Sunshine in the darkness

di NeNe97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** 6. Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** 7. Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** 8. Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** 9. Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** 10. Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


-Che ne dite della nuova casa?- la mamma era dir poco eccitata. Non la vedevo così felice da molto tempo. 
Eravamo appena arrivati a Milano, dopo ore e ore di volo infinite. 
Io ero sfinita. Non mi piaceva viaggiare in aereo. Ti si tappavano sempre le orecchie e le continue turbolenze non mi avevano fatto quasi mai chiudere occhio. 
La stessa cosa non si poteva dire di Cameron, aveva dormito tutto il viaggio. Era una cosa impressionante, russava pure. Era seduto vicino a me e non mi aveva fatto per niente compagnia, mentre accanto a me c'era un vecchio che non la smetteva di tossirmi in faccia. Sperai solamente che non mi avesse attaccato qualche influenza. 
La mamma era seduta dall'altra parte del treno e l'unica volta che mi sono fatta coraggio per andare in bagno, l'avevo vista parlare amichevolmente con un uomo. 
Rose e Julian erano seduti due file dopo di noi. Inutile dire che Rose ha passato tutto il tempo a leggere e studiare qualcosa. Anche in aereo non si staccava mai da quei dannati libri. 
Julian non so cosa abbia fatto, probabilmente ha ascoltato la musica o ha messaggiato con Lily, sua morosa. 
Per fortuna che per un bel po di tempo non devo più mettere piede in aereo. Si spera, per lo meno.
-Che è una casa..? - rispose Cam grattandosi la testa. La sua bocca si aprì in un enorme sbadiglio.  
Aveva ancora sonno, dopo che si era fatto quasi 10 ore di sonno. Era incredibile. 
-Complimenti, sei davvero perspicace! - lo prese in giro Rose. Cam le fece il verso, come al suo solito. Erano come il gatto e la volpe, quei due. 
-Carina, mi piace.- risposi io. 
La mamma si era impegnata tanto a cercare una casa qui in Italia. 
Ci siamo dovuto trasferire da Los Angeles per lavoro suo. Non potevamo fare altrimenti.
Non è stato facile lasciare tutte le cose che avevamo li, ma dovevamo farlo. La mamma faceva i salti mortali per farci stare bene e non farci mancare niente. 
Il minimo che potevamo fare io e miei fratelli era apprezzare quello che faceva per noi.  
Certo, avevamo lasciato tutti i nostri amici a LA, ma non importava. 
La mamma mi sorrise, ringraziandomi silenziosamente. 
La vedevo che era un po più rilassata adesso. 
-Non mi dire che dovremmo dividere le camere.- disse Julian preoccupato. 
Entrammo in casa. Era una villetta piccola, già arredata. Al piano di sotto c'erano la cucina, una bagno, il salone. Mentre in quello di sopra tre camere e un altro bagno.  
Tutto sommato era discreta. 
-E invece si, tu e Cam potete stare insieme.- rispose la mamma. 
Inutile dire che i ragazzi presero la camera più grande. 
Questo voleva dire che io dovevo dividere la camera con Rose. 
Fantastico. 
Non che non andassi d'accordo con lei, anzi avevamo un buonissimo rapporto. Solo che avevamo un concezione diversa di ordine.  
Lei era fin troppo maniacale nel mettere a posto ogni cosa, sospettavo che soffrire di un qualche disturbo ossessivo compulsivo. Mentre io era una che non ci badava troppo se le cose stavano a posto. Forse era un pochino disordinata. 
Prevedo che sarà una lungo convivenza. 
In silenzio mettemmo a posto le nostre valige. 
Ci dividemmo in due l'armadio, per modo di dire visto che lei si era presa quasi tre quarti. Aveva il doppio dei miei vestiti. 
-Hai sentito Mark?- mi chiese ad un certo punto, mentre stavo sistemando i libri su una mensola. 
Mark era il mio migliore amico, se così si poteva definire. 
Negli ultimi mesi mi ero allontanata da lui. Dopo quello che era successo con Juliette, avevo bisogno di restare da sola. Ma questo lui non lo aveva capito. Continuava a dirmi che dovevo parlare e sfogarmi, che non mi faceva bene chiudermi. 
Ma come potevo parlare con lui, quando già sapevo che non mi avrebbe capito? Nessuno poteva capire come mi sentivo. 
Così si è offeso e non mi ha più parlato. Per due mesi. 
Mi ha solo salutata il giorno prima di partire. Poi basta. 
-No.- risposi secca continuando ad impilare i libri. Non pensavo di averne così tanti. Lei si sedette sul letto. 
-Potresti mandargli un messaggio. Sono sicura che gli farebbe piacere nonostante tutto.- disse. 
Era più forte di me, non lo avrei mai fatto. Avevo troppo orgoglio. E poi sinceramente, se ce l'aveva con me non sapevo che dirgli. Non ero io quella che ha sbagliato. 
Avevo veramente una montagna di libri.
Sospirai stanca.
-Non penso proprio. E comunque non ho niente da dirgli.- risposi freddamente. 
È vero, non ci avrei più parlato con Mark. E forse era meglio così. Però faceva male, tanto. 
Con lui avevo trascorso i momento più belli della mia vita fin'ora. Lo conoscevo da quando ero piccola, era come un fratello per me. O almeno io lo consideravo tale. Ma a quanto pare lui no. Se no non mi avrebbe abbandonata così. 
-Shane.- mi chiamò. Quando usava quella voce profonda voleva dire che era prossima farmi uno dei suoi discorsi. 
Mi venne vicino facendomi voltare verso di lei. 
-Se non vuoi più sentirlo, va bene. Sai come la penso. Ma adesso che sei qui a Milano puoi costruirti un'altra vita. Lasciarti dietro tutto quanto. Puoi essere felice.- mi disse mettendomi le mani sulle spalle. 
Dalla sua voce si capiva che ci stava male. Stava male per colpa mia. Perché non riesco nemmeno a far star bene le persone che ho intorno?
-Non so se ci riuscirò. Io...- mormorai con un fil di voce. 
Tutto quello che volevo fare era scappare. E non pensare a niente e nessuno. 
Volevo essere invisibile. 
Un sorriso di incoraggiamento fece capolino sul suo viso. E fu in quel momento che scoppiai a piangere. 
Iniziamo bene, neanche un'ora in Italia e già piangevo. 
Rose mi strinse in un abbraccio accarezzandomi i capelli. 
Mi odiavo. Non ero capace di essere felice. O almeno di fingere. 
-Ehi, non fare così... Ti prego.- mi sussurrò ad un orecchio. Aveva la voce rotta dal pianto, anche lei. 
Rose era l'unica persona che poteva capirmi in un certo senso. Era l'unica persona con cui potevo sfogarmi. 
Mi aggrappai a lei. Strinsi la sua maglietta con tutte le mie forze, come se fosse la Mi unica ancora di salvezza, soffocando i singhiozzi sul suo collo. 
Con la mamma cercavo sempre di sembrare felice, non volevo farla preoccupare. Non me lo sarei mai perdonato se sapevo che anche lei soffriva a causa mia. 
Mentre con Cameron e Julian non riuscivo a parlarci. Certo, sapevano tutto, ma non mi avevano mai vista piangere. 
Era più forte di me, non riuscivo ad aprirmi con gli altri. Più ci provavo più fallivo nell'intento. 
-Shane...- sussurrò Rose non smettendo di stringermi. 
Dovevo calmarmi. Non era normale che avessi un crollo emotivo così all'improvviso. Che ero depressa? Forse. Anzi, già sapevo di esserlo.
Piano piano rilassai i pugni sentendo il mio respiro tornare quasi regolare. 
Sii ottimista, mi ripetevo nella mente. 
Mi staccai da lei asciugandomi con la manica della felpa la faccia dalle lacrime.
-Ce la faremo insieme. Te lo prometto.- mi disse sistemandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
Mi guardava con uno sguardo così dolce che non potei fare altro che sorriderle. 
-Grazie.- fu tutto quello che riuscii a dire. 
Dovevo molto a lei. Mi ha sempre aiutata, in qualsiasi momento della mia vita. 
Se non ci fosse lei adesso chissà che fine avevo fatto. 
-Ragazze, avete per caso visto..- la porta della nostra camera si spalancò all'improvviso facendo entrare Cam e Julian. 
Si bloccarono appena mi videro. Come se avessi scritto in fronte che avevo appena pianto. 
-Che è successo?- chiese subito Cameron inclinando la testa da un lato. 
Non ebbi neanche il tempo di rispondere che Julian avvampò dalla rabbia. 
-È stato Mark? Giuro che prendo il primo aereo per Los Angeles e lo ammazzo!- ruggì, come era solito fare. Stava veramente per uscire.
Adoravo questo lato di lui, così protettivo.
-Jul, no fermo. Non ha fatto niente lui.- Lo fermai. 
Lui mi guardò assottigliando gli occhi. 
-Non è successo niente.- ribadii cercando di rassicurare i due. 
-Bhe, non si direbbe...- commentò Cam per la prima volta serio. 
Non mi andava di spiegare loro tutto, anche se infondo già lo sapevano. 
Possibile che devo sempre essere io quella problematica? 
-Momenti fra sorelle, non potete capire.- arrivò in mio soccorso Rose. 
In fondo aveva una bella famiglia. Non potevo di certo lamentarmi per certi versi. 
Solo il fatto di avere dei fratelli così mi sarebbe dovuto bastare.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


-Allora ragazzi, siete pronti? Per qualunque cosa chiamatemi. E buona giornata- ci salutò la mamma. Ci aveva accompagnati tutti quanti a scuola in macchina. 
Non avendo ancora 18 anni non avevamo la patente. Stupida legge italiana. Io sapevo guidare. Non è che se vengo in Italia improvvisamente non sò più portare la macchina. 
Avevo provato a convincere la mamma che poteva benissimo prendere i mezzi, ma lei era irremovibile. Aveva paura che potevamo perderci non conoscendo bene la città. 
-Stai tranquilla, mamma. Ci vediamo dopo- le disse Rose. La salutammo e scendemmo dalla macchina. 
Ci trovammo davanti ad un imponente edificio grigio e dall'aria triste. Fuori non c'era nessuno, solo delle macchine parcheggiate appartenenti probabilmente ai professori e a qualche alunno. 
-Ma dobbiamo per forza andarci? Che so, non possiamo scappare? Oppure poremmo fingere di avere una pericolosissima malattia infettiva. Potrebbe funzionare- dire che Cameron era nervoso era un eufrismo. Infondo era il nostro primo giorno di scuola qui in Italia e non sapevamo tutto sto granché l'italiano. Ovvio che eravamo tutti un po' agitati. 
-Temo di no, fratello- rispose Julian dandogli una pacca sulla spalla. 
L'idea di frequentare una nuova scuola non mi entusiasmava più di tanto. Significava nuovi compagni di classe e nuovi insegnanti. In più la scuola qui in Italia era differente come organizzazione che in America. In più l'italiano, si, riuscivo a capire piuttosto bene ascoltandolo, il problema arrivava quando dovevo parlare. Sbaglio tutti i verbi e gli accenti. La stessa cosa non si poteva dire per Julian e Rose. Loro l'italiano lo sapevano benissimo, avevano anche un'ottima pronuncia. 
Entrammo dentro la scuola. Rimasi a bocca aperta: era enorme... 
-Già ci siamo persi- disse Cam guardandosi intorno. Insomma, potevano anche mettere le indicazioni per la segreteria!
-Perfetto, io me ne vado- dissi facendo per uscire. Ma per mia sfortuna Rose fu veloce e mi afferrò per un braccio.
Che palle!
-Tu non vai da nessuna parte- mi rimproverò. Sbuffai.
Dovevamo sembrare dei cretini: quattro ragazzi impalati in mezzo ad un corridoio con aria spaesata. Decisi che se i miei fratelli non si muovevano ad andare da qualche parte entro dieci secondi me ne sarei veramente andata.
Ma con mia grande gioia, una signora abbastanza in là con gli anni ci aveva visti da infondo al corridoio. Ci venne incontro puntandoci come se fosse un toro.
Sul serio faceva paura.
-Ragazzi, voi che ci fate qui? Andate nelle vostre classi!- aveva una voce gracchiante e acuta. Già non la sopportavo. Osservandola bene avevo notato che proprio in cima alla testa le mancavano dei capelli, era completamente pelata. E sembrava un uomo se non fosse per la voce. Che senso. 
Ci guardava con occhio indagatore.
-Noi stavamo cercando la segreteria. Siamo nuovi e ci avevano detto di andare lì per prendere gli orari delle lezioni- parlò Jul con la sua pronuncia perfetta.
L'espressione della signora non cambiò di una virgola.
Per tipo tre secondi rimase in silenzio a fissarci, poi si girò e cominciò a camminare veloce. -Venite con me- disse.
Che tipo. Ci affrettammo a starle dietro.
-Sono solo io che ho visto quel cerchio che ha in testa? Sembra che ci siano atterrati gli alieni- disse a bassa voce Cameron. Mi trattenni dal ridere insieme a Julian. Era vero. Rose gli lanciò un'occhiataccia, intimandolo di smetterla. 
Arrivammo in una stanza a prima vista anonima.
-Tenete- ci porse a ognuno un figlio dal bancone. Erano gli orari delle lezioni. Senza neanche darci il tempo di guardarli si incamminò in un altro corridoio facendoci segno di seguirla.
Mi stavano saltando i nervi.
Guardai gli orari di Cam, non erano uguali ai miei ciò significava che stava in un'altra classe.
Julian invece era in classe con me, mentre R insieme a Cam.
Ero contenta di stare insieme a Jul. Sicuramente stando con Rose lei mi avrebbe fatta studiare come una matta, mentre con Cameron ne sarei uscita matta.
La signora si fermò di colpo davanti ad una porta facendomi quasi inciampare su di lei.
-Chi sono Julian e Shane?- ci chiese.
-Noi- dissi indicandoci.
-Questa è la vostra classe- Bene, era arrivato il momento fatidico. Dietro quella porta c'erano una ventina di ragazzi con cui avrei volentieri voluto non avere a che fare.
Guardai Rose e Cameron. Mia sorella mi sorrise in modo rassicurante sussurrandomi un buona fortuna. Cam invece alzò in su i pollici sorridendoci in modo fin troppo esuberante.
Intanto la segretaria se n'era già andata e il moro e la bionda hanno dovuto correre per raggiungerla.
-Pronta?- chiese retoricamente Julian. Trattenni il respiro.
-No, ma non abbiamo altra scelta- risposi prima di bussare e aprire la porta. Via il dente via il dolore, no?
Mi pentii subito di averlo fatto.
Ci ritrovammo 40 paia di occhi puntati addosso. -Shit! - mi lasciai sfuggire forse a voce troppo alta.
Tutta l'attenzione della classe era su noi due. Volevo sotterrarmi.
Julian mi tirò una gomitata, mentre sorrideva agli sguardi degli altri. 
-Come hai detto scusa?- una ragazza che si trovava dietro la cattedra mi guardava sorpresa. Sopposi che, visto che aveva capito cosa avevo detto, doveva essere l'insegnante di inglese.
Merda! Mai che me ne va bene una!
-Non ho detto niente- risposi freddamente.
Lei mi guardò a lungo. -Farò finta di non aver sentito- disse alzandosi dalla cattedra. -Voi dovete essere i ragazzi nuovi. Io sono la professoressa Castillo, l'insegnante di inglese. Volete presentarvi alla classe?- disse. Aveva i capelli biondi che le ricadevano morbidi sulle spalle e gli occhi erano azzurri scuro, quasi blu.
Mi girai verso gli ormai miei compagni di classe.
-Io sono Julian e lei è mia sorella Shane. Ci siamo trasferiti qui da poco, siamo di Los Angeles- prese parola Jul. Neanche cinque minuti che eravamo in classe e già tutte le ragazze pendevano dalle sue labbra.
Dio, che banalità!
Speravo che almeno qui in Italia la gente fosse un po' evoluta. Invece alle ragazze bastava vedere un ragazzo con dei bei occhi e un bel culo e gli sbavavano dietro peggio di un cane.
-Okay, sono sicura che vi ambienterete bene nella classe- disse la prof. Poi fece un passo verso di me. - E non so perché ma ho come l'impressione che tu sarai una ragazza che mi darà del filo da torcere- il suo tono era di sfida. Alzai le sopracciglia.
E io sono sicura che lei non mi starà molto simpatica, avrei voluto risponderle così. Ma mi morsi il labbro inferiore trattenendomi.
-Questo non saprei dirglielo- dissi sorridendo beffarda. Lei mi scoccò un'occhiata indecifrabile.
-Potete andare a sedervi nei due banchi vuoti che trovate- ci disse e la sua voce era tornata da insegnante professionale.
I due posti vuoti erano uno in ultima fila vicino a un tipo con i dread e un altro in terza fila di fianco alla finestra.
-Ti lascio l'onore di sederti vicino a quella biondina sexy- mi sussurrò in un orecchio Julian facendomi un occhiolino.
Ebbene si, la mia compagna di banco era una bionda. E io odiavo le bionde, apparte mia sorella ovviamente. Non che avessi dei pregiudizi, ma con l'esperienza aveva capito che le ragazze bionde, per vari motivi, avevano un carattere che non mi andava proprio a genio. Non facevano per me.
-Io sono Laura! Però, carino tuo fratello!- se ne uscì appena mi sedetti al mio posto. Già a prima vista non era una che ispirava fiducia, sembrava la classica troietta della classe. E magari ce ne fosse solo una, guardandomi intorno mi ero accorta che ero circondata da ragazzine in piena crisi ormonale.
-Già...- fu tutto quello che uscì dalla mia bocca. Non avevo voglia di sprecare fiato con gente così. Ma lei non se ne accorse. Lanciava sguardi non proprio innocenti a Jul che neanche se la filava.
-E dimmi, che ragazze le piacciono?- continuò imperterrita mordicchiando una matita.
Dio, ma si può essere così privi di cervello?! Era veramente convinta di essere sexy, quando in realtà sembrava più che viscida.
-È gay- La sua faccia in quel momento fù impagabile. Aveva la bocca aperta e sembrava come pietrificata.
-Davvero?- chiese dopo che si era ripresa dallo shock, sbattendo più volte gli occhi.
Mi trattenni dal riderle in faccia, mi sembrava poco carino.
-No. Ma sicuramente le piacciono le ragazze con un po' di cervello e meno superficiali. Fossi in te ci riproverei l'anno prossimo- risposi rivolgendole un sorriso stucchevole. Era così facile far infuriare una ragazza come lei... Assottigliò gli occhi rivolgendomi uno sguardo omicida. Adesso sembrava una viscida psicopatica.
-Ragazzina, ti sei cacciata in un grosso guaio. Ti renderò la vita qui a scuola un inferno!- ringhiò. Feci una finta faccia spaventata che la fece incazzare ancor di più. Stavo per parlare quando la prof mi anticipò.
-Shane, neanche un'ora che sei arrivata e già disturbi la lezione?- mi chiese.
Prevedo che questa sarà una giornata mooolto lunga. Laura mi rivolse una faccia soddisfatta, di chi aveva vinto.
-Mi sto solo ambientando- risposi facendo alzando le spalle. I due ragazzi che stavano seduti dietro di me li sentii trattenere una risata.
-Allora vedi di farlo in silenzio- mi disse continuando poi a spiegare qualcosa sulla grammatica inglese. 
Inutile dire che la giornata scolastica passò in una lenta agonia. L'unica cosa positiva era che Laura non mi aveva più rivolto la parola. Mentre tutti gli altri compagni di classe ad ogni cambio lezione venivano da me e Julian a farci domande su domande, come se fossimo degli alieni. 
Adesso, fortunatamente per la mia salute mentale, stavamo tornando a casa a piedi. 
-Come è andata nella vostra classe?- chiese Julian a Cam e R.
-Le ragazze mi adorano, fanno ogni cosa che chiedo. Potrei anche abituarmici! Non pensavo che fosse così bella la scuola italiana- rispose Cameron tutto contento. Difatti era difficile pensare che lui si sarebbe trovato male, era capace di fare amicizia anche con i sassi.
-La prof di inglese mi è simpatica. Si dovrebbe chiamare Castillo se non sbaglio. Se non sbaglio è lei che dovrebbe farci i corsi di recupero- disse Rose.
L'unica professoressa che si era distinta in questa giornata era lei. Gli altri prof era come se non gli avessi ancora visti. Lei invece...
-Eh, simpatica la Castillo, vero Shane?- mi chiese ironico Jul ridendo sguaiatamente. Mi limitai a scuotere la testa.
Aveva degli occhi penetranti... Non riuscivo a reggere il suo sguardo per più di pochi secondi. Peccato che caratterialmente era acida, perchè come aspetto non era niente male...
-Perché?- mi chiese Rose.
Aveva una pronuncia british che io personalmente adoravo, anche se non lo avrei ammesso neanche sotto tortura.
-Penso che la prof l'abbia già presa di mira. E poi sai com'è fatta Shane, deve sempre ribattere...- rispose il biondino per me. Non avevo proprio voglia di stare qui a discutere sulla giornata scolastica. Volevo solo dormire per giorni e giorni senza mai svegliarmi.
Cam e Julian se ne andarono un po' più avanti rispetto a me e Rose, che mi aveva affiancata.
-Tutto a posto?- mi chiese dopo un po'.
Avrei voluto risponderle che non era tutto a posto, che ormai anche solo respirare era diventato doloroso. Ma tanto non mi avrebbe capita, come tutte le altre persone, del resto.
-Certo, perché?- risposi tirando un calcio ad un sasso.
-Ti ho vista un po giù di morale- mi disse puntanto i suoi occhi azzurri su di me.
Io le feci un sorriso, sperando che non si accorgesse che era tirato.
-Mai stata meglio- La sentii sospirare.



Heilà! Spero che il capitolo sia piaciuto!
Alla prossima ;)

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Dopo la prima giornata di scuola io e i miei fratelli eravamo arrivati a casa, finalemente. Sarei rimasta  chiusa in camera mia per l'eternità.

Entrammo dentro, la mamma era già alle prese con il pc portatile. Appena ci vide si tolse gli occhiali da lettura e ci sorrise.

-Ehi, ragazzi! Come è andato il primo giorno?- chiese impaziente di saperlo come una bambina. Cam cominciò a parlare, ma io non lo ascoltai veramente. Anzi, me ne andai in camera mia sperando che nessuno se ne accorgesse.

Mi sedetti sul piccolo divano, rannicchiandomi su me stessa.

Rose non faceva altro che dirmi che dovevo ricominciare a vivere. Ma vivere significava che dovevo relazionarmi con le persone e questo mi spaventava a morte. Ogni volta che mi affezionavo a qualcuno questo mi lasciava da sola di punto in bianco, come se niene fosse. Come se io non contassi niente. Avevo già sofferto troppo, non volevo che riaccadesse, non avrei retto questa volta. Mi sarei rotta definiivamente. Avevo sempre pensato che soffrivo della sindrome dell'abbandono. Era possibile, visto le tante persone che mi avevano promesso di rimanere e poi se ne erano andate. Probabilmente era colpa mia, non ero fatta per avere un rapporto con una persona, la esasperavo così tanto da constringerla a lasciarmi.

I miei pensieri furono interrotti da qualcuno che aveva bussato, la porta si aprì un poco lasciando fare capolino alla testa della mamma.

-Shane, posso entrare?- mi chiese. Io annuii solamente. Si chiuse la porta alle spalle, delicatamente.

Mi guardò meglio. Poi, come se avesse visto un mostro, sgranò gli occhi spaventata.

-Tesoro, perché piangi?- mi domandò subito, venendosi a sedere vicino a me. Neanche mi ero accorta che avevo iniziato a piangere. Con un gesto secco mi asciugai la faccia dalle lacrime.

La mamma non mi aveva mai vista così.

-Non è niente- risposi tirando su con il naso. Perché dovevo essere così debole? Mi esasperavo da sola.

-Ti trovi male a scuola?- mi chiese apprensiva.

Scossi la testa. Magari fosse quello il problema, la mia vita era un problema.

-Sicura, perché potremmo farti cambiare scuola- mi disse accarezzandomi la schiena.

Mi ero ripromessa di non farmi mai vedere in questo stato da lei. E invece sembrava che le cose non sarebbero mai andate come dicevo io.

-Non cambierebbe niente- mormorai con un fil di voce.

Lei diede un'occhiata al mio telefono dove poco prima stavo guardando delle foto. In questa c'eravamo io, Juliette e Mark ad una festa. Juliette, la biondia del trio, mi stava dando un bacio sulla guancia mentre io ridevo di gusto abbracciandola. Mark, il mio migliore amico, era sbucato fuori da dietro di noi e sorrideva a trentadue denti, mentre ci stringeva a tutte e due. 
Non avevo il coraggio di eliminarla, nonostante tutti mi dicevano che avrei dovuto farlo. Avrebbe significato cancellare definitivamente le mie due persone più importanti dalla mia vita.

-Ti mancano, non è vero?- mi domandò, anche se conosceva bene la risposta. Mi passò un braccio intorno alle spalle, in un gesto materno.

-Un po'- Rispondere un po' era un'eforismo. Sentivo come un vuoto dentro di me che si allargava ogni giorno di più. Mark e Juliette erano un pensiero costante.

-Sai, tesoro, a volte le persone non ti capiscono fino in fondo. Se Juliette o Mark non sono più con te forse è perché non erano le persone giuste per te. Ma non è colpa tua, non eravate destinati a rimanere insieme- mi spiegò. Sapevo che adesso dovrei sentirmi meglio, ma non ci riuscivo. Era più forte di me.

Appoggiai la testa sul suo petto lasciandomi cullare dai suoi respiri. Avevo un disperato bisogno di essere coccolata in questo momento.

-Ogni persona che incontrerò scapperà da me- sussurrai chiudendo gli occhi. Lei mi passò una mano tra i capelli castani.

-Ci sono così tante persone al mondo. Con alcune non vale la pena sprecare tempo, ma con altre si. Non lo saprai mai se non ci provi- mi disse.

Bisognava vedere tutto con ottimismo. Facile, vero? Per niente.

Sospirai ma non dissi niente. Rimasi tra le braccia della mamma, sentendomi per un po' al sicuro, protetta.

-Ma ricordati sempre che io ci sarò, non ti lascerò mai- il modo in cui lo disse era come una coltellata al cuore, mi tolse il respiro. La  sua voce era piena di sofferenza e stanchezza. Questa era una delle tante volte che facevo del male a chi mi stava in torno, uno dei tanti motivi per cui la gente mi lasciava sempre da sola.

Ero un disastro.

Non riuscii a trattenermi e scoppiai in lacrime. Mi aggrappai al suo collo, nascondendo la faccia tra i suoi capelli. Questa era la era la prima volta che mi lasciavo andare così davanti alla mamma. Ero arrivata ad un punto in cui il dolore superava di gran lunga l'autocontrollo.

-Tesoro mio...- mi sussurrò con voce rotta dal pianto massaggiandomi la schiena.



Alla prossima :)

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


-Ragazzi la pronuncia in inglese è importante! Se sbagliate anche solo una sillaba non vi capisce nessuno.- la prof Castillo era ormai esasperata. Sembrava quasi che in questa classe nessuno avesse mai sentito parlare in inglese. Avevano una pronuncia a dir poco penosa. -Josh is going tu go bai bas next dei. - Questa era tipo la decima volta che Sonia, una ragazza del tutto anonima, ripeteva sempre la stessa frase.
Improvvisamente la prof si illuminò come se avesse avuto un'idea.

-Shane, leggi tu per favore- mi disse. Sorrisi soddisfatta, finalmente aveva capito che potevo essere d'insegnamento a questo branco di ragazzini.

-Josh is going to go by bus next day- dissi semplicemente. 

-Perfetto, adesso fate tutto il contrario di quello che ha fatto lei- disse. Ci rimasi malissimo. La classe scoppiò in una leggera risatina, si sentiva soprattutto Julian da dietro con la sua voce  roca e bassa.

-Noi qui studiamo l'inglese dell'Inghilterra, non l'americano-spiegò poi. Alzai le sopracciglia.

-Almeno a me non sembra che abbiano infilato un palo su per il culo quando parlo- risposi sorridendo beffarda. Adesso la classe scoppiò in una fragorosa risata, tranne la prof che mi guardava male. Durante la prima settimana avevo capito quanto fosse divertente farla innervosire. 

-Shane, modera il linguaggio.- mi rimproverò per poi continuare a leggere.

Nonostante lei mi riprendeva sempre più spesso io la stuzzicavo, stavamo instaurando un bel rapporto. Per quanto possa essere fattibile visto che era comunque una mia professoressa. Seguiva molto sia me che i miei fratelli nelle altre materie, visto che era stata incaricata di aiutarci. Infatti, dopo la fine dell'orario scolastico, dovevo rimanere per più di un'ora per recuperare il programma di italiano. E a quanto pare ero io quella che era rimasta più indietro di tutti, visto che nessuno dei miei fratelli sarebbe venuto. Rose sicuramente aveva studiato per conto suo tutto il programma, Julian con la sua aria da bravo ragazzo aveva conquistato la prof di italiano e Cameron  aveva copiato le verifiche da Rose.
Quindi adesso mi toccava rimanere con la Castillo a scuola a fare italiano. Che gioia.
Prima di iniziare andai nel giardino della scuola a fumare una sigaretta. Fumavo molto, forse anche troppo per una ragazza di diciassette anni. A differenza dei miei fratelli, che anche loro fumavano, a me un pacchetto di sigarette durava si e no un giorno. Era un vizio che avevo preso un anno fa circa, da quando la mia vita mi si è rivoltata contro.

-Ti fa male fumare- la prof Castillo spuntò alle mie spalle spaventandomi.

-Lo so- dissi per poi buttare fuori il fumo. Mi guardò con un sopracciglio alzato.

-E allora perché lo fai?- mi chiese. Buttai il mozzicone per terra spengendolo con la punta delle Vans.

-Per non morire di nervosismo- 

Lei annuì impercettibilmente con la testa. -Che ne dici di iniziare. Prima cominciamo prima sarai libera- disse accennando un sorriso.  Feci si con la testa ed entrammo a scuola.
Ci mettemmo in aula insegnanti che era completamente deserta. Lei si prese un caffè dicendo che se no rischiava di addormentarsi.

-Hai mai sentito parlare di Dante?- mi chiese appena tirai fuori i libri di testo. Non mi era mai piaciuta la letteratura, preferivo mille volte la matematica.

-Mi pare che sia quello che ha scritto la Divina Commedia- risposi incerta. Era una prof molto esigente lei. Pretendeva molto da tutti, ma in particolare da me. Chissà perché.

-Bene. Allora possiamo iniziare da qui-

Per quello che mi sembrò un'eternità andai avanti a leggere dei capitoli in un italiano che capii veramente poco. Mi domandavo come avessero fatto i miei fratelli a fare ste cose. Era veramente incomprensibile, non azzeccavo una parola che sia una. Sentivo il mio cervello andare in fumo.

-Possiamo fare una pausa?- chiese dopo un po' facendo la mia migliore faccia da cucciolo. Ma tutto quello che ottenni fu un'espressione impassibile. 

-Abbiamo ancora tante cose da fare. Se solo ti concentrassi un po di più. Andiamo avanti forza- mi rispose con la sua solita severità. Sconfitta mi accasciai sul banco.

-Ho bisogno di una sigaretta...- pigolai. Mi mancava la mia dose di nicotina all'ora. Lei mi guardò sorpresa.

-Ma hai fumato si e no mezz'ora fa!- esclamò. Mi strinsi nelle spalle accennando un sorriso.

-Fumo tanto- dissi solamente. Non avevo alcuna intenzione di rimettermi ancora sui libri adesso.

-Va bene, come vuoi. Basta che poi finiamo questi due capitoli- mi disse seria. Io annuii contenta. Con mia grande sorpresa venne anche lei fuori con me. Ci mettendo sedute su una panchina.

-Come mai sei sempre così nervosa?- mi chiese dopo un po'. Guardai un uccellino posarsi su un sasso. Avrei voluto non risponderle, ma avevo come il sospetto che non mi avrebbe lasciata stare se no.

-Ho troppo tempo per pensare- sentivo il suo sguardo fisso su di me, ma non la guardai. Calò il silenzio.

-Vi siete trasferiti qui in Italia per lavoro di tuo padre?- mi domandò. Avrei voluto riderle in faccia, ma non mi sembrava il caso. Buttai il mozzicone lontano da me e mi accesi un'altra sigaretta. Questi discorsi mi agitavano non poco.

-Per lavoro di mia madre. Mio padre non c'è più- La vidi sgranare gli occhi dalla sorpresa, come ogni persona che lo veniva a sapere.

- Oddio, scusa. Mi dispiace tanto! Non pensavo fosse morto- esclamò. Cosa?! Aveva capito che era morto? Bhe forse per me era come morto, ma in realtà no...
-No, prof, non è morto. Mia madre ci ha avuti quando lei aveva 16 anni e lui 18 per uno sbaglio. Inizialmente lui aveva fatto di tutto per cercare di convincere mia madre ad abortire, ma lei non lo fece. Per i primi anni vivevamo tutti insieme, ma loro due non andavano molto d'accordo. Anzi, litigavano sempre, certe volte alzava anche le mai con mia madre. Poi, fortunatamente, quando avevo più o meno 8 anni se ne andò di casa urlando contro me e i miei fratelli che eravamo il più grande errore che avesse mai fatto, che fosse stato per lui neanche saremmo nati. Quindi, no non è morto, ma lo vorrei tanto- spiegai.

Mi guardai attentamente la punta delle scarpe. Certe volte mi facevo pena da sola, diciamo che non ho avuto una vita propriamente felice. Odiavo nostro padre per tutto il male che aveva fatto a nostra mamma e come trattava i miei fratelli. Sarebbe stato mille volte meglio se fosse scappato prima che nascemmo, avrebbe risparmiato molte sofferenze.
Anche se da un lato ho sempre desiderato avere un papà, anche se non sapevo cosa significava. Certo, la mamma aveva cercato in tutti i modi di compensare alla mancanza di un genitore, ma non era la stessa cosa. Non sopportavo le persone che quando litigavano con un genitore poi si lamentavano dicendo di avere la mamma o il papà peggiori del mondo. Dicevano che avrebbero voluto essere orfani o cose del genere. Erano solo dei superficiali del cazzo. Io avrei pagato oro pur di avere un papà che rompeva i coglioni, come dicono loro.

-Mi dispiace, Shane. Deve essere stato difficile- commentò la prof risvegliandomi dai miei pensieri. Calciai un sasso con la scarpa, buttando il secondo mozzicone.

-Abbastanza- mormorai grattandomi la testa. Lei mi accarezzò un braccio, con aria un po impacciata. Un brivido mi corse giù per la schiena. Le feci un sorriso anche se un po' tirato.
Adesso che ci pensavo non mi era mai risultato così facile parlare di me con un'altra persona.
Forse era perché lei non mi trattava come se fossi una disadattata o faceva finta capirmi.



Alla prossima:)

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


-Ragazzi la pronuncia in inglese è importante! Se sbagliate anche solo una sillaba non vi capisce nessuno.- la prof Castillo era ormai esasperata. Sembrava quasi che in questa classe nessuno avesse mai sentito parlare in inglese. Avevano una pronuncia a dir poco penosa. -Josh is going tu go bai bas next dei. - Questa era tipo la decima volta che Sonia, una ragazza del tutto anonima, ripeteva sempre la stessa frase.
Improvvisamente la prof si illuminò come se avesse avuto un'idea.

-Shane, leggi tu per favore- mi disse. Sorrisi soddisfatta, finalmente aveva capito che potevo essere d'insegnamento a questo branco di ragazzini.

-Josh is going to go by bus next day- dissi semplicemente. 

-Perfetto, adesso fate tutto il contrario di quello che ha fatto lei- disse. Ci rimasi malissimo. La classe scoppiò in una leggera risatina, si sentiva soprattutto Julian da dietro con la sua voce  roca e bassa.

-Noi qui studiamo l'inglese dell'Inghilterra, non l'americano-spiegò poi. Alzai le sopracciglia.

-Almeno a me non sembra che abbiano infilato un palo su per il culo quando parlo- risposi sorridendo beffarda. Adesso la classe scoppiò in una fragorosa risata, tranne la prof che mi guardava male. Durante la prima settimana avevo capito quanto fosse divertente farla innervosire. 

-Shane, modera il linguaggio.- mi rimproverò per poi continuare a leggere.

Nonostante lei mi riprendeva sempre più spesso io la stuzzicavo, stavamo instaurando un bel rapporto. Per quanto possa essere fattibile visto che era comunque una mia professoressa. Seguiva molto sia me che i miei fratelli nelle altre materie, visto che era stata incaricata di aiutarci. Infatti, dopo la fine dell'orario scolastico, dovevo rimanere per più di un'ora per recuperare il programma di italiano. E a quanto pare ero io quella che era rimasta più indietro di tutti, visto che nessuno dei miei fratelli sarebbe venuto. Rose sicuramente aveva studiato per conto suo tutto il programma, Julian con la sua aria da bravo ragazzo aveva conquistato la prof di italiano e Cameron  aveva copiato le verifiche da Rose.
Quindi adesso mi toccava rimanere con la Castillo a scuola a fare italiano. Che gioia.
Prima di iniziare andai nel giardino della scuola a fumare una sigaretta. Fumavo molto, forse anche troppo per una ragazza di diciassette anni. A differenza dei miei fratelli, che anche loro fumavano, a me un pacchetto di sigarette durava si e no un giorno. Era un vizio che avevo preso un anno fa circa, da quando la mia vita mi si è rivoltata contro.

-Ti fa male fumare- la prof Castillo spuntò alle mie spalle spaventandomi.

-Lo so- dissi per poi buttare fuori il fumo. Mi guardò con un sopracciglio alzato.

-E allora perché lo fai?- mi chiese. Buttai il mozzicone per terra spengendolo con la punta delle Vans.

-Per non morire di nervosismo- 

Lei annuì impercettibilmente con la testa. -Che ne dici di iniziare. Prima cominciamo prima sarai libera- disse accennando un sorriso.  Feci si con la testa ed entrammo a scuola.
Ci mettemmo in aula insegnanti che era completamente deserta. Lei si prese un caffè dicendo che se no rischiava di addormentarsi.

-Hai mai sentito parlare di Dante?- mi chiese appena tirai fuori i libri di testo. Non mi era mai piaciuta la letteratura, preferivo mille volte la matematica.

-Mi pare che sia quello che ha scritto la Divina Commedia- risposi incerta. Era una prof molto esigente lei. Pretendeva molto da tutti, ma in particolare da me. Chissà perché.

-Bene. Allora possiamo iniziare da qui-

Per quello che mi sembrò un'eternità andai avanti a leggere dei capitoli in un italiano che capii veramente poco. Mi domandavo come avessero fatto i miei fratelli a fare ste cose. Era veramente incomprensibile, non azzeccavo una parola che sia una. Sentivo il mio cervello andare in fumo.

-Possiamo fare una pausa?- chiese dopo un po' facendo la mia migliore faccia da cucciolo. Ma tutto quello che ottenni fu un'espressione impassibile. 

-Abbiamo ancora tante cose da fare. Se solo ti concentrassi un po di più. Andiamo avanti forza- mi rispose con la sua solita severità. Sconfitta mi accasciai sul banco.

-Ho bisogno di una sigaretta...- pigolai. Mi mancava la mia dose di nicotina all'ora. Lei mi guardò sorpresa.

-Ma hai fumato si e no mezz'ora fa!- esclamò. Mi strinsi nelle spalle accennando un sorriso.

-Fumo tanto- dissi solamente. Non avevo alcuna intenzione di rimettermi ancora sui libri adesso.

-Va bene, come vuoi. Basta che poi finiamo questi due capitoli- mi disse seria. Io annuii contenta. Con mia grande sorpresa venne anche lei fuori con me. Ci mettendo sedute su una panchina.

-Come mai sei sempre così nervosa?- mi chiese dopo un po'. Guardai un uccellino posarsi su un sasso. Avrei voluto non risponderle, ma avevo come il sospetto che non mi avrebbe lasciata stare se no.

-Ho troppo tempo per pensare- sentivo il suo sguardo fisso su di me, ma non la guardai. Calò il silenzio.

-Vi siete trasferiti qui in Italia per lavoro di tuo padre?- mi domandò. Avrei voluto riderle in faccia, ma non mi sembrava il caso. Buttai il mozzicone lontano da me e mi accesi un'altra sigaretta. Questi discorsi mi agitavano non poco.

-Per lavoro di mia madre. Mio padre non c'è più- La vidi sgranare gli occhi dalla sorpresa, come ogni persona che lo veniva a sapere.

- Oddio, scusa. Mi dispiace tanto! Non pensavo fosse morto- esclamò. Cosa?! Aveva capito che era morto? Bhe forse per me era come morto, ma in realtà no...
-No, prof, non è morto. Mia madre ci ha avuti quando lei aveva 16 anni e lui 18 per uno sbaglio. Inizialmente lui aveva fatto di tutto per cercare di convincere mia madre ad abortire, ma lei non lo fece. Per i primi anni vivevamo tutti insieme, ma loro due non andavano molto d'accordo. Anzi, litigavano sempre, certe volte alzava anche le mai con mia madre. Poi, fortunatamente, quando avevo più o meno 8 anni se ne andò di casa urlando contro me e i miei fratelli che eravamo il più grande errore che avesse mai fatto, che fosse stato per lui neanche saremmo nati. Quindi, no non è morto, ma lo vorrei tanto- spiegai.

Mi guardai attentamente la punta delle scarpe. Certe volte mi facevo pena da sola, diciamo che non ho avuto una vita propriamente felice. Odiavo nostro padre per tutto il male che aveva fatto a nostra mamma e come trattava i miei fratelli. Sarebbe stato mille volte meglio se fosse scappato prima che nascemmo, avrebbe risparmiato molte sofferenze.
Anche se da un lato ho sempre desiderato avere un papà, anche se non sapevo cosa significava. Certo, la mamma aveva cercato in tutti i modi di compensare alla mancanza di un genitore, ma non era la stessa cosa. Non sopportavo le persone che quando litigavano con un genitore poi si lamentavano dicendo di avere la mamma o il papà peggiori del mondo. Dicevano che avrebbero voluto essere orfani o cose del genere. Erano solo dei superficiali del cazzo. Io avrei pagato oro pur di avere un papà che rompeva i coglioni, come dicono loro.

-Mi dispiace, Shane. Deve essere stato difficile- commentò la prof risvegliandomi dai miei pensieri. Calciai un sasso con la scarpa, buttando il secondo mozzicone.

-Abbastanza- mormorai grattandomi la testa. Lei mi accarezzò un braccio, con aria un po impacciata. Un brivido mi corse giù per la schiena. Le feci un sorriso anche se un po' tirato.
Adesso che ci pensavo non mi era mai risultato così facile parlare di me con un'altra persona.
Forse era perché lei non mi trattava come se fossi una disadattata o faceva finta capirmi.



Alla prossima:)

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Capitolo 6
*** 6. Capitolo 6 ***


Ormai era passato più di un mese da quando ci eravamo trasferiti. La mamma si era trovata subito bene con il lavoro, usciva spesso con le sue colleghe e si vedeva con un certi tipo di nome Alberto. Ero contenta che finalmente fosse riuscita a trovare un suo equilibrio che che fosse più o meno felice.
Laura, la mia ex compagna di banco fortunatamente, ci provava spudoratamente con Julian il quale non la degnava di uno sguardo. Cercava in tutti i modi di infastidirmi con le sue amichette, ragazze facili pure loro, ma tutto quello che facevano mi scivolava addosso come acqua. 
Julian era un po' il vip della scuola, tutti lo volevano come amico, cercavano di farsi vedere dagli altri in sua compagnia. Le ragazze facevano le troiette solo per ottenere la sua attenzione, manco fosse Brad Pitt. I prof stravedevano per lui, solo perché aveva l'aria da bravo ragazzo. Insomma, era lo stesso Julian di Los Angeles. 
Rose, inutile dirlo, aveva già la media più alta della scuola. In neanche una settimana si era iscritta a pallavolo, perchè lei era una ragazza che non sapeva stare senza fare niente neanche un pomeriggio. Inoltre si stava sentendo con un ragazzo della sua classe. L'ho visto solo una volta, per di più di sfuggita, ma posso dire che non era tutto sto granchè. Era un po' eccentrico sia nel modo di vestire che nel modo di fare, ma d'altronde si sentiva con Rose, non potevo aspettarmi un ragazzo normale. 
Cameron, invece, era sempre il solito. Ogni sera usciva con una ragazza diversa che puntualmente mollava il giorno dopo con scuse assurde. Come per esempio la scusa del "Mi dispiace tanto, ma sono troppo bello per poter stare con te. Non è colpa tua, ma mia.". Una volta l'ha davvero usata con una ragazza, con il risultato però di una mano stampata a fuoco su una guancia. 
Mentre io... A scuola mi ero più o meno ambientata, sia con i compagni che con i professori. Soprattutto con la Castillo, era davvero una persona stupenda. Mi trovavo benissimo a parlare con lei, era come se mi conoscesse da una vita. Era solare con tutti, mi metteva il buon umore anche quando era una giornata no. 

-Sai chi ha due tette da orgasmo?- se ne uscì fuori Cam sedendosi, o meglio lasciandosi cadere, sul divano di fianco a me. Si passò una mano tra i corti capelli nero corvino.
Io e la mamma stavamo vedendo un programma su mtv. 

-Nicky Minaj?- la buttai lì. Non so perché se ne usciva con ste domande. 

-Bhe si, oltre a lei. Victoria Lopez- Non mi erano nuovo quel nome, ma non mi ricordavo dove lo avevo sentito. 

-Mmh si forse...-risposi facendo spallucce. Lui mi guardò come se avessi detto qualcosa di scandaloso, una blasfema. 

-Cosa?!- alzò la voe di un'ottava e strabuzzò gli occhi azzurri, color del ghiaccio. -Allora mi sà non l'hai guardata bene oggi a scuola. Con quella canottiera che Indossava poi... Mi veniva voglia di tuffarmici in mezzo- disse gesticolando. 
Ah... forse adesso avevo capito. Doveva essere la tipa con i capelli rossi in classe sua. Ancora non l'aveva inquadrata bene, non ci aveva mai rivolto la parola. Non stravedeva per Julian e Cameron, e questo era già un punto a suo favore. Anche se aveva un po' quell'aria da bella e stronza, unpo' come Cam. 

-Vi ricordo che a vostra madre non interessano certi discorsi- si intromise la mamma sorridendoci innocentemente. Cam si strinse nelle spalle muscolose. 

-Sto solo sottolineando come stanno le cose- rispose. La mamma alzò gli occhi verdi al cielo, scuotendo la testa. 

-Comunque oggi sono entrato nella squadra di calcio- disse poi il moro.  Lo guardai un attimo, persa fra i miei pensieri. 
Tutti che avevano deciso di darsi allo sport. Rose con la pallavolo, Julian aveva optato per il basket e adesso Cameron nella squadra di calcio. Ed io ero rimasta l'unica che non faceva niente, non che me ne importasse. 

-Perché proprio calcio?- chiesi. Insomma, di tanti sport che c'erano proprio quello. In America non era uno sport molto praticato, anzi per niente, e Cam non ci aveva mai giocato. Il rugby e il basket erano gli sport principali nelle scuole di Los Angeles.  

-Mi ispirava, non mi andava di fare sempre le solite cose. E poi ho scoperto che c'è anche una squadra femminile. Potresti venire anche tu- mi disse. 
Io e lo sport eravamo sue cose completamente diverse. Non perché fossi negata, anzi,se mi ci mettevo ero anche abbastanza brava, era solo la voglia di fare che mi mancava.  Qualunque cosa richiedesse uno sforzo eccessivo non la facevo. 

-Mi dispiace deluderti, ma penso che passerò- risposi continuando a guardare la TV.  

-E se ti dico che non sono tutti dei maschiacci le ragazze che ci sono? E fidati, l'allenatorcie è una figa...- continuò imperterrito Cam, lasciando volutamente la frase in sospeso. 
Il fatto che ci fossero ragazze carine per un attimo mi fece rivalutare la cosa, ma poi tornai alla realtà. Non era il fatto in sè di giocare a calcio che non mi andava, era più che altro stare a contatto con altre persone. Poi in un gioco di squadra figuriamoci...

-Per una volta ha ragione Cam, potrebbe essere una buona occasione per conoscere qualche ragazza- si intromise la mamma improvvisamente interessata all'argomento. Se poi ci si metteva anche lei...

-Visto! Aspetta... ehi!- esclamò offeso Cameron. Mise il broncio. Scossi la testa. 

-Come se non ne fossi capace senza andare lì...- commentai. La mamma alzò gli occhi al cielo e abbassò il volume della televisione. 

-Non era questo quello che intendevo, e lo sai- mi ammonì lei. Sospirai stanca, ormai sembrava essere diventato un hobby per la gente cercare di aiutarmi. 
Mi alzai dal divano, mi era passata la voglia di guardare la TV.  

-Va bene, ci penserò. Ma non vi assicuro niente- risposi. Poi senza aspettare una risposta, me ne andai in camera mia. 
Fortunatamente Rose era in giro con il tipo che le interessava, quindi potevo starmene tranquillamente da sola in camera. Però, prima di entrare, l'occhio mi cadde sulla figura di Julian che si intravedeva dalla fessura che la porta aperta lasciava. Stava seduto sulla sedia della scrivania, con aria completamente assente. Non stava facendo niente, se non guardare il pavimento sotto di lui. 
Era strano vederlo così. 
Bussai piano alla porta. Lui si ridestò apparentemente, posando i suoi occhi vacui su di me. 

-Che fai?- gli chiesi entrando. Mi sedetti sul letto. Vicino a me, sul cuscino, c'era una foto di lui e Lily, la sua ragazza, strappata a metà. 
-Niente- rispose secco. Avevo un brutto presentimento, ma sperai con tutto il cuore che non fosse vero. 

-Tutto a posto?- gli chiesi e lui evitò il mio sguardo. 
Aveva due occhiaie sotto gli occhi azzurri molto marcate, segno che non  aveva dormito molto negli ultimi giorni. 

-No- disse mentre si passava una mano tra i capelli biondi chiari. Non lo avevo mai visto così giù di morale, aveva perso in qualche modo il suo caratteristico carisma.

-Ne vuoi parlare?- domandai con voce rassicurante, anche se non ero mai stata brava a consolare le persone. 

-Lily... mi ha lasciato- mormorò. 
Ecco. Lo sapevo. Mai che mi sbagliavo io, eh! 
Nascose il viso tra le mani. Chi meglio di me poteva capire come si sentiva? Chi meglio di me poteva capire il dolore martellante al petto che ti toglieva il respiro ad ogni battito del cuore? Nessuno. 

-E come mai?- Per alcuni minuti rimase zitto, tanto che credevo che non avesse sentito. Poi scoprì il viso sospirando stanco,aveva gli occhi lucidi. Stava cercando di rimanere calmo. 

-Secondo lei la tardivo, ha visto delle foto su fb dove Laura mi aveva taggato. Ma non è vero, non le farei mai una cose del genere- mi spiegò con voce apparentemente ferma, ma il suo viso era una maschera di dolore. Quanto lo capivo, purtroppo... Gli occhi gli si riempirono di lacrime, ma cercava in tutti i modi di trattenersi.  

-Hai provato a parlare?- chiesi. So che era una domanda banale, ma come ho detto non ero una persona molto brava nel dispensare consigli. 
Lui annuì solamente prendendosi testa tra le mani. Mi si strinse il cuore a vederlo in quello stato. Non lo avevo mai visto piangere, ero sempre abituata a vederlo con il suo solito sorriso sghembo. E poi, sinceramente, se c'era una coppia che secondo me non si sarebbe mai lasciata era mio fratello e Lily. Erano quasi anime gemelle, stavano insieme da 4 anni. Lei era una ragazza come tante altre, non particolarmente bella, simpatica, con il fisico nella norma. Non sapendo cos'altro dirgli mi sedetti sulle sue ginocchia lo strinsi al mio petto, cercando di infondergli calore. 

-So come ti senti. è uno schifo vero?- dissi. Lui annuì e poi appoggiò la testa al mio petto, in un gesto così inoccente.

-Vorrei poterti dire che passerà presto, ma non è vero. Ogni giorno sarà peggio, quel vuoto che senti di allargherà sempre di più fino a quando non avrai trovato qualcun'altra.- dissi. 
Lo sentii tremare tra le mie braccia. La gente era sempre stata bugiarda con me quando stavo male. Mi ripeteneva che sarebbe andato bene, che presto sarebbe finito tutto, che in fondo non stavo davvero male. E questo mi aveva buttato il morale sotto le scarpe, volevo che qualcuno mi dicesse come stavano realmente le cose. 

-Non riuscirò mai più a stare con una ragazza- mormorò sconosolato tirando su con il naso. 

-A scuola è pieno di ragazze che farebbero di tutto per averti, ne troverai sicuramente una che ti piace.- dissi mentre gli accarezzavo i capelli. Forse se ci pensava Rose riusciva a consolarlo meglio di me. 

-Ma io l'amo. Non penso che amerò nessun'altra come lei- disse. Non sapevo più cosa dirgli, perché lo capivo perfettamente. Era nella mia stessa situazione. E se io per prima non riuscivo a voltare pagina con Juliette, come potevo aiutarlo?  



Alla prossima ;)

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Capitolo 7
*** 7. Capitolo 7 ***


Mi trovavo a casa di Juliette, in camera sua. Mi guardai in torno, era tutto come mi ricordavo. Non era cambiato niente.  

-Shane, dobbiamo parlare seriamente- era la sua voce e il mio cuore perse un battito. Mi girai verso la porta e la trovai li, in tutto il suo splendore, era perfetta. Non pensavo che l'avrei rivista.
  
-Juliette...- mormorai a voce bassissima, tanto che non mi sentì. 
Mi alzai dal suo letto su cui ero seduta. Non mi sembrava vero che eravamo di nuovo insieme, non dopo tutto quello che avevamo passato. Una strana sensazione di euforia mi assalì.

-Non possiamo più stare insieme- disse secca. Il mondo mi cascò per la milionesima volta addosso. Non poteva averlo detto una seconda volta, noi due eravamo fatte per stare insieme. 

-Juliette, non possiamo lasciarci. Io... Mi sei mancata tantissimo...- parlai, quasi singhiozzai. Volevo prenderla tra le mie braccia e baciarla, ma sembrava lontana chilometri da me. Mi guardava con aria fredda, metteva i brividi. 

-Sono io che non voglio più stare con te. Tu non sei più la Shane che io ho conosciuto. Non sei più la stessa persona di cui mi sono innamorata- sputò con tutto la cattiveria che aveva. Cominciarono a scendermi le prime lacrime. Non poteva succedere un'altra volta, non avrei retto. 

-Ma io ti amo. Posso cambiare- dissi, quasi la pregai. Ma lei mi rivolse uno sguardo pieno di disprezzo. 

-Non cambierebbe niente, adesso io e Mark usciamo insieme. Non c'è più posto per te nella nostra vita- mi disse. Mi sentii mancare, avevo voglia di urlare. Non poteva farmi questo.
Provai a camminare verso di lei, ma ero come bloccata. 

-Juliette!- la chiamai, se ne stava andando.  Un'altra volta. Bastava solo un passo e potevo prenderla per un braccio. Ma non ci riuscivo. 

-Juliette, ti prego!- ero disperata. Mi sentivo morire. Ero a tanto così da averla con me... 
Mi guardò un'ultima volta e mi persi nei suoi occhi castani. Mi stava per dire qualcosa. Non feci in tempo a capire cosa che mi ritrovai non so come nella mia camera a Milano.  

-Shane!- qualcuno mi chiamò. Era Rose. 
Avevo il respiro affannoso ed ero madida di sudore. Mi trovavo seduta sul mio letto. Ci misi un po' a capire che era stato uno sogno. 

-Juliette...- le mie labbra si movevano da sole. Avevo addosso un senso di malinconia e sofferenza che non avevo mai provato. Scoppiai scoppiai a piangere. 
Le ferite si erano riaperte un'altra volta e sembrava che qualcuno ci avesse messo sopra il sale. 
Subito Rose si infilò nel letto con me e mi strinse in un abbraccio. 

-Era solo un incubo, non è successo niente- mi sussurrò all'orecchio mentre mi cullava tra le sue braccia. Piansi come non avevo mai fatto, sfogai tutto il mio dolore. 
Dimenticare Juliette era un'impresa titanica a quanto pare. Quel sogno era così reale... potevo ancora sentire il suo profumo. 
Piansi finché non avevo più lacrime. 

-Shane, va tutto bene. Calmati ora- Rose provò a tranquillizzarmi massaggiandomi la schiena. Mi sforzai di riacquistare il controllo. Ancora scossa dai singhiozzi mi raggomitolai contro il suo petto, avevo bisogno che qualcuno mi facesse sentire al sicuro in questo momento. 

-Hai sognato ancora lei?-mi chiese dopo un po'.  Annuii solamente, non avevo neanche la forza di rispondere. Mi rannicchiai contro di lei, nascondendo il volto tra il suo seno. La senii sospirare pesantemente.

-Dormi adesso- disse lasciandomi un bacio sulla fronte. 
Inutile dire che rimanei tutta la notte a rimuginare su Juliette e Mark. Così la mattina seguente ero in un pessimo stato. Le occhiaie che avevo facevano impressione ed ero pallida come il latte. 
Molto lentamente mi preparai e scesi giù in cucina dove c'erano gli altri.  

-Buongiorno, tesoro- mi salutò la mamma dandomi un bacio in fronte. Poi mi guardò meglio mettendosi una mano sul fianco.  

-Dormito bene?- mi chiese. Feci una smorfia contrariata sedendomi al tavolo.  

-Per niente- risposi sbuffando. Era inutile negare l'evidenza: ero veramente uno zombie.
Rose doveva averle già detto tutto.  

-Vuoi rimanere a casa?- mi domandò apprensiva. Le feci un sorriso anche se tirato, per farle capire che era tutto a posto.
 
-No no, vado a scuola, non sto mica male.- risposi. Rose mi lanciò un'occhiata indecifrabile mentre scriveva qualcosa al cellulare. 

-Sicura?- insistette la mamma. 
Oddio... 

-Certo. Anzi, ci vado a piedi. Così può darsi che mi sveglio un po'- dissi alzandomi dalla sedia. La mamma mi guardò una attimo indecisa. Sospirò. 

-Va bene, ma per qualunque cosa chiamami.- si preoccupò. Le diedi un bacio sulla guancia  sorridendole. 
Uscii di casa e il freddo mattutino mi colpì in pieno. Non era neanche una bella giornata, di bene in meglio. 
La scuola distava più o meno venti minuti a piedi, potevo camminare tranquillamente. Avevo proprio bisogno di rimanere da sola. Sarei entrata nella squadra di calcio, avevo deciso. Ero arrivata alla conclusione che avevo veramente tanto tempo libero che occupavo a pensare e ripensare alle solite cose, finendo per deprimermi.  
Neanche a dirlo cominciò a piovere. Merda! Mi riparai sotto la tenda di un negozio per controllare se nello zaino avessi un ombrello che ovviamente non avevo. La mia sfortuna non aveva mai fine. Imprecando contro tutti i santi corsi cercando di coprirmi alla meno peggio con il giubbotto. Arrivai a scuola che ero completamente bagnata. E neanche a dirlo le lezioni erano già cominciate.
Non per proprio la mia giornata. 
Bussai avevo alla porta della mia classe prima di aprirla.

-Shane, ma cosa hai fatto?- mi chiese la prof Castillo non dandomi neanche il tempo di sedermi al mio posto.

-Ero a piedi e mi sono presa la pioggia- risposi. Ero come appena uscita dalla doccia.
In ultima fila vidi Julian buttato sul banco, sembrava che stesse dormendo.

-Sei completmente zuppa, ti ammalerai- mi disse la prof preoccupata. Feci spallucce. Stavo per risponderele quando una mia compagna parlò.
-Puoi metterti i vestiti che teniamo nell'armadio. Noi li usiamo per le emergenze- doveva chiamarsi Chiara se non sbagliavo. Era una dei pochi che non mi stavano sul cazzo.

-Oh, thanks.- li presi e andai in bagno a cambiarmi. Dovevano essere di qualche maschio visto che erano quasi il doppio di me. Erano un paio di jeans larghi e consumati e una felpa rossa sbiadita. Mi asciugai come meglio potei i capelli con i fazzoletti di carta, ma rimasero un po' umidi. Tornai in classe con passo stanco.

-Bhe, dire che sono proprio sexy così- dissi sarcastica e tutta la classe scoppiò a ridere. Mi trascinai al mio banco lasciandomi poi cadere seduta. Adesso la stanchezza della nottata passata in bianco si faceva sentire, eccome. Volevo solo dormire e non svegliarmi più, non chiedevo molto. Appoggiai la testa sul banco.
La prof continuò a spiegare qualcosa della grammatica inglese. La sua voce era calda e mi cullava. Mi ritrovai a pensare a quanto fosse bella. Non era una bellezza che ti colpiva subito, dovevi capirla. La cosa migliore poi erano gli occhi, verdi come lo smeraldo, di un verde scuro che ti penetrava fin dentro l'anima. Mai visti degliocchi simili, neanche quelli di Juliette erano belli come i suoi.
E questa cosa mi spaventava alquanto. Era da un po' di tempo che pensavo parecchio alla Castillo, ma non come professoressa. E mi ritrovavo spesso ad ammettere che sotto certi punti di vista era molto meglio di Juliette. 
Come il sorriso per esempio. Era uno di quelli che ti scobussolavano, che ti mettevano felicità ma allo stesso agitazione, perché sapevi che stava sorridendo proprio a te. E questa cosa dell'agitazione l'avevo provata anche con Juliette.
Ogni volta che la Castillo mi rivolge anche solo uno sguardo sentivo qualcosa muoversi in me. Mi sentivo strana, in fibrillazione. Se mi faceva una battutina delle sue arrossivo immediatamente, neanche fossi una ragazzina di 12 anni.

-Water! Stai dormendo per caso?- mi alzai di scatto dal banco sentendomi chiamare. Neanche mi ero accorta che era finita l'ora  di inglese e che il prof di matematica stava già iniziando la lezione. Mi passai una mano sulla faccia, cercando di apparire il più sveglia possibile.

-No, no. Non mi permetterei mai, le sue lezione sono sempre così stimolanti!- risposi sarcastica. La classe scoppiò a ridere divertita. Lo vidi avvampare dalla rabbia, forse avevo esagerato un po'.
Si vede che un po' di fortuna allora ce l'avevo anche io, perché la prof Castillo bussò alla porta prima che il prof potesse urlarmi contro.

-Scusami Marcello, Shane può uscire 5 minuti? Devo discutere di una cosa- disse la prof. Alzai le sopracciglia. Il mio stomaco sussultò quando mi puntò gli occhi addosso.

-Certo, fai pure. Tanto la stavo giusto cacciando dalla classe- rispose il prof. Mi alzai dalla sedia sistemandomi la felpa troppo grande per me.

-Ma prof, dicevo sul serio! Le sue lezione sono così stimolanti per il sonno!- risposi mentre passavo davanti alla cattedra. Ancora una volta i miei compagni risero e il vecchio diventò rosso dalla rabbia. La prof Castillo mi prese per un braccio tirandomi fuori dalla classe.

-Grazie!- disse velocemente al prof per poi chiudersi la porta dietro. Poi si girò a guardarmi scuotendo la testa in segno di disapprovazione.

-Cosa gli hai fatto?- mi chiese. Io mi strinsi nelle spalle mettendomi le mani in tasca. 

-Niente, stavo solo appoggiata sul banco- risposi con aria innocente. Lei mi rivolse uno sguardo di ammonimento.

-Vieni che ti offro un caffè- disse per poi incamminarsi verso le macchinette.

-Lo sa vero, che non si fa? Portare un'alunna fuori dalla classe per prendersi un caffè...- le dissi.

-Puoi tranquillamente ritornare in classe a fare matematica- disse con aria da sfida.

-Rimango solo perché ho bisogno assolutamente di un caffè- risposi sedendomi con lei in un banco in sala professori che anche oggi era vuota. In un sorso finii il mio caffè, dovevo proprio svegliarmi. 

-Comunque ti ho chiamato fuori perché volevo chiederti come stai? Non hai proprio una bella cera oggi- mi disse sorseggiando il suo caffè. Non capii quello che mi aveva detto, c'erano ancora alcune parole e modi di dire in italiano che mi sfuggivano. 

-Non ho una bella cera? Che significa?- domandai confusa.

-Che non sembra che tu stia molto bene. È tutto okay?- chiarì guardandomi preoccupata. Le accennai un sorriso, ero contenta che si fosse interessata a me.

-Sì, va tutto bene. Ho solo dormito poco sta notte- risposi omettendo volutamente dei particolari. Lei mi rivolse uno sguardo titubante. 

-Sicura? Non mi sembri molto convinta- Giocherellai con il bicchierino di plastica del caffè, non sapendo cosa dire.

-Sì, è solo che...- non riuscii a completarei la frase, la mia testa in questo momento stava pensando ad un sacco di cose, era un caos.Lasciai un sospiro scuotendo la testa. -Niente, è tutto a posto- risposi.
Cosa credevo di fare?! Di raccontarle di Juliette e tutto il resto? Certe volte mi stupivo di me stessa. La prof mi guardava in modo strano.

-Sei vuoi sfogarti puoi farlo. Se posso fare qualcosa per aiutarti lo farei, mi dispiace vederti così giù di morale- mi accarezzò i capelli. Non riuscii a staccare gli occhi dal tavolo.

-Non è facile. Vorrei farlo, ma... tutte le volte che mi sono aperta con le persone ne sono rimasta ferita- dissi. Non ero mai stata brava a sfogarmi con gli altri, a rendermi in qualche modo vulnerabile. Questo è sempre stato uno dei miei più grandi diffetti.
Mi prese una mano e a quel contatto avvampai subito. Mi aveva colto di sorpresa.

-Magari non erano le persone giuste- rispose. Mi sentivo ardere sotto quel tocco. Non riuscii a formulare una frase di senso compiuto, il mio cervello ero come andato in tilt. Lei non sembrò accorgersene.

-Maybe. Only that my life is pretty complicated. You can't understand- dissi. Non mi accorsi di aver parlato in inglese finché lei non alzò le sopracciglia sorpresa.

-How do you know?- mi chiese con la sua pronuncia british che tanto adoravo. I suoi occhi mi guardavano nel profondo dell'anima, sembravano scavarmi dentro. Mi sentivo nuda sotto il suo sguardo. Mi stavano chiedendo silenziosamente di provare ad aprirmi con lei.
Decisi di provarci. Il mio senso di volontà si annullava con lei. Sperai solo di non pentirmene.
Lei mi sembrava una persona diversa da tutte le altre che avevano fatto parte della mia vita, ma sapevo che non dovevo sognare troppo. E poi era comunque una mia insegnante...

-Tutte le persone a cui ho dato un pezzo del mio cuore mi hanno lasciata inevitabilmente da sola. Mio padre, bhe... gliel'ho già raccontato. La mia ragazza, il mio migliore amico... se ne sono andati, come se non gliene importasse niente di me- spiegai. Sentivo un nodo alla gola che non mi permetteva di respirare.
Il suo sguardo era puntato su di me. La sua mano ancora nella mia. Stavo provando così tante emozioni che non ci stavo capendo più niente.

-Mi dispiace- ormai parlavamo soltanto in inglese.
Mi sentivo come un fiume in piena, volevo dirle tutto, senza pensare poi alle conseguenze.

-Da quando mio padre ci ha lasciati, ho sempre pensato che fosse colpa mia, che in qualche modo non ero la figlia che lui si aspettava. E forse è vero. Non mi sono mai sentita abbastanza con tutti. Neanche con Juliette. Lei era fantastica, mentre io non potevo darle niente. Mi sentivo un peso nella sua vita. Però l'amavo, più di ogni altra cosa. Dopo mesi che eravamo insieme lei mi ha lasciata, dicendo che non ero più la stessa persona di cui si era innamorata. Il fatto era che involontariamente mi ero allontanata da lei. Ho provato più volte a farle cambiare idea, ma lei non ne voleva sapere. Così se n'è uscita dalla mia vita facendomi soffrire come un cane. Io la amo, ma a quanto pare lei no. Io le avevo permesso di entrare nella mia vita e lei mi ha calpestata. Sono pure arrivata ad odiarla per questo, anche se mi manca più di ogni altra cosa-raccontai.
Mi sentivo svuotata adesso. Mai nella mia vita mi era parso più facile parlare così liberamente con qualcuno.
Aspettavo una risposta dalla prof, che non tardò ad arrivare.

-E il tuo migliore amico cosa c'entra?- mi chiese.
La sua mano era ancora appoggiata alla mia, era come un'ancora per me.

-I successivi quattro mesi sono stata malissimo. Non mangiavo, non parlavo e non uscivo più dalla mia camera. Soffrivo anche di attacchi di panico. Mia madre era preoccupatissima tanto da volermi mandare da uno psicoanalista. Ma io non volevo, mi sembrava inutile. Così un giorno Cameron mi ha praticamente trascinata in una discoteca perché voleva che mi distraessi un po'. Inutile dire che non mi ero per niente divertita. Dopo che ebbi avvisato Cam che sarei tornata a casadasola mi incamminai per la strada. Erano tipo le 2 di notte e non c'era nessuno in giro. Ero quasi arrivata a casa quando un tipo esce fuori da un vicolo e mi trascina con sé. Mi ha chiuso in una macchina con lui e poi... Bhe non penso che serva raccontare tutto...- parlai quasi tutto d'un fiato.
Penso che sia stato il discorso più complicato che io abbia mai fatto. Puntai gli occhi su di lei per vedere la sua reazione: spalancò gli occhi esterrefatta diventando improvvisamente pallida. Era la prima persona, oltre ai miei familiari, a cui l'ho raccontato. Neanche Juliette lo sapeva.
Avevo preferito non rispondere alla sua domanda su Mark, sentivo che se avessi parlato di lui sarei scoppiata a piangere. 

-Oddio... Io... Non lo sapevo, scusami...- non trovò le parole giuste. In quel momento mi venne anche da ridere. Mi sentivo talmente confusa che non sapevo cosa fare.

-Vederla balbettare non è una cosa da tutti i giorni- le presi in giro ridendo appena. Lei non si aspettò che glielo dicessi, infatti rimase un attimo a guardarmi spaesata. Poi assottigliò gli occhi dandomi uno schiaffo sulla mano.

-Scema...- mi ammonì alzando gli occhi al cielo.

-Cercavo solo di alleggerire la situazione- risposi grattandomi la testa. Dovevo assolutamente buttarla sul ridere, non volevo passare per la vittima.

-Tranquilla, non mi fai pena, solo... Ci sono rimasta un attimo, non pensavo che ti fosse successa una cosa del genere. Penso che tu sia una persona forte e da ammirare, davvero- disse accarezzandomi un braccio. Mi aveva spaventata, sembrava che mi avesse letto nel pensiero. Quella donna mi sorprendeva sempre di più. 

-Thanks...- mormorai lasciandole un sorriso sincero.

-Figurati, ragazzina.- mi scompigliò i capelli ridendo. Avvampai. -Che ne pensi dopo di andare a mangiare un gelato invece di studiare italiano?- chiese. Era un appuntamento per caso? Alzai le sopracciglia contenta.

-E me lo chiede pure?- risposi. Lei rise divertita.

-Hai ragione, è meglio se rimaniamo a studiare, dovrei saperlo ormai che sei completamente devota a Dante- mi prese in giro. Mi scappò un sorrisetto.

-Oh si certo, lui e il suo maledetto italiano incomprensibile...-  commentai alludendo all'italiano che usava, non ci capivo una mazza... La prof scoppiò a ridere divertita.



Alla prossima:)

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Capitolo 8
*** 8. Capitolo 8 ***


Stavo distesa sul mio letto a leggere un libro quando Rose entrò im camera come una furia. Lasciò cadere la borsa e si sedette sul mio letto guardandomi con aria felice. 

-Hey...- dissi confusa. Che le prendeva? Non mi staccava gli occhi di dosso. Sempre con aria abbastanza inquietate battè le mani spaventandomi. 
Okay, anche Rose era andata. 

-Allora, non hai niente da dirmi?- chiese quasi euforica. Mi spaventava vederla così. Lasciai il libro aperto sopra il mio petto. 
Cercai di ricordarmi cosa avevo fatto di tanto importate da doverglielo raccontare con così tanta urgenza. 

-Mmh, no...- risposi incerta. Lei alzò gli occhi al cielo senza però perdere quel sorrisetto che aveva da quando era entrata. Stavo cominciando ad irritarmi.

-L'altro ieri ti ho vista a scuola parlare con la prof di inglese- disse. Alzai le sopracciglia. Che si era fatta di qualche cosa? Non la capivo proprio oggi. 

-Già, è una mia insegnante e ci parlo. Non è così strano- dissi ovvia. Lei si passò una mano tra di capelli avvicinandosi di più a me. Mi faceva paura. 

-Vi ho viste in aula insegnanti e tu le parlavi di Tu-Sai-Chi come se niente fosse. Sono così felice per te! E poi lei ti guardava in modo così... aaaah! Sareste bene insieme!- parlò a raffica. Sbarrai gli occhi sorpresa, diventando pallida. 

-Uau, calma, aspetta un attimo. Io starei bene con la Castillo?- chiesi con voce di un'ottava più alta del normale. Ero sconvolta, non le avevo mai parlato di lei. 

-Sì! Mi sono accorta del modo in cui ti comporti con lei, sei così dolce. E lei ogni volta che non vieni a scuola mi chiede subito perché non sei venuta, si preoccupa per te- disse. 
L'idea che chiedesse addirittura a Rose il motivo per cui non andavo a scuola mi fece sorridere come un ebete, poi ritornai alla realtà. 

-Rose, lei non mi piace così come io non interesso a lei. Sarebbe una follia. E poi se anche fosse sarebbe impossibile, ti ricordo che è una mia professoressa- dissi. Lei fece un gesto con la mano come a dire che erano dettagli. 

-Penso che sarebbe la persona perfetta per te. È proprio la ragazza che ti serve-  non ce l'avrei fatta. Non le avevo neanche mai parlato della Castillo e lei già si faceva film mentali su di noi. Non lo facevo io e giustamente ci pensava lei. 
Non la sopportavo quando faceva così, sembrava che non vedesse l'ora che mi mettessi insieme a qualcuno. 

-Dio santo, Rose! Ma hai sentito quello che ho detto? Non mi interessa! Non puoi sempre intrometterti nella mia vita! Forse c'era un motivo per cui non te ne ho parlato, no? - esclamai improvvisamente arrabbiata. -Il mio cuore appartiene a Juliette!- dissi assottigliando gli occhi. 
Lei sgranò gli occhi azzurri allontanandosi, come se l'avessi schiaffeggiata. 
Ed ecco che quel nodo alla gola ritornò.
Sapevo che non era del tutto vero. Avrei per sempre amato Juliette, non l'avrei mai dimeticata. Ma adesso che la Castillo era entrata nella mia vita, sentivo come se una breccia nel muro che mi ero costruita si stava aprendo. E questa cosa mi spaventava non poco, mi destabilizzava.  

-Io... devo andare- dissi alzandomi dal letto e uscendo dalla camera sotto il suo sguardo dispiaciuto. 
^^^^

Ero al parco da ormai quasi due ore. Aveva cominciato a fare buio e il vento che tirava era troppo gelido per essere marzo. Non c'era nessuno in giro. 
Il cellulare che avevo in tasca vibrò improvvisamente, era Julian. 

-Julian?-

-Hey, dove sei?- mi chiese subito. 

-Al parco, perché?- non lo avevo praticamente visto oggi, a parte a scuola. Sembrava stare meglio del giorno in cui la sua ragazza lo aveva lasciato. Non pensavo che ci mettesse così poco a superare la cosa, ne ero rimasta sorpresa.

-Aspettami li, arrivo subito- disse concitato. Aggrottai le sopracciglia.  

-È successo qualcosa?- chiesi diffidente. 

-No, cioè si... Bhe, devo parlarti- disse e poi riattaccò subito, senza darmi il tempo di rispondere. 
Sospirai. 
Oggi la giornata era iniziata più che bene. Prima di tutto non avevi sognato Juliette e compagnia bella, era già un passo avanti. Avevo avuto due ore di inglese, che avevo passato a stuzzicare la Castillo, quella ragazza mi faceva impazzire, giuro. Poi sono andata al primo allenamento di calcio. Aveva ragione Cameron quando aveva detto che la coach era da perdere la testa... E secondo me era anche lesbica, come del resto quasi tutte le mie compagne di squadra. Neanche il tempo di entrare nello spogliatoio a cambiarmi che mi avevano già chiesto se ero gay o no. Alcune erano proprio dei maschi mancati, altre invece se le avessi viste in giro per strada non avrei mai detto che giocavano a calcio. 

-Shane..- la voce di mio fratello da dietro mi fece spaventare. Aveva il fiatone, si vede che aveva corso. Gli feci un cenno con la testa, mentre mi accendevo una sigaretta. 

-Tutto a posto?- mi chiese guardandomi meglio. Scossi la testa facendo cadere la cenere dalla punta della sigaretta.

-Sì, ho solo avuto una discussione con Rose- risposi vaga. Non mi andava che anche lui sapesse della prof. Mi guardò un attimo prima di decidere di non chiedere altro, mi conosceva bene. 

-Oggi pomeriggio sono uscito con una ragazza- disse aprendosi in un sorriso da orecchio a orecchio. Oh, ero contenta per lui! E anche sorpresa a dire il vero. Neanche una settimana e aveva già dimeticato la sua ex. Beato lui...

-E bravo il mio fratellino- dissi scompigliandogli i capelli biondi. Lo guardai meglio, sorrideva con aria da ebete. -Dalla tua faccia deduco che ti piace la tua bella- dissi. Lui parve ritornare alla realtà, si grattò la testa. 

-Oh, si! Non l'ho conosciuta oggi, era da tempo che parlavamo insieme. Stamattina a scuola non so come ho avuto il coraggio a invitarla a fare un giro.- rispose. Sembrava che al posto degli occhi avesse due cuoricini. La sua allegria era contagiosa e stomachevole allo stesso tempo.
 
-Sì può sapere chi è la fortunata?- chiesi curiosa. Era raro vedere Julian così preso da una persona. Forse in questo ero come lui, non lasciavo mai trasparire i sentimenti che provavo per qualcuno. O almeno fino a oggi la pensavo così, ma a quanto pare non sono così brava a nascondere le mie emozioni. 
Julian mi rivolse un sorriso di scuse. 

-È in classe nostra, ed è bionda- rispose con aria colpevole. Non potei credere a quello che avevo sentito. L'unica ragazza bionda in classe nostra era Laura. Mio fratello era innamorato di lei, la stessa Laura che mi stava altamente sul cazzo. 

-Di tante ragazza che ci sono proprio con lei devi sentirti? E poi cosa ci vedi di interessante in una come lei...- dissi sconsolata. Non era possibile. Certo che Julian aveva proprio dei gusti del cazzo.Conoscevo le ragazze come Laura e sapevo che usavano i ragazzi solo per i loro scopi. 
Lui scosse la testa, ma non era sorpreso della mia reazione. 

-Lei non è come pensi te, è diversa. È... non so neanche come definirla. So solo che è perfetta. E penso proprio che mi piaccia- rispose. Cercai nella sua voce qualche nota di ironia, ma purtroppo era serissimo. Magari sono io che mi sbagliavo sul conto di quella ragazza... 

-E te ne sei proprio innamorato?- chiesi. 

-Bho, forse è presto per dirlo. So solo che mi fa sentire bene. Quando sono con lei ogni problema si annulla. I suoi occhi mi fanno evadere dalla realtà, mi portano in un mondo solo nostro. Sento il suo profumo ovunque. E certe volte mi ritrovo a pensare a come sarebbe se stessimo insieme. - rispose.
Si, era decisamente innamorato. Julian era sempre stato una persone che ci sapeva fare con le parole. Poi però pensai che erano le stesse sensazioni che provavo io per la Castillo, forse anche più forti. E ciò non poteva essere. Non potevo essermi innamorata di una mia prof, soprattutto se quasi un anno fa mi ero ripromessa di non innamorarmi più di nessuno. 

-Stai solo attento. Non voglio vederti un'altra volta soffrire- dissi spengendo la sigaretta. Il mio cervello si era annullato in questo momento, come succedeva sempre quando dovevo affrontare un problema più grande di me. Non riuscivo a pensare a niente. 

-Non succederà, non preoccuparti- disse sorridendomi allegro. 
Lo vedevo con la coda dell'occhio che mi stava guardando. Lasciò un sospiro e mi passò una braccio sulle spalle stringendomi a lui. Aveva capito che c'era qualcosa che non andava, ma non mi aveva fatto domande, sapeva che tanto non avrei risposto. 
^^^^

Rientrammo a casa che era quasi ora di cena. Cam stava guardando qualcosa alla TV, ma non c'era traccia di Rose. 

-Dove siete stati?- ci chiese la mamma che stava cucinando la cena, dall'odore sembrava pizza. 

-Un po' al parco a fare due passi.- rispose Julian mentre tentò di prendere un biscotto al cioccolato che doveva aver fatto la mamma prima. Lei gli diedi uno schiaffo sulla mano guardandolo male. 

-Dopo cena- disse solamente. A volte aveva l'abitudine di trattarci come se fossimo ancora piccoli, forse perché un po' l'idea che eravamo cresciuti la spaventava. 
Jul se ne andò di sopra strascicando i piedi. 
Io rimasi sola con la mamma. Volevo parlarle, ma non sapevo come fare, ero troppo in imbarazzo. 

-Devi dirmi qualcosa Shane?- mi chiese vedendomi torturare le mani ansiosa. 

-Sì... ehm... Un po' di tempo fa ho conosciuto una persona che... beh che mi interessa...- la buttai li balbettando. La mamma sgranò gli occhioni blu felicissima, si sedette al tavolo facendomi segno di imitarla.  

-Sono così contenta! E da quanto tempo che la conosci?- chiese sorridendomi allegra. Arrossii immediatamente. 

-Da quando ho iniziato scuola. Però ho paura... Insomma, già la situazione di per sè è difficile. E poi mi ero ripromessa che non mi sarei mai più affezionata a nessuno- risposi. Lei mi guardava come solo una madre sa fare. 

-So che è difficile, ma magari questa volta è la persona giusta- disse. Scossi la testa sconsolata. Magari... 

-Ma è difficile... non voglio un'altra volta soffrire a causa delle persone. Non penso di potercela fare ancora- mormorai. Era già stata un'impresa ricominciare a "vivere" dopo che Juliette e Mark mi avevano lasciata. Sento che un'altra volta e mi sarei rotta definitivamente. 
La mamma mi prese le mani tra le sue accarezzandomi il dorso con i pollici.
 
-Lei ti fa stare bene?- chiese, come se non mi avesse sentita. Io annuii come se fosse la cosa più ovvia del mondo. 

-E ti piace? Te ne sei innamorata?- chiese ancora. Diventai ancora più rossa in volto. 

-Penso di si- risposi. Lei mi sorrise con fare materno.  

-Allora fregatene, fidati di te stessa. Se ti sei innamorata di lei un motivo ci deve essere. Non stare troppo a pensarci e ripensarci, non farti troppe domande che tanto non le risposte non esistono. Se stare con lei ti fa stare bene allora fai di tutti per averla- mi disse. La mamma e le sue perle di filosofiche... Le sorrisi ringraziandola silenziosamente. 
Avrei fatto come mi aveva detto. Fino ad adesso aveva sempre e solo dato retta a me stessa, per una volta volevo fare il contrario, magari sarebbe andato tutto bene...
 
-Ma adesso me lo dici chi è?- mi chiese curiosa. Per la milionesima volta sentii il viso andarmi in fiamme, ormai sembrava che non facessi altro. 

-Ehm... è la mia prof di inglese- risposi come se fosse la cosa più normale del mondo.  Ah, dio santo! Possibile che ero così complicata in fatto di amore? La mamma rise divertita, alzando le sopracciglia. 

-Ti è sempre piaciuto l'accento inglese- commentò prendendomi in giro. Ora stavo andando a fuoco e lei se la rise ancora di più.  

-Non è vero!- esclamai alzandomi in piedi come una molla. Lei alzò le sopracciglia dubbiosa. 

-Vogliamo parlare di Kate?- chiese retorica. Kate era una ragazza di Liverpool che si era trasferita a Los Angeles. L'avevo conosciuta in seconda media e mi ero subito presa una cotta per lei, o meglio per il suo accento. Adoravo sentirla parlare, poteva dire anche cose senza senso e io ero la persona più felice del mondo. Peccato che poi ritornò a Liverpool, anche se ancora adesso qualche volta ci sentivamo. -Lei era un caso a parte- borbottai.
Scuotendo la testa si alzò dal tavolo e mi diede un bacio sulla testa. 

-Va bene, come vuoi te- disse riprendendo a cucinare. Era sempre stata un po' curiosa, anzi fin troppo, sui fidanzati dei suoi figli. Era più forte di lei, doveva sempre sapere tutto. 
Adesso però dovevo affrontare un bel problema. Rose. Avrei preferito mille volte camminare sui chiodi invece di parlare con lei in questo. Dopo una discussione, anche se era chiaramente dalla parte del torto, era intrattabile, quasi pericolosa. 
Entrai in camera che stava sistemando qualcosa nella sua borsa, mi dava le spalle. Mi schiarii la voce cercando di avere la sua attenzione, perché a quanto pare non si era accorta di me, oppure voleva ignorarmi.  Si spostò sulla scrivania dove prese dei fogli per metterli nella borsa. 

-Rose...- la chiamai incerta. Non mi degnò di uno sguardo, era incazzata come avevo previsto.  

-Cosa vuoi? Ti serve una sigaretta?- mi chiese, quasi ringhiò. Sospirai mettendomi le mani nelle tasche dei jeans. 

-No- Finalmente si girò verso di me mettendosi a braccia conserte, il suo sguardo era duro. Un brivido mi passò lungo la schiena, facendomi chinare la testa in giù. 

-Allora?- era spazientita. Non riuscii a guardarla in faccia. 

-Volevo... scusarmi, per prima. Non volevo veramente dirti certe cose- dissi con aria pentita, ma la sua maschera di freddezza non mutò. Quando era incazzata non c'era modo di parlarci. 

-Però le pensi- rispose glaciale. Non alzai la testa, mi sentivo troppo in colpa. Riuscivo solo a fare del male alle persone. 

-No, non è vero. Ero solo spaventata, mi hai presa in contro piede- dissi. Finalmente riuscii a guardarla. Sembrava una statua, non si era mossa di un centimetro. Mi guardava con aria severa tanto da farmi rabbrividire. 
C'erano giorni in cui ero emotivamente instabile, non capivo neanche io il perché. E questo era uno dei tanti giorni, se ancora non si era capito. 

-Comunque hai ragione: non mi intrometterò più nella tua vita, non sono affari miei. Scusami se mi preoccupo, visto che sono tua sorella e ci tengo a te. Ho passato mesi a vederti soffrire e distruggerti da sola, e credimi che non è stato un bel periodo neanche per me. Quindi mi sembrava normale essere contenta per te adesso che finalmente potresti essere di nuovo felice. Ma non preoccuparti, d'ora in poi mi terrò fuori dalla tua vita privata- dire che era incazzata era un euforismo. Quelle parole mi colpirono come uno schiaffo in pieno viso, potevo sentire anche il bruciore. 
Non potevo averla ferita così tanto, mi sentivo uno schifo. Cercai in tutti i modi di trattenermi seppur una lacrima sfuggì al mio controllo rigandomi una guancia. Ero particolarmente sensibile oggi. 
Non sapevo più cosa risponderle. La vidi lottare contro se stessa per rimanere arrabbiata. Sapevo meglio di chiunque altro che appena vedeva qualcuno piangere si scioglieva come un ghiacciolo, soprattutto se quel qualcuno ero io. 

-Mi dispiace. Io... scusami- mormorai scuotendo la testa. In questo momento odiavo me stessa e mi sentivo tremendamente in colpa. Rose non meritava di essere trattata così, assolutamente. Anzi... 
Improvvisamente sentii due braccia stringermi e il suo profumo mi investì. Non aveva resistito. 

-Mi farai impazzire prima o poi- mi disse in un orecchio mentre mi stringeva a lei. Rimanemmo per un po' così. Era sempre stato così il nostro rapporto, con alti e bassi. 
Litigavamo spesso, anche da piccole. la discussione più brutta che avevamo avuto era stata quando avevamo 6 anni più o meno. Le avevo chiesto se cambiava canale della TV perché non mi piaceva quel cartone, ma non voleva. Così io le avevo staccato la testa alla sua bambola preferita. Inutile dire che ci siamo messe ad urlare e quasi a menarci se non fosse arrivata la mamma in tempo. Eravamo tutte e due furiose e continuavamo ad urlare. Così la mamma ci aveva messe in punizione facendoci una predica sulla violenza e la vendetta, soprattutto a me. Ma nonostante tutto dopo neanche due ore avevamo già fatto pace e giocavamo insieme come se non fosse successo niente. 
Poi crescendo le litigate si erano fatte sempre più rare, ma ci perdonavamo sempre più tardi. Avevo paura che prima o poi saremmo arrivate al punto che non ci saremmo più riconciliate.  E forse questa poteva essere la volta...

-Ti prego, Rose... Ti giuro che non volevo dirti certe cose... Mi sento uno schifo adesso...- dissi ancora avvolta nel suo abbraccio. Fortunatamente ero riusciva a controllare le lacrime non scoppiando a piangere come una depressa. Mi staccai da lei sistemandomi i capelli. Non aveva detto niente, stavo entrando nel panico. Sperai veramente che l'avessi fatto del male, che non l'avessi ferita.

-Credimi... Io non... Cioè...- balbettai non riuscendo a trovare le parole giuste. Ero famosa per non riuscire esternare i miei sentimenti. Rose sembrava guardarmi divertita, in questo momento la stavo odiando.  

-Ah, sono un disastro- mormorai facendo dei cerchi invisibile sul pavimento con la punta del piede. Sapevo che adesso mi avrebbe abbracciato e perdonata subito, il trucco del "cagnolino abbandonato" funzionava sempre.

-Lo so- mi lasció spiazzata. Insomma... non era da lei darmi certe risposte! 

-In questi casi dovresti dire: "no non sei un disastro, come ti viene in mente!"- brontolai e lei scoppiò a ridere. Certe volte proprio non la capivo. 

-Ma é vero che sei un disastro- rispose. Ci rimasi male. -Ma ti perdono, perché se non combinassi casini non saresti tu. E poi anche io devo chiederti scusa. Non avrei dovuto intromettermi in quel modo- disse. Adesso si che la riconoscevo, la mia dolce e premurosa Rose...

-Pace?-
 Lei sorrise -Pace fatta- rispose. Mi ero tolta un peso dallo stomaco, mi sentivo più libera adesso. Mi sdraiai sul mio letto mentre lei riprese a sisemare i suoi libri di scuola. 

-Domani sera c'è una festa, io e Cam ci andiamo, vieni anche tu?- saltó fuori. 

Mi sorpresi che lei, la persona più introversa che conoscevo, andava ad una festa. -Non saprei...- risposi con aria svogliata. A dire la verità non avevo proprio voglia di andare in qualche casa con la musica a palla e con la paura che arrivasse la polizia. Non mi erano mai piaciute le feste. 

-Sto a cosa stai pensando: le feste qui non sono come da noi. É in un pub e non ci sará troppa gente. E in più c'è la prof di inglese- spiegò. Rimasi un attimo in silenzio. 
Era in un pub. Okay...  
Non ci sarà troppa gente. Okay... 
Ci sará la Castillo, oh mio dio..! 

-Come, scusa? E che verrebbe a fare la prof..?- chiesi alquanto confusa. Rose mi guardò con aria divertita. 

-Ti spiego, Cam conosce un ragazzo che ci ha invitati a tutti e quattro. La festa dovrebbe essere di qualche amico della prof, penso- rispose. Dovevo assolutamente andarci. Non mi sarei di certo persa l'occasione di vedere la Castillo brilla, anche se molto probabilmente sarà io quella ubriaca. 

-Dalla tua faccia presumo che vieni con noi- disse Rose. Ero un libro aperto per lei. 

-E Julian, non viene?- chiesi. Avevo un brutto presentimento.  

-Oh, no. Ha detto che deve uscire con una certa Laura. Sono contenta che abbia superato così in fretta la storia con la biondina di Los Angeles.- rispose. Sentivo il nervosismo salirmi a mille. Se questo era un modo per Laura vendicarsi di come l'avevo trattata il primo giorno di scuola, non sarebbe finita bene. Laura era di certo la persona che mi innervosiva anche solo sentirla nominare.



Alla prossima :D

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Capitolo 9
*** 9. Capitolo 9 ***


Il prof di storia poteva anche essere simpatico e buono, ma rimaneva sempre troppo noioso. Forse aveva qualche forma di balbuzia perchè ogni due parole faceva una pausa di un'ora, fatto sta che non riuscivo a stare attenta per più di dieci minuti durante la sua lezione. Fortunatamente avevamo cambiato i posti e, oltre al fatto che non stato più vicino a Laura, come compagna di banco avevo Chiara. Avevo scoperto che era una ragazza molto alla mano e sveglia. Non era una tipa per niente timida anzi, socializzava subito con tutti, anche con me che é tutto dire. Era molto intelligente, a dispetto della maggior parte della fauna femminile della scuola. Aveva un inusuale interesse per il Giappone, in tutto e per tutto. Lo sapeva parlare benissimo e sapeva veramente tutto sulle usanze dei giapponesi.
 
-Domani c'è interrogazione di inglese...- si lamenta accasciandosi sul banco, come se fosse senza speranze. -Ti prego, suggeriscimi! Se no prenderó quattro-

-A patto che tu mi aiuti nella verifica di matematica, dopo domani- dissi. Lei era un genio in matematica, io invece le uniche materie in cui andavo da cani erano italiano e matematica. Rischiavo di trovarmele a settembre, se non le tiravo su visto che stava per finire la scuola. 

-Ci sto!- mi strinse la mano, come se avessimo stretto un patto. L'ora di storia finalmente terminó e la classe si svuotò in neanche 10 secondi. Chiara era schizzata via, urlandomi che stava per perdere l'autobus. Misi la mia roba nello zaino, con calma. Ero l'unica rimasta in classe. 

-Shane- Sobbalzai dallo spavento sentendo qualcuno chiamarmi. Con mia grande gioia Laura si trovava in piedi davanti a me, neanche la guardai in faccia. 

-Che vuoi- le chiesi seccata. L'avrei presa a schiaffi due a due finché non diventavano dispari. 

-Come... stai?- disse impacciata. Mi alzai in piedi. Cos' era?! Uno scherzo?! La guardai meglio, era visibilmente agitata. 

-Ripeto, cosa vuoi?- chiesi un'altra volta, cercando di togliermela di torno. 

-Volevo parlarti- rispose, questa volta decisa. Sembrava quasi arrabbiata, adesso. Quella ragazza proprio non la capivo. Sospirai stanca. 

-Andiamo fuori, peró. Ho bisogno di fumare- disse uscendo dall'edificio. Mi domandavo cosa avesse da dirmi quell'oca. Ci accendemmo una sigaretta, mentre ci sedevano su una panchina. Il silenzio che era calato era insopportabile. Odiavo queste situazioni, mi innervosivano.
 
-Allora?- la incitai spazientita. Si stava torturando le mani, non l'avevo mai vista così agitata. Non che la cosa mi interessasse... 

-Volevo parlarti di me e Julian... Cioè, nel senso... noi due adesso stiamo insieme- disse cercando di trovare le parole giuste. Inarcai le sopracciglia. Se era solo questo che doveva dirmi poteva anche evitare, sospettavo che certe cose proprio non ci arrivasse a capirle. 

-Lo so. Non c'era bisogno che arrivsssi tu ad illuminarmi- borbottai infastidita, stavo solo perdendo tempo. 

-So che tu non mi sopporti... Penso che non ti ho fatto una buona impressione il primo giorno di scuola, come non biasimarti...- disse. Non capii dove voleva andare a parare. Che senso aveva sottolineare queste ovvietà?  

-Già, e non ti sei smentita peró- sputai acida. Lei sospiro, come a darmi ragione. 

-Volevo scusarmi. Sei comuqnue la sorella del mio ragazzo, non dovremmo odiarci. Io lo amo veramente e so che tuo fratello ci sta male per questo. Quindi penso che dovremmo sistemare le cosa fra di noi- disse. Dire che rimasi di sasso era un euforismo, non me lo aspettavo proprio da parte sua. Lei, Laura, la biondina viziata si era scusate con me. 

-Sono contenta che tu tenga veramente a mio fratello. Ma rimane comunque il fatto che non potremmo andare mai d'accordo. Abbiamo caratteri differenti, é impossibile- le spiegai. Laura sorrise amaramente. 

-Fidati, non siamo poi tanto diverse- commentò, guardando un punto fisso davanti a lei. 

-Allora perché ti comporti sempre così da stronza?-la buttai li, cercando di capire dove voleva arrivare. 

-Io in realtà... non sono così, ma non riesco a rapportarmi con le persone in modo differente. Non ho mai avuto amici veri, sono sempre stata da sola, ho dovuto sempre cercare di farcela da sola, senza contare su nessuno- spiegò, ma era distante. La vedevo diversa dalla solita Laura superficiale di tutti i giorni.  

-Come mai?-

-A dire la verità non lo so di preciso neanche io... Do se sempre la colpa ai miei genitori per quello che sono diventata. Mia madre non c'è mai stata per me e mio padre é scappato di casa quando avevo 7 anni. É per questo che ho detto che sono sempre stata da sola, sono cresciuta senza nessuno- raccontó. Wow... e chi lo avrebbe mai detto che la biondina troietta di turno avesse un passato così? Forse aveva ragione, un po' ci assomigliavamo, nessuna delle due ha avuto un padre. 

-So come ci si sente a crescere senza un padre...- mi lasciai sfuggire. Lei annuì pensierosa. 

-Ma adesso che ho trovato finalmente qualcuno che tiene a me, qualcuno per cui vivere, sento che posso cambiare- disse. Mi guardò per la prima volta da quando ci eravamo sedute sulla panchina, era uno sguardo pieno di paura e speranza. Mi ritrovavo molto in lei in questo momento. Le sorrisi sinceramente. 

-Pace?- mi porse la mano destra. La guardai, era perfettamente curata. 

-Pace- le strinsi la mano. Aveva ragione Julian quando aveva detto che Laura era una persona diversa. 

-Ehi, ragazze! Che ci fate ancora a scuola?- persi un battito. La Castillo era in piedi davanti a noi. Era bellissima.

-Stavamo chiarendo alcune cose- risposi, strizzando gli occhi mentre la guardavo per via del sole che avevo in faccia. 

-Ah, ho corretto il tuo compito di italiano- mi disse. Mi alzai in piedi per stare alla sua altezza. 

-Lo ha corretto lei, perché?- chiesi confusa. Di solito non era la prof di italiano che correggeva i compiti della sua materia anche se era di recupero?  

-Sì, la professoressa non aveva tempo per correggerlo. Comunque, avevi studiato?- mi disse. Studiai la sua espressione, anche se non faceva trasparire niente. 

-Certo! Le pare?!- cercai di essere il più convincente possibile. La verità era che non avevo aperto libro. 

-Va bene, io devo andare. Arrivederci, prof. Ciao!-  molto probabilmente Laura voleva lasciarci da sole. La salutammo. 

-Seriamente, Shane- mi ammonì la prof. Sospirai, era seria. Non mi andava che mi sgridasse un'altra volta per i miei voti. 

-Ma prof, lo sa che l'italiano é difficile per me- piagnucolai. Tutto quello che ottenni fu uno sguardo di rimprovero. 

-Ed é per questo che il preside mi ha incaricato di farti fare i corsi di recupero, soprattutto di italiano. Il problema é che non studi- mi disse. Scossi la testa sconsolata.  

-Io ci provo, ma é impossibile. Giuro che mi ci metto sui libri, ma é peggio della matematica- risposi. Era vero che era difficile, ma diciamo anche che dopo tre volte che aprivo libro c'ho rinunciato.  

-Va bene- disse lasciando un sospiro. -Facciamo così, domani vieni a casa mia e ti aiuto con la grammatica, ma promettimi che studierai anche per conto tuo. Va bene?- rimasi spiazzata. A casa della Castillo. Oh mio dio. Mi ci sarei catapultata. 

-Okay. Ma è sicura di fare a casa sua? Non vorrei disturbare- risposi. Lei mi sorrise. 

-Figurati, se no non te lo avrei chiesto, no?- Mi sentivo al settimo cielo. 
^^^^

-Shane, ti sei preparata?- Rose entrò in camera. Lei era già vestita e pettinata, ed era perfetta, mentre io ero ancora con una canottiera e dei pantaloncini da ginnastica a disperarmi.  

-Non trovo niente da mettermi!- esclamai esasperata. Era vero che avevo poche cose nell'armadio, ma anche che non trovavo mai niente da indossare per le feste. Mia sorella sospirò, come se avesse già previsto una scena del genere. Si diresse verso l'armadio e sicura tiró fuori una felpona di Cameron e dei jeans chiari stretti. Me ne ero dimenticata dell'esistenza.
 
-Con questi starai benissimo- me li porse. Andai in bagno a provarmeli. Forse così sembravo troppo un maschiaccio, ma io con i vestitini proprio non mi ci vedevo. Tornai in camera dove la bionda era già pronta a farmi una coda ai capelli. Stavo per svenire. 
-No, no, no! Non me la farò mai- le dissi subito. Io e le code non andavamo molto d'accordo.  

-Dai, saresti strafiga!- provó a convincermi. Mi sedetti sul letto e tirai da sotto le mie fidate converse bianche. 

-Non ci penso nemmeno. Mi fa il faccione- risposi. Lei lasció perdere. Mi specchiai vedendo il risultato. Era fattibile, più o meno. Rose mi guardò contrariata. Mi sistemai più o meno i capelli e trascinai mia sorella fuori casa. Cameron era già in macchina ad aspettarci.  

-Hey, bellezze! Ce ne avete messo di tempo!- ci salutò partendo. Era vestito con una camicia blu scuro e dei jeans neri. Stava bene, come al solito. 

-Quanta gente ci sará?- chiesi per prepararmi psicologicamente, odiavo i posti affollati.  

-Considerando che è in un locale, non penso molta- rispose Cam. Il solo pensare che c'era anche la Castillo mi rendeva euforica. Speravo solo che non sarebbero successi casini. 

-Non più di due birre, capito Shane?- mi ammonì Rose. Appunto. Quando si trattava di alcool il mio autocontrollo si abbassava notevolmente e in più non lo reggevo molto. 

-Sì, mammina- la presi in giro. Era tanto protettiva nei miei confronti, non so se si era notato.

-Sì sì, sfotti pure. Ma poi non venire da me quando sarai ubriaca marcia- disse risentita.
Arrivammo davanti a un localino abbastanza piccolo da fuori. La musica la si sentiva già andare a palla. Un uomo larghissimo e altissimo e una donna alta stavano postita davanti all'entrata. Dovevano essere i butta fuori. Ero agitata al massimo, dovevo muovermi. 

-Ci ritroviamo davanti alla macchina per l'una, va bene?- ci chiese Cameron. Annuii distratta uscendo dall'auto, stavo per avere una crisi di nervi. Dovevo assolutamente vedere la Castillo. Cameron stava per entrare sicuro se l'uomo buttafuori non gli avesse sbarrato la strada. 4

-Fermo, ragazzino. Quanti anni hai?- gli chiese la donna. Non capivo se era una buttafuori o no, anche se lo era non ci somigliava per niente, con un pugno potevo stenderla anche io. 

-17, perché?- chiese confuso. Sentivo le mani cominciare a sudarmi, succedeva spesso quando ero agitata. 

-I minorenni non possono entrare.- rispose secca la donna. Il miei piani di vedere la prof svanirono nel nulla. 
Stavo già per fare dietro front e andare in macchina quando qualcuno mi chiamò.
 
-Shane..?!- una voce fin troppo familiare provenne dalle mie spalle. Sentii un vuoto allo stomaco. Mi girai a guardarla, era stupenda, non c'erano altre parole per descriverla. Rimasi esterrefatta.
 
-Che ci fate voi qui?- ci chiese, ma io ero troppo impegnata a fissarla per rispondere. Non pensavo neanche che esistesse una bellezza simile. Aveva un vestito morbido blu scuro, che le valorizzava le gambe lunghe e la vita stretta. Era semplicemente perfetta. 
 
-Siamo..- 

-Oh, Cam! Che succede qui?- un ragazzo arrivó da dietro la prof diretto verso mio fratello. Si dettero una pacca sulla spalla, come se fossero amici di vecchia data. 

-Enrico, li conosci?- gli chiese sorpresa la prof. Il ragazzo aveva una certa somiglianza con la Castillo, anzi erano identici, doveva essere il fratello. 

-Sì, conosco Cameron, li ho invitati io! E loro devono essere le sorelle, piacere- sorrise a trentadue denti. Era le versione mora, maschile e un po' più giovane della Castillo. 

-Perché tu li conosci?- 

-Sono dei miei alunni- rispose la prof. Avevo notato che cercava di evitare il mio sguardo, ci rimasi un po' male. 

-Tranquilli ragazzi, sono come loro- disse Enrico ai due buttafuori ci fece spazio dentro. Subito il caldo e la puzza di fumo mi investirono in pieno. Trattenni un conato di vomito, era irresponsabile quell'aria. La musica nelle casse pompava a un volume esagerato e la pista da ballo era piena di gente ammassata.
E per fortuna che doveva esserci poca gente. Entrammo in una saletta poco più piccola della pista da ballo. Fortunatamente dentro c'era solo qualche ragazzo e doveva essere insonorizzata così che la musica non era più assordante. 

-Ce l'avete fatta ad arrivare, eh!- un ragazzone alto e tutto pompato diede la solita pacca a Enrico e poi mi venne quasi un infarto.
Si avvicinò alla prof, Nina. Le circondò la vita con le braccia e mi sembrò che la stesse per soffocare. Si baciarono con trasporto. 
Mi sentivo mancare il terreno sotto i piedi. 
Non avevo considerato questa possibilità, che avesse un ragazzo intendo. Ma la cosa più sconvolgente era che io ci stavo male. Mi sentivo ferita, anche se sapevo che non dovevo esserlo, era una reazione insensata.  
Sia Cam che R mi avevano lasciata da sola. Erano andati con il loro rispettivi quasi-fidanzati.  

- E chi sono questi ragazzini?- chiese il ragazzone a nessuno in particolare. Sentivo il nervosismo salirmi a mille, non mi piaceva quel tipo. 

-Sono dei miei amici. Mi avevi chiesto tu di invitare gente, Marco- rispose Enrico. Solo adesso mi ero accorta di un gruppetto di 4 ragazzi e ragazze dietro Marco. Nina era sempre appiccicata a lui. 

-Ti avevo chiesto di invitare dei ragazzi, non bambini. Quanti anni avete?- chiese in tono derisorio. Non ci vidi più dalla rabbia, ma chi cazzo si credeva di essere? 

-Non sono cazzi tuoi- ringhiai trattenendo a stento la rabbia. La prof si staccò da lui guardandolo contrariata. 

-Ma come cazzo parli, ragazzina!- rise prendendomi in giro Marco. 

-Marco...- lo apostrofò Enrico in tono secco.  

-Motherfucker- mi venne spontaneo dirglielo. Senza aspettare altro girai i tacchi e me ne andai. Strinsi spasmodicamente i pugni cercando di reprimere la rabbia. 
Che cazzo di serata! E io che mi aspettavo di divertirmi. Ma dovevo saperlo che ci sarebbe stato qualcosa che avrebbe rovinato tutto. Mi sedetti al bancone del bar su uno sgabello in un angolo. Ordinai uno shot e me lo scolai di schiena. 
Ne ordinai un altro. 
Mi chiesi che fine avevano fatto i miei fratelli, in mezzo a tutta questa gente non si capiva niente. Meglio così, mi andava di stare da sola. 
L'effetto dell'alcool cominciava già a fare effetto. 
La prof... é chi se l'aspettava che fosse fidanzata? E poi con quel energumeno... che coglione! Sentivo un vuoto allo stomaco. Se lo avessi saputo prima non sarei venuta stasera. Dentro questa discoteca sembrava un'altra persona la prof... Non saprei definirlo. 
Dopo il quarto shot la testa cominciava a farsi leggera, ma non mi bastava. Ne chiesi un altro al barista. 

-Direi che per stasera basta, Shane- mi ritrovai Rose seduta sullo sgabello affianco. Mi prese il bicchierino dalla mano allonantandomelo. -Quanti ne hai bevuti?-
Tutto ondeggiava. Di solito l'effetto dell'alcool mi rendeva felice e esaltata, mentre adesso avevo solo voglia di nascondermi e piangere. 

-Cinque? Non... non me lo ricordo...- sbiascicai, sentivo tutta la lingua intorpidita. 

-Sì, hai decisamente fatto il pieno per oggi- sospirò. -Meglio se torniamo a casa, ti senti male?-disse apprensiva, come al solito. Cercai di rimanere il più lucida possibile, riuscendoci solo in parte. 

-No... sto... sto bene...- scandii il meglio possibile le parole. Ondeggiammo fuori dal locale. Respirai a pieni polmoni l'aria pulita fermandomi un attimo. 
Alla mia destra, in fondo alla strada al buio, intravidi due figure. Per quel poco che riuscivo cercai di capire chi fossero e cosa stessero dicendo, mi ci volle molta concentrazione. 

-Marco, per favore... smettila!- una voce femminile, sembrava sul punto di scoppiare a piangere. 

-Ho detto che voglio scoparti, Nina! Non me ne forte un cazzo se dovrò usare la violenza!- Oh, merda! Quello era Marco e lei era la prof. Sgusciai dalla presa di Rose e mi precipitai da Nina. Improvvisamente la sbronza mi era passata. 
Sentivo Rose che mi chiamava preoccupata. 
Marco era di spalle a me e cercava di sbottonare i jeans di Nina che si dimenava. Non si erano accorti di me. Uno schiocco riecceggiò forte per la strada. Quel verme le aveva tirato uno schiaffo in piena faccia. 

-Brutta cagnetta..- 
Agii d'istinto. Presi una trave da per terra e la sbattei forte in testa a Marco. Lasciò immediatamente la presa sulla prof. 

-Son of a bitch!- sputai con disprezzo mentre lui si teneva la testa fra le mani, dolorante. La prof mi guardava con gli occhi spalancati dalla paura e dalla sorpresa. 

-Ancora tu, ragazzina!- ringhiò Marco. Okay, adesso non sapevo cosa fare. Quell'uomo era il doppio di me e sicuramente non ci avrebbe messo molto mandarmi all'ospedale. 

-Lascia stare Nina- dissi con voce ferma e intimidatoria. Rise sguaiatamente.
 
-Tu non mi dici cosa devo fare con lei, chiaro?!- urlò. Era ancora accovacciato a terra. Con un movimento fulmineo si rialzò e mi venne addosso. Non feci in tempo neanche a reagire che, con una sbarra di ferro che aveva trovato a terra, mi colpì. Fortunatamente i miei riflessi erano buoni e mi coprii la faccia con le braccia in modo da attutire il colpo. 
Crollai a terra. Il rumore delle mie ossa che si fratumavano come un biscotto mi fece venire un conato di vomito. Marco mi colpì ancora il braccio con un calci facendomi urlare di dolore. Sentii distrattamente Nina chiamare aiuto mentre cercava di trattenere Marco.Con tanta fatica e dolore mi misi seduta con la schina poggiata al muro. 
Il braccio mi mandava continue fitte di dolore che mi annebbiavano la vista.   
Quelli che dovevano essere Enrico e Cameron presero Marco da parte. Qualcuno mi si inginocchiò di fronte prendendomi il viso tra le mani. 
Era Nina. 
Giuro che per un secondo mi dimenticai del braccio e di tutto il resto. C'erano solo i suoi occhi che mi guardavano. 

-Shane, mi senti?- la sua voce mi arrivava ovattata, sembrava preccupata. 

-Sto... bene...- riuscii a trovare un po' di lucidità. 

-Oh my God!- Rose era arrivata di corsa. Mi guardava inorridita e spaventata.  

-Cosa ti è successo?- era quasi sull'orlo delle lacrime. 

-Niente. Sto bene...- riuscii anche a sorridere. 

-Bisogna portarla in ospedale- le disse la prof. Mi aiutarono ad alzarmi, credevo di svenire da un momento all'altro per il dolore. 

-Cameron!- urlò Rose. Intanto io era praticamente appoggiata a Nina che mi massaggiava la schiena cercando di alleviarmi un po' il dolore. Cam si tolse la camicia e me la mise intorno al braccio per sostenerlo dal collo. 
Poi tutto si fece più sfocato. 
Non ricordavo molto, solo che la prof si era seduta dietro con me in macchina. Avevo la testa appoggiata sulla sua spalla e lottavo in tutti i modi per non urlare ad ogni buca. Stavo sudando freddo. 
Sentivo distrattamente Cameron insultare qualche automobilista in inglese e Rose incitarlo ad andare più veloce. Nina cercava di tenermi il più ferma possibile agli sbalzi della macchina circondandomi le spalle con un braccio. 
Nonostante tutto sentivo il suo odore. Eravamo davvero tanto vicine.  
Arrivammo in ospedale e non mi ricordai più niente. 
Il dolore era troppo. Quel bastardo di Marco. 
^^^^

Dopo che mi ebbero messo il gesso e dato un antidolorifico mi sentii meglio. Quando uscii dalla stanza mi ritrovai Cam, Rose e la prof seduti alla sala d'aspetto che mi guardavano ansiosi. 
Si vedeva che mia sorella si stava trattenendo dal catapultarsi addosso a me, e Cameron era ancora a torso nudo. Gli lanciai la sua camicia. 

-Allora? Cosa ti hanno detto?- fu la prof a parlare. 

-Marco mi ha rotto il braccio in due, come se fosse un grissino- risposi non riuscendo a trattenere una nota di disprezzo nella voce. Lei mi guardò mortificata. 

-Shane!- la voce della mamma alle mie spalle mi fece prendere uno spavento. 
Neanche il tempo di girarmi che mi soffocò in un abbraccio. 
 
-Mamma...- mi lamentai, mi stava facendo male al braccio. Mi prese per le spalle guardandomi meglio. 
-Che cosa hai fatto?- chiese preoccupata. Cameron o Rose dovevano averla avvertita. 

-Niente, mamma. Sto bene, non ti preoccupare. Ti spiego poi a casa- risposi, cercando di tagliare lì il discorso. Ma lei non sembrò del tutto convinta. 

-Posso almeno sapere cosa hai?- chiese spazientita. Mi passai una mano tra i capelli. 

-Si è rotta un braccio. Niente di che.- venne in mio soccorso Cam, lo ringraziai con lo sguardo. 

-E lei è..?- la mamma oggi era in vena di domande; stava alludendo a Nina. 

-Io... ehm...- Nina era in difficoltà.  Effettivamente se un professore veniva trovato al di fuori del contesto scolastico con uno studente poteva essere licenziato. Ma alla mamma non importavano queste cose, si fidava di noi. 

-Lei è la nostra prof di inglese, la Castillo- risposi io per lei. La mamma sembrò illuminarsi tutto d'un tratto. 

-Piacere, io sono Danielle, la loro mamma- si presentò tutta sorridente. 
Vidi la prof avvampare, cercando il mio sguardo.



Alla prossima;)

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Capitolo 10
*** 10. Capitolo 10 ***


La giornata seguente a scuola passò lentamente, troppo lentamente. La mamma mi aveva quasi costretta a rimanere a casa, ma io non volevo. Dovevo vedere la prof Castillo, anche se solo dopo che entrai a scuola mi resi conto che non avevo ore con lei quel giorno. Ero venuta a scuola per niente! Così, dopo che fu suonata la campanella dell'ultima ora, sistemai le mie cose per andarmene. Come al solito ero rimasta da sola in classe, avevano tutti una gran foga di uscire dalla scuola.  

-Shane...- sobbalzai dallo spavento sentendo la voce della Castillo.  

-Salve, prof- la salutai armeggiando con la zip dello zaino. Già mi ero stufata del gesso, mi impediva di fare tantissime cose e mi rallentava. 

-Come va il braccio?- mi chiese chiudendomi lei lo zaino. 

-Grazie- sospirai. -Bene, più o meno-risposi alzando le spalle. Lei aveva una faccia mortificata che mi fece sentire in colpa. 

-Volevo ringraziarti per quello che hai fatto ieri sera. Non so come avrei fatto se non ci fossi stata tu. Io...- non terminò la frase. Cercava di evitare il mio sguardo con aria agitata e triste. 

-Sì figuri, prof- le dissi solamente, non sapendo cos'altro dire. Lei sospirò, sembrava stanchissima. 

-Stamattina, io e Enrico, siamo andati a denunciare Marco. Ma tanto riuscirà a cavarsela come al solito- disse.

-Marco è il suo... boyfriend?- chiesi, tanto per esserne sicura. 

-Era il mio ragazzo. Ma dopo quello che ti ha fatto e dopo che ha cercato di... vabbè insomma. Non deve neanche più provare a parlarmi. Ho sempre saputo che era un idiota, ma non pensavo che fosse pericoloso- mi spiegò. Tutto d'un tratto mi sentii felice, ma cercai di non darlo a vedere. 

-L'importante è che lei stia bene- dissi. Lei mi sorrise, come ha ringraziarmi nuovamente e il mio stomaco fece una capriola. 

-Ricordati che oggi devi venire a casa mia- rimasi shoccata per un attimo. Poi mi ricordai che oggi dovevo andare da lei per le ripetizioni di italiano. 

-Certo, certo. Non si preoccupi- dissi un po' troppo precipitosamente forse. Lei assottigliò gli occhi. 

-Te ne eri dimenticata- affermò divertita. 

-Cosa?! Io?!- esclamai. -Sì...- mormorai. Lei rise divertita. Dopo tutto quello che era successo mi era proprio passato di mente. 

-Alle 4 ti va bene?- annuii. 

^^^^

Alle 4 e un quarto ed io ero ancora a casa. Era incredibile, non nessuno mi poteva dare un passaggio. 

-Possibile che nessuno in questa casa mi possa accompagnare?- chiesi esasperata. Tutti i miei fratelli avevano preso la patente, tranne me ovviamente, perché ero troppo impegnata a cercare di non farmi bocciare a scuola quest'anno. 

-Io devo andare andare a pallavolo- mi rispose Rose uscendo di casa con il borsone della palestra. 

-Ho promesso a Victoria di andare a vedere un film al cinema- Cameron era alle prese con la sua quasi-ragazza spagnola. Sinceramente non lo avevo mai visto così preso da qualcuno in questo modo, sembrava felice e spensierato. 

-Ho una riunione tra venti minuti dall'altra parte della città. Devo scappare.- e anche la mamma mi diede buca. Prima di uscire di corsa diede un bacio sulla guancia a me e Julian.
 
-Io dovrei andare agli allenamenti di basket, ma ti accompagno. E poi non dire che non sono un bravo fratello- Julian era il mio angelo custode, se no avrei dovuto farmela tutta a piedi la strada. 

-Allora muoviamoci che sono già in ritardo- lo presi per un braccio e lo trascinai in macchina. 
Alle 4 e mezza precise arrivai sotto casa della prof. 

-Grazie, Jul. Mi hai salvata- diedi un bacio sulla guancia al biondino. Lui sorrise sghembo. 

-Sempre al suo servizio, mia cara- mi fece il saluto da soldato. -E vedi non fare porcherie con la Castillo, eh!- avvampai all'istante. Non mi diede neanche il tempo di ribattere che sfrecciò via con la macchina, lasciandomi boccheggiare dall'imbarazzo. 
Sospirai, riprendendo il controllo di me stessa. Era tardissimo. Suonai al campanello della villetta. Per un attimo sperai che nessuno mi venisse ad aprire, ero nel panico. La porta si aprì lasciando passare la figura snella e alta della prof. Era vestita con solo dei pantaloncini cortissimi da ginnastica e una canottiera verde. Rimasi senza fiato. Aveva due gambe... oh my God! 

-Ehi!- mi salutò. Mi ripresi, cercando di non fare le mie solite figure di merda. 

-Salve, prof. Mi scusi il ritardo, ma nessuno poteva accompagnarmi... Mi dispiace di averla fatta..- blaterai a vanvera. Lei si aprì in un sorriso dolce. 

-Non preoccuparti, avevo immaginato- mi fece entrare. La casa era arredata con stile semplice e moderno. 
Supposi che doveva vivere con il fratello visto che all'entrata c'erano delle scarpe da ginnastica come minimo 46 di numero. Mi fece strada verso il salotto. 
-Bella, la casa- commentai guardandomi in giro. Lei fece un gesto con la mano come a dire di lasciare perdere. 

-Scusa per il casino che c'è, ma Enrico è un tale disordinato- disse scuotendo la testa. 
Era strano vederla fuori da scuola, semrbava più piccola della sua età vestita così invece ch formale come il suo lavoro richiedeva.  E poi con quella coda disordinata era... sexy. 

-Chi sarebbe disordinato?- nella stanza entrò il fratello della prof. Appena mi vide mi fece l'occhiolino.
 
-Tu. E anche maleducato- gli lanciò un cuscino in pancia. -Ti pare il modo di presentarti?- gli chiese retoricamente, con una nota di rimprovero nella voce. Enrico era tranquillamente in boxer, a suo agio. Era divertente vederli insieme, loro due. 
-Volevo mostrare un po' di muscoli a Shane, anche se so che le piacciono altre cose...- disse facendo pompare il bicipite. Risi divertita. La prof diventò improvvisamente rossa in volto e cercò di nasconderlo. 
Un sorrisetto mi spuntò sulla faccia. 

-Cretino- gli mollò uno scappellotto sulla testa. -Vai via che dobbiamo studiare- gli ordinò in tono perentorio. Lui ridendo se ne andò via. La prof si girò verso di me e assottigliò gli occhi. 

-E tu non ridere- mi puntò il dito contro. Diventai di botto seria, anche se rischiavo di scoppiare a ridere un'altra volta. 

-Hai portato i libri?- chiese sedendosi sul divano. Le feci vedere lo zaino. 

-Come potrei dimenticarmi di Dante?- scherzai sedendomi accanto a lei. Prese il mio zaino e tirò fuori i libri, o meglio i mattoni, per poi aprirli alla pagina giusta.

-Bene, allora comincia a leggere l'inizio dell'inferno. E scandisce bene tutte le lettere- E così iniziò il mio, di inferno. Per ben mezz'ora riuscii a leggere solo tre pagine, mi risultava troppo difficile. 

-Shane, devi concentrarti. Se no perdiamo solo tempo- mi spronò, bloccandomi a metà frase. 

-Ci sto provando- disse tra i denti. Stavo cominciando ad innevosirmi. Perché non capiva che non era facile per me? 

-A me non sembra. Sono cose elementari queste, dovresti ormai saperle- rincarò la dose con voce severa. Stavo tremando dal nervosismo. Continuai a tenere la testa sul libro, cercando di calmarmi. 
-Ma a quanto pare non sono così intelligente- sbottai acida. Tutto quel groviglio di lettere che mi girava sulle pagine del libro mi stava facendo venire mal di testa e la nausea. 

-Non dire cavolate, Shane!- adesso si era arrabbiata. -Concentrati e vedrai che ci riesci-
Non ce la feci più, rischivo di scoppiare da un momento all'altro. 

-Vado a fumare- dissi uscendo dalla casa.  Non aspettai neanche una sua risposta. 
Non resistei più e due lacrime mi rigarono il viso. Quasi non riuscii ad accendermi la sigaretta per quanto mi tremavano le mani dal nervosismo. In questo momento mi odiavo,non riesco mai a fare una cosa giusta. Devo sempre avere problemi io. E guarda caso proprio quando penso di aver trovato finalmente un po' di felicità c'era sempre qualcosa che andava storto.
Sentii la porta di casa aprirsi ed uscì la prof. Feci l'errore di guardarla negli occhi per mezzo secondo. Riabbassai subito lo sguardo. 

-Shane...- mormorò sorpresa. I capelli mi coprivano metà faccia. Buttai il mozzicone nel posacenere e mi accesi un'altra sigaretta. Mi sentivo lo stomaco sottosopra.  

-Se per caso ti ho..- 
-Sono dislessica- la fermai, non volevo sentire le sue scuse. 
Rimanemmo un attimo in silenzio. Sentivo i suoi occhi su di me. 

-Perché non me l'hai detto?- mi chiese dopo, sembrava ferita. Ed adesso mi sentii anche in colpa, bene! 

-Perché poi lei mi avrebbe trattata diversamente, come se avessi dei problemi- risposi sinceramente. Mi sentivo debole in questo momento. 

-Non essere sciocca- disse in tono schietto. Poi mi accarezzò il braccio sano. -La dislessia non è malattia, Shane, ma non devi sottovalutarla. Non pensare che sia un ostacolo per la tua vita- disse. Riuscii ad alzare la testa. Mi guardava con tenerezza, non con compassione come mi aspettavo. 

-Tua madre lo sa?- mi chiese. Scossi la testa. -Dovresti parlargliene.-  
C'era un motivo se la mamma non lo sapeva: dirglielo avrebbe significato darle un pensiero in più, elei già ne aveva troppi, soprattutto acausa mia. Desideravo solo avere una vita semplice, o almeno farla vivere a chi volevo bene. 

-Mi odio- mi sedetti sulla panchina senza più le forze. -Non mi sopporto più, non merito di essere qua. Sono uno sbaglio dopo l'altro.- sputai parole amare. Ormai non riuscivo neanche più a piangere, avevo finito le lacrime. 

-Ma che stai dicendo?- sembrava shoccata la prof. Scossi la testa. 

-Combino solo casini, sono uno sbaglio. Tanto per cominciare sono nata da un rapporto casuale, per colpa di un preservativo rotto. Non ho mai avuto un padre. Non riesco a stringere rapporto con nessuno. Sono lesbica, sono contro natura. Sono dislessica, non riesco neanche a leggere due pagine in italiano. E sono mentalmente instabile: soffro di attacchi di panico e depressione- mi liberai, più o meno. -Odio me stessa e tutto quello che sono- finii. Calò un silenzio agghiacciante. La famosa goccia che fa traboccare il vaso. Il mio problema con la dislessia era relativamente importante, era tutto il resto che mi opprimeva. Non osai alzare lo sguardo. Forse mi ero spinta un po' troppo oltre. 

-Shane, guardami- la voce della prof era seria. Alzai lo sguardo per incontrare i suoi occhi verdi. Indescrivibili, mi perdei in quei prati soffici. 

-Prima di tutto non sei uno sbaglio: tua madre ti vuole bene, forse più di un genitore normale, e tuo padre potrà anche essere il più grande stronzo e bastardo del mondo, ma hai sempre i tuoi fratelli che farebbero di tutto per te. E poi essere lesbica non è affatto contro natura, amare una persona è una delle cose più belle al mondo- mentre parlava mi accarezzava una mano, dei brividi mi facevano tremare. -Per il discorso della dislessia basta solo trovare il metodo giusto e dopo riuscirai a studiare senza problemi. E poi, non sono un'esperta di queste cose, ma penso che i tuoi attacchi di panico dipendano dal fatto che sei così stressata e infelice. Quando troverai la persona giusta, la persona della tua vita, vedrai che cambierà tutto- ascoltai. Era la prima volta che una persona mi diceva certe cose.

-Tu sei una delle persone più meravigliose che abbia mai conosciuto. Non lasciarti abbattere, combatti per la tua felicità, magari insieme alla persona che ami. Non fare in modo che gli altri ti dicano cosa è giusto o sbagliato.- Mai nessuno mi aveva detto delle parole così dolci. Neanche Juliette. Nina mi guardava con tale dolcezza che credei di sciogliermi da un momento all'altro. I suoi occhi mi attiravano, così come le sue labbra. Rosse e carnose. Anche lei alternava il suo sguardo dai miei occhi alle mie labbra. 
Eravamo troppo vicine. Non ce la feci più. Senza aspettare altro affogai nelle sue labbra, in un gesto disperato. La sentii un'attimo sorpresa, ma poi rispose al bacio volentieri. 
Credei di volare in quel momento, il battito del mio cuore era alle stelle. La sentivo ansimare mentre si aggrappava ai miei capelli. 
Migliaia di scosse mi percorrevano il corpo facendomi sentire, forse per la prima volta, viva. Con la mano sinistra le accarezzavo il fianco attraverso la canottiera che portava. Volevo andare oltre, ma una vocina nella mia testa mi diceva di fermarmi. 

-Prof...- la chiamai tra le sue labbra. La sentii sussultare e poi staccarsi da me come se si fosse scottata. Recuperai fiato, ma lei evitava il mio sguardo. 

-Scusami, non so cosa mi sia preso...- mormorò rossa in viso, era tenerissima. Presa da tutta quell'assurda situazione trovai il coraggio di parlare. 

-So che tutto questo è illegale, che è uno sbaglio, ma non c'è la faccio più. Forse sto correndo troppo e a lei magari non importa niente. Però volevo dirle che lei è l'unica ragazza che mi fa sentire viva. L'unica ragazza che riesce in qualche modo a capirmi. L'unica ragazza con cui riesco a essere me stessa. Che riesce a far diventare stupenda una giornata cominciata male. So che è inappropriato, però...- non so neanche dove trovai il coraggio di dire certe cose. Probabilmente doveva essere un altro dei miei deliri da depressione. 
Il silenzio che si era creato non mi piaceva per niente. Alzai la testa per vedere la sua reazione. Ero già pronta a correre via quando mi accorsi che aveva gli occhi lucidi. 

-Shane...- mormorò. Allungò una mano e mi accarezzò una guancia, asciugando le lacrime che ancora mi bagnavano la pelle. Non sapevo se prenderlo come un segno positivo o negativo. 
Non ebbi neanche il tempo di capire cosa stava succedendo che mi ritrovai le sue labbra sulle mie. Segno positivissimo.  
Questa volta il bacio fu più calmo e dolce, ma l'effetto era sempre lo stesso: eccitante. Mi staccai da lei a corto di fiato. La prof continuava ad accarezzarmi una guancia, mi sentivo lo stomaco leggero. 

-Mai nessuno mi aveva detto delle parole simili, neanche Marco- disse non staccando gli occhi dai miei. 

-Allora non ti merita- 
Lei sorrise. Mi sentivo al settimo cielo, non potevo crederci. 

-Anche tu mi fai sentire speciale, ragazzina.- stavo sognando, non c'era altra spiegazione. Anche se le capriole che faceva il mio stomaco dicevano tutt'altro...



Come al solito Alla prossima ;)

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