesto di rivalsa.
Lui
pensò di avermi confuso con qualcun altro e distolse lo sguardo.
Aspettai
che Eleanor si allontanasse da lui per andarla a salutare.
Mi
abbracciò velocemente ed iniziò a riempirmi di complimenti per
l'ultimo spettacolo che avevo messo in scena. Era sempre così con
lei, lodava chiunque riuscisse in quello in cui lei falliva
costantemente, per nascondere la sua invidia.
Ma
in quel momento, la sua falsità non mi interessava.
La
ringraziai e continuai a parlare di lavoro con lei, senza però
staccare gli occhi di dosso a Harry, che in quel momento ci passò
davanti facendo l'occhiolino a Eleanor in segno di saluto.
Eleanor
rise fra sé e sé, seguendo Harry con lo sguardo.
'Con
chi ce l'hai, si può sapere?',
gli chiesi con un finto sorriso indulgente.
'Con
Harry Styles',
mi rispose lei tranquilla.
'Lo
conosci?'
'E'
il mio vicino di casa Lou'
, rispose lei ridendo della mia domanda, a quanto pare un po'
stupida.
'Ma
dai, non sapevo abitassi in Aldoford St.'.
'Già.
In pratica le finestre dei nostri bagni sono una di fronte all'altra,
mi da sempre un sacco di consigli su come vestirmi'.
'Ho
sentito dire che è adorabile'.
'Ma
come è possibile che non lo conosci?'
'E'
possibile, ma mi piacerebbe'.
'Se
vuoi vado a cercarlo' propose
lei.
'Preferirei
conoscerlo in un'altra circostanza'.
'E
quale sarebbe, scusa?'
'Non
so, potresti organizzare un incontro da lui, visto che siete così
amici, no?'
'Dici
a casa sua?'
'Perché
no?'
'La
vedo dura Tomlinson'.
'In
che senso, scusa?'
'Quel
vecchio. Quel Azoff, gli sta con il fiato sul collo'.
'E'
il suo amante?'
'Forse.
Chi può dirlo? Azoff è sposato, ma lo sai anche tu come funziona
nel nostro ambiente. Di certo lo mantiene e già solo per questo
pensa che la vita di Harry gli appartenga'.
'E'
per questo che è solo stasera?'
'Già.
Anzi, scommetto quello che vuoi che tra un pò Jeff passerà a
prenderlo, per riportarlo a casa'.
'E
tu? Con chi torni?'
'Io?Da
sola'.
'Ti
accompagno io'.
'Ma
non sei con qualcuno?'
'Non
è un problema, ti accompagniamo insieme'.
'E
dimmi, com'è il tuo amico?', mi
chiese a quel punto lei, ammiccando.
'Oh,
Niall è grandioso, credimi. Il ragazzo più simpatico di Londra e
sarà mooolto felice di conoscerti', risposi,
lasciandole intendere la passione di Niall per le donne.
Eleanor
rise di gusto, afferrando il senso delle mie parole.
'Okey
allora, vado a recuperare il cappotto e la borsa'.
'Io
a recuperare Niall'.
'Ci
rivediamo qui tra poco'.
Stavamo
per allontanarci in due direzioni opposte quando Eleanor mi bloccò
per un braccio e mi sussurrò all'orecchio: 'Ecco
Azoff, dovevamo scommettere!'
e poi mi lasciò li a osservare la scena.
Un
uomo sui quaranta, o forse quarantacinque anni, si stava avvicinando
a Harry.
Gli
prese il bicchiere quasi vuoto dalle mani, per sostituirlo con uno
pieno, quasi sicuramente di Coca-cola.
Harry
gli sorrise, parlarono brevemente fra loro e poi Azoff lo accompagnò
fuori, con una mano sulla sua schiena a guidarlo fra la folla.
Prima
di vederli sparire, notai Harry poggiare velocemente il bicchiere sul
primo ripiano a portata di mano.
Non
ne aveva bevuto neanche un sorso.
Trovai
Niall che teneva banco in un gruppetto di gente. Gli spiegai di aver
offerto un passaggio ad Eleanor e lui non fece storie di fronte alla
mia gentilezza.
Lasciammo
il cinema tutti e tre insieme con l'auto di Niall, che sembrò
colpire molto Eleanor, soprattutto quando l'autista le aprì lo
sportello per farla scendere sotto casa sua.
Eleanor
ci invitò a salire da lei per il bicchiere della staffa.
Forse
lo fece per educazione, ma io ero più propenso a pensare che fosse
Niall, con la sua lucente berlina nera e il suo autista in giacca e
cravatta a averla convinta a farci salire da lei.
Un
partito simile, per di più nobile, doveva essergli sembrato caduto
dal cielo e io un po' ci avevo sperato che le cose andassero proprio
così.
A
ogni piano che si illuminava dentro l'ascensore di quel palazzo, mi
sembrava di avvicinarmi un po' di più a Harry e non riuscivo a stare
fermo.
Come
entrammo a casa di Eleanor lei ci versò subito da bere e questo un
po' mi aiutò a rilassarmi.
'Quindi
ora il vecchio è a casa di Harry?',
chiesi ad un certo punto.
'Non
credo',
rispose Eleanor.
'Ma
non è neanche mezzanotte, si starà annoiando a morte li da solo',
esclamò Niall.
'Di
solito passiamo le serate insieme, se rientra presto mi chiama dal
bagno. Quel ragazzo non dorme mai, credetemi. Se non sono le quattro
di notte non se ne parla di andare a letto',
spiegò lei, bevendo dal suo bicchiere.
'E
perché?'
domandò Niall curioso.
'Non
sta bene, soffre d'insonnia credo, ma non ho mai indagato troppo'.
'Vorresti
dirmi che non ha nessuna storia? Neanche un amante?',
chiesi a quel punto.
Non
riuscivo a credere che Harry passasse tutte le sue serate chiuso in
casa da solo.
'Che
devo dirti Lou? Quando me ne vado non resta mai nessuno da lui, ma
questo non vuol dire nulla. Magari arriva dopo, che ne so? Comunque,
incontro spesso un certo Grimshaw. Lo sfigato pensa che presentandosi
a ogni ora del giorno e della notte a casa sua possa convincerlo a
cedere. Lo riempie di regali! Ma Harry non lo regge. Per me sta
sbagliando però, quel tizio è pieno di soldi, fidatevi, ma
soprattutto è giovane e non è sposato, come quel Azoff, che da un
momento all'altro potrebbe tranquillamente lasciarlo con il culo per
terra, se la sua famiglia scoprisse cosa combina con Harry. Ma lui
non mi ascolta, l'idiota. Dice che se Azoff dovesse sparire allora,
forse, penserà a Grimshaw'.
'Wow,
non pensavo che Harry avesse di questi problemi',
disse Niall, 'anche
se è un po' di tempo che lo vedo meno allegro del solito, ora che ci
penso'.
Mentre
Niall diceva questo e io fissavo il fondo del mio bicchiere, vidi
Eleanor scattare in piedi dal divano. Ci fece cenno di tacere e
sentimmo qualcuno chiamare il suo nome.
'E'
Harry',
constatò, riconoscendolo.
'Ottimo',
disse Niall, 'andiamo
a salutarlo!'
'Non
esiste, non gli porterò due sconosciuti dentro casa',
ribatté lei seria.
'Guarda
che io a Harry lo conosco, sarà felicissimo di vedermi'.
Niall
non fece in tempo a finire la frase che Harry chiamò ancora Eleanor.
Lei
corse verso il bagno, seguita da noi due che ci fermammo sulla porta.
La
vidi spalancare la finestra e sporgersi leggermente.
'Che
c'è H? Urli come un pazzo',
gli disse lei scocciata.
'Cristo
El, sono dieci minuti che ti chiamo',
la sua voce sembrava contrariata.
'Si
può sapere che vuoi?'
'Devi
venire da me',
rispose lui.
'Che
succede adesso?'
'C'è
Grimshaw di la e non lo reggo stasera'.
'Harry,
ora non posso, ho gente'.
'E
cacciali El, è casa tua. Sbattili fuori e vieni qui, o giuro che lo
faccio fuori a Nick'.
'Ci
ho già provato a sbatterli fuori Hazza, ma non mi sembrano
intenzionati'.
'Ma
che cavolo vogliono?'
'Vogliono
vederti Harry'.
'Ma
chi sono, si può sapere?'
'Niall
Horan e Louis Tomlinson, li conosci?'
'Nialler.
Come no,
lui
lo conosco, quel Lewis no, ma non importa, porta anche loro, tutto
meglio di Nick. Sbrigatevi'.
Dicendo
questo sentimmo Harry chiudere di botto la sua finestra.
Non
si ricordava il mio nome, anche se qualche ora prima pensava di
avermi riconosciuto in mezzo alla folla.
Non
riuscivo a capire come dovessi sentirmi di fronte a questo fatto.
'Che
ti avevo detto El? Lo conosco a Harry',
commentò a quel punto Niall, piccato.
'Se
lo conosci, allora saprai che detesta le persone noiose, per cui
cercate almeno di divertirlo, altrimenti questa serata me la
rinfaccerà a vita'.
Io
non commentai. Mi limitai a seguire Eleanor e Niall fuori di casa,
ero talmente nervoso che mi sudavano le mani.
Ero
ancora più nervoso del giorno in cui lo conobbi al Project
con Ed, ero talmente agitato che non riuscivo a pensare assolutamente
a nulla. Se non che lui era li, a pochi metri da me.
Attraversammo
il piccolo pianerottolo che separava i due appartamenti e trovammo la
porta accostata.
Eleanor
la spinse e entrò dicendo:
'Permesso?'
Fummo
accolti solo dal suono attutito di una chitarra che proveniva dal
salotto.
Continuai
a seguire gli altri due in quella casa che ancora non conoscevo e che
era esattamente come l'hai vista tu, Liam.
Quando
entrammo in salone, un tizio alto e magro, con un ciuffo di capelli
castani tenuti in alto dal gel, era poggiato al bracciolo del divano,
con le braccia conserte e gli occhi bassi.
Harry
era sdraiato sulla chaise longue Le
Corbusier
e suonava la chitarra, concentrandosi sugli accordi.
Quando
ci vide saltò in piedi abbandonando la chitarra sulla poltrona. Ci
venne incontro a passo svelto sorridendo, abbracciò subito Eleanor e
gli sussurrò un 'grazie',
accompagnato da un lungo sguardo d'intesa.
Poi
sorrise a me e a Niall, due fossette bellissime comparvero agli
angoli della sua bocca e io mi incantai, come al solito.
Come
sempre.
'Ciao
ragazzi.
Accomodatevi'.
Nota
autore:
Mi sono accanita su questo capitolo. Ma era
importante, il primo incontro fra Louis e Harry meritava di essere
raccontato nel modo più chiaro possibile, spero davvero di esserci
riuscita, anche perché se dovessi rileggerlo per l'ennesima volta in
cerca di qualche cosa che non va (e so già che ci sarebbe e che non
potrei esimermi dal cambiarlo), penso che potrei impazzire!! Ci
lavoro da giorni e giorni e sono un po' stanca, spero che questo non
si senta troppo nel testo.
Comunque, volevo solo dirvi che la parte iniziale,
quella in cui Liam va a trovare Louis a casa sua l'ho praticamente
inventata da zero, a parte la scena finale dove Lou insiste per
raccontare la sua storia a Liam.
In realtà, nel romanzo, era preceduta da una
parentesi un po' lugubre, dove la voce narrante accompagna Armand al
cimitero per far riesumare la salma di Marguerite, fatto che gli farà
avere una vera e propria crisi di nervi, ma sinceramente trovavo la
cosa un po' troppo estrema e l'ho eliminata, risparmiandovi!
Per il resto mi sono davvero divertita a inserire
tutti questi nuovi personaggi: Niall, Ed, Nick, Eleanor!!!! Ridevo da
sola in pratica, ma il mio preferito resterà sempre quel santo di
Liam, con l'anima da crocerossina e la dolcezza di uno zuccherino!
E Harry...di lui non ho ancora praticamente scritto
nulla, ma sono già senza parole per lui, un po' come Louis!
Per quanto riguarda il quinto capitolo l'ho già
cominciato, per cui sto già a buon punto e spero di terminarlo in
tempi più brevi rispetto a questo.
Come sempre grazie a chi mi legge, a chi mi commenta
e a chi inserisce questa storia fra le sue liste.
Angelique
Lover,
You Should've Come Over la trovate anche su Wattpad
(Angelique79).
Questo
è il mio account Twitter
@sunbozzi79.
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Capitolo 5 *** Capitolo V ***
Capitolo V
CAPITOLO
V
Niall
non perse tempo, stritolò Harry in un abbraccio con tanto di pacca
sulla spalla.
'Come
te la passi H?',
gli disse, con il suo enorme sorriso.
'Bene.
Certo che potevi venirmi a salutare al cinema eh!'.
'Lo
sai Harreh, sono uno discreto',
ribatté Niall ammiccando, 'non
volevo crearti problemi'.
'Ma
sei anche un mio amico',
specificò Harry.
'Vero
e a proposito di amici lui è Louis, Louis Tomlinson'.
'Piacere',
disse Harry, porgendomi la mano.
Gliela
strinsi.
'In
realtà ci siamo già conosciuti', precisai.
Harry
per un momento aggrottò la fronte e mi fissò con quei suoi enormi
occhi verdi che finalmente potevo guardare
da
vicino. Sembrava cercare nella memoria un particolare che potesse
illuminarlo su dove e quando ci fossimo già incontrati, senza
successo.
'Lascia
stare, davvero, sono contento che non ti ricordi di me, mi sono
comportato come uno stupido quella sera. Eravamo al Project, con Ed,
Ed Sheeran'.
'Oh,
ora mi ricordo',
disse con un mezzo sorriso, 'non
eri per niente stupido, ero io a essere un po' stronzo in realtà, a
volte lo sono ancora, ma credimi molto meno di un tempo. Scusami'
e strinse ancora di più la mia mano nella sua.
Niall
a quelle parole rise dandogli un buffetto sulla guancia e dicendo:
'Harold
stronzo?Ma quando mai!”
'Lo
sai che è vero Nialler, a volte sono uno stronzo',
gli disse lui ridendo a sua volta, 'mi
piace mettere in difficoltà le persone.
E' un vizio idiota, lo ammetto. Ma a mia discolpa posso dire che il
mio medico dice che dipende dal fatto che dormo poco, per cui sono
sempre nervoso e scazzato e visto che il mio medico è il migliore di
Londra, penso che possiamo credergli, no?'
'Ma
io ti trovo in ottima forma Haz',
disse Niall.
'Qualche
mese fa non sono stato bene',
precisò Harry, 'ma
ora va meglio'.
'L'ho
saputo',
commentai io.
'Davvero?
E da chi?', chiese
incuriosito.
'In
realtà lo sapeva tutta Londra. Sono anche passato da casa tua, ma
poi non ho voluto disturbarti', confessai
con un coraggio che non pensavo di avere.
'No,
aspetta...vorresti dirmi che sei tu quello che mi ha lasciato quel
fiore senza biglietto?',
mi chiese sgranando appena gli occhi.
'Beh,
si, ero io',
dissi, vagamente a disagio.
Harry
si fece improvvisamente serio mentre continuava a fissarmi.
'Sei
stato davvero molto gentile Louis',
commentò, per poi aggiungere seccamente senza spostare lo sguardo
dal mio viso, 'tu
Nick non ti sogneresti mai di fare una cosa così'.
Nick
sembrò risvegliarsi all'improvviso.
'Harry,
ti conosco da neanche due mesi, come avrei potuto?'
'Louis
mi conosce da quanto? Cinque minuti? Perché dici sempre queste
stronzate, si può sapere?'
Grimshaw
non commentò, si limitò a mordersi le labbra, abbassando lo
sguardo.
'Stavi
suonando? Sei bravo, facci sentire qualcosa',
dissi allora, per alleggerire l'atmosfera tesa.
Harry
scoppiò a ridere, poi si allontanò per lasciarsi cadere sulla
chaise longue.
'Chiedi
a Nialler che tipo di musica suono. Va bene quando sto con Nick, ma
ora ci siete voi e vi risparmio'.
'Mi
sento un privilegiato',
commentò Nick ridacchiando.
'E'
anche l'unico privilegio che hai Nick, non dovresti ridere tanto'.
Ormai
era chiaro a tutti che Nick non avrebbe potuto aprire bocca quella
sera.
Guardò
Harry, ma
lui lo ignorò iniziando a parlare con Eleanor.
A
Grimshaw non rimase altro da fare che dare uno sguardo al suo
orologio e dire: 'Devo
andare, si è fatto tardi'.
Harry
non rispose.
Io
per paura di risultare più invadente di quello che ero già stato,
commentai che si era fatto tardi anche per noi, ma Harry con
l'espressione di un bambino deluso si alzò in piedi esclamando: 'Ma
siete appena arrivati! Vero Nialler che non è tardi e che voi
restate ancora un po'?'
Niall
rise di fronte alla faccia delusa e al broncio infantile di Harry e
rispose con un cenno affermativo del capo.
Nick
nel frattempo si era infilato la giacca e stava cercando qualcosa
nelle tasche.
'Io
vado Harry, tanto mi pare di capire che ti sto annoiando, per cui
faccio un salto da degli amici',
disse semplicemente.
'Non
mi annoi più del solito Nick, tranquillo, passa una bella serata',
rispose Harry senza nessuna pietà.
Nick
Grismwan era un signore.
Maltrattato
e umiliato di fronte a degli sconosciuti si limitò a sospirare
leggermente dal naso, fare un cenno di saluto generale e raggiungere
da solo la porta.
Quando
la sentimmo sbattere dietro di lui, Harry si lasciò andare contro lo
schienale della poltrona.
'Cristo,
non se ne andava più',
esclamò.
'Ti
ho mai detto che sei un vero stronzo Harry?',
commentò ironica Eleanor, 'quel
tipo è innamorato di te Haz e tu lo tratti di merda'.
'El
lo sai che non lo reggo e, comunque, se dovessi dare retta a tutti
quelli che dicono di essere innamorati di me non avrei tempo nemmeno
per pisciare',
obiettò, prima di alzarsi e dirigersi verso il mobiletto degli
alcolici.
'Beviamo
qualcosa?'
chiese.
'Io
ho fame',
piagnucolò Eleanor.
'In
frigo c'è
dell'insalata di pollo,
vai e serviti, ma poi riporta le tue belle chiappette qui, a bere
qualcosa con noi e divertiamoci. Ci
manca solo che
ci facciamo rovinare la serata da quell'idiota di Grimshaw'.
Eleanor
si allontanò in direzione della cucina.
Io
e Niall, nel frattempo, ci eravamo accomodati sul divano e
osservavamo Harry preparare i drink. O almeno, io lo osservavo mentre
con precisione e naturalezza preparava il mix glass da Martini
cocktail, versandoci il Gin e il Vermouth insieme al ghiaccio.
Non
ci aveva chiesto cosa volessimo bere.
A
Niall andava sempre bene tutto, purché fosse alcolico e preparato
con tutti i crismi, proprio come stava facendo Harry.
In
quanto a me, ricordavo bene la passione di Harry per quel cocktail e
non gli avrei mai negato quel piacere.
Quando
quel rituale fatto di ghiaccio e olive ebbe termine, Harry poggiò i
quattro bicchieri sul basso tavolo davanti al divano e si lasciò
cadere sul tappeto davanti a noi.
Era
scalzo, i suoi piedi nudi e pallidi risaltavano sulla lana scura e io
non riuscivo a smettere di fissarli.
Eleanor
riapparve all'improvviso con un grosso tagliere pieno di formaggi,
olive e snack salati che poggiò vicino ai bicchieri.
'Ho
pensato di preparare qualcosa anche per voi',
disse gentile, afferrando poi il suo bicchiere e andandosi a sedere
vicino a Niall.
'Hai
pensato bene',
commentò lui, allungando una mano verso le olive e l'altra verso il
suo cocktail.
'Tu
non bevi Louis?'
La
voce di Harry mi costrinse a distogliere lo sguardo dal tappeto.
Mi
porgeva il bicchiere con un sorriso divertito e dolce allo stesso
tempo. Guardandolo negli occhi ebbi la certezza che avesse capito
cosa mi aveva distratto.
Afferrai
il bicchiere accennando un sorriso nervoso e poi diedi un lungo
sorso, sperando di rilassarmi.
In
realtà non fu affatto difficile riuscirci.
Dopo
poco più di mezzora da quel primo cocktail la serata era decollata.
Parlammo
del film appena visto, di musica, teatro, gossip, piccoli
pettegolezzi, aneddoti
al limite del pornografico che Niall raccontava ridendo con le
lacrime agli occhi, mentre Eleanor già un po' brilla gli tirava
piccoli pugni sul braccio per farlo tacere.
Harry
rideva e niente sembrava scandalizzarlo. Solo ogni tanto, quando
Niall esagerava con i dettagli, lo vedevo scuotere leggermente la
testa verso il nostro amico, ma sempre con un sorriso sulle labbra.
Non
ricordo esattamente quando iniziai a perdere il conto dei Martini.
Harry
era un ottimo padrone di casa. Versava continuamente da bere a tutti,
cambiava i cd nello stereo senza mai farci ascoltare due volte le
stesse note, ogni tanto scappava in cucina e tornava con dell'altro
cibo.
Beveva,
questo lo ricordo. Ma mangiava pochissimo. Qualche oliva, forse per
non guastarsi il sapore del cocktail in bocca.
Capì
che era ubriaco quando lui e Niall, entrambi malfermi sulle gambe, si
piazzarono davanti al divano e improvvisarono un duetto, accompagnati
dalla chitarra che Niall aveva imbracciato con un gesto un po' goffo.
Non
ricordo la canzone. Ricordo solo che era allegra e ritmata e che la
voce di Harry era bassa e sporca e, per quanto biascicasse un po',
intonata.
Eleanor
si era tolta i tacchi accovacciandosi sul divano vicino a me.
Quando
l'esibizione fini schizzò in piedi lanciandosi barcollante verso
Niall, urlando: 'Cristo,
ma sei bravissimo!'
Niall
rise, cercando di sorreggerla come meglio poteva.
Io
fumavo stravaccato sui cuscini godendomi quella scena.
Niall
che con naturalezza faceva scivolare la mano libera dalla chitarra
sul sedere di Eleanor, con la scusa di tenerla in piedi.
Harry
doveva aver seguito il mio sguardo, perché improvvisamente scoppiò
a ridere facendomi l'occhiolino.
Per
me fu impossibile trattenere una risata.
'Che
vi siete fumati voi due si può sapere?',
ci chiese Eleanor, osservandoci ridere mentre era ancora fra le
braccia di Niall.
'Nulla,
è proprio questo il problema',
ribatté Harry, lanciandomi uno sguardo complice.
'Beh,
bastava chiedere tesoro',
rispose lei, 'torno
subito',
concluse, correndo scalza fuori dal salotto.
'E'
completamente ubriaca',
commentò Niall, guardando verso la porta da cui era uscita.
'Non
sottovalutarla Nialler è pur sempre un'attrice',
commentai io, ridendo.
'Stai
dicendo che non lo è?',
mi chiese lui, mollando la chitarra sul tappeto.
'Dico
che le piaci',
specificai, dando un tiro alla mia sigaretta.
Mentre
io spiegavo a Niall le intenzioni di Eleanor, Harry si era seduto per
terra ai piedi del divano. Sentivo la sua spalla sfiorare il mio
ginocchio quando si portava il bicchiere alla bocca, ascoltando
divertito il nostro scambio di battute.
Eleanor
tornò dopo qualche minuto, saltellò intorno al tavolo e poi si
lasciò cadere anche lei sul tappeto, lanciando una piccola pallina
di carta stagnola sul tavolino.
'Chi
la fa?',
esordì, battendo brevemente le mani.
Harry
gli scompigliò i lunghi capelli con una mano e afferrò la stagnola.
Poi
si mise all'opera. Sfilò una sigaretta dal mio pacchetto, ne staccò
un'aletta dall'interno e arrotolò un filtro perfettamente cilindrico
con un gesto lento delle lunghe dita.
Da
dove ero seduto vedevo il suo profilo perfetto e i suoi gesti precisi
mentre squagliava con attenzione un pezzo di fumo, per poi
sbriciolarlo nel tabacco, macchiandosi pollice e indice.
Niall
gli passò una cartina recuperata chissà dove e lui la riempì,
arrotolandola con attenzione.
Chiuse
la canna con una lenta carezza della sua lingua.
Io
mi agitai distogliendo lo sguardo in cerca del mio bicchiere, che
afferrai dal basso tavolo per poi lasciarmi scivolare a terra dal
divano, vicino a Harry.
Lui
intanto aveva acceso la canna, dando subito due lunghi tiri per poi
passarmela, soffiando piano il fumo nella mia direzione.
Fumammo
tutti e quattro intorno a quel tavolo, bevendo da bicchieri a caso.
Eleanor
ormai rideva per niente. Gli bastava fissare Niall per qualche
secondo, indicandolo, per scoppiare in una risata.
Niall
non sembrava neanche offeso, le tirava addosso le noccioline
dicendole solo: 'Pensi
davvero di stare in condizioni migliori delle mie?'
e poi scoppiava a ridere anche lui.
Harry
era solo fossette e occhi rossi.
Aveva
rollato un altro paio di canne e già alla seconda aveva iniziato a
lasciarsi andare addosso a me, le lunghe gambe incastrate sotto al
tavolino e i suoi ricci nella mia bocca.
Sembrava
rilassato e tranquillo, ma da quella posizione lo sentivo respirare
come se gli mancasse l'aria.
Continuava
a parlare e a ridere, ma ogni tanto si portava la mano al petto
massaggiandoselo.
Io
ero ubriaco e fatto, come lo ero stato in altre occasioni, ma se non
riuscivo a tenere il filo generale del discorso, incantandomi a
osservare i capelli di Harry, mi era impossibile non sentire
chiaramente il suo calore e il suo peso addosso e niente mi era mai
sembrato così reale.
Harry
mi strappò dal mio isolamento alcolico con una piccola gomitata.
Riportai
automaticamente lo sguardo davanti a me, su Niall e Eleanor che ormai
si rotolavano sul tappeto, ridendo e urlando.
'Ce
l'hai avuta dietro tutto questo tempo e te ne esci solo ora?',
gli diceva Eleanor, spingendolo.
Niall
rise sbattendo la testa per terra.
'Vorresti
dirmi che la vuoi?',
riuscì a dire fra le risate.
'Certo
che la voglio, dammela!',
ribatté Eleanor, infilandogli le mani ovunque.
'E
tu che mi dai in cambio?',
chiese Niall, alzando un sopracciglio.
Eleanor
si immobilizzò per un momento e poi senza preavviso calò sulle sue
labbra, baciandolo.
Io
e Harry scoppiammo a ridere increduli. Lui tossì appena, cercando di
riprendere fiato e
quando
ci calmammo, Eleanor aveva appena staccato le labbra da quelle di
Niall per dire: 'Ora
tirala fuori!'
Niall
si allungò a mordergli un labbro borbottando: 'Va
bene va bene'.
Si
tirarono su dal tappetto, avvicinandosi al tavolino. Eleanor spostò
qualche bicchiere e un posacenere, mentre Niall tirò fuori da una
tasca una piccola busta trasparente che svuotò per metà sul
tavolino.
La
coca
era un mucchietto luminoso che splendeva sul vetro fumè del ripiano.
Niall sfilò una carta di credito dal portafogli, insieme a cinquanta
sterline e si mise all'opera, con Eleanor che gli bisbigliava
qualcosa all'orecchio ridendo e mordendolo.
A
quel punto Harry si alzò con un piccolo sforzo, fece il giro del
tavolo dicendo: 'Torno
subito',
prima di chinarsi sulle spalle di Niall, raccogliere un po' di
polvere bianca con un dito e strofinarselo sui denti mentre si
allontanava.
Io
tirai velocemente le mie due piccole strisce, poi mi alzai per
cercare il bagno.
Imboccai
il corridoio barcollando senza sapere bene dove andare. Passai
davanti a quella che scoprii essere la cucina, la luce era accesa e
dall'uscio vidi Harry poggiato al bancone della penisola.
Aveva
una bottiglietta d'acqua in una mano e una pillola arancione spiccava
sul ripiano bianco, lui si affrettò a nasconderla con il palmo
libero non appena mi vide sulla porta.
'Tutto
bene di là?'
mi chiese, aprendo poi la bottiglia con i denti.
'Alla
grande direi. Cercavo il bagno',
risposi io, osservando prima lui e poi la sua mano.
'La
prossima porta a destra',
spiegò, sorridendomi.
'Okey,
grazie'.
Mi
allontanai chiedendomi cosa
stesse facendo
Harry in quella cucina.
Mentre
mi lavavo le mani pensai per un attimo a qualche tipo di droga
sintetica.
Ma
aveva bevuto, fumato e c'era dell'ottima cocaina in salotto, perché
farsi una pasticca?
Tornando
indietro mi riaffacciai in cucina.
Harry
era davanti al frigo aperto in cerca di qualcosa. La bottiglia
d'acqua, piena per metà, era sul bancone e della pillola non c'era
più traccia.
'Stai
bene?',
gli chiesi allora.
Lui
si girò. Mi osservò per un momento, mentre io spostavo lo sguardo
da lui al bancone, dalla bottiglietta d'acqua a lui.
Non
volevo essere invadente, impicciarmi di affari che non mi
riguardavano, ma ero troppo fatto per riuscire a gestire tutto quello
che provavo.
Ero
preoccupato, anche se non sapevo esattamente per cosa dovessi
esserlo.
Lui
sospirò appena, tirò fuori una bottiglia di Gin dal frigo per poi
richiuderlo.
Si
avvicinò a me con tranquillità, senza staccarmi gli occhi di dosso.
Quando
me lo ritrovai davanti dovetti alzare la testa per guardarlo in
faccia.
Mi
sorrideva.
'Sto
bene Louis',
disse solo, per poi chinarsi a lasciarmi un bacio sulla guancia,
'torniamo
dagli altri, su'.
Io
annuii un po' confuso da quel gesto, ma poi lui afferrò la mia mano
e mi trascinò nel corridoio.
Quando
rientrammo in salotto la situazione si era surriscaldata. Niall era
seduto sul divano e Eleanor era a cavalcioni su di lui intenta a
mangiargli la faccia.
Harry
si avvicinò al tavolino osservandoli.
'Fate
pure come se non ci fossimo eh',
commentò ridacchiando, 'prendiamo
giusto un paio di cosette e ce ne andiamo'.
Niall
e Eleanor non si presero neanche il disturbo di rispondergli.
Allora
lui si inchinò sul tavolino dove avevano lasciato una piccola
striscia bianca per lui, l'aspirò velocemente, prese due bicchieri a
caso, la bottiglia di Vermouth e mi disse solo: 'Vieni'.
Io
non chiesi dove,
non mi interessava.
Mi
limitai a seguirlo fuori dal salotto e poi per lo stesso corridoio,
solo nella direzione opposta a quella della cucina.
Mi
aspettavo di vederlo barcollare sotto l'effetto della pasticca,
dell'alcool e delle altre droghe, ma non sembrava più instabile di
prima.
Camminava
lento nella penombra di quello spazio ristretto, con le mani piene di
alcolici e bicchieri, i piedi nudi e la testa bassa.
Si
fermò davanti ad una porta accostata che spalancò con una spinta
del fianco.
Io
rimasi sull'uscio finché non accese una lampada all'angolo della
stanza.
Era
uno studio.
Harry
poggiò le bottiglie e i bicchieri su uno scrittoio, poi si girò a
guardarmi e con un sorriso mi disse: 'Dai,
entra e chiudi la porta, non ho voglia di sentirli'.
Feci
come mi disse, mentre lui si concentrò sulla libreria a parete.
Era
piena di dischi, su cui lui lasciò scorrere le dita, prima di
afferrarne uno, sfilarlo dalla custodia e posizionarlo sul piatto.
Quando la musica partì abbassò un po' il volume e tornò allo
scrittoio per versarci ancora da bere.
Io
mi lasciai cadere sul divano a due posti, spostando lo sguardo in
giro.
Due
chitarre erano sistemate a terra in un angolo, sui loro sostegni.
In
realtà non c'era molto in quella stanza, solo i dischi, quelle
chitarre, il piccolo scrittoio posizionato addosso a una parete e il
divano su cui ero seduto.
'Collezioni
dischi?',
gli chiesi, mentre lui mi raggiungeva sul divano, passandomi un
bicchiere.
'Si',
disse, chiudendo gli occhi e lasciando andare la testa all'indietro
sul cuscino, 'ma
non dire a Niall che ti ho fatto vedere la mia collezione'.
'Penserebbe
male?',
risposi, ammiccando.
Harry
scoppiò a ridere, coprendosi gli occhi con una mano.
'No.
Mi costringerebbe a vendergliela e io non ci penso proprio'.
A
quell'affermazione calò il silenzio, ma era un silenzio pacifico.
Ormai
dovevano essere almeno le tre di notte ma, nello stato in cui ero,
non c'era niente di più naturale che starmene sdraiato
scompostamente su quel divano, strafatto e con un
bicchiere
in mano, insieme al ragazzo più bello che avessi mai visto.
Mi
chiedevo se avrei ricordato qualcosa
il giorno dopo.
Passarono
un
paio
di
minuti prima che Harry si lasciasse
scivolare con la testa sulla mia coscia esclamando: 'Dio,
sono fattissimo'.
'Forse
abbiamo esagerato un pò',
commentai, passando una mano stanca fra i suoi capelli.
Harry
ridacchiò.
'Forse.
Non ti capita spesso eh',
constatò.
'Il
giusto credo. E a te?'
Lui
non rispose, limitandosi a ridere.
Io
continuavo a bere dal mio bicchiere, senza smettere di accarezzarlo.
Non
sembrava dargli fastidio. Teneva gli occhi chiusi e il bicchiere in
equilibrio sul suo petto, che si alzava e si abbassava a un ritmo di
poco superiore al normale.
'Perché
una camelia?'
Me
lo chiese con naturalezza, come se stessimo parlando di quello da
tutta la sera.
'Non
ti piacciono le camelie?',
divagai.
'Si,
mi piacciono',
acconsentì, aprendo gli occhi e fissandomi dal basso.
'E
allora?'
'E
allora, perché proprio una camelia',
insistette lui.
'Mi
piaceva il colore'.
'Perché?'
Io
abbassai lo sguardo su di lui. Mi fissava sorridendo, con un
sopracciglio alzato, in attesa di una risposta.
Alzai
gli occhi al cielo, esasperato.
'Okey.
Okey.
Aveva lo stesso colore della tua pelle',
dissi tutto d'un fiato.
Quando
tornai a guardarlo ci fissammo per un istante e poi scoppiammo a
ridere.
'Avevi
detto che eri diventato un po' meno stronzo',
dissi fra le risate, 'ma
a me pare che sei sempre il solito'.
Harry
continuò a ridere, anche mentre si alzava a sedere sul divano,
facendo attenzione a non rovesciarsi il bicchiere addosso.
'Ero
solo curioso, giuro.
Non volevo metterti in difficoltà',
si giustificò con ancora l'eco della risata nella voce.
Io
sorseggiai dal mio bicchiere, scuotendo appena la testa.
'Davvero
Louis. Non ti sfotterei per un gesto così bello'.
'Ma
per favore, come se non avessi mai ricevuto fiori da uno
sconosciuto',
commentai scettico.
'Li
ho ricevuti ma... mai mentre stavo male',
disse a voce bassa, fissando per un momento il vuoto di fronte a sé,
per poi alzarsi e andare a prendere ancora da bere.
In
quel momento, mentre lui armeggiava sullo scrittoio dandomi le
spalle, mi resi conto che se fossi stato sobrio non gli avrei
risposto in quel modo.
Non
che non lo pensassi. Era impossibile immaginare che nessuno gli
avesse mai mandato dei fiori prima di me, sconosciuto o meno. Ma da
sobrio non avrei mai sminuito il mio gesto, cosa che sembrava per
qualche motivo aver offeso anche Harry.
Mi
alzai per raggiungerlo. Lui non si girò, continuò ad armeggiare con
le bottiglie.
'Ero
preoccupato per te',
dissi serio, stropicciandomi gli occhi stanchi, fermo alle sue
spalle.
'Davvero?',
mi chiese girandosi a guardarmi.
'Davvero',
confermai, sfilandogli il bicchiere dalle mani, 'Niall
mi aveva detto che non stavi bene',
chiarii, prima di bere.
'E'
stato un bel gesto, ma continuo a non capire'.
'Capire
cosa?'
Harry
si poggiò allo scrittoio, reggendosi con i palmi delle mani sul
ripiano. Mi studiava dall'alto della sua altezza con uno sguardo
curioso.
'Mi
conoscevi appena. Ti avevo trattato di merda. Perché preoccuparsi?'
'Perché
eri tu'.
Harry
rise, buttando la testa all'indietro.
In
un'altra occasione mi sarei sentito offeso, ma in quel momento per
quanto la sua fosse chiaramente una risata sincera, capii che non
stava ridendo di me.
C'era
qualcosa che lo divertiva in un modo un po' triste e che sembrava
capire solo lui.
'E
sentiamo, chi sarei io? Perché, davvero, non puoi avermi scambiato
per il Principe, ho i capelli troppo scuri',
ironizzò.
'Non
ti ho scambiato per nessuno'.
'Io
invece penso proprio di si'.
Rimasi
un momento in silenzio, spostando lo sguardo in giro, cercando le
parole adatte, come se si nascondessero in un angolo di quella
stanza.
'Prima
di quella sera ti avevo già visto. Da YSL. Camminavo su Oxford
Street e tu sei sceso dalla macchina. Portavi dei pantaloni bianchi'
dissi, mentre Harry mi osservava con attenzione, 'Hai
comprato delle camicie, poi il commesso ti ha accompagnato fuori. Sei
entrato e uscito da quel negozio senza nemmeno accorgerti di aver
fermato il traffico.
Poi
l'auto è ripartita e io ho avuto paura che tu non esistessi.
Non
ti ho scambiato per nessun altro
Harry',
conclusi.
Questa
volta Harry non rise, né di me né per nessun altro motivo.
Era
ancora appoggiato allo scrittoio e respirava profondamente,
guardandomi.
Io
scolai quello che era rimasto nel mio bicchiere, poi lo poggiai sullo
scrittoio, vicino alla sua mano.
Stavo
per tornarmene sul divano, quando lui mi bloccò per un braccio,
avvicinandosi al mio orecchio.
'E'
così. Io esisto solo quando sto bene'
disse, come confidandomi un segreto, 'e
tu non dovresti preoccuparti per me quando non è così'.
'Cazzate'.
'Non
sono cazzate e smettila, non c'è bisogno di recitare e lo sai anche
tu',
mi disse, lasciandomi andare.
Io
feci un passo indietro per poterlo osservare meglio.
'Non
mi hai mai visto recitare',
ribattei, fissandolo negli occhi.
Doveva
capire.
Doveva
capire che per me era sempre esistito.
Su
quel marciapiede, quando non sapevo chi fosse. In quel club, dove si
era preso gioco di me. Dentro quella casa, quando era stato male. In
quel salotto da sobrio e in quello studio, con gli occhi accesi dalla
cocaina.
Prima
ancora della sua mano sul mio viso sentì il rumore secco del
bicchiere che andava in pezzi, schiantandosi a terra.
Harry
si era staccato dallo scrittoio con una spinta e lo aveva urtato per
raggiungermi.
Mi
baciò tenendomi per il collo, lo sentivo respirare dal naso sempre
più velocemente, mentre mi spingeva verso il divano.
'Non
farlo mai',
disse riprendendo fiato.
'Cosa?'
gli chiesi, fissando la sua bocca.
'Recitare.
Con me'.
Io
annuii lentamente, baciandolo.
'Sai
cosa sono'.
'Si'.
'Accettalo
e basta'.
Io
non risposi. Lo baciai trascinandomelo addosso.
'Quanto
mi costerà accettarlo?',
gli chiesi, mordendo piano il suo orecchio.
'Dipende',
disse, continuando a baciarmi.
'Da
cosa?',
chiesi, spingendolo a sedere, 'da
cosa dipende?',
insistetti, prima di montare sopra di lui.
'Da
te. Dipende da te',
disse, sollevando l'orlo della mia maglietta per poi baciarmi il
petto.
'Dimmi
quanto',
lo incalzai, incastrando le mani nei suoi capelli e mordendo il suo
collo.
Harry
rise.
'Non
voglio i tuoi soldi Louis',
disse, tirandomi verso di lui per il collo e affondando la lingua
nella mia bocca.
'Cosa
allora?',
sussurrai, riprendendo fiato.
'Voglio
solo...questo'
e mi
baciò,
'e
la tua parola',
concluse, lasciando le mie labbra.
'La
mia parola?',
chiesi confuso.
'Prometti',
chiarì, accarezzandomi la schiena.
'Cosa?'
'Che
mi lascerai vivere la mia vita. Che non cercherai di cambiarmi. Che
non sarai geloso', elencò
le sue condizioni spostandomi la frangia per osservare il mio viso,
'ma
pensaci',
concluse.
'Non
ho bisogno di pensarci'.
'Si
che ne hai'.
'No'.
'Allora
sei un incosciente'.
'O
forse sono già innamorato'.
'Spero
per te di no'.
'Perché?'
'Perché
allora non potresti mantenere la tua promessa'.
Si
alzò dal divano con uno sforzo, sorreggendomi per le gambe e mi
portò nella sua camera.
Angolo autore:
Come
prima cosa volevo dire un grazie enorme al mio editor, per l'impegno
che mette nel correggermi e consigliarmi.
E'
vero che chi scrive lo fa da solo, ma sentirsi compresi è sempre
bello e sapere che c'è qualcuno, anche una sola singola persona, che
capisce e apprezza davvero le difficoltà e l'impegno è di grande
aiuto.
Per
cui grazie!
Potresti
essere l'unico a leggermi (e probabilmente è così bahaauaua), ma
vali più di 100 lettori, te l'ho già detto.
Sul
capitolo non ho molto da aggiungere, dato che ho la speranza di
essere stata chiara nel raccontare gli eventi e gli stati d'animo dei
protagonisti.
Se
così non fosse, chiedete pure ovviamente, o fatemi sapere dove non
sono stata sufficientemente chiara, la cosa mi sarebbe di grande
aiuto.
Ci
tengo solo a farvi sapere che più vado avanti e più realizzo che
Harry e Louis hanno davvero poco a che fare con Marguerite
e Armand
e la cosa mi riempie di gioia.
Superficialmente
hanno dei tratti in comune e credo sia normale e anche necessario, ma
caratterialmente sono molto diversi.
Harry
in particolar modo è molto lontano da Marguerite, anche se non nelle
intenzioni.
Detto
questo, grazie ancora a chi mi ha letto e aggiunto a qualsiasi lista.
Angelique
P.S.
Il lavoro di editing dei capitoli precedenti ha avuto qualche
ritardo, per cui li ho aggiornati recentemente, nel contenuto
rimangono invariati ho solo cercato di migliorare alcuni aspetti che
non ci convincevano, oltre alla formattazione del testo!
Lover,
You Should've Come Over la trovate anche su Wattpad
(Angelique79).
Questo
è il mio account Twitter
@sunbozzi79.
|
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Capitolo 6 *** Capitolo VI ***
Capitolo VI
Quando
aprii gli occhi, il buio della stanza e la sbronza della sera prima,
non mi aiutavano a distinguere se quelle parole fossero reali o solo
uno strascico di qualche sogno quasi dimenticato.
'Non prendermi per il culo Jeff, ti ho visto spendere centoventimila sterline in due ore'.
Fui davvero sveglio solo quando quelle parole, centoventimila sterline e Jeff, si posarono con lo stesso peso di due mattoni nella mia mente.
Con la
testa ancora sul cuscino di Harry osservai la sua ombra muoversi sotto
la porta chiusa del bagno. Camminava avanti e indietro, parlando al
telefono con Azoff.
La stanza era silenziosa e la sua voce fonda filtrava insieme alla luce accesa.
Rimasi immobile fra le lenzuola, in ascolto, studiando i suoi movimenti.
'Non ce l'ho una cazzo settimana, lo sai!', disse di colpo.
'Risparmiami la paternale Jeff'.
'Come vivo io non sono cazzi tuoi'.
'Non me li stai regalando, chiaro?'
Fotogrammi
nitidissimi delle nostra prima notte insieme si susseguirono davanti ai
miei occhi, in una pellicola di bocche, mani, capelli e tatuaggi.
Mi alzai a
sedere di colpo nel letto, la sensazione delle lenzuola aggrovigliate
alle mie gambe nude, insopportabile. Le scalciai via, una mano a
stropicciarmi gli occhi.
'Non
ho bisogno che mi dici come vivere la mia vita. Ho bisogno di
centoventimila sterline. Vuoi darmele, o devo rivolgermi a qualcun
altro?'
C'è
un momento, all'inizio di ogni relazione, in cui realizzi che non sai
assolutamente nulla della persona che hai di fronte. Dove capisci che
non saresti in grado di prevedere le sue azioni e reazioni, di capire
le sue motivazioni. In cui la sua vita ti appare di colpo in tutta la
sua insondabile vastità di incognite. Io quell'epifania la stavo
vivendo in quel letto.
'Oh ma per favore, ora anche la scenata di gelosia'.
'Lo è. Vai fuori di testa solo all'idea'.
Osservavo
il buio, nudo in un letto non mio, mentre le parole destinate a qualcun
altro, smantellavano la mia coscienza, in uno scambio di ruoli tra me e
Azoff.
'Crederci è un lusso'.
'Esatto, gli altri sono necessari'.
'Per chi, non per cosa'.
'Non parlavo di me Jeff'.
'Non dire stronzate, spariresti in due giorni'.
Rimasi
immobile, lasciando a quelle parole la facoltà di attraversarmi.
Non potendo sfuggirgli, mi impegnavo a assorbirne il colpo.
'Erano
anni che non dormivo così. Il risveglio migliore della mia vita,
cazzo, finché non hai deciso di chiamarmi e fare lo stronzo'.
A quelle parole voltai il mio sguardo cieco verso la sagoma illuminata della porta del bagno.
'No, passo io da te. Oggi Lou non è venuta e la casa è un casino'.
'Falla finita. Ci vediamo più tardi'.
'Ciao'.
Il
silenzio che segui il saluto di Harry fu in grado di strapparmi un
sospiro. Mi lasciai andare contro la testiera imbottita, chiudendo gli
occhi.
La porta del bagno si aprì silenziosamente.
Harry, con indosso un paio di boxer, si fermò sull'uscio, osservando il buio della stanza.
Quando mi vide sveglio, appoggiato alla spalliera, si avvicinò studiandomi con attenzione.
'Ehi, sei sveglio', constatò.
Io mugolai
un assenso vago, prima di sbadigliare e tendere una mano verso di lui.
A quel gesto Harry sembrò rilassarsi impercettibilmente, la
afferrò prima di salire sul letto in cerca di un bacio.
'Tutto bene?', mi chiese, le sue labbra a sfiorarmi il collo.
Con il suo
peso addosso era facile pensare che fosse così. Ero preoccupato
e confuso da quello che avevo sentito, ma non credevo che una sola
notte mi desse il diritto di chiedere. La mia mano fra i suoi capelli
lo accarezzava e allo stesso tempo lo tratteneva vicino.
'Si', risposi, fra i suoi ricci.
'Bene. Vuoi fare una doccia?'
'Sono affamato', dissi allora.
Harry mi osservò un momento, poi si aprì in un sorriso. Uno di quelli grandi, tutto fossette. Mi baciò ancora e poi svelto, saltò giù dal letto, per andare a aprire le tende alla finestra.
'Tè o caffè?', mi chiese, mentre raccoglieva la maglietta da terra.
Io lo
osservavo ancora nudo nel letto. Alla luce del sole sembrava allegro,
quasi felice, come se la sola idea di prepararmi la colazione bastasse
a riempirgli la vita. Doveva essere preoccupato, ma lo nascondeva bene.
'Preferirei te, ma anche un tè andrà bene'.
La risata di Harry mi arrivò da sotto la maglia, ancora incastrata sulla sua testa.
Quando
riemerse dallo scollo in una nuvola elettrica di ricci, i suoi occhi
verdi cercarono subito i miei. Sembravano enormi e pieni di uno strano
sentimento. Un lucido impasto di tenerezza e eccitazione, sciolte
nell'incredulità e in una timidezza un po' ingenua. E allora
capii. Poteva nascondere qualsiasi cosa, ma io non avrei avuto comunque
scampo di fronte a quello sguardo.
'Quindi è così che ti svegli la mattina', disse poi.
'Così come?'
'Sfacciato'.
Dovetti appoggiare la testa alla spalliera per ridere.
Lui rise insieme a me, poi raccolse i miei boxer dal pavimento e me li lanciò sul letto.
'La colazione', rimarcò, dirigendosi verso la porta.
'E il mio te?'.
'Dopo', lo sentii dire a alta voce dal corridoio.
Mi alzai
dal letto e mi diressi in bagno. Il cellulare di Harry poggiato sul
ripiano di fianco al lavandino sembrava un guanto di sfida. Ma
non capivo se ignorandolo la stessi accettando o meno.
Entrai in
cucina a piedi nudi e con ancora i capelli umidi. Harry era davanti ai
fornelli e mi dava le spalle. Una donna dai capelli biondi, quasi
bianchi, che poteva avere una trentina d'anni, stava apparecchiando la
penisola con due tovagliette grigie e l'occorrente per la colazione.
Quando mi vide sulla porta mi osservò con attenzione e curiosità, poi disse:'Buongiorno'.
Harry, sentendola parlare, si voltò senza abbandonare la padella che teneva per il manico.
'E' quasi pronto', disse con un sorriso, 'Lou, lui è Louis. Louis, lei è Lou', ci presentò.
'Buongiorno. Piacere', dissi, avvicinandomi al bancone.
'Lou mi aiuta in casa', spiegò Harry, tornando a prestare attenzione a quello che stava cucinando.
'Ti aiuto nella vita, direi', ironizzò lei, 'piacere mio Louis', disse poi, 'accomodati' e mi indicò uno sgabello.
Io mi
sedetti ringraziandola. Mi offrì del tè che accettai,
iniziando a sorseggiarlo piano, mentre osservavo Harry in mutande e
maglietta che cucinava tranquillo e Lou che metteva ordine in cucina.
Quando le uova strapazzate e la pancetta furono pronte Harry
riempì due piatti e si venne a sedere vicino a me, passandomene
uno.
'Mangi con noi?', chiese poi a Lou.
Lei rise.
'La gente normale ha già fatto colazione da un pezzo Harry', rispose, 'vado a sistemare quel casino che hai lasciato in salotto', concluse, abbandonando il canovaccio che teneva in mano sullo schienale dello sgabello.
'Sei la mia salvezza', commentò Harry con enfasi, prima di iniziare a mangiare.
'Puoi dirlo forte. E a proposito di salvezza...', disse, lanciandogli uno sguardo severo, 'Non ti starai dimenticando qualcosa?', gli chiese, alzando le sopracciglia chiare.
Harry si tese impercettibilmente sul suo sgabello, ma poi gli sorrise.
'No Lou. Non ho dimenticano nulla', disse, fissandola negli occhi, per poi tornare a mangiare le sue uova.
Non so cosa ci lesse Lou in quello sguardo, ma sembrò soddisfarla e disse solo:'Bene', prima di lasciare la cucina.
'Cos'era che non ti dovevi dimenticare?', gli chiesi allora, curioso, assaggiando le uova.
Harry continuava a guardare nel suo piatto, tranquillo.
'Ma niente. Lou si preoccupa per tutto, è un tipo materno', disse.
'Ha figli?'.
'Si, una bambina bellissima, Lux', rispose, con un sorriso.
In quel momento Lou rientrò in cucina con il tagliere pieno di bicchieri e coppette sporchi.
'Quando la finirai Harry?', chiese retorica, dirigendosi verso il lavello.
Harry sospirò, senza alzare la testa dal piatto.
'Ogni notte la stessa storia', continuò Lou, 'ma che problema hai, si può sapere?'
'Lou', disse solo Harry, una nota di avvertimento nella voce.
'Sul quel tavolo ci si potrebbe sciare', disse lei, girandosi a guardarlo, 'E vuoi sapere quante bottiglie vuote ho raccolto?'
'Non ora Lou', la richiamò ancora Harry, serio.
'Vuoi farti venire un infarto? Vuoi provare anche quest'ebrezza?'
La voce di Harry si fuse al rumore sordo dello sgabello che strusciava sul pavimento, sembrando ancora più dura.
'Adesso basta cazzo'.
Lou si azzittì, osservandolo per qualche istante.
Dal mio
sgabello li guardavo fronteggiarsi silenziosamente. Harry aveva
spostato il suo sguardo su di me per poi riportarlo sulla donna
dall'altra parte della cucina, un movimento veloce e deciso che ero
riuscito a intercettare, prima che lui uscisse dalla cucina,
lasciandomi li, con addosso la brutta sensazione di aver sottovalutato
qualcosa di serio.
'Scusami Louis. Non volevo rovinarti la colazione', disse allora Lou, dopo un momento di silenzio e sospirando leggermente.
'Non importa', la rassicurai, 'qui l'estraneo sono io'.
'Se fossi un estraneo non staresti seduto qui', commentò lei, prima di aprire lo sportello della lavastoviglie.
'Che vuoi dire?', gli chiesi, osservandola mentre infilava i bicchieri nel cestello.
Lou non
rispose. Continuava a afferrare i bicchieri dal lavello e a incastrarli
nell'elettrodomestico con movimenti automatici, quasi distratti. Il
tintinnio leggero del vetro riempì quel silenzio.
'Sei il primo che vedo fare colazione in questa casa'.
Lo disse girandosi a guardarmi negli occhi, per poi darmi nuovamente le spalle e tornare a occuparsi delle stoviglie.
Io non risposi. Osservai il piatto di fronte a me, ormai vuoto e all'improvviso sentii il bisogno di raggiungere Harry.
Mi alzai dallo sgabello e quando arrivai alla porta mi fermai solo il tempo di dire:'Grazie', poi imboccai il corridoio.
Trovai
Harry in camera da letto, sedeva su una poltrona in un angolo, le ante
dell'armadio di fronte a lui, spalancate. Indossava solo un paio di
jeans neri, i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani tra i capelli.
C'era qualcosa di desolante e disperato nel modo in cui i suoi lunghi
capelli pendevano, inerti, dalle sue dita e nel suono del suo respiro
affannato che risuonava nella stanza, dove per la prima volta mi
sembrò di riconoscerlo per quello che era davvero, un sintomo.
La sua immobilità mi disse che non mi aveva sentito arrivare.
'Harry', lo chiamai.
Lui
alzò la testa di scatto e quando mi vide sulla porta si
alzò in fretta dalla poltrona, per afferrare una maglietta
bianca dal letto e infilarsela. Mi avvicinai mentre lui raggiungeva
l'armadio per richiuderlo.
'E' solo preoccupata per te', dissi osservando la sua schiena.
Lui rimase immobile di fronte alle ante chiuse, il respiro aritmico a gonfiargli il petto.
'Lo so', disse.
'Abbiamo esagerato ieri', ammisi, 'dovevo pensarci'.
'Smettila'.
'Di fare cosa?'
'Sto bene'.
'Mi preoccupo e basta'.
'Ti ho già detto di non farlo'.
'Quindi non mi dirai che hai, è così?'
Harry si
era seduto di nuovo, per infilarsi le scarpe. Alzò lo sguardo su
di me, immobile di fronte a lui. Mi guardava, valutando quella
possibilità ma poi disse solo:'E' così'.
'Perché?'
Lui non rispose. Si rimise in piedi, passandosi una mano fra i capelli.
'Avevi promesso', disse, osservandomi.
'E questo che centra ora?'
'Centra'.
Spostai lo sguardo intorno, fermandolo sulle lenzuola sfatte.
'Non puoi fare così, lo capisci?', dissi poi, sospirando impotente.
'Lo capisco. Ma devi fidarti', disse avvicinandosi e cercando i miei occhi con i suoi 'Se non ci riesci, allora finiamola qui. E' stato... bellissimo, questa notte. Accontentiamoci'.
Non c'era
rabbia nella sua voce, nessuna velata accusa o giudizio. C'era solo una
nota rassegnata che risuonò appena con l'ultima parola che
pronunciò, prima di superarmi per raggiungere il comò e
scegliere un orologio.
'Non sono uno che si accontenta', considerai a bassa voce.
Lui rimase in silenzio, fissando il cinturino che stava cercando di allacciare al suo polso.
'E io non sono uno che ci crede', disse allora, quasi a se stesso.
'Ma lo hai fatto, no? Ieri sera', gli chiesi, afferrandolo per il braccio e costringendolo a guardarmi.
'No', disse, scuotendo piano la testa, 'ci ho solo sperato', concluse, con un sorriso un po' triste.
Lasciai scivolare la mia mano lungo tutto il suo braccio, per poi afferrare la sua e stringerla appena.
'Mi fido. Ma non capisco', confessai.
'Non c'è niente da capire. Quello che ho, non fa di me quello che sono', spiegò con dolcezza.
'E chi sei?', gli chiesi in un sorriso.
Harry rise.
'Sono uno come tanti, che vuole quello che vogliono tutti', rispose, spostandomi la frangia dalla fronte.
'Che sarebbe?'
'L'unica cosa che non si può comprare'.
Mi baciò con delicatezza e poi disse: 'Ti accompagno a casa'.
L'ora di
pranzo era passata da un po' e mi rimanevano appena un paio d'ore prima
dell'inizio delle prove in teatro. Feci un gesto affermativo con la
testa e finii di vestirmi.
Quando fui pronto ci fermammo a salutare Lou, impegnata a passare lo straccio nel salone.
'Ci vediamo dopo?', gli chiese Harry, con le chiavi in mano.
Lou raddrizzò la schiena prima di rispondere.
'Ho quasi finito qui Harry, faccio la camera e poi vado a riprendere Lux', rispose lei, fissandolo.
'Ah, okey, allora a domani', la salutò Harry.
'A domani. A presto Louis', mi salutò poi, con un sorriso.
'Ciao'.
Quando fummo nell'ascensore dissi: 'Dovresti chiederle scusa'.
Harry mi sorrise e poi disse:'Lo farò'.
Il Ranger
nero sul quale salimmo era parcheggiato in un box poco distante dal
palazzo. Sembrava l'auto perfetta per Harry. adatta alla sua stazza e
alla sua eleganza. Guidò con calma, seguendo le mie indicazioni,
fin sotto al mio portone.
'Siamo vicini', commentò, dopo aver accostato lungo il marciapiede.
'E' vero', confermai, 'Sarei potuto tornare a piedi in effetti', conclusi quasi scusandomi.
'Figurati. Dovevo comunque uscire', disse lui sorridendomi.
Non riuscii a ricambiare quel sorriso, il pensiero di Azoff che lo aspettava mi paralizzava le labbra in un linea netta.
'Vuoi salire?' gli chiesi allora, di slancio.
Harry si girò a guardare il mio palazzo.
'Mi piacerebbe, ma...', prese fiato tornando a guardarmi, 'Devo andare', concluse.
Non ne fui
nemmeno deluso. Harry afferrò il cellulare dal cruscotto e mi
chiese il numero, che gli dettati, poi fece partire una chiamata
per lasciarmi il suo.
'Ci sentiamo più tardi, okey?'
'Okey'.
Mi baciò, accarezzandomi una guancia.
Lo osservai allontanarsi dal marciapiede e desiderai essere ricco.
Salii in
casa giusto il tempo di cambiarmi e poi andai in teatro. Le prove
furono un mezzo disastro. Ero distratto e agitato, ogni sforzo fatto
per concentrarmi sul mio lavoro non portò a nulla. Uscii dal
teatro stanco e irritato. Tornai a casa intorno alle otto.
Quando il cellulare squillò, rimasi deluso nel leggere il nome di Nial. Harry non si era ancora fatto vivo.
'Come va Lou?', mi chiese Niall con il suo solito tono allegro.
'Bene. Che fine hai fatto ieri sera, si può sapere?'.
'Una fine stupenda Lou', disse, lasciandosi andare a una risata, 'Io e El abbiamo spostato la festa a casa sua' concluse, soddisfatto.
'Te l'avevo detto che era interessata', commentai.
'Dovrei darti retta più spesso'.
Risi divertito.
'Vedi di ricordartelo, la prossima volta', ribattei.
'Ci proverò. Quindi...tu e Harry Styles, eh?', ghignò nel microfono.
'Non ti aspetterai mica i dettagli, vero?'
'Neanche per scherzo. Volevo solo farti i miei complimenti Lou' disse in tono complice.
Sbottai di nuovo a ridere.
'E per cosa?'.
'Andiamo
Tommo, non fare il modesto con me, okey? Mezza Londra darebbe un
braccio e tutto il suo patrimonio per farsi Harry Styles e poi arrivi
tu, dal nulla e senza muovere un dito finisci nel suo letto. Qual
è il tuo segreto?', chiese a metà tra l'ironico e lo sbalordito.
'Il mio fascino irresistibile?', domandai retorico.
'Okey,
ho capito, non vuoi dirmelo. Non importa. Comunque, sono felice per te.
Qualsiasi cifra spenderai ne varrà sicuramente la pena per
Harry. E' un bravo ragazzo, nonostante tutto', continuò bonario, 'e poi te la meriti' concluse ridendo.
'Già', dissi, con poco entusiasmo.
'E ora che ti prende?'
'Ma niente, solo...aveva detto che mi avrebbe chiamato', confessai, spostando lo sguardo fuori dalla finestra.
'Avrà avuto da fare'.
'Si, infatti, con Azoff'.
Niall rimase in silenzio per qualche istante, respirando lentamente nel microfono.
'Non sarai mica geloso, vero?', mi chiese un po' stupito.
'Io...', ma non mi fece nemmeno finire di parlare.
'Ascoltami Lou. Harry è magnifico e io lo adoro, ma è una puttana e non puoi essere geloso di una puttana', io rimasi in silenzio e lui continuò, 'Divertiti,
goditela ma lascia stare la gelosia, lo dico per te Louis. L'hai
sentita Eleanor ieri, Azoff lo mantiene. Lascialo fare e prendi da
Harry quello che può darti. Vivrai meglio e ti costerà
meno'.
Sentirlo
parlare così seriamente mi innervosì. In quel momento
avrei davvero voluto pensarla un po' come lui e liberarmi da quella
sensazione che ronzava nelle mie vene, ma che aumentava fino a rendermi
sordo, solo immaginandomi Harry vicino a Azoff. Non dissi a Niall che
tra me e Harry non c'era nessuna compravendita, perché se non
riusciva a concepire la mia gelosia, non avrebbe mai potuto accettare
la mia decisione di avere una relazione con qualcuno che si vendeva per
soldi. Stavo spostando un oggetto dal suo posto prestabilito.
'Dimmi che hai capito Lou', mi chiese, di fronte al mio silenzio, 'Lo so che lo volevi da sempre, ma l'hai appena conosciuto, Cristo Santo, rallenta', concluse sospirando.
'Ho capito Niall', risposi allora, cercando un po' di convinzione dentro di me.
'Bene. Ora distraiti un po'. Esci, vai a diverti', propose, leggero.
'Si, forse hai ragione'.
'Ce l'ho. Ci sentiamo presto', mi salutò lui, prima di attaccare.
Senza
nemmeno pensarci lasciai il cellulare sul divano, andai in camera dove
mi cambiai infilando una tuta, per poi tornare in cucina e cercare
qualcosa da mangiare. Cenai in piedi poggiato al lavello, masticando
piano il mio sandwich, tenendo d'occhio il mio cellulare, in attesa di
vederlo illuminarsi.
Avevo
capito il discorso di Niall. Lo avevo capito bene, ma non sempre
ciò che si comprende è quello che siamo in grado di fare.
****
'Harry non chiamò, vero?'
'No Liam, non chiamò. Né quella sera, né quelle dopo'.
Louis si
versò altro vino. Il cd si era fermato, lasciando la casa
silenziosa e la sua voce sottile libera di riempire quel silenzio.
Sembrava stanco.
'E' tardi', dissi, 'finirai di raccontarmi il resto un altro giorno'.
'No. Per favore. Voglio farlo sola una volta', disse lui, pregandomi con lo sguardo.
Non ero
sicuro che fosse una buona idea, ma avevo imparato che era quasi
impossibile non cedere di fronte a quegli occhi. Rimboccai il mio
bicchiere e mi rimisi comodo sul divano.
'Quindi, non chiamò. Lo hai fatto tu?', gli chiesi, spronandolo a riprendere il racconto.
'No', rispose, 'non lo chiamai'.
'Non vi siete più sentiti?'
'No'.
'Non capisco'.
Louis sospirò, fissando le sue mani strette intorno al bicchiere.
'Sei mai stato geloso Liam?', mi chiese.
'Si, è capitato'.
'Io
lo ero, tantissimo. Sapevo che Harry era andato da Jeff, che gli
avrebbe dato dei soldi, tanti e non mi facevo illusioni su cosa volesse
in cambio Azoff; e quando Harry non chiamò quella sera, e
né quella dopo e quella dopo ancora, e così per giorni,
non ero solo geloso, ero ferito. Gli avevo creduto. Pensavo che dopo
averne parlato a casa sua, lui fosse disposto a provarci. Ma lui non
chiamava e io pensai di essermi illuso, che mi avesse solo preso in
giro. In fondo è questo che fanno le puttane, no? Vendono
un'idea d'amore. Fanno e dicono quello che vuoi tu'.
'Ma tu non avevi pagato'.
'E' vero, ma gli avevo dato la mia fiducia'.
'Non chiamasti per orgoglio', constati.
'Per
orgoglio, certo, ma non solo. Ero arrabbiato. Incazzato nero al dire il
vero, e deluso, da lui e da me stesso. Dalla mia stupidità,
dallo scoprirmi così ingenuo e facile da ferire'.
Louis
bevve dal suo bicchiere, rimase in silenzio per qualche istante come
riflettendo sulle sue parole, poi mi guardò con un mezzo sorriso
fra le labbra.
'So cosa stai pensando', disse allora.
'Davvero? E cosa?', lo sfidai.
'Che ero solo un piccolo uomo pieno di sé, incapace di gestire il minimo affronto al suo amor proprio', disse con una smorfia.
'Ti sbagli. Credo sia normale sentirsi feriti. Essere respinti non è mai bello, in qualsiasi modo accada', spiegai.
'No, non è bello', convenne lui, sospirando piano, 'ma
io ero davvero pieno di me. Avevo dato per scontato che Harry mi avesse
solo preso in giro e non mi chiesi mai il perché, troppo
concentrato sul mio orgoglio ferito'.
Fece tutte queste considerazioni con lo sguardo fisso sulla foto di Harry. Il suo rimpianto era tutto nei suoi occhi.
'Sei troppo duro con te stesso Lou', lo ripresi.
'Non posso farne a meno', confessò.
'Avevi i tuoi buoni motivi per pensare quelle cose di lui', insistetti.
'E' vero', assenti, 'nell'arco
di quel mese Niall mi riferì di averlo incontrato più
volte, con Azoff o con altri. Questo mi confermava solo quello che
già pensavo. Per lui non era cambiato niente. La sua vita
continuava come sempre. Ma non riesco a non pensare che sarei dovuto
andare oltre le apparenze e capire che per quanto suoni come un luogo
comune, anche le puttane hanno un cuore e dei sentimenti che
influenzano le loro azioni. Magari non è vero per tutte, ma era
sicuramente vero per Harry', concluse, distogliendo lo sguardo, come a nascondere la sua vergogna per non averlo capito.
'Suona come una giustificazione', dissi, scettico.
'No
lo è. La verità è che non sapevo nulla della sua
vita e del suo passato. La sua famiglia lo aveva amato? Era mai stato
innamorato? Era mai stato deluso, o tradito, o ferito? Diceva che la
sua malattia non faceva di lui quello che era, ma sappiamo che non
è così, che essere gravemente malati ci cambia, ci rende
sensibili a cose che ai sani quasi non interessano. E tutti quei soldi
che aveva chiesto a Azoff poi, che genere di vita sostenevano e
perché?'.
Louis scuoteva la testa al ritmo delle sue domande.
Io mi
ritrovai nudo di fronte a me stesso, la mia insensibilità, il
mio egoismo e la mia superficialità in piena luce e pensai che
era così che si doveva essere sentito Louis, quando capì
di essersi sbagliato su Harry.
'Forse Niall aveva ragione', dissi allora, 'Forse hai corso troppo', conclusi, pensando a quel suo amico che non avevo mai conosciuto.
'Forse.
Forse quella notte non sarebbe dovuta andare così. Dovevo
aspettare, cercare di conoscerlo, di capirlo, ma...io lo volevo e basta
e quando è questo che senti davvero, difficilmente ti fermi a
riflettere sul modo', disse lui, con un nota di predestinazione nella voce.
'Cosa successe poi?', domandai, curioso.
Louis lasciò andare una piccola risata, alzando gli occhi al cielo.
'Successe
l'inevitabile. Non penserai davvero di andare in giro per Londra e di
non incontrare proprio l'ultima persona che vorresti vedere, vero Liam?', mi chiese lui, con una smorfia.
Io risi.
'Ma certo, il fottuto destino', commentai sarcastico.
'Chiamalo
come vuoi. Io so solo che ogni volta che mettevo piede fuori di casa
tremavo. Ma non capivo mai se per l'eccitazione di rivederlo, o per la
paura che potesse accadere davvero', scosse la testa, 'fu un periodo tremendo', concluse.
'Immagino. Ma poi accadde, no?', lo incalzai.
'Si'.
'Quando?'
'Quando ormai non ci speravo più. Quasi due mesi dopo'.
NOTA AUTRICE:
Chi non muore si rivede!
Se
qualcuno sta ancora leggendo, in realtà, non ho molto da dire,
ho sempre la speranza di aver descritto gli eventi e le intenzioni in
maniera abbastanza chiara da essere capiti.
Ma se qualcuno dovesse avere dubbi, o domande, sentitevi liberi.
L'unica
info che posso aggiungere è che questo capitolo l'ho
completamento inventato di sana pianta. Niente di tutto quello che
avete letto succede realmente nel romanzo di Dumas, e sicuramente
questo ha influito molto sui tempi di stesura e mi fa capire che la
storia, inevitabilmente e anche con personale soddisfazioni della
sottoscritta, sta prendendo una strada tutta sua, anche se di base il
plot rimane invariato.
Ne
approfitto per ringraziare chiunque mi abbia letto, aggiunto alle varie
liste e mandare un abbraccio al quel santo del mio edito!
Angelique
Lover, You Should've Come Over la trovate anche su Wattpad (Angelique79).
Questo è il mio account Twitter @sunbozzi79.
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