Credere nel proprio destino.

di Elly_Lucy26
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il brivido del primo incontro. ***
Capitolo 2: *** Un vortice di ricordi ***
Capitolo 3: *** Colpevole! ***
Capitolo 4: *** Voglia di certezze ***



Capitolo 1
*** Il brivido del primo incontro. ***


Il vento soffiava forte verso destra scompigliandomi i capelli da una parte e coprendomi la vista del fienile davanti ai miei occhi. Una volta amavo la natura. L'odore della terra dopo una giornata di pioggia e il senso di libertà che cercava di sprigionare in tutti i punti della mia pelle. Non sono mai stato soddisfatto dalla mia vita, le persone hanno sempre avuto dei pregiudizi nei miei confronti e non sono mai stato accettato nella spocchiosa società di questi tempi. Il cuore mi batteva così forte che da un momento all'altro poteva uscir fuori dalla mia gabbia toracica e cadere a terra inerte. Forse sarebbe stata la cosa migliore.

L'ho fatto, questa è la pura realtà, il peggior peccato di cui l'umanità da millenni si è sporcata l'anima rendendo il corso della vita un vero e proprio inferno.

Il vento soffiava tra l'erba alta del fienile creando una coreografia fantastica, come se la natura avesse una propria anima, al ritmo del dolce tocco del vento. Il sfruscio delle foglie in qualche modo calmava il mio animo in tumulto, portandomi a riflettere realmente su ciò che avevo fatto con le stesse mani, che un tempo accarezzavano dolcemente quelle piante, tanto amate dal mio cuore. Il senso di colpa in questi casi dovrebbe essere automatico, per ogni singola cosa brutta, atroce e cattiva che si compie, il risentimento e il senso di colpa devono essere lì pronte a colpirti alle spalle.

Ma nella mia anima sentivo solo la paura, il fiato corto e un dolore lancinante alla schiena che si propagava in tutto il corpo. Il cielo si stava stranamente rischiarendo dopo una giornata piena di tumulti tra temporali e pioggia.

Le nuvole davano spazio all'imminente arrivo del sole, e dei leggeri raggi solari spuntavano imperterriti tra gli sprazzi del cielo bianco, illuminando il vasto fienile rendendolo bizzarramente splendente come se fosse un gesto divino per il perdono dei miei atroci peccanti. Come se quei raggi potessero in qualche modo purificare la mia anima dannata per sempre.

 

 

 

Trattenni il respiro, chiusi gli occhi, e udii il rumore della natura che mi cullava dolcemente dandomi la forza di andare avanti. Da lontano riuscivo ad intravedere un fienile, con delle vecchie tegole marroni. Sembrava fosse disegnato e posizionato proprio in quel punto per coordinare tutti i colori che mi circondavano. Il cielo blu chiaro coperto da qualche nuvola bianca e il vasto campo color oro che splendeva sotto il tocco dei raggi solari. Il tutto sembrava rispecchiare un vecchio quadro antico, semplice rilassante e molto confortevole. Il soffio del vento donó vita a questo magnifico panorama, muovendo gradevolmente tutta la natura che colmava il mio cuore infranto di amore.

Un crepitio mi fece voltare, i individuando una figura di spalle, imponente. Il corpo longilineo e alto, con una folta chioma dorata spettinata dal soffio del vento, che copriva gran parte del suo volto. Poi un colore rosso acceso attirò la mia attenzione, distraendomi dalla sua figura misteriosa.

Le sue mani erano rosse come il sangue. I suoi occhi osservavano rapiti il vasto campo, come se stesse meditando sul da farsi. Era troppo preso nell'ammirare il fienile da non rendersi conto della mia presenza a poca distanza da lui.

Seduta a gamba incrociate a terra, cercai di alzarmi lentamente, tenendo gli occhi puntanti sulla figura a poca distanza, tentando di fare meno rumore possibile anche se il terreno era ricoperto da foglie secche e piccoli ramoscelli. Ma grazie al forte ululare del vento che copriva gran parte dei rumori intorno a noi, riuscii ad alzarmi senza dare nell'occhio.

Presi di scatto lo zaino che avevo distrattamente lasciato a poca distanza da dove mi ero seduta. Alzando lo sguardo, incrociai gli occhi vispi del ragazzo che mi stavano sfacciatamente squadrando da capo a piedi. Il cuore batteva sempre più forte e l'adrenalina cominciava a farsi strada nelle mie vene, creandomi una stretta atroce allo stomaco che mi impedii di muovermi.

A passo svelto cominciò a dirigersi nella mia direzione, sfregandosi animatamente le mani sporche su i suoi lunghi jeans. Senza riflettere i miei piedi iniziarono a correre sempre più veloce, cercando di ricordare la strada che avevo intrapreso prima per arrivare fin li. Da dietro riuscii a percepire l'inquietante figura di quel ragazzo avanzare nel mio stesso percorso, udendo il passo pesante e il rumore della natura infrangersi sotto i suoi piedi.

Il respiro cominciò a farsi irregolare, e da lontano intravidi una strada su cui sfrecciavano veloci le auto sull'asfalto. Il passo divenne sempre più lento e la speranza di arrivare lì iniziò a farsi più incerta, fino a quando delle dita avvolsero energicamente il mio polso fermandomi, e con l'altra coprirmi violentemente la bocca, impedendomi di urlare e respirare con regolarità.

Poi il buio mi inghiottì.

 

Il rumore di una lampada che si accendeva e spegneva ininterrottamente mi svegliò e dovetti pararmi gli occhi con le mani per non rimanere accecata dalla luce che mi penetrava le iridi bruciandole. Tentai di alzarmi disorientata, ma il mio corpo era stretto da una corda spessa che mi impediva qualsiasi movimento. Sentivo il muro freddo alle mie spalle, e guardandomi intorno capii di trovarmi in una camera da letto, arredata da vari tipi di mobili color mogano e tanti poster ritratti grandi icone del cinema e famosi cantanti. La stanza sembrava appartenesse ad un adolescente, individuai facilmente una foto sul comodino accanto a me raffigurante una allegra famiglia dove riuscii ad individuare il volto sorridente e spensierato del ragazzo al fienile, qualche anno addietro.

Dei passi decisi salirono le scale velocemente, e con uno scatto la porta della camera si aprì rivelando la figura imponente del ragazzo dagli occhi verdi e vispi.

-Ti ho portato dell'acqua!- Esclamò, porgendomi un bicchiere di vetro che teneva nelle mani.

-Cosa vuoi da me?-Chiesi disperata guardandolo negli occhi, e cercando di trattenere le lacrime che iniziavano a pizzicarmi le iridi.

-Pensavo avessi sete.- Proruppe, guardandomi con sorriso sghembo.

-N-Non ho sete! Voglio andarmene da qui! I-Io non volevo insomma ti ho visto lì e .. e mi sono spaventata. Ti prego lasciami andare!- Sentenziai e delle lacrime tracciarono il mio viso stremato.

Allungò la mano verso il comodino. Senza pensarci mi scansai di scatto ma poi per fortuna mi accorsi che stava solamente posando il bicchiere d'acqua.

Sghignazzò chinandosi dinanzi a me così che i nostri volti erano a poca distanza l'uno dall'altro. Con le sue lunghe dita affusolate tirò su il mio mento, permettendomi di guardarlo dritto nelle sue iridi verdi, sorrise e lasciò la presa.

Si tirò su di scatto e abbandonò la stanza chiudendosi la porta alla spalle.

Chiusi gli occhi e presi un lungo respiro cercando di mantenere la calma, anche se avevo una forte emicrania e mi doleva gran parte del corpo per colpa di quella stupida corda che mi teneva stretta al muro, tra il letto ed il comodino.

Il ticchettio dell'orologio adiacente, mi tenne compagnia in quegli interminabili minuti che divennero ore, non sapevo con certezza da quanto tempo mi trovassi in quelle quattro mura ma dall'oblò dinanzi al lento ebbi modo di intuire dal calar del sole, che almeno un paio d'ore erano passate. Cercai di udire un minimo movimento nel piano terra ma fui intrappolata in un fastidioso silenzio che in qualche modo mi fece pensare che tutto questo non è che uno sciocco incubo da cui mi sveglierò presto. Le mie speranze però vennero a mancare quando la porta della camera si aprì con un colpo secco, lasciandomi di stucco e spaventandomi a morte. Il suo viso fu illuminato dalla fioca luce del sole che attraversava l'oblò. Indossava una tuta grigia e dal volto corrucciato dedussi avesse corso per molto tempo, le spalle si alzavano e abbassavano senza sosta e sentii il suo respiro irregolare che non gli permise facilmente di aprire bocca per parlare, ma poi la sua voce graffiante ruppe il silenzio.

-Non volevo spaventarti.-Sussurrò, appoggiandosi allo stipite della porta per riposarsi.-Non ho, come dire...-Si fermò prendendo un respiro.- idea di cosa io stia facendo.- Disse tutto d'un fiato senza alzare lo sguardo da terra e passandosi disperato una mano fra i capelli scompigliandoli.

Il mio petto si muoveva spasmodicamente, sembrava di trovarsi su quelle montagne russe che non volevo mai fare, proprio perchè odiavo sempre la sensazione della salita, il rumore del carrello che va sempre più su, il fremito e l'adrenalina che ti invade il corpo, il fiato corto e la paura che prima o poi bisogna arrivare alla discesa finale. L'attesa.. dove ogni battito accelera sempre di più. In questo momento mi sentivo nell'agghiacciante salita di una montagna russa pronta a concludere il suo giro della morte.

Iniziò a ridere, guardandomi di colpo con aria triste. Si girò di scatto scendendo le scale di corsa, sentii che tentava di cercare qualcosa facendo rumore con sportelli, pentole e mi parse di sentire la porta del frigo aprirsi. I suoi passi pesanti salirono di nuovo le scale, portando con se un vassoi e posandolo timidamente a terra davanti ai miei occhi. Lo guardai con aria confusa osservando un piatto con della frittata un po' bruciacchiata ai bordi e in trasparenza mi sembra di notare la presenza delle zucchine. L'aspetto non era male, ma una stretta allo stomaco mi impedii di mangiare qualsiasi cosa di commestibile o meno.

-È ora di cena, pensavo avessi fame.- Intimorito, mi osservò cercando di capire cosa mi stesse passando per la testa, come se potesse leggermi nel pensiero.

-Non ho fame.- Mormorai, abbassando il capo e concentrandomi il più possibile sul pavimento di quella stanza che stava diventando sempre più piccola.

-Mm, okay va bene- Chiarì, voltandosi dall'altra parte.-Se vuoi, puoi stenderti sul letto qui affianco per la notte.-Disse dirigendosi verso la porta.

Il suo comportamento non riuscivo a capirlo, mi aveva presa e legata in camera sua, come dannazione facevo a rilassarmi dormendo tranquillamente, insomma non ero in un albergo per le vacanze.

-Mi lasci andare, per favore!-Scandii, fermandolo dinanzi alla porta.

Balzò nella mia direzione con il volto serio e illuminato solo dalla luce poco intensa della luna, che metteva in risalto gli occhi verdi.

-Certamente, ma prima devo essere sicuro che tu...-Proruppe, indicandomi con sguardo inquisitorio.-non dica in giro di avermi visto oggi al fienile.- Concluse, uscendo dalla camera e sbattendo furente la porta che si chiuse con un tonfo sordo in grado di farmi sussultare.

Le palpebre iniziarono a farsi pensati, e fui rapita in un sonno colmo di incubi.

 

-Ehi! Svegliati!- Sentii scuotermi le spalle dolcemente sbattendo più volte le palpebre per abituarmi alla luce forte del mattino.

Una figura a pochissima distanza dal mio viso ancora assonnato prese forma, il suo volto aveva una espressione preoccupata e particolarmente seria.

Mi scrutò attentamente, soffermandosi sui i miei polsi ben stretti dalla spessa corda. Tentai invano di slegarmi e l'unica cosa che feci fu procurarmi delle profonde ferite e bruciature su gran parte dei polsi e delle braccia.

-Aspetta un secondo.- Esordì, puntandomi un dito contro e scendendo di corsa le scale.

La testa è continuamente in subbuglio, e una strana sensazione cominciava a farsi strada dalla stomaco alla bocca da cui sentivo un sapore amaro.

Ero troppo presa a rassicurare il mio corpo sulle condizione poco gradevoli che stavo affrontando, da non badare al fatto che il ragazzo dagli occhi verdi a me di fronte stava lentamente con un cortellino molto affilato, tagliando la corda legata intorno a i miei polsi e piedi.

Con un batuffolo di ovatta imbevuto di acqua ossigenata, iniziò a disinfettare delicatamente le mie bruciature, sentii un pizzicorio sulle miei ferite e sussultai impaurita da quanto stesse accadendo.

I suoi occhi mi osservavano da sotto i ciuffi di capelli che gli erano caduti sul volto, quando aveva abbassato il capo per controllare le miei lesioni.

-Adesso va meglio!-Proruppe, girandosi dall'altra per ordinare il ckit medico che aveva premurosamente preso.

-Non guardarmi con aria spaventata, ti ho detto che faccio passare un po di tempo così che tu possa dimenticare la mia presenza al fienile- Concluse, sorridendomi divertito.

Sembrava davvero che provasse piacere in tutta questa assurda situazione, io invece non ci trovavo nulla di splendido, anzi volevo andare via da questo posto a me ignoto.

Mi sentivo comunque meglio senza quella corda che mi impediva qualsiasi movimento, ma questo non mi portò ad essere più tenace e coraggiosa verso quella figura alta ed imponente che mi squadrava languidamente. Un brontolio risvegliò il mio stomaco da troppo tempo inquiete, avevo fame e mi dannai di non aver mangiato quella stupida frittata la scorsa sera.

-Ho del latte con cereali se vuoi?-Domandò con disinvoltura, voltandosi nella mia direzione e aspettando fremente una risposta.

Annui, abbassando il capo così che i miei occhi non dovessero incrociare i suoi.

-D'accordo!- Disse.

 

Passarono davvero pochi minuti, prima che la sua figura ripiombasse di nuovo nella stanza imperterrita, con in mano una scodella piena di latte e cereali. Me la porse e titubante la presi.

Cercai di mangiare distrattamente, ma fu difficile visto che il suo sguardo era fisso su di me. Mi esaminava come fossi un leone in una gabbia, pronto a scappare da un momento all'altro pur avendo un grande recinto intorno, che gli impediva di farlo. Posai lo sguardo su tutti i mobili, poster, tegole e mattonelle della stanza pur di non considerare il suo volto freddo.

Il silenzio inondava la camera e l'unica cosa che faceva rumore erano i cereali che scricchiolavano sotto i miei denti.

Quando finii non feci in tempo ad alzare lo sguardo che lui era già accanto a me pronto a riprendersi la scodella ormai vuota. Distese il braccio e involontariamente i miei occhi scrutarono un ambiguo tatuaggio sulla parte anteriore del polso, raffigurante una rondine nera non molto grande e vistosa, seguita da un altro paio di rondini che susseguivano in base alla grandezza del loro corpo. Si irrigidì e iniziò ad irritargli il fatto che io in qualche modo avessi scoperto qualcosa di così personale, insomma non che questo mi portasse a capire meglio chi fosse, ma sapere del suo tatuaggio mi rincuorò.

Pensai a quando sarei uscita da qui, andando dritta in una centrale di polizia e raccontando di quanto accaduto e del bizzarro tatuaggio che avevo visto sul polso del mio rapitore.

Mi ghiacciò con gli occhi, chinandosi nella mia direzione e cercando in tutti i modi di far scontrare i nostri occhi, anche se io cercavo di non farlo. Afferrò il mio volto facendo poca pressione con il palmo della mano, riuscii a sentire il suo respiro sulla guancia e prima che potessi liberarmi dalla sua presa, il ragazzo ruppe di nuovo il silenzio fissando senza batter ciglio le mie iridi.

-Catherine Jackson! Come mai il tuo nome mi sembra molto famigliare.-Ringhiò, stringendo la presa della mano sul mio volto.

Sbarrai gli occhi sorpresa, come diamine sapeva il mio nome?... Poi capii.

Lo zaino.

Avevo portato con me il mio portafoglio con la carta d'identità ed il passaporto per l'imminente viaggio in Europa con la mia famiglia. Avevo ritirato quest'ultimo proprio prima di andare a prendere una boccata d'aria fresca, per liberare la mente nel fienile dove ho fatto un orribile conoscenza.

Sghignazzò divertito nel vedere la mia espressione sorpresa e confusa insieme.

-Davvero pensavi che non sapessi nulla di te!-Esclamò rallegrato, lasciando la presa dal mio volto.

Feci un respiro profondo, ed il cuore cominciò a battermi forte nel petto.

Lo fissai irritata.

-Non hai il diritto di toccare la mia roba!-Sentenzia alzando il volume della voce, pur rimanendo seduta nello stesso punto dove prima ero legata con la corda.

La paura mi impedii di muovere anche solo un muscolo del mio corpo, lasciandomi con il sedere incollato a terra.

Iniziò a ridere di gusto per la mia esclamazione infuriata, di nuovo quel sorriso di piacere si fece strada sul suo volto freddo.

-Sei così buffa!- Chiarì, sogghignando ancora e asciugando con le punte delle dita le “finte” lacrime che stavano uscendo dagli occhi a causa del suo continuo ridere.

Fulminai quel volto tanto pretensioso con lo sguardo.

-Ci si vede più darti.- Disse congedandosi, uscendo dalla stanza con passo svelto.

 

Prima che potessi dire o pensare qualcosa, le mie palpebre iniziarono a farsi pesanti e senza rendermene conto fui rapita nel sonno.

 

Delle note di una canzone a me stranamente famigliare, mi strappò via dai miei sogni. La musica si diffuse in tutta la stanza, non la udivo solo dalla miei orecchie ma la sentivo mia, in ogni singola parte del mio corpo provavo quella canzone che lentamente mi portò nel passato...

 

The Police - Every Breath You Take - YouTube

Every breath you take


Every move you make

 

Every bond you break
 

Every step you take
 

I'll be watching you

 

 

-Questi sono quei fighi dei Police!-Strillò eccitata la mia amica Clare, scuotendo con disinvoltura i fianchi al ritmo della musica.

-Già! Mi piacciono un casino.-Affermai, facendole l'occhiolino e aleggiando nell'aria le mani, sulle note di quella dolce melodia.

La voce dolce, confortevole e profonda del cantante mi trasportò, rapendomi completamente.

Chiusi gli occhi e seguii la musica con il corpo abbandonandomi a quelle note che cullavano dolcemente il mio animo. Indossavo un vestito leggero di seta azzurro con una scollatura non molto ampia sul davanti, comprato a poco prezzo in un carinissimo negozio, nascosto in una delle tante viuzze della zona. Muovendomi con cautela sulla pista da ballo, sentivo il vento scompigliarmi i capelli e aderire gran parte del tessuto del mio abito sulle gambe.
Riaprendo gli occhi mi accorsi che delle iridi color cioccolato stavano inosservate scrutando il mio corpo.

Sorseggiava distratto un cocktail, dall'aspetto invitante, in uno dei tavoli del bar che affacciava sul mare. Indossava una camicia dal color blu inteso sbottonata leggermente, che risaltava l'abbronzatura dorata del suo corpo, tipica di chi ha passato molto tempo sulla spiaggia a rilassarsi.

I capelli erano scuri come i suoi occhi, tagliati corti ai lati e sistemati con attenzione al centro con del gel che li rendevano lucidi e voluminosi.

Mi sorrise increspando le labbra e mostrando una dentatura perfetta,che risaltava sulla sua pelle abbronzata. Si portò il bicchiere alle labbra per prendere un sorso, mentre era seduto disinvolto su uno sgabello. Aveva un piede poggiato sulla barra intorno al sellino e l'altro a terra, come se stesse da un momento all'altro scappando via.

Mi voltai quando i nostri occhi si incontrarono di nuovo e dopo poco tempo la canzone terminò facendomi tornare alla realtà.

Le persone abbandonarono la pista da ballo posizionata al centro della spiaggia, e per un momento riuscii ad udire infrangersi le onde del mare sulla riva. Quel naturale suono mi rapii costringendomi ad avvicinarmi lungo la battigia, lasciandomi alle spalle il mormorio ormai lontano delle persone che si stavano divertendo.

L'acqua del mare brillava sotto la luce fioca della luna, che creava un gioco di colori in grado di far diventare quel banalissimo panorama, uno splendido dipinto ad acquarelli, che ti mozza il respiro.

L'odore pungente ma allo stesso tempo particolare del mare, mi invade le narice trasportandomi in un vortice di ricordi ormai lontani per sempre.

-È bellissimo, non crede?-Domandò una voce alle mie spalle, che mi strappò da miei pensieri.

-Si, è splendido!-Concordai, voltandomi per dare un volto al mio interlocutore.

-L'ho vista ballare, non è niente male come ballerina.-Disse, sorridendomi e guardandomi all'improvviso con quei suoi occhi color cioccolato.

Annuii, distogliendo lo sguardo per ammirare ancora il panorama dinanzi ai miei occhi.

-Mi scusi se sono così indiscreto, ma credo di doverlo fare, si arrabbierà ma un giorno ci rincontreremo e forse si ricorderà di me.- Affermò, girandosi di scatto.

Prima ancora di riflettere o pensare a cosa fosse giusto o meno, mi prese il volto tra le mani, dolcemente si avvicinò quel poco da sentire il suo respiro che lentamente si confondeva con il mio.

Le sue labbra morbide si unirono alle mie, con leggerezza e trasporto regalandomi un bacio tanto carico di passione ed affetto, come se tutto ciò potesse spezzare un antico sortilegio.

 

Una voce distante mi riportò alla realtà, costringendomi ad aprire gli occhi di scatto.

La sua figura prese forma dinanzi a me, indossava la stessa tuta che aveva il primo giorno che ero stata rinchiusa in queste quattro mura, ma stranamente riusciva a respirare con regolarità.

Il suo sguardo corrucciato mi sorprese, chiedendomi cosa poteva mai passargli per la testa, cosa quella mente contorta stava progettando di farmi.

-Cosa c'è?-Chiesi preoccupata involontariamente, cercando di capire se la sua espressione era rabbia o semplicemente angosciata per qualcosa a me ignoto.

-Niente!-Rispose irritato alzando le spalle con noncuranza. Poi all'improvviso si avvicinò con tono provocatorio.

Per timore che mi potesse fare del male, indietreggiai con la schiena quel tanto da farla aderire al muro dietro alle mie spalle.

Lui mi guardò triste, si chinò in ginocchio così che i nostri volti erano a poca distanza l'uno dall'altro, allungò la mano nella mia direzione e proprio in quel momento il mio cuore iniziò ad accelerare, mi trovavo sulla salita di quella montagna russa pronta a farmi urlare.

Una delle sue dita affusolate percorsero delicatamente i lineamenti del mio viso, partendo dal contorno dei miei occhi intimoriti, alle mie guance e poi lentamente mi sfiorò le labbra provocandomi un brivido di paura e piacere, il suo tocco era famigliare come se sapesse risvegliare ogni singola particella del mio corpo.

Vedendo la mia reazione rimase sorpreso e ritirò di scatto la mano.

-Non può essere!-Sussurrò, fissandomi in modo penetrante.

 

Caro lettore spero che il primo capitolo della mia storia vi sia piaciuto!!
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, visto che sono alle prime armi con la creazione di una vera e propria storia. 
Saluti,
-Elly 

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Capitolo 2
*** Un vortice di ricordi ***


 

Cercai disperatamente di scavare in quelle iridi verdi, per capire cosa l'aveva sconvolto in quel modo.
Fissava il vuoto dinanzi a se, senza batter ciglio. Mentre io ero ancora con la schiena al muro, impaurita dalla sua espressione corrucciata. Cosa stava accadendo?...
La luce del mattino, metteva in risalto la sua pelle candita e illuminava la sua folta chioma dorata, le sue labbra dischiuse e gli occhi persi nei ricordi del passato. Sotto questa nuova luce, sembrava di osservare una persona diversa, fatta di sentimenti, timori e paure. E stranamente la nuova figura a poca distanza da me mi rendeva inquieta.
Tutta quella strana situazione non riuscivo proprio a capirla.
Pensava davvero che passando del tempo imprigionata nella sua stanza, poteva farmi d'improvviso dimenticare la sua presenza al fienile.
Erano passati solo due giorni dal mio rapimento e la mia famiglia sicuramente aveva avvertito qualcuno. Prima di rimanere “sola” in quel fienile avevo chiamato mia sorella Jackie dicendole che mi sarei intrattenuta a casa della mia amica Clare per salutarla prima del suo imminente viaggio in Australia.
Amava le lingue, e alle superiori aveva deciso di studiare inglese, spagnolo e tedesco. Voleva girare il mondo e conoscere sempre nuove persone di ogni nazionalità così che fossero in grado di raccontarle il loro modo di vivere e la propria cultura. Infatti fu così, dopo gli esami di maturità i genitori le regalarono un tour completo nelle più famigerate città dell'Inghilterra.Dopo Londra, Newcastle e Liverpool decise di visitare Bath cittadina poco conosciuta ma pur sempre di grande ispirazione alla mia amica. Una volta tornata mi raccontò del suo nuovo incontro in un piccolo bar nel centro della città. Stava sorseggiando dell'ottimo thè inglese mentre fuori le persone si imbattevano in una fitta pioggia che non lasciava scampo proprio a nessuno. E durante la sua seduta in quel bar, dalla porta d'ingresso fece la sua entrata William. Da li fu subito amore, non ci volle molto infatti prima che i due si abbandonarono l'uno all'altro. Una volta tornata dal suo scintillante e avventuroso viaggio in Inghilterra, mi raccontò dettagliatamente ogni singolo giorno trascorso con il suo William tralasciando la bellezza delle città inglesi. Dopo due anni una agenzia di viaggio in Australia la chiamò per offrirle una grande opportunità come guida turista nei musei e nelle grandi città. E così Clare ed William oramai fidanzato, si trovavano in un areo diretto a Sidney. Chissà come si sentiva la mia amica venendo a conoscenza della mia scomparsa improvvisa.

E se non sarei più riuscita a vederla, tutti i nostri sogni di partire insieme svaniti per sempre. Non avrei mai visto mia sorella crescere, non le sarei mai stata accanto nei suoi momenti difficili. E se non potessi più vedere la mia famiglia riunita a Natale, i sorrisi dei miei genitori quando io e Jackie scartavamo con foga i regali natalizi. Il mio sogno, quello di ballare un giorno alla Julliard di New York. Tutti i miei sforzi di entrare in una buona università per continuare i miei studi in lettere, ed un giorno insegnare a dei giovani alunni.
Tutte le mie speranze, i miei sforzi, sogni e ideali verrebbero immancabilmente spazzati via...
Una stretta allo stomaco mi impedii di muovermi, e delle lacrime iniziarono a tracciare il mio volto afflitto.
-Che cos'hai?-Sentii la sua voce e i suoi occhi duri puntati su di me.
-Non farmi del male, ti prego.-Sussurrai scoppiando a piangere.
Non volevo farmi vedere debole ed indifesa ma tutti quei pensieri furono una scossa elettrica in grado di risvegliarmi dal lungo sonno.
Mi coprii il viso nelle mani e diedi pieno sfogo alle mie pene.
Fino a quando la sua voce mi obbligò a guardarlo.
-Tu non sai Catherine!-Urlò fissandomi e avvicinandosi maggiormente.-Cosa vuol dire vivere nella solitudine per anni. Posso immaginare cosa tu stia pensando di me, ma sappi che non sei l'unica ad avere dei pregiudizi nei miei riguardi.- Sentenziò ricomponendosi.
Non avevo capito nulla di tutto quello che aveva detto. Eppure quelle frasi senza senso -per me- le avevo già sentite sulla bocca di un'altra persona. Ma come al solito non riuscii a ricordare chi fosse.
Immersa nei miei pensieri, un colpo forte mi fece tornare alla realtà e senza neanche accorgermene la porta della stanza fu chiusa con forza...


-Trenta!- Urlò Clare, voltandosi dal grande tronco di pino dove fino a poco fa aveva fatto la conta.
Gli imponenti pini che ci circondavano facevano da scudo ai caldi raggi solari, che caratterizzavano il mese di luglio. L'aria era pur sempre fresca e pulita in montagna, mi faceva sentire più leggera e spensierata.
Quella pineta era il nostro rifugio da tutti, specialmente dai genitori che avevano la mania di sapere dove fossimo, con chi fossimo e che cosa facessimo.
Il frastuono della città, l'aria sporca, il senso del dovere venivano immancabilmente spazzati via, nel momento stesso in cui si metteva piede in quella stupenda pineta circondata solo e soltanto da natura.
Ciò che faceva da padrona a me e i miei amici era l'assoluto senso di libertà.

Mentre la mia amica faceva il conto alla rovescia, io mi ero allontanata dalla piazzetta posta nelle profondità della pineta, per dirigermi verso l'uscita ed accucciarmi dietro una grande roccia circondata da alti pini.
Mark e Rose erano nascosti dietro un folto cespuglio al di là della mia posizione e si scambiavano imperturbabili baci molto passionali. Diciamo che era il loro solito modo di fare. Durante l'estate si amavano alla follia, poi nel momento in cui bisognava partire per ritornare nelle grandi città- ciò comportava la fine della vacanza- i due si lasciavano. Anne quattordicini anni da poco compiuti, era la più piccola del gruppo -di soli in media due anni- aveva deciso di optare per un nascondiglio dietro il tronco di un grosso pino al centro della pineta. Derek chiamato anche il Buffone, fin da quando Clare aveva iniziato a contare, lui era rimasto indifferente dietro alle sue spalle, in modo tale da essere il primo a far tana nel momento in cui la mia amica si fosse girata.
Questi erano i pochi che riuscivo a vedere nascosti dalla mia posizione, infatti nel gruppo mancavano ancora Jasmine, Matt e Lucas.Noi tutti siamo sempre stati insieme fin da piccoli, ogni estate l'abbiamo passata in compagnia. Durante l'inverno c'era la scuola, i compiti e tanti altri impegni, tra corsi extra e vari sport.
Ma l'estate, quella era tutta un'altra storia...

Dopo l'urlo di Clare nella scoperta di Derek alla sue spalle, capii che il gioco era iniziato.Cercai di muovermi con cautela, avevo sotto i piedi una distesa di pigne, rami e foglie secche e bastava un minimo movimento per farmi scoprire.
-Ahia!- Esclamai, quando con il ginocchio per sbaglio mi graffiai con uno spino di una pianta.
-Shhh! Zitta Cathe!-Udii alle mie spalle il soffio di quelle parole.
Voltandomi mi ritrovai di fronte il sorriso scherzoso di Lucas, che era accucciato a terra nella mia stessa posizione. Si fece più vicino, così che il suo braccio sfiorò il mio impercettibilmente e senza aggiungere altro lo guardai raggiante.
Lucas era tutto per me. Era un semplice bacio dal sapore dolce, il profumo dell'estate infinita, il biondo luminoso del sole ed il verde profondo dell'oceano cristallino.

Mi affacciai con cautela da dietro la roccia per vedere dove precisamente Clare si stava dirigendo.
La sua figura era al centro della pineta, concentrata nell'individuare qualcuno tra i pini dove Anne era nascosta.
-Dov'è?-Sussurrò Lucas al mio orecchio, procurandomi un brivido lungo la schiena.
-Penso che abbia visto Anne.-Confermai, senza guardarlo, tendendo gli occhi fissi su Clare.
Il bello di questo gioco era che nel momento in cui tutti erano nascosti, la pineta veniva immersa in un piacevolissimo silenzio.Bastava infatti che qualcuno si muovesse con fare pesante su quella distesa di pigne e rametti, che veniva immediatamente scoperto.
-Anne dietro l'albero! Ti ho vista!-Urlò Clare correndo facendo tana.
-Fate tana libera tutti!-Gridò Anne sbuffando e sedendosi accanto a un pino.
Sentii alle mie spalle ridere silenziosamente Lucas.
-Guarda che ci farai scoprire!-Esclamai, dandogli una leggera spinta che non lo spostò di un millimetro.
-Anche se fosse non siamo i primi ad essere stati tanati, quindi non dobbiamo fare la conta.-Sentenziò, facendomi l'occhiolino e un leggero sorriso riaffiorò sulle mie labbra.
Un urlò agghiacciante ruppe il silenzio e mi venne la pella d'oca. Non era un urlò di gioia, ne tanto meno di divertimento, sembrava un urlo di paura e dolore. Mi affacciai seguita da Lucas e al centro della pineta vidi Clare e Anne fissare un punto impreciso di fronte a loro.
Le raggiungemmo con passo svelto.
-Ma che diavolo sta succedendo?-Chiese Lucas posando la mano sulla spalla di Anne.
Lei non si mosse e con lo sguardo seguii il suo...
Il mondo si era fermato.
Avevo la gola secca e le parole non uscirono dalla mia bocca, il cuore accelerava sempre di più i suoi battiti.
-Oh mio dio!-Sussurrò Clare portandosi una mano alla bocca.
Una pozza di sangue, dal colore rosso vivo.Dei passi rimbombavano nella grande pineta e sembravano circondarci.Altre urla di dolore. Sempre più forti e disumane, penetravano non solo le mie orecchie ma anche il cuore, come una lama affilata.
Sangue e urla ovunque.
Mark e Rose erano a terra completamente imbrattati di sangue, presi tra le braccia Rose cercando di scuoterla e capire cosa fosse successo.Ero persa nel guardare il viso spento della mia amica.
-Cathe dobbiamo andare via!-Gridò Lucas in preda al panico tirandomi per la manica del giacchetto.Iniziammo a correre verso l'uscita, la mia mente era annebbiata. Non riuscivo a capire cosa fosse successo, come diavolo era possibile che fino a venti minuti fa avevo scherzato con Rose e adesso l'avevo vista morta tra le mie braccia.Usciti dalla pineta non riuscivo più a respirare, mi sentii invadere dal panico più totale vedendo le mie mani completamente sporche di sangue. Riuscivo a sentire la viscosità di quel liquido e qualcosa nel mio animo si spense.Lucas mi prese il viso tra le mani e mi fece segno di calmarmi. Ma una stretta allo stomaco mi provocò un dolore atroce e chinandomi a terra iniziai a vomitare, buttando fuori tutta la mia angoscia. Le voci di Anne, Clare e Lucas arrivavano attutite, come se fossero dentro una grossa bolla d'acqua.
-D-Dobbiamo chiamare la polizia.-Sussurrò Clare con voce tremante mentre digitava velocemente il numero dei soccorsi.
-Oddio, Chate stai vomitando!-Esclamò Anne con le lacrime agli occhi puntandomi il dito contro, senza avvicinarsi.
Delle mani mi preso le spalle e mi aiutarono a tirarmi su da terra.Eravamo sul ciglio della strada, a poca distanza dall'entrata della pineta.
-Non..non posso essere tutti morti,vero?-Sbottò Anne in lacrime.
Nessuno rispose alla sua domanda, Clare con lucidità indicò ai soccorsi la nostra posizione.
Lucas tenendomi ben salda alla sua presa,così da non ricadere di nuovo a terra, fissava il vuoto davanti a sé.Le immagini di quanto avevo visto, susseguivano nella mia mente ininterrottamente.Il rumore di una sirena in lontananza ci fece sperare che forse i nostri cari amici non erano morti...


-Devo andare in bagno!-Sentenziai guardandolo con occhio truce.
Ci mise un sacco di tempo a rispondere.
-Ti accompagno, se provi anche solo a scappare te la farò pagare amaramente.-Concluse con tono di sfida.
Mi afferrò un braccio con forza e strattonandomi leggermente mi fece uscire dalla stanza. Proseguimmo fino in fondo alle scale e girando a destra trovai il bagno.
-Fai veloce!-Disse aprendo la porta.
Entrai senza ribattere e guardandomi intorno smarrita feci ciò che dovevo fare.Il bagno non era molto spazioso, c'era una doccia dietro alla porta, un grande specchio sopra un minuscolo lavandino ed il water proprio sotto ad una finestra chiusa da delle inferiate.
Non c'era alcuna via di uscita.Cercai di riflettere, scavare nella mia mente per trovare una soluzione.
-Quanto ci metti?-Sbraitò da dietro la porta.
-Un secondo!-Esclamai a denti stretti.
Se voleva uccidermi l'avrebbe sicuramente già fatto, perchè sta prendendo tempo?...Aprii lentamente gli armadietti del bagno e presi delle forbicette poggiate accanto al kit del pronto soccorso. Certamente non era il massimo come arma, ma mi faceva sentire più sicura nel caso avessi bisogno di proteggermi.Le infilai nel bordo dei miei jeans, presi un respiro profondo ed aprii la porta.La sua figura apparse immediatamente, poggiato al muro della stanza.
Mi prese da sotto il braccio e mi trascinò con forza su per le scale, i miei piedi non riuscirono a stargli dietro e senza volerlo inciampai cadendo a terra.
-Dai alzati!-Ringhiò, tirandomi per la manica della maglietta.
Il mio viso aveva sbattuto su uno degli scalini, all'inizio non sentii niente, poi un dolore acuto si propagò su tutto il mio volto.Mi toccai lievemente la parte dove sentivo più male e mi accorsi che stavo perdendo sangue dal naso.Mi guardò per molto tempo senza dire e fare nulla.Cercai di alzarmi e lui solo allora mi fece segno di entrare dentro la sua stanza.La testa iniziò a girare e mi dovetti sedere al centro della camera, tenendomi il capo tra le mani.
Il sapore amaro del sangue, il colore vivo del sangue, l'odore aspro del sangue mi diedero alla testa riportandomi di nuovo al passato...


Salve a tutti eccomi qui con un nuovissimo capitolo... Spero davvero che possa piacervi!!
Fatemi sapere cosa ne pensate !!!
Un bacio,
Elly

 

 

 

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Capitolo 3
*** Colpevole! ***


-Sei una persona coraggiosa, Catherine?- 
Stesso sguardo profondo ed indagatore, leggevo la sua frustrazione negli occhi ghiaccio che risplendevano alla luce del sole. Poteva una semplice domanda destabilizzarmi?.
-Non lo so.- Sussurrai, abbassando il capo osservandomi le scarpe. Per un momento, la sua figura mi faceva sentire una persona infantile, stupida e codarda. Avevo davanti a me non più un semplice ragazzo che amava divertirsi ma una persona più adulta. Io non riuscivo a fare lo stesso, non riuscivo a rimanere in quel posto dopo quanto accaduto.
Sospirò sconfitto alzando la testa al cielo, come se stesse invano cercando un appiglio per fuggire da quella situazione. Non riuscivo a guardarlo, le sue dite affusolate tirarono su il mio mento per costringermi ad incrociare le mie iridi alle sue.
-Non credevo fossi così- Pronunciò quelle parole con puro disprezzo arricciando le labbra come se avesse visto un topo morto ricoperto di sangue sulla strada.
Una risata amara mi uscì, forse perché non volevo piangere o semplicemente non volevo sentirmi dire quelle parole da lui.
-Non ti puoi permettere! - Sbottai digrignando i denti dal nervoso che mi aveva rapita. Puntai un dito sul suo petto così forte da farmi male. –Tu credi di essere più coraggioso di me! Ah bella questa!. Io e te non siamo poi così tanto diversi. - Affermai battendo più volte le palpebre per non scoppiare a piangere.
-Tu sapevi tutto e non l’hai mai detto! Diamine Catherine! Ha tentato il suicidio e tu non hai detto nulla.-
-Avevo dato la mia parola, Lucas! Lei era anche mia amica.- Urlai mentre le lacrime mi rigavano il volto.
Un tuono fece il suo ingresso in una discussione che non aveva poi tanto senso. Non si distingueva più il pomeriggio dalla notte, il tempo cambiava in peggio come il nostro umore. I temporali sono sempre più frequenti in questi periodi dell’anno, specialmente in montagna che il tempo non è mai dei migliori. Eravamo isolati da tutti, come quel giorno in pineta, soli al mondo. Gli alberi facevano da sfondo alla nostra drammatica scenetta, e ogni tanto si sentiva il brusio dei motori delle macchine che sfrecciavano sulla strada principale.
Tre settimane erano passate dall’ultima volta che ho visto i miei amici. Le tre settimane più brutte della mia vita. La madre di Anne ha costretto sua figlia ad andare da uno psicologo perché la notte urlava e si dimenava nel suo letto, sognando un uomo nero incappucciato con un’ascia imbrattata di sangue in mano. Clare non l’ho più vista dopo l’incidente, non esce di casa e passa le sue giornate in camera sua a fissare il nulla davanti a se. Sono state settimane difficili, la polizia ci ha interrogato più volte su quanto accaduto ma la realtà fu che nessuno di noi sapeva cosa realmente successe quel giorno.
-Signorina Leys, sa dirmi se era a conoscenza del fatto che la sua coetanea Roselle Everdeen si trovava in uno stato interessate?- Domandò un uomo alto con dei lunghi baffi ed uno sguardo duro e determinato.
-Si- Risposi reprimendo ogni mia singola emozione, quell’uomo con i suoi modi indifferenti mi infastidiva. Come se stessimo parlando del più e del meno. Ma in realtà stavamo discutendo della mia amica morta per chissà quale assurdo motivo.
-Bene- Disse annuendo ripetutamente la testa ed appuntando qualcosa sul suo taccuino. – Sa anche che la sua amica ha tentato più volte il suicidio, signorina Leys?- Domandò passandosi la mano sulla folta barba marrone.
-Si, lo sapevo- Assecondai guardando interessata il soffitto di quella cella dai colori smorti e dall’odore di bagni pubblici.
-Perché non ne ha parlato con nessuno?- Chiese, con lo stesso modo rilassante che mi irritava ogni secondo di più.
-Mi può dire cosa cavolo centra questa domanda con la morte della mia amica?-Pronunciai quelle parole con la stessa lentezza del poliziotto.
-Risponda alla domanda.-
-Si- Affermai innervosita da quella situazione.
-Può andare signorina Leys.- Sorrise mellifluamente, alzandosi di botto dalla sedia che emise un suono stridulo.
Feci lo stesso e scappai via da quell’orribile posto.
 
 
-Cosa vuoi sentirti dire! Hai sempre pensato a te stessa, non hai mai voluto dirlo perché non ne avevi il coraggio, questa è la realtà. Scappa, vai via da questo posto di merda come lo definisci tu, ma poi non tornare perché sappi che nessuno sarà qui ad accoglierti a braccia aperte.- Il suo respiro era irregolare, i suoi occhi lucidi e la sua espressione carica di disprezzo. Feci un passo indietro allontanandomi da quella figura che non riconoscevo più. La morte aveva portato via l’anima azzurra di Lucas macchiandola di nero, mi guardava diversamente ormai dopo l’incidente. Mi guardava come se fossi stata io l’assassina, non potevo rimanere, non riuscivo a sopportare tutto questo.
Il temporale stava peggiorando sempre di più fino a scoppiare come se fosse preso da un lungo pianto. Delle fredde goccioline fecero il loro ingresso. L’ultima cosa che ricordai di quel giorno furono i suoi occhi pieni di tristezza, che un tempo mi scrutavano timidamente.
Non disse nulla, si avvicinò mi baciò lievemente sulla guancia gelida e poi semplicemente sparì tra gli alberi. Sembrava fosse stata una proiezione della mia mente, come se quella conversazione non fosse mai avvenuta, con il passare del tempo infondo mi convinsi di ciò. Lo zaino che tenevo a tracolla iniziava a pesare, la pioggia non dava segno di smettere. I capelli erano oramai completamente bagnati, i vestiti si aderivano alla mia pelle. Il mio sguardo era fisso in quel punto dove tutto è iniziato e tutto è finito.
 
La gente del paese, dopo che i cadaveri erano stati analizzati in laboratorio per capire la causa del decesso e si era venuto a sapere che Rose aspettava un bambino ed io lo sapevo, mi odiava. E così anche Lucas si era unito al gruppo. Ricordo anche l’incontro con il fratello di Rose, William.
-Tesoro, esco a fare la spesa ci vediamo dopo!- Urlò mia madre uscendo di casa.
Ero sdraiata sul letto a fissare il soffitto, prima che le voce stridula di mia madre mi interrompesse, la mia mente si era resettata, riuscii a non pensare a niente per cinque minuti fino a quando qualcuno busso alla porta.
-Arrivo!- Dissi, sapendo che la persona dietro alla porta non poteva sentirmi.
- Ciao Catherine!- Occhi neri come la notte, sguardo famelico e fuori di se, sorriso da matto.
William
Non feci in tempo a chiudere la porta che con un calcio riuscì ad entrare facendomi cadere a terra. Sapevo che non dovevo stare li ferma impalata, così mi rialzai e cercai di dirigermi in cucina per uscire dalla finestra. Mi aggrappai alla ringhiera delle scale, ma una mano mi tirò un piede e scivolai di faccia a terra. La testa faceva davvero male, mi divincolai dalla stretta di William ma lui non diede segno di arrendersi. Conoscevo il fratello di Rose da anni, era stato anche dentro per rapina a mano armata, prima o poi sapevo che mi avrebbe fatto visita specialmente dopo essere venuto a conosceva della situazione di gravidanza. Mi afferrò per un braccio costringendomi ad alzarmi. La testa mi girava e non riuscivo a tenermi in equilibrio così fece sbattere la mia schiena al muro.
Iniziò a ridere di gusto, provando piacere a vedermi in quello stato di totale confusione dopo la botta subita.
-Cara Catherine, ti vedo un po’ pallida. Cos’hai?- Sghignazzò risoluto e stringendomi con una morsa letale il collo. 
-Va-tte-ne!- Sussurrai, cercando di prendere aria con la bocca.
-Non mi sei mai stata molto simpatica, lo sai?- Disse divertito facendo pressione con la mano sulla faccia.
-Neanche tu, se per questo!- Affermai convinta spuntandogli in faccia.
La sua espressione mutò, da puro divertimento a pura rabbia. Non so in realtà perché lo feci, insomma sapevo quale sarebbe stata la sua reazione, eppure lo feci senza pensare alla conseguenze.
Il seguito non riesco tuttora a ricordarlo, ma il dopo di quell’agghiacciante incontro si.
Diciamo che da come mia madre mi aveva ritrovata agonizzante a terra, la situazione mi era leggermente uscita di mano. Ricordo il sangue sulle sue mani, il dolore ovunque e la cosa più orrenda di tutte fu che non mi picchiò per sfogarsi della morte della sorella, ma il fatto che io non avevo detto nulla sulla gravidanza. Aveva utilizzato il rossetto rosso di Rose per scrivere le sue motivazioni sullo specchio del soggiorno.
“È colpa tua se mia sorella è morta!”
Avevo perso i sensi per qualche minuto, nel momento in cui riuscii ad aprire gli occhi mi accorsi che William era lì disteso con la schiena contro la porta. Con le mani sporche del mio sangue si copriva le faccia e piangeva senza ritegno come se fosse un bambino.
Ho sempre pensato che la vita è davvero troppo breve. In certi momenti, mi sono ritrovata a fissarmi in bagno completamente sola. La gente mi indicava per strada, sentivo i lori commenti cattivi, acidi e pieni di rancore nei miei confronti. La verità è che dopo tre settimane di indagini da parte della polizia, non si sapeva ancora chi fosse stato a sterminare quell’intero gruppo di ragazzi. Rose, Mark, Jasmine e Matt erano stati assassinati ingiustamente senza un motivo apparente. In città tutti avevano paura di questa figura oscura dagli occhi di lupo, pronta a strappare via l’anima di giovani innocenti. La gente voleva un colpevole, qualcuno a cui puntare il dito e sfogarsi per quella ingiusta morte. Eccomi qui, si proprio io con la scusa della gravidanza di Rose, ero stata etichettata come l’amica dannata, colei  che non parlò perché in fondo voleva la morte di tutti. All’inizio non diedi peso alla cosa fino a quando non era venuto William. In quel momento coperta di lividi ho pensato che forse aveva colpa anch’io.
-Hey!- La sua voce era stanca e triste.
-Ciao.- Sussurrai con la bocca ancora gonfia e lo sguardo spento.
La mia amica Clare era seduta su una sedia accanto al mio letto nella mia stanza. La sua mano era intrecciata alla mia, potevo sentire il suo calore e la sua forza in quell’umile gesto.
-Guarda cosa ti ha fatto!- Disse voltandosi dall’altra parte per ammirare la vista oltre la finestra.
-Non è quello che tutti volevate in fondo.- Affermai, sperando che in realtà non fosse così.
-Ma cosa stai dicendo?- Si girò per guardarmi negli occhi. –La morte… di tutti non è stata colpa tua Catherine, ma come ti viene in mente?-
-Non è quello che gli altri pensano, perfino Lucas non riesce a guardarmi in faccia!- Conclusi con una stretta atroce allo stomaco per quanto quelle parole mi ferivano nel profondo.
-Anche se avessi detto a qualcuno di Rose, comunque saremo andati in pineta a giocare, non credi?-
- Questo è il punto Clare.- Sorrisi debolmente, ricacciando indietro le lacrime. -Quel giorno Rose aveva deciso di dirlo ai suoi, ma io…-Affermai puntandomi il dito contro.- ho tentato di persuaderla perché sapevo che non le avrebbero mai permesso di tenerlo.-
-Quel lurido bastardo non aveva comunque il diritto di toccarti!- Urlò passandosi una mano disperata tra i folti capelli biondi.
-Lo so, ma nessuno sembra poi così preoccupato, avrei in fondo preferito rimane li distesa sul quel fottuto pavimento in salotto e non risvegliarmi più.-
-Dannazione Caherine ma che dici?- Proruppe Clare alzandosi dalla sedia che per poco non fece cadere a terra.
-È così, Clare.- Affermai senza guardarla, fissando il soffitto della mia oscura stanza.
-Non ti riconosco più, mi fai paura.- Sussurrò guardandomi con occhi profondi prima di uscire frettolosamente dalla mia camera.
Il silenzio fu colmato dai miei singhiozzi che divennero urla di pura rabbia tanto che strinsi forte i pugni fino a disfare il letto lanciando le lenzuola via da quel corpo che ormai non riconoscevo più come prima.
 

-Catherine! Mi senti, apri gli occhi!-
Una voce diversa e dannatamente familiare mi cullava in quel sonno senza fine. Sentivo il suo profumo di menta che mi faceva sempre pensare all’estate. Aprii gli occhi incerta, speravo non fosse uno di quei sogni orribili nei quali mi svegliavo con il cuore a mille in una stanza rossa, ricoperta solo di urla disumane, strazianti piene di terrore. Il suo viso fece capolino davanti a me, e in quel momento senza essere davvero molto cosciente capii.
-Non ci posso credere!-Esclamai iniziando a ridere di gusto. La sua espressione da preoccupata tramutò in pura sorpresa.

 
Cari lettori!! 
Sono qui con un nuovo capitolo della mia stramba storia... spero vi piaccia.
Fatemi sapere cosa ne pensate :)
Saluti
Elly
 

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Capitolo 4
*** Voglia di certezze ***


-Perché stai ridendo?- Ringhiò fulminandomi con lo sguardo.
-Io e te ci siamo già incontrati, non è vero?-Domandai di getto, nessun filtro tra mente e bocca.
La sua espressione si corrucciò e le perfette sopracciglia, che davano il tocco di serietà sul quel delicato volto, si scontrarono l’una con l’altra. Sembrava stesse risolvendo un complicatissimo problema di matematica.
-Ma cosa stai dicendo?- Proruppe all’improvviso  allontanandosi dalla mia fragile figura ancora seduta al centro della stanza. –Hai battuto proprio forte la testa?- Sghignazzò toccandomi la guance compassionevolmente.
-Io non…-.Proprio in quel momento rammentai che ero realmente caduta. Non feci in tempo ha ricordare cosa mi ero fatta che inconsciamente mi sfiorai la faccia. –Ahi!! Dio che dolore!!- Esclamai contorcendomi dalla fitta atroce che avevo sul naso.
Prese un batuffolo di ovatta e mi disinfettò la ferita, era a poca distanza dal mio volto e potevo sentire il suo dannato profumo alla menta. Perché c’era qualcosa di così familiare nei suoi modi di fare?. Non mi accorsi che l’avevo fissato per tutta la durata della sua accurata medicazione sul mio volto.
-La smetti?-Domandò di botto facendomi sussultare.
-C-cosa?- Chiesi tirandomi indietro per sottrarmi dalla sua salda presa.
-Di fare questo.- Sentenziò puntandosi due dita sugli occhi. – Lo so che sono bello!.-Disse ridendo di gusto alla sua orripilante affermazione.
-Lasciami andare, dannazione che cavolo ci sto a fare qui con te!-Strillai isterica più che mai innervosita dai suoi modi così confidenziali.
-Eh, cara dolce ingenua Catherine ancora non capisci è?-Proruppe sorridendo e grattandosi il mento con fare pensieroso.
Nel frattempo si era alzato, aveva raccolto le sue cose (kit di pronto intervento) e stava di spalle di fronte alla scrivania posta accanto alla porta, intento a mettere a posto tutto quel disordine che faceva da sfondo a quella opprimente camera da letto. Quelle mura avevano uno strano effetto su di me, come se cercassero in tutti i modi di farmi capire qualcosa. Non avevo più pensato a quello stramaledetto giorno da anni, passavo la mia vita cercando di ricostruire il mio passato, ma dai ricordi non si può sfuggire. Una parte di me morì in quel caldo giorno d’estate insieme ad i miei amici. Fu difficile dimenticare, specialmente se si era soli al mondo ad affrontare tutto.
Non bisogna cara Catherine dare peso alle parole che la gente dice, perché la gente, signorina, è cattiva dentro. Ma la tua di anima cara, Oh cielo, si proprio la tua è limpida come il cielo blu nel mese d’agosto, quando andiamo a raccogliere le telline lungo la battigia del mare.
L’unica àncora di salvezza in quei momenti bui era la voce della mia dolce nonnina Clara, che morì quando io avevo solo otto anni e una delle cose che ricordo meglio erano proprio queste parole. Mi accompagnò la sua voce per il resto della mia vita. Perché quella frase, sussurrata con un filo di voce, celava la soluzione ad ogni singolo problema che lo scorrere del tempo mi riservava. Io ero vittima della gente, si ero stata colei a cui hanno subito puntato il dito infangando il mio nome e quello della mia famiglia. Non c’erano prove, niente di niente, eppure la società che mi circondava fu pronta a sprofondare  giù nel baratro una incosciente diciasettenne nel fiore degli anni.
-Cosa devo esattamente capire?- Domandai confusa e al quanto innervosita. Nel frattempo ero ritornata strisciando al posticino che mi aveva accolta la prima volta che avevo messo piede in quella casa.
La stanza era avvolta in  un silenzio fastidioso, l’unica cosa che si sentiva era il rumore delle cose che stava mettendo apposto. Sembrava quasi che stesse prendendo tempo per non rispondere alla mia domanda.
-Dannazione! Mi vuoi rispondere, sono qui da non so ormai quanto tempo. Io non ti conosco, non so chi cavolo sei ma è come se ti conoscessi da sempre. Ti piace rapire le ragazze che incontri così a caso?. E poi cos’è quest’aria da misterioso? Se sei un serial- killer, uno psicopatico, un maniaco e Dio solo sa cosa, bè fammi il piacere di dirmelo almeno. Mi logora il fatto di non sapere.-
Rimase di spalle per tutto il tempo che impiegai a buttar fuori tutte quelle parole. Fino a quando mi lasciò a bocca aperta.
-Ho sempre odiato il football, specialmente quello americano. Le partite sono così noiose che mi addormento sempre, o la maggior parte delle volte cambio canale.- Disse voltandosi e mostrando una espressione malinconica stampata in faccia.
Non feci in tempo a replicare che uscì dalla stanza sbattendo la porta. Non riuscivo a spiegarmi cosa c’entrava il football in tutta quella storia. Mah, forse era solo un modo per sviare le mie domande. Eppure vedevo e percepivo qualcosa di strano in lui.
 
Football, Football…
Il boato di una folla in tumulto, cori di voci possenti presi da una esaltazione irrefrenabile.
Football, Football…

Tre settimane prima dell’incidente
-Abbiamo vinto!!! No, dico ma hai visto che rigore, la palla è sfrecciata così velocemente che non abbiamo neanche fatto in tempo a vederla!- Strillò preso dall’eccitazione della vittoria Lucas.
Il rumore di una trombetta in un orecchio mi fece letteralmente balzare.
-Mark, dannazione così mi fai diventare sorda!-Rimproverai il mio amico che aveva stampato sulla faccia un sorriso a trentadue denti.
-Scusa Cathe!! Non l’ho fatto apposta!- Esclamò ridendo di gusto.
Tutto lo stadio era in fermento, la rabbia e la delusione degli avversari nell’ala opposta alla nostra, era palpabile. Nel frattempo io ero circondata da dei veri e propri matti che saltavano entusiasti, cantando tutti in coro l’inno della squadra. Mi mancava l’aria tra tutti quei tifosi esaltati e mezzi ubriachi per le troppe birre che hanno bevuto.
-Hey ragazzi!!- Urlai per sovrastare quel casino che ci circondava, tentando di attirare l’attenzione dei miei due amici che erano presi a gridare come forsennati. Fallendo miseramente, tirai per la giacca Lucas che si voltò poco dopo.
-Ho fame, vado a prendermi qualcosa.- Dissi avvicinandomi al suo orecchio in modo che udisse bene le mie parole.
-Ti accompagno!-
-Non ti preoccupare, il bar è qui accanto.- Confermai, indicando un punto impreciso alle mie spalle.
-D’accordo, ma fai in fretta.-
Mi feci spazio tra la folla, cercai di schivare sciape e cappelli con lo stemma della squadra. Io odiavo il football, non l’avevo mai capito. Tutto per colpa di una scommessa finita male. Rose in realtà doveva andare con loro, visto che era una tifosa sfegatata di quella squadra (di cui non ricordo nemmeno il nome). Ma sfortunatamente la mia amica era a letto con la febbre, tutto perché sabato scorso aveva voluto a tutti i costi farsi il bagno a lago di notte. Lucas e Mark aspettavano con ansia questo fatidico giorno della partita e avevano comprato tre biglietti non rimborsabili. E visto che la mia amica non poteva andarci bè qualcuno doveva pur sacrificarsi. Matt e Jasmine i gemelli diversi, dovevano partire per andare a far visita ai nonni. Così eravamo solo io, Anne e Clare. Il trio di coloro che odiano il football, ebbene Clare decise di lanciare il guanto della sfida. Colei che fosse riuscita ad accaparrarsi il numero di telefono di Jack John e Micheal Reach i più bei gelatai mai visti prima d’ora, non sarebbe andata alla partita di domenica. Inutile dire come andò  a finire.
Il bar era a poca distanza e fortunatamente non c’era molta fila, visto che la maggior parte della gente stava esultando al centro dello stadio.
-Tesoro, cosa ti porto?- Domandò la barista dal look molto rock. Aveva dei capelli rasati solo da una parte e dall’altra una voluminosa chioma dai colori bizzarri, tra il blu ed il viola. Il volto coperto da piercing e tatuaggi.
-Ehmm… un hot dog con doppia porzione ketchup, grazie.- Risposi sorridendogli.
-Cinque minuti ed è pronto!- Esclamò scomparendo dietro il bancone. Nel frattempo mi appoggia con i gomiti sul bancone guardando la tv maxi schermo posta sopra, che trasmetteva la partita in diretta.
-Catherine, giusto?- Domandò una voce alle mie spalle.
Mi voltai curiosa di sapere chi era che mi stava rivolgendo la parola. Un ragazzo prese forma dinanzi ai miei occhi, era alto con dei capelli leggermente più lunghi del normale, color cioccolato fondente. I suoi occhi erano densi di un nero penetrante.
-Scusa, ci conosciamo?- Proruppi, assottigliando lo sguardo per capire dove avessi visto quel volto tanto bello e dannato.
-Che sbadato!- Esclamò toccandosi la fronte e scoprendo sul polso un accenno di tatuaggio. –Sono Arthur..-Disse porgendomi la mano, che afferrai titubante. –Non ti ricordi di me?- Domandò con un accenno di delusione.
-Sinceramente… no.- Risposi con sorriso timido.
-Giocavamo spesso insieme, in pineta. Dai ma come fai a non ricordarti !-Insistè fissandomi con occhi penetranti.
-Io davvero…- Cercai di proseguire.
-Tesoro l’hot dog è pronto, ti conviene mangiarlo subito se no si fredda e dopo fa schifo, credimi.- Disse la barista, distraendomi da quella strana conversazione con quel tizio.
Mi girai, pagai ed afferrai il mio pranzo sbadatamente.
-Grazie.- Mi congedai, voltandomi nello stesso punto in cui prima c’era quella ambigua figura. E non trovai nessuno.
Mi voltai più volte intorno per capire dove fosse andato.
-Catherine! Catherine!- Strillò qualcuno alla mia sinistra.
Lucas fece il suo  ingresso tra la gente che si spostava sbuffando al suo passaggio.
-Hey!- Dissi sorridendogli.
-Ma dove eri finita? Non ti vedevo più arrivare mi stavo preoccupando!- Esclamò con il fiatone.
-Tranquillo stavo solo aspettando l’hot dog.- L’assicurai sorridendogli.
-Dai andiamo che la partita è finita.- Disse.
-Oh ma che peccato!-Esclamai con una finta espressione dispiaciuta sulla faccia.
- Che spiritosa!- Disse dandomi una spinta leggere che mi fece sorridere e mi avvolse tra le sue braccia.
Salimmo tutti in macchina. Mark era dietro che stava russando come un camionista con la bocca aperta. Lucas era alla guida concentrato ed io al suo fianco che contemplavo il panorama dal finestrino, avevo un mal di testa atroce. Eppure la strana conoscenza di quell’Arthur mi aveva scombussolata, insomma se davvero ci conoscevamo perché io non ricordo nulla di lui?. Forse era solo un ubriacone che ci stava  provando. Però mi ha chiamato con il mio nome e come faceva a sapere della pineta, insomma solo noi del “gruppo” andiamo lì per divertirci. Sembrava molto più grande di me, avrà avuto ventiquattro massimo venticinque anni.
-Lucas?-
-Si.-
-Ma per caso conosci un certo Arthur?- Domandai con scioltezza continuando a guardare dal finestrino.
-Ehmm… Arthur, si al paese c’è un ragazzo che si chiama così, perché?- Rispose togliendo per un momento gli occhi dalla strada per guardarmi meglio.
- No, è che prima quando stavo al bar si è avvicinato un ragazzo dicendo di essere Arthur, affermava convinto che io lo conoscevo e che giocavamo spesso insieme. Possibile che io non me lo ricordo?-
-In realtà è strano, perché Arthur è uno dei migliori amici di William. Insomma quando noi avevamo circa otto anni loro avevano la nostra età adesso. Non giocavamo mai insieme, anzi ci snobbavano pure.- Chiarì grattandosi il mento dubbioso.
-L’amico di William, quello che da ragazzino faceva saltare in aria i petardi rovinando le case della gente?- Domandai perplessa.
-Già, devi starne alla larga infatti. Sono stati dentro anche svariate volte. La cosa strana è che ti abbia salutato, di solito non ci degnano neanche di uno sguardo. –Affermò.
-Si è proprio strano.- Confermai, riflettendo su quanto avevamo detto.
Adesso ricordo, Arthur era quel ragazzino pelle e ossa con l’apparecchio e i capelli perennemente spettinati che faceva le peggiori bravate in paese insieme a quel matto del fratello di Rose. In effetti come aveva detto anche Lucas, non ci siamo mai scontrati con loro. Ma perché allora dopo tanti anni di indifferenza mi ha salutata?. Non mi ricordavo ne il suo nome ne la sua faccia.
 
William e Arthur dopo l’incidente…
-Che fine avevi fatto?- Domandò preoccupato Arthur al suo amico che stava rientrando a casa.
Aveva lo sguardo stanco e stremato, la sua maglietta era sporca di sangue come anche le sue mani.
-Ho avuto da fare!- Ringhiò guardandomi con occhio truce.
Poi all’improvviso capii tutto.
-Hai sentito cosa è successo a Catherine Everdeen?- Domandò Arthur prendendosi una mela, dal cesto della frutta sul tavolo in soggiorno, addentandola. Anche se aveva capito che era stato lui a picchiare Catherine, voleva comunque sentirselo dire in faccia. Conosceva il suo amico dai tempi dell’asilo e sapeva bene che era un vigliacco. Aveva il brutto vizio di reagire d’istinto senza riflettere, non si era mai capito se fosse stupido o se avesse problemi a gestire la rabbia. Comunque sentiva il dolore che l’amico provava, per quanto erano distanti e diversi Rose e lui, erano pur sempre molto legati. Sua sorella aveva tentato di fargli mettere la testa a posto ma fu solo un tentativo vano.
-No, che cosa?- Ribattè levandosi la maglietta per cambiarsi in camera. Un pregio, se così si può affermare, era che William conosceva l’arte suprema nel dire le bugie. Anche se la cosa era palese, riusciva a farti cambiare idea se voleva. Ma in quel momento in lui vide, per la prima volta, un barlume di incertezza e debolezza.
- Non sono stupido William, perché l’hai fatto?- Urlai per farmi sentire anche nella sua stanza a poca distanza dal soggiorno.
- Non me ne frega niente hai capito, quella sapeva che la mia sorellina era incita ed è stata zitta per tutto questo tempo. Doveva pagare!- Strillò di rimando. Uscì dalla camera, un’ombra nera gli dipingeva il volto. Aveva lo sguardo corrucciato e la fronte imperlata di sudore.
-Ti rendi conto di quello che stai dicendo! Con me William le tue cazzate non attaccano, hai capito?- Dissi guardandolo negli occhi e avvicinandomi rabbiosamente.
-Lei sa troppo, capisci!!-Esclamò afferrandomi la testa con entrambe le mani scuotendomi, come se questo mi poteva far capire qualcosa in tutta quell’assurda situazione.


Cari Lettori!!
Sono qui con un nuovissimo capitolo, spero vi piaccia e fatemi sapere cosa ne pensate.
Saluti
-Elly

 

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