In any version of reality

di Alexiel Mihawk
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Labili alleanze e gente confusa ***
Capitolo 2: *** Sacrificio ***
Capitolo 3: *** Noir ***



Capitolo 1
*** Labili alleanze e gente confusa ***


Titolo: Labili alleanze e gente confusa

Parole: 587

Prompt: Zoro/Nami, L'isola dei famosi!AU "Io sono qui per i soldi, tu cosa speri di ottenere?"

Generi/Warning: Modern!AU, commedia

Note: scritta per la notte bianca di maridichallenge con il prompt AU; ispirata a un "vecchio" prompt di littledarkrin.



Labili alleanze e gente confusa



Non aveva ancora capito se a irritarla maggiormente fosse la sua supponenza o il modo irritante di atteggiarsi con tutti, come se lui fosse l’unico in grado di sopravvivere sull’isola. Era davvero una scocciatura perché si presentava bene: un aspetto piacente, ottime capacità di relazionarsi in un ambiente ostile e dei pettorali da far invidia a un nuotatore.

Di lui Nami sapeva solamente che era un pugile, un uomo di poche parole che non amava le interviste televisive, ma che aveva vinto innumerevoli premi; Roronoa era conosciuto nell’ambiente come lo scapolo d’oro e la giovane cominciava a pensare che l’avessero incastrato in quello stupido reality show con l’obiettivo di spingerlo verso una relazione in diretta nazionale.

Così lo aveva preso da parte, trascinandolo in un angolo in cui le telecamere non sarebbero riuscite a riprenderli. Zoro l’aveva fissata, dedicandole lo stesso sguardo che si riserva ai deficienti, sulla sua fronte si poteva leggere a caratteri cubitali quanto fosse perplesso.

«Non le faccio queste cose in diretta» aveva detto subito, mettendo le mani avanti.

«Stai zitto, imbecille» Nami gli pestò un piede, lanciandogli un’occhiata astiosa «Vediamo subito di chiarirci, io sono qui per i soldi, tu cosa speri di ottenere?»

«Ah, quello. Boh, mi pagano e mi annoiavo a casa mia» fu la laconica risposta a seguito della quale la donna fece roteare gli occhi verso l’alto.

Nami Coco era una modella, o meglio, era stata una modella molto nota, aveva posato per riviste di ogni genere e aveva viaggiato quasi dovunque, e ora si ritrovava lì, in quella stupida isola di merda, con troppo sole e troppo caldo, senza crema solare, senza olio per i capelli e, soprattutto, circondata da idioti. Il motivo era semplice, consapevole del declino veloce della carriera di chi, come lei, si basava sulla propria bellezza per guadagnare, Nami aveva deciso di mettere da parte più denaro possibile, in questo modo sperava di potersi dedicare, una volta chiusa la sua carriera nella moda, ad altro, magari investendo in una piccola attività personale.

«Sentimi bene, demente» sibilò avvicinandosi pericolosamente in avanti con il capo «Io ho intenzione di vincere e tu mi aiuterai».

«Cosa? Perché dovrei? Ma chi ti conosce?!»

«Tutti, Roronoa, letteralmente tutti mi conoscono. Molta più gente di quanta sappia chi sei tu! E lascia che ti dica un’altra cosa, la prossima volta mi voterai come leader nella prova della settimana».

«Ancora non capisco perché dovrei farlo».

«Sarò molto chiara e te lo dirò in modo che anche un beota come te possa capire» disse Nami chinandosi a prendere un bastoncino «Questo legnetto è la tua carriera adesso, sottile e fragile, quasi secca, basta un colpo di vento e crack! Si spezza» mimò il gesto, rompendo in due piccoli pezzi lo stecchino polveroso «Ora, immagina che al tuo fianco ci sia una figura amata e brillante come me, che per inciso sono molto più intelligente di quanto non pensino tutti, e immaginaci mentre collaboriamo per guidare una serie di deficienti e per scavalcarli nella corsa alla vittoria. Immagina, ancora che, dopo avere vinto, tutti ti vedano sotto una nuova virilissima luce e che tu riesca ad ottenere il 40% del premio...»

«Non so mica quanto sia il 40%»

«Oh Santo Cielo! Sei senza speranza. Facciamo così, ora ti giri, mi prendi in spalle e mi riporti in spiaggia, dove fingerai che mi sia storta la caviglia e la medicherai».

«Ma non ti sei storta la caviglia… Oh. Sei un vera strega!»

«Taci e prendimi in braccio!»

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Capitolo 2
*** Sacrificio ***


Autore: Alexiel Mihawk | alexiel_hamona
Titolo: Sacrificio
Fandom: One Piece
Personaggi: Nami, Zoro Roronoa
Genere: Commedia
Warning: //
Rating: SAFE / SFW
Prompt: sacrificio
Parole: 253
Note: storia scritta per il Cow-T #6 indetto da Mari di Challenge; è una AU in un universo non ben specificato, ma non mi sono immaginata una nave, ecco. Ed è molto corta, lo so, ma rimedieremo a breve, fidatevi.


Sacrificio


«Come sarebbe a dire che dovrei esserti grato?»
Nami lo fissa con lo stesso sguardo di sufficienza che si riserva ai bambini che non sono in grado di capire i concetto dopo la quindicesima volta che gli vengono rispiegati.
«Abbiamo fatto sesso».
Zoro sbatte una mano sul cuscino e muove leggermente la testa con aria seccata.
«Lo so anche io, c'ero, e non mi sembrava che ti dispiacesse».
«Infatti mica ho detto che mi è dispiaciuto, dico solo che dovresti essermi grato».
«E di cosa?» domanda l'uomo, cercando di scacciare un pensiero fastidioso – perché non può essere che gli stia dicendo quello.
«Senti bello, parliamoci chiaro, qui non si fa beneficenza a nessuno, quindi vedi di renderti conto che dartela è stata un estremo sacrificio, un sacrificio di cui dovresti essermi grato, soprattutto visto che non ti sto addebitando nemmeno un Berry».
«Nami, quella sarebbe prostituzione».
«No, quelli si chiamano affari, cocco, e dovresti essermi grato per non averti fatto pagare!»
Zoro si alza in piedi e scuote il capo, vorrebbe ribattere qualcosa, ma non trova le parole quindi si passa una mano sugli occhi con aria stanca.
«Non mi stai prendendo sul serio!» borbotta la donna, irritata.
«No, chiaramente no».
«Come sarebbe a dire no? Insomma, dovresti saperlo che per me gli affari sono affari» si lamenta, incrociando le braccia sotto al seno e sbuffando.
«Lo so benissimo, ma, Nami» continua Zoro, ghignando appena, mentre la supera in una falcata e si dirige verso la cucina «Stiamo insieme da cinque anni...»


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Capitolo 3
*** Noir ***


Rating: NSFW
Prompt: ONE PIECE, Nami/Zoro, Au!Noir Zoro investigatore/Nami femme fatale
Note: questa storia è stata scritta per il porn fest 9 di Fanfic Italia. Non è betata quindi potrebbero essere presenti errori.


Noir


Come sempre, in questa fetida città, piove.
L'acqua è fredda e scivola rapida sul mio impermeabile chiaro, oramai zuppo, anche il cappello serve a poco, se non a nascondere il mio volto seccato nella penombra della sera; fa un freddo fottuto e comincio a pentirmi di avere accettato questo maledetto incarico, ma, come al solito, mi servono soldi.
La luce fioca del lampione accanto a cui aspetto con impazienza illumina a malapena il tratto di strada davanti a me, siano maledette la pioggia e la nebbia. Persino il refolo di fumo della sigaretta che sto fumando si confonde tra gli spessi banchi grigi che mi occludono la visuale.
Avrei dovuto rifiutare nel momento stesso in cui quel tizio è entrato nel mio ufficio; capelli rossi che sembravano non avere mai visto un pettine in vita loro e tre cicatrici su occhio (un animale durante una battuta di caccia, aveva detto, ma oramai sono in grado di percepire quando la gente mi sta mentendo), avrei dovuto riconoscerlo subito, avrei dovuto capire che non era un tipo raccomandabile, ma quell'assegno a quattro zeri era un'occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire, troppo invitante.
«Devi solo trovare la donna».
E io l'ho fatto, l'ho cercata in ogni bettola di questa città puzzolente, ogni locale, da quelli più eleganti, avvolti in una patina di lusso e ipocrisia, a quelli più schifosi, dove non entreresti nemmeno per usare il cesso. Alla fine l'ho trovata, anche se la foto in bianco e nero che mi è stata consegnata non le rende giustizia. Non è stato facile, si era nascosta bene, sapeva che la stanno cercando, lo sa ancora, e non sembra tipo da cedere facilmente.
Si muove tra i tavoli di uno squallido locale, anche se locale non è il termine adatto, l'ho riconosciuto quel posto e non è di sicuro un luogo raccomandabile, anche se è perfetto per nascondersi; in fondo nessuno andrebbe a cercare una donna come lei in un bordello, sicuramente non uno squallido come quello.
La donna che lo gestisce si chiama Shakuyaku e a Rouge Town la conoscono tutti, perfino io; non che possa dire di conoscerla davvero, le nostre strade si sono incontrate una sola volta, molti anni fa, quando ancora in questo schifo di città si riusciva a vedere il cielo, prima che le nubi tossiche dei gas di scarico avvolgessero ogni cosa.
Spengo il mozzicone di sigaretta con il tacco della scarpa e mi decido ad entrare, questo gelo del cazzo mi è penetrato fin dentro le ossa e non ha più senso che io rimanga qui ad aspettare, non ora che sono sicuro che sia lei.
La porta si apre con un cigolio sinistro e il calore dell'interno mi avvolge come un abbraccio, seguito poco dopo dal lezzo maleodorante di sesso misto ad alcool, il fetore caratteristico di questa città.
Lo ignoro, ci sono abituato.
Al momento tutto quello che mi interessa è la ragazza e lei pare averlo intuito. Ovviamente non è la sola.
«Roronoa Zoro, se questo non è un fortunato scherzo del destino».
«Shakky» maledetta strega, detesto quando usa quel tono di voce. Sa qualcosa che io non so e sa anche che non vedo l'ora di scoprire di cosa si tratti.
La rossa mi guarda da dietro le sue lunghe ciglia scure e riesco a intravedere un sorriso di soddisfazione piegarle le labbra, diamine, non sono stupito che quel tizio stia smuovendo mari e monti pur di ritrovarla. Improvvisamente non mi sento più così sicuro di me, forse chiamare Shanks per rivelargli dove si trova la ragazza non è un'idea così brillante: Shakky sembra capirlo.
«Seguimi».
Sono trascorsi più di dieci anni dall'ultima volta che ho messo piede nel suo ufficio, il legno è marcio e la tappezzeria alle pareti è sempre la stessa, macchiata in più punti, con quell'insopportabile decorazione floreale. Shakuyaku fuma una sigaretta sottile, posta all'estremità di un bocchino nero che deve avere aver visto tempi migliori, mi osserva, seduta su una sedia di pelle sbrindellata e se non la conoscessi penserei che mi stia studiando. Malauguratamente per me la conosco fin troppo bene e sono sicuro che lo stia facendo, sta valutando cosa dirmi, in che misura e quali parole usare; ho sempre odiato queste situazioni, non sono un uomo paziente e preferisco i modi spicci a quelli calcolati di gente come lei.
«Sei qui per Nami, non è così?»
Mi tolgo il cappello, appoggiandolo davanti a lei, e con gesti lenti mi accendo una sigaretta, la guardo appena oltre la fiammella tremolante dell'accendino.
«È così che si chiama la ragazza?»
«Non ti hanno nemmeno detto il suo nome?»
«Il rosso non è uno di molte parole, dovresti saperlo, in compenso paga bene».
«E quindi tu non hai esitato ad accettare il lavoro, come biasimarti, Roronoa, sanno tutti che non navighi nell'oro».
«Quindi saprai che non potevo certo rifiutare».
«So che avresti potuto chiedere più informazioni».
Scuoto la testa, so che ha ragione, ma so anche che è perfettamente consapevole del perché non abbia fatto domande al Rosso. Nessuno fa domande al Rosso.
«Vuoi saperla la sua storia? O pensi ancora che non fare domande sia meglio?»
Non rispondo, non ho intenzione di farlo, di chiacchiere ne ho già sentite troppe.
«Lui lo avrebbe fatto, avrebbe ascoltato e avrebbe deciso di fare la cosa giusta».
Questo è un colpo basso, lo sappiamo entrambi; nominarlo davanti a me è un modo quasi sicuro per ottenere un favore, o una pallottola in mezzo agli occhi. A Shakky però non posso sparare, quindi mi limito a sedermi, in silenzio, mentre al piano di sotto qualcuno infila una moneta nel juke box e fa partire un jazz malinconico.

La cosa giusta.
Quando ho iniziato a fare questo lavoro ero davvero convinto che fosse quello l'importante: fare la cosa giusta, aiutare la gente, essere il braccio della giustizia là dove la giustizia ufficiale (quella col distintivo, quella corrotta vestita di blu) non poteva arrivare.
Non so bene quando sia stato che ho perso la speranza; il mio nuovo collega sostiene che sono morto dentro, che ho perso fiducia in qualsiasi cosa nel momento in cui mi sono ritrovato a stringere il corpo senza vita del mio migliore amico, del mio partner, in un vicolo buio di questa città marcia, tra pozze di pioggia e puzza di piscio.
Forse è vero, ma non ha importanza.
Shakuyaku è riuscita a fare leva sulla mia coscienza e ora già penso con rimpianto ai soldi che non incasserò. Al diavolo la cosa giusta.
Sono seduto su un divano foderato in quello che sembra velluto verde, forse una volta il colore era più chiaro, ma ora ha la stessa tonalità di una divisa militare; mi chiedo chi possa volersi sedere su un oggetto simile in un bordello, oltre me, ben inteso.
Non la sento arrivare e quando si siede accanto a me trattengo a malapena una bestemmia.
È fasciata in un vestito scuro e mi fissa con occhi da cerbiatto, capisco sempre di più perché il Rosso abbia perso la testa per questa donna; mi sorride appena, e allunga un braccio fino a sfiorare il mio. Non devo essere un grande spettacolo, i miei abiti sono vecchi, leggermente consunti e sporchi, non è un lavoro piacevole il mio, e di riflesso non lo è niente di ciò che mi circonda. Nemmeno io sono una persona piacevole, almeno ne sono consapevole.
«Vorrei ringraziarti» dice con voce suadente e, dannazione, quando mi tira in piedi non riesco a opporre resistenza.
In fondo, chi opporrebbe resistenza a una donna del genere?
La camera in cui mi trascina è troppo bella per un posto come quello, ma anche Nami lo è e quindi non mi stupisco più di tanto.
Il suo vestito cade con un fruscio di seta e lei rimane nuda davanti a me, il sorriso non è ancora sparito dal suo volto, ma vedo brillare nei suoi occhi una traccia di quella che potrebbe essere irritazione; con che diritto, poi, dovrei essere io quello irritato!
«Credo che tu sia troppo vestito, signor investigatore».
Non faccio a tempo a replicare che le sue mani sono già sulla cintura dei miei pantaloni, più veloci di quanto non avrei potuto immaginare; cadono ai miei piedi e sento le sue mani morbide infilarsi sotto l'elastico delle mutande e accarezzare leggermente il mio membro.
«Cosa stai facendo?»
«Mi sembra chiaro, sto cercando di ringraziarti, non capita tutti i giorni, sai?»
Deglutisco, cercando di non bestemmiare: non mi sembra fine.
Quando la sua bocca si chiude sulla punta del mio pene sento la gola seccarsi e non riesco ad evitare che la mia mano scivoli tra i suoi capelli; probabilmente se il rosso sapesse cosa sto facendo in questo momento con quella che considera la “sua” donna mi ucciderebbe.
Decido che non mi importa.
«Alzati» borbotto, la mia voce è appena udibile, ma lei capisce lo stesso e si tira in piedi, fissandomi con aria divertita.
Le mie mani non sono delicate come le sue; la sollevo senza cerimonie e la butto sul letto, facendomi scivolare alle spalle i vestiti che mi sono solo di impiccio.
«Quindi non sei poi così lento come pensavo» sussurra, attirandomi verso di sé e mordendomi il lobo dell'orecchio.
Non rispondo, ma affondo il viso tra i suoi seni, sono sodi e morbidi, non sono mai stato con una donna così bella e non sono sicuro che ricapiterà mai. Quando affondo dentro di lei è il suo turno di trattenere il respiro; mi chiede il mio nome, e inarca la schiena cercando di seguire il ritmo dei miei fianchi.
Quando raggiunge l'orgasmo mi affonda le unghie nelle spalle a getta il capo all'indietro, i suoi capelli si trasformano in una cascata arancione e per un secondo perdo la concentrazione, fissando i suoi occhi appannati e perdendomi anche io nel piacere.
Vengo dentro di lei e ne emergo subito dopo, rialzandomi senza girarmi.
«Grazie» borbotto rivestendomi.
«Oh no, grazie a te» risponde allungandosi come una gatta sulle lenzuola.
Mi allontano e raggiungo la porta, pronto a ributtarmi nel mondo, pronto a tornare alla realtà e a dimenticarmi di lei. Dovrò pensare a come gestire il mio cliente, dovrò ammettere di non averla trovata o peggio, passerò un brutto quarto d'ora.
Lo sa anche lei cosa sto rischiando, ma forse per una volta fare la cosa giusta mi farà sentire meglio.
«Addio» borbotto, aprendo la porta della stanza. Quindi mi blocco «Non l'ho fatto per te».
«Forse no» risponde piano «Ma l'hai fatto e lo rifarai».
Trattengo una bestemmia, ancora una volta.
Dopotutto questa donna non sa niente di me, non ha idea di cosa voglia dire per me rinunciare a tutti quei fottuti soldi.
La porta si chiude alle mie spalle, cigolando piano e io faccio in tempo a sentirla sussurrare un timido “Arrivederci”.
Questa volta bestemmio davvero.
Esco da quel fetido posto, la notte fredda mi attende, la pioggia continua a cadere, mentre mi allontano a passi veloci, fiancheggiando il muro, tornando a bagnarmi.
Mi allontano più che posso, ma dentro di me so già che tornerò.


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