Possiamo imparare ad amarci di nuovo.

di Salice_
(/viewuser.php?uid=251154)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Col pensiero torno a te. ***
Capitolo 3: *** You're killing me. ***
Capitolo 4: *** Il cacciatore. ***
Capitolo 5: *** Carta stampata. ***
Capitolo 6: *** Sotto un raggio di sole. ***
Capitolo 7: *** Solitudine. ***
Capitolo 8: *** Parole d'inchiostro. ***
Capitolo 9: *** Pericolo. ***
Capitolo 10: *** Ciò che non posso sacrificare. ***
Capitolo 11: *** L'arrivo di Shirogane. ***
Capitolo 12: *** Il congedo di Soledad. ***
Capitolo 13: *** Back to Tokyo. ***
Capitolo 14: *** The reason. ***
Capitolo 15: *** Così vicino, così lontano. ***
Capitolo 16: *** Nodi. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo.

 

Il silenzio; un silenzio tanto forte da premere contro le orecchie, da risucchiarti in un vortice di solitudine in cui esisti solamente tu e la tua coscienza.
In quella fredda nottata i pensieri volavano veloci, come petali di rose nere sospinti dal vento e destinati a posarsi in nessun posto. E lui di cose a cui pensare ne aveva parecchie. Perché quando insisti nel perorare una causa ormai persa hai bisogno di fermarti a riflettere sui motivi che ti hanno spinto, fino a quel momento, a continuare a lottare; devi capire per che cosa vale la pena soffrire, provare, perdere e riprovare.
Ciò che lo spingeva a non arrendersi erano i suoi lunghi capelli viola, nei quali voleva tornare ad affondare le mani; le ciglia nere, cornice incantata di un oceano blu nel quale annegare; le sue dita affusolate, che possono carezzare o graffiare.
Il motivo della sua continua ricerca, quell’Eldorado, era il suono della sua voce, così pacato e rassicurante, assieme al raro sorriso che increspava quelle labbra carnose. E lui avrebbe ucciso e sarebbe morto per rivedere, anche solo per un attimo, la piccola ruga verticale che le si formava sulla fronte quando era pensierosa, o il fuoco emanato dallo zaffiro dei suoi occhi. Perché esiste sempre qualcosa, un’ancora di salvezza, alla quale vale la pena aggrapparsi.
Kisshu si passò una mano fra i capelli scarmigliati, disordinandoli ancora di più, e mettendo in evidenza il suo orecchio umano.
Era stata con grande riluttanza che Ryan aveva acconsentito a rendere le sue orecchie molto più terrestri, lasciando però un dettaglio che ricordasse le sue origini aliene: la punta, che le rendeva particolarmente simili a quelle di un folletto. Kisshu, però, aveva insistito: come avrebbe fatto altrimenti a cercare Zakuro in ogni angolo remoto della Terra con tranquillità?
L’amore lo aveva portato ad essere così simile a quegli esseri umani che, anni prima, aveva tanto disprezzato. L’amore lo aveva privato di energie, rendendolo una fortezza invalicabile; era prosciugato, inaridito, disperato.
Perché non poteva accettare l’idea che la persona più importante della sua vita gli venisse strappata via così brutalmente; e in quel momento si ritrovò assurdamente a pensare a quanto avrebbe voluto che gli venisse rivolto quell’addio che Zakuro gli aveva sempre negato. Un sorriso amaro tentò di stendere le labbra sottili dell’alieno, ma senza risultato: cosa potevano saperne di tutto il dolore che avrebbe seguito il folle gesto di Cordelia? Chi mai avrebbe potuto prevederlo, essere preparato, accettarlo?
Nei cinque anni che avevano seguito lo scontro finale con la ex sovrana di Edren, Kisshu aveva abbandonato Tokyo per andare alla disperata ricerca di Zakuro. Non aveva voluto che nessuno lo accompagnasse: doveva essere lui a ritrovarla. Era partito senza uno straccio di indizio, senza una strada da seguire, un piano, nulla; nessuno poteva sapere dove si trovasse Zakuro e sotto quali spoglie si celasse. Kisshu aveva cominciato a setacciare un paese dopo l’altro, ma, ad ogni tentativo fallito, la speranza lo abbandonava progressivamente; la ricerca, però, continuava. Le settimane divennero mesi, e i mesi divennero anni.
Più di una volta, Kisshu fu quasi certo di essere riuscito a ritrovare Zakuro: lo aveva pensato quando aveva incontrato Charlotte, Anne, Britney e Helena, ma nessuna di loro si era rivelata quella giusta. Poi c’era stata Maya. Era una ragazza dolce, dalla carnagione color dell’ebano; una di quelle donne che ti fanno venir voglia di farci l’amore per ogni secondo della tua esistenza. Maya sapeva sorridere, vivere alla giornata, accontentarsi, e aveva trascinato Kisshu in una
spirale di sentimenti tanto forti quanto ingiusti. Con lei aveva passato ore steso in un prato, accarezzando quella pelle scura, così in contrasto con la sua carnagione diafana, e respirando il profumo esotico dei suoi capelli eburnei. Purtroppo, però, con il passare dei mesi aveva capito di ritrovarsi stretto fra le
braccia sbagliate: per quanto Maya potesse ricordargli Zakuro, non era altro che un’estranea.
Kisshu aveva sbagliato tutto, di nuovo.
E le ricerche erano ricominciate, inconcludenti come al solito. Per questo motivo Kisshu si trovava sulla terrazza di quel piccolo appartamento, solo e in preda allo sconforto.
Perché la rabbia si impossessava di lui, come un incendio costantemente alimentato da un folle, facendogli tremare le mani e mancare il respiro? Perché un destino avverso insisteva nel volergli rubare tutto ciò che amava?
Kisshu assestò un pugno al parapetto al quale era appoggiato, facendolo vibrare minacciosamente. Era furioso con se stesso per non essere riuscito a tenere Zakuro legata a sé, e lo era ancor di più per non essere stato in grado di ritrovarla in ben cinque anni di ricerca. In quel momento, lei avrebbe potuto essere dovunque, a chissà quanti chilometri di distanza, stretta nell’abbraccio di un uomo senza nome e senza volto; questo faceva impazzire Kisshu.
Si prese stancamente la testa fra le mani, continuando a fissare le luci che si rincorrevano sotto di lui senza realmente vederle. E un pensiero persistente, lo stesso che lo aveva ossessionato durante quei cinque lunghi anni, tornò ad illuminare i suoi occhi dorati di una nuova luce.

Non posso rinunciare. Se sarà necessario, trascorrerò anche tutta la mia vita alla ricerca di Zakuro.

 

 

Angolo Autrice:

Salve a tutti! Ed eccomi tornata con il Prologo della terza e ultima parte della mia serie dedicata a Kisshu e Zakuro. Ringrazio tutti voi per essere arrivati fino a questo punto; spero abbiate apprezzato questo primo capitolo. Non preoccupatevi se pensate sia un po’ corto: non potevo certo scrivere un prologo di sette pagine World, ma per il resto svilupperò la storia come sono solita fare.
Approfitto di questo primo Angolo Autrice per ringraziare di cuore Lady S, che mi ha dato l’idea del cambio di memoria e di identità.
In più voglio ringraziare le fantastiche persone che mi hanno seguita fin dall’inizio, recensendo ogni singolo capitolo:

blackmiranda

_Haushinka

B_bb_r_

Seby1993_ziabefana

 
Quindi, questo prologo è incentrato maggiormente sui sentimenti di Kisshu e sulla sua decisione di partire alla ricerca della sua amata, nonostante l’impresa appaia folle e impossibile da realizzare. Che cosa ne pensate di questa prima parte? Se avete apprezzato, fatemelo sapere con una recensione, anche piccola piccola, ma ho bisogno di capire se come inizio vi è piaciuto.

Ho deciso che invierò uno spoiler del prossimo capitolo al primo recensore!

 
Salice_

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Col pensiero torno a te. ***


Col pensiero torno a te.

Sotto quello stesso cielo notturno, in America, un altro ragazzo era vittima di una prepotente ondata di pensieri.
Ryan Shirogane posò il bicchiere di brandy sul tavolinetto di fianco a lui, sprofondando meglio nella poltrona e passandosi una mano fra i capelli biondi. Stancamente, raccolse da terra il quotidiano che aveva gettato poco prima in un impeto d’ira, dispiegandolo e tornando a fissare la figura che occupava metà pagina: la foto di una ragazza alta, dai lunghi capelli viola e occhi blu come l’oceano.
Si trattava dell’ennesimo articolo che parlava della misteriosa scomparsa di Zakuro Fujiwara, avvenuta cinque anni prima. La stampa aveva capito che un articolo del genere sarebbe sempre riuscito ad attirare i lettori, permettendogli di occupare qualche pagina inutilizzata all’interno del quotidiano.
Anche quella volta, qualcuno sosteneva di aver riconosciuto la famosa ex modella in mezzo alla folla e aveva mandato immediatamente una segnalazione alle autorità.

Poveri sciocchi, pensò Ryan con una punta di amarezza, come possono immaginare che Zakuro non assomigli più minimamente alla ragazza che era un tempo? Probabilmente, non risponderà più nemmeno allo stesso nome.
I suoi occhi color del ghiaccio si soffermarono nuovamente sulla foto, che ritraeva una Zakuro dal sorriso enigmatico davanti ai riflettori di un set fotografico.
Ryan ripensò a quell’abbraccio mancato, al modo in cui si era bloccato prima di cingerla fra le sue braccia l’ultima volta, prima che lei abbandonasse il laboratorio per recarsi sul luogo della battaglia finale. Perché quando perdi una persona, ti ritrovi inevitabilmente a pensare a tutti i gesti serbati, le parole taciute, a tutto ciò che avresti voluto fare ma che hai rimandato con la falsa consapevolezza che ci fosse ancora tempo.
Ma il tempo è per gli stupidi. Non gli era bastato perdere i suoi genitori quando era solo un bambino per capire che, nella vita, non ci si può aspettare che le persone rimangano per sempre accanto a noi, o che, per lo meno, ci avvisino poco prima di andarsene in modo da permetterci di interpretare una di quelle classiche scene da film drammatico da quattro soldi nelle quali il protagonista esprime tutti i propri sentimenti all’amico in punto di morte. Non funzionava così, e Ryan avrebbe dovuto saperlo.
Non riusciva a perdonarsi per aver condotto Zakuro in direzione di un mero destino: in quanto iniziatore del Mew Project era, seppur indirettamente, responsabile della situazione che si era creata.
Aveva visto le ragazze disperarsi per la sorte della loro compagna assieme agli alieni; avrebbe potuto giurare che, in quegli anni, perfino Kyle avesse versato alcune lacrime solitarie pensando a Zakuro. E poi aveva assistito alla rabbia e al dolore di Kisshu. Era un qualcosa di straziante, una sofferenza che metteva i brividi, che ti entrava nelle vene, nelle ossa. Al solo guardare quegli occhi dorati, l’ira celata dietro le pupille dai tratti felini diveniva palpabile.
Anche Ryan si sentiva così, nonostante cercasse di nasconderlo e di controllarsi. Non aveva mai pensato che Zakuro potesse andarsene all’improvviso, senza lasciare tracce di sé. Non credeva potesse esistere un destino peggiore della morte.
Così come non si sarebbe mai potuto dar pace se qualcuna delle sue paladine avesse perso la vita durante una battaglia, non riusciva ad accettare che a Zakuro fosse toccata una sorte tanto infausta.

Eppure penso a lei nella stessa maniera con la quale si pensa ai defunti; forse perché la situazione è talmente assurda e disperata da non avere scorciatoie e vie d’uscita. È come se Zakuro Fujiwara fosse veramente morta.
Ryan emerse dai propri pensieri e ingollò ciò che rimaneva del suo brandy; dopodiché si alzò dalla poltrona lasciandovi cadere con malagrazia il giornale. Con il cuore così pesante che pareva fosse ancorato direttamente ad un macigno si diresse al piano superiore, sperando che, almeno per quella notte, i sensi di colpa lo abbandonassero, in modo da lasciarsi andare ad un sonno senza sogni.

 

 

 

Anche sotto il cielo stellato di Tokyo, un’altra persona rifletteva incessantemente. Minto Aizawa liberò i suoi capelli corvini dagli abituali chignon, lasciandoli ricadere liberi e mossi sulle spalle. Era seduta di fronte alla finestra della sua immensa camera da letto, intenta a fissare il cielo. Una parte di lei cercava di spingerla ad uscire sul terrazzo, a farsi accarezzare dall’aria tiepida della notte; un’altra le impediva di muoversi. Da troppo tempo si sentiva terribilmente sola e vulnerabile.
Continuò a fissare quel manto scuro trapunto di stelle dalla sua camera, mentre il volto di Zakuro riaffiorava inevitabilmente fra i suoi ricordi. Nei cinque anni che erano trascorsi dalla maledizione di Cordelia aveva provato ad accettare la mancanza della sua compagna di squadra, ma invano: la sparizione di Zakuro l’aveva colpita nel profondo, facendole versare Dio solo sa quante lacrime.
Oltre tutto l’affetto e l’ammirazione che Minto provava per l’ex modella, però, c’era dell’altro: il fatto che Zakuro se ne fosse andata così, senza preavviso, le aveva sbattuto brutalmente in faccia una realtà difficilissima da accettare.
Se una persona forte come Zakuro non aveva potuto fare nulla contro il proprio destino, allora voleva dire che nessuno era in grado di contrastarlo. Zakuro era forte, fiera, determinata, e aveva sempre lottato con tutta se stessa per i propri ideali, all’interno del Mew Project e non; vederla sparire era stato come accorgersi che anche la colonna portante delle proprie convinzioni, per quanto austera e inviolabile, sarebbe potuta crollare.
Minto chiuse gli occhi, nascondendo il volto fra le mani. Il fatto che Zakuro non fosse più con loro aveva sconvolto tutti, Kisshu in primis. Minto sapeva bene che l’alieno, in passato, era stato un guerriero spietato, ma ciò che rimase impresso nei suoi occhi dorati da quel maledetto giorno la sconvolse: l’odio. Non aveva mai pensato che una persona potesse avere così tanto odio racchiuso in uno sguardo, così tanta rabbia sotto la pelle, pronta ad affiorare da un momento all’altro. Sembrava che Kisshu avesse preso ad odiare la vita. Si ritrovava spesso a gridare contro al primo di loro che aprisse bocca, fino a placare l’ira momentanea che lo sopraffaceva.
Quando Kisshu, poco tempo dopo la scomparsa di Zakuro, aveva annunciato di voler partire alla sua ricerca, Minto aveva affermato di essere intenzionata a seguirlo. La ragazza aveva immaginato che Kisshu si opponesse con tutte le sue forze, prendendo le sue parole come un’occasione per esplodere nuovamente. Invece, Kisshu non urlò. Si limitò a rimanere alcuni secondi in silenzio, lasciando che le parole di Minto gli scivolassero addosso. Dopodiché abbassò le spalle e il capo con frustrazione, per poi lasciare la stanza senza proferire parola.
E Minto capì che non avrebbe mai potuto accompagnare Kisshu nella ricerca di Zakuro: doveva essere lui a farlo, era giusto così, e lei non avrebbe mai potuto mettersi in mezzo ad una faccenda tanto dolorosa quanto delicata. Non era suo compito riportare Zakuro a casa e, se esisteva qualcuno in grado di ritrovarla, quello era proprio Kisshu.
Minto lasciò che le sue braccia le ricadessero lungo i fianchi e, finalmente, aprì gli occhi, cercando di spazzare via i ricordi. Il cielo stellato era ancora lì, di fronte a lei, e Zakuro era da qualche parte là fuori, sotto lo stesso cielo.

Kisshu, ti prego, trova Zakuro.

 

 

 

 

Angolo Autrice:

Ciao a tutti!
Non vi ho fatto aspettare molto per questo secondo capitolo, fortunatamente! Ho visto che il prologo ha riscosso un certo successo; ne sono veramente troppo felice, non pensavo. Ringrazio ancora tantissimo tutte le persone che lo hanno recensito: adoro ricevere i vostri pareri!

Bene, parlando di questo capitolo: so che non sono ancora entrata nel vivo della storia, ma mi serve ancora del tempo per carburare. In questo modo, sono riuscita a dare spazio alle riflessioni di due personaggi profondamente legati alla figura di Zakuro, ovvero Minto e Ryan. Ho sempre trovato affascinante il legame che li univa, e un capitolo dedicato a loro era d’obbligo.

Spero che vogliate continuare a seguire, leggere e recensire la mia storia ^^

Un abbraccio forte a tutti,
Salice_

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** You're killing me. ***


You're killing me.


Kisshu se ne stava in piedi sul ciglio della strada, sotto alla pioggia battente. I pugni serrati, la mascella contratta, le unghie delle mani che penetravano nella carne; tentativi vani di celare tutto l’odio e la rabbia che lo stavano investendo.
Le gocce d’acqua che piovevano dal cielo come lacrime amare scivolavano fra i capelli verdi, accarezzando quasi i lineamenti induriti del suo volto diafano. Le mani avevano preso a tremare forte, nello sforzo esercitato per non cominciare ad urlare e le labbra sottili erano dispiegate in una smorfia di profondo disprezzo. Poco importava che la pioggia stesse infradiciando i suoi indumenti; ancora meno il fatto che i passanti potessero prenderlo per pazzo. L’unica cosa che contava in quel momento era ciò che i suoi occhi dorati erano costretti a guardare.
Zakuro era seduta in un bar poco distante, assieme ad uno sconosciuto. La ragazza si sfilò il giubbottino color pervinca appoggiandolo allo schienale della sedia, tornando a fissare l’uomo seduto di fronte a lei; lui sorrideva, e, per un attimo, parve quasi che Zakuro ricambiasse quello stupido sorriso.
Il cameriere si avvicinò al tavolo, e il gioco di sguardi venne interrotto per lasciare spazio alle prenotazioni; in meno di un minuto, però, riprese, e Zakuro appoggiò il mento alla mano, sinceramente interessata alle parole vuote di quell’estraneo.
Kisshu la vide tagliare con la forchetta un pezzo della sua crostata alla frutta. Quante volte, al Caffè Mew Mew, le aveva fatto compagnia mentre mangiava quel dolce che le veniva offerto da Kyle. Come poteva accettare il fatto che, adesso, quel ruolo fosse riservato ad un’altra persona?
E se io cadessi a terra non potendo più sopportare tutto questo, tu che faresti?
Kisshu si ritrovò a scrocchiare le dita, mentre assisteva impotente a quella assurda farsa. Sentiva che, da un momento all’altro, avrebbe potuto esplodere, distruggendo tutto ciò che lo circondava, la strada, il locale, loro.
Improvvisamente, Zakuro si alzò, dirigendosi a passo sicuro verso lo sconosciuto. Scostandosi i capelli scuri dal viso mormorò qualcosa all’uomo, che annuì; allora, lei si sedette sulle sue gambe, mentre quelle braccia indegne le cingevano la vita.
Vieni, abbattimi, seppelliscimi. Sono finito senza di te.
Vide l’uomo estrarre dalla tasca dei pantaloni il suo cellulare e stendere il braccio di fronte a sé, mentre Zakuro avvicinava il volto al suo mettendosi in posa. I suoi occhi color zaffiro andarono a fissare la fotocamera, mentre sulle labbra le compariva un sorriso forzato. Kisshu sapeva bene quanto quel sorriso fosse finto ed innaturale, un qualcosa che non trasmetteva nessuna gioia; ma allora perché lo faceva?
Il flash scattò, e quell’immagine rimase impressa in modo indelebile nel cellulare, così come nella memoria di Kisshu.
Guardami negli occhi: mi stai uccidendo.
Se solo Zakuro si fosse soffermata sullo sguardo dorato del suo ex compagno avrebbe potuto capire tante cose: avrebbe visto la tempesta, un uragano di emozioni; avrebbe visto che Kisshu aveva un mondo in fondo agli occhi, tutto a sua completa disposizione. Se solo ci avesse provato, avrebbe visto se stessa lì dentro, assieme a tutto il desiderio di riaverla.
 
 
 
Kisshu spalancò gli occhi, svegliandosi di soprassalto. Si ritrovava in un misero monolocale, disteso in un letto troppo duro e freddo. La luce della luna illuminava scarsamente quelle quattro mura.
Era solo un sogno, realizzò passandosi una mano sugli occhi.
Nonostante ciò, però, il cappio invisibile che stringeva il suo collo non sembrava avere la minima intenzione di allentarsi. Provava un dolore sordo al petto, come se qualcosa al suo interno si fosse rotto irreparabilmente; la mano destra si strinse automaticamente a pugno mentre Kisshu si metteva a sedere, un rivolo di sudore che colava, lento e inesorabile, dalla tempia.
Perché la verità è che Kisshu odiava pensare che Zakuro, in quel preciso momento, potesse essere stretta fra le braccia di un altro. Era troppo possessivo, geloso, ossessivo per rassegnarsi ad un’idea del genere; era troppo innamorato. Non avrebbe mai potuto accettare che nessun altro al di fuori di lui la guardasse come se costituisse il proprio centro del mondo.
E, improvvisamente, con la forza devastante tipica dei ricordi, gli tornò in mente un episodio di molti anni prima.
 
 
Kisshu era appoggiato allo stipite della cucina, intento ad osservare la sala del Caffè Mew Mew gremita di clienti. Ichigo e Retasu si davano da fare come al solito, mentre Minto continuava imperterrita a sorseggiare il tè, seduta al suo solito tavolino.
Un angolo della bocca dell’alieno si sollevò in un sorrisetto: chi mai l’avrebbe detto che si sarebbe trovato a lavorare sotto copertura in quel locale assieme alle Mew Mew dopo aver stretto un’alleanza con loro? Probabilmente, se qualcuno glielo avesse comunicato alcuni mesi prima, sarebbe scoppiato a ridere.
- Pistaaaaaa! –
Kisshu saltò prontamente di lato, schivando per un pelo Purin che usciva a tutta velocità dalla cucina trasportando due vassoi stracolmi.
- Stupida scimmia, per poco non mi uccidi! – le gridò dietro Kisshu furente.
Minto, dal suo tavolino, si inserì nella conversazione: - Se non siamo riuscite a farlo in quasi un anno di combattimenti, non penso proprio che ci riuscirà Purin armata soltanto di alcune tazze da tè! –
- Nessuno ha chiesto il tuo parere! –
La futura litigata venne prontamente sventata da Kyle, emerso dalla cucina con due fette di torta.
- Kisshu, per favore, potresti portare queste al tavolo Sei? –
L’alieno afferrò il piatto senza rispondere, dirigendosi a passo strascicato verso la sua destinazione, quando qualcosa attirò la sua attenzione: Zakuro, alla cassa, era intenta a discutere con un ragazzo.
Kisshu consegnò frettolosamente le fette di torta al tavolo sbagliato, avanzando in direzione della modella. Avvicinandosi, la sentì rispondere freddamente allo sconosciuto:
- Mi spiace, no. Adesso saresti così gentile da farti da parte, in modo che anche gli altri clienti possano pagare? –
Il ragazzo di fronte a lei rimase un po’ interdetto di fronte a quello sguardo gelido, ma non demorse.
- Non vedo cosa ci sia di male! Allora, a che ora stacchi? –
Improvvisamente, venne sollevato di alcuni centimetri da terra e sbattuto contro la parete. Kisshu, di fronte a lui, lo teneva per il collo, la mascella contratta e una vena pulsante sulla tempia.
- Se vuoi posso dirti tra quanto si staccherà la testa dal tuo collo. – ringhiò l’alieno a pochi centimetri dal volto del ragazzo, che lo fissava terrorizzato.
Per fortuna, in quel momento intervenne Ryan, allontanando Kisshu e riportando tutto alla calma. Dopo che lo scocciatore se ne fu andato, il biondo prese da parte Kisshu, conducendolo di fronte agli spogliatoi.
- Allora, sei impazzito del tutto? – lo rimproverò Ryan incrociando le braccia al petto.
- Evita la ramanzina Biondo, non ci metto niente ad appendere anche te al muro! –
Ryan sospirò, cercando di ritrovare la calma.
- Non puoi attirare l’attenzione in questo modo, Kisshu! In più farai fuggire tutti i clienti del Caffè! –
Kisshu alzò un sopracciglio, prima di ribattere:
- Ma cosa te ne frega? Tanto sei ricco anche senza i soldi che guadagni con il locale! –
Ryan sbuffò sonoramente, superando Kisshu senza dire una parola, evidentemente alterato. L’alieno lo seguì con lo sguardo, vedendo Zakuro apparire nel corridoio. Quando Ryan passò di fianco alla modella lo sentì distintamente mormorare: “Io non lo sopporto più!”, prima di tornarsene nella sala principale.
Kisshu, allora, si voltò del tutto verso Zakuro, che lo fissava a braccia conserte.
- Hey tesoro! – esclamò l’alieno avvicinandosi svolazzando alla Mew Lupo, che però non diede alcun segno di apprezzare la sua vicinanza.
- Devi sempre dare spettacolo? – fu la sua secca domanda.
- Cosa ci posso fare se perdo il lume della ragione quando qualcuno ti si avvicina?! – ribatté lui portando di fronte a Zakuro.
- Non puoi malmenare tutti gli idioti che cercano di attaccare bottone! – continuò la modella, implacabile – Che cosa potresti mai combinare se dovessi accompagnarmi sul set e assistere alle riprese? –
- E’ proprio per questo che non vengo a trovarti mentre lavori! – svelò Kisshu sorridendo, mentre si tele-trasportava alle spalle di Zakuro e la abbracciava.
La ragazza si ostinò a rimanere rigida per un po’, fino a ché le fu impossibile resistere; si lasciò andare all’abbraccio, facendosi cullare lentamente e appoggiando il capo sulla spalla di Kisshu.
- Ora che ti ho trovata non ti lascio scappare via. – le mormorò l’alieno all’orecchio.
 
 
 
Kisshu riemerse a fatica da quel ricordo tanto bello quanto doloroso.
E invece ho permesso che se ne andasse, si ritrovò a pensare.
Fra le sue braccia non c’era nessuno, solo il vuoto; l’altro lato del letto non ospitava la figura della persona che amava.
In quel momento, Kisshu si sentì del tutto incompleto.
Scese rapidamente dal letto, calciando via il cuscino che, durante la notte, era scivolato a terra, e cominciò a descrivere con il suo passaggio ampi cerchi nella stanza.
Non posso aspettare ancora, devo ricominciare le ricerche.
Arrestò la sua marcia solo per lanciare uno sguardo fugace alla luna, che risplendeva pallida oltre il vetro della finestra.
Ti troverò, Zakuro.
E, con questa muta promessa, Kisshu si tele-trasportò, ricomparendo nel cielo che sovrastava un’isola della Spagna.

 
 
 
Angolo Autrice:
Ciao a tutti!
Scusate se vi ho fatto attendere per questo terzo capitolo, ma in questi giorni non sono stata praticamente mai a casa.
Spero di non avervi annoiati: questo è un capitolo del tutto di passaggio, che ho voluto utilizzare per dedicare qualche momento di introspezione a Kisshu. Le ricerche vere e proprie partiranno dal prossimo capitolo!
Grazie a tutti coloro che leggono, seguono e recensiscono la mia storia, non sapete quanto mi facciate felice!
Fatemi sapere che cosa ne pensate e soprattutto se vi è piaciuto il capitolo o se vi ho annoiati.
Un abbraccio forte,
Salice_

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il cacciatore. ***


Il cacciatore.




Kisshu se ne stava seduto in cima ad un grattacielo, intento a fissare quella caotica città dall’alto; da sempre, quella posizione di apparente superiorità lo aiutava a riflettere meglio prima di compiere un passo importante.
Sotto di lui, le persone si muovevano rapidamente, rapite dalla routine e immersi fino alla gola nei propri pensieri e preoccupazioni. Riflettendoci, era strano pensare che lui non fosse l’unico sulla faccia della Terra a sopportare una situazione disperata; il fatto che anche il resto dell’umanità fosse attanagliato dai problemi, però, come magra consolazione non bastava.
Il destino è contro di me, si ritrovò a pensare Kisshu mentre si sporgeva oltre l’orlo del parapetto per osservare i movimenti sotto di lui. Sospirando, tese le braccia di fronte a sé, creando numerose increspature d’aria; dopo pochi secondi, ecco che il portale di una nuova dimensione aliena si creava di fronte ai suoi occhi. Kisshu si immerse in quel passaggio, catapultandosi in un limbo luminoso, in cui non esistevano né colori, né ombre e forme.
Rimanendo sospeso a qualche centimetro da terra, si grattò il mento con fare pensieroso.
Che tentativo posso fare stavolta per selezionare la ragazza giusta?
Dopo alcuni minuti di riflessione, finalmente Kisshu parve illuminarsi; aveva la facoltà di modellare quell’alcova a suo piacimento, in modo da renderla qualsiasi cosa volesse. Con un nuovo piano che lentamente prendeva forma nella sua mente, si mise all’opera.
Dopo diverse ore di estenuante lavoro, Kisshu si guardò attorno soddisfatto, stentando a riconoscere la dimensione aliena che aveva creato: ora aveva le sembianze di un bosco innevato, sprofondato nell’oscurità tipica delle tarde ore della notte. In quel luogo soffiava un vento gelido che trasportava con sé alcuni leggeri fiocchi di neve.
Perfetto, pensò Kisshu sbadigliando e portandosi entrambe le mani dietro alla testa Direi che così potrebbe andare.
E, con questo, si tele trasportò via, per ricomparire in città.
 
 
 
L’alieno comparve in un vicolo; era ormai calata la sera e in lontananza si udiva la musica proveniente da un qualche locale notturno. Kisshu si guardò intorno circospetto prima di richiamare uno dei suoi Sai e appostarsi dietro l’angolo, la schiena appoggiata alla fredda parete di pietra. Come una fiera che attende pazientemente il momento opportuno per attaccare la sua preda, Kisshu aspettò in silenzio.
Ci vollero alcuni minuti prima che avesse fortuna; l’alieno udì il rumore di passi che si avvicinavano, così si sporse impercettibilmente oltre al muro per controllare: una ragazza stava venendo nella sua direzione, sola, inciampando ogni tanto a causa dei tacchi alti. Kisshu strinse più forte il manico della sua arma, mentre una scarica di adrenalina percorreva la sua spina dorsale. Attese che la sua vittima lo superasse, prima di uscire allo scoperto e attaccarla alle spalle; senza fare il minimo rumore, si alzò in volo di alcuni centimetri da terra e colpì la ragazza alla nuca con l’impugnatura del Sai. Questa svenne e Kisshu la accolse prontamente fra le sue braccia, trascinandola poi nel vicolo buio senza degnarla di uno sguardo. Una volta che la ebbe nascosta, si appostò nuovamente contro il muro, pronto a continuare la caccia.
Ripeté la stessa operazione un’altra volta, e ancora, ancora, e ancora, fino a ché non ci furono una decina di ragazze svenute e ammassate in quel vicolo umido. Solo in quel momento, Kisshu lanciò uno sguardo indagatore alle sue prede: ragazze di tutte le età, alte e basse, more e bionde. Tutte diverse fra loro, e tutte così diverse da Zakuro. Eppure, la sua amata avrebbe potuto essere benissimo una di quelle ragazze stese malamente a terra.
Senza indugiare ulteriormente su quei volti senza nome, Kisshu trasportò se stesso e le giovani nella sua nuova dimensione aliena.
 
 
 
Ricomparvero nel freddo bosco cosparso di neve; kisshu lasciò cadere le ragazze svenute ad un paio di metri da terra, mentre lui si posizionava in alto, fra le fronde innevate degli alberi, in modo da non essere visto. Abbassò lo sguardo sulle ragazze sotto di lui, distese in modo scomposto su quel manto bianco, animato da una semplice impazienza.
E adesso devo solo aspettare che si sveglino.
Pian piano, con il passare dei minuti, le ragazze cominciarono a svegliarsi; si tirarono su lentamente, chi reggendosi la testa ancora dolorante, chi sbattendo le palpebre con aria confusa.
Una ragazza dai lunghi capelli rossi si mise in ginocchio sulla neve, guardandosi attorno con panico crescente; fu la prima a rompere il ghiaccio.
- Che posto è questo? E chi siete voi? –
- E’ quello che vorrei tanto sapere anche io! – ribatté una ragazza che portava i capelli raccolti, massaggiandosi la nuca.
Le giovani cominciarono tutte a discutere fra di loro, chi guardandosi alle spalle terrorizzata, chi con rabbia; altre ancora sostenevano che fosse tutto un incubo.
Eh no care, pensò Kisshu con un ghigno assistendo alla scena dal suo angolino, diciamo semplicemente che è la mia vita ad essere diventata un incubo.
L’alieno osservò ancora per un po’ le sue prede mentre avanzavano ipotesi e congetture, senza però il coraggio di allontanarsi per cercare un’inesistente via d’uscita da quel bosco. Kisshu incrociò le braccia al petto, sospirando: non avrebbe dovuto attendere ancora molto prima che arrivassero.
Infatti, quasi come se il loro padrone li avesse chiamati, degli animali cominciarono a farsi strada nella boscaglia. Le ragazze, ormai terrorizzate, si strinsero di più, osservando con paura il punto della foresta dal quale provenivano morbidi rumori, attutiti dalla neve.
Cinque lupi comparvero nella radura, avanzando lentamente in direzione del gruppo. Erano lupi grigi, che si muovevano l’uno seguendo le orme dell’altro, gli occhi gialli fissi sulle giovani prede.
Le ragazze indietreggiavano di alcuni passi, mentre i lupi avanzavano, i denti scoperti in un ringhio. Improvvisamente, quello a capo del branco levò la testa al cielo, emettendo un lungo ululato da far venire i brividi.
Le ragazze si voltarono e cominciarono a correre disperate, ma a Kisshu bastò un’occhiata più accurata per designare i suoi prossimi obiettivi: tre ragazze erano rimaste ferme per tutta la durata dell’ululato, lasciando che i loro occhi accantonassero per un attimo la paura in modo da dare spazio ad una sorta di ammirazione selvaggia per quel richiamo della natura. Una ragazza aveva corti capelli neri, una li portava lunghi e castani e l’altra biondi e corti appena sotto le orecchie; nonostante fossero così diverse, tutte e tre rimasero per un attimo rapite dall’ululato del predatore, come se ne fossero attratte, prima di voltarsi a loro volta e cominciare a fuggire.
Può bastare, decise mentalmente Kisshu, mentre i lupi si lanciavano, famelici, all’inseguimento. Bastò un semplice gesto delle mani per far sparire le ragazze, i lupi e il paesaggio circostante.
 
 
 
Così come tutto era cominciato, era finito. Kisshu si trovava nuovamente in cima al grattacielo, la brezza notturna che gli sferzava il viso e scompigliava i suoi capelli verdi. Nel suo tele trasportarsi via aveva eliminato quell’ormai inutile dimensione aliena e rispedito le ragazze ognuna alla rispettiva destinazione, non prima però di essersi premurato di aver modificato loro la memoria riguardo l’episodio appena verificatosi.
Kisshu si appoggiò al parapetto, prorompendo poi in una risata gelida, senza gioia. Era la stessa reazione che aveva ormai da cinque anni, ogni qualvolta pensava di essere sempre un passo più vicino al ritrovare Zakuro.
Se era vero che il DNA dei Red Data Animals continuava a esistere all’interno dell’organismo delle ex Mew Mew, allora era possibile che la vera Zakuro reagisse in modo insolito trovandosi faccia a faccia con alcuni esemplari di lupi grigi. Il piano sembrava aver funzionato: Kisshu aveva individuato ben tre ragazze che erano parse rapite dall’ululato del lupo e, con ogni probabilità e una buona dose di fortuna, una di questa lo aveva fatto a causa dei geni di quell’animale.
Ora, a Kisshu non rimaneva altro da fare se non capire quale delle tre potesse essere Zakuro.

 
 
 
 
 
Angolo Autrice:
Ciao a tutti! Vogliate perdonarmi per il ritardo con cui mi trovo ad aggiornare, ma ho passato una settimana molto complicata e ho avuto pochissime occasioni per stare al pc. Sono anche andata all’Oktoberfest a Monaco di Baviera, cosa che ha dimezzato ancor di più le mie possibilità di scrivere.
Ma, ora che la storia sta prendendo una piega molto più interessante, chi mi blocca più?
Come vedete, siamo entrati un pochino nel vivo dell’azione, vedendo Kisshu attivarsi per selezionare una ragazza che possa essere Zakuro. Lo ha fatto in modo ingegnoso, esponendo una decina di ragazze ad un branco di lupi grigi e osservando le loro reazioni alla vista degli animali. So che il capitolo è corto, avete ragione, ma è un passo importante, anzi, fondamentale, per tutto ciò che rimane della storia. Anzi, diciamo ufficialmente che è appena cominciata!
Che cosa ne pensate? Fatemi sapere che ve ne pare, voglio capire se sto facendo un buon lavoro e se avete già avanzato delle ipotesi su quello che potrà accadere!
Offro uno Spoiler del prossimo capitolo al primo di voi che recensirà!
Un abbraccio forte a tutti,
Salice_

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Carta stampata. ***


Carta stampata.




La brezza fresca del mattino sferzava il volto pallido del bell’alieno, che se ne stava appollaiato sul ramo di un grosso ciliegio, le gambe incrociate e lo sguardo fisso in un punto imprecisato davanti a lui. Si massaggiò il collo con aria pensierosa, dopodiché qualcosa attirò nuovamente la sua attenzione.
Dalla finestra della casa di fronte, la stessa che stava spiando da un’ora, comparve una figura femminile. Una delle tre ragazze che Kisshu aveva selezionato pochi giorni prima uscì sul balcone per annaffiare le piantine che lo decoravano. Si trattava di una ragazza bionda e minuta, dai caldi occhi color nocciola. Indossava un paio di jeans e un maglione informe, grigio, che le dava un’aria particolarmente sbattuta.
Kisshu la osservò mentre si chinava per annaffiare le piante, portandosi distrattamente una ciocca di corti capelli biondi dietro all’orecchio. Pensò che fosse carina nella sua semplicità, nel suo essere trasandata e nel nascondersi in maglioni di tre taglie più grossi di lei.
Attese che la ragazza rientrasse in camera, prima di sistemarsi in una posizione più comoda sul ramo che stava occupando. Mentre attendeva che la sua nuova preda uscisse di casa, Kisshu si lasciò andare ai primi pensieri ottimistici che lo colpivano dopo parecchio tempo.
Se veramente, questa volta, riuscissi a trovare Zakuro, tutto finirebbe. Finalmente, potremo stare insieme per davvero.
Il filo dei pensieri dell’alieno, però, venne interrotto dalla porta di casa che si apriva: la biondina stava uscendo di casa. Kisshu, non visto, si alzò in volo di alcuni metri, per poi mettersi a seguire dall’alto gli spostamenti della ragazza. Ella camminava velocemente, la testa bassa e le mani affondate nelle tasche dei pantaloni. Si faceva largo tra la folla silenziosamente, schivando i passanti; Kisshu la pedinò per altri dieci minuti buoni, fino a che la ragazza non si fermò di fronte ad un imponente edificio: la biblioteca civica.
La ragazza, dopo essersi guardata rapidamente intorno, entrò, e Kisshu toccò terra in una stradina laterale poco distante. Si lisciò meglio il cardigan blu e si incamminò in direzione della biblioteca; ormai da un po’ di tempo era abituato ad attirare su di sé gli sguardi dei passanti e aveva imparato a non badarci più. Sapeva che le persone lo fissavano con insistenza a causa della carnagione diafana e del colore ambrato dei suoi occhi, ma poco importava in quel momento; salì i gradini che conducevano all’entrata dell’edificio ed entrò a sua volta.
Non appena ebbe chiuso la porta a vetri alle sue spalle, un fortissimo odore di carta stampata invase i suoi polmoni. Era entrato pochissime volte in una biblioteca e, a dirla tutta, non era il posto in cui preferiva trascorrere i pomeriggi. Si fece strada fra gli scaffali, imprecando mentalmente contro il silenzio indisturbato che regnava in quel luogo, rotto solo dal rumore di pagine che venivano voltate. Non era il suo ambiente: Kisshu amava la confusione, il rumore assordante, la folla; quando decideva di star da solo, lo faceva ritirandosi sul tetto di un grattacielo, oppure immergendosi nella vegetazione di un parco. Quattro mura ricoperte di intonaco non facilitavano certo la riflessione.
Finalmente, Kisshu individuò la ragazza: se ne stava seduta su una poltroncina arancione, intenta a leggere un libro.  I capelli biondi le ricadevano disordinati davanti agli occhi e le spalle erano, finalmente, rilassate.
Kisshu pensò si trattasse di una ragazza molto introversa; lo aveva capito dal modo in cui teneva lo sguardo puntato a terra quando si ritrovava circondata da molte persone, e ne aveva la conferma osservando il sorriso appena accennato che le increspava le labbra sottili e rosee mentre era immersa nella lettura di chissà quale romanzo.
In un certo senso, a Kisshu ricordò un po’ Retasu. Dolce e disponibile, ma timida e riservata; sapeva che l’ex Mew Mew amava a sua volta recarsi in biblioteca per leggere e studiare, alla ricerca di cose nuove da scoprire. Con un nodo alla gola, si ritrovò a pensare a lei, e a Minto, Purin e Ichigo; chissà quanto erano cambiate le ragazze in tutti quegli anni. Era dalla sua partenza che non aveva più notizie delle ex paladine della Terra, tantomeno di Pie e Taruto, tornati vittoriosi su Edren.
Kisshu fu costretto a riemergere bruscamente dai suoi pensieri a causa del bibliotecario, che lo fissava con insistenza. Puntò i suoi occhi dorati in quelli dell’uomo, mormorando un: “Sto solo dando un’occhiata!”, prima di cominciare a fissare i titoli dei volumi di fronte a lui senza realmente vederli. Quando il bibliotecario, soddisfatto, se ne andò, Kisshu ricominciò finalmente a studiare la ragazza di fronte a sé.
È arrivato il momento di agire, pensò Kisshu prima di afferrare il primo libro che trovò e cominciare a camminare in direzione della sconosciuta.
L’alieno si sedette ad un paio di poltroncine di distanza dalla biondina, aprendo a casaccio il volume che aveva preso e cominciando a leggere da metà pagina. Solo dopo aver scorso alcune righe, incuriosito, sbirciò il titolo scritto sulla copertina: “La canzone dei folli”, di Bukowski.
Kisshu ricominciò a fingere di leggere, approfittandone per lanciare con la coda dell’occhio alcuni sguardi indagatori alla misteriosa ragazza.
Si accorse immediatamente che la biondina aveva tralasciato la lettura per studiare a sua volta Kisshu, lanciandogli timidi sguardi da oltre le pagine. In effetti, lui era un tipo che non passava facilmente inosservato, con la sua pelle diafana, gli occhi color dell’oro dai tratti felini e i suoi capelli verdi lasciati volutamente sciolti che gli accarezzavano le spalle larghe. Li aveva tagliati pochissime volte, e ora un ciuffo color smeraldo gli ricadeva disordinatamente sull’occhio sinistro.
Dopo alcuni minuti, Kisshu decise di prendere la situazione di petto: si alzò dalla poltroncina e si portò al fianco della ragazza, facendola sobbalzare.
- Hey bambolina, cosa leggi? – esclamò l’alieno, guadagnandosi diverse occhiatacce dagli altri occupanti della biblioteca.
Le guance della ragazza si imporporarono alla velocità della luce, e Kisshu dovette trattenere a stento una risata di fronte a quel comportamento.
- Qu-questo… - mormorò la ragazza mostrando a Kisshu la copertina del libro, sulla quale il titolo “Cime Tempestose” spiccava a chiare lettere. Kisshu pensò di averlo già sentito nominare, ma non si pose il problema di ricordare da chi.
- E ti piace? – continuò l’alieno, cercando in tutti i modi di risultare ben disposto alla conversazione.
- Sì, anche se è la terza volta che lo leggo. – rivelò la biondina.
Kisshu sollevò un sopracciglio con aria scettica.
- Ma non ti annoi a leggere sempre lo stesso libro? Tanto sai già di cosa parla e come va a finire! –
- Lo so, ma a me piace molto. – ribatté lei abbassando impercettibilmente il capo.
Kisshu rimase per alcuni secondi in silenzio, senza sapere come avrebbe fatto a portare avanti una conversazione di cui non sapeva praticamente nulla con una sconosciuta; fortunatamente, però, la ragazza gli venne incontro.
- Tu invece stai leggendo Bukowski? – chiese lei, nonostante la sua fosse più un’affermazione che una domanda.
- Io? Ehm, sì, anche se non conosco molto questo autore. – ammise Kisshu abbassando lo sguardo sulla copertina del libro che stava ancora reggendo.
- Oh, che maleducato, non mi sono neanche presentato! – esordì poi l’alieno ridestandosi, - Io sono Kisshu. –
La ragazza strinse di buon grado la mano che le veniva offerta, arrossendo.
- Il mio nome è Eva. –
- Eva. – ripeté Kisshu senza staccare gli occhi dai suoi, fino a che lei non fu costretta ad abbassare lo sguardo.
Kisshu decise allora di giocarsi il tutto per tutto.
- Vieni spesso qui? –
- Sì, effettivamente ci vengo quasi tutti i giorni. –
Kisshu si lasciò andare ad un ghigno.
- E domani ci sarai? –
Eva lo guardò incuriosita.
- Sì, penso di sì, perché? –
- Perché vorrei conoscerti. – rispose Kisshu con naturalezza, come se si trattasse della cosa più ovvia del mondo, - Ho visto che c’è un Caffè qui di fronte. Potremmo vederci lì domani mattina, che ne dici? –
La ragazza rimase per alcuni secondi in silenzio, imbarazzata, mentre Kisshu pregava mentalmente che accettasse il suo invito.
- Vo-volentieri. Domani alle dieci sarò lì! –
- Perfetto dolcezza, - sorrise Kisshu, alzandosi poi dalla poltrona e muovendo qualche passo verso il corridoio, - A domani! –
E con questo l’alieno si incamminò e uscì dalla biblioteca, inspirando una profonda boccata d’aria una volta all’esterno.
È fatta, si ritrovò a pensare mentre un sorrisetto compiaciuto increspava le sue labbra sottili, Ora devo solo conoscerla meglio e capire se si tratta di Zakuro. Questa volta sento di essere molto vicino alla soluzione.
 
 
 
 
La notte era ormai calata sulla città, e Kisshu si ritrovava nella sua dimensione aliena. Se ne stava seduto a gambe incrociate, galleggiando ad un paio di metri dal suolo, il libro che aveva portato via dalla biblioteca aperto e poggiato sulle ginocchia. Mentre proseguiva con la lettura, un passaggio in particolare catturò la sua attenzione; Kisshu lesse attentamente quelle poche righe, avvertendo una stretta al cuore. Una manciata di parole buttate sul bianco di una pagina avevano saputo colpirlo in modo devastante.
 
 
 
 
Il mattino successivo, Kisshu si trovava seduto ad un tavolino del bar di fronte alla biblioteca; mentre attendeva l’arrivo di Eva, continuava a leggere qua e là alcuni spezzoni de “La canzone dei folli”, che aveva portato con sé.
Kisshu era così intento a sfogliare le pagine, reggendosi il mento con la mano, che non si accorse della ragazza che giungeva alle sue spalle.
- Ciao! –
Kisshu si voltò di scatto, trovandosi di fronte agli occhi nocciola di Eva. Quel giorno la ragazza indossava un maglioncino aderente a collo alto blu e un cardigan grigio; Kisshu le fu mentalmente grato per il fatto che non si fosse nascosta nuovamente in un maglione informe.
- Oh ciao! – rispose Kisshu rapidamente, stampandosi in faccia un sorriso – Non ti avevo sentita arrivare. –
- Non preoccuparti. – lo rassicurò Eva, mentre prendeva posto di fronte a Kisshu – Ho visto che eri impegnato a leggere. Ti sta piacendo quel libro? –
Kisshu abbassò lo sguardo sul volume aperto di fronte a lui, per poi tornare a guardare negli occhi la sua interlocutrice.
- Sì, anzi: per essere più precisi, c’è una parte che mi ha colpito molto. – confessò l’alieno.
Eva sembrava visibilmente incuriosita.
- Si? E che cosa dice? –
Kisshu, allora, avvicinò a sé il libro, cercando con gli occhi la parte di pagina che ospitava le parole che aveva letto e riletto per tutta la notte.
- Ecco, la frase è questa:
le cose con una forza propria
e con una vita propria
vanno per la loro strada
parlano per se stesse
creano magia
a modo loro.
È quel che rende sopportabile morire
e accettabile rinunciare
alla vita. –
L’alieno richiuse il libro forse un po’ troppo bruscamente, ma Eva non lo notò: lo stava osservando con curiosità crescente, realmente rapita dalle parole che le erano appena state lette.
- E’ molto bello, - approvò lei sorridendo – Questa frase rappresenta qualcosa per te? –
Subito sembrò che Eva si fosse pentita di aver rivolto al ragazzo una domanda così personale; Kisshu, però, non le rispose subito e tantomeno si preoccupò dell’imbarazzo della giovane.
Come poteva dirle che quelle semplici parole, partorite dalla penna di uno sconosciuto, gli facevano venire in mente Zakuro? Se solo avesse voluto, Kisshu le avrebbe spiegato di come nella sua vita sembrava essere andato tutto storto, come se gli avvenimenti si ostinassero a seguire il percorso dettato da un destino che non aveva niente a che fare con lui; che, in una frazione di secondo, tutto ciò in cui credi può cambiare, e tu sei obbligato a cambiare con loro. Le avrebbe parlato dell’amore, di quell’amore che lo aveva spinto a schierarsi contro il suo popolo e i suoi ideali, quell’amore che lo aveva reso vivo e moribondo al tempo stesso; quell’amore che lo costringeva a distruggersi e auto ripararsi senza sosta, purché non fosse buttato via. Le avrebbe spiegato del modo in cui morire, rinunciando alla propria vita pur di proteggere quella dell’amata, gli era sembrato il gesto più naturale e giusto del mondo; di come, dal momento in cui aveva perso di vista quegli occhi blu come il mare e stretto il vuoto fra le sue braccia, non aveva desiderato altro che morire pur di non dover vivere un minuto di più senza di lei.
- No, niente. Assolutamente niente. –

 
 
 
 
 
Angolo Autrice:
Ciao a tutti!
Scusate se vi ho fatto aspettare; per farmi perdonare, però, ho scritto un capitolo un po’ più lungo degli altri ^^
Ok, passiamo alla storia:
diciamo che le ricerche di Zakuro sono ufficialmente cominciate, così come la storia vera e propria. Abbiamo visto come Kisshu sia riuscito ad attirare l’attenzione di Eva, cercando così di conoscerla per raccogliere qualche informazione utile sul suo conto. Che cosa ne pensate? Fatemi sapere come vi è sembrato il capitolo!
Grazie a tutti coloro che continuano a seguire la mia storia.
Un abbraccio forte,
Salice_

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Sotto un raggio di sole. ***



Sotto un raggio di sole.





Nonostante i pensieri continuassero ad infrangersi su Zakuro, Kisshu passò una piacevole mattinata con Eva. La ragazza sembrava essersi sbloccata il minimo indispensabile da consentire una tranquilla conversazione; Kisshu scoprì che Eva frequentava la facoltà di lettere e viveva con i genitori, anche se, naturalmente, aveva già individuato casa sua.
Kisshu le raccontò qualche aneddoto divertente di quando lavorava al Caffè, omettendo il piccolo particolare della sua copertura, facendo ridere Eva; l’alieno assaporò quella risata cristallina, percependola come un toccasana.
I due abbandonarono poi il bar per fare un giro nel centro della città, continuando a chiacchierare.
- E così abitavi a Tokyo? – si informò Eva, finalmente più a suo agio con l’alieno.
- Esatto. –
- Eppure non hai i lineamenti tipici dei giapponesi. – osservò la ragazza, scrutando meccanicamente il volto del suo accompagnatore.
Kisshu serrò la mascella.
- Questo perché io non sono nato lì. – tergiversò Kisshu, - Io sono, ehm, stato adottato. –
- Oh. – si limitò a rispondere Eva, convinta di aver toccato, per la seconda volta in una mattinata, un argomento troppo delicato.
Fortunatamente, però, Kisshu se ne accorse e, sorridendo, smentì subito le sue preoccupazioni.
- Hey, non preoccuparti dolcezza, non mi dà fastidio parlarne; e poi, i miei genitori adottivi sono per me i miei veri genitori! –
La bugia si Kisshu parve rasserenare Eva, che riprese a chiacchierare.
- Ti è mai capitato di vedere le Tokyo Mew Mew? –
Nonostante tutto, Kisshu sorrise; era un sorriso amaro, ma, al tempo stesso, malinconico.
Si voltò verso Eva, guardandola finalmente negli occhi nocciola.
- Oh sì, un paio di volte mi è capitato. –
- Accidenti! – esclamò Eva, sinceramente colpita.
- Non credevo fossero così famose anche in Spagna. – buttò lì Kisshu, riprendendo a camminare; Eva gli si affiancò.
- Scherzi? Sono famose in tutto il mondo! – confermò la ragazza, - Quando dici “Tokyo”, pensi inevitabilmente alle Mew Mew! –
Kisshu non seppe cosa rispondere, così si limitò a sorridere ad Eva giusto per il gusto di vederla arrossire alla velocità della luce.
I due continuarono a chiacchierare animatamente, fino a che, verso mezzogiorno, Eva non annunciò di dover andare a casa, e Kisshu si offrì di accompagnarla. Una volta giunti di fronte all’abitazione, l’alieno si mise di fronte alla ragazza, squadrandola nuovamente prima di parlare.
- Bene Eva, grazie della compagnia. Mi farebbe piacere rivederti. –
- Anche a me! – rispose rapidamente la giovane, deglutendo in modo rumoroso.
- Perfetto, allora ti farò avere mie notizie. – concluse Kisshu, voltandosi lungo il vialetto.
Dopo un paio di secondi, però, la voce di Eva lo raggiunse.
- Mi chiamerai? –
Kisshu si voltò completamente verso di lei, rimanendo per un attimo spiazzato prima di capire.
Dannazione, è vero che gli umani hanno tutti uno di quei maledetti cellulari.
- Io veramente lo farei, se solo avessi un cellulare. – rispose Kisshu maledicendosi.
Eva non sembrava troppo convinta delle parole di Kisshu, nonostante fossero le uniche sincere che le avesse rivolto da quando l’aveva conosciuta.
- Va bene. Allora ci vediamo. –
Kisshu si limitò a salutarla con la mano, prima di voltarsi nuovamente e incamminarsi. Quando fu sicuro di non essere visto, si tele-trasportò nella sua dimensione.
 
L’alieno riapparve nel suo limbo, spoglio e tetro come il suo animo. Questa volta, però, Kisshu riusciva a vedere una luce di speranza in fondo al tunnel oscuro che era diventata la sua esistenza; si portò le mani dietro alla testa e prese a galleggiare orizzontalmente a mezz’aria, come se fosse sdraiato su di una superficie inesistente.
Kisshu ripensava alla mattinata appena trascorsa in compagnia di Eva; la ragazza, a quanto sembrava, aveva ben poco in comune con la sua Zakuro, ma avrebbe dovuto conoscerla meglio. In quel momento, nulla poteva essere lasciato al caso.
Se davvero fosse lei, rifletté l’alieno, dovrei essere in grado di capirlo già dal primo sguardo, no?
Sospirò con aria affranta, riassestandosi un ciuffo di capelli che gli era finito davanti agli occhi.
O forse, il gioco di Cordelia consiste nell’averla resa completamente un’altra persona?
Purtroppo, tutte queste domande erano destinate a non trovare risposta; o almeno, non in quel momento.
Kisshu si afferrò stancamente la testa fra le mani, socchiudendo gli occhi dorati.
Sapeva che non si sarebbe dato pace fino a che non avesse ritrovato Zakuro.
 
Erano passati quattro giorni da quando Kisshu era uscito con Eva, che l’alieno si ritrovò a suonare insistentemente il campanello della porta di casa della ragazza.
Non dovette attendere a lungo prima che la porta si aprisse, rivelando una donna dai capelli castani sulla soglia.
- ‘Giorno! – esclamò Kisshu mentre la donna lo guardava con aria interrogativa – Eva è in casa? –
- Sì, ma tu chi saresti? – domandò lei.
- Non mi sono presentato – riprese Kisshu, abbandonando per un secondo la sua faccia tosta e tendendole la mano – Io sono Kisshu, un amico di sua figlia. –
La madre di Eva afferrò la mano diafana dell’alieno, stringendola; dopodiché, accennò un sorriso in direzione del nuovo arrivato.
- Eva è in camera sua, ora te la chiamo. Accomodati pure. – disse la donna spostandosi per lasciar entrare Kisshu.
L’alieno rimase in piedi nel piccolo soggiorno, mentre la donna saliva le scale che portavano al piano superiore.
Dopo un minuto, il suono di passi concitati annunciò a Kisshu che la ragazza doveva essere arrivata; abbandonò sul tavolo la rivista che stava studiando per voltarsi e trovarsi di fronte Eva e la madre, che l’aveva seguita. Eva indossava nuovamente uno dei suoi magioni sformati e portava ai piedi un paio di morbide pantofole rosa. Kisshu si impose di non scoppiarle a ridere in faccia.
- Kisshu! – esclamò Eva dopo un attimo di smarrimento – Che cosa ci fai qui? –
- Sono venuto a trovarti, non è chiaro? – rispose l’alieno con voce falsamente offesa.
- Oh… - Eva abbassò lo sguardo sulle sue pantofole – Non pensavo l’avresti fatto. –
Kisshu le lanciò un’occhiata interrogativa.
- Te l’avevo detto che ci saremo rivisti! – buttò lì lui sorridendo, incontrando poi lo sguardo indagatore della madre.
- In ogni caso, - riprese Kisshu puntando i suoi occhi dorati in quelli nocciola di lei, - Preparati, andiamo a fare un giro. –
Eva arrossì istantaneamente.
- Ma… Io veramente stavo studiando. –
- E dai! – esclamò Kisshu senza che il suo entusiasmo venisse smorzato – Fuori c’è il sole; concediti una pausa per oggi! –
Eva stava per replicare, quando sua madre prese la parola.
- Eva, sono due giorni che studi senza sosta per quell’esame! Il tuo amico ha ragione: andate a fare una passeggiata e goditi questa bella giornata. –
Kisshu guardò incredulo la donna, che ora gli sorrideva, mentre Eva annuiva e saliva al piano di sopra.
I due rimasero in silenzio, la signora seduta sul divano e Kisshu in piedi in mezzo al soggiorno, finché Eva non tornò di sotto; ora indossava un paio di jeans e Converse, nonostante non avesse rinunciato al maglione extra large.
Kisshu le sorrise e i due, dopo aver salutato la padrona di casa, uscirono nella fresca aria primaverile.
- Avevi intenzione di rimanere barricata in casa tutto il giorno con un sole del genere?! – scherzò Kisshu mentre i due percorrevano il vialetto.
Eva gli sorrise, ancora evidentemente imbarazzata.
- Stavo preparando quell’esame, e sinceramente non avevo nemmeno pensato di uscire per fare una passeggiata. –
- Meno male che sono giunto a casa tua ad invitarti allora! – si pavoneggiò Kisshu, passandosi distrattamente una mano fra i capelli.
- Più che invitarmi mi hai letteralmente trascinata fuori. – puntualizzò Eva sorridendo.
Kisshu si lasciò andare ad una risata spontanea; non sapeva se fosse per via della compagnia di quella giovane ragazza, o per i primi caldi raggi del sole che riscaldavano la sua pelle, o per la speranza che lo spingeva ad andare avanti in quel suo assurdo intento, ma, per la prima volta dopo parecchi mesi, si sentì felice.
- Dove andiamo? – domandò Eva dopo un po’.
Kisshu rifletté brevemente su quella richiesta, prima che gli venisse un’idea.
- Che ne diresti di andare in spiaggia? – propose con entusiasmo.
- In spiaggia? – ripeté Eva inclinando impercettibilmente il capo.
- Sì! Il mare è bellissimo in questo periodo. –
Dal momento che sembrava che Kisshu non volesse sentir storie, Eva accettò di buon grado, sorridendo della vitalità di quel ragazzo che conosceva da poco ma che le ispirava fiducia.
Kisshu guidò Eva fino ad una piccola spiaggetta dove alcuni temerari erano già in costume cercando di catturare i raggi del sole; i due si incamminarono sulla scogliera, Kisshu muovendosi con estrema fluidità, Eva inciampando ogni tanto, fino a raggiungerne la punta.
Lì, Kisshu si sedette, le gambe a penzoloni; Eva lo imitò.
La brezza marina scompigliava piacevolmente i loro capelli e l’odore di salsedine infondeva benessere nei due.
- Allora? Non è bello essere qui? – domandò Kisshu in direzione di Eva, sorridendole mestamente.
- Molto. –
La ragazza aveva la testa leggermente reclinata all’indietro, abbandonata alle carezze dei raggi tiepidi.
- Sono felice che tu mi abbia convinta ad uscire. – continuò poi Eva, voltandosi per guardare il profilo di Kisshu.
- Be’, lo avrei fatto anche se ci fosse stata una giornata di pioggia se proprio devo essere sincero. – buttò lì lui.
- E perché? Per farmi scoprire la bellezza del tornare a casa fradicia? – scherzò Eva.
- No. – rispose Kisshu girandosi a sua volta verso la giovane – Per il semplice fatto che avevo voglia di vederti e di passare del tempo con te. –
Eva arrossì, e Kisshu lasciò che un sorrisetto lascivo gli increspasse le labbra sottili. Dopodiché, le sistemò dietro l’orecchio una ciocca di capelli biondi che si stavano agitando nel vento, facendo scivolare poi la sua mano lungo il collo esile di Eva. La ragazza, dal canto suo, rimase come impietrita, mentre il cuore le batteva all’impazzata nel petto.
Kisshu non vi badò, depositandole un bacio all’angolo della bocca, per poi scostarsi di alcuni centimetri per osservare la sua reazione. Vedendo che Eva non lo respingeva, si avvicinò nuovamente e la baciò sulle labbra.
L’alieno appoggiò la propria fronte a quella di Eva, ridacchiando del suo imbarazzo; dopodiché, si chinò nuovamente per baciarla.
Questa volta, Eva dischiuse le labbra, permettendo a Kisshu di approfondire il bacio. L’alieno prese a far scorrere le sue mani diafane sotto al maglione over size, sentendo la pelle morbida rabbrividire al suo tocco, mentre Eva gli allacciava le braccia al collo.
Quando i due sciolsero il bacio, Kisshu sospinse delicatamente il capo di Eva verso di lui, in modo che la ragazza si appoggiasse alla sua spalla. Kisshu approfittò di quel gesto per inalare il suo profumo dolce, provando però una morsa allo stomaco; c’era qualcosa, in tutta quella situazione, che gli provocava un nodo alla gola, e, nonostante la sua mano affusolata continuasse ad accarezzare i capelli biondi di Eva, la mente di Kisshu era già lontana dalla scogliera. I suoi pensieri galoppavano veloci verso altre labbra, distanziandosi in fretta da un bacio che non sapeva di nulla; i suoi pensieri continuavano a cozzare contro una bocca dal sapore fresco e, al tempo stesso, infuocato, selvaggio. Una bocca che sapeva di guerra, sangue e lacrime. Insomma, sapeva d’amore.

 
 
 
 
 
Angolo Autrice:
Ciao a tutti, perdonatemi per la mia lunga assenza. Sono consapevole di avervi fatto attendere a lungo e so anche che, così facendo, sto rischiando di perdere i miei lettori, sempre che non sia già accaduto! Mi dispiace, ma sono stata sommersa di cose da fare e non ho avuto il tempo materiale di mettermi a scrivere.
Spero, in ogni caso, di non avervi delusi con questo capitolo di passaggio. Vi annuncio che ora la storia comincerà a scorrere più velocemente rispetto ai primi capitoli, altrimenti non se ne esce più fuori. Non posso offrirvi uno spoiler questa volta, in quanto non ho ancora il prossimo capitolo pronto, ma mi sarebbe piaciuto mettervelo in questo angolo autrice nel tentativo di farmi perdonare della mia assenza.
Spero che vogliate farmi sapere ancora cosa ne pensate dello svolgimento della storia.
Un abbraccio forte,
Salice_

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Solitudine. ***



Solitudine.

L’aria si era ormai fatta più fresca e pungente, ma Kisshu e Eva erano ancora seduti sulla punta della scogliera. Kisshu era sdraiato su uno scoglio, la testa appoggiata alle gambe di Eva, che gli accarezzava i capelli verdi.
Kisshu stava osservando il cielo farsi lentamente più scuro, quando la voce di Eva interruppe bruscamente il filo dei suoi pensieri.
- Tutto bene? Sei piuttosto taciturno oggi. –
Kisshu piegò la testa all’indietro per fissare negli occhi la sua interlocutrice: Eva lo osservava con le sue iridi color nocciola, l’espressione improvvisamente seria.

- Sì, io… Sto bene, sì. – borbottò Kisshu.
Eva gli restituì un’occhiata scettica, e l’alieno riprese:
- Ho solamente un po’ di pensieri per la testa, tutto qui. –
E, con questo, si tirò su a sedere, dando le spalle alla ragazza.
- Vuoi parlarne? – mormorò Eva dopo alcuni istanti di silenzio.

- No. – aggiunse Kisshu un po’ troppo bruscamente, e si affrettò ad aggiungere: - Nel senso, sono stupidaggini, non ha senso rovinare questo momento parlando di piccolezze simili. –
Eva sorrise.
- E di che cosa vorresti parlare allora? –
Kisshu, finalmente, si voltò a guardarla, un sorrisetto mesto che gli dispiegava le labbra.

- Io, sinceramente, non perderei tempo a parlare. –
L’alieno afferrò bruscamente Eva per le spalle e l’avvicinò a sé, catturandole le labbra rosee in un bacio. La ragazza reagì prontamente allacciando le braccia attorno al collo di Kisshu, che aveva preso ad affondare le mani nei suoi capelli biondi. Quell’ennesimo bacio era quasi rabbioso e sapeva di disperazione; Kisshu, mordendo avidamente quelle labbra, cercava un segnale, una conferma, qualsiasi cosa che gli facesse capire se si trovava faccia a faccia con la Mew Lupo.

Era ogni volta la stessa storia: cercava in tutti i modi di mettersi sulle tracce di Zakuro, ma quando si trovava a stretto contatto con una che avrebbe potuto potenzialmente essere lei, ecco che gli era impossibile provare qualcosa. I suoi sensi venivano come offuscati, e il cervello cominciava a macchinare frettolosamente, facendogli provare qualcosa di maledettamente simile al senso di colpa.
Eva si scostò lentamente da Kisshu, sciogliendo il bacio; la mano destra dell’alieno era ancora affondata nei capelli della ragazza, la sinistra correva lungo il suo fianco.

- Kisshu… Piano… - mormorò lei, tentando di contrastare Kisshu che aveva preso a baciarle il collo.
L’alieno grugnì qualcosa in risposta, continuando a rivolgere tutte le sue attenzioni alla pelle della ragazza.
- Kisshu! – esclamò Eva, riuscendo ad allontanarlo e prendendo a fissarlo negli occhi, quegli occhi dorati che, fin dalla prima volta in cui li aveva incontrati, la mettevano in soggezione.

- Okay, ho capito. – sbuffo Kisshu – Scusa. –
Si alzò lentamente dallo scoglio e tese la mano a Eva per aiutarla a fare lo stesso; dopodiché, i due si diressero lontano dalla spiaggia, sulla strada che la sormontava.

- Grazie per oggi. – buttò lì Eva imbarazzata, mentre camminava al fianco di Kisshu.
L’alieno, così assorto nei propri pensieri da essersi quasi dimenticato della presenza della ragazza, si affrettò a stamparsi il consueto ghigno sulle labbra sottili, voltandosi verso di lei.
- Grazie a te, dolcezza. –

La riaccompagnò a casa e, sulla soglia, la congedò con un nuovo bacio.
Dopodiché si allontanò per il vialetto, senza mai voltarsi indietro.
Questa volta, decise di non ricorrere al tele-trasporto per allontanarsi: aveva bisogno di pensare, e di muoversi in quella città sconosciuta senza una meta.

Mentre passava in mezzo ad un gruppo di giovani chiassosi, continuava a pensare a Eva: che cosa di lei le ricordava Zakuro? In realtà praticamente nulla. Però era stata una delle ragazze a reagire all’ululato del lupo grigio, per cui c’era una possibilità che fosse quella giusta.

Dannazione, come faccio a capirlo?
 si domandò Kisshu. Con Maya mi era scattato qualcosa nel cervello, qualcosa che mi aveva reso praticamente certo di aver finalmente trovato Zakuro… Ma mi sbagliavo. Invece Eva, lei non mi trasmette nulla. Possibile che io abbia fatto l’ennesimo buco nell’acqua?
E, con questi interrogativi e un mal di testa tremendo, Kisshu si smaterializzò stancamente nella sua dimensione.


Il giorno seguente, all’ora di pranzo, Kisshu si trovava fuori della facoltà di lettere e filosofia. Se ne stava appoggiato al muretto, e reggeva un inconfondibile cestino da picnic.
Guarda cosa mi tocca fare, pensò lui con un misto di sarcasmo e ironia, senza distogliere lo sguardo dall’edificio di fronte a lui.
Dopo pochi minuti, dalla facoltà cominciarono ad uscire gli studenti. Kisshu dovette attendere prima di individuare Eva: si dirigeva verso i cancelli assieme ad un’amica. Quando la ragazza si accorse di lui, si immobilizzò per un secondo, stupita, prima di riprendere a camminare. Una volta di fronte a Kisshu, le sue guance avevano raggiunto una tonalità molto tendente al rosso.
- Ciao! – esclamò Eva.
- Ciao Eva. – Kisshu le sorrise, suadente.
- Che cosa ci fai qui? –
- Sono venuto a prenderti – rispose lui con prontezza, mostrando poi il cestino – Ho pensato che potremmo fare un picnic insieme; guarda che bella giornata – aggiunse poi indicando il cielo sopra di loro.

- Oh sì, volentieri! – esclamò Eva, che ormai non sembrava riuscire a contenere la sua felicità nel vedere Kisshu.
Solo in quel momento, Eva sembrò essersi ricordata della presenza della sua amica, che, alle sue spalle, continuava a lanciare occhiate curiose ai due.
- Ah Kisshu, lei è la mia amica Mercedes. – la presentò Eva, - E’ in facoltà con me. –
Kisshu strinse di buon grado la mano a Mercedes, una ragazza dai lunghi capelli rossi e grandi occhi neri.
- Così è lui il famoso Kisshu? – domandò Mercedes lanciando un’occhiatina d’intesa a Eva, che, se possibile, arrossì ancora di più.

- Non credevo di essere diventato famoso! Eppure sono qui da poco. – scherzò Kisshu incrociando le braccia al petto.
Eva non sembrava capace di rispondere alla provocazione, così Kisshu decise di sviare il discorso.
- Com’è andata la giornata? –
- Oh bene, grazie mille. – si affrettò a dire Eva, - Stancante, ma bene. –
- Beh, potremmo anche andare adesso, no? – propose Kisshu staccandosi dal muretto dal quale era appoggiato e facendo un cenno col capo ad Eva; lei annuì e, una volta salutata Mercedes, affiancò Kisshu e si incamminò con lui.

- Lascia perdere Mercedes – borbottò Eva mentre camminavano in direzione di un parco, - Non fare caso a lei. –
- Hey bambolina, stai tranquilla! Non devi vergognarti. –
Kisshu le fece l’occhiolino, ben consapevole del fatto che, così facendo, l’avrebbe messa ulteriormente in imbarazzo. 
Una volta giunti nel mezzo di un bel parco, Kisshu estrasse dal cestino una coperta a quadri e la stese sull’erba, dopodiché si sedette, invitando Eva a fare lo stesso.

I due presero a chiacchierare animatamente, mangiando i tramezzini che aveva portato Kisshu. Quando ebbero finito, Eva si appoggiò al petto di Kisshu, che la cinse con le braccia, appoggiando il mento ai suoi capelli biondi.
- Grazie per oggi.  – esordì Eva, mentre i suoi occhi erano intenti ad ammirare il cielo azzurro sopra di loro, - Hai avuto davvero un bel pensiero. –
Kisshu sorrise e si chinò a baciarle la fronte.
Dopo alcuni secondi, Eva parlò di nuovo.
- Sai, sabato la facoltà di lettere ha organizzato una piccola festa, e possiamo portare un ospite. – buttò lì la ragazza.
Kisshu la guardò dall’alto in basso, beandosi del rossore che si stava impadronendo delle sue guance.

- E…? –
- E volevo chiederti se avresti voglia di venire. – soffiò lei tutto d’un fiato, - Non è nulla di esagerato, una bevuta in un locale poco distante, per cui… -
- Shhh. – la interruppe Kisshu, - Vengo molto volentieri, dolcezza. –
Eva sorrise, finalmente più rilassata, lasciandosi baciare dall’alieno.





Il giorno della festa, Kisshu era seduto sul divano di casa di Eva, e attendeva che la ragazza lo raggiungesse sotto lo sguardo vigile della madre.
Kisshu lanciò un’occhiata all’orologio appeso alla parete: segnava le nove e mezza di sera.
Eva lo aveva rassicurato dicendogli che si trattava semplicemente di fare una bevuta in un locale, e Kisshu aveva deciso di indossare solamente un paio di jeans e una camicia color carta da zucchero.

Finalmente, dei passi annunciarono l’arrivo di Eva: la ragazza si palesò in soggiorno, e Kisshu rimase per alcuni istanti stupito dalla sua trasformazione. Aveva abbandonato i maglioni over size, sostituiti da un vestito color pesca fino al ginocchio e tacchi beige; i capelli corti ora erano lisci e ordinati, e il viso ravvivato da un velo di trucco leggero.
Kisshu si affrettò a ricomporsi, uscendo poi di casa con Eva. Una volta nel vialetto, si voltò verso di lei, mormorando:
- Stai benissimo stasera. –
- Grazie. – rispose Eva, arrossendo impercettibilmente.

I due presero un taxi che li condusse fino al locale dove si sarebbe tenuta la festa: il “Maori”.
Eva e Kisshu entrarono, mischiandosi con la chiassosa folla di giovani studenti; all’interno del locale, Eva salutava alcuni conoscenti con cenni della mano e timidi sorrisi, mentre guidava Kisshu fra la calca. Ad un certo punto, la mano di Eva incontrò quella di Kisshu e la prese; l’alieno si voltò a guardarla, un’espressione stupita negli occhi dorati.
- Così non ci perdiamo. – rispose Eva a mo’ di scusa.

La seguente mezz’ora trascorse tra brevi conversazioni con alcuni studenti e presentazioni; Kisshu, che cominciava ad annoiarsi, si teneva alcuni passi più in là di Eva, accettando di buon grado i bicchieri di vino che gli venivano offerti dai camerieri di passaggio.
- Ti stai divertendo? – gli domandò Eva, mentre Kisshu attaccava il terzo bicchiere di vino.
- Sì, più o meno. – rispose lui con distrazione, abbassando il bicchiere.
- Mi spiace, ma ti assicuro che tra poco la festa migliorerà. Non è male, di solito. –
Kisshu decise di non rispondere, limitandosi a rivolgerle un sorrisetto.

- Oh guarda, là c’è Mercedes! – esclamò Eva indicando una chioma rossa in mezzo alla folla. – Andiamo a salutarla? –
Kisshu annuì contro voglia, e si ritrovò così con la mano stretta in quella di Eva, che lo guidava verso la sua amica.
- Hey, Mercedes! – fece Eva, battendo sulla spalla dell’amica.
- Eva! Finalmente ti ho trovata, sono venti minuti che ti cerco! – rispose lei abbracciandola, i mossi capelli cremisi che le ricadevano sulle spalle. – Sei un incanto stasera! –
- Anche tu stai benissimo! – esclamò Eva, accennando al semplice tubino nero dell’amica.
Kisshu, alle spalle di Eva, rivolse a Mercedes un cenno col capo, ma improvvisamente la ragazza lo abbracciò e gli stampò due baci sulle guance.

- Sono felice che sia venuto anche tu! – cinguettò Mercedes ravviandosi una ciocca di capelli rossi, - Che te ne pare della serata? –
- Non c’è male. – rispose Kisshu evasivo, ancora stordito dall’espansività di quella ragazza. Per un fuggente istante, si domandò come una persona così diversa da Eva potesse essere sua amica.
- E tu sei venuta con qualcuno? – domandò Eva.
- Sì, sono qua con Sole, - rispose Mercedes accettando di buon grado il bicchiere di vino che le veniva offerto, - E’ andata a salutare un amico… Oh, eccola che arriva. –

Dalla folla sbucò una ragazza: aveva la carnagione chiara, sporcata dai tatuaggi, un fisico tonico e si muoveva con passo sicuro. Aveva cortissimi capelli neri come la pece, tirati indietro con del gel in modo da lasciare il viso completamente scoperto. Lunghe ciglia scure sormontavano gli occhi verde smeraldo, marcati dall’eyeliner. Indossava un paio di jeans e una canotta color tortora, abbinata a tacchi dello stesso colore; un foulard di Fendi arricchiva il suo collo esile.
Si avvicinò al gruppo e salutò Eva, che ricambiò sorridendo. Dopodiché, Eva si voltò verso Kisshu, pronta all’ennesima presentazione. 

- Lui è Kisshu, è arrivato da poco in città; Kisshu, lei è Soledad, la coinquilina di Mercedes. –
Kisshu strinse la mano affusolata della ragazza, e, nel momento esatto in cui i suoi occhi dorati incontrarono quelli verdi di lei, avvertì un brivido lungo la schiena; quello sguardo corrucciato gli fece provare la singolare sensazione di essersi già trovato faccia a faccia con quella ragazza. Mentre Kisshu mormorava “Piacere!”, le labbra carnose di Soledad si stirarono in un sorrisetto che, però, non coinvolse gli occhi. L’alieno ritrasse lentamente la mano, scrutando i lineamenti della ragazza di fronte a lui; c’era qualcosa che gli faceva pensare che l’avesse già incontrata.
- Sei in erasmus? Non mi pare di averti mai visto. – domandò Soledad, e quando parlò la sua voce era pacata e profonda, animata da una nota di indifferenza.

- No, sono qui per lavoro. – inventò in fretta Kisshu.
Soledad annuì brevemente; Mercedes, poi, le passò un braccio attorno alle spalle, sorridendole.
- Lei è la mia compagna di casa da due anni, ma frequenta fisioterapia. –
- E devo ammettere che le feste della mia facoltà sono di gran lunga più divertenti. – decretò Soledad liberandosi dolcemente dall’abbraccio dell’amica, - A quest’ora sarebbero già tutti mezzi ubriachi. –

- Ma infatti questa non è una festa vera e propria. – esclamò Eva a mo’ di scusa, - E’ più un After Dinner… -
- Be’, accompagnatemi al bancone, ho bisogno di qualcosa da bere. – la interruppe Soledad, facendo un cenno del capo alle due amiche; subito queste la seguirono in mezzo alla calca, ed Eva afferrò nuovamente la mano di Kisshu.
- Non ti dispiace se stiamo con loro? – domandò Eva all’alieno, che dovette riscuotersi un attimo dai propri pensieri.
- No, assolutamente. Più siamo, meglio è! – affermò lui distrattamente, distogliendo a malincuore lo sguardo dalla nuova arrivata.

I quattro raggiunsero il bancone del locale, e Soledad aveva già ordinato da bere; sorseggiava il suo drink stando appoggiata con nonchalance al bancone. I suoi occhi verdi indugiarono sulla mano di Kisshu, ancora stretta in quella di Eva, e per un secondo lui desiderò liberarsi delle sue dita. Dopodiché, Mercedes fece una domanda a Soledad, e lei fu costretta a distogliere lo sguardo.
- Da quanto ti trovi qua, Kisshu? – gli chiese poi Soledad, tornando a fissare l’alieno.
- Oh, solo da qualche settimana. – rispose lui evasivo.
- E ha già conquistato la nostra dolce Eva! – esclamò Mercedes senza il minimo tatto, dando di gomito alla biondina, che arrossì. Mercedes, vista la sua espressione, scoppiò a ridere, seguita da Soledad; la sua risata, però, suonava stranamente amara.
- Mercedes, perché non stai zitta?! – le sibilò Eva a denti stretti.

Kisshu, divertito dalla scena, si lasciò andare ad una risata spontanea, cosa che fece arrossire ancor di più Eva.
- Ragazzi, qua dentro è un mortorio. – sbuffò Merdedes dopo pochi minuti sbattendo il proprio bicchiere, ormai vuoto, sul bancone, - Che ne dite di andare a fare un giro? –
Mercedes annuì entusiasta alle parole dell’amica, ma Eva sembrava a disagio; prese a borbottare:
- Ma un giro dove? Io penso che dovremmo stare qua, alla fine questa è la festa della facoltà e se ce ne andiamo… -

- Per me va bene. – annuì Kisshu, interrompendola. Ora fissava Soledad, che gli rivolse un’espressione stupita, alzando un sopracciglio; dopodiché sorrise, e questa volta sembrava quasi che anche gli occhi parteciparono a quella manifestazione.
- Bene, allora andiamo. – decretò lei alzandosi e guidando gli altri tre verso l’uscita.
Kisshu, Eva e Mercedes si ritrovarono fuori dal locale, nella fresca aria primaverile; Soledad li condusse dall’altro lato della strada ed estrasse le chiavi della macchina dalla borsetta. Salì quindi a bordo della sua BMW cabrio e invitò gli altri a fare lo stesso.

Mercedes prese posto davanti, mentre Eva e Kisshu salirono dietro; Soledad mise in moto, tirò giù la capotte e partì lungo la strada notturna.
Eva rabbrividì per il freddo e si strinse a Kisshu, che le passò un braccio attorno alle spalle nude. Nel mentre, Soledad guidava in silenzio verso sud, le braccia tatuate coperte da un giubbotto di pelle, la mano destra sul cambio e la sinistra sul volante. Guidò per alcuni minuti, il vento fresco che le scompigliava i capelli neri ordinatamente tirati all’indietro, fino a che non giunse in riva ad una spiaggia. Qui si erano raccolti molti altri ragazzi, che sedevano a gruppi attorno a piccoli falò improvvisati, passandosi bottiglie di alcolici.

Soledad scese dalla macchina e, mentre gli altri la imitavano, lei prese dal bagagliaio un sacchetto dal quale facevano capolino alcune bottiglie di birra.
- Ma tu giri con la birra in macchina?! – le domandò Eva, sconvolta.
- Certo. – rispose semplicemente Soledad, togliendosi le scarpe e incamminandosi verso la spiaggia, - Non si sa mai quando potrebbero servirti! –
I quattro presero a camminare nella sabbia piacevolmente fredda, fino a raggiungere uno spazio sgombro da ragazzi; lì si sedettero in cerchio e stapparono le birre.
Kisshu si sentiva finalmente più a proprio agio lì, all’aria aperta, lo sguardo rivolto verso il mare, che al momento appariva come una minacciosa massa scura. Di fianco a lui, Eva rabbrividiva contro il suo petto, mentre Mercedes lo aveva già coinvolto in una conversazione sui diversi paesi che aveva visitato.
Kisshu rispondeva animatamente alle domande della rossa, omettendo ovviamente alcuni particolari sul suo peregrinaggio, sempre cingendo le spalle di Eva; di fronte a lui, Soledad ascoltava incuriosita e lo osservava da sopra il collo della sua bottiglia di birra.

- E da Tokyo hai fatto tutta questa strada? – domandò poi Soledad con una nota scettica nella voce.
- Già, mi piace viaggiare, e dal momento che ne ho la possibilità non vedo perché non dovrei farlo. – le rispose Kisshu scoccandole un’occhiata sarcastica, che la ragazza incassò con un ghigno.
- Pensate che ha anche visto le Tokyo Mew Mew! – esclamò Eva sporgendosi oltre la spalla di Kisshu.
- Davvero? – domandò stupita Mercedes.
- Una o due volte. – si ritrovò a mentire nuovamente Kisshu.
Soledad sbuffò.

- Io ho sempre pensato che quelle cinque ragazze fossero solamente dei fenomeni da baraccone. –
Kisshu si voltò verso di lei, un misto di rabbia e incredulità che si agitavano in lui.
- Non lo sono. Io le ho viste davvero. – rispose lui con passione, fissando i suoi occhi verdi come se volesse leggerli.
- Sarà. – concesse Soledad abbandonandosi sul morbido manto sabbioso e appoggiando la testa al braccio, - Ma io per carattere sono una persona che crede solo a ciò che vede. –
Kisshu si limitò a fissarla, non trovando nulla per ribattere; si lasciò andare ad un ghigno che mise in mostra i suoi canini appuntiti, prima di inclinare il capo e posare il suo sguardo sul cielo stellato che li sovrastava.

Alcune ore più tardi, Kisshu stava accompagnando Eva a casa. Soledad e Mercedes li avevano portati, per poi dirigersi verso casa loro. Mentre i due camminavano per il vialetto, Kisshu avvertì una situazione di vuoto allo stomaco che non seppe spiegarsi.
Intanto, Eva era sulla soglia di casa, e si era voltata verso Kisshu.
- Anche se la serata è andata diversamente da come avevo programmato non è stata male, no? – domandò, cercando conferma sul viso di Kisshu.
- No, affatto. –

Eva gli sorrise, sporgendosi in avanti per baciarlo. Kisshu la accolse fra le sue braccia, ricambiando.
- Sono contenta anche per il fatto che tu abbia fatto amicizia con Mercedes e Soledad, anche se lei, effettivamente, è un po’ strana. – riprese, senza togliere le mani dalle spalle di lui.

- Ma no, non è vero. – rispose Kisshu, soppesando attentamente le parole, - Penso sia una persona molto interessante.
Eva gli depositò un altro bacio leggero sulle labbra sottili, prima di salutarlo ed entrare in casa.
Kisshu si incamminò lentamente lungo il vialetto, calciando distrattamente alcuni sassolini di ghiaia. C’era qualcosa negli occhi di Soledad che gli aveva fatto provare una stretta allo stomaco, un qualcosa che lo rendeva irrequieto. Forse era il suo modo di sorridere escludendo la felicità dai propri occhi, forse lo sguardo perennemente incazzato, o ancora le iridi indecifrabili.

L’unica cosa che Kisshu sospettava era che, se soltanto si fosse sporto per guardare all’interno dell’animo di Soledad, ne sarebbe stato imprigionato.

Angolo Autrice:

Ciao a tutti!
Questa volta il capitolo arriva abbastanza in fretta, e devo dire che è anche piuttosto lungo.
Abbiamo due nuovi personaggi all’interno della vicenda, e saranno piuttosto importanti. Per quanto riguarda le nostre Mew Mew, state tranquilli, ma tra poco faranno ritorno anche loro!
Allora, che ne dite di questo capitolo? Quali sono state le vostre impressioni, che cosa vi ha suscitato? Vorrei saperlo, per me è importante capire se sto facendo o no un buon lavoro.
Grazie a tutti coloro che continuano a seguire la mia storia!
Un abbraccio forte,
Salice_

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Parole d'inchiostro. ***


Parole d'inchiostro.




Il pomeriggio seguente Kisshu era in giro per le vie della città, i capelli verdi smossi dalla tiepida brezza primaverile che precede i mesi caldi dell’estate.
Passeggiava tra la folla, riflettendo sulla missione apparentemente impossibile che si era imposto di portare a termine. Si chiedeva se sarebbe mai riuscito a stringere di nuovo Zakuro fra le sue braccia, se l’avrebbe ritrovata. E, nel caso ci fosse riuscito, quanto effettivamente di Zakuro avrebbe ritrovato?
Ma le sue domande sembravano destinate a non trovare risposta. Almeno, non quel giorno.
Camminò per altri venti minuti, fissando le vetrine dei negozi senza realmente vederli, quando una voce attirò la sua attenzione.
- Kisshu? –
L’alieno si voltò, trovandosi faccia a faccia con Soledad, che lo fissava con un’espressione che era un misto fra il sorpreso e il divertito.
- Soledad, che sorpresa! – esclamò Kisshu avvicinandosi alla ragazza, - Che stai facendo? –
- Oh nulla, sono appena uscita dalla facoltà. – rispose lei accennando con un vago cenno del capo ad un punto imprecisato alle sue spalle, - Stavo andando a prendere un caffè; vuoi accompagnarmi? –
Kisshu esitò un attimo, prima di rispondere: - Sì, volentieri. –
Così, si ritrovò a seguire Soledad fino ad un bar vicino, dove si accomodarono sulla terrazza per godersi i raggi del sole. La ragazza prese posto di fronte a lui, togliendosi il giubbotto di pelle e rimanendo in maniche corte. I tatuaggi facevano bella mostra sulle sue braccia sottili.
Ordinarono due caffè, dopodiché Soledad si abbandonò contro lo schienale della sedia e prese a fissare Kisshu con sguardo penetrante.
- Allora, che facevi in giro tutto solo? Non sei con Eva oggi pomeriggio? –
Pungente e smaliziata, si ritrovò a pensare Kisshu, mentre un sorrisetto beffardo non poteva fare a meno di increspare le sue labbra sottili.
- No, oggi no; ci frequentiamo, ma non dobbiamo necessariamente vederci tutti i giorni. –
Soledad si ravviò i corti capelli neri con la mano, ringraziò il cameriere che aveva appena portato loro i caffè e cominciò a parlare della festa della sera precedente.
- Oltre tutto mi sono anche annoiata, sono ambienti un po’ troppo perfettini per quanto mi riguarda. – concluse Soledad dopo una lunga conversazione su quanto i due fossero stati felici di abbandonare la festa al momento opportuno.
- Non dirlo a me, - confermò Kisshu reclinando teatralmente la testa all’indietro, - Se Eva non mi avesse incastrato non ci avrei mai messo piede. –
Soledad rise con la sua risata amara, prima di accavallare le gambe fasciate nei jeans e rivolgersi nuovamente a Kisshu.
- Dai, raccontami qualcosa di te. – fece sporgendosi verso l’alieno, - Fatti conoscere. –
Kisshu appoggiò le braccia ai braccioli della sedia, sorridendo mesto.
- Non c’è molto da dire su di me. –
- Oh, io penso di sì invece. – continuò Soledad incatenandolo con sguardo penetrante. Per un attimo, a Kisshu parve che fosse in grado di leggere la sua anima.
- Va bene. – acconsentì lui, - Fammi le domande e io ti darò le risposte. –
Un’altra risata amara.
- Allora, vediamo, intanto cosa ti ha portato qui in Spagna? –
Kisshu alzò un sopracciglio.
- Lavoro, te l’ho detto. –
- Da Tokyo ad Ibiza, girando molti altri paesi solo per il lavoro? – insisté scettica Soledad, - E non dire che ne hai approfittato per girare il mondo, hai già detto anche questo. – lo precedé.
- E non credi alle mie parole? – la provocò Kisshu sporgendosi verso di lei.
- Non del tutto. – ammise Soledad serenamente.
- Se non prendi per buone le mie risposte, a cosa serve pormi domande? –
Soledad non rispose, limitandosi a sorridere prima di riprendere.
- E a Tokyo che cosa facevi? –
Kisshu sorrise; non poteva certo risponderle tentavo di conquistare la Terra per conto di un tiranno assetato di potere che mi ha anche ucciso.
- Lavoravo come cameriere in un bar, nulla di splendido o emozionante. La mia vita era monotona come quella di qualsiasi essere umano. – buttò lì Kisshu.
- Se pensi che la tua vita sia noiosa, significa che sei tu ad essere noioso. – decretò la ragazza con aria saggia, prima di mettersi a ridere assieme all’alieno.
- Allora poi sono curioso di sapere qualcosa in più sulla tua di vita! – ribatté Kisshu.
- Tempo al tempo, caro Kisshu. Continua pure. –
- Non so che altro dire, davvero! – ammise lui portandosi un braccio dietro alla testa, - Cinque anni fa ho abbandonato la mia città natia e preso a girare il mondo, passando periodi più o meno lunghi da un paese all’altro, arrangiandomi per trovare un lavoro e una sistemazione momentanei, in attesa di partire verso nuovi orizzonti. –
- E’ stato un modo per rendere la tua esistenza meno noiosa? – lo punzecchiò Soledad.
Kisshu stava per risponderle per le rime, quando decise di smettere, per un secondo, di recitare quella parte che cominciava a stargli stretta.
- Tu non credi che io sia venuto qui per lavoro, non è vero? –
Pronunciò la frase fissando gli occhi verdi di Soledad con i suoi dorati, cercando quasi di stabilire un contatto con l’anima che aveva di fronte, anima che non conosceva e che, probabilmente, mai sarebbe stato in grado di decifrare del tutto.
- No, non ci credo. – rispose lei semplicemente.
- E come mai? –
Soledad si sorresse il mento con la mano, senza smettere di scrutare Kisshu.
- Per il semplice fatto che sembri nascondere una tristezza infinita in fondo agli occhi. Da quando ti ho visto per la prima volta ieri sera, ho avuto l’impressione che tu avessi una sorta di rancore che ti scorre nelle vene. Io penso che tu, in questi cinque anni, abbia tentato di cambiare cielo sotto cui vivere. –
Pronunciò queste parole con naturalezza, colpendo Kisshu in pieno. Lui sgranò gli occhi, riflettendo rapidamente su quanta verità quella sconosciuta fosse riuscita ad indovinare.
Nel mentre, Soledad rimaneva in silenzio, in attesa di una conferma da parte di Kisshu.
- E’ così evidente? – domandò solamente lui, abbassando impercettibilmente il tono di voce.
- No, - negò Soledad scuotendo la testa, - Ma io lo vedo. –
In quel momento Kisshu si accorse di avere le mani stretta a pugno; le rilassò, scoprendo che le unghie gli avevano lasciato dei segni sul palmo, laddove erano affondate.
Rifletté e, per una volta, decise di essere sincero. O almeno, per quanto possibile.
- Avevo una ragazza a Tokyo, - cominciò lentamente, mentre Soledad assumeva un cipiglio della serie “Lo immaginavo”, - ma non è mai stata una storia semplice. Molte volte finivamo per allontanarci l’uno dall’altro, spinti dall’insensata paura di dare troppo; ci ritrovavamo soli, ma incapaci di darci pace. Fuggivamo dalla forza di ciò che provavamo come si scappa di fronte ad un incendio indomabile; diciamo che avevamo entrambi paura di bruciarci. Alla fine, però, tornavamo sempre sui nostri passi. Lei mi mandava all’inferno, ma puntualmente veniva a riprendermi. Io le voltavo le spalle, ma trovavo sempre il modo di tornare. –
Kisshu si fermò, mentre le immagini della sua vita con Zakuro gli scorrevano velocemente davanti agli occhi; ologrammi di un passato ormai lontano, ma mai dimenticato.
- E allora che cosa è andato storto? – incalzò Soledad. Aveva abbassato il tono di voce e lo osservava impassibile.
- Un giorno, lei se n’è andata. È andava via, e non avevo modo di farla tornare indietro. Mi maledico ogni ora, minuto, momento della mia miserabile vita per non essere stato in grado di tenerla con me. –
Le parole ormai erano inarrestabili; Kisshu depositò tutto il dolore sopito negli anni in Soledad, interlocutrice sconosciuta ma che per lui appariva, in quel momento, come un’ancora di salvezza, un’oasi nel deserto dopo tutto il suo lungo peregrinare.
- Avevo perso le coordinate. Niente più rotta, niente più bussola. Continuavo a sbattere contro alle cose, ero come pazzo, credo. Non mi era mai successo prima. Lei era la mia stella polare. Riuscivo sempre a tornare in porto, quando c’era lei ad aspettarmi. E ora che se n’è andata, mi dispiace di tante cose: mi dispiace di non essermi occupato meglio di lei, così da evitarle di essere infreddolita, spaventata o malata anche solo per un momento. Mi dispiace per non aver trovato le parole per dirle quello che provavo. Mi dispiace di aver litigato con lei, di non essermi scusato di più, ero troppo orgoglioso. Mi dispiace di non averle fatto più complimenti per quello che indossava o per come si pettinava. Mi dispiace per non aver lottato per trattenerla, cosicché niente al mondo potesse separarci. –
Kisshu si arrestò, finalmente, lo sguardo fisso sulle sue mani che stava tormentando con insistenza. Dopo cinque anni, era finalmente riuscito ad ammettere tutto ciò per cui si era torturato senza sosta, tutti i pensieri che gli avevano logorato l’anima. E, in quel momento, Zakuro gli parve più vicina che mai, come ogni volta in cui si scava a fondo fra i ricordi.
L’alieno alzò lo sguardo e incontrò gli occhi verdi di Soledad; non sapeva con precisione per quanto tempo avesse parlato, né per quanto fosse rimasto in silenzio. L’unica cosa che sapeva, era che Soledad era ancora lì, di fronte a lui, e nei suoi occhi c’era una traccia di qualcosa che Kisshu non riuscì a decifrare.
Lei si passò una mano fra i capelli corti.
- La amavi tanto, non è vero? –
Kisshu rimase in silenzio. C’era qualcosa in quella frase che lo faceva stare male; forse era l’uso del tempo passato, forse la consapevolezza di aver perso tutto.
Dopo un tempo che parve interminabile, Kisshu riuscì a rispondere.
- Sì. –
La ragazza prese a fissare un punto imprecisato sopra alla spalla di lui, come se fosse assorta nei propri pensieri. Kisshu la lasciò fare, attendendo con pazienza che si concentrasse nuovamente su di lui, quando lei finalmente parlò.
- Solo una ti insegnerà ad amare. Le altre ti ricorderanno come si fa quando lei se ne sarà andata. –
L’alieno rimase in silenzio per un momento, assorbendo il significato di quell’affermazione, prima di rivolgersi nuovamente a Soledad.
- Che cosa vorresti dire con questo, scusami? –
Soledad tornò a fissare Kisshu, quella scintilla indefinita che le brillava ancora in fondo agli occhi.
- Voglio dire che lei è stata il più grande amore di tutta la tua vita, ma che ormai non c’è più nulla da fare. Con lei ti sei forgiato, ed è naturale che tu non riesca a provare lo stesso sentimento con nessun’altra ragazza. Quello che voglio dirti, è che non riuscirai mai a trovare un’altra persona che corrisponda a lei; non so precisamente che cosa tu stia cercando, ma, in ogni caso, non troverai lei in un’altra ragazza. Se vuoi vivere meglio, ti conviene dimenticarla. –
Kisshu si sentì improvvisamente stanco, spossato: la verità contenuta nelle parole di Soledad sembrò piombargli addosso come un macigno. Aveva davvero, per tutto quel tempo, cercato qualcosa che, ormai, non esisteva più? E quante volte, allora, accecato dalla sua disperata ricerca, era passato accanto a Zakuro senza riconoscerla?
Kisshu venne riscosso dai propri pensieri quando si sentì sfiorare il braccio; Soledad aveva preso silenziosamente posto accanto a lui e gli stringeva con fermezza l’avambraccio. E quella stretta, riuscì a trasmettergli un messaggio: forse, non era del tutto solo.
L’alieno incontrò nuovamente lo sguardo di Soledad, incorniciato dalle ciglia scure, e finalmente riuscì a capire che cosa fosse la luce che brillava nel verde dei suoi occhi: dolore.
Scorrevano i minuti e Soledad non parlava, limitandosi a sostenere lo sguardo di Kisshu, il braccio tatuato ancora saldamente ancorato al suo diafano.
- Cinque anni sono tanti, - riprese poi lei con un sussurro, - smettila di tormentarti. Posso capirti, giuro, più di quanto tu sia disposto a credere, ma devi lasciar andare tutto. –
E, con questo, stese davanti agli occhi di lui il braccio sinistro. Kisshu rimase momentaneamente spiazzato, prima di notare una scritta sull’avambraccio: “Panta Rei”.
- Ovvero? – domandò Kisshu accigliato.
- Significa “Tutto scorre”. – rispose Soledad con un mezzo sorriso, - Penso che sia l’unica cosa che dovresti fare al momento. –
Kisshu rimase ancora per qualche secondo in silenzio, prima di affondare il volto fra le mani e prendere a ridere; una risata roca, disperata, folle, ma, allo stesso tempo, rigenerante. Una risata che sapeva di aria fresca.
- Scusami, ma io ti confesso i miei problemi esistenziali e tu pensi di risolvere tutto mostrandomi un tatuaggio? – esclamò Kisshu fra le risa tornando a fissare il volto corrucciato di Soledad.
- Io ci ho provato! – si difese lei.
- Hai altri consigli tatuati da qualche parte? – la prese in giro lui.
Soledad assunse un’espressione falsamente pensierosa.
- Consigli no, ma se vuoi posso rimediare facendomi scrivere “Kisshu, svegliati!” sulla schiena! –
Kisshu riprese a ridere.
- Invece di straparlare, spiegami che cosa rappresentano tutti questi tatuaggi. – esclamò lui afferrandole il polso per studiarle il braccio da più vicino.
- Come vuoi. – concesse Soledad sorridendo.
- Questo, - continuò indicando un fiore blu disegnato sul braccio destro, - è un Iris, e rappresenta la speranza. Poi, - ruotò il polso mostrando un’ancora, - questa rappresenta tutti i capisaldi della mia vita, e la continua ricerca di un qualcosa per cui lottare. La scritta “Panta Rei” è il mio motto, la frase nella quale mi rispecchio di più. Il guantone da boxe, - e gli mostrò il tatuaggio sotto la spalla, - è il simbolo del mio amore per questa disciplina. Poi qui abbiamo una piuma, che simboleggia la libertà. –
Soledad mostrò poi il braccio sinistro.
- Qui abbiamo la scritta “Never give up”, che mi ricorda di non arrendermi mai, nonostante tutti gli ostacoli; la stella a sette punte, o septagramma, è conosciuta anche come stella delle fate e rappresenta la magia, l’infanzia e la capacità di comunicare con il mondo magico. E, per finire, la pistola, una dichiarazione di determinazione nel raggiungere uno scopo e fermezza per una decisione presa. –
Kisshu rimase per qualche secondo a fissarla stupito, prima di ribattere.
- Cavolo, conoscendo il significato dei tuoi tatuaggi una persona riuscirebbe quasi a capire qualcosa di te! – scherzò lui, mentre Soledad accompagnava le sue parole con una risata simile a un latrato.
- Ci vuole ben altro che qualche segno d’inchiostro per capire che persona sono. – ribatté lei misteriosa.
- Non ne dubito. –
Soledad guardò l’ora sul suo orologio da polso, prima di sospirare: - Si è fatto tardi, mi conviene andare a casa; sono sicura che quella pigrona di Mercedes non abbia ancora preparato nulla da mangiare. –
Kisshu rise della malcelata nota di rabbia che Soledad non era riuscita o non aveva voluto mascherare, offrendosi di accompagnarla. Lei accettò di buon grado.
I due si incamminarono così sulla costa, fino a raggiungere un piccolo palazzo che dava sul mare.
- Bene, sono arrivata. – fece Soledad riassestandosi la tracolla sulla spalla e guardando intensamente Kisshu con i suoi occhi verdi, - Grazie per la compagnia. –
- Grazie a te per la chiacchierata. – ribatté Kisshu, lasciando che un sorrisetto malizioso gli stirasse gli angoli della bocca. - Ci vediamo. –
Soledad annuì e si voltò, ma dopo un secondo si girò nuovamente verso l’alieno.
- Kisshu, dimmi una cosa. –
- Che cosa? – domandò lui incuriosito.
Soledad sospirò.
- Da quando mi hai parlato della tua ex ragazza… Hai più pensato ad Eva? –
Kisshu rimase spiazzato, mentre la verità delle parole di Soledad gli scatenavano una sorta di moto di vergogna all’altezza del petto.
Non rispose, e la ragazza interpretò in maniera esatta il suo silenzio.
- Allora significa che ciò che hai trovato non era quello che stavi cercando. –
E, con queste ultime parole, aprì il portone e sparì nell’atrio senza voltarsi, lasciando Kisshu sulla soglia, intento a districare tutti i vari pensieri più o meno bui che si erano annidati nella sua mente.

 
 
 
Angolo Autrice:
Ciao a tutti!
Scusatemi per l’enorme ritardo, so di essere terribile come al solito come tempistica, ma non ho avuto molto tempo di stare dietro alla storia.
Diciamo che questo capitolo è principalmente composto da dialoghi, ma dovevo fare in modo che Kisshu, nel corso della storia, cominciasse ad aprirsi con qualcuno, rivelando tutti i suoi rancori.
Cosa ne pensate del capitolo? E soprattutto, come vi sembra il rapporto fra Soledad e Kisshu? E Eva, in tutto questo, pensate sia la ragazza giusta o magari Kisshu ha commesso l’ennesimo buco nell’acqua avvicinandosi a lei?
Aspetto le vostre recensioni!
Un abbraccio forte,
Salice_

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Pericolo. ***


Pericolo.





Le settimane passavano, e Kisshu si ritrovava a trascorrere sempre più tempo con Eva. Spesso i due uscivano assieme a Soledad, Mercedes e il fratello gemello di lei, Carlos. I ragazzi andavano molto d’accordo fra di loro, e le giornate passavano fra pomeriggi trascorsi in spiaggia, dove i più temerari si mettevano già in costume cercando di accogliere sul loro corpo i raggi del primo sole estivo, e serate in giro per locali.
Kisshu, col tempo, stava riuscendo sempre più ad apprezzare la dolcezza di Eva, cosa che non aveva mai riscontrato in nessun’altra ragazza prima d’allora. I due erano ormai una coppia di fatto e l’alieno, ogni qualvolta veniva cinto dalle braccia morbide di Eva, aveva sempre più l’impressione di trovarsi sul sentiero giusto che lo avrebbe ricondotto a casa. Nonostante gli avvertimenti di Soledad, Kisshu aveva deciso di provarci fino in fondo: forse era proprio quella sostanziale diversità fra Eva e Zakuro a renderle così simili, così affini. Si era ormai messo in testa che, se la strada era così complicata, era probabilmente perché si trattava di quella giusta.
Mercedes era sempre la solita, e Kisshu aveva imparato ad apprezzare il suo carattere espansivo e perennemente solare; quella ragazza sprizzava positività da tutti i pori.
L’alieno, nonostante tutto, aveva legato parecchio anche con Soledad: spesso i due si erano ritrovai soli, seduti in riva al mare mentre gli altri erano impegnati a ravvivare la carbonella per la grigliata in corso, a parlare. Soledad non si era mai esposta più di tanto a Kisshu, non gli aveva confessato nulla di se stessa, ma era un’ottima ascoltatrice e una persona in grado di dare numerosi e saggi consigli.
Così passò maggio, e arrivò giugno.
Era tardo pomeriggio, e i cinque amici erano intenti a correre per il supermercato facendo la spesa per l’ennesima grigliata che avrebbero organizzato la sera stessa.
- Per la miseria, dobbiamo andare a prendere la carne prima che finisca! – urlò Mercedes dall’altro capo del corridoio in cui si trovavano, facendo sobbalzare Kisshu che era intento a spingere il carrello e, allo stesso tempo, evitare di investire gli altri clienti.
- E smettila di strillare, abbiamo capito! – rispose Soledad con voce strascicata trascinandosi svogliatamente fra gli scaffali.
Tutte le volte la stessa storia, pensò Kisshu scuotendo la testa, Carlos riempie il carrello di alcolici, Mercedes grida ordini a destra e a manca, Soledad si fa gli affari suoi, Eva cerca di riportare l’ordine e io mi ritrovo a spingere questo aggeggio infernale per i corridoi.
Mezz’ora dopo, finalmente il gruppetto si ritrovò sulla macchina di Soledad, in mezzo ad un’invasione di buste per la spesa, la capotte rigorosamente abbassata.
- Io però prima devo passare a casa. – esordì Eva rivolta a Kisshu mentre il motore rombava e l’aria del crepuscolo scompigliava loro i capelli. – E’ un problema? –
- No, assolutamente. – rispose Kisshu sicuro. – Ti accompagno. Sole! – urlò poi alla ragazza alla guida sporgendosi verso di lei, - Ci lasceresti a casa di Eva che si deve cambiare? –
- Affermativo capo! – rispose la corvina facendo inversione con una manovra del tutto illegale che le fece guadagnare una nuova raffica di insulti da parte di Mercedes, subito sedata da una rispostaccia della prima.
Poco dopo la coppia venne accompagnata a casa di Eva; mentre l’auto faceva retromarcia lungo il vialetto, Eva aprì la porta di casa e fece cenno a Kisshu di seguirla.
- Oh, i miei sono già usciti. – osservò Eva leggendo un post-it lasciato sul tavolo, in cui i genitori la avvisavano che sarebbero andati a cena fuori, - Vado a prendere un maglioncino e sono subito da te. –
Kisshu, però, si avvicinò pericolosamente alla ragazza, bloccandola fra il tavolo della cucina e il suo corpo.
- Non penso ci sia tutta questa fretta di raggiungere gli altri. – mormorò l’alieno in tono suadente, avvicinando le proprie labbra a quelle di Eva.
Si baciarono, ma in breve Kisshu tramutò quel bacio in qualcosa di molto più rovente; le sue mani viaggiavano lungo la schiena di Eva, insinuandosi sotto la sua maglietta.
Dopo lunghi minuti di baci appassionati, ai quali la ragazza rispose di buon grado, i due si staccarono quanto bastava per potersi guardare negli occhi.
- Vuoi? – le soffiò solamente Kisshu sulle labbra, un canino appuntito che faceva bella mostra di sé.
Eva si limitò ad annuire, lo sguardo velato e le gote arrossate.
Dopo questo tacito accordo, Kisshu sospinse lentamente Eva sul divano in soggiorno; la fece sdraiare e si distese sopra di lei, sommergendola di baci lungo il collo.
Nel silenzio più assoluto, rotto solamente dai respiri affannosi, i due consumarono il loro primo amplesso, lì, su quel divano beige.
Alla fine, Kisshu si abbandonò sul seno di Eva, socchiudendo gli occhi; stava bene, poteva finalmente dire, dopo mesi e mesi, di sentirsi veramente bene. I capelli biondi leggermente sudati di lei gli solleticavano la fronte, ma Kisshu non se ne curò; in mezzo a tutto quel calore umano, Zakuro sembrava più vicina che mai.
L’alieno si ritrovò ad incrociare le sue dita a quelle un po’ tozze della ragazza, così diverse da quelle affusolate della sua amata, respirando il profumo dolce della sua pelle.
Dopo qualche attimo di silenzio, questo venne rotto dalle parole di Eva, che pronunciò le sue parole in un sussurro roco.
- Ti amo. –
Era come se il gelo fosse improvvisamente caduto su Kisshu; qualcosa si era spezzato, tutta la magia di quel momento era sparita.
E di fronte all’espressione dolce e timida di Eva, Kisshu non riuscì a far altro se non sorridere e allentare la tensione del momento con un bacio a fior di labbra. Di dirle che la amava a sua volta proprio non ce la faceva.
I minuti trascorsero lentamente, minuti fatti di coccole e baci, fino a quando non giunse l’ora di rivestirsi e raggiungere gli altri. Eva non fece più parola della sua dichiarazione d’amore; sembrava aver preso il sorriso di Kisshu come una risposta più che adeguata.
 
 
La settimana seguente, Kisshu si trovava a fare una solitaria passeggiata in riva al mare nel tardo pomeriggio, accompagnato dagli sguardi curiosi dei bagnanti, attirati dal colore insolito dei suoi occhi e dei capelli. Eva quel giorno era fuori città con i genitori, in visita da alcuni parenti.
Le tranquille riflessioni del ragazzo vennero interrotte bruscamente dalla suoneria del suo cellulare, oggetto che Eva aveva insistito per regalargli dopo essersi stancata di essere obbligata a fare il giro della città alla cieca per trovarlo.
Kisshu estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni e lesse il nome sul display: “Soledad”.
Un breve sorriso gli increspò le labbra, prima che rispondesse alla chiamata.
- Hey pazza! – la salutò allegramente l’alieno.
- Kisshu! – rispose lei, - Sai che ore sono? –
Kisshu, un po’ sorpreso, un po’ stranito, controllò l’ora sul display esterno del telefono.
- Sono le sei e mezza, perché? Hai perso l’orologio? –
- No idiota, è ora di andare a prendere un aperitivo con la tua fantastica amica tatuata! – esclamò Soledad, accompagnando la frase da una risata.
Kisshu non poté fare a meno di sorridere più apertamente, scostandosi un ciuffo di capelli verdi dagli occhi.
- Va bene, io sono a Playa Rica in questo momento. –
- Dieci minuti e sono da te! –
Dopodiché Soledad riagganciò senza troppi giri di parole.
Kisshu si abbandonò ad una risata, prima di riprendere tranquillamente la sua passeggiata nella direzione opposta, i piedi bagnati dall’acqua e le scarpe in mano.
Una decina di minuti dopo, ai suoi occhi comparve la sagoma di Soledad, avvolta in un leggero e semplice vestitino bianco, che gli correva incontro sul bagnasciuga, anche lei scalza, i sandali in mano.
- Hey! – lo salutò lei una volta raggiunto, dandogli un pugno scherzoso sulla spalla.
- Ciao Soledad – rispose Kisshu scompigliandole i corti capelli neri, - Andiamo? –
Lei annuì e i due si diressero insieme al bar della spiaggia, costruito a mo’ di capannina. Si sedettero ad un tavolino in legno e ordinarono due drink.
- Che hai fatto oggi, fenomeno? – le domandò Kisshu spiluccando dalla ciotola di noccioline che aveva davanti.
- Nulla di che, ho studiato un po’ e poi sono andata in centro a fare due commissioni. – rispose lei distrattamente, - Eva? Non c’è? –
- No, è andata a trovare alcuni parenti. –
Soledad annuì e ringraziò con un cenno del capo il cameriere che aveva appena portato loro i drink.
- A quanto pare la vostra storia sta andando bene, nonostante io pensassi il contrario, - osservò la ragazza, - Sono contenta! Sembrava che tu non avessi tutti i presupposti migliori inizialmente. –
- Infatti non li avevo. – acconsentì Kisshu bevendo un sorso dal suo bicchiere, - Però parlare con te mi ha fatto riflettere molto. Ho capito che dovevo semplicemente mettermi in una disposizione d’animo che mi permettesse di tentare. –
Soledad sorrise da sopra l’orlo del bicchiere.
- Come faresti senza di me? – domandò in modo scherzoso.
- Non lo so, non lo so proprio. –
Dopo qualche secondo di silenzio, Kisshu lasciò un’occhiata divertita a Soledad.
- E tu perché non ti trovi un ragazzo? –
- Io? – fece lei, come se Kisshu l’avesse offesa mortalmente.
- Si, tu! Piacevi anche a quel ragazzo che abbiamo conosciuto la settimana scorsa, l’amico di Carlos! –
Soledad inarcò un sopracciglio.
- Luìs? Ma figuriamoci! Quello lì è troppo snob per me. –
Kisshu sbuffò sonoramente, lanciando a Soledad uno sguardo esasperato.
- Ma se non hai nemmeno provato a conoscerlo! –
- Non fa nulla, - rispose lei sulla difensiva, incrociando le braccia tatuate al petto, - Io sto bene da sola. –
- Tu dici? – la provocò lui.
- Oh sì. Vedi, negli anni ho cominciato a pensare che il mio nome sia anche la mia condanna. –
Kisshu scoppiò a ridere, ma il ritardo con il quale arrivò la risata amara di Soledad gli fece balzare in mente un pensiero; forse, la sua affermazione era seria.
- Be’, in ogni caso lui sembrava un bravo ragazzo, non mi ha fatto una brutta impressione,… -
- Kisshu… - cercò di interromperlo Soledad.
- No, fammi finire! E’ simpatico, lavora, non è un drogato, ... –
- Kisshu! –
- E non mi interrompere! Secondo me potresti… -
- KISSHU, ACCIDENTI A TE, GUARDA! –
Kisshu si voltò di scatto: Soledad stava indicando il televisore del bar alle sue spalle, che, fino ad un momento prima, stava trasmettendo uno stupidissimo gioco a premi. In quel momento, però, il programma era stato interrotto e, al posto del conduttore dello show, c’era una giornalista.
“Ci scusiamo per l’interruzione, vi avvisiamo che la trasmissione riprenderà al termine del servizio. In questo momento, però, dobbiamo entrare in collegamento con Tokyo, in Giappone, nella quale si sta verificando un fenomeno del tutto incredibile.”
Ora tutti i clienti del bar si ammassavano contro il bancone, sporgendosi per cercare di vedere lo schermo; Kisshu tratteneva il fiato.
“Proprio in questo preciso istante nella città di Tokyo si è verificato l’attacco alla popolazione da parte di un mostro gigantesco, simile a quelli che hanno minacciato la città fino a cinque anni fa.”
Sullo schermo televisivo scorrevano le immagini di una sottospecie di lucertola rossa, alta quanto un’abitazione a due piani, intenta a calpestare e distruggere tutto ciò che minacciava di sbarrare il suo cammino. Kisshu, il cuore che batteva all’impazzata nel petto, non ebbe alcuna difficoltà a riconoscere la creatura.
Un chimero!
“Le forze dell’ordine locali hanno tentato di intervenire sul posto per mettere in salvo i civili, ma la creatura sembra inarrestabile!” stava dicendo la reporter, mentre le telecamere continuavano a riprendere la marcia mortifera del Chimero.
Non ci credo, non è possibile! si ritrovò a pensare Kisshu, artigliandosi con forza allo schienale della sedia, Come possono esserci dei Chimeri? Chi li ha mandati?
“Aspettate, sembra che qualcuno si stia avvicinando!” gridò la giornalista, attirando l’attenzione generale, “Incredibile, sono le Mew Mew!”
Kisshu sgranò gli occhi, incredulo. Eppure era tutto lì, davanti a lui: quattro figure dalle fattezze umane e animali si erano appena precipitate sul campo di battaglia, sferrando attacchi a raffica sul Chimero.
Kisshu riconobbe immediatamente la leader del gruppo, fasciata nel suo solito vestitino rosa; Mew Ichigo, il volto più adulto, più maturo, e gli occhi rosati illuminati dal consueto sguardo combattivo di sempre, stava dando del filo da torcere al mostro.
Kisshu, poi, riuscì ad individuare Mew Retasu, le sue armi a forma di nacchera alla mano, e Mew Minto, che si librava in volo sopra alla testa del Chimero. Per esclusione, l’alieno dedusse che la ragazza dalla tuta gialla e i corti capelli biondi dovesse essere Mew Purin.
Kisshu riuscì a staccare gli occhi dallo scherzo per puntarli in quelli verdi di Soledad, che lo fissava sconvolta.
- Allora è tutto vero? – riuscì solamente a mormorare lei.
Kisshu annuì.
Dopo un attimo, però, un’idea gli balenò in mente. Era tremendamente improbabile che riuscisse, però doveva provarci.
- Soledad, il tuo telefono va su internet, giusto? –
La ragazza annuì e, senza bisogno che Kisshu aggiungesse altro, gli porse il suo smartphone. L’alieno lo prese e, senza dire una parola, abbandonò il bar, dirigendosi sulla spiaggia ormai semi deserta.
Dannazione, muoviti! Imprecò mentalmente Kisshu mentre apriva il motore di ricerca.
“Ryan Shirogane”
Diverse pagine si aprirono sul display del telefono di Soledad, ma Kisshu riuscì ad avere fortuna solo al terzo tentativo, dove finalmente trovò il numero della clinica privata che l’americano, dedusse, doveva aver aperto a New York.
L’alieno digitò il numero sul suo telefono e attese, il cuore in gola. Gli squilli si susseguivano frenetici, ma dall’altro capo non arrivava risposta. Quando entrò la segreteria, Kisshu non si diede per vinto: buttò giù e ricompose freneticamente il numero.
Ti prego Shirogane, rispondimi!
Dopo numerosi tentativi, finalmente, una voce distaccata arrivò dall’altro capo del telefono.
- Pronto, chi parla? Al momento siamo piuttosto impegnati… -
- Shirogane, sono Kisshu! – lo interruppe l’alieno quasi urlando, - Kisshu Ikisatashi. –
Ryan, all’altro capo del telefono, ammutolì. Dopo alcuni secondi di smarrimento, la voce del biondo tornò a farsi sentire.
- Kisshu? Ma come hai fatto a rintracciarmi? – domandò con stupore.
- Questo non ha importanza. – tagliò corto Kisshu, - Ho appena visto il telegiornale, che sta succedendo? –
Ryan sospirò.
- Qualcuno ci sta attaccando nuovamente. – cominciò il biondo, e Kisshu percepì il suo tono di voce come particolarmente stanco. – Quello di oggi è il terzo o quarto attacco da parte di Chimeri avvenuto negli scorsi tre mesi, solo che questa volta non è stato possibile nasconderlo: il mostro è comparso proprio nel centro della città. –
Kisshu deglutì, accorgendosi solo in quel momento di avere la mano libera stretta a pugno.
- E non sai chi si nasconde dietro a questi attacchi? –
- Purtroppo no; supponiamo che siano Edreniani come te a giudicare dalla fattezza del chimero, ma non possiamo lasciare nulla al caso. Kyle è già a Tokyo, io ho dovuto risolvere due faccende qua a New York ma ora sono pronto per partire. – spiegò rapidamente Ryan, - Ho appena finito di raccogliere le mie cose, ho un volo tra quaranta minuti. –
E le parole fuoriuscirono dalle labbra di Kisshu prima ancora che potesse controllarle.
- Vengo anche io, ci vediamo a Tokyo. –
- No Kisshu! – ringhiò il biondo, - Non è proprio il caso che un alieno compaia in questo momento in città; aspetta lì, in qualunque posto ti trovi, ti contatterò io. –
Kisshu, seppur a malincuore, annuì; poi, ricordandosi che Ryan non poteva vedere i suoi gesti al di là della cornetta, rispose con un secco “Va bene.”
- A proposito, - riprese Ryan, - Come procede la tua missione? –
- Io penso di esserci molto vicino, Shirogane, - rispose l’alieno, - Molto vicino. –
Ryan rimase per qualche istante in silenzio, prima di parlare nuovamente, questa volta con voce leggermente più dolce.
- Bene Kisshu, sono contento. Spero davvero che tu ce la faccia. –
- Già. –
- Kisshu, perdonami, ma rischio di perdere l’aereo. – fece Ryan, parlando molto in fretta, - Tu rimani in attesa, ti contatterò io. Può essere che non ci sia bisogno del tuo ritorno. –
- Non importa, tu fammi sapere che cosa sta succedendo! – esclamò Kisshu con un tono che non ammetteva repliche.
- Certamente. A presto, Kisshu. –
- A presto, Ryan. –
Dopodiché l’americano riattaccò.
Kisshu si infilò il cellulare in tasca, assieme a quello di Soledad, e si prese la testa fra le mani. Com’era possibile che qualcuno avesse nuovamente attaccato la Terra? Cordelia era stata sconfitta, Deep Blue anche… E Pie e Taruto? Erano a conoscenza di quello che stava succedendo?
- Kisshu! –
L’alieno si voltò di scatto, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi; Soledad aveva abbandonato il bar e lo stava raggiungendo, alzando piccole nuvolette di sabbia ad ogni passo.
- Tieni. – sputò lì Kisshu senza guardarla una volta che fu ad un metro da lui, porgendole il telefono; lei lo afferrò e lo mise in borsa senza staccare gli occhi da lui.
- Kisshu. – ripeté ancora Soledad prendendo a braccetto il ragazzo, che sollevò impercettibilmente il capo per osservarla di sottecchi: le labbra carnose erano socchiuse e negli occhi verdi brillava una scintilla di paura.
- Sta succedendo di nuovo. – esordì Kisshu guardando fisso di fronte a sé.
- Mi dispiace. – mormorò Soledad rafforzando la presa sul braccio di Kisshu.
L’alieno annuì, puntando gli occhi dorati sulla linea dell’orizzonte, laddove il mare si fondeva col cielo. Quindi, la guerra non era ancora finita? Quale conto in sospeso potevano ancora avere a distanza di cinque anni? E soprattutto, come avrebbe fatto a concentrarsi sulla ricerca di Zakuro con un nuovo, devastante problema sulle spalle?
Kisshu aveva mille interrogativi ma nessuna risposta; l’unica cosa certa, in quel momento, era la mano di Soledad che stringeva il suo avambraccio e che lo teneva fermo al suolo, come un’ancora di salvezza.
 

 
 
 
Angolo Autrice:
Ciao a tutti! Mi scuso ancora per il ritardo, ma, come al solito, ho avuto mille impegni.
Ringrazio tutti per le recensioni e per avermi dimostrato di seguire ancora la mia storia nonostante i miei perenni ritardi; purtroppo, non sono riuscita ad avvisare tutti della pubblicazione del capitolo precedente a causa di problemi con le mail del sito.
In ogni caso, passiamo al capitolo: diciamo che ho dato una piega decisiva alla relazione tra Kisshu e Eva, definendo meglio la situazione.
E, cosa secondo me più importante, sono tornate le Mew Mew!
Che cosa ne pensate del capitolo? Che cosa credete stia accadendo a Tokyo?
Fatemi sapere! Aspetto le vostre recensioni!
Un abbraccio forte,
Salice_

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Ciò che non posso sacrificare. ***


Ciò che non posso sacrificare.




Era trascorsa una settimana dalla notizia dell’attacco del Chimero alla città di Tokyo; per i primi giorni giornali e telegiornali non parlarono d’altro, ma, col passare del tempo, la notizia sembrò perdere importanza per gli spagnoli, così distanti dalla capitale giapponese.
Quel giorno, i ragazzi si trovavano a casa di Kisshu, un appartamento con vista sul mare che era riuscito a procurarsi nei mesi passati, intenti a guardare un film tutti assieme.
La scelta del film, quella volta, era stata affidata a Mercedes, che aveva proposto agli amici una commedia; in quel momento i cinque erano tranquillamente spaparanzati a godersi lo spettacolo, chi sul divano, chi sulle poltrone.
Kisshu accarezzava distrattamente i capelli biondi di Eva, rannicchiata sul divano di fianco a lui, il capo appoggiato alla sua spalla; al fianco di lei, Mercedes sgranocchiava rumorosamente pop corn mangiandoli direttamente dalla ciotola dalla quale, teoricamente, avrebbero dovuto spiluccare tutti. Carlos e Soledad erano, invece, tranquillamente abbandonati su due poltrone ai lati del divano, lo sguardo fisso sullo schermo e un sorrisetto impresso sulle labbra.
In quel momento il cellulare di Kisshu, appoggiato sul basso tavolino di vetro di fronte a loro, prese a vibrare rumorosamente, muovendosi orizzontalmente sul piano. Sbuffando, l’alieno lo afferrò e controllò chi lo stesse chiamando: il numero era sconosciuto.
Con espressione scocciata Kisshu rispose alla chiamata.
- Pronto? – domandò con voce strascicata.
- Kisshu. –
Bastò che solo che l’interlocutore pronunciasse il suo nome perché Kisshu cambiasse completamente atteggiamento: in un batter d’occhio si alzò dal divano e, scusandosi con gli amici tramite un frettoloso gesto della mano, si diresse lontano dalla sala, lungo il corridoio.
- Aspetta un secondo. – esclamò mentre si dirigeva verso camera sua.
Kisshu entrò nella stanza e, senza curarsi di accendere la luce, si richiuse la porta alle spalle. Una volta che si fu seduto sul bordo del letto, poté riprendere la conversazione.
- Ryan, dimmi tutto. È successo qualcosa? –
La voce dell’americano arrivò forte e chiara dall’altro capo del telefono.
- No Kisshu, tranquillo, per ora la situazione è stabile. – lo rassicurò con fermezza, - Dimmi solamente dove ti trovi. –
Kisshu rimase un po’ spiazzato da quella domanda, ma si affrettò a rispondere.
- A Ibiza, in Spagna. – Dopodiché, aggiunse: - Perché? –
Il biondo non rispose; Kisshu riuscì a sentire un rumore di dita che battevano sulla tastiera, e immaginò che lo scienziato dovesse essere contemporaneamente al computer.
Dopo circa un minuto, Ryan tornò a parlare.
- Ho appena prenotato un volo su internet, - esclamò con voce seria, - riuscirò ad essere da te fra due giorni. –
Kisshu impiegò alcuni secondi per registrare quella notizia; una volta realizzato quanto gli aveva comunicato Ryan, riprese: - Ma scusami, non posso essere io a raggiungerti a Tokyo? Con il teletrasporto posso essere lì in un attimo. –
- No Kisshu, te l’ho già detto; è troppo rischioso che tu ti presenti in città al momento, dato che non sappiamo ancora con quali nemici abbiamo a che fare. L’arrivo di un altro alieno potrebbe complicare tutto. – spiegò rapidamente, - Ci sono alcune questioni di cui devo parlarti, aggiornandoti su quanto accaduto negli ultimi tempi. E, in ogni caso, è bene che tu rimanga sul posto in modo da poter continuare la tua ricerca. –
- Hai ragione Biondo, - concesse Kisshu, passandosi stancamente una mano fra i capelli verdi, - Per che ora sarai qua? –
- L’arrivo è previsto per mezzogiorno. – lo informò Ryan.
- Perfetto, ti verrò a prendere all’aeroporto. –
- Grazie Kisshu. Ora scusami, devo salutarti, ci vediamo fra due giorni. –
- Va bene. –
- Ciao Kisshu. – lo congedò l’americano, ma, prima di chiudere la telefonata, aggiunse: - E tieni gli occhi aperti. –
Dopodiché buttò giù senza troppe cerimonie.
Kisshu rimase per un istante imbambolato, il telefono ancora in mano, prima di ridestarsi.
Si alzò e tornò silenziosamente in sala; mentre si avvicinava, le risate dei suoi amici giungevano alle sue orecchie, ma non vi badò. La notizia dell’arrivo di Ryan Shirogane lo aveva spiazzato non poco.
Quando riprese posto sul divano, Eva gli domandò: - Chi era al telefono? Tutto bene? –
- Sì, stai tranquilla. Era solo un amico che mi ha comunicato che verrà a trovarmi tra un paio di giorni, voleva sapere se potevo ospitarlo. – svicolò Kisshu.
Con la coda dell’occhio, notò che anche Soledad, dalla sua postazione sulla poltrona, lo osservava con un’espressione indecifrabile.
Kisshu cercò poi di riconcentrarsi sul film, ma non ci riuscì; le immagini scorrevano davanti ai suoi occhi e le risate degli amici non erano altro che un flebile sottofondo a tutti i suoi pensieri.
 
 
La sera seguente, dopo cena, l’alieno era intento a rimirare la sua immagine riflessa nello specchio del bagno. Un Kisshu fasciato in un elegante completo nero, i capelli verdi e scarmigliati che gli sfioravano morbidamente le spalle larghe gli rivolse un sorrisetto sghembo.
Quella sera avevano in programma una festa piuttosto elegante organizzata a casa di amici di Carlos, alla quale erano stati invitati a seguito di una partita a calcio al mare alla quale i due ragazzi avevano partecipato. Naturalmente, erano state invitate anche le ragazze.
Un colpo di clacson raggiunse le orecchie di Kisshu, segno che Soledad si trovava sotto casa sua. Con un’ultima occhiata di sbieco allo specchio, l’alieno si affrettò ad uscire dall’appartamento e infilarsi nell’ascensore.
Percorse poi rapidamente il vialetto di casa, avvicinandosi alla macchina scura nella quale il gruppo al completo lo attendeva.
- Ciao a tutti! – salutò Kisshu prendendo posto dietro al sedile del passeggero, assieme a Eva e Carlos. Soledad alzò il volume dell’autoradio, diede gas e partì sgommando sulla ghiaia del vialetto, in direzione della festa.
Dopo alcuni minuti di viaggio, una bella villa sulla spiaggia si parò innanzi agli occhi dei cinque.
- Cavolo, si trattano bene i tuoi amici! – esclamò meravigliata Mercedes rivolgendosi al fratello.
- Solo il meglio sorellina, te lo dico sempre! – scherzò lui.
Soledad parcheggiò e il gruppo scese dall’auto. Carlos, come Kisshu, era vestito in  maniera impeccabile, ed Eva e Mercedes sfoggiavano due splendidi vestiti da sera. Soledad, al contrario delle altre due, indossava un completo gessato formato da camicia, giacca e pantalone che le conferiva una perfetta aria da donna in carriera.
Tra le chiacchiere il gruppetto arrivò davanti al cancello della villa, e fu invitato ad entrare dal padrone di casa. All’interno, tutti i tavoli e ti tappeti erano stati addossati alle pareti, in modo da simulare una pista da ballo; un dj suonava alla console, situata in un angolo, e la musica rimbalzava contro le pareti di stucco veneziano. Ai lati della pista da ballo sorgevano due banconi carichi di alcolici di qualsiasi tipo e un buffet dall’aspetto delizioso.
Subito i cinque cominciarono a muoversi fra la calca, andando a salutare conoscenti e amici più o meno stretti, e Kisshu dovette subire il consueto giro di presentazioni. Dopo che Mercedes lo ebbe  fatto conoscere all’ennesimo gruppo di ragazze, Kisshu riuscì ad ottenere di trascinarli tutti al banco degli alcolici per assicurarsi un bicchiere di vino.
I cinque si servirono da bere e cominciarono a chiacchierare animatamente; ad un certo punto, però, Kisshu notò l’espressione di Soledad cambiare in maniera repentina: da rilassata qual era divenne improvvisamente stupita e, un secondo dopo, gelida. Seguendo lo sguardo dell’amica, Kisshu intercettò un ragazzo ad alcuni metri da loro, intento a parlare con degli amici. Era alto e aveva due magnetici occhi azzurri, sui quali ricadevano disordinati ciuffi di capelli scuri; la camicia lasciata volutamente sbottonata lasciava intravedere una leggera abbronzatura dorata.
Lo sconosciuto si voltò nella loro direzione e subito Soledad si affrettò a distogliere lo sguardo, ma ormai era tardi; il ragazzo stava già salutando gli amici e dirigendosi verso di loro.
Le sfiorò la spalla e lei si voltò, occhi negli occhi.
- Soledad. – la salutò lui.
- Delgado. –
- Non pensavo di trovarti qui! – esclamò il ragazzo, mentre Soledad appoggiava con nonchalance la schiena al tavolo.
- Nemmeno io! Che cosa ci fai qui? Non eri partito? –
Delgado si scostò un ciuffo di capelli dagli occhi.
- Sì, ma sono tornato per concedermi alcuni giorni di vacanza. –
Questo scambio di battute non era sfuggito a Kisshu, così come l’espressione atterrita di Soledad. Quando i due si furono allontanati un poco per continuare a parlare, Kisshu colse l’occasione per cercare di saperne di più.
- Ma chi è quel tizio? – domandò l’alieno a Eva, che, come lui, non si era lasciata sfuggire la scena.
La biondina lanciò un’occhiata alla coppia, dopodiché si voltò nuovamente verso il suo ragazzo.
- E’ una situazione complicata da spiegare. – premise lei, - Lui è Delgado, un ragazzo con cui Soledad ha avuto una storia di quattro anni. –
Kisshu sgranò gli occhi, tornando a fissare i due.
- Stavano insieme? – chiese.
- Non precisamente. – puntualizzò Eva – In effetti la loro era una relazione basata sul sesso. Il problema è sorto quando Soledad si è innamorata di lui. La situazione aveva cominciato ad essere ingestibile, poi lui è partito sei mesi fa per lavoro, ma, teoricamente, non sarebbe dovuto rientrare fino a gennaio. – spiegò brevemente.
Kisshu non rispose immediatamente. L’idea che qualcuno fosse riuscito a scalfire il cuore di pietra e l’apparenza glaciale di Soledad al punto da farla innamorare sembrava assurda.
- E lei è ancora innamorata di lui? – mormorò l’alieno.
Eva fece spallucce.
- Non lo so; sai com’è fatta Soledad, lei non ne parla mai. –
Il discorso fu interrotto da Carlos, sopraggiunto fra i due con al collo una collana di fiori che aveva trovato chissà dove, che prese a spingerli verso la pista da ballo, in mezzo alla quale Mercedes si stava già scatenando.
I quattro ballarono e risero fino allo sfinimento, accettando bevute che venivano gentilmente offerte loro da amici di Carlos, per poi riprendere a ballare ancora sulle note ritmate delle canzoni del momento. Dopo un’ora e mezza buona di divertimento, però, Kisshu dichiarò di avere troppo caldo in mezzo a tutta quella confusione, decidendo così di uscire.
- Ci vediamo dopo! – promise Eva prima di dargli un rapido bacio a fior di labbra e riprendere a chiacchierare con delle amiche.
Kisshu si fece largo tra la folla e uscì dalla porta sul retro, che dava direttamente sulla spiaggia. Era una bellissima notte di luna piena, e il suo pallore si rifletteva placidamente sull’acqua scura. L’alieno prese a camminare verso ovest, seguendo la linea del bagnasciuga, la musica che si allontanava progressivamente. Dopo un po’, però, qualcosa attirò la sua attenzione: una figura rannicchiata in riva al mare.
Kisshu si avvicinò circospetto, e un singhiozzo ruppe il silenzio. La figura si passò stancamente una mano fra i capelli corti, e all’alieno fu chiaro chi aveva di fronte.
- Soledad! – esclamò preoccupato.
La ragazza si voltò e alla luce della luna Kisshu riuscì a scorgere le lacrime che le rigavano il volto.
Subito le fu vicino e si inginocchiò sulla sabbia di fianco a lei, che cercava inutilmente di nascondere il viso fra le mani. Kisshu gliele afferrò dolcemente e la costrinse ad abbassarle, in modo che potesse guardarlo negli occhi.
- Soledad, che cosa è successo? – domandò con una nota d’ansia nella voce.
- Nulla, tranquillo. – rispose lei facendo un segno di diniego con il capo.
- Stai piangendo, non mi sembra che non sia accaduto nulla! – insisté l’alieno.
Soledad incrociò le braccia al petto, stringendosi di più nella giacca.
- Ti ha fatto qualcosa? – riprese Kisshu, che si stava velocemente adirando, - Quel Delgado o come si chiama, ti ha fatto qualcosa? –
Soledad incatenò Kisshu con i suoi occhi verdi, e lui si stupì nel vedere il suo sguardo lucido e offuscato dalle lacrime, ma fermo.
- No Kisshu, lui non mi ha fatto niente. È colpa mia. –
- Soledad, mi vuoi dire che cosa sta succedendo?! – fece Kisshu afferrandola per le spalle.
Inaspettatamente, Soledad da quella posizione appoggiò la testa al petto di Kisshu, aggrappandosi alla sua camicia, e riprese a singhiozzare sommessamente.
Kisshu, del tutto impreparato, non poté far altro se non abbracciarla e accarezzarle i capelli corvini, in attesa che si calmasse.
Quando i singhiozzi si furono placati, Soledad si sollevò e tornò a guardare l’alieno negli occhi.
- Scusa. – mormorò solamente.
- Non preoccuparti. – la tranquillizzò Kisshu asciugandole una lacrima superstite dallo zigomo.
- Sono una stupida. – decretò lei abbassando lo sguardo.
Kisshu la strinse nuovamente a sé. – Perché non mi racconti che cosa è successo? –
- Non so da dove cominciare. – rispose lei evasiva.
- Che ne dici di partire dall’inizio? –
Kisshu percepì il sorriso di Soledad comparire sulle sue labbra.
- Va bene. – acconsentì lei sciogliendo l’abbraccio e guardando il suo interlocutore negli occhi dorati.
- Per fartela breve, io e Delgado ci siamo frequentati per quattro anni. Il problema è che non si trattava di una relazione normale, ma di una storia basata solo ed esclusivamente sul sesso. Dopo la prima volta che capitò, decidemmo di vederci solo per quel motivo, senza mettere in gioco sentimenti o quant’altro. La cosa funzionò per i primi due anni: io non ero legata a lui da nessun vincolo, non gli dovevo nulla, e per Delgado era lo stesso. Le difficoltà sorsero quando io mi accorsi di provare qualcosa per lui che andava ben oltre l’attrazione fisica; mi accorsi che, se non lo vedevo per giorni, mi mancava, che la sua voce riusciva a rassicurarmi quando ero arrabbiata o spaventata. Che stavo meglio fra le sue braccia che fra quelle di un altro. L’ho capito quando, baciando altri ragazzi, non riuscivo a provare nulla, quando mi chiamava alle tre del mattino e io non esitavo a correre da lui. In poche parole mi ero innamorata, e la cosa mi terrorizzava. –
Soledad prese un attimo di respiro, dopodiché riprese il suo racconto.
- Nulla andava più secondo i piani. Non avevo mai preso in considerazione l’idea che potesse esserci un coinvolgimento emotivo da parte mia. Pensavo di riuscire a gestire la situazione nel migliore dei modi, e invece mi sono ritrovata ad essere innamorata di lui. Subito cercai di nascondere la cosa a lui e, soprattutto, a me stessa; continuammo a vederci normalmente, fingendo che nulla fosse cambiato. Sopportai il fatto di essere usata, cosa che, fino a quel momento, avevo cercato e accettato, ma ora non riuscivo più a tollerare. E pensavo: sì, mi abituerò. Non mi ci abituai mai.
Col tempo, però, avevo notato che anche da parte sua le cose sembravano cambiate: era molto più dolce, mi abbracciava, e, quando finivamo di far quello che dovevamo fare, rimaneva sdraiato accanto a me al posto di alzarsi, rivestirsi e uscire sul terrazzo a fumare una sigaretta. Era molto più attaccato a me, ma non volli farmi illusioni. Un giorno, però, Delgado mi confessò di essersi innamorato di me. –
- E allora era fatta! – esclamò Kisshu senza riuscire a trattenersi, - Insomma, tu innamorata, lui pure; era perfetto! –
- No che non lo era, Kisshu! – lo rimbeccò Soledad – Una storia nata per basarsi sul sesso non è destinata a diventare null’altro. O continua nello stesso modo in cui è iniziata, o finisce. Per noi è finita. Stavamo rischiando troppo a livello sentimentale, troppe carte in tavola; troppo rischio di ferirsi. Lui, poche settimane dopo, scoprì di dover lasciare il paese per lavoro. Ci vedemmo un’ultima volta, primi di dirci addio. Pensavo di non doverlo rivedere fino all’anno prossimo, mi ero già messa l’anima in pace, eppure è tornato. È tornato, e io mi sono accorta dell’errore madornale che ho fatto ad impelagarmi in una situazione simile. –
Soledad concluse il suo discorso e prese ad osservare il mare. – Ho sbagliato tutto Kisshu. – aggiunse poi dopo alcuni secondi di silenzio, - Non avrei mai dovuto innamorarmi di lui. –
- Soledad, non puoi decidere di chi innamorarti. – cominciò Kisshu con cautela, - In una situazione del genere c’erano buone possibilità che potesse accadere! Provare dei sentimenti è una cosa del tutto umana e non puoi colpevolizzarti per averlo amato. L’unica cosa che ancora non riesco a capire è perché non vi siate messi insieme una volta scoperto di essere entrambi innamorati l’uno dell’altra. –
- Kisshu, - cominciò Soledad stancamente, con il tono di chi spiega ad un bambino un concetto elementare, - Non potevamo stare insieme normalmente. C’erano cose che non potevo sacrificare. –
- Tipo? –
- Tipo la libertà. – rispose lei laconica. – Non avrei sopportato l’idea di limitare la mia vita, di stare dietro ad un’altra persona. Ho dei problemi a convivere con me stessa, figurati con un fidanzato! –
- Ma cosa stai dicendo?! – si fece sentire l’alieno, - Sei impazzita? –
- No, purtroppo no. È che io non sono brava con i sentimenti, lo avrai notato. Provo sempre le emozioni sbagliate. –
- Un’emozione non è mai sbagliata. –
- Questo, Kisshu, lo dici tu. Ma ti assicuro che amare una persona senza poterselo permettere è la cosa peggiore che ci sia al mondo. –
Kisshu le afferrò il volto con le dita, obbligandola a guardarlo negli occhi. – Parli come se ti stessi svalutando, come se tu non fossi degna di amare nessuno. Ti rendi conto delle assurdità che stai dicendo? L’amore non è un errore! L’amore arriva, ti investe, ti trascina dritto dritto dall’altro, e, il più delle volte, ti ritrovi proprio fra le braccia dell’ultima persona che avresti mai immaginato potesse stringerti. –
Kisshu si stava infervorando, ben deciso a far aprire gli occhi a Soledad, - Secondo te io ho programmato di innamorarmi di Zakuro? No! Eppure è successo, e non rimpiango nulla: tornassi indietro, mi innamorerei altre cento volte di lei. Di nuovo. E rifarei tutto quello che ho fatto, tutte le pazzie, le sfuriate, qualsiasi cosa. Perché quando vieni toccato dall’amore, l’unica cosa che puoi fare è vivere! Ti devi buttare, senza stare ad analizzare quello che sta succedendo, senza cercare di capire se stai sbagliando o meno. L’amore non è buttarsi via per fare spazio ad un’altra persona, quello lo fanno solo gli idioti: l’amore è condividere qualcosa con l’amata, è regalarle un pezzo di te, ogni giorno, e assorbire qualcosa di lei. È avere così tanta voglia di vederla da attraversare tutta la città a piedi solo per scorgere il suo sorriso dalla finestra, è desiderare il meglio per lei, sempre e comunque. L’amore non esclude la propria libertà personale, non è una prigione. L’amore ti libera. L’amore ti salva. –
Soledad non riuscì a ribattere subito, continuando a fissare il suo interlocutore negli occhi. Kisshu, nel mentre, aveva preso a respirare più velocemente, come dopo una lunga corsa. Infine, suo malgrado, Soledad sorrise del suo classico sorriso amaro.
- La differenza tra me e te è che tu hai capito tutto dall’amore. Tu non hai paura di buttarti, di vivere delle emozioni. Io sì. Io ho paura di rimanerne imprigionata, di perdere me stessa nell’animo dell’altra persona e di non riuscire più a ritrovarmi. E lui la pensava come me: ne abbiamo parlato e abbiamo deciso che, data la situazione, era meglio non vederci più. Rischiavamo troppo. Lui ha anche pianto quando abbiamo preso questa decisione. – confessò Soledad.
- Sole, tu ti sei fatta del male da sola, - riprese Kisshu, ora più calmo, massaggiandosi gli occhi, - Hai sopportato una situazione che aveva preso una piega diversa da come avevi immaginato, hai provato a soffocare i tuoi sentimenti; i sentimenti, però, non sopiscono. I sentimenti ad un certo punto schizzano fuori, più forti di prima. Ti rendi conto che tu e Delgado vi amavate, ma avete rinunciato a stare insieme per paura di sacrificare la vostra libertà? –
- Me ne rendo conto Kisshu, - mormorò Soledad, lo sguardo nuovamente fisso sulle lievi increspature del mare, - Ma non mi sentivo all’altezza. Ognuno di noi accetta l’amore che pensa di meritare. –
Kisshu si alzò di scatto, attirando l’attenzione dell’amica.
- Va’ da lui. – decretò. Poi, in risposta allo sguardo confuso di Soledad, aggiunse: - Va’ da lui e digli che sei ancora innamorata. È tornato, no? Ora potete stare insieme. –
- Kisshu, - sbuffò Soledad alzandosi a sua volta – E’ tornato solo per alcuni giorni, per meno di una settimana! Lui lavora in Germania, come devo dirtelo? Il suo posto è là, e il mio tempo è finito! Quel che è stato è stato, ora non serve riaprire porte che sono destinate a rimanere chiuse. –
L’alieno fece ricadere le braccia lungo i fianchi, sconfitto dalla testardaggine di Soledad. Perché in cuor suo dovette ammettere che il discorso di Soledad, per quanto rigido e dominato dalla paura di perdere una libertà a lei troppo cara, aveva una sua logica. La loro storia era finita, e ormai non c’era più molto da fare.
- Mi dispiace. – mormorò solamente Kisshu, prima di prendere Soledad per un braccio e trarla delicatamente a lui; la ragazza si lasciò abbracciare nuovamente, ricambiando la stretta. Quando i due sciolsero l’abbraccio, lei lo inchiodò con i suoi occhi verdi.
- Così si chiamava Zakuro? – domandò.
- Eh? – fece Kisshu colto di sorpresa.
- La ragazza di cui eri innamorato, si chiamava Zakuro? L’hai nominata prima mentre mi facevi quel discorso sull’amore. – spiegò Soledad con un sorrisetto.
Kisshu fece rapidamente mente locale, capendo cosa stava cercando di dirgli Soledad; ripensandoci, effettivamente prima di allora non aveva mai fatto il nome di Zakuro parlando con la ragazza.
- Già, si chiamava Zakuro. – confermò Kisshu – E so che non amerò nessun’altra come ho amato lei. –
Per un tempo indefinito i due rimasero lì in piedi sulla riva, fianco a fianco, lo sguardo fisso sulla linea apparentemente inesistente dell’orizzonte.
Fu Kisshu a rompere il silenzio.
- Che ne dici di tornare alla festa? Gli altri si staranno preoccupando. –
- Hai ragione. – acconsentì Soledad, afferrando poi la mano tesa dell’amico e incamminandosi con lui sul bagnasciuga.
- Kisshu, devo chiederti una cosa però. –
- Che cosa my dear?
- Di non far parola con nessuno di quello che è successo qua –
Kisshu sollevò un sopracciglio con aria sardonica.
- Ti vergogni forse delle tue lacrime, Miss Cuore di Ghiaccio? – la prese in giro.
- Esattamente! – confermò lei sorridendo.
Kisshu scoppiò a ridere di una risata cristallina, subito seguito da Soledad. I due continuarono a ridacchiare per tutto il tragitto, lasciandosi dietro solamente una scia di impronte sulla sabbia.

 
 
 
Angolo Autrice:
Ciao a tutti! Questa volta ho aggiornato più in fretta; posso pubblicare e rispondere alle recensioni solo ora perché ho avuto dei problemi con la linea di internet.
Allora, che ne pensate del capitolo? Questa volta, tramite Soledad e Kisshu, ho voluto mettere in risalto i due aspetti più diffusi dell’amore: quello che gioca in difesa, procedendo con i piedi di piombo, e quello che si lancia a capofitto, rischiando di farsi del male ma con l’intenzione di giocarsi il tutto per tutto.
Fatemi sapere cosa ne pensate, se siete d’accordo o no e con chi dei personaggi! Non c’è un modo di pensare giusto o sbagliato; io personalmente mi avvicino molto di più a Soledad.
Grazie a tutti, un abbraccio forte!
Salice_

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** L'arrivo di Shirogane. ***



L'arrivo di Shirogane.



Il mattino successivo, Kisshu si trovava nel grande aeroporto della città, in attesa di Ryan Shirogane.
L’alieno si stropicciò stancamente le palpebre con la mano, sbuffando; dopodiché tornò a fissare il grande orologio appeso alla parete. Segnava mezzogiorno e dieci, e, secondo il tabellone, l’aereo dell’americano era già atterrato, ma di lui nessuna traccia.
Kisshu appoggiò la schiena al muro, aguzzando la vista per scorgere la chioma bionda di Ryan in mezzo alla folla.
Finalmente potrò avere delle spiegazioni.
Dovettero trascorrere ancora alcuni minuti prima che l’alieno, ormai impaziente, riuscisse a scorgere la figura dello scienziato americano che si faceva largo tra la folla di persone intente a recuperare i propri bagagli.
Ryan Shirogane individuò Kisshu e, con un cenno del capo, si diresse verso di lui trascinando la propria valigia; nei cinque anni che erano trascorsi era cresciuto, aveva il volto più adulto, segnato da una nuova maturità e da qualcosa che a Kisshu parve stanchezza. I capelli, biondissimi come sempre, gli ricadevano ribelli sugli occhi color ghiaccio e il fisico asciutto del bell’americano era messo in risalto dalla camicia bianca che indossava.
Il biondo raggiunse Kisshu, accennando un sorriso prima di tendergli la mano.
- Ciao Kisshu. –
- Ryan. – rispose lui al saluto stringendo la mano dell’americano.
Subito Kisshu gli chiese come fosse andato il volo, in modo da spezzare quel momento di imbarazzante silenzio che aveva seguito il loro saluto; nonostante il tempo trascorso a fianco del Mew team e degli iniziatori del progetto, non era mai riuscito a stringere un legame solido con Ryan.
- Il volo è andato bene, nonostante sia stato parecchio lungo. – spiegò Ryan mentre i due cominciarono ad incamminarsi verso l’uscita dell’aeroporto; Kisshu, però, afferrò l’americano per un braccio e lo condusse rapidamente in un piccolo spazio fra il muro e i distributori automatici di bevande.
- Così faremo molto prima. – rispose allo sguardo interrogativo di Ryan, prima di trasportare entrambi direttamente nel salotto dell’appartamento di Kisshu.
Una volta ricomparsi, Ryan si passò una mano sugli occhi, prima di mormorare: - Dimenticavo quanto potessero essere fastidiosi i vostri metodi di teletrasporto alieni; comodi, senza dubbio, ma fastidiosi. –
- Avevi per caso voglia di percorrere tutta la città a piedi? – lo canzonò l’alieno.
- No, avrei semplicemente chiamato un taxi. –
- Ah scusa, dimenticavo che tu sei solito non badare a spese quando si tratta di spostamenti. – scherzò Kisshu prima di afferrare il bagaglio di Ryan e andare a sistemarlo nella camera degli ospiti. L’americano lo seguì lungo il corridoio.
- Le vecchie abitudini sono dure a morire, vero Ikisatashi? – buttò lì Ryan, ripensando a tutte le discussioni che scoppiavano quotidianamente al Caffè fra lui e Kisshu.
- Assolutamente! – confermò Kisshu, - Allora, questa è la tua camera; non è grandissima, ma è tutto quello che mi sono potuto permettere. –
- Andrà benissimo. –
I due tornarono in sala e Kisshu si gettò sgraziatamente sul divano, allungando le gambe sul bracciolo.
- Allora Biondo? Ti ascolto. –
Ryan, che era rimasto in piedi al centro della sala, incrociò le braccia al petto sbuffando.
- Kisshu, capisco che per te possa essere difficile resistere alla curiosità di saperne di più, ma non pensi che potremmo parlarne davanti ad un pranzo? –
L’alieno si alzò di malavoglia dal divano, dirigendosi in cucina.
- La casa offre solo dei semplicissimi spaghetti al sugo, che spero possano soddisfare il tuo palato fino. – ironizzò Kisshu controllando nel mobiletto sopra al piano cottura.
Ryan non rispose alla provocazione, portandosi alle spalle dell’alieno che aveva già riempito una pentola d’acqua.
- Hai anche imparato a cucinare? – domandò con finta sorpresa.
- Era necessario per non morire di fame. –
- E dovrei mangiare quello che prepari tu senza nemmeno preoccuparmi un minimo? –
Kisshu gli scoccò un’occhiata truce.
- Ascolta Biondo, nel caso te lo sia dimenticato sei a casa mia e ti sto preparando il pranzo, quindi non ribattere. Anzi, intanto apparecchia. – E, dopo aver controllato i fornelli, si voltò e aggiunse: - Ah, usa i piatti di carta! Almeno dopo buttiamo via tutto et voilà! –
- Stai scherzando? – domandò Ryan alzando un sopracciglio.
- No che non scherzo! Io odio lavare i piatti. –
Al che Ryan, con tanto di occhi al cielo, si vide costretto ad afferrare dal bancone la pila di piatti usa e getta.
 
 
 
Dopo aver finalmente mangiato qualcosa, e dopo le varie critiche di Ryan all’alieno sul fatto che la pasta fosse eccessivamente salata, Kisshu si rilassò contro lo schienale della sedia prima di rivolgersi nuovamente al suo interlocutore, con un atteggiamento finalmente serio.
- Allora Ryan, che sta succedendo a Tokyo? Quando sono cominciati gli attacchi? –
Un’ombra passò sul bel volto dell’americano, che corrugò la fronte ed incrociò le braccia al petto  prima di cominciare a raccontare.
- Il primo attacco è avvenuto circa tre mesi fa, nella periferia di Tokyo; in seguito ce ne sono stati altri, ma, fortunatamente, sono passati tutti inosservati come per miracolo. Quello che hai visto al telegiornale era stato impossibile da nascondere, in quanto il Chimero era comparso proprio nel centro della città. Naturalmente, noi eravamo preparati in anticipo: le ragazze avevano contattato me e Kyle un mese prima, informandoci del fatto che le erano ricomparsi i simboli da Mew Mew. Io ero impossibilitato a recarmi sul posto a causa di alcuni affari importanti che sto gestendo a New York e dovendo star dietro alla clinica che ho aperto pochi anni fa, ma Kyle è riuscito immediatamente a liberarsi e a fare ritorno a Tokyo, incontrandosi con le Mew Mew. Alla luce dell’ultimo attentato, però, mi sono visto costretto a rientrare a mia volta, in modo da poter gestire la situazione direttamente sul posto. –
- E non si sa che ci sia dietro a questi attacchi? – domandò Kisshu.
- No, - replicò a malincuore Ryan, - Purtroppo non ci sono indizi che possano farci capire chi sia il nuovo nemico. Finora possiamo solamente avanzare ipotesi, e la più accreditata è quella che qualche sostenitore di Cordelia sia giunto sulla Terra per vendicare la sua sovrana. –
Kisshu rifletté un po’ su quell’affermazione, prima di ribattere: - Mi pare strano sinceramente: Cordelia, in fin dei conti, era una tiranna e la maggior parte della popolazione di Edren stava dalla sua parte solo per paura delle conseguenze che avrebbe avuto combatterla. Non aveva accaniti sostenitori. E comunque se così fosse, perché attaccare a cinque anni di distanza? –
- Non lo so Kisshu, ma per ora questa è l’unica cosa plausibile. Siamo anche riusciti a metterci in contatto con Pie e Taruto, sperando che possano dirci qualcosa di più. –
- Buona idea! Pie e Taruto sapranno sicuramente se qualcosa si sta muovendo su Edren. – esclamò Kisshu sbattendo il palmo della mano sul tavolo.
- Lo spero vivamente. Per ora stiamo brancolando nel buio. – rispose Ryan tetro.
Un attimo di silenzio precedette le parole di Kisshu.
- E le ragazze? Come stanno? –
Ryan puntò i suoi occhi azzurri in quelli dorati dell’alieno; nonostante tutto, pensò, si era affezionato anche a loro.
- Diciamo che hanno accettato la prospettiva di ritornare a combattere, chi con più entusiasmo di altre in effetti. Purin non vedeva l’ora di tornare nelle vesti di Mew Mew, mentre Minto è stata quella più difficile da convincere. Alla fine si è detta che lo avrebbe fatto per… per una buona causa. – Ryan censurò rapidamente il nome di Zakuro; quello era un argomento che avrebbe affrontato più avanti.
L’alieno annuì, senza mostrare di essersi accorto di nulla.
- Ma perdonami, le ragazze ora sono in quattro; non c’è stato bisogno di cercare una quinta Mew Mew? –
Il biondo si irrigidì impercettibilmente.
- Non avremmo avuto né il tempo né i mezzi per selezionare e creare una nuova Mew Mew; in più ci sarebbe voluto troppo per istruirla e metterla al corrente della situazione, per non parlare del cercare il DNA di un nuovo animale codice rosso da immettere nel codice genetico di un’altra ragazza. Loro quattro sono affiatate, riusciranno a cavarsela. – Ancora una volta, Ryan si ritrovò a dover mettere a tacere i propri pensieri: in aggiunta, c’era anche il fatto che non riusciva nemmeno ad immaginare di poter sostituire Zakuro con un’altra combattente.
- Ho faticato a riconoscerle quando le ho viste in televisione. – continuò Kisshu con un sorrisetto, - Se non le avessi viste trasformarsi così tante volte sotto i miei occhi, non avrei mai detto che erano le stesse ragazze che combattevano cinque anni fa. –
Anche Ryan sorrise: - Sono cambiate; sono cresciute. –
La conversazione fra i due venne interrotta dal cellulare di Kisshu, che prese a squillare; mentre l’alieno rispondeva, Ryan si lasciò sfuggire un sorrisetto al pensiero che quel temibile guerriero, spietato contro i terrestri, si fosse adeguato perfettamente alle abitudini degli umani.
- Pronto? –
- Hey Kisshu! – la voce di Eva invase le orecchie dell’alieno.
- Ciao dolcezza! Come stai? –
- Tutto a posto grazie! Ascolta, ho sentito gli altri, pensavamo di vederci tra un’oretta in quel nuovo bar che hanno aperto sulla spiaggia, che ne dici? –
- Dico che è un’ottima idea! –
- Il tuo amico è arrivato? – domandò poi Eva.
- Sì, è qua a casa con me; vi raggiungiamo là. – decretò Kisshu.
Dopodiché salutò Eva e chiuse la telefonata.
- Era la mia ragazza. – fece Kisshu in risposta allo sguardo interrogativo di Ryan.
- La tua ragazza? – ripeté scettico.
- Sì, la mia ragazza; questa volta sono praticamente sicuro che si tratti di Zakuro. –
Ryan non parlò subito; per alcuni secondi, fu intento a decifrare lo sguardo dell’alieno dai capelli verdi, uno sguardo che celava malamente un fondo di speranza inestinta che gli faceva ardere gli occhi.
- Che cosa te lo fa pensare? – domandò il biondo.
Kisshu sospirò. – Quello che provo quando sto con lei. È come se mi sentissi esattamente nel posto in cui dovrei stare, ed è questo che mi fa pensare che si tratti di quella giusta. –
- Ma ha qualcosa di Zakuro? – insisté Ryan, ignorando la stretta allo stomaco.
- No, è tutto il contrario, ed è un’altra cosa che mi ha portato a pensare che si tratti di lei; immagino che Cordelia abbia voluto rendere tutto molto più complicato trasformando Zakuro in una ragazza dal carattere totalmente diverso. –
Ryan annuì, pensando che la teoria di Kisshu fosse decisamente fattibile.
O forse lo sperava.
 
 
 
 
Un’ora più tardi, Ryan si trovò a camminare al fianco di Kisshu per le affollate vie di Ibiza; l’alieno lo stava guidando rapidamente al luogo d’incontro con la sua ragazza e i suoi nuovi amici.
- Certo che hai scelto proprio un luogo a caso per svolgere le tue ricerche, eh? – fece il biondo ammiccando in direzione di alcune ragazze in costume e pantaloncini che camminavano ancheggiando di fronte a loro.
Kisshu sorrise. – La verità è che avevo già perlustrato tutte le zone principali della spagna peninsulare e questa mancava all’appello; e poi le fonti di divertimento sono varie, su quello non c’è che dire. –
Ryan infilò le mani nelle tasche dei jeans chiari, lanciando un’occhiata di sfuggita a Kisshu; dovette ammettere che, nonostante il suo intervento per rendere le orecchie dell’alieno molto più umane e il vestiario tipicamente terrestre che aveva adottato, attirava parecchio l’attenzione su di sé. La carnagione era chiarissima nonostante la stagione, i capelli verdi lasciati liberi di accarezzargli le spalle larghe e gli occhi dal taglio allungato e particolare gli concedevano un’aria affascinante, contornata da un’aura di mistero.
Kisshu era cambiato parecchio in quegli anni, e Ryan avrebbe fatto quasi fatica a riconoscerlo se non fosse stato per il fatto che si trattava dell’alieno che, più e più volte, avevano cercato di stroncare durante le battaglie; l’alieno che si era innamorato di Zakuro, andando contro la sua gente e il suo sovrano pur di salvarla; l’alieno che, per ben cinque anni, aveva setacciato l’intero pianeta alla ricerca di Zakuro.
- A cosa pensi, Biondo? – gli domandò Kisshu con nonchalance, scoccandogli una rapida occhiata.
- A  nulla di importante. – lo liquidò l’americano.
Kisshu sbuffò, cominciando a camminare in direzione di una spiaggia e facendo cenno a Ryan di seguirlo.
- Che cosa hai raccontato ai tuoi amici di me? – chiese Ryan improvvisamente.
Kisshu si voltò. – Niente di compromettente con i tuoi folli esperimenti di genetica, rilassati. Gli ho solamente detto che sei un mio amico, nonché mio ex datore di lavoro al Caffè Mew Mew. –
Ryan si concesse un sorrisetto mesto, mentre Kisshu lo conduceva in un caratteristico bar sulla spiaggia; una volta individuato il tavolo giusto, i due si avvicinarono ai quattro ragazzi che li stavano aspettando.
Ryan rimase alcuni passi indietro, mentre Kisshu salutava tutti e depositava un lieve bacio sulle labbra di una ragazza dai corti capelli biondi.
Così, lei deve essere Eva.
- Ragazzi, vi presento il mio amico! – esordì Kisshu afferrando Ryan per un braccio e costringendolo ad avvicinarsi. – Lui è Ryan, e loro sono Carlos, Eva, Mercedes e Soledad. – continuò l’alieno, indicandoli tutti a turno mentre pronunciava i loro nomi.
Ryan si ritrovò a stringere la mano di un ragazzo dai capelli ricci color del rame e di una ragazza praticamente identica a costui, se non per il fatto che immediatamente si alzò per stampargli due baci sulle guance; ancora spiazzato da tutta quell’espansività, strinse la mano di una bella ragazza dai cortissimi capelli neri e penetranti occhi verdi, che si presentò con una stretta forte e decisa. Infine, si presentò a Eva, che abbassò timidamente gli occhi nocciola quando incontrò i suoi azzurri, arrossendo.
- Bene, presentazioni fatte! – esclamò Kisshu battendo le mani una volta e sedendosi vicino a Eva. Ryan prese posto sulla sedia libera, tra Kisshu e Carlos. Subito Mercedes, di fronte a lui, cominciò a tempestarlo di domande sul suo lavoro, sulle sue origini e quant’altro.
- Mercedes, per favore, evitagli il terzo grado! – la riprese con poca convinzione Kisshu, circondando le spalle di Eva con un braccio e scambiandosi un’occhiata complice con Soledad, di fronte a lui. Mercedes si abbandono contro lo schienale della sedia e incrociò le braccia al petto, fingendosi offesa.
- Perdona mia sorella, non ha idea di come si comportino le persone civili. – fece Carlos scoccando un’occhiata esasperata in direzione di Mercedes, - E’ sempre stata così; d’altro canto, però, dicono che tra i gemelli ce ne sia sempre uno stupido e uno intelligente, e noi ne siamo la conferma! –
Subito Mercedes assestò un pugno non troppo scherzoso alla spalla del fratello, fulminandolo con gli occhi scuri.
Ryan approfittò del piccolo diversivo che si era creato, con i due gemelli che litigavano, Soledad che gli intimava con scarsa convinzione di “non comportarsi da idioti” e le risate sguaiate di Kisshu in sottofondo, per osservare Eva.
La biondina se ne stava placidamente seduta sulla sedia, le mani intrecciate in grembo, e un sorrisetto timido impresso sulle labbra sottili. Ryan dovette ammettere che non le ricordava per nulla Zakuro, con i suoi modi un po’ impacciati e lo sguardo che saettava rapidamente dall’uno all’altro. Immaginò che si dovesse trattare di una ragazza dolcissima, glielo si leggeva nelle iridi nocciola, ma a primo impatto non riuscì a capire che cosa di lei avesse indotto Kisshu a pensare che si trattasse di Zakuro.
Certo, se Kisshu pensa che Cordelia abbia tramutato Zakuro in una persona del tutto diversa dall’originale, allora su di Eva non c’è dubbio.
Mentre il battibecco veniva placato, Eva intercettò l’occhiata di Ryan; sostenne lo sguardo per un attimo, prima di arrossire nuovamente e abbassare leggermente il capo.
- Ora che alcuni di noi hanno finito di comportarsi da bambini di cinque anni, - cominciò Soledad passandosi una mano fra i corti capelli neri e scoccando un’occhiata eloquente alla riccia seduta di fianco a lei, - potremmo iniziare a parlare di cose importanti? –
- Ovvero? – domandarono i quattro in coro.
- Ovvero che cosa fare stasera. –
Carlos sbatté teatralmente la testa sul tavolo. – Soledad, ma è possibile che tu abbia sempre voglia di far qualcosa? –
- E’ estate e siamo in vacanza, non vedo cosa ci sia di strano. – ribatté lei inarcando un sopracciglio.
- Tu sei in vacanza perenne! – esordì Mercedes puntando un indice contro l’amica, - Sei sempre fuori casa, apri i libri un paio di volte per sbaglio e riesci anche a passare gli esami! –
- Il dono dell’intelligenza è un lusso riservato a pochi. – la freddò Soledad.
Kisshu, dal canto suo, stirò le labbra in un ghigno.
- Soledad, ti adoro quando fai così! Per lo meno lei ha voglia di vivere! – scherzò poi rivolto agli amici.
Ryan sospirò impercettibilmente, abbandonandosi contro lo schienale della sedia; nonostante fossero coetanei, non era abituato a parlare di argomenti così spensierati con altri ragazzi. Da sempre la sua vita era stata incentrata sullo studio, le ricerche, il Mew Project e la lotta per la salvezza della Terra.
Notò anche che Eva era l’unica a non prendere parte alla conversazione, e in questo le ricordò un po’ Zakuro; anche lei aveva l’abitudine, o forse la capacità, di isolarsi completamente. L’unica differenza sostanziale era che lei, come Ryan stesso, lo faceva per mancanza di interesse nei confronti di ciò che accadeva frivolmente attorno a sè, mentre Eva, al contrario, sembrava sprovvista di argomenti. Ryan si ritrovò a catalogarla mentalmente come una ragazza piuttosto discreta, che parlava solo se interpellata e che, probabilmente, nutriva del timore ad esprimere la propria opinione in pubblico.
Ryan venne poi riportato bruscamente alla realtà da Mercedes, che, spalleggiata dal fratello, lo trascinò letteralmente in una conversazione su New York, raccontandogli nei dettagli la loro vacanza nella Grande Mela di tre anni prima.
Il biondo rispose educatamente ed accettò di buon grado la conversazione, nonostante odiasse tutte quelle attenzioni. Kisshu dovette notarlo, perché trascinò via Carlos con la scusa di aver visto degli amici e di voler andare a tutti i costi a salutarli assieme a lui; Mercedes, con la mancanza del fratello a darle man forte, sembrò calmarsi un attimo, limitando la sfilza di domande che aveva sulla punta della lingua. Eva invece, notò Ryan, lanciava rapide occhiatine attorno a sé, come se controllasse quanto si fosse allontanato Kisshu; pareva che si sentisse persa senza di lui nei paraggi.
Soledad, invece, giocherellava distrattamente con la cannuccia del suo bicchiere, osservando Ryan di sottecchi; il biondo intercettò l’occhiata della ragazza e le rivolse uno sguardo interrogativo. Le labbra di Soledad si incresparono in un sorriso.
- Scusa se ti ho fissato, ma stavo pensando ad una cosa. – si discolpò lei con leggerezza.
- E a cosa, se posso chiedere? – domandò cautamente Ryan, sorridendo a sua volta.
- Ma nulla, una cosa stupida, - premise lei, prima di spiegare: - Solo che mi ricordi terribilmente qualcuno, ma non so chi. Sono sicura di aver conosciuto un ragazzo che ti assomigliava, non riesco a capire se fisicamente o per alcuni atteggiamenti, ma non riesco ancora a capire chi sia. Ti capita mai? –
Ryan rifletté un attimo prima di rispondere.
- Si, capita anche a me, però di solito mi viene in mente anche la persona alla quale mi riferisco. Magari non subito, ma prima o poi mi viene in mente. –
- Mhh, sarà qualcuno che ho conosciuto qualche anno fa allora… - Continuò lei con espressione pensierosa, passandosi un dito sul labbro inferiore, - Eva, a te non ricorda qualcuno dei nostri vecchi compagni di scuola ad esempio? –
Eva sussultò impercettibilmente a sentirsi tirata in causa, prima di rispondere: - Io sinceramente non lo so, non...non mi viene in mente nessuno! –
Ryan fu costretto a trattenere il sorriso di fronte all’imbarazzo della ragazza, che sembrava non trovarsi a suo agio in presenza di estranei; era come se avesse paura di incrociare gli occhi color del ghiaccio dell’americano, cosa che non aveva ancora deciso se lo stesse irritando o divertendo.
Spero proprio che Kisshu ci abbia visto giusto con lei; se la sua teoria è esatta, cosa molto probabile, allora Eva è una buona candidata. Si ritrovò a pensare Ryan.
Durante il tragitto da casa dell’alieno alla spiaggia, inoltre, Kisshu gli aveva raccontato del metodo utilizzato per selezionare le ragazze, un metodo che Ryan trovò geniale. Se le supposizioni di Kisshu erano giuste, allora lui era seduto proprio di fianco a Zakuro, la feroce Mew Lupo che aveva combattuto con le unghie e con i denti per la salvezza della Terra e per i propri ideali.
E, con una stretta di nostalgia allo stomaco, Ryan si ritrovò a cercare nel nocciola degli occhi di Eva una parvenza di quello zaffiro che tormentava i suoi sogni di quelle notti dominate dai sensi di colpa in cui non riusciva a dormire.

 
 
 
 
 
Angolo Autrice:
Come al solito scusatemi per il ritardo, sono terribile e imperdonabile, lo so.
Allora, passiamo velocemente al capitolo: come avrete capito, si tratta di un capitolo di passaggio in cui non si svolgono avvenimenti particolari, a parte l’arrivo di Ryan. Ho voluto usare quest’occasione per descrivere meglio i personaggi dal punto di vista di Ryan, perfetto per un parere esterno e distaccato. La cosa più importante, è che volevo analizzare meglio Eva utilizzando lo sguardo indagatore di Ryan, cambiando il punto di vista.
In questo capitolo abbiamo visto brevemente anche che cosa sta accadendo a Tokyo e quelle che per ora sono le supposizioni dei due scienziati sui nuovi attacchi.
Che cosa ve ne pare della storia fino a questo punto? Il capitolo vi è piaciuto? Personalmente, penso che questo capitolo fosse basilare per il resto della storia.
Grazie a tutti, al prossimo capitolo!
Salice_

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Il congedo di Soledad. ***


Il congedo di Soledad.







Ryan Shirogane socchiuse gli occhi azzurri, un braccio dietro alla testa, godendosi i raggi del sole sulla pelle bronzea; si trovava in spiaggia assieme a Kisshu e i suoi amici, che avevano deciso di passare la giornata al mare.
Ryan si tirò su a sedere dal lettino sul quale era sdraiato, guardandosi intorno. Carlos giocava a carte con la sorella sotto all’ombrellone, mentre Soledad sfogliava distrattamente una rivista sul lettino di fianco. Poco distanti da loro, Kisshu ed Eva passeggiavano sul bagnasciuga tenendosi per mano. Quando i due si avvicinarono alla loro postazione, Ryan si soffermò sul fisico asciutto dell’alieno: a causa della luce del sole, diversi segni bianchi rilucevano sulla sua pelle lattea. Lo scienziato non aveva mai visto Kisshu in costume, e per questo motivo rimase colpito nel notare tutte la varie cicatrici che attraversavano il suo corpo, impronte indelebili delle innumerevoli battaglie che aveva combattuto. La prima cicatrice che saltava all’occhio era quella che Kisshu esibiva sul torace, e che Ryan sapeva essere stata causata dalla spada di Deep Blue durante lo scontro finale, quello in cui l’alieno dai capelli verdi aveva perso la vita.
Ryan avvertì un movimento alla sua destra e, voltando impercettibilmente il capo, notò Soledad che prendeva posto di fianco a lui sul lettino. L’americano la lasciò fare, osservando la sua figura snella fasciata in un bikini rosso fuoco.
La ragazza gli scoccò un’occhiata indagatrice, prima di domandare: - Allora, che cosa ne pensi? –
- Riguardo a cosa, scusami? – fece Ryan aggrottando le sopracciglia bionde.
Soledad sbuffò sommessamente e indicò con un cenno del capo Kisshu ed  Eva.
- Cosa ne pensi di loro due? Io conosco Eva, e tu conosci Kisshu… Come li vedi assieme? –
Ryan seguì con gli occhi azzurri la traiettoria dello sguardo di Soledad; sebbene in un primo momento avesse quasi ceduto alla tentazione di ignorare la domanda, una frazione di secondo dopo decise di rispondere sinceramente. Chissà che Soledad non potesse aiutarlo a scoprire qualcosa in più sul conto di Eva.
- Kisshu è una persona molto impulsiva, quasi mai razionale e, molto spesso, avventata; uno di quei ragazzi che si lasciano dominare dai sensi, vivendo ogni emozione al 200%. È testardo, collerico e possessivo. –
- Una bella lista di pregi. – osservò ironicamente Soledad.
Ryan sorrise mestamente.
- Be’, non è tutto sul conto di Kisshu. Nonostante l’immagine di sé che dà, è una persona che sarebbe disposta a sacrificare qualsiasi cosa, perfino se stesso, per la ragazza del quale è innamorato. Se si mette una cosa in testa è praticamente impossibile farlo desistere dal proprio obiettivo, e questo vale anche in ambito sentimentale; è disposto a fare qualunque tentativo pur di convincere la sua amata di quello che prova. –
Soledad annuì sovrappensiero, e Ryan si ritrovò a doverle porre una nuova domanda.
- Tu invece che mi dici di Eva? –
- Eva è una ragazza molto dolce e timida, come avrai sicuramente notato subito, - iniziò la mora, - ed è anche una persona molto, come dire? Dipendente. Nel senso che sembra avere proprio il bisogno di avere un uomo a fianco, pur di sentirsi completa. Lo stare con una persona le dà una sensazione di sicurezza e stabilità che la rassicura; è quasi come se sentisse di non riuscire a bastarsi da sola. Nonostante questa sua fragilità, è una persona molto intelligente, un’ottima confidente e una buona amica. –
- E lei è sempre stata così, anche nelle sue storie passate? – indagò l’americano.
Soledad si strinse nelle spalle, passandosi poi una mano fra i corti capelli neri.
- Sinceramente non ha mai avuto storie di importanza rilevante; quella con Kisshu è la prima vera relazione seria. Sembra quasi che lui sia riuscito a scorgere in Eva qualcosa che tutti gli altri ragazzi non sono mai stati in grado di vedere, un qualcosa che lo ha fatto attaccare a lei. –
L’attenzione di Ryan venne riscossa dalle parole di Soledad, che suonarono come un campanellino d’allarme. Il biondo provò così ad andare più a fondo.
- E secondo te che cosa può aver visto in lei? – domandò con nonchalance.
- Sinceramente non lo so. – mormorò Soledad, - Lui mi ha raccontato di essere stato innamorato di una ragazza per molti anni, per cui con ogni probabilità ha visto in Eva qualcosa che aveva trovato anche nella sua ex. –
- Tu dici? –
- Direi di sì. Si torna sempre dove si è stati bene. –
I due rimasero per un po’ in silenzio, Ryan che fissava la linea dell’orizzonte e Soledad con le braccia tatuate posizionate dietro alla testa. Fu quest’ultima ad intervenire nuovamente.
- Kisshu mi ha detto di essere stato davvero innamorato di questa ragazza, e sembra quasi che lo sia ancora adesso. Tu l’hai conosciuta? –
Fu la volta di Ryan di parlare e raccontare ciò che sapeva.
- Sì, l’ho conosciuta. Era a sua volta una mia dipendente al Caffè; lei e Kisshu si sono conosciuti sul posto di lavoro. – mentì. – Penso che lei fosse una delle persone più difficili da amare. –
- Perché dici questo? – si incuriosì Soledad.
- E’ facile amare la persona amabile. Ma prova ad amare l'istrice, che non appena si sente amato si irrigidisce, si sente in pericolo, in gabbia, e mostra fieramente terrorizzato i suoi aculei. Prova ad amare gli aculei dell'istrice. Prova a tranquillizzarlo passandogli una mano sulla schiena. E' solo quando sei pronto a ritrovarti distrutto dai suoi aculei, che è amore. –
Dopo un attimo di silenzio, Soledad rispose in un mormorio: - Capisco quello che vuoi dire. –
In quel momento, però, i due vennero bruscamente interrotti dal soggetto delle loro discussioni; Kisshu, con la grazia degna di un pachiderma, si era lasciato cadere seduto fra i due, le labbra sottili illuminate da un ghigno sarcastico.
- Allora Sole, la smetti di provarci con Ryan? Che succede, ti piacciono i forestieri? –
- Se così fosse mi dovresti piacere anche tu, piccolo asiatico sperduto. – lo schernì Soledad, alzandosi fieramente dal lettino; rivolse un sorriso divertito a Kisshu e Ryan, e poi si diresse senza aggiungere altro in direzione di Mercedes, intenta a parlare con alcuni conoscenti poco lontano.
Kisshu si rivolse allora a Ryan, il sorrisetto mesto ancora più ampio.
- Ti piacciono le ragazze spagnole a quanto vedo! –
- Non essere stupido, non ci stava provando. – lo freddò l’americano.
Il sorriso scomparve lentamente dalle labbra del bell’alieno, lo sguardo più serio.
- Notizie da Keiichiro? – domandò.
- L’ho sentito stamattina; la situazione è stabile, non si sono verificati nuovi attacchi. –
- Quindi non sappiamo ancora con chi abbiamo a che fare? –
- Temo di no. –
Kisshu rimase per un secondo in silenzio, prima di sbottare: - Dannazione, quando potrò tornare a Tokyo? Voglio prendere parte a questa guerra! –
- Kisshu, quante volte devo dirtelo? – fece lo scienziato con tono esasperato, - Finché non sappiamo chi abbiamo di fronte, non è consigliabile che tu torni. Se si tratta di un altro Edreniano, riuscirebbe sicuramente a captare la presenza di un suo simile in città, cosa che peggiorerebbe solamente le cose. E in più, devi essere sicuro di aver finalmente trovato Zakuro. –
- Ma io so che Eva è quella giusta, lo sento. Che senso ha aspettare ancora? –
- Ha senso dal momento in cui non puoi permetterti di sbagliare! – si scaldò Ryan, - Non puoi portare a Tokyo una ragazza che potrebbe essere Zakuro per poi lanciarti in una folle guerra tra pianeti! –
Kisshu si prese allora la testa fra le mani, la mascella contratta.
- Domani tornerò a Tokyo, - riprese Ryan, leggermente più calmo, - Quando sarai sicuro che Eva sia davvero quella giusta, allora potrai raggiungermi, ma non prima di averne tutte le certezze. –
L’alieno annuì, prima di rialzare il capo, i capelli scompigliati che gli ricadevano sugli occhi dorati.
- Non vedo l’ora che tutto questo finisca. – mormorò lui, lo sguardo color dell’oro fisso sulla riva, - Non vedo l’ora di riabbracciarla. –
Ryan rimase in silenzio di fronte alla confessione di Kisshu, un silenzio che l’alieno interpretò giustamente con un “Anche a me manca; vorrei solo che tornasse.”
 
 
 
 
 
 
La sera, dopo cena, i due ragazzi rimasero a casa in vista della partenza dell’americano, prevista il mattino seguente. Kisshu si era offerto di riportarlo a Tokyo col teletrasporto, ma Ryan aveva rifiutato.
Fuori dall’appartamento imperversava un furioso temporale del tutto inaspettato. Il biondo se ne stava seduto sulla poltrona in sala, elaborando alcuni dati con il suo portatile, mentre l’alieno, stravaccato sul divano, guardava svogliatamente la televisione. Ad un certo punto, Kisshu si alzò e si portò alle spalle di Ryan.
- Che c’è? –
- Mi stavo domandando, - iniziò Kisshu, - Se io potessi vedere delle foto delle ragazze. –
Ryan distolse lo sguardo color ghiaccio dal monitor per puntarlo in quello di Kisshu.
- Vorrei vedere quanto sono cambiate in questi anni. – si giustificò lui.
- E cosa ti fa pensare che io abbia delle foto delle Mew Mew? – lo schernì Ryan.
- Non prendermi in giro, vuoi dirmi che in quell’affare, dove sono salvati tutti i dati del Mew Project, non ci sono anche le foto delle paladine? –
Ryan scoppiò a ridere e, per tutta risposta, aprì una cartella in cui erano schedate le ragazze, selezionando poi quattro foto. Kisshu si sedette sul bracciolo della poltrona e prese il portatile dalle mani di Ryan.
Di fronte a lui vi era Ichigo, i capelli cremisi tagliati in un caschetto corto dietro e più lungo davanti; gli occhi color cioccolato erano sempre gli stessi, svegli e solari come un tempo, nonostante i lineamenti del suo volto fossero molto più maturi.
Minto presentava la sua inconfondibile classe ed eleganza anche attraverso lo schermo del computer, così atteggiata in una posa altezzosa. Durante gli anni aveva abbandonato gli abituali chignon, lasciando che gli scuri capelli mossi le ricadessero sulle spalle.
E poi Retasu, i capelli verdi non più legati nelle solite treccine sottili; ora li portava corti appena sotto le orecchie. I dolcissimi occhi azzurri erano cerchiati da un paio di occhiali da vista dalla montatura rettangolare, molto più bella rispetto a quella rotonda che portava prima.
E infine Purin, la più irriconoscibile; con gli anni era diventata una ragazza minuta dal fisico asciutto, i lunghi capelli biondi legati in una coda alta. Nonostante tutto, però, lo sguardo giocoso e vivace era sempre quello di un tempo.
Kisshu porse nuovamente il computer a Ryan, limitandosi a osservare: - Sono cambiate parecchio. -
In quel momento, però, il campanello di casa suonò. I due ragazzi si lanciarono un’occhiata sospettosa.
- Aspettavi qualcuno? – chiese Ryan.
Kisshu scosse la testa. – No, Eva mi ha detto che sarebbe rimasta a casa per preparare l’ultimo esame. –
Dopodiché si alzò e si diresse verso la porta con fare circospetto; quando la aprì, però, rimase spiazzato.
Di fronte a lui, bagnata da capo a piedi, c’era Soledad. I corti capelli neri erano completamente fradici, così come i suoi vestiti, che sgocciolavano acqua sullo zerbino.
- Soledad, cosa ci fai qua?! – domandò Kisshu facendo un passo verso la ragazza.
Lei puntò i suoi occhi verdi in quelli di lui, prima di limitarsi a mormorare: - Sono stata con Delgado. –
Kisshu sollevò impercettibilmente le sopracciglia, prima di spostarsi dalla soglia ed invitarla ad entrare.
Soledad entrò e Kisshu le chiuse la porta alle spalle, scoccando poi un’occhiata eloquente a Ryan; lui, cogliendo il segnale, recuperò il computer e, dopo aver salutato la ragazza con un cenno del capo, si dileguò nella camera degli ospiti.
- Allora, che è successo? – domandò fermamente Kisshu prendendo Soledad per le spalle; immediatamente gli occhi di lei si fecero lucidi e le lacrime cominciarono a rigarle il viso.
- Che cosa vuoi che sia successo Kisshu? Finisce sempre allo stesso modo tra me e lui. –
- Ci sei andata a letto? – chiese conferma Kisshu.
Soledad annuì, abbassando il capo. – Sì, e me ne sono pentita. Lui a breve partirà, e ora sto peggio che mai. Voglio che questa sia l’ultima volta che succeda una cosa simile! Non voglio rivederlo mai più. –
- Devi smetterla di farti del male da sola. – la rimproverò dolcemente Kisshu, - Che senso ha? Se tanto pensi che questa sia una situazione senza via d’uscita, è inutile continuare a vederlo per poi stare in questo modo e farti dei sensi di colpa. –
- Hai ragione Kisshu, infatti ho deciso che non succederà più. – Lei alzò nuovamente lo sguardo, incontrando gli occhi dorati di lui. – Non sai quanto vorrei andarmene da questa città, davvero. Ora riesco a capire che cosa ti ha spinto a farlo; cambiare aria, cielo, vita! Tentare di lasciarsi il passato alle spalle… questo mi servirebbe. –
Kisshu le prese il mento con due dita, sollevandole il viso. – Non eri tu quella che diceva che fuggire da se stessi non serve a nulla e altre chiacchiere varie? – la prese in giro.
- Hai ragione, ma ti giuro che non vorrei altro in questo momento se non  andarmene via, staccare per un po’. –
L’alieno le raccolse una lacrima superstite all’angolo della bocca, prima di proporle: - Allora quando io farò ritorno a Tokyo verrai con me? –
Soledad gli scoccò un’occhiata interrogativa.
- Dici sul serio? –
- Assolutamente. –
E lei gli dedicò finalmente un vero sorriso, uno di quelli che coinvolgeva anche gli occhi.
- Sì, verrò con te! –
Kisshu sorrise a sua volta; “Vieni qui” mormorò, attirandola a sé e stringendola in un abbraccio.
 
 
 
 
 
 
Soledad affondò il viso nell’incavo del collo di Kisshu, beandosi di quella stretta forte e rassicurante. Rimasero abbracciati così per un tempo indefinito, mentre le lacrime cessavano lentamente di stillare dagli occhi verdi di lei. Ad un certo punto, però, Soledad avvertì sotto le sue mani, posizionate sulla schiena di Kisshu, qualcosa di umido e caldo; sciolse l’abbraccio e si portò le mani davanti agli occhi, rimanendo senza fiato alla loro vista.
Erano completamente coperte di sangue.
Soledad alzò lo sguardo, terrorizzata, e subito provò la sensazione di un vuoto allo stomaco: di fronte a lui c’era quello che era una inconfondibile Kisshu, ma che dimostrava diversi anni in meno. I lineamenti del volto erano molto più giovani e i capelli verdi più corti e legati in due strani codini; fra di loro, facevano capolino due orecchie stranissime, grandi e dalla forma insolitamente allungata.
Anche gli abiti erano diversi: ora indossava una maglia nera cortissima, sormontata da un gilet marrone, e pantaloni degli stessi colori, larghi e con strani nastri svolazzanti. Attorno agli avambracci e alle gambe erano avvolte delle bende marroni. Questi abiti insoliti erano macchiati dal sangue del ragazzo, che sgorgava copioso da una grossa ferita all’addome, la quale sembrava oltrepassarlo da parte a parte.
Soledad non riusciva a parlare; aveva la bocca completamente asciutta e la voce non voleva saperne di uscire. Sconvolta, la ragazza si lasciò cadere in ginocchio sul pavimento, la testa fra le mani.
 
 
 
 
 
- Soledad! Che ti prende? –
Kisshu si affrettò ad inginocchiarsi di fronte a Soledad, che giaceva a terra scossa dai tremori. La afferrò per le braccia obbligandola a guardarlo negli occhi, e quello che lesse nel suo sguardo color smeraldo lo lasciò esterrefatto: era dominato dall’angoscia.
- Allora, mi rispondi?! – continuò lui scuotendola, una nota di panico nella voce.
Improvvisamente Soledad scoppiò nuovamente in lacrime, lo sguardo ora confuso.
- Oh Kisshu, non so cosa mi sia successo! Per un momento ti ho visto ferito! –
- Che intendi dire? Io sto bene! –
- Lo so, ma avevo del sangue sulle mani, il tuo sangue! – spiegò lei in tono isterico, - E tu avevi una ferita enorme proprio sul torace. Eri tu, ma eri diverso: indossavi degli abiti stranissimi e avevi delle orecchie enormi, non so per quale motivo. –
Kisshu lasciò andare bruscamente le braccia di Soledad, e questa sprofondò nuovamente sul suo petto, il respiro rotto dai singhiozzi. L’alieno le accarezzò la testa con un gesto automatico, ma la sua mente stava già galoppando oltre, lontano da quella stanza.
Com’è possibile tutto questo? Come può lei aver visto quella scena?
Ciò significa che… Che i miei calcoli erano sbagliati.
Kisshu si alzò meccanicamente ed aiutò Soledad a fare lo stesso; le scostò i capelli bagnati dagli occhi verdi e mormorò: - Sei evidentemente scossa, è tutta colpa dello stress; non ci pensare. Vai pure in bagno e fatti una bella doccia calda, altrimenti rischi di congelare. –
La ragazza annuì riconoscente, prima di sussurrare un “Grazie” e farsi condurre fino alla porta del bagno. Quando questa si fu chiusa, Kisshu si precipitò come una furia nella camera degli ospiti, dove trovò Ryan seduto alla scrivania che lavorava al portatile.
- Non si usa bussare in questo paese? – domandò freddamente l’americano, facendo ruotare la sedia per fissare il suo interlocutore.
Kisshu richiuse la porta con una violenza eccessiva, il cuore che aveva triplicato i battiti; sembrava quasi volesse saltargli fuori dal petto.
- Ryan… - iniziò l’alieno quasi boccheggiando, - Mi sono sbagliato su Eva. –
- Che vuoi dire? –
Kisshu deglutì rumorosamente, una sorta di eccitazione febbrile che scorreva nelle vene.
- Ho sbagliato, non è lei Zakuro. Soledad è Zakuro. –
L’americano scattò immediatamente in piedi, gli occhi color del ghiaccio sgranati.
- Come fai a dirlo? –
Kisshu prese a misurare la stanza a grandi passi, incapace di contenere il flusso di emozioni.
- Lei ha avuto una sorta di flashback, e le è tornata in mente la scena della battaglia finale contro Deep Blue, quella in cui sono stato ferito a morte. Non si ricordava nulla, ha semplicemente visto la scena; ha visto me, com’ero anni fa, con indosso gli abiti alieni. –
Ryan assorbì il significato delle parole di Kisshu, lo sguardo fisso nelle sue pupille, ora verticali.
E, improvvisamente, l’illuminazione.
- Ecco perché ieri si è ricordata di me. –
- Cosa? – domandò l’alieno.
- Ma certo! – continuò Ryan, parlando più a se stesso che a qualcuno in particolare, per poi riprendere: - Ieri Soledad mi ha detto che le ricordavo qualcuno, ma non riusciva a capire chi! Deve essere scattato qualcosa nella sua memoria quando mi ha visto. –
Kisshu smise di camminare per la stanza, bloccandosi sul posto e voltandosi a guardare l’americano.
- Ryan… L’abbiamo trovata. –
- Già, ora non ci sono dubbi. –
E Kisshu si lasciò cadere in ginocchio sul pavimento freddo, una risata che fuoriusciva dalle sue labbra sottili, gli occhi dorati illuminati da una nuova luce.
L’ho trovata. Finalmente, dopo cinque anni, ho ritrovato la mia Zakuro.
Sollevò poi il capo, cercando nuovamente lo sguardo di Ryan, che era rimasto immobile al centro della stanza.
- E ora cosa facciamo? –
L’americano ci pensò un po’ prima di rispondere, passandosi lentamente un dito sul mento. Quando parlò, però, la sua voce era ferma e autoritaria.
- Torniamo a Tokyo, tutti e tre. Domani. –
Kisshu si rialzò, la felicità che sembrava quasi stringergli il cuore, tutta la gioia che provava in quel momento e che non riusciva a sfogare. E, istintivamente, abbracciò Ryan, un abbraccio breve ma che servì ad entrambi a trasmettersi a vicenda tutto il sollievo che li aveva investiti.
Quando i due ragazzi si scostarono per guardarsi negli occhi, Kisshu poté quasi giurare di aver scorto negli occhi azzurri di Ryan un velo di lacrime di gioia.
In quel momento, avvertirono la porta del bagno che si apriva e dei passi leggeri che si dirigevano in sala.
- Vado a dirglielo. – sorrise Kisshu voltandosi e dirigendosi a grandi falcate verso la porta.
- Kisshu aspetta! –
L’alieno, frenato dalla voce di Ryan, si voltò con aria interrogativa.
- Non dirle nulla riguardo a questa faccenda. Cerca solamente di convincerla a partire domani mattina per Tokyo; al resto e a come dirle chi è veramente penseremo una volta là. –
- Va bene. – Kisshu annuì e si precipitò in sala.
Una volta lì, trovò Soledad avvolta in un candido asciugamano da doccia, i capelli corti quasi completamente asciutti.
- Kisshu, ho pensato che non avevo nulla da mettere quando ormai ero già sotto la doccia. – si giustificò lei con un sorrisetto.
- Non preoccuparti. – la rassicurò Kisshu, afferrando prontamente una maglietta da una pila di vestiti appena stirati sul tavolo, - Tieni, indossa questa; dovrebbe essere abbastanza grande da farti da vestito. –
Lei prese la maglietta dalle mani di Kisshu e gli dedicò un nuovo sorriso.
- Grazie Kisshu, non ti ringrazierò mai abbastanza. –
Soledad fece poi per dirigersi nuovamente in bagno, ma Kisshu la bloccò prontamente, posandole una mano dalle dita affusolate sulla spalla.
- Soledad, aspetta. –
- Sì? –
- Ti ricordi quello che ti ho detto prima riguardo al partire assieme a me quando farò ritorno a Tokyo? –
Soledad inarcò un sopracciglio sottile. – Certo che me lo ricordo, me lo hai detto nemmeno un’ora fa. –
Kisshu si schiarì la voce, incrociando mentalmente le dita.
- Bene, partiamo domani mattina. –
La maglietta scivolò dalla presa di Soledad, finendo sul pavimento. La ragazza non si curò neanche di raccoglierla, continuando a fissare Kisshu.
- Stai scherzando? – riuscì infine a domandare.
- No, assolutamente. Parto domani con Ryan, torno a casa. Hai intenzione di mantenere la parola e venire con me? –
- Kisshu, ma come faccio, senza nemmeno un minimo di preavviso! –
L’alieno imprecò ad alta voce, sbattendo il pugno chiuso sul tavolo, cosa che fece sobbalzare Soledad. Si diresse poi verso la finestra, osservando la pioggia che cadeva oltre il vetro.
- Sei brava con le parole, Soledad. Sai descriverti bene, dipingendoti come una persona spensierata, che mette la sua libertà personale al primo posto, indomabile, inarrestabile. Lasci anche che dell’inchiostro tracci quello che tu credi di essere sulla tua pelle, ma per cosa? Per poi voler rimanere nel tuo limbo a tormentarti e farti del male. –
Kisshu socchiuse gli occhi, attendendo una reazione che non tardò ad arrivare.
Soledad si avvicinò a lui e gli posò una mano sulla schiena, inducendolo a girarsi.
- Hai ragione anche questa volta Kisshu. Vengo con te. –
- Seriamente? –
Soledad annuì con fare solenne. – Certo. Non voglio rinchiudermi in una gabbia che ho costruito con le mie mani. Domani mattina partirò con te e Ryan. –
Kisshu sorrise soddisfatto e le baciò la fronte, cercando di trattenere un ghigno. Sapeva che ferire Soledad sull’orgoglio era l’unica carta che avrebbe potuto giocarsi per convincerla a seguirlo.
- Allora vestiti e va’ a casa a preparare le valigie; ti passiamo a prendere domani mattina. –
Soledad sorrise a sua volta, prima di riprendere la sua marcia verso il bagno. A metà strada, però, si arrestò, voltandosi per guardare l’alieno.
- Sai Kisshu, penso davvero di essere stata fortunata ad averti incontrato. Grazie. –
Dopodiché sparì oltre la porta, lasciando un Kisshu completamente euforico accanto alla finestra punteggiata dalle gocce di pioggia.

 
 
 
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Non so più davvero in che lingua scusarmi per il terribile ritardo con il quale pubblico questo nuovo capitolo. Sono dispiaciuta, davvero. Spero che i miei lettori non abbiano smesso di seguire la storia, nonostante tutto.
Vista l’ora in cui pubblico (lo so, sono pazza, ma non potevo farvi aspettare ancora!) invierò un avviso di aggiornamento domani a coloro che me lo avevano richiesto; per seconda cosa risponderò poi alle recensioni arretrate, compito che non sono in grado di adempiere a quest’ora della notte. In poche parole, recupererò il tempo perso!
In ogni caso, passiamo al capitolo:
direi che questo è, forse, il capitolo decisivo finora. Si descrive da solo. Sono particolarmente curiosa di sapere quali saranno i vostri commenti e pensieri a questo punto della storia, le vostre riflessioni e, perché no, quello che vi aspettereste, le vostre supposizioni.
Ci tengo davvero tanto a sapere cosa ne pensate, perché questo era forse l’unico capitolo che avevo già strutturato mentalmente, ma ho impiegato tantissimo per scriverlo in quanto mi sembrava troppo importante per potermi permettere di tralasciare qualcosa.
Grazie a tutti coloro che continuano a seguirmi!
Un abbraccio forte,
Salice_

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Back to Tokyo. ***


Back to Tokyo.




“Tutti i passeggeri sono pregati di allacciare le cinture di sicurezza e spegnere i dispositivi cellulari.”

La voce femminile distorta dall’altoparlante si diffondeva chiaramente all’interno dell’aereo in partenza da Ibiza e diretto a Tokyo, ma Kisshu non vi prestava alcuna attenzione; era impegnato a scrutare con la coda dell’occhio il profilo di Soledad, seduta accanto a lui. La ragazza era intenta a guardare con crescente curiosità fuori dal finestrino, mentre Ryan era seduto davanti ai due. I pensieri di Kisshu si rincorrevano veloci, un susseguirsi di gioia e ansia; era incredibile pensare di essere finalmente seduto di fianco alla sua Zakuro, a bordo di un aereo che li avrebbe riportati a Tokyo, a casa.
A casa.
L’alieno lasciò che le proprie labbra sottili si increspassero in un sorriso al pensiero che quel pianeta una volta così ostile e che aveva tentato di distruggere con tutte le sue forze fosse divenuto ormai la sua casa. Il suo pianeta, la nuova e rinata Edren, era distante dai suoi pensieri in quel momento.
Mille domande cozzavano insistentemente nella mente di Kisshu:
Come avrebbe reagito Soledad una volta a Tokyo?
Come le avrebbe detto chi era veramente?
Sarebbe ritornata a combattere dopo quello che era accaduto cinque anni prima?
E soprattutto, lui avrebbe davvero riavuto indietro Zakuro?
Questi interrogativi, però, per il momento parevano destinati a non trovare risposta.
Soledad si voltò e sorrise a Kisshu, il suo classico sorriso amaro. Cosa non avrebbe dato in quel momento per rivedere il vero sorriso della Mew Lupo. L’alieno le rispose con una smorfia incoraggiante accompagnata da un occhiolino; dopodiché, Soledad si infilò le cuffie nelle orecchie, isolandosi momentaneamente e abbandonando Kisshu a se stesso e ai suoi pensieri. La ragazza era convinta di fermarsi a Tokyo solo per un paio di settimane; Kisshu non le aveva detto che non avrebbero mai più fatto ritorno in Spagna.
Nel sedile di fronte, Ryan lavorava distrattamente al portatile; si sentiva estremamente fuori luogo in un momento del genere e del tutto estraneo alla situazione. Per un secondo, nella sua testa passò l’idea che non meritasse di condividere la gioia di Kisshu per il ritrovamento di Zakuro, ma subito la scacciò via, concentrandosi nuovamente sul suo lavoro.
L’alieno dagli occhi dorati, nel mentre, ripensò con una stretta al cuore al modo in cui aveva lasciato Eva. Un moto di vergogna lo assalì: aveva utilizzato il metodo più vigliacco del mondo e quello che, parecchi anni prima, era stato riservato a lui per primo.
Una lettera.
Kisshu, ormai completamente conquistato dall’aver ritrovato la sua amata, non si era curato di dare alla ragazza delle spiegazioni di persona, o di inventare una qualsiasi scusa che giustificasse la sua partenza. Si era semplicemente limitato a riportare le sue parole su un pezzo di carta, infilandolo poi sotto la porta di casa di Eva.
 
Cara Eva,
credo che la prima cosa in assoluto che io possa fare sia scusarmi: scusarmi per ciò che sto per scriverti, per il mio comportamento, e soprattutto per aver scelto proprio questo modo meschino per dirti ciò che devo. Sono un codardo Eva, la verità è questa.
Appena qualche ora fa ho deciso di partire, di far ritorno a casa, per non tornare mai più. Così mi sono seduto e ho cominciato ad abbozzare una lettera che potesse, anche solo in minima parte, darti qualche motivazione riguardo la mia scelta.
Purtroppo, non ho nulla che mi trattenga in questa città così estranea, una città che non mi appartiene; a Tokyo ho lasciato troppe cose, troppi conti in sospeso, questioni personali che vanno sistemate. Forse questa volta avrò il coraggio di tornare là e affrontare i miei problemi.
Ti prego di non cercarmi, anche se so che non lo farai. Ti dimenticherai facilmente di me, prepotente parentesi che si è insediata nella tranquillità delle tue giornate.
Mi dispiace di averti ferita o illusa: evidentemente ero solo alla ricerca del sentimento sbagliato.
Nonostante tutto, Eva, devo ringraziarti: se non ti avessi incontrata, non avrei mai capito di cosa avevo davvero bisogno. Senza saperlo, mi hai guidato lungo la strada giusta, illuminando il mio cammino. Mi hai, diciamo, aiutato a ritrovare una parte di me. Di questo ti sarò per sempre grato.
Ti auguro il meglio; ti auguro di trovare una persona che ti sappia apprezzare veramente, una persona che ti voglia bene e che sia in grado di difenderti, sempre.
Kisshu
 
 
L’alieno dai capelli verdi chiuse gli occhi e, sospirando, si abbandonò contro al poggiatesta; poteva quasi immaginare Eva che leggeva la sua lettera con le lacrime che le riempivano gli occhi nocciola, e il nodo che aveva allo stomaco si strinse ancora di più. Purtroppo, ogni sua parola era vera e piena di significato; effettivamente, se non si fosse messo sulle tracce di Eva, non avrebbe mai conosciuto Soledad.
E ritrovato Zakuro.
Soledad.
Zakuro.
Decidere se si trattava della stessa persona o di due personalità distinte racchiuse in un unico corpo lo mandava in una confusione atroce.
Kisshu lanciò un’occhiata di sbieco alla ragazza abbandonata nel sedile alla sua destra: Soledad aveva ancora le cuffie nelle orecchie, la testa leggermente rivolta al finestrino. I cortissimi capelli neri le ricadevano ribelli sugli occhi verdi, quegli occhi che lo avevano stregato fin dal primo momento in cui li aveva incrociati.
Era bella, quello non si poteva negarlo, di una bellezza selvaggia e indomita che metteva in soggezione chiunque le si parasse innanzi. Le braccia tatuate, sporcate dalle cicatrici che aveva scelto di mostrare al mondo, i capelli corvini tagliati in maniera tipicamente maschile, il volto magro e dagli zigomi sporgenti; tutti in lei aveva una parvenza di aggressività. E, forse condizionato da quanto sapeva, per un momento Kisshi riuscì a scorgere nel suo profilo le sembianze e la fierezza del lupo grigio.
Era bella, certo, ma mai come Zakuro. L’alieno aveva nostalgia della sua voce calda, dei lunghi e morbidi capelli viola che le incorniciavano il volto dal pallore lunare, illuminato dallo zaffiro dei suoi occhi.
Quasi come se avesse captato il suo stato d’animo, Soledad strinse leggermente il polso di Kisshu, sorridendogli mestamente mentre l’aereo, finalmente, decollava.
 
 
 
 
Tokyo non era cambiata di una virgola nei cinque anni trascorsi all’estero: fu questo il primo pensiero di Kisshu non appena mise piede fuori dall’aeroporto.
Ryan si affrettò a fermare un taxi e, mentre i ragazzi caricavano i bagagli, Soledad osservava con malcelato stupore gli immensi grattacieli che si stagliavano di fronte a lei.
Una volta a bordo del taxi, Ryan diede l’indirizzo di casa di Zakuro; il bell’americano, dopo la sparizione della modella, aveva comprato l’abitazione prima che venisse venduta all’asta. Non avrebbe mai permesso che la villetta divenisse di qualcun altro e, in quel modo, Kisshu aveva una vera casa in cui stare.
Il viaggio dall’aeroporto a lì fu dominato dal silenzio: Ryan si limitava a rispondere alle domande di circostanza del tassista, e Soledad si era chiusa in un mutismo carico di tensione.
Kisshu, dal canto suo, non sapeva che cosa provare in quel momento: forse le emozioni che si susseguivano erano troppe per riuscire a dare loro un nome. L’unica cosa di cui era certo era una: in quel momento, aveva paura.
Il taxi si fermò sdrucciolando nel vialetto d’ingresso, e Kisshu e Soledad scesero e presero a scaricare le valige. Ryan li salutò velocemente, dicendo loro di passare più tardi al Caffè.
Mentre la macchina si allontanava, Kisshu sentì Soledad sospirare.
- Tutto bene? – domandò l’alieno voltandosi nella sua direzione.
- Sì. – confermò lei, - E’ solo un po’ strano per me trovarmi dall’altra parte del mondo da un giorno all’altro, ma sono felice di essere qui. –
Kisshu infilò la chiave nella toppa.
- Stai tranquilla e cerca solo di goderti la vacanza. – la rassicurò senza troppa convinzione, aprendo la porta.
Una sensazione di vuoto investì Kisshu non appena varcò la soglia. La casa era identica a come l’aveva lasciata: tutto era in perfetto ordine (immaginò che Ryan avesse mandato una donna delle pulizie a prendersi regolarmente cura dell’abitazione), i mobili al loro posto, e i quadri raffiguranti mari agitati sempre affissi alle pareti.
Era strano per Kisshu far ritorno in quell’abitazione con Soledad al suo fianco, quasi al livello di un tradimento.
Devo smetterla di pensare a queste stupidaggini; dopotutto, è Zakuro la ragazza che ho appena fatto entrare.
- Complimenti, che bella casa. – fece Soledad rompendo il silenzio.
Kisshu la osservò mentre posava le valigie e si guardava attorno con curiosità, studiando l’ambiente circostante.
- L’unica cosa è che mi pare troppo asettica.
- Tu dici? – chiese Kisshu con un sorrisetto sarcastico. La casa rispecchiava in tutto e per tutto la personalità della Mew Lupo: le pareti chiare, le grandi finestre, lo stile essenziale; i grandi spazi semivuoti riconducevano inevitabilmente al distacco che l’ex modella si imponeva di provare nei confronti del mondo esterno.
- Vieni, ti mostro la tua stanza. – continuò Kisshu precedendola lungo la scalinata che portava al piano superiore. Condusse Soledad nella stanza dalle pareti verdi in cui aveva soggiornato lui stesso per i primi mesi in cui si era trasferito a casa di Zakuro, sorridendo mentalmente per l’assurdità della situazione.
Soledad posò i suoi bagagli di fianco all’armadio, lasciandosi cadere poi sul letto.
- Santo cielo, sono distrutta! – esclamò la ragazza passandosi stancamente una mano sugli occhi.
- Vuoi farti una doccia e dormire un po’? – domandò Kisshu con una nota di dolcezza, - Sono le due del pomeriggio, siamo d’accordo con Ryan di trovarci al Caffè alle sette; tu fermati pure qua, io mi darò una rinfrescata e farò un salto lì a salutare gli altri. –
- Grazie Kisshu, penso proprio che una dormita sia quello che mi serve. – acconsentì Soledad sorridendo riconoscente.
L’alieno fece per accarezzarle la fronte, ma si fermò a metà del gesto. Così si avviò alla porta, mormorando: - Passo a prenderti verso sette, così andiamo al Caffè insieme. – prima di chiudersela alle spalle.
Il cuore gli martellava nel petto mentre si dirigeva rapidamente al piano inferiore, si spogliava e si infilava sotto il getto freddo della doccia. L’acqua ghiacciata sembrò calmarlo un poco, e l’alieno si affrettò così ad asciugarsi e vestirsi. Era smanioso all’idea di raggiungere il resto della squadra, nonostante immaginasse che Ryan avesse già messo tutti al corrente dell’accaduto.
Una volta pronto, Kisshu si smaterializzò, ricomparendo nel bel mezzo del parco Inohara.
La costruzione rosa del Caffè Mew Mew si parò di fronte agli occhi dell’alieno, che provò un moto di gioia a quella visione. Kisshu si avviò in direzione dell’edificio, puntando all’entrata sul retro, ma a metà strada cambiò idea: tornò sui suoi passi, intento ad entrare dalla porta principale.
Appoggiò la mano diafana alla maniglia, respirando a fondo, prima di abbassarla.

 
  
 
 
 
 
 
Angolo Autrice:
Ciao a tutti!
Scusate il mio ritardo; lo so, sono sempre la solita, ma con l’arrivo dell’estate e l’aumento della mia vita sociale ho avuto ben poco tempo per star dietro alla storia. (Lo so, ogni volta ho una scusa buona -_-‘)
In ogni caso, ho voluto pubblicare immediatamente il capitolo, appena finito di scriverlo; so che si interrompe in modo brusco, ma diciamo che possiamo considerarlo come una prima parte del capitolo successivo, che sarà molto più ricco di dettagli e novità. Incontreremo finalmente (anzi, ritroveremo) le nostre vecchie conoscenze e, da ora in poi, la trama acquisterà molto dinamismo.
Questo che avete appena letto è un capitolo basato molto sull’introspezione e sui pensieri di Kisshu, che vanno quasi sempre a cozzare sulle figure di Zakuro e Soledad; lui stesso non è ancora entrato nell’ottica che la ragazza dai tatuaggi sia la Mew Lupo, e fa fatica a gestire tutte le emozioni che gli piovono addosso.
La mia idea non era tanto quella di un passo decisivo verso lo scioglimento della trama, quanto quella di dare spazio all’introspezione del personaggio principale.
Cosa ne pensate?
E soprattutto, cosa pensate del fatto che Kisshu abbia utilizzato lo stesso metodo che gli aveva riservato Zakuro per lasciare Eva?
Ora risponderò a tutte le vostre recensioni sul capitolo precedente; purtroppo, sono rimasta un tantino indietro.
Un abbraccio a tutti!
Salice_

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** The reason. ***



The reason.




Non appena Kisshu varcò la soglia del Caffè Mew Mew, il familiare odore di frutta e crema pasticcera invase le sue narici, mentre le pareti rosa della sala vuota si aprivano di fronte a lui.
Dopo circa un secondo, l’alieno sobbalzò a causa del rumore di qualcosa che andava in frantumi. Alzò lo sguardo: davanti a lui, in piedi in mezzo ai cocci di tazzine rotte fronteggiate da un vassoio abbandonato sul pavimento, stava una ragazza alta, dai corti capelli verdi e occhi azzurri incorniciati da occhiali da vista dalla montatura rettangolare.
- Kisshu… - mormorò Retasu sbattendo incredula le palpebre, le mani che andavano a stringersi convulsamente attorno al fiocco verde posizionato sul colletto della divisa da cameriera, la stessa che indossava da anni.
- Retasu, sei proprio tu? – domandò Kisshu, più a se stesso che alla ormai giovane donna.
L’alieno, superato il primo momento di stupore, avanzò alcuni passi in direzione di Retasu, per poi stringerla in un abbraccio quasi fraterno. La ragazza ricambiò la stretta, cingendo la vita di Kisshu con le braccia sottili. I due si separarono dopo un istante, ma Kisshu lasciò che le sue mani rimanessero posizionate sulle spalle della Mew Focena.
- Accidenti Retasu se sei cambiata, non ti avevo quasi riconosciuta! –
- Anche tu Kisshu sei cambiato tantissimo! – esclamò Retasu osservando l’alieno, con i suoi scarmigliati capelli verdi che gli sfioravano le spalle. Il volto, notò, aveva un non so ché di diverso, forse più maturo, nonostante fosse ancora possibile scorgere negli occhi dorati quella sottile scintilla di follia che aveva sempre caratterizzato Kisshu Ikisatashi.
- Ryan ci stava giusto informando del tuo ritorno, ma ti aspettavamo all’orario di chiusura. – continuò Retasu.
- Non ho resistito alla tentazione di rivedervi, - ammise Kisshu con una sincerità disarmante, cosa che fece arrossire ancor di più Retasu, - Come mai non siete in servizio? –
- Apriamo più tardi proprio perché Ryan teneva ad informarci dell’accaduto… -
- Retasu, tutto bene? –
I due vennero interrotti da una voce calda e profonda, una voce ben nota a Kisshu.
L’alieno spostò lo sguardo, giusto in tempo per vedere Kyle emergere dalla porta che conduceva ai sotterranei.
- Kisshu? – fece incredulo l’uomo, mentre un’espressione di sorpresa si dipingeva sul suo volto.
Negli anni, Kyle era rimasto quello di sempre, se non per la magrezza del viso, che pareva segnato dalla stanchezza; i lunghi capelli castani erano sempre raccolti nella solita coda bassa, e gli occhi scuri erano dolci e accoglienti come sempre.
- Buongiorno! – lo salutò Kisshu con un sorriso, tendendogli la mano che il giovane cuoco strinse.
- Che bella sorpresa! Non ti aspettavamo a quest’ora! Come stai? Com’è andato il viaggio? – cominciò, ponendo domande a raffica.
- Tutto bene grazie, il volo è andato benissimo, però non sommergermi di domande, ti prego. – sbuffò Kisshu ostentando un’aria falsamente esasperata che fece scoppiare a ridere i presenti.
- Hai ragione Kisshu, perdonami; ma ora seguimi, raggiungiamo gli altri di sotto. Retasu, penso sia il caso di preparare nuovamente il tè. – aggiunse poi Kyle in direzione della cameriera, accennando con un sorriso ironico alle tazzine infrante sul pavimento.
- Subito Kyle! –
- Vieni con me Kisshu. – disse il pasticcere, invitando Kisshu a seguirlo con un cenno del capo.
- Ryan vi stava raccontando di quanto ho, diciamo, “scoperto”? – domandò l’alieno mentre i due scendevano fianco a fianco le scale che portavano al laboratorio sotterraneo.
- Esattamente; ci stava giusto parlando di questa Soledad, e di come hai scoperto che in realtà si tratti di Zakuro. –
Una volta giunti di fronte alla porta del laboratorio, Kyle abbassò la maniglia e precedette Kisshu all’interno.
- Ragazzi, abbiamo visite. –
L’alieno fece la sua entrata nel laboratorio in penombra, illuminato solamente dal gigantesco schermo attaccato alla parete e dai monitor dei computer. Subito quattro paia di occhi  si puntarono su di lui, e un silenzio si estese per i secondi successivi al suo ingresso.
- Oddio Kisshu, non posso crederci! –
Immediatamente, una ragazza urlante si gettò letteralmente fra le sue braccia, appendendoglisi al collo senza troppe cerimonie; una Purin ormai adolescente stava stringendo Kisshu in un abbraccio stritolante, dondolando sul posto e continuando ad emettere urletti di gioia.
- Mi stai. Uccidendo. Stupida scimmia! – riuscì a soffiare Kisshu, quasi senza fiato a causa della stretta della ragazza. Riuscì infine a scrollarsela di dosso, ma Purin continuò a saltellargli attorno, i lunghi capelli biondi legati in una coda di cavallo che si agitavano con lei.
- Kisshu, non posso crederci! È così bello rivederti! Sei diventato bellissimo in questi anni! –
L’affermazione della ragazza fece scoppiare a ridere Kisshu, che subito provò un forte moto d’affetto per la scimmietta, nonostante avesse quasi rischiato di soffocarlo.
- Diciamo che lo sono sempre stato, comunque grazie del complimento. – rispose Kisshu con un sorrisetto mesto, spostando poi la sua attenzione sulle altre due ragazze, che si erano mantenute alcuni passi indietro.
Ichigo, i capelli cremisi che le incorniciavano il volto e i grandi occhi castani brillanti e vivaci come un tempo, abbracciò brevemente l’alieno, per poi scostarsi ed esprimere la sua felicità nel rivederlo dopo parecchio tempo.
- E’ incredibile! – esclamò infine la leader delle Mew Mew, la voce che tradiva l’emozione.
Per ultima, Minto si avvicinò a Kisshu e gli tese la mano destra in modo che lui potesse stringerla. Per tutta risposta, Kisshu scoppiò a ridere, dopodiché afferrò la moretta per la vita e l’abbracciò, sollevandola da terra e prendendo poi a girare su se stesso in un folcloristico girotondo, facendola volteggiare con lui nel mezzo del laboratorio. I presenti ridevano per quella scena insolita, Minto strillava la sua disapprovazione per quel trattamento totalmente privo di bon ton e Kisshu rideva sguaiatamente per la sequela di insulti che si era guadagnato nel giro di trenta secondi dalla Mew Bird.
Ryan, la schiena appoggiata alla parete e le braccia incrociate al petto, osservava la scena e sorrideva, mentre pareva quasi che un celato moto di nostalgia sepolto negli anni abbandonasse il suo stomaco.
Fu proprio il biondo ad interrompere i festeggiamenti, schiarendosi la voce.
- Ragazzi, immagino che di cose da raccontarsi in cinque anni ce ne siano parecchie, ma credo possano passare in secondo piano. –
Le ragazze e Kisshu rivolsero la propria attenzione a Ryan, mentre Retasu faceva ritorno nel sotterraneo e si univa a loro, dopo essersi premurata di appoggiare il vassoio con il tè su di un tavolino.
- Stavamo giusto discutendo del modo in cui Soledad si sia ricordata di alcuni dettagli appartenenti alla sua, diciamo, “vita precedente”. - riprese Ryan, - Quando verrà qua stasera, voi sarete presentate come le ex colleghe di lavoro di Kisshu e basta, per il momento; lei sa dell’esistenza delle Mew Mew, ma non ha ancora idea di averne fatto parte in passato. –
Le ragazze annuirono, ascoltando attentamente le parole dell’iniziatore del Mew Project. Kisshu, dal canto suo, si rivolse direttamente al biondo.
- Perdonami Ryan, ma qual è il piano per riavere indietro Zakuro? –
Al nome della Mew Lupo, le ragazze sembrarono essere scosse da un brivido impercettibile.
- Bisogna procedere con calma, Kisshu. – iniziò l’americano, mentre Kyle annuiva alle sue parole, - Faremo prima un test per vedere se il suo codice genetico corrisponde a quello delle altre combattenti Mew Mew; un capello sarà sufficiente per svolgere le analisi. In secondo luogo, dovremmo fare in modo che molte cose riaffiorino dalla sua mente. –
Kisshu strinse i denti, non troppo convinto; avrebbe voluto riavere immediatamente Zakuro. Immaginava che, una volta tornati a Tokyo, avrebbe potuto riabbracciare la sua amata, magari grazie ad un qualche congegno inventato dai due scienziati, eppure non sembrava che le cose dovessero procedere in quel modo. Kisshu capì che la strada da percorrere per riportare indietro Zakuro era ancora lunga, e le parole rabbiose che stava per pronunciare gli morirono nel petto. Dovette limitarsi ad abbassare lo sguardo dorato sul pavimento del sotterraneo, la mascella contratta.
 
 
 
Erano quasi le sette, e la ragazza si stava preparando con una cura che, ad occhi esterni, poteva apparire eccessiva. Per l’occasione, dopo essersi tolta la divisa da lavoro e aver indossato il suo vestito, raccolse i capelli scuri in un solo ed elegante chignon. Minto si guardò allo specchio, gli occhi nocciola che luccicavano per l’emozione; di lì a pochi minuti avrebbe rivisto Zakuro. Chissà che quella Soledad avesse qualcosa che ricordasse lei, magari i tratti del volto o i modi di fare della modella. A questo pensava Minto mentre si dava un’ultima passata di phard sugli zigomi, controllando che la propria immagine riflessa nello specchio fosse perfetta.
Attorno a lei, le sue compagne si cambiavano a loro volta, in un religioso silenzio. Immaginava che anche il cuore del resto della squadra stesse accelerando i battiti in vista di ciò che stava per accadere.
- Forza ragazze, andiamo! – esclamò Ichigo quando tutte furono pronte, per poi precederle fuori dallo spogliatoio.
Le quattro Mew Mew si riunirono nella sala principale ormai vuota, fatta eccezione per Ryan e Kyle, in attesa seduti ad un tavolino.
Attesero ancora per alcuni minuti, mentre l’eccitazione diveniva quasi palpabile. Minto controllava in modo quasi maniacale il suo orologio da polso.
Finalmente, la porta del Caffè Mew Mew si spalancò, e sulla soglia comparve Kisshu, bellissimo vestito del suo sorriso, un sorriso che nessuno vedeva da tempo; era un sorriso che irradiava gioia, che ti trasmetteva forza.
L’alieno entrò nel locale, seguito da una figura femminile. La porta si richiuse alle sue spalle, e il cuore di Minto perse un battito.
Di fronte a loro vi era una ragazza alta dai cortissimi capelli color della pece. Indossava dei pantaloni neri aderentissimi, stivali col tacco, un top grigio e un gilet di jeans smanicato lasciato aperto. Le braccia nude erano piene di tatuaggi, che partivano dalle spalle e arrivavano fino ai polsi; Minto riuscì anche a scorgere una lunga fila di orecchini che occupavano tutto l’orecchio destro.
Le labbra erano carnose e i lineamenti del volto duri, freddi, quasi aggressivi; i distaccati occhi verdi studiavano ad uno ad uno i volti dei presenti.
Subito in Minto si fece strada una sensazione di negatività, che le pareva proprio venisse irradiata da quella ragazza. Un brivido le percosse la schiena, quando venne il suo turno di presentarsi a Soledad e di stringerle la mano. La ragazza aveva, notò Minto, l’abitudine di sorridere solo con le labbra, senza coinvolgere gli occhi; quei pozzi verdi, al contrario, rimanevano intrisi di concentrazione, come se la proprietaria cercasse di captare qualcosa di sconosciuto in fondo allo sguardo degli interlocutori.
Soledad, dopo essersi presentata e aver rivolto un sorriso di circostanza a tutti, fece un passetto indietro, affiancandosi a Kisshu; l’alieno, dal canto suo, le cinse le spalle con un braccio in un gesto rassicurante, e Minto fu costretta a reprimere un nuovo brivido.
Quella ragazza non le piaceva per niente.
 
 
 
Dopo diversi minuti di chiacchiere banali, Kisshu e Soledad si congedarono dal Caffè insieme, lasciando le quattro Mew Mew a discutere dell’accaduto; i due americani si erano nuovamente eclissati in laboratorio. Per tutta il tempo che Soledad aveva passato al Caffè, Minto se n’era stata in disparte, squadrando di sottecchi la nuova venuta.
Fu Ichigo ad introdurre il discorso.
- Allora ragazze? Voi cosa ne pensate? –
- Sembra una tosta! – fu la semplice esclamazione di Purin, che non era riuscita a reprimere una scintilla di ammirazione quando l’aveva vista fare il suo ingresso.
- Io non so ancora cosa pensare, effettivamente non la conosciamo. – iniziò Retasu, - Ma se Kisshu si è avvicinato a lei, non può essere altro che una buona persona. E comunque, dobbiamo sempre ricordarci che dentro di lei è nascosta Zakuro. –
Ichigo annuì solennemente alle parole della compagna. – Concordo pienamente con te Retasu, direi che la pensiamo esattamente allo stesso modo. –
La leader si voltò verso Minto, che non aveva ancora aperto bocca. – E tu Minto? –
La Mew Bird strinse i pugni, cercando dentro di sé la forza di calmarsi. Non la trovò.
- E’ uno scherzo! – sbottò improvvisamente Minto, - Come può quella essere Zakuro?! Non ha nulla di lei! Cioè, guardatela: non ha la sua bellezza, non ha il suo fascino magnetico, il suo charme. La pelle di Zakuro era candida come la superficie lunare, non sporca e ridicolizzata dai tatuaggi. E io dovrei accettare che Zakuro viva in una persona del genere?! –
Le sue compagne rimasero spiazzate da quello sfogo; fu Ichigo quella a riprendersi più velocemente.
- Minto, cerca di ragionare: è normale che non ti ricordi Zakuro, ma allo stesso tempo abbiamo le certezze che sia lei, altrimenti non possiederebbe i ricordi della battaglia finale. Per ora non c’è molto da fare, se non attendere di scoprire come riportarla indietro! Soledad è solo una fase temporanea di Zakuro! –
Ma Minto scosse la testa, ostinata; gli occhi socchiusi come se non volesse vedere né sentire altro.
- No, no, no… - mormorava.
- Minto, adesso la stai facendo troppo tragica! – sbottò Purin rivolta all’amica, - Capisco che non sia la nostra vecchia Zakuro, ma non vedo quale sia il problema! Sapevamo benissimo che Cordelia le aveva conferito un’identità del tutto nuova. –
- No, voi non capite! – strillò Minto con voce quasi isterica, - Quella Soledad ha qualcosa che non mi piace, a pelle! Non posso credere che sia Zakuro. –
E, con queste parole, girò sui tacchi e corse verso la porta del Caffè, le lacrime che premevano per palesarsi; Retasu fece per seguirla, ma Ichigo la frenò posandole una mano sulla spalla. Mentre la Mew Focena le rivolgeva uno sguardo interrogativo, lo sbattere della porta segnalò loro che Minto era uscita.
- Minto ha bisogno di stare da sola. – spiegò Ichigo in risposta alla tacita domanda di Retasu, - Sappiamo tutte quanta ammirazione nutrisse nei confronti di Zakuro, e rivederla sotto queste vesti l’ha spiazzata. Deve solo riflettere e accettare la realtà. –
 
 
 
 
Nella grande villa di Zakuro, Kisshu e Soledad erano intenti a consumare una cena preparata dall’alieno che, per la seconda volta nel giro di pochi giorni, venne rimproverato per aver salato eccessivamente la pasta.
- Facciamo che da domani cucino io! – esclamò Soledad ingollando l’ennesimo bicchiere d’acqua, una scintilla di divertimento negli occhi verdi.
Kisshu incrociò le braccia al petto con fare ironico. – Come vuoi capo, vedremo cosa sei capace di fare. –
Soledad prese a giocherellare distrattamente con la forchetta, lo sguardo puntato sul piatto ormai vuoto.
- Sembrano simpatiche le ragazze. – esordì la corvina.
Kisshu annuì. – Lo sono. Vedrai, non ci metterai molto a legare con loro, con Purin e Ichigo soprattutto: loro sono molto espansive e spontanee. –
- L’avevo capito. Ma sai anche che io non sono molto propensa a stringere relazioni con il prossimo. – ammise lei.
- Con me lo hai fatto. – fece Kisshu protendendosi verso di lei. – Sei preoccupata? –
- No, assolutamente. – smentì Soledad con un sorriso, scuotendo il capo; Kisshu prese per buone le sue parole, nonostante temesse non gli stesse dicendo tutta la verità.
- Sai, mi fa un po’ strano essere di nuovo qua, a Tokyo. – confessò Kisshu con un sospiro, abbandonandosi contro lo schienale della sedia. – Dopo parecchi anni passati a girare il mondo, tornare a casa mi ha spiazzato. –
- Non ti sono mancati i tuoi amici? – indagò Soledad.
- Sì, mi sono mancati, ma devo ammettere che ci sono cose di cui riesco a fare a meno. Alla fine, per cinque anni ho perso qualsiasi tipo di contatto con loro, e diciamo che non sono morto. – terminò con un sorrisetto.
- Devono volerti proprio bene per averti riaccolto a braccia aperte dopo tutto questo tempo; non in molti lo avrebbero fatto. –
Il sorriso sul volto di Kisshu si allargò impercettibilmente.
- Mettiamola così: noi siamo legati da qualcosa di molto più forte della semplice amicizia. C’è stato qualcosa, probabilmente un filo contorto del destino, che ha unito le nostre vite, e sembra impossibile sciogliere il tutto. –
Soledad fece per ribattere, ma in quel momento il telefono di Kisshu, poggiato sul tavolo, prese a vibrare. L’alieno controllò rapidamente il nome sul display e rispose.
- Ryan, dimmi tutto. –
- Kisshu, puoi parlare? – domandò l’americano senza troppi giri di parole.
- Solo un secondo. – rispose Kisshu alzandosi e sillabando un “arrivo” in direzione di Soledad; si allontanò così in corridoio, chiudendosi in bagno.
- Ok Biondo, parla pure. –
- Ascolta, io e Kyle stavamo pensando che sarebbe una buona idea se tu e Soledad cominciaste a lavorare al Caffè; in questo modo, tu sarai sempre informato in tempo reale sulla situazione e potrai riiniziare a prendere parte ai piani. Dall’altro lato, noi avremmo sotto controllo Soledad in modo da studiarla più da vicino. Che ne dici? –
Kisshu sospirò. – E’ proprio necessario? –
- Lo so che sei uno scansafatiche di prima categoria, ma sì: è necessario. –
- Va bene, lo dico a Soledad e ti mando la conferma più tardi per messaggio; sappi solo che non ho voglia di sgobbare eccessivamente nel tuo stupido locale. –
- Non mi interessa la conferma, cominciate domani mattina alle otto. – ribatté Ryan ormai spazientito, prima di chiudere la telefonata.
- Hey Ryan aspet… Ah, ma vai al diavolo! – ringhiò l’alieno rivolto ad un telefono ormai muto.
Kisshu uscì dal bagno e ritornò in sala da pranzo passandosi stancamente una mano sugli occhi.
- Cattive notizie bellezza. – cominciò Kisshu in risposta allo sguardo interrogativo di Soledad, riprendendo posto di fronte a lei. – Shirogane ci ha appena assoldati per lavorare al Caffè; dice che ha bisogno di personale. –
- Ah, e noi non abbiamo libertà di scelta? – fece Soledad inarcando un sopracciglio, stizzita.
- Direi proprio di no. –
La ragazza sbuffò. – Il tuo amico è uno schiavista. – Nonostante tutto, però, le labbra di lei si stirarono in un sorrisetto. – In ogni caso va bene, almeno posso rendermi utile in qualcosa. –
- L’hai presa meglio di me! – osservò Kisshu alzandosi e battendo una volta le mani. – Molto bene, allora a dormire! Domani alle otto si comincia! –
 
 
 
I singhiozzi di Minto rompevano il silenzio che regnava nella sua sontuosa camera da letto. La ragazza giaceva supina sul letto, il volto nascosto in un candido cuscino ormai macchiato di lacrime.
- Non può essere… Non è vero! – mormorò, la voce impastata dal pianto, mentre apriva il piccolo pugno e lasciava cadere sul lenzuolo ciò che stava stringendo in mano: una foto che ritraeva lei e Zakuro, assieme, al Caffè Mew Mew. L’ex modella era bellissima, come sempre, e anche Minto, al suo fianco, sembrava risplendere di tutta la bellezza che emanava la modella.
Come poteva Minto accettare la situazione, dopo che tutta la brutalità della realtà le era stata sbattuta in faccia con forza?
 
 
 
 
Il mattino seguente, le quattro ragazze erano in piedi nella sala principale del locale, già vestite con le loro colorate divise da cameriere; persino Ichigo era riuscita ad arrivare in anticipo sul suo ritardo.
Soledad e Kisshu, arrivati da poco, erano andati negli spogliatoi per indossare le proprie uniformi, e Ryan e Kyle se ne stavano rispettivamente in laboratorio e in cucina.
Minto sedeva al suo solito tavolino, una tazzina di tè ormai vuota poggiata di fronte a sé; le altre ragazze non le avevano domandato come stesse, immaginando che fosse preferibile lasciarla in pace, nonostante continuassero a lanciarle ad intermittenza occhiate preoccupate.
- Ma quanto ci mettono? – sbottò infine Purin scoccando uno sguardo all’orologio appeso alla parete.
Proprio in quel momento, Kisshu e Soledad fecero la loro comparsa nella sala. Kisshu indossava la divisa che aveva portato anni fa, composta da mocassini, pantalone nero, camicia bianca e un papillon verde scuro; aveva abbandonato il cappellino, dal momento che non aveva più bisogno di nascondere le orecchie.
Soledad invece, con grande disappunto di Minto, portava l’uniforme viola di Zakuro.
Ichigo le sorrise, incoraggiante. – Soledad, questa divisa di sta d’incanto! –
Retasu annuì alle parole della rossa, mentre Soledad le ringraziava silenziosamente con un sorriso.
Ryan piombò nella sala sopraggiungendo dal corridoio che portava ai sotterranei.
- Bene, ci siamo tutti? – poi, senza attendere risposta: - Benissimo, allora possiamo iniziare. Retasu, va’ ad aprire. –
- Subito Ryan! – annuì Retasu, aggiustandosi la divisa e andando ad accogliere i primi clienti fuori del locale.
Nel giro di pochi minuti il Caffè era già pieno per le colazioni; Soledad si muoveva senza difficoltà fra i tavoli, prendendo le ordinazioni e portando i vassoi, aiutata da Ichigo ogni qualvolta avesse bisogno di istruzioni. Retasu rischiò più e più volte di inciamparsi nei propri piedi, ma riuscì a tenere miracolosamente i piatti in equilibrio, mentre Purin trottava per il locale con la sua proverbiale energia. Kisshu era riuscito a raggiungere un compromesso con Ryan, ovvero starsene dietro alla cassa per fare il meno possibile, occupandosi semplicemente dei conti. Il biondo si era arreso di fronte alla testardaggine dell’alieno, rintanandosi poi in laboratorio a passo di marcia.
Minto, invece, continuava a starsene seduta al tavolino, versandosi del nuovo tè fumante nella tazza. Dalla sua posizione, osservava di sottecchi Soledad che interagiva con i clienti, notando però che la ragazza, ogni volta che le passava di fianco, le rivolgeva occhiate astiose.
La pace regnò sovrana per alcune ore, fino all’orario di pranzo. Il Caffè era gremito di clienti, ma Soledad, non appena ebbe un attimo di respiro, si avvicinò risoluta al tavolo dove sedeva la Mew Bird.
La ragazza dai capelli corti appoggiò rumorosamente il vassoio sul tavolino, attirando l’attenzione di Minto.
- Hai bisogno? – le domandò la moretta con voce strascicata.
- Mi stavo domandando, - iniziò Soledad – quale sia il tuo ruolo qui al locale. –
Retasu, che passava poco distante, scoccò un’occhiata alle due, affrettandosi poi a raggiungere Ichigo e a mormorarle qualcosa all’orecchio.
- Per tua informazione, io qui ci lavoro. – fece Minto con aria altezzosa.
- Ah sì? Non mi pare. – rispose Soledad stringendo minacciosamente gli occhi verdi. – Hai intenzione di alzare il culo da quella sedia e aiutarci a fare qualcosa? Oppure ti pagano per fare la bella statuina? -
Minto si alzò e sbatté con forza le mani su tavolo, mentre i clienti nei tavoli vicini si voltavano incuriositi.
- Ascoltami bene! – inveì Minto – Io lavoro qua da anni, e non permetto che tu ti rivolga a me in questo modo! Sei qua da tre ore e non tollero che tu mi dica quello che devo o non devo fare! –
Soledad superò il tavolo e si avvicinò con fare minaccioso al volto di Minto, un’espressione tutt’altro che rassicurante dipinta sul volto dai lineamenti duri. Le parlò poi con un tono di voce basso e minaccioso, che contrastava terribilmente con gli strilli della ragazza in blu.
- Scendi dal piedistallo bellezza e fai attenzione a come parli: non ci metto nulla a rovesciare questo tè bollente direttamente sul tuo aristocratico visino. –
- Ragazze! Ragazze, smettetela! – fece Ichigo mettendosi tempestivamente tra le due, mentre Retasu prendeva Soledad per un braccio e la allontanava gentilmente dall’amica.
- Smettetela di litigare! Soledad, continua a fare quello che stavi facendo, stai andando alla grande; e tu Minto, vieni e dacci una mano, forza. – decretò Ichigo, cercando diplomaticamente di porre fine alla discussione.
- Puoi scordartelo! – urlò Minto in direzione della rossa, superandola e sparendo come una furia dalla porta sul retro, gli occhi lucidi di pianto.
- Vai, va’ a piagnucolare, così perdi altro tempo invece che lavorare! – le ringhiò dietro Soledad, mentre la porta veniva richiusa con forza. Dopodiché si liberò senza troppi complimenti della presa di Retasu e, afferrato il vassoio, tornò rabbiosamente al suo compito. Purin prese a scusarsi con i clienti, che avevano assistito increduli alla lite tra le due cameriere, mentre Ichigo scuoteva la testa sconsolata.
Kisshu, dal canto suo, aveva seguito silenziosamente la scena dalla sua postazione, decidendo di non intervenire. Non aveva messo in preventivo una reazione del genere da parte di Soledad, e la cosa non gli piaceva: non era per niente un buon inizio per una collaborazione. Sospirò e, quando pochi minuti più tardi Purin gli passò accanto, le mormorò di prendere il suo posto alla cassa. Così, Kisshu scivolò silenziosamente dietro al bancone e si avviò non in direzione di Soledad, ma del corridoio che conduceva alla porta dalla quale era fuggita Minto.
 
 
 
 
Kisshu uscì nel cortile sul retro, un venticello leggero che muoveva gentilmente i ciuffi dei suoi capelli verdi e il sole che riscaldava piacevolmente le sue membra. Si guardò intorno per alcuni secondi, prima di individuare Minto; la trovò ai margini del parco, seduta in maniera scomposta all’ombra di un albero, la schiena appoggiata al tronco e le gambe raccolte al petto. Si avvicinò lentamente alla ragazza, e il modo in cui il suo petto si alzava e abbassava velocemente gli fece capire che stava piangendo. Quando fu ad un metro da lei, Kisshu si fermò, schiarendosi la voce e pronunciando il suo nome.
- Minto. –
Nessuna risposta. La ragazza continuava a singhiozzare sommessamente, la testa bassa e le braccia che stringevano le ginocchia.
Kisshu decise allora di avvicinarsi e, senza proferire parola, si sedette di fianco a lei, appoggiando a sua volta la schiena al tronco dell’albero. Minto osservò i suoi movimenti con la coda dell’ occhio, senza però dar segno di voler parlare.
Kisshu attese in silenzio che i singhiozzi della ragazza si affievolissero, guardando con interesse i giochi di luce che i raggi del sole creavano tra le fronde, finché Minto non si decise a sollevare il capo, mostrando le guance rigate di lacrime.
- Mi spieghi che cosa sei venuto a fare? – domandò con voce decisamente acuta.
- Sono venuto a vedere come stavi. – spiegò Kisshu portando le braccia dietro alla testa e sistemandosi più comodamente al tronco. – Mi dispiace per quello che è successo tra te e Soledad, anche se non posso negare che quella ragazza abbia ragione. –
- Se sei venuto qui per farmi la paternale a tua volta puoi anche andartene! – strillò Minto in direzione dell’alieno, che non si scompose. – Sono anni che lavoro al locale e mi sono sempre comportata in questo modo! Questa è una copertura, non serve a nulla lavorare sul serio! L’unico motivo per cui siamo qui è tenere la situazione sotto controllo ed essere pronte a scattare alla luce di qualsiasi imprevisto! –
- Ma questo Soledad non lo sa. – puntualizzò Kisshu. – E comunque non sono qui per farti nessuna ramanzina; voglio semplicemente che tu e le altre ragazze andiate d’accordo con Soledad, dal momento che è una vostra compagna a tutti gli effetti. –
- No! – sbottò Minto – Lei non è una nostra compagna! Come puoi pretendere che io la veda come una nostra compagna? –
Kisshu serrò la mascella e strinse i pugni, cercando di reprimere la rabbia che stava iniziando a montare in lui.
- Minto, ascoltami bene, - ricominciò Kisshu tentando di parlare con molta calma, - Posso capire che Soledad non sia la persona più affabile del mondo, ma comincia ad entrare nell’ottica che faccia parte della squadra fino a che la verità non verrà svelata e sarà possibile riavere indietro Zakuro. –
- E’ proprio questo il punto! Come posso accettare che lei abbia preso il posto di Zakuro? Quella ragazza non mi piace, non ha niente a che fare con lei! Non posso pensare che sia lei, non ce la faccio! Sai bene quanto io fossi affezionata a Zakuro, quanto la adorassi! Come credi che io possa concepire quello che è successo? Col tuo ritorno mi aspettavo anche quello di Zakuro, e così non è stato! Non ne posso più di tutta questa faccenda, non ne posso più di star male, lo capisci?! –
Improvvisamente, Kisshu perse la pazienza, e ogni proposito di mantenere la calma se ne andò al diavolo. Urlando, l’alieno ruotò su se stesso, portandosi di fronte alla ragazza, e la sbatté con forza contro il tronco dell’albero. Afferrandola per le spalle prese a scuoterla con forza, mentre le unghie delle mani le graffiavano la pelle, aiutate dalla corteccia ruvida contro cui Minto veniva sbattuta.
- MALEDIZIONE MINTO! – le urlò Kisshu in faccia, sovrastandola col suo corpo – Ti rendi conto con chi stai parlando? Lo dici a me che tu hai sofferto per la sparizione di Zakuro? E io cosa dovrei dirti invece, eh?! –
Minto trattenne il fiato, le lacrime che avevano ricominciato a scorrerle sul viso, mentre fissava a occhi sgranati il suo interlocutore. Ora riconosceva il vecchio Kisshu, il temibile e folle Kisshu: i capelli verdi erano scompigliati e incorniciavano il suo volto diafano segnato da una vena pulsante proprio sopra la tempia. I canini affilati erano ben visibili attraverso le labbra sottili sollevate in un ringhio, e le mani dalle dita affusolate non accennavano a voler lasciare la presa sulle spalle della ragazza, dove, ne era sicura, sarebbero rimasti i lividi. Gli occhi dorati dell’alieno erano ora folli, spiritati, dalla pupilla verticale tipica dei felini; quella falce nera che navigava nell’ambra la terrorizzava.
- Ti sei mai chiesta come stessi io, invece? – continuò Kisshu, implacabile, afferrando il volto di Minto con una mano e sollevandolo, obbligandola a guardarlo negli occhi, mentre la teneva saldamente immobilizzata tra il suo corpo e l’albero. – Io, che ho dato la mia vita per lei, che ho tradito la mia gente e i miei ideali; io che l’ho amata più di qualsiasi altra cosa al mondo, più di me stesso; io, che ho passato cinque anni in giro per il mondo sulle sue tracce, che di notte sono tormentato all’idea di non averla più al mio fianco e che non mi do pace per non essere riuscito a tenerla con me, io che ho smesso di vivere nel momento esatto in cui sono stato privato dei suoi occhi, come dovrei stare?! –
- Kisshu, io… Ti chiedo scusa… - mormorò Minto tra i singhiozzi, terrorizzata dalla reazione dell’alieno. Lei non era stata mai toccata in maniera ravvicinata dalle esplosioni di collera di Kisshu.
- Le scuse non servono a niente! Vuoi sapere come mi sono sentito io in questi cinque anni, Minto? Lo vuoi sapere? –
- No Kisshu, io lo immagino… -
- No, tu non lo puoi nemmeno immaginare invece! Io ho perso tutto Minto, tutto: ho abbandonato qualsiasi cosa per Zakuro, il mio pianeta, mia madre, la mia gente pur di ritrovarla. Ho perso me stesso in questi anni, nella speranza di ritrovare lei! Ho impiegato ogni mio singolo sforzo per riuscire nella mia missione, ho speso tutte le forze che avevo per studiare piani efficaci. Non me ne fregava più niente, né di me né di nessun altro; io ho solo la spietata e dolce voglia di rivedere quegli occhi e tenerli con me ancora per un po’. –
E Minto tacque, mentre Kisshu le vomitava addosso tutto il suo rancore e la sua sofferenza.
Era stato prosciugato da ogni scetticismo, cinismo, sarcasmo, amarezza, ironia, autoironia, e da tutta la lucidità, coerenza e obiettività che avesse mai posseduto. Non aveva più niente di ciò che lo caratterizzava tranne la disperazione; di quella ne aveva in sovrabbondanza.
Minto non riuscì a reprimere un singhiozzo più forte degli altri, e questo parve risvegliare Kisshu; con lentezza disarmante, lasciò la presa sulla ragazza e si alzò in piedi, le mani strette a pugno. Rimase in quella posizione di fronte a lei, mentre respirava affannosamente, i capelli verdi che gli ricadevano ribelli sugli occhi; Minto, dal canto suo, era troppo scossa per rialzarsi. Lo guardava dal basso, senza curarsi della terra che le sporcava la divisa e dei tagli sulla schiena e sulle braccia. Ora scrutava quegli occhi, in cerca di un po’ di umanità.
- Kisshu, io… Non volevo dire quello che ho detto, mi dispiace. – iniziò Minto con voce incerta e spezzata dal pianto, - Non ho mai insinuato che tu non soffrissi per questa situazione. È solo che è tutto così difficile: la sparizione di Zakuro prima, e ora la guerra, gli attacchi, e non sappiamo nemmeno contro chi stiamo combattendo questa volta! Non so se ce la posso fare. –
Kisshu sollevò impercettibilmente il capo, e l’oro delle sue iridi incontrò il nocciola degli occhi di lei.
- Shirogane mi aveva detto che ti eri mostrata particolarmente restia all’idea di riprendere parte alle battaglie. Sai, quando al notiziario hanno trasmesso il vostro scontro con quel chimero, nella mia mente è balenato un pensiero: a cosa sarebbe servito tornare a Tokyo e combattere, per quale motivo avrei dovuto riprendere a lottare? D’altro canto erano passati diversi anni, avevo abbandonato il Mew Project da parecchio tempo. Poi il suo viso mi è ritornato in mente, ed io ero pronto per la guerra. –
Con queste ultime laconiche parole Kisshu distolse gli occhi dorati da quelli della Mew Mew, per poi tele trasportarsi via, lasciando una Minto tremante e piangente ai piedi dell’albero.

 
 
 
 
Angolo Autrice:
Salve a tutti lettori! Perdonatemi per il mio immenso (e solito) ritardo, ve ne prego.
Questa volta però spero di farmi perdonare, offrendovi un capitolo bello corposo. Mi interesserebbe parecchio conoscere i vostri pareri, dal momento che ho impiegato un po’ di tempo a scriverlo; purtroppo, non sapevo bene in quale maniera sviluppare questa parte della storia, e alla fine mi sono arresa a seguire l’ispirazione che mi assaliva man mano che scrivevo. Per questo non sono troppo convinta del capitolo, dal momento che non è troppo, diciamo, “ragionato”.
Fatemi sapere, per favore!
Un abbraccio forte,
Salice_ 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Così vicino, così lontano. ***


Così vicino, così lontano.





Il mattino seguente, Minto si ritrovava a spazzare le foglie secche via dall’ingresso del Caffè. Si arrestò per riprendere fiato, sbuffando sommessamente e sfiorandosi con aria assorta le braccia lasciate scoperte, dove rilucevano alcuni piccoli graffi, segni della furia cieca di Kisshu del giorno precedente.
In quel momento, la ragazza in blu avvertì lo scricchiolare del ghiaino alle sue spalle e si voltò per vedere chi si stesse avvicinando; con andatura fiera e risoluta, Soledad si dirigeva verso Minto, il busto eretto e le mani affondate nella tasca del grembiule da cameriera. Le braccia interamente tatuate creavano un forte contrasto fra la sua pelle e il viola della divisa.
Inconsciamente, Minto fece un passo indietro; la presenza di quella ragazza dal taglio di capelli maschile e dagli occhi impenetrabili non mancava mai di provocarle un brivido lungo la schiena.
La spagnola le scoccò un’occhiata che era un misto fra il divertito e lo sdegnoso, prima di proferire parola.
- Minto. –
Il suo solo nome, pronunciato da quella voce roca, le fece rizzare i peli sulla nuca.
- Che cosa vuoi? – rispose Minto con astio.
- Hey, riponi pure le armi! – esclamò Soledad fermandosi e esponendo teatralmente le mani in vista – Vengo in pace stamane. –
Poi proseguì, e questa volta il tono non aveva nulla di canzonatorio: - Sono qui per chiederti scusa. –
Minto rimase in silenzio, con l’espressione di chi ha appena ricevuto uno schiaffo senza alcun preavviso.
- Kisshu mi ha fatto capire di aver sbagliato a comportarmi in quel modo. – andò avanti Soledad, come se non avesse notato (o forse fingendolo) l’espressione di completo stupore della sua interlocutrice. – Anzi, ad essere sinceri mi ha urlato addosso, probabilmente sperando che in questa maniera fosse chiaro il concetto che devo farmi “i maledetti affaracci miei”, comportarmi da “persona civile” ed evitare di “rompere le palle al prossimo”.  –
- Classico di Kisshu. – si lasciò sfuggire Minto con amarezza, pentendosi quasi subito di aver abbassato la guardia con Soledad.
La corvina, dal canto suo, vide nella risposta di Minto una nota positiva che le fece sollevare impercettibilmente un angolo delle labbra carnose. – Mi dispiace per aver perso il controllo e so benissimo che, se voglio trascorrere del tempo con voi, devo adeguarmi e imparare a conoscervi. Non ricapiterà. –
Soledad concluse e, senza attendere risposta, si voltò e riprese la sua marcia in direzione del Caffè. Minto non richiamò la sua attenzione, ma un sorriso soddisfatto le stirò le labbra mentre assaporava quella che aveva tutta l’aria di sembrare una tregua. O forse qualcosa di più.
 
 
- E’ tutto? – mormorò Ryan passandosi una mano sugli occhi stanchi, la luce della lampada al neon che illuminava la sua chioma bionda.
- Temo di sì. – rispose Kei, esausto quasi quanto lui. – L’esito della ricerca è semplicemente il fatto che il DNA di Soledad corrisponde in tutto e per tutto a quello delle altre combattenti Mew Mew, ma non a quello di Zakuro, come se si trattasse di due persone differenti. Null’altro. –
Ryan sospirò sonoramente e Kei gli gettò un’occhiata laconica.
- Dopotutto, - proseguì il bruno – che cosa ci aspettavamo? –
- Non lo so Kei. –
Anche se, in realtà, sapeva benissimo in cosa sperava.
 
 
La settimana seguente trascorse in un’atmosfera rilassata, pervasa da una calma quasi irreale: le ragazze si davano da fare al Caffè tutti i giorni e Soledad non aveva più avuto scontri con nessuna di loro. Allo stesso tempo, non si erano verificati nuovi attacchi da parte di alieni.
Tutte le notti, Kisshu sprofondava nel matrimoniale che, anni prima, divideva con Zakuro, abbracciando non più la sua figura esile, ma la parte vuota ed insopportabilmente fredda del letto. Per lui era inaccettabile pensare a Soledad che occupava la cameretta dalle pareti verdi, ponendo una distanza straziante tra di loro.
Più di una volta, Kisshu provò l’impulso di abbandonare il suo letto e precipitarsi in camera di Soledad, per poter sentire nuovamente il calore della sua pelle e riassaggiare il sapore della sua bocca. Avrebbe voluto tanto scoprire se le sue dita diafane e affusolate erano ancora in grado di colmare il vuoto che si creava tra quelle di lei.
Ma non lo fece. Durante la terza notte che Soledad trascorse nella vecchia casa di Zakuro, Kisshu venne colpito da una nuova certezza, tanto ovvia quanto devastante: Soledad non lo amava. Capì che, nonostante fosse riuscito a trovare la ragazza che celava la sua amata, lei non era in grado di ricambiare il suo sentimento, e forse non ne sarebbe mai stata capace. L’amore che Zakuro provava per Kisshu non esisteva più.
Fu anche convinto, in un attimo di profonda disperazione, che sarebbe stato in grado di farla innamorare nuovamente di lui, così come anni prima era accaduto con Zakuro, in modo da poterla riavere indietro; lo sconforto, però, tornò in breve tempo ad abbattersi sull’alieno: per quanto tempo Kisshu aveva tentato di obbligare Ichigo a ricambiare il suo amore, così che lei accettasse di seguirlo sul suo pianeta?
Solo durante quella notte, Kisshu comprese appieno come sia impossibile obbligare una persona a provare un sentimento non spontaneo. Lo capì quella sera ed ebbe il timore di non essersi sbagliato durante i giorni successivi, quando gli occhi verdi di Soledad incrociavano i suoi con una scintilla amichevole nello sguardo. E lui continuava a fissarli quegli occhi verdi, inquieti, in cerca non più dello zaffiro che tanto amava, ma di una qualsiasi ancora di salvezza.
 
Era un pomeriggio in cui il locale era particolarmente affollato e le ragazze si facevano in quattro per servire al meglio tutti i clienti. Tra un servizio e l’altro, Soledad scambiava alcune battute con Ichigo e Purin, con le quali aveva cominciato piacevolmente a prendere confidenza.
Kisshu se ne stava placidamente seduto alla cassa, battendo svogliatamente gli scontrini e facendo tintinnare il registratore.
Ryan e Kei si trovavano nel laboratorio ad analizzare pigramente i filmati visti e rivisti delle battaglie trascorse in cerca di dettagli precedentemente sfuggiti, quando il monitor principale prese a lampeggiare con insistenza riscuotendo i due ragazzi dal loro torpore. Il radar aveva rivelato una presenza aliena nel pieno centro della città, dove era comparso un Chimero dalle sembianze di un grosso pitone viola dalla coda biforcuta, intento a seminare il panico.
- Dobbiamo mandare subito le ragazze! – fece Ryan alzandosi di scatto dalla sedia e dirigendosi a passo di marcia verso le scale, prima che la voce del compagno lo bloccasse.
- Ryan, aspetta! –
- Che c’è Kei? – domandò il biondo, una nota di malcelata impazienza nella sua voce.
- Dimentichi che c’è Soledad con le altre; lei non deve ancora venire a conoscenza di tutta questa storia. –
Ryan si passò una mano fra i capelli, esasperato. – E allora che cosa vuoi che faccia? Che attenda che quel mostro rada al suolo mezza Tokyo? –
Kei scosse la testa. – Basta che tu allontani Soledad con una scusa. Portala il più possibile lontana dal Caffè e dal luogo della battaglia, in modo che la squadra possa intervenire senza destare sospetti. – E poi aggiunse, anticipando la domanda di Ryan: - Ti seguirà, non preoccuparti. –
Pochi minuti dopo, Kei scivolò al fianco di Kisshu, sempre abbandonato con fare annoiato alla cassa, mormorandogli un rapidissimo ordine alle orecchie: - Ci attaccano. Ryan porterà via Soledad, non appena li vedi uscire fai in modo che tutti i clienti se ne vadano. –
Mentre Kisshu annuiva rapidamente alle parole del moro, pensò che forse si sarebbe dovuto sentire preoccupato per via della notizia: dopotutto, aveva appena ricevuto la notizia di uno scontro capitanato da un nemico sconosciuto. Nonostante ciò, però, la preoccupazione era forse l’ultima cosa che l’alieno provasse in quel momento.
Kisshu attese con impazienza di vedere Soledad, non più in divisa da cameriera, uscire dalla porta sul retro scortata da Ryan; dopodiché si alzò e convinse pacificamente i clienti a congedarsi dal locale. Una volta rimasti solamente lui, le quattro Mew Mew e Kei, quest’ultimo diede le direttive alla squadra, intimando di entrare in azione il più velocemente possibile.
- Forza, andiamo! – ringhiò Kisshu, un guizzo di furore negli occhi dorati e già pronto ad uscire dal Caffè, guadagnandosi però un’occhiata perplessa dai suoi cinque compagni.
- Ma scusami Kisshu, anche tu vuoi lottare? – chiese Ichigo, dando voce alla comune domanda inespressa.
L’alieno aggrottò le sopracciglia; una sottile ruga verticale si creò sulla sua fronte, in mezzo agli occhi dai tratti felini.
- Non mi pare che questa sia una grande novità Micetta. – rispose lui con sarcasmo, occhieggiando in direzione della leader.
Si sarebbe gettato nello scontro con rabbia, frustrazione, in maniera quasi disperata; forse così, con le armi e il sangue, avrebbe potuto alleviare quel senso di impotenza e oppressione che gli occludeva il petto.
E, mentre i volti delle quattro Mew Mew si aprivano in un soddisfatto sorriso complice, Kisshu estraeva i due vecchi nastri per capelli dalla tasca della divisa.
 
 
 
- Puoi ricordarmi per quale assurdo motivo stiamo procedendo a piedi? – sbuffò Ryan con una vena di irritazione, calciando distrattamente un sassolino sul marciapiede; Soledad, che ora camminava di fianco a lui, le mani affondate in maniera noncurante nelle tasche dei jeans strappati, lo fulminò con lo sguardo: si era rifiutata di salire sulla moto di Ryan, cosa che lui aveva profondamente disapprovato. “Avremmo impiegato molto meno tempo ad allontanarci se soltanto fosse voluta salire su quella dannata moto.”
- Te l’ho detto Shirogane: o sono io a guidare, o non salgo su nessun veicolo a due ruote. –
Ryan scoppiò a ridere di fronte alla naturalezza della risposta di Soledad.
- Ah, è fuori discussione che io lascia guidare la mia moto ad una donna. –
- Maledetto misogino. – soffiò Soledad con tono forzatamente offeso, scoccando un’occhiata divertita al suo interlocutore – Al contrario, penso che potrei tranquillamente darti alcune utili lezioni di guida. –
- Quando vuoi bellezza. – rispose Ryan stando allo scherzo ed abbandonandosi ad un’altra risata.
Si stavano dirigendo verso la baia di Tokyo e i pensieri del biondo continuavano a tornare alla battaglia in corso a kilometri da loro.
La voce calda della spagnola riportò bruscamente il giovane al presente.
- Per quale motivo di punto in bianco hai deciso di concedermi un pomeriggio libero con tanto di guida turistica? – scherzò ancora lei, strappando l’ennesimo sorrisetto all’americano.
- Per il semplice fatto che non mi piacerebbe procurarti eccessivo stress; in più, penso ti sia utile iniziare a conoscere la città. – rispose il biondo lasciandosi cadere su di una panchina di ferro che dava proprio sul molo. Soledad lo imitò, sedendosi sulla sua destra. Appoggiò la caviglia destra al ginocchio sinistro e si abbandonò contro lo schienale. Dopodiché prese a frugare nelle tasche dei jeans, estraendone un pacchetto di sigarette mezzo accartocciato.
- Non sapevo fumassi. – buttò lì Ryan guardandola incuriosito.
Soledad estrasse con i denti una sigaretta dal pacchetto. – Solo una volta ogni tanto. –
La accese ed aspirò una profonda boccata; soffiò poi via il fumo con fare assorto, lo sguardo che vagava lungo il profilo del porto di fronte a loro. Ryan a sua volta rimase in silenzio, studiando ogni tanto la ragazza con la coda dell’occhio; Soledad si portava lentamente la sigaretta alle labbra, mentre una lieve brezza le scompigliava i capelli color della pece sulla fronte. Lo sguardo del biondo in quel momento cadde inevitabilmente sulle sue braccia tatuate, e per un momento volle domandarle che cosa significassero per lei. Ma fu solo un momento che passò in fretta e Ryan ricordò di quando l’aveva vista sulla soglia dell’appartamento di Kisshu, tremante e fradicia di pioggia che le colava a gocce dai capelli lungo il collo sottile. Anche Zakuro, parecchi anni prima, aveva lasciato che la pioggia la tormentasse mentre lei, seduta su di una panchina con un ombrello chiuso al fianco, si domandava per quale motivo Kisshu l’avesse abbandonata. Si ricordò di come avesse trovato fragile Soledad nel momento in cui il suo sguardo si era soffermato sui suoi abiti bagnati, appiccicati alla pelle di lei, e sulla sua fronte appoggiata alla spalla dell’alieno. Gli sembrava quasi strano immaginare che il frutto della maledizione di una donna spregevole come Cordelia potesse essere così umano. Ma in quel momento, su quel molo, tutto ciò che Ryan riusciva a scorgere era una donna che aveva innalzato prontamente una barriera attorno a se stessa, con la sua postura spavalda, lo sguardo assorto e il viso rivolto alle increspature della corrente. Con quell’osservazione, pensò anche che sarebbe stato tremendamente difficile tirare fuori Zakuro da lei.
Gli sembrava quasi che ci fosse qualcosa che gli sfuggiva, un concetto così terribilmente afferrabile ma incomprensibile appieno; in quel momento, però, Soledad attirò la sua attenzione spegnendo la sigaretta sotto la suola e rivolgendogli un sorrisetto mesto.
- Sei sempre di poche parole Shirogane? – domandò lei affabile.
Il ragazzo sorrise suo malgrado, gli occhi azzurri ora rivolti di fronte a sé, verso un punto imprecisato dell’orizzonte. – Oh sì, assolutamente. Come te d’altro canto mi pare di notare. – Le labbra di Soledad si incresparono in un sorriso furbo, e Ryan continuò cautamente: - Sai, per certi versi mi ricordi parecchio una mia vecchia amica: anche lei molte volte sembrava isolarsi, come se avesse pensieri molto più importanti, che andavano oltre il qui ed ora. Ma con lei quei minuti trascorsi in silenzio non avevano un peso, al contrario: lei riusciva a farti avvertire la sua vicinanza senza dover dire una parola o muovere un dito, essendoci semplicemente. – Ryan sospirò, prima di concludere: - Ho sempre pensato fosse una cosa bellissima. –
- Dovevate avere un gran bel rapporto. – osservò la corvina.
- Era qualcosa di complesso da spiegare. –
- Ciò mi fa capire che ora non è più la stessa cosa…? –
Ryan sospirò nuovamente. – Purtroppo no; non ci vediamo da parecchio tempo ormai. –
- Mi dispiace. – iniziò Soledad, per poi domandare: - Avete litigato? –
Malgrado tutto, Ryan si ritrovò a sorridere. – Non precisamente. Diciamo solo che alcuni eventi della nostra vita ci hanno portati a separarci e non riesco ancora a capacitarmi di quanto sia successo. So soltanto che mi porto dentro un grande rimpianto. –
Il biondino si voltò e notò che Soledad stava prestando lui tutta la sua attenzione; sinceramente interessata, gli gettò uno sguardo come per spingerlo a continuare.
- C’è una cosa che non le ho mai detto, ma solo ora mi rendo conto di quanto mi avrebbe fatto sentire meglio esprimermi a tempo debito. –
- Eri innamorato di lei? – incalzò Soledad, nel tentativo di tirargli fuori le parole a forza.
- No, assolutamente no. – Ryan abbassò lo sguardo sulle proprie mani, - Avrei solo voluto farle sapere che lei era la cosa più vicina ad una sorella che io avessi mai avuto. –
Ryan non sapeva con precisione per quale motivo si ritrovasse a parlare di tutto ciò, soprattutto con Soledad; paradossalmente però, aver appena fatto quella confessione proprio a lei lo fece sentire di colpo più leggero, come se fosse appena riuscito a regolare un conto rimasto in sospeso da troppo tempo.
E Soledad, con i capelli scuri che le ricadevano sugli occhi a causa della brezza marina, rimase in silenzio ad assorbire le parole di quel ragazzo enigmatico del quale continuava a fissare il profilo.

 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice:
Salve a tutti. Comincio col dire che ho esaurito le parole per scusarmi per i miei soliti ritardi, anche se quest’ultimo immagino sia stato il peggiore. Come avevo scritto ad alcuni lettori, cercando di rassicurarli sullo stato della storia, ribadisco che non ho alcuna intenzione di lasciarla incompiuta, nonostante la mia imperdonabile e duratura assenza dal fandom. Sono sempre stata abituata a portare a termine tutto ciò che inizio, e questa serie non fa alcuna eccezione, anzi: ci sono troppo legata per poter anche solo minimamente pensare di abbandonare. Anzi, durante questi mesi ho avuto alcune illuminazioni sulla trama e sull’impostazione dei capitoli, illuminazioni che hanno quasi stupito anche me stessa (è bello il fatto che io mi faccia enormi monologhi…!)
In ogni caso, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, nonostante non presenti avvenimenti sbalorditivi a livello di suspense o altro, ma io lo trovo molto introspettivo e, come ben sapete, amo dedicare paginate alla psicologia contorta dei personaggi. Tralasciando ciò, volevo spostare la vostra attenzione su alcuni punti, o più precisamente similitudini (le amo parecchio):
- il paragone che si ritrova a fare Ryan fra Soledad e Zakuro, entrambe abbandonatesi sotto la pioggia battente in un momento di estrema umanità dei due personaggi femminili;
- la confessione finale di Ryan. Se ricordate bene, nel finale di IL LATO OSCURO DELLA LUNA Zakuro, nel momento in cui attende che si compia il suo destino e di offrirsi in sacrificio a Cordelia, tra la lista di cose che non potrà mai fare prima di morire c’è esattamente questa: far sapere a Ryan che è la cosa più simile ad un fratello che lei abbia mai avuto.
Bene, con questo penso di aver detto tutto. Spero che siate ancora interessati alla storia, nonostante tutto il tempo trascorso. Nel caso così non fosse, probabilmente non potrei biasimarvi.
Un abbraccio forte,
Salice_

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Nodi. ***



Nodi.







Quel giorno i corti capelli corvini erano estremamente ribelli e sembravano aver alcuna intenzione di stare al loro posto; Soledad, di fronte allo specchio del bagno, continuava a passarsi le mani affusolate fra le ciocche, cercando inutilmente di dar loro un senso logico, ma niente: quei lisci fili di seta nera continuavano a ricaderle ostinati sugli occhi color smeraldo. Ormai arresasi all’idea di dover mantenere, almeno per quel giorno, un tale aspetto scombinato, la ragazza cominciò ad osservare il suo riflesso nello specchio. Al suo sguardo rispose quello vigile e corrucciato di una giovane donna dai lineamenti scavati, dal volto rigido e freddo, ostinato. Le labbra carnose erano contratte sotto ad un naso sottile, privo di gobbe, che conferiva al suo profilo un portamento fiero e autonomo; gli occhi verdi, quella mattina, parevano particolarmente inquieti, così incorniciati da folte ciglia scure e sormontati da sopracciglia aguzze che rendevano il suo sguardo ancora più freddo ed indagatore di quanto in realtà non fosse.
Soledad fece un passo indietro per poter gettare una rapida occhiata alla sua figura intera riflessa nello specchio, prima di voltarsi ed abbandonare la camera dalle pareti verdi. Erano ormai alcune settimane che si trovava a Tokyo, ospite a tempo, a quanto pareva, indeterminato, presso casa di Kisshu. Kisshu: i pensieri della giovane si soffermarono per un istante su di lui mentre attraversava la sala e si abbandonava su di una sedia accanto alla finestra, guardando distrattamente al di fuori del vetro. Kisshu non aveva fatto accenno all’idea di tornare in Spagna e la giovane dovette ammettere che la cosa non le pesava più di tanto: in fin dei conti aveva perso qualsiasi tipo di contatto da quando era partita e sembrava quasi che tutto ciò avesse una motivazione più che valida. In effetti, da quando si trovava a Tokyo aveva avuto una serie lunghissima di deja vu, quella sensazione paradossale di aver già vissuto un determinato momento della propria vita. Molte persone si divertivano a definirle come un segno del destino, una maniera per far capire che la vita stava seguendo il giusto corso. Purtroppo, Soledad non credeva né nel destino né in nient’altro che lei stessa non potesse vedere con i suoi occhi.
Mentre si abbandonava a quelle considerazioni, decise di controllare a che punto fosse il suo amico Kisshu; quel giorno il turno mattutino al Caffè Mew Mew era saltato per motivi apparentemente ignoti, ma Soledad non se ne preoccupò più di tanto; la cosa più importante era recuperare qualche preziosa ora di sonno perduto.
Fu così che la giovane spagnola si ritrovò ad abbassare la maniglia della porta della stanza di Kisshu; entrando, non vi trovò nessuno all’interno, nonostante un rumore di acqua scorresse al di là della porta del bagno. Solo in quel momento, una volta varcata la soglia e richiusasi la porta alle spalle, Soledad si rese conto di non essere mai entrata nella stanza da letto di Kisshu, nonostante la loro convivenza. Il ragazzo occupava una stanza piuttosto grande, nella quale regnava un grande letto matrimoniale; le lenzuola erano scostate e aggrovigliate sul lato sinistro, come se l’occupante si ostinasse a dormire sempre e solo da quella parte, lasciando il destro perfettamente intatto e inviolato. Le pareti della camera tendevano all’azzurro pallido, e tutto dava un’idea di pace e tranquillità.
L’acqua della doccia continuava a scorrere dietro alla porta del bagno, e Soledad, vestita di un pantaloncino corto grigio e una canotta bianca, si lasciò cadere sul lato sinistro del matrimoniale, in attesa che Kisshu fosse pronto.
Abbassando lo sguardo, notò alcuni sottili capelli verdi abbandonati sulla federa del cuscino, segno inequivocabile del passaggio di Kisshu; la giovane si stupì nel provare un improvviso moto di affetto nei confronti di quel ragazzo che le era stato silenziosamente vicino nei momenti più bui, come se fosse le cosa più naturale del mondo, fino a trascinarla con sé dall’altra parte del mondo pur di farle dimenticare un passato doloroso.
L’acqua scorreva imperterrita dietro alla porta chiusa, e lo sguardo di Soledad cadde involontariamente sul comodino affianco a lei; questo era completamente spoglio, fatta eccezione per un’unica foto incastonata in una sottile cornice argentata. La fotografia ritraeva un Kisshu, naturalmente di parecchi anni più giovane, con indosso un pullover nero e un berretto di lana grigio dal quale fuoriuscivano ribelli i capelli scuri. Il giovane cingeva tra le braccia la figura snella e perfetta di una ragazza bellissima: ella aveva lunghi capelli scuri che le incorniciavano il viso, labbra carnose e occhi stupendi, color zaffiro. Quella donna misteriosa fissava l’obiettivo con uno sguardo penetrante, capace di mettere in soggezione, mentre un sorriso solamente accennato le increspava le labbra scure.
Soledad rimase ancora per un lungo istante a fissare la fotografia, folgorata dalla bellezza della ragazza.
Allora dev’essere lei Zakuro, la fidanzata di Kisshu. Caspita, quanto è bella! È incredibile che dopo tutti questi anni, lui abbia ancora la sua foto sul comodino.
Lo sguardo di Soledad si concentrò nuovamente sull’immagine di Kisshu; il ragazzo appariva estremamente sereno, diversamente da come la spagnola lo conosceva. In quella foto di parecchi anni prima, nessuna ombra sembrava attraversargli il viso.
Soledad senza accorgersene aveva preso la cornice tra le mani per osservarla meglio ed era così concentrata da non essersi accorta che il rumore dello scorrere dell’acqua era cessato.
- Bello scatto, vero bambolina? –
La voce suadente di Kisshu fece sobbalzare Soledad, che si voltò verso di lui con aria colpevole.
Il ragazzo era lì, in piedi di fronte a lei, i capelli verdi ancora lievemente bagnati dai quali piccole gocce d’acqua si staccavano per poi scorrere lungo il suo petto nudo; indosso aveva solamente un asciugamano beige legato in vita.
- Kisshu scusa, io non volevo farmi gli affari tuoi… Io… - iniziò Soledad, per poi interrompersi.
Kisshu si stava avvicinando lentamente a lei, lo sguardo indecifrabile: in quegli occhi dai tratti felini non riusciva a trovare un qualsiasi segnale che le facesse intuire il suo stato d’animo.
Lui stava colmando la distanza che lo separava da Soledad, e lo sguardo di lei ricadde nuovamente sul suo fisico atletico, sui sottili muscoli guizzanti. E quella cicatrice che gli squarciava il torace: chissà come se l’era procurata. Kisshu era sempre stato molto evasivo riguardo ai segni delle sue ferite.
Kisshu aveva ormai raggiunto il bordo del letto. Senza dire una parola, si sedette vicino a Soledad e le tolse gentilmente di mano la cornice; dopo aver gettato una rapida occhiata alla fotografia, la riappoggiò al suo posto sul comodino.
- Scusami… - ricominciò Soledad, prima di essere interrotta.
Kisshu le si avvicinò ancora, sfiorandole dolcemente la guancia con le sue dita affusolate, depositandovi una carezza leggera. Sempre nessun indizio nel suo sguardo.
- Non preoccuparti, non ci sono problemi. – la rassicurò lui, sollevando un angolo della bocca in un sorrisetto, - Finalmente hai potuto vedere Zakuro. –
La mano di Kisshu aveva abbandonato la guancia di Soledad, per fermarsi sulla sua spalla. Lei, dal canto suo, continuava a fissare quegli occhi dorati, incerta su che cosa dire; non riusciva a capire se Kisshu fosse infastidito dalla sua invadenza o meno.
Quasi le avesse letto nel pensiero, Kisshu esordì: - Non sono arrabbiato per averti trovata nel mio letto a curiosare in camera mia. Ti capisco, sai? Anche io sono sempre stato un ragazzo curioso. –
Soledad, tranquillizzata da quelle parole, buttò lì: - Era una ragazza veramente bella. –
- Oh sì, lo so. Bella, forte ed intelligente. Alle volte mi chiedo ancora che cosa l’abbia spinta ad innamorarsi di me a sua volta. –
Kisshu sì alzò dal letto e Soledad, senza pensarci, fece lo stesso, prendendo la mano dell’alieno e alzando lo sguardo sul volto diafano di Kisshu. Finalmente, riuscì a leggervi un’emozione: una tristezza infinita, un oceano di malinconia si agitavano nell’oro dei suoi occhi.
- Vuoi parlarmene? – mormorò Soledad, stringendo più forte la sua mano fredda.
Kisshu le prese allora il volto fra le mani, sistemandole dietro le orecchie alcune ciocche di capelli neri. Fece poi un passo verso di lei, senza interrompere il contatto visivo. Oro dentro smeraldo.
- Non è di questo che ho bisogno. –
Le soffiò quelle parole sul viso, data la loro distanza ravvicinata, mentre Soledad era incatenata dal suo sguardo, nuovamente imperscrutabile.
I capelli verdi del ragazzo gocciolavano ormai sulle spalle della giovane spagnola, la quale era investita da un odore fresco, di mare, di libertà, che emanava dalla pelle diafana di lui.
Kisshu fissò le labbra di Soledad, come se fossero le ultime parole di una lettera d’addio.
Poi la strinse a sé, fra le sue braccia, lo zigomo destro premuto contro i fini capelli corvini di lei. Soledad ricambiò l’abbraccio, mentre avvertiva il cuore del giovane accelerare i battiti.
Kisshu sospirò fra i capelli di lei, rafforzando la presa sulla sua figura esile e mormorando: - Dannazione. –
La liberò così dal suo abbraccio, per poi superarla dirigendosi in direzione della porta.
- Ti consiglio di prepararti: Ryan non ci risparmierà anche il turno pomeridiano. –
 
 
 
In quel preciso momento, le quattro ragazze Mew Mew si stavano recando nel laboratorio sotterraneo del Caffè; avevano appena sventato un nuovo attacco alieno.
Dopo che tutte e quattro furono all’interno della stanza, Ryan si rivolse loro: - Bravissime ragazze, ottimo combattimento. –
- Grazie Ryan, - ribatté Minto con stizza, - ma per quanto ancora dovremmo continuare a lottare contro un nemico senza nome né volto? –
Ryan e Kei, malgrado tutto, si scambiarono uno sguardo d’intesa e sorrisero.
- Ecco, questo è uno dei motivi per cui vi ho convocate qui. –
Un mormorio eccitato si diffuse nel sotterraneo.
- Abbiamo notizie sul nostro nemico? – domandò Purin entusiasta.
- Non esattamente. – rispose Kei, prima di schiacciare un bottone e far partire un filmato.
Sul gigantesco monitor alle spalle dei due scienziati, comparve l’immagine di quelli che erano inequivocabilmente due alieni.
Uno, il più giovane, aveva capelli castani ribelli e scompigliati che gli ricadevano sugli occhi vivaci color ambra; indossava un gilet nero senza maniche, pantaloni rossi fino al ginocchio e bende marroni su caviglie ed avambracci.
Il secondo alieno, alto e dal portamento fiero, portava gilet e pantaloni lunghi blu scuro, con bende nere; le braccia muscolose erano incrociate sul petto, mentre gli occhi viola scrutavano di fronte a sé. I capelli, viola anch’essi, erano molto lunghi e legati in un sottile treccia che gli ricadeva sulla spalla destra.
- Non posso crederci… - mormorò Retasu, mentre il resto della squadra tratteneva il fiato.
- Buonasera Mew Team. – esordì Pie con il suo proverbiale tono austero. – Vi mandiamo questo brevissimo messaggio per avvisarvi del nostro arrivo sul vostro pianeta; contiamo di essere da voi nel giro di una settimana. Abbiamo notizie che riguardano il nemico che sta seminando il terrore a Tokyo, ma comunicarvele via ologramma sarebbe troppo rischioso per noi. Per questo motivo, intendiamo raggiungervi e, se necessario, prendere parte allo scontro al vostro fianco. Vi preghiamo di non rispondere a questo messaggio. Non cercateci, saremo noi a venire da voi. –
Dopo una pausa di Pie, il filmato si interruppe, nonostante Taruto, non visto dal fratello maggiore, avesse fatto in tempo a rivolgere un occhiolino divertito all’obiettivo.
Quando il monitor tornò nero, le Mew Mew si lasciarono andare ad affermazioni entusiaste. Sembrava che, poco a poco, il Mew Team si stesse ricomponendo e che il velo di oscurità gettato su quel nemico misterioso cominciasse a dissiparsi.
 
 
 
Dopo l’incursione in camera di Kisshu e l’episodio della fotografia sembrava che per il giovane dai capelli verdi nulla fosse cambiato; Kisshu continuava a mantenere il suo solito temperamento gioviale e affettuoso nei confronti della sua ospite spagnola, ma la sua reazione di quella mattina aveva innestato in Soledad un chiodo fisso che non riusciva a togliersi: scoprire qualcosa in più su quella Zakuro.
Kisshu pareva non aver intenzione di rivelare nulla in più di quanto non avesse già fatto in precedenza e Soledad non voleva forzarlo a narrare nei dettagli la sua storia.
Voleva sapere che cosa in realtà fosse capitato, perché lo avesse abbandonato anni fa e per quale motivo Kisshu non fosse in grado di staccarsi dal suo ricordo.
Soledad aveva anche pensato di chiedere qualcosa in più a Ryan, ma comunicare con quel ragazzo, alle volte, le pareva impossibile: dopo sporadiche confidenze, sembrava crearsi attorno un muro invalicabile che la tagliava fuori.
Per questo motivo, Soledad quel giorno, dopo aver staccato dal lavoro, si stava attardando nello spogliatoio del Caffè, in attesa che Ichigo fosse pronta e che le altre tre ragazze se ne andassero.
Finalmente, Retasu, Minto e Purin salutarono in coro e si richiusero dietro la porta, lasciando Soledad sola con Ichigo.
La spagnola le si avvicinò mentre la rossa era intenta a riporre la divisa da cameriera nell’armadio, ed esordì: - Hey Ichigo! Non ho voglia di andare a casa adesso, ti andrebbe di fare una passeggiata? –
Ichigo le rivolse inizialmente un’occhiata incuriosita, per poi aprirsi in un ampio sorriso.
- Sì, volentieri! –
E così le due ragazze si avviarono assieme fuori dal Caffè, in direzione del parco.
Parlare con Ichigo era molto piacevole: era una ragazza solare e spontanea, che sapeva coinvolgerti in qualsiasi discorso.
Dopo quasi un’ora di chiacchiere leggere e spensierate, Soledad si sentì pronta a porre la sua domanda.
- Invece scusa se te lo chiedo Ichigo, non vorrei sembrare una che non sa farsi gli affari suoi, ma vorrei sapere una cosa. – buttò lì.
- Certo, chiedi pure. –
- Vorrei sapere qualcosa in più riguardo alla storia fra Kisshu e Zakuro. –
Ichigo sgranò gli occhi. – Come mai? – chiese sulla difensiva.
- Nessun interesse in particolare, - chiarì Soledad, - Solo che Kisshu mi ha raccontato a grandi linee che cosa sia successo e mi ha detto poi che lei è sparita senza lasciare alcuna traccia. Quello che in realtà vorrei capire è il motivo per cui lui sia così legato a questa ragazza. –
Ichigo sospirò, calciando distrattamente un sassolino dal selciato. Il silenzio che seguì fece capire a Soledad che la rossa stava soppesando attentamente le parole.
- Kisshu e Zakuro si sono conosciuti molti anni fa, in circostanze piuttosto particolari. – iniziò lentamente Ichigo – Penso non potessero essere due persone più diverse: lui così energico, testardo, a tratti irascibile; lei così fredda, distaccata e analitica. Eppure, non si sa come, si sono innamorati follemente l’uno dell’altra. Non è stata una storia semplice, al contrario: potrei paragonarli a due calamite, che si attiravano ma non sapevano mantenersi vicini. All’inizio, sembrava avessero paura di tenersi l’un l’altro. Uno se ne andava, ma l’altro non perdeva mai la speranza di riaverlo. Era come se allontanandosi prendessero semplicemente la spinta per ritornare indietro con più forza di prima. –
- E per quale motivo avrebbero dovuto comportarsi in questo modo? – chiese Soledad.
- Un amore così forte, alle volte fa paura. –
- Ma perché Kisshu ora sembra non riuscire a rassegnarsi al fatto che sia finita? Sono passati così tanti anni! – insistette Soledad.
Ichigo la guardò mentre camminavano fianco a fianco, un sorriso che le stirava le labbra rosee.
- Kisshu non è il tipo che si rassegna facilmente. Lui la rivuole indietro. – Poi aggiunse, guardando dritto di fronte a sé: - E anche noi la rivogliamo. –
E questa frase fece finalmente capire a Soledad che Zakuro non aveva lasciato Kisshu volontariamente: evidentemente, era stata costretta a farlo.
- Non avete la più pallida idea di dove sia andata? –
Ichigo scosse la testa, guardando a lungo Soledad negli occhi verdi. – No, non lo sappiamo. L’unica certezza che abbiamo è che lei non avrebbe mai e dico mai abbandonato Kisshu. Non lo avrebbe mai fatto, a meno che non avesse avuto un motivo più che valido per non esserci. –
Tutto ciò non aveva fatto altro che aumentare la confusione nella mente di Soledad. Che sia stata costretta dalla propria famiglia? Che l’abbiano ricattata, minacciata o addirittura rapita? Troppe cose non tornavano, ma ora Soledad poteva capire che cosa ci fosse di tanto struggente in quella storia: era stato tutto dettato da una scelta obbligata.
- Tu pensi tornerà mai? –
- Lo spero, ma non posso dirlo con certezza. –
- E credi che Kisshu, rivedendola, la accoglierebbe di nuovo a braccia aperte dopo tutto questo tempo? –
Ichigo sorrise nuovamente.
- Di questo ne sono sicura. –
 
 
 
 
- Sono stanca di questa situazione, quando potremo entrare veramente in azione? –
- Abbi pazienza, mia cara: sai benissimo che finché non avremo individuato tutte e cinque le combattenti non servirebbe a nulla palesarci. –
- Ma sono mesi ormai che agiamo nell’ombra, in una situazione di stallo; non ne posso più! –
- Ascoltami, manca pur sempre una Mew Mew all’appello: quella che si dice sia la più forte, colei che, anni fa, sconfisse Deep Blue. Lei ci serve. Fino a quel momento, abbiamo le mani legate. –
 
 
 
 
 
Soledad osservava Kisshu muoversi freneticamente per casa; quella sera il ragazzo sembrava turbato da qualcosa.
- Sei sicuro che vada tutto bene? – domandò lei, mentre Kisshu continuava a passare dalla sala alla camera da letto, come se ogni volta si ricordasse di aver dimenticato qualcosa di importante nella stanza adiacente e tornasse indietro a recuperarlo.
- Certo, certo. Tutto alla grande, non ti preoccupare. – rispose lui passandole davanti come una furia e dirigendosi a passo di marcia verso la porta d’ingresso. Quando aveva già una mano sulla maniglia, aggiunse: - Ryan mi ha chiamato all’ultimo momento per chiedermi di dargli una mano a sbrigare alcune faccende. Non preoccuparti, farò in fretta. –
- Sei sicuro che non vi serva una mano? –
- Oh no, assolutamente, sono cose da uomini, non preoccuparti. Ora devo proprio andare, ci vediamo dopo bambolina. –
Kisshu, dopo aver tagliato corto, varcò la soglia sbattendosi la porta alle spalle.
Era evidente che fosse di fretta; a quanto pareva, doveva trattarsi di qualcosa di molto importante.
Ad ogni modo, Soledad decise di non preoccuparsene. Stava ormai calando la sera, Kisshu stava certamente percorrendo la strada che lo separava da Ryan come una furia e Soledad decise di aspettarlo comodamente sdraiata sul divano davanti alla TV.
Dopo alcuni minuti di zapping, durante i quali non riuscì a trovare nessun canale che attirasse la sua attenzione, si bloccò sulle immagini di un notiziario locale.
La telecamera riprendeva una zona che riconobbe essere poco distante da casa di Kisshu: l’asfalto era squarciato in più punti e diversi punti lungo i marciapiedi stavano andando a fuoco. Al centro della scena, torreggiava una figura che sembrava avere fattezze umane, ma queste erano difficilmente identificabili a causa della lunga tunica nera lacerata in più parti e dell’ampio cappuccio che ricadeva su di un volto immerso nell’ombra, un volto completamente nero, senza occhi né bocca.
La telecamera, dopo aver inquadrato il mostro, tornò a concentrare la sua attenzione sull’inviata, che stava riassumendo la situazione con tono concitato.
- Fortunatamente, - stava dicendo – il Mew Team è appena comparso sulla scena. Ora non ci resta che sperare che riesca a risolvere la situazione anche questa volta. –
Soledad, dalla sua posizione sul divano, sgranò gli occhi: le Mew Mew in città, a pochi isolati da lei, intente a combattere contro uno di quei nemici misteriosi che aveva potuto conoscere solo grazie ai notiziari o ai racconti di altre persone.
Furono la curiosità nei confronti di quell’assurda situazione e la prospettiva di poter assistere con i propri occhi ad un fenomeno che lei stessa aveva sempre giudicato “impossibile” a guidare Soledad fuori di casa, in direzione del luogo dello scontro.
La giovane percorse la distanza che la separava dal quartiere lambito dalle fiamme di corsa, con i polmoni che parevano andare a fuoco. Una volta giunta sul luogo dello scontro, si mescolò ad una folla di curiosi, che osservava la battaglia a distanza di sicurezza.
Quella che doveva essere, secondo i racconti popolari, la leader del gruppo, con un vestitino rosa e capelli dello stesso colore, stava colpendo il mostro tramite la sua arma a forma di cuore. Le altre tre ragazze le davano manforte, coordinando perfettamente i loro attacchi in modo da farli convergere contro la figura maligna.
Soledad si ritrovò a trattenere il fiato di fronte alla scena: era rimasta alquanto spiazzata da quando il notiziario spagnolo aveva trasmesso, tempo fa, le scene di una delle molte battaglie combattute a Tokyo, ma ora trovarsi lì, nel bel mezzo dello scontro, era qualcosa di incredibile. Soledad, sempre così razionale, stentava ancora a credere di trovarsi a poca distanza da quattro ragazze, dai tratti per metà umani e per metà animaleschi, fasciati in abiti colorati e intente a combattere contro una creatura ripugnante e misteriosa.
La giovane si ritrovò così a seguire lo spettacolo col fiato sospeso, spostando l’attenzione dalla ragazzina in giallo che saltellava a terra armata di quelli che sembravano essere due tamburelli, spalleggiata da una ragazza in verde munita di nacchere, alla combattente vestita di blu che si librava in aria grazie a due minuscole alucce azzurre scoccando frecce a ripetizione contro il nemico.
L’ombra, nel mentre, contrattaccava lanciando potenti raggi di luce viola contro le Mew Mew; ogni qualvolta sbagliava mira, incendiava inevitabilmente i vari oggetti che si trovavano sulla sua traiettoria.
Soledad si era fatta largo fra la folla, in modo da trovarsi in prima fila e da poter assistere allo scontro in maniera più ravvicinata. Sentiva ora come una scarica di adrenalina che le attraversava la colonna vertebrale, fino a provocarle brividi sulla nuca e costringere le sue mani a chiudersi a pugno.
Il mostro lanciò uno dei suoi fasci di luce mortiferi in direzione della Mew Mew in verde, la quale era stata disarmata pochi secondi prima e non aveva, quindi, possibilità di difendersi. Mente la folla si apriva in un urlo di terrore di fronte all’impotenza della combattente, una figura indefinita si diresse in volo verso la giovane paladina, afferrandola saldamente per la vita e traendola in salvo appena in tempo.
In un sospiro di sollievo collettivo, il quinto arrivato adagiò la Mew Mew dal lato opposto della strada e, dopo averle mormorato qualcosa all’orecchio, si voltò scagliandosi in direzione del mostro. A differenza delle altre quattro, quella era senza dubbio una figura maschile: lo si capiva dal fisico asciutto fasciato negli abiti scuri e dai muscoli prestanti che si gonfiavano sulle braccia fasciate da insoliti nastri marroni. I capelli verdi del ragazzo erano acconciati in due codini bassi che gli ricadevano sensualmente ai lati del collo. Quel nuovo personaggio era molto diverso dalle altre quattro combattenti: oltre ad essere un uomo, si librava nell’aria nonostante fosse sprovvisto di ali e non presentava i tratti animaleschi che contraddistinguevano la squadra Mew Mew.
Fu proprio questa presenza misteriosa a decidere le sorti della battaglia, dando il colpo di grazia al mostro. Invocò dal nulla due Sai e, volando in direzione del nemico, li unì in modo da formare una sfera di energia che scagliò senza pietà contro l’avversario, che si dissolse all’istante, piegato dalla ferocia dell’attacco.
La folla si aprì finalmente in applausi, mentre le quattro Mew Mew, euforiche, correvano in direzione del misterioso ragazzo che aveva militato al loro fianco. Questo si asciugò distrattamente la fronte con un avambraccio, i due temibili Sai ancora stretti fra le mani, mentre un sorriso soddisfatto gli increspava le labbra sottili, lasciando scoperto un canino appuntito.
Fu proprio in quel momento che il giovane si voltò e Soledad incrociò i suoi occhi color dell’oro.
Lo sguardo del ragazzo mutò nel giro di una frazione di secondo, passando dall’espressione compiaciuta ad una di sorpresa, fino ad arrivare ad un’aria sconvolta. Le sue labbra pallide sillabarono un’imprecazione decisamente poco signorile.
Mentre la polizia si impegnava a disperdere la folla e ad occuparsi dei pochi feriti, Soledad sostenne lo sguardo di quello che era inconfondibilmente Kisshu. Gli abiti potevano anche essere insoliti e i capelli acconciati in maniera bizzarra, ma il volto appuntito, gli zigomi sporgenti, gli occhi dai tratti felini di quel color dorato erano inconfondibilmente i suoi. Lui perse la presa sui Sai, che gli caddero dalle mani.
Soledad, senza riflettere, si avviò in direzione di Kisshu, che continuava a fissarla con sguardo vacuo, mentre alle sue spalle si erano radunate le quattro Mew Mew, che la fissavano a loro volta.
- Kisshu. – si limitò a dire Soledad con voce incolore quando fu ormai a pochi passi dal ragazzo.
- Merda. – soffiò lui, senza distogliere gli occhi dorati dai suoi verdi, l’ansia impressa in maniera evidente nei suoi lineamenti.
Kisshu tentennò, dopodiché si decise a colmare la distanza che lo separava da Soledad.
Una volte giunto di fronte a lei esordì dicendo: - Soledad, ma cosa ci fai qui? –
- Non penso che potrei rivolgerti la stessa domanda? – sputò lei.
Kisshu si morse il labbro inferiore, i canini affilati bene in vista. Lo sguardo corrucciato era semi coperto dai capelli verdi che gli ricadevano sugli occhi, mentre quelli raccolti nei codini da due nastrini rossi gli accarezzavano le spalle, muovendosi nella lieve brezza della sera. Il suo corpo atletico era fasciato da un gilet corto che lasciava scoperto il busto, sul quale troneggiava la grande e misteriosa cicatrice circolare; i pantaloni neri, a vita bassissima, mettevano in evidenza le sue anche ossute. I Sai, abbandonati alcuni metri dietro di lui, scomparvero nel nulla. Kisshu si portò, evidentemente a disagio, una mano dietro alla testa; dopodiché domandò, forse più a se stesso che a Soledad: - E ora come te lo spiego? –

 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice:
Salve a tutti!
Mi dispiace per aver tardato così tanto ad aggiornare: purtroppo, mi ero promessa di portare a termine tutti i miei impegni universitari prima di riprendere in mano questa storia, ma finalmente sono qua.
Be’, intanto ringrazio tutti coloro che hanno recensito il capitolo precedente: non mi aspettavo foste così in tanti a continuare a seguire la mia long e questo mi ha veramente fatto provare una stretta al cuore. Prometto che nei prossimi giorni risponderò a tutti, ma ora il mio desiderio primario è pubblicare il nuovo capitolo (e magari andarmene anche a dormire vista l’ora…).
Passando al capitolo vero e proprio: so che non è nulla di emozionante, questo ok, ma mi spero di essermi fatta ricompensare dando un colpo di coda alla trama della storia. Finalmente sembra che Soledad debba conoscere una parte della verità che le era stata nascosta fino a quel momento, nonostante sia venuta a conoscenza della situazione in maniera un po’ brusca, ma vedremo prossimamente come Kisshu e compagnia se la caveranno con le spiegazioni.
Inoltre a breve torneranno a far parte del racconto Pie e Taruto! Personalmente, a me come autrice sono mancati parecchio, Pie in particolare.
Avviso anche che attenderò domani o dopodomani per mandare gli avvisi di aggiornamento ai lettori che me l’hanno concesso, anche perché mi si stanno letteralmente chiudendo gli occhi.
Voi forza, fatemi sapere che cosa ne pensate di questo nuovo capitolo, avanzate ipotesi, quello che volete!
Un abbraccio forte,
Salice_

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2103043