Not Fade Away

di Teo_95
(/viewuser.php?uid=654754)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1x01 - L'inizio della storia (Parte I) ***
Capitolo 2: *** 1x02 - L'inizio della storia (Parte II) ***



Capitolo 1
*** 1x01 - L'inizio della storia (Parte I) ***


 

Episodio 1x01
"L'inizio della storia - Parte I"

 

"I wanna say I lived each day, until I die
And know that I meant something in somebody's life!
The hearts I have touched will be the proof that I leave,
That I made a difference, and this world will see...

I was here...
I lived, I loved...
I was here!
I did, I've done everything that I wanted
And it was more than I thought it would be!"

 #Beyoncé - I Was Here


 

[ 30 Giugno 1978
Lily Evans chiuse lentamente il proprio baule, accertandosi per l'ultima volta di aver riposto tutti i propri effetti personali all'interno del – pesante – bagaglio: la professoressa McGranitt aveva più volte ripetuto agli studenti che eventuali oggetti dimenticati presso la Sala Comune sarebbero stati fatti recapitare direttamente ai legittimi proprietari in allegato alla busta contenente i risultati dei M.A.G.O, ma la giovane Grifondoro voleva essere sicura di non aver dimenticato nulla; sebbene ella avesse inizialmente deciso di preparare la propria valigia la mattina seguente, esattamente come avrebbero fatto le sue migliori amiche, Lily sentiva il desiderio di rimanere per qualche minuto da sola, seduta sul letto nel quale aveva dormito per sette lunghi anni […] Sette anni. Era davvero passato così tanto tempo da quando, decisamente emozionata e al contempo indescrivibilmente curiosa, aveva varcato per la prima volta la soglia del leggendario castello di Hogwarts? Erano davvero passati già sette anni da quando il Cappello Parlante, posato delicatamente sul capo dell'allora bambina, aveva letto in pochi istanti tutti i pensieri della piccola Lily (scrutando a fondo nella sua mente e nel suo cuore, quasi volesse cercare di carpire anche il più piccolo segreto, o il più insignificante barlume di pensiero, della ragazzina) salvo infine decretare che Grifondoro – la Culla dei Coraggiosi di Cuore – sarebbe stata la Casa adatta alla strega?
Avrebbe lasciato una parte del suo cuore ad Hogwarts – o, meglio, Hogwarts avrebbe sempre trovato dimora nel suo cuore; ella avrebbe custodito gelosamente il ricordo di ogni istante, di ogni momento (anche il più effimero) vissuto entro le mura della millenaria Scuola di Magia. Non avrebbe più atteso con trepidazione l'inizio di un nuovo anno scolastico; non avrebbe più percorso il sentiero che conduceva alla capanna di Hagrid. E poi, ancora, non avrebbe più avuto la possibilità di recarsi presso lo stadio, pronta a sostenere la squadra della propria Casa incitando i giocatori a non arrendersi. Le sarebbero tremendamente mancate le serate passate a chiacchierare con le sue amiche di fronte al caminetto della Sala Comune – e non potete davvero capire cosa Lily avrebbe dato per poter provare ancora una volta, un'ultima volta, le emozioni di cui aveva goduto a pieno durante quei sette lunghi anni. Eppure, sebbene la malinconia avesse con facilità pervaso l'animo della giovane Grifondoro, Lily sapeva che tutto non sarebbe davvero stato perduto: non avrebbe mai rinunciato ai legami affettivi che aveva avuto modo di creare durante la sua permanenza ad Hogwarts (non sarebbe nemmeno stata capace di immaginare quale senso di smarrimento e di vuoto avrebbe provato se non avesse avuto la più solida certezza che, anche fuori da Hogwarts, avrebbe continuato a frequentare Dorcas, Marlene, Mary e i frizzanti Malandrini che tanto avevano riempito di allegria e di gioia anche le sue giornate meno felici o meno spensierate), mai! E James... Stava per iniziare un nuovo capitolo della sua vita assieme a James e non poteva non sentirsi decisamente sollevata nel sapere che il ragazzo di cui si era (a sorpresa, forse?) innamorata l'avrebbe accompagnata in quella nuova – per tutti, in fondo – avventura quale era la vita nel mondo degli adulti. Un'avventura che per certi versi la spaventava; un'avventura che assumeva, talvolta, le sfumature di un salto nel buio – ma pur sempre un'avventura che Lily voleva vivere, certa che le avrebbe riservato tante sorprese! Vi era una magia, inoltre, a cui Lily avrebbe sempre potuto far ricorso: la sua memoria!
Lily stava crescendo, ma sapeva in cuor suo che il passaggio alla vita adulta – metaforicamente rappresentato dall'addio che ella avrebbe dovuto dire, l'indomani, ad Hogwarts – non implicava dover dimenticare tutto ciò che rappresentava e costituiva il suo passato; se ne sarebbe andata, libera però di non andarsene mai definitivamente. Così, se mai avesse sentito il bisogno di ritornare – anche solo per un breve istante, anche solo con un leggiadro pensiero – in uno dei pochi luoghi che aveva davvero potuto chiamare “Casa”, ella doveva soltanto compiere un semplice gesto: chiudere le proprie palpebre, lentamente, e lasciarsi cullare dal ricordo.
Se, un giorno, si fosse mai trovata a chilometri di spazio (e di tempo) da quei momenti ai quali sembrava – ora – insano dover rinunciare, Lily avrebbe potuto sempre ricordare. Ricordare, per sempre...
Ricordare, trovando così conforto nel rivivere, anche per una durata paragonabile a quella di un istantaneo battito di ciglia, quelle emozioni che l'avevano accompagnata per sette, indimenticabili anni...

Ricordare, per sempre...
 

 

James Potter si passò rapidamente la mano destra fra i ribelli capelli corvini, prima di socchiudere appena le palpebre, vinto da un improvviso moto di stanchezza; dischiuse le labbra, aggrottando al contempo la fronte e facendo poi vagare il proprio sguardo tutt'attorno a sé. La sua stanza appariva decisamente spoglia, mobilio a parte: le pareti – d'oro e vermiglio dipinte, testimonianza diretta di quanto James fosse fiero di essere stato un Grifondoro – non recavano più alcuna foto, né i poster delle band che il ragazzo e Sirius avevano provveduto ad appendere (accanto a quelli di giovani modelle babbane ritratte in costume da bagno su spaziose spiagge esotiche) nel corso degli anni; tutti gli effetti personali del ragazzo, compreso il Boccino d'Oro che egli era riuscito a farsi autografare da Gregory Cotton in persona, erano stati riposti ordinatamente in un'ampia valigia (per l'occasione ulteriormente resa più capiente dall'incantesimo di estensione irriconoscibile) che giaceva, aperta, ai piedi del letto. Davanti all'armadio (ormai vuoto) troneggiava la Silver Arrow di James, sul cui manico lucente era stata incisa a caratteri eleganti la data della prima partita a cui l'ex Grifondoro aveva preso parte. Stava davvero per lasciare quella casa? Quella domanda rimbombò, greve, nella mente del ragazzo.
Immagino di sì- ma ciò non significa che non metterò mai più piede in questa casa!
Si sedette sul letto, contemplando l'intenso silenzio che troneggiava, tiranno e incontrastato, nella stanza. Odiava il silenzio: James aveva sempre idealizzato il silenzio non come l'anticamera di uno stato di tranquillità, quanto come la mancanza di rumore. Una mancanza, e basta. Era un pensiero a tratti assurdo, certo, ma James non sarebbe mai riuscito ad apprezzare il carattere etereo che, talvolta, vigeva nel silenzio: era come se tutto apparisse freddo, coperto da una sorta di gigantesco telo trasparente e privato quindi del naturale calore che possiedono le cose. Morto.
Non amava il silenzio; non amava confrontarsi con il silenzio – non gli piaceva sentire i propri pensieri cozzare prepotentemente l'uno contro l'altro nella sua mente, e il silenzio suscitava in lui tutto ciò. La mancanza di suoni e rumori lo faceva sentire vulnerabile – e questo non gli piaceva. Decisamente no...
Eppure, in quel momento, il silenzio andava assumendo le fattezze di un nemico non poi così temibile; in quel momento, la – inquietante, forse giusto un po' – pace che regnava nella sua stanza non appariva poi così detestabile. Certo, l'innaturale silenzio che avvolgeva James aveva – come previsto – conferito alla stanza quel carattere morto che sembrava andare a braccetto con l'arredamento spoglio della stanza stessa, ma- ma dopotutto a James serviva, in quella occasione, rimanere solo con i propri pensieri: solo per quella volta, avrebbe permesso loro di inseguirsi e combattere nella sua mente, partecipanti belligeranti di un perpetuo gioco di scontri e reciproche fughe.
Aveva compiuto la scelta giusta, chiedendo a Lily di andare a vivere insieme?
Certo, James – lo sai benissimo!
Amava Lily. Aveva capito di averla sempre amata, in fondo: era rimasto colpito dalla sua bellezza fin dal momento in cui l'aveva scorta, solo di sfuggita, sul primo viaggio a bordo dell'Espresso per Hogwarts; aveva gioito, senza mostrarlo palesemente, nel momento in cui il Cappello Parlante aveva smistato entrambi nella Casa di Grifondoro. Si era innamorato della sua gentilezza, della sua dolcezza, del suo sincero interesse nei confronti delle altre persone; Remus diceva sempre che Lily sapeva vedere il buono in tutti, anche quando qualcuno non riusciva a scorgerlo in se stesso. Era però rimasto colpito anche dal suo coraggio e dalla sua testardaggine – e, per un qualche non precisato motivo, James aveva capito che Lily Evans sarebbe stata l'unica ragazza capace di tenere testa al suo carattere decisamente frizzante! Aveva sbagliato a rapportarsi con lei, all'inizio: per quanto avesse scorto in Lily tratti caratteriali che in altre – frivole – ragazze non aveva notato, James era convinto che la giovane Grifondoro – come molte altre coetanee – sarebbe rimasta affascinata dal carattere decisamente esuberante del ragazzo... Non era proprio andata così: si poteva dire che Lily provasse una palese indifferenza nei confronti di James, che talvolta arrivava a sfociare in sincera e radicata antipatia nel momento in cui il giovane (assieme a Sirius, a Peter e ad un riluttante Remus) si lasciava andare ad atteggiamenti che- basta!
Quello era il passato, ok? Lily ti ama e tu la ami! È questo ciò che conta!
E andare a vivere insieme è un'ottima idea- magari un po' destabilizzante, ma pur sempre un'ottima idea!

«Sei pensieroso?»
Dorea Potter si fermò a pochi passi dalla porta della stanza di James, sorridendo dolcemente al figlio; i lunghi capelli – ormai in gran parte ingrigitisi, fatta eccezione per qualche ciocca ancora corvina – raccolti in un'elegante treccia ricadevano, lucenti, sulla spalla destra della donna. Diverse rughe solcavano il suo viso stanco e James aveva avuto la netta impressione che sua mamma – già un po' avanti con gli anni nel momento in cui era rimasta incinta – fosse invecchiata ancora più velocemente dopo la morte del marito. Nonostante ciò, Dorea Potter rimaneva comunque una strega decisamente in gamba – una donna la cui gentilezza e bontà d'animo erano ammirate da moltissime persone (fra cui la professoressa McGranitt, giusto per citare un esempio!)
«Nulla di importante-»
«A giudicare dall'espressione vacua che leggevo nei tuoi occhi fino a qualche istante fa, direi che non è proprio così!» esclamò Dorea, entrando nella stanza e sedendosi accanto a James. «Vuoi parlarne?»
«Riflettevo-» rispose evasivo James. Dorea annuì, arricciando lievemente il naso.
«Hai qualche dubbio riguardo il trasferimento?» domandò
«No-» rispose immediatamente James, voltandosi verso la madre. Fissò per qualche istante i suoi occhi scuri, per poi tornare a guardare un punto non meglio precisato davanti a sé. «Non lo so- è solo che mi sto chiedendo se io e Lily abbiamo fatto la scelta giusta: voglio dire, sono assolutamente sicuro della solidità del legame che ci unisce e non desidero altro che vivere serenamente il mio futuro insieme a lei, ma- mi domando se non abbiamo fatto tutto troppo di fretta. Se io non ho fatto tutto di fretta, chiedendole di andare a vivere insieme... Non è nemmeno una questione economica: l'affitto dell'appartamento non è poi così alto e il vecchio Charlie ha accettato di modificare i miei turni al negozio affinchè io possa anche iniziare a seguire i corsi all'Accademia degli Auror, se alla fine decidessi di iniziare quel percorso- non è per quello... ho solo qualche pensiero, tutto qui»
Dorea ascoltò in silenzio le parole del figlio, intrecciando delicatamente le dita della mano destra con quelle della sinistra – mani decisamente non più lisce come parecchi anni prima; nel momento in cui James smise di parlare, la donna indugiò per qualche secondo alla ricerca delle parole che ella riteneva più appropriate alla situazione. «È normale sentirsi spaesati e impauriti di fronte a dei grandi cambiamenti – mi sorprenderebbe, al contrario, saperti completamente libero da qualsiasi piccolo pensiero-» esordì, sorridendo.
«Mamma, sai che non ho paura-»
«James-» mormorò Dorea, socchiudendo appena le palpebre. «Non vi sarebbe nulla di male, sai? Ho sempre pensato che la vita sia una grande e spesso inaspettata avventura da affrontare serenamente, anche quando ci riserva ostacoli o imprevisti apparentemente insormontabili, ma soltanto uno sciocco affermerebbe di non conoscere un sentimento umano come la paura. Ed è normale che tu possa provarne- non fare quella faccia! Ma credimi se ti dico che andrà tutto benissimo: tu e Lily siete due anime affini che si sono trovate e che riescono a completarsi a vicenda, e non vi è punto di partenza migliore per vivere il futuro che vi sta attendendo. Il vostro amore è il primo, ma solido, mattoncino attorno al quale iniziare ad edificare tutto il resto – e, se entrambi seguirete sempre ciò che vi suggerisce il vostro cuore, non potrete sbagliare (nemmeno se adesso tutto sembra assumere dei connotati sfumati). Non avere paura del futuro, James! Il mondo vi sta solo aspettando-»
Dorea sorrise nuovamente in direzione del figlio, per poi aggiungere: «-È bene, però, che ti ricordi qualche piccola regola per rendere una convivenza quanto più possibile efficiente, se non altro per solidarietà femminile nei confronti di Lily!»
«Mamma, per favore!» disse James, alzandosi di colpo in piedi e dirigendosi verso la porta della propria camera. Dorea accennò una piccola risata, salvo poi riprendere a parlare nel momento in cui ella si accorse che James minacciava davvero di abbandonare la stanza: «James, ascoltami! È importante-»
James si voltò – sospirando – nuovamente verso la madre, ancora seduta sul letto del ragazzo.
«Grazie-» mormorò Dorea, sorridendo. «Per prima cosa, la vostra casa non sarà un albergo: mi aspetto che tu aiuterai Lily a prendervene cura, dandole una mano anche nelle faccende di casa. Questo significa che i vestiti non si metteranno da soli nella cesta dei panni sporchi, a meno che non pensiate di incantarli magicamente con qualche strana formula- So che Lily ha deciso di attendere l'inizio del nuovo anno prima di cercare un lavoro, ed è quindi probabile che vorrà occuparsi lei stessa della casa; immagino che le farebbe molto piacere sentirsi dire “grazie” per quello che fa, perchè anche svolgere le mansioni di casa merita lo stesso rispetto di qualsiasi altro lavoro! E, infine, ricordati di alzare sempre la tavoletta del water quando lo userai! […] Sai benissimo che potrete sempre contare su di me per qualsiasi evenienza, sette giorni su sette e ventiquattro ore su ventiquattro – e ti prego di girare queste mie parole anche a Sirius: questa casa sarà così vuota, senza di voi... Ma immagino che sia giusto così – e finalmente non dovrò più temere che la vostra stanza esplodi da un momento all'altro!»
«Grazie, mamma-» disse James, lasciandosi finalmente andare ad un sorriso sincero; l'ex Grifondoro si avvicinò nuovamente a Dorea (la quale, nel frattempo, si era lentamente alzata in piedi) e l'abbracciò. «Grazie di tutto-» ripetè, cingendo dolcemente le spalle della madre.
«Di nulla, tesoro! Di nulla-»
«Sono arrivato giusto in tempo per assistere ad uno di quei famigerati saluti strappalacrime?» domandò Sirius Black, entrando nella stanza di James; si fermò accanto alla Silver Arrow dell'amico, fingendo di esaminare l'incisione presente sul manico, salvo infine alzare lo sguardo verso James e Dorea nel momento in cui si accorse che questi ultimi lo stavano osservando. «Ehi- non fate caso a me, davvero! Continuate pure-»
James scosse la testa, ridendo. «Ti hanno dato le chiavi della tua nuova casa?» domandò.
«Oh, yes!» rispose ammiccando Sirius. «Anzi, devo ammettere che la vecch- anziana proprietaria è rimasta piacevolmente sorpresa nell'apprendere che è stato proprio mio zio Alphard a suggerirmi di rivolgermi a lei, poco prima di morire – pace all'anima sua: era uno dei pochi elementi sani della mia famiglia! Ad ogni modo, non è chissà quale appartamento, ma penso che in fondo vada più che bene!»
«Poco fa, stavo proprio ricordando a James che io sono sempre qui, qualsiasi cosa abbiate bisogno! Ovviamente questo vale anche per te, Sirius!» disse Dorea, sorridendo al ragazzo che ella considerava ormai come un secondo figlio. Sirius sorrise a sua volta, dischiudendo lievemente le labbra: «Dorea, grazie per- tutto, davvero! Tu e Charlus mi avete sempre trattato come un figlio; voi- siete la mia famiglia, la mia vera famiglia, e mi piacerebbe poter fare molto di più per mostrarvi la mia infinita gratitudine piuttosto che limitarmi solo a dirvi grazie
«Non ve ne è bisogno, Sirius- è stato un grandissimo piacere! Lo sai- ma ora andate, prima che questo momento si trasformi davvero in una di quelle scene in cui si finisce per affondare il viso in un grosso fazzoletto di stoffa!» mormorò ridendo Dorea, combattendo però – al contempo – per trattenere le lacrime che premevano (agli angoli dei suoi occhi) per essere lasciate libere di scivolare lungo le gote della donna. James posò dolcemente la mano destra sulla spalla della madre, dopodichè estrasse la propria bacchetta magica dalla tasca posteriore dei pantaloni e la agitò elegantemente davanti a sè, tracciando una sorta di invisibile E nell'aria: l'ampia valigia – ancora riposta ai piedi del letto – si chiuse con un sonoro tonfo, non prima che anche il manico di scopa si fosse magicamente fiondato entro la stessa. James agitò nuovamente la propria bacchetta e un sottile fascio di luce scarlatta avvolse per qualche breve istante l'imponente bagaglio che, pochi istanti dopo, svanì senza lasciare alcuna traccia.
«Nuova casa, stiamo arrivando-» mormorò Sirius, dando una pacca sulla schiena di James.



 

Caradoc Dearborn dischiuse istintivamente le labbra, nel momento in cui il getto di acqua fredda colpì la sua nuca; socchiuse gli occhi, lasciando che il flusso continuo di acqua rinvigorisse – anche se in minima parte – il suo corpo stremato dall'ennesimo duro allenamento. Sapeva che l'Accademia degli Auror richiedeva un impegno e un grande spirito di sacrificio da parte di coloro che ambivano a completare il ciclo di addestramento, ma egli si era – ingenuamente, forse? – illuso che la preparazione per divenire Auror vertesse principalmente sull'insegnamento pratico e teorico di magie difensive e offensive, non certo su una spietata sessione di esercizi fisici e test compiuti sotto sforzo! Cercava di vedere il lato positivo, ovviamente: quelle interminabili sessioni di flessioni (intervallate dal sollevamento di ingenti carichi e da una serie di addominali capaci di stendere anche il più allenato dei culturisti babbani) avrebbero indubbiamente contribuito a far rimanere l'ex Tassorosso in perfetta forma fisica... Sempre che egli non fosse morto prima per la stanchezza! Socchiuse gli occhi, allungando la mano destra per chiudere il rubinetto; i corti capelli castani ricadevano fradici sulla sua fronte, bagnandogli anche parte del volto. Afferrò un asciugamano e se lo mise attorno al collo, asciugandosi il viso e arruffando poi tutti i capelli con un rapido gesto della mano.
«Ben, la pausa è finita...» mormorò, infilando una t-shirt grigia. «Ben?» domandò, voltandosi verso l'amico. Benjamin Fenwick dormiva, sdraiato su una delle lunghe panchine di legno dello spogliatoio; il braccio destro piegato dietro la testa nel tentativo di simulare un rudimentale cuscino, il petto che si alzava e si abbassava ritmicamente ad ogni respiro del ragazzo. Caradoc scosse la testa, sorridendo; estrasse la propria bacchetta magica dalla tasca posteriore dei pantaloni e, non senza combattere contro se stesso per reprimere la spontanea e sincera risata a cui egli voleva lasciarsi andare, la avvicinò silenziosamente al viso dell'amico. «Aguamenti!» esclamò, osservando il potente getto d'acqua che investì Benjy in pieno volto. Ben spalancò di colpo gli occhi, alzandosi velocemente in piedi; il ragazzo sbattè un paio di volte le palpebre, confuso, salvo infine posare il proprio sguardo su quello dell'amico, in piedi e in preda a quel moto di riso che poc'anzi aveva trattenuto.
«In piedi, Tasso Addormentato!» disse Caradoc, dando una pacca sulla schiena di Ben.
«Ma cos- Salazar, Doc, non potevi limitarti a chiamarmi?» domandò Benjy, usando la propria maglietta per asciugarsi il viso. Caradoc scosse la testa, sorridendo, prima di riprendere a parlare: «Pensavo fosse più divertente così! Ad ogni modo, Dawlish sta per riprendere gli allenamenti-»
Benjy annuì, poco convinto. «Di questo passo, rischierò di addormentarmi nel momento in cui dovrò Smaterializzarmi per tornare a casa: sai cosa accadrebbe, se dovessi davvero farlo? Trovereste una parte del mio corpo sul divano di casa mia e un'altra parte a cinquecento miglia di distanza!»
Caradoc si avviò verso l'uscita dello spogliatoio, seguito dall'amico. «Guarda il lato positivo-» esordì, alzando appena le spalle. «Domani tornerà Malocchio e almeno per qualche giorno potremo dire addio ad esercizi ginnici dai ritmi massacranti-»
«-e dare invece il benvenuto a fatture e incantesimi capaci di mandarci al San Mungo per un mese! Ora sì che mi sento davvero meglio, amico!» concluse ironicamente Ben, chiudendo la porta dello spogliatoio alle proprie spalle. La stanza entro la quale si svolgevano le lezioni di quella settimana ricordava molto una palestra: una lunga serie di spalliere di legno e attrezzature ginniche di varia natura occupavano la maggior parte delle pareti della sala, mentre nell'esatto centro era stata montata una sorta di lunga passerella. Alcuni dei compagni di corso dei due ragazzi si erano già riuniti attorno alla passerella stessa, intenti ad ascoltare le parole di un mago di mezza età, immobile nel centro della passatoia – la quale, ad una migliore osservazione, andava configurandosi come una sorta di piccolo palco leggermente sopraelevato. John Dawlish era uno dei più rinomati Auror dell'ultimo secolo, noto soprattutto per la sua abilità nell'uso degli Incantesimi di Disarmo e per la naturalezza con cui egli riusciva a condurre qualsiasi duello – anche il più impegnativo – senza scomporsi più di molto (o, perlomeno, senza mostrare palesemente tentennamenti, nemmeno nei momenti in cui egli si era chiaramente trovato in difficoltà). Non a caso, Dawlish faceva parte della scorta personale del Ministro della Magia, occupandosi però – durante il mese di agosto – “dell'accoglienza” di coloro che, il mese successivo, sarebbero divenuti le nuove reclute dell'Accademia. Amava la disciplina, Dawlish – ma, per quanto egli potesse apparire un uomo talvolta rude, sapeva il fatto suo.
L'Auror si schiarì la voce, mentre il chiacchiericcio di sottofondo venne immediatamente meno: «Per oggi basta esercizi fisici!» disse, facendo vagare lo sguardo sui volti dei ragazzi. «Domani mattina Alastor Moody avrà ampiamente modo di introdurvi le nozioni base di un duello magico che possa definirsi tale, ma ritengo sia utile iniziare fin da ora a prendere un po' di dimestichezza con quanto vi attenderà nelle prossime settimane!»
«Era ora! La mia schiena ringrazia-» sussurrò Ben, voltandosi appena verso Caradoc.
«E' importante che impariate a mantenere viva la concentrazione in ogni momento...»
«-Anche perchè temo che Dorcas e Mary possano chiederci di aiutarle con il trasloco, e lì sì che potrei morire-»
«Mi serve un volontario-» riprese Dawlish, impugnando la propria bacchetta. «Lei- sì, proprio lei in seconda fila!» esclamò, puntando la bacchetta in direzione di Benjy. Il ragazzo fissò in silenzio l'Auror, prima di muovere qualche passo verso il mago; con un agile balzo salì sulla passerella, fermandosi a pochi passi da Dawlish stesso. L'Auror posò i suoi occhi grigi sulla figura del ragazzo, squadrandolo rapidamente dall'alto verso il basso. «Fenwick, non è vero? La professoressa Sprite ci ha segnalato che ad Hogwarts ha mostrato attitudine e interesse per Difesa contro le Arti Oscure e per Incantesimi, dico bene?»
«Sì, signore!» rispose Ben, accompagnando le sue parole con un cenno di assenso del capo.
«Ottimo!» ribattè Dawlish, prima di tornare a guardare gli altri ragazzi. «Il signor Fenwick mi sarà gentilmente d'aiuto nel mostrarvi alcuni piccoli accorgimenti che durante un duello possono fare la differenza, specie se siete ad un passo dall'essere uccisi! Ora-» e qui l'Auror si bloccò, voltandosi di nuovo verso Ben: «Ora io lancerò uno Schiantesimo e lei dovrà respingere il mio attacco, utilizzando il contro-incantesimo che riterrà più adeguato! […] È tutto chiaro? Al mio tre-»
«Un momento, cosa intende con-»
«Tre! Stupeficium!»
«Protego!»
Il fascio di luce rossa fuoriuscito pochi istanti prima dalla bacchetta di Dawlish si infranse in mille piccoli cristalli urtando contro lo scudo evocato da Benjy; l'Auror accennò un lieve – e ambiguo – sorriso, abbassando la bacchetta e voltandosi verso gli studenti. «Un Sortilegio Scudo» constatò, sistemando il nodo della propria cravatta. «Un incantesimo di protezione difficile da evocare, ma parte indispensabile dell'arsenale di un Auror. Due sono le cose che dovete sempre tenere a mente: rimanere sempre vigili e pronti a tutto-»
Dawlish si girò repentinamente verso Benjy e dalla punta della sua bacchetta uscì un nuovo getto di luce rossa, che questa volta colpì l'ex Tassorosso in pieno petto, sbalzandolo ad almeno una decina di metri di distanza dal punto in cui egli si trovava. Come se nulla fosse accaduto, Dawlish riprese a parlare, riponendo la bacchetta nella tasca anteriore della propria giacca: «E in secondo luogo, ricordare che durante le mie lezioni non si chiacchiera- Formate delle coppie, veloci!»


 

Correva. Arrancava, tentando di compiere qualche passo senza perdere l'equilibrio. Poi improvvisamente cadde. Soffocò dei piccoli gemiti e cercò di rimettersi in piedi, barcollando. Correva, di nuovo...
Remus Lupin respirava a fatica, ansimando sempre di più man mano che procedeva, inoltrandosi nella foresta: ogni suo singolo passo risultava essere più incerto del precedente ed egli sapeva che, presto, si sarebbe dovuto arrendere. Era assurdo tentare di combattere, lo sapeva bene; fuggire, poi, non gli avrebbe procurato alcun giovamento, se non la speranza di farsi trovare ormai allo stremo delle forze, quando quel mostro lo avrebbe posseduto. Rifuggiva dal chiarore della Luna, Remus, ma sapeva in cuor suo che non avrebbe potuto fare nulla per impedire la trasformazione: sebbene il cielo del 18 Agosto 1978 si trovasse ad essere dominato da plumbee (ma passeggere) nubi, era solo questione di pochi brevi istanti prima che la Luna riprendesse possesso del posto che le spettava nel cielo – ed allora quell'effimero tentativo di ribellione attuato dal giovane mago avrebbe perso anche quel briciolo di significato che, in quel momento, egli sembrava attribuirgli.
Quando il mostro si insinuava in lui, Remus perdeva completamente il controllo delle proprie azioni: era come se il suo cervello si spegnesse di colpo, per poi riprendere a funzionare con coscienza solo nel momento in cui la Luna, finalmente, decideva di abbandonare il proprio palcoscenico – al pari di un attore pronto a salutare il proprio pubblico dopo aver concluso uno spettacolo. Il giovane Lupin sapeva che correre fino allo stremo delle proprie forze non lo avrebbe protetto, né risparmiato, dalla maledizione che egli avvertiva ormai pronta a palesarsi in tutta la sua (terribile, certo) irruenza, eppure non poteva rinunciare alla speranza di risultare meno pericoloso, nel caso egli si fosse tramutato in licantropo dopo aver perso gran parte delle proprie energie. Era la seconda volta che Remus decideva di Smaterializzarsi in quella foresta, situata in una regione a Nord-Ovest del Galles: non ricordava molto della terra natia di sua madre, eppure qualche piccolo frammento della sua memoria gli aveva suggerito di aver già visitato quella foresta, tanti anni prima. La famiglia Lupin aveva vissuto a Gwynedd relativamente per poco tempo, prima di vedersi costretta a intraprendere quella lunga serie di ciclici trasferimenti dovuti alla licantropia di Remus – licantropia che difficilmente impediva al ragazzo di riuscire a nascondere per lungo tempo il proprio status di lupo mannaro; nonostante ciò, Remus aveva immediatamente provato la strana sensazione di sentirsi a casa, nel momento in cui – con un sonoro poof capace di rompere l'etereo silenzio che regnava incontrastato in quella foresta – egli si era Materializzato per la prima volta al limitare del bosco.
Perchè aveva deciso di fuggire? Non era difficile trovare una risposta a tale quesito: Remus temeva di fare del male a qualcuno – e a poco erano serviti i tentativi di aiutarlo formulati dai suoi amici. Il ragazzo non frequentava più Hogwarts; non aveva più la possibilità di rifugiarsi presso la Stamberga Strillante, così da non mettere in pericolo la vita delle altre persone. Aveva ormai compiuto diciotto anni e nessuno poteva davvero immaginare cosa un lupo mannaro ormai adulto avrebbe potuto causare, nel momento in cui non sarebbe più stato capace di controllarsi. Sirius e James si erano proposti di seguire Remus in quella foresta, nel momento in cui il giovane Lupin aveva esposto loro la sua idea, ma Remus stesso aveva gentilmente (e mestamente) chiesto loro di non mettere in atto tale proposta: un lupo mannaro rappresentava un pericolo soltanto per gli esseri umani, ma Remus non aveva il benchè minimo desiderio di mettere a repentaglio la vita dei propri amici (anche se relativamente al sicuro nella loro forma di Animaghi), soprattutto quando già il clima rovente della guerra nel Mondo Magico rappresentava un quotidiano pericolo per tutti loro!
Dovette fermarsi, ormai incapace di procedere oltre: il suo cuore batteva ad un ritmo esagerato, il secco rumore delle sue contrazioni quasi udibile in mezzo al totale silenzio; i suoi polmoni, roventi, sembravano ormai incapaci di svolgere la propria funzione, tanto che il respiro del ragazzo venne meno per qualche istante. Si appoggiò contro il tronco di uno dei secolari alberi che lo attorniavano, lasciandosi poi di colpo cadere a terra; con le ginocchia immerse nel terriccio umido, Remus sbattè un paio di volte le palpebre, salvo infine alzare lentamente la testa verso il cielo, incrociando con il proprio sguardo la Luna che, nel giro di pochi istanti (che paradossalmente sembravano invece essere interminabili), tornò a dominare sul'intero firmamento. No...
Remus inclinò il capo all'indietro, emettendo un lungo gemito di dolore; riprese a respirare con affanno, guardandosi attorno nel vano tentativo di trovare un rifugio. No...
Il corpo del mago venne scosso da un potente fremito; Remus perse il precario equilibrio, cadendo supino sul terreno. Inarcò la schiena, portandosi le mani sul petto – all'altezza del cuore – e continuando ad agitarsi, spaventato e al contempo consapevole di ciò che stava per accadere. Le sue pupille si dilatarono rapidamente, mentre la sclera dell'occhio assunse venature rossastre sempre più marcate. Una sorta di rauco latrato fuoriuscì prepotentemente dalla bocca del ragazzo, portando con sé tutto il dolore provato, in quel momento, da Remus stesso: le mani del mago si deformarono, assumendo una forma sempre più affusolata – il dorso, istante dopo istante, sempre più ricoperto da spessi peli bruni; le unghie divennero dei veri e propri artigli, scuri anch'essi prima di tingersi di un rosso vivo nel momento in cui essi affondarono nel petto del mago, facendo letteralmente a brandelli la camicia che egli indossava. Il viso stesso del ragazzo si allungò, assumendo i connotati di un muso animalesco, dotato di fauci e appuntite orecchie irsute; la candida pelle rosata lasciò ben presto il posto ad una folta peluria grigiastra, capace di espandersi velocemente sull'intero corpo – ormai quasi completamente privo di un qualsiasi carattere umano – del giovane. Il respiro della creatura si fece più regolare, sebbene il cuore continuasse a battere ad un ritmo decisamente accelerato; il licantropo si accovacciò per qualche istante contro il tronco dell'albero, muovendo rapidamente la testa – prima a destra, poi a sinistra – come per accertarsi di non correre alcun pericolo. Distese le gambe, assumendo una posizione eretta e vagamente antropomorfa: sebbene la figura di Remus avesse ormai lasciato posto ad una creatura ancora più alta e snella (la ossa della gabbia toracica sembravano perforare la carne, quasi fossero pronte a fuoriuscire dal costato da un momento all'altro), il lupo mannaro conservava delle movenze e dei tratti umani, per quanto terribilmente deformati dalla maledizione della licantropia. Dischiuse le fauci, gettando all'indietro il capo: un penetrante e doloroso ululato si diffuse, tagliente, nell'intera foresta...


 

Hestia Jones scostò lievemente la tenda della finestra del salotto; lasciò vagare per qualche istante lo sguardo, come se ella si aspettasse di veder comparire – da un momento all'altro – qualcuno esattamente sotto la veranda della villa. Corrugò appena la fronte – sebbene questo fosse il risultato di un'espressione preoccupata, più che indispettita – e lasciò ricadere nuovamente la tenda, non prima di notato la propria immagine riflessa nel vetro: i suoi (di solito) ridenti occhi scuri erano velati da un'ombra di tristezza e di stanchezza, privi in parte di quella luce malandrina – e la scelta di questo aggettivo non è casuale! – che normalmente conferiva ancora più bellezza al suo viso; fra i lunghi capelli castani, raccolti in un'alta coda, spiccavano una decina di sottili ciocche verdi – risultato di una sessione di bellezza all'avanguardia, come era stata definita da Dorcas, nel probabile tentativo di voler mascherare lo sbaglio compiuto mentre ella si prendeva cura dell'acconciatura dell'amica – che ricadevano ribelli sulle spalle della giovane strega, risaltando brillanti sulla sua carnagione ambrata. Hestia possedeva una bellezza indiscutibile, sebbene non pareva prestarvi molta attenzione: i tratti latini ereditati dalla madre, originaria del sud America, non erano passati inosservati fin dai primi anni in cui la ragazza aveva messo piede ad Hogwarts, sebbene la sua bellezza fosse ancora – per così dire – acerba. Hestia era una ragazza solare – eppure, in quel momento, non riusciva a scacciare i numerosi pensieri che affollavano la sua mente. Una voce femminile alle sue spalle, però, ruppe il silenzio che sembrava aver pervaso il salotto della villa.
«Remus non tornerà prima di domani mattina, Hes!» disse Dorcas, entrando nel salotto seguita da tre scatoloni magicamente incantati affinchè procedessero da soli, sospesi ad almeno un metro e mezzo da terra. La ragazza sbuffò, osservando con disappunto le numerose scatole di cartone ancora impilate l'una sull'altra e ordinatamente – si fa per dire! – accatastate accanto alla porta d'ingresso. «Non pensavo avessimo davvero così tante cose!» esclamò, guardandosi attorno e raccogliendo al contempo i lunghi capelli biondi in un decisamente più pratico chignon. «Vorrà dire che mi sbarazzerò al più presto di qualche tuo vestito (e di parte di quelli di Mary), Hes, per far posto ai miei-» aggiunse, voltandosi sorridendo verso l'amica. Hestia, però, continuava a guardare fuori dalla finestra – apparentemente senza nemmeno essersi accorta dell'arrivo di Dorcas.
«Terra chiama Hestia!» esclamò Dorcas, lasciandosi sfuggire una piccola risata. Hestia si voltò, posando i suoi occhi scuri su quelli chiari dell'amica; corrugò lievemente la fronte, dischiudendo appena le labbra (quel tanto che bastava affinchè un delicato sussurro abbandonasse la sua bocca per librarsi – e perdersi altrettanto velocemente – nell'aria). «Ehm- Dicevi?» domandò, sbattendo un paio di volte le palpebre, le dita della mano destra ancora delicatamente a contatto con il lembo della lunga tenda che copriva la finestra. Dorcas incrociò le braccia appena sotto il seno.
«Hestia, Remus sta bene! Non hai nulla di cui preoccuparti- davvero!» disse, accennando un piccolo sorriso nel tentativo di rassicurare l'amica. Hestia annuì, in silenzio, non del tutto convinta; consapevole che non vi fosse nulla di concreto che ella potesse fare (se non aspettare, impazientemente, il ritorno di Remus così da accertarsi che stesse effettivamente bene), la ragazza accennò agli scatoloni che ancora svolazzavano – quasi privi di un reale peso – alle spalle di Dorcas.
«Posso darti una mano, se vuoi-» disse, accompagnando le sue parole con una rapida scrollata di spalle.
«Questa sì che è la mia ragazza!» esclamò Dorcas, sorridendo; prima che la strega potesse riprendere a parlare, la voce di Marlene McKinnon risuonò cristallina dalla cima della rampa di scale che conduceva al piano superiore della villa.
«Ragazze, questa villa è bellissima!» esclamò Marlene, scendendo rapidamente le scale. «Sembra una sorta di castello in miniatura - per non parlare della bellissima vista sul lago! Assomiglia proprio alla tenuta estiva di Celestina Warbeck: ricordi, Hes? Quella che siamo andate a visitare qualche estate fa insieme a mia zia Seraphine!»
Sì, Marlene McKinnon era decisamente la fan numero uno di Celestina Warbeck: amava le canzoni di quella strega fin da quando aveva sei anni e quella passione era divenuta ancora più forte quando, due anni prima, Marlene era riuscita ad afferrare al volo il boa turchese che Celestina, durante un suo concerto, aveva teatralmente lanciato al suo pubblico. Hestia ricordava che Marlene aveva portato quel boa di piume persino ad Hogwarts, rifiutandosi di toglierselo fino a quando la professoressa McGranitt, ormai esasperata, aveva minacciato di usarlo per ravvivare il fuoco del camino della Sala Comune!
«Ed ecco qui un'altra giovane volontaria pronta a darci una mano per sistemare la casa!» disse Dorcas, nel momento in cui Marlene – ancora intenta ad ammirare, estasiata, ogni singolo particolare di quella villa – si fermò accanto a lei. Si assomigliavano molto, Dorcas e Marlene (almeno da un punto di vista prettamente fisico): entrambe bionde, entrambe alte (sebbene Marlene fosse leggermente più bassa dell'amica) e slanciate; le iridi azzurre di Dorcas trovavano un corrispettivo più tendente al verde in quelle di Marlene ma, tralasciando qualche piccolo particolare, le due ragazze erano state più volte scambiate per due sorelle (tre, quando anche Mary si univa alla sopracitata coppia di streghe!). Marlene ammutolì di colpo, udendo le parole dell'amica: «Io?» domandò, per poi scuotere il capo. «Mi dispiace Doe, ma quando Hestia mi ha invitato per visitare la vostra nuova casa non ha accennato a scatoloni da svuotare e soprammobili da spolverare! Non puoi davvero pensare di far lavorare un ospite!»
«Mio nonno diceva sempre che un ospite educato non si lascia riverire, ma contribuisce attivamente per rendere la dimora che lo ospita un posto migliore! Sto parafrasando un vecchio proverbio-»
«Mai sentito-» mormorò Marlene, guardando Hestia in cerca di un sostegno. «-Ma eviterò di fare commenti a riguardo, visto che è solo grazie a tuo nonno se ora possedete questa fantastica villa!»
Darden Philip Meadowes era venuto a mancare quando sua nipote Dorcas aveva da poco compiuto tre anni; uomo decisamente eccentrico e stravagante (aveva sviluppato, dopo aver compiuto quarant'anni, una strana fobia nei confronti dei folletti – colpevoli, a suo dire, di aver attentato alla sua vita più e più volte nella speranza di recuperare un tesoro che si vociferava fosse custodito nella cantina della sua stessa abitazione), Darden aveva espressamente sottolineato nel proprio testamento il desiderio che la maestosa villa nella quale egli aveva vissuto per quasi tutta la sua vita diventasse di proprietà della piccola Dorcas, così che la bambina (una volta divenuta adulta) avrebbe potuto decidere liberamente se andare a viverci o venderla – ricavandone un più che lauto guadagno! Darden Meadowes adorava la sua piccola nipotina, sebbene effettivamente egli avesse potuto starle accanto solo per pochi anni; nell'impossibilità, quindi, di dimostrare di persona l'immenso affetto che provava per la bambina, il mago aveva concluso che lasciarle in eredità la cosa più preziosa che egli possedeva avrebbe potuto contribuire a far sapere a Dorcas che il nonno le aveva davvero voluto un gran bene... […] Conclusi gli studi ad Hogwarts, Dorcas aveva deciso di andare a vivere nella casa di suo nonno, invitando le sue migliori amiche a vivere con lei – ecco spiegato, quindi, l'iter organizzativo che aveva portato Hestia, Mary e la stessa Dorcas a vivere sotto lo stesso tetto! Prima che Dorcas potesse però ribattere a quanto detto da Marlene, la porta d'ingresso della villa si aprì cigolando – gettare un incantesimo lubrificante sui cardini e sulla serratura: prendi nota, Dorcas! - e una voce maschile fece eco al leggero stridio prodotto dai cardini del portone stesso.
«Dorcas, ti prego, dimmi che questa è l'ultima valigia che devo scaricare!» esclamò Frank Paciock, fermandosi sulla soglia della porta d'ingresso; quasi completamente nascosto dall'enorme (letteralmente parlando!) bagaglio che egli stava reggendo con entrambe le braccia, il ragazzo gettò un'occhiataccia in direzione della giovane strega.
«Frank, sta sfruttando anche te? Qui ci sono gli estremi per una denuncia!» esclamò Marlene, quasi ridendo.
«Dillo alla signorina qui presente!» ribattè Frank, scuotendo la testa e posando a terra la valigia. Di fianco a lui, Alice Prewett annuì, soddisfatta: «Dorcas mi ha detto che avevate bisogno di aiuto per il trasloco e allora ho gentilmente invitato Frank a proporsi come volontario per dare una mano!»
«Gentilmente?» domandò Hestia, aggrottando scetticamente le sopracciglia.
«Volontario?» le fece eco Frank.
«Non potevi usare anche tu l'incantesimo di levitazione che ho usato io? Avresti fatto molta meno fatica!» sentenziò Dorcas, scuotendo il capo.
«Lo avrei usato più che volentieri, se la mia fidanzata non mi avesse sequestrato la bacchetta magica!» esclamò Frank, ignorando la risatina che Alice si era lasciata sfuggire udendo il tono sarcastico usato dal ragazzo. «Dici sempre che vorresti frequentare una di quelle palestre babbane per tenerti in forma; ho pensato quindi di sfruttare questa opportunità per aiutarti a fare degli ottimi esercizi di sollevamento pesi! Non vi è bisogno di ringraziarmi, tesoro-»
Frank scosse la testa, socchiudendo appena gli occhi; Alice gli cinse quindi dolcemente il braccio, sorridendo, per poi stringersi a lui e posare la testa sulla sua spalla. La strega fece quindi vagare il proprio sguardo sui visi delle amiche, dischiudendo lievemente le labbra prima di riprendere a parlare. «Quindi- immagino che la casa sia ormai quasi pronta! Avete già portato qui tutte le vostre cose?» domandò.
«Sì-» rispose Dorcas. «E grazie al vostro aiuto finiremo di sistemare il tutto ancora prima! Grazie, davvero-»
«Figurati, Doe! A cosa servirebbero altrimenti gli amici? È stato un piacere!»
«Parla per te, tesoro-» mormorò ironicamente Frank, tra le risate di Hestia e Marlene
«Frank!» lo rimbeccò Alice, corrugando la fronte. «Mi sento decisamente più tranquilla a saperti qui, sommerso fra mille scatoloni pesanti, piuttosto che immaginarti di ronda là fuori per conto del Ministero!»
Sui visi dei ragazzi sembrò scomparire, quasi all'unisono, qualsiasi traccia di ilarità – per lasciare spazio ad un'espressione che non poteva non tradire la preoccupazione che vigeva nei loro pensieri. Il silenzio che, di colpo, sembrava aver avvolto l'intera villa venne rotto dalla voce di Hestia: «Quello che è accaduto nel quartiere babbano-»
Frank incrociò le braccia sul petto, socchiudendo per un istante le palpebre; la sua voce si articolò in un lieve sussurro, come se egli avesse sperato che pronunciare a bassa voce ciò che stava per dire vanificasse quanto verificatosi il giorno precedente. «Kingsley Shacklebolt mi ha fatto leggere le dichiarazioni di tre babbani, presenti nel momento in cui si è consumato l'attacco dei Mangiamorte: hanno raccontato di aver visto comparire due figure completamente vestite di nero, il viso celato da lunghe maschere argentate. I Mangiamorte – dei quali non è stato possibile verificare l'identità – hanno attaccato un piccolo locale babbano poco distante da Piccadilly Circus. Hanno ucciso dieci persone... Il Ministero ha successivamente modificato la memoria dei tre testimoni, affinchè essi non ricordassero più nulla»
«Il Primo Ministro babbano-» esordì Marlene, prima che Frank la interrompesse, scuotendo la testa.
«Sa già tutto – non che potesse fare più di molto, ad ogni modo. Probabilmente la versione ufficiale riportata alla stampa babbana parlerà di un qualche difetto all'impianto di riscaldamento del locale, o ad una morte accidentale per intossicazione; credo che anche per il Ministro babbano non sia decisamente un buon momento!»
«Oppure provvederanno ad insabbiare il tutto: sono degli esperti, in questo!» sibilò Dorcas.
«Trovo difficile riuscire a minimizzare la morte di una decina di persone» ribattè Frank, corrugando la fronte in un'espressione pensierosa e, al contempo, contrariata: «Non è difficile modificare i ricordi di due o tre testimoni, ma riuscire a tenere nascosto ad un'intera nazione quanto accaduto... Stiamo parlando di dieci uomini morti in un locale, in pieno giorno, senza il benchè minimo segno che possa far supporre l'utilizzo di una precisa arma. Il governo babbano sarà anche abile ad arginare una fuga di notizie che potrebbe allarmare la comunità, ma immagino che possa essere complicato cercare di trovare una spiegazione plausibile atta a giustificare come mai i cuori di dieci persone abbiano cessato di battere quasi all'unisono!»
«Anche i babbani dovrebbero essere informati: hanno il diritto di sapere che vi sono maghi e streghe pronti a sterminarli tutti pur di mettere in atto i loro folli propositi! Non sarebbe necessario parlare loro della magia e di tutto il resto; basterebbe dire loro di stare attenti e diffondere qualche foto dei più pericolosi Mangiamorte» disse Hestia
«E cosa potrebbero fare? Come potrebbero difendersi dall'Anatema che Uccide? È già difficile per noi maghi riuscire a combattere Voldemort e il suo esercito di Mangiamorte, Hes! Un babbano cosa potrebbe concretamente fare, se si trovasse di fronte un Mangiamorte intenzionato ad ucciderlo? Potrebbe fuggire? Non vi è casa, o edificio, o luogo babbano entro il quale un mago o una strega non possa Smaterializzarsi!»
«Vi prego, ragazzi, possiamo cambiare argomento?» sussurrò Marlene, incrociando le braccia appena sotto il seno; Dorcas si voltò verso l'amica, guardandola con uno sguardo preoccupato. «Lene, sai benissimo che puoi venire qui quando vuoi: io, Hestia e Mary abbiamo sperato fino all'ultimo che accettassi di venire a vivere con noi, ma capiamo il tuo desiderio di rimanere accanto alla tua famiglia! Però- non fatevi alcun problema a venire da noi, ok? Tu, i tuoi genitori, Alison... La porta sarà sempre aperta, ventiquattro ore su ventiquattro!» mormorò, posando la mano destra sulla spalla di Marlene.
«Grazie, Doe – ma non devi preoccuparti, ok? Il Ministero ha già provveduto ad inserirci in una sorta di “programma di protezione”; non è il massimo della vita, ma sento che non avremo alcun tipo di problema. L'articolo che papà ha insistito affinchè venisse pubblicato gli ha attirato non poche antipatie, ma Moody e altri Auror hanno concluso che le minacce che abbiamo ricevuto siano probabilmente opera di mitomani, non di veri Mangiamorte... Davvero, Doe, staremo bene!» disse Marlene, sorridendo – un po' forzatamente – nel tentativo di rassicurare l'amica. «E poi c'è un cagnaccio nero che si è offerto di perlustrare periodicamente la zona attorno a casa mia: chissà, magari qualche Mangiamorte è superstizioso a tal punto da rinunciare ad una spedizione punitiva nei nostri confronti, se mai dovesse vedere Sirius nella sua forma da Animagus! Egli ha solennemente promesso che non mi lascerà mai da sola, soprattutto quando i miei genitori dovranno compiere viaggi di lavoro: ho cercato di spiegargli che non ve ne è bisogno, ma non ha voluto sentir ragioni!»
«Chissà perchè...» disse Dorcas, sorridendo maliziosamente. Marlene roteò gli occhi, assumendo un'aria fintamente scocciata, prima di riprendere a parlare: «Ad ogni modo, state pur certe che verrò a trovarvi. Spesso. Potete già da adesso iniziare a preparare la stanza degli ospiti: il poster autografato da Celestina Warbeck va appeso esattamente accanto al letto, Doe – ricordatelo, mi raccomando!»
«Questi sono i veri problemi della vita-» concluse ironicamente Frank.

 

Incrociò le gambe, Lily, sedendosi vicino a Mary; la ragazza osservò i volti di coloro che, come lei, erano seduti uno accanto all'altro (a formare una figura che, almeno vagamente, avrebbe dovuto assomigliare ad un cerchio) sul pavimento della Sala Comune di Grifondoro – e, compiendo quella semplice azione, la giovane Evans non potè non scorgere, negli sguardi dei suoi amici, la stessa malinconia che, in parte, velava i suoi stessi occhi: Dorcas poggiava la testa sulla spalla di Caradoc, cercando di nascondere la tristezza che pervadeva i suoi occhi, ancora in parte inumiditi da piccole lacrime; Benjy guardava Mary, distogliendo rapidamente il proprio sguardo nel momento in cui la Grifondoro si voltava verso di lui; Remus parlava a bassa voce con Emmeline, mentre Peter – sdraiato supino – fissava, quasi in trance, un punto non ben specificato del soffitto della Torre di Grifondoro. Hogwarts sarebbe mancata a tutti loro, Lily ne era certa (e sebbene nessuno dei ragazzi lo avesse ancora detto apertamente, ad alta voce, le espressioni stampate quasi indelebilmente sui loro visi erano decisamente più eloquenti di mille parole). Fu James a rompere per primo il silenzio: «Ragazzi, è giunto il momento!» disse, estraendo la propria bacchetta dalla tasca della divisa; mosse appena la mano, accennando un elegante movimento verso destra. Una bottiglia di vetro, che emerse dall'oscurità che pervadeva l'area adiacente alla rampa di scale che conduceva al dormitorio maschile, si diresse – sospesa magicamente in aria – verso i ragazzi, seguita silenziosamente da almeno una decina di bicchieri. Sirius emise una sorta di ruggito in segno d'approvazione, scambiando uno sguardo complice con James e Benjy; Amelia, dal canto suo, scosse la testa, arricciando le labbra.
«Non ditemi che avete introdotto alcolici nella scuola...» mormorò, socchiudendo le palpebre e lasciandosi vincere da un sospiro ormai rassegnato. Quando riaprì gli occhi, Amelia incrociò lo sguardo soddisfatto e decisamente “malandrino” di James.
«Questa Burrobirra arriva direttamente dal negozio dei genitori di Rosmerta!» spiegò il ragazzo. «Durante l'ultima gita ad Hogsmeade, è riuscita a farcela avere ad un prezzo ragionevole – e non è poi così difficile riuscire a superare i controlli di Gazza, specie se si fa ricorso al giusto diversivo! Non vorrai toglierci dei punti, Amelia?»
«Chiuderò un occhio solo perchè è l'ultima sera che passiamo ad Hogwarts!» ribattè Amelia.
«E anche perchè dovresti spiegare come mai tu, l'impeccabile Caposcuola di Tassorosso, ti trovavi nella Sala Comune di Grifondoro nel bel mezzo del cuore della notte!» aggiunse Mary, reprimendo una risata nel momento in cui lo sguardo di Amelia – quasi offesa dal “tradimento” dell'amica – si posò sulla figura della bionda Grifondoro.
«Ben detto, Mary!» sentenziò James, afferrando la bottiglia di Burrobirra che ancora fluttuava davanti ai loro visi; il tappo della bottiglia saettò verso il soffitto della stanza nel momento in cui il ragazzo ne colpì la superficie con la punta della propria bacchetta. Riempiti i bicchieri di tutti i presenti, James si schiarì la voce: «Sapete tutti che i discorsi seri non sono decisamente il mio forte, ma sento il desiderio di dire qualcosa, in occasione di questa ultima nostra notte ad Hogwarts». Lo sguardo del Grifondoro passò velocemente da un viso all'altro, accompagnato dal silenzio che, di colpo, sembrava aver pervaso l'intera Sala Comune. «Sembra assurdo, non trovate? Queste sono le ultime ore che possiamo passare in questo castello... Mi risulta impossibile realizzare che domani mattina varcherò la soglia di questa Torre, portando con me la mia valigia, i miei effetti personali e i milioni di ricordi legati a questo posto, con la consapevolezza che a Settembre non sarò più qui. Non saremo più qui – quasi tutti noi non saremo più qui, perlomeno. Io- ricordo ancora la prima sera, quando ho potuto finalmente assaporare l'inizio di un'avventura che mai, mai avrei pensato potesse essere così speciale! Un'avventura che vorrei rivivere ancora, e ancora; un'avventura che mi ha regalato emozioni, speranze. Un'avventura che mi ha fatto crescere, e che ho avuto l'onore di condividere con delle persone speciali-». Alzò il proprio bicchiere in alto, James, sorridendo ad ognuno dei propri amici, per poi riprendere a parlare: «Ma non sono triste, dopotutto. Non sono triste perchè so che domani mattina inizierà una nuova avventura, ancora più grande di quella che, stanotte, stiamo per salutare. Domani inizia il nostro futuro, ragazzi – un futuro che ci sta aspettando e che si trova proprio al di fuori di queste mura, oltre le montagne più alte e le foreste più intricate che sembrano cullare e proteggere questa Scuola. Domani abbandoniamo le vesti di promettenti studenti e indossiamo quelle di giovani maghi e streghe pronti a scrivere il proprio futuro - pronti a vivere ogni singolo momento che questa vita vorrà regalarci, assaporandolo in ogni sua sfumatura! Domani inizia per noi un nuovo capitolo, lontano da questo leggendario e magico – magico per davvero! - Castello... Ma i legami che abbiamo creato in questi sette lunghi anni non svaniranno. Noi non svaniremo, mai! Non riesco ancora ad immaginare come sarà il mio futuro, ragazzi, ma so che voi ne farete parte. Per sempre, fino alla fine... Siamo diventati grandi insieme e insieme riusciremo ad affrontare quell'immenso viaggio che è la vita – e non importa se la Gazzetta del Profeta riporta ogni giorno notizie decisamente poco rosee circa quanto sta accadendo nel mondo magico: noi ce la faremo! Insieme, come lo siamo stati in questi anni...»
«A noi, gli unici studenti che sono stati capaci di provocare un esaurimento nervoso alla McGranitt!» esclamò ridendo Sirius, alzando anch'egli verso l'alto il proprio bicchiere ricolmo di Burrobirra. Gli altri ragazzi imitarono il gesto compiuto dai due Grifondoro, consumando il brindisi. Come se una lampadina si fosse di colpo accesa nella sua testa, James allontanò il bicchiere dalle proprie labbra, rivolgendo la propria attenzione a Sirius, Remus e Peter: «Ragazzi, non possiamo andare via da Hogwarts senza lasciare un regalo di addio al nostro amato Gazza!»
«Io avrei preferito recuperare una certa mappa dal suo ufficio» disse Peter.
«Temo che ormai non vi sia più alcuna possibilità di riottenerla indietro» gli fece eco Remus, scrollando appena le spalle. «Immagino che Gazza abbia provveduto a nasconderla per bene, anche se non credo abbia davvero compreso cosa ci ha requisito!»
«Anche in virtù di questo motivo, ho preparato un perfetto “biglietto di addio” per il custode!» disse Sirius, sorridendo soddisfatto. «Non voglio anticiparvi nulla, se non che domani mattina l'ufficio di Gazza potrebbe essere invaso da una quantità industriale di prodotti provenienti direttamente dall'emporio di Zonko!»
«Felpato, ho sempre detto che tu sei la mia anima gemella, il faro che rischiara le mie giornate!» esclamò James, dando una pacca sulla spalla dell'amico. «Basta, ormai ho deciso: più tardi ti aspetto nella mia stanza, così da lasciare per sempre una traccia del nostro amore fra le mura di questo Castello! Non sei gelosa, vero Evans?»
Lily scosse la testa, ridendo, mentre Sirius cinse scherzosamente le spalle dell'amico. «La tua stanza è anche la mia stanza, Ramoso! Questo non cambierà mai!» disse, passandosi una mano fra gli ondulati capelli castani.
«Era ora che ammetteste di essere innamorati l'uno dell'altro: è da sette anni che mi chiedo quando sarebbe arrivato il momento di condividere il mio fidanzato con te, James!» disse Marlene, scoccando un'occhiata divertita ai due ragazzi. «Sappi però, caro il mio Potter, che non rinuncerò tanto facilmente al mio Cagnaccio!»
«Lo terrò a mente, 'Lene» disse James, per poi abbassare il tono di voce tanto quanto bastava per fingere di voler riferire a Sirius un qualcosa che doveva rimanere un loro segreto: «Credo che la tua fidanzata ci abbia scoperti, Felpato! Dovremo essere più furbi e attenti, se vogliamo consumare il nostro amore!»
Tutti i ragazzi scoppiarono a ridere – e quelle spontanee risate (leggere e libere di librarsi nell'immensità della notte) si articolarono come il perfetto commiato per un'avventura che, in quella stessa notte, trovava la sua degna conclusione...


 

Spazio dell'autore:
Ciao a tutti! Se state leggendo questa nota finale significa che avete letto il primo capitolo della mia long – e già solo per questo non posso che rivolgervi un grande e sincero Grazie! Si tratta di una storia che pianifico da quasi un anno, e finalmente mi sono convinto di avere a disposizione la maggior parte degli elementi per iniziarne la stesura “ufficiale”; è una storia a cui tengo moltissimo e, proprio per questo motivo, vi inviterei (se lo vorrete) a farmi sapere cosa ne pensate circa la trama, circa i personaggi e l'evolvere delle storyline. Vi chiedo di usare la massima sincerità: proprio perchè si tratta di una FanFiction che mi sta molto a cuore, vorrei cercare di migliorare il tutto quanto più possibile, ed è per questa ragione che vi invito a farmi presente le vostre impressioni – nel bene o nel male! Non mi offendo, ci mancherebbe ahahah :3

Chi di voi ha letto i romanzi della saga di Harry Potter avrà riconosciuto sicuramente i vari personaggi che sono apparsi in questo primo capitolo: la maggior parte di loro fa parte dell'Ordine della Fenice, l'organizzazione fondata da Albus Silente per combattere – durante la Prima Guerra del Mondo Magico – Voldemort e i suoi Mangiamorte; si tratta di personaggi di cui non sappiamo molto – la cosiddetta Old Generation mi ha sempre incuriosito moltissimo! Ragion per cui ho deciso di provare a narrare quanto, almeno secondo la mia immaginazione, può essere accaduto prima dell'inizio della saga che tanto amiamo! So già che scrivere questa FanFiction mi porterà a sperimentare un'incredibile tristezza e ci tengo quindi a scusarmi preventivamente con chi vorrà continuare a leggere questa storia per la venatura decisamente “angst” che, talvolta, potrà permeare i vari capitoli!
Qualche piccolo appunto: Dorea Black, dai più considerata la madre di James (sebbene vi siano ancora delle ipotesi e pensieri contrastanti a riguardo – in mancanza di una “conferma regina”), è morta nel 1977 – ma mi sono permesso di rivisitare il tutto, tant'è che nel 1978 (anno da cui prende avvio questa FanFiction) ella è ancora viva. Analogamente, sappiamo che alcuni dei membri dell'Ordine della Fenice sono morti a poche settimane di distanza l'uno dall'altro, relativamente poco tempo prima che Voldemort cadesse: sempre per esigenze legate all'evolvere della storyline, ho preferito dilazionare meglio il tutto, ragion per cui – escluse alcune date precise, canoniche e ormai assodate, quali per esempio quella della nascita di Harry o quella della tragica morte di Lily e James – alcuni avvenimenti potrebbero risultare essersi verificati non esattamente a ridosso della morte dei Potter (si tratta di una storia di cui conosciamo già il triste epilogo, capite che sarebbe stato insano e leggermente masochista concentrare troppi eventi traumatici nell'arco di pochi giorni!)
Mi sembrava corretto specificare tutto ciò!  
I prestavolti associati ai personaggi sono frutto di una scelta puramente “ludica”: mi piace pensare che questa FanFiction possa articolarsi come una sorta di connubio fra una storia romanzata e una serie televisiva (anche se, in questo caso, su carta) – ragion per cui ho scelto un ipotetico cast. Sebbene io per primo ami perdermi nella scrittura e nella lettura delle descrizioni fisiche – e non – dei personaggi di un racconto, così da poter creare nella mia mente una personale versione dei protagonisti, ho pensato che potesse essere divertente immaginare degli attori cimentarsi in questi ruoli, proprio come se si trattasse di un telefilm. Non si tratta, però, di un espediente adottato per “aggirare” le descrizioni dei personaggi: non mancheranno, infatti, passi volti a delineare gli aspetti fisici dei protagonisti, proprio per permettere a chi ama costruire i personaggi nella propria mente di saltare e ignorare il set di attori che ho selezionato! Mi pare più che giusto ribadire che quasi tutti i personaggi che compariranno in questa FanFiction sono frutto del genio, del talento e della fantasia di J. K. Rowling – e ho deciso di scrivere questo racconto senza alcun fine di lucro! Just saying...



E... Basta, direi! Grazie mille ancora per aver dedicato parte del vostro tempo a questo primo capitolo!
Aspetto i vostri pareri!! A presto!
Matteo

 


Main Characters: [Julian Morris as James Potter; [Karen Gillan as Lily Evans; [Ben Barnes as Sirius Black; [Andrew Garfield as Remus Lupin; [Max Irons as Peter Minus; [Theo James as Caradoc Dearborn; [Nathan Owens as Benjamin Fenwick; [Dianna Agron as Mary MacDonald; [Laura Vandervoort as Dorcas Meadowes; [Jennifer Lawrence as Marlene McKinnon; [Lindsey Morgan as Hestia Jones; [Nathaniel Buzolic as Frank Paciock; [Jenna Louise Coleman as Alice Prewett; [Anna Kendrick as Amelia Bones; [Crystal Reed as Emmeline Vance

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1x02 - L'inizio della storia (Parte II) ***


 

Episodio 1x02
"L'inizio della storia - Parte II"

 

"I wanna say I lived each day, until I die
And know that I meant something in somebody's life!
The hearts I have touched will be the proof that I leave,
That I made a difference, and this world will see...

I was here...
I lived, I loved...
I was here!
I did, I've done everything that I wanted
And it was more than I thought it would be!"

 #Beyoncé - I Was Here

 

Il sasso rimbalzò quattro volte sulla liscia superficie del Lago Nero, prima di essere inghiottito dalle scure acque dello stesso. Sirius corrugò la fronte, contrariato; si chinò appena ed immerse la mano destra nell'acqua, cercando di afferrare uno dei ciottoli adagiati sul fondale del Lago (accompagnando quel movimento con una sonora imprecazione sibilata a denti stretti). Ormai si era abituato alla – bassa – temperatura dell'acqua, quella stessa acqua che gli lambiva le gambe fino al polpaccio, tanto che aveva smesso di domandarsi come potesse essere così fredda sebbene fosse ormai iniziata la stagione estiva; le sue dita sfiorarono il profilo di una piccola pietra e il giovane Black estrasse quindi il braccio dall'acqua. Lanciò il sasso in alto, salvo poi riafferrarlo qualche istante dopo; allentò di un poco il nodo della cravatta scarlatta che ancora gli stringeva il collo e si preparò infine a lanciare quello stesso sasso davanti a sé. Una voce maschile, però, distrasse inevitabilmente Sirius dal proprio proposito. «Lascia perdere, Felpato!» gridò James, seduto sull'appena abbozzata riva del Lago Nero. «Sono dieci minuti che cerchi di battere il mio risultato, ma è evidente che ci può essere un solo campione! Accetta la sconfitta, amico!»
Sirius ignorò le volute provocazioni del ragazzo, ripetendo nuovamente quell'imprecazione che aveva pronunciato pochi istanti prima; spostò il proprio corpo in avanti, facendo vagare lo sguardo sulla distesa di acqua che si estendeva davanti ai suoi occhi, dopodichè lanciò il sasso.
Un rimbalzo. Due rimbalzi.

Tre. Quattro. Cinque. Sei? Sì, sei – e ve ne fu anche un settimo, prima che il sasso sprofondasse nell'acqua.
«Buono-» mormorò James. «-ma non abbastanza per vincere! Peter, aggiorna i risultati!»
«Peter, non aggiornare proprio un cazzo! Voglio provarci di nuovo!»

«Peter ti aveva concesso ancora due sole possibilità, Sir! Hai perso, accettalo!»
«Remus mi avrebbe fatto riprovare di nuovo-» sentenziò Sirius, avanzando verso la riva e raggiungendo i suoi amici.
«Remus non era interessato a fare da giudice a questa vostra sfida-» ribattè Peter, riponendo in una lucida scatola di legno bianco la piuma con la quale aveva scarabocchiato un paio di numeri su un piccolo quadrato di pergamena. Il ragazzo diede una rapida rilettura a quanto aveva scritto (come per controllare di non aver compiuto alcun errore), dopodichè passò la pergamena a James. Quest'ultimo lesse a sua volta quanto riportato sul foglio, lasciandosi sfuggire di tanto in tanto qualche mormorio di approvazione, arrotolando infine la pergamena stessa e voltandosi verso Sirius – il quale si era lasciato cadere sul sabbioso terreno in riva al Lago. «Sembra che tu abbia definitivamente perso, Black-» esordì James, mentre sul suo viso andava delineandosi un sorriso di pura soddisfazione. «I risultati raccolti da Peter dicono che ti ho battuto sia nella sfida a tempo in sella ad un manico di scopa – contavi davvero di battermi, in quello? – sia nella gara del lancio degli Avvincini dalla Torre di Astronomia. Sono due vittorie su quattro – tre, visto che hai appena perso anche questa ultima sfida. Un pessimo modo per andarsene da Hogwarts, non trovi?»
«E chi mi assicura che Peter non abbia truccato i risultati per farti vincere?»
«Peter è un giudice leale e non tradirebbe mai la nostra amicizia: sa quanto desideri batterti onestamente!»
«Ottimo- Peter, potresti ricordare a Potter che ci ha messo ben sette anni per rimediare uno straccio di appuntamento con la Evans? Quantomeno io vinco in ciò che conta davvero!»
«Ahia, questa brucia-»

 

Spalancò di colpo gli occhi, Remus, il corpo nudo infreddolito scosso da forti tremiti. Si rannicchiò su se stesso, i battiti del proprio cuore decisamente accelerati rispetto al normale. I suoi vestiti - o ciò che ne rimaneva - giacevano a brandelli tutt'attorno alla radura nel quale egli, la sera prima, si era addormentato stremato; il ragazzo sbattè più volte le palpebre, confuso, passandosi debolmente una mano sul pallido viso: i profondi tagli che si era procurato durante la trasformazione della notte appena conclusasi erano completamente scomparsi, mentre la pelle diafana del mago andava solcandosi solo di qualche sporadico livido violaceo e di terriccio. Si mise lentamente in piedi, vacillando pericolosamente e rischiando di cadere nuovamente a terra; iniziò quindi a camminare, prima di Smaterializzarsi dopo aver compiuto non più di una dozzina di malfermi passi lungo il terreno fangoso e scivoloso del tetro bosco...

 

«Se fossi in voi non passerei per la Sala Grande, in questo momento!» esclamò Dorcas, varcando la soglia del dormitorio femminile della Torre di Grifondoro. «Olive Reynolds sta dando spettacolo come al solito: la trovata del giorno è che vuole essere trasportata fino all'Espresso a bordo di una portantina per – e cito testualmente – “evitare di schiacciare feci di Thestral con le sue costosissime scarpe nuove”»
«Di cosa si preoccupa? Intanto non se ne accorgerebbe nemmeno: se i Thestral sono invisibili, lo saranno anche i loro escrementi... O no?» replicò Marlene, scuotendo la testa.
«Non ne ho idea, ma quell'oca starnazzante starà già correndo per l'intero castello alla ricerca di qualcuno che possa vederli, così da essere sicura di non rovinare le sue scarpe – è talmente stupida che immagino sarebbe disposta a veder morire qualcuno davanti ai suoi occhi pur di riuscire a scorgere la presenza di quelle creature!»
«Ognuno ha le proprie priorità!» constatò Marlene, scrollando appena le spalle. «Parlando di cose più importanti, qualcuna di voi ha visto il boa di Celestina? Non riesco più a trovarlo!»
«Prova ad usare l'Incantesimo di Appello, 'Lene! Ma Lily dove è finita?»
«Ha detto che sarebbe passata a salutare Lumacorno, dopodichè ci avrebbe raggiunte direttamente alla stazione» rispose Mary, chiudendo sonoramente il proprio baule. «In realtà credo che volesse restare un po' da sola, ma non escludo che voglia anche assicurarsi che Lumacorno si stia prendendo cura di Francis come si deve!»
«Le conviene sbrigarsi, dal momento che il treno partirà fra poco meno di mezz'ora!» esclamò Dorcas, arricciando il naso; la Grifondoro si voltò poi nuovamente verso Marlene, dischiudendo le labbra e posando le mani sui fianchi, assumendo una posizione che ricordava quella di un militare intento ad impartire ordini ai sottoposti. «Quindi, 'Lene, o trovi il tuo boa in fretta o dovrai lasciarlo qui! Ti diamo centoventi secondi di tempo, dopodichè ce ne andiamo!»
«Non dirlo nemmeno per scherzo!» gridò Marlene, gli occhi spalancati in un'espressione di puro terrore; iniziò quindi a rovistare nuovamente fra le sue cose, lanciando gridolini allarmati secondo dopo secondo.
«Cento secondi! Tic, tac-»
«Non possono essere passati già venti secondi!» protestò Marlene, prima di gettarsi letteralmente sul cuscino del suo letto e afferrare la propria bacchetta magica ivi riposta. «Accio boa! E non provare a mettermi ulteriore fretta dicendomi che mancano solo cinquanta secondi perchè altrimenti ti lancio uno Schiantesimo, Doe!»
Dorcas si voltò verso Mary, scorgendo l'amica intenta a trattenere le sincere risate che tentavano di sopraffarla. «Dove hai riposto questo stramaledetto boa, l'ultima volta che lo hai indossato?» domandò, socchiudendo stancamente le palpebre. Marlene farfugliò una qualche risposta che Dorcas non riuscì minimamente a capire, per quanto fosse pronta a scommettere che l'amica le aveva – giustamente, in fondo – fatto presente che se avesse ricordato dove aveva riposto il proprio amatissimo accessorio piumato non si sarebbe trovata in quella situazione! Ignorando la vena che sentiva pulsare energicamente a livello della tempia sinistra, Dorcas dischiuse appena le labbra per riprendere a parlare – ma, prima che potesse anche solo pronunciare un semplice “però”, la voce di Mary ruppe il silenzio: «Ehm, ragazze- abbiamo un problemino!»
Marlene si voltò di colpo verso Mary, gettando in aria una scarpa che ancora non aveva riposto nel proprio baule. «Non dirmelo!» gridò, portandosi melodrammaticamente le mani sulla bocca e assumendo un'espressione ancora più spaventata di quella che già aveva permeato il suo viso fin dal primo momento in cui le tre ragazze si erano accinte a cercare il suo boa. «Ti sei appena ricordata di aver visto Mrs Purr fare a brandelli il mio boa?»
«No... Credo sia leggermente più grave di questo-» rispose Mary. «Un serpente lungo almeno tre metri sta sfrecciando verso di noi!» aggiunse, allungando l'indice della mano destra in direzione della finestra (aperta, per Godric!) del dormitorio. Dorcas e Marlene spostarono immediatamente lo sguardo sul punto indicato da Mary.
«Hai appellato un serpente?» domandò Dorcas, colpendo il braccio di Marlene con un piccolo schiaffo.
«Non è colpa mia! Probabilmente avrei dovuto specificare che si trattava del boa di Celestina-»
«Probabilmente? Non serve a nulla dire probabilmente! Fai qualcosa!»
«Sai che non sopporto la violenza sugli animali, Doe! Ci sono: chiudiamo la finestra!»
«Santissimo- Tutte fuori! Andiamo! Chiederemo alla professoressa McGranitt di risolvere il tutto!»
«Non posso andarmene senza aver trovato il mio boa-»
«Oh, se fossi in te ascolterei questo suggerimento! Perchè se il gigantesco serpente che sta magicamente sfrecciando verso di noi non dovesse stritolarti per bene, lo farei io!» esclamò Dorcas, alzando improvvisamente il tono di voce. «Mary, piano B: portiamola fuori di peso!»
Afferrata Marlene per le braccia – mentre le grida di protesta della stessa costrinsero persino gli abitanti dei quadri della Sala Comune a coprirsi le orecchie pur di non sentirla più affermare che «-State dilaniando il mio cuore, impedendomi di cercare il mio boa! Fra le piume si erano annidate anche due piccole Puffole Pigmee: la mamma vi ritroverà, piccole mie!» – prima che quest'ultima potesse davvero accorgersi di quanto stava accadendo, le tre amiche abbandonarono in fretta e furia la Torre di Grifondoro […] «Siamo davvero sicure di voler confessare alla professoressa McGranitt che, per colpa nostra, in questo preciso momento un serpente gigantesco sta allegramente strisciando nella Sala Comune?» domandò Marlene, verificando con circospezione che nessuno degli altri studenti (che stazionavano nell'atrio del Castello in attesa del momento in cui sarebbe stato concesso loro di avviarsi verso la radura dove, scintillanti e appena riverniciate, li avrebbero attesi le carrozze a bordo delle quali sarebbero stati condotti fino allo scarlatto Espresso ormai prossimo a partire) fosse tanto vicino da udire le sue parole, salvo infine posare le iridi smeraldine sulla figura austera della professoressa, intenta a conversare con la docente di Astronomia proprio accanto al portone d'ingresso della Sala Grande – è superfluo, probabilmente, sottolineare come l'espressione furente di Dorcas bastò per far ammutolire di colpo Marlene; la giovane arricciò appena le labbra, per poi limitarsi a mormorare un timido «-E chi di noi avrà il compito di dirglielo?»
«Qualcosa mi dice che Dorcas sia dell'idea che questo onore spetti a te, Lene!» rispose Mary. «Anche se credo che la McGranitt non abbia tutta questa voglia di restare da sola con te, non dopo che giovedì scorso l'hai quasi tenuta in ostaggio nel momento in cui hai realizzato che quella sarebbe stata l'ultima lezione di Trasfigurazione-»
«Non è vero! Sono certa che le avrebbe soltanto fatto piacere passare del tempo in compagnia delle sue studentesse preferite! Semplicemente, credo che abbia declinato il mio gentile invito – presa in ostaggio: come ti viene in mente, Mary? – per evitare che alcune malelingue potessero insinuare che ci avrebbe in qualche modo avvantaggiate durante i M.A.G.O... Tutto qui! Sai cosa ti dico? Vado io a dirglielo – almeno potrò salutarla un'ultima volta prima di salire sul treno e tornare a casa!». E fu quindi agitando la mano destra in un gesto di saluto particolarmente ricco di enfasi che Marlene McKinnon si avviò vivacemente verso la professoressa McGranitt (la quale non avrebbe desiderato far altro che trasfigurarsi ella stessa in un arazzo, pur di evitare che la giovane studentessa iniziasse a rivolgerle una serie di attenzioni, consigli e quesiti che la donna trovava decisamente bizzarri e alquanto fuoriluogo – sarebbe rimasto impresso indelebilmente negli annali della storia di Hogwarts il momento in cui, nel bel mezzo della lezione del 2 Aprile 1975, Marlene McKinnon suggerì a Minerva McGranitt di provare a cambiare pettinatura, affinchè «il professor Silente si decida una volta per tutte ad invitarla a trascorrere un pomeriggio romantico da Madama Piediburro: le ho mai detto che nella mia mente siete una coppia perfetta? Ovviamente intendo trascorrere del tempo insieme: sarebbe decisamente poco carino se il professor Silente le desse appuntamento in un luogo e poi lui andasse in tutt'altro posto, dandole così buca!»).
«Scommetto due galeoni che la McGranitt trasfigurerà Marlene in un copriteiera!» esclamò Dorcas, posando lo sguardo prima sui passi saltellanti di Marlene e poi sull'espressione terrorizzata che troneggiava sul viso della professoressa; la ragazza si voltò infine verso Mary, accorgendosi ben presto che l'attenzione dell'amica era focalizzata su qualcun altro – e, per essere precisi, su un alto e bruno Tassorosso intento a scambiarsi amichevoli pacche sulla schiena con coloro che, fino a qualche settimana prima, erano stati i suoi compagni di Squadra (Tassorosso aveva addirittura conquistato il secondo posto nel torneo scolastico di Quidditch, quell'anno! Un vero record-). Affermare che Benjy Fenwick fosse un bel ragazzo incarnava una proposizione oggettivamente incontrovertibile: non era un mistero, infatti, che quasi tutte le studentesse di Hogwarts (quantomeno tutte quelle non affette da cataratta, secondo il personale giudizio di Dorcas) avessero sviluppato, negli anni, una infatuazione passeggera o meno nei confronti del ragazzo - questo non solo perchè il suo fisico catalizzava l'attenzione del pubblico femminile durante le partite di Quidditch, né perchè il suo sorriso smagliante (così si mitizzava) fosse capace di far sciogliere una ragazza come accade ad un vampiro espostosi stupidamente alla luce del Sole, né tantomeno perchè la sua carnagione ambrata portava le persone ad immaginare che il ragazzo discendesse da una nobile stirpe di principi persiani provenienti da una lontana terra ad Oriente... Ma lo charme del Tassorosso non era relegato ad un mero fattore estetico; Benjy era un ragazzo di compagnia, estremamente simpatico e leale. Un amico con la A maiuscola, ecco! Ma se solo qualcuno fosse stato capace di leggere più a fondo in quei suoi penetranti occhi scuri, questi si sarebbe accorto che essi nascondevano dei pensieri e delle memorie lontani da quella vena spensierata che il ragazzo palesava ogni giorno con tanta naturalezza a chi trascorreva del tempo in sua compagnia (ma non è ancora forse giunto il momento per affrontare questo discorso). E sì: è giusto che sappiate che anche Dorcas Meadowes aveva avuto una cotta per Benjy, ma quel barlume di sentimento amoroso si era poi evoluto in una solida amicizia – complice il fatto che Dorcas era a conoscenza del ben più forte innamoramento che Mary provava per Benjy. Mary MacDonald aveva conosciuto Benjamin Fenwick a otto anni, quando si era recata a Diagon Alley assieme a suo padre: l'uomo, vice-responsabile della pagina sportiva della Gazzetta del Profeta, si era visto assegnare il compito di intervistare il magnate dell'osannata Nimbus Racing Broom Company così da descrivere minuziosamente tutte le caratteristiche del nuovo e formidabile modello di manico di scopa da competizione ai numerosi lettori e agli appassionati di Quidditch. L'intervista, a causa di un imprevisto che aveva impedito all'imprenditore di recarsi a Diagon Alley per lasciarsi intervistare (la Gazzetta del Profeta stessa aveva insinuato sulle sue pagine che il mago fosse stato coinvolto in un caso giudiziario circa la mutilazione di alcuni Avvincini per pratiche non del tutto chiare-), era così saltata, ma il caso aveva voluto che Caleb MacDonald incappasse in un ragazzino che, discutendo animatamente con alcuni coetanei, sembrava conoscere e descrivere alla perfezione tutte le qualità del nuovo modello di Nimbus, quasi avesse contribuito lui stesso a costruirlo ed idearlo. Galeotto fu quindi un manico di scopa: Mary e Benjy si erano conosciuti (dopo che Caleb aveva implorato il ragazzino di ripetere dall'inizio tutta la sua “descrizione promozionale”) ed erano diventati amici. Che Mary fosse innamorata di Benjy era palese a tutti – tranne al diretto interessato! – e Dorcas... Beh, normalmente sarebbe stata capace di fare la pelle ad un'ipotetica rivale in amore, ma non quando questa fosse stata proprio una delle sue due migliori amiche! In guerra e in amore esiste sì qualche regola, in fondo... «Quando ti deciderai a dire chiaramente a Benjy che ti piace? È mai possibile che sia solo io, fra tutte noi, a possedere il gene del rischio?»
«Se si tratta dello stesso gene che impedisce ad una persona di farsi gli affari propri, allora direi di sì!»
«Come posso farmi gli affari miei, quando vedo che non riesci a staccargli gli occhi di dosso?»

«Io- non è come sembra! Stavo solo notando che non indossa la divisa-»
«Certo, deve essere proprio così!» ribattè ironicamente Dorcas, cingendo il braccio dell'amica con il proprio. «Quindi non c'entra nulla il fatto che Benjy stia indossando una camicia alquanto sbottonata per i rigidi standard di Hogwarts?» aggiunse, ridendo maliziosamente e osservando il rossore che aveva immediatamente permeato le guance di Mary. «Oh, la mia piccola Mary sta diventando grande! Crescono così in fretta-»


Ƴσυ αяє ѕσ вєαυтιƒυℓ...
Ƴσυ αяє ѕσ вєαυтιƒυℓ тσ мє...
Benjy sfiorò delicatamente le corde della propria chitarra, socchiudendo appena le palpebre.
Il locale era ancora chiuso al pubblico, ma il proprietario – un babbano che non doveva avere più di quarant'anni – aveva deciso di dedicare la mattinata ad una sorta di audizione, volta ad individuare un cantante che intrattenesse i clienti durante le serate dei week-end. Aveva ormai perso ogni speranza, soprattutto dopo aver assistito (troppo spaventato per riuscire a reagire in alcun modo) all'esibizione di una coppia di anziani signori lanciatisi in una a dir poco ardita e raccapricciante imitazione di John Lennon e Yoko Ono; scuotendo disperatamente la testa, aveva accartocciato uno di quei volantini gialli che aveva fatto stampare qualche giorno prima (e che suo figlio, prima di andare a scuola, aveva diligentemente affisso sulla superficie di numerosi lampioni) fino a quando una – improvvisa – voce maschile alle sue spalle lo aveva quasi fatto trasalire. Un giovane ragazzo dalla carnagione scura sostava a pochi centimetri dalla porta del locale, stringendo nella mano destra uno dei sopraccitati volantini e portando con sé anche la propria chitarra; dietro di lui, una ragazza dai lunghi capelli biondi si guardava attorno con un'insolita espressione curiosa stampata sul viso, quasi come se non avesse mai visto un locale in tutta la sua vita (il che era pressochè impossibile, considerando quanti pub, bar e discoteche vi fossero in una città quale era Londra!)
Ƈαη’т уσυ ѕєє?
Ƴσυ’яє єνєяутнιηg ι нσρє ƒσя!
Ƴσυ’яє єνєяутнιηg ι ηєє∂...
Benjy riaprì nuovamente gli occhi, alzando il capo; il babbano lo stava ancora ascoltando, osservandolo (al contempo) come se lo stesse attentamente studiando – e l'espressione indecifrabile del suo viso non lasciava trapelare nulla, nemmeno il più piccolo barlume di pensiero o considerazione, fosse stata questa di apprezzamento o di disapprovazione. Benjy spostò il suo sguardo su Mary, seduta su uno degli sgabelli ordinatamente disposti davanti al bancone principale del locale; accennò un sorriso, pizzicando nuovamente le corde della chitarra, ed inspirò profondamente per poi riprendere a cantare – senza distogliere la propria attenzione dal viso della ragazza.
Ƴσυ αяє ѕσ вєαυтιƒυℓ тσ мє...
Ƴσυ αяє ѕσ вєαυтιƒυℓ тσ мє...

 

«Sapevo che avresti ottenuto il posto!» esclamò Mary, indossando il suo piccolo cappello di lana grigio – amava quel cappello, Mary, e questo (almeno secondo il suo giudizio personale) bastava a giustificare il fatto che la ragazza volesse indossarlo anche se il mese di agosto non era ancora giunto al termine. È però doveroso sottolineare come l'estate del 1978 fosse una delle più fresche degli ultimi anni, il che ci spinge a non giudicare negativamente la scelta di Mary... Insomma, alla fine si tratta solo di un cappellino, no? – e voltandosi appena verso Benjy, il quale camminava lentamente di fianco a lei.
«Non ci contavo molto, a dir la verità» mormorò in risposta il ragazzo, dando un calcio ad un sassolino. «Ero convinto che un locale del genere cercasse un altro tipo di musica – e ho davvero dovuto improvvisare nel momento in cui quell'uomo ha guardato i testi delle canzoni babbane che conosco e mi ha domandato chi fosse quella Celestina Warbeck di cui non aveva mai sentito parlare prima di oggi»
«Credo che Marlene abbia per sbaglio inserito uno dei testi di Celestina nella tua cartelletta»
«No, Mary, non è stato uno sbaglio: da quando ha saputo che avrei provato a cercare un lavoro come cantante in qualche locale babbano, Marlene ha insistito perchè cantassi una canzone della Warbeck durante una delle eventuali audizioni. “Anche i babbani devono conoscere la bravura di Celestina, Ben! Perchè non lo vuoi capire?”: mi avrà tormentato per almeno un mese! Deve aver inserito quel foglio di proposito, lo so!»
Mary si mise a ridere, mentre nei suoi pensieri si faceva strada l'immagine di Marlene che, sgattaiolando furtivamente di notte (all'insaputa di tutti), inseriva il testo della canzone di Celestina fra i vari spartiti musicali di Benjy – Mary era pronta a scommettere che l'amica avesse addirittura dato un bacio al foglio di carta, prima di separarsene!
«Hai già finito di preparare le tue cose?»
La domanda di Benjy condusse Mary fuori da quella spirale di ricordi nella quale ella sembrava essersi momentaneamente perduta; annuì, in silenzio, arricciando appena il naso. «Sì, penso di essere riuscita a far stare tutte le mie cose nella valigia: l'Incantesimo di Estensione può tornare davvero utile! Più che altro, ho deciso di prendere per ora solo ciò che mi è davvero indispensabile – all'evenienza tornerò a recuperare ciò che mi serve: mia mamma mi ha assicurato che lascerà tutte le mie cose esattamente come sono adesso»
«E lei come sta? Ha accettato l'idea che tu ti trasferisca a vivere altrove?» chiese Benjy.
«Diciamo di sì...» rispose Mary, assumendo improvvisamente un'espressione più mesta. «Le è sempre piaciuta l'idea che amassi la scrittura ed è stata lei stessa a spingermi a prendere in considerazione l'idea di seguire il corso di giornalismo tenuto dalla Gazzetta del Profeta. Sicuramente non si aspettava che potessi decidere di andare a vivere da sola così presto – e dopo che papà è morto si sente decisamente sola. È per questo motivo che inizialmente non volevo accettare la proposta di Dorcas: mi sentivo tremendamente in colpa, capisci? Trasferirmi stabilmente qui a Londra e lasciarla da sola a Manchester... Mia mamma, però, mi ha detto che non avrebbe voluto sapermi costretta a rinunciare ad un qualcosa che mi sarebbe tanto piaciuto fare “per causa sua” e ha quindi appoggiato la mia idea, anche se questo significava doverla salutare per trasferirmi qui – in compenso, mi ha fatto però giurare solennemente di andare a trovarla spesso!». Sorrise, Mary, per poi voltarsi nuovamente verso Benjy. «Tu, invece?»
«Io? Ti basti sapere che mio fratello, non appena ha saputo che mi era stata assegnata una stanza all'Accademia degli Auror, ha già trasferito tutte le sue cianfrusaglie in camera mia!» rispose Benjy, sorridendo. «Ma in fondo me lo aspettavo: Rick ha sempre sperato, un giorno, di appropriarsi della mia stanza, o di quella di-»
La voce di Benjy si spense per un breve momento, durante il quale il ragazzo si ritrovò a contrarre involontariamente la mandibola; dischiuse appena le labbra, conscio del fatto che lo sguardo di Mary fosse posato ancora su di lui. «-di una più grande» concluse, voltandosi verso la ragazza e accennando un lieve sorriso. Non amava particolarmente parlare della sua famiglia, Benjy – e Mary, che ormai sapeva ben discernere immediatamente i repentini cambi di espressione del ragazzo nel momento in cui un discorso abbracciava argomenti che egli preferiva non affrontare, non esitò a spostare nuovamente l'attenzione su un differente spunto per continuare a fare conversazione.
«Quindi-» esordì nuovamente la giovane strega «-immagino che a breve finirò per chiederti un autografo!»
«Non farei molta affidità su questa eventualità» le fece eco Benjy, sorridendo. «Mi esibirò soltanto un paio di sere a settimana e sono pronto a scommettere che i clienti di quel locale preferiranno concentrarsi su altro; al sabato sera, poi, è molto probabile che le mie canzoni facciano da accompagnamento ad uno spettacolo di lap dance – e so già che finirei per distrarmi io stesso, soprattutto se ad esibirsi fosse la ragazza mora che ci ha accolti oggi-»
«Spero proprio di no!» esclamò Mary. Resasi conto di aver articolato ad alta voce un pensiero che doveva rimanere silente e confinato solo nella propria testa, la ragazza riprese immediatamente a parlare: «-Voglio dire, tu sei molto bravo e sarebbe un peccato se un'altra esibizione finisse con il distrarre le persone dal tuo talento e dalla tua voce. Non fraintendermi: anche quella ragazza avrebbe tutto il diritto di esibirsi, ma-»
«Tranquilla, ho capito cosa intendi dire-»
No, credimi: non hai capito!
Se Dorcas fosse stata presente, prima l'avrebbe presa in giro e successivamente le avrebbe consigliato di pedinare quella ragazza e di lanciarle una fattura sul viso – magari giusto una fattura che le avrebbe fatto crescere a dismisura le sopracciglia e qualsiasi altro pelo del suo corpo. Insomma, quel poco che bastava a far sì che Benjy cancellasse dalla sua mente l'ipotetico pensiero di chiederle di uscire insieme anche solo per prendere un aperitivo... Mary non sarebbe mai ricorsa all'uso della magia per risovlere tali questioni, ma Dorcas trovava particolarmente divertente istigare bonariamente l'amica a debellare le possibili rivali, se non altro perchè amava veder comparire quell'espressione sconvolta che permeava il viso di Mary ogni qualvolta Dorcas proponeva di usare la magia in un modo non propriamente etico. Nulla di particolarmente grave, pericoloso o illegale, per l'amor di Godric Grifondoro: su una scala da uno a dieci, dove uno corrispondeva ad un incantesimo blando e dieci coincideva con una delle peggiori maledizioni mortali mai esistite, i propositi sovversivi di Dorcas si attestavano tutt'al più su un due (tre al massimo, considerando l'incantesimo Peloso- nulla che l'uso di un tosaerba babbano non potesse risolvere con ottimi risultati!)
«Ovviamente mi farebbe piacere se tu venissi a sentirmi, la prima sera in cui mi esibirò-»
«Vedrò di organizzarmi-» 


 

Amelia Bones corrugò lievemente la fronte, leggendo rapidamente (e più volte) le parole stampate sulla prima pagina del piccolo opuscolo che la ragazza stringeva, ormai da una decina di minuti, nelle proprie mani. Fissò, per qualche istante, la sua attenzione sul titolo che a caratteri cubitali svettava sulla copertina del libriccino (“Ambisci a diventare un membro del Wizengamot? Informazioni e modulistica per intraprendere una brillante carriera in nome della Giustizia e della Legge!”), quando la voce acuta di un'anziana strega – voce proveniente dalla foto che, pochi centimetri sotto il titolo, ritraeva la strega stessa in una posa poco consona alla sua età (ma immagino che non spetti a noi giudicare ciò) – giunse, forse anche troppo nitidamente, all'udito dell'ex Tassorosso: «Hai ancora solo due settimane di tempo per iscriverti a questo corso, signorina!» trillò, sistemandosi con cura gli occhiali sulla punta del naso; dopo aver pronunciato quella sorta di nota di servizio, la donna (i cui capelli, ormai canuti, presentavano però delle ciocche bluastre che avevano catturato l'interesse di Amelia ancora di più di quanto non avesse fatto il suo squillante tono di voce) scosse un paio di volte la testa, palesemente infastidita, salvo poi abbandonare la foto e lasciare una sempre più stranita Amelia a fissare, in silenzio, la copertina - ormai decisamente spoglia - dell'opuscolo. Non aveva ancora deciso cosa fare dopo aver concluso, pochi mesi prima, il ciclo di istruzione a Hogwarts; non aveva ancora individuato quale strada prendere, verso quale direzione incamminarsi nell'intricato mondo ancora sconosciuto quale era il suo futuro. La giovane Bones non sapeva cosa scegliere, non perchè non avesse voluto spendere del tempo ad analizzare le diverse prospettive fra le quali avrebbe potuto compiere una scelta (anzi, decisamente numerosi erano i volantini e gli opuscoli informativi che, da settimane, sua madre aveva iniziato a portare a casa, impilandoli l'uno sopra l'altro – lasciandosi sfuggire, di tanto in tanto, commenti quali “Ti vedrei bene, Amelia, nelle vesti di...” oppure “Hai saputo, tesoro? Questo corso formativo organizzato dal Ministero sembra davvero interessante!”), ma semplicemente perchè era disorientata e un po' – tanto – confusa. La ragazza, senza nascondere un crescente nervosismo, aveva quindi iniziato progressivamente ad eliminare tutti quei fascicoli illustrativi che riteneva superflui o poco stimolanti (talvolta senza aver davvero riservato loro la benchè minima attenzione se non nel momento in cui, la bacchetta magica saldamente stretta nel proprio pugno, aveva destinato alle fiamme le loro pagine – poteva limitarsi a strapparli, certo, ma il tutto sarebbe decisamente risultato essere più noioso!), trovandosi però a “salvaguardare” l'unico opuscolo che aveva davvero acceso il suo interesse. Ed eccola quindi lì, seduta su una delle comode poltrone color fango de “Il Paiolo Magico”, sommersa da mille pensieri contrastanti e pronta a sbuffare (insoddisfatta e annoiata) quasi meccanicamente ogni due minuti di orologio, combattendo contemporaneamente contro il forte istinto di alzarsi in piedi e ordinare, gridando, a tutti i presenti di porre fine a quel vociare senza senso che le impediva di pensare!
Definire il locale affollato risulterebbe essere un eufemismo: maghi e streghe di ogni età sembravano essersi dati appuntamento nella sala principale del pub (e per un istante Amelia aveva pensato che si fosse diffusa la notizia che un mago - o una strega - particolarmente famoso avesse deciso di soggiornare presso il Paiolo Magico, tante erano le persone che, quella mattina, erano accorse al locale!) - e quale modo migliore per iniziare la giornata se non quello di mettersi a parlare tutti insieme, gridando pur di sovrastare la voce della persona accanto a sé, e privando così una giovane strega adolescente della tranquillità di cui necessitava per vagliare attentamente le prospettive di carriera per il proprio futuro? Se mai un giorno fosse riuscita a diventare Ministro della Magia, Amelia avrebbe promulgato una legge che avrebbe sanzionato amaramente tutti coloro che, spesso e volentieri, disturbavano la quiete pubblica! Lo avrebbe fatto, croce sul cuore!
Si lasciò andare all'ennesimo sbuffo annoiato della mattinata, sprofondando ancora di più nella poltrona e abbracciando mestamente le proprie ginocchia (indaffarato com'era, Tom – il vecchio e gobbo proprietario del pub – non si sarebbe nemmeno accorto che la ragazza aveva ignorato la regola che vietava ai clienti di rannicchiarsi sui divanetti, appoggiando le sporche suole delle scarpe sulla “pregiata” pelle degli stessi); maledicendo mentalmente una tarchiata signora con una voce da soprano che si era messa a sgridare i propri figli ad una spanna dalle sue orecchie, Amelia si chiese cosa mai avesse fatto di male nella propria vita per dover ora subire tutto ciò: aveva ricoperto egregiamente il ruolo di Prefetto ed era successivamente stata un'altrettanto valida Caposcuola; aveva sempre rispettato tutte le regole (ovviamente si parla di regole di una certa importanza e che valeva quindi la pena rispettare, non come quelle sciocche imposte da Tom!) e aveva cercato di farle rispettare anche ad alcuni casi disperati come James Potter e Sirius Black. Era sempre in prima linea per difendere i diritti di ogni creatura magica e non (compresi gli Erkling, sebbene alcune malelingue disinformate e ignoranti promuovessero da secoli voci false e tendenziose circa l'innato cannibalismo infantile a cui quelle incomprese creaturine sarebbero state dedite!) e aiutava persino le vecchiette babbane ad attraversare la strada! Insomma, era una brava ragazza! E allora perchè, adesso, il mondo sembrava avercela con lei? Perchè? Andiamo, signora, chiuda un po' quella bocca: la sua voce squillante sta perforando un timpano ad Amelia!
«Permesso! Scusatemi, signori... Perm- permesso! Sono una cameriera in prova e al momento sottopagata che sta portando il cesto della biancheria da cambiare-»
Amelia si voltò, la sua attenzione catturata da quella voce femminile decisamente familiare: Marlene avanzava a fatica, cercando di farsi spazio in mezzo alla marea di gente che affollava il Paiolo Magico; le dita delle mani erano strette saldamente attorno alle maniglie di una pesante cesta di vimini traboccante di lenzuola e fodere colorate e, come se ciò non bastasse, l'appello della ragazza era rimasto pressochè inascoltato, travolto dalle voci più corpose dei clienti del locale (i quali non sembravano essersi nemmeno accorti della presenza della giovane ragazza). Marlene arricciò il naso, guardandosi attorno in cerca di un aiuto: il suo sguardo vagò per qualche istante nell'ampia sala senza una precisa meta, fino a quando l'ex Grifondoro non scorse Amelia, intenta a gesticolare freneticamente per catturare l'attenzione dell'amica. Come dimenticatasi di colpo della mansione che stava svolgendo, Marlene raggiunse Amelia sorridendo, per poi lasciarsi cadere anch'ella sulla – spaziosa, bisogna ammetterlo – poltrona sulla quale era seduta la giovane strega, non prima di aver posato a terra il voluminoso cesto.
«Giornata pesante, 'Lene?» domandò Amelia, trattenendo una mezza risata.
«Non parlarmene! Non ho mai visto così tanta gente nemmeno ad una finale della Coppa del Mondo di Quidditch – magari così è esagerato, ma non è questo il punto! E poi fa caldo, e questa divisa non aiuta per niente!» spiegò Marlene, sistemandosi distrattamente una ciocca di capelli che le ricadeva sulla fronte imperlata di sudore.
«Capisco... Ma la bandana è parte integrante della divisa da cameriera? È un po'- insolita!» chiese Amelia, indicando la bandana viola che l'amica portava sul capo: gran parte della stoffa era occupata da una stampa raffigurante un piccolo orso intento ad abbracciare un vaso contenente miele, e il tutto era accompagnato da una scritta (“Winnie ama il miele!”) rossa e da tanti piccoli cuori dello stesso colore.
«Non ti piace? L'ho comprata ad un mercatino babbano qualche settimana fa: il commesso pensava che volessi fare un regalo a mia sorella, ma Alison non ama questi cartoni animati babbani- non hai mai sentito parlare di Winnie the Pooh? È abbastanza conosciuto anche fra i maghi: il film che lo vede protagonista ha avuto un gran successo, l'anno scorso!»
«Ah, ora ricordo: Dorcas mi aveva raccontato che, nel bel mezzo della proiezione del film, ti sei alzata in piedi chiedendo a gran voce che ti venisse rimborsato il costo del biglietto perchè nessuno ti aveva avvertito che – e cito le tue stesse parole – “uno dei migliori amici dell'orsetto Winnie era un irascibile e potenzialmente instabile coniglio ossessionato dalla pulizia della propria casa!” […] Sei riuscita a far piangere in un solo colpo tre bambini!»
«I conigli sono malvagi, Amelia: non ti sembra sospetto che abbiano una smisurata passione per le carote? A cosa servirà mai loro possedere una vista tanto acuta?» domandò Marlene, scuotendo il capo. Amelia roteò gli occhi, aspettando che l'amica si voltasse per un solo breve momento verso il bancone dietro il quale Tom sembrava essersi accovacciato e nascosto, non pronto psicologicamente a soddisfare le richieste di tutte quelle persone! Marlene indugiò con il proprio sguardo sulla figura di Tom – nessuno poteva dirgli che la sua voluminosa gobba non gli permetteva davvero di riuscire a nascondersi come si deve? Immaginate quanto sarebbe stato facile trovarlo, se solo il poverino avesse mai preso parte ad una partita di nascondino! – ancora per qualche istante, prima di voltarsi nuovamente verso Amelia. «Allora-» esordì, sorridendo. «-Hai deciso a quale corso post diploma iscriverti?»
Il repentino corrugamento della fronte da parte di Amelia fece capire a Marlene di aver centrato in pieno un argomento abbastanza ostico; nel tentativo di rimediare ad una potenziale gaffe (e sperando di sedare sul nascere un'eventuale invettiva contro il mondo intero targata miss Bones – per essere stata una Tassorosso, Amelia non era proprio la ragazza più paziente di questo mondo, ecco!), la biondina indicò l'opuscolo inerente al Wizengamot che l'amica non aveva ancora strappato. «Stai prendendo in considerazione l'idea di diventare membro del Tribunale Magico?»
«Non è ancora nulla di certo!» si affrettò a chiarire Amelia, rendendosi conto solo in un secondo momento di quanto il suo tono di voce fosse stato decisamente più duro di quanto ella non si aspettasse (ma Marlene non sembrava essersi accorta di nulla). «E comunque immagino che prima debba superare una sorta di test di ammission-»
Un gridolino euforico emesso da Marlene obbligò Amelia a zittirsi: «Oh, non avrai assolutamente nessun problema a superare una verifica!» esclamò la ex Grifondoro, battendo appena le mani (preda di un improvviso moto di allegria che Amelia non riusciva a comprendere – davvero Marlene poteva esaltarsi all'idea che gli aspiranti futuri membri del Wizengamot dovessero sottoporsi ad un test preliminare così da saggiare le proprie competenze in ambito burocratico? Durante gli anni passati ad Hogwarts, Marlene McKinnon aveva sempre palesato un'avversione sincera verso qualsiasi forma di esame, tanto da nascondersi nella Serra Numero 3 nella speranza (vana, ovviamente) di non essere trovata da nessuno ed di evitare di affrontare i G.U.F.O!) prima di riprendere a parlare. «Del resto, solo tu e Lily avete seguito con attenzione tutte le lezioni di Storia della Magia: se c'è qualcuno che conosce tutti i più importanti eventi relativi alla nascita e all'evoluzione dell'apparato legislativo e di quello giudiziario della nostra società, quel qualcuno sei decisamente tu! […] Ah-ah, ci sono: ti faccio qualche domanda così da aiutarti a ripassare!»
«Marlene, ti prego-» gemette Amelia, coprendosi il viso con le mani (Stai calma, Amelia! Calma...)
«Dai, sarà divertente!» ribattè Marlene, riemergendo con fatica dalla poltrona nella quale sembrava essere sprofondata. «Purtroppo non ho una di quelle strane cuffie che i babbani si mettono sulle orecchie quando partecipano a quei divertenti programmi televisivi durante i quali puoi vincere di tutto: una volta, Mary mi ha raccontato che una signora ha vinto una lavatr-»
«Marlene!!»
«Ok, ok, ho capito! Allora, vediamo un po'... Ho trovato! Chi è stata la prima donna a diventare Ministro della Magia all'inizio del diciannovesimo secolo?» domandò Marlene, accompagnando le proprie parole con un tono di voce volutamente misterioso – nella speranza, probabilmente, di emulare la suspense che talvolta aleggia negli studi televisivi quando un concorrente si appresta a dare una risposta che potrebbe fargli vincere un'ingente somma di denaro! Amelia arricciò il naso, in parte restia a prestarsi a quello sciocco siparietto escogitato da Marlene; conscia, però, del fatto che l'amica non si sarebbe data per vinta fino a quando la giovane Bones non avesse risposto, la Tassorosso dischiuse appena le labbra, quanto bastava per permettere alla sua voce di fuoriuscire dalla sua bocca. «Immagino si tratti di Josephina Flint» mormorò, incontrando lo sguardo di Marlene. Quest'ultima rimase in silenzio per qualche secondo, salvo infine socchiudere appena gli occhi, come se stesse analizzando con attenzione la risposta appena ricevuta.
«Questa tua espressione significa che ho dato la risposta giusta?»
«No: significa che non ho la più pallida idea di quale sia la risposta giusta, ma mi fido di te! Bravissima!»
Tosca Tassorosso, dammi un po' della tua pazienza!
«Però credo che questa potrebbe essere davvero la tua strada!» esclamò Marlene, annuendo alle sue stesse parole. «Ti vedrei bene nelle vesti di membro di spicco del Wizengamot: hai la grinta, la determinazione e le competenze giuste per approcciarti al meglio ad un ruolo così importante; sei sempre in prima linea per combattere qualsiasi tipo di ingiustizia e penso che saresti un ulteriore ottimo esempio a dimostrazione del fatto che anche le donne possono ricoprire cariche di prestigio al pari degli uomini, se non meglio! E poi, sai come si dice: oggi stagista presso il Ministero, domani Direttrice del Wizengamot e dopodomani Ministro della Magia!»
«Ehi, non partire in quarta!» ribattè Amelia, non riuscendo però a trattenere un sincero sorriso di gratitudine nei confronti dell'amica. «E- beh, grazie!» aggiunse. Marlene si alzò in piedi, sistemando con cura le lievi pieghe che solcavano la sua divisa a strisce bianche e nere; raccolse il cesto di vimini e si voltò infine nuovamente verso Amelia. «Di niente! Ovviamente mi aspetto di essere citata nel tuo discorso di insediamento presso il Ministero, quando verrai eletta!» disse, ridendo. «Ora, se non ti dispiace, devo andare a lavare questi panni: paradossalmente, pur possedendo una bacchetta magica, mi è stato detto che le lenzuola non si lavano da sole, ma che devo invece caricare a mano la lavatrice! A dopo!»
Amelia si lasciò ricadere contro lo schienale della poltrona, osservando – ridacchiando – Marlene allontanarsi in fretta e furia e borbottare tra sé e sé circa l'inutilità di vivere in un mondo traboccante di magia se poi, alla fine, la magia non può essere utilizzata per fare il bucato (non al Paiolo Magico, almeno!). La strega tornò ad indirizzare la propria attenzione al piccolo opuscolo; sbattè un paio di volte le palpebre, tamburellando al contempo la punta dell'indice e del medio della mano destra sul bracciolo della poltrona. Forse Marlene aveva ragione (no, non circa la cattiveria innata dei conigli – andiamo, come si può aver paura di quegli adorabili animalett- Amelia, non divagare!): riuscire ad essere ammessa ad uno degli stage promossi dal Ministero della Magia rappresentava sicuramente un'ottima opportunità per rapportarsi ad un mondo dal quale l'ex Tassorosso, effettivamente, si sentiva molto attratta; non a caso, quello era l'unico opuscolo che non aveva ancora destinato alle fiamme – doveva pur voler dire qualcosa, no? […] Improvvisamente un grido concitato, proveniente dal locale entro il quale erano riposte le lavatrici babbane, echeggiò nell'intera sala; Amelia si voltò immediatamente, giusto in tempo per veder comparire (quasi correndo) Marlene, paonazza in viso e prossima a scoppiare a piangere, la quale stringeva nella mano un piccolo peluche rosa a forma di coniglietto. «Chi – ha – messo – questo – mostro – fra – le – lenzuola – da – lavare?» domandò.
Rettifica: la prima legge promulgata dal futuro Ministro della Magia Amelia Bones sarà un'ordinanza restrittiva nei confronti conigli, compresi quelli di pezza! Sai che colpo, se alla fine si scoprisse che anche i conigli, al pari dei Mangiamorte, ordiscono trame contro il mondo magico?


 

«Sei ancora sicura che dipingere i muri del salotto di rosso sia una buona idea?»
Lily si voltò repentinamente verso James, il pennello stretto delicatamente nella mano destra. «Pensavo che l'idea di portare con noi una piccola parte della Casa di Grifondoro ti piacesse-» esordì, bloccandosi nel momento in cui si accorse che James aveva momentaneamente lasciato il salotto per recarsi in un'altra stanza e sistemandosi poi appena la larga salopette di jeans ovviamente sporcatasi di vernice... Poco male: lo aveva messo in preventivo nel momento esatto in cui aveva proposto a James di dipingere i muri di casa senza ricorrere all'uso della magia, se non altro per provare la sensazione di aver contribuito un po' di più nella creazione del loro piccolo nido domestico di quanto invece – non – avrebbero fatto limitandosi ad agitare a destra e a sinistra le proprie bacchette magiche. Il lieve rumore prodotto dai leggeri passi di James portò la ragazza ad alzare nuovamente lo sguardo, in tempo per scorgere il ragazzo varcare la soglia del salotto stringendo (uno in ogni mano – così da controbilanciarne il peso) due pesanti contenitori di alluminio pieni di vernice. Il ragazzo posò il carico accanto alla porta, pulendosi poi le mani sui pantaloni della tuta; si passò successivamente la mano destra fra i ribelli capelli corvini, ritrovandosi così a sporcarli involontariamente con un po' di vernice cremisi. Lily si avvicinò a James, alzandosi appena sulle punte dei piedi (scalzi e a contatto con il liscio telo di plastica che i ragazzi avevano adagiato sul pavimento per non sporcarlo) così da avvicinare maggiormente il proprio viso a quello del ragazzo. «Non staresti male, con qualche ciocca rossa! Quanto al colore dei muri-»
«Mi fa piacere, stai tranquilla-» mormorò James, sorridendo in direzione della ragazza. «-ma mi domandavo se fossi ancora disposta ad aiutarmi ad appendere i miei poster del Quidditch, non appena la vernice si asciugherà-»
Lily corrugò la fronte e James non riuscì a trattenere una sincera risata; cinse la vita della ragazza, stringendola delicatamente a sé. «Scherzavo-» sussurrò, continuando a ridere. «-Niente Quidditch: sai che in sala ho intenzione di appendere soltanto quelle foto delle modelle babbane in costume da bagno di cui ti parlavo-»
«Puoi solo provarci, Potter-» ribattè Lily, dando un leggero pugno sul petto del ragazzo.
«Evans, non ti facevo così propensa alla gelosia!» rise ancora, James, prima di cingere nuovamente Lily e posare dolcemente le proprie labbra sulla fronte della ragazza. Roteò gli occhi, Lily, per poi posare il capo sul petto del ragazzo; socchiuse le palpebre, lasciandosi strappare un sorriso nel momento in cui iniziò a percepire il battito calmo del cuore di James: nei momenti in cui si sentiva malinconica o quando si lasciava vincere da pensieri e preoccupazioni, fermarsi ad ascoltare il battito del cuore del ragazzo le permetteva di rilassarsi di colpo. Sapere di averlo accanto a sé, di poter percepire il suo respiro sulla pelle, di poter assaporare i suoi baci e le sue labbra e di potersi perdere fra i suoi stretti abbracci ogni volta che lo desiderava; sapere di averlo con sé in quel viaggio... Solo qualche anno prima si sarebbe data della stupida al solo pensiero che un ragazzo come James Potter potesse entrare a far parte stabilmente della sua vita, ma mai come in quel caso Lily Evans aveva capito quanto fosse sbagliato precludersi la possibilità di conoscere davvero qualcuno, andando oltre la prima – e talvolta sbagliata – impressione. Ed eccola infatti lì, innamorata (e ricambiata) di quello che doveva essere stato il più sbruffone degli studenti mai smistati nella casa di Godric Grifondoro – ma Dio solo sapeva quanto Lily avesse gioito nel constatare personalmente che vi era molto di più in James Potter rispetto all'immagine che, sicuramente per carattere e forse anche un po' per difesa, il ragazzo aveva più volte palesato nel corso dei lunghi anni passati ad Hogwarts.
«Andrà tutto bene-» mormorò James, sciogliendo lentamente l'abbraccio che ancora lo univa alla fidanzata.
«Lo so-» rispose Lily, incontrando gli occhi scuri del ragazzo. «Ora ne sono certa-» aggiunse, accarezzando lentamente il viso di James. Il ragazzo cinse per la terza volta la vita della ragazza, tirandola delicatamente accanto a sé.
«Chiudi gli occhi-» disse Lily, sorridendo. James fissò per qualche istante le iridi chiare della ragazza, prima di assecondare la richiesta della stessa e abbassare lentamente le palpebre; Lily sorrise, per poi avvicinare le proprie labbra a quelle dell'ex Grifondoro. Un bacio tenero, seguito da un secondo e poi anche da un terzo; un bacio delicato, quasi a suggellare l'inizio di un nuovo capitolo della propria vita insieme; un bacio passionale, carico di sentimento e desiderio pur non sfociando in un mero istinto carnale e non perdendo al contempo quell'eleganza che da sempre caratterizzava la giovane strega. Un bacio che significava semplicemente e chiaramente Amore.
James ricambiò i baci di Lily, assaporando quanto più poteva la delicatezza delle labbra della ragazza; si apprestò quindi a riaprire gli occhi, quando un appena sussurrato «-Aspetta» lo indusse invece a non farlo. Lily lasciò un ultimo bacio sulle labbra del fidanzato, prima di accennare un piccolo sorriso e afferrare il pennello ancora sporco di vernice rossa. «Aspetta ancora un attimo-» ripetè, cercando di non scoppiare sonoramente a ridere; avvicinò quindi repentinamente il pennello al viso di James, tracciando una spessa e verticale riga rossa dalla fronte del ragazzo fino alla punta del suo mento. James aprì di colpo gli occhi, giusto in tempo per vedere Lily scoppiare a ridere e lasciar cadere a terra il pennello incriminato. «Non sono riuscita a trattenermi, Potter!» esclamò, ridendo.
«Questa è una dichiarazione di guerra, Evans-» mormorò James, intingendo le braccia (fino all'altezza dei gomiti) all'interno di uno dei due contenitori di vernice che lui stesso aveva trasportato pochi minuti prima. Lily continuava a ridere, brandendo il pennello davanti a sé al pari di una bacchetta magica: «Non oseresti-» disse.
«Ehi, perchè scappi? Io voglio solo abbracciarti!» ribattè James, sorridendo sornione e allargando le possenti braccia grondanti di vernice; indugiò qualche istante, prima di lanciarsi in un fulmineo scatto verso Lily – la quale riuscì soltanto a sporcare di striscio la guancia destra del ragazzo, prima che questi la avvolgesse fra le sue braccia, sporcandole il viso e i capelli con la vernice che ricopriva le sue mani e il suo corpo. «Mi arrendo-» gridò Lily, ridendo; James sorrise soddisfatto, prendendola in braccio e avvicinando il suo viso a quello altrettanto sporco della ragazza. «Immagino che, a questo punto, continueremo a dipingere più tardi-» sentenziò, ridacchiando, prima di baciare per l'ennesima volta Lily.


 

L'ormai famelico fischio dell'Espresso precedette di qualche istante il sincrono rumore dei portelloni che andavano magicamente chiudendosi. James avanzava rapidamente lungo il corridoio della carrozza, le dita della mano destra teneramente intrecciate con quelle di Lily; si fermò di fronte all'ultimo scompartimento, prima di afferrare la lucida maniglia e spalancare la porta dello stesso. «Dopo di voi, madame-» sussurrò, mentre sul suo viso andava comparendo quel sorrisetto che – in qualche modo – riusciva a colpire un po' tutti. Lily scosse appena il capo, sorridendo, varcando la soglia dello scompartimento e accomodandosi poi sul comodo sedile rivestito in tela.
«Ci stiamo tutti?» domandò Marlene, seguendo Lily e sedendosi di fronte all'amica.
«Dovremo stringerci un po'» rispose James, alzando appena le spalle. «Benjy e Caradoc, però, ci raggiungeranno dopo: mi hanno detto che avrebbero viaggiato assieme al resto della squadra di Tassorosso»
«Ti è andata male, Mary-» mormorò Dorcas, sedendosi accanto a Marlene. Mary entrò nello scompartimento, le guance velatesi di un tenue rossore. «Non devi vergognarti, Mary! Lo sanno tutti, qui-» disse Marlene, sorridendo.
«Ottimo-» le fece eco ironicamente Mary, lasciandosi cadere di fianco a Dorcas e rivolgendo all'amica uno sguardo – almeno nelle intenzioni della ragazza, un po' meno nella pratica – risentito.
«Peter, mi passi una di quelle Gelatine Tuttigusti? Una di quelle blu, dovrebbero essere all'anice: vorrei avere l'alito fresco, nel caso qualche studentessa volesse suggellare la mia ultima permanenza al castello con un bacio d'addio-» esclamò Sirius, afferrando al volo il confetto bluastro che Peter gli lanciò qualche secondo dopo. Lo sguardo irritato di Marlene indusse il ragazzo ad alzare le mani quasi a voler simulare un gesto di resa: «'Lene, non posso deludere le mie fan! Dopo oggi, però, l'unica persona di cui dovrai preoccuparti sarà James, te lo prometto!»
Prima che James potesse dare adito alle parole dell'amico, il secondo fischio dell'Espresso attraversò fugace l'aria; le ruote del treno iniziarono a muoversi, accompagnate da una decina di sbuffi di vapore biancastro sprigionati con cadenza regolare uno dopo l'altro.
«Ci siamo-»
«Addio, Hogwarts! Ricordati di noi!»
«Addio! Professoressa McGranitt, addio! Mi venga a trovare, ogni tanto!»
«Marlene, non agitarti troppo! Finirai con il cavarmi un occhio!»
«Mary, prima ho visto Olive Reynolds fare gli occhi dolci a Benjy!»
«Che cosa? Quando? Non l'ho quasi mai perso di vist- sembro una pazza, non è vero?»
«Stai tranquilla: dopo appello un po' di escrementi di Thestral e glieli lanciamo sui capelli!»
«Fossi in te eviterei di appellare qualsiasi cosa, 'Lene! Per oggi hai fatto abbastanza-»
«Un giorno la Mappa del Malandrino ritroverà dei degni proprietari, Gazza! Puoi contarci! Non l'abbiamo disegnata affinchè marcisse per l'eternità nel cassetto della tua squallida scrivania!»
«Speriamo che chiunque la trovi ne faccia un uso più giudizioso-»
«Remus, per favore! Non sei più un Caposcuola, ora puoi infrangere tutte le regole che vuoi! Sei libero!»
«Ricordami queste parole, quando verrò a trovarti ad Azkaban!»
«Non ho intenzione di finire ad Azkaban, amico- e comunque troverei un modo per evadere, ne sono certo!»
«Il boa di Celestina! Voglio andare a cercarlo! Lasciami, Dorcas- Mary, amica mia, almeno tu-»
«A proposito di boa, la notizia della mattinata è che hanno trovato un serpente gigantesco nei dormitori femminili di Grifondoro. Voi ne sapete qualcosa, ragazze?»
«Dove l'hai sentita questa, Peter?»
«La professoressa McGranitt stava correndo in direzione della torre, bianca in volto. Stava parlando con una ragazza quando di colpo è fuggita via, lanciando l'allarme... Anzi, mi sembra proprio che stesse parlando con te, 'Lene!»
«Con me? No, non so niente di serpenti giganti-»
Sorrise, Lily, prima di voltarsi verso il finestrino della carrozza; il profilo di Hogwarts si stagliava orgoglioso in tutto il suo splendore di fronte ai suoi occhi. Appoggiò il palmo della mano sinistra sul vetro, dischiudendo lievemente le labbra. «Arrivederci-» sussurrò, socchiudendo lentamente gli occhi. Un tocco leggero sulla sua mano spinse la ragazza ad alzare nuovamente le palpebre, lasciando che le iridi smeraldine si posassero sul viso di James – e il suo sguardo dolce e al contempo speranzoso bastò per far immediatamente rilassare la Grifondoro. Sarebbe andato tutto bene, ora ne era certa... Sarebbe andato tutto bene...


 

Avanzava lentamente, barcollando pericolosamente ogni qualvolta appoggiava a terra il minuto piede destro; il lungo e profondo taglio che attraversava diagonalmente la sua esile gamba faticava a rimarginarsi e l'intera area attorno alla ferita aveva assunto una colorazione ancora più grigiastra della già atona carnagione dell'anziana elfa domestica. Leeki sapeva che era questione di – poco – tempo prima che i suoi padroni le ordinassero di fare ritorno a Grimmauld Place e non aveva quindi potuto fare a meno di pensare che quel momento fosse davvero arrivato, quando lei aveva trionfalmente fatto il proprio ingresso nel maniero, quella sera. Aveva pensato che fosse venuta a cercarla, ma immediatamente aveva scacciato quel pensiero dalla propria mente: né lei né nessun altro dei suoi padroni si sarebbe scomodato a tal punto da recarsi di persona a prenderla e portarla a casa. Un sonoro schiaffo aveva immediatamente fatto seguito a quei pensieri, pensieri che (pur non tramutati in parole) erano risultati essere tremendamente irrispettosi secondo il giudizio della stessa Leeki; punirsi per aver anche solo osato pensar male dei suoi padroni era ciò che meritava, lo sapeva! Durante il corso di tutta la sua (longeva, effettivamente) vita, Leeki non aveva mai desiderato ottenere la libertà: era un'elfa domestica e sapeva che il suo compito era quello di servire al meglio la famiglia di maghi che, generazioni e generazioni prima, l'aveva comprata. Era un'elfa domestica e quella era la sua vita, punto; una vita di asservimento e di ricorrenti soprusi che spingerebbero noi umani a desiderare la libertà, ma che invece risultavano essere normali per Leeki e per la maggior parte dei suoi simili. Uso volutamente l'espressione per la maggior parte degli elfi, perchè una piccola minoranza desiderava con tutto il cuore poter ottenere, un giorno, la libertà, ma Leeki non era parte di questo esiguo gruppo di “utopisti”; aveva avuto modo di vedere con i propri stanchi occhi cosa accadeva ad alcuni degli elfi che avevano ottenuto (per pietà o perchè ormai considerati inutili) la libertà: essi non avevano più uno scopo nella propria vita e finivano poi per concludere il proprio viaggio su questa Terra peregrinando a destra e a manca senza una vera meta, rimpiangendo quella condizione dalla quale avevano tanto desiderato allontanarsi. Forse ciò era dovuto al fatto che, spesso, i sogni che tutti noi inseguiamo per un'intera vita sembrano non configurarsi come li avevamo sempre idealizzati, una volta che finalmente li abbiamo agguantati; paradossalmente, sperare e fantasticare su un qualcosa talvolta ci appaga di più di quanto non sappia fare quello stesso qualcosa nel momento in cui lo stringiamo fra le nostre mani, metaforicamente o materialmente parlando. No, Leeki non voleva essere liberata; per quanto la sua fedeltà ad una famiglia di maghi e streghe che la minacciava e puniva quotidianamente possa a noi sembrare una follia, quella era la sua vita! Non sempre la nostra psicologia si sposa con quella degli elfi domestici, nevvero? […] Eppure, detto ciò, Leeki non riusciva a non provare una sincera paura ogni qualvolta lei arrivava in visita al maniero; l'elfa domestica cercava sempre di non incontrare direttamente i suoi profondi occhi scuri e, al contempo, si adoperava affinchè tutto fosse ancora più perfetto, quando c'era lei.
«Non ricordavo che i tuoi elfi domestici fossero ridotti così male, Lucius» sibilò la donna, sorridendo beffarda con l'unica intenzione di schernire l'uomo che, in piedi a pochi passi dalla poltrona pregiata sulla quale la strega si era poc'anzi accomodata, si voltò meccanicamente verso Leeki. «Leeki, portaci del Vino Elfico» mormorò il mago, dando inizialmente l'impressione di non aver nemmeno udito le parole della donna; fu solo quando l'anziana elfa aveva ormai abbandonato, zoppicando, la sala che il mago tornò a posare i suoi chiari occhi grigi sul viso della propria interlocutrice. «Se non ricordo male, Leeki è una delle elfe domestiche che tua madre ci ha gentilmente messo a disposizione durante questo ultimo periodo, Bellatrix-»
Il sorriso della strega venne meno per qualche secondo, prima che una piccola luce di sfida velasse i suoi occhi e sostituisse l'espressione che aveva fatto capolino sul suo volto quando le parole appena pronunciate dal cognato l'avevano in parte colpita nell'orgoglio. «Non mi sorprende che mia madre abbia conservato gli scarti appositamente per te, Lucius-» ma, prima che l'uomo potesse nuovamente risponderle, ella riprese a parlare «-a quest'ora la testa di quell'elfa si sarebbe già aggiunta alla collezione di Grimmauld Place, ma immagino che una serva vecchia e moribonda sia perfetta per te... Non sono però venuta qui per parlare della qualità dei tuoi servi, lo sai. Narcissa come sta?»
«Il Medimago che l'ha visitata ha detto che ha bisogno di riposare» socchiuse appena gli occhi, Lucius, trovandosi improvvisamente ad essere investito da una stanchezza che mal si sposava con i suoi ventiquattro anni da poco compiuti. Bellatrix annuì, inclinando delicatamente il capo verso destra. «È naturale» si limitò a dire, prima di tornare ad incrociare gli occhi dell'uomo; si sistemò infine in modo tale che la sua schiena aderisse contro lo schienale della poltrona stessa, prima di riprendere finalmente a parlare.
«Ora, però, ho necessità di parlarti di altro, Lucius. Accomodati pure!» la mano destra si librò elegantemente in aria e Bellatrix sogghignò nel notare l'irritazione che traspariva dal volto del cognato, vistosi dare il permesso di sedersi da colei che, di fatto, era ospite in casa sua. Era palese quanto si divertisse nel provocare Lucius Malfoy, ma la strega non potè fare a meno di notare che il cognato non sembrava intenzionato a ribattere alle sue parole come era invece solito fare; nelle ultime due settimane, Lucius aveva cercato soltanto di trovare un modo per aiutare sua moglie Narcissa a superare il dolore che aveva inaspettatamente sferzato la loro quotidianità – e se avesse dovuto ignorare l'arroganza di sua cognata pur di liberarsi quanto prima possibile della stessa, lo avrebbe fatto!
«Questa mattina, Rodolphus e io abbiamo avuto l'onore di conferire privatamente con il Signore Oscuro»
L'attenzione di Lucius – volente o nolente – venne inevitabilmente catturata dalle parole di Bellatrix.
«Come già saprai, Fawley e Rowle sono morti durante uno scontro con alcuni Auror. Thorfinn Rowle si è già proposto per poter sostituire suo padre, ma il Signore Oscuro crede che un ragazzo fresco di diploma non sia la persona più adatta per ricoprire uno dei posti vacanti entro la cerchia più ristretta dei suoi seguaci» scostò un ricciolo scuro che ricadeva, ribelle, sull'alta fronte pallida. «Il Signore Oscuro vuole essere sicuro che il fortunato candidato sia una persona degna di svolgere un compito così illustre e non accetterebbe consigli da nessuno-»
Bellatrix si bloccò per un breve istante, mentre le sue labbra andavano articolandosi in un sorriso dal quale traspariva tutta la soddisfazione che stava per riversare nelle sue successive parole. «-eppure ha preso in considerazione il mio umile suggerimento. Egli sa che può fidarsi di me; sa che la mia completa lealtà è rivolta soltanto verso di lui e sa che non farei mai nulla per deludere il suo volere. Gli ho quindi parlato di te-»
Lucius si irrigidì appena, ma Bellatrix non sembrò prestarvi attenzione. «Gli ho raccontato di quanto tu condivida il suo pensiero e di quanto saresti onorato di poter servire la nostra causa. Il Signore Oscuro ha quindi acconsentito perchè tu possa incontrarlo domani»
«Domani?» domandò Lucius, corrugando la fronte. Il sorriso stampato sul viso di Bellatrix vacillò appena.
«Sì, Lucius, domani» ripetè, tagliente. «Non vedo quale impegno tu possa anteporre ad un'udienza espressamente voluta dal Signore Oscuro in persona. O devo forse pensare che tu non ambisca più ad ottenere questo?» aggiunse, arrotolando la manica sinistra del lungo cappotto nero che indossava. Quello che, a prima vista, poteva apparire come un articolato tatuaggio si estendeva lungo tutto l'avambraccio della strega: un serpente nero (le cui spire si incrociavano più volte fra di loro) fuoriusciva dalla bocca di un teschio dello stesso colore, muovendo lentamente il capo sebbene bidimensionalmente impresso sulla pelle di Bellatrix. «Il Marchio Nero» sussurrò, accarezzando estasiata e devota i bordi del marchio con le dita della mano destra. «Solo pochi eletti possono vantare di possedere questo marchio. È un dono che il Signore Oscuro ha voluto farci perchè sa che siamo i suoi più fedeli servitori. Su migliaia di seguaci, solo una ventina di noi lo possiede- ero certa che anche tu ambissi a meritarne uno»
«Ho ancora questa ambizione, Bellatrix» la interruppe Lucius, sovrastando la voce della donna con la propria. «E sarebbe per me un privilegio poter svolgere degli incarichi per il Signore Oscuro, ma Narcissa-»
«Non osare!» sbraitò Bellatrix, sgranando gli occhi in preda ad un moto di collera. «Non osare-» ripetè, abbassando la voce e puntando l'indice destro davanti al viso del cognato. «Non ti permetterò di usare mia sorella come scusa per non adempiere al volere del Signore Oscuro! Sei solo un codardo, abile nell'uso delle parole ma pronto a nasconderti quando devi dimostrare la tua lealtà agli ideali nei quali dici di credere!»
«Mia moglie ha bisogno di me in questo momento, Bellatrix, ma non mi sorprende che non tu possa capire!»
La strega si lasciò sfuggire un ghigno, alzandosi in piedi. «Narcissa ha avuto un aborto spontaneo; non c'è nulla che tu possa fare per porvi rimedio, Lucius» sibilò, avvicinando la bocca all'orecchio del cognato. Si avviò quindi verso il portone d'ingresso del maniero, procedendo a passi lenti salvo voltarsi un'ultima volta in direzione del mago. «Domani mattina, Lucius Malfoy. Confido nel fatto che farai la scelta giusta-» e poi si smaterializzò con un secco poof.

 

Spazio dell'autore:
Eccomi qui, dopo un tempo a dir poco scandaloso, ad aggiornare la mia FanFiction! Come avrete notato sicuramente dal titolo, questo secondo capitolo si articola come la parte conclusiva del lungo prologo, volto principalmente a presentare (talvolta in modo momentaneamente solo abbozzato, in altri casi già più concretamente) i vari protagonisti. Dal prossimo capitolo, invece, la storia inizierà ufficialmente – e la comparsa di Bellatrix e Lucius già nella scena conclusiva di questo scritto ci suggerisce che qualcosa sta bollendo in pentola... No, non il cenone di Natale (quello ormai è bello che andato!). Dal momento che mi piace pensare che questa FanFiction sia una sorta di "serie televisiva su carta", oltre ad un ipotetico cast ho inserito (e inserirò anche in futuro) una colonna sonora: in particolar modo, oltre alla soundtrack di base rappresentata da "I Was Here" di Beyonce, ho inserito anche parte del testo di una canzone nella scena in cui Benjy suona e sostiene l'audizione. Bene, quelle parole sono estratte da "You Are So Beautiful", resa celebre da Joe Cocker!

Detto questo, vi ringrazio moltissimo per aver atteso così a lungo (perdonatemi!) un aggiornamento e soprattutto per essere arrivati a leggere anche fino alla fine di questo secondo capitolo; ringrazio ancora tantissimo sia tutti coloro che hanno condiviso le proprie impressioni con me, sia i lettori silenti – ma non per questo motivo meno importanti; il mio ultimo, grandissimo e sincero ringraziamento va a chi deciderà di darmi ancora fiducia e continuerà a seguire le avventure dei nostri amati Malandrini!
Aspetto i vostri pareri (belli o brutti, sono ugualmente ben accetti!)

A presto!!
Matteo

 

Main Characters: [Julian Morris as James Potter; [Karen Gillan as Lily Evans; [Ben Barnes as Sirius Black; [Andrew Garfield as Remus Lupin; [Max Irons as Peter Minus; [Theo James as Caradoc Dearborn; [Nathan Owens as Benjamin Fenwick; [Dianna Agron as Mary MacDonald; [Laura Vandervoort as Dorcas Meadowes; [Jennifer Lawrence as Marlene McKinnon; [Lindsey Morgan as Hestia Jones; [Nathaniel Buzolic as Frank Paciock; [Jenna Louise Coleman as Alice Prewett; [Anna Kendrick as Amelia Bones; [Crystal Reed as Emmeline Vance

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3211486