A study in Teen!Lock

di gateship
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Redbeard ***
Capitolo 2: *** Di quando Sherlock scoprì come nascono i bambini ***
Capitolo 3: *** Di corvonero e grifondoro ***
Capitolo 4: *** Mamma! ***



Capitolo 1
*** Redbeard ***


Si, riconosco che il titolo di questa raccolta non è tra i più originali... è solo che ultimamente mi sono innamorata di tutto ciò che è Teen!Lock.
 

Diritti: I personaggi di Sherlock, Mycroft e Redbeard non sono miei, ma sono di due signori chiamati Gatiss e Moffat, i quali, un giorno o l'altro, a forza di sfornare episodi così belli ci uccideranno.

Il tutto è basato sulle opere di Sir Arthur Conan Doyle.

Eventuali riferimenti ad altre opere a parte quello sopracitate e a eventi realmente accaduti sono casuali.

 

Dunque, come sappiamo tutti Redbeard è stato abbattuto.

Solo che non sappiamo ne come ne perché.

Potete dare la colpa di questa ff all'episodio “La Colpa” della Signora del West, che mi ha ispirato tantissimo, in questo caso!

 

 

 

 


“È stato noioso.” annunciò Sherlock sbattendo la porta di casa dietro di sé. Buttò con un tonfo lo zaino per terra, dirigendosi in cucina e salendo sulla sedia della sala da pranzo.

“E i compagni?” chiese il fratello maggiore, dandogli le spalle.

“Noiosi, stupidi, ignoranti. Dei perfetti idioti. - disse, osservando Mycroft posargli un piatto di zuppa davanti – Hai avuto notizie?”

“No.”

Sherlock sospirò, ignorando la scodella davanti a sé e sbriciolando il pane davanti agli occhi di Mycroft: suo fratello cucinava pietosamente. “Sono passati cinque giorni, se fosse vivo lo avremmo già...”

Il fratello gli si sedette di fianco, mettendo la mano vicino a quella pallida di Sherlock, senza contatto, ovviamente, quel ragazzo odiava essere toccato da qualcuno che non fosse il suo cane. “Andrà tutto bene, d'accordo?”

Sherlock si infilò di malavoglia un pezzo di pane in bocca, “Non cercare di confortarmi, non ci sei portato, Mycroft, resta sul ghiaccio, ti viene decisamente meglio.”

“Sherlock...”

“Chiamami se hai notizie di Barbarossa, devo andare a controllare la mia mail, forse Scotland Yard ha preso in considerazione la mia idea su Carl Powers.” disse alzandosi, sparpagliando mollica di pane sul pavimento lindo della cucina.

 

Sette giorni.

Sette giorni da quando Barbarossa non era tornato dalla sua passeggiata nel bosco.

Sette giorni da quando il maggiordomo, Mr e Mrs Holmes erano andati a cercarlo.

Sette giorni da quando Sherlock aveva smesso di mangiare, di dormire e di parlargli.

Se non per insultarlo, ma anche i commenti sprezzanti sulla sua forma fisica stavano diminuendo sempre di più.

Mycroft guardò il fratello, appollaiato sulla poltrona, il Times ripiegato su un bracciolo, lo sguardo perso nel vuoto.

“Vuoi giocare a scacchi?”

“A che serve? - sussurrò Sherlock – Tanto mi batteresti.”

“Cavallo f3.” ribatté Mycroft, congiungendo le mani sotto al mento.

“Mycroft...”

“O giochi, o quando torna dico a mamma che hai messo l'estratto surrenale di topo nel suo tea.” minacciò Mycroft sorridendo.

“Ti odio.” bofonchiò Sherlock.

“La tua mossa?”

Il minore degli Holmes chiuse gli occhi, entrando nel suo palazzo mentale, visualizzò una scacchiera, la scacchiera, quella che usava contro sua mamma, l'imbattibile Violet Holmes. “Cavallo f6.”

Mycroft sorrise, “Pedone c4.”

“Dobbiamo proprio farlo? - domandò seccato Sherlock – non ne ho voglia.”

Suo fratello sospirò, “Dovresti...”

Il telefono di Mycroft trillò, il suono si diffuse nella stanza e Sherlock alzò gli occhi verso di lui, “Guarda il messaggio!”

Il quindicenne estrasse il telefono dalla tasca, era papà. Aprì il messaggio, voltandosi di schiena per impedire a Sherlock di leggere il suo volto.

Deglutì.

“È... - Mycroft guardò il fratello minore – è Barbarossa – come poteva? Sherlock aveva otto anni, dannazione. Otto anni, come poteva dirglielo? Quel cane era la sua vita. Dannati sentimenti – Lo hanno trovato, Sherl.”

Sherlock sorrise raggiante, lo spettro di tristezza che gli si poteva vedere negli occhi durante la breve partita a scacchi cancellato, saltò giù dalla poltrona, avvicinandosi al fratello maggiore. Sembrava che quella parte strappata del suo cuore fosse stata rattoppata, cucita in pochi istanti. L'ago e il filo la avevano resa solo più unita, difficile da strappare.

Non era giusto.

Non era giusto perché fino a pochi momenti prima stavano giocando a scacchi e ora la vita di Sherlock sarebbe stata cambiata.

“Quando me lo riporta papà?” chiese il piccolo detective con la voce leggermente tremante, gli occhi pieni di speranze.

Mycroft gli si inginocchiò davanti, prendendogli le mani. Lo sguardo del fratello si congelò.

Aveva capito. Il vantaggio di avere un genio in famiglia: non dovevi spiegargli quel tipo di cose.

Sherlock sbatté le palpebre, una solitaria lacrima cristallina che gli rigava il viso, “Cos'è successo?”, domandò, quasi timidamente, aveva paura. Paura della risposta.

“Una volpe lo ha morso...” iniziò Mycroft, cercando lo sguardo del bambino, che sembrava volergli sfuggire.

“Rabbia.” Non fu una domanda. Naturale che Sherlock lo avesse intuito.

“Lo abbiamo preso troppo tardi, è ad un stadio...”

Gli occhi azzurro ghiaccio di Sherlock catturarono lo sguardo del fratello, “Voglio vederlo.”

 

 

Barbarossa era stato chiuso in un recinto, quando arrivarono.

No, non era chiuso.

Era come in quei film, Barbarossa aveva la stessa espressione.

Immobile, gli occhi spalancati.

Esausto, senza forze.

Faceva solo quel suono, un mugugno simile a quello di un gatto.

La bocca aperta, agonizzando per una boccata d'aria.

Il primo impulso di Sherlock fu quello di scappare, di uscire dalla fattoria di suo zio e di non farvi più ritorno, di non voltarsi mai indietro e continuare a scappare, fino a quando gli arti inferiori non avessero ceduto, le gambe troppo deboli, la faccia nel fango.

Si mise le mani in tasca e impuntò i piedi, costringendo la mente a tornare a quello che i suoi familiari stavano dicendo.

Gli avevano spiegato tutto, naturalmente, troppo pericoloso tenerlo in vita, gli avrebbe causato solo altro dolore.

E bisognava abbatterlo.

“Facciamolo adesso.” sussurrò, gli occhi fissi sul pavimento.

Suo padre e Mycroft lo guardarono.

“Ne sei sicuro?” chiese il fratello, avvicinandoglisi con calma.

“Starà sempre peggio, no? Meglio ora che farlo patire ancora inutili sofferenze.” La voce che lo disse gli risultò fredda, estranea.

Il signor Holmes annuì, “Esci Sherlock.”

Lui guardò suo fratello con sguardo determinato.

“Facciamolo restare, papà.”

 

C'erano tre fasi, quando si sparava. Mirare, caricare e fare fuoco. Sherlock lo sapeva bene.

Mirare.

Quando suo padre puntò il fucile verso la testa di Barbarossa, Sherlock trasse un respiro profondo, costringendosi a tenere gli occhi aperti.

Caricare.

Quando sentì quel secco clack, la sua mano volò verso quella di Mycroft, tesa verso di lui, come se il fratello se lo aspettasse. La strinse, la strinse come se da quella stretta dipendesse l'universo.

Sparare.

Gli occhi di Barbarossa erano rivolti verso di lui, lucidi, lo sguardo interrogativo.

Sherlock emise un suono strozzato, le braccia di Mycroft attorno alla sua schiena in mutuo conforto.

Un colpo secco.

Solo uno sparo, poi il vuoto.

Faceva male, si accorse Sherlock, mentre quelle lacrime, che aveva deciso di tenere soltanto per sé, iniziavano a cadere.

Faceva male.

Lo amava, amava Barbarossa, e ciò gli aveva fatto male.

Amare.

No.

Mai più.

 

 

 

 

 

--- Note inutili che potete saltare ---

“Non cercare di confortarmi, non ci sei portato, Mycroft, resta sul ghiaccio, ti viene decisamente meglio.” è una citazione presa da The Sign of Three, in un dialogo tra il magnifico John e Sherlock. Solo riadattata un pochino.

 

Carl Powers. È stato il primo caso di Sherlock. Lui otto anni e Jim tredici, ma quando cavolo erano precoci questi due?

Spero che vi sia piaciuta... se vi va commentate!!! :)

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Capitolo 2
*** Di quando Sherlock scoprì come nascono i bambini ***


Sherlock aveva quattro anni quando glielo chiese, avviluppato in una coperta azzurra di lana con 39 di febbre.

“Myc, cobe nascono i babini?” aveva domandato, il naso chiuso e gli occhi lucidi. Il fuoco nel caminetto che scoppiettava allegramente, illuminando di una luce danzante il viso del bambino.

“Ti hanno trovato sotto un cavolo, ovviamente.” rispose Mycroft dalla sedia vicino al letto del piccolo.

“Dai, Myc!” insistette lui. Quella del cavolo gliela avevano già propinata qualche mese prima.

“Sherl, non dovresti dormire?” chiese con uno sbuffo.

“Non ho sonno. Vuoi rispobdere?” insistette, tentando invano di sedersi, cadendo di nuovo sul letto.

“Beh ecco...”

Sherlock annuì, incoraggiante facendo al fratello l'aria da cucciolo che lui tanto adorava, lo sguardo luccicante, un po' per la febbre, un po' per il fuoco. Una delle poche espressioni esistenti sulla terra capaci di scogliere l'undicenne come neve al sole.

“Bene, ecco... - il ragazzo si sedette sul bordo del letto del fratello, accarezzandogli dolcemente la guancia scottante – quando due persone si amano, ma si amano davvero tanto, inviano una lettera alla cicogna, un grosso uccello bianco che...”

“No.”

“Ma non ho ancora finito di raccontare, aspetta almeno!” protestò Mycroft.

“Non è possibile, se fosse inverno le cicogne non potrebb- etciiuuu!! - la voce roca di Sherlock venne interrotta da uno starnuto. Si chinò di lato, cercando di riprendere fiato e tese la mano, aspettando che il fratello gli allungasse un fazzoletto – grazie. È il sesso, bero?” chiese qualche minuto dopo sussurrando, appoggiandosi alla spalla di Mycroft per sedersi.

“Sherlock...”

“Vuoi che dibostri la bia teoria con le forbiche?” minacciò, allungandosi per prendere un bicchiere d'acqua.

“Oh, per l'amor di Dio, no. Sì, c'entra quello.” assentì lui, stabilizzando il corpo pallido del bambino che già tremava, uscito dal caldo confortante delle coperte. - Ti vuoi mettere a letto?”, sgridò.

Sherlock sbuffò leggermente, stendendosi sopra il caldo piumone a sfondo piratesco, “Ba cosa succede, esattabente? - chiese, portandosi le mani sotto il mento in una perfetta imitazione del fratello maggiore – Questo non l'ho proprio capito, sentendoti studiare i tuoi libri...”

Mycroft sorrise leggermente, “Sai cosa differenzia una maschio da una femmina vero?”

Sherlock lo guardò come se avesse scoperto l'acqua calda, il viso che si contorceva in una smorfia seccata, “Non sono bica stupido, sai?”

“Te lo dico solo se ti metti sotto le coperte e stai zitto, va bene?”

Sherlock sospirò, lasciando che Mycroft lo coprisse con mille strati di stoffa calda.

“Pronto?”

Lui annuì.

“Devi sapere che alcune parti del corpo umano femminile e di quello maschile secernono delle sostanze, in particolare, i maschi gli spermatozoi, le femmine gli ovuli. Ci siamo fin qui?”

Il ragazzo annuì, accoccolandosi meglio, come per sentire quella che senz'altro sarebbe stata una favola entusiasmante.

“Bene, quando un uomo e una donna decidono di copulare...”

“Copulare?” chiese dubbioso il piccolo Holmes, stringendo il cuscino con le mani pallide.

“Unirsi sessualmente, fratello.”

“Ah.” annuì Sherlock.

“Bene, queste sostanze, gli spermatozoi, entrano nel corpo della donna, salgono per le tube uterine fino ad incontrare gli ovuli femminili. Alla fine, uno spermatozoo riesce ad entrare nell'ovulo, fecondandolo. Quello che nasce si chiama zigote. Lo zigote viaggia verso l'endometrio, la parete dell'utero, un organo particolare che si trova nel basso ventre. L'endometrio si era già preparato ad accogliere il bambino in precedenza grazie al ciclo ovarico, un complesso ciclo che coinvolge molti ormoni, come per esempio il progesterone, gli estrogeni e l'HCG, ovvero la gonadotropina cor- Mycroft si stoppò, sentendo un leggero russare provenire dal batuffolo sotto le coperte. Ma che...

- Sherlock, mi stai ascoltando? Sherlock?”

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Capitolo 3
*** Di corvonero e grifondoro ***


Non gli piaceva Sherlock.

Ma non gli piaceva proprio per niente.

Una sconosciuta e strana interferenza che si presentava di tanto in tanto, ecco cos'era quel ragazzo.

L'aveva conosciuto durante l'ora di pozioni. O meglio, la sua ora di pozioni, quella di John, il corvonero del settimo anno stava pulendo una montagna di calderoni, come punizione.

Non che gli dispiacesse, affatto, stava parlottando a bassa voce con se stesso di un qualche incantesimo, incurante delle occhiatacce di Piton.

E John non gli aveva tolto gli occhi di dosso per un attimo, in quelle due ore, sbagliando lui non sapeva più quanti ingredienti.

La seconda volta che quella strana interferenza si era presentata stavano facendo una lezione di volo. E lui andava bene, dei grifondoro era senz'altro uno dei migliori. Ma Sherlock... Sherlock gli aveva soffiato il boccino in circa cinquanta secondi e gli aveva mormorato, mentre stringeva la sfera dorata, qualcosa del tipo “Tu guardi, ma non osservi.”

La terza erano alla festa di Halloween.

Lui stava chiacchierando con una ragazzo, Mike, un tassorosso, e quello strano studente gli aveva lanciato uno sguardo penetrante. Non era riuscito a toglierselo dalla testa per tutta la sera.

La quarta volta c'era stato quell'incendio con il professor Vitius, l'aula di incantesimi era esplosa grazie ad un certo Greg Lestrade, e John in particolare aveva rischiato grosso, data la vicinanza alla fonte dell'esplosione. E Sherlock lo aveva trascinato via, “Ciao Watson.”, aveva creduto di sentir sussurrare, mentre diventava tutto buio.

Aveva sbattuto le palpebre ed era svenuto. O almeno doveva essere così, perché quando aveva riaperto gli occhi era in infermeria con Madama Chips che lo guardava preoccupato.

La quinta, la sesta e la settima, erano solo occhiate furtive durante le lezioni, a tavola, durante le partite di Quidditch.

Una strana e bella interferenza che di presentava ogni tanto.

Peccato non così spesso.


 

L'ottava volta erano a Hogsmeade.

Holmes stava bevendo da un piccolo bicchiere del Rum di ribes rosso, gli occhi azzurro ghiaccio che scrutavano la folla del locale. I capelli ricci che gli scendevano sulla fronte.

Lui gli si sedette vicino, porgendogli la mano, “Ciao, sono John Watson.”

 

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Capitolo 4
*** Mamma! ***


“MAMMA!!!!” l'urlo di Mycroft risuonò tra le pareti della camera.

“MAMMAAA!! - gridò di nuovo il sedicenne dai capelli rosso fiamma guardando storto suo fratello, le cui labbra erano distorte in un ghigno malizioso – Ti odio.” gli sussurrò Mycroft, storcendo il naso.

“MAMMA VIENI IMMEDIATAMENTE QUI!!” urlò ancora il liceale alzandosi in piedi e aprendo la porta, in modo da inondare tutta la casa con le sue grida addolorate.

Sherlock aveva superato ogni limite.

Quello che aveva fatto era stata una pugnalata alle spalle.

Una stilettata al cuore.

Andava bene nascondergli i calzini.

Poteva sopportare che qualcuno lo prendesse in giro per quel minimo di pancetta che si ritrovava.

Tollerare, ma a malapena, che suo fratello gli mangiasse sotto gli occhi un doppio gelato al cioccolato, mentre lui era costretto a stare a dieta.

“MAMMA, VIENI QUI O UCCIDO TUO FIGLIO!!!!” gridò ancora Mycroft, ignorando gli sghignazzamenti di suo fratello.

Sentì i passi affaticati di Violet sulle scale e annuì soddisfatto, lanciando uno sguardo pieno d'odio al novenne moro.

“Cosa succede qui?” chiese Mrs. Holmes, apparendo sulla soglia della camera.

“Mamma, Sherlock mi ha preso l'ombrello.”

 

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