Serendipity

di BlackHawk
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Emma osservò l’insegna al neon del locale e notò che alcune lettere non erano perfettamente illuminate. Serendipity, diceva l’insegna. Rifletté sul significato di quella parola e rise amaramente, pensando all’ironia della sorte. Prese un respiro profondo ed entrò.
Le luci soffuse e la musica assordante riprodotta dalle grandi casse appese alle pareti beige del locale la costrinsero a fermarsi.
Era stata in quel posto una sola volta, molti anni prima, quando la sua migliore amica Karen l’aveva trascinata una sera per locali, decisa ad annegare i suoi dispiaceri nell’alcool.
Si guardò intorno e si accorse che non c’erano molte persone. Diversi tavoli erano vuoti e c’era solo una ballerina sul palco in fondo alla sala, che si muoveva sinuosamente intorno ad un palo.
Distolse lo sguardo disgustata e si diresse al bancone, cercando di scacciare dalla mente il ricordo di Karen che, seduta a quello stesso bancone qualche anno prima, aveva cominciato ad insultare pesantemente ad alta voce  l’uomo che l’aveva licenziata.
 Si sedette su uno sgabello e attese che il barista si accorgesse di lei. Non aveva fretta, ma aveva paura che le cose non andassero come lei aveva previsto.
 -Ti posso offrire qualcosa, tesoro?- chiese una voce accanto a lei. Si voltò lentamente e  vide un uomo calvo di mezza età con una birra in mano.
Non riusciva a sedere in modo dritto sullo sgabello, aveva gli occhi lucidi e le guance arrossate, perciò Emma ipotizzò che fosse ubriaco.
-No, grazie-rispose secca, rivolgendo la sua attenzione alla fila di liquori disposti su una delle mensole dietro il bancone.
-Bevi con me, dai- insistette l’uomo, toccandole un braccio con la sua mano sudaticcia. Emma si scansò infastidita.
-Ho detto di no- ripeté seccata.
 L’uomo provò a toccarla di nuovo, ma questa volta Emma si alzò dallo sgabello di scatto e lui perse l’equilibrio, cadendo a terra con un tonfo. La bottiglia si ruppe in mille pezzi e la birra si rovesciò sul pavimento.
–Dannazione- imprecò a bassa voce Emma, notando che l’uomo rimaneva disteso a terra. Notò che un buttafuori si stava avvicinando a loro e temette che l’avrebbe esortata ad uscire dal locale.
-Stai bene?- le chiese il buttafuori, un nero corpulento sulla trentina. Emma annuì debolmente e si sentì sollevata quando lui si concentrò sull’uomo che la stava importunando poco prima, ignorando completamente lei.
-Alzati, Tom. Ogni sera la stessa storia…- sentì dire al buttafuori, mentre lei tornava a sedersi sullo sgabello.
Alzò lo sguardò e incrociò un paio di occhi azzurri, freddi come il ghiaccio, che la fissavano insistentemente. Emma si sentì a disagio, ma non distolse lo sguardo.
-Cosa ti porto?- chiese l’uomo cui appartenevano quegli occhi così belli e terribili al tempo stesso. Aveva una voce profonda e il suo tono sembrava seccato.
Emma si schiarì la voce. -Una birra- rispose, cercando di mostrarsi rilassata.
Non poté fare a meno di osservare l’uomo mentre le preparava la birra. Aveva qualche anno più di lei e immaginò che fosse molto alto perché la sovrastava di parecchi centimetri, nonostante lei fosse seduta su uno sgabello non esattamente basso.
Aveva capelli corti e neri, spalle larghe e muscolose e la maglietta a maniche corte che indossa metteva in risalto il suo fisico scolpito. Notò diversi tatuaggi sulle braccia. Alcuni ricordavano motivi tribali, ma la sua attenzione fu attirata da una fascia nera tatuata sull’avambraccio destro.
 –Ecco-  le disse, porgendole la birra e costringendo Emma a distogliere lo sguardo dai suoi tatuaggi.
Prese un sorso di birra e le sembrò che la tensione inziale stesse svanendo a poco a poco, ma era perfettamente consapevole che non avrebbe dovuto abbassare la guardia.
Bevve un altro sorso di birra e lanciò un’occhiata al suo orologio. Erano le undici e mezza e sperava che Kian, il proprietario del Serendipity, fosse già arrivato.
Si voltò verso il barista e gli fece un cenno. Lui servì un ragazzo e  poi si avvicinò lentamente, fissandola con i suoi intensi occhi azzurri.
-Kian è arrivato?- chiese, con voce incerta.
 -Lo conosci?-chiese sospettoso l’uomo.
-Più o meno- rispose Emma, evasiva.
 L’uomo posò entrambi le mani sul bancone e si sporse in avanti, talmente tanto che Emma riusciva a sentire il suo profumo, intenso e speziato.
-Che ci fa una come te qui, a quest’ora?- chiese, fissandola negli occhi.
-Sto cercando Kian- rispose Emma, cercando di apparire decisa.
 -Ehi Jet. Ci provi con le clienti adesso?- chiese una voce che Emma riconobbe all’istante.
Si voltò di scatto e si trovò davanti Kian, nei cui occhi passò un lampo di sorpresa.
-Ciao Kian- lo salutò Emma, notando che non era cambiato di una virgola in quegli anni.
Continuava ad essere un uomo di mezza età, con capelli neri che ora presentavano qualche filo bianco, ma i suoi occhi sembravano stanchi, molto più spenti rispetto a prima.
-Emma. Non mi aspettavo di trovarti qui. Ci sono forse novità su Karen?- chiese, con un tono che Emma non seppe decifrare.
Emma strinse i pugni e si costrinse a mantenere la calma.
 -No. In realtà hanno archiviato il caso stamattina. A quanto pare non c’erano prove né indizi di alcun genere.- rispose, ricordando le parole del detective Keller.
-Mi dispiace Emma. Volevo bene a Karen come ad una figlia.- rispose Kian.
Emma annuì, fingendo di credere alle sue parole. -Sono qui per chiederti un favore. Sono stata licenziata stasera. Ho bisogno di un lavoro.- disse Emma, sperando che lui avesse bisogno di un’altra cameriera.
 -Non è stata una bella giornata, vero?-chiese Kian, in un tono che a lei sembrò dispiaciuto.
-Già.- confermò Emma.
-Beh a quanto pare la storia si ripete. Sei fortunata, Emma. Ho bisogno di una cameriera perché una delle ragazze è al sesto mese di gravidanza e non riesce più a lavorare. Puoi cominciare da domani. Vieni per le sei.- disse Kian, sorridendo.
La storia non si ripeterà, pensò Emma. -Grazie Kian, ti sono davvero molto grata.- lo ringraziò Emma, costringendosi a sorridere. Kian annuì e si allontanò verso il suo ufficio.
-Non è il posto che fa per te- disse una voce alle sue spalle. Si voltò sorpresa verso l’uomo che le aveva servito da bere, il cui nome le sembrava di aver capito fosse Jet.
-E chi lo dice?- chiese Emma, inarcando un sopracciglio.
-Ti do un consiglio Emma. Finisci la tua birra e vattene da qui.- disse Jet, appoggiandosi al ripiano del lavandino alle sue spalle.
Era  a braccia conserte e la fissava intensamente, come a volerle leggere dentro.
-Ho bisogno di un lavoro. Non è facile trovarne uno di questi giorni.- disse Emma, sorpresa che lui avesse sentito la sua conversazione con Kian e l’avesse chiamata per nome
-Chi è Karen?- chiese lui, dopo un po’. Emma prese un sorso di birra, sperando che scacciasse il nodo in gola che le si era formato
. -Era la mia migliore amica. Lavorava qui. È stata assassinata due anni fa, ma non hanno trovato il colpevole.- rispose Emma, incapace di mascherare la rabbia.
 Non solo non era stato identificato l’assassino, ma la polizia aveva deciso di archiviare il caso per mancanza di prove.
I genitori di Karen erano morti quando lei aveva ventuno anni, perciò il commissario Keller aveva convocato lei quella mattina, in quanto unica persona che presentava un forte legame con la vittima.
 Aveva continuato a ripetere quanto fosse dispiaciuto per l’esito delle indagini, ma di fatto aveva respinto la richiesta di Emma di prorogare l’archiviazione del caso all’anno successivo.
Uscita dal distretto aveva rimuginato durante tutto il tragitto che l’avrebbe condotta in ufficio. Lavorava come assistente in uno degli studi legali più prestigiosi di tutta Chicago, dove era stata assunta terminata l’università.
Scoprire la verità sulla morte di Karen era diventata per lei un’ossessione.
Non si sarebbe data pace fin quando non avesse saputo chi fosse stato tanto crudele da strangolare in modo brutale la dolce e gentile Karen.
Emma era convinta che il colpevole lavorasse al Serendipity, dove Karen aveva lavorato per qualche anno prima di essere uccisa. Perciò Emma aveva deciso di cercare un lavoro nel locale,  aperto solo di sera,  potendo continuare  a lavorare allo studio legale di giorno. Le indagini dall’interno sarebbero state certamente più fruttuose.
 -Non l’ho conosciuta. Lavoro qui solo da un anno-mormorò Jet, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
 -Potresti trovarti qualsiasi altro lavoro.- aggiunse, in tono duro.
 Emma non capiva perché non volesse che lei lavorasse là. -Qua ne ho trovato uno. Fine della discussione.- rispose Emma, seccata.
 -Fai come ti pare- disse Jet, irritato, mentre puliva dei boccali di birra.
 Emma pagò la sua birra e se ne andò, ignorando le occhiate che Jet le lanciava mentre si  dirigeva all’uscita.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Emma lanciò un’occhiata all’orologio e sospirò.
Ancora mezzora e sarebbe potuta tornare a casa per cambiarsi prima di andare al locale.
Aveva passato la giornata a raccogliere informazioni sul nuovo caso che John, il suo capo, le aveva affidato, ma non era riuscita ad elaborare alcuna linea difensiva efficace per il loro cliente.
Aveva capito che si trattava di un dipendente di una casa farmaceutica accusato di aver divulgato informazioni riservate ad una concorrente, ma la sua mente non aveva fatto altro che tornare sulla conversazione che aveva avuto con Jet il giorno prima.
Perché non voleva che lei andasse a lavorare lì? Sapeva forse qualcosa che avrebbe potuto aiutarla a scoprire la verità sulla morte di Karen? Le aveva detto chiaro e tondo di non averla conosciuta, ma se non fosse stato così?
 Queste domande l’avevano tormentata tutto il giorno, impedendole di concentrarsi sul lavoro.
-Hai qualcosa per me Emma?-
Emma sobbalzò. Non si era accorta che John si era avvicinato alla sua scrivania. Era un uomo affascinante sulla quarantina che aveva ereditato lo studio dal padre, ormai troppo avanti con l’età per esercitare la professione
-Per la verità no-ammise Emma, imbarazzata.
-Hai dato almeno una letta ai fogli che ti ho lasciato stamattina?- chiese John, sospettoso. Emma annuì debolmente.
C’era stato un periodo, dopo la morte di Karen, in cui aveva trascurato molto il lavoro. John era stato comprensivo e le aveva detto di prendersi del tempo per superare il lutto. Passati alcuni mesi aveva capito che concentrandosi sul lavoro avrebbe avuto meno tempo per rimuginare su ciò che era successo a Karen e quindi aveva impiegato tutte le sue energie nel lavoro.
Quel giorno sembrava che la Emma distratta e pensierosa fosse tornata.
 -Ho letto tutto. Ma è un caso difficile. Sono state rilevate delle mail nel computer aziendale del nostro cliente che mostrano evidenti legami con una società concorrente. L’accusa ha in mano carte ottime- spiegò Emma, cercando di giustificare il motivo per cui non avesse nulla di utile da dargli.
John la guardò con i suoi grandi occhi scuri. Sembrava scettico, ma non disse nulla.
Si limitò ad annuire e a sollecitarla a studiare il caso più approfonditamente. Infine la salutò, augurandole una buona serata.
Emma raccolse le sue cose e si avviò verso l’uscita, felice di poter lasciare finalmente lo studio.
Prima di uscire di casa si controllò allo specchio. Aveva raccolto i suoi lunghi capelli castani in una coda alta e aveva  ritoccato leggermente il trucco.
La matita nera e il rimmel mettevano in evidenza i suoi occhi verdi, mentre un filo di blush smorzava il suo incarnato pallido.
 Aveva deciso di sostituire l’abbigliamento elegante e formale della mattina con un paio di jeans e una maglia  a manche corte nera.
Prese la borsa e un giacchetto in caso avesse avuto freddo al rientro ed uscì. Impiegò pochi minuti per arrivare al locale, facilmente raggiungibile a piedi, senza ricorrere alla macchina, e si accorse che non era ancora aperto al pubblico, perciò bussò all’ingresso principale.
Le aprì la ragazza che aveva visto ballare sul palco la sera prima. Era alta e aveva capelli neri e mossi. La squadrò dall’alto in basso.
Emma si costrinse ad usare un tono gentile. –Ciao sono Emma, la nuova cameriera.- si presentò sorridendo.
-Il personale deve usare la porta sul retro. La prossima volta ricordatelo- rispose lei, non accennando ad alcun segno di gentilezza.
Cominciamo bene, pensò Emma spazientita. Mi sono già fatta un’amica, fantastico.
-Forza seguimi- le ordinò poi.
Emma entrò nel locale e notò che c’erano ancora molte cose da sistemare. Le sedie erano capovolte e sistemate sopra i tavoli, sicuramente da pulire.
–Ti devi cambiare. Poi chiedi a Katy quello che devi fare. Io sono una ballerina, non una cameriera- disse la sua nuova amica, in tono acido. Alzò i tacchi e se ne andò, lasciandola sola.
Stava per chiedere chi fosse Katy, quando dal nulla comparve una ragazza minuta con lentiggini sul naso. Le sorrise in modo gentile e si presentò: -Ciao tu devi essere Emma. Io sono Katy. Non fare caso a Stephenie. Crede di essere la star di questo posto, ma ci sono le altre due ballerine, Maya e Serena, che sono molto più brave di lei. Ignorala, come faccio io.-
Emma decise che Katy le stava simpatica. Forse erano le lentiggine o il fatto che anche lei odiasse quella Stephenie.
–Credo che seguirò il tuo consiglio- disse Emma, ridendo.
–Ottima idea. Ora seguimi che ti mostro la divisa e poi ti spiego cosa dobbiamo fare prima che il locale apra- disse Katy, dirigendosi verso una porta in fondo al locale.
Passarono davanti ad una serie di porte prima di arrivare allo spogliatoio, una stanza quadrata con alcuni armadietti e delle panche.
Katy le presentò le altre ragazze che lavoravano lì.- Emma loro sono Mia, Rosie e Jess. Le ballerine di cui ti parlavo prima si staranno cambiando nella loro stanza. Sono troppo importanti per cambiarsi dove ci cambiamo noi- disse sarcastica, facendo ridere tutte.
–Indossa questi e poi raggiungimi nella sala.- aggiunse, porgendole un sacchetto che aveva preso da uno degli armadietti.
Emma si tolse i suoi vestiti e si infilò la divisa. Una maglia bianca a maniche corte con l’insegna del locale e un paio di shorts neri. Fu contenta quando Mia le disse che poteva tenere le sue converse bianche.
Quando tornò nella sala principale Katy le spiegò che doveva sistemare le sedie, dare una pulita a i tavoli e una spazzata al pavimento della sua area, ovvero la zona più vicina al bancone. Emma annuì e si mise all’opera.
 Stava pulendo un tavolo quando Jet arrivò.
Indossava una maglia nera a maniche corte e un paio di jeans. Emma confermò la sua ipotesi che fosse molto alto e immaginò che non potesse aver più di un paio di anni di lei. Ventisette, ventotto al massimo.
–Quello è Jethro- le spiegò Katy, che stava pulendo un tavolo lì vicino. –Tanto bello, quanto misterioso. Fossi in te mi terrei alla larga- disse, mentre lui si dirigeva al bancone.
Quando si accorse di Emma le lanciò un’occhiata dura che la fece sentire a disagio e poi cominciò a sistemare il bancone.
–L’ho conosciuto ieri. Non sembrava molto entusiasta del fatto che venissi a lavorare qua- spiegò Emma, distogliendo lo sguardo da lui.
-Ci hai parlato? Strano, non rivolge la parola quasi mai a nessuno qui dentro. Diciamo che è uno di poche parole- disse Katy, con un tono strano.
Beh, ieri non sembrava uno di poche parole, pensò Emma. -In ogni caso non mi interessa- disse invece, passando ad un altro tavolo.
Un paio d’ore dopo Emma stava prendendo l’ordinazione di una coppia di ragazzi che osservavano rapiti Stephenie e le sue amiche ballare sul palco. Dovette chiedere loro tre volte cosa volessero. Ottenuta l’ordinazione si diresse verso il bancone. Diede l’ordinazione a Cam, un ragazzo di circa vent’anni che aiutava Jet quando il locale era più affollato del solito e nell’attesa si guardò intorno.
Le altre ragazze stavano prendendo le ordinazioni e quando incrociò lo sguardo di Katy questa le fece l’occhiolino.
–Ecco Emma- disse Cam, porgendole un vassoio con due cocktail. Lanciò un’occhiata a Jet che stava flirtando con una ragazza seduta al bancone e si avviò verso la coppia di ragazzi.
Rifletté sul fatto che da quando avevano aperto tutte le sue ordinazioni erano state prese da Cam, mentre Jet l’aveva praticamente ignorata, come se lei non esistesse. Tra l’altro lui non si era nemmeno presentato ufficialmente a differenza di Cam. Sembravano due perfetti estranei.
Non mi importa, continuava a ripetersi Emma. Il problema invece era che le importava. Non tanto perché fossero colleghi od altro, ma perché lui poteva esserle d’aiuto nelle indagini su Karen.
Sussultò quando si accorse che da quando era entrata nel locale non aveva fatto progressi. Sperava di poter parlare con Katy più tardi, durante la pausa, per raccogliere informazioni in modo discreto.
Mentre si dirigeva verso un altro tavolo per prendere le ordinazioni di un gruppo di ragazze che sghignazzavano come oche fu intercettata da Kian.
–Ehi Emma. Come procede?- le chiese gentile.
-Tutto bene per ora- rispose Emma, costringendosi a sorridere.
- Puoi venire un attimo nel mio ufficio?-chiese poi. Emma annuì, contenta che potesse finalmente capire dove lavorasse Kian.
La condusse in una stanza vicino allo spogliatoio dove era stata prima. Le pareti erano rosse e contrastavano con il nero dei mobili. C’era una scrivania lunga, sui vi erano diversi fogli sparsi e un mobile  alto in fondo. Diversi quadri adornavano le pareti.
–Siediti pure- la invitò Kian. Emma si sedette sua una delle due poltrone di fronte alla scrivania. –Allora. Ieri non abbiamo potuto parlare molto. Questo è un tipo di lavoro che può essere faticoso. Ti potrei dare solo un giorno libero a settimana. Sono 15 dollari l’ora. Va bene?- disse Kian, dopo essersi accomodato dietro la scrivania. La fissava intensamente, in attesa di una risposta.
Emma annuì. Lavorerei qui anche per due dollari l’ora se questo mi aiutasse a scoprire chi ha ucciso Karen, pensò Emma.
–Bene.- disse Kian. Sembrava volesse dirle altro, ma rimase in silenzio. Emma si alzò.
– Se non c’è altro allora…- disse mentre di dirigeva alla porta.
-Emma?- la chiamò, prima che uscisse -Va tutto bene?- chiese ed Emma capì che alludeva chiaramente a come lei si sentisse dopo che era stato deciso di archiviare il caso di Karen
-Certo- annuì, avviandosi verso la sala.
Non riuscì però a tornare di là perciò quando vide una porta che portava fuori dal locale si avviò in quella direzione.
Deve essere questa la fottuta uscita sul retro, pensò arrabbiata.
Si ritrovò in un vicolo stretto. Rabbrividì involontariamente, poi prese un respiro profondo.
Un rumore alle sue spalle la costrinse a girarsi. Incrociò lo sguardo freddo di Jet. Ci mancava pure lui, pensò spazientita.
–Già stanca?- chiese lui, ironico.
–Si può sapere perché cazzo fai così?- urlò Emma, irritata.
–Ti avevo avvertito che non era il posto per te.- disse, mentre si accendeva una sigaretta.
Emma lo osservò alla luce dei lampioni. Non poteva negare che fosse attraente, ma il suo atteggiamento la irritava profondamente.
–Non mi sembra di averti chiesto un consiglio o roba del genere.- si limitò a dire Emma.
Lui aspirò fumo dalla sigaretta e poi lo rilasciò lentamente. –Università di Chicago?- chiese dopo un po’, cogliendola di sorpresa.
La reazione di Emma fu come una risposta.
–Cosa ci fa una che ha frequentato l’università in un posto del genere?- chiese, guardandola negli occhi.
–Non so di che parli- replicò Emma.
–Andiamo, mi prendi per un idiota? Il fatto che non abbia la laurea non significa che sia uno stupido- disse Jet.
–E se anche fossi laureata? Non potrei lavorare qui? Che razza di ragionamento del cavolo è?- chiese Emma, incrociando le braccia al petto.
Jet la squadrò lentamente, soffermandosi più del dovuto sulle sue gambe, poi riportò l’attenzione ai suoi occhi.
–Si tratta della tua amica non è vero?-
Emma distolse lo sguardo. Forse lui sapeva qualcosa.
–Forse- disse, evasiva. –Hai detto di non averla conosciuta.- aggiunse, quasi sperando che lui la smentisse.
-È così, infatti.- disse, mentre spegneva la sigaretta a terra.
La fascia nera tatuata sull’avambraccio destro che aveva notato la sera prima attirò di nuovo l’attenzione di Emma, che si ritrovò a chiedere:
-Ha un significato particolare?- Jet seguì il suo sguardo.
Si toccò la fascia con la mano sinistra e poi guardò lei. – Mio fratello- si limitò a dire.
Rientrò nel locale e la lasciò da sola, piena di dubbi e domande.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Emma aveva appena consegnato una birra ad un uomo che stava discutendo animatamente con una donna che lei immaginò fosse la fidanzata quando nel locale entrarono tre uomini dall’aria minacciosa.
Erano passati tre giorni da quando Emma aveva parlato con Jet in quel vicolo stretto, ma nessuna delle domande che le frullavano nella testa aveva ancora trovato risposta.
Come faceva Jet a sapere che lei aveva frequentato l’università di Chicago? In che modo la fascia nera tatuata sul suo avambraccio destro aveva a che fare con il fratello? Era vivo o era morto?
Non era riuscita ad inquadrare ancora Jet semplicemente perché lui non le aveva più rivolto la parola. Non capiva il suo atteggiamento e il suo orgoglio le impediva di andare da lui a chiedere spiegazioni. Il loro rapporto si limitava a ricevere e consegnare ordinazioni. Nulla di più, nulla di meno.
Emma si costrinse a ignorare Jet e si concentrò sui clienti che erano appena entrati nel locale. Si trattava di tre uomini sulla quarantina.
Emma immaginò che fossero dell’Est. Russi forse. Avevano l’aspetto di boss malavitosi. Quelli che Emma aveva visto solo nei film. Sospirò quando di sedettero a un tavolo della zona di cui si occupava lei.
Si avvicinò cauta, come se uno di loro avesse potuto tirare fuori una pistola da un momento all’altro.
–Cosa posso portarvi?- chiese, cercando di mostrarsi tranquilla e di non guardare nessuno in particolare. Non riusciva a capire perché fosse così agitata. Calmati Emma, continuava a ripetersi.
Uno dei tre si schiarì la voce, costringendola a portare l’attenzione su di lui. Aveva grandi occhi scuri, fortemente in contrasto con i suoi capelli biondi. Le ricordò vagamente John. –Due gin tonic, grazie- le disse, in tono cordiale.
Emma annotò l’ordinazione sul suo blocchetto e si diresse verso il bancone, dove Jet stava servendo alcuni clienti. Cam non c’era perché il locale non era particolarmente affollato.
Quando Jet finì di servire una ragazza bruna e formosa che stava cercando palesemente di farsi notare da lui, Emma gli fece un cenno e gli riferì l’ordinazione. Lui si limitò a preparare i drink e a consegnarglieli senza dire nulla. 
Si vede che gli sono simpatica, mi parla in continuazione, pensò Emma sarcastica.
Stava distribuendo i gin tonic quando sentì Kian dire loro –Quando volete-.
Emma si voltò confusa, ma Kian si stava già dirigendo verso il suo ufficio. Lanciò un’occhiata ai tre uomini e li sentì parlare in una lingua a lei sconosciuta. Temendo che la sua curiosità potesse insospettirli si allontanò.
Notò che non c’era nessun nuovo cliente da servire perciò si diresse al bancone. Trovò uno sgabello libero e si sedette. Aveva una gran sete perciò fece un cenno a Jet.
Se avessero continuato così Emma avrebbe fatto prima a imparare il linguaggio dei muti. Le parole con lui non servivano a molto.
-Un bicchiere d’acqua per favore. Sto morendo- disse, quando lui si avvicinò, squadrandola con i suoi occhi azzurri, freddi come al solito. Le sembrava il colore del mare in inverno, quando il cielo è nuvoloso e l’acqua assume quel colore grigiastro. Era impossibile non perdersi in essi mentre li si guardava.
Jet si girò verso il lavandino e le prese un bicchiere d’acqua. Glielo poggiò sul bancone senza nemmeno degnarla di uno sguardo e si diresse verso la ragazza di prima, quella che cercava di farsi notare in tutti i modi da lui. 
Se continui a sbattergli le tette in faccia, dubito che possa ignorarti, pensò Emma acida. Era per caso gelosa? Di quella lì? Assolutamente no.
Si girò verso il tavolo degli uomini dell’Est e si accorse che si stavano alzando. Continuò a seguire i loro movimenti fino a quando non sparirono nell’area riservata al personale, dove c’era anche l’ufficio di Kian. 
Ma chi diavolo sono?, si chiese Emma, sospettosa.
Finì il bicchiere d’acqua e prese una decisione su due piedi. Si diresse verso Katy e le disse che non si sentiva molto bene e che quindi aveva bisogno di riposarsi un attimo.
–Certo, Emma. Non ti preoccupare ti copriamo noi.- la rassicurò Katy, sorridendole.
Emma si diresse verso lo spogliatoio. Mentre passava notò che la porta dell’ufficio di Kian era socchiusa. Entrò nello spogliatoio e ragionò. Origliare era rischioso, ma quegli uomini non la convincevano affatto. 
Tanto vale.. sospirò. Al diavolo, pensò.
Cercando di non fare rumore si diresse verso l’ufficio di Kian. Si fermò a un metro dalla porta, appiattendosi contro il muro, e cercò di sbirciare all’interno.
Kian era appoggiato alla scrivania, mentre i tre uomini erano in piedi.
-Hai i nostri soldi?- chiese uno di loro. Kian sembrava preoccupato.
 Quali soldi?, si chiese Emma.
–Ecco io..- iniziò Kian, in difficoltà.- Ho bisogno di più tempo.- disse, sospirando.
 Emma non fece in tempo a sentire la loro risposta perché qualcuno le afferrò il braccio allontanandola bruscamente dalla porta dell’ufficio di Kian.
Si ritrovò intrappolata tra il muro e il corpo solido e forte di Jet.
–Che diavolo stai facendo?- sibilò furioso. Il colore dei suo occhi sembrava più acceso. Probabilmente per la rabbia.
–C-cosa?- balbettò Emma.
Aveva temuto che Kian potesse uscire da un momento all’altro e scoprire che lei stava origliando, ma non si era aspettata che Jet sbucasse all’improvviso.
 –Devo per caso ripeterti la domanda? Sei sorda?- chiese, avvicinandosi ancora di più a lei.
 Emma inspirò profondamente il profumo di Jet, che aveva potuto cogliere il giorno in cui si erano incontrati per la prima volta.
–Allora?- la incalzò Jet.
Emma stava per inventarsi qualcosa quando sentì dei passi avvicinarsi.
Immaginò che fosse Kian, perciò agì impulsivamente. Afferrò la maglietta di Jet e lo baciò.
All’inizio fu un lieve contatto delle loro labbra. Un delicato sfiorarsi.
Emma temette che se lui non l’avesse assecondata, sarebbe finita nei guai. Poi però qualcosa cambiò.
Jet cominciò a reagire al bacio di Emma e lei si rilassò. Cominciò a baciarla con impeto. Le loro lingue duellavano, si allontanavano per poi cercarsi.
Emma continuò a ripetere a se stessa che si trattava di una messinscena, ma non poté fare a meno di rabbrividire quando una mano di Jet si posò sul suo fianco destro, accarezzandola lentamente.
–Che state facendo voi due?- chiese una voce arrabbiata.
Jet si allontanò lentamente da Emma, guardandola negli occhi.
Emma stava ansimando. Prese un respiro profondo, cercando di riprendere il controllo della situazione. Jet si voltò verso Kian. Si lanciarono una strana occhiata e poi Jet se ne andò.
Rimasero solo lei e Kian, che la guardava con disapprovazione.
–Emma forse non sei stata informata, ma sono assolutamente contrario alle relazioni sul posto di lavoro- disse Kian, inarcando un sopracciglio.
Emma non sapeva che dire. Era contenta che la messinscena fosse stata convincente, ma era profondamente turbata dal bacio di Jet.
 Annuì lentamente. –I-io.. Si certo. Sono.. d’accordo con te. Non so cosa mi sia preso. Non succederà di nuovo.- lo rassicurò Emma.
Kian sembrò crederle perché annuì soddisfatto. –Torna a lavorare ora- le disse, dirigendosi poi verso il suo ufficio.
Emma dovette prendere altri respiri profondi prima di tornare in sala.
Durante il resto del turno Emma cercò di limitare i contatti con Jet al massimo. La situazione sembrava quella che sussisteva prima che si baciassero ed Emma era contenta. Solo poche ore prima pensava a quanto fosse strano il loro rapporto, fatto di cenni e poche parole, mentre adesso questo tipo di rapporto le sembrava ideale.
Non sapeva spiegarsi cosa fosse successo prima. Aveva baciato Jet per evitare che Kian la sorprendesse ad origliare, ma la reazione di Jet l’aveva confusa. L’aveva baciata come se lei fosse la sua unica fonte di ossigeno, come se di lei gli importasse. Eppure non aveva fatto altro che ripetere come quello non fosse il suo posto e l’aveva praticamente ignorata fin da subito.
 Perché l’aveva baciata in quel modo? Emma continuava a ripetersi la stessa domanda. Ma ciò che la turbava di più era che lei non era rimasta indifferente a quel bacio.
Che diavolo ho combinato?, si chiese per l’ennesima volta.
Decise di concentrarsi sul lavoro e su ciò che aveva scoperto quella sera.
Kian conosceva quegli uomini. Non solo li conosceva, ma doveva loro dei soldi.
Per quali motivi? Che genere di transazione li legava?
Emma era abbastanza sicura che non si trattasse di qualcosa di legale. Se Jet non si fosse intromesso avrebbe potuto scoprire qualcosa di più, ma non era stato possibile.
 Sbuffò sonoramente quanto si rese conto di quale direzione avessero preso i suoi pensieri. Piantala di pensare a lui, si rimproverò.
–Ehi Emma tutto bene?-le chiese Katy, mentre entrambe si dirigevano verso il bancone.
–Si, si. Era solo un capogiro. Nulla di grave.- la rassicurò Emma.
Mentre aspettavano che Jet preparasse i loro drink, Emma lanciò un’occhiata al palco. In quel momento si stavano esibendo Stephenie e Maya. Inutile precisare che l’attenzione degli uomini presenti nel locale fosse rivolta tutta a loro. Erano praticamente mezze nude. Indossavano un bikini che rivelava più di quanto dovesse nascondere.
Katy seguì il suo sguardo. –Mi chiedo come fanno- disse, pensierosa.
Emma la guardò confusa. –Voglio dire, ballare tutto il tempo per uomini che le guardano con la bava alla bocca. Non è il genere di lavoro che fa per me- spiegò Katy, scuotendo la testa.
Emma era d’accordo. Non che fosse bigotta o altro. Non era una ragazza sfacciata, ma neanche eccessivamente timida. Solo che non avrebbe mai avuto il coraggio di fare quello che le ballerine facevano su quel palco tutte le sere.
-Già.- mormorò, dopo un po’.
Finito il turno Emma era esausta. Voleva solo tornare a casa e buttarsi sul letto.
Lanciò un’occhiata all’orologio. Erano le due.
Le altre ragazze erano già andate tutte via. Kian era rimasto in ufficio per revisionare alcuni documenti. L’idea di camminare per le strade da sola a quell’ora le metteva ansia, ma poi pensò al fatto che ci avrebbe messo solo cinque minuti a piedi.
Si infilò il giacchetto che si era portata, notando che la temperatura non era molto alta, sebbene fosse estate e si avviò verso l’uscita.
Una volta fuori non ebbe il tempo di fare nemmeno mezzo metro perché qualcuno le afferrò il polso, costringendola a fermarsi. Non aveva bisogno di girarsi per sapere di chi si trattava. 
Non adesso, pensò Emma.
Si voltò lentamente e non si stupì di incrociare due occhi azzurri che la guardavano intensamente.
-Sono stanca- disse Emma, sospirando.
Lui la scrutò, come se stesse cercando qualcosa.
 –Voglio andare a casa- disse Emma, cercando di liberarsi dalla stretta di Jet.
Lui non accennò a lasciarla andare. –Cosa…?- iniziò a dire lui.
Emma non l’aveva mai visto così insicuro. –Jet, ti prego. Voglio andare  a casa- ripeté Emma.
–Mi spieghi che è successo là dentro?- chiese Jet, allentando la stretta sul suo polso.
Emma ne approfittò, liberandosi. Incrociò le braccia al petto e si costrinse a guardarlo negli occhi. –Non è successo proprio un bel niente- disse Emma, cercando di apparire irritata.
Se gli avesse fatto capire che per lei quel bacio non significava nulla, sarebbe stato tutto più semplice. Lui la guardò sorpreso, poi la sua espressione si indurì.
–Niente?-ripeté incredulo.
–Esatto- confermò Emma. -Se non c’è altro..- cominciò a dire Emma.
Non riuscì a terminare la frase perché lui la spinse contro il muro, poggiando le mani ai lati della sua testa. La guardò per alcuni secondi ed Emma stava per protestare quando lui si avventò sulle sue labbra. Emma non poté fare altro che dischiudere le labbra e arrendersi all’assalto impetuoso della sua lingua. Una parte di lei le stava dicendo che era sbagliato, che doveva concentrarsi su Karen e cercare di scoprire che le era successo, ma in quel momento il suo corpo era in lotta con la sua testa.
Rispondeva al bacio di Jet, come se tutto il resto non importasse, come se fosse la cosa giusta da fare. Gli circondò il collo con le braccia, dando modo a Jet di approfondire il bacio. Quando lui si allontanò da lei, Emma non riusciva a respirare in modo regolare e il cuore batteva forte nel suo petto.
–Niente?- disse Jet, inarcando un sopracciglio.
Emma esitò. Quello non era niente. Nonostante ciò alzò il mento in tono di sfida. –Niente- ripeté, mentendo a se stessa.
 Mi hai ignorato,  mi hai detto che  questo non era il posto che faceva per me e adesso mi baci in questo modo?, avrebbe voluto urlare Emma. Jet staccò le mani dal muro e se ne andò, dopo averle lanciato un’occhiata che Emma non riuscì a decifrare.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Quella sera Emma era rientrata a casa più tardi del solito.
Lo studio legale in cui lavorava era situato in uno degli edifici più moderni di Chicago, nel cuore della città. Per raggiungerlo doveva ricorrere alla macchina, l’adorata Volvo v40 che i suoi genitori le avevano regalato per il suo ventesimo compleanno.
Questo però significava dover affrontare ogni santo giorno il traffico caotico delle strade di Chicago e quella sera al rientro dal lavoro era successo esattamente quello.
Non solo  John le aveva chiesto di trattenersi un’ora in più per studiare la strategia migliore da portare in aula il giorno seguente, ma era rimasta  imbottigliata nel traffico per più di due ore a causa di un incidente.
Non appena mise piedi in casa chiamò a gran voce Karen, con la quale condivideva l’appartamento ormai da quattro anni. Per la precisione da quando Emma aveva deciso di abbandonare Jacksonville, la sua città natale, dove continuavano comunque a vivere i genitori e il  fratello, per trasferirsi a Chicago e frequentare lì l’università.
Quando Emma non ottenne alcuna risposta pensò subito che Karen fosse già uscita per andare a lavorare al Serendipity, il locale in cui un paio di anni prima si erano imbattute per caso, dopo che Karen aveva deciso di passare un’intera serata a divertirsi per locali nella speranza di riuscire a dimenticare l’ennesimo licenziamento. Quello che Karen però non si era aspettata era di trovare lì un nuovo lavoro.
Emma posò la borsa sul divano e si diresse in camera sua. Mentre passava nel corridoio ebbe una strana sensazione.
 Aveva appena superato la porta della stanza di Karen quando decise di tornare indietro. Spalancò la porta socchiusa ed entrò nella stanza.  Sembrava tutto in ordine come al solito. Letto perfettamente rifatto, scrivania libera senza nemmeno un foglio fuori posto. Esattamente l’opposto di quello che avrebbe trovato Emma nella propria stanza.
 L’unico elemento che stonava era la finestra. Era completamente spalancata e le tendine ondeggiavano smosse dal vento. Si indirizzò in quella direzione, ma quando si avvicinò lanciò un urlo.
Karen era riversa per terra. Occhi e bocca spalancati. La sua pelle ambrata era ora pallida, esangue. Presentava diversi lividi sulle braccia e sul collo. I capelli neri, di solito lucidi e composti, erano annodati e spenti.
Emma si buttò a terra e cominciò a scuotere Karen, come se lei potesse riprendere i sensi. Come se lei potesse svegliarsi. Ma non poteva, perché era morta.
 
Emma si svegliò di soprassalto. Non le succedeva di rivivere la morte di Karen ormai da mesi.
Quel sogno, un ricordo doloroso che avrebbe voluto cancellare per sempre dalla memoria, la turbò profondamente.
Lanciò un’occhiata all’orologio e si accorse che si era svegliata mezzora prima che suonasse la sveglia. Decise di alzarsi comunque. Non sarebbe riuscita in ogni caso a riaddormentarsi. L’immagine del corpo senza vita di Karen che continuava a riaffacciarsi nella sua mente.
Arrivò in ufficio leggermente in anticipo rispetto al solito. Decise di prendersi un altro caffè e poi si diresse alla sua scrivania. Impiegò tutte le sue energie nel lavoro, alla ricerca di qualsiasi elemento che potesse far vincere la causa a John.
All’ora di pranzo era già stanca. Aveva passato la mattinata a chiamare persone e a inviare e-mail.
Afferrò il suo telefono e si diresse verso l’ufficio di John.
-Lui c’è?- chiese alla segretaria, una donna sulla trentina sempre affabile e sorridente.
-Sì, Emma. Vai pure- la rispose gentile.
Emma bussò piano e aspettò di ricevere una risposta prima di entrare. Aprì la porta quando John disse-: Avanti-.
-Buongiorno- la salutò con un sorriso. Non si erano ancora incrociati da quando lei era arrivata in ufficio.
-Ehi John. Mi chiedevo se potessi darmi il pomeriggio libero. Non mi sento molto bene- gli disse Emma, sperando che lui glielo concedesse.
-Hai trovato qualcosa di utile?- chiese John, riferendosi palesemente al caso.
-Ho fatto un paio di telefonate stamattina e ho inviato diverse mail. Sto aspettando delle risposte.
-Va bene. Se hai qualcosa fammi sapere. Prenditi pure il pomeriggio. Si vede che dovrò spremere Claire.-
Claire era la nuova stagista. -Non darle il tormento. È una brava ragazza-lo pregò Emma.
John scoppiò a ridere e poi tornò a concentrarsi sui fogli che stava leggendo prima che lei arrivasse. La stava chiaramente congedando.
Emma lo ringraziò e poi tornò alla scrivania.
                                                    ***
Un paio d’ore dopo Emma vagava senza meta per le vie di Chicago. Si era fermata in un ristorante vicino all’ufficio per il pranzo, ma non le andava di tornare a casa. Perciò si era ritrovata a camminare senza sapere bene quale fosse la sua destinazione.
Ripensò alla serata seguente. Ai russi. A Jet.
Soprattutto a lui.
Non sapeva come avrebbe dovuto affrontare la questione quella sera.
Ignorarlo? Dirgli che tra loro non poteva succedere nulla? Spiegargli il vero motivo per cui lei aveva cercato un lavoro lì?
Emma scosse la testa. In fondo lei non lo conosceva. Non sapeva se poteva fidarsi o meno di lui. E non avrebbe rischiato che la sua copertura saltasse solo perché lui l’aveva baciata talmente bene da farle perdere momentaneamente la testa.
E poi c’erano alcune cose di lui che non la convincevano. Lui non voleva che lei lavorasse lì. L’aveva beccata ad origliare fuori dall’ufficio di Kian, ma non aveva accennato a nulla dopo che si erano baciati.
Eppure una persona qualunque si sarebbe insospettita. Perché non le aveva chiesto nulla?
Perché nasconde anche lui qualcosa, pensò Emma.
Era talmente assorta nei suoi pensieri che non si accorse che qualcuno stava camminando nella sua traiettoria. Si scontrò con un petto solido e ampio e si preparò all’impatto della caduta.
Un braccio l’afferrò, impedendole di cadere. Alzò gli occhi verso lo sconosciuto che le aveva evitato una brutta caduta, pronta a ringraziarlo.
-Tu!- esclamò Emma, sorpresa. Parli del diavolo..
-Prego eh. Se volevi cadere a terrà e rotolarti nella sporcizia potevi dirlo- disse Jet, sarcastico
-Ma che ci fai qui?- chiese Emma, confusa.
-Non sapevo che questa strada fosse proprietà privata.- rispose Jet, cercando di non scoppiare a ridere. Ma fu più forte di lui.
-Intendevo..-Emma alzò gli occhi al cielo e sbuffò. Non era pronta per quella conversazione.
Jet la squadrò dalla testa ai piedi. Emma notò un lampo di approvazione nei suoi occhi. Sapeva come doveva apparire.
Indossava  una gonna nera a vita alta e una camicia rosa cipria, con le maniche arrotolate. Le scarpe alte e nere in vernice la facevano sentire meno bassa di fronte a lui.
-Sei..-iniziò a dire Jet.
Oh no. Oh no, pensò Emma nel panico. Se lui le avesse fatto un complimento sarebbe stato un disastro.
-Andiamo a fare un giro?- chiese invece Jet.
-Cosa?-
-Credo  che tu sia troppo giovane per essere sorda. Ventiquattro?-
- No, ne ho venticinque, ma..-
-Appunto. Forza vieni.- Jet la prese per mano e la trascinò verso una strada larga e trafficata.
-Aspetta!- protestò Emma.
Lui la condusse davanti ad una moto dall’aspetto minaccioso. Emma sgranò gli occhi.
-Non ho intenzione di salire su quel coso!- esclamò agitata. Non capiva che cosa stesse succedendo.
Un attimo prima stava camminando per i fatti suoi e quello dopo Jet voleva fare un giro con lei. Su una moto. Incredibile.
-Senti… -iniziò a dire Emma, ma fu subito zittita dalle labbra di Jet che catturarono le sue. Emma lo spinse via, sebbene l’istinto le dicesse di non farlo.
Jet la guardò sorpreso. –Ti vorrei ricordare che ieri, fuori dall’ufficio di Kian..-
Emma lo interruppe bruscamente. Era meglio mettere le cose in chiaro.
-Ieri è stato un errore. E poi ha sentito Kian, no? Non vuole relazioni fra i suoi dipendenti.- spiegò Emma, costringendosi a guardarlo negli occhi.
Jet sembrava seccato, ma non fece scenate.
-Va bene. Come vuoi tu. Adesso sali- disse, lanciando un’occhiata alla moto.
-No. Non ci siamo capiti.- disse Emma, scuotendo la testa.
-Se è per la gonna allora passiamo a casa tua e ti cambi. -replicò Jet, come se fosse una cosa ovvia.
Casa mia?, pensò Emma. Tu a casa mia non ci metti piede!, avrebbe voluto urlare. Invece disse:- Cosa posso fare per convincerti a lasciarmi in pace?- Poi si ricordò ciò che le aveva detto Katy.
-Dicono tutti che non sei molto loquace. Beh a me non sembra in questo momento.- Lui la confondeva. Prima la ignorava e adesso…
-Forse mi piaci-confessò Jet.
Forse gli piaccio! Aspetta un attimo, non dovrei essere contenta.
-Ok, facciamo così. Vengo con te, ma con questi vestiti e non salirò su quella moto. Andremo a piedi.- propose, incapace di credere alle sue stesse parole.
Jet sorrise come se avesse vinto una battaglia di cui Emma però non sapeva di aver preso parte.
-Andata- disse lui, con un cenno del capo.
Lui si incamminò verso il Millennium Park ed Emma malgrado tutto lo seguì. Passarono diversi minuti in silenzio. Emma non sapeva che dire, mentre Jet sembrava concentrato a camminare.
-Lei come era?- chiese ad un certo punto Jet, mentre si avvicinavano al Cloud Gate.
Emma si voltò verso di lui e incrociò il suo sguardo curioso. Si riferiva a Karen? E a chi altri sennò?
-Unica. Ci siamo conosciute quando mi sono trasferita qui. Sono nata a Jacksonville, ma non c’erano molte opportunità lì per me così ho deciso di trasferirmi qui. Cercavo casa e mi sono imbattuta nel suo annuncio. Stava cercando una coinquilina perché l’affitto per lei era troppo alto. Siamo diventate amiche da subito- spiegò Emma, malinconica.
-Lei era così.. frizzante. Voglio dire…. I suoi genitori sono morti quando lei aveva 21 anni, ma non era mai triste. Diceva che la vita è troppo breve per essere tristi. I suoi non avrebbero voluto che lei trascorresse la sua vita a piangerli. – proseguì Emma. Aveva gli occhi luci. Sarebbe scoppiata a piangere da un momento all’altro.
-Amava lavorare al Serendipity, sai? Diceva che Kian non avrebbe potuto scegliere un nome più adatto. Eravamo capitate lì per caso. Karen era stata licenziata dal suo capo perché le aveva messo le mani addosso e lei lo aveva rifiutato. Aveva deciso che quella sera avrebbe pensato solo a divertirsi. Niente pensieri e niente problemi. Quando siamo arrivati al Serendipity era un po’ alticcia. Ha cominciato a urlare che il suo capo era un maiale e si sono tutti girati verso di lei. Kian passava lì in quel momento e le ha chiesto quale fosse il problema. Poi le ha offerto un lavoro, perché aveva bisogno di un’altra ragazza. Per questo diceva che il nome del locale non sarebbe potuto essere più azzeccato. Era andata lì per dimenticare i suoi problemi e invece aveva trovato un lavoro- mormorò Emma, sorridendo al ricordo di Karen che insultava il suo capo.
-Doveva essere speciale- disse Jet, guardando davanti a sé.
-Lo era- confermò Emma.- Scusami. Ho parlato troppo- disse Emma scuotendo la testa. –Katy mi ha detto che il tuo nome completo è Jethro- disse poi.
Jet annuì. -Chissà cosa passava per la testa ai miei quando lo hanno scelto- mormorò.
-Abitano qui?- chiese Emma, curiosa.
Lo sguardo di Jet si velò. –Sono morti quando ero piccolo.-
-Mi dispiace- disse Emma. Avrebbe voluto chiedergli del fratello, ma non voleva appesantire la conversazione.
-Dove vai conciata così?- le chiese lui, andandosi a sedere su uno spazio verde del parco.
Emma scoppiò a ridere. -Conciata così?- ripeté, imitando il suo tono.- Sembra che mi sono messa un sacco dell’immondizia addosso- disse, ridendo.
-Diciamo che non è lo stile del Serendipity.- spiegò Jet, guardandola negli occhi.
-No-confermò Emma. Non voleva rivelargli dove lavorasse.
Non riusciva ad ammetterlo con se stessa, ma lui cominciava a piacerle. Ed era un disastro. Lanciò un’occhiata all’orologio. Erano le cinque e mezza.
-Forse sarebbe meglio che rientrassimo. Tra mezzora dobbiamo essere al locale.- disse Emma, alzandosi. Sperava solo che non si fosse macchiata la gonna di verde.
Quando lui scoppiò a ridere lei si voltò. –Cosa?- chiese, confusa.
-La tua gonna!- disse Jet. Rideva a crepapelle.
-Ovvio. Ti pareva che non mi sporcavo?- borbottò Emma. –Tanto dovevo passare a casa a cambiarmi comunque.-
-Ti accompagno- si offrì Jet, mentre si alzava.
Non credo proprio, pensò Emma. Invece disse:- Devo recuperare la mia Volvo. Ci vediamo dopo.- Non gli diede il tempo di rispondere. Si incamminò verso l’ufficio, senza voltarsi indietro.
                                                          ***
Verso le nove e mezza Emma stava prendendo un’ordinazione.
Aveva appena annotato sul suo blocchetto quello che volevano un paio di ragazze che Emma immagino più piccole di lei, quando una testa bionda familiare comparve nella sua visuale. Strinse gli occhi per vedere meglio.
Sbatté le palpebre un paio di volte, confusa. Si affrettò verso il bancone e riferì a Jet quello che volevano le ragazze. Poi consegnò loro i drink e si avviò verso une delle persone che Emma non avrebbe mai immaginato di trovare lì.
L’uomo spalancò gli occhi sorpreso. Chiaramente non si aspettava di trovarla lì.
-Emma?- chiese, posando la sua birra sul tavolo.
-John. Che ci fai qui?- chiese Emma. Non sapeva che lui conoscesse quel posto.
-Lavori qui?- le rispose John con un’altra domanda, notando l’insegna del locale sulla sua maglietta.
-Sì, da meno di una settimana. Conosci questo posto?- chiese Emma, curiosa.
John non le rispose. Invece disse:- Se avevi bisogno di soldi…-
Emma arrossì. Adesso il suo capo pensava che lei avesse bisogno di soldi. Non poteva certo spiegargli perché lavorava lì.
-No, cioè.. Conosco il proprietario. Aveva bisogno di una cameriera e mi sono offerta per aiutarlo.- mentì. Stava diventando proprio brava a dire bugie ultimamente.
-Emma! Tavolo 3! –strillò Mia, indicando nuovi clienti.
-Devo andare. Ci vediamo domani- disse Emma.
Mentre si dirigeva al tavolo che le aveva indicato Mia, Emma intercettò lo sguardo di Jet. Sembrava seccato.
L’aveva forse vista parlare con John? E anche se fosse? Era forse geloso?
-Ehi Emma- la fermò Katy. –Conosci John?- chiese, curiosa.
Emma la guardò confusa. La domanda era un’altra. Katy conosceva John?
-Perché? Tu lo conosci?- chiese, infatti. Lanciò un’occhiata al tavolo dove era seduto lui prima, ma  se ne era andato via. Tornò a concentrarsi su Katy.
-Certo. È un cliente abituale. Viene qui ogni venerdì- disse.
 
 
 
Angolo dell’autrice.
Innanzitutto vorrei ringraziare chi ha inserito la storia nelle preferite/ seguite e soprattutto chi ha recensito.
Poi vorrei chiedervi di lasciare un commento dopo la lettura. Positivo o negativo che sia. Mi aiuta a capire se devo continuare a procedere in questo modo o se è opportuno modificare qualche aspetto della storia o approfondirne altri.
Spero che la formattazione del testo di questo capitolo sia più comoda ;)
Alla prossima J
Ps. Non sposterò al storia nel genere giallo per ora perché non so nemmeno io come si svilupperà precisamente la storia. So dove voglio arrivare, ma non il percorso per raggiungere l’obiettivo ecco.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Emma arrivò al locale in anticipo. Salutò Kian nel suo ufficio e poi si diresse allo spogliatoio. Sapeva che non avrebbe trovato ancora nessuno.
Fu contenta quando pochi minuti dopo entrò Katy. Era molto più bassa di Emma, ma era un vulcano di energia. Aveva raccolto i suoi capelli rossi in uno chignon morbido e i suoi occhi castani erano truccati più pesantemente del solito.
-Ehi Emma.- la salutò allegra.- Come mai così in anticipo?
-Non avevo nulla da fare- mentì Emma, sperando di sembrare convincente.
 In realtà aveva capito che Katy arrivava sempre molto prima dell’inizio del turno e voleva approfittare per farle alcune domande su Karen.
-Mi dispiace dirtelo, ma sarò costretta a fruttarti- disse Katy, ridendo. Poi cominciò a cambiarsi. Sebbene fosse minuta aveva un corpo tonico e formoso nei punti giusti.
-Se proprio devi..- disse Emma, ironica. Katy scoppiò a ridere.
-Hanno lavorato molte ragazze in questo posto?- chiese poi, affrontando la questione in modo indiretto.
-Da quando ci sono io no. Nel senso che se ne sono andate solo un paio di ragazze. Una è quella che tu hai sostituito e l’altra…-
Emma capì al volo chi fosse l’altra. –Cosa?- chiese, fingendo una disinteressata curiosità. Di disinteressato non c’era proprio nulla invece.
-Si chiamava Karen. Lavorava già qui quando io sono stata assunta. Era una ragazza particolare. Sorrideva in continuazione. Non l’ho mai vista arrabbiata, ora che ci penso- spiegò Katy, accennando ad un sorriso.
-Cosa le è successo?-
-È morta. Sono passati due anni se non sbaglio- mormorò Katy.
Emma si costrinse a usare il tono di una persona che stava parlando di una perfetta estranea.
-Malattia?- chiese, sapendo benissimo che non era quello il motivo per cui era morta.
Katy scosse la testa. –È stata assassinata. Era una ragazza così dolce. Mi chiedo chi possa averle fatto del male in quel modo…-
-Quindi non si sa chi l’abbia uccisa-
-No.-
-Ti sei fatta qualche idea?- chiese Emma.  
-No, per la verità. Qui andava d’accordo con tutti. Kian la trattava come se fosse una figlia e aveva un ottimo rapporto con le altre ragazze. Solo una volta…- Katy si bloccò, come se stesse dicendo troppo.
-Cosa? A me puoi dirlo.- le disse Emma. Parla per favore.
-Una volta ha discusso con James. Nulla di grave, ma è dovuto intervenire Kian. È stato un equivoco in realtà. James ha aperto l’armadietto di Karen. Qui nessuno lo chiude a chiave. Ha detto che si era sbagliato, ma lei è andata su tutte le furie. Non voleva che nessuno frugasse tra le sue cose.- spiegò Katy, abbassando la voce.
Che Karen stesse nascondendo qualcosa? Poi le venne in mente un’altra domanda.
-Chi è James?-
-Oh, non lo sai. È il figlio di Kian. Pare che sia all’estero. Nell’est Europa, per la precisione, ma secondo me è morto. Solo che Kian non lo vuole dire- rispose Katy, dubbiosa.
Kian ha un figlio? Est Europa? Ad Emma vennero in mente i tre uomini che erano entrati qualche sera prima nel locale. Quelli cui Kian doveva dei soldi.
C’era forse un legame tra loro e il fatto che il figlio di Kian fosse nell’Est Europa? Ma questo cosa c’entrava con Karen? Perché si era arrabbiata così tanto quando James aveva frugato nel suo armadietto?
-Forza andiamo a lavorare- La voce di Katy le impedì di tormentarsi con altre domande. Domande cui non avrebbe saputo dare in ogni caso una risposta.
Emma annuì, ma fu distratta tutta la serata.
Scambiò diversi ordini e rischiò in più di un’occasione di rovesciare per terra i drink. Jet continuava a lanciarle strane occhiate. Come se avesse capito che qualcosa non andasse. Non avevano parlato un granché dal giorno prima e forse era meglio così.
-Fai una pausa- le disse Mia, vedendola stanca.- Ti copro io.
Emma la ringraziò e si avviò verso l’uscita sul retro. Voleva stare un po’ da sola, ma nello spogliatoio faceva troppo caldo.
Non appena l’aria fresca la investì, Emma si sentì subito meglio. Si appoggiò al muro alle sue spalle e guardò verso l’alto. Non si riuscivano a vedere molte stelle, a causa delle luci della città.
Le venne mente la conversazione che aveva avuto quella mattina con John. Di solito il sabato non lavorava, ma John le aveva chiesto di andare in ufficio solo qualche ora per esaminare alcuni documenti.
A quanto pareva lui conosceva il Serendipity da poco. Katy però le aveva detto che era un cliente abituale. Scosse la testa. Con tutte le questioni di cui si doveva occupare non aveva il tempo per pensare a John. Fin quando si trattava di lavoro, era sempre disponibile. Tutto ciò che riguardava John al di fuori del lavoro  però non le interessava. Poteva frequentare tutti i locali che voleva, per quanto la riguardava. Si chiese però cosa ne pensasse la moglie. Non sono fatti miei, si disse Emma.
Ragionò su come potesse ottenere informazioni su quel James. Non aveva idea che Kian avesse un figlio, onestamente. Non che lo conoscesse bene, in fondo. Prima di essere  assunta al locale lo aveva visto due volte. La sera che lei e Karen erano entrate per la prima volta nel Serendipity e al funerale di Karen. In quella circostanza si era mostrato addolorato, come chiunque però.
Forse poteva parlare con Jet. Con Katy se l’era cavata piuttosto bene. Non si era insospettita per le sue domande, ma con lui era tutta un’altra storia. Sapeva in qualche modo che lei voleva scoprire la verità su Karen.
Emma decise che se il locale avesse chiuso un po’ prima rispetto al solito, come succedeva quando c’erano pochi clienti, avrebbe parlato con Jet.
                                                                     ***
Ce la puoi fare, si disse Emma. Si avviò verso Jet, che stava finendo di sistemare le ultime cose. Indossava una camicia bianca con le maniche arrotolate e un paio di jeans scuri. Emma non l’aveva mai visto indossare indumenti che non fossero sportivi e dovette ammettere con se stessa che la camicia gli donava. Si modellava perfettamente sulle sue spalle larghe e muscolose.
-Ehi- gli disse, accennando un sorriso. Lui le lanciò un’occhiata sospettosa.
-Ti manca ancora molto?-chiese Emma, lanciando un’occhiata ai bicchieri che aveva in mano. Mentre li lavava, i muscoli delle sue braccia si flettevano in un modo che Emma trovava delizioso. Distolse lo sguardo. Doveva concentrarsi.
-Ho quasi finito- disse Jet, secco.
Adesso ho capito cosa intendeva Katy. Deve essere questo il Jet poco loquace, pensò Emma, spazientita.
-Ti aspetto se vuoi.- si offrì, accomodandosi su uno sgabello. Lui sembrava perplesso.
Mentre Jet finiva di sistemare, il telefono di Emma squillò. Quando notò che si trattava di sua mamma si stupì. Ma perché la chiamava a quest’ora? Era quasi l’una.
-Mamma. Che è successo? È tardi- disse, preoccupata. Jet la guardava curioso.
-Emma sei ancora sveglia. Scusa per l’ora, ma io e tuo padre domani veniamo a Chicago. Potremmo vederci se non hai da fare- disse sua madre.
-Oh. No, non ho da fare- disse. Domenica era il suo giorno libero. Non doveva lavorare nemmeno al locale. –Ma non potevi avvertirmi un po’ prima? Ti sembra questa l’ora? Pensavo fosse successo qualcosa di grave- la rimproverò Emma, arrabbiata.
-Abbiamo deciso all’ultimo. Ho provato a chiamarti diverse volte, ma non rispondevi-si giustificò sua madre.
Emma controllò velocemente sullo schermo e verificò quello che aveva detto sua madre.
-John ti tiene a lavorare fino a quest’ora?-
-No, mamma. John non è così crudele. Avevo da fare, tutto qui.- disse Emma. -Allora ci vediamo domani. Sto andando a letto. Notte, mamma.- la salutò sbrigativamente. Chiuse la telefonata e infilò il telefono in borsa. Alzò lo sguardo e notò che Jet la stava fissando in modo strano.
-John?-chiese, con voce aspra. Sembrava geloso.
-Hai finito?-
Jet non apprezzò il suo tentativo di cambiare discorso. –È il tizio dell’altra sera?-
Emma non sapeva bene cosa rispondere. Avrebbe dovuto spiegare un sacco di cose, ma aveva fretta di ottenere informazioni su James, per poi tornarsene a casa.
-Nessuno di importante- si limitò a dire. Jet non sembrava della sua stessa opinione.
–È il tuo fidanzato?- chiese, fissandola negli occhi.
Emma scoppiò a ridere. –Cosa? Ma no!- disse, ancora ridendo. Notò che Jet sembrava sollevato. –Perché ti importa così tanto?- si azzardò a chiedere lei.
-Non è così- disse lui. Aveva finito di sistemare tutto, finalmente. Prese il suo giacchetto, che aveva momentaneamente posato sul bancone, e aspettò che lei si alzasse.
-Beh non sembrava- lo schernì Emma.- Comunque. Che strada fai?- chiese dopo.
-Ti stai invitando a casa mia?- le chiese, in tono malizioso.
-Ma come ti salta in mente! Volevo solo… Lascia stare-
-Ho la moto. Ti serve un passaggio?-
-No, grazie. Non abito lontana da qui e se anche fosse non salirei su quell’arma di distruzione di massa.
-Esagerata!-la prese in giro Jet, sfoderando un sorriso che a Emma fece aumentare i battiti del suo cuore.
-Non credo sia una buona idea che tu te ne vada in giro da sola a quest’ora. Forza, ti prometto che arriverai a casa sana e salva.- la rassicurò.
Emma si disse che era solo un modo per parlare con lui. Non significava niente che la volesse accompagnare a casa o che si preoccupasse per la sua incolumità.
-Ma ti avverto: non ho parcheggiato vicino.-
-Mi prendi in giro? Non sei riuscito a trovare uno straccio di parcheggio vicino al locale per una moto? E se avevi un Suv che facevi, la parcheggiavi in Canada?- chiese incredula.
Jet scoppiò a ridere. -Andiamo-
Lo seguì fuori dal locale. L’aria era più fresca di quando era uscita per fare una pausa. Non poté fare a meno di rabbrividire, cosa che a Jet non sfuggì. Lo precedette.
-Non ti azzardare a diventare un cliché vivente. Sì, ho freddo. No, non ho bisogno del tuo giacchetto. Ho sempre trovato stupide le scene nei film in cui lui di turno dà a lei il proprio giacchetto per farla riscaldare. Non che io e te stiamo ad un appuntamento o… Vabbè hai capito insomma.-
Jet sorrise. Emma invece si rimproverò. Stava facendo la figura della stupida.
-Non sapevo che Kian avesse un figlio- disse poi. Questo sì che è raccogliere informazioni in modo discreto. Grande Emma, si rimproverò.
Jet serrò la mascella. Emma continuò a camminare affianco a lui in silenzio per alcuni secondi, dandogli il tempo di formulare una risposta.
-Lo conosci?- gli chiese, voltandosi verso di lui.
Jet guardava davanti a sé. Si toccò la fascia tatuata sul braccio e poi si voltò verso Emma.
-Perché me lo chiedi?- I suoi occhi sembravano più scuri. Emma immaginò che fosse a causa del buio.
-Così. Katy ne stava parlando con le altre prima. Ero solo curiosa. Non avevo idea che avesse un figlio- spiegò Emma.
-Lui… È molto lontano- mormorò Jet, in tono criptico. Questo ovviamente spinse Emma a fare altre domande.
- Ovvero?-lo incalzò lei. Aveva un disperato bisogno di sapere.
-Non è qui- si limitò a dire Jet.
-Non è una risposta, dannazione!-esclamò irritata, pentendosi l’attimo seguente di essersi esposta troppo. Doveva mostrarsi indifferente, ma quando si trattava di Karen per lei era difficile.
-Non so dove sia Emma. Ma perché diavolo ti importa tanto?- chiese Jet arrabbiato.
Emma si stupì della sua reazione. Non capiva perché si arrabbiasse tanto.
Cosa non mi stai dicendo Jet?, si chiese Emma. Le sembrava di avere poche tessere di un puzzle enorme. Non erano abbastanza per avere un quadro completo.
Sapeva che da Jet quella sera non avrebbe ottenuto altro, perciò lasciò perdere.
-Dove è finita questa moto?-chiese, notando che era da venti minuti che camminavano. -Ci siamo quasi- la rassicurò Jet.
Fecero qualche altro metro e si ritrovarono in una strada che Emma riconobbe come la parallela a quella in cui si trovava il suo appartamento. Avevano fatto un giro lunghissimo solo per arrivare a due passi da casa sua? A questo punto le conveniva andare a piedi, risparmiandosi il viaggio in moto.
-Ehi Jet- lo chiamò, fermandosi.
Lui sembrò ignorarla e continuò a camminare verso la sua moto che ora Emma poteva vedere. Era parcheggiata di fronte ad un palazzo non estremamente moderno, ma comunque signorile.
Emma attraversò la strada, per raggiungere Jet. Solo che lui non si fermò alla moto, ma proseguì verso l’ingresso del palazzo.
Aspetta un attimo.., pensò Emma insospettendosi. Poi finalmente capì.
-Jet!-urlò, nonostante fosse notte fonda e rischiasse di svegliare i vicini. Lui stava tirando fuori un mazzo di chiavi, quando si voltò verso di lei. Stava sorridendo. Anzi stava proprio ghignando.
Emma gli lanciò un’occhiata torva. –Me ne vado a casa- disse, irritata.
-Perché non sali? Beviamo solo qualcosa e poi ritorni a casa- propose Jet.
Emma esitò. Era arrabbiata perché lui l’aveva condotta a casa sua con l’inganno, ma l’idea di passare del tempo con lui l’allettava. Non per raccogliere informazioni o altro, però. Voleva solo stare da sola con lui e conoscerlo meglio.
Si ritrovò ad annuire prima che potesse decidere cosa fosse la cosa giusta da fare.
Jet si illuminò e le sorrise. Era diverso da come le era sembrato la prima volta che si erano conosciuti. Ancora non sapeva spiegarsi cosa fosse cambiato. Una parte di lei pensava che fosse perché lei gli piaceva, ma Emma non era sicura che fosse quello il motivo. In fondo gli aveva fatto capire che tra loro non sarebbe potuto accadere nullla.
Jet la condusse all’interno del palazzo e chiamò l’ascensore. Poi si voltò verso di lei. Puntò i suoi occhi azzurri nei suoi e la guardò a lungo.
Emma arrossì involontariamente e distolse lo sguardo. In quel momento si sentiva a disagio.
Dieci minuti dopo erano nell’appartamento di Jet. Era di un stile che Emma riteneva in contrasto con la persona di Jet. Sembrava la casa di una coppia di anziani benestanti che amano l’eleganza e il lusso.
Il salone era molto ampio. Vi erano tre divani e una poltrona che sembrava antica, disposti intorno ad un televisore moderno a schermo piatto. Poi vi era un tavolo circondato da sei sedie di un stile simile a quello della poltrona.
Emma si girò verso Jet, mostrando la sua perplessità.
-Era la casa dei miei- spiegò lui.- Adoravano questi mobili. Non ho avuto… beh non me la sono sentita di riarredarla-
-È una casa molto bella- si complimentò Emma. Lanciò un’occhiata ad una foto su una mensola alle spalle di Jet. Ritraeva lui e un altro ragazzo che gli assomigliava molto. Forse non bello come Jet, ma ugualmente affascinante. La foto doveva essere di qualche anno fa. Deve essere suo fratello, pensò Emma.
Lui seguì il suo sguardo, ma non disse nulla.
Si voltò verso di lei e le prese il viso fra le mani. Senza darle il tempo di reagire posò le sue labbra morbide sulle sue. All’iniziò fu delicato. Le sfiorò le labbra con le sue diverse volte, come se stesse aspettando una reazione di Emma. Poi le succhiò il labbro inferiore costringendola a dischiudere le labbra. La lingua di Jet cercò la sua e cominciarono una danza appassionata.
Emma non capiva perché baciare Jet la scuotesse nel profondo.
Aveva avuto diverse cotte adolescenziali ed era stata con qualche ragazzo durante l’università. Con un paio di loro aveva fatto anche sesso, ma non si era trattato di esperienze che l’avevano emozionata. Baciare Jet invece era come essere lanciata nello spazio e non riuscire a tornare sulla Terra.
Emma lanciò un urlo quando lui interruppe il bacio e la prese in braccio. La depositò sul divano e si sdraiò su di lei, attento a non schiacciarla con il suo peso. I loro corpi aderivano alla perfezione.
Emma ansimò quando Jet ricominciò a baciarla con ardore, spingendo i fianchi contro i suoi e dimostrandole quanto la desiderasse.
Le bloccò entrambi i polsi sopra la testa e la baciò come se  volesse divorarla. Infilò la mano libera sotto la sua maglietta e le accarezzò un fianco, facendola rabbrividire.
Poi cominciò a tracciare un scia di baci dalla mandibola fino al collo scandendo più giù. Emma si liberò dalla sua stretta e gli afferrò il viso, costringendolo a baciarla sulla bocca.
L’erezione di Jet le premeva contro il ventre ed Emma suo malgrado si eccitò. Quando Jet cominciò a strusciarsi lentamente su di lei, Emma credette di perdere la testa. Non riusciva a pensare lucidamente. Le mani di Jet che la toccavano, il suo profumo che le annebbiava i sensi.
Riuscì ad opporsi però quando lui tentò di sfilarle la maglietta.
-No- disse decisa, mentre cercava di riprendere il controllo.
Jet si staccò da lei leggermente, per poterla guardare meglio negli occhi. Emma notò che anche lui sembrava sconvolto. Si spostò  in modo tale che Emma poté indietreggiare e mettersi seduta sul divano. Jet si sedette sul lato opposto, senza dire nulla. La guardava come se si stesse sforzando a non toccarla, a stare lontana da lei.
-Devo andare a casa- disse Emma, incapace di guardarlo negli occhi.
-È tardi. Rimarrai qui stanotte- replicò Jet, in un tono che non ammetteva repliche.
-Non puoi costringermi- disse Emma, in tono di sfida.
-Non ti lascerò andare in giro da sola a quest’ora Emma. Scordatelo-
Emma si alzò dal divano lanciando un’occhiata dura a Jet. Non aveva il diritto di trattenerla lì.
-Abito a due passi da qui. Ci metto di meno a tornare a casa che a discutere con te-
-Emma non ci siamo capiti. Tu. Rimani. Qui.- disse Jet, scandendo le parole lentamente.
-Non ho intenzione di venire a letto con te!-protestò Emma.
Jet sorrise maliziosamente.- Non era quello il messaggio che stavi lanciando prima.-
Emma arrossì. Non avrebbe dovuto assecondarlo, ma era stato più forte di lei.
-Potresti accompagnarmi- disse Emma. –Così saresti sicuro che torno a casa sana e salva-
-Non ho voglia di uscire adesso. Il letto è abbastanza grande per tutti e due.- disse Jet, inarcando un sopracciglio.
Cosa?!, pensò Emma nel panico. Letto grande per tutti e due?
-Jet non mi va di discutere a quest’ora. Me ne vado.
Emma non fece in tempo ad alzarsi che lui le afferrò un braccio. -Dormirò sul divano. Contenta?-
Emma ragionò. Lui non l’avrebbe accompagnata e se anche l’avesse lasciata andare, cosa estremamente improbabile, si era fatto molto tardi. Abitava a pochi metri da lì, ma questo non significava che non fosse pericoloso andare in giro da sola a quell’ora.
Non capiva perché si sforzasse tanto di resistere a Jet. Alla fine si ritrovava sempre ad acconsentire alle sue assurde richieste. Fare un giro insieme, salire a casa sua e adesso.. dormire nel suo appartamento. Emma stava sicuramente impazzendo.
-Hai vinto idiota. Rimarrò qui ma tu devi dormire sul divano, altrimenti ti taglio le palle e le do in pasto ai cani- lo minacciò Emma, usando un linguaggio colorito che non le era proprio.
Jet scoppiò a ridere-Come preferisci- acconsentì, mentre ancora rideva di gusto.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Emma stava ancora cercando di capire come si fosse cacciata in quella situazione quando Jet la condusse nella sua camera da letto.
Non che ci fosse molto da capire in realtà. La curiosità l’aveva spinta a salire a casa sua, ma una persona con un briciolo di intelligenza avrebbe declinato l’invito.
Jet era per lei un mistero da risolvere. Ciò che la turbava di più era che in alcune occasioni aveva trascurato l’indagine sulla morte della sua migliore amica per cercare di scoprire qualcosa su di lui.
Non essere troppo dura con te stessa Emma. Vivi la tua vita e lasciati alle spalle quello che è successo, le avrebbe detto Karen.
Ma lei non poteva far finta di nulla. Qualcuno aveva ucciso Karen in modo brutale e lei non solo avrebbe scoperto chi e perché avesse fatto una cosa del genere, ma avrebbe assicurato il colpevole alla giustizia.
-Come vedi c’è spazio per tutti e due- disse Jet, in tono malizioso.
Emma sussultò. Era talmente assorta nei suoi pensieri che si era dimenticata di dove si trovasse.
Alzò lo sguardo e incrociò i suoi meravigliosi occhi azzurri. Questa volta però non erano freddi come al solito. Era di una tonalità calda che ad Emma ricordò il colore del cielo d’estate.
Emma spostò il peso da un  piede all’altro, visibilmente a disagio, ma non rispose nulla. Si guardò attorno curiosa.
Quella non era certamente la camera dei suoi genitori, sebbene ci fosse un ampio letto a due piazze.
Le pareti erano tappezzate di poster e di fotografie. Alcune ritraevano solamente Jet. Jet bambino, Jet adolescente e perfino Jet adulto. Altre lo ritraevano con colui che Emma supponeva fosse il fratello.
Si avvicinò cauta ad una fotografia in cui loro due guardavano sorridenti verso la macchina fotografica.
Il ragazzo insieme a Jet sembrava più piccolo di età. Aveva gli stessi occhi azzurri di Jet, ma i suoi capelli erano più chiari e il suo sorriso meno affascinante. Erano alti più o meno uguali, ma Jet era sicuramente più robusto di corporatura.
Sentì Jet dietro di lei. Rimase in silenzio, in attesa che lui dicesse qualcosa.
-Sei proprio sicura che io debba dormire sul divano? Voglio dire è scomodo, non puoi essere così crudele- scherzò, strappandole un sorriso.
Emma si voltò verso di lui. Lanciò un’occhiata al letto, come se stesse riflettendo sulle sue parole. Poi si concentrò su di lui.
-Aspetta: fammici pensare… La risposta è si. Devi proprio dormire su quel divano.- disse Emma, ridendo.
Jet si finse offeso e mostrò un’espressione da cane bastonato.
-Non ti lascerò dormire su questo letto. Scordatelo Jet.- disse Emma imitando il tono che lui aveva usato prima con lei, per impedirle di tornare a casa.
Jet rise, ma poi alzò le braccia in segno di resa.
-Suppongo ti serva qualcosa di pulito per dormire-disse poi, inarcando un sopracciglio.
Emma diede un’occhiata ai suoi vestiti. Non voleva andar a letto con quelli.
-Se avessi una maglia o qualcosa del genere sarebbe perfetto.- annuì Emma.
Jet si diresse verso l’armadio e poi tirò fuori una maglietta nera pulita. Gliela lanciò senza nemmeno avvertirla.
Emma in quel momento fu felice di avere buoni riflessi. L’afferrò al volo e se la rigirò tra le mani. Vi era una sola scritta :AC/DC.
-Sono forti- disse Emma, approvando i suoi gusti musicali.
Jet sembrava sorpreso. -Li conosci?-
-Ovvio, per chi mi hai presa? Per una cui piacciono le boy band?- chiese Emma, scuotendo la testa.
-Puoi andare ora- aggiunse, congedandolo dalla sua stessa stanza.
Jet glielo fece notare. -Questa è la mia stanza, tesoro. Non puoi dirmi di andarmene- disse, incrociando le braccia.
-E va bene dormo io sul divano- Emma si stava dirigendo verso la porta quando lui le afferrò il polso.
La deve smettere di fare così, pensò Emma. Ogni volta che si toccavano aveva la sensazione di prendere la scossa. In altre circostanze l’avrebbe trovato fastidioso, ma con lui era una sensazione piacevole. E ciò non andava affatto bene.
-Vado io- disse Jet, lasciandola da sola.
Emma si cambiò in fretta. Aveva bisogno di uno spazzolino per lavarsi i denti, ma non voleva andare da lui solo con quella maglia addosso. Le arrivava a metà coscia e non voleva creare situazioni imbarazzanti.
Oh, al diavolo, pensò mentre si dirigeva in salone.
                                             ***
Emma si svegliò nel cuore della notte. Aveva caldo, terribilmente caldo e le sembrava che qualcuno le cingesse la vita con un braccio.
Aprì gli occhi confusa. Nella stanza c’era poca luce e lei non riusciva a vedere molto bene.
Cercò di muoversi, ma qualcuno glielo impedì. Si voltò sorpresa e lanciò un’occhiata oltre le sue spalle. Jet stava dormendo tranquillamente. Un braccio cingeva la sua vita, come se avesse paura che lei potesse scappare.
-Che diavolo ci fai qui?- chiese Emma, urlando. Sapeva che così facendo lo avrebbe svegliato in modo brusco. Ben gli sta, pensò Emma indispettita.
Lui accennò ad un sorriso, ma non aprì gli occhi. Chiaramente era sveglio.
Emma cercò di divincolarsi dalla sua stretta, ma con scarsi risultati.
-Lasciami! E non fare finta di dormire. Tu…tu sei...-Emma si bloccò.
Con una mossa agile Jet era riuscito a intrappolare Emma sotto il suo corpo.
Emma si rese conto che lui non indossava una maglietta. Si ritrovò a fissare il suo petto nudo e muscoloso. Arrossì, temendo che lui si fosse accorto delle sue occhiate. Distolse lo sguardo dai suoi muscoli e lo guardò negli  occhi
-Non osare…. Alzati, dannazione!- gli ordinò Emma.
Jet la ignorò. La fissò per un tempo che ad Emma parve infinito e poi cominciò a sorridere.
-Non c’è nulla di divertente Jet. Ti avevo avvertito che avresti dovuto dormire sul divano. Adesso sarò costretta a..-le si spense la voce quando Jet le depositò un bacio delicato sul collo.
-Calmati Emma.- le disse, sdraiandosi accanto a lei.
Rimasero qualche momento in silenzio. Guardavano entrambi il soffitto, ma nessuno osava dire nulla.
-Si chiamava Alec.- mormorò Jet, attirando l’attenzione di Emma. Si voltò verso di lui curiosa, girandosi su un fianco.
A chi si riferiva? A suo fratello? Avrebbe voluto fare quelle domande ad alta voce, ma temeva che lui si chiudesse a riccio, perciò preferì rimanere in silenzio. Le avrebbe detto solo quello che voleva raccontarle.
-Avevamo tre anni di differenza.  I nostri genitori sono morti che avevamo solo dieci anni, perciò siamo stati cresciuti da un fratello di mamma. Alec era una testa calda. Quando io sono diventato maggiorenne mio zio ci ha praticamente buttati fuori di casa. Non sopportava più tutte le stronzate di mio fratello.- proseguì Jet.
Emma immaginò il dolore che lui e suo fratello avessero provato per la morte dei genitori. Notò che Jet parlava del fratello al passato. Questo significava che era morto? Non aveva il coraggio di chiederglielo.
-Adesso dormi- le intimò. Emma sospirò. Jet non aveva minimamente intenzione di alzarsi e andare a dormire sul divano.
-Puoi restare se prometti di non allungare le mani-disse Emma, in tono rassegnato.
Lo sentì ridere. –Affare fatto-
-La tua parola non conta molto. Dici una cosa, ma poi fai sempre tutto il contrario.- borbottò Emma.
-So mantenere la parola-disse Jet, in tono duro. Emma si sorprese della sua reazione.
-Ma so quando non è opportuno farlo. Lo sai anche tu che io ti piaccio. Dovresti smetterla di mentire a te stessa- aggiunse, con un tono più scherzoso.
Emma ringraziò il fatto che ci fosse poca luce. Se avessero affrontato quella conversazione alla luce del sole, Emma non sarebbe riuscita a mascherare le sue emozioni.
–Notte, Jet- disse, acconsentendo implicitamente al fatto che lui dormisse con lei in quel letto.
-Notte, Emma-
                                              ***
Emma si svegliò a causa della luce intensa che penetrava dalle finestre della stanza. Jet non era a letto e questo la rilassò.  Avrebbe avuto il tempo di cambiarsi e sarebbe stato  meno imbarazzante quando si fossero visti.
Decise di alzarsi. Jet entrò in camera mentre lei si stava stiracchiando. La maglietta era risalita parecchio dandogli la possibilità di scorgere le mutandine di Emma.
Lei afferrò un cuscino e glielo lanciò.
-Jet! Dovresti bussare prima di entrare!-lo rimproverò, imbarazzata.
-Questa è la mia camera Emma. Perché mai dovrei bussare?- chiese Jet, come se Emma stesse  dicendo una cosa assurda.
-Ma come perché?! Perché ci sono io! Se fossi stata nuda?-
-In effetti ci speravo…-disse Jet, prendendola in giro.
Emma afferrò un altro cuscino, pronta ad attaccare.
-Ok, basta cuscini. Mi costa ammetterlo, ma per essere una ragazza hai un’ottima mira. Vieni di là che ho preparato il caffè- la invitò.
Emma stava per acconsentire quando si ricordò di una cosa.
-Cazzo!-imprecò.
-Ma che finezza Emma. Dove hai imparato le buone maniera ad Oxford?- scherzò Jet.
-Che ore sono?-chiese Emma preoccupata.
-Le 11-
-Le 11? Oddio! Porca miseria! Devo volare!- disse, mentre si stava già sfilando la maglietta.
-Ma potevi dirlo subito, no!- disse Jet, mentre cominciava a spogliarsi.
-Fermo! Ma che stai facendo?!-chiese Emma inorridita, mentre si infilava i vestiti della sera precedente.
Jet si fermò, inarcando un sopracciglio. -Non era forse un invito a fare la doccia nudo insieme a te?-chiese, ridendo.
Emma non capiva se stesse scherzando o meno.
-Cosa?! Ma ti pare! Devo correre. Sono super in ritardo. Dove diavolo sono le mie scarpe?- chiese, mentre si guardava in giro.
Jet le si avvicinò lentamente.
-Ma si può sapere dove vai così di fretta di domenica mattina?- chiese, curioso.
-Devo andare a prendere i miei alla stazione dei pullman- disse Emma, distrattamente.
-Ok allora ti accompagno- si offrì lui.
Emma si irritò. Si stava comportando come se fossero una coppia.
-No! Dammi solo le mie dannate scarpe!- esclamò Emma, arrabbiata.
-Sono di là-
Emma uscì dalla camera come un razzo. Si infilò le scarpe, prese la borsa e si avviò verso la porta.
-Te ne vai senza nemmeno salutare?-chiese Jet, infastidito.
Emma non aveva tempo per le scenate.
-Ciao, Jet- disse.
Non aspettò una riposta. Aprì la porta e se ne andò, senza guardarsi indietro.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


-Jethro ti sta fissando da almeno un quarto d’ora- l’avvertì Katy. -Credo che tu gli piaccia.-
Emma alzò lo sguardo dal tavolo che stava pulendo.
Il locale ancora non era aperto al pubblico, perciò lei e le altre ragazze stavano sistemando i tavoli mentre le ballerine si stavano esercitando sul palco.
Emma incrociò lo sguardo duro di Jet. Pensava che nel momento in cui lui avesse capito che lei si era accorta dei suoi sguardi avrebbe smesso di fissarla, invece non accennava a distogliere lo sguardo.
-Ma figurati. Non sta guardando me. Si starà godendo lo spettacolo- disse Emma, lanciando un’occhiata alle ragazze semi nude sul palco.
Katy seguì il suo sguardo, ma era chiaramente perplessa.
-Non credo- disse, dubbiosa.
Emma rimase in silenzio, sperando che Katy non riprendesse l’argomento.
Se ne era andata da casa di Jet in fretta e in furia domenica mattina e da quel giorno non l’aveva né visto né sentito.
Si erano scontrati qualche minuto prima nello spogliatoio, ma si erano salutati solo con un cenno del capo.
Emma era troppo imbarazzata per affrontare una qualsiasi conversazione con lui. Non che fosse successo nulla tra di loro, in fondo. Però avevano comunque dormito nello stesso letto. Lui le aveva raccontato qualcosa di suo fratello. Senza entrare nei dettagli, certo, ma si era pur sempre aperto con lei. E questo contrastava fortemente con l’immagine che Katy le aveva dato di lui.
Il suo atteggiamento nei suoi confronti era diverso rispetto all’inizio. Però Emma si era accorta che Jet sembrava un’altra persona solo al di fuori del locale. Dentro al Serendipity invece tornava ad essere l’uomo freddo e distaccato che tutti sembravano conoscere.
Era forse per via di Kian? Lui aveva chiarito subito di essere contrario alle relazioni sul lavoro, perciò il comportamento di Jet poteva essere una conseguenza della politica del locale.
Adesso però perché Jet la stava guardano in quel modo? Riteneva forse che, dopo essersi baciati in modo appassionato sul divano di casa sua e aver dormito nel suo letto, loro stessero insieme o qualcosa del genere? Si aspettava che lei si comportasse in modo diverso con lui?
Jet non le sembrava affatto il tipo da fiori e cioccolatini ed Emma non aveva il tempo per una relazione. Doveva scoprire cosa era successo a Karen. Tutto il resto non aveva importanza.
-Come mai così pensierosa?- chiese Katy.
Emma si schiarì la voce. Si era persa per l’ennesima volta nei suoi pensieri.
-Sono solo stanca- mentì, accennando un sorriso.
-Odio il lunedì- disse Katy- Dovrebbero cancellarlo dalla settimana. Stamattina mi sono dovuta alzare all’alba! Dovevo accompagnare mia sorella all’aeroporto. Avrei preferito soffocarmi con un cuscino piuttosto che alzarmi.-
-Hai una sorella?- chiese Emma, curiosa.
-Già. Una vera spina nel fianco. Ha solo diciotto anni. Sei meno di me. – rispose Katy, alzando gli occhi al cielo. Nonostante le sue parole si capiva perfettamente che le voleva davvero bene.
-Si apre!- urlò Mia, mentre si dirigeva verso l’ingresso principale.
-Si aprono le danze- sospirò Katy
***
Dopo un paio d’ore Emma si dovette prendere una pausa. Il locale era davvero affollato e non si era fermata un attimo. Andò verso il bancone per prendersi un po’ d’acqua.
Cam le rivolse un sorriso gentile. Da quel che aveva capito andava all’università e lavorava  saltuariamente al locale per pagarsi gli studi. Si chiese se Jet avesse infastidito pure lui con la storia dell’università.
Emma stava per chiedergli un bicchiere d’acqua quando Jet lo chiamò.
-Cam mi servi qui!-urlò, per sovrastare il rumore della musica.
Emma temeva che sarebbe diventata sorda prima o poi. Doveva assolutamente parlare con Kian di quella questione.
Vide Cam raggiungere Jet.
Se qualcuno non mi dà un bicchiere d’acqua svengo, pensò Emma.
-Ti posso offrire qualcosa?- chiese una voce gentile accanto a lei.
Si voltò sorpresa.  Un uomo sulla trentina le stava sorridendo. Aveva folti capelli castani e due occhi scuri che la guardavano attentamente. Aveva un abbigliamento un po’ troppo formale per il Serendipity, ma nel complesso era davvero affascinante.
Emma si indicò l’insegna del locale sulla maglietta. Lo sconosciuto scoppiò a ridere.
-Credo di aver scelto la ragazza sbagliata- disse, prendendo un sorso di birra.
Emma sorrise. –Ne troverai un’altra- lo rassicurò, divertita.
-Ma nessuna sarà come te- replicò lui, sfoderando un sorriso.
Se le circostanze fossero state diverse probabilmente Emma si sarebbe fatta offrire qualcosa. Però stava lavorando e aveva troppe questioni da risolvere.
-Sono sicura che non sarà un problema- disse Emma, guardandolo negli occhi.
-Non puoi fare una pausa o qualcosa del genere? Il tempo di bere una birra-disse lui, sollevando la sua bottiglia.
Emma evitò di dire che stava  in pausa. Scosse la testa, dispiaciuta.
-Non vedi il casino che c’è stasera? Non posso prendermi nemmeno un secondo- disse, lanciano un’occhiata alla sala.
Lo sconosciuto si avvicinò a lei. Forse un po’ troppo, secondo Emma.
-Non credo che se ne accorgerebbe nessuno- insistette l’uomo, prendendole una mano.
Lui si allontanò di scatto all’improvviso. Emma rischiò di cadere dallo sgabello su cui era seduta.
Ma che diavolo..?, seguì lo sguardo dell’uomo e incrociò due occhi azzurri furiosi.
-Toccala di nuovo e sarò costretto a chiederti di lasciare il locale- lo minacciò Jet.
L’uomo spostò lo sguardo da Jet ad Emma, confuso.
-Perché è un reato?-chiese, in tono di sfida.
-È assolutamente vietato infastidire il personale-disse Jet, seccato.
Emma non capiva cosa stesse succedendo. Forse quell’uomo si era sbilanciato un po’ troppo prendendole la mano, ma di certo non la stava infastidendo.
-Non ha fatto nulla di male Jet. Gli stavo spiegando che non avrei potuto bere una birra con lui perché…-le si spense la voce quando si accorse che le sue parole non stavano calmando Jet affatto. Anzi sembrava più arrabbiato di prima.
-Una birra?- chiese, aspro.
-Ehi amico non capisco quale sia il problema...-iniziò a dire lo sconosciuto.
Jet posò le mani sul bancone e si sporse verso l’uomo. –Devi tenere le mani apposto, amico- disse, calcando l’ultima parola. –Altrimenti sarò costretto a cacciarti a calci in culo da qui- aggiunse, in tono duro.
L’uomo sussultò. Tirò fuori i soldi della birra e se ne andò, senza nemmeno finirla.
Emma spalancò gli occhi, allibita. Che diavolo era successo?
-Sei fuori di testa?-chiese, alzando la voce.
Jet le lanciò un’occhiata torva.
-Forse sei tu quella fuori di testa! Stavi flirtando con un cliente nel bel mezzo del turno!-replicò Jet, guardandola storto.
Emma scosse la testa.  Odiava le discussioni, ma le sembrava tutto assurdo.
-Spero che tu stia scherzando, Jet. Flirtare? Stavamo solo parlando!- esclamò Emma incredula.
-Non avresti dovuto assecondarlo, Emma- la rimproverò lui.
Emma prese un respiro profondo. Jet si stava comportando in modo irrazionale e lei non aveva intenzione di continuare quella conversazione.
-Dammi un bicchiere d’acqua.- disse, fredda.
Lui lo prese in fretta e lo sbatté sul bancone con violenza. Poi la ignorò per tutto il resto della serata.
Incredibile, pensò Emma mentre si stava dirigendo verso nuovi clienti. Incrociò lo sguardo di Katy. Aveva assistito a tutto.
***
Emma stava per andare via dal locale quando sentì Jet e Kian discutere animatamente.
Le altre erano già tutte andate via, perciò erano rimasti solo loro. Richiuse la porta sul retro e si avvicinò cauta all’ufficio di Kian.
Devo smetterla di origliare, si disse Emma. Prima o poi mi beccano. Ti hanno già beccata, stupida.
-Che diavolo ti prende Jet? Katy mi ha raccontato della tua scenata!- disse Kian, chiaramente seccato.
-Non è successo nulla.-
-Non è vero. Katy ha assistito a tutto. Hai minacciato un cliente! Sei impazzito?-urlò Kian.
-Stava mettendo le mani addosso ad Emma.- spiegò Jet, arrabbiato.
-Katy ha detto che ci stava provando con lei, ma che non le ha dato fastidio.- replicò Kian.
Jet non disse nulla. Sentì Kian sospirare.
-Devi starle lontano. Ha sofferto già abbastanza quella ragazza. Non la devi trascinare nei tuoi casini.- disse Kian, dopo un po’. –Nei nostri- precisò.
Quali casini?, si chiese Emma. Le sembrava di fare dieci passi in avanti e cento indietro.
-Avresti dovuto pensarci prima di assumerla!- lo accusò Jet.
-Era stata licenziata, Jet. Che altro potevo fare?-
-Vogliono altri soldi.- disse poi.
-Quanto?-chiese Jet, sospirando.
-Centomila-
-Cosa? Dove cazzo li troviamo altri centomila dollari?!- imprecò Jet.
-Non venderò il locale.- disse Kian, deciso. –Li troverò in un qualche modo.-
Emma si chiese se stessero parlando dei tre loschi individui che erano entrati quella sera al locale.
-Quanto tempo ti hanno dato?-chiese Jet
-Due settimane-
-Cosa?!-
-Sai che non possiamo fare diversamente. Non lo libereranno altrimenti-
-Non finirà mai questa storia se continuiamo a dar loro soldi. Ne chiederanno altri. Ancora, ancora e ancora.-
-Non ho scelta.-
-Chi altro deve morire prima che…-
-Non morirà nessun’altro, Jet. Te lo posso assicurare.- disse Kian.
Ma di che diavolo stanno parlando?, si chiese Emma.  Fece un passo indietro, temendo che si accorgessero di lei, ma fece rumore.
Cazzo, imprecò tra sé e sé.
Si allontanò velocemente dalla porta e si fiondò verso l’uscita sul retro.
Mentre richiudeva la porta, incrociò lo sguardo di Jet. Si guardarono per alcuni secondi.
Emma chiuse la porta e si avviò verso casa.
Jet sapeva che lei li aveva sentiti.
 
Angolo autrice.
Buon pomeriggio :) Dunque volevo innanzitutto avvertirvi che ci saranno volte in cui pubblicherò più di un capitolo al giorno quindi occhio quando cliccate la voce ‘Ultimo capitolo’.
Poi volevo farvi delle domande.
Chi credete abbia ucciso Karen? Che fine ha fatto James? Alec è vivo o morto?
Se vi va di condividere le vostre idee con me, lasciate una recensione. Mi farebbe molto piacere.
Ovviamente non potrei dirvi se sono esatte o meno, per non rovinarvi la sorpresa, ma sarebbe comunque divertente parlarne insieme.
 Alla prossima ;)
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Emma alzò gli occhi al cielo e sbuffò sonoramente. Tutti i giorni la stessa storia, pensò spazientita mentre si metteva in coda.
Erano le sette e mezza di mattina e c’era un traffico incredibile. Sarebbe sicuramente arrivata in ufficio in ritardo.
Guardò distrattamente fuori dal finestrino. Il cielo non era limpido, ma in compenso faceva caldissimo. In quel momento fu felice di avere  l’aria condizionata accesa.
Mentre attendeva che il traffico si sbloccasse ripensò alla sera precedente.
Jet si era comportato in modo irrazionale. Sembrava pronto a picchiare su due piedi quel cliente che voleva offrirle da bere. Gli aveva intimato di non importunare il personale, ma Emma sapeva benissimo che non si era comportato così con nessuna delle altre ragazze. E quello non era stato certamente il primo episodio in cui un cliente ci provava spudoratamente con una cameriera.
Perché allora Jet si comportava così solo con lei? Emma non l’avrebbe mai detto ad alta voce, ma era abbastanza sicura che lui fosse geloso. Forse avrebbe dovuto parlare con lui. Cercare di chiarire le cose.
Le tornò in mente la conversazione che Jet aveva avuto con Kian. Il suo capo gli aveva detto di stare alla larga da Emma. Lui non avrebbe dovuto trascinarla nei loro casini.
Che tipo di casini? Emma era abbastanza sicura che si trattasse degli uomini dell’Est cui Kian doveva dei soldi. Ma cosa c’entrava Jet? Era invischiato anche lui?
Ciò che aveva più turbato Emma era stata la parte finale della loro conversazione. Jet aveva fatto intendere che a causa di quella storia qualcuno era morto. Chi?
Ma soprattutto chi avrebbero dovuto liberare i creditori di Kian?
Il rumore di un clacson la costrinse a concentrarsi sulla strada.
Si erano aggiunte nuove tessere al puzzle. Aveva ottenuto nuovi indizi, ma le sembrava di essere davvero lontana dalla verità.
***
Emma arrivò in ufficio alle dieci ed era già stanca. Guidare tutti i giorni per le strade di Chicago era estenuante.
Mente si dirigeva verso la sua scrivania incrociò John.
-Buongiorno Emma-la salutò, lanciando un’occhiata furtiva all’orologio.
-Scusami John. Ma stamattina c’era più traffico del solito. Sono stata due ore e mezza in macchina.- si scusò Emma.
-Non ti preoccupare. Capita. Più tardi potresti venire nel mio ufficio?-
-Certo. A che ore preferisci?-
-Quando rientri dalla pausa pranzo.-
-Perfetto.-
-A dopo Emma-
Emma lo vide avviarsi verso l’uscita. Gli sembrava strano che uscisse dall’ufficio a quell’ora, ma non ci badò molto.
Aveva alcune telefonate da fare e non aveva tempo da perdere.
***
Emma stava controllando il telefono, quando qualcuno si sedette al suo tavolo.
Alzò lo sguardo e sussultò.
-Che diavolo ci fai qui?- chiese irritata. –Mi segui adesso?-
Jet inarcò un sopracciglio. Allungò un braccio sullo schienale della sedia accanto, dando ad Emma la possibilità di osservare meglio i suoi tatuaggi. 
-Mi devi delle spiegazioni- disse Jet, puntando i suoi occhi azzurri in quelli confusi di Emma.
Emma scoppiò a ridere. –Io devo delle spiegazioni a te? Ma ti senti quando parli?-
-Ieri stavi origliando-disse Jet, ignorando le sue parole.
-Te lo chiedo un’altra volta: che diavolo ci fai qui?-
-Ti stavo cercando- rispose Jet, vago.
-Come facevi a sapere che ero qui?-
-Facciamo un gioco. Se tu rispondi alle mie domande io risponderò alle tue.- propose.
-Ok. Comincio io. -disse Emma.
Jet rise.- No. Direi che comincio io. Allora stavi origliando ieri?-
Emma fu tentata di mentire. Però se lo avesse fatto non avrebbe potuto scoprire nulla.
-Forse- disse.
Jet stava per dire qualcosa quando arrivò una cameriera con l’ordinazione di Emma. Posò il piatto sul tavolo distrattamente e poi rivolse un sorriso a Jet.
-Cosa posso portarti?-chiese, in tono mellifluo.
Emma scoppiò a ridere. Entrambi si voltarono verso di lei.
-Se per ipotesi io fossi la sua ragazza, non credi che mi darebbe fastidio il tuo atteggiamento?- chiese alla cameriera. La vide arrossire.
-S-cusi, i-io..- balbettò, imbarazzata.
Emma scosse la testa e poi cominciò a tagliare la sua pizza.
Sentì Jet ordinare qualcosa sbrigativamente e poi la cameriera se ne andò.
Quando alzò lo sguardo notò che Jet la stava fissando.
-Cosa?-chiese Emma.
-Perché quella scenata?-
-Quale scenata? Le stavo solo facendo capire che non può fare così con i clienti. Anche se sono attraenti e..-si bloccò. Oddio che diavolo sto dicendo?
-Quindi mi trovi attraente- disse Jet, compiaciuto.
-Non.. non ho detto questo. In ogni caso abbiamo questioni più importanti da affrontare-
-Stavi origliando sì o no?-chiese di nuovo Jet.
-Quella domanda l’hai già fatta e io ti ho risposto. Adesso tocca a me- rispose Emma, dopo aver preso un sorso d’acqua.
-Come hai fatto a trovarmi?-
Jet distolse lo sguardo.
-Allora?
-Stavo passando da queste parte e ti ho visto. Punto.-
-Stai mentendo Jet. Hai detto che mi stavi cercando. Possibile che sei stato così fortunato da trovarmi in un ristorante davanti al quale passavi per caso?- chiese Emma perplessa.
-Già.- confermò. -Devi piantarla di origliare le conversazioni Emma. Potresti finire nei guai.- le disse, in tono duro.
-Non stai rispondendo alle mie domande!-si lamentò Emma.
-Nemmeno tu, se è per questo. Vogliamo andare avanti così fino a stasera? Ho tempo.-
Beh io no, avrebbe voluto dire Emma. Sospirò rassegnata. Era arrivata la resa dei conti.
-Va bene. Ho ascoltato quello che vi siete detti. Contento?-
Vide un lampo di rabbia negli occhi di Jet.
-Non avrebbe dovuto assumerti, cazzo-imprecò Jet.
-Mi dici che sta succedendo?- chiese Emma.
In quel momento arrivò la cameriera di prima. Depositò il piatto davanti a Jet senza nemmeno guardarlo.
-L’hai spaventata a morte- osservò.
Emma non poté fare a meno di sorridere.
-Devi starne fuori, Emma. Lo dico per il tuo bene.- disse Jet, guardandola negli occhi. -Dico sul serio. Non hai idea..-
-Spiegami ti prego. –lo supplicò Emma.
Jet fissò il suo piatto per alcuni momenti senza dire nulla.
-Di me ti puoi fidare.- aggiunse.
-Voglio che tu stia fuori da questa storia. Non ti riguarda Emma.-
-Quale storia?-insistette Emma.
-Cazzo-imprecò Jet, guardando dall’ampia finestra vicino al loro tavolo.
-Ce ne dobbiamo andare. Immediatamente. Prendi le tue cose.- disse Jet, alzandosi in fretta.
Emma lo guardò confusa. Lanciò un’occhiata fuori, ma non vide altro che diverse persone che camminavano sul marciapiede.
-Muoviti!-le ordinò, attirando l’attenzione di altri clienti.
Aspettò che lei si alzasse, poi lasciò dei soldi sul tavolo e la trascinò fuori dal locale.
Emma lo seguì riluttante.
-Che diavolo succede?-chiese preoccupata.
Jet camminava veloce e la teneva per mano. Si guardò diverse volte indietro. Proseguì sulla stessa strada per dieci minuti, poi svoltò in un vicolo isolato.
La spinse contro il muro e le tappò la bocca con una mano. Le intimò di stare in silenzio.
-Non fiatare Emma.-
Emma annuì e Jet la lasciò andare. Si assicurò che lei non si muovesse e andò alla fine del vicolo. Si sporse sulla strada principale e controllò qualcosa.
-Credo che li abbiamo seminati- disse, tornando da lei.
-Seminato chi?- chiese Emma.
-È tutta colpa mia, dannazione. Stavano seguendo me. Capisci perché non posso..-
-Devi dirmi che sta succedendo Jet- lo interruppe bruscamente Emma.
Lui la guardò per alcuni minuti, titubante.
-Non dovrei..-iniziò a dire. Poi fece una cosa che Emma non si sarebbe mai aspettata in quel momento. La baciò.
Non in modo delicato e gentile, ma con foga. Come se lei fosse la sua ancora di salvezza.
Emma lo spinse via.
-Non puoi baciarmi così Jet. Cerchi solo di distrarmi.- disse Emma, irritata. Ignorò le sensazioni che quel bacio, breve e impetuoso, le aveva suscitato.
-Stiamo parlando di persone pericolose Emma. Se ti dicessi qualcosa ti ritroveresti coinvolta in casino da cui io stesso non riesco ad uscire.- spiegò. –Non posso rischiare di metterti in pericolo.-
-Perché?-si limitò a chiedere Emma.
Jet sorrise.- Davvero non riesci a capirlo Emma?-
Si guardarono per alcuni secondi in silenzio. –Io.. Non voglio trascinarti in questo casino. Non te lo meriti-
-E se volessi entrare in questo casino?-
-Emma non si tratta di un film. Sono pericolosi. Non si farebbero problemi ad ucciderti.-
-Tu prova a dirmi quello che succede. Spetta a me decidere.-
Si voltarono entrambi quando udirono un rumore.
-Dobbiamo andarcene da qui.-
La trascinò verso la fine del vicolo. Stavano per immettersi su una strada diversa da quella dalla quale erano venuti, quando comparvero tre uomini.
Erano quelli cui Kian doveva dei soldi.
-Andate da qualche parte?- chiese quello che aveva ordinato i drink per gli altri.
Emma immaginò che fosse il capo.
-Non c’è bisogno che coinvolgiate anche lei- disse Jet.
-Mi dispiace deluderti Jethro, ma è già coinvolta.- gli rispose con un sorriso gelido.
-Adesso se volete seguirmi di vostra spontanea volontà…- disse, incamminandosi verso una berlina nera.
-Non dire una parola Emma.- le intimò Jet, prendendola per mano.
Seguirono il biondo fino alla macchina. Emma si voltò verso gli altri due. Non mostravano alcuna emozioni. Sembravano sfingi.
-Salite- ordinò uno dei due.
Emma salì, seguita da Jet. Uno dei tre si sedette dietro con loro.
-Hai dato due settimane a Kian. Non sono ancora scadute.- disse Jet.
Emma non osava fiatare, ma cominciava a capire qualcosa.
-Vedi Jethro, Kian non è più quello di una volta, capisci?- disse il biondo, con aria pensierosa.
-Forse dovremmo ricordargli un’altra volta il motivo per ci deve dare quei soldi, che dici?- aggiunse, come gli importasse davvero dell’opinione di Jet.
Jet strinse la mano di Emma più forte. Lei si voltò verso di lui. Aveva la mascella serrata e cercava palesemente di controllare le sue reazioni.
-Lo sa benissimo. Lo sappiamo tutti e due.- disse Jet, guardando fuori dal finestrino.
Emma seguì il suo sguardo. Non aveva la minima idea di dove stessero andando. Jet non aveva voluto dirle nulla e adesso si trovava in ogni caso coinvolta in quel casino.
-Non pensare male di noi, signorina- le disse il biondo, rivolgendosi per la prima volta a lei.
-Non siamo le persone ignobili che Jet ti avrà descritto.-
-Perché Kian vi deve dei soldi?- chiese Emma, senza riflettere.
-Oh, non lo sai. Il tuo fidanzato non ti ha detto nulla?- chiese il biondo, scoppiando a ridere.
Emma si voltò verso Jet. –Dovevi stare zitta Emma- sibilò, cercando di non farsi sentire.
-Te la sei scelta bene Jet, devo ammetterlo.-
-Non sono la sua ragazza, ma voglio sapere lo stesso che diavolo sta succedendo.-
Jet le lanciò un’occhiata dura. Emma lo ignorò. Doveva sapere. Aveva un disperato bisogno di sapere.
-Se Kian non ci pagherà noi uccideremo suo figlio.- disse spietato.
 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Emma si voltò di scatto verso Jet. Lui si ostinava a guardare fuori dal finestrino, ma continuava a stringere la sua mano con forza come se quel gesto potesse proteggerla.
Quindi James non era morto come credeva Katy. Era prigioniero dei russi.
Emma cercò di vedere il lato positivo della vicenda. Almeno era vivo.
-Capisci perché dobbiamo costantemente ricordare a Kian il motivo per cui deve darci quei soldi, non è vero?- le chiese il biondo, ridendo.
Emma non riusciva ad aprire bocca.                                                           
Come potevano quegli individui parlare della morte di un altro essere umano così alla leggera? Cosa aveva combinato il figlio di Kian? E cosa c’entrava Jet  in tutta quella storia? Ma soprattutto: Karen era morta a causa loro?
-Ho sempre odiato Chicago. Il traffico perenne mi urta profondamente. Odio l’America.- disse il biondo, seccato, mentre la macchina si fermava ad un semaforo. Evidentemente era stato talmente tante volte in città da conoscerne bene le strade, perché in quel momento di traffico in realtà ce ne era davvero poco.
- Fate scendere lei.- disse Jet in tono deciso. –Non c’entra nulla con questa storia.-
-Mi dispiace deluderti Jethro, ma ormai lei è coinvolta.-
-Dove stiamo andando?- osò chiedere Emma, cercando di non mostrare la sua ansia.
-Andiamo da Kian. Mi pare ovvio, ragazza.-
Proseguirono il resto del viaggio in silenzio. Emma ogni tanto lanciava delle occhiate a Jet, ma lui continuava ad ignorarla.
Arrivarono al Serendipity in poco tempo.
Emma e Jet scesero dalla macchina, seguiti dai tre uomini.
Il biondo si fermò davanti all’ingresso e guardò Jet. –Non provare a fare scherzi altrimenti sarò costretto a prendermela con la tua ragazza. E noi non vogliamo rovinare il suo bel faccino, non è vero?- chiese, avvicinandosi ad Emma.
Le afferrò il mento con due dita e la fissò.
-Davvero bella. Sarebbe un peccato se…-
Jet spinse via il braccio del biondo con forza. Gli altri due uomini tirarono fuori le pistole.
Emma si guardò intorno. Quella via era deserta anche di giorno. Nessuno li avrebbe potuti aiutare.
-Fermi ragazzi. Cerca solo di proteggere la sua donna, in fondo. Ma deve stare attento perché la prossima volta non sarò così clemente. Forza entrate.-
-Il locale apre solo di sera.- disse Emma, pensando che ciò potesse aiutare lei e Jet.
Jet la prese di nuovo per mano. –Seguitemi.- disse ai tre uomini.
Emma lo guardò sorpresa. Non erano nemmeno le due del pomeriggio. Cosa aveva intenzione di fare? Di sicuro Kian non era lì.
Jet li condusse in un vicolo che Emma conosceva molto bene.
Ancora questa dannata porta sul retro, pensò spazientita. Avrebbe dovuto avere paura. E forse un po’ ce ne aveva. Quegli uomini erano pericolosi ed armati, ma la presenza di Jet la rassicurava un po’.
Jet tirò fuori una chiave dai jeans ed aprì la porta. Fece entrare prima Emma e poi i tre uomini. Infine si chiuse la porta alle spalle.
-Portami da lui.- disse il biondo.
Jet si diresse verso l’ufficio di Kian. Non perdeva il contatto con Emma nemmeno un secondo.
Spalancò la porta dell’ufficio di Kian e fece entrare Emma. Il loro capo li guardò sorpreso.
-Ehi Jet cosa..?- gli si spense la voce quando entrarono anche gli altri tre uomini.
-Dimitrij che diavolo sta succedendo?-
-Beh ho pensato di venire a farti un saluto. E sulla strada guarda chi ho incontrato? Jethro e la sua adorabile fidanzata.- disse il biondo, mentre si sedeva su una delle poltrone di fronte alla scrivania di Kian.
-Allora amico mio. I miei soldi?-
Kian spostò lo sguardo da Jet a Dimitrij.
-Il tempo non è ancora…-
Il biondo lo interruppe con un cenno della mano.
-Vedi, ho capito una cosa. Se uno concede troppo tempo alle persone queste se ne approfittano. Perciò ho deciso che voglio i miei soldi entro venerdì.-
Kian spalancò gli occhi. –Ma oggi è martedì!- protestò, impaurito.
-Sono contento che tu sappia tenere a mente i giorni della settimana.- lo schernì Dimitrij, facendo ridere i suoi scagnozzi.
-Devi darmi altro tempo, ti prego.- lo supplicò Kian.
Emma non l’aveva mai visto così insicuro e spaventato.
Dimitrij scosse la testa. –Non posso, amico mio.- disse, fingendosi dispiaciuto. –Se non avrò i miei soldi entro venerdì sarò costretto a uccidere James. Ed è un vero peccato, sai? Sarebbe potuto arrivare in alto, se non avesse…- lanciò un’occhiata a Jet.- beh, è inutile rivangare il passato, no?-
Emma notò la tensione nel corpo di Jet. Sembrava pronto a scattare, ma si costringeva a stare fermo.
-Ti prego Dimitrij. Concedimi fino a lunedì. Ti prometto che avrai i tuoi soldi.-
-Hai tempo fino venerdì. Sai cosa accadrà se non mi pagherai. Non credo vorresti avere sulla coscienza anche la vita di questa giovane donna non è vero?- chiese Dimitrij, lanciando un’occhiata ad Emma.
-Lei non c’entra nulla.- ripeté per l’ennesima volta Jet.
-Abbiamo opinioni divergenti al riguardo, Jethro. Vi lascio alle vostre cose signori.- disse il biondo, alzandosi dalla poltrona.
-Andiamo ragazzi- aggiunse, richiamando i suoi scagnozzi.
Se ne andarono in fretta così come erano apparsi.
-Dovete dirmi che cazzo sta succedendo!-urlò Emma, divincolandosi dalla stretta di Jet.
Kian si alzò. –Ti avevo detto di starle alla larga, dannazione!- esclamò, lanciando un’occhiata dura a Jet.
-Ha ascoltato quello che ci siamo detti ieri, Kian.-
-L’hai trascinata tu in questo casino! Dovevi mantenere un rapporto professionale con lei come ti avevo ordinato! E invece non mi hai ascoltato!-urlò Kian.
-Smettetela di parlare come se io non fossi qui. Ormai non potete fare nulla. Che lo vogliate o meno loro sanno di me. Il minimo che potete fare è dirmi quello che sta succedendo.- disse Emma ,spostando lo sguardo da Kian a Jet.
Kian continuava a camminare su e giù per l’ufficio scuotendo la testa. Jet la fissava preoccupato.
-Perché devi loro dei soldi, Kian?-chiese Emma.
-Hanno mio figlio, capisci?-
-No, non capisco. Perché lo tengono prigioniero?-
-Non dirle nulla. –gli intimò Jet.
Emma scoppiò. –Sei serio? Dopo tutto quello che è successo ancora vuoi tenermi all’oscuro? –chiese, furiosa.
Lui le afferrò il braccio, costringendola ad ascoltarlo attentamente.
-È per il tuo bene!-
-Continui a ripeterlo, ma la verità è che sono più in pericolo se non so quello che devo affrontare.-
-Bene. Hai vinto, dannazione!- imprecò Jet.
-James si è cacciato in alcuni guai. E questi guai hanno un nome: Dimitrij. Se non lo pagheremo, lui lo ucciderà- spiegò Jet.
Emma lo guardò incredula. –Spero tu stia scherzando! A questo punto sono arrivata a credere che tu mi ritenga una perfetta idiota.- disse Emma, offesa.
-Ti ho detto quello che volevi sapere no?-replicò Jet, seccato.
-Allora fai sul serio. Mi hai detto cose che già so!-protestò Emma.
A quel punto intervenne Kian.- Si tratta di droga.- disse Kian, lanciando un’occhiata strana a Jet.
-Ovvero?- chiese Emma.
-James si è invischiato in un giro dal quale si sarebbe dovuto tenere alla larga.-
Emma capì che nessuno dei due le avrebbe detto altro. Per lo meno le cose cominciavano ad avere un senso.
-E adesso che facciamo?- chiese, preoccupata.
Jet le lanciò un’occhiata. –Tu non farai un bel niente.-
-Come troviamo i soldi?- chiese Kian a Jet. –Ne ho solo venticinquemila.-
-Io ne ho cinquemila. Anche se tu continuassi a trattenere il mio stipendio fino a venerdì, non riusciremmo racimolare tutto quel denaro in tempo.
Emma guardò Jet. Lavorava gratuitamente per Kian? Ma cosa legava quei due?
Pensò a Karen. Era sicura che Kian non c’entrasse nulla con la sua morte. Probabilmente era rimasta invischiata suo malgrado anche lei in quella storia. Ma come?
-Chiederò un prestito. -disse Kian, costringendola a riportare l’attenzione su di loro.
Emma stava per intervenire quando squillò il suo telefono. Entrambi si voltarono verso di lei.
Merda, imprecò. Lanciò un’occhiata a Jet. Era John.
-Chi è?- le chiese, sospettoso.
Emma non poteva dire loro chi fosse. Avrebbe dovuto spiegare che aveva un altro lavoro, ma a quel punto Kian le avrebbe chiesto perché lei gli aveva mentito.
-Mia madre.- mentì. –Mio padre è stato poco bene, perciò vorrà sicuramente aggiornarmi sulla sua salute. Vi dispiace se vado un attimo di là?- chiese, mentre il telefono continuava a squillare ininterrottamente.
Kian le fece un cenno del capo.
Prima che uscisse Jet le disse:- Non ti azzardare ad andare via dal locale.-
Emma annuì e poi uscì in fretta dall’ufficio.
-Dove diavolo sei Emma?-le chiese John arrabbiato quando lei rispose.
-John sono mortificata, ma ho avuto un contrattempo. Non posso tornare in ufficio adesso.-
-Che contrattempo?-
Bella domanda, pensò Emma. Sono stata costretta a salire su una macchina da tre uomini che hanno in ostaggio il figlio del proprietario del Serendipity. Se lui non li paga loro lo uccideranno. Ecco quale contrattempo!
-Problemi di donne.- mentì Emma. Oddio. Non sto dicendo davvero al mio capo che non posso tornare al lavoro perché mi è venuto il ciclo, vero? Sì, lo sto facendo, pensò Emma imbarazzata.
-Oh.- disse John, a disagio. –Torna quando ti senti allora. Non ti preoccupare.-
-Grazi mille John. –
-Rimettiti allora.-
-Ok. Ciao John.-
Se avesse continuato così  lui l’avrebbe licenziata presto. Da quando lavorava al Serendipity c’era stato un problema dopo l’altro. Prima o poi John si sarebbe stancato di lei.
Tornò nell’ufficio di Kian.
La conversazione si interruppe non appena lei mise piede nella stanza. Le stavano ancora nascondendo qualcosa.
-Non puoi andare in giro da sola Emma.- disse Kian, preoccupato.
Emma lo guardò confusa.
-Sei in pericolo. D’ora in poi Jet sarà la tua ombra. Ti accompagnerà ovunque dovrai andare.-
Cosa?!  Emma si voltò verso Jet per capire se Kian stesse scherzando. Era a braccia conserte, appoggiato alla scrivania di Kian. Non stava ridendo. Anzi. Sembrava pronto ad uccidere qualcuno.
-Ma… No! Ho delle cose da fare. Non può seguirmi ovunque!- protestò Emma.
-Emma mi dispiace che tu ti sia ritrovata in questo casino. Credimi, davvero. Però adesso dobbiamo proteggerti. Jethro sarà all’altezza del compito.-
Emma scosse la testa. Loro non capivano.
-Io..-iniziò a dire, con voce incerta.- Ho.. un altro lavoro.-
Kian la guardò sorpreso.  Jet non si stupì della notizia.
-Quando l’hai trovato? Dopo che io ti ho assunta?-
Emma pensò a quante volte loro le avevano mentito. Non si fece scrupoli.
-Sì. Ma sono riuscita a conciliare benissimo le due cose. Ho bisogno di soldi in questo periodo. Perciò non mi sono licenziata da qui.- spiegò Emma.
-Non può venire con me!- esclamò poi, riferendosi a Jet.
-Troveremo un modo- disse lui, freddo.
-Non sono dilettanti Emma. Fanno sul serio.- disse Kian, riferendosi ai russi. –Hai bisogno di protezione.-
Emma sospirò. Era la giornata più lunga della sua vita. E non era ancora terminata.
-Ok. Ma ci saranno delle regole.- si arrese, rivolgendosi a Jet.
-Puoi scommetterci, Emma.- disse Jet. .-Farai come dico io, senza discutere.-
Non era quella l’idea che Emma aveva in mente.
-Intendevo che ci saranno delle regole per te!.- precisò, come se stesse parlando ad un bambino di cinque anni.
Jet scosse la testa. Poi la guardò e sorrise.
-Sei più testarda di un mulo, Emma.-
-Emma devi fidarti di Jet. Sa quello che fa.- intervenne  Kian. –Ci vediamo stasera, ragazzi.- Li stava congedando, come se non fosse successo nulla poco prima.
-Forza Emma.- disse Jet, uscendo dal locale.
-Dove lavori?- le chiese una volta fuori.
Emma non poteva presentarsi allo studio con Jet al seguito. Non dopo aver detto a John che aveva avuto problemi di donne.
-Non posso tornare in ufficio. Mi sono presa il pomeriggio libero-
-Bene.- disse Jet.
Emma rischiò di perdersi per l’ennesima volta nell’azzurro intenso dei suoi occhi. Nonostante quello che avevano affrontato quel giorno, non poteva fare a meno di pensare a quanto lui fosse attraente.
-Andiamo allora.-
-Dove?- chiese Emma, confusa.
-A casa tua.-

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Emma sgranò gli occhi, incredula. Non diceva sul serio giusto? Perché mai sarebbe dovuto andare a casa sua?
-In realtà dovrei passare prima a casa mia a prendere delle cose. Se devo restare fino a venerdì..-
Emma lo interruppe. –Devi restare fino a venerdì?- ripeté lentamente. –Intendi trasferirti a casa mia fino a venerdì?- chiese, alzando il tono di voce.
Jet le lanciò un’occhiata. –Se le cose non vanno come devono andare probabilmente la  mia permanenza sarà più lunga. Hai detto che abiti vicino a me giusto? Andiamo, forza.- disse, incamminandosi.
-Aspetta, Jet!-
Lui si bloccò e si voltò verso di lei.
-È inutile discuterne vero?-chiese Emma, in tono rassegnato.
-Vedo che cominci a capire, piccola- disse Jet, sorridendo.
***
-Bella casa- osservò Jet, dopo essere entrato.
Si erano fermati prima a casa sua, dove lui aveva preso tutto ciò che gli serviva, infilandolo in un grosso borsone da palestra che ora teneva in spalla.
-Grazie-disse Emma, pensierosa. Dove avrebbe sistemato Jet? Di sicuro non in camera sua. Ma nemmeno in quella di Karen. Non c’era più entrata dalla sera in cui aveva trovato il suo corpo senza vita riverso per terra. Semplicemente non ne aveva avuto il coraggio.
-Stai bene?- le chiese Jet, vedendola distratta.
Emma si costrinse ad annuire. Aveva bisogno di sedersi un attimo.
Si diresse verso il salone e si sdraiò su uno dei divani. Sentì Jet posare il borsone a terra e poi avvicinarsi a lei. Si sedette sul bordo del divano su cui lei si era sdraiata e le prese la mano destra.
- Mi dispiace Emma. È tutta colpa mia. Kian ha ragione.- si scusò, guardandola negli occhi.
Emma rimase in silenzio per alcuni secondi.  Non aveva mai visto Jet così serio e preoccupato. Nemmeno quando erano con i russi.
Non sapeva cosa dire. Poi però si rese conto della verità.
-Non è colpa tua. Io..-iniziò a dire, distogliendo lo sguardo da lui. Non aveva il coraggio di dire ad alta voce quelle parole.
Lui le sfiorò una guancia con la mano libera. –Quando sei entrata la prima volta nel locale mi sono chiesto che ci facessi in un posto del genere. Sembravi un pesce fuor d’acqua. Avrei voluto caricarti in spalla e farti uscire da lì io stesso- disse Jet, accennando ad un sorriso.
-Eri così sgarbato all’inizio nei miei confronti.-
-Perché non volevo che rimanessi lì. Speravo che te ne andassi.-
-Hai continuato a comportarti in modo strano anche dopo che Kian mi ha assunto. Perché?- Emma decise di sfruttare quel momento per capire quello che passava nella testa di Jet.
-Ho pensato che.. beh, continuavo a sperare che prima o poi avresti mollato. Ma non sei certo il tipo che si scoraggia facilmente non è vero?- disse, scuotendo la testa.
Emma sorrise. Karen le ripeteva spesso che quella era una delle sue qualità migliori. Sussultò. Karen…
–Il motivo per cui ho cercato lavoro..- le si spense la voce.
Glielo avrebbe detto veramente? Chi le garantiva che Jet non fosse coinvolto nella morte di Karen?
L’aveva protetta e difesa in più di un occasione. Sapeva di Karen dall’inizio. Decise di aprirsi.
-Ho cercato un lavoro al locale perché volevo scoprire la verità su Karen.- disse  tutto d’un fiato.
Jet le strinse la mano. –Cosa?- chiese, puntando i suoi occhi in quelli di Emma. Sembrava arrabbiato.
-Io dovevo…devo sapere quello che le è successo! Era la mia migliore amica ed è stata uccisa con crudeltà. Voglio sapere chi le ha fatto del male. Voglio che il colpevole marcisca in una cella per il resto della sua vita.- disse Emma, con rabbia.
Jet si alzò di scatto dal divano.
-Ti rendi conto che hai voluto giocare con il fuoco? Avresti dovuto lasciare alla polizia il compito di scoprire la verità!-esclamò, arrabbiato.
-Hai sentito quello che ho detto a Kian quel giorno, non è vero? Beh, era la verità! La polizia ha archiviato il caso! Cosa avrei dovuto fare? Rimanere con le mani in mano?-
-Venendo al Serendipity ti sei cacciata…-
-Ne usciremo.- disse Emma. Non era sicura di quello che aveva detto, ma non avrebbe smesso di cercare la verità fin quando avesse avuto la forza di respirare. I russi non le avrebbero impedito di rendere giustizia a Karen.
-Sei stata imprudente Emma.- disse Jet. –Ma io sono stato ancora più stupido perché non sono riuscito a starti lontano. Avrei dovuto..-
-Starmi lontano?- chiese Emma, sbattendo le palpebre confusa.
Lui rise amaramente. –Sapevo benissimo che avrei dovuto evitare di..- scosse la testa.
-Non avrei dovuto baciarti tanto per cominciare.-
-È colpa mia in quel caso.- disse Emma, arrossendo. –Quando ti ho baciato fuori dallo studio di Kian...beh, mi serviva un diversivo. Perché stavo origliando. Anche quella volta.- ammise.
-Lo so. Ma io ti ho baciato alla fine del turno e.. Quel giorno che ci siamo incontrati per caso volevo passare del tempo con te. Non avrei dovuto farlo. Ho commesso un errore dopo l’altro.-
-Non ti devi dare la colpa Jet. Ho fatto degli errori anche io. Siamo umani. Adesso dovremmo solamente concentrarci sul modo in cui trovare i soldi per James…-
Jet la interruppe con un cenno. –Tu continuerai la tua vita come se non sapessi nulla di questa faccenda, chiaro? Farò di tutto per proteggerti Emma, ma devi promettermi che ne starai fuori.- disse, parlando lentamente come se in questo modo Emma potesse capire meglio le sue parole.
-Voglio aiutarvi. Ero diffidente nei confronti di Kian, sai? All’inizio credevo che fosse coinvolto nella morte di Karen, ma fortunatamente mi sono dovuta ricredere. È un padre disperato che rivuole indietro il figlio. Farò quello che posso per aiutare a salvarlo.- protestò Emma.
-Sono io che devo aiutare Kian. È colpa mia se James…- Jet non riuscì a terminare la frase.
-Che intendi dire?- chiese Emma.
-Stanne fuori.- disse, con un tono che non ammetteva repliche.
Jet lanciò un’occhiata all’orologio.
-Dovremmo mangiare un boccone prima di andare al locale- disse, chiarendo che la conversazione su quell’argomento era conclusa.
Emma non provò a farlo ragionare. Che lui lo volesse o meno lei li avrebbe aiutati.
In fondo era anche nel suo interesse. Avrebbe scoperto chi aveva ucciso Karen.
***
Rientrarono a casa alle due. Emma era esausta. Non si era potuta prendere nemmeno un secondo  per riposarsi.
-Hai bisogno di dormire Emma.- disse Jet, mentre entravano in casa.
Emma era talmente stanca che non riuscì a dire una parola. Si limitò a scrollare le spalle. Posò la borsa su uno dei divani e poi si diresse in camera sua.
-Dunque è questa la tua stanza- disse una voce alle sue spalle.
Emma si voltò verso Jet. Non aveva ancora pensato a dove avrebbe dormito lui.
-Puoi dormire sul divano- disse Emma, sospirando. Le sembrò di avere un deja-vu.
Jet rise. Forse anche lui si era ricordato della sera in cui Emma era rimasta a dormire da lui.
Prese il pigiama dal letto, ovvero una canotta e un paio di pantaloncini, e si diresse verso il bagno sperando che lui non la seguisse. Si chiuse la porta alle spalle e andò verso il lavandino.
Si guardò allo specchio qualche minuto. Il trucco era sbiadito e i suoi capelli erano raccolti in una coda disordinata. Scosse la testa. Prese lo spazzolino e si lavò i denti. Poi si  struccò e sciolse i capelli. Li pettinò accuratamente e infine uscì.
Quando arrivò sulla soglia della sua camera si bloccò. Jet si era sfilato la maglietta e aveva indossato un paio di pantaloni di una tuta. Si era sdraiato sul suo letto, ma evidentemente si era addormentato prima che lei tornasse.
Emma si sdraiò di fianco a lui. Non intendeva mettersi a discutere  a quell’ora. Si girò su un lato e spense la luce.
Sussultò quando Jet si posizionò dietro di lei, cingendole un braccio con la vita e affondando la testa fra i suoi capelli.
Pensò che avrebbero dovuto prendere le distanze in quei giorni, ma non riuscì a protestare perché si addormentò prima di poter aprire bocca.
***
Il giorno seguente Emma aprì gli occhi un’ora prima che suonasse la sveglia. Lanciò un’occhiata a Jet, che continuava a tenerla stretta a sé.
Emma non sapeva che fare. Una persona qualunque avrebbe alzato le tende e sarebbe scappata via da tutta quella situazione. Omicidi, rapimenti, riscatti… le sembrava di essere finita in un film d’azione. Peccato che non si trattasse di un film, ma della sua vita.
Ciò che la turbava di più non erano i russi e tutto ciò che li riguardava, ma Jet. Le aveva detto che  avrebbe dovuto stare alla larga da lei, ma poi il suo comportamento contrastava con le sue parole. L’aveva tenuta stretta tutta la sera ed Emma non aveva protestato.
Continuava a ripetersi che la stanchezza non le aveva permesso di ribellarsi, ma sapeva che stava mentendo a se stessa.
Si era sentita al sicuro tra le sue braccia e non avrebbe scambiato quella sensazione con nient’altro al mondo. Da quando era morta Karen era diventata ansiosa, paranoica e non era riuscita più a dormire serenamente, ma con Jet invece sembrava di nuovo la vecchia Emma. La Emma che tutti conoscevano prima che Karen morisse.
Emma decise che quel giorno avrebbe affrontato Jet. Era ora di mettere le carte in tavola.
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Emma allungò la mano verso il comodino e disattivò la sveglia. Sentì Jet muoversi nel sonno e si voltò in modo tale da poterlo osservare meglio.
Il naso dritto e le labbra piene le ricordavano la bellezza con cui vengono raffigurate di solito le divinità greche. Le ciglia nere e lunghe contrastavano con la sua carnagione chiara e incorniciavano alla perfezione gli occhi azzurri che Emma si era ritrovata a fissare incantata così tante volte da quando lo aveva conosciuto.
Sentì l’impulso di posare la mano sul braccio che la teneva stretta. Sfiorò la fascia tatuata sull’avambraccio, chiedendosi per l’ennesima volta il suo significato.
Jet aprì gli occhi all’improvviso ed Emma non poté fare a meno di arrossire dopo aver allontanato in fretta la mano dal suo braccio.
-Ehi.- disse Jet, sorridendo.
-Ehi.- Emma si schiarì la voce- Dobbiamo alzarci.- disse, rimproverandosi mentalmente. Era una vigliacca. Gli parlerò in macchina mentre andiamo in ufficio, si disse.
-Dobbiamo alzarci. Devo andare in ufficio.- ripeté Emma, spostando il braccio con cui lui l’aveva tenuta stretta a sé tutta la notte.
Jet la guardò per alcuni secondi, in silenzio. Poi si avvicinò lentamente, mantenendo il contatto visivo.
Emma si ritrovò a trattenere il respiro. L’avrebbe baciata? Ma soprattutto lei voleva che Jet la baciasse?
Non ebbe il tempo di tormentarsi con altre domande. Le afferrò la testa con decisione e posò le labbra morbide sulle sue.
Emma rimase impietrita. Si ritrovò a chiudere gli occhi prima ancora di capire cosa stesse succedendo.
Jet cominciò a baciarla delicatamente, come se avesse paura che lei potesse spezzarsi.
Emma rispose al bacio, costringendosi ad escludere dalla sua mente tutti i pensieri che l’avevano tormentata fino a quel momento.
Si ritrovò sdraiata di schiena in pochi attimi. Jet riprese a baciarla con più impeto, cercando di non schiacciarla con il suo peso e  puntellandosi quindi sui gomiti.
Emma riuscì a percepire il calore del petto di Jet, che adesso aderiva esattamente al suo. A dividerli solo la maglietta di Emma. I loro corpi sembravano incastrarsi alla perfezione, come se fossero stati creati per unirsi.
Emma ansimò quando si accorse che lui la desiderava.                      
Jet approfondì il bacio esplorandola lentamente con la lingua, mentre con una mano le accarezzava la coscia.
Emma era stordita. Una parte di lei sapeva che avrebbe dovuto respingerlo, ma il suo corpo si rifiutava.
Quando lui cominciò a baciarle il collo Emma inarcò fianchi, incontrando quelli di Jet.
Lo sentì gemere per quel contatto, breve ma intimo, mentre le sue labbra incontravano di nuovo quelle di Emma.
Adesso la baciava quasi con ferocia, spingendo il suo corpo contro quello di Emma che ormai ansimava senza vergogna. Si baciarono in quel modo rude e violento per un tempo che Emma non seppe quantificare.
Reggeva l’assalto di Jet rispondendo con la stessa energia, facendo scorrere la mani sul suo petto muscoloso, accarezzando  i suoi tatuaggi e avvinghiandosi stretta a lui.
Se avessero continuato così si sarebbero trovati nudi in un battito di ciglia.
Jet si staccò da lei all’improvviso. Si guardarono negli occhi per un tempo che ad Emma parve infinito. Nessuno dei suo riusciva a respirare in modo regolare ed Emma sentiva le sue guance andare a fuoco. Prese diversi respiri profondi.
-Dobbiamo alzarci-disse Jet, che sembrava aver riacquistato in fretta il controllo della situazione.
Lo vide alzarsi dal letto e abbandonare la stanza, lasciandola eccitata e con un senso di insoddisfazione.
***
Emma faceva fatica a concentrarsi sulla strada. Erano in macchina da dieci minuti e non aveva ancora trovato il coraggio di parlare a Jet.
Continuava a ripensare al loro bacio appassionato. Ogni volta che Emma pensava di aver capito Jet lui faceva qualcosa che metteva di nuovo tutto in discussione.
Avevano bevuto il caffè che lui aveva preparato mentre lei cercava di ricomporsi in religioso silenzio. Nessuno aveva osato dire nulla.
Emma si era fatta una doccia rapida e lui aveva fatto la stessa cosa mentre lei si preparava per andare in ufficio. Quando lui si era accorto dell’abbigliamento formale di Emma aveva sorriso e le aveva chiesto :-Si può sapere dove diavolo lavori?-
Emma non aveva riposto, sollecitandolo a sbrigarsi perché altrimenti avrebbe fatto tardi. Aveva un piano per non fargli capire dove lavorasse. La sua preoccupazione principale adesso era chiarire il loro rapporto.
-Jet?- lo chiamò, con voce incerta.
Con la coda dell’occhio si accorse che si era voltato verso di lei e la stava guardando.
Emma si schiarì la voce. Ce la posso fare, pensò facendosi coraggio.
-Io e te…- le si spense la voce. Non riusciva a trovare la parole più opportune. -Insomma che diavolo stiamo combinando io e te?- chiese, accorgendosi di aver alzato troppo il tono di voce. Forse avrebbe dovuto affrontare la questione con più calma, ma con Jet non ci riusciva.
Jet si voltò verso il finestrino.
-Avresti dovuto far guidare me.- si limitò a dire, ignorando la sua domanda.
Cosa?!  -Ieri hai detto che…che non avresti dovuto baciarmi, ma stamattina..-
-Io non ci riesco.- disse Jet, sospirando.
-Non riesci a fare cosa?-chiese Emma, mentre si fermava ad un semaforo.
Si voltò verso di lui e lo scrutò,  ma Jet continuava a guardare fuori dal finestrino evitando il suo sguardo.
-A stari lontano, cazzo. Pensavo si trattasse solo di attrazione fisica. Insomma, guardati.. Quale uomo riuscirebbe a tenere le mani a posto?- chiese, scuotendo la testa.
Emma rimase senza fiato. Nessuno le aveva mai fatto quel genere di complimenti.
-Mi sono ripetuto in continuazione che avrei dovuto lasciar perdere. Mi sono detto che non sarebbe stato così difficile. Avrei trovato un’altra ragazza che.. insomma, pensavo fosse solo una questione di sesso- ammise.
 -Però quando mi hai baciato quella sera fuori dall’ufficio di Kian.. Non lo so è scattato qualcosa e da quella sera ho fatto un errore dopo l’altro. E guarda adesso… ti ho trascinato in questo casino. Invece di proteggerti ti ho messo in pericolo, perché non sono riuscito a prendere le dovute distanze da te.- disse, guardandola finalmente negli occhi.
Emma si ritrovò di nuovo a trattenere il respiro. Le stava forse dicendo che provava qualcosa nei suoi confronti? In fondo non le aveva detto qualche tempo prima che forse lei gli piaceva?
Sussultò quando un clacson la sollecitò a ripartire.
Non riuscì a dire nulla per alcuni minuti. Lei cosa provava per lui? Lo trovava affascinante senza dubbio, ma lo conosceva da così poco tempo che non era in grado di dire se ci fosse dell’altro oltre all’attrazione fisica.
-Hai intenzione di dirmi dove lavori prima o poi?- chiese Jet, riportando la conversazione su un argomento meno difficile da affrontare.
-Dunque io..- la sua rivelazione l’aveva turbata talmente tanto, da non ricordarsi nemmeno cosa avrebbe dovuto fare quel giorno per impedire a Jet di scoprire dove lavorava.
-Io lavoro in.. banca.- disse Emma, concentrandosi di nuovo sul suo piano.
-In banca?- chiese Jet stupito. L’aveva chiaramente sorpreso.
-Già. Sezione amministrativa, sono solo una segretaria.- mentì Emma, cercando di sembrare convincente.
-Mi dispiace, ma dovrai trovarti qualcosa da fare perché io stacco alle cinque.- disse poi. Doveva assolutamente sbarazzarsi di lui.
-Non fai una pausa pranzo?-chiese Jet, confuso.
-No. Cioè ho solo una mezzoretta che passo con i miei colleghi nella mensa della banca.-
-Ah. Ma come faccio a proteggerti se non..-
Emma lo interruppe. –Andrà tutto bene Jet. E comunque non puoi stare con me tutto il tempo. Non potrei farti entrare.-
-Bene fammi vedere almeno in che banca lavori, così posso tenere sotto controllo la zona.-
Dannazione, imprecò Emma. Non aveva pensato a quell’aspetto.
Il suo piano non era così elaborato. Sarebbe andata alla Us Bank, si sarebbe sbarazzata di Jet e una volta uscita sarebbe andata in ufficio. Alle cinque meno dieci sarebbe tornata alla banca per incontrarsi con Jet, cui avrebbe detto di presentarsi alle cinque.
Aveva puntato la sveglia molto prima rispetto al solito quella mattina per avere il tempo di mettere in atto il suo piano, che avrebbe ripetuto fino a venerdì mattina.
-Non puoi stare lì nei paraggi. C’è un sistema di vigilanza molto efficiente. Se ti vedessero più di una volta nei paraggi si insospettirebbero e chiamerebbero la polizia.- disse Emma, complimentandosi con se stessa. Bella mossa.
-Dannazione hai ragione.- concordò Jet. –Hai detto che stacchi alle cinque giusto? Allora ci rivediamo alle cinque fuori dalla banca. Troverò qualcosa da fare.-
Emma tirò un sospiro di sollievo. Dopo tutto il suo piano non era così male.
***
Emma lanciò un’occhiata all’orologio. Era ora di andare a pranzo.
Aveva passato la mattina a parlare con John del nuovo caso e poi si era dedicata allo studio di alcuni documenti.
All’inizio non si era concentrata molto. Aveva ripensato alla conversazione con Jet e poi aveva temuto tutto il tempo che il suo piano fallisse.
Dopo un’ora però il lavoro l’aveva completamente assorbita, impedendole di pensare a qualunque altra cosa che non riguardasse il loro cliente.
Si alzò e si diresse verso l’uscita, dopo aver salutato la segretaria di John.
Aveva appena svoltato in una strada un po’ isolata che faceva tutti i giorni per raggiungere il suo ristorante preferito quando qualcuno le afferrò un braccio, tappandole nel frattempo la bocca e spingendola contro il muro.
Quando incrociò lo sguardo furioso di Jet si rilassò leggermente. Aveva temuto che fossero i russi o qualche delinquente che voleva rapinarla.
Jet tolse la mano la mano lentamente.
-Andavi da qualche parte?- chiese furioso.
Di fronte al silenzio di Emma si arrabbiò ancora di più.
-Mi hai mentito, cazzo! Ma non capisci che se non mi dici la verità non posso proteggerti?- urlò, dando un pugno al muro alle spalle di Emma.
-Io..-
-Non provare a rifilarmi un’altra delle tue stronzate!-l’ammonì, in tono duro.
-E va bene! Non lavoro in una banca ok?-
-Ho notato!- esclamò Jet. Sembrava fuori di sé. Emma non l’aveva mai visto in quelle condizioni.
-Senti io…lavoro… in uno studio legale, ma..- Emma si interruppe quando lui le afferrò il viso con tutte e due le mani.
-Non posso perdere anche te lo capisci?-chiese, fissandola negli occhi.
Poi la baciò. Era un bacio aggressivo, di quelli che lasciavano Emma senza fiato.
Le infilò la lingua in bocca, senza troppe cerimonie. Sembrava che la volesse marchiare, divorare. Fu breve, ma lasciò Emma senza parole.
-Devi dirmi la verità d’ora in poi, chiaro?-
Emma annuì, ancora stordita da quel bacio.
-S-sto andando in p-pausa pranzo- balbettò, arrossendo. Non riusciva nemmeno a parlare. Lui l’aveva scossa nel profondo.
-Andiamo allora.- disse, prendendola per mano.
Emma si ritrovò a seguirlo in silenzio. Mentre camminavano fianco a fianco, mano nella mano, Emma si perse nei suoi pensieri.
Lui le aveva detto che non avrebbe potuto perdere anche lei. Cosa significava? Si riferiva ai suoi genitori? O implicitamente si riferiva al fratello?
In ogni caso significava che lui provava un sentimento profondo nei suoi confronti. O si sentiva solo in dovere di proteggerla? In macchina le aveva chiaramente fatto capire che non si trattava solo di  attrazione fisica, ma a questo punto Emma non capiva più nulla.
Si era svegliata quella mattina con l’intento di chiarire la situazione, ma adesso le sembrava che non ci fosse nulla da chiarire. Jet era stato piuttosto esplicito. Era lei che doveva riordinare le idee.
-Conosco un ristorante italiano qui vicino…-iniziò a dire Jet, riportandola al presente.
-Venivamo spesso con i miei quando io e Alec eravamo molto piccoli.-
Emma si voltò a guardarlo e notò che le stava sorridendo. Sembrava che la rabbia di prima fosse del tutto scomparsa.
Emma annuì. –Andiamo.-
***
Erano seduti da un quarto d’ora quando la cameriera arrivò al loro tavolo per prendere le ordinazioni.
Jet ordinò per tutti e due, affermando di conoscere i piatti migliori. Emma non si ribellò, era troppo impegnata a osservarlo per concentrarsi sul menù.
Indossava una maglia nera semplice, come quella che indossava la prima sera che si erano conosciuti, e un paio di jeans. I muscoli sulle sua braccia si flettevano ogni volta che Jet muoveva le braccia e mettevano in risalto i suoi tatuaggi.
-Dimmi tre cose che non so di te- si ritrovò a dire Emma, dopo che la cameriera se ne era andata. Jet la guardò sorpresa.
-Ho ventotto anni. Lavoro da quando ne ho diciotto e adoro il football.- disse Jet.
-No intendo..- Emma non sapeva come dirlo. –Cose più…private.-
Jet sorrise e scosse la testa. –Per esempio?-
-Non lo so quello che vuoi.-
-Comincia tu- disse Jet, in tono di sfida. Emma incrociò le braccia sul tavolo.
-Adoro il vento forte di Chicago. Tutti lo odiano, ma a me piace la sensazione del vento tra i capelli, anche se poi si aggrovigliano  ed è difficile togliere i nodi. Ho una paura matta di volare, infatti non sono mai salita su un aereo. E… una volta all’università ho barato ad un esame. Non ero riuscita ad imparare alcune definizioni e quindi le ho scritte su un pezzo di carta che tenevo in un manioca della camicia. Era la prima volta che lo facevo ed ho avuto l’ansia tutto il tempo.- disse Emma.
Jet rise. Una risata vera che contagiò anche Emma.
-Tocca a te.- disse poi.
-Quando sono morti i miei genitori non ho versato nemmeno una lacrima. Dovevo occuparmi di Alec, non potevo mostrami debole. Lui aveva bisogno di una guida, qualcuno che fosse la sua roccia in quel momento disperato e non poteva vedermi piangere.- iniziò a dire Jet, smuovendo qualcosa dentro Emma che lo ascoltava attentamente.
-Non mi sono mia innamorato. Sono andato a letto con parecchie ragazze quando ero un adolescente, devo ammetterlo, e ho cercato di far funzionare qualche relazione finito il liceo, ma nessuna… Beh hai capito insomma.- proseguì Jet, perfettamente a suo agio.
-L’ultima cosa?-chiese Emma, quasi sussurrando.
-Quando ti ho vista la prima volta al locale il primo impulso è stato quello di baciarti. Ma sapevo che era sbagliato, che dovevi andartene via. Ho usato un tono non propriamente garbato perché ero arrabbiato con me stesso, ma non era colpa tua. Mi dispiace per come ti ho trattato all’inizio.- disse.
Emma fu salvata dall’arrivo della cameriera.
-Ecco a voi ragazzi. Buon appetito.- disse, dopo aver posato i piatti sul tavolo.
-Cosa aspetti?- le chiese Jet, vedendola impalata di fronte al piatto. –Mangia, altrimenti si raffredderà-la esortò.
Non aveva il tono di una persona che si era appena confidata con qualcuno. Sembrava tranquillo e rilassato, mentre Emma aveva lo stomaco aggrovigliato. Nonostante ciò si costrinse a mangiare, temendo che lui potesse insospettirsi.
Mangiarono in silenzio. Emma si stava abituando a quei silenzi. Con chiunque altro si sarebbe sentita in imbarazzo, mentre con lui aveva scoperto che il silenzio non era sempre un segnale negativo.
Quando finirono di mangiare Jet chiese il conto. Emma cercò in tutti i modi di pagare la sua parte, ma lui glielo impedì in modo categorico.
Erano appena usciti dal ristorante quando scorse qualche metro più un là sul marciapiede su cui si trovavano lei e Jet una testa castana dall’aria familiare.
L’uomo si accorse di lei e le sorrise.
Emma si mise a correre nella sua direzione. Sentì Jet chiamarla più volte, ma lo ignorò.
Si gettò fra le braccia dell’uomo, che l’accolse calorosamente.
-Emma! Volevo farti una sorpresa, per questo non ti ho avvertito!- esclamò l’uomo sorridendole.
 
 
Angolo autrice
Scusate questo capitolo è un po’ melenso e c’è poca azione, lo so, ma dovevo assolutamente dedicarlo a Jet ed Emma. Non si poteva continuare con quella situazione di stallo, ecco.
Alla prossima ;)
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


-Diciamo in realtà che volevo piombare a casa tua all’improvviso.- precisò l’uomo, ridendo. –Non credevo di incontrarti per strada.-
Emma si sciolse lentamente dall’abbraccio e rise. Stava per chiedergli come fosse andato il viaggio quando sentì la voce arrabbiata di Jet alle sue spalle.
-Che diavolo pensavi di fare Emma?-
Emma si voltò lentamente verso di lui. Era davvero furioso, ancora di più rispetto a quando aveva scoperto che lei non lavorava in una banca.
-Ehi Jet…iniziò a dire, ma fu interrotta bruscamente.
-Potevi dirmelo che dovevi vederti con il tuo ragazzo-disse Jet, seccato.
Alt. Cosa?!, pensò Emma confusa. Jet pensava che fosse il suo ragazzo? Non l’avrebbe mai baciato in quel modo nel suo letto se avesse avuto un ragazzo.
-Jet, lui è mio fratello- spiegò Emma. Sentì suo fratello ridere, mentre Jet sembrava sollevato.
-Piacere Nathan- si presentò suo fratello, porgendo la mano a Jet, che la strinse con decisione.
-Jethro-
-Allora Emma, posso rubarti un attimo al tuo amico?- chiese Nathan, pronunciando in maniera strana la parola amico.
Emma lanciò un’occhiataccia al fratello. Era davvero contenta che lui fosse venuto a trovarla a Chicago, ma sarebbe stato meglio se non ci fosse stato Jet.
La sua presenza avrebbe sollevato delle domande. Domande cui Emma avrebbe dovuto rispondere mentendo. E anche se fosse riuscita a mentire in modo convincente, suo fratello si sarebbe fatto strane idee su lei e Jet. Ne avrebbe parlato con i suoi ed Emma avrebbe dovuto affrontare una raffica di domande da parte della madre. Fantastico.
-Nat in realtà io devo tornare in ufficio.- disse Emma. Almeno quella non era una bugia.
-Se andassimo a cena insieme stasera? Potrebbe venire anche il tuo amico-
Emma lanciò un’occhiata a Jet. Loro tre a cena insieme?
-Devo lavorare- disse. Nemmeno quella in fondo era una bugia.
-John ti fa lavorare fino a tardi?-
-Ho un..- iniziò a dire, ma Jet la precedette.
-Ci saremo-
Emma sgranò gli occhi, incredula. Ma che diavolo stava combinando Jet?
-Perfetto. Allora ci vediamo alle otto al solito posto- disse Nathan.
-Ehm… Sì, ok- disse Emma, titubante.
Nathan l’abbracciò e poi salutò Jet.
Mentre si allontanava, Emma lo chiamò. –Nat! Sei già passato a casa?-
-Per la verità non starò da te- disse Nathan, in tono misterioso.
-E dove?- chiese Emma.
-Stasera lo scoprirai.-
Emma lo vide sorridere e poi allontanarsi. Sospirò. Ci mancava solo una cena tutti insieme.
Almeno non devo spiegare come mai Jet dorme da me, pensò Emma, sollevata. Sì, ma dove dorme allora Nathan?
-Non fare mai più una cosa del genere.- la rimproverò Nathan, prendendole un braccio e costringendola a guardarlo negli occhi.
-Non mi sarei mai allontanata da te se non fossi stata certa di essere al sicuro.- cercò di rassicurarlo Emma. –Stai tranquillo- aggiunse.
Poi agì d’impulso. Si sollevò sulle punte e lo baciò. Un contatto lieve, rapido. Come se volesse rassicurarlo.
Jet spalancò gli occhi sorpreso. Non se l’aspettava.
Emma arrossì. Ma che diavolo mi prende?
Si schiarì la voce, imbarazzata. –Devo proprio tornare in ufficio.-
-Ti accompagno- disse Jet.
Emma non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi, ma le era sembrato che mentre pronunciava quelle parole lui stesse sorridendo.
***
Jet l’aspettava accanto alla sua Volvo. Era il sogno di tutte le donne. Alto e muscoloso, con gli occhi più belli che Emma avesse mai visto. Di una tonalità calda quando era rilassato e tranquillo, tempestosi quando era arrabbiato.
Quando le sorrise Emma sentì il battito del suo cuore accelerare.
-Fai guidare me- le disse, continuando a sorridere. –Altrimenti arriviamo a casa dopodomani.-
Emma scosse la testa e rise.- È la mia macchina. Guido io.-
Mentre metteva in moto le venne in mente una cosa.
-Ehi Jet.-
-Che c’è piccola?-
Emma si costrinse ad ignorare la sensazione che le suscitava essere chiamata in quel modo da lui.
-Stasera non è il mio giorno libero. Sono di turno al locale, ma tu hai acconsentito a cenare con mio fratello…-
-Ho parlato con Kian mentre eri in ufficio. Ha detto che non c’è problema.-
-Sì, ma non credi che…
-Emma non ho voglia di discutere anche su questo.-
Emma si arrese. Era inutile continuare quella conversazione. Conosceva Jet da poco, ma aveva capito già una cosa di lui. Se si metteva in testa qualcosa diventava irremovibile.
-Nominano tutti in continuazione questo John.- disse Jet, spezzando il silenzio che si era creato.
-Cosa?-
-John. È il tuo capo?-
-Ah. Sì.- rispose Emma, distrattamente.
Nel pomeriggio aveva cercato di concentrarsi sul lavoro e di non pensare alla cena di quella sera, ma adesso non riusciva a pensare ad altro.
-Forse dovrei conoscerlo- disse Jet.
-Ehm…cosa?- chiese Emma.
-Mi stai ascoltando Emma?- chiese Jet.
-Mmm-
-Che ti prende?-
Emma sospirò. –Non credo sia un buona idea.-
-Di che parli?- chiese Jet, preoccupato.
-Non dovresti venire alla cena. Voglio dire…-
-Io vado dove vai tu.- disse Jet, con un tono che non ammetteva repliche.
-Beh, mi devi promettere una cosa. Non dirai a mio fratello che mi sono cercata un lavoro al locale per indagare su Karen-
-Perché?-
-Perché no, Jet- disse Emma, alzando il tono di voce.
-Non l’avrei fatto in ogni caso.-
-Bene-
Nessuno dei due disse più nulla per tutto il resto del viaggio. Emma parcheggiò vicino casa e poi scesero dalla macchina.
-Vado a farmi una doccia. Fai quello che vuoi.- disse Emma, dopo essersi richiusa la porta di casa alle spalle.
Non si sforzò nemmeno di sentire la risposta di Jet. Si avviò verso la sua camera e poi prese tutto quello che le serviva.
***
Uscì dal bagno che era ancora avvolta nel telo da doccia. Non aveva asciugato i capelli del tutto perché faceva talmente caldo che non ce n’era bisogno.
Incrociò Jet nel corridoio. Lui la squadrò lentamente, facendo scorrere lo sguardo sul suo corpo.
Emma vide i suoi occhi accendersi. Di desiderio? Arrossì e si avviò in fretta verso la sua camera.
Aprì l’armadio e scelse cosa indossare per la cena. Un tubino nero semplice e un paio di sandali col tacco.
Decise di truccarsi un po’ più del solito, optando per uno smokey eyes sui toni del nero e  del grigio e raccolse i capelli in uno chignon disordinato, lasciando qualche ciocca di capelli libera che le sfiorava il collo. Completò il look con una collana e un bracciale tempestati di swarovski, un regalo di Karen.
Si costrinse a non pensare a lei, altrimenti sarebbe scoppiata a piangere. Le sembrava che trascurando le indagini sulla sua morte la stesse tradendo.
-Sei pronta?-
La voce di Jet le impedì di tormentarsi con quel genere di pensieri.
Prese la sua  borsa e uscì dalla camera.
Trovò Jet in salone. Indossava una camicia bianca con le maniche arrotolate e un paio di pantaloni neri eleganti.
Quando si accorse di lei spalancò gli occhi.
-Sei bellissima- le disse.
Emma arrossì. –Grazie.-
-Sarà meglio andare-disse Jet.
***
Arrivarono al ristorante in perfetto orario. Si trattava del posto in cui erano soliti festeggiare avvenimenti importanti di famiglia. Emma si chiese cosa avesse in mente suo fratello.
Scoprirono che era stato prenotato un tavolo per quattro e che suo fratello e l’altro ospite erano già arrivati.
Il maitre li accompagnò al loro tavolo, dove Nathan era seduto in compagnia di una donna più grande di Emma.
-Siete arrivati finalmente- disse Nathan, non appena li vide.
Abbracciò la sorella e salutò Jet.
-Lei è Serena- disse poi, presentando la donna.
Emma e Jet si presentarono a loro volta e poi si sedettero al tavolo.
-Dunque ho ordinato dello champagne intanto perché volevo fare un brindisi.- disse Nathan, sollevando il proprio flute.
Tutti gli altri lo imitarono. –Al matrimonio.- si scambiò un’occhiata con Serena e poi bevve un sorso di champagne.
-Al matrimonio?- ripeté Emma, incredula.
-Io e Serena ci sposiamo tra un mese.-
Emma posò il suo flute sul tavolo. –Nat non capisco…-
-Ci siamo conosciuti due settimane fa ed è stato amore a prima vista. Le ho chiesto ieri di sposarmi. Sono venuto a Chicago per informarti.- spiegò Nathan, sorridendo a Serena.
Emma prese un respiro profondo. Aveva capito male ovviamente. Suo fratello non aveva intenzione di sposare una donna conosciuta solo due settimane prima. Non era così irresponsabile e superficiale.
-Credo che..
Jet la precedette. –Congratulazioni.- disse, sorridendo ai futuri sposi.
-Mamma e papà lo sanno?-chiese Emma, dopo aver lanciato un’occhiata a Jet.
-Certo. Hanno incontrato Serena due giorni fa. Sono entusiasti.-
Emma prese un sorso di champagne e poi si schiarì la voce. –Non mi hanno detto nulla.-
-Beh, ho chiesto alla mamma di mantenere il segreto. Volevo dirtelo io stesso.-
-Davvero premuroso- osservò Emma, seccata.
-È una notizia fantastica, piccola, dovresti essere contenta per tuo fratello.- disse Jet.
Ma sei serio?!, avrebbe voluto urlare Emma.
-Da quanto state insieme voi due?- chiese Serena, cercando di allentare la tensione.
-Oh, no tesoro. Non stanno insieme.- la corresse Nathan.
-Ah.. pensavo..- iniziò a dire, imbarazzata.
Emma era troppo arrabbiata per sentire le sue parola. Ma che diavolo stava facendo suo fratello? Non era riuscito a trovare il tempo di farle una telefonata e avvertirla?
Serena non le sembrava una cattiva ragazza. Con quei capelli biondi corti, gli occhi nocciola e un sorriso affascinante non c’era da stupirsi che suo fratello si sentisse attratto da lei. Ma sposarla? Era fuori di testa. Come se Emma non avesse già abbastanza problemi da affrontare.
-Ordiniamo?- propose Jet, posando una mano sul suo ginocchio.
Emma scansò via la sua mano con decisione. Nessuno si accorse di niente, perché il tavolo nascondeva tutto alla vista.
-Certo- risposero Serena e Nathan all’unisono, sorridendosi a vicenda.
***
-Sembra una brava ragazza- osservò Jet, mentre tornavano a casa.
Emma rimase in silenzio. Non le importava nulla che fosse una brava ragazza. Nathan non poteva sposarsi così su due piedi.
-Capisco che tu possa essere gelosa..-
Emma scattò. –Non sono gelosa, dannazione!-
-E allora perché..-
-Nathan è fuori di testa! Ha conosciuto questa tizia solo due settimane fa. Come cazzo fa a dire di esserne innamorato?-
-Non credi quindi che una persona si possa innamorare in così poco tempo?-
Emma si voltò a guardarlo. Jet era riuscito a convincerla a far guidare lui e adesso guardava dritto davanti a sé, concentrandosi sulla strada.
-Io…- ad Emma si spense la voce. Stavano parlando ancora di suo fratello? Non ne era sicura.
-Credo che il matrimonio sia una questione delicata. Dovrebbero concedersi altro tempo. Vedere se le cose funzionano.- disse Emma, guardando fuori dal finestrino.
Jet non rispose nulla.
***
Emma stava tornando in camera sua quando sentì la voce di Jet provenire dal salone. Si fermò nel corridoio.
-Quanti ne abbiamo?- stava chiedendo. –Non sono abbastanza.-
Con chi sta parlando?, si chiese Emma.
Ebbe poco dopo la riposta. –È rischioso Kian. E se la banca non ti desse i soldi?-
Lo sentì annuire. –In ogni caso questa storia deve finire. Affiderò Emma a Jared e Trent.  Mi fido di loro.-
Cosa? Emma non riusciva a capire quello che stava dicendo Jet.
-Sì, esatto Kian.- disse Jet, in tono serio. –Andrò a Mosca.-
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Emma aprì gli occhi lentamente. Si voltò e notò che Jet non era a letto con lei.
La sera precedente dopo aver ascoltato la conversazione tra lui e Kian si era affrettata a mettersi a letto prima che lui la scoprisse ad origliare.
Jet l’aveva raggiunta poco dopo, sdraiandosi accanto a lei e stringendola a sé. Emma si era addormentata tra le sue braccia, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Non aveva avuto tempo per pensare a quello che lui le aveva detto, ma sapeva che doveva far chiarezza dentro di sé.
Poi le tornò in mente quello che Jet aveva detto a Kian. L’avrebbe affidata a due sconosciuti e sarebbe andato a Mosca? Doveva assolutamente chiedergli che stava succedendo.
Si alzò dal letto e uscì dalla sua camera. Trovò Jet in cucina che parlava al telefono. All’inizio non si accorse di lei perché era girato di spalle.
-La banca ti ha concesso il prestito quindi?- stava chiedendo al suo interlocutore. Kian, senza dubbio.
Emma lanciò un’occhiata all’orologio sulla parete. Ma che ore erano? Sgranò gli occhi. Erano le undici.
Ok, calma. John è abituato ai tuoi ritardi, no? Non sarebbe uscita di casa finché non avesse parlato con Jet.
-Bene. Chiama i russi allora. Io parto stasera. Metterò fine a questa storia.- disse Jet, chiudendo poi la telefonata.
Si voltò e si stupì di trovare Emma lì.
-Ho disattivato la sveglia. Avevi bisogno di dormire.- le disse, mentre si accingeva a preparare il caffè.
-Chi era?-
-Nessuno.-
-Mi chiedi di dirti la verità, ma sei tu il primo che continua a mentire!- disse Emma, scuotendo la testa.
-Ti ho detto che…-
-Non me ne frega niente di quello che hai detto! So che era Kian. Ti ho sentito ieri. Vai a Mosca?-
Jet distolse lo sguardo. –Sarai al sicuro. Ho chiamato..-
Emma lo interruppe di nuovo. –Vengo con te.-
Jet si voltò di scatto. Posò il latte sul tavolo e si avvicinò a lei, lentamente. Aveva una strana luce negli occhi ed Emma si spaventò.
-Scordatelo Emma. Rimarrai qui. Ho chiamato Jared e Trent. Loro ti proteggeranno. –
-Non puoi costringermi a rimanere. Ti seguirò.- protestò Emma, fissandolo negli occhi.
Poi decise di cambiare strategia. Con le parole non l’avrebbe convinto.
Gli afferrò la maglietta, come aveva fatto molto tempo prima fuori dall’ufficio di Kian, e lo baciò.
Jet le mise le mani sui fianchi e rispose al bacio, intrecciando la lingua a quella di Emma.
Lei lo spinse via all’improvviso, sperando che quel contatto fosse stato sufficiente a fargli cambiare idea. –Non puoi lasciarmi qui.- disse.
Jet non sembrava più sicuro come prima. –Non posso liberare James se devo pensare a proteggere te.-
-Ma non puoi essere sicuro che i russi non riescano ad arrivare a me in ogni caso.- replicò Emma. Poi rielaborò quello che lui le aveva detto.
-Liberare James? Ma se date i soldi ai russi non ci sarà bisogno…-
-Tu non capisci. Loro non lo libereranno. Continueranno a chiedere soldi. Hanno molto potere.-
-Chi sono questi tizi, Jet?
-Non voglio che tu…-
Emma lo interruppe con un cenno della mano. –Saltiamo la parte in cui tu mi ripeti per l’ennesima volta che non vuoi che io sia coinvolta, che dici? Perché nel caso in cui ti fossi distratto ti vorrei ricordare che mi hanno minacciato! Sono già coinvolta!- esclamò spazientita.
Jet sospirò. –Sono poliziotti.-
-Cosa?- chiese Emma, incredula.
-Alec…-iniziò a dire Jet, guardandola negli occhi.
-Mio fratello ha coinvolto James in questa storia. Si sono conosciuti che non avevano nemmeno quindici anni e sono diventati amici. Però Alec è sempre stato una testa calda e si cacciava in continuazione nei guai, da cui poi io dovevo tirarlo fuori. Due anni fa è partito per la Russia con James. Aveva bisogno di cambiare aria. Così mi disse.-
Emma si sedette su una sedia. –Cosa è successo?-
-Non volevo che lui partisse, ma come potevo impedirglielo? Non era più un bambino.
Così gli prestai alcuni soldi per il viaggio. Alla fine speravo che quel viaggio gli facesse bene, ma… -
Emma non voleva incalzarlo, ma aveva bisogno di sapere. –Ma?-
-Due settimane dopo che era partito, Dimitrij si presentò al locale. Disse che James e Alec erano stati arrestati, perché trovati in possesso di droga. Kian lì per lì non trovò strano che un poliziotto volasse da Mosca a Chicago per informarlo. Dimitrij disse che suo figlio e il suo amico rischiavano due anni di galera, ma che c’era un modo per evitare che ciò accadesse. Se lui gli avesse dato dei soldi avrebbe fatto in modo di liberare James e Alec. La loro fedina penale sarebbe rimasta pulita- proseguì Jet.
-A quel punto Kian si insospettì. I poliziotti non agivano in quel modo. Chiese di poter parlare con il figlio e Dimitrij lo mise in contatto con James. Suo figlio gli spiegò che si trattava di poliziotti corrotti. Alec era rimasto coinvolto in un giro di droga, trascinando anche James e Dimitrij e i suoi compari rivolevano indietro i soldi che avevano perso a causa di Alec. Però erano poliziotti e questo permetteva loro di trattenerli in prigione lì a Mosca.-
-Quali soldi?- chiese Emma, confusa.
-Alec aveva cominciato a spacciare lì a Mosca. Un giorno ha perso un carico di droga. Dimitrij e i suoi compari sono andati su tutte le furie. Hanno arrestato lui e James, con l’idea di rifarsi su me e Kian. Avrebbero rilasciato James e Alec quando io e Kian avessimo risarcito Dimitrij.- spiegò Jet.
-Ma perché non siete andati dalla polizia?-
-Perché non volevo che James si sporcasse la fedina penale a causa di Alec. Cominciai a racimolare soldi lavorando in vari posti. Era colpa mia se James era finito in quel casino e Kian non doveva sborsare nemmeno un dollaro per questo. Dimitrij ci diede una settimana per pagarlo. Quando gli consegnai i soldi disse che non erano abbastanza. Da quel giorno non ha fatto altro che chiederne sempre di più. –
Jet si sedette anche lui su una sedia. –Devo liberare James. Kian non si merita questo.-
-Ma…Alec?-
Jet sospirò -Lo hanno ammazzato-
Emma rimase senza fiato. Alec era morto? Per questo Jet si era tatuato una fascia nera sul braccio?
-Mi dispiace Jet- disse Emma, prendendogli una mano.
-Non ti permetterò di venire con me Emma. Se ti dovesse succedere qualcosa io..-
Emma cominciava a capire il comportamento di Jet. Aveva perso troppe persone nella sua vita. Non sarebbe riuscito ad affrontare un’atra perdita.
Però lei non poteva rimanere a Chicago nella paura che lo uccidessero. Il pensiero di non rivederlo più le impediva di respirare. In quel momento capì che non era solo attrazione fisica. Non era nemmeno amore però. Sapeva solo che non poteva perderlo.
Inoltre ormai era convinta che Karen fosse morta a causa di quella storia. Doveva assolutamente scoprire la verità.
Stava per parlare quando sentì il suo telefono squillare.- Scusa- disse, alzandosi e dirigendosi verso il salone.
Staccò il telefono dal caricatore e rispose.
-Emma.- la voce fredda di John la spaventò.
-John io..-
-Non può andare avanti così Emma. Sono due settimane che ti comporti in modo strano.  Trascuri il lavoro. Te ne vai via prima oppure arrivi tardi in ufficio. Che succede?-
-Ho bisogno di due settimane di ferie.- disse Emma.
-Perché non me l’hai detto prima? Se avevi bisogno di riposarti…-
-Credevo di farcela, ma non è così.-
-Si tratta di Karen?- chiese John. –Ho sentito in televisione che hanno archiviato il caso, ma non volevo chiederti nulla perché…-
-Sì. È così. Ho bisogno di staccare un po’.-
-Va bene Emma. Prenditi il tempo di cui hai bisogno.-
-Grazie John, sei il migliore.-
-Figurati Emma, a presto.-
Emma lo salutò e chiuse la telefonata. Si girò e si trovò Jet che la fissava intensamente.
-Due settimane?- chiese, arrabbiato.
Emma annuì. –Vengo con te.-

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


-Dovresti concedergli una possibilità- disse Karen, dopo aver preso un sorso di birra.
Lei ed Emma erano in un pub non molto lontano dal loro appartamento. Nonostante l’avessero scoperto solo un paio di mesi prima ci erano andate già parecchie volte, perché l’atmosfera calda e accogliente le aveva spinte a tornare.
Emma scosse la testa. –Sarebbe inutile Kar. Non mi fraintendere… Mike è un bravo ragazzo, ma non va bene per me.-
-State insieme da sei mesi. Come è possibile che…-
-Pensavo che con il tempo, non so, le cose sarebbero cambiate… So che è stato egoista da parte mia, ma ho cercato di portare avanti questo rapporto perché credevo che fosse comunque meglio che stare da sola.-
-Per capire se sei  innamorata ti devi fare tre domande, Emma.- disse Karen, guardandola attentamente negli occhi.
-Potresti fare a meno del suo tocco e del suo sorriso? Credi che potresti stare lontano da lui per molto tempo senza sentirne la mancanza? Ma soprattutto: riusciresti ad immaginare una vita senza di lui?-
Emma rise amaramente. –Sì, sì e ancora sì.-
Karen mostrò un’espressione dispiaciuta. –E allora Emma non sei innamorata di lui.-
 
Emma aprì gli occhi di scatto. Le ci volle qualche minuto per orientarsi e capire dove fosse.
-Emma.- la voce calda e profonda di Jet la costrinse a girarsi nella sua direzione.
-Siamo a New York, piccola. L’areo riparte fra mezzora.-
Emma si raddrizzò sul sedile. Adesso ricordava. Lei e Jet stavano andando a Mosca per salvare James, prigioniero di alcuni poliziotti corrotti.
Aveva dovuto discutere con Jet a lungo prima che lui cedesse e le permettesse di partire. Ciò che Jet non sapeva, però, era che se anche lui si fosse impuntato, lei avrebbe comunque trovato il modo di partire, perciò quella discussione era stata inutile, una perdita di tempo.
Avevano prenotato su due piedi i biglietti per Mosca, sborsando cifre spropositate, e avevano fatto i bagagli in fretta in furia. Adesso stavano facendo scalo a New York. In dieci ore sarebbero atterrati in Russia.
-Credi che l’abbiano uccisa loro?- chiese Emma, sospirando.
Jet capì subito a chi si riferisse. –Non lo so. Potrebbe però essersi ritrovata suo malgrado coinvolta in questa storia.-
-È quello che credo anche io. Ho bisogno di parlare con James. Lui l’ha conosciuta. Katy mi ha detto che hanno discusso una volta.-
-Discusso?- chiese Jet, confuso.
-Sì. A quanto pare James ha aperto l’armadietto di Karen e lei è andata fuori di testa.-
-Mi sembra una reazione eccessiva.-
-Già. Probabilmente mi sarei arrabbiata anche io, ma Katy ha detto che è dovuto addirittura intervenire Kian. Forse Karen nascondeva qualcosa.-
-Lo scopriremo.-
-Mi manca. A volte immagino che sia solo in vacanza, in qualche isola tropicale a godersi sole e  mare, e che quindi possa ritornare da un momento all’altro.-
Jet le strinse un braccio intorno alle spalle, attirandola a sé. Emma appoggiò la testa nell’incavo del suo collo e non si accorse che stava piangendo fino a quando lacrime calde e salate non cominciarono a rigarle il viso.
-Va tutto bene Emma. Ti prometto che scopriremo cosa è successo.- la rassicurò Jet, depositandole un bacio delicato sulla fronte.
Emma si asciugò le lacrime con il dorso della mano e poi prese un respiro profondo. Non ebbe il tempo di dire nulla né tantomeno di rimettersi seduta in modo composto perché si addormentò tra le braccia di Jet.
***
-Siamo arrivati Emma.- disse Jet, sfiorandole una guancia con la mano.
Emma aprì gli occhi lentamente. Arrossì. Si era addormentata di nuovo, ma soprattutto addosso a lui. Si scostò.
–Mi dispiace, deve essere stato il  viaggio più scomodo del mondo.- disse Emma, imbarazzata.
Jet sorrise. –No, piccola.-
Emma lanciò un’occhiata fuori dal finestrino, ma lì era già buio. C’erano ben otto ore di differenza tra Mosca e Chicago.
-Andiamo a recuperare i bagagli- disse Jet.
Si alzarono e si diressero verso l’uscita. Una hostess li salutò, augurando loro una buona permanenza.
Lo spero tanto, pensò Emma. Aveva agito d’impulso, ma non aveva riflettuto a fondo sulle conseguenze di quel viaggio. Sarebbero potuti morire entrambi e lei non avrebbe mai scoperto chi aveva ucciso Karen.
-Ecco i nostri- disse Jet, costringendola a concentrarsi sul nastro trasportatore.
Jet afferrò la sua valigia e poi quella di Emma.
-Ci serve un taxi.- disse poi, avviandosi verso l’uscita dell’aeroporto.
Ne fermarono uno lì nei paraggi e Jet riferì al tassista il nome dell’albergo in cui avevano prenotato. Non avevano avuto molto tempo per scegliere, perciò avevano prenotato nel primo albergo in cui avevano trovato posto.
Emma guardava distrattamente fuori dal finestrino. Non riusciva a concentrarsi sul paesaggio che le scorreva davanti agli occhi. Non faceva che pensare a tutto quello che le era successo nelle ultime due settimane.
Il detective Keller l’aveva convocata per comunicarle l’archiviazione del caso, costringendola a cercare lavoro al Serendipity dove lei credeva si nascondesse l’assassino di Karen. Aveva conosciuto Jet, che le aveva fatto provare sensazioni nuove, a lei sconosciute. E adesso si trovava a Mosca con lui, a migliaia di chilometri da Chicago, per salvare il figlio di Kian, il proprietario del locale, che lei all’inizio credeva coinvolto nella morte della sua migliore amica.
Sembra la trama di un  fottuto film, pensò Emma, scuotendo la testa. Sentì Jet stringerle una mano. Si voltò verso di lui e scoprì che la stava guardando intensamente. Nei suoi occhi colse diverse emozioni.
Emma ricambiò il suo sguardo, cercando  di mostrare un’espressione rilassata.
-Siamo arrivati- disse il tassista, spezzando quel legame invisibile che si era creato tra di loro.
Jet pagò l’uomo e poi scese insieme ad Emma. Si guardarono intorno, cercando di orientarsi. Presero i loro bagagli e si avviarono verso l’albergo.
Era un edificio di cinque piani. Non assomigliava affatto agli hotel moderni e occidentali di Chicago, ma nel complesso aveva un aspetto gradevole. Non era a cinque stelle, ma in fondo sia lei che Jet speravano che il loro soggiorno fosse il più breve possibile. 
Entrarono nella hall, uno spazio ristretto in cui alcune persone stavano aspettando di parlare con la receptionist, una donna bionda di mezza età che utilizzava un inglese stentati per comunicare con i clienti.
Quando fu il loro turno Emma e Jet tirarono fuori i documenti. La donna annotò i loro dati su un foglio e poi diede loro la chiave della stanza, fornendo le indicazioni necessarie per raggiungerla.
Dieci minuti dopo Emma ne osservava perplessa l’interno.
Vi era un letto matrimoniale al centro, affiancato da due comodini su ogni lato. Una scrivania impolverata e un armadio con un anta non perfettamente funzionante completavano l’arredamento.
-Almeno il letto è comodo.- osservò Jet in tono malizioso, dopo essersi seduto sul bordo.
Emma non poté fare a meno di ridere. Posò la sua borsa sulla sedia che accompagnava la scrivania e si sedette accanto a lui.
Fissarono  in silenzio la moquette beige, vecchia e consumata, per alcuni minuti.
Fu Emma a spezzare il silenzio. –Ho bisogno di una doccia- disse, alzandosi e dirigendosi verso la sua valigia.
Jet annuì.- Vai, dopo la farò anche io-
***
Emma  si svegliò a causa della luce intensa che penetrava dalle finestre.
Le tornò in mente la sera precedente. Dopo aver fatto la doccia si era infilata sotto le coperte, esausta per il viaggio. Aveva visto Jet dirigersi verso il bagno e poi era crollata, senza mangiare niente.
Si tirò su lentamente. Jet non era a letto con lei. Ma dove è finito?, si chiese preoccupata.
La porta del bagno si spalancò poco dopo. Jet era già vestito, pronto per uscire.
-Dove stai andando?- chiese Emma.
-Sono le nove, dovresti scendere a fare colazione altrimenti non troverai nulla.- rispose Jet, eludendo la sua domanda.
Emma si insospettì. –Devo per caso ripeterti la domanda?-
Jet distolse lo sguardo. Si sedette sul bordo del letto e si infilò le scarpe, continuando a rimanere in silenzio.
Emma si sedette accanto a lui. Gli prese il volto fra le mani, costringendolo a guardarla.
-Dimmi la verità-
Jet la fissò, indeciso. –Devo raccogliere informazioni, ma soprattutto accertarmi che Dimitrij e i suoi compari siano ancora a Chicago.-
-Dammi il tempo di prepararmi e..- iniziò a dire Emma.
-No, voglio che tu rimanga qua. Tornerò il prima possibile.-
Emma scosse la testa con decisione. –Ti prometto che farò tutto quello che vuoi, però mi devi portare con te. Non ha senso che io rimanga qui. Potrei esserti d’aiuto, Jet.-
-No, Emma. Rimarrai qui.- disse, baciandola poi dolcemente sulle labbra.
Emma rimase qualche secondo in silenzio. Perché baciarlo stava diventando una cosa così naturale per lei?
–Sono brava a raccogliere informazioni. È il mio lavoro. John è sempre molto soddisfatto, sai?- tentò di nuovo.
Jet sorrise. –Sei..-
-Sì, lo so. Testarda come un mulo. Non mi è nuova questa- lo interruppe Emma, contenta della sua vittoria.
-Sbrigati allora.- la esortò Jet, ridendo.
Emma prese i vestiti e si precipitò nel bagno, chiudendosi poi la porta alle spalle.
Cinque minuti dopo era già lavata e vestita. Un record per i suoi standard. Spalancò la porta, ma poi si bloccò sulla soglia.
La stanza era vuota. Ma dove diavolo è andato?, si chiese Emma, perplessa. Si avviò verso la porta, pensando che magari lui la stesse aspettando fuori.
Afferrò la maniglia e la spinse con decisione. Niente. La porta non si apriva. Riprovò una decina di volta, ma invano.
-Brutto figlio di…-cominciò a imprecare Emma, capendo finalmente la situazione.
Jet era uscito senza di lei e aveva chiuso la stanza a chiave.
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Emma camminava su e giù per la stanza da un’ora.
Subito dopo aver capito che Jet l’aveva ingannata lo aveva insultato per una mezzora ininterrottamente. Poi aveva preso un respiro profondo e si era calmata, cercando di elaborare un piano per uscire di lì.
Le era venuto in mente che da un momento all’altro sarebbe arrivato qualcuno per riordinare la stanza e quindi aveva deciso di aspettare pazientemente, seduta sul letto. Ma nessuno era arrivato, quindi si era sforzata di cercare un altro modo per uscire. Si era affacciata dalla finestra, guardando giù. La loro stanza era al quarto piano, come sarebbe potuta uscire di lì?
Poi era arrivata l’illuminazione. Si era fiondata sul telefono della stanza, per chiamare la reception, ma aveva scoperto che era fuori uso.
La sua ultima chance era stata il suo cellulare. Era scarico, ma aveva portato con sé il caricatore quindi non doveva essere un problema. Aveva preso la sua borsa per cercarlo. Niente. Jet  doveva aver preso anche quello perché Emma non l’aveva trovato da nessuna parte.
Alla fine si era arresa. Era rimasta seduta a terra per ore, in attesa che lui tornasse, ma dopo un po’ aveva sentito il bisogno di alzarsi. Aveva lo stomaco aggrovigliato e il suo cuore batteva forte nel petto, impedendole di respirare normalmente.
E se fosse in pericolo? Se avesse bisogno di aiuto? Perché mi ha chiuso qui dentro? Emma non aveva potuto fare a meno di continuare a tormentarsi tutto il tempo con quel tipo di domande.
Quando sentì il rumore di una chiava che girava nella toppa si fermò. Era Jet? Doveva essere lui.
Tirò un sospiro di sollievo quando incrociò i suoi meravigliosi occhi azzurri. Il sollievo fu subito sostituito dalla rabbia. Si scagliò contro di lui non appena si chiuse la porta alle spalle.
-Che cazzo ti è saltato in mente? Mi hai chiuso qui dentro!- urlò Emma, furiosa.
Jet sospirò. –Non potevi  venire con me, Emma.-
Emma si avvicinò a lui con decisione, fino a trovarsi talmente vicino a lui da poter inalare il suo profumo.
-Sei un coglione Jet! Ti avevo promesso che avrei fatto tutto quello che mi avessi detto, ma tu invece mi hai ingannata!-
-Emma ti prego..- iniziò a dire lui.
-Emma un cazzo! E se ci fosse stata un’emergenza e fossi dovuta uscire in fretta dalla stanza? Mi hai messo in pericolo!-
Jet sussultò. Evidentemente non ci aveva pensato.
-Non puoi continuare così, Jet. Non puoi proteggermi da tutto e da tutti.- disse Emma, addolcendo il tono di voce.
Jet la fissò. Emma vide preoccupazione nei suoi occhi.
-Devi fidarti di me.- gli disse, toccandogli il braccio su cui era tatuata la fascia nera in memoria del fratello.
Jet si concentrò sulla maglia di Emma. –Hai portato questa- mormorò, posandole una mano sul fianco.
Emma lo guardò confusa. Di che stava parlando?
–Ce l’avevi il giorno in cui ti sei presentata per la prima volta al Serendipity.- spiegò Jet, con un tono strano.
Emma non ricordava affatto di aver indossato quella maglia.
Una serie di ricordi riaffiorò nella sua mente, come un fiume in piena. La prima volta che avevano parlato, quando lui era stato davvero scortese nei suoi confronti; il bacio che lei gli aveva dato fuori dall’ufficio di Kian per evitare che il suo capo la sorprendesse ad origliare; la passeggiata che avevano fatto quando si erano incontrati per caso e lei gli aveva parlato di Karen.
Le tornò poi in mente il modo in cui si erano baciati quella sera a casa di Jet e quando lui le aveva parlato di Alec nel cuore della notte; la scenata che aveva fatto quando un cliente le aveva offerto da bere e il modo in cui aveva cercato di difenderla in presenza dei russi.
Ma furono gli ultimi ricordi a colpirla con maggior forza. Il giorno in cui Jet le aveva detto tre cose di lui che l’avevano turbata nel profondo e infine quel viaggio in macchina in cui lui aveva difeso suo fratello, che affermava di essersi innamorato di Serena in pochissimo tempo.
A quel punto capì. Gli afferrò il viso con decisione e lo baciò come se lui fosse la sua unica fonte di ossigeno.
Jet le afferrò i fianchi e l’attirò verso il suo corpo caldo e forte, rispondendo al bacio di Emma con la stessa energia e violenza. La sollevò quel tanto che permise ad Emma di allacciare le gambe intorno alla sua vita e poi la spinse contro il muro. I loro corpi aderivano in un modo tale che la fece rabbrividire di piacere.
Si ritrovò a baciare Jet in modo frenetico, con la schiena schiacciata contro la parete alle sue spalle. Lui cercava la lingua di Emma con la propria e spingeva i fianchi contro i suoi, chiarendo quanto la desiderasse.
Emma infilò una mano sotto la maglia di Jet, toccando il suo torace muscoloso, mentre lui la baciava sul collo.
-Devi togliertela-disse Emma, ansimando. Sollevò i bordi della maglietta e gliela sfilò, lanciandola poi in un punto indefinito della stanza. Fece scorrere la mani sul suo petto, seguendo ogni curva con le dita.
Jet smise di baciarla e socchiuse gli occhi, apprezzando il tocco delicato di Emma. Quando li riaprì erano di un azzurro profondo e intenso, nel quale Emma si stava perdendo sempre di più.
La guardò per un momento, come se avesse paura che lei potesse fermarlo e poi la sollevò, dirigendosi verso il letto. Dopo averla adagiata delicatamente riprese a baciarle il collo, mentre con una mano cercava di aprire i jeans di Emma. Se ne liberò come se fossero un ostacolo fastidioso e cominciò ad accarezzarle le cosce.
Emma si staccò da lui solo un attimo, il tempo di sbarazzarsi della  maglietta e del reggiseno.
Jet rimase immobile per alcuni secondi. La guardava come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto e il cuore di Emma batté più forte.
La baciò dolcemente sulle labbra e poi dedicò la sua attenzione al seno di Emma, con una lentezza che le faceva venire voglia di urlare. La portò al limite, stuzzicandola crudelmente con la lingua e con le mani.
Ci sono quasi, pensò Emma, avvertendo una sensazione che ormai non provava da tempo. Gemette frustrata quando lui si allontanò da lei.
-Voglio essere dentro di te.- sussurrò Jet, strusciando l’erezione dura contro di lei ed eccitandola  ancora di più. Lo vide liberarsi dei jeans e infine dell’ultimo ostacolo che li separava.
Jet si sdraiò sopra di lei, in modo da non schiacciarla con il suo peso.
Emma ansimò, poi però un pensiero fastidioso si insinuò nella sua mente.
-Aspetta- disse, ricorrendo a tutta la forza di volontà che aveva. –Hai…-
-Sono pulito Emma. Non sto con una donna da moltissimo tempo e con le altre ho sempre usato precauzioni.- la rassicurò. –Prendi la pillola?-
Emma annuì impercettibilmente, felice che il suo ciclo fosse così irregolare da aver bisogno di qualcosa che lo normalizzasse.
Jet intrecciò le mani alle sue e si posizionò fra le sue gambe.
La baciò di nuovo e poi con una spinta decisa entrò dentro di lei.
Emma si costrinse a non urlare. Era passato molto tempo dall’ultima volta che aveva fatto sesso e Jet se ne accorse.
-Sei così stretta- le sussurrò ad un orecchio. Rimase fermo per alcuni secondi, come se volesse darle il tempo di abituarsi a lui.
Emma si sporse in avanti e lo baciò.
Jet non ebbe bisogno di altro. Cominciò a muoversi lentamente dentro di lei, i muscoli delle spalle e del collo che si flettevano ad ogni suo movimento. All’improvviso velocizzò il ritmo, alternando spinte energiche e vigorose a baci profondi e violenti.
Emma ansimò più forte quando cominciò a sentire una pressione crescente al basso ventre. Jet le toccò il seno ed Emma esplose. Il suo urlo fu inghiottito dal bacio feroce di Jet.
Lo sentì irrigidirsi dentro di lei poco dopo e poi venire in modo violento, urlando il suo nome.
Jet uscì lentamente da lei e si ritrovarono sdraiati fianco a fianco, entrambi sudati e ansimanti.
Quando lui l’attirò verso di sé Emma lo baciò dolcemente.
-No- mormorò poi, con un sorriso stampato sulla faccia.
Jet la guardò confuso. –Che c’è piccola?- chiese preoccupato.
-La risposta alle tre domande è no- sussurrò Emma felice, mentre la stanchezza prendeva il sopravvento.
***
Emma si svegliò con una senso di soddisfazione che non aveva mai provato in vita sua. La testa poggiata sul petto di Jet e le gambe intrecciate alle sue. Quando si spostò leggermente per ammirare il suo viso si accorse che era sveglio.
Le rivolse uno di quei sorrisi che lasciavano Emma senza fiato. Si sporse in avanti e la baciò.
-Dormito bene?- le chiese poi, infilando una mano nei suoi capelli lunghi.
Emma annuì, poggiando di nuovo la testa sul suo petto.
-Prima di addormentarti..- iniziò a dire Jet, con un tono strano- hai detto qualcosa.-
Emma cercò di fare mente locale. Cosa gli aveva detto?
Poi ricordò. Gli aveva detto che la riposta alle tre domande era no. Sussultò quando si rese conto della verità. Lo amava.
-Non ricordo- mentì Emma. Non poteva dirglielo perché temeva che lui si sarebbe comportato in modo irrazionale e non le avrebbe permesso di aiutarlo a liberare James. E poi Jet non le aveva mai detto di amarla.
-Hai detto che la riposta è no. Alle tre domande. Quali domande?- insisté Jet.
-Davvero Jet, non ricordo- disse Emma, accarezzandogli dolcemente il petto.
-Ho fame- disse poi, cambiando argomento.
-Bel tentativo, Emma-
-Ma è vero! Non ricordo e poi sto morendo di fame.- replicò Emma, mentre si tirava su.
-Forse hai fatto troppa attività fisica- la prese in giro Jet.
Emma alzò gli occhi e sbuffò sonoramente. –Si vede che non ho più l’età. Sì, deve essere così. Credo che dovrò starmene buona d’ora in poi. Niente più attività fisica.-
Jet sorrise e poi cominciò a farle il solletico.
-Ok, basta. Ti prego- lo supplicò Emma, dopo poco.
-Doccia?- chiese Jet, in tono malizioso.
Emma scoppiò a ridere, ricordando la mattina che si era svegliata a casa sua.
-Dopo andiamo a mangiare però- disse Emma.
Jet annuì e poi la baciò di nuovo.
 
Angolo autrice
Scusate per il ritardo! Purtroppo ieri non ho avuto proprio il tempo materiale per scrivere!
Spero che pubblicando due capitoli sia riuscita a farmi perdonare e soprattutto spero che l’attesa sia valsa la pena…
Dal prossimo capitolo torna l’azione comunque, giuro ;)
Alla prossima!

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


-Dove sei stato ieri?- chiese Emma, mentre faceva colazione con Jet in albergo.
-Ho cambiato i soldi innanzitutto.-
-E poi? Sono stata per ore rinchiusa in quella camera- osservò Emma, cercando di non sembrare irritata.
-Pensavo che mi avessi perdonato- scherzò Jet, scuotendo la testa.
-Più o meno.- Emma non poté fare a meno di sorridere ripensando a quello che avevano fatto quando lui era tornato.
-Poi sono andato nel distretto di polizia più vicino.- proseguì Jet.
Emma posò il caffè sul tavolo, preoccupata. –Che hai scoperto?-
-Poco. Molto poco, in realtà. La poliziotta con cui ho parlato faceva fatica a capirmi e il suo inglese era davvero pessimo. In ogni caso mi ha fatto capire che non poteva darmi informazioni su James a meno che io non fossi il suo avvocato-
-Ma non ti ha detto se è ancora in carcere?-
-No. Potremmo trovare un altro distretto e chiedere informazioni fingendoci degli avvocati…-
Emma non credeva che fosse un gran piano. Se i poliziotti fossero stati pignoli e avessero indagato più a fondo lei e Jet sarebbero finiti nei guai.
-Forse dovremmo andare in ambasciata. Potremmo parlare con qualcuno e…-
Jet la interruppe subito. –No, Emma. Non servirebbe a nulla. Dimitrij e i suoi non sono dei semplici agenti. Per loro la legge non ha alcun significato. E poi se ci presentassimo in ambasciata solleveremmo un polverone, aggravando la posizione di James.-
Emma fu costretta a dargli ragione. Andando in ambasciata avrebbero solo peggiorato la situazione. Cosa avrebbero dovuto fare allora?
-Non conosco le leggi russe, Jet.- ammise Emma, preoccupata. –Come facciamo a tirarlo fuori dalla prigione, ammesso che sia ancora lì, se non conosciamo nemmeno le fondamenta della loro legislazione?-
-Dobbiamo procedere per gradi, Emma. Adesso dobbiamo solo scoprire se è ancora in carcere. Poi andremo a trovarlo e parleremo con lui.-
-E se non fosse più in carcere? Se Dimitrij e i suoi lo tenessero prigioniero da qualche altra parte?-
Jet le prese una mano, accarezzandola dolcemente con il pollice. -Lo troveremo- la rassicurò, sorridendo.
Emma non era così ottimista. Non aveva esitato a partire con lui, ma adesso che era a Mosca le sembrava impossibile liberare James, ovunque lui si trovasse.
-Finito?-le chiese Jet, notando che aveva smesso di mangiare.
Emma annuì e poi si alzò, prendendo la sua borsa.
Seguì Jet fuori dall’albergo e fu investita dal caldo estivo.
-Speravo fosse più bassa la temperatura qui- disse Emma, infilandosi gli occhiali da sole.
Jet sorrise. –Per la verità anche io.- ammise, guardandosi intorno. –Credo che ci servirà una cartina.-
Emma annuì. –Lì c’è un giornalaio, magari ne troviamo una.- disse, incamminandosi  lentamente verso l’edicola.
-Ho parlato con Kian ieri. Ha detto che avrebbe aspettato che si presentasse Dimitrij al locale e poi ci avrebbe avvertito una volta che gli avesse consegnato i soldi. Abbiamo qualche ora di vantaggio su di lui, però non possiamo comunque perdere tempo- disse Jet, mentre Emma cercava una cartina tra tutti gli articoli esposti nell’edicola.
-Magari non torna subito qui.- disse Emma.
-Posso aiutarvi?- chiese un uomo, ostentando un perfetto inglese.
Emma lanciò un’occhiata a Jet. Qualcuno che parla inglese in modo comprensibile!, avrebbe voluto dire.
-Stiamo cercando una cartina.- disse invece, sorridendo.
-Americani?-chiese l’uomo, un signore di mezza età con grandi occhi verdi.
-Esatto!-rispose Emma, sorridendo.
-Credo di averne ancora qualcuna. Torno subito-
Mentre aspettavano che tornasse l’uomo, il telefono di Emma squillò.
-Chi cavolo è adesso?- si chiese ad alta voce, mentre lo tirava fuori. Quando si accorse che era suo padre sorrise. Poi però le venne in mente il fatto che non aveva avvertito i suoi genitori che sarebbe andata in Russia. Ignorò la chiamata a malincuore.
-Ecco a voi-disse l’uomo che era tornato con diverse cartine nella mano.
-Scegliete quella che preferite.-
Jet le esaminò attentamente e alla fine scelse quella più dettagliata. Pagarono e cercarono di orientarsi.
-Forse dovremmo chiedere al signore dove possiamo trovare un distretto.- disse Emma, ritenendo che fosse inutile orientarsi tramite la cartina.
-Già-confermò Jet.
Emma tornò all’edicola e si fece dare le indicazioni di cui avevano bisogno.
-Pare che ce ne sia uno a un chilometro da qui.- disse, mentre tornava da Jet.
-Spero solo che non sia quello in cui sono andato io-
Si incamminarono nella direzione che aveva indicato loro il giornalaio e in poco tempo si ritrovarono fuori dal distretto.
-È quello di ieri, Jet?-
-No. Quello dove sono andato io era molto più lontano, per la verità.-
-Se tu non mi avessi rinchiuso in camera…-iniziò a dire Emma, ma fu interrotta dalle labbra morbide di Jet che si posarono sulle sue.
-Ma dopo non avremmo…-
-Jet!-esclamò Emma, imbarazzata.
-Ok, piccola. Ne parleremo in un altro momento.-
-Allora quale è il piano?-chiese Emma, sollevata.
-Entro e fingo di essere il fratello di James-
-E poi?-
-E poi niente. Cerco di ottenere più informazioni possibili.-
-Aspettami qui. È meglio che entri uno solo di noi due. Se ci sono problemi ti chiamo.-
Emma non fece in tempo a protestare che Jet si era già avviato verso l’ingresso.
Quando la smetterà di decidere tutto lui?, si chiese Emma, spazientita.
Si guardò intorno curiosa. Il distretto si trovava in una strada stretta, ma molto trafficata. Le persone camminavano veloci sul marciapiede, ignorando tutto e tutti.
Le tornò in mente quello che aveva detto Jet. Avrebbero dovuto parlare di quello che era successo ieri? Dopo che si erano fatti la doccia insieme, erano andati a cena.
Jet le era sembrato soddisfatto e rilassato come non lo aveva mai visto. Avevano parlato molto e si erano goduti piatti tipici della cucina russa, ma nessuno dei due aveva accennato a quello che era successo prima.
Emma aveva capito di amare Jet, ma non poteva sollevare l’argomento proprio ora che dovevano concentrarsi su James. Avrebbero avuto tempo  di chiarire il loro rapporto una volta tornati a Chicago.
Lanciò un’occhiata al telefono. Erano già venti minuti che Jet era dentro.
Ha detto che avrebbe chiamato se avesse avuto bisogno di aiuto, si disse Emma. E ha detto anche che era meglio che solo uno di noi entrasse. Però potrebbe trovarsi in difficoltà e non avere la possibilità di contattarmi.
Emma non esitò. Si avviò verso l’ingresso ed entrò nel distretto.
All’inizio credette di trovarsi nel posto sbagliato. Non c’era il caos e il disordine che contraddistingueva ogni stazione di polizia che Emma aveva potuto vedere nei film. Anzi. Vi erano poche persone ed erano pochi gli agenti in divisa. Saranno tutti in borghese, pensò Emma.
Un uomo in divisa sulla trentina le si avvicinò e le chiese qualcosa in russo. Emma cercò di fargli capire che non parlava quella lingua.
-Posso aiutarla?- chiese allora l’uomo in inglese, pronunciando alcune parole in modo strano.
Emma sorrise. Perché i russi facevano così fatica a imparare l’inglese?
-Sto cercando una persona- gli disse, scandendo bene le parole nella speranza che lui la capisse.
Il poliziotto le fece cenno di seguirla. Si accomodò su una scrivania e invitò Emma a sedersi. Lei si guardò intorno alla ricerca di Jet, ma non lo vedeva. Forse era in qualche stanza a parlare con un poliziotto.
-La persona che sto cercando è James Wright- disse Emma.
Il poliziotto la scrutò, come se cercasse di capire le sue intenzioni.
-Perché lo sta cercando?-
-Vede agente, qualche giorno fa ho scoperto di essere stata adotta- cominciò a dire Emma, sperando di sembrare convincente.- Nel testamento dei miei genitori adottavi era scritto chiaro e tondo: non ero figlia loro ed era un mio diritto saperlo. Così ho cominciato ad indagare e ho scoperto che l’unico parente che avevo era partito per la Russia.-
-Mi dispiace per la sua perdita-disse il poliziotto.
-Li amavo così tanto, sa. Non capisco perché mi abbiano nascosto la verità per così tanto tempo. Non avrei certo smesso di amarli solo perché non erano i miei genitori biologici.-
-Perché è qui, signorina?-
-Perché ho scoperto che James, mio cugino, è stato arrestato due anni fa qui a Mosca e di lui nessuno ha avuto più notizie- disse Emma.
-Non posso…-
-La prego. Non ho più nessuno adesso. Quando sono morti i miei.. beh, i miei genitori adottivi, mi è crollato il mondo addosso-
L’agente sospirò. –Cercherò nel database, ma non posso prometterle nulla.-
Emma si costrinse a non esultare. –Lei è davvero gentile.-
Lo vide digitare qualcosa al computer e poi le chiese di nuovo il nome di suo “cugino”.
Mentre attendeva che la ricerca desse qualche risultato Emma si guardò intorno.
C’erano diverse stanze con le porte chiuse. Jet doveva essere per forza in una di quelle, il distretto non era enorme e lì fuori lui non c’era.
Quando si aprì una porta e uscì Jet accompagnato da un poliziotto di mezza età, Emma tirò un sospiro di sollievo.
Jet si accorse di lei e le lanciò un’occhiata. Emma sapeva benissimo cosa gli passava per la testa in quel momento. Si stava sicuramente chiedendo perché lei fosse entrata nonostante lui non l’avesse chiamata e cosa stesse facendo seduta alla scrivania di quel poliziotto.
-È stato condannato ad un periodo di detenzione, signorina.- disse l’agente, costringendola a distogliere lo sguardo da Jet.
-Oh mio dio-disse Emma, fingendosi sorpresa. –Ma che cosa ha fatto?-
-Possesso di droga. È uscito di prigione due settimane fa-
-Non riesco a crederci. I miei genitori sono stati adottati e l’unico parente che ho è stato in prigione-mormorò Emma, scuotendo la testa.
-Ha finito di scontare la sua pena, però. Ha la possibilità di mettersi in contatto con lui e incontrarlo-cercò di rassicurarla l’agente.
–Ma non so dove abita. Come farò a trovarlo?-chiese, fingendosi disperata.
-Se scoprono che ho fatto una cosa del genere mi licenziano. –
Emma sollevò la testa, guardando l’agente negli occhi.
Lui lesse qualcosa sul computer e poi glielo riferì. –Nella sua scheda non è riportato l’indirizzo attuale, ma quello precedente. Magari è tornato lì-
-Sarebbe così gentile da dirmelo?-
L’uomo scrisse l’indirizzo su un pezzo di carta e lo diede ad Emma.
-Mi raccomando stia attenta.- si raccomandò.
Emma gli sorrise e gli strinse la mano. –Non so davvero come ringraziarla. Davvero-
Il poliziotto annuì e poi la scortò verso l’uscita.
Quando fu di nuovo in strada cercò subito Jet. Stava fumando in un angolo, qualche metro più in là.
Quando vide Emma gettò la sigaretta a terra e la spense con la scarpa.
-Si può sapere perché non fai mai quello che ti dico?-le chiese, seccato.
Emma scoppiò a ridere. Gli circondò il collo con le braccia e lo baciò.
-Perché hai sempre idee del cavolo, Jet- disse, dopo essersi staccata da lui.
-Scoperto qualcosa?-gli chiese poi, pregustandosi il momento della vittoria.
-No. Il poliziotto non ha voluto dirmi niente. Continuava a ripetere di avere le mani legate.- borbottò  Jet, sbuffando.
-Vedi Jet, questa è l’ennesima prova che la mia presenza è fondamentale-disse Emma, sorridendo.
-E perché mai, piccola?-
-Perché io sono riuscita a scoprire in dieci minuti quello che ci serviva sapere mentre tu non ci sei riuscito in un giorno e mezzo.- disse Emma, sfrontata.
Jet posò le mani sui suoi fianchi e inarcò un sopracciglio.
-Sentiamo-
-James è stato in prigione fino a due settimane fa. Il poliziotto ha detto che nel suo fascicolo non c’era il suo indirizzo attuale, ma quello precedente e me lo ha gentilmente scritto su un foglietto.-
Jet spalancò gli occhi, incredulo.- E come hai fatto a convincerlo a darti queste informazioni?-
-Sono una donna, Jet.- disse Emma, come se quello dovesse spiegare tutto.
-Già. Ieri ne ho avuto una conferma-
Emma arrossì. –Sei un cretino. Invece di ringraziarmi fai battute idiote- lo rimproverò.
Jet rise e poi la baciò velocemente. –Hai ragione, tesoro. Sei stata grande. Come farei senza di te?-
-Mi ringrazierai in modo appropriato dopo, adesso andiamo a noleggiare una macchina.- disse Emma.
-Credo sia meglio chiamare un taxi-
-No, Jet. Abbiamo bisogno di una macchina. Non sappiamo che tipo di spostamenti dovremo affrontare.-
Jet annuì. –Credo che l’albergo offra un servizio di noleggio.-
-Andiamo allora-
***
Un paio d’ore dopo Emma e Jet erano in macchina. Inutile dire quanto avessero dovuto pagare per averla.
-Credo che il gps sia andato-disse Emma, mentre cercavo di impostarlo per l’ennesima volta.
-Cerca di orientarti con la cartina allora.-
Emma cercò di individuare la loro posizione, dopo aver letto il nome della via in cui si trovavano. Poi lesse l’indirizzo che le aveva dato il poliziotto e lo cercò sulla cartina.
-Non è molto lontano, Jet. Dobbiamo solo stare attenti a questo incrocio.- disse Emma, indicando con il dito un punto della cartina.
Jet lanciò uno sguardo veloce e poi tornò a concentrarsi sulla strada.
-Dovrai essere meglio di un navigatore, tesoro-
Emma stava cominciando ad abituarsi a essere chiamata da Jet con quei vezzeggiativi e questo la spaventò. Lei lo amava, ma lui ricambiava i suoi sentimenti?
-Dove devo giare, Emma?- le chiese poi, arrivati ad un semaforo.
-A destra- rispose Emma, felice di poter escludere quei pensieri dalla testa almeno per un po’.
Impiegarono circa un’ora a raggiungere l’indirizzo che stavano cercando.
-Deve essere un albergo o qualcosa del genere, no?-chiese Emma, guardando i diversi palazzi davanti ai quali passavano.
-Voglio dire lui e Alec erano venuti per fare un viaggio…-precisò Emma.
-Già-
Emma controllo il civico di ogni palazzo con estrema attenzione.
–Eccolo!- esclamò ad un certo punto, mentre passano davanti ad un palazzo decadente con poche finestre.
-Sei sicura?- chiese Jet, perplesso
-Sì, il civico è questo- confermò Emma.
Jet parcheggiò la macchina a qualche metro di distanza dall’ingresso e poi si avviarono a piedi.
Esaminarono con attenzione tutti i nomi riportati sui citofoni, ma non c’era  quello di James.
-Beh citofoniamo a qualcuno. Prima o poi ci apriranno- propose Emma, non vedendo alternative.
Il palazzo sembrava disabitato perché nessuna delle persone cui citofonarono rispose. Provarono con altre persone, ma non ebbero risposta.
-Qui non ci abita nessuno Jet-osservò Emma, delusa. La loro ricerca era stata un fiasco.
-Forse potremmo…-iniziò a dire Jet, ma Emma lo interruppe.
-Non ti girare, ma nel palazzo di fronte una donna ci sta osservando da una finestra. -lo avvertì Emma.
-Descrivimela.-
-Giovane, mora. Non posso dirti altro, è troppo lontana.-
-Piano?-
Emma sbirciò con la coda dell’occhio. –Terzo-
-Andiamo a parlarle-
Nel momento esatto in cui Jet ed Emma si avviarono verso il palazzo, la donna si scostò dalla finestra, nascondendosi alla loro vista.
Strano, pensò Emma sospettosa.
-Dobbiamo farci aprire da qualcuno- disse Jet, arrivati all’ingresso del palazzo.
Emma ebbe non fece in tempo a dire nulla, che una ragazzina si avvicinò al portone. Citofonò a qualcuno del palazzo che le aprì.
Emma e Jet si scambiarono un’occhiata ed entrarono prima che si richiudesse il portone. Salirono le scale fino al terzo piano e notarono che c’erano quattro appartamenti.
-Quale sarà?- chiese Emma, sussurrando.
Jet alzò le spalle. –Non ne ho idea-
Lessero i nomi sui campanelli, ma non fu d’aiuto. Stavano per suonare ad una porta a caso, quando alle loro spalle se ne aprì un'altra.
Si girarono contemporaneamente ed Emma riconobbe la donna che li aveva osservati dalla finestra.
Aveva all’incirca la sua età e si spaventò molto quando li vide. Fece per rientrare in casa, ma Jet la bloccò.
-Non vogliamo farti del male. Stiamo cercando una persona. James Wright- le spiegò, parlando lentamente.
Lei sgranò gli occhi. Sa chi è, pensò Emma notando la sua reazione.
-Non lo conosco-disse la donna, scuotendo la testa. Parlava bene inglese e questo era davvero d’aiuto.
-È un nostro amico. Se sai dove si trova…- iniziò a dire Emma.
-Mi dispiace, non lo conosco- ripeté la donna, arretrando in casa.
Jet fu più veloce. Poggiò una mano sulla porta e la tenne aperta.
-Entra- ordinò ad Emma.
-Jet non credo…-
-Sbrigati-
Emma entrò in casa seguita da Jet, che si chiuse subtio la porta alle spalle.
-Non potete farlo-protestò la donna.
-Come ti chiami?- le chiese Emma.
La donna cominciò a indietreggiare spaventata.
-Andate via. Non so niente- continuò a ripetere.
Emma e Jet si scambiarono un’occhiata. La donna stava chiaramente mentendo e loro dovevano capire il perché.
-Abbiamo fatto un viaggio lungo per trovare James…- tentò di nuovo Emma.
Sia lei che Jet si insospettirono quando sentirono un rumore provenire da una stanza della casa.
-Emma rimani qui.- le ordinò Jet.
-C’è qualcuno in casa?-chiese poi alla donna, avanzando lentamente.
Lei non rispose, spostando lo sguardo da Emma a Jet.
Emma seguì Jet nel corridoio. –Dovevi rimanere all’ingresso-la rimproverò Jet.
-Sì, certo-
Cominciarono a controllare ogni stanza, ma non sembrava che ci fosse nessuno. Arrivati in cucina capirono che la casa era vuota e che il rumore era stato prodotto da un gatto che adesso girava loro intorno.
-Non c’è nessuno qui, Jet- osservò Emma, guardandosi intorno.
Notò però che sul tavolo c’erano due tazze di caffè. C’è qualcuno, pensò Emma.
Non fece in tempo ad avvertire Jet che una voce maschile alle loro spalle disse:-Fermi dove siete, altrimenti sparo a tutti e due.-
Jet sussultò, girandosi lentamente verso l’uomo ed Emma fece lo stesso.
Sgranò gli occhi, incredula. Incrociò un paio di occhi azzurri familiari, ma la pistola che l’uomo puntava contro di loro attirò l’attenzione di Emma.
Jet confermò la sua ipotesi, pronunciando un unico nome.
-Alec-

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


-Jethro-disse Alec, sorpreso.  
Emma si concentrò su Jet. Aveva la mascella serrata e il corpo in tensione. Le aveva detto che suo fratello era stato ucciso dai russi, ma chiaramente non era così perché adesso era davanti a loro in carne ed ossa e li stava minacciando con una pistola.
-Abbassa la pistola Alec-intimò Jet al fratello, in tono gelido.
Mi ha mentito?, si chiese Emma, cominciando a sentire un peso sullo stomaco. Jet non sembrava affatto scioccato come potrebbe esserlo una persona che ha perso il fratello e che poi se lo ritrova davanti all’improvviso.
-Jet che sta succedendo?- gli chiese, spostando lo sguardo da lui ad Alec, che non accennava ad abbassare la pistola.
-Perché sei qui Jet?- chiese Alec in tono distaccato.                
-Per sistemare i tuoi casini. Niente di nuovo in fondo-rispose Jet, con una calma che spaventò Emma.
-Lei chi è?-chiese poi, lanciando un’occhiata alla donna russa  in piedi accanto ad Alec.
-Nina, mia moglie-
-Mentre James marciva in galera tu ti sposavi-osservò Jet, sprezzante.
-Jethro… tu non capisci. Se non gli avessi detto di Kian mi avrebbero ucciso.-
-Hai tradito il tuo migliore amico Alec. Non c’è nulla da capire-
Emma invece non riusciva a capire affatto. Alec non era morto e Jet lo sapeva. Perché le aveva mentito? Ma soprattutto in che senso Alec aveva tradito James?
-Io…-iniziò a dire Alec- so di aver fatto un casino, ma…-
-Dov’è James?- chiese Jet, interrompendolo bruscamente. Era evidente che non voleva sentire le giustificazioni che gli avrebbe propinato il fratello.
-Non lo so-
Nina disse qualcosa in russo ad Alec.
-Jet?- lo chiamò Emma.
Lui la ignorò, continuando a guardare il fratello.
-Come è possibile che tu non sappia dove sia? Ce l’hanno i russi?-
Alec scosse la testa. –Dimitrij non è a Mosca.-
-No, infatti. È tornato per l’ennesima volta a Chicago a chiederci soldi. Non ti vergogni di quello che hai fatto?- lo accusò Jet, in tono duro.
-Jet che diavolo sta succedendo?- chiese di nuovo Emma.
-Come vedi mio fratello non è morto-disse Jet, ridendo amaramente.
-Sì, ma…perché mi hai mentito?-chiese Emma, con voce rotta.
-Perché mi vergognavo Emma. Lui ha tradito James.-
Emma lanciò un’occhiata ad Alec. Non sembrava affatto pentito o dispiaciuto, qualunque cosa avesse fatto a James.
-Dopo che Alec ha perso il carico di droga, Dimitrij e i suoi hanno arrestato sia lui che James. Alec ha detto a Dimitrij che Kian avrebbe potuto risarcirli perché aveva un’attività a Chicago che gli fruttava molti soldi. Come ben sai invece il Serendipity non è così redditizio. Io mi sono offerto di pagare al posto di Kian perché non potevo permettere che Kian sborsasse soldi per una delle tante stronzate di Alec- cominciò a spiegare Jet, lanciando un’occhiata dura ad Alec.
-Dopo aver pagato Dimitrij, però, lui ha deciso che Kian era diventato una gallina dalla uova d’oro. Hanno rilasciato Alec perché gli era utile per lo spaccio di droga, ma hanno fatto in modo che James finisse in prigione. Così potevano continuare a ricattare Kian. Avrebbero fatto in modo che la pena si allungasse se Kian non li avesse pagati.-
Emma rimase senza parole. Alec aveva permesso che James finisse in prigione nonostante avesse perso lui la droga? E aveva fatto il nome di Kian? Che razza di persona poteva fare una cosa simile?
Adesso Emma capiva perché Jet preferiva dire che suo fratello era morto piuttosto che raccontare la verità. Si sentiva tradito, ma soprattutto il senso di colpa per quello che Alec aveva fatto a James lo logorava.
Emma non riusciva ad essere arrabbiata con Jet. Sapeva cosa significava avere un fratello e probabilmente si sarebbe comportata allo stesso modo se Nathan avesse tradito un amico come aveva fatto Alec.
Sollevò lo sguardo fino a incontrare gli occhi azzurri di Jet. Erano spenti e tristi.
-Dobbiamo trovare James-disse Emma, prendendogli una mano.
Jet sussultò. Probabilmente non si aspettava che lei accettasse così facilmente il fatto che lui le avesse mentito.
-Non so dove sia-ripeté Alec, seccato.
-Cosa ti ha detto tua moglie prima?- chiese Emma, incapace di mascherare la propria rabbia.
-Niente- si affrettò a dire Alec.
Emma sospirò. Stava mentendo.
Lasciò la mano di Jet e si avvicinò a Nina. Non sembrava più spaventata. Forse perché Alec impugnava ancora una pistola e pensava che lui l’avrebbe protetta da tutto e da tutti.
-Tu sai dove si trova James?-
Nina si scambiò un’occhiata con Alec. Lo sa, pensò Emma, frustrata.
Le afferrò un braccio in modo brusco. Alec si irrigidì.
-Devi dircelo, dannazione! Tuo marito ha permesso che il suo amico finisse in carcere nonostante fosse innocente!-esclamò Emma, arrabbiata.
-Allontanati da lei. Altrimenti sarò costretto a spararti- la minacciò Alec, puntandole la pistola contro.
Jet scattò in avanti e colpì il fratello alla testa, cogliendolo di sorpresa. Ciò gli permise di prendere la pistola e di mettere al sicuro Emma.
Scaricò l’arma, infilandosi i proiettili in tasca e poi rivolse un’occhiata ad Alec, che cercava di rimettersi in piedi con l’aiuto di Nina.
-Cazzo- imprecò, toccando il punto in cui Jet l’aveva colpito.
-Pensavi che ti avrei permesso di farle del male?-chiese Jet, non mostrando alcuna emozione. Emma non riusciva a capire come lui facesse a mantenere la calma in quel modo.
-Non siamo poi così diversi, fratello. Nessuno dei due vuole che la propria donna venga minacciata-disse Alec, dolorante.
Jet guardò Emma per un secondo. –Già-confermò.
Emma sentì il cuore battere forte nel petto. Jet la considerava la sua donna?
Si costrinse ad escludere quei pensieri dalla sua mente. Non era il momento adatto per cercare di capire cosa intendesse Jet.
-Adesso ci sediamo tutti quanti e ci dite tutto quello che sapete- disse Jet, indicando il tavolo della cucina.
Dopo che si furono seduti Jet guardò prima Alec e poi Nina. –Ebbene?-
Alec sospirò.- So che doveva uscire di prigione due settimane fa.-
-Lo sappiamo-disse Emma, trovando conferma a quello che le aveva detto il poliziotto.
-Dimitrij mi aveva detto che.. che non avrebbe permesso a James di tornare negli Stati Uniti. Poteva essergli utile per lo spaccio.- spiegò Alec, lentamente.
-Cazzo.-imprecò Jet, sbattendo con violenza una mano sul tavolo. Sia Emma che Nina sussultarono.
-L’ho incontrato solo una volta da quando è uscito di prigione. Volevo scusarmi e…- Alec si bloccò. Si passò una mano fra i capelli e sospirò.
-Parla Alec-gli intimò Jet.
-Lui non è più il James che tu conoscevi. Il carcere lo ha cambiato.-
Emma cominciò a preoccuparsi. Che intendeva Alec? Formulò la domanda ad alta voce.
-Significa che ha cominciato a bere. Quando Dimitrij gli ha detto che non sarebbe più tornato a Chicago è andato fuori di testa. Non poteva rivolgersi alla polizia e non sapeva come lasciare la Russia. Se fosse andato in ambasciata Dimitrij l’avrebbe fatto fuori. Perciò ha cominciato a spacciare.- disse Alec.- Non so dove sia. Lui non vuole vedermi.- aggiunse alzando le spalle.
-Come biasimarlo-disse Jet.
-Dove potrebbe essere?- chiese invece Emma.
-So che Dimitrij gli ha affidato il quartiere a luci rosse. Spaccia lì. Ma non so dove abiti.-
-Portaci nel quartiere in cui spaccia.-
Nina sussultò. Emma lanciò un’occhiata a Jet, chiedendogli silenziosamente se anche lui avesse notato la reazione della moglie di Alec.
-Non posso-disse lui, dopo un momento di silenzio.
-Non mi sembra di averti dato scelta.- disse Jet, guardando il fratello negli occhi.
-Non posso farmi vedere lì.-
Emma cominciò a capire. –Nina era una prostituta, non è vero?-
Nina si mosse a disagio sulla sedia. –Hai delle questioni irrisolte con il suo..-Emma si interruppe. –capo?-
Lo sguardo preoccupato di Nina fu come una risposta.
-Dimmi come raggiungere questo posto allora- disse Jet al fratello.
-Sappi che se non riuscirò a tirare fuori James da tutta questa storia, giuro che farò in modo che tu passi il resto della tua vita in galera. Lontano da Nina. Chiaro?-
Alec strinse la mano di sua moglie e poi cominciò a spiegare al fratello come raggiungere James.
***
-Qual è il piano?-chiese Emma, mentre lei e Jet tornavano in albergo.
Alec aveva spiegato loro come raggiungere il quartiere in cui James spacciava e poi lui ed Emma se ne erano andati.
Jet non aveva aperto bocca da quando erano entrati in macchina.
-Non lo so-rispose Jet, sospirando.
-Non sono arrabbiata con te.-
-Non devi mentirmi Emma.-
-Avrei preferito sapere la verità dall’inizio, è vero, ma capisco perché tu abbia deciso di non dire nulla. Ti vergognavi di tuo fratello e ti sentivi in colpa.-
Jet rise amaramente. –Non credo di meritarti.- disse, lanciandole un’occhiata veloce. –Mi chiedo come…come tu riesca a sopportare tutto questo.-
Emma guardò fuori dal finestrino. –Devo scoprire la verità.- disse semplicemente, riferendosi a Karen.
-Non intendo questo.- mormorò Jet. –Ti ho mentito e ti ho trascinato in questo casino, ma continui a rimanere con me.-
Perché ti amo, avrebbe voluto dire Emma. –Stai rischiando la tua vita per salvare James. Cerchi di rimediare alle stronzate di Alec anche se lui non se lo merita. Porti questo peso sulle spalle da molto tempo, me non hai mai mollato. –spiegò Emma. –Non posso… permetterti di affrontare tutto questo da solo.-
Jet rimase in silenzio per qualche minuto. –Sei un fottuto avvocato Emma.- disse poi, con rabbia. –Tu sei dalla parte della legge. Tu sei la legge. Ma per colpa mia ti sei ritrovata coinvolta in un giro di droga e corruzione.-
-Non sono ancora un avvocato in realtà, sto studiando per superare l’esame.- scherzò Emma, cercando di allentare la tensione.
-Devi tornare a Chicago.-
Emma sbatté le palpebre un paio di volte, confusa. –Cosa?-
-Prendi il primo areo disponibile e te  ne torni a Chicago. Non permetterò che ti facciano male.- disse Jet, con un tono che non ammetteva replica.
-Io non me ne vado Jet. Scordatelo. Libereremo James, ma lo faremo insieme.-
Emma non si accorse che erano tornati all’albergo fino a quando Jet non accostò la macchina vicino al marciapiede in cui c’era l’ingresso. Tirò il freno e poi si avventò su Emma.
La baciò con una tale foga che Emma all’inizio rimase impietrita. Poi rispose al bacio di Jet cercando di fargli capire a gesti quello che con le parole non era riuscita a dire. Che sarebbe rimasta sempre al suo fianco, qualunque cosa succedesse perché era irrimediabilmente innamorata di lui.
Gli prese il viso fra le mani e si costrinse a staccarsi da lui. –Non me ne vado-
Jet scosse la testa, rassegnato. –Devi promettermi che farai quello che dico io.-
Emma annuì. -Va bene-
Jet lanciò un’occhiata all’orologio. –Forse dovremmo mangiare qualcosa. Poi penseremo a come portare James fuori da questa cazzo di città.-
Emma lo seguì all’interno dell’albergo. La donna della reception li salutò in modo sbrigativo mentre passavano per andare nel ristorante dell’albergo.
Si sedettero e aspettarono che qualcuno prendesse le loro ordinazioni.
-Alec ha detto che James spaccia nel quartiere a luci rosse, in strada. Ci ha dato l’indirizzo della via in cui è più probabile che lo troviamo.- disse Emma.
-Sì, ma non è detto che sia lì. E poi ha detto che spaccia solo di sera, quindi non possiamo muoverci adesso.-
-Possiamo andare lì per le nove.- Emma vide Jet irrigidirsi. –Non ci pensare proprio, Jet. Non me ne starò rinchiusa in stanza, mentre tu sei lì fuori.-
-Non è un posto che fa per te.-
Emma sorrise. –Mi ha già detto una cosa del genere, ricordi?-
Jet non poté fare a meno di sorridere a sua volta. –Già. E avevo ragione. Non hai il minimo senso del pericolo-
-Se non fossi venuta quella sera non..- Emma si bloccò. Riconosceva i pericoli ed era per quel motivo che non poteva permettere che Jet andasse da solo. Non voleva perderlo.
-Non ti avrei mai conosciuta.- terminò Jet.
-Andiamo lì e lo cerchiamo. Ma poi che facciamo dopo che l’abbiamo trovato?- chiese Emma, preoccupata.
-Gli diciamo che siamo venuti per riportarlo a Chicago. La verità, nulla di più nulla di meno.-
-Tu lo conosci personalmente?-
-L’ho visto un paio di volte. Temo solo che non mi riconosca.-
Emma stava per parlare quando squillò il telefono di Jet.
-Dimmi Kian-disse Jet, dopo aver riposto.
-Tornano dopodomani?- chiese Jet. –Ok. Sì ,sappiamo dove si trova. –
Emma vide Jet annuire. –Ti aggiorniamo più tardi.- disse poi e riattaccò.
-Dimitrij e i suoi tornano dopodomani. Dobbiamo sbrigarci.-
***
Emma guardava disgustata fuori dal finestrino. Con l’aiuto della cartina che avevano comprato quella mattina  e delle informazioni che aveva dato loro Alec, erano riusciti a raggiungere il famigerato quartiere in cui Jet spacciava. Decine di prostitute di qualunque nazionalità affollavano i marciapiedi e cercavano di irretire gli uomini che passavano di lì.
-Mi chiedo come si siano conosciuti Alec e Nina-disse Emma.
-Non me ne frega un cazzo-rispose Jet, continuando a guardare la strada davanti a sé.
Emma sospirò. Il rapporto tra i due fratelli era irrimediabilmente rovinato. Jet non avrebbe mai perdonato Alec ed Emma capiva il suo punto di vista.
Se pensava a Kian e a tutto quello che aveva dovuto passare sentiva una morsa gelida allo stomaco, però era anche addolorata. Jet e suo fratello avevano perso i genitori che erano molto piccoli, perciò il loro legame sarebbe dovuto essere ancora più stretto. Invece Alec era entrato in giri dai quali si sarebbe dovuto tenere lontano, coinvolgendo anche James.
-Dovrebbe essere questa la strada- disse Jet, spezzando il silenzio.
Emma guardò fuori dal finestrino. Si trattava di una strada poco frequentata e con una scarsa illuminazione.
Jet parcheggiò su un lato della strada e poi studiò la situazione.
-Scendi, questo posto non mi piace. Sto più tranquillo se vieni con me.-
Scesero dalla macchina e si guardarono intorno. I pochi negozi sulla strada erano chiusi e non girava nessuno. Un gruppo di prostitute qualche metro più in là attirò l’attenzione di Emma.
-Jet, guarda là- disse Emma, indicando le donne.
-Dovremmo parlare con loro. Magari conoscono James.-
Jet annuì, anche se era chiaro che l’idea non lo entusiasmava.
Si incamminarono in quella direzione ed Emma si sentì più tranquilla quando Jet la prese per mano.
Non appena le donne li videro cominciarono a parlare in russo e a ridere.
-Stiamo cercando una persona-disse Emma, parlando lentamente. Sperava solo che qualcuna li capisse.
Una donna asiatica  con tacchi vertiginosi li scrutò con attenzione.
-Siete poliziotti?- chiese, ostentando un buon inglese.
Emma scosse la testa. La donna si avvicinò a lei e le afferrò una ciocca di capelli.
-Potresti fare parecchi soldi con questo corpo, bambolina- disse, squadrandola dalla testa ai piedi.
Jet scansò la mano della donna, irritato. –Stiamo cercando James. Ci hanno detto che spaccia qui nei dintorni.-
L’asiatica lanciò un’occhiata ad una ragazza poco più giovane di Emma. Era piuttosto alta e aveva lunghi capelli neri.
-Perché lo cercate?- chiese, pronunciando molto lentamente le parole.
-Secondo te?-chiese Jet.
-Non credo possiate permettervi la sua roba- replicò la ragazza, facendo ridere le altre donne.
-Dove si trova?- chiese Emma
-Il venerdì non viene quasi mai qui. Diciamo che è il suo giorno libero.- disse , sorridendo in modo strano.
-Dove lo troviamo allora?-
-Non lo so. –
-Qualche idea?-chiese Jet, spazientito.
Emma gli strinse la mano. Jet non doveva perdere la calma, altrimenti non avrebbe ottenuto informazioni.
-Ci serve la roba. Un nostro amico è in crisi di astinenza.- disse poi.
-Forse lo trovate al locale.-
-Quale locale?-
-Nella strada parallela a questa-spiegò la ragazza, senza fornire ulteriori dettagli.
-Come si chiama?-
-Non ha un nome. Ma è facile da riconoscere. È pieno di ubriaconi.-
Jet non si sforzò nemmeno di ringraziare la ragazza. Si girò e si incamminò verso la macchina, trascinando Emma.
-Cazzo-imprecò, una volta entrati in macchina.
-Calmati Jet.- disse Emma, accarezzandogli il braccio.
Jet prese un respiro profondo e poi si voltò a guardarla. –E se non lo trovassimo? Se non riuscissimo a riportarlo a Chicago?-
Emma non lo aveva mai visto così insicuro da quando erano partiti.
-Lo troveremo-disse, ripetendo le parole che lui stesso una volta le aveva detto.
Dopo aver messo in moto e aver ingranato la marcia, Jet svoltò nella strada che aveva detto loro la ragazza. Emma guardò su entrambi i marciapiedi e poi disse a Jet di fermarsi quando passarono davanti a un locale senza insegna da cui proveniva una musica pesante.
-Sarà questo- disse Emma, dopo che lei e Jet superarono l’ingresso.
-Non lo vedo-disse Jet, dopo essersi guardato intorno.
-Forse dovremmo chiedere-
Si diressero al bancone e chiesero di James. Il barista, un ragazzo di venti anni con lunghi capelli biondi li guardò i modo strano.
-Siete poliziotti?-
Emma si chiese perché tutti chiedevano se fossero poliziotti.
-No-disse Jet, seccato.
-James non si vede da un po’.-
-Quando è venuto l’ultima volta?-chiese Emma.
-Una settimana fa-
-Spaccia ancora da questi parti?-
-Sì, che io sappia. Se avete bisogno di roba…-
-No, cerchiamo la sua roba.- lo interruppe Jet.
-Beh, lui qui non c’è-disse il barista.
-Dove credi che possiamo trovarlo?-
Il ragazzo alzò le spalle e poi si diresse verso un nuovo cliente.
-Torneremo domani-disse Jet, incamminandosi verso l’uscita.
 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


-Prima o poi troverai la persona giusta. La tua anima gemella. È lì da qualche parte- disse Karen allegra, mentre si faceva lo smalto.
Emma sospirò. Non ne era così convinta. Tutte le relazione che aveva avuto fino a quel momento erano state un fiasco totale. Cominciava a credere che fosse colpa sua.
-Come va con Jack?- chiese poi a Karen, curiosa. Si erano conosciuti qualche mese prima e sembrava che la cosa funzionasse.
-Non ci frequentiamo più-disse la sua migliore amica, con un tono strano.
Emma si insospettì. –Perché non me l’hai detto?-
Karen fece spallucce. –Non era importante-
Emma trovava strano che fosse così evasiva. Si dicevano sempre tutto. –Ti stai vedendo con qualcun altro?-
-No-
-Sicura?-
-Te lo direi, Emma.- rispose Karen, seccata. –Tutto bene a lavoro?- chiese poi, cercando di cambiare argomento.
-Più o meno. John mi sta dando il tormento in questi giorni. Mi chiede di trattenermi sempre un’ora o due in più. Però lui se ne va sempre presto.-
-È il tuo capo, Emma.-
-Sì, ma mi dà fastidio lo stesso.- replicò Emma, irritata. –Tra quanto vai al locale?-
-Mezzora.-
-Se venissi lì?-
-No. Cioè.. perché dovresti venire?- chiese Karen, guardandola negli occhi.
-È venerdì sera e non ho nulla da fare-
-Il venerdì è un casino al locale. Non potrei dedicarti molta attenzione.-
-Ok. Troverò qualcos’altro da fare. –
 
-Emma, svegliati- disse una voce che cercava di penetrare la barriera di sonno che l’avvolgeva.
Emma sbatté le palpebre un paio di volte e sorrise quando Jet la baciò dolcemente sulle labbra. I ricordi della giornata precedente riaffiorarono lentamente nella sua testa.
-Dove credi che sia?- chiese a Jet, tirandosi su.
-Non lo so.- rispose, frustrato.
-Forse dovresti chiamare tuo fratello e…-
Jet distolse lo sguardo. –No.-
Emma si mise a cavalcioni su di lui e lo costrinse a guardarla. Jet posò le mani sui suoi fianchi.
-So che non vuoi avere niente a che fare con lui e lo capisco. Però è l’unico che può aiutarci.- disse Emma, circondandogli il collo con le braccia.
Jet si sporse verso di lei fino ad incontrare le sue labbra. Il bacio da lento e giocoso divenne frenetico e appassionato ed Emma ansimò quando Jet cominciò a inarcare i fianchi, premendo la sua erezione contro di lei.
Emma si ritrovò intrappolata sotto il corpo caldo e forte di Jet in un attimo. Quando lui cominciò a sfilarle i pantaloncini con cui dormiva lei capì di non avere scampo.
***
-Non possiamo perdere una giornata intera.- disse Jet, dopo aver preso un sorso di caffè.
Emma annuì. Era perfettamente d’accordo con lui. Non potevano aspettare che diventasse buio per riprendere le ricerche. Dimitrij e i suoi compari sarebbero tornati a Mosca il giorno dopo. Il loro tempo stava scadendo.
-Potremmo tornare in quella zona e dare un’occhiata in giro. Chiedere di lui. Se non troviamo nulla torniamo stasera.-
Jet sembrava perplesso. Poi il suo sguardo si incupì. –Chiamo Alec.-
Emma si era fatta dare il numero da Nina prima di andare via. Gli porse il suo cellulare.
-Sono Jet. Non c’era James.- disse Jet, dopo che Alec ebbe risposto.
-Dove posso trovarlo?-chiese poi, lanciando un’occhiata ad Emma. –Ok. Proviamo lì.-
Jet riattaccò senza nemmeno salutare e ridiede il telefono ad Emma.
-Allora?-
-Potrebbe essere nella Piazza Rossa. Non è molto lontana da qui.-
-Sarà meglio andare-disse Emma, finendo il suo caffè.
Si alzarono e chiesero alla receptionist le indicazioni per raggiungere il posto in cui speravano di trovare James. Scoprirono di non aver bisogno di una macchina e quindi si avviarono a piedi.
-Non appena questa storia finirà ci faremo una bella vacanza ai Caraibi-disse Jet.
Emma si voltò verso di lui. Stava dicendo sul serio?
-Oppure da qualche altra parte. Insomma…-
Emma non poté fare a meno di sorridere. –Ai Caraibi sarebbe perfetto-
Jet si girò verso di lei sfoderando un sorriso che fece battere il cuore di Emma più forte.
-Spero solo che James sia qui.- disse poi, preoccupato.
Lo sperava anche Emma. Aveva bisogno assolutamente di parlare con lui.
Le tornò in mente il sogno che aveva fatto. In realtà non si trattava di un sogno, ma di un ricordo. Le capitava spesso ultimamente di ricordare Karen nel sonno e ogni volta che si svegliava si sentiva vuota e sola. Quella mattina invece non le era successo. Stare con Jet la faceva sentire bene.
-Siamo arrivati-disse Jet, costringendola a concentrarsi sulla piazza in cui erano arrivati. Era ampia e piena di turisti.
-Perché mai dovrebbe essere qui?- si chiese Jet ad alta voce, scrutando ogni persona presente.
Emma si stava chiedendo la stessa cosa. Alec li voleva forse depistare? Non si sarebbe stupita se avesse fatto una cosa del  genere. In fondo aveva tradito le persone che gli volevano bene senza esitare.
-Aspetta un attimo-
Emma seguì lo sguardo di Jet. –Cazzo è lui- disse Jet, cominciando a incamminarsi verso una persona che Emma non aveva ancora individuato.
Poi capì. Jet si stava dirigendo verso una ragazzo che aveva più o meno la sua età ed assomigliava moltissimo a Kian. Stava parlando con una ragazza che gesticolava nervosamente.
Quando James si accorse di loro smise di parlare. Guardò più volte Jet e poi si rivolse a lui in russo.
-James sono Jethro.-
Lui spalancò gli occhi e poi parlò con la ragazza. Qualunque cosa le avesse detto era riuscito a fare in modo che lei se ne andasse.
-Ti ho già visto.- disse James, incrociando le braccia.
-Sono qui per…-
-Puoi dire ad Alec di andare affanculo-
-Siamo qui per aiutarti-disse Jet.
-Dobbiamo farti uscire dal paese prima possibile. Dimitrij e i suoi tornano qui domani.-
-Non posso andarmene.-
Emma sperò di aver capito male. –Kian…tuo padre…-iniziò a dire.
-Non posso tornare-ripeté James, lanciando un’occhiata ad Emma.
-Dimitrij ha continuato a chiedere soldi a tuo padre ricattandolo. Se ti riportiamo a Chicago lui non potrà più farlo.- spiegò Emma.
-Non mi faranno partire-
-Servono solo i tuoi documenti- disse Jet. -Prenotiamo un volo e torniamo tutti e tre a Chicago.-
-Tutti e tre?- chiese James, confuso. –Alec?-
Jet serrò la mascella. –Lui non viene.-
James sembrava perplesso. –Perché?-
-Si è sposato-rispose Emma.
James scoppiò a ridere. –Si è sposato.- ripeté incredulo –Quel figlio di puttana.-
-Sì, ma adesso…-iniziò a dire Emma.
-Ve ne dovete andare da qui.- la interruppe James. –Potrebbe esserci qualche scagnozzo di Dimitrij.-
-Vieni nel nostro albergo.- propose Emma.
James la squadrò per la prima volta da quando lei e Jet si erano avvicinati a lui. –Si può sapere tu chi diavolo sei?-
Jet la precedette. –È la mia ragazza e lavora nel locale di tuo padre-
Emma sgranò gli occhi. L’aveva definita la sua ragazza!
-E te la sei portata dietro nella missione di recupero?-chiese James, ridendo. Adesso sembrava più rilassato.
-È testarda.- spiegò Jet. -Vieni con noi.-
James sembrava indeciso. Emma si chiese cosa lo trattenesse. –Va bene.-
***
Mezzora dopo erano tutti e tre in albergo. Emma si sedette sul letto, mentre James e Jet rimasero in piedi.
-Ce l’hai il passaporto?-chiese Jet, cominciando a esaminare i vari aspetti tecnici del viaggio.
-Dimitrij ha tutti i miei documenti.-
Emma sospirò. Sarebbe stato troppo facile prenotare il volo e tornare a Chicago.
-Possiamo andare in ambasciata e ottenerne di provvisori.- propose Emma.
-Diremo che lo hai smarrito.- aggiunse Jet.
-Funzionerà?-chiese James. –Dio solo sa quante volte ho immaginato in questi due anni di tornare a Chicago.-
Emma immaginò la disperazione che aveva provato James.
-Dovrà funzionare- disse Jet.
-E se Dimitrij trovasse comunque un altro modo per ricattare papà?- chiese James.
-Una volta che sei tornato a Chicago non ha più nessuna leva da utilizzare- disse Emma, sperando che fosse davvero così.
-Potrebbe usare Alec- disse James, lanciando un’occhiata a Jet.
-Alec ha fatto le sue scelte. Noi ce ne andremo via da qui.-
Emma conosceva quel tono. Jet non sarebbe tornato sui suoi passi.
-Bene, allora. Andiamo in ambasciata.-
***
Quando uscirono dall’ambasciata erano circa le cinque del pomeriggio. Ci erano volute tre ore prima che le pratiche fossero aperte e concluse.
-Prenotiamo i biglietti. Stasera torniamo a Chicago.- disse Jet, incapace di  mascherare un sorriso.
-Ci penso io. Saranno davvero costosi, però- disse Emma.
Notò che James era a disagio. –Non posso permettermi il biglietto. Non ho molti soldi. Dimitrij mi lascia una percentuale minima della droga che riesco a vendere.-
-Non ti preoccupare. Ci pensiamo noi.- lo rassicurò Jet.
-Non so se…-
-Siamo venuti per portarti via da qui.- disse Emma, in tono deciso. –E lo faremo.-
 
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Non può essere così semplice, pensò Emma, mentre l’areo atterrava a Chicago.
Non avevano avuto alcun problema nel prenotare i biglietti, ma avevano temuto che all’aeroporto sorgesse qualche complicazione per i documenti di James. Non era stato così. Anzi, era filato tutto liscio.
Nonostante ciò, la tensione non aveva abbandonato nessuno dei tre fino a  quando l’areo non era decollato, abbandonando definitivamente il suolo di Mosca.
-Siamo a Chicago-mormorò James, con voce rotta.                         
Emma si voltò verso di lui e poi incrociò lo sguardo di Jet. Non poté fare a meno di sorridere. Ce l’avevano fatta. Erano riusciti a riportare James a casa.
-Grazie-disse James, guardando prima Jet e poi Emma. –Io non so davvero come ringraziarvi. Non credevo che sarebbe mai arrivato questo giorno.-
-Mi dispiace per quello che ti ha fatto mio fratello- si scusò Jet. –Ho sempre pensato che le cose sarebbero migliorate una volta che fosse cresciuto, ma non è stato così. Evidentemente non mi sono…-
Emma lo vide sospirare e passarsi una mano nei capelli, un gesto che aveva visto fare anche ad Alec.
Sapeva perfettamente cosa stava pensando Jet. Credeva di non essersi impegnato abbastanza con Alec. Pensava che fosse colpa sua se James era finito in carcere ed era diventato una spacciatore.
-Quello che voglio dire è che non posso rimediare al torto che ti ha fatto Alec, ma spero che tu possa almeno accettare le mie scuse.- mormorò Jet, sfiorando con le dita la fascia nera tatuata sull’avambraccio.
-Non è colpa tua se Alec è uno stronzo incasinato.-scherzò James, cercando chiaramente di allentare la tensione. Ma Jet non rise ed Emma cominciò a preoccuparsi.
-Quando ho conosciuto Alec ero solo un ragazzino. Sapevo che era incasinato, ma speravo che prima o poi avrebbe superato la morte dei vostri genitori. Quando mi ha proposto di partire con lui per la Russia ho pensato che avrebbe fatto bene ad entrambi staccare un po’. Però poi ho scoperto che si era messo a spacciare e…- James si interruppe per un momento – poi è successo quello che è successo. Pensavo che avrebbe trovato il modo di tirarci fuori da quella storia, ma ha fatto il nome di mio padre e mi sono sentito tradito. Dimitrij ha fatto in modo che Alec venisse rilasciato, mentre io sono stato processato e condannato a due anni di prigione.
-Ho pregato ogni singolo giorno che qualcuno mi tirasse fuori di lì. Quando finalmente ho scontato una pena che non  meritavo Dimitrij mi ha detto che non sarei più tornato negli Stati Uniti. Poi siete arrivati voi e mi avete detto che avreste fatto di tutto per riportarmi a casa….- la voce di James si spense a causa delle lacrime che aveva troppo a lungo trattenuto.
Emma si sporse verso di lui e gli prese una mano. –Sei a casa. So che il passato non si può cancellare, credimi lo so bene, ma devi cercare di guardare al futuro. Tra poco riabbraccerai tuo padre e la tua vita ricomincerà da capo.-
James alzò lo sguardo verso di lei. –Hai ragione.- mormorò, cercando di ricomporsi.
Quando Emma incrociò gli occhi azzurri di Jet lesse una sola cosa: dolore.
***
Emma rientrò in casa nel cuore della notte.
Insieme a Jet aveva accompagnato James da Kian e non aveva potuto fare a meno di versare qualche lacrima di fronte al ricongiungimento tra padre e figlio. Avevano pianto entrambi e si erano abbracciati a lungo.
Jet le aveva detto che l’avrebbe riaccompagnata a casa, ma non era voluto salire.
Dopo la conversazione tra lui e James in areo, non le aveva praticamente più rivolto la parola ed Emma non era riuscita a spiegarsi il suo comportamento.
Adesso che erano tornati a Chicago avrebbe dovuto mettere le cose in chiaro. Lei lo amava in un modo che lei stessa non sapeva spiegarsi, ma Jet era tornato l’uomo freddo e distaccato che lei aveva conosciuto al Serendipity.
Perché? Era quella la domanda che Emma aveva continuato a ripetersi fino a quando il sonno non aveva preso il sopravvento.
***
Il rumore della suoneria del cellulare la svegliò. Rispose senza nemmeno guardare chi fosse.
-Pronto?-
-Emma- la voce inconfondibile di Nina la costrinse a tirarsi su e ad accendere la luce.
-Nina?-
-Sì Emma, sono io. Non so che ore siano lì da voi, ma dovevo chiamarti subito.-
Emma cominciò a preoccuparsi. Cosa doveva dirle la moglie di Alec alle sette di lunedì mattina?
-Alec si è costituito.  Ha deciso di collaborare con la polizia e di smantellare il traffico di droga di Dimitrij. Verrà aperta un’inchiesta.
Emma rimase in silenzio per alcuni secondi. Nina le stava mentendo?
-Mi ha chiesto di chiamarti perché…perché voleva che tu, Jet e James sapeste che Dimitrij non potrà più favi del male. Alec sa di aver causato tanto dolore a tutti voi, ma spera che un giorno possiate perdonarlo. Sarà processato, ma la sua pena probabilmente sarà ridotta per via della collaborazione.- spiegò Nina, piangendo.
Emma avrebbe voluto non provare pietà per lei, ma non ci riuscì. Alec aveva fatto del male a molte persone. Aveva tradito suo fratello e il suo migliore amico, ma sperava di rimediare al suo errore consegnandosi alla polizia. Aveva deciso di costituirsi pur sapendo che questo significava stare lontano dalla moglie. Una moglie che chiaramente amava molto.
-Mi dispiace.- disse Nina, singhiozzando. –Lui… lui farà il possibile per sistemare tutto quanto. Dì a Jet che gli dispiace e che non deve sentirsi in colpa.-
Emma non riuscì a rispondere nulla perché Nina attaccò prima che lei potesse aprire bocca.
Decise di alzarsi dal letto. Non doveva andare a lavoro perché tecnicamente era ancora in ferie, ma ciò che le aveva detto Nina le aveva tolto qualsiasi possibilità di riaddormentarsi.
Si preparò un caffè e poi si sedette in salone.
Quel giorno avrebbe dovuto parlare con James. Gli avrebbe chiesto finalmente di Karen, ma il pensiero di scoprire dopo due anni chi l’aveva uccisa le impediva di respirare.
E se James non sapesse nulla?, si chiese Emma. Si era aggrappata all’idea che lui conoscesse l’identità dell’assassino della sua migliore amica con tutte le sue forze, ma non aveva contemplato l’ipotesi in cui James non sapesse nulla.
Se il figlio di Kian non fosse stato a conoscenza delle informazioni che Emma aveva cercato così a lungo, le sue indagini sarebbero ricominciate da capo. Solo che non avrebbe avuto la forza di affrontare un altro fallimento.
Emma doveva assolutamente scoprire la verità . Lo doveva a se stessa, ma soprattutto a Karen.
I suo pensieri si spostarono su Jet. Perché era stato così freddo con lei il giorno prima?
Le parole che aveva detto a James le avevano fatto capire quanto lui si sentisse responsabile per Alec, ma Emma credeva che Jet non potesse passare la sua vita a chiedersi cosa avesse sbagliato.
Alec aveva fatto le sue scelte. Scelte discutibili, senza dubbio, ma pur sempre autonome e consapevoli. Cosa altro avrebbe potuto fare Jet? In fondo non era un ragazzino anche lui quando avevano perso i loro genitori? Non solo aveva dovuto affrontare una perdita dolorosa e difficile, ma si era dovuto occupare anche del fratello minore.
Quel giorno avrebbe parlato anche con lui. Gli avrebbe detto che lo amava con tutta se stessa e gli avrebbe riferito il messaggio di Nina.
***
Emma bussò un paio di volte, sperando che Jet fosse sveglio.
Riprendersi dal fuso orario era un processo lento che richiedeva molte ore di riposo e probabilmente anche lei avrebbe passato la giornata a dormire se Nina non l’avesse chiamata e la sua mente non l’avesse tormentata con mille pensieri e preoccupazioni.
Jet le aprì subito. Indossava solo una paio di pantaloni e sembrava assonnato. In ogni caso bello da togliere il fiato.
Quando si accorse che era lei la guardò alcuni secondi senza dire nulla.
-Ciao.- Emma si sentiva a disagio. Non capiva perché, ma le sembrava che il loro rapporto fosse cambiato non appena l’areo era atterrato a Chicago.
-Mi dispiace. Chiaramente stavi dormendo.- si scusò, dopo essersi schiarita la voce.
-Dovevi dirmi qualcosa?-
Emma sussultò. Perché Jet stava usando quel tono? La stava trattando come se fosse un’estranea. Eppure erano stati insieme e avevano affrontato un viaggio lunghissimo per liberare James. Lui le aveva fatto capire di tenere a lei. Oppure no?
-I-io- balbettò Emma- Posso entrare?-
Jet spalancò la porta, permettendole di entrare. Emma si andò a sedere sul divano in cui qualche tempo prima si erano baciati appassionatamente, mentre Jet rimase in piedi.
-Dobbiamo parlare.- disse Emma, guardandolo negli occhi.
-Non c’è nulla da dire-replicò Jet, evitando il suo sguardo.
-Mi ha chiamato Nina-
Jet si voltò di scatto verso di lei, chiaramente sorpreso.
-Mi ha detto che Alec si è costituito. Collaborerà con la polizia per incastrare Dimitrij e i suoi compari. Finirà in prigione anche lui, ma sa che era la cosa giusta da fare.- spiegò Emma.
Jet rise. Una risata amara che addolorò Emma.
-La cosa giusta da fare- ripeté Jet, incredulo. –È troppo tardi, cazzo!-
-Jet, lui sta cercando di rimediare a tutti gli errori che ha commesso.-
-Non può-osservò Jet, asciutto.
-Ha detto che gli dispiace e che non devi sentirti in colpa- insisté Emma.
Jet si voltò verso la foto che Emma aveva notato subito la prima volta che era entrata a casa sua. Quella che ritraeva i due fratelli insieme.
-Spera che un giorno tu lo possa perdonare- aggiunse Emma, alzandosi.
Lo raggiunse e gli toccò il braccio. –So che è difficile, lo capisco. Anche io ero arrabbiata con lui, ma forse…-
Jet si voltò di scatto verso di lei. Nei suoi occhi apparve un lampo di rabbia.
-Tu non sai niente! Vattene Emma-
-Jet io…-
Lui la interruppe bruscamente. –Ti meriti di meglio.-
Emma sussultò. Stava troncando qualunque forma di relazione fosse nata tra loro.
-Jet…devi lasciarti alle spalle… - Emma non trovava le parole giuste -devi cercare di guardare avanti….-
-Non rifilarmi le stronzate che hai rifilato a James.- disse Jet con rabbia. –Perché tu non riesci a guardare avanti? Perché continui a cercare l’assassino di Karen?-
Emma singhiozzò. Non poteva accusarla in quel modo. In quel momento capì che lo stava perdendo. Poteva fare solo una cosa. Dirgli quello che provava per lui.
–Io ti…-
-Non dirlo. Non mi conosci nemmeno! Ti ho mentito su Alec, ti ho permesso di seguirmi in quella fottuta Russia e ti ho messo in pericolo un’infinità di volte. Non vado bene per te-
-Jet… Perché quella sera…-Emma non aveva nemmeno il coraggio di dirlo ad alta voce. Perché allora sei venuto a letto con me? Perché hai detto a James che ero la tua ragazza, mentre adesso non riesci nemmeno a guardarmi in faccia?
-È stato un errore.-
Emma prese un respiro profondo. Il dolore fu sostituito dalla rabbia.
-Sei un vigliacco Jet. La verità è che non vuoi andare avanti. Ti nascondi dietro al tuo passato per non affrontare il futuro. Continui a colpevolizzarti, anche quando non ce n’è bisogno. Non mi hai costretto a venire in Russia né tanto meno a fare sesso con te. Mi dispiace che tu non riesca ad aprire gli occhi.-
Emma non aspettò una risposta. Si diresse verso la porta e se ne andò.
Scoppiò a piangere non appena la porta si chiuse alle sue spalle.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Emma chiuse la porta di casa e corse nella stanza di Karen. Si sdraiò su quello che era stato il suo letto e pianse. Pianse fino a che le lacrime non si esaurirono e gli occhi non si chiusero per la stanchezza.
 
-Mi machi, Kar.- disse Emma alla sua migliore amica.
Erano sdraiate sul prato verde del Millennium Park, ma Emma sapeva che si trattava solo di un sogno. Karen non era davvero con lei, solo che non riusciva ad accettarlo.
-Anche tu Emma.-
-Non ce la faccio. A volte vorrei…-
Karen si voltò verso di lei. I suoi occhi scuri si incatenarono a quelli verdi e lucidi di Emma.
-Non puoi continuare cosi, Emma. Devi andare avanti. Non puoi trascorrere il resto della tua vita a piangermi.-
-Non posso. Devo sapere chi ti ha fatto del male e perché ti ha portato via da me.-
Karen scosse la testa. –Non è  compito tuo.-
-Non posso andare avanti se non scopro la verità.-
-Hai accusato Jet di vivere nel passato. Non credi che tu stia facendo la stessa cosa?-le chiese Karen, costringendola ad affrontare la verità.
-Ognuno ha i suoi demoni, Emma. Ma adesso hai trovato qualcosa di più importante per cui valga la pena combattere.-
 
Emma aprì gli occhi di scatto.
–Kar-sussurrò, mentre si tirava su. Si guardò intorno come se la sua migliore amica potesse essere lì o potesse comparire all’improvviso, ma ovviamente non c’era nessuno.
Nel sogno Karen l’aveva accusata di vivere nel passato, come faceva Jet.
Ha ragione, pensò Emma, ma devo scoprire comunque la verità.
Si alzò dal letto e decise di darsi una sistemata per rendersi presentabile. Aveva bisogno di parlare con James.
Ritoccò leggermente il trucco che era colato a causa delle lacrime e poi prese la borsa.
Quando l’aria estiva la investì si sentiva già meglio. Si costrinse a non pensare a Jet. Lui aveva preso la sua decisione. L’aveva tagliata fuori dalla sua vita, senza interpellarla.
“Ognuno ha i suoi demoni, Emma. Ma adesso hai trovato qualcosa di più importante per cui valga la pena combattere.”
Le parole di Karen continuarono a tormentarla fino a quando non si ritrovò davanti al locale.
Sperava che Kian fosse lì, così se James non ci fosse stato avrebbe saputo dirle dove trovarlo.
Bussò alla porta sul retro e dopo qualche minuto le aprì Kian.
-Emma- la salutò, aprendo la porta in modo tale che lei potesse entrare.
Seguì Kian nel suo ufficio e si sedette su una poltrona.
-Tutto bene?- le chiese, dopo averla scrutata attentamente.
-Sì- annuì Emma, sforzandosi di sorridere. –Cercavo James.-
-Emma volevo ringraziarti ancora una volta per tutto quello che hai fatto. Tu e Jet mi avete ridato mio figlio e no so davvero come ringraziarvi.-
Emma sorrise. –Era la cosa giusta da fare.-
-Non tutti avrebbero rischiato la propria vita per salvare un estraneo- replicò Kian, con gli occhi lucidi.
-Va tutto bene, Kian. Ci sono buone notizia tra l’altro. Alec si è costituito. Farà in modo che Dimitrij e i suoi vadano in prigione. Non dovete temere più nulla-
-Davvero?- chiese Kian, incredulo.
-È così. Dove posso trovare James?-
-Oh, è a casa. Credo che stia ancora dormendo. Non saprei. Ti do l’indirizzo- disse Kian, prendendo un pezzo di carta. Scrisse l’indirizzo di casa e poi lo diede ad Emma.
-Grazie mille, Kian.-
-C’è qualcosa che non va?-
Emma scosse la testa. –Volevo solo informarlo personalmente che Alec si è costituito.-
-Stasera te la senti di lavorare?-
Emma distolse lo sguardo. Se la sentiva di affrontare Jet? Probabilmente ancora no.
-Non lo so. Sono molto stanca e ieri non ho dormito molto. Jet viene?-
-Sì. Da adesso potrò pagarlo. Ha lavorato gratuitamente per un anno perché si sentiva in colpa per quello che era successo a James.- spiegò Kian.
-Se ce la faccio vengo- disse Emma.
Prima che uscisse, Kian la chiamò.
-È un bravo ragazzo- disse semplicemente.
Emma non ebbe bisogno di chiedere a chi si riferisse. Amava Jet.
***
James le aprì un secondo dopo aver bussato alla porta. Era molto alto e aveva gli stessi capelli scuri del padre. I suoi occhi però erano più vivaci, nonostante tutto quello che aveva dovuto affrontare negli ultimi due anni.
-Ehi Emma.- la salutò, assonnato.
-Scusa se sono piombata qui all’improvviso-
-Figurati, entra.- la invitò.
La condusse in un ampio soggiorno. Era luminoso e accogliente.
James la fece accomodare su un divano e poi si sedette anche lui.
Gli spiegò velocemente quello che le aveva detto Nina al telefono e poi andrò dritta la punto.
-Sono venuta qui per un motivo ben preciso, James.- disse Emma, lentamente.
-Non  per dirmi di Alec?- chiese James, confuso.
-Non esattamente. Devo farti alcune domande.- spiegò Emma.
-Ok.-
-Conoscevi Karen Mitchell?-
-Sì, certo. Lavorava al Serendipity.- annuì James.
-Era la mia migliore amica-
-Mi dispiace Emma. Era una brava ragazza.-
-Sì, la migliore.- confermò Emma, costringendosi a non piangere.- Che tipo di rapporto avevate?-
-Beh, non eravamo amici. La vedevo al locale e abbiamo parlato un paio di volte, ma non la conoscevo bene ecco.-
- Però una volta avete discusso.-
James mostrò un’espressione sorpresa. –Come fai a saperlo?-
-Me lo ha detto Katy- spiegò Emma.
-Beh sì, è vero, abbiamo discusso.-
-Che cosa era successo?-
James sembrò a disagio ed Emma si insospettì.
–Beh, ecco…-
-Cosa James?- lo incalzò Emma, impaziente.
-Ok. Dopo tutto quello che hai fatto per me… -iniziò a dire James.- Ho frugato nel suo armadietto. Ma è stato tutto un equivoco in realtà. Volevo lasciare un biglietto a Mia perché… beh mi piaceva e credevo che quello fosse il suo armadietto. Poi però ho visto delle cose che non potevano essere sue e mi sono reso conto che avevo sbagliato. Karen entrò mentre stavo richiudendo il suo armadietto ed è andata fuori di testa.-
-Cose? Che genere di cose?- chiese Emma, confusa.
-Un braccialetto tempestato di brillanti, tanto per cominciare. Poi c’erano dei biglietti da parte un tizio. Suppongo fosse il suo ragazzo. Non potevano appartenere a Mia perché non aveva un ragazzo all’epoca e di certo non si poteva permettere un braccialetto del genere.-
Emma sgranò gli occhi. –Stai dicendo che Karen si stava vedendo con qualcuno?-
James annuì. –Non c’è altra spiegazione.-
-Ma lei non ha mai accennato a nulla del genere. Me lo avrebbe detto se…-
-Erano di un uomo quei biglietti Emma. Te lo posso assicurare-
-Come fai a dirlo?-
-C’era scritto che Karen era l’unica per lui. Che l’amava da morire e che avrebbe fatto di tutto per stare con lei.-
Emma si chiese perché Karen non le avesse detto nulla. Con chi si stava vedendo?
Poi però le tornò in mente la domanda che più la assillava.
-Sono stati i russi a ucciderla?- chiese, con un nodo in gola.
James la guadò come se avesse detto un’assurdità.
-No, Emma. Karen è stata uccisa ben prima che io e Alec partissimo. Non sono stati loro.-
Emma in quel momento capì di aver perso solo tempo. La pista su cui si era fossilizzata non era altro che un vicolo cieco.
Chi aveva ucciso Karen allora?
 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Martedì mattina Emma si ricordò di chiamare il padre, la cui chiamata aveva deliberatamente ignorato mentre era a Mosca.
Suo padre rispose al secondo squillo con il suo solito tono allegro.
-Pronto?-
-Papà! Sono io.-
-Emma! Come stai tesoro? Avevo provato a chiamarti due o tre giorni fa, non ricordo, ma non hai risposto.-
-Scusa papà, ma ero impegnata e poi mi sono completamente dimenticata di richiamarti. Comunque tutto bene tu e la mamma?–
-Figurati! Noi tutto bene… La mamma è impegnata con i preparativi del matrimonio di Nat. Sta dando il tormento a Serena, povera ragazza!-
Emma sospirò. Era riuscita ad accantonare per qualche giorno il pensiero che suo fratello si sposasse, ma adesso suo padre glielo aveva inevitabilmente riportato alla memoria.
-Senti papà… -iniziò a dire Emma, incerta- non credi che Nat sia avventato? Voglio dire la conosce da coì poco…-
Suo padre rise. –Non sempre servono mesi per innamorarsi di una persona.-
Emma non poteva negarlo. Si era innamorata di Jet in un paio di settimane, ma credeva comunque che il matrimonio richiedesse maggiore tempo.
-Sì, lo so papà. Però…-
-Non vedo tuo fratello così felice da moltissimo tempo. Per me è sufficiente questo Emma.- la interruppe suo padre, cercando di rassicurarla.
-Beh, l’ho conosciuta. Non metto in dubbio che sia una brava ragazza, ma spero che entrambi abbiano riflettuto attentamente prima di prendere una decisione così importante.-
-Non ti preoccupare Emma. Andrà tutto bene. Adesso ti devo lasciare perché tua madre richiede la mia presenza per scegliere i tovaglioli. Dovrò spiegarle per l’ennesima volta che non è lei a sposarsi- scherzò suo padre.
Emma scoppiò a ridere. Sua madre tendeva a diventare un po’ invadente in alcune circostanze.
–Tranquillo papà. Allora ci sentiamo presto. Salutami mamma.-
-Certo tesoro. Ti voglio bene.-
-Anche io papà.-
Emma chiuse la telefonata e controllò che ore fossero. Erano le dieci e lei non aveva nulla da fare tutto il giorno.
La sera precedente non se l’era sentita di affrontare Jet. Aveva avvertito Kian dicendo che non si sarebbe presentata perché era stanca, ma quella sera sarebbe andata al Serendipity. Non poteva evitarlo per sempre.
Non aveva idea di quello che sarebbe successo. Jet l’avrebbe ignorata? Oppure le avrebbe detto che l’amava anche lui e che il giorno prima era stato troppo duro con se stesso?
Emma lo amava, ma non poteva combattere anche contro di lui. Karen le avrebbe detto di lottare, ma lei non era come la sua migliore amica.
Credeva che l’amore fosse un sentimento naturale che non poteva essere forzato e quindi avrebbe rispettato la decisione di Jet, giusta o sbagliata che fosse.
Mentre passava davanti alla camera di Karen per raggiungere il salone le tornò in mente la conversazione con James.
Le aveva spiegato il motivo per cui aveva discusso con Karen e le aveva detto che la sua migliore amica si stava vedendo con qualcuno. Con chi?
Decise di tornare nella camera della sua migliore amica e di cercare tra le sue cose. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto inscatolare tutto quello che era appartenuto a Karen, ma in quei due anni non aveva mai trovato il coraggio di farlo. Se avesse tolto le sue cose la sua morte sarebbe diventata ancora più reale ed Emma non era ancora pronta ad affrontare la consapevolezza che Karen non sarebbe mai più tornata.
Molte cose erano state sequestrate dalla polizia come mezzi di prova. Telefono, portafogli, computer e tutto ciò che poteva essere analizzato, però Emma sperava di trovare qualcosa comunque.
Aprì l’armadio e frugò tra i vestiti, ma non emerse nulla di rilevante. Aprì il cassetto della scrivania e quelli del comodino accanto al letto, ma anche quella fu una ricerca infruttuosa.
Il senso di delusione fu forte, ma Emma sapeva che la polizia aveva già eseguito numerosi rilievi e che quindi tutto ciò che avesse potuto aiutare a risolvere il caso era già stato portato via.
Con chi ti stavi vedendo Kar?, si chiese Emma guardandosi intorno.
Decise di andare dal detective Keller. La polizia era a conoscenza della relazione tra Karen e l’uomo di cui Emma non sapeva nulla?
Decise di scoprirlo.
***
Il detective Keller era un uomo di cinquanta anni, con vivaci occhi verdi e radi capelli biondi.
Non appena vide Emma le sorrise. Emma lo avrebbe preso a schiaffi invece. In due anni non era stato in grado di identificare l’assassino di Karen. Non era compito della polizia risolvere i casi?
-Emma come posso aiutarti?-le chiese il detective, dopo averla fatta accomodare su una sedia di fronte alla sua scrivania.
-Sapeva che Karen si stava vedendo con qualcuno?- chiese Emma, senza giri di parola.
Vide il detective trasalire. La sua reazione significava che lo sapeva?
-Ecco…- iniziò a dire a disagio- siamo venuti a conoscenza di questo dettaglio troppo tardi. Il comandante aveva già deciso di archiviare il caso e…-
Emma sperò di aver capito male. –Dettaglio? Non è un dettaglio, detective. E se l’avesse uccisa l’uomo con cui si vedeva? Di chi si tratta?-
-Non lo sappiamo Emma. Abbiamo trovato alcuni biglietti nell’armadietto del locale in cui lavorava, ma non siamo riusciti a identificarlo.-
Emma sentì la rabbia emergere con violenza. –Questo è il vostro lavoro, dannazione!-
-Emma so che…-
-Lei non sa un bel niente. Non sa cosa vuol dire ritrovare il corpo senza vita della propria migliore amica e ricevere la notizia che la polizia ha deciso di archiviare il caso dopo due anni di indagini inutili!- esclamò, sentendo le lacrime premere agli angoli dei suoi occhi.
-Emma mi dispiace. Ho fatto tutto il possibile, mi devi credere. Ma non avevamo nessuna pista concreta. Senza l’identità dell’uomo con cui si vedeva non avevamo in mano niente. Non avevamo nulla, nemmeno il movente!-
-Posso vedere i biglietti che avete ritrovato nel suo armadietto?-
Keller sospirò. –Non posso Emma.-
-Me lo deve, detective.-
Vide Keller esitare. Era il minimo che potesse fare per lei.
-E va bene- si arrese Keller –ma sappi che non potrei farlo. Perciò non puoi parlarne con nessuno. Aspettami qui.-
Emma lo vie alzarsi e dirigersi verso una porta chiusa. Probabilmente il magazzino in cui tenevano tutte le prove.
Tornò poco dopo con una bussa trasparente in cui vi erano tre bigliettini. Non puoi toccarli altrimenti li inquini con le tue impronte digitali.-
Emma ebbe un’illuminazione. –Le impronte! Non ne avete trovata nessuna?-
Keller scosse la testa. –Purtroppo no. Solo quelle di Karen e di un certo James Wright. Il figlio del suo datore di lavoro, ma ci ha spiegato come ci sono finite e la sua spiegazione ha retto.-
Emma annuì.  Conosceva già quella storia.
Keller le porse la busta di plastica ed Emma cominciò ad esaminare i biglietti.
Il primo diceva. “Spero che il bracciale ti piaccia. Ti amo da morire.” Non c’era una firma né nient’altro che potesse permettere di risalire a chi aveva scritto il biglietto.
Emma cercò di spostare il biglietto attraverso la busta, in modo da poter leggere gli altri.
Il secondo diceva: “Mi dispiace per oggi. Sai che per me se l’unica, ma purtroppo non potevo liberarmi.”
Infine il terzo diceva: “Ti prometto che troveremo il modo di stare insieme. Sai quanto ti amo.”
-Si vedeva con un uomo sposato-disse Emma, dopo aver riletto i biglietti una seconda volta. La grafia le sembrava familiare, ma non riusciva a fare mente locale.
-Come dici Emma?-
-Karen si vedeva con un uomo sposato. Nel secondo biglietto lui dice che gli dispiace, ma non si è potuto liberare. Perché scrivere che per lui è l’unica? E poi guardi l’ultimi biglietto. Afferma che troverà un modo per stare con lei. Quale altro impedimento avrebbe potuto ostacolare la loro relazione se non il matrimonio di lui?-
-Sposato o meno non siamo riusciti ad identificarlo.-
-Come è possibile che trovate questo genere di prove e decidete di archiviare comunque il caso?- chiese Emma, incredula.
-Ordini dall’alto Emma.- spiegò Keller, scrollando le spalle.
Emma non riusciva a credere a quello che stava sentendo. –Non credo che sia un atteggiamento molto professionale.- osservò, seccata.
-Emma…-
-Grazie di avermi mostrato i biglietti.- disse Emma, interrompendolo. Non era decisamente dell’umore adatto per ascoltare le stronzate che lui le avrebbe sicuramente rifilato per giustificare il fallimento con cui si erano concluse le indagini su Karen.
Si alzò e gli strinse la mano. –Arrivederci.-
***
Emma arrivò a locale in ritardo.
Aveva rimuginato tutto il pomeriggio su quello che le aveva detto Keller e ancora non riusciva a spiegarsi come fosse possibile che la polizia avesse deciso di archiviare il caso nonostante fossero emersi nuovi indizi.
-Emma!-la salutò Katy, sorridendo. –Ma che fine avevi fatto?-
-Sono stata poco bene.- mentì, sentendosi però in colpa. Katy era una brava ragazza, ma non poteva certo raccontarle la verità.
-Ci sei mancata qui. Tra l’altro anche Jet non è venuto per qualche sera…-
Emma distolse lo sguardo e cominciò a cambiarsi. Non mi chiedere di Jet, ti prego. Ma non fu così fortunata.
-È successo qualcosa tra voi? Ieri gli ho fatto una battuta sul fatto che non vi siete presentati negli stessi giorni e lui sembrava pronto a lanciarmi addosso i boccali di birra che stava preparando.-
-No…ehm…non è successo nulla. Non lo vedo da tanto per la verità.-
Katy mostrò un’espressione perplessa. Era davvero una ragazza intuitiva. Emma decise di sfruttare la cosa.
-Ehi, Katy. Ti ricordi la ragazza di cui mi hai parlato? Karim, Kar.. oddio non ricordo il nome.-
-Karen! Sì certo, perché?-
-Si vedeva per caso con qualcuno?- Non così diretta Emma, si rimproverò.
-Perché?- chiese Katy, sospettosa.
Sì, Emma. Perché fai domande personali su una ragazza che in teoria non conosci?
-Perché…perché una volta….- Oddio, pensa Emma. –una volta Kian mi ha detto che….-Bingo- disapprova le relazioni tra il personale e ha accennato al fatto che una delle ragazze si stava vedendo con il barista che c’era un po’ di tempo fa, ma non è finita bene la cosa e ciò ha avuto ripercussioni sul lavoro. Ho pensato che la cosa fosse accaduta prima che Jet cominciasse a lavorare qui, ecco.-
-Karen era un tipo riservato. Non ti saprei dire con certezza se si stesse vedendo con qualcuno, però a volte si ritrovava nell’armadietto fiori o cose di questo tipo. Diceva che si trattava di un tizio chi le dava il tormento, ma di cui lei non conosceva l’identità. Se devo essere onesta penso che mentisse, perché una volta l’ho vista sorridere mentre tirava fuori i fiori. Probabilmente non si era accorta che ero ancora lì.- spiegò Katy, scuotendo la testa.
Quindi doveva essere qualcuno che frequentava questo posto, dedusse Emma.
-Beh, in ogni caso lei non ha mai detto nulla. Quindi non so se fosse lei la ragazza cui si  riferiva Kian. All’epoca mi pare che al bancone ci fosse Tyson, ma credo che avesse una ragazza.-
-Chissà- mormorò Emma, fingendo indifferenza.
-Forza, sbrigati che abbiamo una sacco di cose da fare-la sollecitò Katy con un colpetto al braccio.
Emma annuì e la seguì in sala. Cominciò a sistemare alcuni tavoli, ma era distratta.
Cercò di fare il punto della situazione.
Karen si stava vedendo con qualcuno. Probabilmente un uomo sposato di cui però nessuno conosceva l’identità. Un uomo che inevitabilmente frequentava l’ambiente del Serendipity e che quindi poteva facilmente farle trovare fiori e cose simili nell’armadietto. Chi?
Quale poteva essere però il movente?
Se era davvero sposato il movente poteva essere un’eventuale gravidanza indesiderata, ma l’autopsia non aveva rivelato nulla del genere dal corpo di Karen.
La moglie aveva forse scoperto la relazione e presa da un raptus ha deciso di fare fuori l’amante di suo marito? Le sembrava un’ipotesi remota, ma non la poteva accantonare.
Ripensò ai biglietti. Perché quella grafia le sembrava familiare? Dove l’aveva già vista?
Cercò di concentrarsi, ma non ci riuscì. Dannazione, pensò.
Credeva che la sua migliore amica fosse rimasta coinvolta nella vicenda dei russi e invece James le aveva spiegato che Karen era stata uccisa ben prima. Questo aveva ribaltato completamente la situazione.
-Arriva Mr tenebroso- l’avvertì Katy, distogliendola dai suoi pensieri.
Emma alzò gli occhi e vide Jet attraversare la sala per dirigersi al bancone.
I loro sguardi si incrociarono per un attimo, ma Jet interruppe subito quel contatto.
Emma era riuscita a non pensare a lui per un po’, troppo concentrata sulla sua indagine, ma adesso vederlo di nuovo così vicino e allo stesso tempo  lontano la fece star male.
Quando Karen le aveva detto che avrebbe trovato la persona giusta non credeva che ciò l’avrebbe fatta soffrire in quel modo.
Non poteva certo dire di essere una persona esperta in fatto di amore, ma credeva che fosse una fonte di felicità non di dolore.
Si trovò a camminare verso il bancone prima ancora di capire cosa stesse facendo.
Jet le lanciò un’occhiata, ma poi tornò subito a occuparsi del bancone.
-Ciao- lo salutò Emma.
Non era stata lei a pensare che avrebbe rispettato la decisione di Jet? E allora cosa stava facendo lì?
-Ciao- il tono di Jet trasudava fredda indifferenza.
-Katy mi ha chiesto se fosse successo qualcosa tra di noi perché trovava strano che ci fossimo assentati nello stesso momento.- disse Emma, dopo essersi schiarita la voce.
Jet alzò lo sguardo verso di lei, ma la sua espressione impassibile ferì Emma.
-È una dannata ficcanaso.- commentò, irritato.
-È una brava ragazza.- replicò Emma cominciando a irritarsi a sua volta.
–Molto curiosa, tutto qui. Comunque le ho spiegato che tra noi non è successo proprio un bel niente- aggiunse in tono duro.
-Bene- disse Jet, tornando a pulire alcuni bicchieri.
-Tutto qui?- chiese Emma, incredula.
-Che cosa vuoi da me Emma?-
Emma non riconosceva più Jet. –Vorrei che mi guardassi negli occhi mentre mi parli, tanto per cominciare. –
Jet incatenò i suoi occhi azzurri a quelli verdi di Emma, ma continuò a rimanere in silenzio.
-Vorrei che… vorrei capire perché adesso ti comporti così. Quando eravamo a Mosca…-
-Stavamo rischiando la nostra vita, giusto? Non hai pensato che volessi solamente scopare prima che qualcuno mi piantasse una pallottola in testa?- chiese Jet, minimizzando quello che era successo tra di loro.
Emma si costrinse a non piangere davanti a lui, ma sentiva un peso al petto che le impediva di respirare.
–Sei uno stronzo- disse, odiando il tono rude che lui aveva usato.
Si allontanò dal bancone e riprese a sistemare i tavoli, ricacciando le lacrime.
Credeva che Jet avrebbe superato il senso di colpa o qualunque altra cosa gli impedisse di stare con lei, ma si era sbagliata. Doveva immaginarlo dopo tutto. Ormai lo conosceva.
Non sarebbe tornato sui suoi passi.  
 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Due giorni dopo Emma decise di tornare in ufficio.
Avere molto tempo libero si era rivelato deleterio. Non aveva fatto altro che rimuginare in continuazione sulle informazioni a sua disposizione, ma non era riuscita ad arrivare a nessuna conclusione logica.
Le sembrava di aver fatto progressi nel grande puzzle che stava cercando di ultimare, ma credeva anche che le mancasse solo un ultimo tassello per avere il quadro completo. Un tassello che però le sfuggiva.
Perciò quel giovedì mattina aveva tirato fuori dall’armadio uno dei suoi tailleur neri  e poi si era diretta in ufficio con la sua Volvo.
Quando la segretaria di John la vide, le rivolse un sorriso gentile ma sorpreso.
-Ma non ti eri presa due settimane di ferie?- le chiese Miranda, confusa.
-Sì, ma non riesco a stare troppo a lungo lontana d questo posto!- scherzò Emma. –È arrivato già?- chiese poi, riferendosi a John.
-Sì certo, vai pure.-
Emma bussò piano e poi entrò dopo che fu invitata a farlo.
John si stupì di vederla lì. –Emma. Che ci fai qui?-
-Mi sono bastati pochi giorni per riprendermi. Preferisco lavorare piuttosto che…- stare a casa a cercare di capire chi abbia ucciso Karen – stare con le mani in mano.-
John annuì, come se avesse capito cosa lei realmente intendesse.
-Non ti nego che qui c’è molto lavoro da fare. Il mio computer è andato e avrei bisogno che ricopiassi questo documento sul tuo e poi me lo stampassi. –disse John, porgendole due fogli scritti a mano.
-Certo, lo faccio subito.-
-La prossima settimana dobbiamo incontrare il giudice McCarthy, nel tardo pomeriggio. È un problema?-
Emma non esitò, nonostante lavorasse ancora al Serendipity. - Vedrò di liberarmi-
-Bene- annuì John.
Emma uscì dal suo ufficio e poi si diresse alla sua scrivania. Diede un’occhiata ai due fogli e decise di ricopiarli immediatamente.
***
Un paio di ore dopo decise di consegnare a John i fogli battuti al computer. Si alzò e si diresse nuovamente nel suo ufficio.
Notò che Miranda non era al suo posto e si chiese se in quel momento non si stesse magari prendendo un caffè.
Stava per bussare quando sentì John discutere animatamente con qualcuno dall’altro lato della porta.
-Come ti è saltato in mente di venire qui?- stava chiedendo, alzando il tono di voce.
-Non rispondevi al telefono.- disse un uomo, la cui voce Emma non riconobbe.
-Il tuo predecessore non era così stupido, cazzo. Non vuoi finire anche tu a migliaia di chilometri da qui, non è vero?-
Ma con chi sta parlando?, si chiese Emma, perplessa. Predecessore? Migliaia di chilometri da qui?
-No. Comunque lui è disposto a testimoniare.- rispose l’uomo. –Ma è disposto a farlo solo se verrà congruamente ricompensato.-
Emma non riuscì a sentire la risposta di John perché in quel momento arrivò Miranda.
-Ehi Emma. Ti serviva qualcosa?-
-Ehm…sì, sono arrivata due secondi fa, ma non c’eri e stavo per bussare a John.-
-Credo in questo momento sia impegnato-
Ho notato, avrebbe voluto dire Emma. –Ok, passerò più tardi.-
-Va bene Emma.-
Emma tornò alla sua scrivania con mille domande in testa.
Con chi stava discutendo John? Cosa intendeva con la parola predecessore? Perché l’uomo con cui stava parlando aveva menzionato la possibilità che qualcuno testimoniasse solo se ricompensato?
Un pensiero fastidioso si insinuò nella sua mente. John non ha mai perso una causa.
Si chiese se le due cose fossero collegate, ma si rifiutava di credere che John fosse disonesto. Lavorava per lui da anni e non aveva mai riscontrato irregolarità in quegli anni.
Decise di accantonare quel pensiero, ma si ripromise di trovare in seguito una risposta alle sue domande.
***
Alle nove e mezza di sera nel locale arrivò James. Emma lo vide lanciare un’occhiata a Mia e si chiese se non provasse ancora qualcosa per lei.
Mentre si dirigeva verso alcuni clienti si incrociarono.
-Emma-
-Ehi James- lo salutò con un sorriso.
-Come vanno le cose?-
-Tutto bene?-
-Ho sentito Alec-
Emma pensò di aver capito male. –Alec?-
James annuì. –È in prigione, in attesa del processo, ma sta collaborando con la polizia.-
-Perché ti ha chiamato?-
-Si è voluto scusare. Non credo che riuscirò a perdonarlo nel giro di poco tempo, ma…-
Emma lo vide esitare. Probabilmente era disposto a considerare l’idea di perdonarlo prima o poi.
-Ma le sue scuse…beh, non credevo che le avrei mai sentite ecco.- spiegò James.
-Non deve essere facile per te ed è comprensibile. Però devo dire che il suo tentativo di rimediare a tutto il male che ha fatto è notevole.- osservò Emma.
Non poté fare a meno di lanciare un’occhiata a Jet. Notò che la stava fissando, ma distolse lo sguardo non appena Emma si girò verso di lui.
-In ogni caso mi ha detto che dovrebbe essere processato anche qui.- disse James, attirando l’attenzione di Emma.
-Che intendi?-
-Non è entrato nei dettagli, ma a quanto ho capito stava commettendo azioni illegali anche qui a Chicago. Mi ha confessato che mi ha proposto di partire in Russia per evitare che la polizia lo beccasse.-
-Oh cielo. Questa non me l’aspettavo.-
-Non si trattava di un viaggio fra amici.- commentò amaramente James.
Emma in quel momento provò pena per lui. Era stato tradito dal suo migliore amico in tutti i modi possibili e immaginabili.
-Pagherà per quello che ha fatto.- lo rassicurò Emma. –Chissà.. Forse un giorno troverai la forza per perdonarlo.-
James scrollò le spalle. –Forse.-
Emma notò che guardava insistentemente Mia.
-Non sta con nessuno al momento- disse, con tono indifferente.
-Io non…- iniziò a dire James, a disagio.
-Tra una decina di minuti va in pausa.-
James le sorrise e poi si diresse verso l’area riservata al personale.
Emma proseguì verso i clienti e chiese loro cosa volessero. Annotò distrattamente le loro ordinazioni e si avviò verso il bancone.
Il rapporto con Jet era decisamente tornato quello di una volta. Emma gli riferiva cosa volessero i clienti e lui preparava i drink, senza rivolgerle la parola o guardarla negli occhi.
Anche quella volta non fu diverso.
***
-Stavamo pensando con le ragazze che uno di questi giorni potremmo andare a pranzo tutte insieme- disse Katy, mentre si cambiava.
Emma lanciò un’occhiata alle altre. L’unica con cui lei aveva legato era Katy, ma non le sarebbe dispiaciuto legare anche con loro. Da quanto era morta Karen si era chiusa molto, ma sapeva benissimo che ciò non era una buona cosa. Uscire tutte insieme poteva essere una buona opportunità per conoscersi meglio e lei non si sarebbe tirata indietro.
-Certo, perché no.-
-Domani?- chiese Katy, speranzosa.
Emma considerò il fatto che aveva solo un’ora di pausa pranzo. Era molto stretta con i tempi.
-Domenica?- propose.
Katy annuì. –Per me va bene- Guardò Mia, Rosie e Jess. Annuirono tutte e tre.
-Ok. Perfetto allora.- disse Katy, allegra.
-Noi andiamo. Venite anche voi?- chiese Mia, mentre richiudeva il suo armadietto.
Katy annuì, ma Emma ancora si doveva cambiare. Era stanca e non aveva le energie per fare maratone od altro.
-Andate pure. Me la prendo con calma stasera. Tanto io abito a cinque minuti da qui. Ci vediamo domani.-
-Sicura?- chiese Rosie.
Emma annuì convinta e poi le vide uscire tutte insieme.
Si cambiò con una lentezza che lei stessa trovò esasperante e poi uscì dallo spogliatoio.
Passò nell’ufficio di Kian per avvertirlo che stava andando via e poi si avviò finalmente verso l’uscita.
Si bloccò sulla porta quando si accorse che Jet stava fumando fuori dal locale.
Merda, imprecò.
Si accorse di lei solo in un secondo momento.
-Sei ancora qui?- chiese, dopo aver aspirato dalla sigaretta.
-Già-
-Non dovresti tornare da sola a quest’ora.-
-Credo che tu me lo abbia già fatto notare. Comunque non credo che la cosa ti riguardi. Non più almeno- disse Emma, seccata.
Jet le lanciò un’occhiata penetrante, ma non disse nulla. In fondo Emma aveva detto la verità.
Emma decise perciò di incamminarsi verso casa. Non le andava di farsi insultare di nuovo da lui come era successo due giorni prima.
Prima che potesse però muovere anche solo un passo Jet le afferrò un polso, attirandola verso di sé.
Erano talmente vicini che i loro nasi si sfioravano.
-Lasciami andare Jet.- disse Emma, cercando di spingerlo via.
-Non dovresti tornare da sola.- ripeté lui.
Emma lo fissò per alcuni secondi, senza dire nulla. Perché si comportava in quel modo? Un giorno le diceva che per lui si era trattato solo di sesso e quello dopo si preoccupava per la sua incolumità.
Emma sapeva che non si era trattato solo di sesso. Le aveva detto che si meritava di meglio. Questo non significava che avrebbe avuto una relazione con lei se si fosse sentito all’altezza?
-Jet- mormorò- devi lasciarmi andare.-
Lui non sembrava della stessa opinione. Le teneva con una mano entrambi i polsi, ma non accennava a liberarla dalla sua stretta.
Poi si chinò lentamente verso di lei. Emma sapeva cosa stava per succedere, ma non riusciva a muoversi. Avrebbe voluto protestare e respingerlo, ma non lo fece.
Quando le loro labbra si incontrarono fu come se tutto tornasse al proprio posto.
Non importava quello che lui avesse detto o fatto. Non importava che l’avesse ferita profondamente.
C’erano solo loro due. Le labbra che si sfioravano e loro lingue che si cercavano.
Ma la realtà tornò a farsi spazio con prepotenza.
Lui l’avrebbe baciata fino a farle perdere la testa e poi le avrebbe detto che non sarebbero potuti stare insieme. Emma lo amava però. Non avrebbe avuto la forza di affrontare un altro rifiuto.
Lo allontanò da sé con forza. Jet la scrutò a lungo. Cercava chiaramente di capire cosa stesse pensando ed Emma decise di aiutarlo.
-Non puoi fare così Jet. Solo due giorni fa mi hai detto che per te non contavo niente. Mi hai detto che non vai bene per me. Io…-
Emma esitò. Lo avrebbe detto davvero ad alta voce? Era la cosa giusta da fare?
–Io ti amo- disse tutto d’un fiato, guardandolo negli occhi.
-Ho capito di amarti il giorno che mi hai rinchiuso in quella dannata camera. Buffo vero? Ero arrabbiata con te perché mi avevi tagliata fuori un’altra volta, ma poi hai notato che mi ero portata la maglietta che indossavo la prima volta che ci siamo incontrati. Assurdo! Nemmeno io ricordavo di aver indossato quella cavolo di maglietta! Ma tu sì. E lì ho capito. Ho capito che mi ero innamorato di te. Per la prima volta in vita mia ho capito cosa volesse dire amare qualcuno.– iniziò a dire Emma.
Le parole uscirono da lei come un fiume in piena, in modo violento e inarrestabile.
-Se Karen mi facesse le sue stupide tre domande risponderei di no. Non credo che potrei fare a meno del tuo tocco o del tuo sorriso e di certo non riuscirei a stare lontana da te troppo lungo. Ma la cosa più assurda è che ti conosco da due settimane o poco più e già riuscirei a… a immaginare una vita con te. Voglio dire… ho dubitato dell’intelligenza di mio fratello perché si è innamorato di una tizia che conosce da quanto? Un secondo? E io ho fatto la stessa identica cosa.-
-Probabilmente hai ragione, sai? Anche io vivo nel passato. Non credo che mi darò pace fino a quando non saprò chi l’ha uccisa. Però so anche che questo mi impedisce di vivere davvero. Non posso, ma soprattutto non voglio smettere di amarti solo perché non so chi me l’ha portata via. Tu vuoi escludermi dalla tua vita perché non riesci a superare il senso di colpa. Ti nascondi dietro a tutto quello che è successo in questi ultimi giorni perché pensi che in questo modo sia più facile allontanarmi. Preferisci credere che non sei la persona giusta per me piuttosto che concederti la possibilità di amare. Nessuno si aspetta che tu passi la tua vita intera rimediare agli errori di Alec. I tuoi non lo vorrebbero, come Karen non vorrebbe che io trascorressi il resto della mia vita a scoprire la verità perdendomi i momenti belli. E tu, Jet, sei uno di quei momenti.- concluse Emma, consapevole delle lacrime che le bagnavano il viso.
Emma non avrebbe mai immaginato di aprirsi con lui in quel modo. Non aspettò che lui dicesse qualcosa, però. 
Si avviò verso casa correndo. 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Emma aprì gli occhi lentamente. Sentiva le palpebre pesanti e le ciglia incollate tra di loro.
Le sembrò che qualcosa di importante le sfuggisse, ma poi i ricordi della sera prima la travolsero con forza.
Aveva detto a Jet cosa provava per lui, rivelandogli forse anche troppo, però non era pentita. Lo amava con tutta se stessa e sicuramente le si sarebbe spezzato definitivamente il cuore se lui l’avesse allontanata di nuovo, ma credeva che quello fosse un rischio che doveva correre.
Si era esposta in un modo che lei stessa non avrebbe mai immaginato ed ora non sapeva cosa sarebbe successo. Una parte di lei sperava che le sue parole scalfissero il muro che Jet si era costruito intorno, ma temeva allo stesso tempo che non fossero abbastanza forti per abbatterlo.
Il rumore fastidioso della sveglia le ricordò che doveva alzarsi e andare in ufficio.
Mentre preparava il caffè le tornò in mente la conversazione tra John e lo sconosciuto. Chi era quell’uomo? Le sue parole non potevano essere travisate in alcun modo.
John era un avvocato e lo sconosciuto aveva parlato di un possibile testimone. Il nesso era inconfutabile. Però non riusciva a pensare a John come a un avvocato disonesto che corrompeva i testimoni per vincere le cause.
Avrebbe dovuto parlare con lui? Ma cosa gli avrebbe dovuto dire? Le sue erano solo congetture e poi lui avrebbe certamente negato tutto.
Un avvocato rispettabile che agisce illegalmente? Nessuno avrebbe mai creduto ad una cosa del genere, nemmeno lei.
Una cosa era certa  però: all’elenco infinito di misteri che doveva risolvere se ne era aggiunto un altro.
***
Emma stava chiudendo una telefonata con un cliente quando si accorse che non aveva ancora buttato i fogli scritti a mano che John le aveva dato il giorno prima.
Non appena era arrivata in ufficio quella mattina era andata da lui per consegnargli quelli ricopiati al computer e lui le aveva detto di buttare gli originali, ma se ne era completamente dimenticata.
Li ricontrollò rapidamente nel timore che si fosse dimenticata qualcosa e poi li buttò nel cestino.
Ebbe una sensazione di déjà-vu , ma non riuscì a capire di cosa si trattasse.
La voce allegra di Miranda la costrinse ad alzare lo sguardo dal cestino.
-Emma! C’è un tipo che ti sta cercando.- l’avvertì, con un tono strano.
-Chi è?-
-Non mi ha voluto dire il suo nome, ma è un tipo davvero notevole- scherzò la segretaria di John, in tono malizioso.
Emma si chiese chi potesse essere. Sicuramente non un cliente, altrimenti Miranda l’avrebbe condotto alla sua scrivania.
-Ma perché non lo hai fatto venire qui?-
-No lo so Emma, voleva rimanere all’ingresso–
Si alzò dalla sedia e si diresse verso l’ingresso.
Forse era il detective Keller? Però nessuna donna si sognerebbe mai di definirlo un tipo notevole. Le venne da ridere al solo pensiero.
Si bloccò non appena riconobbe la persona che la stava cercando. Il suo cuore non poté fare a meno di battere più forte. Jet.
Si voltò nel momento esatto in cui lei riprese a camminare verso di lui.
Si ritrovarono l’uno di fronte all’altra a guardarsi negli occhi, senza dire però nulla.
Che ci fai qui?, avrebbe voluto chiedere Emma.
-Ciao Emma- la salutò.
-Come….- non riuscì a formulare la domanda ad alta voce.
-Mi avevi detto che lavoravi in uno studio legale, ricordi? Diciamo che non ci è voluto molto a capire quale fosse. In zona non ce ne sono molti.-
Emma annuì. Non doveva essere stato difficile, ma in quel momento non era interessata a sapere come lui l’avesse trovata. Voleva sapere invece perché fosse là, perché l’avesse cercata.
-Puoi venire un momento fuori?- le chiese poi.
Emma si guardò istintivamente alle spalle. In teoria non poteva, ma…
-Certo-
Uscirono dal palazzo e cominciarono a camminare sul marciapiede, fianco a fianco.
-Avevi ragione- disse Jet, sorprendendo Emma. Era la prima volta che le dava ragione su qualcosa.
-Sono un vigliacco. La verità è che dopo tutto quello che è successo mi sembra di aver tradito i miei genitori. Sono morti quando anche io ero molto piccolo, ma dovevo prendermi cura di Alec. Era compito mio fare in modo che non si cacciasse nei guai. E invece non l’ho fatto. Ho permesso che partisse e guarda che diavolo è successo. È diventato un fottuto spacciatore per dei fottuti poliziotti corrotti. Si è fatto arrestare e ha trascinato anche James nel fondo. Credi che loro potrebbero mai essere contenti di me? No, dannazione!-
Emma non pensò alle implicazioni di quel gesto, ma gli prese una mano. Probabilmente era venuto per dirle che non l’amava e che non sarebbe mai riuscito a liberarsi dal senso di colpa, ma in quel momento le sembrò la cosa giusta da fare.
Jet guardò le loro mani intrecciate e poi la guardò negli occhi.
-Quello che voglio dire è che li ho delusi e probabilmente non posso fare nulla per sistemare le cose.- spiegò, afflitto.
-Hai fatto tutto il possibile Jet. Tu stesso hai detto che lo hai tirato fuori dai guai un’infinità di volte. Eri un ragazzino anche tu. Nessuno si aspettava che potessi sostituire i vostri genitori. E quando siete diventati adulti Alec ha deciso di percorrere un certo tipo di strada, non puoi sentirti in colpa per questo. È stata una sua scelta.- replicò Emma, decisa.
-Avrei potuto fare di più.-
-Forse. O forse no. Non puoi trascorrere il resto della tua vita a chiedertelo.-
-Quello che hai detto ieri…-
Emma trattenne il respiro. Le avrebbe ridotto il cuore in mille pezzi?
-Come fai ad amare uno come me?- chiese Jet, come se la cosa fosse assurda.
-Uno come te?- ripeté Emma, incredula – Intendi dire uno che ha cercato di mettermi in guardia un’infinità di volte? Uno che si preoccupa della mia sicurezza? Oppure intendi uno che mi ha fatto provare emozioni che non credevo fosse possibile provare?-
-Non puoi…-
Emma lo interruppe. –Io ti amo, Jet. Non mi importa se credi di non essere la persona giusta per me, perché io so che lo sei.-
Emma vide Jet sussultare. E sapeva anche perché. Lo aveva costretto ad affrontare la realtà. Lo avrebbe amato a prescindere da qualunque cosa lui avesse potuto dire o fare per cercare di allontanarla.
-E se….-
Emma gli prese il viso fra le mani. Si sollevò sulle punte e lo baciò.
Le parole non sarebbero servite a nulla.
Sentì Jet cedere progressivamente. Prima posò le mani sui suoi fianchi, attirandola versò il suo corpo caldo e forte. E poi cominciò a rispondere al bacio di Emma.
All’inizio fu un bacio lento, giocoso, in cui ognuno esplorava l’altro. Poi però divenne più profondo, come se nessuno dei sue potesse fare a meno dell’altro. Come se una guerra li avesse tenuti separati per anni e solo adesso si fossero ricongiunti.
Emma si strinse al corpo di Jet e continuò a baciarlo fino a ritrovarsi senza fiato. Solo a quel punto si staccò da lui.
Adesso hai capito?, gli stava chiedendo senza aprire bocca.
Jet le scostò una ciocca di capelli dalla fronte e poi le accarezzò dolcemente una guancia.
-Credevo fosse facile…- mormorò, continuando a guardarla negli occhi.
-Cosa?- chiese Emma, con voce rotta.
-Lasciarti andare.-
Emma cominciò a sentire un nodo in gola.
-Ma non è così. – proseguì Jet, scuotendo la testa. –Nell’istante esatto in cui hai messo piede al locale ho pensato che saresti stata la mia rovina. Quello che dovevo capire però è che non saresti stata affatto la mia rovina. Anzi.-
Emma sentì nascere un barlume di speranza dentro di sé.
-Forse potremmo…-
Cosa?,  si chiese Emma.
-Potremmo vedere se la cosa funziona.- disse Jet, sorridendo.
Emma sperò di non aver capito male. Le stava dicendo che sarebbero stati insieme?
-Non mi aspettavo tutto questo silenzio- scherzò Jet, a disagio.
Emma scoppiò a ridere. –Mi stai dicendo che…-
Jet le prese il viso fra le mani e sorrise di nuovo.
-Ti sto dicendo che voglio stare con te.-
Emma avrebbe voluto chiedergli se lui l’amasse, ma non credeva fosse il momento giusto. Le aveva appena detto che voleva stare con lei.
-Perché ci hai messo così tanto a capirlo?- chiese Emma, prendendolo in giro.
-Mi dispiace per come ti ho trattato martedì. Non volevo ferirti.- si scusò Jet, serio.
-Ti rendi conto che da quando ci siamo conosciuti non hai fatto altro che allontanarmi e poi scusarti?- chiese Emma, ridendo.
Vide Jet sorridere. –Hai ragione. Mi dis…-
Emma lo baciò prima che potesse scusarsi un’altra volta.
-Piantala di scusarti- gli ordinò poi. –Cerca di non fare cazzate così poi non devi scusarti.-
Jet scoppiò a ridere. –Sarà difficile, Emma. Quando sto con te la mia razionalità svanisce nel nulla.-
-Intendi dire che è colpa mia se ti metti ad abbaiare ordini e a…-
Jet la zittì con un cenno della mano. –Intendo dire che quello che provo per te mi fa andare fuori di testa. Non sono un tipo protettivo o geloso, ma con te…- lo vide scuotere la testa.
-Possiamo trovare un compromesso.- propose Emma, fingendosi pensierosa.
Jet inarcò un sopracciglio e poi sorrise. –Che intendi?-
-Cerchiamo di comportarci entrambi in modo normale così nessuno dei due sarà costretto a dare di matto con l’altro.-
-Vorresti dire che se io ti dicessi di smettere di indagare su Keren tu lo faresti?-
Emma non si aspettava una richiesta del genere. –Aspetta un attimo. Non intendevo…-
-Dico sul serio Emma. Potrebbe…-
-Non sono stati i russi, Jet.-
-Come fai a saperlo?-
-James mi ha detto che è stata uccisa prima che loro partissero.-
-A maggior ragione, Emma. Forse sarebbe stato meglio se… insomma se fossero stati lor almeno saresti al sicuro. Perché sono lontani e finiranno presto in prigione.-
-Non mi metterò in situazioni pericolose.-
-Certo, come no- disse Jet, sarcastico.
Emma lanciò un’occhiata all’orologio. –Porca miseria! Devo tornare in ufficio.-
-Ti accompagno.-
Emma annuì e poi si incamminarono verso l’ufficio.
Jet l’accompagnò fino all’ingresso, dove la baciò a lungo.
-Devo proprio andare adesso.- disse Emma, staccandosi da lui nonostante l’istinto le dicesse di fare il contrario.
Notò che Jet stava guardando qualcosa alle sue spalle, perciò si girò anche lei.
Incrociò lo sguardo sorpreso di John. Non sembrava arrabbiato con lei, ma guardava Jet come se avesse avvistato un fantasma.
-Vai adesso- lo sollecitò Emma.
Jet la baciò un’ultima volta e poi se ne andò.
-Mi dispiace, John. Non accadrà più- si scusò Emma, dopo aver raggiunto il suo capo.
-Non era il barista del Serendipity quello?-
-Oh, beh… non…è complicato.- disse Emma, non sapendo quale fosse la parola giusta per definire Jet.
-Torna a lavoro.- 
Emma non aveva mai sentito John usare quel tono. Pensò che lui fosse arrabbiato per il suo atteggiamento poco professionale e quindi decise di non pensarci più.
***
-Come mai così pensierosa?- le chiese Jet, mentre rientravano a casa dopo il turno.
Emma stava pensando al fatto che quella sera John non si fosse presentato al locale. Katy le aveva detto che veniva ogni venerdì, ma quella sera non era stato così.
-Niente di importante.-
-Vieni da me?- le chiese Jet.
-Sì- rispose Emma, senza esitare.
Camminarono in silenzio, godendosi l’aria estiva di quei giorni.
Emma non si rese di conto di essere arrivata a casa di Jet fino a quando non si ritrovò nella sua camera da letto.
-Che hai Emma?-
Bella domanda, avrebbe voluto rispondere Emma. Nemmeno lei sapeva quale fosse il problema.
Aveva la sensazione di essere vicina alla verità, ma non riusciva ad impadronirsene.
-Sono solo stanca- mentì, scrollando le spalle.
-Andiamo a dormire allora- disse Jet, sorridendo.
***
Emma si svegliò nel cuore della notte. Jet la teneva stretta a sé, ma lei sapeva che stava dormendo.
Conversazioni, immagini e ricordi si combinarono nella sua mente dando vita alla conclusione che Emma aveva cercato a lungo.
Aveva sofferto e lottato per conoscere la verità e adesso era chiara come la luce del sole.
Sapeva chi aveva ucciso Karen.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Una persona prudente e razionale sarebbe andata immediatamente dalla polizia e avrebbe chiesto di parlare con il detective Keller per esporre le proprie conclusioni.
Quella mattina, però, Emma si era alzata, aveva bevuto un caffè con Jet e poi lo aveva baciato prima di passare a casa sua e prepararsi per andare in ufficio. Come se fosse una giornata qualsiasi, come se non sapesse chi aveva ucciso Karen.
Il sabato mattina il traffico era di solito meno intenso e infatti Emma arrivò in ufficio in perfetto orario.
Aveva riflettuto a lungo sulla sua scoperta, ma non era riuscita a spiegarsi perché lui l’avesse uccisa. In un primo momento le era completamente sfuggita la prova che fosse l’amante di Karen, sebbene ce l’avesse avuta sotto gli occhi per ben due giorni consecutivi, ma alla fine aveva capito.
Adesso sapeva chi aveva ucciso la sua migliore amica, ma non si sentiva affatto sollevata. Anzi. Le sembrava di essere stata tradita e non riusciva comunque a capire perché la loro relazione fosse sfociata in un omicidio.
-Buongiorno Emma- la salutò allegramente Miranda non appena la vide.   
-Buongiorno-
Emma si diresse alla sua scrivania come un automa. Cosa aveva intenzione di fare ora che aveva scoperto la verità? Affrontarlo sarebbe stato pericoloso, ma non si era presentata in ufficio proprio per quello?
Forse avrebbe dovuto parlare con Jet delle sue supposizioni, ma non ne aveva avuto il coraggio. Lui l’avrebbe costretta ad andare dalla polizia, ma Emma aveva un disperato bisogno di sapere perché il suo capo avesse ucciso la sua migliore amica e voleva che glielo dicesse John in persona.
Sicuramente si erano conosciuti al Serendipity e poi avevano cominciato a frequentarsi. John era sposato ed era questo il motivo per cui nei biglietti che lasciava a Karen ripeteva che lei era l’unica e che avrebbe trovato il modo di stare con lei. Ma perché non c’erano le sue impronte?
-Emma- la voce di John la fece sussultare.
Alzò lo sguardo e incrociò gli occhi scuri di John. Perché l’hai uccisa?
-Ciao John-
-Oggi dovrai occuparti anche di alcune questioni che di solito affido a Claire. Quella ragazza non solo è un’incapace, ma non si è nemmeno presentata oggi.- disse John, alzando gli occhi al cielo.
-Va bene-
-Leggi questi fascicoli e poi prepara una relazione per l’ora di pranzo, per favore-
Emma prese i fascicoli che lui le diede, ma non disse nulla. Non riusciva nemmeno a guardarlo negli occhi. Come faceva ad essere così sereno e rilassato quando le sue mani erano sporche del sangue di Karen?
-A dopo allora-
Vide John dirigersi verso la sua stanza e poi chiudersi la porta alle spalle.
Emma non sapeva cosa fare. Non poteva affrontarlo con Miranda nei paraggi. Forse durante la pausa pranzo avrebbe potuto approfittare del fatto che lei si allontanasse dall’ufficio per andare a mangiare.
Decise di leggere i fascicoli che lui le aveva dato e poi lo avrebbe affrontato a visa aperto.
***
Non appena Miranda si alzò dalla sua scrivania per la pausa pranzo il cuore di Emma cominciò a battere furiosamente nel suo petto.
Stava davvero per affrontare John? Non era forse meglio chiamare la polizia? E se lui avesse reagito male?
Emma sapeva perfettamente che si stava mettendo in una situazione molto pericolosa, nonostante avesse promesso a Jet di non farlo, ma doveva dare un senso logico a tutto quello che era successo.
Prese la relazione che aveva preparato per John e si diresse verso la sua stanza. Bussò e poi entrò senza nemmeno sentire la risposta, ma si stupì quando non trovò nessuno.
-Emma- disse John, alle sue spalle.
Si voltò di scatto verso di lui. Era vestito come al solito. Camicia bianca con le maniche arrotolate e un pantalone elegante, ma i suoi occhi brillavano di una strana luce.
-Non c’è bisogno che ti dica di entrare, giusto? Perché sei già nella mia stanza- osservò John, con un tono che spaventò molto Emma.
Non lo avrebbe affrontato. Avrebbe chiamato la polizia e lo avrebbe fatto arrestare. La verità sarebbe venuta a galla comunque. Non avrebbe corso il rischio che lui la passasse liscia.
John si andò a sedere dietro la sua scrivania e poi le ordinò di chiudere la porta.
-Perché?- chiese Emma, cercando di nascondere la propria agitazione.
John inarcò un sopracciglio. –C’è qualche problema Emma?-
Sì. Hai ucciso Karen e adesso mi stai spaventando a morte, avrebbe voluto urlare Emma.
-Ti ho portato la relazione che mi avevi chiesto.- disse invece, posandola sulla sua scrivania. -Adesso vado a mangiare-
Emma non fece in tempo a voltarsi che lui la fermò.
-Siediti.-
Quello non era il capo gentile e disponibile che Emma aveva conosciuto. Il suo tono di voce era freddo e tagliente.
Emma si chiese se lui non avesse capito che lei conosceva l’identità dell’assassino di Karen. Perché comportarsi in quel modo sennò?
-John, davvero, sto morendo di fame, non potremmo….- le si spense la voce non appena lo vide tirare fuori dalla scrivania una pistola.
Ha una pistola cazzo, pensò terrorizzata Emma.
-Siediti- le ordinò di nuovo, posando la pistola sulla scrivania.
-John che sta succedendo?- chiese Emma, cercando di sembrare sorpresa.
-Siediti e ne parliamo, Emma.-
Emma cercò di ragionare in fretta. In ufficio c’erano solo loro due e John aveva una pistola. Non poteva fare altro che sedersi.
-Cominciamo a ragionare.- disse John, con un sorriso spietato.
-Allora. Parlami del barista del Serendipity.-
Emma sbatté le palpebre confusa. Perché voleva parlare di Jet?
-State insieme, no?-
-John non capisco….-
-Rispondi alla domanda. Altrimenti sarò costretto ad usare le maniere forti.-
-Sì. Ma non capisco…-
-Ti ha parlato di me?
Emma pensò di aver capito male. Perché mai Jet avrebbe dovuto parlare di John?
-Ha un fratello, non è vero?-
-Ehm…-
-Conosci la risposta Emma. Non è difficile.-
-Perché? Cosa c’entra tutto questo con me?-
-Vedi Emma, il nostro non è un mondo facile. Mio padre era un ottimo avvocato e ha costruito questo studio con le proprie forze. Non perdeva mai una causa, sai?- iniziò a dire John, pensieroso.
Emma non riusciva a capire. Cosa c’entravano Jet e Alec con John?
-Purtroppo i tempi sono cambiati. Non è così facile vincere una causa ai giorni nostri, non è vero?-
-John…-
-La verità è che abbiamo bisogno di un sostegno.- proseguì il suo capo, scrutandola attentamente. –Ma il tuo fidanzato te lo avrà detto già.-
-Di cosa stai parlando John?- chiese Emma, sempre più confusa.
-Pensi davvero che si possa vincere sempre?-
John sfiorò la pistola con le dita. –Se quell’idiota di Alec avesse continuato a fare il suo lavoro correttamente non sarebbe dovuto scappare a migliaia di chilometri da qui, Emma. E io non avrei dovuto cercare un’altra persona, capisci?-
Ad Emma tornò in mente quello che le aveva detto James. Alec commetteva azioni illegali anche qui a Chicago. Finalmente capì.
-Alec corrompeva le persone per testimoniare ai processi, non è vero? Ecco perché non hai mai perso una causa.-
John scoppiò a ridere. –Sei sempre stata molto intuitiva Emma. È uno dei motivi per cui ti ho assunta.-
-Come vi siete conosciuti?- gli chiese.
-Al locale. Era amico del figlio del proprietario.-
-Perché mi stai dicendo queste cose, John?-
-Non mi aspettavo che ti scopassi il fratello di Alec, Emma. Quando vi ho visto ieri è stato un duro colpo. Ho capito che i miei affari erano in pericolo.-
-Jet non sa nulla di questa storia.- disse Emma, sicura.
-Forse. O forse no. Chi può dirlo? Non potevo correre il rischio che ti riferisse tutto, capisci?-
Emma capiva perfettamente. John aveva paura che lei lo denunciasse.
-Quindi, mia cara Emma, sono costretto ad eliminare il problema alla radice.-
Emma cominciò ad avere paura. Lui l’avrebbe uccisa.
-Come hai fatto con Karen?- chiese, cercando di mascherare la propria paura.
John sembrò sorpreso.
-Karen?- ripeté, pensieroso. –Che ragazza ingenua. Pensava che l’amassi davvero. Un po’ di fiori e brillanti e apriva le gambe ogni volta che volevo.-
Emma sentì la rabbia nascere dentro di lei.
-Non parlare di lei in questo modo.- disse, arrabbiata.
-Era innamorata di me, pur sapendo che ero sposato. Credeva che avrei lasciato mia moglie prima o poi per stare con lei.- disse John, come se la cosa fosse assurda.
-L’hai uccisa tu.- lo accusò Emma.
-Purtroppo si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato.-
-Perché l’hai uccisa?-
-Aveva capito come facessi a vincere le cause, Emma.-
-E tu avevi paura che ti smascherasse.- dedusse Emma.
Poi però le venne in mente una cosa. –Perché hai detto che Alec è dovuto andare via?-
-Aveva cominciato a darmi problemi. Perciò l’ho ricattato. Se non se ne fosse andato da questo paese avrei fatto in modo che finisse in carcere per il resto della sua vita. Mi ha costretto a cercare un altro uomo, però.-
In circostanze diverse Emma si sarebbe messa a ridere. Alec aveva lasciato Chicago ma era finito in carcere lo stesso.
-Quello con cui stavi discutendo l’altro giorno.- disse poi.
John mostrò un’espressione sorpresa. –Ci hai sentiti.-
Emma annuì. Adesso era tutto chiaro.
John aveva utilizzato Alec per corrompere i testimoni e quando non gli era più servito lo aveva costretto a partire per la Russia. Karen aveva iniziato una relazione con lui e poi aveva scoperto il modo in cui vinceva le cause e per questo motivo era stata uccisa.
Era tutto collegato, pensò Emma.
Se Emma non fosse andata in Russia a recuperare James non avrebbe mai saputo della relazione segreta di Karen e non avrebbe mai visto i biglietti di John.
-Come sei arrivata a me?- le chiese John, curioso.
-I biglietti.- spiegò Emma.
-Quali biglietti?-
-Quelli che hai lasciato nell’armadietto di Karen. Ho riconosciuto la grafia. Coincideva con quella dei documenti che mi avevi dato da ricopiare.-
-Non me l’aspettavo questa.- mormorò John, colpito. –Un motivo in più per eliminare il problema, giusto?-
-Non sono io il problema John. Hai ucciso Karen e hai vinto le cause in modo illegale. Finirai in prigione.-
-Saresti potuta arrivare in alto, Emma. Peccato che tu abbia cominciato a frequentare quel barista da quattro soldi.-
Emma si costrinse a rimanere calma. Rabbia e paura le facevano scorrere il sangue più velocemente.
-Saresti potuta diventare un grande avvocato.- proseguì John, come se gli dispiacesse davvero.
-Non deve andare così. Se ti costituisci…-
John scoppiò a ridere. –Costituirmi? Perché dovrei farlo? Ho uno studio legale prestigioso, una moglie e un’amante. La mia vita è perfetta così. Sei tu il problema.-
-Hai ucciso la tua amante.- osservò Emma, in tono duro.
-Oh, la piccola e dolce Karen intendi. Beh, sì. Ma Claire si sta rivelando un valido rimpiazzo. In fondo siete tutte uguali. Vi bastano un po’ di soldi e di attenzioni per diventare delle sgualdrine.-
-Claire?- chiese Emma, confusa.
-Le ho detto di rimanere a casa oggi. Non mi serve un pubblico per piantarti una pallottola in testa.-
Emma cercò di prendere tempo. Da un momento all’altro sarebbe tornata Miranda e a quel punto avrebbe chiamato la polizia.
-Come hai conosciuto Karen?-
-Al locale, Emma. Pensavo che l’avessi già capito.-
Certo che l’ho capito figlio di puttana.
-Sapeva che eri il mio capo?-
-All’inizio no. Poi è venuto fuori.-
-Per questo non voleva che andassi al locale. Soprattutto di venerdì. Avrei scoperto che vi conoscevate e che vi stavate frequentando-
John sorrise. –Esatto.-
-Pagherai per quello che hai fatto- lo minacciò Emma.
-Non credo proprio Emma. Nessuno verrà a salvarti.-
-Sta tornando Miranda, coglione.-
-Tu credi? Perché io le ho detto di prendersi il pomeriggio libero.-
In quel momento Emma capì che sarebbe morta.
Pensò a Jet. A tutto quello che avevano condiviso, al fatto che solo il giorno prima avessero deciso di provare a stare insieme e al fatto che fosse stato l’unico uomo di cui si fosse davvero innamorata.
Capì che non avrebbe partecipato al matrimonio di suo fratello e che non avrebbe mai più rivisto i suoi genitori. Vi voglio bene.
Vide John prendere la pistola in mano e puntarla contro di lei.
-Alzati. Lentamente. Altrimenti ti uccido subito.-
Emma obbedì, ma si costrinse a non mostrarsi spaventata. Non poteva dargliela vinta.
John la raggiunse, continuando a puntarle la pistola contro.
-Esci da qui.-
Uscirono dalla sua stanza e si ritrovarono nel corridoio.
Un rumore di passi sorprese entrambi.
-Chi cazzo è?- chiese John, teso.
Emma sperò che fosse Miranda. Magari si era dimenticata qualcosa.
Ma non era affatto Miranda. Era Jet.
-Tu!- esclamò John. –Tu e tuo fratello siete davvero una rottura di coglioni. Pazienza. Dovrò uccidere anche te.-
Emma vide Jet sussultare. John le puntava una pistola contro e aveva appena nominato suo fratello.
-Abbassa la pistola.- gli ordinò Jet.
-Mi dispiace deluderti, ma non posso.-
Emma incrociò gli occhi azzurri di Jet. Non mostravano alcuna emozione.
-Vediamo un po’…. Chi vuole morire per primo?- chiese John, ironico.
Puntò la pistola contro Jet e poi afferrò un braccio di Emma.
-Lasciala andare. Sta arrivando la polizia. È finita.- disse Jet.
-Stai bluffando-
-No, non sto bluffando affatto John.-
Emma vide il suo capo esitare. Decise di approfittarne. Si divincolò dalla sua stretta e cercò di prendergli la pistola.
Sentì Jet correre verso di loro, ma John fu più veloce. Partì un colpo.
Emma si girò verso Jet per vedere se John l’avesse colpito, ma lui fissava terrorizzato il suo stomaco.
Non riuscì a capire che stesse succedendo. Le sembrò che il pavimento sotto ai suoi piedi venisse meno e la sua vista si annebbiò.
Tutto si fece buio all’improvviso.

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Emma aprì gli occhi lentamente. Le faceva male la testa e aveva lo stomaco sottosopra.
La prima cosa che notò furono le pareti grigie della stanza e una luce bianca fastidiosa.
-Emma- la voce preoccupata di Jet la costrinse a spostare lo sguardo.
-Sei in ospedale Emma. Lui… lui ti ha sparato.- le spiegò Jet, con voce rotta.
-Cosa…-Emma si schiarì la voce.- cosa è successo?-
-Volevo farti una sorpresa e quindi sono venuto in ufficio. La segretaria non c’era e ho avuto una strana sensazione. Poi vi ho visti e….-
Emma gli strinse una mano. –L’ha uccisa lui.- sussurrò, con le lacrime agli occhi.
Jet annuì, come se sapesse già tutto.
–Dopo che ti ha sparato sono riuscito a togliergli la pistola di mano. Ho chiamato polizia e ambulanza, ma credevo…-
Emma lo vide piangere per la prima volta da quando lo aveva conosciuto.
-Per un momento ho creduto che ti avrei persa. Proprio ora che mi ero reso conto…-
-Di cosa?- chiese Emma, cercando di scacciare il nodo in gola che aveva.
-Di amarti, Emma.- disse Jet, puntando i suoi occhi lucidi in quelli di Emma. –Io ti amo. Non potrei vivere senza di te.-
-Ti amo anche io, Jet.- rispose Emma, stringendogli la mano più forte.
Le sue parole le fecero battere il cuore più forte. Jet l’amava e l’assassino di Karen era stato arrestato. Tutto si sarebbe sistemato.
-Da quanto tempo sono qui?- gli chiese poi, guardandosi attorno. Aveva la flebo attaccata al braccio e un tubicino nel naso che le mandava ossigeno. Lo tolse.
-Ferma, Emma.- la rimproverò Jet.
-Mi dà fastidio- gracchiò Emma, con voce roca.
Jet le porse un bicchiere d’acqua che lei scolò in un secondo.
-Sono le nove di sera. Ti hanno operata d’urgenza. Fortunatamente il proiettile non ha danneggiato organi vitali, ma dovrai rimanere qualche giorno qui.- le spiegò, mentre si sedeva su una sedia accanto al letto.
-Ho avvertito i tuoi. Sono qui fuori con tuo fratello e Serena. Prima sono passati anche Kian, James e le ragazze, ma stavi dormendo.-
Emma immaginò quanto si fossero preoccupati per lei.
-Lo hanno arrestato?-
Jet annuì. –Sì, ma ancora non ha confessato l’omicidio di Karen. Per adesso possono solo accusarlo di tentato omicidio.-
Emma spalancò gli occhi. –No! L’ha uccisa lui, me lo ha detto. L’ha uccisa perché Karen ha scoperto che lui vinceva le cause corrompendo i testimoni!-
Jet la guardò sorpreso.- Ma… come ha fatto a scoprirlo?-
-Si frequentavano.- mormorò Emma, distogliendo lo sguardo.
-Mi dispiace Emma.-
-Farò in modo che marcisca in galera. Deve pagare per tutto quello che ha fatto.-
-Il detective Keller vorrebbe parlarti. Mi ha chiesto di avvisarlo non appena ti fossi svegliata.- disse Jet, alzandosi.
-Intanto chiamo i tuoi genitori e tuo fratello.-
Emma annuì. Forse non era pronta ad affrontarli, ma doveva rassicurarli. Era viva e si sarebbe ripresa.
Vide Jet uscire dalla stanza e poco dopo entrò la sua famiglia insieme a Serena.
Sua mamma scoppiò a piangere non appena la vide.
-Tesoro!- esclamò, singhiozzando.
-Sto bene- la rassicurò Emma, sforzandosi di sorridere.
-No che non stai bene, Emma! Ti hanno sparato!-
-Calmati, cara.- disse suo padre, dandole un colpetto sulla schiena.
-Cosa è successo Emma?- chiese suo fratello.
-John… ha ucciso Karen.- iniziò a dire Emma. –Ha provato ad uccidere anche me e Jet-
-Ma perché l’ha uccisa?- chiese suo padre, mentre sua madre continuava a piangere ininterrottamente.
-È una storia lunga- rispose Emma, sospirando.
Guardò prima i suoi genitori e poi Nathan che stringeva la mano di Serena. Sospirò di nuovo e alla fine iniziò a raccontare.
***
Dopo aver raccontato tutto alla sua famiglia e aver parlato con il detective Keller Emma poté riposarsi un po’. Keller le aveva detto che John aveva appena confessato di aver ucciso Karen e che quindi sarebbe stato finalmente punito per il male che aveva fatto.
Jet era andato a prendersi qualcosa da mangiare perciò adesso era da sola e poteva riflettere su tutto ciò che era successo.
Non ci riuscì però, perché la stanchezza prese il sopravvento.
 
-Perché non mi hai detto che ti stavi vedendo con lui?- chiese Emma, voltandosi verso la sua migliore amica.
Erano sdraiate entrambe sul letto di Emma a e guardavano il soffitto, ma anche questa volta lei sapeva che si trattava solo di un sogno. Karen non era davvero lì.
Karen sospirò. –Come potevo dirti che mi vedevo con un uomo sposato che per di più era il tuo capo?-
-Avresti dovuto dirmelo- replicò Emma, scuotendo la testa.
-Lo so.- annuì Karen, dandole ragione.
-Se lo avessi saputo forse….-
-Non farti questo, Emma. Non è colpa tua.-
Emma non credeva che fosse colpa sua, ma pensava che se avesse saputo la verità le cose sarebbero andate diversamente. Decise di dirlo ad alta voce.
Karen scosse la testa. –Non è detto. Forse mi avrebbe ucciso lo stesso.-
-Non immaginavo che potesse essere un assassino. E mai avrei immaginato che riuscisse a vincere le cause illegalmente.-
-Già- confermò Karen, amareggiata. –Lo amavo, sai? Credevo che prima o poi avrebbe divorziato e poi avrebbe sposato me.-
Emma provò pena per lei in quel momento. John la riteneva una ragazza ingenua e l’aveva sfruttata nel peggiore dei modi.
-Comunque- proseguì Karen, con un tono meno afflitto. –Adesso potrai finalmente buttarti questa vicenda alle spalle. Potrai ricominciare a vivere.-
Emma non ne era sicura. Temeva che la polizia non riuscisse ad incastrare John per l’omicidio di Karen. Ma non si trattava solo di quello.
-Mi mancherai.- disse a Karen, mentre le lacrime cominciavano a rigarle il viso.
-Anche tu Emma, ma sarò sempre con te.- la rassicurò la sua migliore amica.
Emma si costrinse ad annuire. Si asciugò le lacrime con il dorso della mano e poi sorrise.
-Un giorno ci rincontreremo.- disse, fiduciosa.
Karen le prese una mano. Sorrise e poi annuì convinta.
–Un giorno.-
 
-Kar- disse Emma, tirandosi su di scatto. Provò un dolore lancinante allo stomaco, perciò fu costretta a sdraiarsi di nuovo.
Jet tornò in quel momento con del cibo in mano.
-Emma hai bisogno di un dottore?- le chiese preoccupato, vedendo una smorfia di dolore sul suo viso.
Emma scosse la testa. –No, va tutto bene. Era solo un sogno.- rispose, delusa.
Avrebbe fatto di tutto pur di rivedere un’ultima volta Karen. Le avrebbe raccontato tutto quello che le era successo negli ultimi due anni e le avrebbe parlato di Jet, ma sapeva che non sarebbe mai successo.
Jet si sedette accanto a lei.
-So che fa caldo, ma non c’era nient’altro.- scherzò Jet, mostrandole un piatto di minestra.
-Minestra?- chiese Emma. –Non credo…-
-Sempre meglio di niente, no?-
Emma sorrise e scosse la testa. –D’estate la minestra proprio no.-
 Jet iniziò a magiare e lei lo osservò in silenzio.  Ma fu un silenzio breve.
-John…- iniziò a dire, attirando l’attenzione di Jet.- mi ha detto una cosa.-
-Alec lavorava per lui.- spiegò, non sapendo bene quale potesse essere la reazione di Jet. –Faceva da tramite. Metteva in contatto John con le persone che avrebbero dovuto testimoniare nei suoi processi, in modo che li potesse vincere.-
Jet posò il piatto su una sedia e poi guardò Emma.
-Non ne avevo idea.- commentò poi, passandosi una mano fra i capelli.
-È andato in Russia per questo motivo. John l’ha ricattato. Se non fosse partito, lui l’avrebbe mandato in prigione. Evidentemente non voleva più lavorare per John, che aveva paura di essere smascherato da lui.-
-Alec…-
-Ha sbagliato, Jet. Ha fatto così tanti errori che non bastano le dita di entrambe le mani per contarli. Però si è costituito e questo dimostra che vuole provare a rimediare. Dovresti parlare con lui.-
Jet scosse la testa con decisione.
-Devi, Jet. Hai passato così tanti anni a sentirti in colpa per lui e adesso non vuoi nemmeno parlargli?- insisté Emma.
-Tu non capisci Emma.-
-Invece capisco benissimo, Jet. È tuo fratello. I tuoi genitori vorrebbero che tu cercassi il modo di perdonarlo. Nessuno dice che tu lo debba perdonare subito, ma forse un giorno, quando lui avrà scontato la sua pena, potrete tornare ad essere una famiglia.-
Jet incatenò i suoi occhi a quella di Emma. –Ti amo così tanto.- disse, alzandosi.
Si chinò su di lei e la baciò delicatamente, nel timore di poterle fare male.
- Ti amo anche io. Ed è per questo motivo che voglio che tu lo chiami.- disse Emma, decisa.
-Credi davvero che sia possibile ricostruire la nostra famiglia, Emma? I miei genitori sono morti, mio fratello è in carcere a migliaia di chilometri da qui e io non ho più nessuno.-
Emma gli sfiorò una guancia con le dite e poi sorrise. –Hai me.-
Jet la baciò di nuovo e poi le chiese di nuovo: -Credi sia possibile?-
Emma si ricordò dell’ultima cosa che le aveva detto Karen prima che il sogno si interrompesse e poi sorrise di nuovo.
-Un giorno.-
 

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Capitolo 26
*** Epilogo ***


Quattro anni dopo
Emma aprì lo sgabello di fronte alla lapide di Karen e si sedette. Non riusciva più a inginocchiarsi nelle sue condizioni. 
Lesse la scritta incisa nel marmo e poi sorrise quando il suo sguardo si spostò sulla piccola foto accanto.
-Ehi Kar, è passato così tanto tempo dall’ultima volta che sono venuta qui. Sono successe tante di quelle cose che… che non ci crederesti mai. Alla fine ho scoperto chi ti ha fatto del male. Non riuscivo a crederci. John è sempre stato così gentile e buono con me e invece era un assassino. Ha provato ad uccidere anche me e Jet, ma adesso è in galera e non uscirà molto presto.- iniziò a dire, sfiorando la lapide con le dita.
-Quando il detective che si occupava del tuo caso mi ha detto che non avrebbe più indagato sulla tua morte mi sono presentata al locale e ho chiesto a Kian di darmi un lavoro. Ero così maledettamente convinta che chi ti avesse ucciso lavorasse lì… e invece non era così.
-Jet si occupava del bancone all'epoca. All’inizio era così scortese nei miei confronti, sai? Pensavo che non mi sopportasse. In realtà gli piacevo, ma non riusciva ad accettare la cosa e quindi se la prendeva con me.
-Non sai quante conversazioni ho origliato mentre lavoravo lì! Ed è proprio origliando una conversazione che ho scoperto che il figlio di Kian era in prigione in Russia.
-Ci sarebbero così tante cose da dire, ma…non voglio far aspettare troppo Jet.
-In ogni caso io e lui siamo partiti per Mosca e siamo andati a liberarlo. Lì ho capito che mi ero innamorata di Jet. E sai come lo so, Kar? Lo so perché la risposta alle tre domande è no. E sarà sempre no.
-Ne abbiamo passate così tante…. Non voleva stare con me perché si sentiva in colpa per suo fratello, Alec, il ragazzo di cui si serviva all’inizio John per corrompere i testimoni. Adesso è in prigione a Mosca, ma Jet parla di nuovo con lui. Prima o poi torneranno ad essere una famiglia, ne sono certa.
-Finalmente sono un avvocato a tutti gli effetti. Ho superato l’esame due anni fa. Ovviamente non lavoro più allo studio di  John, però me la cavo comunque. Per ora ricevo i clienti a casa, ma spero di poter aprire uno studio tutto mio prima o poi.
-Io e Jet ci siamo sposati l’anno scorso. Quando me l’ha chiesto ho pensato di aver capito male, ma poi lui ha tirato fuori l’anello e beh… adesso siamo marito e moglie. Anche Nat si è sposato, però molto prima di me. All’inizio ero contraria, ma poi ho capito che Nat era felice e io ero felice per lui.-
Emma sorrise. Karen le mancava ogni giorno, ma venire al cimitero e raccontarle tutto la fece stare meglio.
-E adesso tieniti forte, perché ti prenderà un colpo!-esclamò poi, elettrizzata. –Sono incinta! Ieri ho saputo il sesso del bambino, ma non l’ho ancora detto a Jet. Voglio fargli una sorpresa.... chissà come la prenderà?
-Adesso però devo andare, Kar. Tornerò presto e ti racconterò tutto, promesso.-
Emma si  alzò e richiuse lo sgabello. Sfiorò un’ultima volta l’incisione sulla lapide e tornò in macchina, dove Jet la aspettando.
Non appena la vide si affrettò subito a prenderle lo sgabello.
-Non ti sei affaticata troppo?- le chiese subito, mentre riponeva lo sgabello nel bagagliaio.
Emma alzò gli occhi al cielo. Da quanto gli aveva detto di essere incinta lui si era trasformato in uomo ansioso e iperprotettivo.
Si sedette sul sedile del passeggero e aspettò che Jet si mettesse al volante.
-No, tranquillo. Stiamo al quinto mese, Jet. Non puoi continuare in questo modo fino a quando non partorisco, lo sai vero?- chiese Emma, ridendo.
Jet si sporse per baciarla rapidamente e poi in tono serio disse :-Certo che posso Emma e lo farò. Non voglio che ti sforzi inutilmente. Tu e il bambino dovete stare tranquilli e a riposo.-
Emma sorrise e decise poi dirgli quello che aveva scoperto il giorno prima.
–È una femmina.-
Vide Jet illuminarsi. –Quando lo hai saputo?-
-Ieri.-
-Perché non me lo hai detto subito?-
-Avevo bisogno di parlare con… di venire qui prima.-
-Sarà bellissima come sua madre.- disse Jet, orgoglioso.
Emma sorrise. –Anche il padre non è così male, sai?-
Jet scoppiò a ridere. –Vorresti dire che è un uomo attraente?-
Emma annuì, stando al gioco. –Sì, ma è anche testardo come un mulo. Spero che la bambina non riprenda da lui.
-Che io sappia anche la madre è molto testarda. Non fa mai come le si dice.-
-Forse perché suo marito pretende sempre cose assurde.-
-Forse.- disse Jet, ridendo.
-Comunque ho pensato a qualche nome, intanto. Che ne dici di Elizabeth? Oppure Eleonore? In realtà sarebbero carini anche Lauren o Rachel- disse Emma, cominciando a esporre le sue proposte.
-Sono tutti molto belli, ma…-
Emma si rabbuiò. Non gli piacevano davvero. –Non è un problema.. Ne troveremo altri.- cercò di rassicurarlo.
Jet le prese il mento e la costrinse a guardarlo. –Mi piacciono Emma, sul serio. Ma avevo già pensato ad un nome in caso fosse stata una femmina.-
Emma si sorprese. Non credeva che Jet avesse pensato ad un nome.
–Quale?- chiese, curiosa.
Gli occhi di Jet si incatenarono ai suoi e poi le sorrise, raggiante.
-Karen.-
Emma sentì di avere gli occhi lucidi. –Karen?- ripeté, emozionata.
-Sì.- annuì Jet.
Emma scoppiò a piangere, ma questa volta si trattava di lacrime di gioia. Karen non sarebbe mai più tornata, ma una parte di lei sarebbe sopravvissuta per sempre.
Jet le asciugò dolcemente le lacrime sul suo viso e poi la baciò.
Emma gli prese il viso fra le mani e rispose al bacio, fino a ritrovarsi senza fiato.
A quel punto si staccò dal marito e disse, commossa: -Sarebbe perfetto.-

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