Ricordi sulla linea del tempo

di MissBethCriss
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chi è Sebascian, papà? ***
Capitolo 2: *** Questa vita di cicatrici e ombre ***
Capitolo 3: *** Ad occhi chiusi ***
Capitolo 4: *** Rododendro ***
Capitolo 5: *** Quando il sole è tramontato ***



Capitolo 1
*** Chi è Sebascian, papà? ***


Beth's Corner: Buon inizio della Seblaine Week a tutti! Perché il "Beth's Corner" si trova qui su in cima? Per una semplice ragione: la mia cara Betta l'Omonima pubblicherà al mio posto per l'intera durata della Week visto che io, essendo una persona molto fortunata, mi trovo in Trentino e non ho accesso al pc. Ma siete in buone mani. Che altro dire? Grazie a quella santa donna che mi ha fatto da beta, beta Betta l'Omonima, per l'aiuto che mi ha dato. Sei la più meglio. Buona lettura!

Questa storia partecipa alla Seblaine Week 2015
Day One: Post Glee

 

Ricordi sulla linea del Tempo

Chi è Sebascian, papà?

 
— Papà! — chiamava ripetutamente la piccola Rose, sbattendo delicatamente i pugnetti contro il petto del padre per svegliarlo, provando a non stropicciare troppo i fogli che coprivano il genitore come una coperta. Ma la piccola non riuscì a ottenere alcun risultato, ad eccezione di borbottii gutturali che ricordavano vagamente un “non ora, Rosie”.
La piccola, però, aveva nel proprio patrimonio genetico la testardaggine di entrambi i genitori, perciò non si arrese e continuò imperterrita, pensando che se il padre non si fosse svegliato nel giro di quattro nanosecondi – che non sapeva bene quanto durassero, ma dal “nano” immaginava veramente poco (dopotutto i Nani di Biancaneve erano veramente bassi) - avrebbe riempito un bicchiere di acqua fredda in bagno e lo avrebbe svegliato così. Era convinta anche del fatto che il padre non si sarebbe potuto arrabbiare con lei per questa sveglia poco gentile, perché la colpa era solo sua e del suo sonno pesante.
— Papà, mi farai fare tardi alle prove del balletto! — gli urlò nelle orecchie. Blaine sobbalzò, facendo cadere il libro aperto che aveva in faccia e la penna rossa in equilibrio dietro l’orecchio. La piccolina rise, e quella risata fece dimenticare a Blaine il motivo per cui era arrabbiato, ma solo per un momento. Rose teneva i suoi vispi occhietti verdi puntanti in quelli nocciola e assonati del padre, incitandolo a darsi una mossa.
— Che ore sono? — le chiese sbadigliando, per poi stiracchiarsi facendo cadere alcuni compiti sul pavimento.
— Sono le quattro e trentaquattro minuti e cinquanta secondi. E sì, devo essere a scuola fra meno di mezz’ora.
Il padre sbarrò gli occhi e cominciò a borbottare frasi sconnesse. Alcune cose Rose fece finta di non sentirle, perché facevano parte di quelle brutte parole che non si dovevano mai usare. Si mise in piedi sul divano color crema e si esercitò nei plié, almeno fino a quando il padre, che aveva in mano la borsa di danza rosa della figlia, non la prese in braccio e corse il più velocemente possibile a prendere la bicicletta. Blaine ignorava come fosse riuscito a scendere le scale del condominio con la mano salda sulla canna della bicicletta, la piccola in braccio e lo zaino in spalla, ma in men che non si dica si trovò già per strada, percorrendo quelle vie che conosceva come le sue tasche.
 
— Faremo tardi — disse per la ventesima volta in tre minuti, con tono melodrammatico, la piccola Anderson, aggrappandosi più che poteva alla camicia del padre; odiava stare sulla canna della bici, ma in certe situazioni era l’unico mezzo che permetteva loro di muoversi velocemente.
—Rosie, il ripeterlo non farà dilatare il tempo per permetterci di arrivare in tempo. Fai la brava, dai, siamo quasi arrivati — le disse con il fiatone. Mentre sfrecciava per le vie di una Boston più assolata del solito, ringraziò il fatto di aver scelto una casa che fosse abbastanza vicina sia al college dove insegnava, sia alla scuola della figlia, accertandosi che nei dintorni ci fosse anche una scuola di danza.
Quando incominciò a intravedere l’insegna della scuola rallentò un po’, per non frenare troppo bruscamente di fronte all’entrata.
Quando finalmente i due arrivarono, Blaine aveva le gote rosse e non si ricordava quando fosse stata l’ultima volta che aveva respirato, visto che era troppo impegnato a evitare automobili o pali della luce. Fece scendere la piccola, che subito controllò l’orologio rosa che portava al polso e tirò un sospiro di sollievo: avevano ancora cinque minuti di tempo per riprendersi ed essere ancora puntuali.
Blaine la guardò e si mise a ridere, mentre lei lo fissava come faceva sempre la madre quando andavano ancora al liceo.
— Perché ridi, papà?
Blaine non le rispose, limitandosi a sorridere, quando all’improvviso alzò lo sguardo e si trovò di fronte, sull’altro lato della strada, colui che non sperava più di incontrare ormai da anni. Si sentiva raggelato, era come se tutto si fosse assopito, disintegrato sotto lo sguardo smeraldino di lui. Esistevano solo loro due. L’altro alzò un braccio e lo agitò in segno di saluto e Blaine fece lo stesso. L’uomo attraversò veloce la strada e Blaine riusciva a malapena a rimanere in piedi; gli sembrò assurdo il fatto che l’altro gli suscitasse lo stesso effetto, anche adesso che erano adulti.
— Blaine Devon Anderson — gli disse, quando fu abbastanza vicino.
— Sebastian Maurice Smythe — rispose l’altro stringendogli la mano, quasi come se si stessero presentando un’altra volta. — Non credo ai miei occhi —  sussurrò, senza parole. In quel momento, Rose si schiarì la voce, riportando con i piedi per terra il padre.
— E questa principessina? — chiese Sebastian, facendo un inchino scherzoso.
— Mi chiamo Tracy Rose Elizabeth Anderson, e sono una ballerina terribilmente in ritardo.
Il moro guardò dispiaciuto l’uomo più alto, mentre questo alzò le spalle sorridendo e facendogli un occhiolino. — Ti aspetto qui, Anderson?
Blaine annuì e prese per mano la figlia, sparendo dalla visuale di Sebastian nel momento in cui entrò nella scuola.
— Chi è Sebascian, papà? — chiese la bimba con la sua voce cristallina, con un tono troppo alto per passare inosservato, ma il francese non riuscì a sentire la risposta del moro e non sapeva se esserne sollevato o rammaricato. Sebastian si sistemò la giacca blu e si diresse verso una panchina lì vicino, per sedersi. Rimase da solo per poco tempo, perché qualche minuto dopo, Blaine uscì dalla porta bianca di corsa.
— Guarda che potevi anche fare le cose con calma, non sarei andato da nessuna parte — gli disse sorridendo, mentre si alzava in piedi.
Blaine arrossì e alzò le spalle. — Tranquillo, è da tutto il giorno che corro.
— Ti tiene in forma la piccola, vero? Ed ecco spiegato il motivo dei primi ricci che si ingrigiscono. La paternità ti dona, visto che ti ha fatto abbandonare quel gel che ti faceva sembrare un pagliaccio.
Blaine fece finta di non aver sentito l’ultima parte. — Non puoi capire quanto, è un piccolo tornado — gli disse ridendo, portandosi una mano sui ricci per tirarli indietro. — E meno male, aggiungerei! Ancora non ci siamo ambientati a Boston, conosciamo a malapena i nostri vicini, ma le nostre passeggiate ci hanno permesso di visitare la città e ci piace molto. Se non avessi lei, credo che sarei già impazzito.
Papà Blaine, suona bene.
Blaine gli sorrise e prese la bici. — Dai, andiamo, che la piccola finisce fra un po’. Conosco un bar qui vicino che fa delle torte buonissime e dei caffè che sono la fine del mondo.
— Andata. Allora, Anderson, cos’hai combinato in questi anni? — gli chiese mentre si avviavano al bar.
— Nulla di che, tu, invece? — fece con fare elusivo. Non gli andava di parlare di ciò che gli era successo in quegli anni, sebbene la sua terapista gli avesse detto più volte che, in molti casi, la parola è la migliore delle medicine.
— Rose sembra tutt’altro che “nulla di che”, Anderson —ribatté Sebastian, aprendogli la porta per farlo entrare per primo. Blaine si diresse svelto verso il bancone per ordinare, lasciando in sospeso la domanda di Sebastian. Sovrappensiero, ordinò ciò che il francese prendeva sempre quanto entrambi erano giovani. Quando si presentò al tavolo con le due tazze di caffè fumante, Sebastian sorrise.
— Ti ricordi ancora? — gli domandò, mentre prendeva la tazza bianca fra le mani.
— Certo, mi ricordo tutto. — Blaine cominciò a spezzettare il biscotto distrattamente, e quella procedura divenne all’improvviso stranamente interessante. Vi era una bellezza che evidentemente Sebastian non capiva nelle gocce di cioccolato che si appiccicavano ai polpastrelli. Blaine avrebbe fatto di tutto, pur di non guardarlo negli occhi. Sebastian posò una mano sulla sua, fermandolo, costringendolo a incrociare i suoi occhi verdi. Sebastian intravide negli occhi ambrati dell’uomo tanta tristezza, e si ritrovò ad accarezzargli il dorso della mano col pollice per tranquillizzarlo.
— Cosa ti è successo, Blaine Anderson? E Tracy Rose Elizabeth non mi sembra “nulla di che”.
— Infatti non lo è, è l’unica cosa bella che mi sia capitata in questi anni — affermò portandosi alle labbra la tazza, assaporando il caffè e lasciando la cannella che aveva aggiunto pizzicargli la punta della lingua.
— Si è presentata come Anderson, deduco che non è più rose e fiori con Hummel.
Blaine fece cenno di no. — Abbiamo divorziato quando Rose aveva due anni. Non so cosa ho sbagliato, ma ad un certo punto litigavamo e basta, alcune volte ci trovavamo a bisticciare senza sapere neanche il perché. Un giorno se ne uscì con questa cosa del divorzio, e nel giro di poco mi trovai sul tavolo della cucina dei fogli da firmare per iniziare la pratica. Mi chiese di fare addirittura la prova del DNA per vedere chi fosse tra i due il padre biologico, ma era inutile, io sapevo che era mia figlia. Mi disse che non voleva avere più a che fare con me, nel modo più assoluto, e ciò comprendeva nostra figlia. Non voleva nulla che fosse mio. E’ anche per questo che la bambina ha deciso di farsi chiamare solo Rose, perché gli altri due nomi erano stati scelti da Kurt.
— Che pezzo di merda — Sebastian fece una pausa, addolcendo il tono e cambiando discorso. —Ho notato che ha i tuoi stessi occhi e i ricci. Chi vi ha fatto da surrogata?
— Rach. Avrà pure i miei occhi, i miei ricci, ma è la sua copia. Ho visto delle foto di quando era piccola, è uguale a Rosie. E ha anche ereditato il suo caratterino — gli disse, con un sorriso tenero che solo i padri che amano con tutto il cuore i figli possono fare.
— Fortunatamente non ha ereditato anche il suo grosso naso, madre natura è stata più clemente con lei. Farà strage di cuori da grande.
— Rosie non farà strage di cuori perché non le permetterò di uscire con nessuno — disse Blaine passando in modalità “papà orso”. — Ho anni di boxe alle spalle e un dritto niente male.
— E un sedere niente male, se non ricordo male. — i due si guardarono e risero. — E poi non fare il papà geloso, che non ti si addice —disse Sebastian mentre estraeva dalla tasca interna della giacca una fiaschetta che Blaine riconobbe all’istante: gliel’aveva regalata lui per Natale quando andavano ancora al liceo. Gli faceva piacere che tenesse ancora qualcosa che gli ricordasse di lui. L’abitudine del francese di mettere del Courvoisier nel proprio caffè non era cambiata, chissà se teneva ancora lo stesso tenore di vita o l’età adulta lo aveva riportato sulla retta via. Blaine provò un moto di gelosia che gli strinse per un po’ la bocca dello stomaco, il pensiero di Sebastian con altri uomini lo infastidiva. Istintivamente, guardò di soppiatto l’anulare sinistro: non vide alcuna fede o altri anelli, ma Sebastian non era tipo da matrimonio,  non era una garanzia del fatto che fosse single.
Sebastian fraintese il suo sguardo.
— Già, la tengo ancora. Ormai mi sono affezionato a questa fiaschetta con l’usignolo inciso sopra. È un portafortuna.
— Mi fa piacere — gli disse imbarazzato. — Invece tu? Cosa ha fatto Sebastian Smythe in questi anni che non ho il coraggio di contare?
— Ho vissuto in Europa: sono ritornato in patria, Parigi mi mancava molto e ho preso le mie lauree lì. Sono diventato avvocato, come voleva mio padre, e adesso mi ritrovo sposato con il mio lavoro. È una convivenza molto dura, ma ormai mi sono abituato anche agli orari assurdi. Sono riuscito a farmi un nome in Europa e poi oltreoceano, infatti mi trovo qui per un cliente. È molto ricco e può permettersi le mie trasferte. Era da anni che non ritornavo in America, non avevo realizzato quando mi fosse mancata fino a quando non ci ho messo piede.
— Sto parlando con un prezzo grosso, mi sento onorato — lo canzonò Blaine prendendo un altro sorso dalla tazza blu. — Quindi sei qui solo momentaneamente?
Sebastian sospirò. — Starò qui fino a quando non vincerò il caso, poi, se avrò un valido motivo per restare, valuterò se mettermi in proprio: sono anni che sogno di aprire uno studio tutto mio.
Blaine ci ragionò un po’ su. — Una cena con i piatti delle principesse lo reputi un motivo valido per restare? Almeno per un po’? Puoi scegliere la principessa che preferisci. — gli chiese titubante, perdendosi in quegli occhi che sognava da anni di rivedere.
Sebastian gli donò uno di quei sorrisi che un tempo rivolgeva solo a lui, perché quando stava con Blaine si permetteva sempre di lasciare a casa la maschera che era solito indossare.
Lo guardò e ripensò a loro da giovani.
Ripensò a quanto lo aveva amato, a come lo aveva pregato di restare con lui, di lasciare Hummel e di dargli una seconda possibilità. Blaine, però, non lo aveva scelto.
Poi ripensò a loro due nella sua camera alla Dalton, quando Blaine gli confidò quello che voleva fare per la proposta di matrimonio, e lui si sentì come se fosse andato in frantumi, riuscendo a percepire ogni spigolo affilato del suo essere. Ricordò di come si era piegato sulle ginocchia, perché il corpo non era riuscito più a sorreggerlo, pregandolo di non farlo. Le braccia di Blaine lo avevano circondato, stringendolo forte mentre gli accarezzava con una mano i capelli sottili, senza dire una parola. Ancora oggi non riusciva a spiegarsi questa sua reazione, forse era semplicemente ciò che accadeva quando il proprio mondo finiva in mille pezzi.
Forse i due non erano pronti in quel periodo, entrambi dovevano affrontare i propri vecchi scheletri nell’armadio, e quando si ha troppo a cui pensare le cose non possono funzionare. Forse ora era il loro momento, era per questo che si erano incontrati per un caso fortuito, ora erano pronti, o forse non lo sarebbero stati mai, ma valeva la pena provare. Le seconde occasioni non vanno sprecate, valgono come oro perché non ti capiteranno più.
Sebastian si chiese quando aveva incominciato a farsi così tante domande prima di prendere la strada giusta, quando era giovane sceglieva la prima che gli capitava di fronte, senza pensare ai “se” o ai “ma”. Si vive una volta sola e non si deve perdere tempo dietro a dubbi interrogativi.
— Se non ti basta potrei anche aggiungere un film d’animazione con le principesse Disney, Rosie mi ha detto che assomigli tanto ad un principe dei suoi cartoni, solo che non si ricorda chi. Mi aspetta una bella maratona, non mi dispiacerebbe un po’ di compagnia.
Sebastian lo guardò, prendendogli la mano che stava giocherellando nervosamente con il suo cucchiaino.
— Suppongo che l’amore per tua figlia sia pari a quello che nutrivi verso il gel, ma non penso che sia un valido motivo per restare — gli disse, mentre sorseggiava l’ultima goccia del suo caffè corretto. Blaine lo guardava con l’espressione più triste che avesse mai visto, infatti si sentì subito in colpa e desiderò sapere cosa stesse pensando. Quando non riuscì più a stare al gioco gli sorrise, stringendogli la mano.
— Non mi sembra un motivo valido per una semplice ragione, — cominciò a dirgli. — Non sono il tipo a cui piacciono le principesse. Anche mio padre ha provato a farmele piacere, portava a casa la figlia di qualche suo collega ogni venerdì sera e mi toccava portarle fuori, passeggiare lungo la Seine con loro mentre blateravano sui loro capelli, sulle unghie e via dicendo. E mentre loro parlavano, io pensavo a quanto fossero interessanti i principi.
Blaine lo guardava confuso, non riuscendo a capire il fine del suo discorso. Era convinto che forse avesse messo troppo liquore nella sua tazza.
Sebastian si sporse in avanti avvicinandosi al moro, che lo guardava con occhi spenti. — Tu, voi, siete un motivo più che valido per restare.
 


Betta’s Corner: Ciao! Io sono Betta… cioè, l’altra Betta (@bettamcgustin su twitter e PrettyFrigginCool su efp, se voleste disagiare con me), e ho avuto il piacere di bet(t)are (ah ah! Che simpatica) tutte le os di Betta (troppe Bette, troppe) per la SW. Anche se è la mia prima esperienza da beta, spero di essere riuscita a fare un lavoro dignitoso, in modo da farvi godere la vostra dose quotidiana di idilliaca seblaine. A domani, con un’altra chicca!

 

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Capitolo 2
*** Questa vita di cicatrici e ombre ***


Beth's Corner: Buon secondo giorno della SW a tutti! Per il prompt "Book AU" avevo l'imbarazzo della scelta, da qualche anno vedo questi due scemi anche in due sassi vicini, non me li immagino nella realtà dei miei libri preferiti? La mia scelta è caduta su di loro perché i Malec sono speciali per me e non inizio a parlare di loro, vi è il rischio che non finisco più, Betta l'Omonima può confermare. Chiudo ringraziando la cara Betta che si merita ogni grazie che le ho detto. Buona lettura!

Questa storia partecipa alla Seblaine Week 2015
Day Two: Book AU

Ricordi sulla linea del tempo

Questa vita di cicatrici e amore

— Blaine — disse un giovane uomo quando fu davanti alla porta della cella; il tono dello Shadowhunter rasentava la disperazione più profonda. Occhi dorati di felino si alzarono e incrociarono quelli verdi dell’abile arciere, e in un battito di ciglia quest’ultimo si trovò in ginocchio vicino all’uomo che amava, guardando con rabbia le catene di adamas che gli fasciavano i polsi, ancorandolo al pavimento freddo. — Stai bene? Sei ferito?
Sebastian sfiorò la guancia dello stregone, si sentì gli occhi pizzicare e un’assurda voglia di uccidere colui che lo aveva ridotto in quello stato, ma ora doveva pensare a lui, così accennò un sorriso, riuscendo purtroppo a fare solo una smorfia che non convinse il ragazzo. Blaine, il Sommo Stregone di Brooklyn, aveva pesanti solchi che gli mettevano in evidenza gli zigomi scavati, ombre cineree sotto gli occhi, che li segnavano privandoli della loro consueta luce, e le labbra, un tempo piene e morbide, adesso erano secche e screpolate.
— Il mio Bastian —sussurrò allo Shadowhunter, cercando di avvicinarsi a lui. Era stremato, le forze lo stavano abbandonando, ma non voleva assolutamente che l’altro si preoccupasse ancora di più, perciò continuò a parlare come se nulla fosse. — Sei stato tanto triste ed io non lo sapevo — poi si accasciò contro il muro, con un pallido sorriso che rischiariva le ombre sul suo volto.
Sebastian poggiò nuovamente la mano sulla sua guancia, e con il pollice accarezzò la porzione di pelle sotto lo zigomo sporgente. — Ora devi stare fermo — gli disse, in un tenero sussurro. Portò l’altra mano alla cintura per estrarre una spada angelica, ma quando fece per chiamarla Blaine lo bloccò, fermandogli il polso con le dita lunghe e sottili, da pianista che era. — Chiamala Samuel. — Pronunciò quel nome con una familiarità che in condizioni normali avrebbe provocato nel ragazzo una gelosia inaudita, ma in quel caso si sentì stringere il cuore, conscio del perché di quel nome. Le parole che Hunter disse a Daniel risuonarono nella testa dello Shadowhunter: “Ho ucciso il tuo creatore”. Dal tono dello stregone, capì che colui che fu il capo clan dei vampiri di New York aveva un’importanza incredibile. Avrebbe vendicato il Sam di Blaine, anche se fosse stata l'ultima cosa che avrebbe fatto in vita. Blaine provò a sforzarsi di fare un sorriso. — Sbaglio o è un nome di un angelo anche questo?
— Samuel — sussurrò lo Shadowhunter, prima che la lama divampasse, illuminando i due visi vicini. Sebastian fece scivolare la mano dalla guancia alla spalla per tenerlo fermo, e lo stregone si beò del suo tocco. Quando abbassò la spada sulle catene, queste caddero, e la stessa sorte toccò alla spada angelica. Sebastian si sporse in avanti per afferrare lo stregone dalle spalle, cercando di raddrizzarlo, così Blaine, per facilitargli il lavoro, tese le braccia verso lo Shadowhunter, ma invece di farsi forza per alzarsi in piedi lo attirò a sé, facendolo cadere sopra di lui. Ben presto le sue labbra trovarono quelle dell’altro, appropriandosene. Sebastian all’inizio si sentì il sangue gelare nelle vene e si irrigidì, poi Blaine fece scivolare una mano sulla sua schiena per avvicinarlo di più a sé, mentre l’altra l’appoggiò sulla sua nuca. E Sebastian si lasciò andare, buttandosi in quel bacio goffo e determinato. Gli prese il viso fra le mani e lo baciò con passione e disperazione, quella disperazione di chi non credeva che avrebbe mai più avuto la possibilità di baciare le labbra che aveva sognato ogni notte da quando si erano lasciati. Entrambi rimasero senza fiato.
Fu Blaine il primo ad allontanarsi, aveva gli occhi che brillavano e si addolcì quando vide che l’altro li teneva ancora socchiusi. — Sebastian...— sussurrò, appoggiando la testa sulla sua spalla, mentre lo Shadowhunter gli cingeva la vita con le braccia allenate.
— Dimmi — fece l’altro, incuriosito e spaventato da ciò che gli potesse dire.
— Siete inseguiti?
L’altro spalancò gli occhi, incerto su cosa rispondergli; deglutì a vuoto, e mentre l’altro aspettava una risposta  optò per la verità. Aveva deciso di smettere con i sotterfugi. — Siamo inseguiti da un gruppo di Shadowhunter oscuri, creati da Hunter.
— Peccato —sussurrò Blaine, socchiudendo gli occhi. Le sue lunghe ciglia gli solleticarono l’incavo del collo. — Sarebbe stato bello poter star sdraiati qui, vicini, anche solo per un po’.
S’intromise la sorella di Sebastian, provando con tutte le forze a non sembrare sgarbata. — Be’, è impossibile, Blaine.
 
— Blaine — lo chiamò Sebastian mentre gli accarezzava la schiena nuda, allontanandolo dai suoi pensieri. — So che sei sveglio — sentenziò, lasciandogli un bacio fra i ricci corvini freschi di doccia: aveva passato l’intera notte a lavorare per un ingaggio, e quel getto di acqua calda fu una mano santa per le sue membra stanche. — Dai, alzati, devo ritornare all’Istituto.
Lo stregone si stiracchiò come un gatto, andando a finire sul corpo dell’altro. Sebastian sbuffò divertito, chiuse il libro che teneva in mano e lo posò con cura sul tavolinetto vicino al letto a baldacchino, in perfetto stile barocco, la moda del momento.
— Lo sai che ci metterei un secondo a farti alzare? — lo sfidò, mentre accarezzava con le dita l’incavo lungo la colonna vertebrale, su e giù. Blaine si meravigliava sempre di come le sua mani, mani dedite alla guerra, riuscissero ad essere così delicate quando sfioravano la sua pelle.
— Lo sai che io impiegherei ancora meno per farti restare incatenato a questo letto? — ribatté l’altro maliziosamente, mentre piccole fiamme verdi si libravano dalle sue mani.
— Devo veramente andare, Blaine — fece l’altro, anche se gli era passata la voglia di farlo sul serio.
— Ma mancherai così tanto al mio gatto… Vuoi fare questo torto a Chairman Meow? Sei così insensibile?
Sebastian rise. — Povero Chairman Meow.
Blaine cominciò a giocare con i fili dei buchi del maglione nero di Sebastian. — Fermati, così li rovini ancora di più — lo rimbeccò l’altro.
— Guarda che è mio intento rovinarteli tutti, così sarai costretto a farti il guardaroba nuovo — gli spiegò puntando i suoi occhi da gatto verso di lui. Sebastian sbuffò.
— A me piacciono.
— E a me piaci tu, per questo li sopporto senza batter ciglio… o quasi.— Blaine si tirò un po’ su con il busto, facendo leva sul gomito che aveva posato sopra il petto di Sebastian. Con la mano libera gli accarezzò i capelli spettinati.
— A cosa pensavi prima? — gli chiese Smythe.
— Aku cinta kamu — gli disse dolcemente, per poi scontrare le sue labbra contro quelle dello Shadowhunter. Ti amo.
Quando pronunciava quelle parole, Sebastian si sentiva il cuore esplodere. Lo stregone usava la propria lingua madre così raramente (solo in situazioni veramente importanti), che il fatto che la usasse per dirgli che lo amava lo faceva sentire come la cosa più preziosa al mondo, per lo stregone.
— E questo per cos’era? — gli chiese.
— Per il semplice fatto che esisti — gli rispose in modo, forse, fin troppo solenne. La sua voce perse quella nota piena di quella sua allegria così contagiosa per un momento soltanto. Sebastian riuscì a scorgere in quegli occhi, che amava e che conosceva meglio dei propri, la fiamma dell’eternità della sua vita, e una profondità tale che riusciva a nascondervi una saggezza nata da secoli di esperienza.
Aggiunse —Stavo pensando al giorno in cui capii che non volevo più perdere un secondo della mia vita lontano da te… è così effimera la vita umana, ma così bella, così passionale. E il fatto di poter passare questa vita di cicatrici e amore al tuo fianco mi fa sentire l'uomo più fortunato al mondo. Altri stregoni, che hanno alle proprie spalle i miei stessi secoli, se non di più, hanno smesso di provare qualsiasi emozione ormai da tempo, e ciò mi ha sempre spaventato. L'eternità ti rende immune a molte cose, io credevo di starmi atrofizzando: quattro lustri erano passati dall'ultima volta in cui mi ero sentito vivo, poi sei arrivato tu e mi hai stravolto, ribaltando le carte della mia vita. Hai trasformato il mio sopravvivere in vita pura — Blaine gli sorrise, posò una mano sul petto dello Shadowhunter e lasciò un bacio all'altezza del cuore, prima di continuare il suo discorso. Sebastian semplicemente lo lasciò parlare, beandosi di quelle attenzioni che lo stregone gli riservava sempre. — E stavo pensando a quanto sarebbe stato bello se solo avessimo avuto l’opportunità di stenderci vicini, in quella cella, anche per pochi minuti. Avevo un tale bisogno di sentire il tuo corpo contro il mio… Mi eri mancato così tanto, Bastian.
— Aku mencintaimu juga — gli disse Sebastian quando finì di parlare, mentre si tirava su col busto per prendere il viso dello stregone tra le sue mani e baciarlo. Lo baciò con una tale passione che entrambi si sentirono ribollire il sangue nelle vene, come se il fuoco celeste scorresse in loro. Lasciò che la propria lingua si scontrasse con quella di Blaine, in quella danza di cui solo i due amanti conoscevano i passi, guidati dalla musica dei loro cuori.
Allo Shadowhunter bastò poco per ribaltare le posizioni, e in men che non si dica Blaine si ritrovò prigioniero fra le braccia forti dell’altro.
— Non eri in ritardo? — gli chiese il moro, prima di staccarsi dalle labbra di Sebastian per passare a torturargli il collo, movimento facilitato dall’altro ragazzo, che reclinò la testa per permettergli un accesso migliore.
— Sei uno stregone molto potente, Anderson. Cosa vuoi che ti dica? — gli rispose ridendo.
Blaine lasciò scivolare le sue mani lungo le clavicole del compagno, fino ad arrivare alla fine della schiena, e mentre lo baciava incominciò a giocare con la cinta e l’estremità del maglione logoro. Con un gesto repentino, Blaine gli sfilò il maglione che un tempo era nero e lo lanciò in un punto indefinito della loro stanza da letto.
— Molto meglio — gli soffiò sulle labbra dopo che si diede la possibilità di ammirargli il petto ormai nudo per poi tornare a baciarlo.
Una vocina, dentro la testa di Sebastian, urlava a squarciagola pur di farsi sentire; era una vocina che gli ricordava il suo dovere, fastidiosa e assordante come un martello pneumatico sul ciglio della strada. Gli ricordava che il tempo stava scorrendo e che lui si doveva già trovare all’Istituto, ma per la prima volta nella sua vita a Sebastian non importava. Blaine gli aveva donato una seconda vita, fatta di accettazione e di un amore folle del quale non era mai sazio.
I due si ritrovarono a rotolare fra le coperte leggere, a ridere e a baciarsi come se nessuno dei due avesse dei problemi che gli frullassero per la testa. Fra quelle quattro mura smettevano di essere Sebastian Smythe, uno Shadowhunter, e Blaine Anderson, il Sommo Stregone di Brooklyn. Semplicemente esistevano, senza alcuna etichetta, in funzione del loro amore.
Ma anche le cose belle finiscono e il punto, in quella mattinata di un pigro mercoledì, fu messo da un quadrupede pieno di pelo che portava il nome di Chairman Meow. Il suddetto felino ebbe la brillante idea di andarsi a posizionare sulla schiena nuda dello Shadowhunter, gli bastò un solo balzo per completare la sua missione. Soddisfatto, si raggomitolò su se stesso, cominciando a fare le fusa. Dopo che ciò ebbe fatto perdere l’equilibro a Sebastian, facendolo scivolare sullo stregone, andò a nascondere il viso nell’incavo del collo di Blaine, il cui corpo venne percosso dai fremiti per il troppo ridere.
— Chairman Meow! Ma è possibile?— urlò con tono lamentoso il padrone. Il gatto, sentendosi offeso, se ne andò indignato.
Sebastian lasciò un ultimo bacio sul collo di Blaine e poi fece per alzarsi, ma il moro lo bloccò per il polso. — Dove credi di andare? Non abbiamo ancora finito io e te — gli disse mettendo il broncio.
Lo Shadowhunter piegò un ginocchio sul materasso soffice e si protrasse verso il centro del letto, dove era steso lo stregone. — Invece abbiamo finito — gli disse sulle labbra imbronciate, per poi baciargliele delicatamente.
— Devo andare, Blaine — disse, e il più velocemente possibile si alzò e andò a cercare il maglione slavato e si andò a preparare un bel caffè forte. A Sebastian non interessava come Blaine arredasse la loro casa, né tantomeno con quanta frequenza lo facesse, gli bastava solo che non cambiasse posizione alla macchinetta del caffè, solo questo. Lo bevve con avidità e fretta.
Con precisione matematica di chi conosce le abitudini del proprio compagno, di più di quanto si conoscessero le proprie, Blaine si presentò al balcone nel momento in cui Sebastian finì di bere l’ultima goccia della sua amata bevanda. Lo guardò e a stento riuscì a trattenersi dal ridere, già assaporando l’espressione che avrebbe fatto il ragazzo da lì a breve.
— Cosa c’è? Perché mi guardi tanto?
— Sei meraviglioso, ecco cosa c’è.
Sebastian gli sorrise, anche se sapeva che l’altro gli stava nascondendo un qualcosa che non riusciva a decifrare. Si avviarono insieme verso la porta, e Blaine si appoggiò a una colonna lì vicino, sistemandosi la vestaglia di raso color bordeaux. Mentre rimuginava sul da farsi, cominciò a tormentare le mani del compagno, giocando con i suoi anelli. Quando i suoi occhi furono catturati da quello che portava una “S” ed era decorato con motivi che ricordavano vagamente la casata del suo Sebastian, capì che glielo doveva dire, tanto ormai il danno era fatto.
— Sebastian? — lo chiamò.
— Dimmi, Blaine.
Dalle sue mani incominciarono a prender vita fiamme smeraldine e apparve una sciarpa dal medesimo colore.
— Ecco, io indosserei questa se fossi in te.
— Non fa così freddo, Blaine — gli fece notare confuso, ma quando decifrò lo sguardo del moro, sbarrò gli occhi, portandosi la mano al collo. — Oh no, no, no, Blaine. Charlotte mi ha tormentato per giorni, ti avevo chiesto di fare attenzione! Se continui a lasciarmi succhiotti, finirai per farmi uccidere mia sorella.
Blaine spalancò le braccia, gli occhi gli brillavano e si dovette mordere la lingua pur di non ridergli in faccia. Adorava quando cominciava a dare di matto in quel modo. Gli andò vicino e gli fece passare intorno al collo la sciarpa di seta verde, dandogli due colpetti amichevoli sulle spalle.
— Questo verde mette in luce i tuoi begli occhi.
Gli Smythe sono mostri dagli occhi azzurri, gli risuonò nella testa, come un vago e lontano ricordo, come se queste parole non fossero uscite dalla sua bocca, ma da quello di un altro. Sapeva da chi aveva ripreso quel verde e quella fu una delle cose che, forse, lo incuriosì per prima, facendogli rimangiare tutto quello che aveva mai detto sulla sua famiglia. Forse non tutto, ok, ma una buona parte.
— Non dirlo, Anderson.
— Su, su, — gli disse mentre lo accompagnava alla porta, — qualche giorno e passa tutto, non è mai morto nessuno per questo. Buon allenamento, mio caro — gli disse, mentre prendeva i due lembi della sciarpa e lo attirava a sé per poterlo baciare. Si scambiarono un bacio dal sapore di caffè, che portava la promessa di altri, al suo ritorno.
Un piccolo bagliore catturò i suoi occhi: un raggio di sole aveva colpito l’anello fino vicino a quello della sua famiglia, un ricordo dalla Londra Vittoriana che portava il nome dei suoi antenati, ritrovandosi a sorridere tristemente tra sé e sé. L’altro lo guardò preoccupato e Blaine riprese subito controllo di sé, non serviva a nulla rimuginare sul passato. — Salutami Charlotte — gli disse, per poi chiudere la porta il più velocemente possibile prima che gli potesse dar modo di controbattere. Si appoggiò alla porta e si lasciò andare a una risata liberatoria, amava quell’espressione disperata di Sebastian quando si tormentava per le piccole cose. Un piccolo bagliore catturò i suoi occhi: un raggio di sole aveva colpito l’anello fino vicino a quello della famiglia Smythe, un ricordo dalla Londra Vittoriana che portava il nome dei suoi stessi antenati. Si ritrovò a sorridere tristemente tra sé e sé. Nessuno di loro era più in vita, erano morte molte persone che un tempo aveva amato. Si sentì così solo che per un attimo perse la cognizione del tempo, eco di carri nelle orecchie e gente che parlava con accento londinese nel cuore. L’altro lo guardò preoccupato per via del suo cambio di umore repentino, e quando gli occhi di Sebastian lo riportarono alla realtà, Blaine riprese subito controllo di sé, non serviva a nulla rimuginare sul passato, i suoi cari non sarebbero tornati indietro.
Sebastian sbatté un pugno contro la porta. — Dopo io e te facciamo i conti, vedi di trovare un modo per farti perdonare, Anderson — gridò contro il legno.
— Sarà fatto, mio amato Bas.
 
 
Betta’s Corner: Ciao! Sono sempre io, l’altra Betta. Tbh la saga di Shadowhunters (o come si chiama) non mi è mai piaciuta, ma i seblaine sono i seblaine e Betta è Betta, quindi ho fatto lo sforzo e ho bet(t)ato (UH UH, se ieri non faceva ridere, figuriamoci oggi) e pubblicato tutto, visto che la mia omonima è in Trentino. Un bacio, a domani! 
 

 

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Capitolo 3
*** Ad occhi chiusi ***


Beth's Corner: Buon terzo giorno della SW! Cosa succede quando unisci la tua canzone-ossessione-del-momento con il tuo telefilm-ossession-del-momento? Questo succede. Per chi non conosce Sense8 consiglio di andare su serietvsubita e far ammenda a questa mancanza, merita, fidatevi. Tranquilli, salvo due minuscole citazioni, non ci sono spoiler, non ho usato i personaggi del telefilm, ma ho preso in prestito solo il loro cervello dai lobi uniti. Grazie a Betta l'Omonima per betaggio e per farti carico anche della pubblicazione.

Questa storia partecipa alla Seblaine Week 2015
Day Three: NYU! Seblaine

Ricordi sulla linea del tempo

Ad occhi chiusi

Se c’era un suono che Sebastian Smythe, studente di legge della rinomata università parigina Sorbonne, odiava, era quello della sveglia alle sei di mattina di lunedì, nel pieno della sessione d’esame. Erano mesi che passava ogni ora del giorno sui libri e ogni ora della notte fra i bar, a sbronzarsi e a cercare una distrazione che lo prelevasse dal mondo reale per condurlo nella via della perdizione. O almeno questa era la sua solita routine fino a qualche settimana fa, finché cui incontrò una persona che gli scombussolò tutta la routine, rendendo quelle uscite prive del loro solito interesse.
Quando la sveglia lo disturbò per la seconda volta, finalmente decise che era ora di alzarsi. Si stiracchiò le braccia, pigro, senza la benché minima voglia di affrontare un’altra giornata di studio, e si avviò con passo strisciante verso la cucina. Sbadigliando, prese il pentolino del latte e accese i fornelli, dopo averci messo abbastanza latte per due persone. Poi aspettò. Mentre attendeva, cominciò a preparare anche il caffè; erano gesti ormai così automatici che era convinto che se Defne, la sua coinquilina, avesse deciso un giorno di scambiare la bottiglia di latte con una di vino, lui non se ne sarebbe accorto e l’avrebbe usata lo stesso.
Una volta soddisfatto, Sebastian andò a prendere la sua amata bottiglia di Courvoisier e si mise a sedere su uno degli sgabelli laccati di vernice rossa scelti dalla sua compagna di disavventure, che in quel momento era intenta a cantare sotto la doccia una delle canzoni di Zaz. E se c’era una cosa che odiava quanto il suono della sveglia alle sei di mattina, questa era quella cantante che Defne adorava. Quando si sedette, rimpianse il fatto di non aver acceso la radio o la televisione per coprirla. Ormai era troppo tardi, erano troppo lontane dalla sua portata, si sarebbe limitato ad imprecare sottovoce e ad augurare cose poco belle a Zaz.
Prima che il caffè fosse pronto, una nuvola dal profumo dolciastro dei frutti di bosco lo investì, annunciando l’entrata nel cucinino della briosa Defne Galliard, un metro e sessanta di allegria e lentiggini.
Bonjour! — lo salutò con tono allegro, andandogli a scompigliare i capelli con una mano, per poi lasciargli un bacio sulla nuca. Sebastian rispose con un brontolio indistinto. Dopo tre anni che condividevano il piccolo appartamento e diciotto anni di amicizia, Sebastian ancora si meravigliava di come la ragazza riuscisse ad avere tutta quella vitalità, anche alle sei e mezza.
Il ragazzo stava usando la bottiglia liquore come cuscino, e vedendo quella scena il sorriso di Defne si allargò. Non gli disse nulla, però, perché sapeva che l’amico aveva la lingua più tagliente della più affilata spada esistente, e di mattina presto era ancora più fastidioso. Con un’alzata di spalle andò a prendere le tazze e due piattini in cui depose i croissant ancora caldi che era andata a prendere dal forno che avevano davanti casa. Li mise con cura sul tavolo e versò poco caffè e tanto latte nella sua tazza e l’inverso in quella di Sebastian, che alzò la testa dal tavolo solo quando l’odore del caffè gli solleticò il naso.
— Come mai mi hai preso tre cornetti al cioccolato? Ti sei messa d’accordo con mia nonna, per caso? Quando la senti, tranquillizzala, io mangio.
Defne rise e si sistemò in uno chignon improvvisato, fermato con una matita, i fini capelli biondi che brillavano come oro bianco liquido. — Bas — cominciò la ragazza, — non c’entra nulla tua nonna. Sai, è dalla bellezza di ventotto giorni - li ho contati - che quando apro la porta della mia camera non vedo un ragazzo, seminudo e con i muscoli anche sulla cartilagine delle orecchie, che con un sorriso imbarazzato mi saluta mentre sgattaiola via il più veloce possibile. Mi sto cominciando a preoccupare, sai? E il cioccolato stimola la produzione della serotonina, il neurotrasmettitore che viene chiamato anche “ormone della felicità” — citò una definizione letta su una delle riviste mediche che piacevano tanto a lei. — È il mio dovere, da brava coinquilina, quello di tirarti su se i tuoi amici non riescono più a tirarti su il gingillo. — gli disse, mentre addentava il suo cornetto alla crema. I suoi occhi blu lo fissavano da dietro le lenti spesse degli occhiali, in attesa che l’amico parlasse.
— Sei assurda. Ai tuoi pazienti consiglierai il cioccolato al posto del viagra? — le chiese, mentre versava una generosa quantità di caffè nella propria tazza.
— Idiota. Il cioccolato stimola un ormone, non ho detto “rilassa la muscolatura liscia dei corpi cavernosi” del tuo amico laggiù, o sbaglio?
— Io non voglio sapere come mai conosci queste cose -, disse, mentre spezzettava il cornetto con le mani per poi mangiarlo. — E comunque pensavo fossi felice del mio cambio di stile di vita, viste le volte in cui ti sei lamentata di non poter andare in bagno tranquilla la mattina presto.
— Un Sebastian Smythe che non fa sesso per ventotto giorni non è il Sebastian Smythe che conosco io, col quale mi facevo il bagno insieme e con cui passavo i pomeriggi a giocare nella soffitta a casa dei nonni. Quindi, se permetti, mi preoccupo. Non ti piacciono più gli uomini e non sai come dirlo? Ti presento una delle mie amiche, darebbero il proprio rene destro pur di portarti a letto — gli disse senza respirare brandendo il cornetto come se fosse la bacchetta di un direttore d’orchestra.
— Che schifo, no. Puoi dire alle tue amiche che con sommo rammarico, per loro, i miei gusti non sono cambiati, nemmeno di una virgola. Grazie per l’interessamento.
— E allora cos’è? Ti sei fatto tutti i ragazzi parigini?
— Defne, piantala — le disse brusco da sopra della tazza, per poi bere un po’ del contenuto.
Con fare pensieroso, la ragazza si portò le ginocchia al petto e ci appoggiò il mento. Un lampo attraversò i suoi occhi, facendo temere il peggio al ragazzo che le era seduto di fronte, e scoppiò in una sonora risata.
— Non ci posso credere — disse fra una risata e un’altra. — Ti sei innamorato! —esclamò, ridendo così tanto che la matita scivolò dai capelli, cadendo per terra.
— No, non è vero! —replicò troppo velocemente Sebastian, con l’unico effetto di confermare la sentenza dell’amica. — Ma non stai facendo tardi? À la place du Tertre aspettano solo te!
— Che vadano al diavolo i turisti! — disse lei, eccitata. — Non pensavo che sarei vissuta abbastanza a lungo da vedere un esemplare di Sebastian Marc Alexandre Smythe innamorato — disse lei, battendo le piccole mani sulle cosce.
— Vacci tu al diavolo, Galliard. E poi devo studiare, non ho tempo da perdere io.
— Anch’io dovrei studiare.
— Tu non hai il nome degli Smythe da portare avanti — disse con finto tono melodrammatico il ragazzo, che guardando l’amica scoppiò a ridere.
Defne si sistemò gli occhiali, arricciando la punta del suo naso delicato alla francese. — Mi sento offesa — gli confidò, — terribilmente offesa. È da dodici anni che provo a far ragionare quella tua testa pervertita, poi arriva un tipo a caso e questo ti prende per le pal- per le orecchie — si corresse — e nel giro di due settimane ti riporta sulla retta via. Per portati alla monogamia deve avere una bocca capace di far miracoli.
La bellezza di Defne, secondo Sebastian (oltre a quella fisica), era anche la sua capacità di trasmettere i suoi pensieri in modo assurdamente trasparente, e di capire le persone come se fossero dei libri aperti. Sebastian si fidava di lei come se fosse sua sorella, ed era geloso di lei come lo sarebbe potuto essere un fratello maggiore, benché avessero la stessa età. Quando, però, si trattava di parlare della sua vita privata, la capacità dell’amica di capire i suoi pensieri prima che lui stesso li realizzasse lo faceva innervosire un bel po’.
— Lui, beh, lui… — cominciò l’altro, balbettando. Ma non sapendo come continuare la frase preferì riempirsi la bocca con il cornetto.
— Sebastian, sono Defne, ricordi? Dopo un mese di convivenza con te non mi sorprende più nulla, ti sei portato a letto gente che urlava così forte che mi sorprende che nessun vicino abbia mai chiamato la polizia.
Sebastian farfugliò qualcosa, con la bocca talmente piena che la ragazza non capì nulla. — Puoi ripetere? — gli chiese.
— Non so come sia la sua bocca — buttò fuori tutto a un fiato, come se stesse strappando un cerotto: rapido e indolore. Defne aprì la bocca, incredula.
— Mi stai dicendo che questo qua ti ha messo il cappio della monogamia, come lo chiami tu, con un nonnulla? No, okay, lo voglio conoscere.
— Defne — disse il suo nome con fare lamentoso.
— Okay, okay — fece lei alzando le mani al cielo. — Non sia mai che vi lasciate per colpa mia e della mia insistenza. Come vi siete conosciuti?
— Fra le strade affollate dell’Opéra, direzione Louvre.
Non le stava mentendo. Erano agli inizi della sua trasformazione e delle forti emicranie, e lui gli era semplicemente apparso davanti, con la medesima espressione spaesata. I loro occhi si riconobbero subito e si sorrisero: entrambi sentivano di conoscersi, anche se non si erano mai visti. In quel periodo Sebastian ancora non sapeva cosa significasse essere un sensate, e ancora oggi faceva fatica a comprenderne il significato più profondo. In realtà si sarebbe potuto dire che i due si fossero incontrati anche all’incrocio tra Broadway e Waverly Place, Manhattan, New York, ma questa era un’altra storia, che Defne ancora non era pronta ad ascoltare.
— Anche lui è un artista, come me? — gli chiese, con gli occhi che brillavano come un mare colpito dai raggi del sole.
— Non proprio, è un attore.
— E si può sapere il nome di questo attore?
— Blaine Anderson.
 
Sebastian si stava lavando i denti, ripetendo come un mantra le leggi che non riusciva a ricordare, quando lo sentì. Inizialmente era solo una flebile eco che iniziava a riaffiorare come un ricordo lontano, poi la voce diventò sempre più forte, finché non la riconobbe e si aprì in un sorriso.
Il moro apparve con la sua chitarra in mano dal nulla, seduto sul water con gli occhi ambrati socchiusi, non rendendosi conto di essere lì.
— And I see love, I see love when I close my eyes — cantava. Sebastian non conosceva la canzone, ma subito gli venne in mente il nome del cantante, Passenger: lui non lo conosceva, ma l’altro sì, e questo gli permetteva di sapere di chi fosse la canzone. — And I feel love in spite of myself. And I feel love to frighten myself. And I feel love and I feel nothing else. Vultur- — il ragazzo si fermò, aprendo gli occhi di colpo; subito, due gioielli ambrati si rifletterono sullo specchio vicino a quelli di Sebastian. Il francese gli sorrise e il nuovo arrivato lo ricambiò con il timido sorriso di chi era appena stato derubato di pensieri che voleva tenere per se stesso.
Sebastian lo salutò.
Blaine — ricambiò l’altro, dopo aver sputato il dentifricio ed essersi sciacquato la bocca. Poi si girò, appoggiandosi al lavabo. — Non sapevo che cantassi… ma che ore sono da te?
L’altro arrossì. — Le due del mattino, circa.
In un batter di ciglia Sebastian non si trovava più nel suo appartamento a Parigi, bensì in un minuscolo locale nel cuore di Manhattan: casa di Blaine. Il ragazzo si trovava seduto sul suo divano, circondato da spartiti, copioni, scatole di cibo cinese e lattine di bibite che Sebastian non aveva mai provato, ma di cui conosceva di riflesso il sapore dolciastro.
—Mi dispiace per il disastro — si scusò l’altro, mentre cercava di dare una riordinata approssimativa, dopo aver appoggiato la sua chitarra contro il muro.
— Cosa ti tiene sveglio fino alle due a suonare? — gli chiese Sebastian, mentre si sedeva stando attento a non stropicciare gli spartiti che sembravano regnare sovrani nella stanza.
— Non ho nulla da offrirti… — borbottò l’altro sovrappensiero, non avendo sentito la domanda dell’altro. Quando lo vide sorridere, però, si fermò un attimo, permettendo al ragazzo francese di riformulare la domanda. — Non mi devi offrire nulla, sai che non sono qui veramente. Però posso sentire sulla lingua il sapore di quello che bevi tu, e credo che sia lo stesso motivo per cui riesci a capirmi quando parlo in francese, benché tu non sappia dire altro che “croissant”. Ma cosa ti tiene sveglio fino a quest’ora? Quelli della Tisch ti fanno fare le ore piccole?
L’altro sorrise imbarazzato e prese un respiro profondo, riprendendo in mano la chitarra per tranquillizzarsi, come se fosse uno scudo. — No, cioè sì, ci fanno lavorare da morire, e specialmente quando sei il protagonista di un’opera il tempo per strimpellare è sempre poco.
— Mi piacerebbe vederti sul palcoscenico, se sai recitare come strimpelli devi proprio lasciare il pubblico senza fiato — gli disse. Era strabiliante il fatto che la solita arroganza che si sentiva nella sua voce semplicemente sparisse quando parlava con Blaine; era come se riuscisse ad essere se stesso, senza riserve, solo in compagnia del riccio.
— Se mai verrai a New York, ti terrò il posto in prima fila — gli sorrise.
Gli fece l’occhiolino. — Prima mi stavi pensando — disse. Non era una domanda, era una consapevolezza sbiadita, come se non fosse una propria certezza, ma appartenesse a Blaine, che si limitò ad annuire.
— Amarsi all’interno della propria cerchia è considerato un amore narcisista. Sei come otto entità tutte collegate, come facce di uno stesso dado; ti parlo da narcisista patentato — Sebastian non credeva all’amore, benché l’altro in poco tempo stesse demolendo ogni sua certezza, cominciando dalla credenza del colpo di fulmine.
— Ma è anche considerato come la forma più pura di amare, perché non hai barriere o altro — disse semplicemente, con quello sguardo che brillava al buio che tanto amava.
— Sei un incorreggibile romantico, Anderson.
— E tu forse un po’ troppo cinico, Smythe.
Touché.
— Ma nulla di irrimediabile.
Mentre parlavano, i due si erano avvicinati, pian piano, come due poli apposti che si attraggono, tanto che i loro corpi si toccavano. Ben presto, la mano di Blaine si andò a legare a quella dell’altro, molto stupito di quel contatto.
— E quindi tu vedi l’amore quando chiudi gli occhi e pensi a me — cominciò il francese, posando una mano a coppa sulla guancia dell’altro. Blaine si avvicinò ancora di più, chiudendo gli occhi. — E ami, malgrado chi sei. Ami benché ciò ti spaventi, ma non riesci a sentire altro fuorché l’amore — e lo baciò.
— Allora ama me, perché ti amo per come sei: essere sensate ci permette di conoscere cose che l’altro ignora di se stesso — gli sussurrò all’orecchio destro quando si staccò dalle labbra, per poi baciarlo un’altra volta. — E ama me, perché non andrò da nessuna parte, e anche se mi trovassi dall’altra parte del mondo sapresti dove trovarmi.
Sebastian ad un certo punto non sentì più il caldo divano contro la schiena, ma il freddo del lavandino che gli premeva contro le gambe nude.
— Amo te perché non posso far altro che amarti — sussurrò a sua volta Blaine.
— Adesso ti porterei in camera mia, ma con Defne in giro sarebbe molto interessante spiegargli perché bacio l’aria, non credi?
Blaine rise, staccandosi definitivamente dalle labbra dell’altro, ma non allontanandosi da lui.
— I vantaggi del vivere da solo.
— Vai a dormire, ora — gli disse Sebastian, giocando con i ricci alla base del collo. — A nessun professore piace avere alunni-zombie a lezione, anche se hanno il tuo corpo —sussurrò, con una punta di malizia nella voce.
— Non mi va di andare a dormire — si lamentò Blaine.
— Io devo andare a lezione, quindi tu riposati. Ti verrò a disturbare più tardi, promesso.
— Affare fatto — e poi si ritrovarono seduti sul divano di Blaine.
— Scrivimi quando sei da solo — gli soffiò a fil di labbra prima di baciarlo, per poi sparire con in bocca il sapore dell’altro, che sembrava ormai solo un vago ricordo.
 
— Blaine Anderson? Mi piace.
Sebastian le sorrise, ripensando al loro primo bacio e a quelli successivi che si erano dati qualche ora più tardi nel bagno della biblioteca Bobst, una delle più grandi biblioteche accademiche della NYU. Aveva spaventato Blaine, apparendogli vicino mentre era con la testa da tutt’altra parte, impegnato com’era nella ricerca di un tomo che gli serviva per un esame. Avevano anche parlato davanti ad una tazza fumante di caffè (di Blaine), mentre il riccio usava le cuffiette come auricolari, per parlare con l’altro senza sembrare un pazzo che parlava da solo.
A un certo punto, Sebastian fu riportato alla realtà dal suono del campanello. Defne si precipitò ad aprire, mentre lui si sporgeva per vedere chi fosse. Quando la porta si aprì e intravide quegli stessi ricci che popolavano i suoi ricordi, a stento riuscì a credere a ciò che i suoi occhi gli mostravano per la prima volta in carne ed ossa.
Defne parlò con la sua solita parlantina veloce e il ragazzo alla porta la guardava con occhi smarriti perché non capiva una parola di quello che stesse dicendo. Quando fu il suo turno per parlare, il nuovo arrivato disse le uniche parole in francese che conosceva, e cioè il suo nome - Blaine Anderson-, e il fatto che stesse cercando Sebastian Smythe. Prima ancora di rispondere, Defne si girò verso l’amico e lanciò un urletto eccitato, e Sebastian guardandola scoppiò a ridere e andò loro incontro. Defne saltò al collo di Blaine come se lo conoscesse da anni e continuò a parlare, ma il moro poté soltanto annuire e ridere.
Sebastian, con fare sbrigativo, le disse che lui non capiva il francese, mentre Blaine si trovò a bocca aperta: era la prima volta che lo sentiva parlare nella sua lingua madre dal vivo, trovandola ancora più bella di quanto si ricordasse. Defne si scusò, e radunò velocemente la sua roba per uscire e lasciargli casa libera.
Quando la ragazza si fu chiusa la porta alle spalle, i due colmarono la distanza fra i loro due corpi, che finalmente non equivaleva più a un oceano, ma a un bacio. Finalmente ne assaporarono il sapore nella sua pienezza, perché per la prima volta erano lì, uno di fronte all’altro, e la sbiaditezza del ricordo era sostituita dalla concretezza del loro amore.
Blaine trovò rifugio tra le braccia di Sebastian che lo avvolgevano, ed entrambi ispirarono l’odore dell’altro e si strinsero forte per verificare se stessero ancora sognando.
— Sei un pazzo — gli disse mentre lo baciava. — Sei pazzo — ripeteva mentre gli faceva fare un giro su se stesso.
— Non ce la facevo più a starti lontano — si giustificò Blaine. —  Dopo aver dato l’ultimo esame ho fatto la pazzia di prenotare il primo volo per Parigi. Ho impiegato un’ora buona per trovarti, non sono riuscito a trovare una persona che parlasse inglese! — disse falsamente scandalizzato, facendolo ridere. — Sono distrutto, ma ne è valsa la pena.
L’altro sorrise e lo baciò. — Com’è andato il viaggio? Se vuoi riposarti un po’ prima che ti mostri la città, fai pure.
— No, non voglio riposarmi. Mi sento più vivo che mai, ma ucciderei per farmi una doccia.
— Vuoi compagnia? —  gli chiese Sebastian con gli occhi scuriti dalla bramosia di averlo, finalmente, dopo giorni di desiderio mai pienamente appagato.
— Molto volentieri — rispose l’altro, con il desiderio quasi palpabile nel tono della voce.
Bienvenue à Paris, mom amour — gli disse il francese, per poi trascinarlo in bagno senza smettere di baciarsi.
 
 
Betta’s Corner: Ciao! Sono sempre io, Betta (l’altra). Vi dirò, diverse persone mi hanno minacciato per farmi iniziare Sense8, e ad essere sincera dopo aver betato questa os mi sta venendo un po’ di voglia. Buh, chissà. Cooomunque, spero abbiate apprezzato anche questa NYU!Seblaine, ci leggiamo domani!

 

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Capitolo 4
*** Rododendro ***


Beth's CornerBuon quarto giorno della SW a tutti! Era da un po' che volevo scrivere qualcosa ambientato in questo mondo magico, ma non ho mai avuto l'ispirazione giusta. E la SW fa miracoli! Spero che vi piacerà!
Grazie alla beta Betta l'Omonima per l'aiuto e per avermi appoggiato lo smistamento di Blaine in una casa che in pochi collegano a lui.
Buona lettura!

Questa storia partecipa alla Seblaine Week 2015
Day Four: Hogwarts

Ricordi sulla linea del tempo

Rododendro

 
Era la prima volta in cinque anni che Sebastian si trovava a correre per i corridoi di Hogwarts a perdifiato, come se da quella corsa dipendesse la sua stessa vita. Era in ritardo per la lezione di Pozioni; dopo aver passato la notte in bianco per studiare per il G.U.F.O, addormentandosi alle prime luci dell’alba, non aveva proprio sentito la sua sveglia.
Gliela farò pagare, pensava Sebastian mentre cercava di non far cadere i libri che teneva in braccio, non dovevano lasciarmi dormire, quei farabutti. Quando andrò a Diagon Alley mi dirigerò al negozio “Tiri Vispi Weasley” e comprerò di tutto, Mou Mollelingua, Pasticche Vomitose e chi più ne ha più ne metta. Intanto cercherò degli incantesimi in biblioteca, non la passeranno liscia, parola di Smythe. Me la pagheranno, e anche cara.
Quando arrivò davanti alla porta non si scomodò a bussare ed entrò subito, trovandosi puntati contro tutti gli occhi dei suoi compagni di corso. Individuò subito gli insulsi Serpeverde che ridevano sotto i baffi, e sentì le mani fremergli: voleva prendere la bacchetta e sfigurarli, farli diventare maiali, topi, o qualsiasi altra cosa. Voleva fargliela pagare, ma per via dell’ira nemmeno lui sapeva come vendicarsi.
In un angolo, intanto, Blaine Anderson tirava un sospiro di sollievo: sapeva che il suo amico non poteva permettersi troppe assenze, se davvero voleva fare il G.U.F.O. Come se Sebastian riuscisse a leggergli nel pensiero, si girò verso di lui e gli strizzò l’occhio. Per un momento la rabbia si era placata.
 — Qual buon vento la porta qui, signor Smythe? Mi fa piacere che abbia deciso di unirsi a noi. La prego, si avvicini, stavamo giusto per iniziare — gli disse il professor Lumacorno invitandolo con un gesto della mano ad avvicinarsi.
Quando gli fu di fronte gli sorrise per rassicurarlo del fatto che non gli avrebbe tolto punti: per una volta avrebbe chiuso un occhio.
— Signor Smythe, mi saprebbe dire cos’è l’Amortentia?
A Sebastian vennero in mente molte risposte saccenti, aveva già letto qualcosa sull’Amortentia e l’aveva trovata roba per dodicenni frivole e stupide a tal punto da scambiare una semplice infatuazione per amore vero, del quale Sebastian dubitava l’esistenza.
Decidendo di non tirare troppo la corda, si limitò a dire: — È una pozione d’amore, signore. La più potente.
— Molto bene, Sebastian Smythe, molto bene. L’Amortentia non è solo un filtro d’amore qualunque, è il più potente filtro d’amore al mondo. Causa una forte infatuazione o ossessione per una persona, ma non il vero amore, quello, miei cari studenti, non si può creare artificialmente, nossignore. L'Amortentia ha un odore diverso per ogni persona che lo sente, secondo le fragranze che gli piacciono di più. L’odore può essere particolare, il profumo della pelle di una persona, l’odore delle pagine dei libri antichi o semplicemente l’aroma inebriante delle foglie del tè. Può essere qualsiasi cosa, anche una qualsiasi fragranza che una persona non si rende conto di apprezzare. Ora, signor Smythe, la invito ad odorarla per primo e a dirci cosa sente.
— L’odore dell’erba dopo la pioggia, la tarte aux pommes e... — Sebastian sbarrò gli occhi quando riconobbe la terza fragranza, le gote gli divennero scarlatte e balbettò qualcosa di incomprensibile. L’intera classe lo osservava incuriosita, così come il professore, che per la prima volta lo vedeva visibilmente in imbarazzo.
— Signor Smythe, la terza fragranza?
Sebastian passò in rassegna tutti i tipi di fragranze che conosceva e disse la prima cosa che gli si trovò sulla punta della lingua. — Rododendro.
— Rododendro? — ripeté il professore, ma vedendo il notevole turbamento nel suo volto preferì non dire altro. — Bene, classe, tutti voi l’odorerete e appunterete sulla pergamena ciò che sentirete.
Poi si volse verso Sebastian, che ancora guardava con lo sguardo perso in chissà quali pensieri il fumo che cambiava colore a secondo della fragranza. — Signor Smythe, può tornare al suo posto, grazie.
Sebastian fece un segno impercettibile con la testa e si andò a sedere vicino a Blaine, che lo guardava incuriosito e con uno strano sorriso sulla faccia.
— Finiscila — gli disse il più alto fra i denti, infastidito dall’espressione che aveva in viso.
— Io non sto facendo nulla — sussurrò l’altro alzando le mani in segno di resa. — Si può sapere che cos’era la terza fragranza?
Sebastian fece per parlare e poi chiuse la bocca. Quando la riaprì gli disse: — Rododendro.
— Bas, dai.
— Rododendro.
— Sai cos’è un rododendro?
— Ma certo che lo so, per chi mi hai preso? — gli rispose stizzito il Serpeverde. L’amico, per tutta risposta, incrociò le braccia sul petto e alzò un sopracciglio per invitarlo a continuare la delucidazione sul rododendro.
— Rododendro, definiscici rododendro quella cosa che... che si mangia, no no, è una bevand- può essere colorato. No, ok. Oh, ma fottiti, Anderson — disse seccamente Sebastian, e si girò dall’altra parte dichiarando finito il discorso.
— È un dannato fiore, idiota che non sei altro. La prossima volta di’ che senti odore di margheritine, okay? — lo rimbeccò Blaine, voltandosi stizzito.
Dopo un po’, il professore si avvicinò e fece odorare l’Amortentia anche a Blaine, che annotò diligentemente ciò che aveva avvertito. Sorrise al professore e  soffiò sulla pergamena per far asciugare l’inchiostro, poi voltò pagina.
Sebastian si sporse verso di lui, cercando di sbirciare qualcosa con la cosa dell’occhio, ma non riuscì a leggere nulla. Blaine, che aveva captato i movimenti dell’altro, mise i gomiti sul foglio. L’altro sbuffò stizzito.
A fine lezione si alzarono e uscirono dall’aula, uno di fianco all’altro, in un silenzio che sarebbe durato ancora per poco.
— Che cosa hai sentito?  — gli chiese il Serpeverde.
— Ho sentito la deliziosa fragranza dell’ eau de “fottiti, Smythe” — gli rispose il moro, che ben presto si perse nella marea di studenti che cambiavano aula. Sebastian sbuffò e si diresse verso la lezione successiva, con la testa già persa in ciò che avrebbe fatto quando le avrebbe finite.
 
I due non si videro per tutto il pomeriggio: sembrava che Sebastian fosse sparito dalla faccia della terra. Non si era fatto vivo né agli allenamenti di quidditch né in biblioteca, dove, ormai dal secondo anno, i due amici si incontravano per compensare le carenze dell’altro. Quando Blaine non vide l’amico Serpeverde aspettarlo davanti all’ingresso della Sala Grande si preoccupò: aveva paura che ce l’avesse con lui per quello che gli aveva detto dopo la lezione di Pozioni, e Blaine odiava litigare con il suo migliore amico, soprattutto per delle sciocchezze. Visto che gli era passata la fame, il Tassorosso si grattò la nuca pensando a dove potesse essersi cacciato l’amico. Poi comprese.
L’odore dell’erba dopo la pioggia.
Una volta gli fece vedere il luogo dove andava quando aveva bisogno di staccare e smettere di essere Sebastian Alexander Elijah Smythe, il figlio di uno dei più importanti Ministri della Magia che il mondo avesse mai avuto, nei cui confronti tutti nutrivano alte pretese, e poteva essere solo Sebastian. Il giorno in cui lo portò per la prima volta nel suo rifugio segreto, l’erba era ancora umida dopo l’acquazzone del giorno precedente. Si erano seduti su una delle radici di un grande albero che emergevano dal suolo ed erano rimasti lì, in un silenzio rotto solo dai loro respiri.
Si mise a correre. Non sapeva perché, sapeva solo che non voleva essere arrabbiato con lui per un secondo di più.
Lo trovò lì, come aveva immaginato. Aveva gli occhi chiusi e il volto illuminato dal chiaro bagliore della luna.
È bellissimo, pensò, per poi ricacciare nei meandri della sua mente quel pensiero che da qualche mese lo tormentava di notte, impedendogli di dormire. Non era una buona decisione pensarci.
— È libero quel posto a fianco  a te?
Sebastian, sentendo la voce dell’amico, spalancò gli occhi e li puntò su di lui. Blaine trovava molto affascinanti gli occhi del Serpeverde, soprattutto quando la luce faceva emergere delle sfumature che lo lasciavano senza fiato. La luce lunare rendeva il suo verde più grigio, come un lago tormentato dalla tempesta. Allo stesso tempo, il buio li rendeva impenetrabili, mascherando tutte le emozioni che vi vivevano. Blaine era il solo che sapeva leggerli anche quando il sole ormai era tramontato sul suo viso, ma ora erano indecifrabili perfino per lui. Sebastian gli stava nascondendo qualcosa.
— Che ci fai qui, Anderson? — gli chiese l’altro a bassa voce.
— Non lo so — rispose francamente sedendosi al suo fianco. — È tua abitudine quella di aspettarmi fuori dalla Sala Grande e oggi non c’eri — fece una pausa e poi aggiunse — Ho avuto paura.
— Di cosa?
— Di tante cose, sono successi così tanti fatti negli ultimi mesi, che ci potrebbe capitare di tutto. E soprattutto… avevo paura che fossi arrabbiato con me.
Sebastian rise e si girò verso l’amico. —Io? Arrabbiato con te? E perché mai, killer?
— Io prima di tutti dovrei sapere quanto detesti le persone troppo insistenti e se non vuoi dirmi quale sia la terza fragranza è un tuo diritto. E mi dispiace per il fottiti di questa mattina, e-
Sebastian era così stufo di sentirlo blaterare quelle scuse che non gli doveva, che spinto da una forza invisibile gli prese il volte tra le mani e lo zittì baciandolo. Dapprima Blaine si ritrovò pietrificato: fra tutti i pensieri che si erano rincorsi nella sua mente prima di trovarlo, questo era lo scenario che proprio non si sarebbe mai aspettato. Poi, quando si accorse di percepire il calore di Sebastian attraverso la sua camicia, realizzò che ciò che stava accadendo non era né frutto di un sogno, né di una proiezione dello specchio delle Emarb; si rilassò contro di lui poggiandogli dolcemente una mano sulla nuca, e lo attirò ancora più vicino a sé.
Quando si staccarono, Blaine non mollò la presa, e Sebastian appoggiò la sua fronte contro quella del più basso, che non smetteva di sorridere. — Oggi sono sparito perché ho rifatto l’Amortentia, avevo bisogno di una controprova — gli disse, per tranquillizzarlo: non era sparito perché era arrabbiato con lui. — Vuoi sapere qual era la terza fragranza? Però poi tu devi dirmi le tue.
Blaine annuì.
— Ti ricordi quando l’anno scorso ci siamo ubriacati? Beh, tu non lo eri troppo, ma io ero così andato che non mi ricordavo nemmeno la parola d’ordine del mio dormitorio, e per non farmi dormire sul pavimento mi hai portato nel tuo. Sgattaiolammo nel tuo letto senza far rumore, beh, almeno ci provammo. Mi ricordo anche le tue risate sommesse, gli scappellotti che mi desti quando facevo troppo rumore. Mi ricordo una fiamma che mi divorava il petto, avevo una voglia così grande di baciarti, che penso che mi mandò più fuori di testa dell’alcol che mi scorreva sulle vene. Tutto questo per dirti, che beh, la terza fragranza che ho sentito oggi era il tuo odore impregnato nel cuscino.
Blaine strinse gli occhi e le labbra si tirarono in un dolce sorriso. — Non sapevo che nel tuo mare di lussuria ci fosse un isolotto romantico, Smythe — lo canzonò mentre sfiorava il naso contro il suo. Sebastian gli lasciò un piccolo bacio sulle labbra.
— Tutta colpa tua, mi hai infettato.
— Mi prendo ogni responsabilità — Blaine rise e sfiorò ancora le labbra dell’altro.
— Ora veniamo a te.
— L’odore dell’inchiostro sugli spartiti - io non so che inchiostro usi il Maestro, ma è un qualcosa di meraviglioso -, l’odore del legno e rododendro.
— Rododendro?
— Sì, da quello che ho capito odora della persona che ami, quindi la seconda fragranza che ho sentito è stata quella del rododendro.
Sebastian rise e si chinò per baciarlo, e mentre lo faceva riusciva a sentire le labbra dell’altro distese in un sorriso. — Dobbiamo rientrare? — gli chiese il più alto dopo un po’, tra un bacio e un sospiro.
— Restiamo ancora un altro po’, non mi va di tornare nel loro mondo.
— Daremo troppo nell’occhio se tardiamo ancora.
— Tu dai sempre nell’occhio, adori essere al centro dell’attenzione di tutti, non vedo perché adesso tu debba essere così preoccupato.
— Sono preoccupato per il mio nome, cosa credi? Non mi posso fare vedere in giro con un Tassorosso, penseranno che mi sono accontentato, e gli Smythe non si accontentano — gli disse prendendolo in giro. Blaine gli colpì l’avanbraccio e fece per andarsene.
— Non m’interessa degli altri. Solo di te — gli sussurrò all’orecchio. Si lasciò cadere contro il legno robusto della quercia, che fu muta spettatrice di quella scena, e tese la mano verso il moro che si fece tirare giù. Le braccia del Serpeverde lo circondarono in un abbraccio, e la sua mano destra si poggiò contro il corpo del Tassorosso, percependo il suo cuore battere all’impazzata.
I due rimasero a osservare le stelle in cielo, senza proferir parola. Quando una stella cadente attraversò veloce la volta celeste, i due si limitarono a stringersi di più in quel loro abbraccio. Non espressero alcun desiderio, in quel momento avevano tutto ciò che desideravano.
 
 
Betta’s Corner: Ciao! Siamo quasi giunti alla fine della week, e questa è probabilmente la os che ho preferito. Insomma, è stato difficile decidere la casa di Blaine (per me era ovvia la casa Tassorosso, ma ok), ma il risultato è sicuramente molto carino. Perché non lasciate una recensioncina? Farebbe piacere ad entrambe le Bette. Un bacio, a domani!
 

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Capitolo 5
*** Quando il sole è tramontato ***


Beth's Corner: Buon quinto giorno della SW! Come ho riferito a Betta l'Omonima che uno dei giorni era a tema libero lei mi ha detto "scrivi una Renly x Loras" (per chi non li conosce provengono dal bellicoso e passionale mondo di Game of Thrones) e perciò eccomi qui, beh col pensiero, visto che non sono io quella dietro al pc per la pubblicazione in questo momento. E con questa finisco la mia SW. Sono contenta di aver chiuso con questa essendo quella che mi ha preso di più la mano nella stesura. Grazie alla cara Betta l'Omonima per avermi fatto compagnia in questa Semi-Week, per avermi sopportata per tutto il perdio Pre-Week, riempiendola di scleri e foto, e per avermi fatto il favore di pubblicare al posto mio. E grazie a voi che avete letto fino qui. Buona lettura.

Questa storia partecipa alla Seblaine Week 2015
Day Five: Free Day

Ricordi sulla linea del tempo

Quando il sole è tramontato

Quando il sole è tramontato, nessuna candela può rimpiazzarlo.
Alcune volte, Sebastian riusciva ancora a sentire la sua voce nel vento, così come percepiva il suo tocco nel calore del sole. Ma quando apriva gli occhi, la realtà gli si riversava addosso con la stessa forza di un plotone all'attacco. Il suo ricordo era affilato come la più pregiata lama di Valyria e il suo cuore non smetteva di grondare sangue nel punto in cui la morte di lui l'aveva colpito.
Sebastian non aveva mai lasciato il suo capezzale, come se si fosse pietrificato su quella sedia. Gli aveva sistemato la corona, dalle possenti corna di cervo intrecciate, sul petto. "Sei il mio unico re," gli aveva sussurrato mentre gli accarezzava i ricci che mai avrebbe avuto più l'opportunità di intrecciare. "Saresti stato un grande re, un re giusto, eri il migliore fra tutti loro". Sebastian si era ritrovato più e più volte a parlargli. Erano forse i primi cenni di pazzia? Si chiedeva se sarebbe passato alla storia come il Cavaliere dei Fiori Folle, diventato tale per il troppo amore.
Di morti ne aveva viste tante, e tante volte erano per mano sua; la morte di Blaine, invece, era tutt'altra cosa, e avrebbe vissuto con il suo fantasma per tutta la vita, con il rimpianto di non essere stato con lui la sera in cui fu ucciso. Si era ripromesso che avrebbe percorso tutti i Sette Regni per trovare il colpevole, e solo quando avesse avuto il sangue dell’assassino che scorreva tra le sue dita si sarebbe potuto concedere un sonno tranquillo.
Ora, tutto ciò che scorreva tra le sue mani era il suo stesso sangue, mischiato alla terra. Si trovava nella tenda che era appartenuta a Blaine, la tenda che era stata spettatrice di molti dei loro incontri clandestini, fatti di baci ardenti come il fuoco di drago e di parole sussurrate per non farsi sentire da orecchie indiscrete. Sembrava lui stesso un fantasma, non si era più mosso da quei drappi, sedeva sempre a osservare il cielo attraverso la porta di tessuto aperta. In silenzio. Era come se la morte dell’amante avesse portato via con sé un po’ di lui, e quel vuoto ora lo dilaniava. Non sembrava più Sebastian, tutti lo avevano notato ed erano rimasti anche loro privati delle parole. Molte dicerie giravano sui due ragazzi, ma tutti chiudevano occhi e bocca quando si trattava del lutto altrui, e di questo Sebastian era più che grato.
Sebastian accettava solamente la presenza della sorella e del fratello, ormai, parlava solo a loro. Con il sangue del suo sangue poteva mostrare il suo vero volto senza dover avere il terrore di reazioni esagerate.
Il giovane cavaliere era talmente perso nei suoi pensieri, fatti di baci rubati e risate leggere di due ragazzini tra le fronde del Bosco delle Piogge, vicino a Capo Tempesta, che non sentì i leggeri passi della sorella Evelyne, che divennero un’aggraziata corsa quando vide del sangue sulla camicia bianca che si intravedeva dal farsetto sbottonato e sui pantaloni pesanti verdi ornati d’oro, i colori della loro famiglia.
— Fratello mio, — disse, con la voce rotta dalle lacrime che non avrebbe versato, prendendogli le mani per poi baciarle. — Cosa hai fatto alle tue belle e letali mani?
— Non sopportavo l’idea che qualcuno di quella feccia della Guardia Arcobaleno, che ha fallito nell’intento di proteggerlo, toccasse il suo corpo. Mi sono occupato io stesso di tutta la cerimonia, l’ho sepolto con le mie mani in un posto che solo noi due conoscevamo, a Capo Tempesta. Lui stesso me lo indicò, mentre ero suo scudiero e pendevo dalle sue labbra e lui mi amava segretamente, e me lo porterò nella tomba. Nessuno deve disturbare il suo sonno — gli disse atono, con un sorriso sbiadito. — Le mani non mi fanno male, tranquilla, mia signora.
— Permettimi almeno di pulirtele — Sebastian annuì, ed Evelyne si fece portare tutto l’occorrente da una delle sue ancelle.
Nel frattempo, i due si erano messi a sedere sul tavolino di quercia scura; la giovane della casa Smythe teneva ancora le mani del fratello fra le sue e lo guardava in viso, ma questi non riusciva a reggere il suo sguardo, preso com’era dalla visione di quel letto infame che fu culla prima del loro amore, e poi della morte di Blaine della casa Anderson.
— Fratello mio, da quant’è che non mangi?
Sebastian alzò le spalle. — Nella fretta non portai nulla con me, partii solo con i vestiti che avevo addosso e lui al mio fianco; non so per quanti giorni stetti fuori, giorno e notte si fusero facendomi perdere la cognizione del tempo. Ma non ho nemmeno fame, sorella mia.
— Non puoi andare in guerra senza mangiare, non morire anche tu, non è ciò che vorrebbe lui, lo sai.
Sebastian non poté ribattere, poiché entrò l’ancella, con una bacinella di acqua tiepida e vari unguenti e oli richiesti dalla lady sua sorella. — Portagli anche un po’ di cibo — le ordinò, e questa con un cenno del capo uscì dalla tenda come vi era entrata.
— Non ho fame, mi basta la mia sete di vendetta per andare avanti. Ma dimmi, Gatien è arrivato? Gli devo parlare.
— Sì, ma parlerai con lui solo quando ti sarai fatto medicare le mani e avrai mangiato.
Solo in quel momento Sebastian alzò gli occhi verso quelli grandi e azzurri della sorella, che lo fissavano severi e preoccupati: il Cavaliere dei Fiori vi lesse una tale preoccupazione nei suoi confronti che preferì sorriderle accondiscendente.
— Mia Piccola Rosa, devi smettere di preoccuparti per me, altrimenti i tuoi bei ricci ramati diventeranno ben presto bianchi, e nessun Re ti vorrà più al suo fianco.
— Gli dèi mi hanno assegnato un fratello così poco legato alla sua vita che credo abbiano dato ai miei capelli la forza necessaria per sopportare le mie preoccupazioni verso di te.
Gli sorrise, con quel sorriso tanto simile al suo, e restarono per un po’ in silenzio, rotto solo dal suono prodotto dalle sue ferite che venivano purificate da un po’ di vino.
— Sai che prima o poi ritorneranno a parlare di voi? — gli domandò a bruciapelo, mentre gli applicava l’unguento sulle mani.
— Non mi interessano le loro parole, non mi interessa ciò che avranno da ridire. Io li conosco, so quello che pensano, quello che dicevano su di lui. Avrebbero profanato il suo riposo e io non l’avrei mai permesso, cara sorella. Dovevo farlo.
— Potresti almeno uscire fuori di qui, passare il tuo tempo nella tua tenda. Non sono le tue lacrime sul suo cuscino che te lo riporteranno indietro, e nemmeno la morte di colui che lo ha ucciso.
Gli occhi verdi vennero animati da una fiamma febbricitante, il ragazzo ribolliva di rabbia, che gli aveva fatto perdere l’eleganza che lo aveva sempre caratterizzato.
— Così come non potrò impedire ai vermi di banchettare con la sua carne, la sua morte non me lo porterà indietro, mia signora, me ne rendo conto. Ma quando infilzerò l’assassino con la lama della mia spada, sarà solo per il mio piacere. La sua morte mi porterà pace.
Lei scosse la testa. — Spero che Gatien ti faccia ragionare. Lui era anche il mio di Re, ma devi andare avanti. Non puoi esser serio quando parli di vendetta, o del fatto che vuoi unirti alla Guardia Reale.
— Non lo hai mai amato, di lui amavi solo il cognome — disse lui, tagliente come una lama. — Nostro padre mi costringerà a sposarmi e a diventare alfiere di nostro fratello maggiore, e non voglio nemmeno pensare a quest’ide, perché quando il sole tramonta, nessuna candela può rimpiazzarlo. Io non voglio sposarmi, non voglio fingere di essere ciò che non sono, e far nella Guardia Reale mi permetterà di mantenere il celibato. Combatterò in nome del Re, mi guadagnerò la sua fiducia e chiederò il suo perdono, entrando nella sua Guardia.
La ragazza scosse la testa e non disse niente, sapeva quanto fosse cocciuto suo fratello e non voleva più sprecare il proprio fiato con lui. Prese delle bende di seta bianche come i petali delle rose che crescevano ad Altogiardino, le usò per fasciargli le mani, sistemò tutto con cura nel piatto d’argento che le aveva portato la sua ancella e si alzò.
— Ti prego, mangia ciò che ti porteranno. Non voglio perderti, le tue membra hanno bisogno di cibo, non di vendetta. Vado a chiamarti Gatien.
— Grazie, mia Piccola Rosa.
Gli fece un inchino e se ne andò.
 
Sebastian decise che avrebbe lucidato l’armatura di Blaine per un’ultima volta, prima di consegnarla a suo fratello. Lui era troppo alto per poterla indossare. Solo guardando la sua armatura si era accorto della reale statura di Blaine; molti cavalieri lo superavano di un’intera testa o erano poco più alti di lui, ma Blaine aveva un qualcosa nello sguardo che lo faceva sembrare molto più imponente. I suoi occhi, due monete dorate decorate di pagliuzze verdi, lo rendevano più maturo di quanto non fosse; erano severi e capaci di zittire tutti, ma quando si posavano su di lui si riempivano di dolcezza, o ardevano di passione.
Non gli serviva una spada per terrorizzare chi gli si trovava di fronte.
Sarebbe stato un bravo re, sussurrava alla sua armatura. La lucidava come se non avesse pezzi di metallo sotto le mani, ma carne viva, il corpo di Blaine. Col panno lucidò lo stemma con le corna di cervo, emblema della sua nobile casata, che si trovava proprio sul suo cuore.
 
Blaine stava guardando l’amato con sguardo crucciato. — Dimmi, è forse così che mi preferisci?
— Mm mh —mormorò Sebastian senza alzare gli occhi, preso com’era a cospargere di crema il petto del suo amato per poterglielo depilare.
— Se non vuoi i peli ti dovresti prendere un ragazzino, ti darà molti meno problemi — e poi aggiunse. — Non farà male, vero?
L’altro sorrise. — Solo se mi distraggo, e tu mi distrai molto. E poi io non voglio dei ragazzini, voglio te.
Blaine sospirò. — Mio fratello, Nathaniel, pensa che l’unico modo per un uomo di definirsi tale sia quello di farsi le ossa sul campo di battaglia.
— Sul fatto che tu non sia un uomo, mi permetto di dissentire — disse il Cavaliere dei Fiori, facendo sorridere l’amante. Quel sorriso, che tanto amava, non tramontava mai sul suo volto, salvo quando parlava dei fratelli.
— Mi tratta ancora se fossi un ragazzino viziato — l’altro lo guardò, ma preferì non dirgli nulla. — Oh, seriamente? E tu non lo saresti, Sebastian Smythe, il Cavaliere dei Fiori? A quante battaglie hai preso parte? Quanto oro ha fuso tue padre per far forgiare la tua luccicante armatura?
L’altro sbuffò. — Stai fermo — si limitò a dirgli.
— Nathaniel e Cooper non fanno altro che sottolineare la mia porca tolleranza verso il sangue, come se ciò potesse influenzare le mie abilità.
— Sbaglio o eri proprio tu quello che vomitò quando cavarono un occhio ad un povero ragazzino?
— Stai zitto, gli pendeva dall’orbita! — si difese, con rinnovato disgusto.
— Non doveva scendere sul campo se non era capace, se l’è cercata, quel ragazzino.
— Facile per te, che hai il dono di essere un abile spadaccino.
L’altro scosse la testa. — Non è un dono, se te lo guadagni col sudore e il sangue. Mi esercito da quando ne ho memoria. Non so se ho imparato prima a camminare, o a reggere un bastone come se fosse una spada.
Lo sguardo di Blaine si addolcì, così come la voce. — Suvvia, non fare il modesto, è un ruolo che non ti calza a pennello. Io potrei passare ciò che resta della mia vita ad esercitarmi e non diventerei bravo neanche la metà di come lo sei tu.
— Penso che non lo sapremo mai — disse l’altro scherzando, mentre gli tamponava il petto con un asciugamano bagnato per pulire i residui di crema. Poi, gli alzò il braccio e iniziò a cospargere di crema anche l’ascella.
— Ovunque? — gli chiese Blaine, col tono di chi avrebbe preferito essere frustato piuttosto che depilato.
— Ovunque — rispose l’altro. — E per quanto riguarda la Khaleesi del Grande Mare d'Erba? Morirà?
L’altro deglutì a vuoto. — Deve succedere. Per quanto possa essere deplorevole. Ogniqualvolta ne parliamo, ti giuro che il tavolo si alza di venti centimetri. Nathaniel si eccita solo al pensiero di avere la sua testa servita su un piatto d’argento. Il troppo vino gli ha dato alla testa.
L’altro trattenne una risata. — Che peccato che non riservi lo stesso trattamento per la regina sua sposa.
— No, ma lo riserva per l’oro della sua casata, desiderio ardente di passione. Devo darlo ai Protettori dell’Ovest, potranno anche essere gli stronzi più pomposi e pesanti che gli Déi abbiano regalato al mondo — questa volta Sebastian non si trattenne e guardò sorridendo il lord suo amante. — Ma hanno più oro, grazie ai giacimenti di Lannisport, che un uomo possa immaginare.
Sebastian lo guardò offeso. — Anche noi abbiamo più oro di quanto un uomo possa immaginare.
— Non come loro — ribatté il moro.
— Di sicuro più di te — sentenziò scocciato Sebastian, mentre Blaine lo ammonì con una rapida occhiata e cambiò discorso celermente.
— Nathaniel minaccia di portarmi a caccia con lui.  L’ultima volta siamo stati fuori per due settimane, in mezzo al fango, arrampicati sugli alberi, solo per soddisfare il suo bisogno di infilzare con una lancia un po’ di carne.
Un sorriso malizioso si aprì nel viso del ragazzo inginocchiato. — A cosa sta pensando quel tuo deplorevole cervello, mio signore? — gli chiese Blaine, con un sorriso malizioso.
— A una delle tante volte in cui infilzasti con la tua lancia un po’ di carne, quando ancora ero uno scudiero a Capo Tempesta. Non mi ricordo di aver sentito uscire dalla tua bocca alcuna lamentela, anzi.
Il giovane della casata degli Anderson scosse la testa ridendo, e l’altro, soddisfatto, continuò con il suo lavoro. — Oh, ma io non traggo nessun godimento nell’uccidere, lui sì. Ma lui è il Re, e a ogni suo comando noi dobbiamo ubbidire.
— Chissà come mai sarà accaduto?
— Perché è un bravo cacciatore e ama uccidere — rispose, come se quella appena posta fosse una domanda troppo stupida per essere stata formulata dalla mente brillante del giovane Smythe.
L’altro fece una pausa, poi gli domandò. — Sai chi dovrebbe essere Re?
Blaine gli lanciò uno sguardo che valeva più di mille parole. — Sii serio, Smythe.
— Lo sono — ribatté velocemente Sebastian. — Lo sono. Pensaci. Mio padre ti potrebbe fare da banca. E io, beh, io non sarò mai sceso sul campo di battaglia, ma combatterei per te.
Lo guardò com’era solito guardarlo dopo che avevano fatto l’amore, come se il sole sorgesse e tramontasse in lui. Blaine si sporse verso Sebastian per baciarlo velocemente.
— Sono il quarto nella successione — gli disse con tono fermo.
Sebastian si leccò il labbro inferiore. — E Nathaniel? Dov’era nella successione al trono? I suoi figli bastardi? Jared? Lui è un abominio, il popolo insorgerebbe, pur di non farsi comandare da un tale folle. Theo? Ha soli otto anni, sarebbe il burattino di sua madre e questo non è di certo tranquillizzante.
— Cooper?
— Cooper? — gli chiese ridendo. — Ha la personalità di un istrice, pensa di rendere più enfatica la morte dei suoi prigionieri indicandoli prima di ucciderli. Seriamente?
Blaine fece un respiro profondo prima di parlare. — Cooper è comunque mio fratello maggiore, personalità di un istrice o no.
Con un gesto repentino della mano Sebastian tagliò Blaine sul fianco con la lama che stava usando per depilarlo.
— Mi hai ferito! — esclamò, incredulo.
— Guardalo, è solo sangue. Lo abbiamo tutti nelle vene — gli prese il viso con la mano libera e lo obbligò a guardare. — A volte se ne deve spargere qualche goccia. Se vorrai diventare re ci dovrai fare l’abitudine.
Quando con gli occhi lo supplicò di lasciargli andare la mandibola per potersi voltare, Sebastian abbassò il tono della voce e le parole che disse sembravano esser rivestite di seta, tanto erano delicate.
— Il popolo adora te, mio signore. Perché sei gentile con loro, non li tratti come se fossero pezzi di sterco. Vogliono esserti vicino — poi gli prese la mano per farlo alzare e piegò un po’ le ginocchia, per poterlo guardare direttamente negli occhi. — Fai quello che è giusto fare e non te ne fai un vanto. Non ami uccidere, ma la tua spada non è clemente per chi sbaglia.
Blaine rimase in silenzio e Sebastian continuò a parlare, mentre con le mani cominciava a slegare i lacci dei pantaloni. — Dimmi, mio signore, dov’è scritto che il potere è una landa amena destinata al peggiore? O che si può sedere sul Trono di Spade solo se si è temuti o odiati?
Blaine deglutì e seguì con lo sguardo le labbra dell’altro, mentre questo si metteva in ginocchio. Sebastian aveva le mani sui suoi fianchi, e il lord di Capo Tempesta si sentiva la pelle bruciare dove il cavaliere lo toccava. — Saresti  un re meraviglioso, Blaine — gli confidò, baciandogli il basso ventre mentre gli faceva cadere sul pavimento i pantaloni scuri.
— I menestrelli canteranno le tue gesta e il tuo nome sarà scritto nel Libro Bianco. Ma adesso, ti prego, permettimi di farti dimenticare e di farti sussurrare solo il mio.
— Hai ricevuto il mio consenso molto tempo fa, mio amato — rispose l’altro in un sussurro.
 
— Sebastian? — lo chiamò una voce alle sue spalle, facendolo ritornare bruscamente alla realtà. — Il pensiero del giovane cervo ancora ti tormenta?
Sebastian guardò Gatien come se stesse parlando un fantasma, con la mente si trovava ancora in quel luogo incantato, dove il suo Blaine era ancora vivo e caldo sotto di lui. Gatien era più grande di un lustro, ma erano così simili che spesso erano scambiati per gemelli. Del fratello, Sebastian invidiava solo la statura e la corporatura, molto simili a quella dell’amato, che ormai viveva solo nei suoi sogni e nei suoi ricordi, così vicino, eppure così lontano.
— Lui è l’unico pensiero che la mia mente si permetta di formulare.
— Dovresti andare avanti — gli disse con fare paterno mentre si sedeva di fianco a lui, posandogli una mano sulla spalla. Quando sentì le ossa sotto la muscolatura allenata, il suo viso si contrasse in un’espressione di disappunto.
— Bastian, ma hai mangiato ultimamente?
Una risata amara gli morì in gola. — Ti sei messo in combutta con la nostra Piccola Rosa? Ti credevo dalla mia parte.
— Proprio perché lo sono te lo dico, fratello mio — a Gatien bastò uno sguardo per capire che stava parlando al vento. — Per quale motivo mi hai fatto chiamare? Ed è meglio che ci sia un valido motivo per il quale hai fatto penare così tanto nostra sorella, altrimenti che gli dèi ti prendano con sé.
Sebastian gli sorrise, sbattendo delicatamente la mano contro l’armatura dorata di Blaine. — Voglio che indossi la sua armatura. Lo farei io, ma sono troppo alto.
— Sebastian, io — ma l’altro lo bloccò, senza dargli modo di continuare.
— Solo uno Smythe porterà i suoi colori, quando vedrà il fantasma di suo fratello far fuori i suoi uomini in battaglia, a Cooper si dovrà gelare il sangue. — glielo disse con un fuoco negli occhi che fece capire a Gatien che vi erano ancora dei pezzettini di suo fratello rimasti intatti, e che solo il tempo gli avrebbe dato modo di sopravvivere al lutto. Era un cavaliere, avrebbe superato anche questo ostacolo.
— Lo farò, la indosserò con molto onore, fratello mio — gli promise, e l’altro gli prese le mani fra le sue e si piegò su se stesso, riconoscente. Gatien liberò una mano e gli scompigliò i capelli, come era solito fare quando ancora era un bambino. Le spalle di Sebastian tremarono impercettibilmente, per poi ricomporsi con la stessa velocità. I cavalieri non piangono, si disse mentalmente.
— Grazie.
I fratello scosse la testa, non gli doveva alcun ringraziamento. Poi, si ricordò del messaggio che aveva ricevuto qualche giorno prima da loro nonna, Lady Smythe. — La nonna ha mandato un suo messaggero perché doveva darti una cosa — gli disse, e gli mise fra le mani il pacchetto di raso verde, proveniente da Alto Giardino.
Sebastian gli sorrise e lo aprì, già a conoscenza del suo contenuto. — È la spilla con la rosa della nostra famiglia — disse a Gatien. — Ho usato la mia per fermarci il mantello di Blaine, mi sono permesso di prendere la sua. Ma io mi sento nudo se non indosso il nostro emblema.
— Sebastian, non mi devi alcuna spiegazione — lo rassicurò il fratello. — Evelyne mi ha anche pregato di farti rinsavire, per quanto riguarda la Guardia Reale.
Il più giovane della casata Smythe sbuffò. — Non cambierò idea, Gatien.
— Ma sei così giovane, hai solo diciassette anni, non sai a cosa stai chiudendo le porte. Rinunci a tutto, alla tua volontà. Se fai il tuo giuramento, rinuncerai al tuo titolo, ai possedimenti, ad avere una famiglia… pensaci.
— Il Cavaliere del Drago quando fece il suo giuramento aveva la mia stessa età, e anche il maggiore dei figli del Protettore dell’Ovest. Io non voglio sposarmi, non voglio inscenare il teatrino del bravo marito come vorrebbe nostro padre. Sono stanco, Gatien, non voglio più fingere. La mia unica sposa sarà la mia lama e spero che la Giustizia ci abbia nelle sue grazie. La nostra discendenza continuerà con te e nostro fratello maggiore, non serve la prole di un terzo Smythe.
—Non chiudere il tuo cuore in così giovane età, fratello mio, non fare questo sbaglio — gli disse, cercando di farlo ragionare.
Quando il sole tramonta, nessuna candela può rimpiazzarlo — si limitò a dirgli, mentre l’altro rideva beffardo. Poi, aggiunse: - E’ morto per colpa mia. Gli promisi il trono e lui mi credette. Gli devo questo e altro.
— Non è colpa tua, Sebastian, non gli devi nulla. E ora parli attraverso le parole di una canzone? Ma certo che sì, hai diciassette anni, del resto.
Se gli sguardi avessero potuto uccidere, Gatien sarebbe morto sul colpo, considerando come lo guardò Sebastian in quel momento. — Ti ho fatto l’onore di chiederti di indossare la sua armatura e mi ripaghi facendoti beffe di me?
Gatien smise di ridere. — No, fratello mio, non volevo arrecarti alcuna offesa. Alcune volte mi è difficile collegarti ad un ragazzo di soli diciassette anni, la tua fama ti precede in tutti i Sette Regni e quando dici certe cose o ti struggi per amore, beh, la verità è sotto ai miei occhi e mi meraviglia a tal punto da farmi sorridere.
Detto questo, si alzò: doveva prepararsi per una battaglia e non poteva perdere altro tempo. — Manderò a prenderla il mio scudiero fra poco.
— No — disse l’altro. — Te la porto io.
Lo sguardo di lui era così carico di tristezza che non ebbe la forza di controbattere.
— Ti aspetto, non tardare — fece per andarsene, poi si girò per aggiungere una cosa. — Lo amavi veramente, non è vero?
Sebastian alzò gli occhi e li puntò in quelli del fratello, e con un sorriso triste gli rispose. — Lo amavo più di quanto lui abbia sempre immaginato, e lo amo ancora. È in ogni mio respiro e lo amerò fino a quando non esalerò l’ultimo respiro che gli Dèi mi abbiano accordato. E se davvero ci fosse una vita dopo questa, lo amerei anche in quella, e spero che avrà la decenza di aspettarmi al varco per attraversarlo insieme. Perciò sì, lo amavo veramente.
 
 

Betta’s Corner: Ed eccoci alla fine di questo viaggio insieme. Com’è possibile non shippare Loras e Renly? C O M E?!?!? Non lo è, ecco. Spero che abbiate apprezzato questa storia, se è così magari lasciate una recensione, fa sempre piacere. Un bacio, e che la Seblaine sia con voi!
 

 

 
 

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