E' solo colpa tua

di sophie97
(/viewuser.php?uid=142936)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quindici giorni ***
Capitolo 2: *** Lacrime di principessa ***
Capitolo 3: *** Forza! ***
Capitolo 4: *** Ninna nanna ***



Capitolo 1
*** Quindici giorni ***


DA “E POI TUTTO FINI’”, ULTIMO CAPITOLO:

«Forza, dai, ancora un piccolo sforzo!» quasi gridò il medico «Forza, spinga che ci siamo quasi!».
Ancora uno sforzo, un dolore mai provato e poi a Clara sembrò per qualche breve istante di non sentire più nulla.
Chiuse gli occhi e quando li riaprì un’infermiera le stava già porgendo un piccolo fagotto bianco.
La ragazza lo prese e lo osservò per un attimo senza parole.
Era una femmina.
Bianca... era così piccola...
Clara scoppiò a piangere, di nuovo, ma questa volta le sue lacrime esprimevano una gioia incontenibile.
Rideva e piangeva insieme, non riusciva a crederci...
Bianca!

~~~

Quando le porte scorrevoli si aprirono, Semir non ebbe il coraggio di alzare immediatamente lo sguardo.
Sentì il medico avvicinarsi e vide il collega seduto accanto a sé scattare in piedi e andare incontro all’uomo che avanzava in camice bianco.
Poi alzò gli occhi e lo vide.
Vide Ben chiedere al dottore e questi rispondergli in un sussurro.
Vide Max da distanza fare altrettanto e in risposta ricevere da parte di Ben un’unica, eloquente occhiata.
Quindi diresse lo sguardo direttamente negli occhi del medico e lo interrogò senza parlare.
Anche lui rispose senza bisogno di parole.
Bastò un rapido movimento del capo per comprendere.
Bastò quel “no” appena accennato.
... E poi tutto finì.





Image and video hosting by TinyPic

Quindici giorni.
A Ben sembrava impossibile che fossero già passati quindici giorni: in realtà sembrava fosse accaduto tutto solo poche ore prima.
E invece no: quindici giorni, quindici giorni da quando Andrea era stata uccisa... Andrea...
Non avrebbe mai dimenticato niente di quel maledetto giorno, niente di niente: l’inseguimento, la sparatoria all’aeroporto, il viaggio verso l’ospedale, l’ansia, l’attesa... ma soprattutto non avrebbe mai dimenticato la disperazione che aveva letto negli occhi del suo migliore amico.
Semir aveva resistito fino all’arrivo in ospedale, poi si era lasciato andare ad un pianto disperato.
In tanti anni di lavoro insieme, Ben non ricordava di averlo mai visto così.
E poi il medico era uscito dalla sala operatoria e non aveva proferito parola: era bastato un minimo cenno del capo a far intendere cosa fosse appena accaduto lì, oltre quella porta scorrevole.
Inizialmente Semir era rimasto immobile, senza credere a ciò che gli era appena stato comunicato con uno sguardo.
La situazione in seguito era andata sempre più degenerando e lo stesso Ben aveva avuto paura di non essere in grado di gestirla...

 

«Semir! Semir, che stai facendo?!» gridò il giovane ispettore raggiungendo l’amico sulla terrazza dell’ospedale del piccolo paese vicino ad El Fahim.
«Vattene Ben!» riuscì ad urlare Semir con voce rotta dal pianto.
«Semir... ascoltami, devi scendere da lì... scendi!».
Ben era sempre più preoccupato: il collega si trovava in piedi sul cornicione, reso tra l’altro scivoloso dalla pioggia.
Semir scosse il capo «Vattene Ben. Ti prego, vattene, te lo chiedo per favore.».
«No! Non permetterò che tu ponga fine a tutto in questo modo, hai capito?».
«Ben, ti prego!» ripeté l’ispettore tra le lacrime «Tanto... È ... è meglio così.».
«No, non è meglio così.» ribatté Ben.
Aveva una paura immensa, temeva che l’amico sarebbe scivolato da un momento all’altro o, peggio, che si sarebbe lasciato cadere.
«Pensa alle bambine, Semir!».
Lo scrosciare intenso della pioggia rendeva difficile l’ascolto ma permetteva a Ben di avvicinarsi sempre più al cornicione, millimetro per millimetro, senza che l’altro lo notasse.
«Se non vuoi pensare a te stesso, pensa a loro! Crescerebbero non solo senza una madre, ma anche senza un padre.».
«Oppure con un padre che è causa della morte della loro madre!» gridò ancora il turco, continuando a fissare il vuoto sotto di sé.
«Non è vero Semir, lo sai...».
«Ma io non ce la faccio Ben, da solo non ce la faccio.».
«Non sei solo! Ci sono io e ci sarò sempre, c’è Clara, noi ti aiuteremo ma ti prego... non fare sciocchezze.».
Intanto Ben aveva quasi raggiunto l’amico senza che nemmeno lui se ne fosse accorto. Fece cenno agli uomini che erano accorsi ad aiutare di rimanere a distanza e si portò ancora più vicino al collega, fino quasi a sfiorarlo con la mano.
«Io non ce la faccio...» sussurrò ancora Semir.
Poi Ben si mosse, lo afferrò per un braccio e lo tirò a sé con quanta forza aveva in corpo, trascinandolo giù dal cornicione e portandolo a distanza di sicurezza dal bordo del tetto.
Semir si divincolò, provò a liberarsi della stretta del collega, ma non vi riuscì.
Scoppiò a piangere tra le sue braccia ed entrambi rimasero lì, abbracciati per alcuni minuti, sotto la pioggia.

 

Ben rabbrividì ripensando a quei momenti.
Era riuscito a salvare l’amico per un pelo... a salvarlo dal suicidio, certo, ma non dalla condizione in cui era inevitabilmente sprofondato.
Aveva dovuto firmare documenti, approvare carte e occuparsi di questioni burocratiche per fare in modo che la salma della moglie arrivasse il più in fretta possibile in Germania per il funerale, ma aveva fatto tutto ciò come guidato da una forza esterna a lui. Era distrutto e Ben non sapeva cosa fare per riuscire a tirarlo su in qualche modo, gli sembrava un’impresa insostenibile.
Poi, quello stesso maledetto giorno, lui era venuto a sapere del parto prematuro di Clara: era stato felice, certo... ma come avrebbe potuto mostrare la sua felicità ad un uomo che aveva appena perso la moglie, per sempre?
Rallentò e parcheggiò la sua Mercedes davanti a Casa Gerkhan, con un macigno sul petto di dimensioni indescrivibili.
Era il giorno del funerale e Ben era venuto a prendere il suo collega, non voleva lasciarlo solo nemmeno un istante. Clara li avrebbe raggiunti poi in chiesa, dopo essere passata dall’ospedale dove la piccola Bianca era tenuta in incubatrice. Anche la sua gioia era stata spezzata, Andrea era diventata a tutti gli effetti la sua migliore amica e adesso...
Sospirò.
Non erano nemmeno riusciti ad arrestare Schwarzer e i suoi scagnozzi.
Ben scese dalla macchina e chiuse lo sportello con forza, avviandosi lentamente verso la porta di casa del collega. Non lo vedeva da due giorni, Semir si era totalmente chiuso in se stesso e non gli aveva nemmeno aperto quando il giorno prima Ben era passato a trovarlo.
Le bambine per ora erano rimaste dai nonni, dove Andrea le aveva lasciate prima di raggiungere il marito in Turchia.
Ben respirò profondamente prima di suonare il campanello e poi attese con pazienza che l’amico venisse ad aprirgli.
E quando la porta di casa si spalancò, un nuovo macigno si abbatté su di lui senza pietà.
Semir era dimagrito visibilmente anche se in poco tempo ed era pallidissimo, il viso segnato da profonde occhiaie e gli occhi rossi e spenti.
Mormorò un “ciao” privo di espressione prima di lasciar entrare in casa il più giovane, che si richiuse la porta alle spalle.
Ben stava male, odiava vedere l’amico così, non solo gli dispiaceva, stava proprio male per lui.
«Ehi socio... come stai?» abbozzò, mettendogli delicatamente una mano sulla spalla.
L’occhiata che ne seguì gli fece temere di aver completamente sbagliato domanda.
Il turco non rispose e si limitò ad alzare le spalle.
«Prendo la giacca e sono pronto.» mormorò semplicemente avviandosi verso un’altra stanza per poi tornare nell’ingresso con il giubbotto in mano.
«Semir...» lo fermò Ben mentre l’altro stava aprendo la porta di casa per uscire «Siamo in anticipo, che ne dici se rimaniamo qui ancora dieci minuti prima di andare e parliamo un po’?».
«Non vedo di cosa dovremmo parlare.».
«Io invece penso che parlare ti farebbe bene.» replicò Ben, testardo.
«Cosa dovrei dirti, Ben? Cosa? Come mi sento? Uno schifo, mi sento uno schifo, almeno così lo sai. Ora possiamo andare per favore?» sbottò l’ispettore con gli occhi lucidi prima di aprire la porta e uscire senza che il collega potesse fermarlo.
Cercò in tasca le chiavi della sua macchina ma Ben le tirò fuori al suo posto «Andiamo con la mia e guido io.» affermò assertivo salendo sulla propria Mercedes e mettendo in moto. Non si sarebbe fidato assolutamente a lasciar guidare il collega nella condizione in cui si trovava.
Semir salì senza ribattere e i poliziotti partirono.
Ben guidava piano, non voleva arrivare troppo in anticipo e soprattutto voleva riuscire a far parlare l’amico il più possibile.
«Clara ci raggiunge lì.» esordì, senza però ottenere alcuna reazione.
«Ci sarà anche il capo della polizia, mi ha detto la Kruger.» continuò, ancora senza successo.
«Semir, io credo che tu dovresti...».
«Piantala, Ben!» gridò il passeggero voltandosi di scatto verso il più giovane «Ti prego, non ho bisogno di parlare e non me ne frega niente del capo della polizia. Penso che sia meglio che tu mi lasci perdere, rischio solo di fare danni e magari di rovinare la nostra amicizia, davvero. Non voglio perdere anche quella... So di essere intrattabile ma non posso farci niente, lasciami in pace e risolviamo il problema.».
Semir scese dall’auto che si era appena fermata davanti alla villetta in cui vivevano i genitori di Andrea senza aggiungere altro, sbattendo la portiera in faccia al collega e dirigendosi a passo spedito verso il portone.
Da lì, con i suoceri e le bambine, si sarebbe diretto a piedi verso la chiesa, che si trovava a pochi passi di distanza.
Ben sospirò appoggiandosi allo schienale prima di rimettere in moto per cercare parcheggio: l’amico avrebbe avuto tanto bisogno d’aiuto e lui avrebbe fatto tutto il possibile per stargli accanto, in un modo o nell’altro.

 

Buonasera a tutti miei cari lettori!
Come promesso, eccomi tornata con un’altra storia, la continuazione di “E poi tutto finì”. Come avrei potuto lasciare un Semir vedovo e un Ben appena diventato papà senza più farvi sapere nulla?
Vi avverto, la storia non sarà troppo allegra viste le circostanze e probabilmente ci sarà più introspezione che azione... ma staremo a vedere.
Un enorme grazie a voi che siete arrivati a leggere fin qui e un grazie già in anticipo a chi vorrà lasciare un segno del suo passaggio.
A presto!
Sophie :D

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Lacrime di principessa ***


“Semir scese dall’auto che si era appena fermata davanti alla villetta in cui vivevano i genitori di Andrea senza aggiungere altro, sbattendo la portiera in faccia al collega e dirigendosi a passo spedito verso il portone.
Da lì, con i suoceri e le bambine, si sarebbe diretto a piedi verso la chiesa, che si trovava a pochi passi di distanza.
Ben sospirò appoggiandosi allo schienale prima di rimettere in moto per cercare parcheggio: l’amico avrebbe avuto tanto bisogno d’aiuto e lui avrebbe fatto tutto il possibile per stargli accanto, in un modo o nell’altro.”.

Image and video hosting by TinyPic

«Aida, cucciolo, che cosa ci fai qua?» domandò Semir avvicinandosi alla porta esterna della villetta e notando la figlia più grande seduta fuori su un gradino, con l’aria imbronciata e le braccia conserte.
La bambina gli lanciò un’occhiata fulminante e non accennò ad alzarsi.
L’uomo allora si inginocchiò accanto a lei e le accarezzò delicatamente i capelli: era quello ciò che più temeva, ciò che aveva temuto a partire dall’esatto istante in cui il medico gli aveva comunicato, in quell’ospedale, che sua moglie non ce l’aveva fatta: le bambine. Le loro reazioni, i loro pensieri, le spiegazioni che lui avrebbe dovuto fornire. E poi, la loro vita senza di lei.
«Allora? Perché sei qua fuori da sola?».
«Perché lì dentro non ci voglio stare.».
Semir sospirò, guardandola negli occhi «Che cosa è successo?».
La bambina si voltò dall’altra parte senza rispondere e il poliziotto non poté fare a meno di constatare quanto gli assomigliasse. L’aveva sempre detto anche Andrea, Aida era la copia del papà e Beth* era più simile alla mamma.
«Ehi... dai, parlami, cosa è successo?».
«I nonni sono dei bugiardi!» esplose la bambina senza riuscire a trattenere le lacrime «Loro sono dei bugiardi e Beth non capisce niente! Non vogliono dirmi cosa è successo davvero alla mamma e nemmeno tu me lo vuoi dire, sei come loro!».
Semir abbassò lo sguardo.
Avrebbe voluto scappare, evitare quegli occhi innocenti che lo accusavano, ma non poteva.
«Aida, tua sorella è piccola e non può capire alcune cose, lo sai anche tu... e poi...».
«Ma io non sono piccola, io capisco! E tu non parli nemmeno con me!» gridò ancora la bambina con la voce a tratti rotta dal pianto.
L’ispettore sospirò leggermente: aveva ragione. Aida aveva perfettamente ragione. Perché ormai, undici anni da compiere, non era più nell’età in cui le si potessero spiegare le situazioni in modo banale. Non si accontentava più del racconto dell’“uomo cattivo” o della “bua che poi guarisce”. Aida capiva perfettamente che cosa accadeva intorno a lei, e aveva diritto a chiedere spiegazioni, soprattutto se queste riguardavano la morte di sua madre che, lei, a differenza di sua sorella, aveva compreso perfettamente.
«Cucciolo...» fece Semir asciugandole le lacrime con il dorso di una mano «Ti ho già spiegato cosa è successo, è andata male un’operazione di polizia...».
«Ma tu lavori in polizia, non lei! Non sarebbe dovuta morire la mamma!» lo interruppe la ragazzina divincolandosi da lui e alzandosi per allontanarsi.
Quelle parole per il padre furono un colpo al cuore.
Aprì la bocca per replicare ma in fondo alla via, che veniva verso di loro con le chiavi della macchina in mano, vide Ben, e lasciò perdere.
Il ragazzo salutò la bambina da lontano e sul volto di Aida, magicamente, tornò il sorriso.
Cominciò a correre per raggiungerlo e non appena fu vicino a lui gli saltò in braccio «Zio Ben!».
«Principessa!» esclamò il poliziotto stringendola forte «Come sei bella! Ma cosa sono quegli occhi lucidi? Eh?».
«È colpa di papà.» affermò lei, seria, mentre il sorriso nuovamente si spegneva sulle sue labbra.
Ben la guardò con un debole sorriso, poi portò lo sguardo su Semir che, di spalle, gli occhi bassi, si accingeva ad entrare nella villetta, forse fingendo di non aver sentito.

 

«L'eterno riposo dona o Signore a questa nostra sorella e tutti i morti in Cristo, per la misericordia di Dio, riposino in pace.».
Un coro uniforme di “Amen” si alzò prontamente all’interno della chiesa.
Semir si guardò intorno: era pieno di gente, sembrava che tutta Colonia fosse venuta per partecipare. Accanto a lui i genitori di Andrea e le bambine, dietro Ben, Clara, Max, la Kruger, Susanne e tutti i colleghi dell’Autostradale. Erano venuti addirittura il compagno della Kruger*, il padre di Ben, Alex Bronte* e davvero anche il capo della polizia.
Sospirò leggermente sperando che la funzione terminasse in fretta. La considerava una cosa assolutamente inutile, come lo era stata per tutti i colleghi che aveva perso negli anni passati. Di sicuro non avrebbe riportato indietro Andrea...
Non voleva nemmeno pensarci. Ancora non riusciva a credere che lei non ci fosse più.
Non l’avrebbe più trovata a casa la sera, non avrebbe più visto il suo sorriso, non sarebbe stato mai più costretto a dormire sul divano dopo un furioso litigio, sperando nel perdono del giorno successivo. Tutto ciò non sarebbe mai più accaduto perché Andrea non c’era più... non c’era più e non ci sarebbe mai più stata, doveva capirlo, ma faceva troppo male rendersene conto.
Al termine della messa uscì dalla chiesa e ricevette le condoglianze di una marea di persone, tra cui quelle di gente mai vista prima.
Quando finalmente fu solo, sospirò profondamente appoggiando la schiena ad un muretto  e chiudendo gli occhi per un istante. E rivide Andrea, la rivide sorridente nel suo abito da sposa, e sorrise.
Quando aprì gli occhi si accorse di aver involontariamente sfilato la vera dal dito ed ora rimaneva immobile ad osservarla.
Ma non aveva più la luce di un tempo.
Ormai era tutto finito.

 

Carl Schwarzer rise beffardo godendosi la scena dall’alto del palazzo di fronte alla chiesa.
Tutta quella gente che usciva, che diceva due parole a quell’ispettore e poi si allontanava con il viso segnato dalle lacrime... era soddisfacente poter contemplare così bene il risultato del proprio lavoro.
Era atterrato in Germania la mattina stessa, giusto in tempo per godersi questo spettacolo, riuscendo facilmente ad eludere i controlli dell’aeroporto tedesco e di quello turco da cui era partito.
Volendo sarebbe anche potuto ripartire in giornata ma non l’avrebbe fatto.
Doveva prima sistemare i conti con suo figlio, con quell’uomo che, pur essendo sangue del suo sangue, lo aveva tradito, era diventato uno sbirro.
Sarebbe arrivato alla resa dei conti con lui e lo avrebbe fatto con l’aiuto di Kallman che, come sempre, lo aveva seguito.

 

Ben si passò una mano tra i capelli spettinati e poi si stropicciò gli occhi ancora umidi.
Stava aspettando Semir appoggiato al cofano della propria auto ormai da quasi dieci minuti: il collega si era fermato a parlare con il parroco sulla soglia della chiesa e sembrava che ne avrebbe avuto per un po’, mentre i genitori di Andrea e le bambine si erano già avviate verso casa. D’altra parte il sacerdote lo conosceva bene, era lo stesso che lo aveva sposato e che aveva battezzato Aida e poi Beth, era naturale che volesse sapere cosa fosse realmente successo.
Già, Beth e Aida, a Ben si stringeva il cuore a pensare a loro. Sarebbe stata dura senza Andrea, soprattutto all’inizio e non era giusto che un uomo avesse privato loro così presto della madre.
Aida sembrava già essere partita all’attacco e forse Semir davvero non sarebbe stato in grado di gestire la situazione da solo, avrebbe avuto bisogno di un aiuto enorme.
I genitori di Andrea erano distrutti tanto quanto lui: perdere una figlia, soprattutto in quel modo, era del tutto innaturale e troppo difficile da accettare.
Il pensiero dell’ispettore volò quindi verso la sua piccola Bianca. Era diventato papà da quindici giorni e con tutto ciò che era successo non aveva avuto nemmeno il tempo di accorgersene.
Temeva di non dedicare alla piccola abbastanza tempo ma in quei giorni era essenziale che lui stesse vicino anche all’amico.
Si era comunque innamorato subito di quel minuscolo esserino che era sua figlia e non vedeva l’ora che la bambina uscisse dall’incubatrice per passare intere giornate accanto a lei.

Eccoci al secondo capitolo, grazie a per le recensioni e grazie a tutti coloro che hanno letto e che stanno seguendo la storia!Scusate l’assenza, ma sono stata in vacanza in un posto in cui internet era praticamente inesistente.
Tornando alla storia, Schwarzer è in Germania, il che potrebbe comportare problemi...
Un bacione e a presto!
Sophie :D

 

Quasi dimenticavo, piccole annotazioni per chi non avesse letto la storia precedente:

*Beth: in questa mia serie il nome della sorellina di Aida è sempre stato Beth e non Lily, non chiedetemi perché!
**Compagno della Kruger: eh sì, c’è anche lui, creato nella storia precedente, si chiama Gerard ed è riuscito a rubare il cuore del nostro commissario!
***Alex Bronte: personaggio inventato da me, è il commissario dell’LKA, con cui Ben e Semir non hanno mai avuto un buon rapporto se non nel corso del loro ultimo caso. È presente in parecchie altre storie della serie.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Forza! ***


“Il pensiero dell’ispettore volò quindi verso la sua piccola Bianca. Era diventato papà da quindici giorni e con tutto ciò che era successo non aveva avuto nemmeno il tempo di accorgersene.
Temeva di non dedicare alla piccola abbastanza tempo ma in quei giorni era essenziale che lui stesse vicino anche all’amico.
Si era comunque innamorato subito di quel minuscolo esserino che era sua figlia e non vedeva l’ora che la bambina uscisse dall’incubatrice per passare intere giornate accanto a lei.”.

Image and video hosting by TinyPic

«Gerkhan, mi ascolti per favore.» ripeté per l’ennesima volta la Kruger.
Parlava con lui da poco più di cinque minuti ma Semir era già riuscito a contraddirla almeno una decina di volte, senza mai lasciarla finire di parlare.
Era stato lui a voler andare al comando dopo la funzione invece che a casa e non aveva voluto sentir ragioni da parte del collega, anche se aveva i nervi a fior di pelle e non era assolutamente in grado di portare avanti una discussione con la sua superiore.
«Lei ha bisogno di un po’ di stacco, mi creda. A parte che lei non è più un poliziotto dato che si è dimesso e ha partecipato all’operazione in Turchia in modo del tutto non ufficiale e se non sbaglio non ha ancora deciso se ripensarci oppure no. In caso ci avesse ripensato la procedura non sarebbe nemmeno così semplice, lo sa.» riprese la donna con voce ferma «E comunque non potrebbe lo stesso ricominciare subito a lavorare dopo quello che è successo, non potrebbe assolutamente. Si prenda del tempo! Stia con le sue figlie, ne avranno bisogno anche loro.».
Semir scosse il capo «Non posso starmene a casa con le mani in mano. Non servirebbe a nulla se non a farmi stare peggio.».
«Gerkhan, la prego, sia ragionevole per una volta. Mi dia retta...».
«Commissario, non voglio fermarmi! Anche perché non starò tranquillo fino a quando la polizia turca non le dirà che hanno arrestato quel bastardo.».
Il poliziotto non lo nominò. Odiava quel nome più di qualsiasi altra cosa.
«Ecco, a questo proposito devo riferirle una cosa...».
Semir la guardò con espressione interrogativa.
«Carl Schwarzer non è più ad El Fahim, Gerkhan. Ha preso un volo per Colonia questa mattina all’alba e tanto per cambiare è riuscito ad eludere i controlli dell’aeroporto e a fuggire indisturbato, non si sa come. Schwarzer è qua...» disse Kim temendo una qualche reazione da parte del sottoposto.
«Bene.» fece invece lui, incredibilmente calmo «Bene, almeno potrò sistemarlo con le mie mani.».
Quindi uscì dalla stanza senza aggiungere altro.


Assorto com’era nei suoi pensieri, seduto alla sua scrivania nel suo ufficio, da solo, Semir non sentì nemmeno la porta aprirsi alle sue spalle e si accorse dell’entrata di Max solo quando egli si fece notare con un colpo di tosse.
«Ehi...» disse il nuovo collega avvicinandosi lentamente.
Semir si voltò e accolse l’altro ispettore con un mezzo sorriso.
«Io... volevo parlarti un attimo.» fece questo sedendosi alla scrivania di Ben, di fronte al collega.
«Riguardo a quello che è successo in aeroporto quindici giorni fa. Io... non sono ancora riuscito a chiederti scusa.».
Semir alzò un sopracciglio.
«Sì, insomma... mi dispiace per quello che ha fatto mio padre. Non pensavo davvero che arrivasse a tanto.».
«Max, quello che è successo non è certo colpa tua.» lo bloccò il turco.
Ma si accorse di non riuscire a guardarlo negli occhi. Perché quegli occhi erano troppo uguali a quelli di suo padre, erano identici a quelli dell’uomo che aveva ucciso sua moglie.
«E invece sì, avrei dovuto fermarlo, in qualche modo. E soprattutto avrei dovuto capire che genere di persona fosse già anni prima, ma la verità è che forse non mi sono mai voluto accorgere di nulla perché avevo paura di poter essere il figlio di un criminale del genere. Quello non è mio padre, non lo è più, e ti assicuro che lo prenderemo e marcirà in galera per il resto dei suoi giorni.».
«So benissimo che tu sei diverso Max, non ti devi scusare, davvero. Pensiamo a cercarlo più che altro.».
«Va bene.» rispose Max alzandosi e dirigendosi verso la porta «E se hai bisogno di qualsiasi cosa, io ci sono.».

 

Schwarzer sorrise soddisfatto sedendosi sulla poltrona nella cantina in cui era appena entrato, tornato dallo spettacolo a cui aveva assistito così volentieri.
«Carina la scena del funerale... commovente, non trovi Igor?».
«Meravigliosa, Signore. Quel turco sembra totalmente distrutto.» costatò Kallman con una risata divertita «Ma posso sapere cos’altro ha in mente, Signore?».
«Guarda Igor, avevo in mente di assistere alla funzione, sistemare i conti con mio figlio e tornare a casa... ma poi ho pensato che forse ci sarebbero altre persone con cui chiudere adeguatamente i rapporti qui in Germania.» spiegò il capo dell’organizzazione, con un’espressione a metà tra il divertito e il compiaciuto «Rebecca è stata portata al carcere di Düsseldorf e la bambina sarà finita in un qualche orfanotrofio per casi difficili... sciocche, pensavano di poterla fare franca, ma si sono sbagliate.».
Le note di una risata fredda e malvagia si diffusero nell’aria.

 

Ben non smise di guardare quel fagottino chiaro nemmeno per un istante, anche dopo essere uscito da quella stanza silenziosa.
Staccarsi da lei ogni volta era una tortura, e ogni volta che il ragazzo doveva farlo, poi rimaneva ancora per minuti lunghissimi davanti alla vetrata a fare segni al suo scricciolo, sicuro che lei avrebbe saputo come interpretarli.
Dall’esatto istante in cui ne era venuto a conoscenza, Bianca era diventata a tutti gli effetti la sua ragione di vita e Ben si chiedeva come avesse potuto fare a meno di lei fino a quel momento.
Clara e Bianca, i suoi gioielli, le due cose a cui ufficialmente teneva di più al mondo.
Sorrise teneramente rivolgendo un ultimo saluto alla sua bambina e avviandosi verso l’uscita dell’ospedale: avrebbe fatto un salto al comando anche se non era in servizio a vedere come stava Semir dopo la funzione, poi sarebbe andato a casa dalla sua Clara.

 

Quando Semir sentì aprire la porta dell’ufficio per la seconda volta, non seppe se dare di matto oppure ringraziare il Cielo che qualcuno interrompesse di tanto in tanto il flusso scuro dei suoi pensieri.
Alla fine non fece nessuna delle due cose, si limitò a voltarsi con aria stanca e a riportare lo sguardo su un punto imprecisato della sua scrivania dopo aver appurato che si trattasse di Ben.
«Ehi socio.» fece il più giovane poggiandogli una mano sulla spalla e poi sedendosi di fronte a lui, al suo posto di lavoro «Non sarebbe meglio che tornassi a casa? È l’ora di pranzo, se proprio non vuoi prenderti qualche giorno almeno comincia domani, anche se non ufficialmente dato che non sei in servizio... Passa a prenderti le bambine dai nonni e poi va’ a  casa, dammi retta.».
Con grande sorpresa di Ben, il collega si limitò ad annuire.
«Va bene, allora io vado.» aggiunse quindi, alzandosi e avviandosi verso la porta.
«Semir?».
«Sì?».
«Forza.» fece il più giovane con un sorriso.

I piani di Schwarzer non sono affatto rassicuranti e la situazione anche al comando non è delle migliori.
In compenso cominciamo a vedere per un brevissimo tratto Ben “papà”...
Grazie davvero a chi continua a seguirmi e a recensire, un bacione!
Sophie :D

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Ninna nanna ***


«Va bene, allora io vado.» aggiunse quindi, alzandosi e avviandosi verso la porta.
«Semir?».
«Sì?».
«Forza.» fece il più giovane con un sorriso.

Image and video hosting by TinyPic

La sera stessa, dopo aver messo a dormire le bambine, che erano tornate a casa sua, Semir si lasciò cadere sul divano, esausto.
Chiuse gli occhi, ma il ricordo di Andrea stesa in una pozza di sangue sul pavimento dell’aeroporto gli invase la mente e il poliziotto fu costretto a risollevare immediatamente le palpebre per far sì che quell’immagine si dissolvesse.
Provò quindi a porre l’attenzione su qualsiasi cosa non riguardasse sua moglie, ma non ci riuscì nemmeno impegnandosi: quell’orologio appeso alla parete gli ricordava il trascorrere lento del tempo nel corridoio dell’ospedale di El Fahim; Mirtillo sdraiato sul tappeto gli ricordava il giorno dell’ultimo compleanno di Aida, in cui lui e Andrea erano stati così felici insieme e orgogliosi delle proprie figlie; il servizio di bicchieri sistemato sulla credenza gli ricordava le nozze per le quali era stato regalato loro da alcuni amici della moglie.
Tutto, qualsiasi cosa gli ricordava lei.
La testa cominciò a girargli, chiuse di nuovo gli occhi ma di nuovo immagini di sangue e paura si mischiarono a ricordi felici che riguardavano Andrea.
Aprì gli occhi, ancora, scosse il capo, si alzò facendo il giro della stanza, si sedette nuovamente e in un moto di rabbia scaraventò un cuscino a terra, lontano dal divano.
Poi si prese la testa tra le mani, e rimase immobile.

 

Ben raggiunse Clara, che immobile fissava un punto indefinito oltre i vetri della finestra nel salotto di casa.
«Ehi...» le sussurrò piano all’orecchio, cingendole i fianchi.
«Ben, non faccio altro che pensare ad Andrea. E a Semir, se io sto così male non oso nemmeno immaginare come possa sentirsi lui.» mormorò la donna, spostando lo sguardo sul marito e osservandolo con occhi appena lucidi.
Ben sospirò posando lo sguardo oltre i vetri, nel giardino «Sta male, sta davvero male, non l’ho mai visto così. Non so come fare ad aiutarlo, non vuole nemmeno parlare...».
«Vai da lui.» fece Clara, semplicemente.
«Cosa?».
«Vai da lui, vacci ora. Vai a vedere come sta, sono solo le dieci, non starà certo dormendo. Ben, dobbiamo fargli sentire che non è solo, che gli stiamo vicino.».
Il poliziotto la guardò ancora per un attimo, titubante.
«Non ti preoccupare per me, vai e torna quando vuoi, io sto bene.» aggiunse lei con un mezzo sorriso.
L’ispettore non se lo fece ripetere due volte.
Le stampò sulle labbra un bacio fugace e uscì quasi di corsa, con le chiavi della macchina in mano.

 

Quando Semir sentì bussare alla porta, non seppe se dare di matto definitivamente oppure no.
Si chiese chi diavolo potesse essere a quell’ora, ma la risposta possibile era una soltanto.
Aprì la porta e si trovò davanti un Ben sorridente che gli chiedeva di entrare.
Gli fece cenno, il più giovane entrò ed entrambi andarono a sedersi sul divano, senza parlare.
Semir raccolse il cuscino da terra, come se niente fosse, sperando che l’amico nemmeno lo notasse.
«Socio, non ho suonato il campanello per paura di svegliare le bambine.».
«Sì, sono andate a dormire da poco.» fece il turco evitando di guardare l’altro negli occhi.
«Semir...».
«Ben, che cosa ci fai qui? Dovresti essere con Clara, ha partorito da quindici giorni, devi stare con lei.».
«Clara sta bene, volevo passare a salutarti un attimo... a parlare un po’ con te.».
«Ben...».
«Semir, ti prego.» cominciò il più giovane protendendosi leggermente col busto in avanti e appoggiando i gomiti sulle ginocchia «Non dirmi che non hai bisogno di parlare perché non ci credo, non è possibile.».
«Te l’ho già detto, preferisco essere lasciato perdere.».
«Non puoi chiuderti in te stesso in questo modo, Semir! Con le bambine non puoi sfogarti perché sono piccole, con i tuoi suoceri non puoi perché stanno male tanto quanto te... fallo con me, sono qui apposta! Riempimi di insulti se necessario, prendimi a pugni, ma fa qualcosa! Oppure prima o poi scoppierai e farai del male a te stesso e a tutti quelli che ti stanno intorno, bambine comprese.».
Semir cominciò a scuotere il capo mentre gli occhi gli tornavano lucidi «Vattene, Ben, ti prego...».
«Dovrai buttarmi fuori di peso, socio.» fece il ragazzo mettendosi a braccia conserte.
Il turco sorrise tra le lacrime «Ben, davvero, non ce la faccio a parlare, guardami!».
«Piangere non è una debolezza Semir, né una cosa di cui vergognarsi.» affermò Ben con aria tranquilla «È solo un modo per sfogarsi e tu ne hai bisogno.».
«È che... io non ce la faccio senza di lei. Mi sembra di impazzire, non riesco a dormire perché la sogno in fin di vita in quell’aeroporto, ma non posso stare sveglio perché qualsiasi cosa mi ricorda lei. Non so come comportarmi con le bambine, non so come aiutare i genitori di Andrea, non sono in grado di fare niente!» cominciò l’ispettore come un fiume in piena «E poi non lascio in pace te, che hai una moglie e una figlia appena nata a cui pensare. Beth non ha ancora realizzato mentre Aida sì e mi odia... dovevo morire io, Ben, quel proiettile era per me... per me!».
«Devi smetterla di sentirti in colpa, tu non potevi sapere che Andrea sarebbe stata alle tue spalle.» provò a dire Ben prima di essere bruscamente interrotto dal collega.
«Ma era per me, quel porco voleva uccidere me! Io non dovrei essere qui ora, dovrebbe esserci Andrea!» gridò ancora Semir.
«Non è colpa tua, quello che è successo non è colpa tua. Devi convincertene, Semir.».
«Non so come fare... non sono in grado di fare tutto da solo.».
«Tu non sei solo, socio... questo devi ricordarlo, sempre.».
Il rumore di una porta al piano di sopra che si chiudeva interruppe improvvisamente entrambi.
I due uomini rimasero in silenzio ascoltando il rumore dei passi che titubanti si avvicinavano alle scale.
«Ecco, ora arriva Aida e mi vede così...» sussurrò Semir asciugandosi gli occhi con il dorso delle mani.
Ben gli sorrise porgendogli un fazzoletto e poi rivolse lo sguardo alla bambina che nel frattempo aveva raggiunto le scale e le stava scendendo con calma. Non appena vide il giovane poliziotto, gli occhi le si illuminarono e raggiunse in fretta il ragazzo saltandogli in braccio.
«Zio Ben!».
«Ciao principessa! Ma come siamo belle con questo pigiamino!».
«Ti piace? Me lo ha regalato la mamma.».
«Cucciolo, cosa ci fai in piedi a quest’ora?» intervenne Semir per evitare che la conversazione cadesse su quell’argomento.
«Non riesco a dormire.» fu la secca risposta della ragazzina, che tornò immediatamente a rivolgersi a Ben «E tu come mai sei qui, zio Ben?».
«Perché dovevo parlare un po’ con papà. Però ora è tardi principessa, dovresti dormire, sai?».
«Non ci riesco!».
«E se vengo su io a cantarti una ninna nanna?».
Aida sorrise e gli occhi le si illuminarono ancora.
Il poliziotto allora si alzò sempre tenendola in braccio e si avviò verso la camera delle bambine.
A Semir non restò che rimanere fermo a guardarli mentre si allontanavano su per le scale.
E sorrise.

 

Giuro che un po’ di azione arriva, prima o poi. Intanto abbiamo Ben che cerca di fare del suo meglio e di dividersi tra Semir e Clara...
Un bacione e grazie a tutti coloro che stanno recensendo, a presto!
Sophie :D

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3209427