Get The Salt

di Marra Superwholocked
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** J2 ***
Capitolo 2: *** Fangirls ***
Capitolo 3: *** Maledetti punti fissi ***
Capitolo 4: *** Spiritello Porcello ***
Capitolo 5: *** Sullivan e Tolentino, agenti ...sopravvissuti ***
Capitolo 6: *** Forti di fronte ai più piccoli ***
Capitolo 7: *** Prime luci di due giorni lontani ***
Capitolo 8: *** (Will not let you go) let me go (never) ***
Capitolo 9: *** L'Angelo che ingannò il Diavolo ***
Capitolo 10: *** Pronto-TARDIS, come posso aiutarla? ***
Capitolo 11: *** Quando la TARDIS vuole fare la simpatica ***
Capitolo 12: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** J2 ***


Nota dell'autrice
Come avrete capito, si tratta del seguito di “Correte (...)” e ci saranno alcuni passaggi che, per chi non ha letto la precedente fanfiction, saranno un po' difficili da comprendere, quindi cercherò di essere sempre chiara e di spiegare tutto quanto mi è possibile :) anche per quanto riguarda Doctor Who ;)
Ripeto: ci saranno possibili spoiler... La scelta è vostra :P
Dato che i capitoli sono QUASI tutti pronti, ne pubblicherò uno ogni settimana, possibilmente sempre di venerdì!
Detto questo, buona lettura e a presto! :)
Marra


P.S
Dopo due mesi che iniziai a scrivere questa fanfic, mi resi conto che il titolo non era affatto giusto: all'inizio, l'idea era Carry Salt, ma è sbagliatissimo! Così ho chiesto ad un'amica e alla fine l'ho cambiato in Get The Salt.
Per chiunque sia incredibilmente intelligente con l'inglese e se ne sia accorto prima di me: I AM SO SORRY ç_ç io volevo solo creare un collegamento con Carry On Wayward Son :(

 

Prologo
o quanto la storia può essere complicata


Perché ammazzarsi di stress scolatico quando puoi staccare la spina e viaggiare nel Tempo e nello Spazio assieme all'alieno più bizzarro dell'universo? Potresti incappare in qualche imprevisto, essere preso come ostaggio o rischiare di venir teletrasportato in una realtà virtuale che rischia di succhiarti la vita, è vero, ma non ne varrebbe la pena pur di spezzare quella noiosa routine che tanto ci opprime?
Silvia e Catherine avevano pensato la stessa cosa e, dopo aver passato una notte intera chiuse nella loro scuola nel tentativo di sopravvivere ad un attacco alieno – per fortuna scampato – e ad un demone quasi kamikaze nello stesso tempo, avevano deciso di dare, diciamo così, il cambio ai Pond. Inizialmente, pensavano di restare col Dottore giusto un paio di settimane, il tempo di riprendersi e poi tornare ai loro studi.
Ma non potevano.
Se solo penso che la storia di queste due ragazze non ebbe inizio quella fatidica notte invernale del 2014 ma molto prima, mi viene la pelle d'oca.
Già, perché Catherine incontrò il Dottore quando era solo una bambina. Solo che non se ne rese conto finché la realtà non le sbatté in faccia i fatti.
 

Capitolo 1
J2


Silvia aveva sempre sognato di raggiungere l'America, un giorno o l'altro. Le sarebbe tanto piaciuto marciare sulla Route 66. Anche a piedi, non le importava come. Un paio di corse sulla spiaggia di Miami, una gita agli Universal Studios, un boccone al volo di zuppa di molluschi nel latte da Stefan...
Ed il suo sogno si era realizzato. Be', in realtà solo in parte: era in America, sì, ma non aveva tempo di concedersi una vacanza. Infatti, pochi istanti prima di abbuffarsi di crostata alle pesche – per poi rendersi conto che non erano affatto in Italia – lei e Catherine avevano detto addio al loro amico alieno, il Dottore[1]. Le aveva portate in luoghi magnifici, avevano assaporato mille pietanze dai nomi improbabili e in men che non si dica si era fatto il momento di rimettere piede nella vita di sempre.
«E se provassimo a chiamarlo?» Ora Catherine tentò di attirare l'attenzione di Silvia, con scarsi risultati. «Ehi, Silvia?» la strattonò.
«Mhm?! Scusa, mi ero ...distratta un secondo.»
Catherine tirò fuori da una tasca dei pantaloni un foglietto stropicciato con su una serie di numeri che sembrava loro infinita: era il numero di telefono del loro amico, quello che le aveva mollate lì senza dar loro alcuna spiegazione. Glielo sventolò davanti al naso con enfasi.
«Sì, proviamo!» Catherine vide l'amica infilare svelta la mano in tasca per estrarvi il suo cellulare. «Detta, avanti!» Fece il numero e mise la chiamata in vivavoce.


Non lontano dalle due ragazze, una Chevy Impala nera con due viaggiatori al suo interno sfrecciava diretta verso un negozio di animali.
«Ti dico che è il posto giusto!» disse uno dei due appena uscito dalla macchina. Come il guidatore, anche il passeggero era vestito con un completo elegante, ma l'altezza e le spalle erano di gran lunga sproporzionate rispetto lo standard e non davano affatto l'idea di agenti dell'FBI, ma piuttosto di atleti troppo cresciuti. Almeno uno dei due.
«Sono stufo di girare in tondo. Mi sento un idiota!» gridò il più basso dei due senza rendersi conto che stava attirando fin troppa attenzione.
Il gigante capellone gettò qualche sguardo imbarazzato nei dintorni. «Senti, anche io mi sento preso in giro, ma... È l'unico posto in cui non abbiamo ancora controllato.»
«Sì, hai ragione. Senti... E se questa volta si trattasse di un trickster? Uno di quelli veri, voglio dire» disse assicurandosi che la portiera dell'auto fosse ben chiusa.
«Be'» cominciò l'altro. «Se è veramente un trickster, sappiamo già come fermarlo.»
Entrarono poi nel negozio giusto un secondo prima che Silvia alzasse gli occhi su di loro.


«Squilla a vuoto! È inutile!» esclamò Silvia esasperata.
Catherine riguardò il numero scritto sul foglietto. «Forse si è dimenticato di dirci che serve un prefisso o qualcosa del genere» tentò.
«Sinceramente? Stavo pensando la stessa cosa» le disse. «Insomma, l'hai visto anche tu com'è distratto e sempre incasinato. Non fa altro che agitare le mani qua e là senza sosta.»
Catherine accennò ad un sorriso a metà, ma lo ritrasse all'istante. «Ma tutto ciò che fa, lo fa per un motivo. Agisce sempre in base a delle regole, che esse siano terrestri o meno, e ha sempre ragione!» lo difese.
«Quindi è per questo che siamo qui? In America? Da sole e senza un briciolo di informazione utile?» scherzò Silvia.
Volevano tornare a casa, dalle loro famiglie, nei loro caldi letti. Silvia avrebbe tanto voluto riabbracciare Samanta, l'amica sempre giù di morale che però lei riusciva a far sorridere ogni dannatissima volta; Catherine voleva stringere forte sua madre, anche solo per un istante, e rassicurarla con un tenero gesto affettuoso qual era un suo semplice buffetto sulla guancia.
Magari tutto quello che stavano vivendo era solo un sogno, un'illusione. Per quanto ne sapevano, era molto probabile che un qualche tipo di alieno che provoca allucinazioni di quel genere si fosse intrufolato in quella strana astronave, che avevano imparato a chiamare TARDIS e non più “cabina-blu-della-polizia”, e magari ora erano tutti e tre distesi a terra a dormire o a congelarsi le ossa... Entrambe rimpiansero un po' la scelta che avevano preso una volta lasciata la loro scuola. Era dicembre e mancava poco alle vacanze natalizie. Avevano appena affrontato insieme una grande avventura e l'unica persona che avrebbero mai potuto ringraziare era proprio il Dottore. Ma dove diavolo era in quel momento?
«Dottore chi?» gli avevano chiesto una volta entrate in sintonia. Lui le aveva guardate entrambe con quei suoi occhi dal colore ambiguo e aveva sorriso. Un sorriso semplice, innocente e misterioso che aveva lasciato non poca curiosità nelle menti delle due umane.
Rimasero in un silenzio pensieroso e nostalgico per alcuni istanti, finché i due tizi palestrati ed eleganti non uscirono dal negozio alle loro spalle, sull'altro lato della strada.
«Maledizione!» urlò uno dei due e per poco non tirò un calcio ad un cestino piazzato sul marciapiede.
«Ehi, calmati, per favore...»
«Avevi detto che era il posto giusto!»
L'altro si tirò indietro i capelli e respirò a fondo. «Senti, mi dispiace. È che...»
A quel punto, Silvia e Catherine persero il filo del loro discorso, ma poco importava: si guardarono intensamente negli occhi e l'una sembrò leggere il pensiero dell'altra. Mentre Catherine rimetteva in tasca il foglio e Silvia il suo cellulare, entrambe si girarono verso il marciapiede alle loro spalle.
Avevano riconosciuto le voci. Erano inconfondibili, calde e profonde. Di una mascolinità unica. Una era più squillante, l'altra molto più tetra e cupa. Ma non ebbero alcun dubbio, erano loro.
Erano Jared e Jensen.

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[1] In breve, il Dottore è il protagonista della famosa serie televisiva britannica Doctor Who (1963 – in corso). Per qualsiasi altra informazione, consultate Wikipedia ;)

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Capitolo 2
*** Fangirls ***


Note dell'autrice
Buonsalve, gente!
Eccomi qui col secondo capitolo di questa mia storia :3 Spero tanto che in quello precedente fosse tutto chiaro xD Come dico sempre nelle mie note, se ci sono dubbi o suggerimenti, contattatemi pure! :)
Bene, detto questo, vi auguro una buona lettura!


xoxo
Marra

 

 

Capitolo 2
Fangirls


«Ma cos-»
«Nasconditi!»
Catherine si ritrovò proiettata a circa un metro da dove si trovava prima e, da dietro il cespuglio dove Silvia l'aveva trascinata, poteva scorgere i capelli castano chiaro di Jared.
«Perché mi ha-»
«Shh!»
«Ma...»
«Ascolta!»
Catherine l'avrebbe strozzata all'istante, ma si trattenne e seguì il consiglio del saggio che abitava la sua mente: come Silvia, si nascose meglio e tese l'orecchio.
«Sam, è da tre giorni che diamo la caccia ad una cosa che non sappiamo nemmeno che cosa sia con esattezza!» disse il più basso dei due.
L'altro, Sam, gli rispose con un'alzata di braccia al cielo e aprì la portiera dell'auto. Quando la sbatté richiudendola, il guidatore aveva già fatto partire il motore. Si trattenne dal fare una sgommata e partì lasciando il posto di parcheggio ad una macchina grigio topo con a bordo una donna.
Catherine e Silvia rimasero a fissare la vecchia Impala nera sfrecciare tra le vie quasi deserte della città.
«Possiamo uscire, ora?» chiese Catherine quasi afona.
«S-sì... P-penso di sì.» Anche Silvia sembrava molto scossa e, quando tornarono a sostare sul marciapiede, la sua mente continuava ad inciampare. Dovette chiudere gli occhi per realizzare a pieno quello che era appena successo: «Ripetimi come l'ha chiamato, ti prego.»
Catherine si ripulì la terra dai pantaloni con lo sguardo puntato sull'amica. «Sam» sussurrò.
«Non ho sentito bene» sospirò Silvia.
Catherine si mise semplicemente a fissarla con le mani sui fianchi. La vide aprire prima un occhio, poi, lentamente, anche l'altro.
«Se Jensen ha chiamato Jared Sam» disse Silvia, sospirando, «e lui non ha fatto nemmeno una piega...»
«No, no, infatti: non ha battuto ciglio!»
«Speravo di aver sentito male...»
«Samo in due, sorella» esclamò Catherine.
Silvia si guardò attorno. Non vedeva altro che realtà. «Il Dottore può fare tutto questo?»
«Questo cosa?» le chiese confusa.
«Intrappolarci in un telefilm. Voglio dire: vedi telecamere o gente che passeggia con microfoni e altra attrezzatura cinematografica? Cacchio, è tutto così...»
Catherine osservò l'ambiente: in effetti, come aveva detto Silvia, non vi era nemmeno l'ombra di una qualche traccia che tutto quello fosse il set di Supernatural. In più, il gigante capellone era troppo somigliante a Jared Padalecki e si chiamava oltretutto Sam... Una coincidenza? «Dici che quelli che abbiamo visto poco prima erano veramente i Winchester?»
«Bingo. Ma vorrei poter dire il contrario perché se Sam e Dean esistono, vuol dire che-»
«Vuol dire che esistono anche i mostri a cui loro stessi danno la caccia» finì per lei Catherine.
«Già» confermò subito Silvia. «Ma quello con cui noi due abbiamo a che fare non è nulla in confronto a ciò che potremmo incontrare in questa realtà.»
«Non dirlo mai più» la pregò. Poi Catherine tirò fuori dal cappello un nuovo pensiero: «Come ci siamo arrivate fin qui? Il Dottore, una volta, ci ha parlato delle fessure spazio-temporali, ricordi?»
«Dici che ha volontariamente oltrepassato una di quelle?» chiese Silvia incredula.
Catherine ripensò alle ultime parole che il Dottore disse loro mentre erano ancora tutti e tre nel TARDIS: «Vi porterò dove c'è bisogno di voi.» E lo aveva detto con un sorriso triste stampato in volto, Catherine se lo ricordava bene. Dopodiché, fece partire i rotori della Macchina e... Ed eccole spuntare in TV-landia! E se tutto quello che avevano attorno in quel momento non fosse solo finzione? In fondo, aveva imparato che tutto era possibile e – perché no? – magari i trickster erano reali. «Vuoi sapere come la penso io? Il Dottore sapeva in qualche modo che io e te dovevamo essere qui, qualunque posto questo sia, in questo momento preciso della storia e che dovevamo incontrare Jensen e Jared. O perlomeno scorgerli.»
L'amica increspò le labbra, come per trattenere qualcosa che, suo malgrado, le uscì comunque: «Dean e Sam» la corresse quasi senza volerlo.
«Sì, giusto» ammise. «Ci serve solo sapere quando siamo, allora» aggiunse poi Catherine.
«Credi che saperlo renderà tutto più facile?»
«Almeno spero» le rispose alzando le spalle. «Eviteremo loro eventuali spoiler, non credi?»
Silvia annuì distratta: stava già pensando ad altro. Vagava con la mente in altri fiumi di pensieri, diversi da quelli di Catherine. A dirla tutta, non le importava un fico secco se avessero detto qualcosa ai Winchester che era meglio evitare di dire – in fondo non sono reali[1]: per Silvia era più importante sapere un'altra cosa. «Cathy, ricordi quando Sam e Dean sono stati spediti su “Terra2”
L'amica la guardò accigliata e perplessa; le fece segno di proseguire con un gesto della mano.
«Erano in una dimensione in cui non erano fratelli, ma semplici attori – Jensen, Jared, Misha, eccetera: erano nella nostra dimensione, Cathy! Per loro non vi era magia, ma si sbagliavano e noi lo sappiamo bene.» Silvia parlò con enfasi, come faceva sempre, ma questa volta la stava tirando troppo per le lunghe.
«Non ti seguo» disse, infatti, Catherine.
Silvia inspirò tristemente. «L'angelo che seguì i Winchester non riuscì ad usare i suoi poteri perché proveniva da un'altra dimensione: questa. E se fosse lo stesso per noi?» le chiese a bassa voce.
Catherine sbarrò gli occhi incredula. Aveva ragione, il suo discorso non faceva una sola piega, era perfetto. «Wow!» fu l'unica cosa che riuscì a dire. «Wow...» ripeté ora più piano e anche un po' triste. Come avrebbero potuto sopravvivere facilmente a quella realtà senza i loro poteri da sensitiva e wiccan? «Che ne dici? Consultiamo la guida telefonica e vediamo qual è il motel in cima all'elenco?» le chiese subito dopo.
Silvia la guardò inizialmente senza capire, poi il suo viso acquistò una luce mai vista prima, o forse erano i primi lampioni che si stavano accendendo lungo i marciapiedi. Sembrò agitarsi, in vista di ciò che le aspettava: se i Winchester che avevano visto poco prima erano i veri Winchester, allora li avrebbero trovati di sicuro. Dovevano solo stare un po' attente, in fondo.


«Sam, datti una mossa con quella doccia!»
Nella sala da bagno che offriva loro quel motel a due stelle, Sam, il fratello minore, si stava insaponando allegramente i capelli. Ad occhi chiusi, cercò la spazzola e quando finalmente l'ebbe afferrata, diede una gran bella spazzolata alla sua folta chioma per nulla invidiata dal fratello. «Ho quasi finito, signora Rottermaier!»
«Ehi, come mi hai chiamato?!» sbraitò acido Dean. Spazientito per l'incomprensione, si avvicinò alle sacche, abbandonate sui letti appena erano entrati in camera, dove riponevano le loro amate armi. Tra fucili a canne mozze e calibro38, scovò i ritagli di giornale a cui stava dando la caccia e li estrasse. «Sicuro come l'oro che domani vedremo atterrare un'astron-» Non terminò la frase, piuttosto se ne stette in silenzio ad ascoltare. Quando bussarono di nuovo alla loro porta, sfrecciò come un fulmine a riporre le sacche sotto i letti ed ecco che, sistemata inconsciamente la maglia grigia che indossava, era sulla porta ad accogliere cautamente chiunque fosse il visitatore.
Sulla soglia, a poca distanza da lui, stavano sostando due ragazze, entrambe più basse di lui di una ventina di centimetri, entrambe con gli occhiali, entrambe coi capelli scuri, entrambe shockate. L'unica cosa che le distingueva, notò Dean, era il colore della loro pelle: una delle due aveva sicuramente origini filippine, l'altra – molto probabilmente – era americana, ma non era del tutto certo fossero umane, date le circostanze degli ultimi giorni. Difatti, arretrò un po' accigliato e prese – un po' per abitudine, un po' per una maggior sicurezza – la boccetta appoggiata sul mobiletto alla sua destra: dentro vi era conservata dell'acqua santa. «Sì?» chiese con una certa circospezione celata dietro un sorriso da playboy.
Le due ragazze continuarono a fissarlo per un tempo che a Dean sembrò fin troppo lungo e, per la prima volta in vita sua, si sentì intimorito da due adolescenti terrorizzate.
«Ehm... N-noi...» cominciò Silvia. «T-tu sei...?»
«Dean, che succede?» strillò Sam dal bagno. Non udendo alcuna risposta, uscì frettolosamente dalla stanza con l'asciugamano avvolto alla vita. «Dean?» chiese, ma rimase imbambolato, lì fermo dove si trovava, non appena vide le due ragazze e le maglie che indossavano. «Oh, no...» sospirò, quasi scappando verso il bagno. «Fangirls!»

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[1] O sì? Mwah-ahah-ahah

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Capitolo 3
*** Maledetti punti fissi ***


Capitolo 3
Maledetti punti fissi

 

 

«Cosa?! Anche voi due sapete tutto su di noi?!» Dean lo disse ad occhi chiusi, come per voler scacciare dalla mente quel pensiero. Ancora una volta, qualcuno oltre lui e suo fratello sapeva chi erano, cosa facevano per vivere, ma soprattutto sapeva anche quante volte quel preciso giorno era andato al gabinetto o magari da quanti giorni era in astinenza dal sesso. Cercò di mascherare il suo imbarazzo dietro una sorsata di whisky.
Catherine e Silvia, sedute ai piedi del letto di Sam, non sapevano più che dire. Erano per lo più inconsapevoli di ciò che sarebbe successo perché erano lì contro la loro volontà e l'unica persona che poteva aiutarli non rispondeva al telefono, magari anche di proposito.
«Da dove veniamo noi, non esistono i libri, ma-» cominciò Catherine, ma fu interrotta da Dean, il quale stava sputacchiando whisky sulla moquette blu della camera da letto a causa del mini shock.
«Da dove venite voi?! Che vorrebbe dire?! Venite forse da un universo parallelo?» tossicchiò rauco e con una vena di ironia che non venne percepita da nessuno.
Silvia intercettò lo sguardo di Sam, ora asciutto e vestito come al solito con una camicia a quadri e dei comodi jeans un po' sgualciti. Capì che egli aveva già intuito tutto. «Dean, hai visto le loro magliette?» chiese, infatti, girandosi verso il fratello.
Lui buttò un occhio un po' più attento sulle due ragazze. Catherine, di origini filippine, indossava una giacchetta verde militare e sotto di essa portava una maglia nera con l'immagine di una macchina a lui più che nota: la sua Baby; Silvia, invece, sembrava fiera della sua maglia nera sotto un'anonima felpa grigia; la stampa bianca metteva in bella mostra il faccione di Crowley e sopra di esso vi era il suo solito saluto: HELLO, BOYS.
«C-cosa?!» esclamò incredulo. «Sentite, questa storia mi sta mandando in pappa il cervello, quindi prima ci dite che sta succedendo e prima vi rispedirò dritte a casa!»
«È questo il punto, Dean.» Silvia si alzò dal letto e indicò la sua felpa. «Per noi, tutto questo non è altro che finzione, qualcosa da guardare in tv![1]»
«Già» aggiunse Catherine. «Noi... Be', ecco... Veniamo dall'altra parte. E l'unica persona che ci può riportare indietro è, diciamo, irraggiungibile.»
Nella stanza d'albergo in cui i fratelli Winchester pensavano di poter passare una serata tranquilla, lontani da qualsiasi guaio e da qualsiasi pensiero negativo, calò un silenzio che sapeva di imbarazzo e di domande.
«Dall'altra parte? Potresti essere più precisa?» Dean appoggiò piano il bicchiere ora svuotato sulla piccola e scricchiolante scrivania e si avvicinò a Catherine, sovrastandola non poco. Lui avvertì lo sguardo colmo – come al solito – di rimprovero del fratello, dunque le lasciò più spazio. E se non fosse stato per la luce fioca che proveniva dai lampioni in strada e per la carnagione scura della ragazza, avrebbe giurato che la stessa fosse addirittura arrossita. Dannazione, faceva quell'effetto a tutte, nessuna esclusa.
«Vi racconteremo tutto, promesso. Ma giurate almeno di non prenderci per matte» chiese Silvia mentre Catherine cercava di nascondere le guance in fiamme con i capelli corvini.
Sam e Dean si guardarono in faccia e scoppiarono a ridere. Una risata un po' sinistra, a dire il vero.
«Ragazze, ne abbiamo viste e sentite di tutti i colori!» proferì Sam.
«Già!» Dean riprese il suo bicchiere e lo svuotò della sua ultima goccia invisibile. «Non c'è nulla che ci spaventi, ormai!»
«Io non ne sarei così sicura...» Catherine lo aveva appena bisbigliato, il suo commento fu come una briciola di pane su una spiaggia, ma Sam la sentì. «Spoiler» sussurrò non appena intercettò il suo sguardo un po' preoccupato.
Silvia sospirò più piano che poté, per rallentare il tempo e sperare che tutto quello che stava vivendo fosse solo un'illusione. Deglutì e questo l'aiutò. Perché aveva bisogno di reidratare la gola, secca a tal punto che sentiva il suo stesso fiato diventare sempre più tagliente ad ogni respiro. «Forse sarà meglio partire dall'inizio» disse ad occhi chiusi e – senza rendersene conto – fece qualcosa che per lei era molto comune, ma che aveva pensato fosse impossibile in quella realtà.
L'immagine delle due ragazze fu subito ben chiara ad entrambi i fratelli: erano aggrappate a delle specie di transenne, le quali contornavano una strana consolle a forma di tavolo esagonale con al centro una colonna di vetro in cui – forse era – un'ampolla faceva su e giù in base al ritmo scandito da un rumore molto simile ad un graffio metallico, un lamento che a Dean fece accapponare la pelle. E poi c'era tutta quella luce, così calda e fredda allo stesso momento, rassicurante e dolce[2]. Infine venne uno strano dong. Continuava a farsi sentire e più Sam cercava risposte, più quello si faceva pesante e forte. Dong... Dong... Dong... Cosa voleva dire? Ma non poteva rimanere indietro; doveva seguire la storia di Silvia. Un momento, pensò. È forse lei la Trickster che stiamo cercando? Ma no, quelli non erano trucchi da Trickster, ormai lo sapeva bene. Si concentrò di nuovo sulle immagini che solo Dio sa come Silvia riusciva ad inviargli ed ecco che le due ragazze abbracciavano un giovane uomo dagli occhi anziani. Era vestito come Mr Bean, solo che, al posto della cravatta, portava un orrendo farfallino rosso con pallini bianchi. Le guardava con malinconia mentre uscivano da una porta forse troppo piccola per quello spazio infinito. Dietro le due ragazze vi erano vari cartelli pubblicitari; Sam li riconobbe all'istante: erano gli stessi che aveva visto poco prima vicino a quel negozio di animali. Cercò di parlare, ma qualcosa glielo impedì, schiacciandogli la testa in una morsa dolorosa. Scacciò l'idea di lamentarsi e rimase in silenzio. C'era un'ultima cosa da vedere: una cabina blu, apparentemente della polizia, stava svanendo nel nulla. E sopra di essa vi era una strana luce, come se vi fosse stato puntato un riflettore potentissimo.
Poi tutto tornò come prima; Dean era al suo fianco, le ragazze davanti a sé e... E gli girava tutto, come dentro un ciclone. Gli venne da vomitare, da urlare, da piangere. «Cos-»
«Sam! Sammy!» urlò Dean non appena si riprese da quella strana – ma fichissima – cosa che gli era appena successa. Si fiondò sul fratello appena in tempo per evitare che egli sbattesse la testa sul pavimento della camera. «Ehi, Sammy!» lo chiamò mentre gli prendeva il mento per girargli la testa.
«L'hai sentito?» sospirò lui a fatica. «L'hai...»
«Shh» lo zittì Dean. Poi lo trascinò sul letto con l'aiuto delle due ragazze e lo lasciò riposare. Era da tempo che non lo vedeva così beato e sereno. Era come se gli fosse rinvenuta in mente l'immagine di lui che con le sue braccine tremanti di bambino porta in salvo il fratellino dall'orribile incendio che divampò quando il suo Sammy non aveva che sei mesi. Lo guardò addormentarsi con le sopracciglia aggrottate e i muscoli ancora tesi e pian piano parve rilassarsi. Ecco che arrivano i guai, pensò Dean tra sé e sé.


«Una serie televisiva?» Dean camminava avanti e indietro davanti alle due ragazze, sfinite e con la gola dolorante per quante volte gli avevano ripetuto quella storia. «Una serie tv... Quindi voi venite da Terra2!» disse sogghignando. «E avete viaggiato con un alieno!»
A Silvia scappò un grugnito. «Sì» disse stizzita.
Catherine le lanciò un'occhiataccia poco amichevole e vide l'amica sgranare gli occhi e alzare le spalle. Non ci posso far nulla se è più tonto di come sembra, sembrava le stesse dicendo.
Dean fissò per un momento il viso corrucciato di Sam. Notò i capelli lunghi e pensò che un giorno o l'altro avrebbe fatto le scarpe a Rapunzel. Quel gigante... Sentiva ogni giorno il bisogno quasi fisico di salvargli la pelle, perché è così che gli aveva detto suo padre e lui avrebbe portato a termine la missione fino in fondo, fino al suo ultimo respiro. Lui, Dean Winchester, nato il 24 gennaio del 1979, avrebbe salvato sempre il culo a suo fratello, anche a costo della sua stessa vita.
Poi, all'improvviso, come se gli avesse letto nel pensiero, Sam spalancò gli occhi e si irrigidì. Dean si precipitò da lui e gli afferrò un braccio. Gli parve più solido del marmo e glielo strinse per farsi sentire. «Ehi, rilassati, okay?» gli sussurrò.
Silvia e Catherine rimasero un po' in disparte per lasciargli modo di riprendere fiato. Ma poi Catherine intercettò qualcosa negli occhi di Sam. Una scintilla, un lampo, un qualcosa che le ricordò l'attimo in cui avevano lasciato l'astronave. Stava già svanendo, ma lei riuscì ad afferrare al volo quel momento. E le fu tutto un po' più chiaro.


Dong... Dong... Dong...
Più di mille anni. Più di mille anni spesi a sistemare l'Universo. Talvolta anche in luoghi in cui era poco tollerata la sua presenza. Anzi, quasi mai era tollerata la sua presenza. E perché? Perché assumere un comportamento così ostile nei suoi confronti? Alcune volte aiutava anche chi non se lo meritava. Per poi ricevere cosa? Un calcio nel di dietro e tanti saluti. Ma non stavolta, no. Questa volta sarebbe andata diversamente. Innanzitutto aveva ricevuto un chiaro “ordine”: lasciarle esattamente a quelle coordinate.
Quella mattina, lui e le due ragazze erano andati su Fervos24, nell'anno 34908, dove alle bancarelle del mercato di Joiké si possono gustare frutti che regalano sensazioni di caldo o di freddo in base all'umore di chi li assapora e questo divertiva molto il Dottore poiché la sua sensazione era sempre altinelante.
Silvia e Catherine stavano ammirando un giocoliere di strada che lanciava in aria palle infuocate mentre allungava la testa come un elastico e prendeva al volo tra le labbra le rose verdi che gli lanciavano alcune fanciulle, quando una fervosiana dall'aspetto giovane si avvicinò tremolante al Dottore e lui capì che, in realtà, aveva molto più di duecento anni.
«Lei non viaggia da solo, dico bene?» gli disse con uno strano sorriso sulle labbra. «Oh, non voglio soldi» si affrettò a chiarire la signora, creando nell'animo del Dottore un minimo di curiosità.
«Chi è lei, se posso saperlo?» le chiese aggiustandosi il farfallino color mattone.
«Mi chiamo Delida e ho 267 anni. Sono estremamente vecchia e mi mancano sì e no ottant'anni di vita. La mia sarà un'infanzia tranquilla» disse con un sorriso amaro.
Giusto, pensò il gallifreyano. Le loro vite scorrono al contrario. È il prezzo che devono pagare per il loro dono di poter vivere così tanto a lungo. Il Dottore notò solo in quel momento l'abito verde agghindato con numerosi anelli intorno alla vita della fervosiana: segno che era sì di alto rango, ma anche molto sola e vecchia e i suoi cuori ebbero un singulto.
«Ma comunque non importa chi io sia» riprese lei. «L'importante è che lei mi ascolti.» La fervosiana gli si avvicinò ancor di più, ma lui non accennò ad arretrare. Notò con piacere che lo straniero non aveva paura di lei. «Lontani da qui, da questo tempo, su un pianeta assai piccolo e rumoroso, vi sono due fratelli. Due fratelli umani che, come lei, danno la caccia al maligno, per così dire. Lei non può trovarli né vederli e saranno guai se oltrepasserà quel limite prima che le cose si sistemino perché causerebbe solo distruzione! Ma le due ragazze...» La fervosiana si fermò un secondo a riflettere.
Al Dottore parve che la signora fissasse il vuoto, ma non era così: era un'indovina e stava studiando il futuro dello straniero. Quando pensò che, forse, si trattava solo di una truffatrice e le sorrise per poi accennare ad un saluto, ecco che la fervosiana lo trattenne per un braccio. Gli sembrò troppo forte per essere un'amichevole stretta di una signora anziana.
«Le due ragazze. Loro... Loro sono quelle destinate ad aiutare i due fratelli! Le deve lasciare andare. Non sarà per sempre» gli stava dicendo. La sua voce, morbida e vellutata, venne sovrapposta da una più rauca e sovrannaturale, da brividi, come quelli che percorsero la spina dorsale del Dottore. «No, non per sempre: le rivedrà. Segua le mie istruzioni e l'Universo sarà al sicuro. Come li chiama lei, questo è uno di quei punti fissi nel Tempo a cui ci si deve sottomettere!»


Dong... Dong... Dong...
«Buona fortuna, ragazze» pregò il Dottore con gli occhi pieni di stelle. «Ci rivedremo presto.»

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[1] Certo, perché noi fangirl (e fanboy) aspettiamo la programmazione italiana, ah-ah ^^/


[2] Descrizione non del tutto soggettiva del TARDIS, l'astronave del Dottore.

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Capitolo 4
*** Spiritello Porcello ***


Capitolo 4

Spiritello Porcello


«Cosa vorresti dire con Tempo E Relativa Dimensione Nello Spazio[1]
«Esattamente ciò che ho detto.»
Dean e Silvia rimasero a fissarsi per qualche istante, poi il primo dei due distolse lo sguardo – a fatica – e lo pose sul fratellino. «Ma cosa stai cercando, si può sapere?» stava chiedendo a Catherine, tutta indaffarata a perlustrare ogni angolo del collo del gigante. Poco prima, infatti, Silvia si era proposta di raccontare ad entrambi la teoria del più grande dentro che fuori che caratterizzava la tecnologia dei Signori del Tempo, la razza di alieni a cui apparteneva il loro amico, il Dottore, e aveva anche specificato il significato del nome della sua navicella: il TARDIS. Catherine, invece, aveva chiesto a Sam di potergli dare un'occhiata.
«La vuoi smettere, per favore?!» gridò infine Sam, allontanando Catherine con le lunghe braccia.
«Devo... Fammi finire... Mi è sembrato di vedere qualcosa! Lì, dietro l'orecchio!» Catherine, si sbracciava con tutte le sue forze, ma il ragazzo la teneva alla larga ben bene e non la lasciava fare. «Ascoltami bene, stupido gigante palestrato» lo avvertì puntandogli un dito contro.
Sam la guardò accigliato, colto anche un po' alla sprovvista, e sentì il fratello ridacchiare di gusto.
«C'è un motivo per cui hai sentito quel rumore» riprese Catherine. «Così come per tutte le altre sensazioni che non ha avvertito tuo fratello. E il motivo è semplice: viaggi nel Tempo.»
«Semplice?» Sam fece scattare la testa e una ciocca di capelli saettò all'indietro. «E come fai a sapere che ho sentito ...un rumore? Di cosa si trattava?»
Lei girò gli occhi verso Silvia. Come lui, anche Catherine aveva sentito quel suono poco prima di lasciare il TARDIS per l'ultima volta e, inconsciamente, l'aveva sentito anche Silvia. Ecco perché era riuscita a trasmetterlo a Sam. «Era un avvertimento» gli rispose Catherine.
Silvia le si fece più vicina e con lei anche Dean. «Il TARDIS ci stava avvertendo?» le chiese preoccupata.
«Sì. Era un avvertimento bello e buono. Me ne sono accorta solo ora, scusa.» Catherine si sentì le guance in fiamme per l'imbarazzo. In quell'ultimo mese, grazie all'aiuto del Dottore e della sua sis, era riuscita ad affinare i suoi poteri di sensitiva, ma ora si sentiva quasi inutile. Erano trascorsi già un paio di giorni da quando quell'alieno folle le aveva scaricate in un universo in cui non c'entravano nulla e se n'era andato lasciando dietro di sé un enigma dopo l'altro.
«Non devi scusarti, Cathy. A volte può succedere di non far caso a ciò che si ha sotto gli occhi» la rassicurò Silvia, la quale notò un principio di sorriso sul volto dell'amica.
«Silvia ha ragione» incalzò Sam, sempre pronto a tranquillizzare le persone.
«Ehm, ragazzi?» chiese Dean guardandosi attorno.
«Comunque su cosa voleva avvertirci il TARDIS?» riprese Silvia, ignorando involontariamente il biondino.
Catherine guardò il pavimento, sempre più confusa. «Non saprei» disse sconfortata. «Può essere qualsiasi cosa: un pericolo insignificante come una catastrofe.»
«Ma mi sembra strano che il vostro amico cervellone non l'abbia capito» disse Sam con le braccia conserte.
«Già, sembra strano anche a me.»
«Oh, lui l'ha sentito eccome e l'ha certamente capito» borbottò Silvia. «Giuro che, se mi capita sotto tiro, lo strozzo.»
«Ragazzi, non vi sembra che ci sia odore di ozono?» chiese invano Dean.
«Questa tua mania di strozzare la gente deve finire» scherzò Catherine, ampliando il suo sorriso.
Sam rise insieme alle due ragazze mentre Dean, quasi paonazzo, faceva ballare gli occhi per tutta la stanza alla ricerca di qualcosa che, apparentemente, non c'era. «Sono proprio curioso di conoscere questo povero sfortunato» disse il minore dei fratelli.
«Volete smetterla di fare le comare?! Sento odore di-» cominciò Dean.
«Sembra aglio» disse subito Catherine.
Dean si voltò indispettito e allargò le braccia. «Ve lo sto ripetendo da una vita!» Quando si girò nuovamente, una pila di asciugamani freschi di lavanderia cadde dalla mensolina del bagno su cui erano poggiati. «E non è aglio» aggiunse con un tono di voce ora più basso.
«È ozono!» disse Catherine, afferrando al volo, e subito si mise al fianco di Silvia, sapendo già di cosa si trattasse.
Dean fece roteare gli occhi e rimase di guardia, pronto all'attacco. Dietro di lui, il fratello minore si era preparato a mettere le mani sulle chiavi della macchina: nel caso, le avrebbe date alle due ragazze per farle andar via, al sicuro, mentre loro avrebbero risolto la situazione. Ma non ce ne fu alcun bisogno...
Quando Dean iniziò a pensare che fosse stata tutta una semplice coincidenza, la finestra alle loro spalle si spalancò, canalizzando tutta l'attenzione dei quattro occupanti della stanza su di sé. E fu allora che lo spirito ne approfittò per uscirsene con un bel «Buonasera, idioti! Spero abbiate senso dell'umorismo!»


«Dimmi che c'è un buon motivo per avermi disturbato a quest'ora della notte.» Paul Fisher rispose al cellulare con gli occhi ancora immersi nel sogno che stava facendo. Una lunga ed interminabile distesa d'acqua e lui che vi galleggiava sopra. Gli sembrava di essere in Paradiso.
«Signore, mi dispiace» rispose una voce femminile all'altro capo della comunicazione.
Fisher si strofinò gli occhi con la testa ancora dolorante per la sveglia improvvisa. «Be', che succede?» chiese con voce scorbutica.
La donna tirò su col naso e cercò di creare una certa suspense, come piaceva al suo capo. «C'è un altro corpo. Lo hanno trovato un paio di ragazzini di fronte al Joy's» sbottò infine.
Bastò quello, una singola informazione, e il detective della Omicidi saltò giù dal letto come un grillo. «La testa?» chiese ora più interessato.
«Mancante.»
Fisher chiuse gli occhi e inspirò, segretamente contento. Era il suo primo serial killer dopo mesi. «Mars, avverti Brizzi che sto arrivando» disse un po' troppo euforico per poi riattaccare con già i pantaloni in mano.


Era una tranquilla notte di febbraio, lì a Perrine, in Florida. Gli alberi lungo i viali scuotevano i loro rami seguendo le correnti d'aria, gli uccellini dormivano beati nei loro nidi e la luna splendeva mostrando a tutti la sua bellezza. Ma la tranquillità è fatta per essere spezzata.
«Figlio di puttana!» Inutile quasi dire da quale bocca era fuoriuscito quel “complimento”. Steso a terra, Dean gettò in direzione di Sam una lunga spranga di ferro, racimolata lì da qualche parte nella stanza. Il fratello l'afferrò al volo e lui ne approfittò per darsi una spinta per rialzarsi. «Colpiscilo, Sam!» urlò proteggendo con un braccio le due ragazze terrorizzate. Vide Sam accennare ad un passo, ma quel fottuto fantasma dall'aria famigliare fece una faccia imbronciata accompagnata da una risata sinistra. Subito dopo, il suo fratellino galleggiava a testa in giù a pochi centimetri dal soffitto e la spranga fluttuava come lui, ma un po' più distante.
Catherine sentiva l'adrenalina correrle per tutto il corpo e – come faceva ogni volta che si trovava in una situazione simile a quella – agì d'istinto. Si sfilò l'anello a forma di corvo che amava tanto e pregò che il fantasma non si accorgesse del suo gesto.
In un lampo, lo spirito svanì come fumo e Sam precipitò al suolo mancando di poco lo spigolo della scrivania invasa da ritagli di giornale.
«Cosa...?» Dean corrugò la fronte e osservò la piccola Catherine correre verso la parete opposta e prendere qualcosa da terra.
«Ferro!» disse lei soddisfatta mentre Sam, rosso come un peperone, si rialzava a fatica.
Tutti rimasero di sasso. Un anello. Salvati da un anello.
«Fuori di qui: potrebbe tornare da un momento all'altro!» fece Dean, tirando su per una manica il fratello e trascinandolo verso la porta.
«Non vi sembrava famigliare, quello spirito?» chiese Sam una volta che il mondo intorno a lui smise di roteare.
«Eccome!» Silvia riusciva a stento a tenere il passo dei due cacciatori e quello di Catherine, ora diretti alla macchina. Si strinse la felpa addosso, come per tenersi tutto per sé il calore che lei stessa sprigionava. «Ma non penso che qualcuno di noi si sia messo a dire tre volte di seguito il nome di Beetlejuice!»

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[1] T.A.R.D.I.S. = Time And Relative Dimension In Space

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Capitolo 5
*** Sullivan e Tolentino, agenti ...sopravvissuti ***


Capitolo 5
Sullivan e Tolentino, agenti ...sopravvissuti


Paul Fisher rimase qualche minuto seduto a riflettere. I fari della macchina li aveva spenti appena arrivato sul luogo del ritrovamento del cadavere e l'agente Mars lo aveva notato, ma non si scompose di un millimetro. «Brutto figlio di puttana, prima o poi ti prenderò» borbottò con lo sguardo fisso sul corpo del povero disgraziato di turno a cui era stata recisa la testa.
Quando Paul si decise ad aprire la portiera dell'auto, Brizzi saltellò come solo un nerd può fare. «Signore! Signore!» si sentì chiamare dal ragazzo. Per la prima volta nella sua carriera, lo ignorò, sapendo che avrebbe fatto certamente un riferimento ad un qualche film o magari ad un libro o ad una serie tv o ad una qualsiasi altra cosa di cui i nerd vanno pazzi.
Brizzi gli sorrise indicandogli il corpo esanime della vittima. «Ha visto che roba, signore?» gli chiese, mettendosi a posto gli occhiali dalla montatura semplice e lineare.
Come pervaso da un senso di nausea, Paul si mise la mano a pugno sulla bocca e cercò di distrarsi con la nuova gonna della Mars. Parecchie strane fantasie cominciarono a farsi strada nella sua mente, ma Brizzi continuava a parlare e a parlare e a parlare... Poi gli fece una domanda.
«...l'ha mai visto?»
«Eh? Cosa? Scusa mi... Mi sono un tantino distratto» farfugliò Paul distogliendo lo sguardo dalle gambe affusolate dell'agente Mars.
«Sì, be', credo l'abbiano notata tutti.»
«Caspita, Britz, non sai cosa le far-» disse, ma si interruppe, notando che il collega stava già scarabocchiando qualcosa sul suo taccuino da medico legale. «Cos'è che dicevi prima?»
Indispettito, Brizzi fece finta di prendere nuovi appunti sullo stato della vittima, ignorando il suo capo.
«Brizzi.»
«Il Cavaliere senza testa» disse, tenendo gli occhi sul taccuino.
«Che?»
«Sleepy Hollow!» chiarì, guardandolo obliquo.
Paul rimase a fissarlo con la bocca contorta e gli occhi talmente fuori dalle orbite che sembravano voler scappare da un momento all'altro. «Sleepy-Cosa?» chiese nuovamente.
«Oh, no, signore, non mi dica che non ha mai visto quel capolavoro!» Brizzi si sentì quasi trattato male.
«Ma di cosa stai parlando?»
«Il Mistero di Sleepy Hollow, Tim Burton, 1999, basato su un racconto di Washington Irving. Johnny Depp, Christina Ricci, musica di Danny Elfman... Tutte queste cose non le dicono nulla?»
Paul guardò prima il medico legale, poi il cadavere, poi ancora Brizzi. Un nerd coi fiocchi, altroché, pensò. «Intendi... Quel film in cui una certa strega obbliga un fantasma ad uccidere, facendogli tagliare la testa a quei poveretti?»
«Esatto, signore!» rispose Brizzi un po' troppo su di giri.
«Mhm.» Il detective spostò di nuovo lo sguardo sul cadavere, ora attorniato da vari Cervelloni del Sangue che imbustavano e catalogavano ogni piccola possibile traccia che trovavano. «Britz, sai che ti dico?»
Il medico legale rimase a gongolare come un bambino, aspettandosi un complimento da parte del suo capo.
«Devi trovarti una ragazza» fu la risposta secca di Paul. Poi se ne andò verso i Cervelloni, piantandolo in asso senza nemmeno chiedergli se ci fossero novità.


«Rallenta!»
Gira di qua, gira di là, Dean andava a tutta birra, ma non perché avesse paura per lui o per suo fratello. Non gli andava mai giù che qualcun altro oltre a loro due andasse nei casini per un fantasma a cui piaceva prendersi gioco di due cacciatori. «Non posso rallentare, devo portarvi lontane da qui!»
«Ho detto rallenta o ti lascio un ricordino sulla tua amata Baby!» urlò Catherine a denti stretti.
Dean spalancò gli occhi e tirò subito il freno a mano; Sam quasi si spiaccicò sul cruscotto e, mentre Catherine si precipitava fuori dall'abitacolo, Silvia cercò di riprendere una postura normale sul suo sedile, dato che era tutta accartocciata sul tappetino. «Non. La mia. Auto» ansimò Dean.
«Dean?» lo chiamò il fratello. «Magari la prossima volta usi il pedale del freno, eh?»
Quello fece spallucce. «Non mi piace quando minacciano la mia Piccola» si scusò accarezzando il volante dell'auto.
Stettero tutti in silenzio, ad ascoltare i grilli che, con la luce dei fanali anteriori, cominciavano ad avvicinarsi cautamente. Catherine rientrò finalmente in auto e chiese uno scambio tra Sam e Dean. Quest'ultimo, un po' riluttante, cedette il posto al fratello e, appena si fu seduto al posto del passeggero, accese la radio, ora sintonizzata su un giornale-radio locale: «...un probabile serial killer. Quella ritrovata davanti al locale che va di moda tra i giovani è probabilmente la sua terza vittima. La polizia non ha rilasciato nessun'altra dichiarazione, al momento, ma possiamo certo dire che Perrine non è al sicuro e che gli affari al Joy's caleranno drasticamente. Qui è tutto, a voi la linea.»
Dean spense la radio.
«Cosa... Cosa diamine sta succedendo a questa città?» chiese Sam quasi senza voce, forse per non farsi sentire preoccupato alle orecchie delle due ragazze.
«Non ne ho idea, Sam. So solo che dobbiamo andare a controllare. Catherine, Silvia: dove possiamo lasciarvi?» Dean si girò e il suo sopracciglio sinistro si alzò come telecomandato alla vista delle due ragazze sorridenti. «No, scordatevelo» disse serio. «Non ho intenzione di portarvi dietro, assolutamente!»
Allora Catherine espose il labbro inferiore e unì le mani come in preghiera; Silvia, invece, imitò gli occhioni dolci del Gatto con gli stivali.
«Non... Non mi... Non... Sammy, aiutami» chiese, guardandolo.
Sam guardò le ragazze dallo specchietto retrovisore. Riuscì a vedere a malapena gli occhi di entrambe, scuri come non ne aveva mai visti. Gli sorridevano speranzose. Dovette ammetterlo, lo incuriosivano molto e probabilmente sarebbe stato utile avere un paio di cervelli in più. «E se quel fantasma dovesse tornare da loro?»
«Avanti, hai visto che bel lancio ha fatto Catherine col suo anello, dai, se la caveranno! E poi sono sicuro che ce l'aveva con noi due.»
Sam ricordò in che modo si sentì quando aveva avvertito quel rumore strano provenire dalla mente di Silvia e decise inconsciamente che, sì, probabilmente sarebbero state più al sicuro lontane da tutti quei pasticci in cui si stavano cacciando loro, ma... E se poi fossero sparite nel nulla? Lui doveva sapere. «Hai ragione. Ma vengono lo stesso con noi» dichiarò Sam e, subito dopo aver controllato dallo specchietto, partì in sgommata verso il Joy's, in cui erano stati il giorno prima per una birra. «Ragazze, una di voi dovrebbe avere ai propri piedi una sacca da viaggio. Dentro ci sono dei completi da... Be', sapete già che tipo di completo useremo una volta arrivati... Potreste tirarceli fuori, per favore?»


«Signore, arrivano i Pinguini» sussurrò Brizzi accorso appena in tempo dal suo capo per avvertirlo. Gli piaceva chiamarli così perché avevano proprio l'aria di pinguini, tutti ingessati com'erano sempre i Federali.
«Porca putt- 'Sera, agenti!» disse prima in un sussurro per poi alzare la voce in un tono di saluto il più cordiale possibile.
I due tirarono fuori i loro distintivi, ovviamente falsi, e si presentarono. «Agenti Sullivan e Tolentino. Cos'è successo?» chiese il più basso dei due.
Fisher buttò un occhio alle loro spalle. Vi erano due ragazze intorno ai vent'anni, dall'aria impaurita ma anche molto determinata a restare lì. Le indicò chiedendo spiegazioni.
«Oh...» fece il più alto. «Loro sono...»
«In custodia. Le stavamo portando al dipartimento per interrogarle. Sono delle testimoni» si affrettò a dire l'altro.
Le ragazze, le quali erano proprio Catherine e Silvia, si guardarono per un sol frangente e pensarono esattamente la stessa identica cosa. Sì, be', oltre a Ottima scusa, evvai, Dean è geniale, pensarono: Sullivan e Tolentino? Quelli dei Survivor?
Fisher sbuffò, non troppo contento di veder coinvolti i Federali in un suo caso. «Pensiamo sia un serial killer, dato che è già la terza vittima che troviamo in queste condizioni.» Indicò il cadavere accasciato sulla strada con un gesto disinvolto del capo. «Testa recisa, di netto, come se il lavoro fosse di un professionista.»
«Mhm» fece Dean notando alcuni segni strani sull'asfalto. «Vado a dare un'occhiata, le dispiace? Nel frattempo, il mio collega le farà qualche altra domanda.» Senza aspettare alcuna risposta dal suo interlocutore, Dean si incamminò verso il mucchietto di persone che stavano esaminando la vittima. Poi si voltò a squadrare le due ragazze. «Tu...» disse indicando Catherine. «Mi sembri la più attenta ai dettagli. Vieni con me.»
E così, mentre Sam e Silvia ascoltavano con calma ciò che aveva da dire loro il detective della Omicidi, Dean e Catherine osservavano attentamente vittima e scena del delitto.
«Il taglio netto fa pensare ad una qualche lama lunga e affilata, forse un machete o un'ascia» disse Dean.
Catherine confermò annuendo e guardando di sottecchi il collo della vittima, troppo disgustata per approfondire l'argomento.
«Odore di ozono... Segni di zoccoli che spariscono nel nulla...» elencò il biondino rialzandosi da terra.
«Segni di zoccoli, hai detto?» Catherine lo fissò come se avesse detto di avere un terzo braccio che gli sbucava dalla schiena.
«Salve, gente!» sussurrò Silvia avvicinandosi al cacciatore e all'amica. «Wow, che schifo!» esclamò poi. In effetti, il corpo della vittima non aveva un bell'aspetto con tutto quel sangue che gli era colato dalla ferita, ma le bastò una semplice occhiata per dire ciò che nessuno – o giù di lì – aveva ancora affermato: «Uomo, tra i trenta e i quarant'anni, razza caucasica.»
«Che?» fece Dean, guardandola male.
«Guarda troppa televisione» disse subito Catherine.
Silvia studiava ancora il cadavere. La vertebra cervicale recisa era lì in bella mostra e, guardandola più da vicino, notò il taglio netto che aveva causato la decapitazione: scartò automaticamente una qualsiasi sega, dato che quest'ultima avrebbe causato dei piccoli archetti lungo il taglio. «Bones, mia cara Bones»[1] fantasticò lei con un leggero sorriso che le illuminava il volto.
«Dite che è stato lo stesso tipo che abbiamo visto in motel?» chiese ingenuamente Sam.
«COSA?» sbraitò Dean indispettito. «Fratellino, non farmi questo!»
A quel punto, Sam si sentì come schiacciato da come lo stava guardando Dean. «Ho detto qualcosa che non dovevo dire?»
«Per anni non abbiamo guardato nessun altro film che non fosse di Tim Burton e ora tu ripaghi le mie fatiche in questo modo?» Dean aveva dati a sufficienza per poter finalmente dire ciò a cui stava pensando anche Catherine. Ma non ancora. «Sam, sai chi è Beetlejuice, vero?»
Domanda retorica. Certo che sapeva chi era. «Sì, ma cosa c'entra con questo caso?»
«E ricordi Sleepy Hollow?» gli chiese il fratello.
Il minore dei Winchester sembrò non afferrare il messaggio di Dean. Poi, d'un tratto, con l'aiuto di Catherine che gli indicava gli zoccoli che si perdevano nel nulla, capì. «Ma sono personaggi di film! È impossibile!» sussurrò avvicinandosi al fratello sogghignante.
«Lo so!» disse euforico.
«Quindi...» Silvia si intromise nella loro discussione senza farsi alcun problema. «Non è un Trickster...»
Sam e Dean ci pensarono su. «Probabilmente, no» dissero insieme.
«In più, la caccia si fa sempre più difficile. Ora andiamo: mi sembra che Fisher stia cominciando ad innervosirsi» proseguì Sam.


Catherine rimase allibita. «In pratica, ci state dicendo che non avete nessuna idea di che tipo di mostro ci sia dietro a tutto questo?»
Amareggiato, Dean guidava a denti stretti, guardando ora la strada ora le stelle.
«Già» rispose per lui Sam.
«E a chi possiamo chiedere aiuto?» Silvia guardava anch'essa le stelle, pensando a quanto fossero simili a quelle che amava guardare dalla finestra di casa sua.
Proseguì un lungo silenzio, spezzato solo dal rumore dell'aria di Perrine che filtrava attraverso il finestrino del guidatore aperto solo di qualche centimetro. Un silenzio che Silvia odiò e che non vedeva l'ora di riempire con qualsiasi cosa. «Sullivan? Tolentino?» chiese sempre guardando nel buio.
«Mhm?» grugnì Dean.
«Vi va di cantare?»
Catherine ridacchiò, consapevole di quanto quella canzone piacesse sia a Dean che a Silvia.
Sam cominciò ad imitare l'intro della canzone battendo le mani sulle cosce; Catherine si dedicò alle percussioni e poi cantarono tutti in coro:
«Rising up, back on the street
Did my time, took my chances
Went the distance, now I'm back on my feet
Just a man and his will to survive...»[2]

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[1] Bones è il soprannome di Temperance Brennan, personaggio principale della serie televisiva americana Bones, la quale è un'antropologa forense.


[2] Si tratta della prima strofa della canzone Eye Of The Tiger dei Survivor; vedi la 4x06 di Supernatural (Febbre da fantasma – Yellow fever). Sullivan e Tolentino sono i cognomi di due componenti del gruppo.

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Capitolo 6
*** Forti di fronte ai più piccoli ***


Capitolo 6
Forti di fronte ai più piccoli


Per quella notte, i quattro avventurieri dell'impossibile decisero di provare a tornare al motel in cui poco prima erano stati attaccati dal fantasma più famoso della tv. Dean parcheggiò proprio davanti alla finestra della loro camera. «Sembrerebbe tutto tranquillo» disse uscendo dalla macchina.
«Già, come se quel fantasma ce l'avesse solamente con noi» confermò subito Sam.
I grilli continuavano a cantare, inconsapevoli dei fatti da poco accaduti. Tre ritrovamenti di cadaveri senza testa, un fantasma che amava prendersi gioco di due cacciatori, due ragazze catapultate all'improvviso da un universo all'altro... Insomma, cose che accadono tutti i giorni.
«Faremo i turni o...?» Silvia era appena entrata nella camera. Si sfilò di dosso la felpa. Soffriva terribilmente il caldo e quella notte, sebbene fosse marzo, sembrava di essere ai tropici.
«N'ah» rispose Dean. Notò un'altra volta la maglia di Silvia e preferì voltarsi. «Non avete altro da mettervi? Insomma, Catherine ha una maglietta bellissima, ma tu...»
«Che c'è di male? In fondo è solo una maglia!» Silvia cercò l'aiuto di Catherine, la quale avrebbe voluto prendere le sue difese dicendo che Mark Sheppard ha il suo perché, ma fu interrotta da una maglietta volante che colpì Silvia in pieno volto.
«Quella dovrebbe andarti bene» disse Dean, svuotando la sua sacca da viaggio per tirar fuori una seconda maglietta.
«M-ma... No, aspetta, ho delle cose comprate durante i viaggi col Dottore. Fammi solo ricordare dove ho messo lo zaino» disse guardandosi intorno mentre Dean e Sam, davanti ai loro occhi, si sfilavano come se nulla fosse le camicie immacolate per mettersi delle maglie per dormire.
«Quale zaino?» chiese Sam seduto sul letto e già con i capelli scompigliati. «Quando siete arrivate, eravate a mani vuote.»
Catherine e Silvia si guardarono negli occhi. Oh, no, pensarono entrambe.
«A quanto pare, il vostro amico non vi ha detto un bel po' di cose.» Dean stava porgendo un'altra maglia a Catherine. Magari anche lei avrebbe voluto indossare qualcosa di più comodo come una maglia di due taglie in più.
«Cosa vuoi dire?»
«Be', Catherine... Se non risponde al telefono, può anche darsi che sia impegnato, okay?»
«Mh-mh.»
«Ma perché si è tenuto i vostri zaini nel...»
«TARDIS» completò Sam.
«Giusto. Perché se li è tenuti?» chiese loro, passandosi la mano agli angoli della bocca.
«Non ne ho idea, Dean.»
Lui abbassò gli occhi e gli venne da increspare le labbra. Che razza di ipocrita, pensò nella speranza che il loro amico potesse in qualche modo avvertire quelle parole.
«Sapeva che vi avrebbe riviste, una volta finito con noi.» Sam si era alzato in piedi. Le sue sopracciglia erano nella loro classica forma da “cane bastonato”.
Catherine lasciò cadere la maglietta verde che le aveva dato Dean e guardò il pavimento con infinita tristezza e un vuoto immenso alla bocca dello stomaco. Avrebbe voluto dire qualcosa, difenderlo come faceva sempre, ma l'evidenza spiegata dal piccolo Winchester metteva in dubbio qualsiasi sorriso o parola del Dottore. «Perché?» chiese più a se stessa che ai presenti nella stanza. Una lacrima stava per scenderle dalla guancia, quando un tonfo la fece tornare alla realtà. Si girò e vide la tenda della finestra accanto all'ingresso svolazzare come se qualcuno fosse uscito di corsa dalla camera. Non vedeva più Silvia.


«Imperdonabile.»
«Concordo con te, Mars.»
«Come fa un essere umano a fare una cosa del genere?»
«I serial killer non sono altro che mostri, feccia.»
L'agente Mars guardò il suo capo con occhi diversi. Di solito si limitava a digrignare i denti e a muoversi divertito tra la sua squadra perché amava dare la caccia ai criminali, ma quel caso lo aveva del tutto sconvolto. Lo osservò dirigersi a passi pesanti verso Brizzi; lei, invece, continuò a tener lontani i curiosi, dando così una mano ai suoi colleghi.
A pochi passi dalla massa di gente che si accalcava per rubare anche solo un misero scatto di ciò che stava succedendo nella tranquilla Perrine, girato l'angolo di un'auto dall'aria trasandata, un piccolo coniglio bianco teneva tra i lunghi denti incisivi un orologio da taschino e lo mordicchiava nervoso.


«Ehi.»
Silvia rimase con lo sguardo fisso di fronte a sé.
«Ehi, tutto bene?» ripeté Dean. Era corso fuori subito dopo di lei. Confortare le persone non era il suo forte, quello era un lavoro in cui suo fratello dava sempre il meglio di sé, mentre lui... Lui se la cavava meglio con le pistole. Infatti, non seppe mai spiegarsi perché corse lui fuori da Silvia anziché lasciare il posto a Sam.
«Lo odio» le uscì di bocca quasi involontariamente, la voce che le tremava. «Ci ha sempre mentito.»
«Lo facciamo un po' tutti» sospirò Dean, affiancandola. La vide a pochi centimetri dal cofano della sua auto, con le braccia incrociate sul petto e l'aria ammattita. Merda, sta piangendo, pensò.
«Tu e Sam siete degli artisti, in quanto a menzogne» scherzò lei.
Dean ripensò agli ultimi avvenimenti della sua vita: aveva cominciato a mentire sin da quando aveva quattro anni e, con lui, anche suo padre e suo fratello. «Touché.»
«Ma quello che mi fa star male di più sono le stelle.» Silvia alzò gli occhi al cielo, così limpido e fresco che avrebbe voluto tendere una mano e sfiorare la fettina di luna che le sembrava sorridesse maligna.
«Le stelle?»
«Sì.» Sentì Dean che le si fece più vicino. Aveva abbassato il tono di voce, forse per non farla tremare troppo. Era così abituata a non mostrarsi debole di fronte a Catherine, che si dimenticò di avere a che fare con una sua copia maschile di un altro universo. Con la coda dell'occhio vide lui che si lasciava andare di peso sulla sua auto e lo imitò, ma con cautela.
«Cos'hanno, le stelle, che ti fanno star male?» le chiese, guardando anch'egli il cielo bucherellato di piccole luci tremolanti.
Silvia lanciò un gesto distratto al cielo. «Amo guardare le stelle dalla finestra di camera mia sin da quando ero piccola.» Si prese una pausa, come per cercare le parole giuste. «Le trovo magnifiche e misteriose. Brillano per noi, lo fanno anche per centinaia di anni e poi, all'improvviso, decidono che sono vecchie. E si spengono. Ma non spariscono. Restano lì, a guardarci. Come piccoli suggeritori sopra un palco di migliaia di attori alle prime armi e gli dicono di darsi forza, di brillare meglio degli altri, meglio di come hanno fatto loro.»
Dean staccò gli occhi dal cielo e si sorprese a fissarla con la bocca aperta. Dopo qualche istante si ritrovò con gli occhi di Silvia a poco dai suoi.
«Scusa» gli disse. «Sto divagando.» Girò lo sguardo di nuovo in direzione dell'universo. «Quello che voglio dire è che...»
«Sono bellissime.» Dean si passò una mano sui jeans, forse per scaricare una tensione che lui stesso definì piuttosto ridicola.
Lei sorrise sommessamente ed emise un piccolo sbuffo. «Già, proprio così.»
Ed eccola lì, di fianco alla sua cotta adolescenziale, a contemplare le stelle. Dio, quanto avrebbe voluto dire qualcosa di più sensato o, meglio ancora, girarsi e intrappolarlo in un bacio. Ma no, come poteva anche solo pensare una cosa del genere? Doveva mantenere il controllo, altrimenti sarebbe caduta in tentazione e chissà cosa sarebbe successo poi.
«Il fatto è che mia madre, quando ero piccola, mi diceva sempre che se ci fossimo perse di vista, avremmo dovuto fare una sola cosa: guardare le stelle. Diceva che loro erano le messaggere del cielo e che avrebbero portato i miei pensieri a lei e viceversa.» Sputò fuori tutto come se fosse stato il segreto più imbarazzante che avesse mai mantenuto. Poi cominciò a sentire gli occhi bruciare nuovamente e riempirsi di lacrime. «Ma non sempre è possibile» disse quasi singhiozzando.
Dean la guardò perplesso, un braccio sospeso nell'aria nel indecisione di abbracciarla o meno. Convenne che, per il momento, era meglio lasciar stare ogni contatto fisico. «Non capisco» ammise.
«Le stelle che sto guardando io, quelle a cui sto lanciando il mio grido disperato...» biascicò Silvia, tirando su col naso. «Queste non sono le stesse stelle che sta ascoltando mia madre.»
«Oh» si limitò a dire Dean. I suoi occhi verdi rispecchiarono la figura della luna per poi tornare a posarsi su Silvia. Il suo profilo era molto strano, con quel collo del naso estremamente concavo e la montatura degli occhiali che facevano sembrare i suoi occhi molto più piccoli di com'erano in realtà. «Mi dispiace» le disse in tono grave.
Quello che accadde subito dopo, Dean non poté nemmeno prevederlo. Silvia lo aveva ingabbiato in uno stretto abbraccio, cosa che lui tollerava solo in pochi casi, tra cui Garth. Ma nonostante volesse alzare gli occhi al cielo e pregare che si staccasse subito, appoggiò le calde mani sulla schiena di Silvia e la dondolò dolcemente mentre lei gli riempiva la maglia di lacrime salate.
«Non dirlo a Cathy» gli sussurrò all'orecchio. «Non dirle che ho pianto.»

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Capitolo 7
*** Prime luci di due giorni lontani ***


Capitolo 7
Prime luci di due giorni lontani


«Ahiel...» La voce nella sua testa era poco più che un sussurro. Un po' ovattata, come se ci fosse stata una qualche interferenza. «Ahiel, ahiuaui...» Se non fosse stato per la sua estrema sicurezza, avrebbe pensato che stesse sognando.
«Asiel!» sembrò urlare la voce. «Faello!» Chiuse gli occhi per concentrarsi meglio. Vide un uomo accasciato a terra. Indossava un giubbetto o una giacca che dava sul verde militare. O era grigio topo? I capelli gli andavano negli occhi, così tristi che sembravano parlare per lui stesso. «Pe aore...» L'uomo gli tese una mano, ma lui rimase lì fermo dov'era. Mise meglio a fuoco la scena e, insieme ad essa, anche la voce diventò più comprensibile. «Assiel... Casiel... Castiel! Per favore!»
La notte fredda intorno a lui tornò a fargli compagnia all'istante. Aveva spalancato gli occhi e le sue iridi blu oltremare fissarono l'orizzonte calmo aldilà delle colline. Guardando meglio, notò che non era notte. Era l'alba, poiché una sottile striscia di cielo stava colorandosi di arancione misto a viola. Castiel rifletté sul fatto che gli angeli non potessero assopirsi, di tanto in tanto. Dopotutto, quello sembrava un dannato incubo. Suo fratello maggiore che lo chiamava a gran voce, supplicandogli di aiutarlo. Scrollò le spalle, sperando di levarsi di dosso anche il dolore causato dall'illusione che quel golosone e casinista di suo fratello fosse in qualche modo ancora vivo.
Aveva salvato la vita ai Winchester, affrontando Lucifero. Sicuramente, pensò Castiel, aveva anche provato ad ingannarlo, ma nonostante i suoi sforzi non era uscito vittorioso da quel dannato albergo a quattro stelle immerso nel nulla.
«Fratello...» Castiel si voltò di scatto e vide Gabriele a pochi passi da lui. Lo fissava con occhi teneri ed orgogliosi.
«Tu sei morto» sentenziò serio Castiel. Occhi teneri ed orgogliosi? Non poteva essere Gabriele...
L'arcangelo roteò gli occhi, ma continuò a sorridere. «Spunto fuori all'improvviso e l'unica cosa che lui sa fare è ricordarmi che sono morto!» I suoi occhi tornarono a posarsi su Castiel. Oh, quante gliene aveva fatte passare, lassù, a Casa. Ma non gli importava, perché amava terribilmente quel frugoletto dalle ali nere. «Anche io pensavo di essere morto, ma eccomi qui!» Piroettò su una gamba come se fosse stato un ballerino provetto.
«Non è possibile, lo sai anche tu.»
«Perché? Perché ti ostini a non credermi?»
Castiel gli voltò le spalle. Preferiva continuare a guardare l'orizzonte che piano piano si apriva ad una nuova giornata. Un uccellino cinguettò su un ramo mentre una farfalla svolazzò incerta verso un fiore. «Perché sto sognando. E tu non sei Gabriele.»
L'altro sorrise. Ma non era più un'espressione serena e felice, questa volta. Era l'espressione di una persona orgogliosa delle sue azioni e allo stesso tempo sorpresa di essere stata smascherata dal più tonto dei tonti. «Sei diventato bravo, devo ammetterlo. E credo sia merito dei Winchester.» Gli occhi di Gabriele si animarono di una luce strana, diversa. Da quel meraviglioso colore ambiguo, che dall'oro si tramutava in una tonalità di smeraldo incredibilmente calda, diventarono sempre più freddi e glaciali, come l'acqua di un lago in inverno, grazie a quel loro colorito vagamente grigio.
Castiel continuò a fissare l'alba, le mani unite dietro la schiena e la leggera brezza che gli scompigliava la chioma nera già di suo arruffata. In silenzio, allungò una mano davanti a sé ed un'ape gli si posò sull'indice. I suoi peli neri e gialli sembravano ballare in base ai movimenti che faceva. Si stava riposando le ali, estremamente sottili e fragili e gli zampettava tranquilla tra un dito e l'altro della sua mano.
Lucifero, annoiato, alzò gli occhi al cielo e sbuffò: «Con Sam era più divertente.»


«...m-morto... morto!»
Meg lasciò cadere la rivista che stava leggendo e scattò dalla sedia. Senza pensare che il suo fosse un comportamento abbastanza strano, per un demone come lei, accorse subito accanto al letto di Castiel. «Come dici, Clarence?» gli chiese, ma non ottenne risposta. Parlava nel sonno, forse avrebbe detto qualche strampalata come al solito. Fece per tornarsene alla sua consueta postazione – sulla sedia, vicino alla finestra – quando Castiel biascicò un nome. Gabriele. Convinta che non fosse del tutto normale, decise di chiamare i Winchester.


Con gli occhi ancora pesti e uno sbadiglio dopo l'altro, Catherine e Silvia si erano rimesse le loro magliette e ora viaggiavano sui sedili posteriori della Chevy Impala più bella che avessero mai visto. Era quasi l'alba; Catherine poteva infatti vedere una sottile striscia di cielo color violaceo che sembrava voler scoprire la città dal telo della notte.
«Scusate, ma non ho capito dove stiamo andando» disse Silvia ad occhi chiusi.
Dean accelerò e piantò meglio le mani sul volante. «Da Meg» rispose.
Le due ragazze spalancarono gli occhi. «Chi?!» chiesero all'unisono.
«Meg ci ha chiamati perché Castiel ha gli incubi o qualcosa del genere.» Sam guardava attento la strada, nel caso Dean non percepisse in tempo i possibili pericoli, e non gli fu necessario guardare il riflesso delle due ragazze dal suo specchietto di lato per capire che rimasero di ghiaccio di fronte a quel nome. «Tranquille, Meg lo sta... sorvegliando. Le abbiamo detto di contattarci non appena si fosse svegliato, ma ha pensato che anche il biascicare nel sonno potesse rivelarsi utile.»
«Biascicare nel sonno?» chiese Silvia. «Ero convinta che gli angeli non dormissero.»
«Infatti» intervenne Dean. «Ma siamo arrivati al punto in cui è Castiel quello tormentato e messo al tappeto a causa di Lucifero.»
Dal finestrino posteriore entrò un'improvvisa raffica di vento gelido che fece rabbrividire Catherine. Aggrottò le sopracciglia e mostrò sette dita a Silvia, la quale annuì e mimò un mostro marino col braccio. Leviatani, voleva dire. Catherine non poté fare altro che mollare la testa all'indietro in segno di resa, mentre Silvia cercava di farle ritrovare la voglia di combattere punzecchiandole la gamba.
«Quindi qual è il piano? Parlare con Castiel?»
«No, Silvia, sarebbe una conversazione a senso unico» disse Sam, buttando ripetutamente all'indietro una ciocca di capelli che non voleva stare al suo posto.
Catherine scattò sul sedile, proprio come una molla, intuendo il seguito di tutto quel casino. «Oh, no, il tè giallo!»
«Fermi, fermi, fermi» intervenne Silvia, ponendo le mani davanti a sé. «Io quella roba schifosa non la bevo!» esclamò e poi sia lei che Catherine fecero entrambe una faccia più disgustata dell'altra al solo pensiero di dover bere un capello del tramite di Castiel. Siamo seri: Jimmy Novak – o Misha Collins, fate voi – è una gran bella creatura[1], ma non penso che qualcuno di noi farebbe a botte pur di bere un suo capello.
Dean non poteva credere che anche quel particolare della loro vita fosse giunto fino ad un altro universo. In fondo era una cosa di poco conto, no?
No. Nulla lo è. Mai. Be', poi vedrete.
«Veramente, il piano non era questo» riprese Dean.
Il minore dei Winchester abbassò gli occhi. Ne aveva parlato molto, con il fratello – prima di entrare di fretta e furia in macchina – e non era affatto d'accordo con lui, ma che possibilità avevano? «Quello che vuole dire Dean è che...» cominciò Sam mentre avvertiva lo sguardo di due paia di occhi addosso a lui. Si sentì tremendamente in colpa e sperò che le due ragazze accettassero subito, senza troppe complicazioni. «La sua idea era di usare voi.»
Catherine e Silvia si scambiarono un'occhiata che voleva dire tutto ma anche niente. «Spiegatevi meglio» ordinò la seconda.
Dean increspò le labbra, che si umettò, e schiacciò ancor di più sull'acceleratore.
Sam, quindi, fu costretto a parlare per lui, come sempre quando si trattava di dire cose “delicate” a delle ragazze. «Dean mi ha detto che tu, Silvia, gli hai raccontato di essere una wiccan. E che Catherine è una sensitiva» disse cautamente. Ripensò a quello che era successo appena conobbe le due ragazze e cercò di essere più chiaro: «Speravamo poteste fare la stessa cosa – o simile – che avete fatto con noi la notte scorsa.»
Con un nodo in gola, Silvia cercò di scacciare l'imbarazzo e di non inceppare nelle parole come faceva di solito quando doveva dire qualcosa di importante. «Sì, è così, ma... Credo che ciò che ho fatto sia irripetibile» quasi sussurrò.
«Cosa?!» esclamarono insieme Sam e Dean.
«Già, cosa?!» fece eco Catherine, guardandola male.
Silvia abbassò gli occhi. Le venne da serrare la mascella, un gesto inconscio, caratteristica di lei. «I miei poteri si limitano a semplici incantesimi di magia bianca, rossa e verde. Non avevo mai sfiorato quel livello. È come se...» Guardò fuori dal finestrino, in silenzio, come per cercare le parole giuste per ciò che voleva esprimere. «È come se il passaggio da un universo all'altro avesse alterato la nostra natura. E non ho idea di come io sia riuscita a fare ciò che ho fatto prima» ammise, finalmente.
«Quindi...» Catherine staccò un secondo lo sguardo da Silvia per posarlo di nuovo su di lei appena ebbe capito cosa volesse dire l'amica «Contrariamente a ciò che pensavamo all'inizio, vuoi dire che siamo più potenti?»
«Credo sia così.»
«Perfetto!» esclamò Dean a gran voce. «Se siete più potenti, allora non avrete alcuna difficoltà a fare un salto nella testa di Castiel per capire cosa c'entra Gabriele!» Dean sorrise, un sorriso che voleva nascondere ansia e chissà cos'altro; allungò una mano verso la radio e Get Him Back di Fiona Apple cominciò a riempire di dolci note l'aria nell'abitacolo, mentre i cuori delle due povere ragazze per poco non smisero di battere nei loro petti.
E Silvia cominciò a capire cosa diavolo stesse accadendo.

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[1]
Se mi posso permettere: ASHDJKSDNCJDSSJCBNAVC
E ho detto tutto.

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Capitolo 8
*** (Will not let you go) let me go (never) ***


Capitolo 8
(Will not let you go) let me go (never)[1]

 

Catherine si risvegliò bruscamente, forse perché Dean aveva sterzato all'improvviso per evitare di schiacciare un povero riccio indifeso, fermo sul ciglio della strada. Addosso non aveva solo i suoi indumenti, ma anche una calda coperta che probabilmente i Winchester avevano recuperato dal bagagliaio della loro auto durante una qualche sosta in cui lei aveva continuato a dormire indisturbata.
«Buongiorno, sorellina» la salutò Silvia, già di buon umore.
Ma come fa? pensò Catherine, sorridendole. Quella ragazza riusciva a sorprenderla ogni giorno. Sin dai tempi dell'asilo dava segni di una certa stranezza e quel tratto di lei l'affascinava sempre. Ma ciò che la divertiva di più era che sembrava essere allegra tutto il tempo da quando apriva gli occhi al mattino a quando li chiudeva la sera. Arrivava all'asilo piena di energie e con un sorriso più luminoso del sole. Era raro che facesse i capricci e non si lamentava mai. Ed è per queste ed altre sue caratteristiche così particolari – simili alle sue, per di più – che Catherine fu sempre spinta a restarle accanto: il bene che legava le due ragazze era senza alcun dubbio qualcosa di indescrivibile.
«Quanto manca?» chiese Silvia, stropicciandosi gli occhi. Non era quel tipo di persona che, durante un viaggio, non fa che lamentarsi della durata dello stesso, ma aveva perso il conto delle ore durante le quali era riuscita ad addormentarsi e ora non riusciva ad orientarsi.
Dean vide in lontananza un cartello stradale. «Non molto, tranquilla» le disse. Ma c'era poco da star tranquilli. E se i sogni di Castiel fossero stati solo sogni? Se non fossero c'entrati nulla con Gabriele e fossero solo l'ennesimo tranello di Lucifero? Quanto avrebbe pagato per prendere a pugni quel bastardo. Lo rincuorò solo il fatto che mancassero appena sessanta chilometri per raggiungere l'ospedale in cui vi era Castiel.
Poi, mentre le due ragazze si riprendevano dal sonno scomodo, Sam continuava a ronfare beato e Dean guidava, succese qualcosa che ai componenti – svegli – dell'allegra compagnola sembrò solo una piccolezza: la radio gracchiò e, con lei, anche la voce di Don McLean mentre American Pie si mischiava ad Elastic Heart di Sia. Lì per lì, Dean diede qualche colpetto al cruscotto, mentre le ragazze sembravano non prestare molta attenzione alla scena. È incredibile quanto l'essere umano possa essere cieco di fronte a delle cose del genere.
Ovviamente, non sapevano nulla della grotta ben nascosta nel bosco lì vicino. All'interno di essa, vi si nascondeva un uomo troppo debole per uscire dal suo rifugio. «Ho a che fare con degli idioti» rantolò senza fiato. Poi si distese sulla schiena e tornò a dormire nelle tenebre, con le gocce di umidità che precipitavano rumorosamente accanto a lui.


La Chevy Impala arrivò ruggente al parcheggio dell'ospedale e lì si fermò. Le quattro portiere sbatterono tutte insieme e due uomini dall'aria elegante accompagnarono due ragazze all'ingresso dell'edificio. I loro volti erano così tesi che anche l'aria attorno ad essi sembrava far concorrenza alle corde di un violino.
«Per di qua» disse Dean subito dopo aver presentato al banco informazioni del terzo piano dell'ospedale un documento falso in cui si spacciava per l'ennesimo agente federale. Fece strada assieme al fratello alle due ragazze e, quando arrivarono alla porta della camera di Castiel, esitò qualche istante con la mano ferma sul pomello. Fu Silvia a guidare Dean aprendogli la porta e lui sembrò esserle molto grato.
L'aria fresca della stanza investì i nuovi arrivati mentre Meg si precipitava da loro con un'espressione stranamente ansiosa. «Finalmente! Era ora!» esclamò, richiudendo la porta. «Non fa che ripetere quel nome, mi sta facendo innervosire!» disse poi, indicando Castiel. Subito dopo, lo sguardo le cadde alle spalle di Sam. Due ragazze se ne stavano lì impalate – forse spaventate, forse preoccupate come lei – con gli occhi fissi, puntati sull'angelo. «E loro due?»
Sam, ovviamente, non ebbe nemmeno alcun bisogno di voltarsi: ormai abituati alla presenza di Catherine e di Silvia, sia lui che Dean risposero con un: «Stanno con noi.»
Meg inclinò leggermente il capo. Le studiò bene e qualcosa le disse che erano a posto, ma preferì rimanere sulla difensiva. «Non mi piacciono» sentenziò e strisciò furtiva verso la porta mentre Catherine smise quasi di respirare dal nervoso.
«Io esco di scena per un po'» riprese Meg. «Il signor Sogninquieti è tutto vostro.» Dopodiché sbatté la porta e si allontanò per il corridoio silenzioso.


«Cathy, ho bisogno del tuo aiuto, da sola non ce la faccio.» Silvia se ne stava ai piedi del letto di Castiel, senza alcuna idea di cosa dovesse fare. I due Winchester avevano già tentato col piano A – provare a svegliare Castiel – ahimè senza successo e ora toccava a loro due. Ma non sapevano nemmeno da dove cominciare!
Dean depose una valigetta simile ad una ventiquattr'ore sul tavolino della camera e ne estrasse un computer portatile, che diede subito a Sam. Quest'ultimo si sedette su una sedia e cominciò a fare le solite ricerche mentre Catherine e Silvia si mettevano una di fronte all'altra, ognuna su un lato del letto. Le due ragazze unirono le loro mani a quelle di Castiel, inerme ad ogni stimolo.
«Qualsiasi cosa stia facendo... Sei pronta, sorellina?» chiese Silvia – Sam la sentì e gli scappò un sorriso – in un fascio di nervi. Sudava freddo, ma cercava di nasconderlo come sempre. Un comportamento che Dean non poté che riconoscere come suo.
«Ho qualche alternativa?» rispose Catherine, ma nè Sam nè Dean poterono udirla: senza accorgersi, erano appena entrate nella testa di Castiel.


«Trovato niente?» Dean lo domandò a Sam con un certo tono brusco. Porca miseria, erano di fretta e quelle due erano in una sorta di trance già da un bel po' di tempo. Eh, be', sì, punto tre: si stava annoiando. Buttò un occhio al di fuori della finestra e vide tanta di quella gente spensierata da fargli venire la pelle d'oca. Decise allora che era meglio lasciarsi quella triste visuale alle spalle.
«Solo che le vittime decapitate non avevano nulla in comune tra di loro. Niente di niente. Il cane con le viti nel collo che stavamo cercando è sparito e non c'è più stato alcun avvistamento nemmeno di quell'idiota di Beetlejuice» rispose Sam, richiudendo il computer. Com'era possibile una cosa simile? Di certo, poteva scartare i Levietani, Crowley e quell'alieno, amico di Catherine e Silvia, che si faceva chiamare Dottore. E, ovviamente, Gabriele.
Oppure no?
«Grandioso, ne sappiamo meno di prima...» brontolò Dean senza interrompere i pensieri di Sam. Quando i suoi occhi ricaddero sul fratello, lo vide più concentrato del solito e fissava il vuoto. «Sam?» lo chiamò. «Sammy?»
L'altro si ridestò così all'improvviso che Dean per poco non saltò in aria. «E se fosse tutta opera di Gabriele?» urlò.
Dean rimase in silenzio, con gli occhi spalancati e l'aria incredula. «Amico, sai che è morto, vero?» In un certo senso, odiò se stesso non appena pronunciò quelle parole.
Sam, ovviamente, non era stupido: sapeva che Gabriele era morto, ma non lo avevano visto con i loro occhi. Erano semplicemente fuggiti. Fuggiti con un DVD porno in cui l'arcangelo spiegava loro come inscatolare per bene il caro e vecchio Lucifero. Ma resta il fatto che non potevano essere sicuri della sua morte.
«Cerca di seguirmi, Dean» replicò Sam. «Gabriele riesce ad ingannare Lucifero usando i suoi soliti trucchetti; si scontrano; ne esce ferito; si trascina da qualche parte per rimettersi in sesto; ora sta abbastanza meglio da mandarci una specie di segnale e – bam – ecco che entrano in gioco Beetlejuice e compagnia bella!»
Confuso. Spiazzato. Senza parole. Ecco come si sentì Dean in quel momento. «Vuoi dire che... Mi stai dicendo che Gabriele...» balbettò. Inspirò e i polmoni faticarono a riempirsi; espirò e i polmoni gli dolerono. «Ma sei serio?!»
«Amico, sì!» esclamò Sam, stando attento a non alzare troppo la voce. «Quale altra creatura, se non un angelo o un Trickster, può combinare così tanti casini in una notte sola?»


«Ho qualche alternativa?»
Castiel udì la eco di quella domanda. Continuava a ripetersi, a ripetersi, a ripetersi... Credette che non volesse più smettere. Lasciò quindi perdere Lucifero e i suoi gusti musicali e si focalizzò sulla voce, cauto: poteva essere un altro di quei giochetti che piacevano tanto a suo fratello.
«Ho qualche alternativa?»
Ora gli sembrò di avvertire anche il respiro di chi pronunciava quella domanda. Somigliava quasi uno sbuffo, uno sbuffo di rassegnazione. Castiel strizzò gli occhi e cercò di ergere un muro tra egli e Lucifero e la cosa straordinaria fu che non ebbe alcuna difficoltà, nel farlo, forse perché chiunque lo stesse contattando lo stava anche aiutando.
Inavvertitamente, da che indossava quella specie di divisa bianca dell'ospedale, Castiel si ritrovò col suo bellissimo impermeabile e mano nella mano con due ragazze sconosciute. «Voi chi siete?» chiese loro con la sua solita serietà.
«Ohi! Ce l'abbiamo fatta!» urlò entusiasta Catherine.
Silvia le fece l'occhiolino per poi rivolgersi – finalmente – a Castiel. Era così alto e possente che dovette quasi abituarsi all'idea di averlo accanto. «È complicato da spiegare, ma siamo due amiche dei Winchester» disse con un leggero sorriso. Tuttavia, quando vide che Castiel la fissava senza capire, mise da parte la cortesia e la pazienza e andò dritta al dunque: «Cosa puoi dirci di Gabriele?»
Lui, a quel nome, reagì stringendo involontariamente le mani delle ragazze e solo in quell'istante si rese conto del buio totale che li circondava. Si sentì cedere le ginocchia: l'incubo non era ancora finito. «È morto» disse guardandosi le punte delle scarpe. «Circa due anni fa.[2]»
«Meg ci ha detto che hai parlato nel sonno. Cosa c'entrava Gabriele?» chiese Catherine.
Castiel la fissò senza dire una parola. «Ultimamente, sono successe parecchie cose strane e il tuo aiuto potrebbe rivelarsi molto utile!» si sentì dire dall'altra ragazza. Lui si voltò nella sua direzione, pensando che avesse altro da aggiungere. «Non capisco» disse infine.
«Castiel, c'è la possibilità che Gabriele sia riuscito ad ingannare Lucifero?» chiese Silvia a bruciapelo.
Catherine strabuzzò gli occhi. «Dici che...?» Rifletté un attimo e rimase sconvolta. «Potrebbe esserci lui dietro a Beetlejuice e a tutto il resto?» le chiese con gioia.
«Be'» disse l'altra. «Sappiamo che i Winchester non hanno le prove della sua morte, dato che lui e Lucifero erano da soli, quando... quando...» Accidenti, pensò Silvia. Perché il suo personaggio preferito di Supernatural doveva essere proprio Gabriele?
«Quando è successo, sì» intervenne Catherine, la sua ancora di salvezza.
Le due ragazze si scambiarono un'intensa occhiata e a Catherine sembrò di udire in lontananza la voce di Silvia che le diceva «Grazie».
Castiel, preso alla sprovvista, fece mente locale. Ma un altro pensiero continuava a tormentarlo. «Come siete riuscite ad entrare nella mia testa?»
«Cosa?» strillò Silvia.
«Castiel, è molto più importante capire bene se Gabriele può essere ancora vivo!»
«Perché, sapete, la magia nera è molto pericolosa e, se non si fa attenzione, potrebbe essere fatale» riprese l'angelo.
«Non so cos-»
«Avete fatto tutto bene?»
«Castiel...»
«Alcuni pensano che la radice di tè giallo possa essere sostituita dallo zenzero, ma non è affatto così!»
«Castiel!»
«E poi c'è il tempo di cottura, che deve essere di almeno quar-»
«CASTIEL!» Le due ragazze lo dissero insieme, quasi urlando, ma Catherine la sentì comunque. Una voce. Maschile, un po' rauca, estremamente familiare.
«Sì» disse l'angelo in impermeabile.
Silvia lo guardò storto. «Sì? Secondo te, potrebbe essere sopravvissuto?»
Castiel annuì scuro in volto.
Catherine cercò di scacciare quella strana voce dalla sua testa. «E come?» chiese mentre qualcuno cantava una strana canzone dal ritornello per nulla orecchiabile; una di quelle canzoni che ti fanno venire voglia di lanciare la radio fuori dall'auto:
«Cinque oche andavano a spasso tutte quante in fila indiana, attraversavano la campagna e passavano per la città!»[3]
«Potrebbe aver inscenato la sua morte, rimanendo – tuttavia – gravemente ferito.» Già, pensò l'angelo, può aver cosultato gli Angeli Perduti quando era ancora molto giovane. Castiel, poi, parve improvvisamente turbato, così come Catherine, e ora anche Silvia poteva udire forte e chiara quella voce.
«Oh, no» mugolò Castiel.
E lui cantava, cantava...

«I see a little silhouetto of a man
Scaramouch, scaramouch, will you do the fandango?
Thunderbolt and lightning very very frightening me
Gallileo, gallileo, gallileo, gallileo,
Gallileo, figaro, magnifico-oh-oh-oh!»[4]

Aveva cambiato canzone, fortunatamente, ma a Castiel importava ben poco. Ne era quasi terrorizzato, sapeva cosa sarebbe potuto succedere di lì a breve.
«Cathy, è... T-Tony Stark?»
Catherine tese l'orecchio. «» disse. «È Angelo Maggi![5]»
«Lucifero?!» Ora sì che Silvia era veramente terrorizzata.
Poi le due ragazze non ebbero nemmeno il tempo di rendersi conto di quello che stava accadendo e ad entrambe sembrò succedere tutto in un millesimo di secondo: Lucifero apparve all'improvviso alle spalle del dolce Castiel. «Boo!» disse, facendo loro anche la linguaccia. Dopodiché volò letteralmente via, trascinandosi dietro il fratello, nel vuoto oscuro, mentre le urla di Castiel riempirono l'aria.
Silvia e Catherine, senza sapere cosa fare per evitargli sofferenze, videro Castiel sparire velocemente.
Subito dopo, la connessione si spezzò.

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[1] Verso della canzone Bohemian Rhapsody dei Queen.

[2] Gabriele è morto nella puntata andata in onda il 22 aprile 2010; Catherine e Silvia sono state catapultate nella settima stagione, nello specifico: nel marzo del 2012, come spiegato nella descrizione della storia.

[3]Filastrocca poco famosa (fortunatamente) per bambini. Credetemi: è incredibilmente noiosa e dà i nervi xD

[4] Strofa della stessa canzone descritta nella nota 1.

[5] Angelo Maggi è il doppiatore di Mark Pellegrino in Supernatural e di Robert Downey Jr nella saga di Iron Man e in The Avengers. E sì: qui i personaggi hanno le voci dei loro doppiatori... È l'universo della serie tv, non il nostro universo ;) Ed il TARDIS può fare grandi cose...

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Capitolo 9
*** L'Angelo che ingannò il Diavolo ***


Capitolo 9
L'Angelo che ingannò il Diavolo


In quella notte d'aprile, Lucifero guardò suo fratello disteso a terra. Le sue ali, spezzate dalla sua stessa furia, erano rimaste incenerite sul parquet di quell'orribile hotel. Stava quasi per cedere alle lacrime e non voleva. Solo non capiva il perché... Perché Gabriele lo aveva obbligato a fare una cosa simile? Perché aveva preso le difese degli uomini? Perché gli aveva intralciato il cammino?
Alzò il mento verso l'alto e tirò su col naso. «Eri solo un idiota» disse in tono grave.
Fuori di lì, il vento tagliente fischiava attraverso le foglie degli alberi, alimentato da una forza misteriosa che non accettava la morte dell'arcangelo Gabriele. Ma quello che nessuno sapeva era che Lucifero non era affatto il più bravo con i trucchetti da illusionista. Difatti, l'angelo più goloso che esista, riaprì gli occhi all'improvviso. Li spalancò, più che altro, quasi sorpreso di essere ancora vivo, di aver avuto parzialmente successo. Ormai lontano, Lucifero non sospettò mai nulla di quanto aveva pianificato Gabriele.


Secoli prima, quando l'umanità era sì già corrotta, ma non aveva ancora conosciuto i Winchester, Gabriele fece un salto qui da noi, sulla Terra. Amava girare per le strade, fare razzia di dolci, stare a contatto con gli umani e, solo quando cominciò a relazionarsi veramente con loro, riuscì a comprendere a pieno l'amore che suo Padre provava e prova ancora per quelle scimmiette evolute che altro non siamo[1].
Viaggiando in lungo e in largo, era venuto a conoscenza di molte cose. Come preparare dei buoni cupcake era fra queste, ma la più importante era ciò che lui chiamava la mossa di Giulietta. Esatto, Giulietta Capuleti, colei che inscenò la sua morte per poter fuggire insieme al suo amato. Ma qui non si tratta di amore, piuttosto si tratta di scappare in punta di piedi dalla propria famiglia. Conobbe, infatti, l'arte segreta degli Angeli Perduti, angeli caduti e dimenticati da – quasi – tutto il Paradiso. Essi abitavano in una terra lontana da quella degli uomini, oltre le Colonne d'Ercole. Un'isola-continente che mai nella sua esistenza vide qualcosa che fosse anche solo lontanamente umano. Si chiamava Atlantide ed era l'isola più bella che qualsiasi mente possa mai immaginare. Piccole casupole di pietra lavorate in stili graziosi e ricoperte un po' ovunque da dell'edera dalle foglie di dimensioni inimmaginabili e finemente decorate erano anche le strade, che percorrevano sinuose e serpeggianti i villaggi degli Angeli. Chiunque avesse mai potuto avere l'onore di conoscerli avrebbe detto che quella strana civiltà aveva, attorno a sè, un non-so-che di divino. Loro si sarebbero messi semplicemente a ridere e avrebbero invitato lo sconosciuto a banchettare con loro.
Gabriele atterrò sull'isola con un gran fracasso a causa delle sue sei ali.
«Fratello!» lo salutò subito un Angelo Perduto a braccia aperte. Vedete, gli Angeli Perduti possono essere anche solitari e scontrosi, a volte, a causa del loro passato, ma se si tratta di accogliere un membro della famiglia che si ricorda di loro, allora state pur certi che sono i migliori in quel campo.
Gabriele rimase sull'isola di Atlantide per giorni, settimane, finché non apprese qualcosa che avrebbe cambiato per sempre la sua vita: Tobiel, un angelo scappato dal Paradiso con un Tramite dalla folta chioma bionda che andò a cercar rifugio tra i Perduti, una notte trascinò con sè Gabriele. Camminarono attraverso una fitta boscaglia, ogni tanto qualche ramo un po' troppo elastico si schiantava sul volto del povero Gabriele e lui non faceva che star zitto e scoccare un'occhiataccia a Tobiel.
«Si può sapere dove mi stai portando? Comincio a preoccuparmi...»
Tobiel non disse una parola. Piuttosto continuò a camminare. Gabriele che gli trotterellava dietro come un fedele cagnolino.
Fu così per un tempo che a Gabriele sembrò infinito. Poi, quando meno se lo aspettò, Tobiel si fermò. «Qui va bene.»
«Qui?» chiese l'arcangelo.
«Sì, qui. Ciò che sto per dirti ti servirà in un futuro non molto lontano da oggi.»
«Cosa intendi dire, Tobiel?» chiese Gabriele preoccupato.
Tobiel lo guardò intensamente, con un'espressione di chi la sa lunga. «Capirai quando ti si presenterà l'occasione» rispose. Era davvero una fortuna avere come Tramite un essere umano in grado di vedere nel futuro.
Intorno a loro, le foglie si mossero silenziose, ondeggiando grazie alla brezza calda proveniente da sud. Entrambi, poi, si sedettero sull'erba soffice di Atlantide e Tobiel cominciò a parlare.


Ora, la notte tra il 22 ed il 23 aprile del 2010[2], proprio quando Lucifero pensava di aver tolto di mezzo quel rompiscatole di suo fratello, ecco che Gabriele sorrise, nonostante le fitte di dolore che avvertiva ovunque. Tra un gemito e l'altro, l'arcangelo si girò su un fianco e con la coda dell'occhio – dopo essersi sfilato dal petto l'arma che suo fratello gli aveva conficcato con forza brutale – vide la sagoma di due ali, le sue. Le sfiorò con la punta delle dita, mentre un nodo in gola si faceva estremamente pressante. Avrebbe preferito non usufruire di quel piano alquanto suicida, ma non aveva scelta: sapeva che l'unico modo per fermare Lucifero era non fermarlo.
Con una lacrima che minacciava di rigargli una guancia, Gabriele pensò a Tobiel e alle sue parole: «Una Spada Angelica farà solo metà del suo lavoro, se conoscerà il calore del corpo di un Signore del Tempo.»

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[1] Scienza e religione “insieme” (con ironia). È una cosa voluta, in quanto io – personalmente – credo fermamente in un'entità superiore, Dio, ma sono anche piuttosto convinta che non siamo nati poi così dal nulla: l'evoluzione, secondo me, ha avuto la sua parte. In teoria è tutto più complicato (tipo “Bigger on the inside”)... xD Ma questa è una mia opinione ;)


[2] Ogni volta che menziono una data, faccio riferimento alla data di pubblicazione dell'episodio, anche se spesso, tra un episodio e l'altro, vi sarebbe un intervallo di tempo ben più sostanzioso di una settimana.

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Capitolo 10
*** Pronto-TARDIS, come posso aiutarla? ***


Capitolo 10
Pronto-TARDIS, come posso aiutarla?


All'improvviso, così come erano entrate nella testa di Castiel, Silvia e Catherine ne uscirono. Felici di essere di nuovo in una realtà normale, festeggiarono rimanendo immobili. Entrambe guardarono Castiel: non si era mosso di un millimetro. Nulla faceva pensare che fosse tormentato ventiquattr'ore su ventiquattro.
«Ragazze!» Dean toccò la spalla di Catherine, la più vicina a lui. Le vide spezzare il legame creato con le mani e Castiel rimase con le braccia molli lungo i fianchi. E, ovviamente, non gli sfuggirono nemmeno gli occhi delle due ragazze: essi erano fin troppo lucidi e arrossati per essere semplicemente irritati dallo sforzo.
«Ehi, tutto bene?» chiese Sam, lisciandosi la cravatta nera.
Silvia notò l'imbarazzo aleggiare sulla testa di Catherine, segno che preferiva rimanere in silenzio. «Sì, è tutto okay» rispose per entrambe.
Dean si agitò involontariamente. «E Castiel? Come sta?»
Nella mente delle due ragazze balenò una parola – Destiel – e non riuscirono a reprimere un leggero sorriso. Ma ora? Era uno di quei momenti in cui bisognava dire la verità? Probabilmente, sì. Le bugie sono inutili e non fanno altro che farci soffrire, eppure...
«Sì, Dean, Castiel sta bene» mentì Silvia. «È solo molto stanco.»
Catherine la uccise con lo sguardo. Detestava dir menzogne più di ogni altra cosa e quella era una grossa, enorme, gigantesca bugia. Tuttavia, invece che controbattere l'affermazione dell'amica, decise di annuire in silenzio, con lo sguardo il più basso possibile per non incontrare gli occhi dei due fratelli: se per errore l'avesse fatto, avrebbe immediatamente ceduto.
Dean, dal suo punto di vista, accettò di buon grado le parole rassicuranti di Silvia. Castiel, l'angelo che aveva riportato le sue chiappe sulla Terra, che aveva commesso una miriade di errori di cui si era costantemente pentito e che ora faceva parte della sua famiglia, stava bene. In quel momento non gli importava se Sivlia stesse dicendo la verità o meno, perché era ciò che lui stesso voleva sentirsi dire. Si sentì egoista a fare certi pensieri e preferì cambiare discorso all'istante.
Il maggiore dei Winchester, infatti, sorrise leggermente e si schiarì la voce. «Abbiamo delle novità riguardanti Gabr-» disse, ma si interruppe, vedendo le mani di Silvia che si agitavano senza controllo. Fece per continuare, ma quelle non osavano nemmeno calmarsi, dunque fece gesto alla ragazza di parlare pure e...
«Anche noi!» esclamò mentre Catherine se la rideva sotto i baffi. «C'è una buona probabilità che Gabriele sia vivo!»


Di nuovo in viaggio, quattro avventurieri e un arcangelo da ritrovare.
Fuori dall'ospedale, avevano nuovamente incrociato Meg. Le dissero che vi era una specie di svolta, ma nulla che riguardasse i Leviatani. Non aggiunsero altro: pensarono, giustamente, fosse meglio non far girare troppo la voce tra i demoni. Finito con lei, tornarono poi subito all'auto, che li attendeva stesa al sole e, nonostante fosse un fresco mattino primaverile, con le sue prime gemme e le rondini che svolazzavano rincorrendosi, non appena entrarono nella Chevy Impala, cominciarono a boccheggiare per il caldo opprimente.


«Dunque, cosa vi ha detto?» Dean rilassò la pressione sull'acceleratore e la Chevy rallentò, avvicinandosi ad un centro abitato.
«Castiel era un po'... confuso» rispose Catherine. Gli occhi che scattavano veloci su ogni albero del viale che percorrevano. «Ha solo confermato che Gabriele potrebbe essere ancora vivo.»
Ci fu una piccola pausa, una di quella che intercorre tra una canzone ed un'altra mentre si ascolta un CD, in cui No More Mr Nice Guy lasciò spazio a Sexy And I Know It.
Sam lanciò uno sguardo quasi schifato al fratello, il quale maneggiava un po' col volante e un po' con lo stereo nel tentativo di rimettere la canzone giusta. Notò gli occhi confusi delle due ragazze tramite lo specchietto retrovisore e biascicò qualche sillaba che volevano essere un'arrampicata sugli specchi bella e buona.
«Amico, ma cosa ti ascolti?» gli chiese Sam, che era sì abituato agli strani comportamenti del fratello, ma fino a un certo punto.
Dean pigiò una serie di tasti per lo più senza senso. «Non è colpa mia se quest'aggeggio non fa il suo lavoro!»
«Sì, ma... LMFAO?!» ridacchiò Silvia.
«Ehi, non prendertela con me: io avevo messo una cassetta di Alice Cooper!» Dean lasciò perdere quello stramaledetto stereo e si concetrò sulla strada. «Aspettate» disse poi tutto corrucciato. Guardò bene le case. I negozi. Le strisce pedonali. La gente.
Sam fece lo stesso, ma non si accorse di ciò che si era accorto Dean. «Che succede?»
«“Che succede”? Guardati attorno!» disse Dean, accostando.
Restarono fermi in macchina per un paio di secondi, finché Catherine non aprì la sua portiera.
«Ferma!» Dean la imitò subito e corse verso di lei, afferrandola per le spalle. Un secondo dopo, ecco che anche Sam e Silvia avevano raggiunto Catherine.
«Cathy?»
«Silvia, Dean ha ragione» disse allungando un dito verso un punto davanti a sé. «Non ricordi?» Con gli occhi fissi nel vuoto, poi, cominciò a camminare verso una casa, una villetta, davanti la quale si erano fermati. Era a due piani, con la classica biciclettina fuori sul vialetto e vasi rigogliosi che davano il benvenuto agli ospiti.
Silvia e Sam fissarono Dean in modo parecchio inquietante, tanto che quest'ultimo si sentì alquanto intimorito.
«Sessanta chilomentri... No?» disse Dean. Deglutì e pregò che non lo giudicassero un pazzo. «All'andata, in questo punto esatto non c'era altro che boscaglia. Ora, invece, ecco che spunta un centro abitato! E siamo a sessanta chilometri dall'ospedale in cui sta Castiel. Sessanta... Sei... Come le ali di Gabriele...»
Sam e Silvia spalancarono occhi e bocca, rimanendo senza parole. Subitamente, come dei fulmini, loro due e Dean corsero per raggiungere Catherine, ormai vicina alla porta di quella strana casa. La gente attorno a loro parve quasi non accorgersi della presenza di quattro sconosciuti, forse perché non esistavano.
Catherine stava quasi per andare a sbattere contro il muro della villa, quando, poof, quel pesante ammasso di mattoni e cemento armato – a dir poco strano, per una casa americana – scomparve e con esso anche tutto e tutti intorno a loro: niente più abitazioni, locande o negozi, nessuna traccia delle persone che fino a poco prima passeggiavano lì vicino, a pochi passi da loro. Catherine, invece, continuava a camminare e sembrava non far caso agli altri tre che erano rimasti indietro e che la seguivano come meglio potevano.
Il cuore di Silvia perse qualche colpo qua e là a causa della gita senza meta e della persona che li stava guidando: se fosse successo qualcosa alla sua Cathy, con quale coraggio sarebbe poi tornata a casa? «Manca poco» la sentì dire, quasi leggendole nel pensiero, mentre lei e i Winchester la seguivano come bravi segugi.
All'improvviso, Catherine si fermò. Davanti a lei si estendevano altri chilometri di foresta apparentemente senza fine e piena di trappole naturali e animali che li spiavano con i loro piccoli occhietti liquidi. Sostarono tutti in un punto in cui sembrava non esserci alcun rumore. A Silvia vennero i brividi, ricordando l'episodio del Wendigo, e decise di avvicinarsi di più alla sorella-non-sorella.
«Cosa stiamo cercando, Cathy?» le chiese nervosa.
Catherine sorrise. Girò piano la testa per guardarla in faccia e continuò a mantenere quel suo sorriso semplice e misterioso allo stesso tempo. «Non la vedi?»
La ventenne provò a guardarsi attorno; lo stesso fecero anche Sam e Dean. E nessuno dei tre vide quello che vedeva Catherine. La verità era che Catherine era la sola capace di andare al di là della realtà accessibile ai più grazie al suo Terzo Occhio[1].
«Proprio laggiù» disse Catherine, notando la confusione dipinta sui volti degli altri tre. Indicò un punto immerso nella foresta, ma agli occhi di Sam, Dean e Silvia non vi era altro che boscaglia e boscaglia e boscaglia. «Proprio laggiù, dove c'è quell'acero un po' vecchiotto. Fate uno sforzo, avanti!»
Dire che tutti e tre provarono a sforzarsi al massimo e ad assottigliare gli occhi il più possibile sembra un'esagerazione, eppure fecero esattamente così. Ma non videro nulla lo stesso. Fu solo quando Catherine stessa si incamminò verso il punto da lei prima indicato che a tutti sembrò di avere una rivelazione: a pochi passi da dove stavano loro, una grossa apertura nella roccia ruggiva e vomitava aria gelida, dominando su tutto il lato orientale di un'imponente montagna che sembrava essere spuntata dal nulla.


Più camminavano, più i corridoi si facevano stretti e bassi. Perfetti per Silvia e Catherine, ma decisamente scomodi per dei giganti come Sam.
«Ehi, Catherine?» chiese Dean, evitando per un pelo di sbattere la testa sul soffitto pericolante.
La ragazza emise un suono con la gola simile ad un «Mhm?» e proseguì a camminare. Mancava poco, lo sentiva. Ma a cosa, non lo sapeva. Poteva essere una trappola, così come una buona pensata, ma non era certa né dell'una né dell'altra cosa.
«Mi prometti una cosa?»
«Dipende» rispose Catherine.
Dean si fermò e Silvia quasi gli andò a sbattere contro tanto il buio che c'era. Inspirò, non sapendo bene come incominciare la “predica”. «Una volta che tutto questo sarà finito, promettimi – promettetimi – che non continuerete con questa vita; perché non è vita, credetemi.»
Sam curvò la testa, non sapendo se quelle parole si riferissero in qualche modo alle loro abitudini portate avanti da anni o al nuovo hobby delle due ragazze. Ma come sempre, pensò anche Sam stesso, nelle raccomandazioni di Dean si possono sempre cogliere doppi riferimenti.
Catherine, che si era anch'essa fermata appena Dean espresse il desiderio di una vita diversa per lei e Silvia, si girò e lo guardò con i suoi occhioni a mandorla. «Quante volte hanno detto a voi queste stesse parole, Dean?»
Lui rimase interdetto. Balbettò qualcosa di incomprensibile e perlopiù inudibile, dopodiché batté quasi in ritirata.
«Eppure fate la stessa cosa da anni» continuò Catherine. «E perché?»
«P-per aiutare la gente.»
«E lo fate anche bene, oserei dire... Perché vi piace. Credo di aver risposto alla tua richiesta» disse e poi girò i tacchi, inspiegabilmente seria, e proseguì a testa alta. Dietro di lei, Silvia si affrettò a tenere il suo ritmo di camminata e, passando davanti a Dean, increspò le labbra e alzò le soppracciglia, facendo un'espressione come per dire: «Boom, bitch!»


Forse stavano girando in tondo. Forse quella roccia a forma di mezzaluna l'avevano già oltrepassata dieci minuti prima. Forse, questa volta, erano finiti in un vero anello temporale. O in qualcosa del genere. D'altronde, come potevano capire quanto tempo era passato dall'ultimo raggio di sole a quando Dean, per poco, non inciampò nelle scarpe di Silvia?
«Vuoi stare più attento?» strillò la ragazza, ripulendosi le scarpe di tela che tanto amava.
«Ehi, calmati, ragazzina! Prima sei stata tu a venirmi addosso!»
«Ohi, mi sono fermata in tempo!»
«Già, intanto mi hai calpestato un piede...»
«Ah, be', scus-»
«Ma volete piantarla? Sembrate due bambini dell'asilo!» sibilò Catherine. «Tacete, che fatico a sentirlo.»
«Sentire cosa?» Sam, talmente ricurvo su se stesso che sembrava una bella copia di Gollum, spuntò da dietro le spalle di Dean.
«Non lo so con esattezza, ma proveniva da là» rispose Catherine, indicando un punto nel buio. Improvvisamente, spaventandoli tutti e quattro, un forte bagliore lampeggiò dietro una stalattite molto sottile. E una voce li chiamò.


«Sam? Dean?»
I diretti interessati si scambiarono un'occhiata preoccupata e felice insieme. Erano passati due anni, ma quella voce era così terribilmente famigliare che capirono subito di chi si trattasse. Sam spinse Dean oltre l'angolo, facendo lo stesso con le ragazze, ovviamente. Subito dopo, la scena cui si trovarono di fronte fu la più raccappricciante della loro vita. O così credettero al momento.
L'arcangelo Gabriele giaceva raggomitolato contro la parete della grotta, rifugio improvvisato, con una mano tremante premuta sul petto e il viso in una maschera di dolore e sofferenza. «L'avete portata?» gemette lui, strizzando gli occhi. «Non resisterò a lungo...»
«Gabriele...» Dean rimase impietrito così come Sam.
Silvia, invece, scoppiò in lacrime esattamente come quando lo vide steso a terra con le ali bruciate, morto, sul pavimento dell'Elysan Fields Hotel. Sentì la calda mano di Catherine sulla sua spalla e l'abbracciò. Ma quelle erano ormai lacrime di gioia, di speranza: Gabriele aveva in qualche modo vinto Lucifero.
«Allora? L'avete portata?» chiese di nuovo Gabriele, scuotendo un po' la gamba di Silvia col piede. «Datemi quella maledetta chiave!»
I Winchester guardarono le ragazze. Le ragazze guardarono i Winchester. E nessuno dei quattro riuscì a capire di cosa stesse parlando l'arcangelo.
«E così, il cambio di musica è opera tua come tutto il resto! Com'è possibile che tu sia vivo?» chiese Dean un po' frastornato.
«Ben due volte, razza di idioti! Ma Dean, Dean, Dean... Non credi che sia meglio rimandare questa conversazione a quando mi sarò ripreso?» Gabriele puntò una mano sul pavimento roccioso e tentò di tirarsi su alla bell'e meglio, ma cedette, senza forze, e rantolò non appena Sam si accovacciò per aiutarlo. «La chiave...» ansimò ad occhi chiusi.
Non sapendo bene cosa fare, le ragazze si tastarono le tasche alla ricerca di una chiave. Ma che chiave? Silvia aveva tutto nel suo zainetto, ormai disperso chissaddove nel TARDIS. Catherine, invece, portava sempre con sé le chiavi di casa e un'altra chiave che, di certo, non era quella a cui si riferiva Gabriele. Non avevano nient'altro, con loro, men che meno Sam o Dean. Eppure...
Catherine mise la mano nella tasca posteriore dei suoi jeans e raccolse la chiave con due dita. «Conservala con cura: è molto speciale» le aveva detto un uomo sulla sessantina. Le era sembrata una bella azione, quella di ascoltare un ometto così strano e nervoso. Aveva i capelli mossi e ormai ingrigiti, ma gli occhi vispi e osservatori. Guizzavano da un angolo all'altro del parco in cui lo aveva incrociato e, nonostante avesse pensato fosse scozzese, il suo italiano era più che perfetto. Solo allora capì chi le aveva dato quella chiave.
Allungò piano la mano in direzione dell'arcangelo mentre Silvia e i Winchester la guardarono senza capire. «Me l'ha data un uomo che all'inizio pensavo fosse uno sconosciuto» disse Catherine. «Ha detto che un giorno sarebbe servita ad aiutare una persona a me cara.» Le sembrava già così strano che una semplice chiave potesse salvare la vita ad un uomo, figuriamoci ad un angelo, ma appena Gabriele sfiorò la chiave con le sue dita, questa emise un forte sibilo. Stretta nel pugno dell'arcangelo, la chiave pulsò frenetica di una luce per la quale i quattro umani dovettero chiudere gli occhi nonostante l'incredibile curiosità.
Ciò che accadde subito dopo fu quasi indescrivibile.
Malgrado il vento che avrebbe spazzato via qualsiasi cosa, i cinque occupanti della piccola grotta rimasero ben ancorati a terra e ben presto Gabriele fu avvolto da una nuvoletta bluastra. A poco a poco, la nube divenne più solida e la luce più fievole, così tutti e quattro poterono riaprire gli occhi.
Gabriele era sparito.
Dean rimase con gli occhi fissi su quell'oggetto, un parallelepipedo di legno blu, che aveva sostituito l'arcangelo, mentre Sam si accingeva a sfiorarlo con le dita. Immediatamente, ritrasse la mano, vedendo un'ombra avvicinarsi alla finestra di quell'oggetto. La porta si aprì e ne uscì un uomo giovane e magro, con capelli spazzolati di lato ed un farfallino messo un po' alla rinfusa.
Lo riconobbe all'istante: era il Dottore.

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[1] Nella fanfic "prequel" di Get The SaltCorrete, la Nebbia sta arrivando – si parla di un rito filippino grazie al quale Catherine riuscì a far “emergere” le sue particolari doti da sensitiva.

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Capitolo 11
*** Quando la TARDIS vuole fare la simpatica ***


Capitolo 11
Quando la TARDIS vuole fare la simpatica[1]

 

«Ragazze!» Il Dottore si fece largo tra i due Winchester e andò dritto da Catherine e Silvia. Sollevò di peso la prima, stringendola in un abbraccio tutto giravolte e sorrisi, e tentò di fare lo stesso anche con Silvia, la quale, però, aveva volontariamente spostato il suo baricentro in modo che il Dottore non potesse spostarla nemmeno di un centimetro. Avrebbe potuto far ricorso all'arte magica, chissà come più potente in quell'angolo dell'universo, ma no: si ricordò di Dynamo.
Il Dottore rise imbarazzato per poi strofinarsi le mani. Si aspettava di tutto: un rimprovero, parole grosse, mattoni in testa... Non conosceva bene Silvia quanto la sua Catherine, così dolce e sempre sorridente. Silvia era sempre pensierosa, a volte tetra e scontrosa. Sì, era capace di ridere anche per ore, ma conservava in sé un aspetto a dir poco misterioso. Nulla di consapevole, non lo faceva apposta e forse era proprio per questo motivo che lei poteva contare su di una sola vera amicizia.
«Ci hai abbandonate.» Silvia rimase a fissare quel ragazzotto che ricambiava poco volentieri il suo sguardo. «Ci hai lasciate non solo in America, ma addirittura in universo che non era nemmeno il nostro» si ritrovò ad ansimare. «Non ci hai detto una sola parola. Non hai risposto quando ti abbiamo chiamato. E hai il coraggio di venir qui come se nulla fosse ed esclamare tutto radioso “Ragazze!”
Il Dottore scambiò un'occhiata sfuggevole con Catherine e lo stesso fece con i Winchester. «Io non potevo... E mi disp-»
SBAM! ed il Dottore si ritrovò con la faccia girata dall'altra parte. E avreste dovuto vedere come tutti lo guardavano ad occhi spalancati... Silvia gli aveva tirato una sberla! Un po' meno forte di quelle che gli tirava River, è vero, ma sentì comunque bruciargli la guancia. «Ahi! Perché l'hai fatto?!»
Silvia rispose fiondandogli addosso e abbracciandolo come mai aveva fatto. «Perché sei un idiota. Il nostro idiota» gli disse. Un leggero sorriso aleggiò sul volto di Catherine mentre l'altra faceva passare le sue dita fra i capelli del Dottore, suo vizio fin da bambina. «E perché ti voglio bene.»
«Ah, e se mi odiavi?» le chiese il Dottore ironico.
«Tutti quelli che mi stanno antipatici non sono sopravvissuti per raccontare ciò che ho fatto loro.»
L'abbraccio finì lì. I Winchester ed il Dottore la guardarono come in preda a delle convulsioni facciali. Quella ragazza dal faccino gentile e paffuto che...?
«Stavo scherzando, ragazzi!» rise Silvia e con lei tutti gli altri.
Sembrava una rimpatriata, con risa, scherzi e dei dolcetti che spuntarono all'improvviso davanti ai loro occhi. Essi, infatti, formavano un cerchio perfetto all'interno del quale era comparso un tavolino di medie dimensioni su cui troneggiavano montagne di cioccolatini di tutti i tipi, senza contare le leccornie fatte apparire apposta per ognuno di loro: il Dottore si fiondò su dei bastoncini immersi nella crema pasticcera, Sam e Catherine afferrarono al volo – anche se un po' titubanti – delle caramelle a strisce con i colori dell'arcobaleno, Silvia guardò tutto con la voglia di strapparsi gli occhi perché a dieta, ma dopo poco cedette alla vista di una piccola porzione di ramen e Dean... Be', Dean rubò immediatamente una fetta di torta.
Stavano tutti gustando quelle prelibatezze, quando la porticina del TARDIS cigolò verso l'interno ed un bagliore dorato fuoriuscì dalla piccola cabina. L'aria circostante si alzò finalmente di qualche grado, scaldata da quella fonte di calore quasi sovrannaturale.
Ognuno mise di nuovo sul tavolo ciò che aveva addentato e stette con gli occhi fissi sull'astronave. La porta si aprì ancor di più, una mano che spuntava da dietro di essa. Poi un visetto sorridente apparì all'improvviso e Gabriele uscì del tutto dal TARDIS.
«Lieto di vedere che avete appetito!» disse l'arcangelo. Vide poi il Dottore leccarsi le dita e aggiunse: «Lieto di vedere che piacciono anche abbinamenti che solo ad un folle piacerebbero.» E aveva un po' ragione, in fondo.
Tutti sorrisero, felici e con mille domande, ma non era ancora tempo: c'erano giusto un paio di cose da sistemare prima di poter fare quattro chiacchiere. Difatti, Gabriele si schiarì la voce. «Torno subito, devo mettere a posto il casino che ho combinato» disse e sparì in un battito d'ali, lasciandoli tutti soli in quell'inquietante caverna.


«Signore, nessuna stalla ha esposto denuncia.» Mars sostava davanti la scrivania del suo capo, Paul Fisher, con dei fascicoli in mano. «Negli ultimi tre giorni ci sono stati furti di ogni genere, ma nessun cavallo manca all'appello.»
«E Brizzi? Dall'autopsia è emerso qualcosa di nuovo?»
«No» sospirò.
Fisher batté un pugno sulla scrivania, facendo tintinnare tazza e portamatite. «Non abbiamo un briciolo di pista!» sibilò furioso.
L'agente Mars lo vide sbuffare ed ansare, segno che stava per avere una crisi di nervi. Abbandonò i fascicoli sulla scrivania e decise che sarebbe stato meglio lasciarlo sbollire un po'. Lui, troppo preso a ragionare, non notò che l'agente donna più desiderato di tutto il dipartimento si stava allontanando dalla sua postazione di lavoro e nemmeno che si avvicinò alla finestra, un po' insospettita da una figura biancastra e ondeggiante a causa del vento.
Lì fuori, nel parcheggio del dipartimento, una donna in abito da sposa guardava malinconica il cielo. Un velo di tristezza ricopriva il suo volto, senza carni o muscoli, ormai ridotto a teschio. Un piccolo bruco verde le uscì dall'orbita sinistra e si intrufolò nella sua bocca. Emily, la sposa cadavere, vide poi un uomo nella penombra di quel pomeriggio primaverile. Lo osservò alzare all'altezza del viso una mano e unire il suo pollice con il medio. Un rumore secco e la povera sposa svanì nel nulla sotto gli occhi dell'agente Mars, giratasi immediatamente per lo shock. Ma l'attendeva uno shock ancor più ...shockante: tornò, infatti, verso Fisher per riprendere i fascicoli – voleva consultarli ancora una volta – e dimenticare l'idiozia appena vista, ma non vi era più alcun fascicolo da consultare.


«Quindi tu sei il Dottore...» Dean se ne stava con le braccia incrociate sul petto. La sua posa metteva in bella mostra i muscoli delle braccia, cosa che non sfuggì di certo alle due ragazze.
Il Dottore ingurgitò l'ultimo bastoncino di pesce e annuì con la bocca ancora piena. «Sì, esatto, sono io, ma devo ammettere che non so come abbia fatto il vostro amico a sopravvivere...»
Catherine e Sivlia rimasero scandalizzate. Lui che non sapeva qualcosa?
«Come sarebbe a dire?» chiese, infatti, la minore.
Lui sospirò e fece roteare gli occhi un paio di volte. «È ovvio che lo saprò, ma non lo so ora. Voglio dire: ho già incontrato Gabriele, ma all'epoca mi ero rifiutato di aiutarlo. Avevo solo un'ultima vita. Questa.» Il Dottore, imbarazzato, guardò in basso. «E l'unica via per salvarlo era la mia morte» aggiunse con le guance in fiamme. Si sentì più che egoista, ma dopo secoli spesi a volare di qua e di là non solo per il piacere di farlo, credeva – e sperava – che un gesto simile non sarebbe mai venuto a galla.
«Un'ultima vita?» chiese Sam spaesato.
«Mh-mh. La mia razza può ingannare la morte. Ma solo per un numero determinato di volte e se avessi aiutato Gabriele, ora non sarei qui con voi» ammise il gallifreyano, sistemandosi bene il farfallino.
Un gesto semplice, penserete. E, in effetti, è proprio così: un gesto semplice e comune tra chi indossa i farfallini. Ma non se sei il Dottore: lui aveva un'arte tutta sua, nel sistemarlo. Prima di tutto, allungava il collo così tanto da sembrare una piccola giraffa concentrata. Poi c'era la mascella, portata talmente in avanti che sembrava volesse staccarsi dal suo proprietario per farsi una passeggiata su Saturno. E Sam se ne accorse all'istante.
«Be', fortuna che anche gli angeli possono viaggiare nel Tempo» voleva dire Silvia, ma venne interrotta ancora prima di iniziare a parlare.
«Tu!» esclamò Sam con gli occhi quasi fuori dalle orbite. «Io ti ho già visto!»
Il Dottore vide puntarsi contro un indice infinitamente grande, ma conforme alle misure del ragazzo. Lo vide continuare a balbettare qualcosa di incomprensibile, agitando anche il dito, finché suo fratello non gli fece tener giù il braccio accusatore.
«Dean» disse il piccolo Winchester. «Avevo appena cominciato l'università e lui era lì a Standford!»
«Cosa?» fecero Catherine e Silvia in coro.
Sam ricordava quel giorno come se fosse stato quello prima. «Mi ero accidentalmente slogato la caviglia. Faceva male e non riuscivo a camminare e lui è arrivato da me dicendo che in camera sua aveva della morfina. Un'iniezione di pochi milligrammi e sarei stato meglio» disse senza staccare gli occhi dal Dottore.
«E tu ti sei fidato?!» Dean era quasi furibondo: se quel tizio con la morfina non fosse stato il Dottore ma, quindi, una persona per nulla affidabile? Oh, non osò pensare alle conseguenze, questo è ovvio.
«Mi sembrava la cosa più giusta da fare» rispose innocentemente Sam. «Anche se, ora che ci penso, non so perché io l'abbia fatto...»
Il Dottore sorrise sotto i baffi, soddisfatto ed entusiasta che tutto fosse filato liscio. «Manipolare la mente umana è un gioco da ragazzi» disse radioso.
«E scommetto che quella non era affatto morfina...»
«No, Cathy, infatti: ho ricevuto una visita dal me stesso del futuro – un futuro non molto lontano, penso – che mi ha detto che gli serviva una piccola parte del TARDIS» rispose tranquillo, senza preoccuparsi della reazione dei Winchester, ma quando li guardò negli occhi e vide in entrambi un'espressione a dir poco traumatizzata, si affrettò ad aggiungere una spiegazione per lo meno plausibile. «Oh, nulla che causi danni all'organismo, davvero! Sbaglio o è stato bene per tutti questi anni?» chiese ingenuamente, sorridendo.
Le facce degli altri presenti passarono dall'Ora gli spacco la faccia a Quel giorno era meglio se stavo a casa da scuola.
Nello stesso momento in cui Dean cominciò ad aprir bocca per ribattere con una delle sue fantastiche battute che avrebbero fatto rabbrividere anche Regan MacNeil versione Pazuzu, Gabriele tornò a far compagnia ai cinque.
«Ehi, ragazzi, che si dice?» disse l'arcangelo, addentando un pasticcino alla crema che era rimasto tutto solo da quando era apparso. Continuò a masticarlo facendo più rumore del dovuto. Cavolo, quanto gli mancava mangiare quelle prelibatezze!
«Facciamo che vi offro un viaggio?» Il Dottore ruppe l'imbarazzo al momento giusto senza, tuttavia, sapere che aveva fatto una cosa infinitamente giusta.


Il TARDIS sollevò una nuvola di terra e polvere che avrebbe fatto perfino invidia all'ormai lontano West. Nel centro del praticello verdeggiante e felice di esser curato dalle persone assai solari di quella cittadina, la cabina blu era arrivata senza attirare alcuna attenzione. Erano poche le cose bizzarre che succedevano in quel paesino sperduto e che poteva contare sul turismo grazie all'aria allegra che avevano tutti, ma davvero nessuno sembrò notare un'astronave grande come uno sgabuzzino da cui uscirono ben otto persone. Otto, sì, perché il Dottore preferì andare prima a prendere anche Amy e Rory per presentare loro i Winchester.
«Posticino invitante!» esclamò Gabriele, notando una ragazza che stava sistemando dei festoni nel grande gazebo davanti loro.
Sam gli scoccò un'occhiataccia, ma non disse nulla.
«Incredibile!» Dean spalancò gli occhi solo una volta che ebbe realizzato la meraviglia del viaggio che aveva appena fatto. Prima erano a Perrine ed ora eccoli... Eccoli... Ma dov'erano finiti?
«Dean?» All'improvviso, la ragazza nel gazebo chiamò a gran voce in direzione del nostro gruppetto di sopravvisuti-a-tutto. «Dean!» chiamò ancora, alzando la voce. Questi corse giù dalla piccola scalinata e percorse alla stessa velocità il piccolo tratto di prato che li separava. Vide la strana cabina blu, ma sorvolò quasi inconsciamente. «Dean, non ci posso credere, sei proprio tu!» esclamò felice, sempre correndo. Ma, anziché volare tra le braccia di Dean, si gettò tra quelle di Sam.
Ovviamente, Sam rimase senza parole così come suo fratello, il quale gli stava di fronte e cercava di non ridere. «Amico, la conosci?» mimò con le labbra.
L'altro allargò le braccia mentre Dean se la rideva, Amy scrutva attenta la ragazza e Catherine e Silvia strattonavano il Dottore per una manica della sua preziosa giacca in tweed. La conoscevano!
«Sembra sia passato un secolo!» La ragazza si staccò finalmente da Sam e continuò a sorridere. Lo vide sgranare gli occhi senza sapere cos'altro fare, imbarazzato ed impacciato com'era sempre. «Dean... Non ti ricordi di me?» chiese frustrata.
Sam si girò e cercò l'aiuto degli altri sette, ma a parte Catherine e Silvia, che sembravano parecchio agitate e in preda ad una crisi isterica, tutti erano impegnati a godersi la scena. «I-io non... Non so chi tu... Non ho idea di chi tu sia, scusa» farfugliò infine.
Penso riusciate ad immaginare il sonoro fischio che uscì dalle labbra di Gabriele.
Lei parve delusa e preoccupata. Che gli fosse successo qualcosa di grave come un incidente stradale e avesse perso la memoria? O forse era solo un sosia perfetto del suo primo ragazzo... Deglutì e sperò che fosse la seconda opzione. Ma volle tentare comunque. «Sono Rory, ricordi? Rory Gilmore.»
Gli occhi di Amy, Catherine e Silvia si spalancarono in un lampo. Il Dottore rimase a fissarla a bocca aperta e, quando alla fine trovò le parole, l'unica cosa che gli uscì di bocca fu: «Ror... Rory... RORY?!»
«Sì» rispose semplicemente la ragazza.
Il Dottore guardò di sottecchi alla sua sinistra, dove c'era il “suo” Rory, il marito di Amy e pensò che fosse certamente strano che lui avesse un nome da ragazza, ma ovviamente non poteva sapere che il vero nome di Rory Gilmore era Lorelai.
Ci fu qualche secondo di confusione, di sguardi silenziosi ed interrogativi che girarono tra di loro, mentre Gabriele li fissava uno per uno masticando dei cioccolatini al peperoncino. Ridacchiò divertito e ciò attirò l'attenzione della piccola Gilmore che, spostato immediatamente il suo sguardo sull'alieno, riconobbe il Dottore.
«Ma tu sei... E quello è...» balbettò, indicando il TARDIS. «Non puoi essere reale...»
«Okay, bene» disse frettolosamente il Dottore spingendo tutti verso l'entrata della Macchina. «È ora di andare! Baci, baci, ci si vede!» Sbatté le porte e corse verso la consolle; un bottone, una leva, una nota ed eccoli sballonzolare per la sala comandi come delle marionette. Chi si aggrappava l'un l'altro, chi si teneva alla consolle, chi veniva trascinato a terra nella confusione generale... Il tutto mentre Gabriele rotolava allegro verso l'uscita gridando «Che sballooooooo!»
Un tonfo segnalò poi il capolinea di tre di loro. Quando le porte del TARDIS si riaprirono, i Winchester e Gabriele vennero accompagnati fuori da esso dal Dottore, Catherine e Silvia.
«E così è tutto finito...» disse Dean triste. Gli venne da serrare la mandibola al sol pensiero di dover dire addio a quelle strane avventure – nemmeno iniziate – nello spazio per continuare con il pericolo incombente nel suo universo.
«Già» disse il Dottore incrociando le braccia sul petto. «Ragazzi, vi sarò riconoscente per tutta la vita. Se non aveste portato sempre con voi queste due pesti, non oso nemmeno immaginare cosa surebbe successo... È vero che vi ho arrecato parecchi disagi, ma avete salvato tutto ciò che ho.»
Sam lo guardò curioso. «Tutto ciò che hai?»
L'altro annuì guardando in basso. «Voi umani e la vostra casa» disse semplicemente. «E loro» aggiunge poi, dando un buffetto sia a Catherine che a Silvia. «Grazie» Si girò lentamente ed entrò nel TARDIS.
Silvia avrebbe voluto che quel momento non fosse mai arrivato. Dire addio ai Winchester le metteva i brividi. Seppur pericolosa, la loro vita la attirava e lo stesso valeva per Catherine. Avrebbero voluto prendere una macchina tutta loro, viaggiare in lungo e in largo a caccia di fantasmi, demoni e altre mostri da uccidere, ma sapevano entrambe che – prima o poi – avrebbero incontrato un vicolo cieco. E poi c'erano le loro famiglie...
«Be'» iniziò Catherine. «È stato bello!»
«E figo!» disse Silvia.
«E pericoloso» sorrise Sam.
Dean gli diede una pacca sul braccio. «Ehi, Mr Allegria, sta' zitto!» lo sgridò, poi prese Catherine per le spalle e l'attirò a sé. «Sii prudente, Catherine. Silvia è più grande, sì, ma a volte fa scelte sbagliate» le sussurrò all'orecchio mentre Sam e Silvia si stringevano in un breve abbraccio – Silvia gli arrivava all'altezza del cuore e si spaventò per quanto battesse forte – e Catherine lo pregò di chiamarla Cathy.
Entrambe le ragazze guardarono poi Gabriele, intento a mangiare l'ennesimo cioccolatino, e gli si buttarono addosso.
«Dove andrai adesso?» gli chiese Catherine.
Quasi senz'aria, Gabriele alzò gli occhi al cielo. «Non a Casa, ovviamente, ma una volta che mi sarò rimesso per bene» disse con sguardo triste, «terrò d'occhio Castiel, rimanendo invisibile a tutti, per precauzione.»
Catherine e Silvia andarono poi rispettivamente da Sam e Dean. Mentre i primi due si limitarono ad un abbraccio un po' timido, Dean strapazzò Silvia, alzandola quasi da terra. «Era da tanto tempo che non mi divertivo così!»
«Okay, ma vorrei tornare a respirare, se non ti dispiace!» lo pregò Silvia.
Lui la rimise giù e subito dopo le due ragazze li stavano salutando dalla soglia del TARDIS.
Le porte si chiusero e i tre rimasti a terra vennero investiti da una forte ventata d'aria calda.
Silvia e Catherine si allungarono sulle punte dei piedi e, mentre il TARDIS svaniva pian piano, videro dalle finestre della Macchina le labbra di Dean mimare La prossima volta, portate il sale.

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[1] Solitamente, io dico “il TARDIS”, un po' come tutti qui in Italia, ma in questo caso mi sembrava più giusto ricordare la sua forma umana (Doctor Who, 6x04, “La moglie del Dottore”). Inoltre, mi pare giusto aggiungere che in inglese navicella (ship o, meglio, starship) è femminile.

Angolo dell'autrice:
Ehi, voi! Psst! Yes, you! Sono Marra e sono qui per dirvi che questo è il penultimo capitolo! Sento già la vostra mancanza :((

 

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Capitolo 12
*** Epilogo ***


Epilogo
o come tutto è un puzzle perfetto in un universo infinito

 

I finali sono difficili. Qualunque idiota può mettere giù uno straccio di inizio. Ma i finali sono davvero complicati. Cerchi di definire le cose in sospeso, ma non ci riesci. I fan si lamenteranno sempre. E ci saranno sempre lacune. E perché un finale si suppone che debba concludere una storia, scriverlo è davvero una spina nel fianco.
A questo punto tiriamo le somme? Difficile. Secondo me, è stato un test, per Catherine e Silvia. E credo che se la siano cavata. Malgrado il bene, il male, gli angeli, i demoni, il destino e Dio stesso. Hanno fatto la loro scelta: hanno scelto la famiglia e, be', non è questa la cosa più importante?
Non c'e dubbio: i finali sono difficili, ma in fondo nulla finisce mai veramente. Non è così?[1]


Vorrete certamente sapere che fine hanno fatto le nostre care ragazze. Bene.
Era ancora quell'inverno, quando il TARDIS atterrò nuovamente davanti alla scuola di Silvia e Catherine. Era quasi ora di pranzo e tutto doveva ancora cominciare.
«Preferisco non sapere dove abitiate» disse il Dottore in risposta ai loro sguardi. «Potrei farvi visita più volte e voi dovete pensare al vostro futuro. Ma se un giorno, finiti gli studi, avrete ancora voglia di vedermi, vi basterà alzare la cornetta e io sarò da voi in un lampo!» Le abbraccio insieme e stettero così a lungo, finché Silvia non batté una mano sulla schiena dell'alieno.
Disse loro che i Winchester e Gabriele se la sarebbero cavata, ma che avrebbe chiuso definivamente le cerniere spazio-temporali – così chiamò quelle piccole fessure che collegavano mondi alternativi e paralleli. Ne aveva chiusa una già in passato, ma quella era stata più dolorosa e difficile, a confronto, e non sapeva ancora che ne potessero esistere delle altre. Parlò loro anche dei suoi viaggi verso un universo decisamente identico al loro, in cui vi era una serie tv che parlava di lui stesso e che si intitolava Doctor Who e che c'erano milioni di fan che scrivevano storie – a volte anche imbarazzanti perfino per il suo amico Jack – su di lui e i suoi compagni di viaggio. Aggiunse anche di aver letto una di queste storie. Era di una ragazza, amante della scrittura, che usava un nomignolo molto strano («Marra SuperWhoLocked, credo si chiami» disse loro) e che aveva scritto su di lui e su di loro e la sua storia si intitolava Get The Salt, proprio come le ultime parole di Dean, che anche il Dottore stesso aveva "visto" dallo schermo attaccato alla consolle.
Poi il resto potete immaginarvelo da soli.
Amy e Rory tornarono a viaggiare col Dottore, inconsapevoli di ciò che sarebbe accaduto tra non molto.
Catherine e Silvia tornarono a casa, felici per ciò che avevano appena vissuto.
E le due ragazze decisero che fosse meglio proseguire per la loro strada: non chiamarono mai più il Dottore.


Capelli grigi e occhi severi. Un ciclo in più, una seconda possibilità. Ma, come sempre, il Dottore sapeva che avrebbe dovuto sacrificare se stesso per qualcuno che amava.
Aveva lasciato Clara ad una bancarella di dolci, nel mezzo del mercato di Fervos24, sempre nell'anno 34908, e vide da lontano Silvia e Catherine che appaludivano entusiaste all'artista di strada dal collo elastico. Gli venne voglia di correre da loro e abbracciarle: non le vedeva da così tanto tempo...
Poi spostò leggermente lo sguardo altrove e... Riconobbe Gabriele.
«Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato» gli disse, avvicinandosi.
«Ah, sì?»
«Sì, Gabriele.»
«E?»
Il Dottore indugiò un attimo. «Si tratta di Cathy e Silvia. Avanti, colpisci.»

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[1] Discorso finale di Chuck nell'ultimo episodio della quinta stagione di Supernatural. Nella versione originale, ovviamente, Chuck parla di Sam e Dean Winchester.


Nota dell'autrice
OOOOOKAY.
NON PIANGETE.
CALMI.
VI PREGO.
Mi dispiace!!! ç_ç
Nemmeno io avrei voluto un finale del genere, ma... È stato assai difficile anche per me, credetemi... Per quanto riguarda Gabriele, ho dovuto (e voluto) riallacciare il tutto con la storia che viene raccontata nel telefilm stesso – e cioé farlo "sparire"; per quanto riguarda le ragazze ed il Dottore, be', lì non so cosa mi sia preso...
Nulla, io... Vi ringrazio tutti, nessuno escluso! Da chi mi ha seguita fin da subito, a chi ha letto tutto d'un fiato! Anche chi non ha recensito! Vi adoro e vi sento vicini a me ed è per questo motivo che sono riuscita ad andare sempre avanti con le mie storie, questa specialmente, la quale è stata la più difficile perché molto intrecciata fin dall'inizio. Vivo in un ambiente famigliare in cui i libri non sono altro che carta e l'arte della scrittura è vista come una perdita di tempo perché "non porta il pane in tavola". Non dico che disapprovo totalmente, ma CAVOLI...
Comunque, non sono qui per lamentarmi, semmai per dire grazie, grazie, grazie! È stata davvero una bella avventura, scrivere per la prima volta qualcosa di "serio" per Supernatural e... Mi sono divertita alla grande!!
Sperando che sia stato lo stesso anche per voi, vi auguro il meglio...


Con affetto,
Marra


P.S. Per chi segue anche Un alieno al Jeffersonian, non vi preoccupate: sto andando lentamente, lo so, ma, come ho già detto, è difficile scrivere un giallo :(
Presto pubblicherò anche un cross over (una specie di sfida – santa polenta) tra Torchwood e The Avengers, ma non vi anticipo molto, lalala xD
kiss kiss a presto :)

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