Still believe in magic?

di sognatrice99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Primo capitolo. ***
Capitolo 3: *** Secondo capitolo. ***
Capitolo 4: *** Terzo capitolo. ***
Capitolo 5: *** Quarto capitolo (ed epilogo). ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***




Call it magic
call it true
call it magic when I'm with you
and I just got broken
broken into two
still I call it magic when I'm next to you
-Coldplay, Magic

I was just guessing at numbers and figures
pulling your puzzles apart
Questions of science
science and progress
do not speak as loud as my heart.
- Coldplay, The Scientist

Prologo.

Non ci credeva. Quel sentimento di dolore misto al desiderio di chiudere definitivamente col mondo, quel sentimento che pensava di non poter più provare, dato che ormai doveva averci fatto l'abitudine per quante volte l'aveva provato in passato, era tornato ad assalirla, potente, inesorabile, rude. E sentiva che qualcosa dentro di lei si stava rompendo - o forse era già rotto - per mano sua, per mano di quel ragazzo dal sorriso sincero, per mano di entrambi forse, oppure per colpa del caso solamente. Sorrise tra sé amaramente: pensava che il caso fosse come una libreria, che ti poneva una serie illimitata di romanzi, e tu decidevi cosa prendere e portare a casa; da quel momento, stava a te decidere se affezionarti a quel libro, se odiarlo, se portarlo con te fino alla fine della tua esistenza oppure se liberartene appena ti era possibile farlo. E il caso aveva deciso che in quella libreria di quel lontano autunno incrociasse lo sguardo intelligente e affamato di scoperte di quel ragazzo solitario nella sezione Scienze, che sembrava essere preso da un mondo tutto suo, con un saggio di Astronomia in mano. Lo scambio di sguardi durò un attimo, impossibile da notare se non da lei, che per un momento si dimenticò del motivo per cui era lì, puramente lavorativo, o quasi.
Aveva deciso per quel terzo anno a Londra di smettere di ricevere parte del contributo pecuniario che riceveva dalla sua famiglia in Irlanda del Nord, e di trovare un lavoro per pagare l'affitto dell'appartamento dove viveva in quel momento: il primo semestre aveva provato ad alloggiare nei dormitori che l'università offriva, ma non aveva sentito il cameratismo che era solito esserci tra i corridoi; così aveva deciso, dopo le insistenze dei suoi genitori, di affittare un appartamento non troppo distante dall'università. Era riuscita ad accettare l'ennesimo aiuto dei suoi genitori per un anno e mezzo, fino a quel momento, poi aveva deciso di sfruttare i suoi studi riguardanti la letteratura inglese e il suo amore per i libri, per cercare un lavoro come commessa in una delle librerie non troppo lontano dall'University College London.
-E' lei la signorina Delilah Smith, per il colloquio? -chiese la signora appena arrivata al bancone. Delilah si girò e la osservò brevemente: sorriso cordiale, sulla mezz'età come aveva immaginato quando aveva chiamato per il colloquio, occhi che esprimevano l'amore per il proprio lavoro.
-Sì, sono io. -rispose lei, prendendo poi la mano che la proprietaria della libreria le aveva porto dopo la sua conferma e stringendogliela brevemente.
-Piacere di conoscerla. Potrebbe seguirmi da questa parte?-indicò la porta di quello che Delilah supponeva fosse il suo ufficio.
-Certo.
-Hayley, io e la signorina avremo un colloquio ora. Pensaci tu al bancone. - disse la signora, rivolgendosi alla ragazza che stava riordinando i libri, poi chiuse la porta del suo ufficio. Delilah respirò. Forza.
 
 
Quando Delilah uscì dall'ufficio in cui aveva sostenuto il suo primo colloquio lavorativo, sorrise, all'idea che dall'indomani avrebbe cominciato a lavorare il pomeriggio.
-Ti auguro una splendida esperienza lavorativa. -disse la signora Dixon, che era passata al tono informale dopo aver appreso che la nuova commessa poteva essere sua figlia.
-Grazie mille, signora Dixon. A domani, allora.
-A domani.
Delilah, nonostante desiderasse rimanere lì per guardare i libri appena usciti, si diresse verso la porta che da quel giorno le sarebbe stata familiare; prima di uscire, però, si ricordò di quello sguardo che l'aveva sorpresa, e lo cercò, quasi inconsapevolmente. Non trovandolo, scrollò il capo, uscì e si diresse verso casa, pronta a tornare sui libri, dove avrebbe scoperto, quella sera, di voler trovare il ragazzo della libreria, sezione Scienze.

 

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Capitolo 2
*** Primo capitolo. ***




Primo capitolo.

 
Delilah scoprì con sollievo che il suo nuovo impiego non ostacolava i suoi studi, anzi la aiutava a ripassare ciò che doveva sapere per ottenere, finalmente, la laurea tanto agognata sin dal liceo. In poco tempo riuscì ad abituarsi a quel lavoro che le procurava soddisfazione e che le sembrava tutto tranne un mezzo per guadagnare.
Ogni tanto le capitava di buttare lo sguardo verso la sezione Scienze, mentre cercava un libro richiesto, era al bancone o sistemava gli scaffali, ma non vi era alcuna traccia di quel ragazzo che presumeva fosse uno studente come lei, anche se non di Letteratura: leggeva quei saggi, a quanto aveva potuto vedere, come lei leggeva i libri di inizio Ottocento, con un amore che si poteva provare solo per una persona.
Ricordò con un sorriso il commento che aveva fatto sua zia prima che lei partisse: "quando troverai qualcuno, dovrà lottare contro la letteratura per il tuo amore!". Fino al giorno del suo colloquio, Delilah era riuscita a non seguire ciò che per le sue coetanee era normale: l'istinto di cercare e mettersi col primo ragazzo che passava per strada pur di non vivere in solitudine. Dopo il periodo tempestoso che aveva passato in Irlanda, aveva faticato a riprendersi e a schiudersi a persone che non avevano secondi fini, ma quel dubitare degli sconosciuti avrebbe sempre fatto di lei, anche se riusciva a gestire il sospetto e tentava di essere solare, come si era scoperta grazie a Éile (Ayla) e Máire (Marie): quelle ragazze erano riuscite a far uscire il suo lato migliore e a mostrarle la luce che c'era nella vita. Dopo aver visto quello sguardo, però, era curiosa di conoscerne il proprietario. Delilah dovette aspettare un mese prima rivedere quel ragazzo che entrò mentre lei stava sistemando i nuovi libri sugli scaffali. Si accorse della sua presenza quando, dopo aver finito, lo vide dirigersi verso di lei.
-Posso aiutarti? -gli chiese, sorridendogli.
-Sì, vorrei iniziare a leggere dei classici inglesi, ma non la più pallida idea da dove cominciare.
-Beh, ci sono vari generi anche nella letteratura inglese classica, che preferisci?
-In realtà non saprei, non sono solito leggere romanzi, sono più per la saggistica. Cosa mi potresti consigliare?
-Credo che Dickens potrebbe andar bene al tuo caso, ha scritto alcuni romanzi che descrivono piuttosto bene la società del 1800.  David Copperfield dovrebbe essere un buon inizio.
-E se invece volessi leggere un qualcosa di diverso?
-Mh... dipende da cosa intendi per "diverso".
-Tu che cosa consiglieresti, in generale, ad una persona che vorrebbe leggere un classico inglese?
Delilah iniziò a massaggiarsi l'interno della mano con le dita dell'altra, pensandoci attentamente.
-Il primo titolo che mi viene in mente è Jane Eyre.
-Allora vada per Jane Eyre. -disse il ragazzo, sorridendo.
-Vado a prenderlo. - disse Delilah, andando nella sezione Classici e prendendo il libro che aveva letto quando era poco più che un'adolescente e che era nella lista dei suoi libri preferiti da un decennio. Sperò che il ragazzo abituato a tutt'altro genere non trovasse strano quel mondo di cui lei si era innamorata perdutamente; la categoria maschile era solita giudicare quel libro, o i romanzi di Jane Austen, come libri per ragazzine, senza nemmeno provare a leggerli. Forse non erano libri propriamente neutrali, ma erano comunque bei romanzi, ricchi di emozioni e di ironia, nel caso di Austen, e non solo amore di qua e amore di là.
-Ecco qua. -disse, tornando col libro dal ragazzo che nel frattempo era rimasto accanto alla scaletta, pensieroso.
-Posso leggere la trama?
-Certamente. - annuì Delilah, porgendogli il libro e guardando il suo volto, leggermente ansiosa, mentre lui iniziava a scorrere con gli occhi le poche righe sul retro.
-Va bene?-chiese lei, un po' timorosa.
-Voglio vedere che cosa combinerà Jane. - rispose il ragazzo, alzando gli occhi e abbozzando un sorriso.
Delilah tornò a respirare normale, poi si diressero verso il bancone.
-Buona lettura, allora. -disse Delilah, consegnandogli lo scontrino.
-Ti farò sapere. A presto!- disse il ragazzo, uscendo dalla libreria.
-Hey Deli.- disse Hayley, uscendo dal magazzino con uno scatolone di libri appena arrivati. Era il giorno delle consegne allora, pensò Delilah.
-Hey Hayley, nuovi libri? - indicò la scatolone.
-Sì, ma li sistemo io, non ti preoccupare. Piuttosto... è strano che quel ragazzo che hai appena servito compri romanzi, di solito entra per vedere se ci sono nuovi saggi scientifici, la maggior parte delle volte ne compra qualcuno, e poi esce. Non ha mai comprato altro, fino ad ora.
-Magari voleva sperimentare. - suppose Delilah. - Viene spesso qui?
-Non con una determinata frequenza, delle volte si fa vivo due volte alla settimana, altre dopo due mesi, però va sempre in sezione Scienze. Mi aiuteresti con lo scatolone? Non sento più le braccia. - disse Hayley, tentando di posizionare meglio lo scatolone tra le braccia, inutilmente. Delilah la aiutò, poi insistette per aiutarla a sistemare i libri, finché non arrivò l'ora di chiudere il negozio.
Una settimana dopo, Delilah non pensava certo che avrebbe trovato, entrata in libreria per iniziare il suo turno, il ragazzo a cui aveva consigliato Jane Eyre, ad aspettarla poco distante dalla porta. Quando la vide entrare, lui le rivolse un cenno di saluto, che Delilah ricambiò, prima di andare a sistemare la borsa e il cappotto.
-Hai già finito il libro? -chiese, vedendo che quel ragazzo era ancora lì.
-Sì, e volevo ringraziarti per avermelo consigliato, è sorprendente.
-Mi fa piacere. - rispose Delilah, sorridendo.
-Ti disturberei se ti chiedessi di consigliarmene un altro?
-Affatto!  Lo vuoi sempre su questo genere oppure...
-Scegli tu.
E per un mese, ogni settimana, come un appuntamento non stabilito, Delilah trovò il ragazzo della sezione Scienze che voleva leggere qualcosa di diverso pronto a leggere qualsiasi libro lei gli avrebbe consigliato. Al quinto libro, però, quel ragazzo non le chiese quale libro potesse ancora consigliargli, ma le porse una domanda che lei non si sarebbe mai aspettata.
-Più tardi hai qualcosa da fare?
Delilah trattenne lo sguardo di sorpresa, mentre rispondeva: - No.
-Ti andrebbe di bere un tè con me ad un bar qui vicino, quando hai finito il turno qui?
-D'accordo, finisco verso le sette.
-Deli, puoi finire anche prima, è una giornata piuttosto monotona, resto io qui, non ti preoccupare. -disse Hayley, comparendo al fianco di Delilah, con un sorriso incoraggiante.
-Sei sicura, Hay? Magari appena esco arrivano flotte di studenti, bambini...
-Delilah, vai, ci penserò io in tal caso. - rispose la commessa, come se si chiedesse ancora perché quella ragazza che si era rivelata, oltre che simpatica, un aiuto prezioso in libreria fosse ancora lì.
-D'accordo... Vado a prendere alcune cose e arrivo. - capitolò l'irlandese, che venne seguita da Hayley, che appena furono sole, disse: -Certo non mi aspettavo un tè, però ce ne ha messo di tempo per chiederti di uscire!
-Magari è astemio. - rispose Delilah, alzando le spalle, mentre si avvolgeva il collo con la sciarpa. In realtà era rimasta leggermente sorpresa, pensava che gli studenti inglesi, invece di sorseggiare con aria formale del tè mentre discorrevano di argomenti  decisamente meno formali, andassero nei pub a bere boccali e boccali di birra. Meglio così, pensò poi, almeno non devo giustificare la mia preferenza verso gli analcolici.
-In ogni caso, ti auguro una buona serata. - disse Hayley, mentre Delilah si dirigeva verso il ragazzo che era rimasto ad aspettarla.
-Grazie Hayley, buon lavoro!
Ed uscirono, avvolti dal venticello di quella prima settimana di novembre.
-Come stai, Delilah? -chiese il ragazzo, pronunciando il suo nome in un modo che da quel giorno lei avrebbe riconosciuto ovunque.
-Abbastanza bene, grazie... tu sai il mio nome, ma non è reciproco.
-Sono Peter.
-Beh Peter, oggi avevi voglia di un tè al posto del solito libro? - chiese Delilah, in un principio di risata.
-Potrei dire che mi ero stufato di leggere di gentiluomini che si fanno avanti e non cercare di conoscere colei che mi consiglia libri di cui avevo bisogno, quindi eccomi, anzi, eccoci qui mentre andiamo non a Pemberley ma ad un bar dietro l'angolo, spero vada bene lo stesso... - rispose Peter, abbozzando un sorriso.
-Da quanto non leggevi qualcosa che non fosse un saggio?
-In realtà fino ad ora, escluso questo mese in cui ho deciso di leggere anche dei romanzi, ho letto pochi libri che non c'entrassero con argomenti scientifici, e in periodi piuttosto lontani l'uno dall'altro.
-E frequenti un'università qua a Londra?
-Sì, la UCL, lì studio Matematica ed Astronomia, tu invece?
-Vado anch'io lì, anche se studio Lingua e letteratura inglese.
-Dovevi studiare qualcosa che riguardasse i libri.
-Perché?
-Sai la prima volta che ci siamo visti nella libreria? Credo tu fossi lì per il colloquio.
-Sì... - affermò Delilah, sorpresa.
-Non avevi il tipico sguardo di chi va a fare un colloquio giusto per ottenere un lavoro. Dallo sguardo si capiva che ami profondamente i libri, provi un amore nei loro confronti che forse puoi provare solo per una persona. Sai, la libreria è sulla strada per la biblioteca; i giorni successivi, mentre ci andavo, mi son fermato pochi attimi davanti alla vetrina della libreria, e ho potuto confermare l'impressione che ho avuto su di te quando ti ho vista sistemare i libri sugli scaffali, li guardavi e li riponevi con cura. E poi te ne intendi di libri, l'ho sperimentato sulla pelle. Entriamo? -disse Peter, aprendo la porta del locale.
-Grazie. - rispose Delilah, entrando mentre lui teneva la porta aperta.
-Ci sediamo qui?- chiese il ragazzo, indicando un tavolino vicino alla finestra, per poi ricevere un assenso.
La cameriera che prese gli ordini rimase sorpresa, era abituata a servire a ragazzi come quei due clienti alcolici di ogni tipo, e ora stava dicendo a nessuno in particolare di preparare due tè. Talmente immersa nel suo stupore, non si era accorta che c'era solo lei; quando se ne rese conto, rise della sua sciocchezza, per poi prendere il bollitore e gli infusi.
 
 
Delilah si alzò dal pavimento su cui si era seduta dopo essere scivolata lungo il muro dopo aver chiuso la porta di casa, sopraffatta dai sentimenti. Cercò con lo sguardo l'orologio che Peter le aveva regalato il Natale appena passato: segnava le undici, e lei aveva, nonostante tutto, bisogno di lui. Scosse la testa, poi decise di farsi del tè. Questa volta, però, non ci sarebbe stato Peter, che era ora troppo occupato con la fisica per vedere che stavano andando a rotoli. O magari a rotoli sto andando solo io. Si mise a cercare una tazza, facendo attenzione a tenerla saldamente per non farle fare la fine delle sue compagne, che ora erano cocci da qualche parte della città, invisibili. Io proteggo questa tazza dal diventare tanti cocci, ma chi protegge me? Mise la tazza sul tavolo, poi aprì l'armadietto e cercò la scatola delle bustine, e notò senza pensarci che il loro tè preferito, il tè preferito di Peter, era finito.
-Dannazione. - esclamò tra sé. Chiuse l'armadio, uscì dalla cucina lasciando tutto com'era, prese le chiavi che aveva abbandonato sul tavolino, il portafoglio e lasciò quell'appartamento, sperando di trovare un supermercato aperto.
 
 
Quando la cameriera arrivò con i due tè fumanti che alla fine era riuscita a preparare, i due ragazzi si erano ormai dimenticati del tè, talmente presi da una conversazione che stava colpendo vari fronti. Fu Delilah a ricordare a Peter della loro intenzione di bere quella bevanda calda quando la cameriera si presentò al loro tavolino con le due tazze, e appena se ne andò, continuarono a parlare. Parlarono per tutto quel che rimaneva del pomeriggio e la sera, e se qualcuno li avesse visti dalla vetrina, avrebbe detto che si conoscevano da sempre, non avrebbe potuto immaginare che la loro conoscenza, rimandata ad oltranza, era ora appena iniziata.
L'amore di Peter verso le materie scientifiche era cominciato sin da quando era ancora piccolo, era talmente intenso che l'aveva presto spinto a farsi regalare i saggi che poteva comprendere; delle volte era così immerso in quelle pagine a colpo d'occhio incomprensibili che sua madre doveva staccarlo a forza dalla scrivania quando giungeva la cena, o almeno così gli aveva raccontato sua madre, ricordò Peter con una risata. Questa passione non gli aveva negato le amicizie, ma era impossibile svegliarlo dalla dimensione scientifica quando ne era completamente sopraffatto. Nonostante ciò, Delilah avrebbe più tardi deciso di continuare la sua conoscenza con lo scienziato. Peter aveva preso la decisione di cominciare a leggere periodicamente un classico della letteratura inglese sia per curiosità, sia perché sua madre voleva che parlasse di qualcosa che potesse comprendere durante le cene di Natale, e sia perché, a detta di un suo amico, Brian, si conquistavano le ragazze carine se si parlava di letteratura, ed era ora che Peter ne conoscesse qualcosa. A questo entrambi sorrisero imbarazzati, per poi scoppiare a ridere.
-Mia madre però si può dire felice.
-Perché?
-Ho imparato a suonare la chitarra qualche anno dopo essermi innamorato della scienza, è il mio secondo amore. Almeno può dire che non ha un figlio totalmente insensibile, amo suonare e ascoltare la musica, in particolare quella elegante e leggera, che volteggia in ogni dove ma se non hai la mente occupata, riesci a notarla e ad apprezzarla, e in un attimo tutto cambia, il noioso diventa interessante, e la vita acquisisce un senso. Mi comprendi?
-Perfettamente. Comunque credo che tua madre si sbagli, amare la scienza, la matematica non rende per forza una persona insensibile, e se ti sentisse parlare così, capirebbe che sei tutto il contrario di ciò che lei crede tu sia.
-Ti ringrazio. Tu, invece?
Lei raccontò dell'Irlanda del Nord, sua madrepatria che aveva abbandonato per inseguire un amore più grande, quello per la letteratura, e che l'aveva spinta ad iscriversi all'University College London; i suoi avevano tentato di convincerla a rimanere a Belfast, ma, per quanto Delilah amasse vivere lì e l'idea di non svegliarsi in quel luogo la spaventasse, il scappare da ciò che voleva realmente la inquietava ancora di più. Così, un mese prima che iniziassero i corsi, era saltata sul primo volo disponibile, poiché era ansiosa di vedere i luoghi che avrebbero fatto parte di ciò che sarebbe stata la sua nuova quotidianità. Appena si fosse laureata, era intenzionata a visitare il Regno Unito, ritornare in Irlanda e valutare se restare lì oppure cercare la sua vera casa; in quel momento le bastava il suo lavoro in libreria. Oltre all'amore verso i libri, amava la musica inglese, poiché era calma e rassicurava e, nei momenti più disperati, era tutto ciò che serviva oltre ad una buona tazza di tè.
Decisero di andare alla ricerca di un pub per cenare, non avendo intenzione di rinunciare alla compagnia che l'altro offriva, ma vedendo che tutti i pub dei dintorni erano affollati, si fermarono per strada, indecisi sul da farsi.
-Hai qualche idea?-chiese Peter, voltandosi verso Delilah.
-Possiamo comprare qualcosa ad un take-away e poi andare a casa mia, se ti va.
- Brian mi ha parlato di un take-away gestito da italiani non troppo distante da qui, possiamo prendere la cena lì.
-D'accordo allora!
Camminarono per qualche minuto, poi entrarono nel locale non troppo affollato; quando arrivarono al bancone, avevano già deciso per due pizze margherita, e Delilah non permise a Peter di pagare anche per lei. -Sai, non siamo neanche distanti dal mio appartamento; è strano che io non abbia mai notato questo locale mentre andavo in libreria o all'Università.
-In effetti è abbastanza difficile notarlo.
-Eccoci qui. - disse Delilah, estraendo le chiavi e facendo strada a Peter fino al suo appartamento, di cui aprì la porta e aspettò che il ragazzo la attraversasse prima di chiuderla. Delilah appoggiò i cartoni sul tavolo in salotto, poi si tolse la sciarpa e il cappotto, e li appese; così fece Peter.
-Vado a prendere dei bicchieri e dei fazzoletti, tu fai come se fossi a casa tua.
Quando tornò, vide che Peter stava osservando la sua libreria.
-Hai trovato qualche libro interessante?
-Strano che tu abbia Dal big bang ai buchi neri.
-L'argomento mi incuriosiva, anche se da quanto ho capito, secondo alcuni è troppo semplificato.
-Ha risposto alle tue domande?
-Alle domande che avevo ai tempi in cui l'ho letto, sì, ma più passa il tempo e più ho nuovi quesiti.
-Beh, potresti rivolgerti a me. Vorrei ricambiare il favore.
-Lo farai. - assicurò Delilah. - Mangiamo?
Quando finirono di mangiare, Delilah si ricordò che aveva fatto una torta al cioccolato quella mattina: per miracolo non aveva lezione e aveva deciso di cucinare qualcosa per la sera e per la mattina dopo. Chiese a Peter se ne volesse un pezzo, al che il ragazzo acconsentì. Andò seguita dallo scienziato in cucina, dove prese il necessario per mangiare finalmente il dolce.
-Se non fossi un amante del cioccolato, me ne sarei innamorato stasera, è la torta più buona che io abbia mai mangiato! -si complimentò Peter.
Delilah gli lanciò uno sguardo scettico, che spinse il ragazzo a dire: -Non sto scherzando.
-Decido di crederti. Grazie.
-Non c'è di che. Credo che ora troverò qualsiasi scusa per venire a casa tua a reclamare la torta al cioccolato.
-E così adesso sono la tua sforna-torte?-disse Delilah, ridendo.
-Beh, potrei venire qui non solo per le torte e per i libri. - replicò Peter, diventando serio. -Ho visto certi vinili in salotto...
-Ah, piantala! -esclamò Delilah, riprendendo a ridere dopo il leggero colpo ricevuto in seguito all'improvvisa serietà del ragazzo.
-Non sto scherzando, hai certi trentatre giri che non si trovano più, neanche nei negozi di musica più longevi; trentatre giri per cui farei follie. Conosci qualche negozio di cui sono all'oscuro?
-Mio padre quando era giovane collezionava vinili, avrebbe potuto fare follie, come te, per ottenere un trentatre o un quarantacinque che gli mancava; alcuni dischi li ha ascoltati insieme a me, in qualche modo mi ha contagiata. Quando sono partita, ha insistito affinché prendessi i vinili che più amavo.
-Ti manca? -chiese Peter, ora serio.
-Un po', ma è quella mancanza che non ti fa star male. E tu, come ti sei appassionato ai vinili?
-Stessa tua storia. Abbiamo dei genitori collezionisti che spingono i propri figli a fare follie, eh?
-Non ho ancora ucciso nessuno per un vinile, e nemmeno mio padre. - disse Delilah, fingendo serietà.
-Nemmeno io. -replicò il ragazzo, mantenendo lo stesso tono.
-Vuoi un'altra fetta di torta?
-La prenderei volentieri, ma sono a posto.
Delilah allora si alzò, tagliò una fetta e la mise su un piatto di plastica, per poi metterci su un altro piatto di plastica. Peter la guardò interrogativo.
-Non credo riuscirò a mangiarla tutta da sola, e ho pensato che essendoti piaciuta la torta, avresti gradito averne un pezzo per domattina.
-Tu sei troppo gentile.
-Nah, bisogna nutrire gli amanti del cioccolato. -disse l'irlandese, sorridendo, mentre prendeva le stoviglie sporche e le riponeva nel lavello: le avrebbe lavate più tardi. Nel mentre Peter aveva acquisito un'espressione pensierosa, lo sguardo e la mente chissà dove. Ad un certo punto disse: -Forse ora devo andare. - e per sottolineare queste parole, si alzò.
-Sai come raggiungere il dormitorio da qui?
-Certo.
-Oh, okay. Ti accompagno alla porta, allora. - disse Delilah, prendendo il pezzo di torta destinato alla mattina dopo di Peter.
Guardò Peter vestirsi, una parte di lei desiderosa che rimanesse, un'altra che si chiedeva cosa le stesse succedendo.
-Grazie mille per la serata e per la torta. - disse Peter.
-Grazie a te.
Il ragazzo stava per afferrare la maniglia quando si fermò, si girò verso la ragazza e piantò i suoi occhi verde scuro in quelli di lei, e notò che erano di un nocciola caldo sbalorditivo.
-Domani hai qualche impegno importante? -disse, veloce, per paura di bloccarsi.
- No, ho la giornata libera. -rispose lei, altrettanto rapida.
-Verresti al parco con me?
-Okay, a che ora?
-Va bene se passo da te verso mezzogiorno? Possiamo prendere dei panini da qualche parte e mangiare al parco, che ne dici?
-Okay, allora... a domani.
-A domani. - disse Peter, avvicinandosi e lasciandole un bacio leggero sulla guancia.
-Buonanotte -aggiunse, andandosene e lasciando Delilah paralizzata ed emozionata. Si accorse che era ancora davanti alla sua porta, aperta, quando la sua vicina, che era uscita un attimo, chiese: -Signorina, tutto bene?
Delilah sbatté gli occhi, la guardò stranita per un attimo, poi rispose: -Sì, sì grazie. Buona serata. - e chiuse la porta, la mente già proiettata sull'indomani.
 

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Capitolo 3
*** Secondo capitolo. ***


Secondo capitolo.

Avevano appena finito di ridere alla battuta di lui, o forse di lei, impossibile da ricordare, dopo tutto stavano ridendo da tempo indefinito. Probabilmente se qualcuno fosse passato di lì, li avrebbe presi per pazzi.
-Suono qualcosa, c'è qualche probabilità che nessuno si lamenti se passasse di qua. - disse Peter, prendendo la chitarra che aveva appoggiato all'albero dietro di loro. Prese ad accordare la chitarra, poi disse tra sé:-Che cosa posso suonarti? Ah, sì, c'è questa canzone a cui ho pensato subito quando Hayley ti ha chiamata per nome.
-Vai. - lo incoraggiò Delilah, incuriosita.

"Hey there Delilah
What's it like in New York City?
I'm thousand miles away
But girl, tonight you look so pretty
Yes you do
Times Square can't shine as bright as you
I swear it's true
Hey there Delilah
don't you worry about the distance
I'm right there if you get lonely
give this song another listen
close your eyes
listen to my voice, it's my disguise
I'm by your side
Oh it's what you do to me
Oh it's what you do to me
Oh it's what you do to me
Oh it's what you do to me
What you do to me"

Peter terminò la canzone.
-Bravo!-esclamò Delilah.
-Grazie mille. - rispose lo scienziato.
-Chi ti ha insegnato a cantare e suonare così?
- Un'amica di mia madre. - rispose Peter,  pizzicando leggermente alcune corde, lo sguardo sulla chitarra.
-Ehi, tutto bene?-chiese Delilah, cercando i suoi occhi, avendo avvertito il tono del ragazzo cambiare. 
-Sì, è solo che... ogni tanto mi dà fastidio che mia madre abbia tentato di distogliere la mia mente dalla scienza. E' parte di me, e lei continua a non accettarlo anche tutt'ora. E' come sapere che hai deluso le aspettative di una persona che ami, lei si aspettava che io scegliessi un'altra strada.
-E' naturale che i genitori reputino una certa strada "giusta" per i propri figli, ma alla fine siamo noi che dobbiamo andare all'università, dobbiamo studiare, dare gli esami, cercare un lavoro, e credo che bisognerebbe mettere al primo posto i desideri dei figli, non le aspettative che ci si è fatti quando i figli erano piccoli. Non credo che tua madre desidererebbe vederti triste mentre studi Giurisprudenza o altro. E poi la scienza non è un fattore che influisce sulla sensibilità della persona, se qualcuno è insensibile non è certo perché studia Fisica!
-Forse teme che mi prenda a tal punto da non permettermi una vita sociale... e non sarebbero neanche preoccupazioni insensate, è una facoltà abbastanza impegnativa, ma ciò non mi impedisce di stringere rapporti. Se vedesse che ora sono qui, con te, in un parco, credo si preoccuperebbe di meno. - sorrise infine Peter, per poi tornare alla chitarra.
Delilah stava ripensando a sua madre che credeva avrebbe scelto una strada rivolta verso la scienza ma che aveva accettato la sua scelta del proseguire con gli studi di letteratura quando sentì delle note familiari uscire dalla chitarra di Peter. Ed inconsapevolmente si ritrovò a canticchiare le parole che pensava aver dimenticato.

"I have climbed the highest mountains
I have run through the fields
Only to be with you
Only to be with you
I have run I have crawled
I have scaled these city walls
These city walls
Only to be with you
But I still haven't found
What I'm looking for
But I still haven't found
What I'm looking for..."

Aveva una voce strepitosa, pensò Peter, mentre strimpellava le note della canzone dei U2. Alzando lo sguardo, vide come la ragazza che aveva cominciato a conoscere la sera prima ma con cui si sentiva così bene fosse presa da quella canzone, e decise di proseguire a suonare, spingendola quindi a cantarla tutta.
E sarebbe stato per sempre ad ascoltare la sua voce e la musica che le sue stesse dita producevano.
Armonia, ecco cosa una persona, passando per lì, avrebbe avvertito, ecco cosa avvertivano la studentessa irlandese di Letteratura inglese e lo studente di Matematica e Astronomia, ecco cosa non pensavano di aver cercato da quando si erano allontanati dalla sicurezza del nido familiare, ma che avevano appena trovato.


Armonia, tè, Peter, non sapeva cosa stesse cercando mentre faceva la strada che portava al supermercato aperto ventiquattr'ore su ventiquattro, come poi si era ricordata. Era inutile raccontarsi bugie, andava al supermercato a quell'ora per una scatola di tè ma in realtà avrebbe voluto cercare altro, avrebbe voluto andare al dormitorio dell'UCL, disturbare Brian e chiedergli se Peter fosse già arrivato dall'incontro. Brian probabilmente avrebbe capito dal suo tono serio di non fare domande, probabilmente non sapeva nemmeno che quella sera il suo amico aveva doppio appuntamento: uno con la sua ragazza e uno con la scienza. E lui aveva scelto la scienza, ancora. E quella sera lei aveva mandato all'aria tutta la comprensione che finora aveva avuto verso quel ragazzo, che probabilmente, impegnato nei congressi, non si era accorto del periodo di crisi che aveva colpito, senza preavviso, lui e Delilah. All'irlandese faceva male pensare che Peter, il ragazzo che amava con tutta se stessa, fosse meno perspicace di quanto pensasse, le faceva male trovarsi a fare del sarcasmo tutt'altro che divertente sul comportamento dello scienziato, ma le era inevitabile, quella sera erano giunti al bivio.
Qualche spia a segnalare l'arrivo di una possibile crisi c'era stata, e Delilah aveva faticato a non notarle, pensando che non erano dipendenti da un problema più grande, o almeno lo sperava. Man mano che aveva approfondito la conoscenza con Peter, dal semplice consigliarsi libri all'uscire periodicamente come amici e poi come innamorati, aveva compreso che con lui non sarebbe stato possibile avere la storia d'amore tranquilla che le sue compagne del dormitorio del suo primo semestre vantavano, e scoprì come non mai che in realtà non le importava nulla, né della tranquillità né dei modelli di relazione che si era col tempo creata leggendo: la sua anima reclamava Peter, e tutte le conseguenze, anche la sua passione verso le materie scientifiche. Si era innamorata nel modo più profondo che esistesse di quel giovane, amava tutto di lui, e pensava bastasse. Eppure, il numero crescente di congressi sulle materie a lui interessate, sulla fisica in particolare, a cui Peter doveva partecipare, si era frapposto tra di loro, inesorabile, senza che lei potesse minimamente intervenire. Inizialmente aveva tentato di non farci caso, non era una novità che dovessero annullare un appuntamento perché un nuovo congresso era stato organizzato, quasi sempre riusciva a riempire il pomeriggio o la serata con attività che la interessavano, anche se una parte di lei si chiedeva sempre come stesse Peter e come stesse andando l'incontro. Tutto ciò riusciva a sopportarlo ma negli ultimi mesi sentiva Peter con la testa da tutt'altra parte, non era con lei. Delilah aveva già sperimentato un'esperienza del genere, più volte si era sentita invisibile anche alle persone che dicevano di amarla, e aveva avuto la conferma quando, sparendo dalle vite di quelle persone - e lei era quel genere di persona sempre presente nelle vite delle persone che ama - ,esse non la cercarono. Si era ripresa dal colpo grazie a Éile e Máire, ma da quando era giunta a Londra non aveva più sentito quella sensazione di familiarità, di amore, di casa che sentiva ogni volta che era con loro. Finché non incontrò Peter.
L'intesa immediatamente provata con quello studente, per quanto la spaventasse certe volte, era innegabile. Col tempo si aggiunsero quelle sensazioni che Delilah aveva provato solo in Irlanda, e un sentimento interamente nuovo per lei, ma vecchio come il mondo, capace di spingerti a fare qualsiasi gesto a dispetto delle ragione. Per quanto fosse ferita e arrabbiata con lui, quindi, non poteva non amarlo, ma era decisa ad aspettare che anche lui si rendesse conto di dove erano giunti, erano in due in quella relazione, eppure in quel momento si sentiva più sola che mai, in quella grande città in cui quella notte non riusciva a scorgere le stelle.

 
Fu sotto le stelle che si decisero ad ignorare la paura e a confessare all'altro che non era più semplice affetto quello che provavano, ma era qualcosa che si evolveva sia quando si vedevano, sia quando non si vedevano e si "limitavano" a pensarsi a vicenda.
Peter aveva accompagnato Delilah a casa, dopo aver passato uno degli ennesimi pomeriggi al parco in sua compagnia. Stava per andarsene quando si ricordò di volerle chiedere una cosa da quando erano insieme.
-Questo week-end sei libera?
-Sì.
-Ti andrebbe una gita lontana da Londra? Due giorni lontani dallo studio, dallo stress, dal mondo?
-Quanto lontano?
-136 miglia.
-Dove mi vuoi portare, Peter?
-Nel Dorset, a Weymouth. Il Regno Unito è vasto, Delilah, forse è meglio iniziare ad esplorarlo. - rispose Peter, sorridendo. Il sorriso si scompose un secondo quando si trovò Delilah tra le braccia, poi ritornò com'era prima, mentre stringeva a sé la ragazza, che traboccava di felicità.
-Io ti a... doro. - disse Delilah, quando si staccò, e fermandosi appena in tempo per non dire ciò che realmente stava pensando, anche se l'adorazione ci si avvicinava. Non ci poteva credere che il ragazzo per cui da qualche tempo provava sentimenti piuttosto forti avesse pensato di portarla ad esplorare il sud dell'Inghilterra.
-Ho solo pensato che avrebbe potuto farti piacere iniziare a vedere un po' almeno l'Inghilterra. - si giustificò il ragazzo, imbarazzato. - E poi i miei genitori sono dei fissati con i viaggi per il Paese, credo di aver visto buona parte dell'Inghilterra, e so quali posti sono veramente degni di essere visti, e Weymouth... beh, Weymouth è la meraviglia. Dato che ti vedo entusiasta, lo prenderò per un sì, allora.
-Certamente. Quando partiamo e come?
-Pensavo in treno, il sabato mattina, se va bene per te.
-Certo.
-Ottimo, allora verso le sei e mezza vengo a prenderti, prendiamo la metropolitana e andiamo a King's Cross, prendiamo i biglietti e partiamo.
-Okay. - disse Delilah, sorridendo.
-A sabato!- disse Peter, facendo per uscire.
- Peter. - lo richiamò la ragazza.
-Sì?
-Grazie. Veramente.
Lo scienziato sorrise, e sparì dalla vista di Delilah, che si precipitò a preparare la borsa da viaggio.
Come aveva detto, Peter citofonò alla ragazza alle sei e mezza e in poco tempo raggiunsero King's Cross. Peter notò lo sguardo indagatore di Delilah, mentre facevano la coda verso la biglietteria.
-Se vuoi un giorno torniamo qui, e cerchi quello che ora stai disperatamente cercando stando ferma qui.
Delilah si voltò, e rise, accorgendosi che stava effettivamente facendo ciò che il ragazzo aveva appena detto.
-Fammi indovinare... binario 9 e tre quarti?
-Ma come...
- Brian è ossessionato da Harry Potter, ogni volta che viene qui per fare uno dei suoi viaggi di un giorno va sempre a vedere il binario 9 e tre quarti e poi va a prendere il suo treno. Penso si trasferirebbe direttamente davanti al carrello se potesse. Se vuoi al ritorno ti porto lì, so dove si trova.
-Veramente mi ci porteresti?
-Stiamo andando a Weymouth, figurati se non ti portassi a quel binario.
-Sto raggiungendo quantità di adorazione nei tuoi confronti che non puoi immaginare.
-Prego. - disse il signore della biglietteria, riportando i due giovani alla realtà.
-Due biglietti per il prossimo treno diretto a Weymouth.

 
Davanti agli occhi di Delilah stava scorrendo veloce la campagna inglese, lasciando alla ragazza poco tempo per registrare le immagini dei luoghi dove i suoi autori preferiti avevano ambientato i loro romanzi. Distolse lo sguardo quando una signora sulla mezz'età e dallo sguardo cordiale chiese se volessero del tè o altro.
-Sì, io vorrei un muffin al cioccolato e del caffè. Delilah?
-A me del tè solamente, per favore.
-Ecco a voi. -disse la signora, porgendo loro i loro  ordini e, con un "Buon viaggio", sparì.
-Da quanto tempo conosci Brian?- chiese Delilah, guardando Peter aprire la confezione del muffin.
-Da quando sono arrivato all'università, è stato il primo con cui ho legato. Ci siamo conosciuti la prima settimana, poi abbiamo deciso di stare nello stessa stanza e da lì abbiamo cominciato ad arrivare allo status "migliori amici". E' stato una specie di benedizione conoscerlo, temevo seriamente di non riuscire a legare con nessuno, tanto meno con persone come lui. Dico questo perché è il contrario di me, è estroverso, diretto, eppure non è uno spocchioso, non era come le altre persone con cui avevo tentato di legare in passato. Ha alzato parecchio il mio livello di fiducia verso l'umanità.
-A Bristol la tua fiducia verso l'umanità era scomparsa?
-Studiando le persone che mi circondavano, sì, ho notato come fossero poco spontanei, come ostentassero comportamenti che non gli appartenevano. Ho conosciuto parte dell'umanità a Bristol, soprattutto durante i festival a Glastonbury, e non mi è piaciuto ciò che ho visto, e non sto parlando della musica.
Delilah annuì, ricordandosi di ciò che aveva sentito dire del festival che si teneva ogni anno in quella città.
-Ammetto che ci sia la probabilità che io avessi lo sguardo troppo puro ai tempi e che quindi guardassi sconvolto, giudicavo senza capire bene la portata di ciò che guardavo  o la ingigantivo, però col tempo mi sono abituato e la vista sul mondo mi si è aggiustata, per così dire. Credo però che ciò che ho potuto vedere intorno a me non era poi così stravolto dal sottoscritto.
-Poi è arrivato Brian e ti ha mostrato che il mondo non era poi così tanto tremendo.
-Sì, ed è stato anche grazie a lui che ho riacquistato anche un certo coraggio per socializzare. - Peter bevve del caffè. - E tu, hai qualche persona che ti ha riaggiustato la vista sul mondo? Sempre che tu ne voglia parlare.
-A Belfast mi era successa la stessa cosa che è successa a te, ed è stata un duro colpo. E' stato come ricevere una secchiata di acqua ghiacciata in piena faccia, ed io ho risposto alla secchiata chiudendomi in me stessa e rifiugiandomi nei libri. Dopo un po' di tempo ho conosciuto Éile e Máire e mi hanno fatto il lato positivo di nuovo, sono delle ragazze fantastiche. - disse Delilah, sorridendo al ricordo dell'ultima in cui si erano viste.
-A Pasqua torni in Irlanda?
-Non tanto per la festività quanto per vedere le ragazze e i miei genitori. Tu tornerai a Bristol?
-Se Brian non parte, credo che dovrò imboccare quella strada.
-Non ti manca la tua città?
-Non esageratamente. Mi piace, non fraintendere, ma credo che ci sia il tempo per stare nella tua città natale e il tempo per andare in giro per il mondo. E' per questo che ho deciso di studiare a Londra, volevo diventare un po' più indipendente, e il lavoro al pub mi ha aiutato da questo lato. Detta così, sembro veramente un insensibile. - Peter fece una smorfia divertita.
-Solo agli occhi di chi rabbrividisce alla sola idea di staccarsi dalla propria casa. Sei libero di decidere dove studiare, che cosa fare, ciò non ti rende affatto insensibile. Hai ventidue anni, mi sembri abbastanza adulto per decidere cosa fare della tua vita, e non c'è tempo da perdere dietro a chi tenta di influenzarti, e una vita di rimpianti non è una vita. Vivi e basta.
E scese un silenzio che permise ai due di pensare liberamente alle parole dette e ascoltate, e a quello che ancora non avevano detto.
Delilah alzò lo sguardo sul ragazzo davanti a sé, ne studiò i tratti gentili, i ciuffi castano-scuri sulla sua fronte, il suo sguardo verde scuro che sin da subito l'avevano colpita concentrato sulle pagine del piccolo quaderno che aveva tirato fuori dalla sua  borsa da viaggio, la matita vicino alle labbra, come se stesse cercando una soluzione.
Cosa ti tormenta?
Appoggiò la testa alla finestra, ritornando ad osservare il paesaggio dalla finestra, impaziente di arrivare a destinazione.
Dalla stazione all'ostello dove Peter aveva prenotato due camere, i due giovani chiacchierarono spensieratamente, il momento di estrema serietà era ormai passato. Presero le chiavi delle camere, che erano allo stesso piano, e, ognuno nella propria camera, sistemò quel poco che avevano portato per quei due giorni fuori Londra. Visitarono la città, Delilah incantata e Peter felice per averla portata lì.
Mentre stava riponendo l'ennesima foto nel libro preso a caso all'ultimo momento, Delilah si sentì chiedere:-Più tardi ti andrebbe di andare in spiaggia?
E così fecero, qualche maglione in più e una coperta da stendere sulla sabbia dopo.
-Tu sei folle. - dichiarò Delilah, guardando Peter sfilarsi le scarpe e camminare a piedi nudi sulla sabbia.
-Non è così fredda, Delilah.
-Ma siamo in aprile!
-Lo so, ma oggi è stata una giornata stranamente più calda del solito, quindi perché non continuare le stranezze?
- Quand'è così... - mormorò Delilah, decidendo di seguire il gesto di Peter, per poi raggiungerlo. Lui la guardò stranito.
-Beh, siamo amici, le follie si fanno in due, no? - si giustificò Delilah.
-Suppongo di sì. - disse Peter. - Camminiamo? - chiese poi, porgendole una mano. Percorsero la riva, evitando di avvicinarsi all'acqua.
-Vedi, non è poi così male. - commentò Peter, riferendosi alla sabbia.
-E' piuttosto rilassante. - confermò la ragazza, guardando le dita dei suoi piedi affondare. Alzando lo sguardo incontrò un cielo meravigliosamente stellato.
-Wow... -mormorò, sorpresa. Peter alzò la testa, e comprese il commento di Delilah.
-Vorrei fermare il tempo e rimanere qui a guardarle per sempre. - disse piano, dopo qualche minuto d'osservazione.
-E allora andiamo a stenderci. - disse Delilah, prendendo la mano di Peter e trascinandolo verso la coperta, mentre il ragazzo rideva per il suo gesto.
-Più comodo, o no? - chiese l'irlandese, mentre erano stesi, i volti ancora verso il cielo.  Il ragazzo annuì.
-Grazie Peter. - disse la ragazza, dopo un lungo silenzio, girandosi verso lo scienziato.
-E di cosa? - il ragazzo si girò a sua volta.
-Per avermi portata qui, per avermi fatta sentire meno sola a Londra, per essere entrato nella mia vita. Sei diventato veramente importante per me, e prima sul treno ti avrei incluso tra le persone che mi hanno aggiustato la vista sul mondo, hai reso il mio soggiorno a Londra decisamente più gradevole.
-Non ringraziarmi, Delilah, è piacevole stare con te, e credimi, anche tu hai dato gradevolezza a Londra, non puoi immaginare quanto. - Il ragazzo fece una pausa, indeciso se continuare o meno. Continuò.
-Ultimamente ho notato di sentire il desiderio di renderti felice, in ogni modo possibile, e anche di starti sempre accanto, e ti ritrovo sempre nei miei pensieri quando non ci sei. Mi rendi contento anche solo essendoci.
Ancor prima di interrompersi, Peter si ritrovò la ragazza che amava tra le braccia, un secondo dopo le loro labbra si unirono in un dolce bacio ricolmo d'amore e speranza.
 
E questo era il secondo capitolo, in cui oltre alla splendida colonna sonora composta da Hey There Delilah dei Plain White T's e I still haven't found what I'm looking for dei U2 , vediamo contemporaneamente come Delilah e Peter, il ragazzo dai tanti soprannomi, passano dall'essere amici ad innamorarsi, e cosa è successo per turbare così a fondo l'animo di Delilah. 
Per la scena della spiaggia mi sono ispirata sia alla copertina di un singolo dei Kodaline, "Love Like This", se voleste vedere l'immagine, la trovate qui , sia a "Yellow" dei Coldplay, che oltre ad avermi resa una pazza che non riesce a passare una giornata senza ascoltare almeno una loro canzone, mi hanno accompagnata durante la scrittura di questa storia, se non deviato verso alcune scelte che ho dovuto intraprendere mentre la scrivevo.
Non ho nient'altro da aggiungere, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, avete la libertà di commentare, dirmi cosa ne pensate, chiedere chiarimenti, insomma, qualsiasi cosa, sempre nel limite dell'educazione.
Al prossimo capitolo,
Sognatrice.

 

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Capitolo 4
*** Terzo capitolo. ***



Terzo capitolo.

 
Peter aprì la porta del dormitorio, incerto se Brian fosse lì o meno. Era domenica sera, ed era appena tornato da King's Cross. Gli sembrava strano ora non aver Delilah accanto a sé, dopo due giorni che li avevano visti passare dall'essere amici al diventare fidanzati. Sorrise all'idea, ancora incapace di realizzare. Weymouth aveva una ragione in più per essere considerata meravigliosa dal giovane, che appoggiò la borsa sul pavimento.
Di felicità si può morire?
-Peter!- esclamò Brian, comparendo da chissà dove e abbracciando l'amico.
-Brian!- replicò Peter con lo stesso tono, felice di saperlo lì.
-Allora, com'è andata nel Dorset?-chiese l'amico, curioso.
-Bene... - rispose vago Peter.
-Definisci "bene". Pete, non mi inganni, hai un sorriso che non accenna a spegnersi, gli occhi come se avessi vissuto il miglior week-end della tua vita. O mi dici ora come è andato veramente il week-end, o rintraccio la libreria dove hai incontrato Delilah e faccio il terzo grado a lei.
- Ci siamo messi insieme. - rispose lo scienziato.
-Finalmente! -esclamò Brian, abbracciando di nuovo l'amico. Sapeva che sarebbe stata questione di tempo, da quando Peter gli aveva detto che aveva conosciuto una studentessa di Letteratura e vedendolo tornare dalle sue uscite con lei col sorriso e l'aria spensierata.
-Beh, vi auguro una splendida vita insieme!
-Hai per caso contattato qualche organizzatrice di matrimoni? - chiese Peter, notando che l'amico era veramente su di giri.
-No, dovrei? - Brian stette al gioco.             
-Mi sembra piuttosto prematuro parlare di matrimonio, stiamo insieme da solo un giorno, vorrei farti notare. - rispose Peter, mentre una piccola parte di lui già si stava immaginando un futuro insieme a Delilah.
-Comunque, quando hai intenzione di presentarmela?
-Sai, anche lei freme dalla voglia di conoscerti. - rispose Peter, ricordando tra le ultime cose che l'irlandese gli aveva detto, il desiderio di conoscere il suo amico e compagno di stanza.
-E allora non dividerci! -esclamò Brian, con tono melodrammatico.
Il ragazzo scoppiò a ridere, poi disse con tono formale che dopo Pasqua avrebbe "provveduto a congiungerli".
-Non so te, ma io sono estremamente stanco, quindi andrò a dormire.
-In realtà stavo per andare a dormire anch'io, è stata una settimana piuttosto intensa. -disse il suo amico, facendogli notare che era già in pigiama.
Peter si ricordò che Brian aveva dovuto passare il suo tempo libero a girare per la città ed osservare i palazzi, la loro struttura e l'estetica, difatti stava studiando Architettura.
-Un giorno ti sarà utile, Brian. - commentò, stendendosi sul letto.
-Non ne dubito, ma a momenti conosco questa città meglio di Liverpool, non ne vedevo la necessità. - replicò Brian, stendendosi sul suo letto a sua volta.
-Ancora non comprendo il motivo per cui hai lasciato Liverpool.
-Per lo stesso motivo per cui tu hai lasciato Bristol e anche perché  il programma delle università lì non mi soddisfacevano. Buonanotte, a domani.
-A domani.
Un momento prima di addormentarsi, Peter udì l'amico dire:-Comunque deve essere una ragazza speciale se è riuscita a farti innamorare di lei.
Peter sorrise, poi caddero in un sonno profondo.

 

 
-Ed eccolo, il grande architetto!
Brian era seduto sulla poltrona in mezzo alla stanza quando vide Peter entrare con una ragazza -suppose fosse Delilah - nel loro dormitorio. Quando sentì l'esclamazione dell'amico, si alzò immediatamente, replicando ironicamente:-Non sapevo fossi veggente. -Poi guardò la ragazza che era rimasta leggermente più indietro di Peter: capelli castano-scuri mossi cadenti sulle spalle, gli occhi nocciola acceso, poco più bassa dell'amico che ora li stava guardando per cercare qualche reazione. -E tu devi essere Delilah. - disse Brian..
-E tu devi essere Brian, il grande architetto. - replicò la ragazza con un sorriso, porgendogli la mano affusolata.
-La tua ragazza è rara, tienitela ben stretta, Peter. - decise Brian, dopo avergliela stretta.
Sul volto di Delilah comparve un'espressione di confusione, a cui Peter rimediò subito spiegando che Brian, attraverso la stretta di mano, pensava di riuscire a capire la personalità di una persona.
-Beh, grazie Brian. - commentò Delilah. - Speriamo che Peter riesca a seguire il tuo consiglio.
-Lo farà, o ci penserò io, non preoccuparti. - replicò il ragazzo, facendo l'occhiolino.
Peter non fece in tempo a rispondere a causa del telefono che iniziò a squillare prepotentemente.
-Vado io. - disse, e rispose. -Sì... d'accordo, non importa, arrivo subito... a dopo. - attaccò e spiegò che il suo capo aveva chiamato per dirgli che il cameriere che doveva avere il turno in quel momento si era sentito male quella mattina, e che avrebbe dovuto sostituirlo lui. -Però voi rimanete pure qui, conoscetevi. - aggiunse, mentre prendeva alcuni oggetti e se li metteva nelle tasche della giacca. Salutò Brian e Delilah, poi sparì dalla stanza.
- Peter mi ha detto che vieni da Belfast. Ho sempre desiderato visitarla. -disse Brian. - Posso offrirti qualcosa, acqua, tè?
-No grazie, sono a posto. Hai intenzione di visitarla in futuro?
-Spero di riuscirci.
-Tu non sei nato a Londra, vero?
-No, sono di Liverpool, e non ho intenzione di ritornarci tanto presto.
-Ha qualcosa di sbagliato?
-Oh no, è che è dell'uomo sognare qualsiasi luogo che non sia quello in cui abita, e non sono certo un'eccezione. Esempio più lampante di Peter non c'è, ha preso la prima via di fuga da Bristol ed è giunto a Londra, per una boccata d'aria sul mondo.
-Credo che se non conosci a fondo un luogo, ti sembra più gradevole e non riesci a vedere interamente le debolezze delle persone.
-L'illusione che il ribrezzo resti dove è nato, quando in realtà ti segue ovunque e tu riesci a non vederlo per l'ebbrezza di essere in un luogo dove devi ancora creare ricordi.
-Vale anche per la meraviglia. Ci sono ancora persone che sono quello che sembrano, e non sono un'illusione, ma realtà, sebbene problematica qualche volta. Ma che senso ha togliere alla realtà i suoi difetti?
-E' per rendere illusione quello che non è. Mi piace il tuo modo di pensare.
-Anche a me il tuo. Hai sempre desiderato studiare Architettura?
-Sì, mi ha sempre attirato l'idea di rendere reale un'immagine che la mia mente ha creato, cambiare un luogo con ciò che ho immaginato. Che cosa hai intenzione di fare dopo esserti laureata?
-Non saprei, ora lavoro in una libreria e mi piace lavorarci, ma credo non si possa fare per sempre la commessa  in una piccola libreria. Ho il buio lavorativo dopo la laurea.
-Potresti insegnare e trasmettere il tuo amore verso i libri. Salveresti le generazioni di oggi, sai?
- Peter ti ha detto della mia passione verso i libri?
-Sì, parla spesso di te.
-Davvero?
-Certo Delilah. Non l'ho mai visto così durante questi tre anni che lo conosco.
Delilah sorrise, riconoscente.
-Lo ami, non è vero?
-Si vede così tanto?
-Si vede ciò che c'è tra voi due, e non vi ho visto insieme neanche per così tanto tempo. O ho i superpoteri, o vi amate più di quanto voi sappiate.
-E' strano sentire questo da un ragazzo, se devo essere sincera.
-Ho letto parecchi libri, è una naturale conseguenza. Scherzi a parte, anche il più cinico sarebbe capace di vedere ciò che ho visto io prima.
Quel che rimaneva di quel pomeriggio lo passarono parlando del più e del meno. Quando fu per Delilah il tempo di ritornare al suo appartamento, Brian le disse che poteva contare su di lui, se avesse bisogno di aiuto, e lei in cuor suo lo apprezzò. Sulla strada ripensò all'intera chiacchierata avuta col migliore amico del suo ragazzo, e capì perché Peter era molto affezionato a lui: era divertente, con qualche nota di eccentricità, profondo e gentile, a primo impatto però si poteva solamente notare il suo essere socievole, che poteva essere frainteso e dargli un'etichetta che non si sarebbe meritato, se solo lo avessero conosciuto meglio.

 

 
Si alzò dal letto, facendo attenzione a non disturbare il quieto sonno del suo compagno, cosa che non succedeva spesso. Avrebbe voluto rimanere volentieri fra le sue braccia, sarebbe rimasta lì per sempre, ma non riusciva a dormire, per nulla. Aveva in sé una tempesta di emozioni piacevoli che non le procuravano la sana stanchezza che dovrebbe precedere il sonno, quindi aveva deciso, notando che ormai era definitivamente sveglia, di separarsi da Peter e di farsi un giretto per il suo appartamento. Raggiunse il salotto, e sul tavolino notò un libro, non suo. Accese la lampada per vedere di che si trattasse, e lo riconobbe. La copia di Jane Eyre che molti mesi addietro, forse un anno fa, aveva consegnato a quello che sarebbe diventato suo amico, suo compagno, suo amante, tutto ciò che pensava di non aver bisogno finché non lo aveva incontrato e aveva imparato ad amare tutto di lui. Nonostante il lieve tremolio che la assillava da qualche giorno, riuscì a mantenere la mano ferma e prese il libro, da cui cadde una polaroid. Delilah la prese e vide che era la foto che aveva scattato con Peter quando erano andati a Weymouth. Allora l'aveva conservata, pensò con un sorriso. Prese una penna, e decise di scrivere la dedica che avrebbe dovuto scrivere molto tempo fa, sulla pagina di rispetto di quella copia.

 
Hey Peter,
credo ti sembrerà strano leggere questo messaggio, dopo tutti i mesi che son passati dall'ultima volta che ho visto questo libro, ma sono le quattro del mattino, stai dormendo da me, e io non posso concepire un maggior grado di felicità. E' una continua magia quando sono con te, qualsiasi preoccupazione, ansia o fastidio svanisce quando ti vedo arrivare, non credo potrei immaginare una vita futura senza includere te, che mi hai fatto credere ancora di più nell'umanità, mi hai fatto sentire a casa come non mi sentivo da quando ho lasciato Belfast, e potrei andare ovunque e sentirmi lo stesso al sicuro, se sono con te, che mi ascolti e mi comprendi, e mi ami. Qualsiasi strada mi ricondurrebbe a te, se tentassi di allontanarmi - e non ne ho la minima intenzione. Sei ciò che ho da sempre inconsapevolmente desiderato e cercato,e ti cercherei in ogni dove, pur di vedere il suo sorriso, sentire la tua risata, le tue braccia intorno a me. Ti amo, tua Delilah.

 

 
-Sì mamma, mi rende felice!
I pensieri che Delilah stava da qualche tempo formulando riguardo Peter si spostarono su quell'esclamazione pronunciata da una ragazza al telefono, dall'altra parte della strada. Delilah si girò per guardarla meglio: doveva avere almeno diciannove anni. Tale frase era stata detta con così tanta sincerità che spinse l'irlandese a chiedersi se Peter, quando era davvero con lei, nessuna scienza tra di loro, la portasse alla felicità.
Non quando non rinuncia ai congressi, ironizzò.
Felicità. Come il titolo di una canzone che riesci a ricordare man mano che ascolti la suddetta canzone, man mano che ripeteva mentalmente la parola felicità, si rammentò di quel momento prima dell'alba, quando aveva scritto sulla copia che li aveva fatti conoscere. Chissà se aveva letto il suo messaggio, e se così era, chissà se se ne ricordava, o se ne avesse perso la reminiscenza.
Se prima stava riflettendo sul comportamento di quel ragazzo nell'ultimo periodo e ne stava cercando i motivi - e scoprì come le era facile mettere la rabbia da parte ed essere, per quanto potesse esserlo, oggettiva- per poi trovargli giustificazioni, ora si pose in quell'immensa lavagna immaginaria  su cui aveva tracciato, da quando era uscita di casa, la loro situazione, arrivando alla conclusione che avrebbe aspettato per sempre il ragazzo di Bristol, e chiese a se stessa se a lui importasse qualcosa di lei. Sarebbe andata ad ipotesi e con lo sguardo possibilmente scientifico, per quanto il suo animo glielo avrebbe permesso. Trovò molteplici ricordi sparsi nell'arco del tempo, e li analizzò, con la calma che le permetteva il suo passo e la notte scesa sulla città già da qualche ora.
Il periodo in cui i congressi erano cominciati ad entrare nella loro vita, dovette riconoscere che si ritrovò, almeno le prime volte, sorpresa al sentire il campanello, aprire e trovarsi lo scienziato con un sorriso che gli illuminava il viso, una mano che reggeva due cartoni della pizza e l'altra un dvd preso in noleggio ad un negozio lì vicino, oppure un cd che voleva ascoltassero insieme. Quasi mai riuscivano a finire di vedere il film o di ascoltare l'album, perché arrivava sempre quel momento in cui Peter decideva di smettere di rimanere zitto si metteva a parlare e finiva per coinvolgerla negli argomenti più disparati, e quella che si prospettava una serata dedicata allo studio, alla lettura o alla noia diventava una serata piacevole e divertente. Ogni tanto qualche curiosità sull'Universo le veniva in mente, e Peter con tono discorsivo le spiegava con pazienza, talvolta con ironia, le leggi che regolavano il luogo in cui vivevano e quel che v'era dopo aver attraversato l'atmosfera. E lo faceva così, con quel tono così diverso da quello che si utilizzava nei congressi, quando gli sfuggiva qualche parola su un argomento scientifico, senza risultar mai sgradevole. Condivideva il suo mondo con la ragazza che amava, Delilah se ne rese completamente conto in quel mondo, e comprese.
Allora vienimi incontro, Peter, incontrami sotto questa pioggia in cui ci ritroviamo. Pur di rivedere quegli occhi, risentire quella voce, sono pronta a tutto.

 

 
E questo era il terzo capitolo. Francamente non sono molto soddisfatta, soprattutto dell'incontro tra Brian e Delilah, lo sento incompleto. Vediamolo come parte "di passaggio".
Vorrei specificare, nel caso non si fosse capito, che i problemi tra la libraia e lo scienziato sono sorti nell'ultimo periodo, come si è ricordata Delilah, Peter riusciva a mantenere un equilibrio tra Scienza e lei; è nell'ultimo periodo che bruscamente l'ha perso. Sono consapevole del fatto che Delilah può apparire fin troppo tranquilla, ma credo fosse giusto farle passare dallo stato d'animo ferito e arrabbiato allo "sguardo scientifico" che in qualche modo la porta ad uno stato d'animo vicino alla calma. Spero che le mie intenzioni siano state comprese. 
spero che questo capitolo vi sia piaciuto, come al solito potete lasciare commenti, critiche, pensieri, sempre nel limite dell'educazione. Spero di trovarvi ancora al prossimo capitolo che può essere sia l'ultimo che il penultimo, ancora non lo so, a ogni modo vi ringrazio se avete avuto la pazienza e la voglia di leggermi. 
A presto e buon Ferragosto,
Sognatrice.

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Capitolo 5
*** Quarto capitolo (ed epilogo). ***




Quarto capitolo (ed epilogo.)
Non sapeva che ore fossero quando finalmente, dopo il viaggio letteralmente dal suo appartamento al supermercato, e metaforicamente dal dolore al voler risolvere tutto con Peter, perché sì, lo amava, ancor più di quanto sapeva prima di quella serata, raggiunse il supermercato. Paradossalmente si ricordava perché si trovasse lì, quindi vi entrò e si diresse direttamente verso il reparto dove avrebbe trovato il tè che cercava. Aveva appena preso la scatola quando qualcuno la chiamò, col tono di chi avesse trovato la cosa - o la persona -di cui aveva bisogno.
-Delilah!        
La ragazza si girò e vide lo scienziato che era stato fino ad allora nei suoi pensieri, avvicinarsi.
-Che ci fai a quest'ora in un supermercato? -chiese Peter con una nota di preoccupazione, rendendosi conto del luogo dov'erano.
-Non avevo il tè. -rispose Delilah, sollevando la scatola. - Non eri al congresso?
-Non dovevo essere lì. Delilah, dobbiamo parlare.
-Lo credo anch'io. - annuì lei.
-Però non qui.
-Vado a pagare il tè e andiamo a casa mia?
-Vengo anch'io. - sollevò una tavoletta di cioccolato. Delilah evitò di fare domande, si diresse verso l'unica cassa aperta. Vedere che Peter non aveva messo il separatore tra il tè e la tavoletta in qualche modo la rincuorò, e quando vide quel ragazzo pagare per lei e lanciarle l'occhiata "insisto" prima ancora che potesse dire qualcosa la fece sorridere, seppure non molto apertamente e per una frazione di secondo.
Uscirono e silenziosamente si diressero verso l'appartamento di lei; altrettanto silenziosamente entrarono nel suo appartamento e Delilah andò in cucina, sempre seguita da Peter. Durante quel lasso di tempo dovevano entrambi aver pensato a cosa dire, pensò, per poi chiedere se volesse anche lui una tazza di tè. Il ragazzo accettò silenziosamente e prese un'altra tazza, per poi posarla sul tavolo.
-... alla fine quali sono stati i risultati dell'esame? - le chiese, ad un tratto, mentre lei era ancora girata verso i fornelli.
-Quale esame? -si girò.
-Il problema alle mani.
-Era causato dallo stress eccessivo dell'ultimo periodo. Mi dovrebbe passare appena gli studi decidono di darmi una tregua. - rispose Delilah, ritornando ai fornelli.
-Ho sempre pensato che fossi sulla via giusta del stacanovismo, dovresti rallentare, sei decisamente avanti con il programma... - disse Peter, con un tono tra la preoccupazione e l'affetto.
-Da che pulpito... - ribatté Delilah, ma con un tono che aveva tutto tranne l'aggressività. Non lo stava incolpando, ma le sembrava un po' assurdo il suo commento riguardo ai suoi ritmi universitari, anche se aveva notato il tono con cui l'aveva pronunciato. Non si stavano rimproverando, stavano constatando la realtà dei fatti: erano entrambi degli studenti che invece di dimenticare il proprio nome la sera, tentavano di imparare sempre di più, oppure si tenevano compagnia per qualche ora, dimenticando gli impegni. La mia ancora dal stacanovismo completo, pensò infine, aggiungendo quella nuova definizione alla lavagna immaginaria.
-Preferirei parlarne tra poco. - rispose Peter, scrollando la testa.
Quando il tè fu pronto, Delilah lo versò nelle due tazze, poi si sedettero uno di fronte all'altra.
-Dunque... -iniziò Peter, prendendo il respiro. Non sapeva bene da dove iniziare. Delilah lo guardò con pazienza, era desiderosa di sapere cosa avrebbe detto quel ragazzo a cui aveva pensato così tanto nelle ultime ore.

 

 
Come cominciare?, si chiese, alzando il volto e incontrando gli occhi pazienti di Delilah.
Quando aveva visto la sua figura al supermercato, non pensava fosse lei, poi aveva visto quella scatola di tè. Non gli passò per la testa il pensiero che non solo quella ragazza con cui doveva parlare al più presto amava il tè, ma non era in vena di essere razionale, di analizzare la situazione come era solito fare. Analizzare, cercare, non era mai stato un problema per lui, fino all'ultimo anno, soprattutto negli ultimi mesi.
Incontrare quella ragazza che ora gli stava davanti, con il tavolo che fisicamente li divideva, e i suoi errori, il suo non cercarla più, il non essere presente per lei, essere con lei come faceva fino a poco tempo fa a dividerli metaforicamente. Ancora non riusciva a capire come la situazione gli fosse sfuggita di mano, come si fosse ritrovato in quella teca di teorie, di leggi, di domande a dividerlo dall'unica persona che non solo era riuscita a dimostrargli che il rischio di essere se stessi portava anche buoni risultati, non solo era riuscita ad accettare quella parte di lui, la fredda Scienza, ma anche ad amarla e a renderla parte di sé. Si ricordò, mentre cercava le parole giuste per esprimere il suo rammarico, per chiedere perdono, di quella canzone che avevano suonato e cantato una volta che erano andati al parco. Da tempo quelle parole non valeva più per lui, perché una delle certezze che aveva acquisito da quando stava con Delilah era che, in fondo, erano tutti alla ricerca di qualcuno che decidesse di prendere un loro lato considerato sbagliato, disarmonico, e lo rendesse proprio, e col suo comportamento rischiava di perdere quella persona.
Decise di iniziare dal punto dolente più recente, il congresso di quella sera, dove si era ritrovato per un errore inconscio.

 

 
-Mentre ero all'incontro ho riflettuto, e non sugli argomenti di cui stavano parlando gli altri, ma su quelli per me molto importanti, non potevo pensare ad altro, il solo provarci era per me inconcepibile. Sono sicuro che tu, dotata di più perspicacia di me, ti sia accorta di cosa ci sta succedendo in questo periodo. - disse infine il ragazzo, interrompendo l'attesa della giovane irlandese.
-Ci stiamo allontanando vertiginosamente. - confermò Delilah, la voce più ferma di quanto si aspettasse. Allora non era da sola in tutto ciò.
-Sì, e mi dispiace tremendamente di non essermene reso conto prima, ero...
-Eri troppo preso da ciò che ti stava circondando, il numero crescente dei congressi, gli esami finali... e dalla scienza. - completò l'irlandese, osservando il suo amato e notando che doveva stare più male di quanto riuscisse ad ammettere. Non era mai stato molto bravo con le parole, e quella situazione non lo poneva in una situazione migliore. Tuttavia, voleva ascoltare ciò che voleva dirle e indovinare cosa non riuscisse a dire, a giudicare dai suoi gesti.
-Da come l'hai detto, sembra una giustificazione al mio comportamento, più che un rimprovero o un commento neutrale. - le fece notare Peter.
-Non sono neutrale nei tuoi confronti, Peter, e siamo nella stessa situazione. Non sto né giustificandoti, né rimproverandoti, ma dicendo la verità, riconosco che tu abbia avuto la testa troppo occupata in questo periodo, se non te ne ho parlato prima è stato perché non era ciò che doveva accaderti, e speravo che questa situazione si risolvesse presto.
-Ma sei stata male. - constatò il ragazzo, guardandola negli occhi per cercare la verità. Delilah non poté smentire; abbassò lo sguardo.
-Puoi tentare di evitare di dirmelo, dicendo di constatare la realtà dei fatti, ma è anche una realtà il fatto che sei stata male, e a causa mia, non puoi negarlo. E' imperdonabile questa mia mancanza nei tuoi confronti, me ne sono reso conto stasera. Non meriti tutto questo, non meriti una persona che per buona parte del tempo pensa a nuovi quesiti, tenta di risolvere problemi, e non arriva a pensare di curare la propria relazione, perché ti ho trascurata, troppo preso da tutta questa scienza, tutta questa ricerca della risposta, della soluzione finale, quando tutto ciò che realmente cercavo era una persona che riuscisse a stare con me e che l'avevo già trovata. Ciò che davvero importa sei tu, che nonostante sapessi che non sarebbe stato facile, hai deciso di amarmi ed entrare nella mia vita, hai deciso di accettare ed amare questa parte di me che ci sta dividendo. Di questo mi meraviglierò per sempre, le ragazze scappano dai ragazzi come me. Posso studiare tutte le leggi e le teorie di questo mondo, ma in questo momento vorrei solo essere in grado di esprimere veramente quanto io sia dispiaciuto per non averti ascoltata, per non averti amata ed apprezzata, per non averti scelta quando era l'unica cosa da fare. Vorrei poter essere in grado di cancellare questi ultimi mesi, forse anche quest'ultimo anno, perché so di non poter rimediare al male che ti ho causato, avrei voluto dirti quanto sei importante per me sin dall'inizio, e non ad ogni cambio di stagione, non quando mi si para davanti agli occhi una segnaletica dalle dimensioni gigantesche che mi fa rendere conto che, continuando su questa folle corsa alla ricerca di qualsiasi risposta, perdo di vista te, che stiamo andando a rotoli, che ti avrei perso, dopo essermi perso. So che sai come sono fatto, non solo il gentiluomo dell'Ottocento che compare sempre al momento giusto, sono ingestibile e arrivo in ritardo sulle cose più importanti da capire, da fare, ma ti amo più di quanto io riesca a realizzare e a dimostrare, ed è da egoista sperare che tu mi perdoni, ma non posso perderti e farò di tutto per rimediare. - E ora prega che possa perdonarti, si disse Peter, lasciando andare il respiro che aveva trattenuto durante il suo discorso.
Delilah lasciò il respiro che aveva preso in ostaggio per ascoltare quel concentrato di dichiarazione e richiesta di perdono che aveva pian piano iniziato a medicare la ferita, a riempire quel vuoto, a farle scendere lacrime di gioia, di alleviamento del peso che fino a poche ore prima gravava sul suo cuore.
-Delilah...? - domandò Peter, dopo aver notato le lacrime scorrere sul viso della ragazza.
-Scusami un attimo. - L'irlandese si alzò, abbandonò la cucina ed andò in bagno, sia ad asciugarsi le lacrime, sia ad analizzare le sue condizioni, che non era tanto diverso da ciò che Peter faceva, si ritrovò a pensare, mentre si era appoggiata al lavandino. Si condivide tutto, no?, pensò, ricordandosi di quando, quella stessa notte in cui aveva dato il via libera ai suoi sentimenti su quella pagina bianca di quel libro che aveva rappresentato anche il loro primo scalino verso la conoscenza, era poi ritornata a letto e aveva sentito la voce di Peter chiedere a bassa voce dove fosse finita. Aveva risposto che non riusciva a dormire, e il ragazzo aveva subito pensato che le avesse passato l'insonnia. - Si condivide tutto, no? - aveva replicato lei, tentando di tranquillizzarlo.
Ritornò al presente e respirò.
"Abbiamo scampato per un pelo l'attacco di cuore causato dal troppo amore", pensò con un lieve sorriso alle parole che una sua amica una volta le aveva detto. Uscì per poi andare da Peter, che nel frattempo si era alzato, preoccupato. Delilah lo strinse a sé con tale attaccamento che il ragazzo di Bristol per un attimo vacillò, poi si riprese e rispose all'abbraccio che interpretò fosse di riconciliazione.
-Mi sei mancato così tanto... - sussurrò l'irlandese, accorgendosi di tremare.
-La chiami ancora magia, dopo tutto questo? - le domandò Peter, sollevandole il mento.
Allora l'ha letto.
-Sì. E' magia. - rispose, per poi posare le sue labbra su quelle del ragazzo, eliminando qualsiasi dubbio rimasto.
-Credo che dopo oggi, tenterò di farti uscire quei bei discorsi in ogni modo possibile. Sai esprimerti bene quando vuoi, sai? - disse Delilah, sorridendo e scompigliandogli i capelli scuri che amava tanto.
-Tenterò di farlo più spesso, se serve. - replicò lo scienziato.
- Come hai fatto a trovarmi?
-L'ho fatto senza volerlo, anche se appena mi sono reso conto della situazione, volevo andare direttamente a casa tua. Ho fatto un salto al supermercato per del cioccolato per riprendermi dalla scoperta della mia idiozia. Non potevo certo venire da te e chiederti una torta al cioccolato come se nulla fosse, come minimo mi avresti gettato la libreria in testa! Tu avevi finito il tè?
-Se un certo signor "torta al cioccolato" non chiedesse anche del tè ogni volta che viene qui, non sarei uscita. E poi ne avevo bisogno così come tu avevi bisogno di cioccolato, anche se sono riuscita a calmarmi nei tuoi confronti senza aver bevuto  nemmeno una tazza di tè.
-Come hai fatto? Sono stato veramente terribile nei tuoi confronti, come sei riuscita a calmarti?
-Ho fatto quello che fai tu.
-Cioè?
-Ho iniziato a crearmi una prospettiva vera e propria, invece di concentrarmi solo sul mio punto di vista; ho adottato, per quanto potessi, lo sguardo scientifico, e ho capito che solo nelle ultime settimane eri svanito quasi completamente dalla mia vita, prima sei sempre stato presente, per quanto i congressi te lo permettessero. Ho capito che almeno fino a qualche settimana fa ti importava ancora di me, poi abbiamo cominciato a vederci sempre di meno, avevi la testa chissà dove, e stasera mi son ricordata che avevi molte preoccupazioni per la mente, mi son ricordata perché non ti avessi parlato di questo "scomparire". Una volta finito di riabilitarti, per quanto potessi, nella mia testa, ero già al supermercato, quindi il mio desiderio di vederti per chiarirci si è subito realizzato.
-Sei incredibile, sai? Chiunque nella tua posizione, se mi avesse incontrato, mi avrebbe preso a calci, se non peggio.
-Ho pensato di voler lasciar l'onore di prenderti a calci a Brian.
-Mi ha minacciato spesso ultimamente, a dir la verità. Mi vedeva troppo intorno a lui, o comunque sapeva che non ero con te quando ero fuori.
-Beh, hai scampato il pericolo.
-Avrebbe fatto bene.
-Sai quante cavolate combinerai ancora? Avrà altre opportunità per svegliarti, anche se, in tal caso, io tenterò di svegliarti, senza prenderti a pugni.
Delilah guardò la tavoletta che Peter aveva lasciato su un angolo del tavolo.
-Se volevi che ti facessi una torta, avresti dovuto prendere più tavolette. - commentò scherzosa.
- Abbiamo tutta la vita per mangiare in varie forme il cioccolato o per bere molto tè, abbiamo solo il presente per stare con chi amiamo.
Si alzarono e attesero nel silenzio della notte il momento dell'alba, l'inizio di un nuovo giorno.
Attesero ciò che il futuro avrebbe riservato per loro, trepidanti di viverlo insieme, ansiosi di vivere appieno quella magia che li teneva uniti.

 
Fine.

 

 
Dopo aver tentato di iniziare un "quinto capitolo" e prolungare questa storia con risvolti per me improbabili, forzati e talvolta pessimisti, ho deciso di ritornare all'idea originale che ha sempre accompagnato la scrittura di questa storia breve, il cui scopo era mostrare, in pochi capitoli, come ci si possa dimenticare per un periodo, nonostante si tenti il contrario, di una persona amata. Un po' come immergersi in acqua e dimenticarsi che puoi nuotare, per poi ricordarselo e tornare su, alla luce del sole. Spero di esserci riuscita. La mia intenzione iniziale non era scrivere una long di 40 capitoli, per ora non ho la concentrazione necessaria per andare oltre alle classiche venti pagine di word/quattro-cinque-sei capitoli, quindi ho optato per lasciare un finale più o meno aperto, in modo tale da permettere ad altri di immaginare, nel caso insoddisfatti, il loro futuro, se si sposeranno, se viaggeranno come Delilah ha sempre desiderato, quale lavoro faranno, o se invece uno sarà costretto a vivere senza l'altro a causa di un tragico incidente, o una malattia, e se sarà capace di riprendersi, se riuscirà a rifarsi una vita, se rivedrà quel barlume di magia ancora una volta. Io spero di aver dato gli elementi, e di esser stata di gradevole compagnia a chi ha voluto leggere i miei deliri mentali. 
Vi ringrazio se siete arrivati fino a qui,
Sognatrice.
 

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