Lost FMA: corso di coesistenza

di Fiamma Drakon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ma perché a me...? ***
Capitolo 2: *** Inferno targato Mustang... ***
Capitolo 3: *** Puma domestico, meglio di così... ***
Capitolo 4: *** Siamo senza speranza... ***
Capitolo 5: *** Finalmente... salvi? ***



Capitolo 1
*** Ma perché a me...? ***


1_ Ma perché a me...? Ma perché a me...?
Non si sa né come né tantomeno perché, quando Edward riprese i sensi si ritrovò disteso su qualcosa di morbido, sotto l’accecante luce solare. Si sentiva scombussolato, con un gran mal di testa.
Con uno sforzo, riuscì a mettersi seduto.
- Al...? Al ci sei? - mormorò il biondo, strofinandosi la testa.
- Fratellone! Ti sei svegliato! - gli rispose la familiare voce di Alphonse.
- Acciaio? - lo chiamò un’altra voce maschile, talmente familiare da gelargli il sangue nelle vene.
Non era logicamente possibile, eppure doveva essere per forza così: lì con loro c’era anche il...
- Colonnello? Roy Mustang? È lei? - domandò Edward.
- Chi altri vuoi che sia? - gli rispose con sarcasmo il moro.
Edward, nonostante sapesse che di lì a poco si sarebbe scatenato l’inferno in senso strettamente letterale, si costrinse ad aprire gli occhi: l’unica cosa che vide fu un’immensa distesa azzurra.
- Mare? Siamo al mare? - chiese ancora il biondo, perplesso, guardandosi intorno: erano seduti su una spiaggia.
- No, non siamo al mare Acciaio. Siamo su un maledetto sputo di terra sperso in chissà quale remota parte del mondo! - ribatté seccamente il colonnello.
- E a questa conclusione come diavolo ci è arrivato? - domandò Edward.
- Uhm... come posso spiegartelo affinché il tuo misero intelletto possa arrivare a capire tale concetto? Ah, sì! SIAMO CIRCONDATI DA ACQUA! - esclamò Mustang, paonazzo.
Edward avvampò di rabbia: ma perché il colonnello ci si divertiva tanto a prenderlo per i fondelli?!
- Guardi che ho capito! Aspetti... come abbiamo fatto a finire qui? - chiese il biondo.
- Non ne ho la minima idea! - rispose con veemenza quest’ultimo.
Edward si alzò e assunse un’aria importante.
- Ce ne andremo con l’Alchimia! - esclamò, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
- Fratellone, asp...! - s’intromise Alphonse, ma Edward non lo stava ad ascoltare: congiunse le mani e le puntò deciso a terra.
Silenzio. Perfetto, assoluto silenzio.
Edward si rialzò, visibilmente spiazzato.
- Ma che...? Come mai l’Alchimia non funziona? - chiese, sorpreso e confuso.
- Ho cercato di dirtelo... abbiamo già provato ad usare l’Alchimia, ma niente! - spiegò Alphonse.
- Come niente? Viviamo in un mondo dominato dall’Alchimia e vieni a dirmi che esiste un posto dove l’Alchimia non funziona? Mi stai prendendo in giro, vero?! - esclamò Edward.
- No che non ti sta prendendo in giro! Acciaio, se qui qualcuno ha il diritto di prenderti per i fondelli, quello sono io! - esclamò il colonnello.
- Ma chiuda il becco, razza di pervertito militare! - ribatté Edward.
- Come ti permetti?! Sono un tuo superiore - disse il moro, alzandosi in piedi in tutta la sua altezza.
Quella fu la goccia che fece traboccare il piccolo vaso della pazienza del biondo, che si alzò in piedi e puntò i suoi occhi in quelli del colonnello. Alphonse, che osservava la scena pronto ad intervenire in caso il litigio fosse degenerato, avrebbe giurato che si stessero mandando lampi d’odio attraverso quegli sguardi di puro disprezzo reciproco.
Con scatti contemporanei e repentini, i due furono l’uno dinanzi all’altro, in posizione d’attacco.
- No! Colonnello, si fermi! Fratellone, smettila! - esclamò Alphonse, afferrando Edward da dietro per le braccia e alzandolo da terra.
- AL, MALEDIZIONE! LASCIAMI ANDARE! VOGLIO SQUARTARLO VIVO QUEL...! -
- Fratellone, basta! -
Nel frattempo, mentre Alphonse impiegava tutte le sue energie per impedire ai due alchimisti di uccidersi a vicenda, nell’ufficio del colonnello Mustang al Quartier Generale dell’Est, la tenente Hawkeye discuteva con la sua compagna di malefatte.
- Credi che sia stata una buona idea spedirli su quell’isola sperduta? Sinceramente, non penso che il colonnello e Edward riusciranno a convivere pacificamente... - esclamò la tenente.
- Non si preoccupi, ho preso le mie misure di precauzione, per questo ho coinvolto anche Alphonse... - disse Fiamma, seduta sulla scrivania del colonnello ad osservare la tenente Hawkeye.
- Speriamo che quel ragazzo riesca a tenerli a bada... - mormorò la tenente, preoccupata.
- Li abbiamo mandati lì giusto per questo: quei due devono imparare a coesistere... - proseguì Fiamma.
- Ma siamo sicure che... -
- Con Alphonse nei paraggi, Edward non oserà torcere un capello al colonnello... - disse la rossa.
Nel frattempo...
- IO LO AMMAZZO! LO AMMAZZO! - sbraitava Edward, mentre Alphonse cercava con tutte le sue forze di tenerlo lontano da Mustang, che continuava a provocarlo.
- Ma guarda che tenerezza quel piccolo Eddicuccio amoroso di mammina... lo vuoi un po’ di latte? - lo schernì il colonnello ancora una volta.
- ORA BASTA!     - urlò il biondo a pieni polmoni. Nonostante fosse più di mezz’ora che si agitava e urlava a squarciagola, non aveva ancora finito la voce.
Edward sfuggì alla presa di Alphonse e partì alla carica del colonnello, che si preparò e schioccò le dita.
Nessuna reazione.
- Accidenti, me ne ero dimenticato! - esclamò.
Edward era quasi addosso al colonnello, quando Alphonse lo raggiunse e lo prese per la treccia, fermandolo.
- AHIII!!! - gridò Edward, bloccandosi.
- Fratellone, smettila di comportarti da bambino! E lei colonnello, la smetta di provocarlo! - li rimproverò Alphonse.
I due si zittirono: parevano due bambini di prima elementare sgridati dal maestro.
- Scusa... - esclamarono i due in coro, in perfetta sintonia con la loro parte infantile.
- Ora... sarà il caso di perlustrare un po’ la zona... andiamo... - disse, avviandosi verso la fitta vegetazione che si estendeva alle loro spalle.
Il trio si addentrò così nella foresta.
- Fratellone... che hai? Non ti senti bene? - chiese Alphonse, guardando il biondo, che camminava di fianco a lui.
- ...! - rispose quest’ultimo.
- Eh? - chiese Alphonse.
Edward iniziò a sbracciarsi e muovere la bocca in silenzio.
- Gli è andata via la voce... finalmente... - intervenne il colonnello, che camminava avanti a loro.
Il biondo scoccò un’occhiata iniettata di odio puro verso Mustang.
- Davvero? - domandò Alphonse.
Edward annuì, piegando le spalle in avanti: la voce era l’unico modo che aveva per comunicare. Non era mai stato bravo a mimare.
Fra i tre cadde uno strano silenzio, rotto solo dal rumore dei loro passi.
Edward, impossibilitato ad esprimersi, s’immerse in quell’oscuro specchio lacustre senza fondo che erano i suoi pensieri: era incredibile anzi, impossibile che si ritrovasse in un posto sperduto incapace di usare l’Alchimia e per di più in compagnia di quel lavativo del colonnello. Probabilmente era l’inferno. No, pensandoci meglio, quello non poteva essere l’inferno: non aveva commesso peccati così esagerati da meritarsi una tortura eterna targata Mustang. Era la peggior pena che potesse essergli inflitta, sia da vivo che da morto.
- Fratellone...? -
La voce timida di Alphonse interruppe il flusso dei suoi pensieri.
Il biondo alzò gli occhi e si guardò intorno: erano arrivati in una piccola radura poco illuminata, al centro della quale stava fermo il colonnello.
- Direi che possiamo accamparci qui... - disse quest’ultimo, voltandosi verso Alphonse.
- Fratellone...? - chiese l’armatura, esitante.
Edward, non potendo litigare apertamente con Mustang, si arrese e annuì.
D’un tratto, lo stomaco del biondo brontolò. Suo fratello e il colonnello si voltarono verso Edward, che avvampò per l’imbarazzo: ma perché doveva sempre essere al centro dell’attenzione?
- Hai fame, fratellone? - gli chiese Alphonse.
Edward chinò la testa, prima di annuire appena.
- Grandioso! Ora che Acciaio ha fame siamo davvero a posto... e ora cosa manca... una bella tempesta? - esclamò Mustang.
Classica predizione dell’uccellaccio del malaugurio: scoppiò a piovere.
Il colonnello rimase perfettamente immobile. Edward lo fissava inespressivo, mentre dentro di lui si scatenava un piccolo moto di gioia. - Uccellaccio del malaugurio, uccellaccio del malaugurio... - continuava a ripetersi dentro, mentre un sorrisetto cattivo gli si dipingeva in faccia.
- Sarà il caso di costruire un riparo... non voglio arrugginirmi... - disse Alphonse.
Edward annuì.
I tre si separarono e, in poco tempo, riuscirono a recuperare lo stretto indispensabile per costruirsi un piccolo riparo. Era semplice, niente di speciale e difficilmente ci sarebbero entrati tutti e tre ma, stranamente, ci riuscirono.
Stretti sotto il riparo improvvisato, rimasero in silenzio, chi per impossibilità di parlare, chi per semplice imbarazzo, chi altro per la consapevolezza di essere la causa di quel nubifragio. I minuti trascorrevano inesorabili, trasformandosi in ore, mentre la pioggia continuava a scrosciare e Edward pativa la fame. Era da stupidi pensare che di lì a qualche minuto sarebbe spuntata Fiamma e gli avrebbe detto che era tutto uno scherzo. Eppure, era l’unica consolazione che sapeva trovare per stare stretto fra il colonnello e Alphonse, invece di tentare il suicidio gettandosi in mare. Ma perché erano finiti su quella maledettissima isola dove l’Alchimia non funzionava? Era il dubbio più pressante che gli si affacciava alla mente, al confronto del quale la fame era un bisogno irrilevante, almeno per il momento.
L’unica cosa che si ricordava era Fiamma. Poi la spiaggia, qualche ora prima. Era tremendamente frustrante non avere la minima idea di cosa stesse succedendo.
Il biondo si strinse le ginocchia al petto , mentre la pioggia aumentava. Faceva insolitamente freddo. Rannicchiato fra gli altri due, Edward alzò lo sguardo e lo puntò di fronte a sé.
Perché non la smetteva di piovere?
- Almeno non grandina... - mormorò il colonnello.
Altra classica predizione dell’uccellaccio del malaugurio: iniziò a grandinare.
Edward sospirò, sollevato: se non altro, per la certezza che il colonnello fosse davvero una fonte di sfortuna e che, per questo, sarebbe impazzito, avrebbe tentato il suicidio e sarebbe... morto. L’idea accese un piccolo barlume nel subconscio del biondo, riscaldandolo interiormente.
Il suo stomaco brontolò ancora e lui sospirò, afflitto. Niente cibo, niente acqua... niente Alchimia. Pareva proprio una replica piuttosto scadente del mese che lui e Alphonse avevano trascorso da soli su un’isola deserta. Almeno, quella era stata un’escursione, se così si poteva definire, giustificata. Ma quella non aveva niente a che vedere con tutto ciò: niente addestramento dopo, ammesso e concesso che esistesse un dopo. Erano completamente soli e dovevano trovare il modo di sopravvivere finché non avessero trovato il modo di andarsene.
In quel preciso istante, cessò pian piano di grandinare.
- Finalmente a sm...! -.
Il colonnello non ebbe tempo di finire la frase che Edward e Alphonse gli avevano già tappato a bocca.
- No. Non si azzardi a dire nulla... - gli intimò Alphonse, mentre Edward annuiva.
Quando tolsero le mani dalla bocca del moro, questo si alzò imbronciato e si allontanò un poco.
- E adesso? – chiese Alphonse.
Lo stomaco di Edward rispose al posto suo.
- Ok... andiamo a cercare qualcosa da mangiare... – disse l’armatura. Il biondo assentì.
Così, il terzetto di alchimisti si avventurò coraggiosamente nelle tenebrose profondità della foresta che circondava la loro semplice e rudimentale base alla ricerca di cibo.
Durante la ricognizione, anche il colonnello iniziò a sentire i primi morsi della fame, ma cercò di non darlo a vedere.
Alphonse procedeva abbastanza spedito nel fitto sottobosco. Lo stesso però, non si poteva dire di Edward e Mustang, che gli arrancavano dietro facendo attenzione a non inciampare nelle nodose radici che coprivano il suolo o, peggio ancora, a non incappare nei micidiali cespugli di rovi disseminati qua e là lungo il margine del sentiero.
Ritornarono al campo base senza averci guadagnato niente a parte vestiti laceri e graffietti un po’ ovunque.
Distrutti, Fuoco e Acciaio si lasciarono cadere sul terreno della radura, respirando profondamente.
- Stanchi? – chiese Alphonse.
- Oh, no... assolutamente... – boccheggiò il colonnello, sedendosi a fatica sul terreno.
Edward si limitò a stare in silenzio: era senza voce e per di più senza fiato.
Il suo stomaco brontolò ancora, accompagnato da quello di Mustang. I due si scambiarono un’occhiata abbastanza imbarazzata da far capire ad Al che era meglio far finta di niente.
Il moro e il biondo si scambiarono un intenso sguardo di sfida: Edward, nonostante avesse una fame tremenda, non si sarebbe arreso ad essa prima del colonnello. La sua era una scelta dettata più che altro dall’orgoglio e Mustang sembrava non essere da meno.
Alphonse si arrese all’evidente scontro di volontà dei due e li lasciò da soli: inutile anche solo provare a convincerli a desistere.
Ben presto, il cielo si tinse dei tipici colori del tramonto. Edward e Mustang non erano ancora pronti a cessare i loro litigi psicologici, ma dovettero poi arrendersi alla stanchezza che non tardò a sopraffarli.
Edward, ancora incapace di parlare, si limitò a sbadigliare e si rannicchiò al riparo del piccolo e semplice rifugio costruito quel pomeriggio.
Mustang si distese accanto a lui e Alphonse si accovacciò a destra del fratello.
Ben presto, i tre caddero in un sonno profondo.

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Capitolo 2
*** Inferno targato Mustang... ***


2_Inferno targato Mustang... Inferno targato Mustang...
- Edward... - lo chiamò una voce maschile stranamente familiare. Il biondo era immerso in una confortevole semioscurità che lo circondava quasi completamente.
- Edward...! - lo chiamò di nuovo la stessa voce. Lui non sapeva spiegarsi il perché, eppure si sentiva stranamente impaurito da quella voce, dalla presenza che stava per incontrare da vicino.
In lontananza, apparve una figura vestita di blu, che correva verso di lui sbracciandosi.
- Oh, Edward! - ripeté ancora, avvicinandosi rapidamente.
Il biondo era paralizzato dall’orrore, incapace di muoversi. Perché quella figura gli incuteva una così profonda paura?
Quando fu più vicina, Edward poté notare che era una ragazza con corti capelli neri e gli occhi scuri, con indosso un completo blu scuro che gli era stranamente familiare. Quando lei gli fu addosso, lo strinse in un abbraccio che per poco non gli frantumò l’auto-mail e le ossa. Non sembrava poi così cattiva all’apparenza...
- Oh, mio piccolo Eddicuccio amoroso d’acciaio! - esclamò la ragazza.
Il biondo si pietrificò. Come...?
D’un tratto, la luce soffusa che lo circondava si tramutò in una piana infuocata accesa da alte fiamme che si lambivano vicendevolmente. Una vera e propria riproduzione dell’inferno, tale e quale a quella che Edward s’immaginava.
La ragazza si allontanò di qualche passo e, sotto lo sconcertato sguardo di Edward, si trasformò nel colonnello Mustang, che se la rideva di gusto.
- Patirai le pene dell’inferno, Acciaio! MWUAHAHAHAH! - esclamò, ridendo perfidamente.
Edward si ritrovò improvvisamente circondato da cloni del colonnello in versione femminile, che si contendevano il suo primo...!
Edward aprì di scatto gli occhi e si mise seduto, respirando profondamente. Era madido di sudore. Si tastò il braccio destro e si assicurò che fosse ancora integro, prima di rilassare i muscoli. Era stato solo un incubo. Un brutto, orribile incubo che riguardava l’uomo che dormiva beatamente al suo fianco. D’istinto, Edward si alzò e si allontanò da lui di qualche passo: dopo l’incubo di quella notte, era certo di essere ad un passo da tentare il suicidio. In fondo, si era aspettato una sorta di “Inferno targato Mustang”, ma non pensava che fosse così... vivido.
Il biondo rabbrividì al pensiero che stava per baciare una di quelle versioni in gonnella del colonnello. Altro che incubo: quello era davvero l’Inferno!
Edward si guardò intorno: non c’era neanche l’ombra di una pozza d’acqua e lui aveva un disperato bisogno di sciacquarsi il viso, nella speranza che l’acqua fresca avrebbe lavato via anche l’incubo. Così, ben sveglio e vigile, si addentrò nella foresta.
A giudicare dalla tenue luce che riusciva a filtrare fra i rami era l’alba. Edward girovagò alla disperata ricerca di acqua finché non sentì lo scrosciare tipico delle cascate. Rincuorato, il biondo iniziò a camminare rapido nella direzione dalla quale proveniva il rumore, senza badare ai rovi che gli squarciavano i pantaloni segnandogli la pelle. Pian piano, accelerò il passo finché non si ritrovò a correre a perdifiato, facendosi largo fra la fitta vegetazione.
Spostando l’ennesimo ramoscello, inciampò in una radice e cadde su un cespuglio di rovi. L’urlo del biondo riecheggiò fra gli alberi e cessò solo quando questo si accorse che...
- M-mi è tornata la voce...! Posso... posso parlare di nuovo! - esclamò, rialzandosi.
Euforico per aver ritrovato ciò che aveva perduto, Edward riprese a camminare verso il rumore di acqua.
Arrivò a destinazione qualche minuto dopo, quando si trovò di fronte ad un’enorme pozza d’acqua limpida che scrosciava giù da una rupe alta una ventina di metri circa. All’intorno c’era solo erba verde e rigogliosa. Il biondo raggiunse la sponda dello specchio acquatico e si inginocchiò. Rispecchiandosi in esso, notò due profonde occhiaie che gli cerchiavano gli occhi e il viso sgraffiato sulle guance: i segni incombenti della nottataccia appena passata. Cercò di ignorare gli occhi stanchi che lo fissavano di rimando dalla superficie liscia e trasparente e vi immerse il viso. L’acqua fresca ebbe un effetto incredibile sul biondo, che ne riemerse qualche istante dopo con i ciuffi di capelli gocciolanti. Si sentiva benissimo: ogni segno dell’incubo era sparito. Già che era lì, decise di fare un bagno, tanto per allungare quel brevissimo periodo di riposo che lo separava dal rivedere il colonnello. Si spogliò e si tuffò in acqua, sparendo sotto la superficie.
Nel frattempo, mentre il biondo si concedeva preziosissimi attimi di relax...
Il colonnello fu svegliato da tremendi scossoni, che lo costrinsero ad uscire dal vividissimo sogno che stava vivendo, pieno di affascinanti donne in minigonna. La prima cosa che vide anzi, che sentì, fu lo strano vuoto accanto a sé. Si mise seduto e si trovò davanti Alphonse.
- Sei stato tu a svegliarmi? - chiese il colonnello irritato.
- ED NON C’È PIÙ! - esclamò Alphonse preoccupato.
Mustang rimase immobile per quelle che parvero ore. Sembrava che non respirasse nemmeno e Al temette di doverlo schiaffeggiare per farlo rinvenire. Poi il moro parlò di nuovo:
- Acciaio è sparito? - domandò, esitante.
- Sì... non è da nessuna parte! - gli rispose l’armatura.
Il colonnello si alzò lentamente in piedi e rimase immobile a fissare un punto inesistente dinanzi a sé, poi cadde in ginocchio.
- Colonnello! - disse Alphonse, angosciato, facendo qualche passo verso di lui.
Mustang alzò le braccia al cielo in segno di trionfo.
- ACCIAIO SE N’È ANDATO!!! SÌÌÌÌÌ! - gridò.
- E io che credevo si stesse disperando... - mormorò l’armatura a mezza voce.
Il colonnello si alzò e iniziò a saltellare come una gazzella ripetendo: - Acciaio se n’è andato! Shalalalà! -.
Alphonse rimase perfettamente silenzioso e immobile: era indeciso fra legare il colonnello ad un albero e aspettare che rinsavisse o trascinarlo in catene alla ricerca di Edward. Purtroppo, senza l’Alchimia, era a corto di catene e funi, così lo trascinò per il colletto fra la vegetazione, mentre il moro continuava con la sua euforica, patetica nenia. Alphonse dovette impiegare tutta la sua infinita pazienza di martire per sopportarlo impassibilmente. Starlo a sentire era molto peggio che sopportare suo fratello: almeno con Edward si trattava di legame di sangue, nel senso più strettamente letterale possibile, mentre nei confronti del colonnello impersonava più la parte del baby-sitter, soprattutto in quel momento.
In quel mentre, un rumore d’acqua scrosciante attirò l’attenzione di Alphonse, che si voltò verso i cespugli alla sua destra. Un’idea gli baluginò fulminea nella mente: che suo fratello fosse...?!
Senza perdere un minuto, s’inoltrò fra i cespugli, senza far più caso al colonnello.
Proseguì per un bel pezzo alla cieca, facendosi largo nel fitto sottobosco, mentre il rumore provocato dall’acqua aumentava passo dopo passo.
La sua stazza di quasi due metri lo aiutò a scorgere una grande pozza d’acqua da qualche metro di distanza. Rimase a fissarla per qualche secondo, prima d’individuare una massa di vestiti neri e rossi lasciati vicino ad una sponda del lago.
- Fratellone...? - si chiese Alphonse ad alta voce. Mustang lo sentì e, liberatosi dalla presa dell’armatura, si rimise in piedi.
- Cosa?! - esclamò, spostando lo sguardo attorno a sé, fermandolo poi sulla superficie dell’acqua, che venne infranta d’un tratto da una massa di capelli biondi.
- Non è possibile... - mormorò il colonnello, atterrito.
Prima che Alphonse se ne rendesse conto, Mustang si lanciò a razzo verso Edward, che nuotava tranquillamente nell’acqua.
Con uno slancio formidabile, l’Alchimista di Fuoco saltò fuori dai cespugli e balzò in acqua.
- ACCIAIO!!! - urlò a pieni polmoni, avventandosi sul biondo che, colto alla sprovvista, non riuscì ad evitare l’assalto del moro.
- Razza di...! - esclamò Mustang, afferrando Edward per il collo e iniziando a strangolarlo.
- Col... m... las...! - esalò il biondo, cercando di allentare la presa del colonnello attorno alla propria gola.
Alphonse corse verso i due.
- Acciaio! Come fai ad essere ancora vivo?! Dovevi sparire per non tornare mai più! - gli ringhiò contro Mustang, scuotendolo con foga quasi maniacale.
- M... las... Al... ai...! - emise Edward, sul punto di morire per soffocamento.
Alphonse saltò nell’acqua, che gli arrivava alle ginocchia e riuscì ad allentare la morsa che il moro aveva stretto attorno alla gola di Edward. Trattenendo il colonnello per le braccia, l’armatura si issò il fratello sulle spalle e li riportò tutti e due sulla sponda.
Edward si distese sulla riva respirando profondamente, mentre suo fratello teneva fermo Mustang, che continuava ad agitarsi e sbraitare.
- ACCIAIO! TI AMMAZZO! ELRIC, LASCIAMI ANDARE! SE NON È MORTO DA SOLO LO FACCIO FUORI IO! - urlò il colonnello.
- Fratellone... tutto bene? - chiese Alphonse, esitante.
- Sono... sono quasi morto... soffocato... per colpa di quel... pervertito e... e mi chiedi se... se sto bene?! - boccheggiò il biondo, cercando di riprendere fiato.
- Lo prendo come un sì... ma cosa facciamo con lui? - domandò l’armatura, accennando al colonnello, che si sbracciava nel tentativo di liberarsi dalla presa di Alphonse per gettarsi su Edward.
- Lascia... ci penso... io - disse il biondo, avvicinandosi al fratellino. Prese la carica e rifilò un pugno al colonnello tale da farlo afflosciare svenuto fra le braccia di Alphonse.
- Ecco... questo è per avermi quasi ammazzato! - esclamò Edward, prima di voltarsi e andare verso i vestiti che aveva lasciato vicino alla riva dello specchio d’acqua.
Una volta rivestitosi, lui e suo fratello ripercorsero il sentiero fino a ritornare alla radura dove si erano accampati. Lì distesero il colonnello e lasciarono che si riprendesse da solo, nella speranza che lo “spirito omicida” di poco prima svanisse.
Lo stomaco di Edward ringhiò e il biondo sospirò. Possibile che su quell’isola non ci fosse niente di commestibile?
- Fratellone... mentre aspettiamo che il colonnello si svegli, perché non andiamo a cercare qualcosa da mangiare? Stare digiuno per troppo tempo t’indebolisce... - disse Alphonse. Edward non poté che essere d’accordo con suo fratello: quando erano stati sull’isola deserta prima dell’addestramento avevano patito la fame per giorni e si erano ridotti davvero male.
- Sì... andiamo... chissà se mangiando il colonnello ritroverà il lume della ragione, ammesso che avesse una parvenza di psiche in quella scatola cranica... - disse Edward ironicamente, alzandosi e seguendo suo fratello verso la foresta.
Quella volta decisero di fare un giro un po’ più ampio, nella speranza di riuscire a trovare qualcosa, ma ritornarono a mani vuote, come il giorno precedente.
Edward iniziava a sentire sempre più forte la morsa della fame che gli stringeva lo stomaco. Si sentiva spossato dalle camminate e, senza cibo, non aveva niente che potesse ridargli le energie, se non un po’ di sonno, ma l’esperienza di quella notte lo aveva indotto ad abbandonarsi al sonno solo alla sera.
Stremato, il biondo fece ritorno all’accampamento accompagnato dal fratellino e si abbandonò sul terreno, mentre il suo stomaco continuava a brontolare per la mancanza di cibo.
- Fratellone... tutto bene? - chiese Alphonse.
- Sì... più o meno... - boccheggiò lui in risposta chiudendo gli occhi e concentrandosi sulla respirazione: inspira, espira, inspira, espira, inspira...
Quell’insolito silenzio era davvero... insolito.
- Dov’è il...? - mormorò Edward, spostando lentamente lo sguardo intorno a sé.
- Fratellone... laggiù - disse Alphonse, indicando un punto dietro il biondo.
Edward si voltò e notò il profilo di Mustang seduto poco più in là, curvo, dando loro le spalle. Il brontolio del suo stomaco giunse chiaramente all’orecchio di Edward, che si avvicinò al moro, pronto ad un altro eventuale assalto.
- Colonnello? - lo chiamò esitante.
Mustang si limitò a sospirare.
- Sto meglio... grazie, Acciaio... - rispose quest’ultimo, alzandosi.
Edward si rilassò: temeva un nuovo attacco.
- Bene. Ora che anche il colonnello è tornato normale, cerchiamo di risolvere il problema più importante: dobbiamo riuscire a procurarci qualcosa da mangiare - esordì Edward, come se fosse il capo del gruppetto.
- Torniamo nella foresta? - domandò Alphonse.
- Be’, non vedo alternative purtroppo. Andiamo e speriamo di riuscire a trovare qualcosa... - disse Edward, incamminandosi verso la vegetazione, seguito da suo fratello e dal colonnello.
Nel frattempo, mentre il coraggioso trio si avventurava alla ricerca di cibo, al Quartier Generale dell’Est...
Fiamma e Riza camminavano lungo uno dei tanti corridoi dell’edificio militare dell’Est, quando alla bionda sorse un dubbio riguardo al “corso di coesistenza” che avevano imposto a Edward e Mustang.
- Fiamma... tu sai se su quell’isola ci sono bestie feroci? Se non possono usare l’Alchimia sono praticamente disarmati... - chiese la tenente, osservando la ragazza che le camminava al fianco.
Fiamma alzò gli occhi al cielo con fare interrogativo.
- Ma... sinceramente non lo so... non ci sono mai stata così a lungo da scoprirlo. Comunque, anche senza Alchimia, Edward e Alphonse sapranno certamente cavarsela... quando erano bambini hanno vissuto un’esperienza del genere e penso che siano in grado di sopravvivere. Spero vivamente che anche il colonnello si adatti alla situazione... - esclamò la rossa.
- Ho qualche dubbio... non ha mai vissuto situazioni del genere, neanche in guerra... spero solo che se la cavi in qualche modo... - rifletté a voce alta Riza.
- Già, speriamo... piuttosto, chi è stato incaricato di sostituire il colonnello come sovrintendente del Quartier Generale dell’Est? - domandò Fiamma, lanciando un’occhiata alla bionda.
- Io... sono stracarica di lavoro... - rispose la tenente.
- Se vuoi ti aiuto! Tanto non ho altro da fare finché Ed e Al sono via... - disse Fiamma allegra, seguendo Riza nell’ufficio del colonnello.
Sull’isola intanto...
- Anf... anf... sono stanco e non abbiamo trovato niente da mangiare... - mormorò Edward, appoggiandosi ad un albero per riprendere fiato.
- Dai fratellone... andiamo! - lo esortò Alphonse.
- Tuo fratello ha ragione. Non vorrei dover girovagare per la foresta a notte inoltrata... - aggiunse il colonnello.
- Ah... ok. Andiamo - acconsentì il biondo, riprendendo il cammino.
Era ormai pomeriggio inoltrato. I tre non avevano ancora desistito dalla ricerca di cibo: la fame di Edward e Roy era tale da spingerli a cercare ancora e ancora, anche a costo di cadere privi di sensi. Alphonse non poteva far altro che seguirli per accertarsi che non commettessero imprudenze di alcun tipo.
Stremati dalla fatica, sia Edward che Mustang si fermarono a riprendere fiato ai margini di una minuscola radura.
Mentre si riposavano, un cespuglio frusciò, attirando l’attenzione dei tre.
Da esso, rotolò fuori un cosino nero che emise un flebile verso.
- Che diavolo è quell’affarino? - esclamò Edward.
Alphonse si avvicinò e lo raccolse.
- È un micino... - disse poi, voltandosi verso gli altri due.
- Un gatto nero?! Non possiamo occuparci anche di lui... già rischiamo di morire di fame noi! - ululò il biondo.
- Perché non ce lo mangiamo? - propose il colonnello, mentre uno strano brillio perfido gli compariva negli occhi.
- NO! NON SE NE PARLA NEMMENO! - esclamò Alphonse, arrabiato.
- Io sono d’accordo con il colonnello. Pappiamocelo... - intervenne il biondo, fissando il micino.
- No! - ripeté Alphonse, fermo.
- Dai, Al! È più grosso dei gatti normali. Eh? - esclamò Edward, sgranando gli occhi: in effetti, data la malsana passione di suo fratello per i gatti, ne aveva visti tanti, ma così grossi e così neri mai. Sembrava confondersi perfettamente con la notte più oscura.
- Te l’immagini se quell’affarino fosse un puma? - disse il colonnello, sarcastico.
Chissà come e perché, dal cespuglio dove era nascosto il gattino, uscì un grosso puma a zanne scoperte.
- Sa colonnello... certe volte farebbe bene a tenere chiusa quella sua boccaccia! - esclamò Edward a denti stretti.
L’animale ringhiò e si avventò contro Edward e Mustang, che si diedero alla fuga.
- Ah! Sono distrutto e mi tocca pure correre! Colonnello, spero si renda conto che se ci troviamo... -
- Taci Acciaio! - lo zittì l’altro, accelerando la corsa.
Giunsero poco dopo in una radura circondata interamente da erba altissima.
Edward superò il colonnello e fece per aprirsi una strada nell’erba, ma si schiantò contro un tronco d’albero, ricadendo all’indietro, stordito.
- O cielo! Ti pareva che non finisse così...? - esclamò Mustang, voltandosi a fronteggiare la belva, che gli balzò addosso a fauci spalancate, pronte a dilaniarlo.
Il colonnello fece per ripararsi, quando sentì qualcosa accasciarsi a terra: voltandosi, vide Alphonse ritto accanto al corpo privo di sensi del puma.
- Sta bene colonnello? - chiese l’armatura.
- Io sì, ma non posso dire altrettanto di Acciaio... ha preso in pieno un albero - spiegò Roy, spostandosi.
Alphonse si chinò sul corpo esanime del fratello e lo prese sulle spalle.
- Sarà meglio tornare all’accampamento... - disse Alphonse, incamminandosi.
- E il cucciolo? - domandò Mustang.
- Me ne occuperò io... - rispose l’armatura.
Così, Alphonse e il colonnello fecero ritorno alla radura.
Quando Edward riprese conoscenza, notò l’oscuro cielo notturno sopra di lui e si mise seduto di scatto. Il brusco movimento gli fece girare la testa.
- Oh, fratellone... come ti senti? - gli chiese Alphonse.
- Ah... stordito. Che cos’è successo...? Dov’è il puma...? - esclamò il biondo, lasciandosi cadere di nuovo a terra, sdraiato. Qualcosa gli leccò il viso.
- Ehm... il piccolino l’ho tenuto io e quello grosso l’abbiamo seminato nella foresta... - gli spiegò il fratellino.
- E tu hai sbattuto la testa contro un tronco d’albero. Mi sa che più genio di te non c’è nessuno...! - aggiunse il colonnello con la sua solita voce di scherno.
- Questo spiega perché mi fa così male la testa... ma perché non hai lasciato il piccolo con l’altro puma, eh? Abbiamo già i nostri di problemi a sopravvivere... mi sta tornando la fame... - disse Edward.
- Non sei l’unico ad avere fame, Acciaio - ribatté Mustang.
- Ma non potevo lasciarlo lì tutto solo... dai, fratellone... posso tenerlo? Ti prego... - supplicò Alphonse.
- Uff... è sleale quando fai così! Sai bene che non so resistere a quella vocina da cane bastonato! Ah... e va bene... - concesse Edward.
- Grazie fratellone! Grazie! - gioì Alphonse.
Il biondo sbadigliò vistosamente.
- Be’, io direi di andare a dormire... sono stanco e per di più dobbiamo ancora trovare il modo di procurarci da mangiare... - esclamò Edward, avviandosi carponi verso il rifugio, poco distante dal punto dove era sdraiato poco prima.
Si lasciò cadere su un fianco e chiuse gli occhi. Pochi istanti dopo, sentì qualcosa di morbido strofinarsi a lui e, riaperto un occhio, notò il gattino-puma che si accoccolava fra le sue braccia.
- Fratellone... penso che tu gli stia simpatico... - disse Alphonse, sedendosi al fianco del biondo.
- Sì... va bene... ‘notte... - farfugliò, mezzo addormentato.
Il colonnello si stese all’altro lato di Edward e si girò in modo da dargli le spalle.
- ‘notte fratellone... - mormorò Alphonse in risposta.
Il sonno calò come un velo sul trio, avvolgendoli completamente.

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Capitolo 3
*** Puma domestico, meglio di così... ***


3_Puma domestico meglio di così... Puma domestico, meglio di così...
Quando Edward si svegliò il mattino seguente, il sole era già alto nel cielo azzurro: se non altro, aveva passato una notte tranquilla senza sogni alquanto ambigui riguardo al colonnello.
Qualcosa gli leccò la guancia, attirando la sua attenzione: il biondo si voltò e notò il piccolo gattino-puma ancora accovacciato fra le sue braccia. Si alzò e lo prese in grembo, carezzandogli il manto nero come la pece: era davvero carino.
Il brontolio del suo stomaco vuoto ricordò al biondo l’impellente bisogno di mettere qualcosa sotto i denti. Quest’ultimo si guardò intorno, perplesso dallo strano silenzio che lo circondava: nessuna traccia di Alphonse né del colonnello. Magari erano andati a fare un giro mentre lui dormiva... oppure erano di nuovo nella foresta alla ricerca di cibo... insomma, non c’era alcun motivo di preoccuparsi. Così, solo con il gattino-puma, il biondo si alzò e si sgranchì un po’ le gambe.
- Fratellone, sei sveglio! - esclamò la squillante voce di Alphonse, mentre lui e Mustang ricomparivano dalla foresta.
Il gattino-puma saltò sulla schiena di Edward, dove affondò gli artigli, lacerandogli la maglia.
- AHI! Maledizione, toglimi questo sgorbietto dalla schiena, mi sta bucando la pelle! - urlò il biondo, cercando di arrivare al piccolo puma per strapparselo di dosso.
- No, fratellone! Così gli fai male! - esclamò Alphonse, correndo verso il fratello.
- Acciaio, Acciaio... possibile che tu debba combinare sempre qualche guaio? - disse il colonnello.
- Mi faccia il favore di tacere! - ribatté Edward, seduto a terra, ansante: dopo quasi mezz’ora di lotta, finalmente Alphonse era riuscito a togliere il puma da dosso al biondo.
- Fratellone lo hai spaventato! - s’intromise quest’ultimo.
- M’importa assai se l’ho spaventato! Mi ha quasi strappato la carne dalle ossa! - ringhiò Edward in risposta. In effetti, della sua canotta nera era rimasto ormai ben poco: solo qualche brandello di tessuto. Mentre Alphonse cercava di toglierlo, il gattino-puma aveva cercato in ogni modo e con tutte le sue forze di opporsi, arpionandosi saldamente alla maglia del biondo, che ora giaceva a terra sbrindellata.
Anche la schiena del ragazzo non era messa tanto meglio: la pelle era sgraffiata in più punti, in alcuni più profondamente che in altri e piccoli rivoletti di sangue scivolavano giù lungo da schiena.
Un leggero soffio di vento spazzò la radura, facendo rabbrividire Edward.
- Grandioso... chissà che bella nottata passerò! - esclamò il biondo.
- Uff... Acciaio, quanto la fai lunga! - lo rimbrottò il colonnello.
- Vorrei vedere lei dormire a torso nudo steso per terra! -
- Be’, certamente non mi lamenterei come te... -
- Già, me l’immagino... -
- E con questo cosa vorresti insinuare? Che sono meno uomo di te? -
- Nooo... non era assolutamente nelle mie intenzioni offenderla signor colonnello... -
- Acciaio, mi stai irritando! -
- Davvero? Mi spiace, forse non sono ancora abbastanza maturo da capire quando è il momento di smettere! -
- Senz’altro! -
- LA VOLETE FINIRE?! - s’intromise Alphonse urlando per sovrastare le voci dei due litiganti.
Ringhiandosi contro a vicenda, Roy e Edward decisero di cessare temporaneamente le ostilità, che avrebbero senz’altro ripreso in un momento più consono.
Il sommesso brontolio dello stomaco dei due li fece ammansire completamente.
- Perché non proviamo ad andare a cercare del pesce? - azzardò Alphonse.
- Con la fortuna che abbiamo il mare probabilmente ne sarà sprovvisto proprio in questo tratto... - mugolò Edward.
- Invece di stare a rimuginare, perché non ci avviamo verso la spiaggia? - ribatté aspramente il colonnello.
Così Edward, Alphonse e Roy si addentrarono nel sottobosco alla ricerca di una strada che li riconducesse alla spiaggia.
Dopo ore di agonizzante viaggio, finalmente il trio raggiunse la meta.
- Non ce la faccio più! - esclamò Edward, crollando sulla sabbia.
- Acciaio non lamentarti! - lo rimbeccò il colonnello, sedendosi vicino a lui.
- Sa, anche io ho un nome di battesimo! -
- Non me ne importa niente -
Alphonse si avvicinò all’acqua e fissò l’orizzonte per qualche istante.
- Stare qui mi fa venire in mente quando abbiamo cercato di pescare da bambini, quella volta sull’isola... ricordi fratellone...? - disse l’armatura, carezzando lievemente il pelo del gattino-puma.
- Sì... ma a quell’epoca eravamo diversi... molto diversi... - rispose il biondo, rimettendosi seduto.
- Non avevo mai visto Acciaio diventare sentimentale... - mormorò il colonnello a mezza voce.
Ignorando i commenti alquanto inopportuni del moro, Edward si alzò e andò al fianco del fratellino.
- Avanti, cerchiamo di cavare qualche cosa da mangiare da questa gita al mare! - esclamò, togliendosi i pantaloni e gli stivaletti.
- ACCIAIO! - disse il colonnello, visibilmente scioccato. Neanche l’avesse visto nudo!
- Ringrazi che vado a caccia anche per lei... e che non mi sono tolto le mutande... - ribatté il biondo, prendendo fiato e tuffandosi.
L’acqua fresca gli sferzò il viso e le ferite ancora aperte sulla schiena, lasciandogli un leggero bruciore. Il ragazzo iniziò a nuotare verso il basso, osservandosi all’intorno, alla ricerca di pesci. Niente.
Quando i polmoni iniziarono a bruciargli per la mancanza di ossigeno, il biondo riemerse ed espirò.
- Ehi, fratellone! Prova con questo! - gli disse Alphonse, lanciandogli un ramoscello, che Edward afferrò al volo: una lancia tradizionale. Niente punta, solo l’asta, leggermente acuminata ad una estremità. Perfetta!
Edward si immerse di nuovo. L’acqua salata iniziava a non bruciare quasi più a contatto con gli sfregi sulla sua schiena. Meglio così: aveva la sensazione che a furia di cacciare sott’acqua alla fine sarebbe diventato una specie di alchimista-pesce.
Sferzando l’acqua con poderose bracciate, il biondo scese sempre più in profondità. Più si allontanava dalla superficie, più calava l’oscurità attorno a lui. Quando si ritrovò a qualche metro sotto la superficie, iniziò a guardarsi intorno. Di nuovo niente. Forse quella sua supposizione sulla mancanza di pesce proprio in quel tratto non era poi tanto campata in aria.
Per la seconda volta, riemerse a mani vuote, ma senza demordere: era certo che qualcosa sarebbe riuscito a prendere.
Stava per immergersi di nuovo, quando sentì l’acqua agitarsi vicino a lui. Cautamente, Edward abbassò lo sguardo e notò il profilo di un pesce nuotare appena sotto la superficie, attorno alle sue caviglie. Senza un attimo di esitazione, il biondo menò un fendente micidiale e trafisse il povero pesce, che si dimenò per qualche istante attaccato in fondo al ramoscello.
- SÌ! CE L’HO FATTA! - urlò al settimo cielo.
Il colonnello scattò automaticamente in piedi.
Edward corse a riva, evitando di cadere o di far cadere la sua sfortunata preda. Arrivato sulla spiaggia, mostrò il pesce al colonnello.
- Visto? Se non c’ero io! - disse, dandosi un tono d’importanza.
- Si stava tutti meglio... - mormorò a mezza voce Mustang.
Edward si sedette sulla sabbia respirando profondamente. Si strizzò la treccia di capelli zuppi, mentre s’immaginava seduto davanti ad un caldo fuocherello nella radura. Non vedeva l’ora di riempirsi finalmente la pancia. Abbassò gli occhi sulla sua preda.
- Che...? - esclamò, visibilmente scioccato, alzando il ramoscello: c’era rimasta solo la lisca.
Qualcosa iniziò a strusciarsi contro la gamba del biondo, costringendolo a spostare lo sguardo su quel qualcosa che gli si stava strofinando contro. Era il gattino-puma.
- Al... perché il puma è qui? - chiese Edward, trattenendosi a stento dall’urlare.
- Scusa fratellone, ma voleva scendere... - si difese Alphonse.
- SÌ, CERTO! VOLEVA MANGIARSI IL PESCE! - sbraitò il biondo, fuori di sé.
- Acciaio, calmati - intervenne il colonnello.
- ACCIAIO CALMATI UN CORNO! CERCO DI PROCURARCI QUALCOSA DA MANGIARE E QUELLO SGORBIETTO SE LO MANGIA! - proseguì il biondo.
- Fratellone... smetti di urlare. Spaventi il cucciolo - disse Alphonse.
- BENE! MEGLIO COSÌ! - ringhiò Edward.
Alphonse prese in braccio il gattino-puma, carezzandolo fra le orecchie. Il colonnello iniziò a scuotere la testa, esasperato, mentre lo stomaco di Edward brontolava di nuovo.
- Ecco... mi è tornata la fame... -
- Acciaio... non sei l’unico a sentire la fame... smetti di lamentarti -
- No! Ero riuscito a prendere qualcosa da mangiare! -
- E allora torna a pescare! -
- A no! Stavolta viene con me! -
- Cosa?! -
Edward afferrò il colonnello per un braccio e lo fece alzare, poi iniziò a togliergli la giacca blu, la camicia, i pantaloni e gli stivali.
Rimasto in mutande come Edward, il colonnello scoccò un’occhiataccia al biondo, iniettata dell’odio più puro che riuscisse a concepire.
- Acciaio... me la pagherai! - sibilò.
- Spiacente colonnello. Non ho il portafogli con me. Andiamo...! - esclamò Edward, trascinandosi appresso Mustang.
Grazie al colonnello, che smaniava per tornare a riva, i due alchimisti si schiantarono in acqua uno addosso all’altro.
- Colonnello, le spiacerebbe impegnarsi un po’ per assicurarsi almeno il pranzo? -
- Sì, mi spiacerebbe! -
- Aah... andiamo! Si comporti da uomo! -
I due s’immersero in acqua e iniziarono la caccia, armati di ramoscelli acuminati ad un’estremità.
In fondo, con quattro occhi al posto di due, trovare qualche pesce fu più facile. Edward e Roy riemersero con abbastanza prede da permettersi un pranzo decente.
Quando i loro sguardi si posarono sulla spiaggia, l’unica cosa che videro fu Alphonse che rincorreva due scimmie con indosso...
- EHI! - urlò Mustang.
- MALEDIZIONE! - sbraitò Edward.
I due corsero a riva e cercarono di recuperare i loro vestiti, aiutati da Alphonse.
Quando finalmente riuscirono a riappropriarsene, si rivestirono e si avviarono trionfanti verso la loro base.
Arrivati nella radura, Edward e Mustang accesero un fuoco da campo dando fondo a tutte le loro energie e misero a cuocere il pesce. Non ci vedevano più dalla fame.
Edward, d’un tratto, avvertì un forte prurito sulla schiena e anche il colonnello.
- Fratellone, colonnello... che vi succede? - chiese Alphonse perplesso, inclinando di lato la testa.
- Non lo so! Mi prude dappertutto! - rispose il biondo, contorcendosi per arrivare dove le braccia non riuscivano.
Il colonnello risparmiò la voce e iniziò a dimenarsi nel tentativo di raggiungere la schiena. Sembrava che stessero ballando una stupida danza tribale, patetica imitazione di quella della pioggia.
Alla fine, dopo parecchie contorsioni spacca-vertebre, i due alchimisti cozzarono schiena contro schiena, muovendosi in sincrono. Alphonse assisteva alla scena cercando di non scoppiare a ridere, cosa che gli riusciva piuttosto difficile date le circostanze.
- Acciaio un po’ più a destra... - mormorò il colonnello, spostandosi verso sinistra.
- La mia o la sua? - chiese il biondo.
- La mia... -
- Se si spostasse un po’ più a sinistra... -
- Grrr... -
Alphonse non osava neanche commentare, per paura di esprimere opinioni che li avrebbero senz’altro fatti arrabbiare, ma era davvero singolare vedere una cosa simile. Soprattutto se a farla erano Edward e Mustang, Acciaio e Fuoco, l’esempio più lampante di cane e gatto.
Dopo un po’ però, divenne insopportabile assistere.
- Fratellone, colonnello... se vi danno fastidio i vestiti toglieteveli... - disse Alphonse in tono innocente.
- Che?! Al, ti ha dato di volta il cervello? Non ci penso neanche a rimanere in mutande QUI! -
- Sono costretto, mio malgrado, a dare ragione ad Acciaio... -
- Be’, io vi ho dato un consiglio, sta’ a voi scegliere! - concluse Alphonse, offeso.
Il moro e il biondo si scambiarono un’occhiata: nessuno dei due avrebbe mai ceduto di fronte ad una proposta simile. Quando però iniziarono ad avere l’orrenda impressione che qualcosa stesse camminando sulla loro pelle, acconsentirono.
Lasciarono i vestiti da una parte e si sedettero in mutande vicino al fuoco, pregando che madre natura fosse misericordiosa con loro e non scoppiasse a piovere.
Purtroppo, la tipica fortuna dell’uccellaccio del malaugurio li colpì di nuovo.
- Sa colonnello... iniziò a temere che lei sia uno iettatore... - sospirò Edward, stringendosi al fratello nella speranza di non morire assiderato.
Il colonnello starnutì.
- T-taci Ac-c-ciaio... - ribatté il moro battendo i denti.
L’acqua scrosciava ininterrottamente, mentre raffiche di vento spazzavano la radura, agitando le fronde degli alberi. Ormai, dei pesci catturati non c’era più neanche l’ombra. Evidentemente il vento li aveva spazzati via.
I due poveri alchimisti rischiarono di poco l’assideramento. Fortunatamente, l’interno dell’armatura di Alphonse era completamente vuoto.
- Acciaio... mi stai sfondando la schiena con quell’auto-mail... -
- Scusi tanto... ma non sono libero di muovermi come vorrei qui dentro! E non tocchi il sigillo di sangue! -
- Io non tocco assolutamente niente! -
- La volete finire di discutere lì dentro?! -
- Scusa Al... ti siamo debitori. Se non ci fossi stato tu a quest’ora eravamo blocchi di ghiaccio! -
- Almeno mi rendo utile nonostante sia solo un’anima legata ad un’armatura... -
La testa di Alphonse si sollevò un poco e si richiuse quasi immediatamente. Edward sentì qualcosa di umido e freddo cadergli sulla testa.
- Ma che? -
- Miaooo! -
- Al... hai fatto entrare il puma...?! -
- Be’, ecco... faceva freddo ed era tutto bagnato... -
- Atcciù! -
- Colonnello, le dispiacerebbe evitare di starnutirmi addosso?! -
- Non è colpa mia... è il puma che mi agita la coda sotto il naso... atcciù! -
- Bleah... germi del colonnello... spero non siano contagiosi... -
- ATCCIÙ! -
Il biondo sentì qualcosa scivolargli sulla fronte e attaccarsi ai capelli.
- Ma che...? Atcciù! Grandioso... ora ce l’ho io il puma sotto il naso... -
- Acciaio... non lamentarti... -
- Io lamentarmi?! Non sia mai colonnello! -
- Atcciù! Sai Acciaio... non penso che lo starnutire dipenda dal puma... -
- Ahi! Il gatto mi ha tirato i capelli! -
Lo scomodo soggiorno nell’armatura di Alphonse durò tutto il pomeriggio, cioè finché non cessò di piovere.
Verso il crepuscolo, Alphonse aprì l’armatura e ne rotolarono fuori Edward e Mustang e, a seguire, uscì il gattino-puma.
- Ha smesso di piovere... -
- L’abbiamo visto... atcciù! - rispose Edward.
- E nel frattempo vi siete presi il raffreddore... - fece notare Alphonse.
- Come fai ad esserne così sicuro? - domandò Mustang.
- Semplice: non avete fatto altro che starnutire per tutto il pomeriggio! -
Edward e il colonnello, a stomaco vuoto e con il naso quasi del tutto tappato, si stesero a terra, rannicchiandosi l’uno accanto all’altro, nella speranza di scaldarsi un po’.
Il sonno calò sui due alchimisti rapidamente, avvolgendoli in un caldo e confortevole mondo di sogni.

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Capitolo 4
*** Siamo senza speranza... ***


4_Siamo senza speranza... Siamo senza speranza...
- Roy sei figo! -
- Oh, Roy sei bellissimo! -
- Roy! Roy ti amo! -
Roy, Roy, Roy. Nessun’altro eccetto Roy.
Il colonnello, beatamente sdraiato su una spiaggia bianca sotto il caldo sole tropicale, circondato da decine, forse centinaia di affascinanti donne in bikini.
Era il genere di circostanza che non gli sarebbe certamente dispiaciuto affrontare. Era il genere di circostanza che avrebbe desiderato. In fondo, non poteva certo negare allo stuolo pressoché infinito di donne la sua innegabile bellezza. Sarebbe stato un reato anche solo pensarci.
Il moro scrollò via con fare altezzoso i ciuffi di capelli che aveva sugli occhi e sospirò.
- UAAAAH! ROY SEI BELLISSIMO! -
- Sì... lo so - rispose il colonnello.
- Roy? Roy Mustang? Oddio che emozione! - esclamò una voce davvero poco femminile, al fianco di Mustang, che si voltò incuriosito verso la persona che aveva appena parlato.
Il cuore mancò un battito. Era sì una femmina, ma gli assomigliava troppo per essere solo una coincidenza: una lunga treccia di capelli dorati si snodava cadendo fuori dalla visuale del moro, incentrata tutta sugli occhioni color oro liquido, circondati da lunghe ciglia nere e sovrastati da sopracciglia bionde che tracciavano sulla sua fronte pallida due archi quasi perfetti. Le labbra, semiaperte per l’emozione, erano colorate di una forte tinta rossa, mentre ai lobi delle orecchie seminascoste da due grossi ciuffi brillavano un paio di croci argentate. Fra l’attaccatura dei due ciuffi, emergeva un ciuffetto ribelle, quasi drizzato verso il cielo. Era l’unica a non essere in costume: indossava un vestitino nero attillato sostenuto sulle spalle da lacci così sottili da essere praticamente invisibili e dai gomiti in giù portava un paio di guanti neri di pizzo.
Se ne stava perfettamente immobile inginocchiata a terra, a fissare il colonnello con occhi colmi di stupore. Quello stupore che mai nella realtà avrebbe colto in quegli stessi occhi maschili.
- Acciaio?! - esclamò Mustang sconvolto.
 Le labbra di lei si incresparono a formare un mezzo sorrisetto malizioso, attraverso il quale era possibile vedere i sottostanti denti bianchissimi.
- È da un po’ che non ci vediamo, eh colonnello? - sussurrò la solita voce maschile di sempre.
- UAAH! - urlò il moro, svegliandosi di colpo, ansante.
Si guardò intorno: niente donne, niente Edward. O almeno, non la versione in gonnella.
- Cavolo colonnello! Finalmente si è svegliato! - fu in caldo buongiorno del biondo non appena si fu accorto di lui.
Mustang si alzò e si guardò intorno, deluso: nessuna donna da nessuna parte.
- Ehi, colonnello, ma che ha? - chiese ancora il biondo.
Senza rispondergli, il moro si diresse verso di lui e gli assestò un pugno in testa.
- AHIO! Ma che ho fatto?! - urlò Edward, massaggiandosi la testa.
Mustang sospirò e si accasciò a terra.
- Nessuna bella donna, nessuna bella donna, nessuna bella donna... - mormorò, in una sorta di paranoica nenia melanconica.
- Ma questo è scemo dentro! Che gli è preso? - domandò Edward al fratello, seduto accanto a lui, intento a coccolare il gattino-puma.
- Non lo so... forse il caldo gli ha mandato in tilt il cervello... - rispose Alphonse.
- Bah... francamente non penso. Credi davvero che in quella scatola cranica ci sia qualcosa? - esclamò il biondo divertito.
- Fratellone... forse è il caso di aiutarlo... - lo rimbrottò Alphonse.
- Lo prendo a pugni fino a farlo rinsavire? - propose Edward maliziosamente.
- No, non credo sia la soluzione migliore. Però è meglio zittirlo... - commentò l’armatura.
- Concordo. Mi è venuto mal di testa. Ehi, colonnello! La finisce con questa lagna?! -
- Nessuna bella donna, nessuna bella donna, nessuna bella donna... -
- Gli si è spappolato il cervello per davvero! -
- Presto fratellone, fa’ qualcosa! -
- Ma che vuoi che faccia?! -
- Una seduta psichiatrica? -
- Sei davvero convinto che non ci sia altra soluzione? -
- Giudica tu stesso... -
- Nessuna bella donna, nessuna bella donna... -
- Okay... ma mi aspetto che almeno si zittisca, altrimenti lo zittisco io! -
- Bravo fratellone...! -
E così, contro ogni possibile previsione, Edward si ritrovò a fare lo strizzacervelli con il colonnello. Roba da non credere...
- Allora colonnello, mi dica la prima cosa che le viene in mente... -
- Donne... -
Edward rimase interdetto per qualche istante.
- Wow... non si era capito! - mormorò fra sé.
- Che cosa le ricorda quel cespuglio laggiù? -
- Donne... -
- E quella quercia? -
- Donne... -
- E Alphonse? -
- EHI! -
- Donne... -
- Bene... suppongo non ci sia altro da dire... -
- Donne... -
- Okay, la seduta è finita... -
- Donne... -
- LA FINISCA! -
- Donne... -
Edward, stufo di quella paranoica ripetizione, assestò un pugno al colonnello, lasciandolo privo di sensi a terra.
- Oh... non ne potevo più! -
- E ora che si fa con lui fratellone? -
- Che si fa, che si fa! Bisogna fare qualcosa per farlo rinsavire prima che mi faccia saltare il sistema nervoso, ecco cosa si fa! -
- E come? -
- Gli mancano le donne... e qui di donne non ce n’è neanche l’ombra... -
- E quindi? -
- Quindi... -
Edward alzò lo sguardo verso il cielo, sovrappensiero. Alphonse lo lasciò riflettere senza interromperlo. Il biondo abbassò di nuovo lo sguardo e curvò le spalle, sconsolato.
- Non lo so... -
I due rimasero in silenzio per qualche istante, pensando ad un modo per quietare il colonnello, prima che si friggesse il cervello, ammesso che ne avesse uno.
Lo stomaco di Edward ricominciò a brontolare.
- Ah... ci mancava solo questa... come se non ne avessimo già abbastanza! -
- Mi è venuta un’idea! E se non importasse una donna vera?! -
- Al non so perché ma mi stai spaventando... -
- Sì, insomma... un qualcuno che non sia per forza una donna... -
- AAH! Ho capito dove vuoi arrivare, ma la risposta è no! Non mi metterò una minigonna e inizierò a sculettare per lui, chiaro?! -
- Fratellone... pensa alle possibili ripercussioni sul nostro sistema nervoso se va avanti con questa storia... dobbiamo troncarla sul nascere! -
- Sì, lo so! Ma non voglio! -
- Senti, hai già i capelli lunghi e sei magrolino... un paio di pantaloncini attillati e un top aderente e sarai perfetto! -
- Non so perché, ma mi sento vagamente offeso... -
- Dai, vieni! -
- NO! AL STAMMI LONTANO! UUAAAAH! -
Alphonse lo ghermì con quanta forza aveva e lo immobilizzò, mentre cercava di arrangiare un completino attillato per la farsa.
Un’ora più tardi...
- Senti, ti sembro credibile? La gamba e il braccio d’acciaio sono una prova d’identità! Neanche il colonnello è così idiota da non accorgersene! - esclamò Edward, guardandosi.
- E va bene! Vediamo se riesco a fare qualcosa con i tuoi pantaloni... -
- Che cosa?! Perché devi sacrificare i miei pantaloni per quello lì?! -
Alphonse non gli diede ascoltò e con un violento strap tolse una gamba ai pantaloni di Edward.
- Prova adesso -
- Me li hai mutilati... -
- Anche per il top bisognerà fare qualcosa... in effetti non sei credibile... -
Senza Alchimia erano limitate le possibilità di arrangiare dei vestiti decenti, ma Alphonse riuscì comunque a tirare fuori qualcosa di carino.
- Sai Al... se mai usciremo vivi da questo posto dovresti andare a fare lo stilista... non te la cavi male... -
- Sì, ma manca ancora qualcosa... qualcosa che... ah! -
L’armatura si accanì sul top del biondo.
- Be’, va bene che devo sembrare una donna, ma addirittura le tette finte mi sembra un’esagerazione! -
- Perfetto! -
- Sto perdendo la pazienza... AAAAALLL! -
- Aaah...! -
Mentre Edward stava per picchiare suo fratello, il colonnello riprese i sensi.
La prima cosa che gli balzò agli occhi fu Acciaio. O meglio, la riproduzione piuttosto scadente dell’orribile versione in gonnella dell’Alchimista d’Acciaio che gli era apparsa quella notte.
A giudicare dallo sguardo imbarazzato del biondo, era chiaro che non gli andava a genio essere conciato a quella maniera.
Un’idea malsana prese immediatamente forma nella mente del colonnello. Una dolce vendetta per l’incubo di quella notte.
Il moro si alzò e rimase a fissare Edward per qualche istante, prima di arrivargli davanti con una sola falcata rapida.
Gli prese le mani e lo fissò dritto negli occhi.
- Come ti chiami? -
Edward rimase decisamente spiazzato dal tono dolce della voce di Mustang. Anche se avrebbe voluto spaccargli la faccia, dato che quel casino l’aveva combinato lui, una vocina nella sua testa gli ricordò il motivo per cui era conciato in quella maniera orribile.
- Alexia... - mormorò lui, cercando di parlare con la voce più femminile che riuscì a trovare.
- Piacere. Io sono Roy Mustang, conosciuto come l’Alchimista di Fuoco - il colonnello s’interruppe e si guardò intorno - ...? Che fine ha fatto Acciaio? - chiese poi, rivolto ad Alphonse.
- Ooh... ecco, lui... doveva andare in bagno... sì, sì... -
Edward lo fulminò con un’occhiataccia iniettata di risentimento.
- Alexia... vorresti fare una passeggiata sulla spiaggia con me? - domandò Mustang con dolcezza, baciando il dorso della mano di Edward. Il biondo sentì un brivido di orrore percorrergli la spina dorsale quando le labbra del colonnello gli sfiorarono la pelle e resistette per un soffio dall’assestargli un calcio nel sedere.
Malgrado la sua voglia di squartarlo vivo a morsi, Edward seguì il colonnello lungo il sentiero che portava alla spiaggia, rimpiangendo i suoi adorati abiti maschili.
Il suo stomaco brontolò.
- ...? Alexia, hai fame? -
- Eh? No, no sto benissimo! -
Macché no e no! Non ci vedeva più dalla fame. Avrebbe scommesso il titolo di stato che in quei miseri quattro giorni aveva perso quasi dieci chili fra stress e fame, se non di più. Non aveva avuto comunque modo di controllare.
Il suo stomaco brontolò di nuovo.
- E sta’ zitto! Già sopportare in silenzio è brutto... - mormorò il biondo fra sé e sé.
Come a fargli torto, il suo stomaco rimuginò ancora.
Arrivarono in spiaggia pochi minuti più tardi.
- Hai voglia di fare un bagno? - gli chiese il colonnello.
- Eh? No, grazie. Mi si rovina la messa in piega... -.
Messa in piega un corno. Era stata la prima scusa che gli era venuta in mente, ma in realtà aveva i capelli conciati in maniera inguardabile. Nodi su nodi, aggrovigliati come una matassa di fili dorati. Non sapeva bene quanto tempo gli sarebbe servito a riaggiustare quell’obbrobrio, ma certo era che in quel momento non ne aveva la possibilità.
Edward si sedette sulla spiaggia ad osservare il colonnello gettarsi in acqua, mentre sentiva il tipico rumore dei passi di suo fratello che lo raggiungeva.
Il suo stomaco brontolò ancora.
- Al... credi che sia un atto di cannibalismo mangiarsi il colonnello? - mormorò il biondo.
- Sì. Fratellone resisti -
- Facile a dirsi... a proposito... devo saldare un debito nei tuoi confronti... -
- ...? -
Edward si alzò, facendo scrocchiare le nocche della mano sinistra.
- Tesoro! Vado a fare una passeggiata con il tuo amico... - esclamò Edward-Alexia, sogghignando malevolo.
- Va bene cara... -
- Allora... dove sono andato a sparire io...? - sibilò il biondo a denti stretti, facendo un passo avanti.
- A-aspetta fratellone... non essere impulsivo... -
- Oh, no... niente gesti impulsivi... -
- E allora perché fai così? -
- Saldo il debito... -
Alphonse corse nella boscaglia. Edward si lanciò al suo inseguimento.
Fecero ritorno in spiaggia qualche ora dopo.
Mustang se ne stava seduto a fissare l’orizzonte.
- Ah, Alexia... - esclamò, alzandosi e facendosi subito vicino a lui.
- Sì...? -
Il colonnello si protese verso di lui in maniera romantica e davvero singolare e ciò poteva significare solo una cosa: voleva baciarlo.
Edward aveva già baciato in vita sua, ma non era affatto disposto a lasciarsi avvicinare dal colonnello.
- WAAAH! BASTA! BASTA! - urlò, schizzando indietro con un salto.
- Che cosa c’è? -
- Io non sono Alexia. Io sono Edward. Edward Elric, rammenta?! NON SONO UNA DONNA! - esclamò il biondo, cadendo in ginocchio.
Mustang scoppiò a ridere.
- Non mi sarei mai aspettato una reazione così esilarante Acciaio! - affermò il moro, piegato in due dalle risate.
- Eh?! Lei... lei lo sapeva? -
- Chi vorresti prendere in giro conciato in quella maniera orribile? -
- E ha fatto finta di niente finora?! -
- Che ridere! Acciaio, sei davvero uno spasso! -
- COLONNELLO! IO L’AM...! -
Il brontolio del suo stomaco l’acquietò. Con un sospiro di rassegnazione, il biondo si lasciò cadere sdraiato sulla sabbia.
- Che fame... non ce la faccio più... - mormorò.
- Torniamo indietro? - propose Alphonse.
Il colonnello e Edward annuirono.
Lungo il sentiero per la radura, il biondo sentì uno strano odore come di frutta, che gli fece rimuginare lo stomaco. Preso dalla fame, il ragazzo imboccò una deviazione.
- Fratellone? Fratellone, dove vai?! Meglio seguirlo... - esclamò Alphonse, facendo dietrofront.
Il colonnello lo seguì.
Raggiunsero Edward in pochi minuti.
Quest’ultimo se ne stava fermo a fissare qualcosa di fronte a lui. Mustang seguì la traiettoria degli occhi di Acciaio e il suo sguardo si posò su un invitante cespuglio di bacche rosse.
Senza aspettare neanche un istante, i due alchimisti, accecati dalla fame, si buttarono sul cespuglio, mentre Alphonse li osservava, coccolando il piccolo puma fra le sue braccia.
- Finalmente si mangia! - esclamò Edward.
- M’è venuta una fame...! - aggiunse Roy.
I due finirono in quattro e quattr’otto il pasto e ripresero la strada per la radura.
- E così per un po’ non vi sentirò più lamentare per la fame! - disse Alphonse sollevato.
- Come se a te importasse qualcosa... - brontolò Edward.
- In effetti eravate diventati un po’ paranoici... -
- Ma sentilo! Noi paranoici? E la tua fissa dei gatti? - ribatté il biondo.
- Ma io non mi lamento... -
- Non puoi mangiare... di cosa dovresti lamentarti? Delle giunture scricchiolanti? -
- Non ci si metta pure lei, colonnello! -
Un ringhio ben udibile interruppe il discorso. Edward e Roy s’immobilizzarono all’istante e si piegarono in due.
- Ma che vi prende? -
- Ahi... che male... -
- La mia povera pancia... -
Un nuovo gorgoglio, più prolungato di quello precedente, irruppe dai loro stomaci. I due sgranarono gli occhi.
- Bagno...! - esalò Edward, schizzando via.
- Acciaio, aspettami! - sibilò Mustang, seguendolo di corsa.
Alphonse rise fra sé. Era davvero comico che, dopo quattro giorni di digiuno, l’unica cosa commestibile che erano riusciti a trovare fosse velenosa.
Alphonse, allegro, fece ritorno alla radura con il suo gattino-puma.
Edward e Mustang riaffiorarono dopo un bel po’ di tempo.
- Finalmente è finita... -
- Credevo che sarei morto in quell’inferno vegetale... -.
Crollarono esausti a terra, ma dovettero alzarsi di nuovo pochi istanti dopo, quando i loro stomaci irrequieti tornarono a tormentarli.
- Oooh... non di nuovo! - si lamentò Edward, correndo verso il sottobosco.
- Quando finirà? - si chiese il colonnello, schizzando via dietro al biondo.
- In certi casi ringrazio di non avere un corpo... - mormorò Alphonse fra sé e sé.
E così, fra atroci dolori di pancia, Edward e Mustang trascorsero la giornata. Alla sera, il loro stomaco decise di dar loro tregua.
- Siamo senza speranza... usciremo mai da questo posto? -
- Mah... chi può dirlo... -
- Non voglio passare la vita su quest’isola! Non voglio morire senza donne! -
- Razza di colonnello rincitrullito! Le pare questo il momento di pensare a certe cose?! -
- Fratellone... calmati. Francamente, anch’io non vedo l’ora di andarmene -
- A nuoto non penso che potremmo andarcene. Dovremmo pazientare... pazientare... pazientare... -
- E, se non l’avete ancora capito, “pazientare...”. Acciaio, finiscila! -
- Eh... calma Ed... calma... dormiamo che è meglio -
- Buonanotte -
- ‘notte -
- Sì... buonanotte... -.

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Capitolo 5
*** Finalmente... salvi? ***


5_Finalmente... salvi? Finalmente... salvi?
I giorni si susseguivano ininterrotti, mentre Edward e il colonnello tentavano di creare una sorta di fragile equilibrio che li mantenesse uniti senza creare litigi.
Era stato Alphonse a proporre la cosa, con iniziali contrasti delle due parti in discussione. Poi, dopo parecchie diatribe non poco leggere, avevano optato per seguire il consiglio.
Iniziava ad albeggiare, quando Edward e Mustang si svegliarono, schiena contro schiena.
La notte appena trascorsa era stata una delle tante notti passate su quella maledetta isola senza cibo, senza letti e senza bagni.
Fra tutti e due, non si sapeva chi fosse ridotto peggio.
Edward aveva i capelli sporchi raccolti malamente in una treccia dalla quale uscivano ciuffetti dorati in qua e là, gli occhi cerchiati dalla stanchezza e lo stress. I vestiti non erano quasi più definibili come tali. Ormai erano quasi brandelli di tessuto. La giacca rossa se l’era giocata da un pezzo. Rimaneva il giubbino nero, che era strappato un po’ ovunque, del quale l’unica parte integra al 100% era la cerniera, la canotta, che era ridotta a uno straccetto che s’intravedeva appena da sotto il giubbino. La cintura di pelle era tutta graffiata e l’unico laccio ancora intero era quello al quale era appesa la catenella dell’orologio d’argento che lo qualificava come Alchimista di Stato. I pantaloni erano sfregiati in più punti, dove erano state aperte fessure nel tessuto lungo le cosce, le ginocchia, ormai del tutto scoperte e gli stinchi. Gli stivaletti erano in condizioni pietose: sgraffiati, le suole semi-scollate.
Il colonnello non era certo messo meglio: i capelli mori erano scarruffati come se avesse preso più volte una potente scossa elettrica. Lo sguardo vacuo e gli occhi segnati da due occhiaie paurose la dicevano lunga sulle notti che aveva passato in quel periodo. La tenuta da militare era lacerata dovunque, in particolare sul petto, dove era stata letteralmente divelta, lasciando scoperta la camicia stracciata sottostante, con le maniche arrotolate fino ai gomiti. I pantaloni erano letteralmente a brandelli, gli stivali graffiati e lacerati in alcuni punti.
I due alchimisti si misero seduti e si scoccarono vicendevole occhiate di disprezzo: il loro modo per darsi il buongiorno.
Senza considerarsi minimamente, il colonnello e il biondo si alzarono.
Edward perquisì con lo sguardo la radura, in cerca di qualche particolarità che gli era sfuggita nelle attente analisi che aveva fatto nei giorni precedenti, per ammazzare il tempo. Niente di nuovo. Si stiracchiò, facendo scricchiolare il braccio sinistro.
Alphonse era già sveglio e se ne stava seduto in disparte a giocare con il gattino-puma.
Il colonnello si stiracchiò e si voltò dando le spalle a Edward.
- Io vado a fare una giratina sulla spiaggia... - esclamò, avviandosi verso il limitare della radura.
- Ehi, colonnello! Aspetti! -
- Acciaio, non rompere. Voglio stare da solo -
- No. Vengo anch’io sulla spiaggia. Qui mi annoio... -
- Ba’... fa’ un po’ come ti pare -.
Nel frattempo al Quartier Generale di East City...
Fiamma e Riza, sole nell’ufficio del colonnello Mustang, stavano intrattenendo l’ennesima conversazione riguardo il “corso di coesistenza” che avevano imposto a Edward e Roy. La discussione era molto animata, anche se le due badavano molto a far sì che nessuno al di fuori della stanza le sentisse.
- Non credi che sarebbe il momento di riportarli indietro? - chiese Riza.
- Non penso... Ed è duro quando c’è da arrendersi all’evidenza. Mi sembra impossibile che accetti la collaborazione del colonnello così in fretta -
- Ma ormai sono passate più di due settimane! Non pensi che sarebbe il caso di portarli via prima che impazziscano? -
- No... non penso che impazziranno dopo solo due settimane... io ci ho passato quasi un mese e sono ancora viva e sana di mente... -
- Ma tu non sei il colonnello! Quell’uomo ha bisogno di vivere in città! Alla lunga finirà per andare fuori di testa e dovremmo rinchiuderlo in qualche manicomio... -
- Bella l’idea di Mustang in manicomio... -
- Drakon... -
- Sì lo so... mi scusi... vuole che vada a prenderli? Va bene -
- Davvero? -
- Certo. No problem -.
Così dicendo, Fiamma si alzò ed uscì a grandi passi dalla stanza, lasciando la tenente a bocca aperta.
Intanto sull’isola Edward e Mustang, una volta raggiunta la spiaggia, si erano separati completamente. Si ignoravano del tutto, cosa che non potevano fare così apertamente in presenza di Alphonse.
Mentre il colonnello si concedeva un bel bagno rilassante, Edward se ne stava a torso nudo seduto sulla spiaggia a gambe incrociate, impegnando tutta la sua attenzione sul suo castello di sabbia in fase di costruzione.
Il sole picchiava sulla sabbia, arroventandola in pochi minuti e, cosa ancora peggiore, arrostendo pure l’auto-mail di Edward, che dovette rifugiarsi all’ombra degli alberi per non finire abbrustolito.
- Ahah Acciaio... paura del sole? -
- Non è paura del sole... è paura di finire arrostito come un pezzo di carne da macello sul fuoco! -
- Sì... certo... -
- Grrr... -
- Piuttosto... vedi di non arrugginire su quel castellino di sabbia... -
- La finisce di provocare? Non vorrei essere costretto a picchiarla... -
- Picchiarmi? Tsk! Sei così piccolo che non ci riusciresti neanche con l’ascensore... -
- PICCOLO A ME?! RAZZA DI COLONNELLO PERVERTITO! Lei e i suoi stramaledetti sogni ad occhi aperti su attraenti donne in bikini! -
- NON SONO AFFARACCI TUOI ACCIAIO! -
- OH, INVECE SÌ! PER COLPA SUA IL MIO PSICHIATRA AVRÀ DA LAVORARE PARECCHIO! -
- MIA?! SEI TU CHE TI SEI VESTITO DA DONNA! -
- MA LA COLPA È SUA! -
- MA CHE C’ENTR... -.
L’accesa diatriba che era scattata fra Edward e il colonnello, che ormai non volevano altro che passare direttamente alla violenza, fu interrotta da un rumore proveniente dal mare.
Era un rumore lontano ma incredibilmente familiare, che pose temporaneamente fine alla discussione.
Gli occhi dei due alchimisti si spostarono lungo la piatta distesa di mare che si perdeva in lontananza, finché non notarono qualcosa di bianco che si muoveva sinuosamente su di essa, avvicinandosi sempre più.
L’euforia che li colpì in contemporanea fu tale che s’abbracciarono urlando: - EVVIVA, SIAMO SALVI! -
- Fratellone, colonnello, la finite di urla... -.
Alphonse, arrivato in quel preciso istante, rimase perfettamente immobile, osservando la scena che si trovava dinanzi: Edward e Mustang abbracciati.
Era una sceneggiata, ne era certo. Non era logicamente possibile che da odio puro al 100% passassero all’amore, anche perché ciò era contro natura, ma non poté escluderlo completamente. In fondo, poteva anche essere solo frutto della loro pazzia dopo le settimane che avevano passato relegati in quel posto.
Poi, lo vide.
L’attenzione di Alphonse si spostò sulla cosa bianca che si stava avvicinando a velocità sostenuta, accompagnata da un rumore stranamente familiare, benché non ricordasse dove l’aveva già sentito.
Il gattino-puma gli si sfregò contro la gamba, cercando di attirare la sua attenzione, ma ormai era fuso.
L’attenzione dei tre alchimisti si focalizzò interamente sulla cosa bianca in avvicinamento.
Erano salvi. Finalmente qualcuno stava andando a recuperarli. Avrebbero potuto nuovamente dormire su un letto comodo, avrebbero potuto di nuovo mangiare carne cotta, avrebbero avuto di nuovo un bagno normale.
Quando fu più vicina, finalmente la riconobbero: era un motoscafo.
Un motoscafo dell’esercito.
Rimasero attoniti, ad osservare il motoscafo che si avvicinava sempre più.
Quando fu vicino alla spiaggia, Edward riuscì a scorgere fugacemente qualcosa di rosso. Un abbagliante rosso cremisi.
Fin troppo familiare per non riconoscerlo.
Si sciolse dall’abbraccio con Mustang e si avvicinò all’acqua.
- Fiamma?! - esclamò, fra l’attonito e lo sbalordito.
- Che? Fiamma?! - ripeterono in coro gli altri due.
Benché si sforzasse di negarlo, era chiaro come il sole che quella fosse Fiamma. Era probabilmente l’unica persona al mondo con un colore di capelli così rosso. Così rosso e così intenso.
Quando il motoscafo arrivò sulla spiaggia, Fiamma balzò a terra con un’agilità sorprendente.
Era rimasta la solita di sempre: capelli rossi lunghi e mossi, pallida, con indosso jeans e canotta nera. L’unica particolarità era un paio di spessi occhiali da sole che le coprivano le ardenti iridi degli occhi.
Se li tolse con disinvoltura e li fissò uno a uno, in silenzio poi, con un sospiro, si appoggiò alla fiancata del motoscafo.
- Santo cielo, vi siete ridotti proprio male... e pensare che credevo di farvi passare una vacanza tipo il vostro addestramento... - esclamò.
- CHE COSA?! CI HAI SPEDITO TU QUI?! - urlò Edward fuori di sé.
- Naturale. Credevi di esserci arrivato in volo? - ribatté con noncuranza la ragazza.
- Perché tutto questo? A che scopo? E... perché anche io? - s’intromise il colonnello, attonito.
- Perché non se ne poteva più dei vostri continui battibecchi. Pensavamo che in casi come questo riusciste ad appianare le divergenze... - spiegò Fiamma.
- “Pensavamo”? - domandò Alphonse.
- Io e la tenente... -
- Hawkeye? -
- Ma... tu che dici? -.
Edward e Mustang rimasero a bocca spalancata, consci del fatto di essere le vittime di qualche strana macchinazione cospirata alle loro spalle.
Edward s’avventò verso Fiamma, ma lei lo evitò con un salto e atterrò sul motoscafo.
- Ed... sei stanco... non affaticarti inutilmente... -
- Se ti prendo t’ammazzo! Hai idea di cosa abbiamo passato su questa stramaledettissima isola? -
- No, ma me lo posso immaginare dal modo in cui siete ridotti... comunque, rallegratevi. Vi riporto a East City, ma... -
- MA...? - la incalzarono Edward e Roy.
Lei alzò un dito in modo perentorio, fissandoli dall’alto in basso.
- Ma ad una condizione - rispose.
- COSAAA?! -
- Che condizione? -
- Dovrete smetterla di battibeccare. In modo definitivo -.
Edward e Mustang si scambiarono uno sguardo attonito: era la condizione più difficile da realizzare in assoluto.
I loro stomaci brontolarono all’unisono.
- Be’... allora? - chiese Fiamma.
- Eh... va bene. Ci arrendiamo. Però riportaci a casa... okay? - mormorò Edward.
- Okay! - rispose Fiamma sorridendo.
- Al... lascia andare quel puma... - aggiunse poi la ragazza, voltandosi ed inforcando di nuovo gli occhiali.
- Oooh... va bene... - acconsentì Alphonse, lasciando con rammarico il gattino-puma vicino ad un cespuglio.
Ripartirono e raggiunsero East City nel giro di poche ore.

- Colonnello! - esclamò Riza sollevata, vedendo ricomparire Mustang sull’uscio del suo ufficio.
- Tenente... - mormorò il moro con risentimento.
- Sì...? -
- Ha collaborato con Fiamma per questa specie di vacanza che ci ha imposto? -.
Riza abbassò lo sguardo.
- Sì... ma l’ho fatto nel suo interesse e... - s’interruppe e si guardò attorno - ... dov’è Edward? -
- Alla mensa... - rispose Mustang con una punta d’irritazione nella voce.
- Finalmente un pasto come si deve! - esclamò il biondo, buttandosi sul cibo come un morto di fame.
Fiamma se ne stava silenziosa a fissare la parete alle spalle del ragazzo, senza degnarlo della minima attenzione.
- Ed... ricorda la condizione... -
- Uff... perché mi devi avvelenare il pranzo?! -
- Credevo te ne fossi dimenticato... -
- No... non preoccuparti. Almeno ci proveremo... -.
E così la vita dei due alchimisti riprese come sempre, anche se ci fu un notevole sforzo da parte di entrambi per evitare conflitti che sarebbero potuti costar loro altri giorni di reclusione su quella stramaledetta isola.
E vissero tutti felici e contenti. Più o meno.

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