L'uomo di cartapesta di rossella0806 (/viewuser.php?uid=773369)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'arrivo di Aurora in paese ***
Capitolo 2: *** Visite inaspettate ***
Capitolo 3: *** I sette dormienti ***
Capitolo 4: *** Il carillion ***
Capitolo 5: *** La riunione ***
Capitolo 6: *** Ricordi e idee ***
Capitolo 7: *** Gita in città e lavoro nei campi ***
Capitolo 8: *** I carri e le galline ***
Capitolo 9: *** Il mostro della pioggia ***
Capitolo 10: *** Il nuovo Esodo ***
Capitolo 11: *** Camomilla ***
Capitolo 12: *** Incidente di percorso ***
Capitolo 13: *** Le feste natalizie di Aurora ***
Capitolo 14: *** I due sogni ***
Capitolo 15: *** Che le danze abbiano inizio ***
Capitolo 16: *** Fuochi d'artificio ***
Capitolo 17: *** La sfilata dei carri ***
Capitolo 18: *** Gli ottoni ***
Capitolo 19: *** Una cosa sola ***
Capitolo 20: *** Rimpatriata di Capodanno ***
Capitolo 1 *** L'arrivo di Aurora in paese ***
La
vera scoperta
non consiste
in nuovi paesaggi,
ma nel guardare
con occhi nuovi
Marcel Proust
Venature di
bianco pennellano il cielo, mentre sotto di esso l’acqua del
ruscello scorre contenuta tra gli argini di terra cedevole, e i fiori e
le chiome degli alberi sono come ballerini insicuri in preda alla
brezza fastidiosa.
La casa rossa in cima alla collina domina l’intero paesaggio,
protetta dalle montagne controlla la fitta vegetazione.
Davanti ad essa si erge il resto del paese: il guscio della piazza con
la chiesa e il campanile, i prati e i campi coltivati, le abitazioni a
due piani con il giardino perfettamente curato e i negozi, luogo di
ritrovo per gli abitanti del borgo.
Ora il vento si fa più forte e scuote con dispetto tutto
ciò che gli oppone resistenza, solo la casa rossa rimane
imperturbabile.
Il calore del sole intiepidisce ogni cosa, s’insinua
malandrino sotto le pietre per raggiungere le lucertole e le formiche
intente a riposare, accarezza il pelo dei cani e dei gatti esposti ai
suoi raggi.
Dopo il tepore dei giorni precedenti, ora è di nuovo
insolitamente caldo.
Sul lato della piazza che si congiunge con i campi
c’è una fontana che sgorga acqua fresca:
è composta da una lunga vasca di pietra sbeccata ai lati
come piccoli morsi di corvi affamati ed è sovrastata da una
colonna un po’ tozza con eleganti volute a sorreggere le
fauci aperte del leone da cui fuoriesce l’acqua, gli occhi di
sasso due bottoni più scuri.
Di fronte alla fontana si innalza il muro ad est
della chiesa, le cui pareti sono state riverniciate da poco con un
insolito color senape.
Sulla facciata in stile romanico dell’edificio svetta una
torre in mattoni rossi con le due campane in bronzo.
La pesante porta di rovere scuro con un battente sempre aperto di
giorno come ad invitare la gente –fedeli e non- ad entrare in
quel luogo sacro contrasta con la semplicità delle due
panche di pietra collocate ai lati dell’entrata, messe
apposta per far riposare i paesani dopo aver svolto le loro divine
mansioni.
Nel borgo la giornata è scandita da ritmi ben precisi: il
mattino ogni cosa si rianima, il paese stesso ritorna a vivere.
Il vociare delle comari è intenso e continuo, quasi una
nenia, e la sera il rientro degli uomini e delle donne dai campi o da
altre mansioni risveglia la vita.
Il pomeriggio, invece, il paese è uno gnomo addormentato:
è un villaggio fantasma, quasi nessuno popola le sue strade,
solo qualche cliente della bottega che non ha potuto andare prima a
fare rifornimento vagabonda per le vie, pronto a sfidare il caldo.
E quando scende la notte, tutto ritorna calmo e silenzioso, il paese si
ferma di nuovo, questa volta per riposarsi dalle fatiche quotidiane.
Si mette in pausa, premendo il pulsante invisibile del ritmo umano, per
poi rinascere uguale a se stesso l’indomani.
Sebbene possa sembrare un villaggio sperduto e nelle vicinanze non
esista la città come la intendiamo noi –caotica,
superflua in certe sue sfumature e a volte anche monotona- , vi
è una sua copia in miniatura che dista solo quattro
chilometri.
La strada per raggiungerla ha un paio di curve, per il resto
è lineare e si può percorrere facilmente in
bicicletta o a piedi, ovviamente per chi ha fiato ed è
allenato.
La città, come il paese, è circondato dalle
montagne, ma ha la caratteristica di affacciarsi sul lago e il
paesaggio che dalle sue sponde si scorge è straordinario:
l’intera vallata -fatta di piccoli borghi disseminati qua e
là per il bacino montuoso- sembra cullarsi sotto il suo
sguardo vigile e materno.
Il giorno di mercato è poi un autentico spettacolo: molti
sono i forestieri in cui ci si può imbattere, la gente
s’incontra, si scambia saluti, sorrisi, gesti amichevoli,
l’esperienza le insegna ad accaparrarsi la merce migliore.
C’è chi osserva i colori di stoffe e vestiti, chi
rincorre gli aromi di cibi e profumi, altri inseguono i rumori e le
voci che in un crescendo sempre più forte diventano
schiamazzi un po’ fastidiosi, ma tutti si fanno accompagnare
dai cinque sensi in quel viaggio settimanale.
E’ un’esperienza cui non si rinuncia mai, nemmeno
quando piove o c’è la neve, le bancarelle magari
si riducono, il frastuono è più attutito e
lontano, ma nulla si ferma.
Non siamo in paese e, per quanto diversa dalle altre, è pur
sempre una città.
Si fugge sempre da
qualcosa o da qualcuno e la maggior parte delle volte non si sa nemmeno
il perché.
Si vuole cambiare, si ha
paura, si ha nostalgia del passato, si vuole vivere una vita che non ci
appartiene.
Si sogna di notte e ci
s’illude di giorno, s’immaginano realtà
lontane che, a seconda dei momenti, rendono tristi o allegri.
Il tempo scivola via
dalle mani, ogni giorno vorremmo fare cose su cose per provare nuove
esperienze, ritagliare degli istanti solo per noi, ma le ore sono
quelle che sono, nessun’incantesimo ancora ci permette di
accorciare le notti.
Ci svegliamo stanchi e,
a seconda di come è andata la giornata, andiamo a dormire
eccitati o affranti perché tutto quello che avremmo voluto
fare non si è realizzato o si è realizzato solo
in parte, così attendiamo con ansia il levare del sole per
portare a termine ciò che non siamo riusciti a svolgere il
giorno avanti o, più semplicemente, pigri e indolenti,
aspettiamo che il tempo scorra.
Lei ha scelto di andare via da tutti e da tutto perché ha
voglia di trovare un luogo appartato da quello che gli altri chiamano
mondo.
Per questo è scappata, vuole cercare la sua parte di prima
donna nello spettacolo della vita: deve fare ordine dentro di
sé, per capire cosa diventare e come fare per diventarlo
così, quando tornerà, potrà finalmente
rivelare tutto il suo amore.
Fuggire dalla città, da quel calore infernale che si
sprigiona continuo dai pori di ogni cosa, risucchiando dal corpo
qualsiasi forma di energia.
E’ una forza che ottenebra la mente, ricopre i marciapiedi e
i muri dei palazzi roventi al suo passaggio, insinuandosi nel cielo di
un azzurro a tratti slavato e a tratti di marmo tanto è
perfetto.
E quello stesso cielo così magnificamente disegnato, si
trasforma senza avvisare in un opprimente coperchio di una pentola
–la città- che senza pietà intrappola
sotto di sé oggetti, luoghi e persone …
Lei ricorda quel senso di appiccicaticcio sulla pelle che non
l’abbandona mai, quell’umidità subdola
che per quanto ci si lavi, non si riesce a sciogliere, scomponendola in
tante minuscole goccioline invisibili.
La spossatezza prende il sopravvento e conquista ogni fibra, ogni
muscolo, ogni tendine di lei, mentre una sonnolenza invincibile
l’avvolge.
LUNEDI’
17 LUGLIO
Sulla via principale, all’imbocco con la strada che porta
verso la piazza della chiesa e il ponte che taglia in due il fiume, la
forestiera entra in una casa bassa e allungata - ora adibita a bottega-
dai muri di pietra e con una grande vetrata racchiusa da infissi in
legno e metallo.
Il suono acuto e stridulo della campanella sospesa dietro la porta
annuncia il suo arrivo.
Il negozio consiste in un’unica ampia e rettangolare stanza
con quattro scaffali posti lungo le pareti e tre più
oblunghi nel mezzo a formare una U, mentre una decina di gradini
conducono verso il basso, nel magazzino.
In un angolo, di fianco all’ingresso, ha trovato posto un
tavolo di legno screziato da numerose venature, mentre sopra
è appoggiato il registratore di cassa e, nella parte
retrostante, uno sgabello piuttosto alto.
Al trillo del piccolo sonaglio, la donna dietro il bancone alza la
testa, abbandonando la matita con cui stava scarabocchiando su dei
fogli: ha i capelli color biondo cenere raccolti in un fermaglio verde
e indossa un grembiule rosso a pois con l’allacciatura sul
davanti.
La forestiera accenna un sorriso e subito chiede se può dare
un’occhiata in giro.
Alla risposta affermativa della donna, lei comincia ad aggirarsi per la
piccola bottega, il cestino di metallo nella mano destra, la sinistra a
cercare il portafogli nella borsa per paura di averlo dimenticato alla
casa rossa.
Subito rassicurata dal morbido tessuto, la forestiera riprende
tranquillamente il suo tour tra i ripiani colmi di cibo: la spesa
è sempre stata per lei un’attività
rilassante, nella sua vecchia vita era un’abitudine che
conservava almeno tre volte a settimana, ma mai sceglieva il weekend,
perché detestava e detesta ancora la folla, la mandria
imbufalita che assale con fremente irrazionalità confezioni
e scatole di ogni genere.
E poi lei ultimamente è fissata con i supermercati
biologici, luoghi più intimi, dove poter girovagare con
calma, senza essere spintonati o rischiare di fare folli corse per
raggiungere la prima cassa disponibile.
Già, la cassa: la forestiera rivolge uno sguardo verso la
donna che si è rimessa seduta sullo sgabello, quasi come nel
gioco del nascondino la nuova arrivata non vuole farsi vedere, ma sa di
essere vista, tanto da avvertire distintamente la presenza discreta
della negoziante che la segue nel suo vagabondare per la bottega.
La forestiera abbassa gli occhi verso il cestino di metallo, fa finta
di frugare tra la merce scelta come a controllare di aver preso tutto
quello per cui è entrata poi, con noncuranza, si sposta
verso lo scaffale congiunto con quello a U, in modo da sfuggire agli
occhi della predatrice.
Ne approfitta per aggiungere alla spesa anche del cioccolato e una
bottiglia di olio, ma una volta terminati i ripiani, la fortuna la
abbandona, costringendola a tornare sui suoi passi, per domandare alla
negoziante dove può trovare il pane, i pomodori e le pesche.
“La servo subito … “ la rassicura la
donna: esce dalla sua tana dietro il bancone e si reca nelle apposite
cassette dove tiene ciò che ha appena promesso alla
forestiera, che annuisce con un basta così, e poi si
avvicina alla cassa.
Sta per pagare, quando la bottegaia le rivolge nuovamente la parola:
“Mi scusi, è la nuova inquilina della casa rossa,
vero?”
“Sì, sono arrivata ieri
pomeriggio” risponde lei, abbozzando un timido
sorriso.
“Sa già quanto si fermerà?”
“Almeno un mese …” lei continua a
ritirare la spesa nella borsa, senza guardare negli occhi la sua
interlocutrice, mentre questa sistema il denaro nella cassa.
“Sono sicura che da noi si troverà bene! Il paese
è piccolo, ci conosciamo tutti, però qui vicino
c’è la città che è ben
fornita … vedrà che non le mancherà
nulla”
La forestiera prende le due borse cariche di cibo e, con un lieve
sorriso, saluta la bottegaia, desiderosa solo di scappare da
quell'interrogatorio.
Grave errore, perché ovviamente essendo umanamente dotata di
due mani, da sola non può aprire la porta.
Così, mentre un guizzo di panico le attraversa il cuore, la
donna dai capelli biondo cenere esce da dietro il bancone per venire in
suo aiuto: prima le apre la porta d’entrata poi,
appoggiandosi allo stipite con le braccia conserte, segue con lo
sguardo la straniera risalire la piazza.
Per la strada di ritorno che l’avrebbe portata alla casa
rossa, lei incontra qualche persona.
E’ mattina ed è normale imbattersi in della gente.
Un paio di anziane signore le rivolge un saluto, sorridendo in modo
melenso, mentre una piccola comitiva di bambini la guarda incuriositi,
indicandola in modo poco educato.
Lei fa cenni a tutti, ma non si cura più del dovuto di
risultare gentile: è la novità del paese, suscita
interesse e questo le sembra normale, anche se non riesce a capire fino
in fondo il loro atteggiamento: forse non sono abituati a vedere
turisti? si domanda.
In città, infatti, è sempre stata addestrata a
svicolare tra la gente come se fosse invisibile, nessuno la nota
più di quanto non noterebbe un’altra donna
monotonamente normale.
Ma dopotutto cosa le importa di quello che gli altri pensano di lei?
Le viene in mente una frase di Charlie Chaplin, che aveva letto da
qualche parte in un libretto di aforismi:
“Preoccupati
più della tua coscienza che della tua reputazione.
Perché
la tua coscienza è quello che tu sei, la tua reputazione
è ciò che gli altri pensano di te.
E
quello che gli altri pensano di te è problema loro”
Ma il suo problema è sempre stato quello: la prima volta che
aveva visto Mattia aveva subito trovato qualcosa di speciale in quel
viso sbarbato ancora da bambino, nello sguardo limpido e irriverente,
nei capelli scuri e spettinati e aveva desiderato che anche lui la
notasse, in mezzo a quella baraonda caotica che era il parco in agosto,
per nulla svuotato dalle ferie estive.
Aurora, un vestito blu con le spalline sottili, stava lottando con una
fastidiosissima zanzara che la stava importunando da qualche secondo,
impedendole di continuare a leggere il libro che si stava gustando,
seduta su una panchina dalla vernice verde scrostata,
all’ombra di un salice piangente.
Il libro le era scivolato di mano proprio nello stesso istante in cui
Mattia stava passando di lì con la sua bici, diretto verso
una delle numerose piccole fontane del parco.
I bermuda rossi e la maglia bianca esaltavano il fisico asciutto e da
sportivo, gli occhiali da sole calati sugli occhi.
Lei recuperò il libro con la stessa lentezza proverbiale di
una lumaca e se lo appoggiò distratta sulle gambe, mentre
lui scendeva dalla bici e, gli occhiali sistemati in testa, portava le
mani a coppa verso l’imbocco della fontana, bevendo avidi
sorsi.
Poi si asciugò soddisfatto la bocca con il dorso della mano,
riempì la borraccia in acciaio incastrata
nell’apposito spazio del telaio e, finalmente, il suo sguardo
incontrò quello di Aurora, che continuava a spiarlo di
sottecchi.
Un rossore improvviso le colorò le guance, sentendosi quasi
in colpa per essere stata sorpresa in flagrante: distolse subito gli
occhi verdi, nello stesso istante in cui Mattia risaliva sul sellino e,
con un sorriso, le passava davanti divertito:
“Ti è caduto questo … “ le
fece notare, chinandosi a raccogliere il segnalibro raffigurante un
gatto certosino, sfuggito da chissà quale pagina, quando ad
Aurora era scivolato il libro dalle mani.
“Ah, grazie … “
borbottò, allungando una mano in direzione
dell’oggetto che le stava tendendo il ragazzo.
“Figurati. Ora devo andare, altrimenti chi lo sente il mio
allenatore se gli registro un record inferiore alle sue aspettative! Ci
vediamo!”
“Sì … ci vediamo”
Il ciclista, un piede appoggiato a terra per mantenersi in equilibrio,
si calò gli occhiali scuri e, prima dello sprint,
salutò Aurora dicendole:
“Comunque io mi chiamo Mattia”
Ed è così che, grazie al segnalibro, Aurora
conobbe Mattia, ma non ebbe il tempo di rivelargli quale fosse il suo
nome, piacevolmente stordita e sorpresa da quella figura che si
allontanava sempre di più.
NOTA DELL'AUTRICE
Ciao a tutti! Spero
che questo primo capitolo sia stato di vostro gradimento!
Questo è un racconto a cui tengo moltissimo, per cui mi
auguro con tutto il cuore che vogliate lasciarmi un vostro piccolo
pensiero sul racconto: consigli, critiche, anche apprezzamenti sono
graditissimi!
La prima parte del capitolo è stata piuttosto riflessiva,
ditemi se vi ha annoiato, però la reputo fondamentale per
presentarvi il paese e i tormenti interiori di Aurora che scopriremo
andando avanti!
Bene, chissà se vi ho fatto compagnia, ne sarei felice se
fosse così!
A presto!
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Capitolo 2 *** Visite inaspettate ***
Aurora risale a passo svelto il vicolo che si affaccia
parallelo alla strada della bottega: ha voglia di fare un giro per le
vie del paese, tanto più che il tempo è
piacevolmente allettante, ma senza vedere troppe persone,
così decide di rimandare la passeggiata a quello stesso
pomeriggio, perché ha già visto ieri al suo
arrivo che, durante le ore pomeridiane, non c’è
praticamente nessuno in giro.
E poi ci sono le borse della spesa che cominciano a pesarle.
Così, con uno sforzo immane per cercare di essere il
più naturale possibile, continua la sua inaspettata sfilata
tra le vie del paese, fino a quando scorge in lontananza la villa, la
sua nuova dimora.
Il breve sentiero che s’inerpica fino al grande cancello
d’entrata della casa rossa è leggermente in
pendenza, circondato da roseti e cespugli di more.
La forestiera si guarda intorno, attratta da quell’atmosfera
così inusuale per lei, che il giorno prima ha appena
percepito.
Appoggia le due borse della spesa vicino ai roveti e comincia il suo
giro di perlustrazione.
Di fianco ai gradoni di pietra che conducono all’ingresso
principale si erge una piccola altura scoscesa che prosegue verso
l’alto, fino a congiungersi con un terreno allungato e
rettangolare, ricco di verdi fili d’erba, troppo lunghi e
incolti per l’incuria e la trascuratezza degli uomini.
Sul lato sud dello stesso terreno, una serie di cespugli di lavanda in
fiore, diffonde una inebriante e persistente fragranza: lei si avvicina
e coglie qualche rametto da infilare nei cassetti, tra le maglie che ha
portato.
Verso il basso, invece, si apre una distesa di prato ancora
più vasta, dove hanno messo le loro radici il prugno
selvatico e la vite di uva fragola.
La forestiera ritorna verso il pendio dove, in mezzo tra la parte alta
e quella bassa dell’altura, sono stati piantati molti anni
prima, alberi di mele rosse, di ciliegio e d’albicocco: hanno
il tronco indebolito e piegato dalla deformità del terreno e
dall’insicurezza di radici ormai vecchie e stanche.
Grandiosi nella loro bellezza precaria, ma quasi insignificanti
rispetto alla maestosità del pino alto cinque metri che si
staglia fiero nella volta celeste, con i suoi lunghi rami e gli aghi
folti protesi verso l’esterno, come in un abbraccio altezzoso.
Ad Aurora ricorda vagamente l’abete che aveva sua nonna nel
giardino, un albero immenso che le faceva compagnia in ogni stagione, e
che rappresentava una sicurezza per lei, sempre presente con la sua
veste verde in primavera ed estate e bianca in inverno;
l’odore pungente e dolciastro della resina collosa, gli aghi
pungenti e sottili a farle il solletico sui palmi delle mani
… pensieri così piacevoli eppure allo stesso
tempo brucianti di nostalgia, lontani nel tempo ma ancora vivi nella
mente.
Rivolge lo sguardo oltre il pino: dietro scorge le montagne, tozze ma
eleganti, a proteggere e a specchiarsi in un quel secolare panorama
abbandonato dalla presenza umana.
La straniera si sposta verso il lato opposto della casa, quello che non
si vede dal viale d’ingresso, dove si snodano tutto intorno
alla porta arcuata della vecchia cantina, tralicci intrecciati di
gelsomino, il cui profumo va scemandosi dopo il rigoglio che li ha
visti protagonisti in primavera.
Finita l’escursione, Aurora ritorna davanti alla porta
d’ingresso e, prima di recuperare le borse, prende le chiavi
dalla tracolla arancione: sono un po’ arrugginite,
così come la serratura, e deve fare una leggera pressione
per riuscire ad aprire.
Quando entra in casa, posa i sacchetti con le compere sul tavolo della
cucina.
Apre le imposte della stanza e dalle finestre entrano finalmente
calore, luce e aria fresca.
Poi si sposta nella camera di fronte, per vedere quello che il
pomeriggio precedente non aveva voglia di guardare.
Ieri infatti è arrivata che era quasi il tramonto, era
stanca e frastornata dal cambiamento, adesso invece con tutta quella
luce non può non accorgersi di quanto
l’arredamento sia prezioso e ricco di particolari: si
avvicina alla grande credenza di legno che troneggia sulla parete
principale della sala da pranzo, le ante smerigliate con i telai pieni
di venature, i pomelli dorati opachi, non c’è
nulla di là dal vetro colorato, ma a lei piace
perché le dà un senso di inaspettata pienezza.
Si dirige verso il salone: è ampio e luminoso, e anche il
divano e la poltrona in tessuto a fiori rossi hanno vissuto tanti anni,
tuttavia sono ancora belli da vedere e comodi da sedersi.
Sprofonda nella poltrona, mentre le dita cominciano a scorrere timide
sui braccioli, la stoffa impercettibilmente lacerata in piccoli
strappi: chiude gli occhi e immagina di essere a casa, quella di prima,
ora così lontana, volutamente abbandonata.
Si ricorda lei, a notte fonda, quando spesso era solita rientrare a
quell’ora, mentre in camera si rilassava sul letto, magari
ascoltando della musica o leggendo un romanzo, il sonno che le
appesantiva le palpebre.
Questa tranquillità è l’unica cosa che
le manca della sua vita precedente, anche se sembra assurdo che in
quell’oasi distante da tutto e tutti, possa provare una
sensazione di pace al pensiero di quei ricordi.
In fondo qui non sono a
casa, ogni cosa che mi circonda non è mia, recito solo la
parte dell’ospite, per questo mi sento ancora così
estranea...
A passi lenti ma sicuri, la forestiera sale le scale che la portano al
piano superiore, dove ci sono le sei camere da letto.
Tra tutte lei ha scelto quella con il baldacchino, un pregevole
scrittoio e un comò neoclassico: l’essenziale ma
di ottima finitura, inoltre dalla finestra riesce a vedere
perfettamente l’intero paese e anche un pezzo di lago.
E’ assorta nei suoi ricordi quando suonano alla porta.
Ridiscende le scale sufficientemente piano per rendersi conto che,
fuori dalla casa rossa, non conosce nessuno, quindi perché
aprire?
Per un attimo spera con tutta sé stessa che sia Mattia, il
suo dolce Mattia che, chissà come, è venuto da
lei.
"Mi illudo
così facilmente ... sono sempre stata solo una stupida,
nient'altro".
Il campanello suona una seconda volta, un trillo acuto che quasi le
impone di confrontarsi con la realtà, con chiunque si trovi
all’esterno di quelle quattro mura.
Così la forestiera va ad aprire e si ritrova di fronte una
piccola comitiva composta da cinque donne di mezza età: la
prima che si fa avanti indossa un elegante tailleur amaranto, i capelli
castano chiaro a incorniciarle il viso ossuto dagli zigomi alti. Gli
occhi nocciola leggermente allungati s’illuminano non appena
la forestiera fa la sua comparsa.
“Buongiorno! Spero di non disturbarla. Ha un attimo di
tempo?” gli angoli della bocca sottile ma ben disegnata si
piegano in un affabile sorriso, le braccia a reggere un grande
sacchetto di carta colorata.
La forestiera cerca di guadagnare tempo dicendo che è appena
tornata dal paese, sperando che quella schiettezza le sia
d’aiuto ad evitare che quell’inaspettata e
spiacevole visita continui.
Ma l’elegante signora in tailleur non ha alcuna intenzione di
desistere:
“Non ci tratterremo a lungo … molto piacere, sono
il sindaco, ma lei mi chiami pure Anna!
Le altre signore qui presenti, invece, appartengono al Comitato feste
del paese: Roberta, Adele, Maria e Lina! Su, ragazze, venite
avanti!”
A sentire pronunciare i loro nomi, le quattro donne salutano una dopo
l’altra.
Formano una stravagante scala umana, che va dalla più alta
alla più bassa: la prima citata non dimostra più
di cinquant’anni, ha una figura slanciata che quasi stona con
la floridità delle sue forme, particolarmente accentuate da
una cintura bianca in pelle, i capelli ricci lunghi fino alle spalle,
di un indefinito colore tra il castano scuro e il nero.
La seconda donna, all’incirca della stessa età
della prima, è più bassa di tre o quattro
centimetri, e porta i capelli, già tendenti al grigio, corti
fino alla nuca e degli occhiali dalla montatura viola a nasconderle la
miopia: è incredibilmente ossuta, caratteristica accentuata
dalla piattezza dell’addome e dalla fragilità dei
polsi lasciati nudi da una maglietta a tre quarti rossa.
La terza e la quarta donna sono invece molto più basse delle
altre, e devono avere superato gli ottant’anni da qualche
primavera.
Quella che ha risposto al nome di Maria ha però un viso
privo di rughe, i capelli ordinatamente pettinati forse esito di una
recente permanente, la bocca sottile e pallida, un lieve tremore alle
mani su cui risaltano macchie caffelatte, le gambe magre e rachitiche
avvolte da collant color carne.
L’ultima donna, Lina, non riesce quasi ad essere contemplata
dalla forestiera, perché il sindaco riprende allegramente
con il suo discorso di presentazione:
“Ci siamo permesse di darle il nostro benvenuto nella
comunità, portandole un piccolo omaggio: una torta fatta
dalla signora Lina” e, indicando una donna dai capelli
bianchissimi, gli occhi cerulei e il seno generoso quasi ad esplodere
in quella figura minuta, stretta in un abito di pizzo blu, continua
“e la guida scritta dai nostri bambini per orientarsi nella
zona. E’ molto utile se vuole fare delle passeggiate per i
sentieri di montagna o anche solo per andare in città:
lì può visitare il museo storico e i palazzi
aperti al pubblico! Le assicuro che ne vale la
pena!”
Le labbra della forestiera si piegano in un sorriso che vuol far
apparire il meno forzato possibile, mentre imbarazzata accetta i
regali, ringraziando in modo non troppo convinto.
La donna in tailleur amaranto risponde con un gesto della mano come se
volesse spazzar via un insetto fastidioso dal viso, continuando poi ad
elogiare l’ottima scelta della forestiera in fatto di
vacanze, sebbene sappia già che si fermerà appena
un mese:
“Quando abbiamo saputo che la vecchia casa rossa sarebbe
stata di nuovo abitata, ci si è aperto il cuore dalla
felicità! Ormai è da più di mezzo
secolo che non viene nessuno, a parte un paio di villeggianti gli anni
precedenti: la contessa e la sua famiglia si sono trasferite in
Svizzera e qui sarebbe dovuto sorgere un albergo, ma poi non se
n’è fatto più nulla. Sa, mancano le
risorse per valorizzarla. Il comune fa quello che può per
mantenerla in ordine, ma è una casa talmente grande e
bisognosa di tutto, che a volta è difficile farcela
… “
Lei cerca di assecondare con piccoli gesti del capo la grande tragedia
che le sta raccontando la sindaco: prima annuisce gravemente, poi apre
le mani in un gesto sconsolato, ma sono gli occhi – acquosi e
assenti- a tradirla, apparentemente ipnotizzati dalla bocca in continuo
movimento della donna, in realtà esageratamente sgranati per
impedire che le ciglia sbattano e la riportino a quei discorsi di cui
sente solo un’eco lontana e indistinta.
Evidentemente la prima cittadina deve aver concluso
l’apologia, perché la forestiera si accorge che la
bocca sottile macchiata di rossetto color prugna si è
improvvisamente chiusa: temendo di essere scoperta a non aver ascoltato
non più di qualche brandello del monologo appena concluso,
lei cerca di rimediare nel modo più educato possibile:
“Vi offrirei del tè o del caffè, ma non
ce li ho, se volete dell’acqua … a proposito,
quella dei rubinetti è potabile?”
Una delle donne del Comitato feste, la più anziana del
gruppo, quella che il sindaco ha presentato come signora Lina, ribatte
un po’ indignata:
“A so mia cuma
l’ è abitüa lëi in
città, ma ch’n paes, tüt col
c’ha ghem le cümmestibil e l’acqua
l’è potabilissima!”
Un rossore si diffonde sui visi della forestiera e del sindaco, che si
affretta a interrompere la concittadina prima che succeda un patatrac,
rassicurandola sul fatto che ci saranno sicuramente altre occasioni per
compiere i soliti convenevoli.
Le cinque donne la salutano a turno, profondendosi in sorrisi e strette
di mano, la Lina meno calorosamente.
Poi lei chiude la porta e rimane nuovamente da sola, di nuovo assalita
dai ricordi e dai rimorsi.
Finito il pranzo, la forestiera scende in paese.
Il sole splende alto nel cielo: non c’è nessuno
che animi le strade, proprio come aveva previsto tutto è
silenzioso.
Ben presto si ritrova nella piazza principale che accoglie la chiesa:
oltrepassa la fontana da cui zampilla acqua fresca, e si dirige verso
le quattro panchine in pietra disposte in cerchio.
Dietro le aiuole macchiate dai colori dei tulipani, ritrova il piccolo
ponte sotto il quale scorre lento e asciutto il riale, e sul quale
è passata ieri pomeriggio dopo essere uscita dalla stazione.
Prosegue la passeggiata verso est, costeggiando alcuni prati dove
avvista una trentina tra mucche al pascolo e cavalli intenti a brucare
l’erba.
S’inoltra ancora per qualche centinaio di metri lungo quel
paesaggio, poi – prendendo un sentiero per le vie interne- si
ritrova a fiancheggiare dei casolari dismessi con il tetto di ardesia e
i gradoni di pietra sbeccati in più punti, che si specchiano
su un tratto di fiume invaso da erbacce.
L’acqua defluisce veloce rispetto alla zona sotto il ponte e,
sebbene anche qui sia poca, è inaspettatamente trasparente e
ricca di piccoli pesci.
Lei fa il giro del paese in poco più di mezz’ora,
nota che tutte le case sembrano intonacate di fresco e hanno un piccolo
giardino sul davanti, dove i cani sonnecchiano sul prato, mentre i
gatti poltriscono sui davanzali delle finestre aperte.
Da esse escono rumori attutiti e a volte anche il profumo di qualche
manicaretto, ma ben presto l’aria porta via con sé
tutti quegli aromi.
Decide di ritornare verso il ponte in piazzetta.
Si appoggia sul bordo e guarda l’acqua scorrere
giù: ha un effetto ipnotico, il rumore è continuo
e rassicurante. Si ferma lì per qualche minuto e pensa a
quanto sia stata coraggiosa e un po’ temeraria a lasciare il
mondo a lei tanto familiare per rifugiarsi in un posto sconosciuto.
Lei che ha sempre avuto il terrore di allontanarsi da casa anche solo
per una settimana di vacanza, lei spesso agorafobica, sicura di
sbagliare continuamente, e ora invece … chiude gli occhi per
qualche secondo, vorrebbe abbandonarsi ai ricordi, ma non
può e soprattutto non vuole, è lì per
dimenticare, non per ricordare.
Così si avvicina all’entrata della chiesa,
attratta da una grande locandina colorata:
“Dal 27 al 30
luglio vi attendiamo per la 93° festa del
paese” mormora a bassa voce “si
cercano gentili volontari per i pranzi e le cene. Quest’anno
inoltre, visto il successo della scorsa edizione, è indetto
nuovamente il concorso della torta più elaborata e dei
balconi meglio fioriti.
L’ultimo
giorno, come da tradizione, è prevista la parata dei carri
dei vari rioni. Tutto il paese vi aspetta!
Il Comitato per le feste
e La Proloco”
Aurora sorride tra se e se: riflette che il grande evento si
svolgerà tra nemmeno due settimane e a leggere quelle parole
entusiasmanti, le sembra che sarà una bella esperienza:
nonostante tutte le sue paure e indecisioni, una curiosità
impellente le stuzzica la mente e non vede l’ora di assistere
a quella manifestazione.
Non ha mai partecipato a una festa di paese, ma le piace
l’idea e magari potrà approfittarne per fare
qualche fotografia.
Vorrebbe chiedere in giro qualche informazione riguardo del grande
evento, ma ovviamente a quell’ora non
c’è nessuno in giro, e poi -come le
capita da molto tempo a questa parte- non ha tanta voglia di parlare.
Così decide di ritornare alla casa rossa, a passi lenti e
cadenzati, assaporando quell’inaspettata novità e
quel tepore così rassicurante dei raggi solari.
LA
SERA STESSA
“Buonasera,
sono l’inquilina della casa rossa”
“Ah,
buonasera! Ha bisogno di altra spesa?”
“No, non
l’ho chiamata per questo. E’ che ho trovato il suo
numero di telefono sullo scontrino di stamattina e volevo sapere se ha
dei fiammiferi. E’ saltata la luce e non riesco a trovare
lampadine o candele in giro”
“Non riesce a
trovarle perché purtroppo non ce ne sono. Comunque non si
preoccupi, tra poco chiudo il negozio e, se vuole, le porto una scatola
di fiammiferi mentre vado a casa”
“Grazie, mi
farebbe un grande favore”
Riattaccata la cornetta, comincia a scatenarsi un temporale: Aurora va
a chiudere tutte le imposte della casa, anche quelle del piano
superiore, nel timore che si allaghi tutto.
Aspetta la proprietaria della bottega seduta sulla poltrona a fiori
rossi in soggiorno e, con la luce del telefonino, comincia a leggere
uno dei tanti libri che si è portata da casa, una biografia
di Mata Hari: l’aveva comprata qualche mese prima insieme ad
una rivista dopo aver visto un documentario sulla famosa spia olandese,
ma non era mai riuscita a trovare il momento adatto per leggerlo, prima
perché il libro era finito ammucchiato sotto dei plichi di
documenti per il lavoro, poi –smaltiti quelli- a causa di
ciò che le era successo se n’era completamente
dimenticata, fino a quando era riaffiorata come dal nulla nei giorni
precedenti il trasloco alla casa rossa.
Nonostante le finestre siano ben chiuse, la ragazza riesce a sentire
distintamente il rumore della pioggia battere insistente sui vetri,
mentre in lontananza si riesce a distinguere il bagliore di qualche
lampo che spezza il silenzio e il buio della sera.
Aurora si allaccia il golfino verde acqua che si è portata
dalla camera da letto: quasi fa scivolare dal bracciolo il telefonino
e, per un momento, vede solo tenebre, tutto intorno e sopra di lei.
Concluso l’arduo movimento di presa per evitare
l’atterraggio del cellulare sul pavimento, riprende a
leggere, riuscendo a concentrarsi per non più di due pagine:
mi sembra di essere su un’isola deserta, naufragata in una
casa immensa senza elettricità, ad aspettare che una
sconosciuta venga a salvarmi da questa situazione surreale.
Dieci minuti più tardi suonano alla porta: lei abbandona il
libro sul bracciolo, tenendo l’indicazione con il segnalibro
raffigurante il ponte di Brooklyn, e va ad aprire.
Si ritrova davanti la bottegaia, i capelli non più ordinati
nel suo fermaglio verde, ma leggermente scompigliati dai capricci della
pioggia.
“Che tempaccio! Era da quasi un mese che non pioveva, ma
così è davvero troppo!”
La donna lascia fuori l’ombrello, appoggiandolo
nell’angolo tra il muro e lo zerbino, si slaccia
l’impermeabile pervinca scuro e senza avere alcuna intenzione
di toglierselo, aggiunge che si fermerà solo un attimo.
Da una borsa a tracolla marrone, lisa dal tempo e un po’
sfilacciata ai bordi, la bottegaia tira fuori una pila:
“Allora, le ho portato questa: credo sia migliore dei
fiammiferi, fa più luce ed è più
comoda da maneggiare! Tenga … Comunque stia tranquilla per
il tempo, è solo una cosa momentanea: il brutto viene dalla
città, sarebbe stato più preoccupante se fosse
sceso giù dalle montagne. Domani o al più tardi
dopodomani tornerà il sole!”
Lei si rigira la piccola torcia nera tra le mani, giocherellando con il
cordino in stoffa tra pollice e indice, ringraziando la bottegaia per
la prontezza con cui gliel’ha portata. Poi, per fare un
po’ di conversazione, le confessa che quel pomeriggio
è scesa in paese:
“Bene! E le è piaciuto?”
“Sì, ho trovato tutto molto tranquillo. A dir la
verità non sono abituata a una vita così
rilassante, forse fin troppo … ”
“Oh non dica così! Si abituerà presto e
sono sicura che le verrà voglia di rimanere! A proposito, ha
già cenato?”
“N-no, non ancora”
“Allora se vuole, può venire da me, motivo in
più che non ha la luce in cucina. Domani pomeriggio dopo le
cinque, le manderò mio cognato per mettere a posto
l’impianto: è un po’ vecchiotto, ma con
qualche rimaneggio funzionerà di nuovo, stia
tranquilla!”
“Non vorrei disturbare, in qualche modo mi
aggiusterò. Potrei far venire un elettricista dalla
città … “
“Ma quale disturbo? Lui ha le mani d’oro per le
riparazioni! E sono sicura che gli farà piacere venire qui.
Una decina di anni fa voleva acquistare la villa, ma alla fine ha
cambiato idea. Troppe spese”
“Immagino … allora va bene, lo aspetto
domani”
“E per questa sera?”
“Non saprei, mi devo ancora abituare a tutto questo
cambiamento. E poi vorrei rimanere un po’ da sola per finire
di sistemarmi: alla fine tra una cosa e l’altra ho lasciato
le valigie quasi intatte”
“Non si preoccupi, avrà un sacco di tempo per
stare da sola. Le prometto che non le farò fare tardi. Casa
mia è vicina e se dovesse piovere molto
l’accompagnerò”
Un brivido d’indecisione le percorre la schiena, poi, come
spinta da una forza interiore, risponde con una voce che non le sembra
neppure sua:
“D’accordo, mi ha convinto. Ah, quanto le devo per
la torcia?”
“Diciamo che è un regalo di benvenuto!”
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Capitolo 3 *** I sette dormienti ***
Durante il tragitto, parlano del più e
del meno, cercando di contrastare il rumore insistente e ritmico della
pioggia che pulsa contro gli ombrelli: Aurora finalmente si presenta,
ma subito dopo cerca in ogni modo di spostare la conversazione sulla
donna, in modo da dover rispondere a meno domande possibili.
Non è ancora pronta per affrontare discorsi che
l’avrebbero di nuovo catapultata in quell’inferno
da cui era risalita lentamente e con estrema fatica.
-Forse non avremmo dovuto azzardarci ad uscire con tutta
quest’acqua: mi dispiace molto che si sia disturbata a venire
fino alla villa! Avrebbe potuto andare subito a casa e io mi sarei
aggiustata per la luce!- prosegue la ragazza, stringendosi il colletto
quasi inesistente dello spolverino sul collo, in modo da proteggersi
dal freddo.
-Non lo dica nemmeno per scherzo! Anzi, non vorrei prendesse un malanno
per colpa mia … i temporali estivi, quando ci si mettono,
possono essere peggio di una bufera di neve! Ma non si preoccupi, tra
un minuto saremo arrivate! E poi, domani pomeriggio, dovrà
essere in forma per dirigere i lavori di manutenzione di mio cognato!-
Aurora dirige uno sguardo grato alla donna che cammina quasi stretta
vicino a lei, come per proteggerla dalle brevi raffiche di vento.
La casa della signora Liliana, questo è il nome della
bottegaia, dista un quarto d’ora a piedi dal viale che si
abbozza sinuoso oltre il grande cancello d’entrata della
villa.
E’ una piccola costruzione di montagna, con i muri di pietra
dipinti di rosa salmone e due balconcini che si affacciano sulla via
principale del paese, in tono con le persiane di un noce sbiadito.
Dopo aver aperto la porta, la donna depone l’impermeabile
sull’appendiabiti, si toglie le scarpe e s’infila
delle vecchie pantofole blu.
Una volta entrate, Aurora riconosce il gatto arancione che ha visto nel
pomeriggio appollaiato sul davanzale. Ora sta giocando con una pallina
di gomma sotto il tavolo della cucina ma, appena riconosce la voce
della padrona, abbandona senza esitazione il suo passatempo: sollevando
leggermente la coda, si dirige verso le due donne, strusciandosi contro
le loro gambe.
-Mio marito non c’è- le spiega Liliana, intenta ad
accarezzare il felino -è un rappresentante di occhiali ed
è partito due giorni fa per un congresso.
Rientrerà domani sera! Siamo solo noi due e mia figlia. Si
accomodi sul divano, io vado a chiamare Linda-
Aurora annuisce imbarazzata: non
avrei dovuto venire, non sono pronta per affrontare degli sconosciuti,
non sono abbastanza forte da sopportare tutto questo.
Si guarda attorno con discrezione, mentre si toglie lo spolverino e lo
appende di fianco a quello della donna.
Per un secondo ha l’impulso irrefrenabile di rivestirsi e
uscire, di ritornare alla casa rossa e di rinchiudersi lì
dentro, per delle ore o per dei giorni non le sarebbe importato nulla,
perlomeno fino a quando avrebbe capito che cosa fare.
Non posso andarmene:
Liliana è stata così gentile a portarmi la torcia
e ad invitarmi a cena. Devo solo resistere fino alla cena
…
Facendo qualche passo in avanti, Aurora si ritrova nel soggiorno e
lì rimane piacevolmente stupita da quello che vede: ogni
cosa è curata per dare un armonioso risultato
d’insieme; al centro della stanza, infatti, troneggia un
tavolo ovale di ciliegio chiaro con le sedie coordinate rivestite di
stoffa color panna e in mezzo una fruttiera di maiolica.
Sulla parete di destra, una graziosa specchiera sovrasta un antico
comò con le maniglie leggermente rovinate
dall’usura, forse cimelio di famiglia.
Di fronte ad essa, una cristalleria intarsiata con fregi e greche
espone una serie di porcellane in stile Sèvres.
Mentre Aurora osserva tutto questo, la signora Liliana è
tornata, accompagnata da una bambina di undici anni, alta, le spalle
armoniose e la figura sinuosa per la sua età, con una lunga
treccia color biondo cenere e gli occhi nocciola, grandi e rotondi
rispetto al naso dalla punta un po’ storta, la bocca carnosa
perfettamente proporzionata con il resto del viso allungato.
-Questa è mia figlia Linda, mentre lei è la nuova
inquilina della casa rossa, la signorina Aurora!-
La forestiera si alza dal divano e stringe la mano che la piccola le
porge: ha la pelle molto sottile, tanto da riuscire a vedere in rilievo
le vene, le dita lunghe e affusolate con le unghie tagliate cortissime.
-Ciao! Come ti trovi alla villa? Dicono che c’è un
fantasma che si aggira per il giardino, è vero? -
-Linda smettila, sono solo vecchie leggende senza alcun fondamento!-
-Ma non è vero, mamma, e tu lo sai! –
-Ti ho detto di smetterla! Adesso riscaldo la cena e andiamo a
mangiare!-
La cena si rivela inaspettatamente piacevole: Liliana è una
cuoca veramente dotata, ha preparato dei tortelli alla zucca e funghi
porcini a dir poco squisiti, è riuscita a farle mangiare
persino una fetta di crostata ai frutti di bosco, lei che i dolci li
ama solo se sono al cioccolato, e adesso si sente letteralmente
scoppiare stomaco e pancia, tanto che – di nascosto- deve
sbottonarsi i jeans.
Dopo aver finito di sparecchiare, Liliana incastra i piatti e le posate
nella lavastoviglie, mentre Aurora si ritrova inaspettatamente ad
aiutare madre e figlia, felice di poter dare una mano.
Il gatto arancione è di nuovo appollaiato sul davanzale
della finestra, proprio come l’aveva visto la forestiera quel
pomeriggio, solo che questa volta è dalla parte interna. Sta
sonnecchiando, i baffi vibrano per qualche secondo, la coda si muove
leggermente non appena sente le voci delle sue padrone.
Una volta in soggiorno, le due donne e la ragazzina prendono posto
sulle sedie rivestite color panna, scostandole leggermente dal tavolo
di legno.
-Allora, Aurora, fino adesso abbiamo parlato di varie cose, ma ancora
non ci ha detto come mai ha scelto il nostro paese per venire in
vacanza!-
-E’ vero, non ci hai ancora detto nulla- incalza Linda,
curiosa di sapere qualcosa di più su quella giovane
forestiera.
Lo sapevo che prima o
poi mi avrebbero fatto delle domande, sono stata io a non prepararmi le
risposte.
-Beh, non c’è molto da spiegare. Come ha detto
lei, sono qui per trascorrere qualche settimana in
tranquillità, da sola. Di solito mi piace andare al mare,
l’acqua è il mio elemento, ma … -
sorride sforzandosi di sembrare il più rilassata possibile-
quest’anno ho voluto cambiare. Tutto qua-
-Anche a me piace nuotare!- s’intromette solennemente la
bambina, sorridendo entusiasta.
-Io l’ho sempre adorato: ho praticato nuoto per dieci anni
poi, a causa degli impegni scolastici, ho dovuto abbandonare,
però, appena posso, vado in piscina per rilassarmi
… -
-Quindi ha scelto il nostro paese perché si vede il lago,
che è pur sempre acqua?- domanda Liliana, forzandosi di
essere il più cordiale possibile.
-Oh no, non volevo dire questo. Sono andata in un’agenzia di
viaggi e lì mi hanno consigliato di venire qui, che se
volevo un posto tranquillo per passare un po’ di tempo,
questo era al caso mio. Non troppo lontano né troppo vicino
da dove abito, a ***-
La bottegaia annuisce, soddisfatta dalla spiegazione, con una mano
liscia il pizzo del centrotavola su cui poggia la fruttiera.
-Il sindaco ha fatto un’ottima scelta a mettere in affitto la
casa rossa. Da quando è stata eletta tre anni fa, si
è subito battuta affinché la villa ritornasse,
almeno in parte, agli antichi splendori. Sa, prima -intendo dire quando
ero una bambina e la famiglia della contessa si era trasferita in
Svizzera già da qualche tempo- il sindaco di
allora voleva trasformarla in un albergo-
-Sì, lo so, me lo ha detto quando è venuta a
trovarmi insieme al Comitato feste per darmi il benvenuto-
-Ah, è tipico del Comitato! Ficchiamo il naso un
po’ dappertutto, anche se io sono un membro acquisito da
poco! Grazie alle nostre raccolte fondi periodiche e alla
generosità di qualche ditta di manutenzione che ci fa prezzi
più che ragionevoli, riusciamo, quanto basta, a mantenere la
villa, anche se è comunque difficile. Ho perso il filo del
discorso, cosa stavamo dicendo … ?-
-Ehm … parlavamo dell’albergo che avrebbero dovuto
costruire al posto della villa-
-Giusto. Da quanto si dice in paese, è stata la stessa
contessa ad insistere che la casa rossa venisse trasformata in un
ricovero per i poveri, se lei stessa non fosse riuscita a trovare i
soldi per riacquistarla-
-Perché?- s’informa Aurora, incuriosita da quella
storia misteriosa e antica – la casa rossa non apparteneva
alla sua famiglia?-
-Certo, però, nell’ultimo periodo, erano caduti in
disgrazia, non una rovina assoluta, questo è vero, ma non
sufficiente a permetterle di condurre un’esistenza come
avevano fatto fino a quel momento e, soprattutto, a mantenere
quell’immensa dimora! Così, alla fine, ha dovuto
rinunciare a tutti i suoi progetti di beneficienza-
-Da quanto ho capito, il sindaco non riesce ad affittare la
villa per l’intero anno, vero?-
-Oh no, tu sei solo la terza persona che viene ad abitare alla casa
rossa- s’intromette Linda, spostandosi in avanti con la
sedia, il più possibile vicino ad Aurora – due
anni fa erano venuti dei francesi: io ho fatto amicizia con le loro tre
figlie, anche se non è che ci capissimo molto. Si sono
fermati un mese. Poi, l’anno successivo, è stata
affittata per un matrimonio e, visto che gli invitati venivano dalla
città –non la nostra, eh, ma una più
lontana- sono rimasti a dormire una notte. Adesso, però, sei
arrivata tu, che sei ancora qui!-
-Grazie per il resoconto fedele e preciso, Linda- l’apostrofa
la madre, pizzicandole con delicatezza una guancia.
-E’ un posto molto bello, è un peccato che non si
riesca a valorizzarlo abbastanza- continua la forestiera, sincera.
-Purtroppo è così: speriamo solo che le cose
migliorino, altrimenti rischiamo, nonostante tutti i nostri sforzi, di
non riuscire a salvarla. Anzi, sa cosa le dico? Contiamo sul fatto che
ci farà una buona pubblicità, quando
tornerà a casa!-
Aurora sorride con una punta di imbarazzo e di divertimento nella voce,
quando la rassicura che, se le cose proseguiranno in quel modo, non
avrà alcun problema ad assecondare la sua richiesta.
La bottegaia annuendo si alza e, dando uno sguardo alla finestra
aperta, propone di andare fuori in veranda, attratta dalla piacevole
brezza serale che comincia a far oscillare le foglie di acacia, clima
ideale per chiacchierare sdraiati sul dondolo o accomodandosi sulle
sedie.
Linda, invece –alle parole della madre- esce dal soggiorno,
apre l’anta di un basso mobile bianco laccato sulla parete di
fianco all’entrata, e tira fuori una grande confezione di
cartone, che esibisce soddisfatta alla forestiera:
-Posso chiederti di aiutarmi a completare il mio puzzle? Me
l’hanno regalato la mamma e il papà quando sono
andati in Baviera, due anni fa. Ha mille pezzi, ma da sola non
riuscirò mai a finirlo … –
Aurora annuisce, lusingata dalla fiducia che sta riponendo la ragazzina
nelle sue doti creative.
L’atmosfera è così famigliare e
calorosa da renderla a suo agio, tanto che quasi non vorrebbe
più rientrare alla casa rossa, così lontana da
tutto e tutti, così isolata.
Subito si riscuote da quel pensiero sciocco e inappropriato: ha
abbandonato la sua vecchia vita per trovare quella
tranquillità e quella serenità che da tempo non
le appartengono più, non certo per divertirsi con degli
sconosciuti.
Nonostante la solitudine sia diventato il suo obiettivo, non
può far altro che rimanere stordita da quella sensazione che
non provava da molti anni, da quando trascorreva le vacanze insieme ai
cugini e ai nonni, e si divertiva come non mai, nemmeno quando era con
le sue amiche.
E ogni volta che doveva tornare a casa, in città, era quasi
una tragedia, proprio come s’immagina sarebbe stato quella
sera rientrare alla villa, con quel tempo così poco
invitante e quei ricordi così lontani e malinconici a farle
da ombra.
Prova a distogliere i pensieri riflettendo ad alta voce su quello che
ha visto in piazza poche ore prima, così, quasi con
noncuranza, domanda alla bottegaia:
-Questo pomeriggio, sono passata davanti alla chiesa e ho visto affissa
la locandina della festa del paese. Di cosa si tratta esattamente?-
Aurora sta cercando di incastrare il pezzo di puzzle che ha in mano da
qualche minuto, persa com’è da quelle
immaginazioni adesso così inconsistenti. Tra quelle
centinaia di tessere, però, l’impresa risulta
piuttosto ardua.
-Esattamente
non si può descrivere in una sola parola- risponde
sorridendo la bottegaia, che sta aiutando la figlia nella composizione
del grande quadro di cartone.
-La festa del paese è qualcosa che si riesce a capire solo
quando ci si partecipa: è una tradizione di cui siamo molto
orgogliosi e che richiama spettatori da tutta la valle, anzi molto
spesso anche da oltre il confine.
Da cerimonia religiosa è diventata con il passare degli anni
una festività popolare, nel senso che è il popolo
che l’ha modellata, l’ha cambiata e ha reso
possibile la sua esistenza a distanza di tutti questi anni.
Per quattro giorni è come se fossimo un’unica
grande famiglia, riviviamo il significato più profondo della
parola convivialità, ci sentiamo uniti e parte di una stessa
comunità come mai durante il resto dell’anno.
Non si può spiegare fino in fondo, bisogna semplicemente
viverla-
-Ecco, ho trovato dove metterlo!- esclama Linda, brandendo trionfante
il suo pezzo di puzzle.
-In città non c’è nulla di simile-
continua Aurora – ognuno vive la propria vita in solitaria,
si è tutti un po’ menefreghisti e
diffidenti! Credo sarebbe impensabile organizzare una cosa del genere
… -
-Non è impossibile, basta volerlo, mettersi
d’accordo, anche se un conto è farlo tra mille
persone come siamo noi, e un altro è cercare di riuscirci
tra migliaia di individui!-
-E’ vero mamma che è stata la famiglia della
contessa ad aver avuto l’idea della processione?- chiede la
ragazzina, ora più tranquilla da quando ha finalmente
trovato il pezzo mancante che tanto l’angosciava.
-Sì, è così. Le voci di paese di
allora dicono che abbia fatto una sorta di fioretto: in cambio delle
piogge che avrebbero salvato le sue terre e il raccolto dei contadini,
la contessa avrebbe smesso di finanziare - diciamo così- le
imprese di gioco del marito, anche a rischio del loro fallimento.
Era appena finita una guerra terribile, la Grande guerra, che aveva
duramente messo alla prova il nostro paese e di conseguenza la sua
famiglia: suo figlio era stato arruolato come tenente ed era ritornato
capitano, ma molti, allora, dicevano che era quasi impazzito per tutto
quello che aveva visto al fronte, nelle trincee. Comunque sia, sembra
che qualcuno lassù l’abbia ascoltata,
perché, dopo pochi giorni dalla processione che ha visto
coinvolto tutti gli abitanti, ha cominciato a piovere così
tanto che si è inondata la base del campanile nella piazza!
Pensi che è ancora visibile la linea di vernice che
tracciò il parroco di allora, a ricordo di quel miracoloso
evento!-
-Sembra che gli abitanti della casa rossa centrino sempre con tutto
quello che riguarda il paese: da quando sono arrivata non ho sentito
che parlare di loro, prima dal sindaco e poi da voi!- continua Aurora,
sfregandosi le mani con imbarazzo.
-Era la famiglia più in vista dell’intera zona e,
tutto ciò che di moderno abbiamo, lo dobbiamo a loro: la
strada che ci collega alla città, il ponte, la chiesa nuova,
il pozzo all’entrata del paese, quasi tutto!
A proposito, la sa la leggenda dei sette dormienti?-
-N-no, non ne ho mai sentito parlare-
-E’ un detto contadino, che però ha ancora un
certo successo tra la gente anziana: i sette dormienti erano dei
giovani della città greca di Efeso -poi nominati santi- che,
per sfuggire alle persecuzioni cristiane dell’epoca, si
rinchiusero in una caverna, fino a quando non vennero scoperti e murati
vivi al suo interno, per volere dello stesso imperatore. Ma,
inaspettatamente, non morirono: infatti, rimasero addormentati per
duecento anni, fino a quando furono risvegliati da un pastore, che
riuscì a spostare la pietra posta davanti alla loro caverna,
credendo di trovarla vuota e di usarla per farci un ricovero per le sue
pecore.
Se non che, ebbe una bella sorpresa: dentro, infatti, ci
trovò i sette giovani i quali, credendo di essersi
addormentati poche ore prima, temettero di essere ancora in pericolo a
causa della loro religione.
Invece, si resero conto di vivere in una nuova epoca in cui, quelli
come loro, non erano più perseguitati: da allora, sempre
secondo la leggenda, cominciarono ad andare in giro per il mondo a
diffondere il messaggio cristiano … -
Si interrompe per un attimo poi, sorridendo, riprende:
-Ovviamente mi sono informata su tutta la storia, non è che
la sapessi così bene! Comunque, secondo la sapienza
popolare, sembra che il tempo che faccia il 27 luglio, giorno in cui i
sette dormienti sono celebrati dal Cristianesimo e giorno in cui
annualmente ha inizio la nostra festa, possa influire sul resto
dell’estate, per così dire raddrizzandola: i
sèt ‘ndộrmentà radrissộ ‘temp
‘d l’istà. Quindi, fino ad
allora, può anche fare brutto, che tanto i santi dormono
ancora!-
Tutte e tre si mettono a ridere, svegliando il gatto arancione dal suo
sonnellino.
Aurora dà un’occhiata all’orologio da
polso, ricordandosi che, prima o poi, deve tornare alla casa rossa:
-Mi sono divertita molto, grazie ancora per la bella serata, ma
è meglio che vada-
-Vuoi già andare?- domanda Linda, il puzzle abbandonato a
metà sul tavolo.
-Sì, sono un po’ stanca. E poi, è
meglio che ne approfitto adesso che ha smesso di piovere … -
Le due donne si alzano, seguite di malavoglia dalla ragazzina.
-E’ stato un piacere averla qui con noi. Spero che
tornerà presto a farci visita!- la saluta Liliana,
stringendole la mano.
-Verrò sicuramente. Anzi vorrei ricambiare una di queste
sere la vostra gentilezza-
-Quando vuole noi siamo qui. E ci pensi per l’organizzazione
della festa: per lei sarebbe una bella esperienza-
Aurora promette che sì ci penserà, poi si rivolge
a Linda per invitarla un pomeriggio a fare merenda alla casa rossa,
proposta che la ragazzina accetta con entusiasmo.
Si avvicinano alla porta, soddisfatte per la serata appena trascorsa:
la forestiera indossa lo spolverino e recupera l’ombrello
dall’apposito cilindro con le grate.
-Allora, domani pomeriggio alle cinque, le mando mio cognato.
E’ sicura che non vuole che la riaccompagni?-
-No, non si preoccupi-
-Va bene, buonanotte-
-Buonanotte a voi-
Quando torna a casa, la stanchezza prende il sopravvento: si toglie lo
spolverino e le scarpe, li abbandona per terra, appoggia
l’ombrello ormai asciutto in un angolo vicino alla porta e
sale le scale.
Non accende nemmeno le luci, perché dalla finestra del
soggiorno filtra un po’ di chiarore lunare, piuttosto scarso
ma sufficiente a non farla inciampare sui gradini fino alla sua camera.
Entra nella stanza come se avesse raggiunto il traguardo di una corsa
infinita, la mente annebbiata da un torpore improvviso, gli occhi
stanchi di vedere: si siede sul baldacchino e comincia a ripensare alla
serata appena trascorsa.
Quasi non crede a quello che le è successo, è
fuggita da tutto per trovare la pace, per ritrovare se stessa, a
malapena sopporta i bambini e, solo adesso, si rende conto di aver
invitato in quella che è la sua casa da poco più
di ventiquattro’ore, la figlia di una persona in pratica
sconosciuta.
Se questo le fosse capitato anche solo un mese prima, probabilmente non
ci avrebbe creduto, anzi avrebbe pensato ad uno di quei sogni che si
fanno verso il mattino, nel dormiveglia, quando la coscienza non
è ancora del tutto vigile e attenta, e può
lanciarci dei brutti tiri.
Tuttavia, non riesce ad essere completamente insoddisfatta e nemmeno si
biasima per l’inaspettato comportamento che ha tenuto quella
sera: che cosa ho da
rimproverarmi? Ho solo cercato di divertirmi, ma è
così difficile …
Scrollando il capo, si alza dal letto e va alla finestra,
scostando le tendine bianche per guardare fuori.
La pioggia ha ripreso a scendere, ma adesso cade leggera, quasi timida,
tintinnando contro i vetri.
Il lago è una massa oscura in lontananza, le luci fioche dei
lampioni e quella della luna lo illuminano debolmente, increspandone la
superficie.
L’orologio del campanile batte le dieci e mezzo, gli ultimi
rintocchi prima della notte.
Quella scena così inusuale per una persona come lei,
abituata a non avere orari, al ritmo incalzante della vita cittadina,
le appare ancora una volta una strana illusione.
Aurora chiude le imposte, allo stesso modo di come vorrebbe lasciare
fuori tutto ciò che fa parte del suo passato: sta cercando
da settimane di dimenticare la sua vita precedente, ma i loro visi
continuano ad alternarsi nei suoi pensieri.
Il ricordo di Mattia è ancora bruciante sulla sua pelle e
nella sua mente, l’unico piacevole in quella marea che le si
è riversata addosso nell’ultimo periodo.
Non può abbandonarsi ai sensi e alle emozioni proprio
adesso, è passato solo poco tempo da quando è
arrivata, la sua armatura è ancora debole, anzi, per
l’eccessiva confidenza che ha dato quella sera, sembra che
ancora si debba formare.
Guarda le due grosse valigie abbandonate sul pavimento, di fianco al
grande tappeto persiano che ricopre il parquet scricchiolante: finirò di sistemarle
domattina, si convince, ora ho troppo sonno e troppa
confusione in testa.
Tira indietro le lenzuola, si spoglia e s’infila il pigiama.
Al sicuro nel letto, abbraccia il cuscino come fosse l’unico
appiglio, una zattera di acciaio che la possa trascinare al sicuro, e
si addormenta così, proprio come quando era bambina.
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Capitolo 4 *** Il carillion ***
IL CARILLION
Tre giorni più tardi, Aurora sta preparando il budino al
cioccolato, perché quel pomeriggio verrà a
trovarla Linda, la figlia della bottegaia.
Ha smesso di piovere da due giorni, e adesso il cielo è di
nuovo sgombro di nuvole, con il sole come assoluto protagonista in
quell’ orizzonte così nitido e diverso da quello a
cui è abituata.
Il dolce è ormai pronto: rovescia quella calda crema liquida
in uno stampo di silicone che ha comprato alla bottega il giorno
prima, e lo ripone in frigorifero.
Non ha molto da fare, è ancora presto per cucinare il
pranzo, così decide di fare un po’ di pulizie al
piano superiore, che non ha ancora avuto modo di esplorare accuratamente.
La prima stanza che s'incontra salendo le scale, oltre ad essere quella a fianco della sua camera da letto, era un tempo la biblioteca della villa: è immensa, e ha la forma di un trapezio allungato. Sui suoi scaffali impolverati dovevano essere allineati centinaia di volumi ora, invece, è rimasto
solo qualche libro impolverato: tragedie di Shakespeare,
alcune commedie greche di Aristofane e la Mandragola
dell’Alfieri.
E’ la stanza più luminosa della casa, grazie alle
quattro finestre su ognuna delle pareti, da cui entra una luce abbondante
e calda.
Al
centro della biblioteca, spicca
un antico tappeto turco blu cobalto, sbiadito in più punti e
con le frange piuttosto rovinate dall’usura e dal tempo
trascorso.
Aurora si avvicina per osservarne le decorazioni,
quando inciampa su un asse del pavimento non perfettamente
allineata con le altre: si abbassa e tasta quella barra di legno.
Sotto la leggera pressione delle sue dita, il pezzo di faggio si
solleva con estrema facilità, scoprendo quello che, a prima
vista, sembra una piccola rientranza nel rivestimento sottostante i
suoi piedi.
Non è molto profonda, entrambe le sue mani, infatti, vi
entrano senza alcuna difficoltà, tanto che, ben presto,
Aurora si ritrova a reggere un cofanetto, una sorta di carillon di
zaffiro e oro intarsiato.
Lo apre incuriosita, ma anche titubante di trovare dentro
chissà cosa: ci sono due foto in bianco e nero dal bordo
sgualcito e ingiallito, accompagnate da una lettera, il
cui inchiostro sbiadito ha quasi cancellato tutte le parole
che qualcuno ha scritto tempo addietro.
Raccogliendo quell'inaspettato tesoro, la forestiera si alza per andare
a sedersi sul divanetto di un verde slavato, posizionato di fronte alla
libreria.
Le immagini appena ritrovate ritraggono delle persone, probabilmente
una coppia di genitori con i loro tre figli, un maschio e due ragazze,
vestiti secondo la moda degli inizi degli anni Venti.
Anche la missiva risale probabilmente allo stesso periodo,
perché si riesce ancora a intravedere la data 192?,
l’ultima cifra eliminata dal tempo trascorso.
L’intestatario è un certo Umberto e la firma di
tutte le lettere è di una donna di nome Teresa.
Non si riesce quasi a comprendere cosa c’è
scritto, solo qualche parola è decifrabile: Uruguay, matrimonio,
povertà, oltre ad alcune frasi di circostanza.
Si rigira tra le mani quel tesoro misterioso: non sa cosa farne, non ha
l’indole da investigatrice, tuttavia considera quello che ha
appena trovato una sorte di eredità della casa rossa e, in
quanto tale, sente che bisogna averne cura.
Raccoglie il carillon da terra e, dimenticandosi di fare pulizia,
scende in cucina.
-Ciao! Scusa il ritardo, ma sono venuta in bicicletta e ho dovuto
gonfiare le ruote-
-Non preoccuparti. Entra, ti ho preparato il budino al cioccolato
… spero ti piaccia-
-Tutti i dolci mi piacciono, sta’ tranquilla!-
-Bene. Vieni, da questa parte ... -
La bambina, un paio di pantaloncini blu e una maglietta bianca, entra e
va a sedersi al tavolo della cucina, guardandosi attorno, incuriosita.
Aurora tira fuori il budino nelle ciotole dai bordi
scheggiati, mentre dalla finestra entra distintamente il
frinire dei grilli e il cinguettio di qualche capinera.
Non sa come comportarsi, perché vorrebbe raccontarle della
scoperta che ha fatto quella mattina, ma non sa se è giusto,
ha paura di tradire il segreto di qualcuno che oltretutto non conosce
neppure, sempre che di segreto si tratti.
Così esordisce in tono vago, dopo aver ingoiato il primo
boccone del dolce:
-E’ una bellissima giornata, vero?-
-Sì, molto! Però non fa tanto caldo, per fortuna!
E’ proprio buono questo budino, sai? … -
-Grazie. E’ vero, alla sera poi c’è
sempre un po’ di vento. A me non piace il caldo,
però adoro l’estate- continua Aurora, proseguendo
a mangiare con noncuranza.
-Non è un controsenso?- la interroga Linda, un baffo di
cioccolato sopra le labbra sottili.
-Beh, sì, forse ... Allora, diciamo che adoro la primavera,
quando ancora non
fa così
caldo!-
Sei proprio una stupida,
si rimprovera la forestiera, come
fai ad avere soggezione di una ragazzina?!
-C’è qualcuno in paese che si chiama
Teresa?- domanda con tono incolore l'inquilina della casa rossa,
guardando distrattamente fuori dalla finestra, alle spalle della
bambina.
-Teresa? Sì, ci sono almeno dieci comari con questo nome!
Hanno superato da un pezzo gli ottanta, qualcuna anche i novanta.
Perché me lo chiedi?-
-Stamattina, mentre ero in biblioteca, ho trovato un cofanetto con
delle fotografie e delle lettere, firmate da una certa Teresa ... -
continua Aurora, sentendosi più a suo agio.
-Io adoro i misteri e, se quello che mi stai raccontando è
vero, allora vuol dire che c’è un tesoro nascosto!
Lo sapevo che la storia del fantasma non era una leggenda!-
-Non saprei se definirlo proprio un tesoro- cerca di farla ragionare la forestiera -sono sicura, però,
che quel carillon sia rimasto nascosto per molti anni, anzi, se non
fossi inciampata nel tappeto, probabilmente lo sarebbe stato ancora per
molto tempo-
-Sei davvero fortunata, Aurora, a me non capitano mai delle avventure
del genere ... - ribatte Linda, facendo spallucce.
-Perché dici che c’è un fantasma alla
casa rossa? Ti riferisci alla storia che mi hai accennato
l’altra sera, a cena?-
La bambina si pulisce solennemente la bocca dai rimasugli di
cioccolato, incrocia le mani e, appoggiandole al bordo del tavolo,
comincia:
-Dunque, è la mia bisnonna che me l’ha raccontata
per la prima volta. Quando era giovane, lavorava come cameriera proprio
qui, alla casa rossa, dov'era diventata amica della figlia
più piccola della contessa, che aveva un anno meno di lei.
Il padre della sua amica era un nobile, ma aveva il vizio di giocare a
non so più quale cosa, e così perdeva moltissimi
soldi. In realtà era la contessa - che poi non era nata
contessa ma solo molto ricca- ad avere il denaro e, grazie a lei,
riuscirono ancora per molto tempo a fare la bella vita, nonostante il
brutto difetto del marito. Un giorno, però, il conte la
combinò davvero grossa e così dovettero mandare
il loro primogenito da alcuni parenti in Svizzera, a Locarno, in modo
che potesse continuare la carriera militare, mentre costrinsero le
altre due figlie femmine, tra cui l’amica della mia bisnonna,
a sposarsi in fretta e furia, pur di salvare i beni della famiglia.
La secondogenita che era un po’ bruttina
–così mi ha raccontato la nonna- si
sposò con un vecchio ma ricco mercante francese,
mentre la figlia più piccola fu … come
si dice … -
-Maritata?-
-Sì, credo di sì … maritata con un
uomo giovane e ricchissimo, che aveva delle case e dei terreni anche in
America. Solo che questo tizio non era molto fedele alla moglie che,
infatti, veniva continuamente tradita. In paese, diceva la mia
bisnonna, tutti lo sapevano, e lei –la sua amica- se ne
vergognava tantissimo, tanto che quando lui, il marito intendo, decise
di trasferirsi dall’altra parte del mondo, lei non ha voluto
seguirlo, perché lì non conosceva nessuno, mentre
qui aveva la sua famiglia e anche mia nonna.
Così, la sera prima della partenza, la poveretta si uccise:
si sparò con la pistola del marito in giardino, proprio
sotto a un ciliegio, che però hanno abbattuto dopo la sua
morte, anche perché dicevano che non dava più
frutti a causa delle radici che si erano … come posso dire
... bagnate? -
-Impregnate?-
-Sì, impregnate del suo sangue. E da quella notte si dice
che il suo spirito continui ad aggirarsi per la casa rossa, in cerca di
vendetta-
-Tu sai il nome della ragazza?-
-Certo, si chiamava Teresa! -
-E sai anche chi era Umberto?-
-Se non ricordo male era il fratello, quello che hanno mandato in
Svizzera a fare il militare-
-E magari il posto in America dove sarebbe dovuta andare
l’amica della tua bisnonna era l’Uruguay?-
-Questo mi dispiace ma non lo so proprio. A scuola ho studiato solo le
città d’Italia e qual cosina
dell’Europa, però questo Uruguay non so nemmeno
cosa sia- facendo un breve respiro per riprendere fiato, Linda continua
domandando:
-Secondo te, come c’è finito il carillon sotto il
pavimento?-
Aurora scuote impensierita la testa, giocando con il cucchiaino sporco
di cioccolato.
-Probabilmente lo ha nascosto Teresa, prima di uccidersi: non ha fatto
in tempo a spedire la lettera al fratello, ma non se
n’è nemmeno disfatta, così come ha
fatto con le foto. E’ una storia molto triste quella che mi
hai raccontato ... -
-Lo so, però almeno così la mamma
smetterà di dire che sono tutte sciocchezze. Senti, posso
prendere un altro po’ di budino?-
-Certo, prendilo pure. Io vado a prendere una cosa … -
E si avvia su per le scale, verso la sua camera, dove ha riposto il
carillon di zaffiro e oro intarsiato.
VENERDI’
21 LUGLIO
Sono le sei e mezza di mattina: Aurora ha gli occhi aperti
già da qualche minuto, le palpebre per nulla pesanti come
invece dovrebbero essere quando ci si è appena svegliati.
Si sofferma a guardare il soffitto, anonimo e con l’enorme
lampadario a gocce di cristallo di cui, a causa del buio, non
può vedere la lucentezza e l’incredibile biancore.
Se fosse ancora in città, probabilmente starebbe ancora
dormendo, la tapparella completamente abbassata, le tende verdi tirate
e il condizionatore in funzione.
Aspetterebbe con rassegnazione il suono della sveglia, il trillo
ammonitore che la riporta alla realtà.
Poi accenderebbe la radio, già sintonizzata sulla sua
stazione preferita, scegliendo i vestiti da indossare quella
mattina, perché sicuramente non li ha già
preparati, come invece si esorta a fare da sette anni, da quando
cioè ha cominciato a lavorare.
E poi, cosa farei?
Dopo scenderebbe in cucina, aprirebbe il frigorifero e prenderebbe la
bottiglia di latte parzialmente scremato. Se lo verserebbe nel
bollitore e ci aggiungerebbe un po’ di caffè per
poterci fare il cappuccino.
Sceglierebbe i biscotti o la torta che le ha portato la sorella quando
viene a cena da lei e, infine, andrebbe alla ricerca dei progetti che
si è portata dall’ufficio il giorno avanti:
metterebbe tutto nella ventiquattrore nera e finalmente andrebbe a fare
colazione.
Stupida, si
dice, cosa ti viene in
mente? E’ tutto passato, è tutto finito, quella
vita non esiste più.
Appoggia il dorso della mano sinistra sugli occhi, di solito quella
posizione le concilia il sonno: ma ben presto si stanca, e capisce che
il tempo di dormire per quella mattina ormai è concluso,
così decide di uscire a fare una passeggiata.
Mentre è ancora sdraiata nel letto, avverte il campanile
suonare le ore, conta sette rintocchi, un suono troppo martellante per
le sue orecchie cittadine.
Si stiracchia le braccia, si gira sul lato sinistro per vedere la luce
timida che filtra dalle persiane accostate: anche oggi dev’esserci
il sole, constata.
Cerca a tentoni con la mano opposta l’orologio da polso che
ha appoggiato sulla sedia che, da quasi una settimana, le fa da
comodino.
Un po’ controvoglia per quel piacevole intorpidimento che
ancora le avvolge le membra, Aurora si alza dal materasso, le lenzuola
stropicciate dal sonno agitato, una mano che tenta di lisciarle.
Si toglie la camicia da notte, infila le pantofole e indossa la
maglietta gialla e i pantaloni blu scuro, che portava il
giorno avanti.
Poi, scende dabbasso per fare colazione.
Il paese si è già svegliato da un pezzo, nelle
sue strade brulicano i primi passanti, gente che va al lavoro, alcuni
contadini che si recano nei campi, persone che, semplicemente, si
godono il fresco tepore di una giornata non ancora del tutto calda.
La forestiera è appena arrivata nella via principale, di
fronte alla piazzetta della chiesa, quando incontra la bottegaia che
sta aprendo il suo negozio, stupita dal fatto che sia così
mattiniera:
-Non riuscivo a dormire- le risponde semplicemente, mettendosi un
braccio davanti agli occhi, per proteggersi dai raggi solari che si
stanno alzando lentamente.
-Purtroppo capita: mio marito ultimamente soffre d’insonnia,
dorme magari quattro ore filate, poi alle cinque è
già in piedi- spiega la donna, mentre assesta la saracinesca
della bottega e infila le chiavi nella serratura.
-Comunque, meglio non pensarci, altrimenti mi viene voglia di ritornare
a letto! Cambiando discorso, come prosegue la vita alla casa rossa?-
Aurora si rifugia all'ombra della porta del negozio, la schiena
appoggiata al muro di pietra.
-Molto bene, anche se ancora mi devo abituare al suono delle campane
del mattino!- prosegue abbozzando un sorriso.
-A quelle si può sempre rimediare con un bel doppio vetro:
magari è l’occasione buona per convincere i nostri
benefattori a farlo! A proposito, volevo ringraziarla per come ha
trattato Linda l’altro pomeriggio, si è molto
divertita! Mi ha anche parlato di un certo tesoro che le
avrebbe mostrato … -
-Sì, ho trovato delle vecchie fotografie e una lettera che
probabilmente appartenevano alla famiglia della contessa-
-Linda non mi ha voluto dire di più, mi ha detto che
è un segreto tra voi due-
-E' una ragazzina molto sveglia e simpatica ... -
-Non si lasci ingannare! Anche lei, come tutti, è piena di
difetti! Comunque, basta parlare di quel diavoletto, ha pensato alla
festa del paese? Manca appena una settimana, ormai-
-Lo so, infatti ci ho pensato e vorrei fare la mia parte, ma non so
bene come: non sono molto pratica di queste cose- risponde la
forestiera, ricambiando un vago cenno di saluto di un paio di contadine
che passano davanti a loro, reggendo delle sidelle colme di
latte appena munto.
-Troveremo sicuramente qualcosa che fa al caso suo!
C’è un sacco di roba ancora da preparare! Prima di
tutto, le consiglio di parlarne con le ragazze del
Comitato feste. Loro, sicuramente, sapranno indirizzarla al meglio. A
proposito, questa sera c’è la riunione in
parrocchia: don Luigi ci affitta un locale, anche se lui, poverino, non
può venire, perché si è rotto una
gamba mentre stava verniciando il soffitto del refettorio. Se le fa
piacere, può partecipare per farsi un’idea!-
-Va bene- risponde titubante la forestiera - a che ora devo
presentarmi?-
-Alle nove andrà benissimo-
La donna dà un’occhiata all’orologio da
polso, poi in tono di scusa continua:
-Ora è meglio che entri in negozio, devo finire di smistare
la merce che mi è arrivata ieri sera. Ha bisogno di qualche
cosa, già che è qui?-
-Adesso no, grazie. Continuo con la mia passeggiata, al ritorno magari
mi fermo per comprare un po’ di pane-
-Come preferisce, a più tardi allora-
Mentre sta ritornando alla casa rossa, Aurora sente un rumore provenire
da uno dei tanti cespugli che circondano l’entrata.
All’inizio è un po’ spaventata, poi,
avvicinandosi con cautela, si accorge che quello che sente è
solo un miagolio.
C’è un gatto di circa tre mesi, seminascosto
dietro al roveto: è nero, con le zampette e la pancia
bianche e ha due occhi color ambra. Barcolla leggermente e si avvicina
alla nuova arrivata, miagolando ancora più forte.
-E tu cosa ci fai qui?- mormora lei.
Dopo essersi infilata il sacchetto con il pane oltre il polso, la
forestiera prende in braccio il piccolo felino, mentre, per
tranquillizzarlo, gli accarezza la testolina.
Non sa da dove sia arrivato, sicuramente è lì da
poco tempo perché, quando è uscita oltre
un’ora prima, non lo ha notato.
Decide di portarlo in casa per dargli un po’ di latte, non se
la sente di abbandonarlo.
Prima, però, si accerta che nei
dintorni non
ci sia la madre, perché sa che se la gatta sentisse
l’odore di un estraneo sul suo piccolo, non esiterebbe ad
abbandonarlo al suo destino.
Sta quasi per entrare, quando sente avvicinarsi qualcuno, il rumore dei
tacchi sul vialetto di terra battuta e ghiaia:
-Ciao-
Aurora si gira, perchè sa bene a chi appartiene quella voce:
una donna alta e un po’ robusta, con i capelli ramati
tagliati a caschetto, le sta sorridendo.
-Mamma, che ci fai qui? Ti avevo detto chiaramente che non volevo
vedere nessuno, tu più di tutti!-
-Lo so, ma sono venuta lo stesso a trovarti. Non mi fai entrare?-
-Sono appena rientrata e … -
-Non preoccuparti, non noterò il disordine, se è
questo che vuoi dirmi-
-Sempre con le tue stupide fissazioni- taglia corto la forestiera, non
guardandola negli occhi.
Poi, ordina alla madre di aprire la porta, perché ha le mani impegnate dal sacchetto del pane e dal gatto che tiene
ancora in braccio.
-Siediti … - la invita restia Aurora, una volta in cucina;
si appoggia al lavandino in marmo e, usando un po' di sapone per i
piatti, si risciaqua le mani.
-Non dirmi che non hai neppure una saponetta o, peggio ancora, un
bagno? Dopotutto, almeno dall'esterno, questa casa mi sembra
accogliente-
La forestiera fa finta di non aver sentito e, sempre dando la schiena
alla donna, tira fuori dal sacchetto la carta in cui la bottegaia ha
avvolto il pane, per riporlo in un cesto di vimini intrecciato.
-E’ tuo quel gatto?- continua la madre, non infastidita dal
comportamento della figlia.
-No, l’ho appena trovato-
Aurora apre il frigorifero, prende la bottiglia di latte, e ne versa un
po’ su un sottovaso pulito, che ha recuperato dal davanzale,
dietro il lavandino.
Il gatto, vedendo quel gesto a lui indirizzato, si avvicina traballando
al suo pasto.
-Mi sembra un bel posto. La casa è in ordine ed è
grande, un po’ troppo per una persona sola. Ti trovi bene?-
-Sì, molto. Tu, piuttosto, perché sei venuta? Lo
sai che ho bisogno di stare per conto mio, così non
mi stai di certo aiutando- risponde la giovane, riprendendo la sua
postazione, il più lontano possibile dalla donna.
-Lo so, ma mi sembrava normale venire a trovarti. E’ da una
settimana che non ti fai sentire: Aurora, mi stavo preoccupando,
dovresti capirlo!-
-Beh, adesso che mi hai visto, sai che sto bene ... -
-E ne sono contenta. Pensavo che magari potrei fermarmi questa notte e
ripartire domani mattina. Cosa ne dici? -
La forestiera alza lo sguardo dal gatto che sta continuando a bere il
suo latte, avidamente e a piccole linguate veloci.
-Fai quello che vuoi. Sappi però che stasera non ci sono -
-Hai già fatto nuove amicizie?-
Aurora, le braccia conserte, non demorde a fare la sostenuta e, sempre
non guardando in faccia la donna, replica:
-Sì, il paese è piccolo e le persone sono molto
accoglienti e gentili-
-Mi fa piacere, anche se il tuo tono non è certo altrettanto
nei miei confronti- le ribatte la madre, facendo finta di lisciare una
tovaglia inesistente.
-Per favore, non ho voglia di discutere-
-Lo sai che non è mia intenzione ... -
-E’ tanto che aspetti?-
-Non molto, dalle otto e mezzo, ho sentito i rintocchi delle campane.
Ho chiesto un po’ in giro dove abitava una ragazza che
è arrivata da qualche giorno e mi hanno indicato questa
grande casa su per il sentiero. Devo ammettere che avevo un
po’ il fiatone quando sono arrivata!-
-E come mai? Non sei tu quella patita di passeggiate e biciclettate
salutari?- la punzecchia, ritirando il sottovaso ormai vuoto.
-Beh, sì, ma dicevo così, per dire ... Hai visto?
Ti ho portato un mazzo dei tuoi fiori preferiti, i girasoli! - la donna
indica una dozzina di quelle corolle marroni dai petali gialli,
abbandonate su un angolo del tavolo.
Poi, la voce acuta di una scolaretta colta a copiare, prosegue:
-Non sapevo cosa portarti: tu che viaggi molto, sai
com’è in treno, e poi, visto che sei qui solo
temporaneamente, non volevo ingombrarti troppo la casa … -
-Non c’era bisogno di portarmi niente. Come hai potuto
notare, sono circondata da alberi e fiori. Purtroppo non ne
ho di
vasi,
però se tagli un po’ il gambo con quella forbice
lì appesa, puoi metterli in un bicchiere, sopra a destra,
nella credenza –
-Sì, d’accordo. Volevo solo farti un regalo ...
comunque, per questa sera, non è un problema. Me
ne starò qui buona buona e domani, come promesso,
andrò via-
-E’ meglio che li metti nell’acqua, quei fiori,
altrimenti appassiscono e tutta la fatica che hai fatto nel portarmeli,
non sarà servita a nulla-
-Dove hai detto che li trovo i bicchieri?-
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Capitolo 5 *** La riunione ***
LA RIUNIONE
Ci sono dei momenti in cui non riesce a non pensare a Mattia, al suo
sorriso, alla sua voce, ai suoi occhi, alle facce che assumerebbe e
alle parole che le direbbe, se solo fosse lì con lei:
"Credo gli potrebbe
piacere questo posto, lui e la sua bici qui non si stancherebbero mai
..." riflette.
Dopo il loro primo fortuito incontro avvenuto al parco, ci sono volute
altre tre settimane prima che avesse potuto rincontrare quel ragazzo, sempre
in sella al suo velocipede; Aurora era ferma ad un semaforo, in attesa
che scattasse il verde, sbuffando perchè era già
in ritardo per andare al lavoro.
La tracolla arancione stretta tra le mani, non aveva avuto alcun dubbio
quando Mattia le era sfrecciato davanti; così aveva fatto una specie di corsa
per seguirlo, una reazione d'impeto e decisamente infantile,
tantopiù perché era a piedi, eppure non aveva
potuto fare altrimenti.
Solo il Caso, la Fortuna o il Destino, qualsiasi cosa fosse stata, le
aveva permesso di raggiungerlo, un attimo prima che svoltasse e lo
perdesse così di vista, per l'ennesima volta in dieci minuti.
Quando la vide, strabuzzò leggermente gli occhi, la fronte
corrugata come a ricordarsi quel volto pallido ma grazioso, che sentiva
di aver già visto da qualche parte.
"Tu sei la ragazza del segnalibro!" pronunciò alla fine,
sorridendole e stringendole la mano: la sua era calda e rassicurante,
dalle dita affusolate.
Aurora aveva annuito e, finalmente, si era presentata.
"Hai davvero un bel nome ..." le sorrise nuovamente Mattia.
Questa volta non era vestito da allenamento, indossava una T-shirt blu
notte e un paio di jeans, e calzava dei mocassini marrone scuro.
I capelli erano sempre spettinati, però, e il viso perfetto
glabro.
"Ora devo andare ..." dovette aggiungere lei, dopo qualche battuta sul
tempo che era ritornato calmo e primaverile, nonostante fossero
già a metà maggio.
"Adesso sei tu quella che scappa!" le fa eco lui, sfoderando un altro
sorriso, meno aperto e cordiale dei precedenti, forse triste per quel
mezzo commiato.
"Mi aspettano al lavoro" tentò di giustificarsi Aurora, la
voce bassa e colpevole.
"Ma scherzavo! Vorrà dire che ci vedremo al parco. Io passo
di lì tutti i giorni, per gli allenamenti, tranne il fine
settimana. Se ti capita di fare un salto, ti aspetto alle sei, vicino
alla quercia ..."
Seduta sul bordo del letto, la forestiera si stringe ancora di
più l'accappatoio di un giallo sbiadito al petto: ha appena
finito di farsi una doccia, e il pensiero di uscire, a causa
di quel girovagare tra i ricordi, le ha dato la nausea.
"Ormai ho detto che
sarei andata, e così deve essere ..." si fa
coraggio, alzandosi e dirigendosi verso l'armadio a muro, in cerca di
qualcosa di adatto per l'occasione da indossare.
Aurora guarda l’orologio, e si accorge con un sospiro di
sollievo che manca ancora qualche minuto all’orario
convenuto quella mattina con la bottegaia: la madre, infatti,
ha insistito per fermarsi a cena, per questo, quando è
uscita dalla casa rossa, credeva di essere in ritardo.
C’è una brezza piacevole che le culla i capelli:
non fa per niente freddo, il vestito verde oliva appena sopra le
ginocchia e dalle spalline larghe, è più che
sufficiente a coprirla in quel breve tragitto fino alla piazza del
paese.
Quando arriva in parrocchia, alle nove come aveva concordato con
Liliana, si ritrova davanti un gruppetto ben nutrito di persone: ci
sono le cinque donne che sono venute a trovarla il giorno dopo il suo
arrivo, c’è la bottegaia e infine due uomini che
non ha mai visto, tutti seduti sulle panche di pietra davanti la chiesa
e intenti a parlottare.
Il primo deve avere all’incirca sessant’anni, la
corporatura massiccia, i capelli brizzolati più radi sulla
fronte, gli occhi cerulei piccoli e penetranti, il naso bitorzoluto, le
parole che fluiscono dalla bocca insieme ad assensi fatti di sorrisi.
Il secondo invece, dimostra qualche anno in meno: anche lui ha le
tempie e la barba ben curata striate di grigio, gli occhi color ambra
spiccano sul naso aquilino, le labbra stirate in
un’espressione un po’ perplessa, le mani incrociate
sullo schienale della panchina incredibilmente magre rispetto al resto
del corpo, alto e atletico.
Quando si accorgono della sua presenza, i presenti le sorridono e le
danno il benvenuto con un cenno del capo.
Il sindaco si fa avanti come la prima volta che si sono viste,
rassicurandola sul fatto che Liliana l’avesse già
avvisata della sua presenza alla riunione.
Aurora, un po’ imbarazzata, accenna un sorriso e si avvicina
all’insolita comitiva.
-Non me ne vogliano gli altri, ma darei l’onore al membro
più giovane del Comitato, sia per età che per
acquisizione, di iniziare con le presentazioni. Cosa ne dice?- domanda
la prima cittadina, rivolgendosi alla bottegaia che, schiarendosi la
voce, comincia ad elencare i nomi dei presenti:
-Grazie per la fiducia, sindaco. Dunque, queste che già
conosce, Aurora, sono Adele, Lina, Maria e Roberta che, insieme al
sindaco e a me, fanno parte della Proloco: noi ci occupiamo
dell'organizzazione vera e propria della festa, dagli addobbi, alla
distribuzione dei volantini, dalla preparazione degli stand alla
regolarità delle partecipanti ai vari concorsi. Poi ci sono
Vittorio e Pietro, che ci danno una mano per quanto riguarda la parte
tecnica: luci, suoni, impianti vari … cose noiose, per
intenderci, ma necessarie. Loro sicuramente la sapranno indirizzare al
meglio su cosa fare nel caso voglia aiutarci con gli ultimi
preparativi pratici… ecco, mi sembra di aver dato
un'idea generale su cosa facciamo - conclude la bottegaia, indirizzando
uno sguardo complice al sindaco.
-Grazie, Liliana, perfetta come sempre. Ora che ci siamo presentati,
cosa ne dite di spostarci nel nostro quartier generale?!-
Il gruppo, capeggiato dalla prima cittadina, si dirige verso una porta
laterale di metallo, ed entra in quella che sembra la sala dei
banchetti dei poveri: una parete è in gran parte scrostata,
il parquet di legno è lucido e le tendine bianche alle
finestre risultano un po’ corte, ma pulite e ben stirate.
-Non faccia caso al muro … - le sussurra la bottegaia
–ogni anno don Luigi dice che lo fa sistemare, ma poi non fa
mai nulla-
La forestiera abbozza un sorriso e, inaspettatamente, comincia a
sentirsi un po’ più a suo agio: gli altri hanno
già preso posto sulle sedie di legno scuro, così
ne approfitta per sisistemarsi vicino a Liliana.
Solo a questo punto il sindaco esibisce un ampio sorriso rivolto
proprio ad Aurora, poi si schiarisce la voce con un paio di colpetti di
tosse e, rivolta verso l'intero pubblico, debutta con il monologo che
l' ospite ha già ascoltato appena qualche sera prima:
-Innanzitutto, se siete d’accordo, vorrei spiegare un
po’ le origini di questa festa alla nostra nuova arrivata: la
prima edizione risale al 1921 e recita la leggenda che venne istituita
per ringraziare il santo patrono del nostro paese. Dopo un lungo
periodo di siccità, infatti, i contadini erano convinti che
il raccolto sarebbe andato perduto per quell’anno e, di
conseguenza, non avrebbero avuto i soldi necessari per comprare i
viveri per l’inverno. Così, si decise di
fare una sorta di processione: ciascuno degli abitanti avrebbe tenuto
in mano una candela accesa e, dal punto più alto del paese,
cioè dalla casa rossa, sarebbero scesi fino alla chiesa e
qui avrebbero continuato a pregare, invocando san Martino. Leggenda
vuole che, due giorni dopo, il raccolto fu salvo: piovve
così tanto che alla base del campanile si può
ancora vedere la linea dell’altezza che l’acqua
raggiunse!-
La bottegaia, ad un cenno del sindaco, prosegue con la spiegazione, a
entrambi i lati il gruppetto seduto composto sulle sedie di legno:
-Ogni anno, nei quattro giorni dei festeggiamenti, si organizzano
pranzi e cene, mentre la sera sono previste veglie danzanti e
l’apertura dei banchetti provenienti da tutta la valle per la
degustazione di vini e prodotti tipici locali. Poi … -
-Un momento! Dimentichema
mia la sfilà- puntualizza la Lina, quella che
ha portato la torta all’arrivo di Aurora, e che
l’ha ripresa in malo modo sui dubbi che nutriva a proposito
della potabilità dell’acqua.
-Ha ragione- prosegue Liliana, accondiscendente e regalando alla
vecchietta un mezzo sorriso -la sera prima della conclusione, ci
troviamo tutti in piazza per vedere i fuochi d’artificio,
mentre il pomeriggio successivo, assistiamo in piazza alla sfilata dei
carri dei vari rioni, mentre la banda del paese ci allieta con la sua
musica! Ovviamente non manca la pesca di beneficienza, anche se in
realtà quella la facciamo per i bambini, ma anche noi adulti
ci divertiamo, anzi, forse più di loro! Cosa dice,
sindaco, ho detto tutto?-
-Direi di sì- conclude annuendo la prima cittadina, seria e
soddisfatta allo stesso tempo.
-Qualcun altro vuole aggiungere qualcosa … ? Adele?-
La donna chiamata in causa annuisce, i ricci neri lunghi fino alle
spalle ad incorniciare il viso finemente truccato, il vestito
lillà a renderla più magra rispetto al primo
incontro con la forestiera:
-Sì, volevo ricordare che dall’anno scorso abbiamo
introdotto il premio per la torta più elaborata e per il
balcone più fiorito. Le nostre comari sembrano apprezzare
molto, anche se in realtà ci sono state delle discussioni
tra la Piera e la Giovanna: lei, la Giovanna intendo, insisteva che la
sua era la torta meglio riuscita, mentre la Piera sosteneva che belli
come i suoi fiori non ce n’erano in tutta la provincia. Alla
fine, la giuria, cioè noi del Comitato, abbiamo dovuto
istituire un premio speciale apposta per loro, un foglio scritto e
incorniciato dal sindaco in cui si elogiavano le loro
qualità culinarie ed artistiche. Spero solo che
quest’ anno non si ripeta la stessa solfa!-
-Purtroppo Adele ha ragione. C’è stata un
po’ troppa rivalità tra le due signore che,
oltretutto alla soglia degli ottant’anni, sono fin troppo
agguerrite- si inserisce la prima cittadina, poi continua:
-La verità è che è un aspetto della
festa che ha avuto un enorme successo, tanto che a gran voce tutti i
nostri concittadini hanno chiesto di riproporre anche per questa
edizione … fino a qui le è tutto chiaro?-
s'interrompe improvvisamente.
Aurora annuisce come iponotizzata, incuriosita e attratta da tutte
quelle parole che le erano state dette,
così pronuncia in modo un po’ troppo
deciso un sì
che ha il sapore di un entusiasmo sincero ma timido.
-Molto bene, allora direi che abbiamo detto tutto. Dunque, visto che
adesso ha un quadro più delineato della situazione, vuole
aiutarci a migliorare la festa?- chiede il sindaco,
rivolgendosi alla forestiera con qualla voce quasi in falsetto, le mani
congiunte quasi in preghiera.
Lei ha seguito con attenzione l’intera spiegazione, ma quella
domanda così a bruciapelo l’ha un po’
colta di sorpresa.
-Non saprei … non ho mai cucinato per tante persone e non ho
mai servito ai tavoli. Potrei stare alla cassa della pesca di
beneficienza … - azzarda, evitando di guardarsi attorno per
non dover sostenere lo sguardo delle altre sette persone.
-E’ tradizione che ci stiano i bambini, purtroppo. Ci
rimarrebbero male, credo, se gli togliessimo questa
opportunità. Potrebbe far parte della giuria per la
premiazione dei due concorsi, cosa ne dice?- precisa Roberta, sperando
in una sua risposta positiva.
-Oh no, non è un ruolo che mi si addice!- taglia corto
Aurora, dimenticandosi di arrossire -non mi piace giudicare,
nemmeno in un contesto del genere-
-Allora ha qualche capacità che può mettere a
nostra disposizione?- incalza la donna, il piglio deciso di chi vuole
chiudere lì la questione, senza troppi giri di parole.
Aurora non ci pensa un secondo, ed esclama con una punta di entusiasmo
nella voce, sempre bassa e insicura:
-Potrei fare delle foto … -
-Sembra una bella idea- approva il sindaco, cercando con gli occhi
l'approvazione degli altri presenti.
-Le büna da
fütügrafà?- si intromette
nuovamente la Lina, interessata dalla piega che sta prendendo la
conversazione.
-Sì, mi piace molto, anche se non lo faccio di professione,
però sono abbastanza brava da poter curare una mostra-
-Di che tipo?- s’informa l' Adele, anche lei attratta da
quella insolita proposta.
-Ancora non saprei … - la forestiera sente il sangue
affluirle prepotentemente sulle guancie, "mi devo far venire in mente
qualcosa", si dice e, come se avesse strofinato la lampada
di Aladino, un’idea affiora improvvisamente nella sua mente:
-Si potrebbero alternare immagini della preparazione della festa a
schizzi di carboncino che ritraggano il paese … -
-E’ anche brava a disegnare?- s’informa il
Vittorio, le braccia conserte e un'espressione di vivo interesse sul
volto.
-Non credo che quel burbero del Giovanni sia interessato a farsi
fotografare come un damerino! E’ già tanto se
saluta quando vede passare qualcun altro che non siano le sue vacche!-
esordisce Pietro, facendo sorridere tutti.
-Già- continua Vittorio –l’è
verament brav cun la tera e cun le besstie, ma par tutt al rest,
l’è mei lascià perda-
-Sempar a
parlà mal dügli altar!- ribatte la
Lina – Roberta, ti
che ti abitat viscin a lüi, cüs’ ti pensat?-
continua rivolgendosi alla donna.
-Mah, a credi mia che
l’è un om cativo …
l’è sempar stai abitüà a
laürà da quand’ l’era un bocia,
almeno l’è col che diseva la mi mama e
… -
-Direi di concludere qui l’apologia del signor Giovanni
- s’intromette il sindaco, alzandosi in piedi
–anzi, direi che è deciso: quest’anno ci
sarà una mostra fotografica e la nostra nuova concittadina
sarà la curatrice! Prepari con calma il programma, poi ce lo
illustrerà. A tutto il resto penseremo noi!-
Quando torna alla casa rossa, la forestiera trova addormentata la
madre sul divano, un golf
color turchese appoggito di traverso sul petto.
Il gatto è appollaiato su un bracciolo, la coda lunga e
sottile penzolante, il muso appoggiato alle zampette.
Per un momento, vedendo quella scena così pacifica, Aurora
si dimentica di tutto la delusione che prova nei confronti di
quella donna, uno dei motivi che l’ha spinta a rifugiarsi in
quel luogo di cui non sapeva neppure l’esistenza fino a
quattro settimane prima.
Sta salendo le scale lentamente, quasi con stanchezza, in preda ai
ricordi, quando la madre appare ai piedi della gradinata:
-Come è andata la serata?-
La figlia si gira svogliata, la mano sinistra appoggiata al corrimano
e, con voce tagliente ma il più possibile naturale, risponde:
-Molto bene. Tu cosa hai fatto?-
-Niente di particolare. Ho letto uno di quei libri impolverati che ho
trovato in biblioteca, poi, però, devo essermi
addormentata, perchè non ricordo dove sono arrivata!-
-Non hai dato un’occhiata in giro?- la punzecchia Aurora,
cercando di risalire un altro paio di gradini.
-Sì e no- ammise innocentemente la donna -mi
sembrava brutto curiosare mentre tu non c’eri-
-Ma se lo hai sempre fatto!-
-Non dire così, lo sai che non è vero!-
-Senti, mamma,
non ho voglia di litigare. Visto che ti sei già ambientata,
immagino che tu abbia scelto dove dormire … -
-Quale stanza mi consigli?-
-E non ho neppure voglia di indovinelli. Sei tu che devi decidere: per
una sola notte non vale la pena darsi tanto da fare ... -
-D'accordo, allora mi arrangio io, non preoccuparti- si arrende, senza
dar alcun segno di sconfitta o di amarezza -dammi solo le
lenzuola e una federa, almeno questo me lo devi concedere ... -
-Vieni, ti faccio vedere dove sono-
Aurora apre la porta della sua camera da letto, poi prende a rovistare
in un cassetto del comò neoclassico:
-Ecco, tieni, qui c’è tutto quello che ti serve.
Se hai bisogno di qualcos’altro, chiamami-
-Senti, perché ti ostini a trattarmi così? Io
credevo di fare bene a dirti tutto, ma di certo non mi aspettavo una
reazione come la tua! Sei diventata ostile, rancorosa, non ti riconosco
più- tenta di farla ragionare la donna, le sopracciglia
aggrottate da una smorfia di disappunto e di impotenza.
-Tu hai la faccia tosta di dirmi che non mi riconosci più?!
Sono io che non mi aspettavo una cosa simile da quella che consideravo
mia madre!-
-Io sono tua madre,
e tutto quello che ti ho detto, l’ho fatto solo per il tuo
bene-
-Smettila di mentire: lo hai fatto solo per alleggerirti la coscienza!
Sai, da una parte sono contenta che sia venuta, vuol dire che ancora
provi del rispetto nei miei confronti, ma se vuoi recuperare il
rapporto con me, è meglio che mi lasci da sola per
un po’, altrimenti rischierai di perdermi per sempre!-
-Se è quello che desideri, lo farò, non ti
preoccupare. Buonanotte –
La donna ha già superato la soglia, quando la voce ora
più calma della figlia, la blocca:
-Aspetta … domani a che ora hai il treno?-
-Non ho guardato- risponde girandosi, le lenzuola e la federa rosa
antico piegate tra le mani -pensavo di uscire di casa per le
otto e aspettare il primo che passa … -
-Va bene, ti accompagnerò alla stazione- concede magnanima
Aurora -metto la sveglia per le sette e un quarto. Buonanotte -
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Capitolo 6 *** Ricordi e idee ***
RICORDI E IDEE
SABATO 22 LUGLIO
Il mattino successivo, Aurora e la madre si avviano verso la piccola
stazione ferroviaria del paese.
L’aria è frizzante, il sole si sta alzando nel
cielo limpido e sereno.
La strada che conduce alla stazione non è molto lunga, ma
per raggiungerla è necessario attraversare un paio di
vicoli, la piazza della chiesa e passare sopra il ponte che divide le
due rive del fiume.
Una volta fatto tutto ciò, gli ultimi duecento metri dal
traguardo sono invasi, da un lato, da cespugli di buganvillea e casette
a due piani, dall’altro da distese di prati più o
meno incolti e ricoveri di bestiame ormai in disuso.
Giunte a destinazione, le due donne si dirigono verso la bacheca con
gli orari di partenza e arrivo dei treni.
-C’è n’è uno alle otto e
diciassette. Ti può andare bene?- domanda la figlia, un
vestito di viscosa blu dalle maniche corte.
-Non ho fretta. Altrimenti a che ora c’è?-
La madre, una camicetta bianca e un paio di pantaloni rossi sui
sandali, trasporta con noncuranza una borsa nera, particolarmente
capiente, di paglia intrecciata, mentre fissa il grande ritaglio di
carta, fisso di orari e località a lei sconosciute.
Aurora continua a non fissare la donna, poi, con voce annoiata,
prosegue:
-Alle otto e venticinque, alle otto e trentatré …
ogni otto minuti per intenderci-
-Prenderò il primo che hai detto, tanto tu non resti qui con
me, vero?-
-Perché dovrei restare? Ci sono altre persone che aspettano
come te-
-Ma io non le conosco, e loro non conoscono me-
La più giovane delle due scuote la testa indispettita,
rivolgendo alla più anziana un sorriso a metà tra
il sarcastico e l'allibito:
-Ho delle commissioni da sbrigare, se vuoi posso rimanere fino a quando
arriva il primo treno, non di più ... -
-Se ti senti in obbligo, non è necessario. Mi
siederò su quella panchina e aspetterò da sola-
La accontenta la madre, mentre si siede sull’unica panchina
in pietra della stazione, la borsa di paglia appoggiata sulle
ginocchia, aspettando che anche la figlia faccia lo stesso.
-Non ti sei informata nemmeno per il treno che devi prendere in
città?- domanda Auroa dopo un minuto di silenzio, le braccia
conserte, mantenendosi sempre a debita distanza dalla donna.
-No, non ho avuto tempo. Ieri mattina credevo di essere in ritardo per
prendere quello che mi avrebbe portato qui. Aurora, cerca di capirmi,
ti prego! Mi sono alzata alle cinque per raggiungerti, solo per farti
piacere … non avercela con me, almeno provaci!-
-Non sono io quella che ha iniziato tutto, forse non te lo ricordi-
-Se vuoi punire me, lo accetto, ma ricordati che a casa ci sono tante
persone che aspettano il tuo ritorno: tuo padre, tua sorella, tuo
fratello … -
-Non è mio fratello!-
La forestiera deve aver pronunciato un po’ troppo ad alta
voce quella considerazione, perché i due uomini in giacca e
cravatta di fianco a lei, si girano e le rivolgono uno sguardo
interrogativo.
Così, a voce più bassa, prosegue:
-E’ un estraneo per me, con cui non voglio avere nulla a che
fare. Aver sentito parlare di lui e aver visto una sua fotografia poco
più che bambino, non vuol certo dire conoscerlo!-
La donna abbassa lo sguardo: sa che quello che le ha appena detto la
figlia corrisponde a verità, tuttavia non vuole ammettere
neppure a sé stessa l’errore che ha commesso anni
prima. Prende coraggio e ritorna a guardare in faccia la sua
interlocutrice:
-Se non vuoi tornare per noi, torna per il tuo lavoro, per i tuoi
colleghi, i tuoi amici … -
-Lascia stare i sentimentalismi, non ne sono in vena …
guarda, sta arrivando il treno. Ciao, buon viaggio– spara a
raffica la ragazza, facendo già per allontanarsi da tutta
quella situazione sgradevole.
-Aspetta- la blocca la madre, il braccio a trattenere quello della
figlia -pensa a quello che ti ho detto. E ricordati che per quanti
sforzi uno faccia, non si riuscirà mai a scappare da se
stessi, mai, ricordatelo. Si può andare in capo al mondo,
dall’altra parte dell’oceano, ma non possiamo
cancellare quello che proviamo e soprattutto quello che
siamo-
Poi si avvicina per darle un bacio sfuggente sulla guancia e, senza
degnarla oltre di uno sguardo, sale lentamente sul treno.
Quando esce dalla stazione, Aurora ha la testa che le scoppia: le
tempie le pulsano e le lacrime le pizzicano gli occhi, ma non sono
ancora pronte a scendere.
Tornerei solo per lui,
si dice, per i suoi
sorrisi e la sua bocca, per le sue parole.
Rimane per qualche secondo sul viale affiancato dai cespugli di
buganvillea: due bambine stanno giocando nel cortile della casa di
fronte, ridono spensierate mentre fanno a gara a chi lancia
più in alto la palla.
Vorrei essere come loro,
anzi no, vorrei solo la mia vita di prima, quella che mi permetteva di
essere normale e di non soffrire ogni giorno appena apro gli occhi.
Senza pensarci, le viene in mente una poesia che aveva letto su uno di
quei quadernetti dedicati a sentimenti così vivi eppure
così cedevoli: l'amicizia, l'amore, la fiducia, tutte parole
che, senza la persona giusta con cui condividerle, risuonano vuote e
impossibili …
Credo
in te.
Credo
nel tuo sorriso
Dono
della tua felicità.
Credo
nelle tue lacrime
Di
gioia o di tristezza.
Credo
nel tuo sguardo
Limpido
e sincero.
Credo
nella tua parola
Di
amore e di speranza.
Ormai lei a cosa crede? A chi deve credere? Tutta la sua esistenza
è stata un inganno, gli attimi di spensieratezza, di gioia,
di allegria, persino quelli tristi, non sono mai stati pienamente
condivisi.
Non le rimane altro che una famiglia spezzata e uno sconosciuto che
tenta di entrare a far parte della sua vita.
La testa continua a scoppiarle, le tempie a martellarle e le voci e le
scene a rincorrersi nella testa.
Le mani dalle dita
affusolate a cercare il suo viso, la bocca sottile che si distende in
un sorriso perfetto e che si adagia dolcemente sul collo di lei, il
corpo premuto con delicatezza contro il suo. E poi …
L’ufficio
vuoto, lui all’inizio scherzando le prende il volto, le mani
salde nella presa, prepotente l’attimo dopo, la bocca
egregiamente disegnata a cercare con infernale passione quella di lei,
la figura alta e atletica a premerle il corpo. E poi …
-Hai un fratello-
-Ma cosa dici, mamma?!
Ho solo una sorella, quella rompiscatole di Silvia.
Cos’è, hai bevuto?!-
-Non sto scherzando, ha
due anni più di te. L’ho avuto quando abitavamo in
Belgio: tuo padre viaggiava sempre per lavoro e noi due c'eravamo
appena sposati da qualche mese. Credevo che mi trascurasse e che mi
avesse scelta solo per ripicca nei confronti dei suoi genitori e della
ragazza che avevano deciso per lui, così da stupida ho
cominciato una relazione con uno scrittore norvegese che avevo
conosciuto per la casa editrice… -
-Ma cosa stai dicendo?!-
-E’ la
verità, Aurora. Ho dovuto prendere una decisione non sai
quanto sofferta: rovinare la famiglia che avevo appena formato,
ammettendo la verità, oppure far crescere di nascosto tuo
fratello. Da codarda, ho fatto quest’ultima scelta.
Non è stato
difficile, la pancia praticamente non mi si vedeva, e tuo padre era
sempre in viaggio.
Due giorni dopo la
nascita di Edoardo, l’ho affidato a una coppia di nostri
amici italiani a Liegi, e per i successivi tre anni che siamo rimasti
lì, ho potuto vederlo ogni giorno.
Poi, quando siamo di
nuovo tornati in Italia e sono stata assunta a tempo pieno dalla casa
editrice, tutto è stato più difficile e allo
stesso tempo più semplice: ogni volta, appena potevo,
correvo da lui … perché credi che mi assentassi
così spesso per tutti quei giorni? Non era solo per lavoro
come vi raccontavo, ma era per andare a trovare Edoardo, e trascorrere
quanto più tempo possibile con mio figlio. Sono stata una
madre mostruosa, ma per lui ci sono sempre stata: ci telefonavamo, ci
scrivevamo, solo per le feste non potevamo stare insieme,
perché voi eravate e siete la mia famiglia. Ho cercato di
rimediare come meglio ho potuto … tu riesci a capirmi?-
-E’ tardi per
capire … Chi altri lo sapeva?-
-Nessuno-
-E adesso? A chi lo hai
detto adesso?-
-Tu sei la prima-
-Nemmeno Silvia lo sa?-
-No, nemmeno lei-
-E papà?-
-Non ho il coraggio di
affrontarlo-
-Mi stai rovinando la
vita, te ne rendi conto?-
-Voglio migliorartela,
Aurora, desidero solo che tu, insieme a Silvia lo conosciate, solo
questo. Poi spetterà a voi decidere se frequentarlo oppure
no. Ti prego, vi chiedo solo un incontro o una telefonata. Lui vuole
conoscervi-
-Io invece voglio
dimenticarlo,ancora prima di incontrarlo, così come voglio
dimenticare te!-
Il resto del colloquio Aurora lo ha come rimosso: ancora adesso non
vuole ricordarlo, è come se il velo di Maya avesse ricoperto
quegli attimi vissuti in maniera così brusca,
così cruda, catapultandola in una realtà che le
hanno sempre deliberatamente fatto ignorare.
La sensazione di essere uscita troppo presto da quel guscio protettivo
che ha continuamente considerato la sua esistenza, la fa sentire come
il bruco che ha perso precocemente la sua crisalide, come il serpente
che ha effettuato troppo presto la muta.
Ma quella rivelazione, in confronto a quanto sarebbe successo pochi
giorni dopo, era solo un aperitivo amaro, dal gusto acido, che rimane
in bocca per lungo tempo, e basta un nonnulla perché si
ripresenti prepotente sulle papille, a coprire tutti i sapori
più dolci.
Il ricordo di quella notte non l’abbandona mai, lo ritrova
nell’odore della paura che invade i suoi sogni, un odore che
all’inizio è invitante, ma presto diventa acre,
irrespirabile e opprimente ...
Lei che si fa
convincere a bere, proprio lei astemia, il ricordo vivo e ancora
pulsante dei vestiti stropicciati, delle sue mani a bloccarle i polsi,
lei che stupida e infantile, prima di quel gesto e prima
dell’arrivo di lui, aveva addirittura creduto di provare
qualcosa per l’altro, quell’uomo così
forte, con quel piglio da comandante, sempre sicuro di sé e
del suo lavoro, sempre pronto a sorriderle.
E poi capire che era
solo una sciocca infatuazione, non per l’uomo, ma per il
ruolo che rivestiva, per le belle parole, i bei vestiti, il tono di
sicurezza che traspariva dalla voce.
Tutto distrutto, la sua vita, il suo lavoro, il concorso per diventare
assistente, tutto.
Solo il viso di lui, quel sorriso perfetto, quel profumo inebriante che
si sprigiona dalle dita affusolate e da quel corpo, solo lui poteva
ancora rappresentare l’ancora di salvezza, senza la quale, la
nave della sua esistenza precaria, sarebbe inevitabilmente affondata.
La forestiera ritorna alla casa rossa completamente affranta e
stordita: si prende una pastiglia per il mal di testa e si rintana
nella sua camera per cercare di riposare, ma non riesce a tenere gli
occhi chiusi per più di mezz’ora, così
si alza dal letto e si affaccia alla finestra.
Le tempie ora non le pulsano più, la mente sta ritornando
lucida e al presente: mentre il suo sguardo si allarga verso il lago in
lontananza, le affiora avida l’ idea della mostra fotografica
che deve cominciare a preparare.
Non ha ancora i pensieri molto chiari su come realizzare il progetto,
anche se ormai mancano pochissimi giorni all’inizio dei
festeggiamenti e quel pomeriggio vorrebbe andare dalla sindaco per
presentarle un primo abbozzo della mostra.
All’ improvviso la sua mente ha un’illuminazione
che è convinta farà molto piacere anche alla
prima cittadina.
Si dirige verso il cassetto dello scrittoio, presa da un desiderio
insperato di fare, di disegnare, di creare.
Prende un foglio di carta e una penna e inizia a scrivere.
Quando arriva nell’ufficio del sindaco, poco prima delle
quattro, viene accolta molto cordialmente.
La stanza è piccola ma ordinata e particolarmente luminosa
grazie alla grande finestra che dà le spalle alla scrivania.
Sulla parete di sinistra ha trovato spazio una libreria con gli
scaffali imbottiti di libri e di piccole cianfrusaglie, su quella
destra invece una poltrona color caffè in eco pelle che ha
tutta l’aria di essere comoda, protetta davanti da un
tavolino di vetro.
Le due donne si salutano con una stretta di mano, poi la prima
cittadina indica alla forestiera una sedia di legno intarsiato di
fronte allo scrittoio: Aurora si siede ubbidiente, sebbene il richiamo
della spaziosa poltrona sia molto forte, forse perché le
dà un senso di accoglienza e di protezione che da tempo
ormai ricerca invano. Così, senza aspettare oltre, distoglie
la sua attenzione dall’oggetto banalmente normale,
dirottandola invece sul motivo per cui è lì:
-Non sapevo se l’avrei trovata, ma ho voluto venire
ugualmente-
-Ha fatto bene! Di solito il sabato non sono in ufficio, tuttavia a
pochi giorni dall’inizio della festa, ho ancora molte
faccende da sbrigare: gli ultimi preparativi, il discorso inaugurale da
correggere, più altre noiose ma necessarie incombenze che
riguardano l’amministrazione! Allora- prosegue la
donna, un tailleur grigio perla che le avvolge la snella figura, i
capelli raccolti in una crocchia – ha già pensato
a qualcosa per la realizzazione della mostra fotografica?-
-Sì, sono venuta proprio per parlare di questo, anche se
è solo un’idea e non so se potrà
piacerle-
-Lei la esponga, poi valuteremo insieme se può andare bene
oppure no. La ascolto-
La ragazza estrae dalla tracolla arancione il foglio di carta su cui ha
scritto poche ore prima i suoi pensieri, e lo mostra alla prima
cittadina:
-Credo che potrebbe venire fuori una bella cosa se unissimo la parte
tradizionale del paese con quella moderna: come vede, vorrei
infatti dividere la rassegna in due spazi. Il primo ovviamente riguarda
la festa, quindi scatterò delle fotografie che vadano a
ritrarne la realizzazione, come ad esempio gli allestimenti degli stand
dove verranno vendute le torte o quello per il banco di beneficienza.
In poche parole seguirò il lavoro del Comitato dietro le
quinte-
-Sì, potrebbe essere fattibile … e poi?-
-Sono rimasta colpita quando la sera della riunione in parrocchia,
Liliana ha raccontato della sfilata dei carri: ecco, vorrei poter fare
qualche foto o magari ritrarli durante la loro realizzazione
… -
-Su questo punto purtroppo la devo interrompere: i carri vengono scelti
e preparati almeno sei mesi prima dell’inizio dei
festeggiamenti e gli abitanti dei vari rioni sono gelosissimi delle
loro opere, è tradizione che vengano svelati solo il giorno
della sfilata-
Un’espressione di scoraggiamento appare sul viso di Aurora.
-Allora potrei fotografare solo i particolari, non il lavoro
d’insieme. Crede si possa fare?-
-Potrebbe andare bene, anche se prima dovrà chiedere
l’autorizzazione agli incaricati dei rioni …
proverò a contattarli- la donna si appunta su
un’agenda aperta di fronte a lei qualche riga, poi continua:
-E questa sarebbe la parte moderna della mostra, giusto?-
-Sì, esattamente. Allo stesso tempo, però, mi
piacerebbe dedicare uno spazio anche alle figure tradizionali del
paese, come i contadini e i mungitori. Li vorrei ritrarre durante le
loro occupazioni quotidiane, scegliendo ovviamente un momento che anche
a loro vada bene-
-Questa sì che è una bella idea! - annuisce la
prima cittadina - potrebbe essere una bella lezione anche per i nostri
bambini, che sempre di più si stanno allontanando
dall’ esistenza semplice e genuina che tiene in vita il
nostro paese. Sono convinta che saranno entusiasti anche gli altri
membri del Comitato!-
-Questo vuol dire che posso mettermi all’opera già
da oggi?-
-Direi proprio di sì: manca meno di una settimana
all’inizio della festa e se vuole terminare in tempo,
dovrà rimboccarsi le maniche. Un’ultima cosa, il
nome della mostra lo ha già pensato?-
La forestiera annuisce sorridendo, indicando un mezzo scarabocchio su
un angolo del foglio appoggiato sulla scrivania:
-Ho un’idea anche per questo. Le può piacere Lavori di ieri e di oggi: il
passato e il presente fra tradizione e modernità?
Forse è un po’ troppo lungo, però mi
sembra che suoni bene!-
-S-ì, sì direi che può andare! Anche
se ancora non le assicuro niente: prima di approvare l’intero
progetto, vorrei sottoporlo anche agli altri membri del Comitato, ma
come le ho accennato non credo ci saranno problemi. Più
tardi proverò a sentirli e vediamo cosa dicono. Comunque,
complimenti, mi sembra che abbia le idee piuttosto chiare su come
realizzare il progetto … -
-Voglio farvi fare bella figura-
-E’ molto gentile da parte sua offrirsi così spontaneamente per
una festa che nemmeno conosce! Dal momento che ha pensato praticamente
a tutto, non resta che scegliere il luogo dove allestire la mostra, o
già ne ha uno?-
-A questo non saprei proprio come rimediare. Non conosco ancora
così bene il paese da … -
-Se me lo permette, almeno a quello ho già pensato io! Ha
presente la vecchia chiesa abbandonata, quella di pietra, di fronte
alla strada che porta in paese?-
-Uhm sì, l’ho vista quando sono arrivata-
-Molto bene. Quella è la chiesa di sant’Abbondio,
l’hanno sconsacrata dopo la fine della seconda guerra
mondiale: era diventata il rifugio dei nostri concittadini durante i
bombardamenti sulle montagne e dicono che i nazisti abbiano compiuto
delle azioni ignobili al suo interno, hanno rubato i paramenti e
violentato alcune giovani del posto, tanto che il vescovo di allora ha
preferito sconsacrarla. Nonostante la sua storia indubbiamente triste,
l’apriamo una volta all’anno, proprio durante i
quattro giorni della nostra festa, in modo che anche voi turisti
possiate ammirarne i meravigliosi affreschi e venire a conoscenza della
sua drammatica storia-
Un brivido percorre la schiena di Aurora.
-Non c’è un altro luogo dove poter allestire la
mostra?-
-Purtroppo no. Si potrebbe fare qui in municipio, ma la
verità è che di stanze disponibili non ce ne
sono. Oppure c’è la casa rossa, però
non so se lei sarebbe disposta ad ospitare l’intero paese e
anche i turisti … -
-Se le cose stanno così, allora la chiesa rimane
l’unica alternativa-
-Infatti … -
-Va bene- conclude la ragazza , alzandosi -ora è meglio che
vada, così potrò riorganizzare al meglio le idee.
Grazie ancora per la sua attenzione-
-Non deve ringraziarmi, anzi, grazie a lei per la sua
generosità. Buon lavoro ... -
Il pomeriggio sul tardi, mentre sta attraversando la via
principale, la forestiera si accorge ben presto che la notizia
dell’installazione di una rassegna fotografica si
è già diffusa per il paese.
Adesso, ogni qualvolta attraversi la piazza o si ritrovi a passare per
le strade, tutti la fermano e vogliono saperne di più, ma
lei non sa cosa rispondere, perché in realtà ha
un sacco di idee nella testa, ma ancora nessuna pronta da realizzare.
Così si rifugia senza farsi vedere in un vicolo parallelo
alla bottega dove è entrata pochi minuti prima per fare
rifornimenti: lì è ben protetta
dall’angolo di un muro di pietra, da cui sbircia un secondo
sì e uno no, per riuscire a trovare il momento giusto in cui
possa svicolare senza essere fermata per l’ennesima volta.
Quando finalmente rientra alla casa rossa, non appena apre la porta, il
gatto che ha trovato tre giorni prima le viene incontro e comincia a
miagolare con insistenza.
-Ciao, piccolo. Avrai fame, adesso ti do un po’ di latte ...
- il felino le trotterella dietro fino alla cucina, dove attende il suo
pasto davanti al sottovaso che è diventato la sua ciotola.
-Non ti ho ancora dato un nome e prima o poi dovrò farti
vedere da un veterinario … - continua Aurora, abbassandosi
per versare nella scodella il liquido bianco –potrei
chiamarti Macchia, sei tutto nero ma quella chiazza che ti copre la
pancia mi fai ricordare una macchia … -
Mentre il gatto continua a leccare nel sottovaso, lei decide di salire
in camera da letto per cercare la sua macchina fotografica, i fogli da
disegno e il carboncino: da quegli oggetti non si separa mai da oltre
vent’anni, quando sa di poterli usare, li porta sempre con
sé.
Apre il comò neoclassico e tira fuori tutto il materiale di
cui ha bisogno per iniziare a lavorare al suo progetto.
Si avvicina alla finestra e la apre per fare qualche scatto di prova:
all’orizzonte il lago è calmo e i riflessi del
sole creano dei brillanti giochi di luce sulla sua superficie, mentre
il campanile con la torre dell’orologio si staglia altezzoso
e solido a poche centinaia di metri da lei.
Dalla posizione in cui si trova, le vette delle montagne non sembrano
tanto alte, una vicina all’altra come una catena ininterrotta
di triangoli un po’ in sovrappeso, ma sono ugualmente
maestose e protettive.
C’è una buona luce e lei continua a fotografare,
fino a quando intravede sul sentiero che porta alla casa rossa la
figura di una bambina che si sta avvicinando: è Linda, la
figlia della bottegaia.
Aurora si affaccia per salutarla, quasi felice per quel'incontro a
distanza:
-Ciao, Linda! Che ci fai qui?-
La ragazzina alza la testa e si copre la fronte con una mano
perché ha il sole contro e non riesce a vederla bene, ma
riconosce subito la voce:
-Ciao! Sono venuta a fare una passeggiata. Posso entrare?-
-Sì, aspetta che scendo … -
-Che caldo che fa fuori. Qui invece è così
fresco- esclama Linda, una volta entrata, mentre si fa aria con una
mano.
-Vieni in cucina, ti offro del tè
freddo: è alla menta, l’ho
fatto stamattina-
-Ah bene, ne ho proprio bisogno!-
Nel giro di pochi secondi, la bambina si è appena seduta su
una delle sedie attorno al tavolo, quando esclama:
-Un gatto! Ma è tuo? Com’è piccolo
… - lo prende in braccio, approfittando del fatto che il
micio si faccia coccolare, regalandole anche qualche fusa.
-Si chiama Macchia, in realtà ho appena deciso il nome:
l’ho trovato dietro al roveto nel giardino, qualche giorno
fa. Mi ha fatto tenerezza e così l’ho preso, ma
non so se è di qualcuno. Magari l’hanno perso e lo
stanno cercando-
-Oh non penso proprio. Se qui in paese qualcuno perde qualcosa, nel
giro di cinque minuti tutti lo sanno! E non mi sembra che qualcuno
abbia smarrito un gatto!-
-Da una parte meglio così, mi ci sto affezionando. Senti, ti
va di portarlo dal veterinario con me? Pensavo magari di andarci
adesso, non è tanto tardi, però non so dove
andare. In città ce ne sarà uno, vero?-
-Sì, c’è Ginevra, lei cura anche il mio
Blasco!-
-Blasco?-
-Sì, il mio gatto-
-Ah, certo, il gatto arancione! Bene, allora passiamo da tua mamma e le
chiediamo se puoi venire con me in città.
D’accordo?
-Va bene. Finisco di bere il tè e andiamo!-
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Capitolo 7 *** Gita in città e lavoro nei campi ***
Gita in
città e
lavoro nei campi
La
chiesetta sconsacrata di sant'Abbondio, di cui ho parlato nello scorso
capitolo, durante la Festa dell'Uva di settembre
Aurora sta guidando sicura, mentre Linda tiene in braccio Macchia, che
guarda fuori dal finestrino un po’ agitato.
E' da parecchio tempo che non tiene tra le mani un volante, che non
vede scorrere, davanti a lei, la strada, a tratti vellutata e a tratti
disseminata di piccole o grandi imperfezioni.
Una volta a settimana, di solito il venerdì sera, Mattia
passava da casa a prenderla e, insieme, andavano a vedere un film o uno
spettacolo a teatro, poi mangiavano in un locale dove suonavano musica
dal vivo.
Sono molti mesi che non
abbiamo una serata solo per noi, riflette la ragazza, e
tutto questo le manca terribilmente.
-Sono proprio contenta che tu sia arrivata in paese- la fa quasi
sobbalzare Linda, la voce allegra e lo sguardo perso oltre il
finestrino, mentre con una mano continua ad accarezzare la testolina
del felino.
Aurora le lancia un'occhiata impensierita:
-Davvero? E perché?!-
-Vuoi la verità?-
-Sì, se è una cosa bella … -
-D’accordo: allora, per prima cosa mi stai simpatica e poi
con quella storia del tesoro hai confermato che il fantasma del
giardino non è una mia invenzione! Sai, da grande voglio
fare la criminologa, e credo che se comincio a fare un po’ di
pratica, forse è meglio! A proposito, lo hai per caso visto
una di queste notti?-
-Chi, il fantasma? No, non ho visto nessuno- sorride lei, fissando la
strada –è solo una leggenda, ma questo non vuol
dire che la storia che mi hai raccontato sia falsa. Stai tranquilla, ti
credo-
-Ah beh, grazie, è già qualcosa. Comunque
è da molto che non vado in città, voglio dire, a
parte per la scuola. Di solito vengo in bici, ma la mamma preferisce
che prenda la corriera. Dice che è più sicura, ma
in bici è tutta un’altra cosa: puoi vedere il
ruscello e i campi, sentire l’aria fresca in faccia,
è una sensazione bellissima! A proposito, tu ce
l’hai una bici?-
Lei abbassa il volume della radio.
-No, cioè sì, ma non l’ho portata. In
realtà ho visto che ce n’è una nella
rimessa, ma è talmente vecchia e arrugginita che non ho
avuto il coraggio di avvicinarmi per pulirla!-
-Non posso prestarti quella della mamma perché non
c’è l’ha. Anzi, ti dico un segreto: non
è proprio capace di usarla! Però a lei non dirlo,
ci rimarrebbe male-
-Va bene, stai tranquilla- la rassicura lei -svolto di qui, vero?-
-Sì sì di qua. Quando entri in città,
devi proseguire fino al semaforo, poi ti dico dove girare-
-Ok-
Linda sembra un treno in corsa, non si ferma un secondo:
-Senti, posso chiederti una cosa?-
-Dimmi- risponde titubante Aurora, la paura che qualcuno sia venuto a
conoscenza dei suoi segreti.
-Perché sei venuta proprio in paese ad abitare?
L’altra sera, quando sei venuta a cena da noi, non ho ben
capito-
-Ve l’ho detto, ho bisogno di stare un po’ da sola
… - cerca di spiegare con tranquillità, le mani
che stringono un po' troppo forte il volante.
-Sì, va bene, ma potevi scegliere un’altra
città: quello che voglio dirti è che è
difficile che una persona della città voglia venire da noi,
avete delle abitudini troppo diverse. Di solito succede il contrario,
anche se d’estate ci sono un sacco di stranieri: francesi,
tedeschi, svizzeri … -
La forestiera fa un respiro profondo e, schiarendosi la voce, prosegue:
-Hai ragione. Però è difficile da dire, ma visto
che tu prima mi hai svelato un segreto, posso provare a spiegartelo.
Vedi, non mi trovavo più bene dove abitavo prima,
lì c’erano delle persone che mi hanno detto delle
bugie e altre a cui voglio molto bene ma non so come dimostrarlo-
-Sei innamorata?-
Ora Linda si gira a guardarla con maggiore interesse, mentre Macchia
tenta di sgusciarle dalle mani, spaventato da un lieve dosso che hanno
appena superato.
-Sì, diciamo di sì … -
-Se non sono troppo indiscreta, posso chiederti che bugie ti hanno
raccontato?-
-Delle bugie molto gravi e cattive: hanno cercato di farmi perdere il
lavoro e … -
-E’ vero, non ce lo hai ancora detto! Cosa fai?-
-Disegno vestiti-
-Che bello! Io non sono brava a disegnare-
-Posso sempre insegnarti-
-Mi piacerebbe, ma preferisco la musica. Comunque, cosa stavi dicendo?-
-Che ci sono state delle persone che mi hanno fatto soffrire. Adesso
sto cercando di dimenticare, per questo ho scelto il vostro pese. Qui
nessuno mi conosce ed è tutto molto diverso dalla
città-
-Lo so, ma è questo il bello, almeno per chi non
è nato qui. Ecco siamo arrivati- la interrompe Linda,
indicando un cartello poco distante - devi svoltare alla seconda strada
a sinistra, lo studio di Ginevra è il primo sulla sinistra -
Quando escono dallo studio veterinario, il cielo è limpido e
sereno: ci sono ancora un paio d’ore di luce.
-Sono contenta che Macchia stia bene- dice Linda, accarezzando il
felino tra le mani di Aurora.
-Già, anch’io. Senti, cosa vuoi fare adesso?
Possiamo andare a comprargli un paio di quei pacchi di croccantini che
ci ha consigliato la tua amica, un trasportino, e poi per noi che ne
dici di un buon gelato?-
-Oh sì, è un’idea fantastica! Qui
vicino c’è un negozio per animali, e poco
più in là una gelateria!-
-Allora affare fatto!-
-Affare fatto!-
La città ha un aspetto molto differente da quella che ha
abbandonato: questa è sicuramente più piccola,
è un paese allargato, ma non ha niente in comune con esso.
Le sue strade brulicano di passanti, di qualche macchina e soprattutto
di biciclette.
Il ritmo sembra meno frenetico delle grandi città e il
paesaggio non è fatto solo di asfalto e cemento,
perché ci sono le montagne e il lago a ricordare che
è un posto fuori dal mondo.
-Sarà meglio che andiamo, si sta facendo tardi e non vorrei
che tua madre si preoccupasse- hanno terminato i loro due coni di
gelato e ora stanno facendo una passeggiata tra le vie, in attesa di
ritornare alla macchina.
-Aspetta, passiamo da questa parte. Ti faccio vedere una scorciatoia-
suggerisce Linda, il guinzaglio nella mano destra, che la forestiera ha
voluto comprare per Macchia.
In città ho
visto qualche gatto che ce lo aveva, si è
giustifica, sebbene le sembri un'idea sciocca.
-Non è che ci perdiamo?-
-Ma no, sono passata di qua centinaia di volte, non preoccuparti!-
La via che stanno attraversando è stretta e leggermente in
pendenza: su entrambi i lati si affacciano delle case di recente
costruzione o messe a nuovo da poco, per il resto non
c’è nulla.
Quando arrivano all’uscita del vicolo, si ritrovano in una
piazzetta con il pavimento acciottolato, le logge scolpite dei palazzi
con le colonne di granito sormontate da capitelli in stile dorico.
Su di un lato, svetta una costruzione massiccia e quadrata di pietra
scura e rettangolare.
-Questa è la torre di guardia- spiega Linda -risale al 1300
e faceva parte delle vecchie mura che circondavano la città.
Questa a sinistra invece è piazza della Fontana: ci fanno il
mercato ed è antichissima. Tutte le colonne, i balconi e i
palazzi che vedi sono originali e hanno più o meno la stessa
età della torre. A me piacciono molto perché sono
coloratissimi e poi danno una forma particolare alla piazza,
perché sono un po’ alti e un po’ bassi e
se li vedi da lontano sembrano storti. Ecco, adesso se proseguiamo da
questa parte arriviamo dritte dritte alla macchina-
La ragazza guarda attenta tutto quello che le mostra la bambina.
A un certo punto si ritrovano a passare in un vicolo stretto e antico,
con un arco a sesto acuto che lo sovrasta.
Affascinata da quell’architettura così antica
eppure così viva, la forestiera mormora:
-Avrei dovuto portare la macchina fotografica ... -
-Cosa?- le domanda Linda, girandosi verso di lei.
-No, dicevo che mi sarebbe piaciuto fare delle fotografie. Sono posti
molto belli, non ho mai visto nulla di così speciale-
-Possiamo sempre tornarci e io posso farti da guida ufficiale, se vuoi-
Lei annuisce e prende in braccio Macchia che comincia a miagolare,
forse contrariato da quello che per lui è un lungo viaggio.
-Poverino, me ne stavo quasi dimenticando. Dev’essere stanco:
prima il veterinario, poi questa passeggiata-
- Non è abituato, ma non ti preoccupare, siamo arrivati.
Lì c’è la macchina-
-Tieni tu Macchia … -
Lei e Linda prendono posto in auto e si avviano verso il paese.
-Mi sento un po’ in colpa … - riprende Aurora,
dopo una manciata di secondi in silenzio.
-Perché?-
-Oggi avrei dovuto iniziare il progetto per la mostra fotografica
… -
-Ah sì, in paese tutti ne parlano!-
-Me ne sono accorta. Però, dal momento che siamo venute qui,
non ho potuto cominciare e ho paura di non riuscire a finire in tempo-
-Se ci metti d’impegno, sicuramente ce la farai. A proposito,
cosa devi fotografare?-
-Tutte le fasi di preparazione della festa: per prima cosa vorrei fare
qualche scatto ai carri dei vari rioni, che è la parte del
lavoro che più mi preoccupa, perché
dovrò andare da chi li tiene e chiedere di mostrarmeli. So
che c’è una sorta di segreto sulla loro
realizzazione-
-Oh, ma questo non è un problema: mio zio è stato
scelto come rappresentante del nostro rione, domani è
domenica e se glielo chiedo, ti farà sicuramente vedere il
carro. Lui poi potrebbe chiederlo agli altri e così potrai
fare tutte le fotografie di cui hai bisogno!-
-Sarebbe un ottimo punto di partenza, anche se oggi pomeriggio il
sindaco mi ha già detto che si sarebbe interessata
… allora verrò da voi appena avrò
finito con i contadini- dice lei svoltando per il paese.
-Cosa c’entrano con la festa?-
-Ho intenzione di fare qualche scatto e magari qualche disegno del
lavoro nei campi, perciò domani mattina mi dovrò
alzare molto presto-
-Che bella idea! Non vedo l’ora di vedere i ritratti!-
-Te li farò vedere in anteprima, promesso!-
Dieci minuti più tardi sono davanti alla bottega del paese.
Quando torna a casa, Aurora e Macchia sono molto stanchi.
Si prepara un piatto di pasta al pesto e finita la cena sale in camera.
Punta la sveglia per le cinque e si sdraia sul letto: ha trascorso un
bel pomeriggio in città con Linda, ma non è
contenta di quello che le ha raccontato.
Non avrebbe dovuto dirle tutte quelle cose sul suo passato, la storia
delle bugie, della quasi perdita del lavoro, del suo essere innamorata
…
E’ sempre stata una bambina e una ragazza piuttosto
introversa, timida, che faticava a relazionarsi con le persone: dava
fiducia solo dopo averle sottoposte ad una severa occhiata interiore e,
spesso, nonostante tutte queste precauzioni, rimaneva delusa e
abbandonata.
Guarda il soffitto intonacato chissà quanto tempo prima,
scrostato in più punti, l’enorme lampadario con
gocce di cristallo lucenti e bianchissime, quasi a confondersi con i
muri.
Chissà
chi dormiva in questa camera? si domanda, mentre
un brivido le percorre la schiena.
La storia del fantasma non la turba per nulla, tuttavia quando ripensa
a Teresa, a quella giovane donna seppellita chissà dove, le
viene sempre una malinconia, una tristezza che quasi non sa spiegare.
Di lei rimane solo una sbiadita fotografia da ragazzina, ormai quasi un
secolo prima.
Ha avuto una vita
infelice, non è riuscita a scegliere e ad imporre le sue
idee, io non farò così.
Chiude gli occhi e rivede ancora nitida la scena davanti a lei: la
madre che le rivela l’esistenza di un fratello avuto da una
relazione appena sposata … lei che rischia di essere
licenziata perché non scende a compromessi con il suo
dirigente, abituato ad avere tutto e tutti, subito e sempre, senza
prima fermarsi a pensare se quello che è giusto per lui sia
invece sbagliato per gli altri … lei che non vince il
concorso per diventare capo assistente.
E poi quel sorriso perfetto, i suoi occhi così espressivi,
le mani ad accarezzarle il volto …
Affonda la testa nel cuscino: non riesce più a reggere quei
ricordi, vorrebbe poter bere una pozione, una tisana, una brodaglia,
qualsiasi cosa che le permetta di dimenticarsi del suo passato e, come
in una preghiera muta ma disperata, nel giro di pochi minuti si ritrova
tra le braccia accoglienti di Morfeo.
DOMENICA
23 LUGLIO
Le cinque: la sveglia suona puntuale.
Aurora si rigira nel letto, apre controvoglia gli occhi e per un
momento non ricorda più dove si trova.
Si alza a sedere e si passa una mano tra i capelli e, come quando si
toglie la polvere da una superficie che prima era perfettamente pulita,
tutto le ritorna in mente: oggi è il gran giorno, oggi
inizia a lavorare al progetto, deve andare nei campi a fotografare i
contadini con i loro animali e poi passare dallo zio di Linda per
vedere il carro del loro rione.
Si veste in fretta, ha paura di essere in ritardo, mangia qualche
biscotto e beve un bicchiere di latte, ne dà un
po’ a Macchia e finalmente, la macchina fotografica e i fogli
nella borsa a tracolla arancione, esce dalla casa rossa.
Attraversa il viale in pendenza, la lunga strada stretta che porta alla
piazzetta, si lascia alle spalle la parte moderna del paese e arriva
nei campi: il sole deve ancora sorgere, c’è solo
qualche schizzo vermiglio a macchiare il cielo, ma i contadini sono
già pronti per la giornata.
Sono intenti a parlare, forse si stanno dividendo il lavoro.
Poche centinaia di metri più in là, dentro un
grande recinto di legno, una ventina di mucche bruca con gusto
l’erba rigogliosa: sembrano essersi accorte della presenza
estranea, le code brevi e sottili che si muovono a scatti come in una
danza rituale, le orecchie piccole in quei musi allungati e tozzi,
fremono e si arricciano verso l’interno per poi drizzarsi al
minimo rumore o segnale di allarme.
La forestiera rimane in disparte a osservare quella scena che tanto
assomiglia a un quadro di Courbet, uno dei suoi pittori preferiti.
Stringe tra le mani la cinta allungabile della tracolla arancione,
forse per farsi coraggio, e in quel gesto di sfregamento contro il
tessuto di similpelle, sente i palmi delle mani bagnarsi di sudore
freddo.
Davanti a sé è come se avesse un dirupo, un
precipizio, un abisso di cui non riesce a vedere il fondo, ma sa che
è nero, che è buio e se dovesse cadervi, non
potrebbe più tornare indietro.
La solita tipica e infantile indecisione la attanagliano, divorandole
il cervello: ha come un ripensamento, così
all’improvviso, senza un motivo realmente valido, si sente
fuori luogo, avulsa da quel mondo rurale che le appare davanti.
L’estensione dei campi bruno oro e le distese di foraggio,
gli animali al pascolo, gli stessi contadini nei loro abiti da lavoro,
tutto non ha nulla a che fare con lei.
Stupida vigliacca,
stupida testona, come puoi aver paura di una cosa che nemmeno conosci?
Prende un respiro profondo che le comprime il diaframma più
del dovuto e distoglie lo sguardo per cercare di recuperare un
po’ di coraggio per affrontare … cosa? Un gruppo di uomini e donne che
ancora non si è accorto della mia presenza?
Si volta verso la strada da cui è venuta, e subito capisce
che non può tornare indietro, che è lì
per compiere una missione, per dimostrare al paese quanto sia capace di
scattare delle belle fotografie e disegnare ritratti a carboncino.
Non può e non vuole tornare indietro a mani vuote,
così a passi decisi, si avvicina al gruppo:
-Buongiorno- la voce risuona sicura, per nulla velata
dall’incertezza di pochi istanti prima.
Le donne e gli uomini si voltano a guardarla, un impalpabile stupore
misto a curiosità appare sui loro volti che, subito, si
trasformano in maschere imperturbabili da decifrare.
-Buongiorno. Lei è la signorina forestiera, vero?-
Sorride imbarazzata e annuisce con convinzione:
-Sì, sono io. Scusate se vi disturbo, ma avrei bisogno di
farvi delle fotografie per la mostra che verrà allestita
alla festa del paese, non so se ne avete sentito parlare … -
-Certo che lo sappiamo, il sindaco ci ha avvisato. E poi tutta questa
storia è diventata la novità di
quest’anno, non si parla d’altro ormai-
Aurora rimane interdetta da quelle parole: non mi aspettavo di certo
un’ accoglienza trionfale, ma un po’ più
di educazione sì.
Vedendo che la sua interlocutrice non ribatte, il gentiluomo prosegue
ad elencare gli ultimatum:
-Ci può fare tutte le fotografie che vuole, basta che non
facciamo troppo tardi, i campi e le bestie non possono aspettare-
E’ alto e molto abbronzato, il viso incorniciato da radi
capelli bianchi, le braccia quasi ustionate lasciate nude dalle maniche
della camicia a quadri arrotolata fino ai gomiti.
I pantaloni di tela grezza, di un indefinito colore tra il nero e il
marrone, sono disseminati da rattoppi e pieghe più o meno
appariscenti, forse per l’orlo casalingo che è
stato effettuato da mani per nulla esperte.
Robuste scarpe di cuoio, molto simili agli scarponi di montagna, fanno
capolino da quella stoffa: anch’esse un tempo dovevano essere
del colore della pece, ma adesso quella tinta è ormai
sbiadita dai numerosi lavaggi e dal trascorrere del tempo.
Qualcosa dice alla ragazza che deve essere Giovanni, il burbero del
paese: i suoi occhi cerulei non sono affatto malvagi, contrastano
amabilmente in quel viso dai lineamenti duri, gli zigomi alti e la
mascella squadrata e, anche lei come Roberta alla riunione del Comitato
in parrocchia, pensa che dev’essere un brav’uomo,
nonostante il carattere poco incline a esprimersi con un po’
più di gentilezza.
-Bene, meglio così. Non c’è
bisogno che stiate in posa, dovete essere il più naturale
possibile, fate come se io non ci fossi-
Le donne e gli uomini si guardano, il loro è un discorso
muto, fatto di sguardi. Alla fine l’uomo che ha appena
parlato annuisce:
-Faccia come vuole. Allora noi iniziamo a lavorare, ci dica lei quando
può bastare-
Il gruppo si disperde, composto e solenne si appresta a compiere le sue
mansioni.
Aurora si sistema in un angolo del campo, non troppo lontano, ma
nemmeno troppo vicino, cercando di dare il sole alle spalle, ma
è difficile perché la luce si sta propagando
velocemente nel cielo.
Finalmente trova il momento e il luogo adatto, toglie il copri
obbiettivo e inizia a scattare.
Le mani scorrono sicure sulla macchina fotografica, la forestiera la
maneggia con presa salda, si muove delicatamente per i campi, non vuole
fare rumore, non vuole disturbare il lavoro dei contadini.
Quando è certa di aver fatto abbastanza fotografie, si siede
per terra, sull’erba soffice.
Ritira il dispositivo nella borsa a tracolla e tira fuori i fogli e il
carboncino.
Adesso il sole ha preso il posto più alto nel cielo, e
illumina il paesaggio sottostante.
La giovane prosegue il lavoro facendo qualche schizzo che vada a
ritrarre le mucche: alcune stanno pascolando, altre sono accovacciate
per terra, altre ancora muggiscono, ma tutte, appena si muovono, fanno
ondeggiare il campanaccio che hanno al collo, provocando un concerto
troppo intenso e rumoroso per le sue orecchie non abituate.
Ci sono un paio di donne intente a rivoltare le balle di fieno e anche
quelle finiscono per essere ritratte.
Sebbene non sia troppo vicina al gruppo, la forestiera distingue il
sudore e la fatica imperlare le fronti dei braccianti.
Hanno dedicato, e
continuano a farlo, le loro esistenze alla campagna e agli animali,
riflette la ragazza, mentre
vengono ripagati dall’immensa stanchezza che li accompagna
ogni giorno, con il caldo torrido dell’estate e il freddo
pungente dell’inverno. Non sanno che
cos’è il divertimento spensierato, il fare tardi
la sera e l’alzarsi oziosi il mattino successivo. A loro
basta questo, perché è la loro vita.
Perché questa è stata, è e
sarà la loro scelta.
Riguarda gli schizzi a carboncino: è abbastanza soddisfatta,
crede che così possa bastare. Li infila nella tracolla
arancione insieme al resto, poi si alza e si avvicina
all’uomo più anziano del gruppo, quello a cui ha
rivolto la parola poco prima:
-Mi scusi, io avrei finito. Spero che gli scatti che ho fatto saranno
di vostro gradimento. Grazie ancora e buon lavoro-
-Tutto qua? Credevamo ci sarebbe voluto l’intera mattinata.
Non penso di essere molto adatto come modello, ma siamo curiosi di
vedere cosa ha combinato … -
-Non svilupperò le foto prima di un paio di giorni e poi le
porterò al Comitato feste perché le scelgano ...-
-Allora speriamo che facciano una bella scelta, arrivederci-
Lei sorride e se ne và con il suo bottino nella borsa, prima
che a qualcuno venga in menta di trattenerla con altre domande.
NOTA DELL'AUTRICE:
Grazie a tutti quelli che sono arrivati fino in fondo e a chi, spero,
vorrà lasciare un breve o lungo commento che sia!
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, le seguite o le
ricordate!
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento e mi scuso se ho
pubblicato in maniera così ravvicinata, ma prima di una
decina di giorni non potrò farlo, quindi non volevo
lasciarvi ...a bocca asciutta!
A presto!
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Capitolo 8 *** I carri e le galline ***
I carri
e le galline
Ormai
sono quasi le undici: il sole è il padrone indiscusso del
cielo, limpido e di un azzurro intenso.
Né
una foglia né uno stelo si muovono, sotto quella calura
estiva, l'unica che sembra non esserne toccata è l'acqua del
riale,
così invitantemente fresca e dall'andamento ciclico, persino
monotono.
Aveva
ragione Eraclito, "tutto
scorre", e come
quel liquido limpido, nulla ritorna nella sua condizione
originaria, ogni cosa muta, attimo dopo attimo, incessantemente.
Aurora,
dopo essersi assicurata che Macchia fosse ancora nel giardino dove lo
aveva lasciato cinque ore prima, sta andando a casa di Linda per sapere
se suo zio ha accettato di farle vedere il carro.
Si
accorge che in quella parte del paese, a ridosso della via principale,
non c’è abitazione, negozio o insegna che non sia
decorata con i festoni blu, verdi e marroni, gli stessi colori
che campeggiano anche nello stemma del paese, a rappresentare
rispettivamente il cielo e il lago, la vegetazione e le montagne.
Pendono
ordinati sulle ringhiere dei balconi e lungo le imposte, rendendo
l’intera strada un tripudio carnevalesco.
Da
lei, su alla villa, l’unica casa è la sua, ed
essendo arrivata da poco, forestiera com’è, non
conosce ancora la tradizione di rivestire con quelle decorazioni le
abitazioni del paese durante i giorni precedenti la festa di fine
luglio.
La
sua passeggiata termina in pochi minuti, ritrovandosi davanti alla
villetta della bottegaia, facendole abbandonare quelle riflessioni.
La
ragazza bussa alla porta senza metterci troppa forza, mentre osserva
incuriosita le finestre della casa, perfettamente addobbate.
Pochi
istanti dopo, le viene ad aprire un uomo alto, dai capelli sale e pepe
e gli occhi grigioverdi: vuoi
vedere che Linda è stata così premurosa da farlo
venire qui, credendo che magari potessi perdermi per il paese? pensa
Aurora, sicura di aver riconosciuto la persona di fronte a lei.
-Buongiorno,
si ricorda di me? Sono la nuova inquilina della casa rossa,
è venuto a ripararmi l’impianto
d’illuminazione pochi giorni fa … -
-Veramente
io non l’ho mai vista, ma ho capito chi è. Si sta
confondendo con mio fratello gemello, è lui
l’esperto in manutenzione!-
La
forestiera sorride imbarazzata: ma certo, quei due uomini si
assomigliano in modo incredibile e lei ha semplicemente fatto un
po’ di confusione.
Mentalmente
si dà della sciocca, poi ad alta voce cerca di darsi un
certo tono:
-Oh
mi scusi, allora lei è il padre di Linda … -
-Sì,
sono io. Ha bisogno di qualcosa?- continua l'uomo, invitandola, con un
gesto della mano, ad entrare.
-No,
grazie, non sono venuta a disturbare. Sua figlia ieri mi ha detto che
mi avrebbe fatto parlare con lo zio per mostrarmi il carro del vostro
rione. Non so se ne ha sentito parlare, ma il Comitato feste mi ha
incaricato di … -
-Sì,
so già tutto- la blocca con un sorriso e un'alzata di
spalle -mia moglie mi ha informato almeno una decina di
volte!-
Aurora
lo fissa imbarazzata per qualche secondo, distogliendo poi l'attenzione
e posandola sul gatto arancione che sta uscendo dalla porta d'entrata,
Blasco, se si ricorda bene il nome del felino che le ha confessato
Linda, appena il giorno prima.
-Comunque,
la casa di mio fratello è molto semplice da raggiungere.
Prosegua per la strada principale: alla fine, sulla destra,
troverà una casetta bianca con le persiane verdi,
è l’unica di quel colore nelle vicinanze!-
-Grazie-
risponde la ragazza, smettendo di adocchiare gli eleganti movimenti di
stiracchiamento del gatto
-è
stato molto gentile e mi scusi ancora per l’inconveniente ...
-
-Non
si preoccupi, quando eravamo piccoli anche nostra madre si confondeva!
A presto e buon lavoro-
Dieci
minuti più tardi, Aurora è al cancello
dell’abitazione indicatale dal padre di Linda.
Sta
per suonare il campanello, quando vede un uomo tagliare il prato in
giardino, così agita una mano per attirare la sua attenzione:
-Scusi!
Mi sente?!-
Dopo
tre o quattro volte di quel richiamo apparentemente muto,
l’uomo si gira, le fa un cenno di saluto, spegne il tosaerba
e si avvicina al cancello di assi in legno, dipinte di verde.
-Buongiorno!
Funziona adesso la luce, su alla casa rossa?-
-Funziona
tutto alla perfezione, grazie-
La
forestiera ricambia la cordiale e vigorosa stretta di mano dell'uomo in
tenuta da lavoro, davanti a lei, il sorriso sincero ad incurvargli le
labbra.
-Bene,
mi fa piacere. E’ venuta qui per vedere il carro, vero? Mia
nipote ieri sera mi ha telefonato e mi ha spiegato tutto.
Prego, la faccio entrare-
Lo
zio di Linda apre il cancelletto: la forestiera si ritrova a percorrere
un viottolo di terra protetto da entrambi i lati da due file di
ciottoli ornamentali e cespugli di agrifoglio, il profumo di erba
appena tagliata le stuzzica piacevolmente le narici.
-Vuole
bere qualcosa? Le posso offrire dell'acqua o una limonata?-
-No,
non grazie, sono a posto così- risponde Aurora, le mani a
rovistare nella tracolla arancione, alla ricerca del suo quaderno dei
disegni, della matita e del carboncino.
-Se
cambia idea, non faccia complimenti, la prego-
La
ragazza assicura con un gesto della mano che va tutto bene.
-Allora
mi segua, da questa parte, le mostro il carro!-
I
due si avviano sul retro della casa, dove è stato coltivato
un piccolo orto da cui spuntano tra l’altro zucchine, cespi
di lattuga e file di piantine di pomodori ciliegino.
L’uomo
tira fuori dalla tasca dei pantaloni un mazzo di chiavi, ne sceglie una
particolarmente tozza e arrugginita, e con quella apre la rimessa, la
porta in legno che cigola rumorosamente.
-Ecco
qua! Lo abbiamo finito appena due giorni fa. E’ tradizione
che i carri non vengano mostrati prima della sfilata, quindi la prego
solo di non fotografarlo per intero, altrimenti non sarebbe
più una sorpresa per il resto del paese-
-Sì,
lo so, non si preoccupi, mi limiterò a fare qualche scatto-
Aurora
si avvicina all’oggetto che poi andrà a
rappresentare il rione: accarezza con dita insicure la base
rettangolare di legno chiaro, sovrastata da manichini di cartapesta che
ritraggono contadini dal volto triste. Alcune donne, le mani congiunte,
reggono una candela ciascuna, anche i loro visi sono affranti e molto
realistici. Poco più in là, nella parte anteriore
del carro, la scena è più festosa, ci sono tre
bambini in cerchio, hanno il volto che guarda
all’insù, sembra che ridano, e danzano
tenendosi per mano:
-Sa
già il perché della festa?-
Lei
si ridesta da quell’ipnotico spettacolo: l’uomo, le
braccia conserte, abbozza un sorriso nella sua direzione, indicando poi
il capolavoro davanti a loro.
-S-ì,
sì, me lo hanno spiegato alla riunione del Comitato, l'altra
sera ...-
-Meglio
così, non ci sarà bisogno che le dica nulla,
allora!-
-Infatti.
E’ molto bello, lo ha decorato da solo?- continua la ragazza,
additando il lavoro.
-No,
sarebbe impossibile: è un lavoro immane, che richiede tanto
tempo e dedizione! La persona che il Comitato sceglie per realizzare il
carro può, anzi deve, essere affiancato da altri! Ogni anno
viene cambiata, a turno; lei, in questo caso io, dirige i lavori,
sceglie il soggetto, si preoccupa di reperire il materiale, ma se ha
bisogno di aiuto, chiunque del suo stesso rione lo può
aiutare: carpentieri, falegnami, fabbri, gente che sa maneggiare gli
attrezzi per intenderci, ma anche persone con un po’ di
volontà e di testa-
-In
che senso?- prosegue interessata Aurora, mentre continua ad osservare
la scena che le si staglia davanti.
-Beh,
è vero che ci vuole grande manualità, come le ho
detto, però è importante il buon senso nel
scegliere, nel preparare e fare le cose. E’ un po’
come la realizzazione di una ricetta elaborata: il cuoco è
il punto fermo, la certezza attorno al quale si muovono i suoi
assistenti.
Tutti
devono darsi da fare ma allo stesso tempo non devono prevaricare
l’uno sull’altro. Si può riassumere come
un lavoro di squadra, se preferisce … -
-Non
sempre è facile, vero? – la forestiera continua il
suo giro di perlustrazione, un’occhiata al trattore da cui
spicca l’opera appena conclusa, un’altra
all’uomo di fronte.
-Infatti
non lo è. Ci vuole coordinazione e un pizzico di modestia.
Anche se, molto spesso, le discussioni sono all'ordine del giorno!-
-E
per quanto riguarda i soggetti dei carri? Cambiano ogni anno?-
-Non
proprio, in realtà finiscono per ripetersi a distanza di due
o tre edizioni: c’è la botte di vino a
simboleggiare i festeggiamenti, il paese in miniatura, la processione,
il campanile con la base sommersa dall’acqua, i contadini
disperati. Io, ad esempio, quest'anno ho voluto rappresentare
l’ultima scena che le ho appena detto, uomini e donne che
piangono perché credono di aver perso il raccolto, ma subito
dopo ci sono i bambini che ridono per il miracolo che si dice abbia
salvato il nostro paese dalla carestia: ho cercato di fondere la
felicità con la tristezza, ma sarete poi voi spettatori a
giudicare!- spiega l'uomo, avvicinandosi alla sua opera, e mostrando ad
Aurora i dettagli della realizzazione.
-Da
profana in materia, direi che c’è riuscito molto
bene …- conferma la ragazza che, voltandosi nuovamente verso
l’uomo, continua:
-Mi
piacerebbe fotografare i volti dei suoi manichini, se non le dispiace-
-Certamente-
-Senta,
un’ultima cosa, crede che se mi presentassi dagli incaricati
degli altri rioni, mi farebbero vedere le loro opere? Il sindaco
l’altro giorno ha detto che li avrebbe contattati, ma poi non
mi ha più fatto sapere nulla-
-Come
non lo è stato per me, credo non sarà un problema
nemmeno per loro! L’importante è che non vada a
dire in giro i carri che ha già visto e che si limiti a
fotografare qualche particolare qua e là, come sta facendo
adesso-
-Va
bene. Mi può dare lei i nomi degli altri rappresentanti?-
-Non
si preoccupi, faccia le sue foto e poi le spiego tutto-
All’ora
di pranzo, la forestiera ha concluso il suo giro: è
riuscita a fotografare quello che le interessava ed è
abbastanza sicura di aver fatto un buon lavoro.
La
parte della mostra che riguarda la tradizione si può dire
conclusa, adesso le rimane da ritrarre i preparativi veri e propri
della festa.
Per
questo però ha bisogno di mettersi d’accordo con i
membri del Comitato, così decide di telefonare alla
bottegaia, la signora Liliana.
-Pronto?-
-Linda?
Ciao, sono io-
-Ciao,
come è andata? Papà mi ha detto che sei passata:
mi dispiace che non ci siamo incontrate, ma ero a casa di una mia amica
… -
-Non
preoccuparti, è stata una giornata meravigliosa: ho fatto
tante fotografie e disegni! Quando andrò in città
a svilupparle, se vuoi puoi accompagnarmi, che ne dici?-
-Quindi
li posso vedere in anteprima?!-
-Se
vuoi domani puoi venire da me, così le vediamo insieme sul
mio computer … -
-E’
una bellissima idea! Questa volta però ti porto io qualcosa:
preparerò un dolce con le mie mani!-
-Brava,
affare fatto! Allora ti aspetto domani. Ascolta, ora però ho
bisogno di parlare con tua madre, è in casa?-
-Sì,
te la passo subito … ci vediamo presto, ciao!-
La
ragazza rimane in attesa per qualche secondo, poi la voce familiare
della donna la saluta:
-Pronto,
Aurora, come va?-
-Buongiorno,
molto bene. Questa mattina sono andata in giro per i rioni a vedere i
carri: sono tutti magnifici, hanno fatto un bellissimo lavoro!-
-La
sento entusiasta, è un ottimo segno! Ogni anno non rimaniamo
mai delusi, quindi le credo ciecamente. Mi dica, ha bisogno di
qualcosa?-
-Sì,
l’ho chiamata perché devo chiederle un favore:
vorrei cominciare a fotografare la preparazione della festa, se non mi
sbrigo temo di non fare in tempo, solo che non so da che parte posso
iniziare. Lei ha qualche idea?-
-Per
questo deve chiedere ad Adele, è lei che si occupa degli
annessi e connessi, del dietro le quinte, per intenderci!-
-Adele
è la donna dai capelli ricci che ho incontrato alla riunione
in parrocchia?-
-Sì,
proprio lei-
-E
mi sa anche dire dove abita?-
-Ha
presente la casa blu a due piani un paio di porte oltre la bottega?
Ecco lei abita lì-
-Va
bene, credo di esserci passata qualche giorno fa. Andrò a
trovarla oggi pomeriggio. Grazie per la sua disponibilità-
-Si
figuri, arrivederci –
Il
pomeriggio, Aurora esce dalla villa per andare da Adele: quando arriva
davanti all’abitazione, trova il cancelletto in ferro battuto
aperto.
Si
guarda intorno, ma non vede citofoni per avvertire la donna della sua
presenza.
Così,
cautamente, attraversa il viottolo che divide il giardino, dove in una
mezza dozzina di aiuole egregiamente curate, margherite e tulipani
ondeggiano al ritmo della leggera brezza pomeridiana.
All’improvviso
sente uno schiamazzare soffuso e poco convinto, come di qualcuno che si
diverta a riprodurre il verso dei qualche volatile. Sembrano
… galline!
La
forestiera si gira versa la sorgente di quel rumore, mentre una scossa
le attraversa il cuore: cinque ovaiole, di cui due cocincine, una
meticcia bianca e altre due livornesi fulve, chiocciano ora
più forte e cominciano a muoversi come in una danza rituale,
il collo allungato avanti e indietro, sempre più vicine a
lei.
Presa
dal panico, Aurora comincia ad avvicinarsi il più
fulmineamente possibile alla solida porta d’entrata, distante
solo un paio di metri eppure così incredibilmente
irraggiungibile.
-C’è
qualcuno? Per favore, mi apra!-
Le
bestie
assassine si
avvicinano compatte tra di loro come per consultarsi, poi si disperdono
nel retro del cortile, dispiegando le ali che, così facendo,
perdono qualche piuma, non più attratte da quella forestiera
visitatrice.
Lei
bussa di nuovo, nel caso in cui la sette delle streghe sotto le mentite
spoglie di quelle cinque galline, ricompaia per impadronirsi della
straniera.
Finalmente
il rumore della serratura la distoglie da quei terrificanti pensieri e,
girandosi verso la porta, si ritrova il viso sorridente della donna dai
capelli ricci e scuri che ha incontrato alla riunione del Comitato
feste, appena due giorni prima:
-Buon
pomeriggio… scusi il disturbo, ma ho bisogno di parlarle-
La
signora Adele l’accoglie con un cordiale sorriso: le mani al
vento per lasciare asciugare lo smalto, lo scamiciato a righe verdi e
blu, e poi la voce acuta che la invita ad entrare.
La
casa è ben curata, l’arredamento è
essenziale: il salottino dove si accomodano ha le pareti color pesca e
i mobili in rovere, mentre da un’ampia vetrata entra la luce
calda del sole.
Un
largo tappeto color zafferano divide i due divani cremisi posti
l’uno di fronte all’altro.
-Allora,
cosa l’ha spinta a venire a trovarmi? A proposito vuole del
caffè, del tè freddo, succo di frutta, un
analcolico …?- domanda la donna, soffiando sulle unghie.
-No,
grazie, un bicchiere d’acqua andrà benissimo- si
riprende la ragazza.
-D’accordo.
Torno subito-
Ciabattando
fino alla cucina, pochi attimi dopo, la donna ricompare con una caraffa
di acqua dentro cui galleggiano un paio di cubetti di ghiaccio, mentre
nell’altra mano tiene pericolosamente in bilico due bicchieri
di vetro colorato, dimenticandosi dello smalto appena steso:
-Ecco
qua, si serva pure. Dicevamo?-
La
forestiera beve qualche sorso, poi, con il tono un po’
titubante, comincia a spiegare:
-Vede,
ho bisogno di fare qualche foto per la mostra. La signora Liliana mi ha
detto che è lei ad occuparsi della preparazione della festa,
per questo mi sono permessa di disturbarla … -
-Per
così poco, mia cara! In effetti è la seconda
volta che il Comitato mi ha delegato per questo compito delicato:
l’anno scorso, infatti, mi sono messa in aspettativa dal
lavoro, e in questo modo ho più tempo per dedicarmi alle
cose, diciamo così, futili. Sa già in cosa posso
esserle utile?
-Avrei
pensato alle torte e ai fiori per il concorso … -
-Le
torte le consegnano il giorno prima dell’inizio della festa,
quindi per il momento non se ne può fare nulla- spiega
desolata -per i balconi però sì! Se
vuole possiamo andare insieme dalle comari che partecipano alla gara,
non sono tante, sempre le solite otto dell’anno scorso, a dir
la verità. Sono sicura che potranno farle vedere i vasi con
i fiori: le assicuro che sono delle autentiche opere d’arte!-
-Va
bene, la trovo un’ottima idea. Quando è disposta
ad accompagnarmi?-
-Anche
subito, se non ha impegni. Si sarà accorta che al pomeriggio
il paese è praticamente deserto, chi non è al
lavoro è a casa a riposare. Non ci vorrà molto,
promesso!-
-Se
è così, sono disponibilissima. Ah,
un’altra cosa: con le fotografie che farò oggi
pomeriggio, avrei concluso la preparazione della mostra,
così pensavo di andare in città per svilupparle,
ma sono talmente tante che non so da dove cominciare. Magari voi del
Comitato potete darmi una mano a sceglierle ... -
-Direi
che per prima cosa dovrebbe farle vedere al sindaco: dal momento che
è lei il rappresentante più in vista del nostro
Comitato, credo le farebbe piacere vedere in anteprima gli scatti. Poi,
per la scelta, se è d’accordo, penso che potremmo
affidarle completamente il compito: sarà ancora
più bello vedere le fotografie il giorno della mostra!-
Un
risolino un po’ isterico le piega gli angoli della bocca.
-A
me … ?- domanda la forestiera, dopo aver bevuto un altro
sorso d’acqua: la gola le sta diventando secca, un prurito le
pizzica la lingua, mentre i palmi delle mani cominciano a bagnarsi di
insensata paura.
-Vede
forse qualcun altro, oltre a noi, in questa stanza? Mi scusi un attimo
… -
La
donna si alza dal divano, si dirige verso il piano della credenza posta
sulla parete dietro al sofà e, con voce serafica, domanda:
-Biscotti?-
Quello
che avrebbe dovuto essere un sopralluogo piuttosto veloce, si rivela
invece un lungo peregrinare per le case del paese.
Le
comari hanno la lingua assai sciolta e cominciano a raccontare alla
forestiera episodi della loro vita: le offrono torte, caramelle,
cioccolatini, bibite e tutte sono ovviamente orgogliosissime dei loro
balconi fioriti.
Ora
ha davvero così tanto materiale da poter allestire anche due
mostre fotografiche.
Ritorna
alla casa rossa affaticata e sonnolente: al posto dello stomaco le
sembra di avere un macigno, tanto ha spiluccato di qua e di
là, senza tenere conto poi dei bicchieri di limonata e di
tè freddo che l’hanno obbligata a bere.
Trova
Macchia in un angolo del giardino: sta rincorrendo le farfalle,
s’infila nel cespuglio lì vicino, per poi uscirne
pochi attimi dopo senza troppo entusiasmo.
Con
un balzo scansa i vasi di fiori sul davanzale e balza a terra,
attutendo dolcemente la caduta grazie ai cuscinetti incorporati sotto
le zampe.
Si
guarda attorno: nessuna preda da cacciare, solo folti fili
d’erba e fiori più o meno alla sua altezza.
Aurora
lo chiama, lui scodinzola come un cagnolino e in due rapide mosse la
raggiunge.
-Vedo
che ti stai ambientando anche tu!- lo prende in braccio, accarezzandolo
dietro le orecchie, mentre il felino comincia a ricambiarla
con calde fusa.
-Vieni,
entriamo in casa-
Il
gatto si dirige in cucina verso la sua ciotola di croccantini e
comincia a sgranocchiarli.
Lei
invece si siede su una sedia: apre la tracolla arancione e tira fuori
la Kodak insieme agli schizzi a carboncino.
Toglie
il corpi obbiettivo: schiaccia il pulsante con l’icona della
macchina fotografica, in modo che le immagini comincino a scorrere
davanti ai suoi occhi stanchi.
Ha
fatto più di cento foto: senza farlo apposta,
metà sono state scattate durante il lavoro dei campi,
l’altra metà ritrae i particolari dei carri e le
composizioni di fiori.
Alcune
sono venute veramente bene, tanto da sperare che non tocchi a lei
scegliere, perché proprio non saprebbe quale scartare.
Appoggia
sul tavolo la Kodak, per passare ad esaminare i disegni: in tutto sono
una decina, li ha tracciati velocemente e, tenendo conto della
grandezza piuttosto scarsa dei fogli, ne accortaccia un paio,
perché teme che si vedano troppo i particolari imperfetti di
quegli schizzi che non sono riusciti come avrebbe voluto.
Ormai
è quasi sera, domani passerà in comune dal
sindaco per farle vedere il lavoro che ha fatto e, con il suo
benestare, andrà in città per sviluppare gli
scatti.
Il
telefono squilla: è la prima volta da quando è
arrivata due settimane prima che qualcuno la cerca in quel modo.
Il
trillo acuto e improvviso fa quasi sobbalzare Macchia, che smette di
gustarsi i suoi croccantini.
Guarda
interrogativo la forestiera, che si alza dalla sedia e si dirige verso
il corridoio per rispondere:
-Pronto?-
la sua voce risulta un po’ insicura, forse
hanno sbagliato, pensa,
ma non è così:
-Ciao,
sono Linda- quel saluto flebile e quasi accennato le fa dubitare di
aver sentito bene.
-Linda?!
Ma perché parli così? Cosa ti è
successo?-
-Ho
la febbre, quasi 39-
-Mi
dispiace, com’è possibile? Fino a ieri stavi bene-
-Lo
so, forse l’ho presa oggi quando sono andata in piscina:
entravo e uscivo dall’acqua con il vento che mi soffiava alle
spalle … - le spiega desolata, sospirando forte nella
cornetta.
-Volevo
farti vedere le foto. Domani nel pomeriggio, se al sindaco piaceranno,
pensavo di andare a svilupparle e, già che eri qui per la
merenda, volevo portarti con me. Però, se non stai bene,
come rimaniamo d’accordo?-
-Infatti
ti ho chiamato proprio per questo. Non credo di riuscire a venire
… -
-Facciamo
così, dopo che le ho sviluppate vengo a fartele vedere
ugualmente. Però non dire a nessuno che le hai viste,
è un segreto-
-Grazie,
non vedo l’ora! Allora ci vediamo domani- si assicura
sollevata la ragazzina -vieni quando vuoi, tanto io sono a
casa, purtroppo-
-Va
bene. Guarisci presto, buonanotte!-
-Anche
a te, ciao-
In
parte affranta per la notizia della mancata visita di Linda, Aurora
rientra in cucina e rimette in ordine gli schizzi di carboncino
sparpagliati a ventaglio sul tavolo: li ritira insieme alla Kodak nella
tracolla arancione, poi si affaccia alla finestra.
L’orologio
del campanile ha appena battuto le otto e mezzo: è una
bellissima serata, in cielo non ci sono molte stelle, ma
quell’oscurità che avvolge ogni cosa e non le
permette di vedere oltre la distesa del lago in lontananza,
inspiegabilmente la rassicura, trasmettendole un senso di pace e di
tranquillità.
Le
sembra il mare capovolto, quel tappeto azzurro sopra di lei,
irraggiungibile eppure così vicino, proprio come quando
– da piccola- insieme alla sorella Silvia, si divertiva ad
immaginare forme reali e irreali, solamente unendo quei puntini
luminosi.
Chissà
se anche Mattia sta guardando il cielo, chissà cosa sta
facendo, se mi sta pensando. Sono sparita così in
fretta, che forse mi ha già dimenticata ...
E’
stata una giornata lunga e impegnativa, ma anche estremamente proficua
e particolare: le emozioni che ha vissuto -prima con i contadini e poi
con i carri- è da tempo che non le risultavano
più famigliari.
Credo
che andrò a dormire ... si
consola, stiracchiando le braccia indolenzite.
Ora,
dopo quella giornata insolita, si sente pervasa da un nuovo vigore e da
una tranquillità che anelava di trovare durante il suo
soggiorno alla casa rossa e che, a metà percorso,
è già riuscita a conseguire.
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Capitolo 9 *** Il mostro della pioggia ***
IL MOSTRO
DELLA PIOGGIA
LUNEDI’
24 LUGLIO
La
mattina successiva, i rintocchi indistinguibili delle campane in
lontananza, Aurora è svegliata dal rumore della pioggia che
batte sulla finestra.
La
camera è scura, le tende sono tirate e le imposte ancora
chiuse.
Sposta
malamente il leggero lenzuolo di un azzurro sbiadito che l’ha
ricoperta durante la notte, troppo pigra per alzarsi e recuperare un
golf o una maglia, dal momento che di coperte non ne ha portate e
neppure si è accorta della loro presenza, forse dimenticate
in qualche angolo della villa.
L’acqua
che scorre, monotona e sfacciata lungo i vetri, le fa percepire una
strana sensazione di intimità.
Dormirò
fino a quando non mi sveglierò da sola, fino a quando le
membra saranno talmente intorpidite e la mente annoiata dalla vista in
penombra della stanza, che mi alzerò e andrò a
prepararmi una tazza di cioccolata fumante, magari con una spruzzata di
panna. Poi tornerò a rintanarmi nel letto, Macchia
accoccolato al mio fianco e … non posso!
All’improvviso,
infatti, ad Aurora ritorna in mente l’impegno che
l’avrebbe tenuta occupata per l’intera mattinata:
così, si alza in fretta, con il pensiero di essere
in ritardo per andare dal sindaco a mostrarle gli scatti che ha fatto
il giorno prima.
Scende
le scale velocemente e, in fondo ad esse, trova Macchia che le viene
incontro, strusciandosi tra le sue gambe.
-Ciao,
piccolo, ora ti do da mangiare- lo saluta la ragazza, il pigiama ancora
addosso, una T- shirt grigia e i pantaloncini blu.
Poi,
proprio come la sera precedente, lo squillo del telefono, un
apparecchio assai antiquato, posizionato su un tavolino circolare
all’imbocco del salotto, interrompe quella
tranquillità quotidiana.
-Pronto?-
esordisce la forestiera.
-Buongiorno,
spero di non averla disturbata- la voce del sindaco risuona cordiale
come le altre volte, ma adesso sembra più affrettata, quasi
sbrigativa.
-No,
non si preoccupi. Mi stavo giusto preparando per venire da lei. Volevo
portarle i disegni e farle vedere le foto che ho scattato
ieri… -
-E’
proprio per questo che l’ho chiamata. Adele mi ha accennato
che oggi sarebbe venuta a portarmi il lavoro, però mi deve
scusare, perché non possiamo vederci.
C’è stata una frana nel paese vicino al nostro,
che rischia di scendere ancora più a valle. I Vigili del
fuoco hanno indetto una riunione con tutti i sindaci della zona tra
meno di un’ora, in città, in Prefettura. Quindi mi
dispiace, ma non la posso ricevere. Se la situazione si
risolverà, possiamo fare oggi pomeriggio ... mi
scusi un attimo, avanti!-
-D’
accordo, non si preoccupi … -
-Entra Fabrizio, siediti. Perdoni
l’interruzione … dicevamo? Ah sì,
senta, facciamo così: le do carta bianca, scelga le
fotografie, i disegni, tutto quello che vuole ... ormai posso dire di
fidarmi di lei e credo che potrò farlo anche per il lavoro
della mostra. Certo,
capisco, ora la devo proprio lasciare, arrivederci e mi
scusi ancora- taglia corto la prima cittadina, il respiro quasi
affannato e un rumore di carta che scorre sulle dita.
-Si
figuri, mi rendo conto che … pronto?!-
Ma
il sindaco ha già riattaccato, senza darle il tempo di
replicare o di farle percepire la sua vicinanza per quella notizia per
nulla positiva.
Bene, pensa la
ragazza, guardandosi intorno, avrò
più tempo per fare colazione.
La
casa rossa è avvolta da una leggera foschia: la pioggia
continua a cadere in piccole gocce fitte e pesanti, ingrossando il
letto del riale, di solito così rachitico d’acqua.
Aurora
esce sul balconcino della camera da letto e osserva il paesaggio
desolante tutto intorno: le montagne più alte quasi non si
riescono a vedere, tanto sono avvolte da quella spumosa e inconsistente
bruma estiva; il viale di terra battuta che porta fuori dalla villa
gronda acqua e già lei s’immagina a come avrebbe
fatto ad attraversarlo senza inzupparsi come un pesce nel mare, dovrò comprare degli
stivali di gomma quando andrò in città,
sentenzia.
D’improvviso,
il suo sguardo viene attratto da una figura incappucciata, avvolta in
un impermeabile blu notte, che quasi si confonde con il turbinio delle
gocce di pioggia.
Nella
mano destra, in barba al vento che sta cominciando a soffiare, la
sagoma cerca di reggere un ombrello di un colore indefinito, mentre con
l’altra trascina a fatica un trolley bordeaux scuro,
zigzagando con le ruote per non bagnarle troppo nelle pozzanghere
grandi e deformi.
Chissà cosa ci fa in
giro con questo tempo, pensa la forestiera, sembra un turista che si
è perso, ma non ci sono alberghi in
paese.
Dopo
una marcia faticosa e anche un po’ buffa per schivare il
più possibile le pozze d’acqua, la misteriosa
forma umana si ferma di fronte al cancello in ferro battuto della
villa: appoggia sulla spalla il manico dell’ombrello,
tenendolo goffamente in equilibrio, depone in un punto poco allagato il
trolley e, con la mano sinistra ora libera, armeggia nella tasca
dell’impermeabile, tirando fuori un mazzo di chiavi.
Cosa pensa di fare? si
domanda già allarmata Aurora, non vorrà mica
cercare di entrare in casa mia?!
Finalmente,
dopo un paio di tentativi andati a vuoto, l’incappucciato
riesce ad aprire il cancello: rimette nella tasca dell'impermeabile le
chiavi, riprende saldamente l’ombrello e, con la sua valigia,
si sta avviando verso il vialetto della casa rossa, quando la voce
della forestiera lo ferma bruscamente:
-Ehi,
lei, chi è? Perché sta entrando in casa mia?-
sporgendosi dal balconcino, la ragazza si ripara la testa con il golf
rosso, mezzo zuppo di quella pioggia troppo forte.
-Mi
scusi … ? Non la sento bene! E’ la proprietaria
dell’albergo?!-
Dal
timbro sembra che sia un uomo a parlare, dall’età
indefinita ma sicuramente giovane.
-Non
è un albergo! E’ casa mia! Ha sentito adesso?! Se
ne vada immediatamente o dovrò chiamare la polizia!-
-Le
ho detto che non la sento! Aspetti che entro!-
Lei
si precipita giù dalla scalinata, apre gli infissi e poi le
imposte della trifora vicino all’ingresso, proprio nello
stesso momento in cui lo sconosciuto usurpatore della sua
tranquillità suona il campanello.
-Ha
capito quello che le ho detto poco fa? Se ne vada immediatamente!-
Adesso
che sono così vicini, Aurora si rende conto che, il nuovo
arrivato, oltre ad essere un uomo, deve avere all’incirca
trent’anni: il ragazzo si gira verso la finestra, la barba
perfettamente curata e gli occhi acquosi ma vivici, sorride
imbarazzato, due fossette ai lati della bocca sottile ma ben disegnata:
-Perché
me ne dovrei andare? Ho pagato per trascorrere qui le mie vacanze ed
è quello che ho intenzione di fare! Lei, piuttosto, tratta
così tutti i suoi ospiti o si riserva di essere gentile solo
per i più fortunati che arrivano con questo bel tempo
estivo?!-
La
forestiera impallidisce per qualche secondo: pagato? A chi? Non di certo a me!
Riflette sconcertata, poi, ad alta voce, leggermente inviperita,
prosegue:
-Mi
sta forse scambiando per una albergatrice?! Mi dispiace se
l’hanno fatta venire qui per niente e con questo bel tempo, come lo
ha definito lei, ma ha fatto un viaggio a vuoto! Le ripeto per
l’ennesima volta che questa casa è mia, quindi la
invito gentilmente ad andarsene o a trovare un altro posto in cui
trascorrere le sue vacanze!-
-Ma
lei non può cacciarmi dopo tutta la strada che ho fatto!
Dalla stazione del paese a qui ci ho impiegato quasi mezz’ora
per cercare di non bagnarmi da capo a piedi! E poi come lo ho detto, ho
pagato la quota di soggiorno all’agenzia di viaggi, e ormai
ho le chiavi! Dove vorrebbe che andassi così conciato?-
Stai calma, si
ripete, è
tutto un enorme e stupido equivoco. Ora troveremo una soluzione e io
potrò rimanere di nuovo da sola.
-Senta,
veramente, mi dispiace, ma io ho prenotato questa casa per un mese, ed
è molto probabile che rimarrò ancora
più a lungo, rispetto al tempo pattuito. Quindi, per il suo
bene, le consiglio di alloggiare in uno degli alberghi che ci sono in
città: dista solo quattro chilometri ed è un
posto veramente grazioso, glielo assicuro, ci sono appena stata due
giorni fa ... -
Aurora
continua a mantenere a debita distanza il misterioso venuto, tra loro
due i vetri opachi dalle gocce di pioggia.
-Ma
io non voglio andarmene in città! Vengo qui proprio per
starmene lontano dalla sua infernale realtà, e lei
mi vorrebbe ricacciare indietro?! Non mi muoverò di qui e,
se non crede alle mie parole, può anche chiamare
l’agenzia lei stessa: le confermeranno la mia prenotazione!-
E chi ce l’ha il
numero? Si domanda desolata, perché non
avrebbe immaginato di doverselo portare dietro, così prende
tempo, la voce nervosa:
-Va
bene, certo che telefonerò! Lei intanto …
sì, insomma, mi dia il numero ... per favore!-
L’uomo
le detta le dieci cifre e lei, cellulare alla mano, fa per allontanarsi
quando il poveretto, zuppo e indignato, l’apostrofa:
-Ha
intenzione di lasciarmi fuori o, almeno, mentre telefona, mi permette
di entrare?!-
La
ragazza ripercorre quei tre o quattro passi che l’hanno
allontanata dalla finestra, il cellulare alla mano e, guardandolo prima
e sospirando dopo, si dirige alla vicina porta d’ingresso: la
apre con riluttanza e, sentendosi sconfitta come una giocatrice di
pallavolo della squadra perdente, non le rimane altro che far entrare
il vincitore, rinunciando all’ambito premio.
-Venga,
mi aspetti qui, io torno subito-
Nessun
equivoco, la donna dell’agenzia di viaggi conferma che la
casa rossa, essendo così grande, può essere
affittata anche da più persone contemporaneamente: a nulla
valgono le rimostranze, i ma e i però, le quasi minacce che
la forestiera elargisce generosamente alla malcapitata,
quest’ultima irremovibile a difendere a spada tratta il
giovane avventuriero appena arrivato.
Così,
affranta e allibita, non le resta altro che ritornare
dall’uomo a testa bassa, la valigia da un lato,
l’impermeabile che gronda acqua sospeso su un braccio:
-Ha
vinto lei. Può rimanere. Dovremo mettere in chiaro alcune
cose, se non le dispiace. Per prima cosa, mi sta allagando
l’ingresso … - continua stizzita Aurora,
guardandolo dall'alto verso il basso.
-Me
ne sto accorgendo anch’io, ma se non mi lascia subito
cambiare, lo trasformerò in una piscina ... -
Il
giovane la guarda con un sorriso sornione e, aggrottando le
sopracciglia, indica il soprabito.
-Prima
vorrei dirle qualcosa … - fa finta di nulla la ragazza, non
degnandolo di uno sguardo, ma concentrandosi sulla pozza
d’acqua tra di loro.
-Tutto
quello che vuole, basta che prima mi faccia fare un bagno: sa, non
vorrei beccarmi una polmonite, dal momento che sono in vacanza la mia
intenzione è quella di rilassarmi e non di passare le mie
giornate a letto-
Lei
annuisce gravemente, lanciandogli un’occhiata di traverso:
-Sì,
certo, le mostro il bagno: ce ne sono tre, a parte quello che ho
già occupato con la mia roba, può scegliere uno
degli altri due-
-Non
ho molte pretese-
-Bene,
allora mi segua-
-Comunque,
per la cronaca, mi chiamo Tommaso -
-Piacere,
io sono Aurora-
E
così, dopo le presentazioni di rito, si avviano su per le
scale, una scia di acqua lasciata sui gradini dal forestiero.
Lo
sconosciuto ridiscende in soggiorno dopo quasi tre quarti
d’ora, vestito con una semplice tuta blu, su cui si apre una
T-shirt grigio perla, che mette in risalto i pettorali ben disegnati,
ma non fanaticamente scolpiti da ore di insensata palestra.
La
ragazza, invece, è seduta su uno dei divani a fiori sbaditi,
intenta a sorseggiare una tazza di cioccolata con panna, ormai l'unico
ricordo tangibile della sua idea di trascorrere l'intera giornata a
poltrire nel letto, da sola ed in santa pace.
-Scusi
se l’ho fatta attendere, ma ne ho approfittato per stendere i
vestiti: sono talmente zuppi che prima di lavarli li devo fare
asciugare!-
Aurora
si gira verso l’uomo che le dà le spalle:
è alto, i capelli castani molto corti e una lieve
abbronzatura gli colora il viso e le braccia lasciate nude dalle
maniche corte, ora ben visibili, dopo che si è tolto la
parte superiore della tuta e averla appoggiata su una delle sei sedie,
attorno al lungo tavolo di mogano scuro.
-E
dove li avrebbe stesi?- domanda lei con una punta di sarcasmo,
lanciandogli l' ennesima occhiata di sottecchi.
-In
quella che ha tutta l’aria di essere una lavanderia, proprio
nella stanza di fianco al bagno che mi ha gentilmente
assegnato-
Il
sorriso di lei, tirato e per nulla espressivo, non avvilisce quello di
lui che, invece, ribatte prontamente:
-A
proposito, quali sono le cose che vuole mettere in chiaro?-
La
forestiera appoggia la tazza di cioccolata sul tavolino davanti, si
gira completamente verso il giovane, la gamba destra ripiegata sotto la
sinistra sul divano:
-Giusto:
allora, come prima cosa sarà meglio dividerci le stanze. In
secondo luogo dovremo separare i compiti: spesa, inconvenienti vari
… -
-Ovvero?-
la interrompe lui in modo serio, le braccia conserte.
-Beh,
così, su due piedi, non saprei … ah no, aspetti!
Il giorno dopo che sono arrivata è saltata la luce: se
dovesse capitare una cosa del genere, è bene che
s’individuino le responsabilità e,
nell’eventualità che la colpa sia di entrambi,
dividerci le spese. Ehm … dove ero rimasta?-
Aurora
non è mai stata così pragmatica come in quella
situazione capitatale fra capo e collo: si riscopre piena di
iniziativa, ironica ed incredibilmente aggressiva.
-Agli
inconvenienti vari … - le suggerisce Tommaso, non riuscendo
a trattenere l'ennesimo sorriso che ha tutta l'aria di un'amichevole
presa in giro.
-Ah
sì, giusto. Anzi, io per farla breve, direi che è
meglio se ognuno conduca la propria vacanza come meglio crede: tutto
separato, intendo dire, lei si cucina, pulisce le sue stanze e, se si
rompe qualcosa di suo, lo farà aggiustare. Cosa ne pensa?-
-In
realtà mi sembra un tantino esagerato. Se ho ben capito,
intende dire che dovremo fare dei turni per mangiare, lavare e perfino
per passeggiare in casa, giusto?-
Presa
un po’ in contropiede, alla forestiera sembra una grande
sciocchezza quello che ha appena proposto: forse sto enfatizzando un
po’ la situazione, riflette, così
cerca di cambiare argomento, la voce colorata da una nota
malcelatamente isterica:
-Non
le ho chiesto quanto tempo si fermerà … -
-Sedici
giorni a partire da oggi-
-Ah
... cioè, volevo dire, una lunga convivenza la nostra. Forse
rivedrei l’ultima parte del programma, quella sui turni,
intendo dire ... - azzarda Aurora, sistemandosi imbarazzata una ciocca
di capelli caduta sulla fronte.
-Sì,
forse è meglio. Diciamo che se capiterà di fare
qualcosa insieme, come condividere la cucina, il soggiorno o la
biblioteca, faremo in modo di non darci fastidio!-
-Sì,
ma, lei come fa a sapere che c’è una biblioteca?!-
-L’ho
vista mentre scendevo, così come ho incontrato il gatto, che
presumo sia suo. E’ molto affettuoso-
Questo è davvero
troppo! riflette la ragazza e, sistemandosi con la
maggiore naturalezza possibile sul divano, prosegue ad alta voce:
-
Cos’è, mi vuole corrompere anche il gatto, oltre
alla tizia dell'agenzia?!-
-Ma
per favore, cosa va a pensare?! Semplicemente mi avrà preso
in simpatia, oppure avrà sentito l’odore del mio
cane, Argo-
-Che
fantasia che ha … - lo sbeffeggia la forestiera, facendo un
gesto di sufficienza con la mano destra, come a sottolineare
l'ovvietà della scelta del nome del quattrozampe.
-Mi
piace essere una persona acculturata e aperta nei confronti del mondo,
tutto qui. Il suo gatto invece come si chiama?-
-Macchia-
taglia corto lei, sempre non fissando Tommaso negli occhi, ma
preferendo convogliare tutta la sua attenzione su un soprammobile poco
distante, una vecchia lampada a petrolio ormai inutilizzabile.
-Anche
lei, quanto a fantasia, non scherza … -
-Sarà
meglio cambiare discorso- si schiarisce la voce Aurora, sempre
più nervosa -adesso posso mostrarle le sue stanze?!-
-Prima
potrei avere una tazza di quello che sta bevendo lei? Sa, ho una certa
sete ... -
-E’
cioccolata, cosa pensa che sia?!- lo redarguisce la forestiera,
cercando di nascondere goffamente la tazza sul pavimento, in
prossimità dell'angolo del divano.
-Io
non penso proprio un bel niente! Comunque, ottima scelta! Per caso
c’è anche un po’ di panna?-
-Sì,
per caso c’è anche la panna- e,
rassegnata, si alza dal divano, raccogliendo la piccola scodella, la
bevanda quasi finita.
Un
volta in cucina, Tommaso si guarda intorno e domanda:
-Visto
che la nostra convivenza è appena cominciata,
sarà bene che impari a muovermi in questa casa,
così da darle il minor fastidio possibile-
-Ha
ragione … questa è la cucina- il gesto sarcastico
della mano è come un invito ad esplorare
l’ambiente, in modo infantile e superficiale.
-Lo
vedo da me che cos’è- sbuffa il ragazzo,
avvicinandosi sempre di più ad Aurora -ma io intendevo dire
dove posso trovare le cose: vettovaglie come posate, piatti, tazze
… -
-Lei
affitta una casa, oltretutto già occupata e, per quindici
giorni, … - comincia ad esaltarsi la forestiera,
mantenendo per l'ennesima volta le distanze dall'uomo.
-Sedici
per l’esattezza-
-Beh
quelli che sono … e non si porta nulla?!-
-Ho
portato il minimo indispensabile. Non potevo certo traslocare
l’intero arredamento di casa mia! Non le pare?-
-Io
ho fatto proprio così, invece-
Un punto a mio favore! esulta
puerilmente Aurora.
-Sì,
ma lei si ferma qui per un mese, giusto?
-Vedo
che ha una buona memoria … -
-E
in più è una donna. Scommetto che la
metà delle sue valigie contiene trucchi, abiti
all’ultima moda, tacchi a spillo, cose completamente inutili
in un posto del genere … -
-Per
chi mi ha presa?!- il respiro si fa più corto, il volto
quasi paonazzo: che
persona maleducata e incredibilmente insopportabile!
-Io
sono venuta qui per rilassarmi, per stare in pace, non certo per fare
vita mondana! Non ho portato nulla di quello che ha detto, e la smetta
subito di offendermi, altrimenti dovrò cacciarla via, lo
giuro!-
-Va
bene, va bene, non c’è bisogno di scaldarsi in
questo modo! Forse sta girando un po’ troppo attorno
all’argomento, non le pare? Questa conversazione è
nata perché io volevo gentilmente
sapere dove posso procurarmi ciò di cui ho bisogno
per la mia convivenza di questi giorni ma, a quanto pare, lei non
sembra molto propensa a farmi partecipe dei suoi segreti-
-La
smetta di fare lo sbruffone! Per prima cosa, si sieda, così
le rovescio la cioccolata e, mentre la beve, ne approfitterò
per mostrarle come orientarsi in cucina e usare i miei piatti-
-Se
preferisce posso sempre andare in città a comprarmeli.
Almeno i soldi li ho portati- conclude con un sorrisino sardonico il
nuovo arrivato, facendo il gesto di tirare fuori il portafogli da una
tasca dei pantaloni.
-Beh,
per il momento glieli offrirò gentilmente io, poi
vedremo-
Aurora
cerca di trattenersi dal rispondere a tono all'ennesima battuta, a suo
dire, di infimo livello: si avvicina al fornello su cui ha appoggiato
il pentolino con la cioccolata ormai fredda.
-Dovrò
riscaldarla- constata, sbuffando.
-Non
ho fretta-
-Intanto
le do la tazza e il cucchiaino, ma non si abitui troppo a
questi ... vizi-
-E
la panna, non se la dimentichi- la canzona lui.
La
forestiera scuote la testa, poi si avvicina alla credenza di legno
chiaro, di fianco alla grande porta finestra che dà sul
giardino.
-Qui,
nel cassetto, può trovare le posate e i tovaglioli di carta-
comincia ad enumerare la ragazza, con aria da maestrina
petulante -mentre nell’anta di destra i piatti, le
tazze e i bicchieri. Nell’altra, invece, ci sono le pentole.
E’ tutto chiaro fino a qui?-
-Sì,
signora, è tutto chiaro!-
-Uffa
... e per finire, in quell'angolo c’è il
frigorifero, quel parallelepipedo bianco sporco ... -
-So
come è fatto un frigorifero ... - la guarda storto Tommaso,
giochicchiando con il cucchiaino in acciaio.
-Uhm,
era per fare un po’ di conversazione, non se la prenda! Bene,
per questa stanza direi che può bastare. Dopo la merenda, le
mostrerò anche le altre stanze-
-D’accordo,
grazie. E’ stata veramente
gentile-
Aurora
fa finta di non aver sentito quell'insulto velato, accingendosi a
riscaldare la cioccolata:
-Adesso
che sa dov’è la panna, se la può
prendere da solo: ah, ovviamente è nel frigo ... -
L’uomo
si alza, tira fuori la confezione con la fredda crema bianca e ritorna
a sedersi composto al tavolo:
-Lo
sa che il cacao venne scoperto dai Maya?-
-Credo
che lo sappiano tutti, ormai. Non mi sembra che sia una
novità- lei gira la cioccolata con il mestolo di legno,
liquidando la risposta con un'alzata di spalle.
-E
sa anche che furono gli Aztechi a migliorarne il gusto? La bevanda,
infatti, aveva un sapore molto diverso da quello che conosciamo noi,
più amaro, tanto che per berla aggiungevano vaniglia,
cannella e acqua?-
-Beh,
sì, più o meno-
La
forestiera spegne il fornello con gesto quasi stizzito e, prendendo il
pentolino per il manico, rovescia la calda crema nera nella tazza di
fronte a Tommaso.
-Grazie!-
-E
che altro sa del cioccolato?-
L’uomo
aggiunge un paio di cucchiaini di panna, mescola il tutto con cura, per
poi comincia a soffiare sul liquido denso:
-Ad
esempio, che la pianta di cacao cresce esclusivamente nella cosiddetta
cintura del cacao, ovvero nei Paesi tropicali quali Africa Equatoriale,
Sud America e Sud est asiatico, questo perché ha bisogno di
molto calore e umidità, ma è anche una pianta
estremamente fragile e non sopporta la luce diretta del sole. La cosa
più curiosa, però, è che si fa
“desiderare” … -
Una
breve pausa ad effetto, come il più esperto e navigato dei
cantastorie.
-In
che senso?-
-Ci
vogliono circa dieci anni perché dia i suoi primi frutti,
affascinante, no?-
-Così
tanto?!-
-Già,
così tanto. I frutti vengono raccolti in inverno e in
estate, però devono essere gialli o arancioni, altrimenti
vuol dire che non sono ancora maturi. Il cacao è un dono
della natura veramente eccezionale, eppure ne esistono solo tre
varietà: il criollo,
che è la più pregiata e rara, dal gusto molto
aromatico; il forastero,
un po’ più acido, è quella maggiormente
utilizzata e, infine, il trinitario,
che non è altro che l’ibrido tra le due
varietà. Uhm, comunque questa cioccolata non è
male-
Aurora
si è seduta sulla sedia a fianco del nuovo arrivato,
affascinata da quella storia dalle origini così antiche e
lontane, il pentolino abbandonato sul tavolo.
-Lei
per caso è come la protagonista di Chocolate?-
Tommaso
scuote la testa ridendo:
-No,
niente di simile! Sono semplicemente un appassionato. Il mio compagno
ha un negozio di pasticceria e m’insegna qualche trucco del
mestiere, anche se lui sostiene che mettere la panna nella cioccolata
è come mangiare il pane con la frutta, uno copre il sapore
dell’altro, impedendo di gustare appieno i
due cibi-
-Il
suo compagno … ?-
-Sì,
c’è chi ha una donna e chi un uomo. Spero per lei
che non sia rimasta scandalizzata ... –
-Oh,
beh, certo che no. E lei, invece, che lavoro fa?- si stropiccia le
maniche del golf rosso, lo stesso colore di cui si è soffuso
il suo viso, maglioncino che ha asciugato dalla pioggia con il phon,.
-Sono
un vigile del fuoco-
-E’
una persona intrepida, allora. Dev’essere un lavoro molto
impegnativo e di grande responsabilità-
-Lo
è infatti, ma dà anche enormi
soddisfazioni! Ne sono molto orgoglioso e non lo cambierei
per nessun’altro al mondo. Domiamo le fiamme, doniamo i
cuori. E’ il nostro motto-
-E’
… poetico- farfuglia la forestiera – e in quale
città donerebbe i cuori?-
-In
Liguria, a ***. Faccio parte del nucleo sommozzatori-
-Veramente?
Io adoro l’acqua, ho praticato piscina a livello agonistico
per otto anni-
-E
cosa ci fa un’amante dell’acqua in un posto
così?-
-Questi
non sono affari suoi!- di nuovo le guance della ragazza si colorano
della stessa tinta del golf rosso.
-Va
bene, era solo una banale domanda per fare un po’ di
conversazione. Almeno si può sapere dove vive?-
-Sì,
questo sì. Abito a ***-
-Uhm,
molto caotico come posto. E io che mi lamentavo della mia
città … -
L’uomo
rimette il cucchiaino nella tazza e, alzandosi, si avvicina al
lavandino:
-Lei
invece che lavoro fa?- l’acqua scorre con un getto deciso e
si mescola ai rimasugli della cioccolata.
Il
suo cuore accelera i battiti, mentre rivoli di sudore freddo le bagnano
i polpastrelli:
-Mi
occupo di abbigliamento. Disegno abiti: vestiti, maglioni, pantaloni
… nell’ultimo periodo sono addetta anche alla
scelta dei tessuti- gli spiega, impensierita ed orgogliosa allo stesso
tempo.
-Bello
anche il suo di lavoro. Per una casa di alta moda?-
-N-no,
no, è un laboratorio artigianale di maglieria: è
abbastanza conosciuto, sebbene le nostre produzioni siano limitate e
oserei dire uniche. I clienti che ci frequentano sono affezionati da
generazioni e ... beh, non voglio annoiarla. Sono molto felice di
quello che faccio-
-L’importante
è questo, essere contenti e appagati di quello che si fa. A
proposito, cosa ne dice se ci diamo del tu?-
-Come
preferisce … quando finisci di lavare la tazza e il
cucchiaino, ti faccio vedere il resto della casa-
Aurora
si alza dalla sedia, più rincuorata rispetto a pochi minuti
prima, ma non ha ancora metabolizzato l’arrivo dello
straniero.
Un’espressione
di stupore appare sul volto della forestiera:
-Oh no,
mi hai fatto bruciare il tavolo!-
-Guarda
che il pentolino lo hai messo tu lì, non io!-
-Sì,
ma l’ho appoggiato perché hai cominciato a
parlarmi di cacao, cioccolata, panna, e io non ho capito più
niente … -
-Non
ti preoccupare, ho un metodo contro le bruciature: se andiamo in
città potremo comprare della pasta abrasiva. Mettendone un
po’ qui sopra e poi passando uno strofinaccio per levigarla,
sono convinto che non si vedrà più!-
Ora
che il temporale è passato, un vento tiepido accarezza le
foglie rigogliose della vite e del prugno, mescolandosi al tepore
rigenerante dei raggi solari.
Di
fronte alla casa rossa, spostata su un lato a un centinaio di metri di
distanza, si trova una vecchia abitazione costruita con pietre a vista,
che dà su un vicolo tortuoso di lastricato liscio e nuovo.
Sotto
le persiane color castagno sono stati posti chissà da chi,
due vasi di gerani rossi –due per parte- del genere parigino,
che danno vivacità e contrasto alla dimora, rendendola
simile a una di quelle tipiche baite di montagna.
Sul
muro a nord, che dà verso prati incolti, si arrampicano
intrecciandosi l’uno con l’altro, cascate di fiori
di plumbago, glicine e passiflora, alternati dai sottili rami di edera
a separare quel groviglio.
Durante
le sue passeggiate per le strade del paese, la forestiera ha notato
attaccata in modo sbilenco alla porta della casa, una targa recante la
scritta locanda, ma ha sempre visto chiuso, sebbene qualche anima
compassionevole continui a bagnare quei vasi di gerani, rigogliosi
nonostante l’abbandono.
Lo
sbuffare e i fischi del treno giungono forti benché la
stazione ferroviaria non sia così vicina alla villa
né tantomeno si riesca a vedere.
Lei
s’immagina la destinazione dei passeggeri: pendolari di
frontiera, turisti all’assalto di uno dei borghi della valle
per ammirarne le bellezze e i colori, ascoltando i rumori del paesaggio
e assaporando i gusti di una realtà fiabesca eppure
così vicina da tutelare.
Il
profumo di fieno stuzzica le sue narici che, non abituate a
quell’aroma penetrante, emettono un improvviso e stridulo
starnuto.
Il
vento la fa da padrone, s’insinua tra i suoi capelli sciolti,
così da far ricadere sulla fronte qualche ciocca
più sbarazzina di altre: Aurora si chiude velocemente il
golf, facendolo aderire al petto con le braccia conserte, come in
risposta a un inconsapevole e leggero brivido di freddo.
Poi,
quasi come un gesto meccanico, volge lo sguardo verso il lago in
lontananza, la superficie increspata dai giochi del vento, una distesa
irregolare di acqua scura per la pioggia caduta spessa e pesante, ora
rischiarata da qualche grappolo di luce solare.
Rincuorata
da quello spettacolo, rientra in camera da letto, chiudendosi alle
spalle la portafinestra per non fare entrare il vento, poi tira le
tende, ma non troppo, così che quell’esibizione
pura e gratuita della natura, possa continuare anche nelle stanze della
casa rossa.
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Capitolo 10 *** Il nuovo Esodo ***
IL NUOVO ESODO
La forestiera sta scendendo le scale con la sua solita borsa a tracolla
arancione: ha già le dita che premono sulla maniglia
dell’entrata, quando si accorge della presenza ingombrante
del nuovo arrivato, seduto sulla poltrona a fiori rossi, con il
computer portatile sulle gambe:
-Siamo sicuri che c’è connessione?- le chiede
Tommaso, con fare assorto, guardandola di sfuggita.
-Non lo so … non ho ancora acceso il mio, in questi giorni.
Comunque sto uscendo, ci vediamo più tardi- taglia corto
Aurora.
-Dove vai?- il ragazzo si sgranchisce il collo, posa il PC sul tavolino
di cristallo e le si avvicina.
-In città, a sviluppare delle foto. Vieni con me?-
Ancora prima di riflettere, quella semplice domanda le è
uscita dalla bocca come un'esigenza fondamentale: imbarazzata, abbassa
lo sguardo, sentendosi osservata dal sorriso di piacevole stupore stampato sul
volto abbronzato di Tommaso.
-Va bene, così prendiamo anche la pasta abrasiva! Di che foto
si tratta?-
-Tra quattro giorni ci sarà la festa del paese- comincia a spiegare Aurora, più rilassata -il Comitato
feste mi ha coinvolto nell’organizzazione dell'evento e io mi
sono offerta di dare un piccolo contributo-
-E si possono sapere i soggetti di questa tua collaborazione?-
Un sorriso sornione si dipinge sulle labbra di lei, che prontamente
risponde:
-Gli scatti e i disegni andranno a rappresentare una mostra fotografica
che s’intitola "Lavori di ieri e di oggi: il passato e il
presente fra tradizione e modernità". Ho cercato di fondere
le immagini che riguardano la preparazione della festa con la vita
contadina che caratterizza da sempre il paese. Oggi avrei dovuto
mostrare le foto al sindaco perché anche lei fa parte del
Comitato, ma non ho potuto incontrarla perché è
impegnata con una riunione in città di non so bene cosa ... -
-Io sono una frana nelle cose creative!- ribatte il ragazzo, tastandosi
una tasca dei pantaloni, alla ricerca del portafoglio -mi
piace molto l’arte, ma nel caso piuttosto remoto che debba
cominciare a fare qualcosa, è meglio che lasci perdere o che
inizi con giorni di anticipo!-
-A me è sempre piaciuto … ho frequentato
l’Accademia di Belle Arti e tutto quello che è
creativo, dalla pittura al disegno, dalla scultura al decoupage, mi
affascina e mi appassiona. Credo sia nella mia natura ... -
-Diciamo che, in un certo senso, siamo entrambi creativi, ognuno a
nostro modo, però. Allora, cosa aspettiamo? Vogliamo andare a
sviluppare queste famose foto o mi fai rimanere in casa tutto il
giorno?-
Aurora ricambia lo sguardo divertito e complice, poi, assicurandosi di
aver messo nella borsa un piccolo ombrello nell'eventualità
di nuova acqua piovana, asserisce:
-Con piacere!-
La giornata si è rimessa a posto: qualche strascico di
pioggia si può ancora notare sulle foglie bagnate degli
alberi e sui petali dei fiori, così come qualche screziatura
violacea a macchiare il cielo.
Tuttavia il sole affiora perentorio dalle soffici e bianche nuvole,
cominciando a riscaldare nuovamente l’ambiente sottostante.
-Grazie per la bella gita in città. Avevi ragione,
è un posto speciale-
-Te l’avevo detto!-
I due forestieri sono rientrati alla casa rossa dopo essere andati dal
fotografo dove, nero su bianco, lei ha potuto constatare la
qualità e la bellezza degli scatti fatti due giorni prima.
Seduti sui gradoni di pietra, stanno sfogliando quella carta lucida, un
pezzo alla volta, mentre Aurora s'improvvisa commentatrice esperta e
autocritica.
-Sono veramente soddisfatta: sento di aver fatto un buon lavoro, anche
se forse avrei potuto fare meglio ... -
-Oserei dire ottimo, davvero! Non c’è una sola
fotografia o un solo disegno che non sia degno di essere messo in
mostra. Hai un grande talento ... -
-Dopo il modo in cui ti ho trattato prima- ribatte la ragazza,
scuotendo leggermente la testa e guardando verso il sentiero di terra
battuta, ormai quasi sgombro di acqua -dovresti essere
scontroso e antipatico proprio come lo sono stata con te, invece mi
stai riempiendo di complimenti!-
-E’ la verità: potrò avere mille
difetti, ma di certo, quando c’è da ammettere
qualcosa, lo dico senza riserve, anche se dovesse andare contro il mio
stesso interesse!-
Rimangono per una manciata di secondi in silenzio, senza sapere bene
come togliersi da quella situazione fatta di discorsi sinceri e
lusinghieri, fino a quando il campanile in lontananza batte dodici
rintocchi.
-Cosa ne dici se per sdebitarmi ti offro il pranzo?- propone Aurora,
ritornando a guardare verso Tommaso.
-Va bene. Dove mi porti di bello? Nel ristorante più chic
del paese?-
-Purtroppo temo ti dovrai accontentare della mia, anzi, della nostra
cucina! Ti avviso che per quanto mi piaccia cucinare, non sono
bravissima, però dicono che me la cavo!-
-Chi è che lo dice? La tua famiglia o il tuo ragazzo?-
Aurora s’irrigidisce di colpo: un leggero brivido le percorre
la schiena e le scuote le spalle, facendole provare la solita nauseante
sensazione di quando ripensa a quella notte, mitigata dal dolce ricordo
di Mattia, lontano chilometri da lei e dalla vita che stavano iniziando
a costruire insieme.
-N-o, in realtà è qualche collega che viene a
cena da me che si azzarda a dire così. Anzi, devo ammettere
che la maggior parte dei miei pranzi e delle cene le passo fuori casa:
ho dei turni abbastanza pesanti così, quando mi viene in
mente qualche nuovo modello, rimango in ufficio fino a tardi per
disegnare una prima bozza, altrimenti rischio di farmi passare
l’ispirazione-
-Quindi, oltre essere un’ottima fotografa, sei anche
un'instancabile stacanovista!-
Un insicuro sorriso piega le labbra di lei.
A un segnale di Aurora, che si alza e si abbottona il golf color
lillà che ha cambiato con quello rosso zuppo di pioggia,
entrano in casa, dirigendosi in cucina.
-Mettiamoci al lavoro, allora! In cosa posso esserti utile? Se ci sono
gli ingredienti giusti, potrei cucinarti una torta salata: in quelle
nessuno mi batte, sono il re delle torte salate, cara mia!-
-Mi dispiace, ma non credo di avere granché in frigo-
risponde la ragazza, dirigendosi verso l'angolo in cui è
posizionato il grande parallelepipedo.
-Non ho rotoli di pasta sfoglia- prosegue, aprendolo -e
ultimamente sono stata talmente assorbita dalla realizzazione della
mostra, che ho fatto ben poca spesa-
-Ho capito, vorrà dire che più tardi
andrò a fare rifornimenti. Che cosa avevi in mente di
preparare?-
-Beh, tu sarai bravo nelle torte salate, ma io sono piuttosto afferrata
nei primi piatti: che ne dici di una pasta all'Aurora ?-
-Uhm, ovvero … ?-
Tommaso si avvicina alla forestiera, ora intenta ad aprire i cassetti
della credenza, alla ricerca di un grembiule da indossare.
Poi, una volta trovato, si concentra sulle ante del mobile, dove
agguanta prontamente tutti gli ingredienti che le servono, elencandoli
e mostrandoli a Tommaso:
-Sugo di pomodoro, una manciata di noci e nocciole, qualche acciuga, un
paio di mazzetti di basilico che ho comprato surgelato e infine frulli tutto!
Ti assicuro che è una vera bontà, e te lo dice
una a cui le acciughe e le nocciole non sono mai piaciute!-
-Va bene, mi fido delle tue doti culinarie! Dove prendo il sale e
l'olio?-
-Guarda un po’ nella credenza, in basso a sinistra. Ah, e
ricordati della cipolla per il soffritto e di un pizzico di zucchero da
mettere nel sugo!-
Aurora sta aprendo la bottiglia con la salsa di pomodoro, per
rovesciarla nel pentolino, quando squilla il telefono.
-Qui non ci sono!- la voce di Tommaso giunge attutita dalla cucina,
mentre lei, le mani asciugate sul grembiule, si accinge ad andare in
soggiorno a rispondere:
-Aspetta che arrivo! Pronto … ?-
-Sono il sindaco- ribatte la voce preoccupata all'altro capo della
cornetta -mi scusi ancora se la disturbo. Ho urgente bisogno
di parlarle-
-Non si preoccupi, stavo preparando il pranzo … mi dica,
c’è qualche problema per quanto riguarda la
mostra?-
-No, non è per questo. A proposito, già che siamo
in tema, è andata a sviluppare le foto?-
-Sì, sono tornata poco fa. Sono circa una cinquantina,
più otto schizzi a carboncino. Le altre cinquanta erano
più che altro ripetizioni e … -
-Va bene, va bene- la interrompe la donna, sbuffando, mentre in
sottofondo la ragazza riconosce il rumore dei tasti di un
computer -oggi pomeriggio mi può raggiunge nella
chiesa di sant’Abbondio per vederle? Ho già fatto
portare i cavalletti di legno per sistemarle e qualche composizione
floreale per abbellire il tutto-
-Sì, come vuole lei. Per che ora devo passare?-
-Alle quattro andrà benissimo. Ora mi ascolti: si ricorda
che prima, quando le ho telefonato, le ho detto che non avremo potuto
vederci perché stavo andando in Prefettura per una riunione
con i Vigili del fuoco …?-
-Sì, me lo ricordo … -
-Ecco, adesso l’ho contattata perché è
sorto un problema, un problema molto grave, che solo lei può
aiutarci a risolvere-
-Io? Che cosa posso fare?-
-La frana che è precipitata nel paese dietro il nostro ha
bloccato la strada che conduce alla città, isolando gli
abitanti del paese qui vicino. Gli uomini della Protezione civile,
insieme ai Vigili del fuoco, temono che la frana possa raggiungere la
parte bassa del nostro abitato, così hanno ordinato lo
sgombero parziale della zona interessata-
-Mi dispiace molto, ma non capisco come possa aiutarvi … -
prosegue Aurora, lanciando un'occhiata preoccupata in direzione della
cucina, da dove non avverte provenire più alcun suono.
-Non si possono allestire tende da campo perché la frana
è ancora pericolante e potrebbe cadere da un momento
all’altro: inoltre, il maltempo di qualche ora fa, non ha
certo aiutato gli uomini della Protezione civile e i Vigili del fuoco a
rimuoverla, cosa che sperano di fare al massimo entro domani.
Perciò, le chiedo con tutto il cuore, se almeno per questa
notte può ospitare una dozzina di concittadini nella casa
rossa … -
-Ma … veramente non credo sia possibile. Questa mattina,
dopo che ci siamo sentite, mi è letteralmente piombato in
casa un turista a cui l’agenzia di viaggio ha affittato la
casa … -
-Ah, è già arrivato?- per un momento il sindaco
sembra aver ripreso il solito tono spensierato
-l’agenzia mi ha mandato un fax ieri pomeriggio, ma con tutta
questa confusione a causa della frana, prima mi sono completamente
dimenticata di parlargliene. E’ un uomo o una donna?-
-Un uomo- taglia corto la ragazza, deglutendo preoccupata.
-E si sta già ambientando?-
-Sì, direi proprio di sì-
-Molto bene, mi fa piacere. Se riuscirò a tirare il fiato
per dieci minuti, magari passo a conoscerlo. Ritornando al discorso
della frana, mi auguro che questa situazione non le dispiaccia-
-Non vorrei risultare egoista ma, ad essere sincera, l’unica
cosa che mi infastidisce è il fatto che, in teoria, io abbia
affittato questa casa solo per me, invece mi ritrovo improvvisamente
con un coinquilino e adesso con la richiesta che mi ha appena fatto lei
... -
-La capisco perfettamente, anch’io non sarei entusiasta,
tuttavia confido che comprenda la situazione d’emergenza in
cui ci troviamo: per consolarla, le posso dire che l’ultima
frana è caduta cento anni fa, con nessun danno di grave
entità. Come le ho già detto, gli uomini della
Protezione civile e i Vigili del fuoco mi hanno assicurato che entro
domani sera, tempo permettendo, ritornerà tutto a posto. La
prego, si tratta solo di una notte, la sua abitazione è il
posto più sicuro per i nostri concittadini-
Aurora riflette per un paio di secondi, combattuta tra accettare quella
richiesta di aiuto oppure dire un no fermo e categorico, facendo magari
anche una mezza scenata.
Poi, come spinta da una forza misteriosa, con
un’impercettibile tono di voce, sentenzia la salvezza:
-Va bene, li faccia venire. Ma l’avviso che dovranno
stringersi, due camere sono già occupate da me e
dal nuovo coinquilino, così rimangono altre quattro stanze
da letto e un solo bagno, se non si conta la lavanderia, ovviamente-
-Di questo non deve preoccuparsi, quelle che verranno sono tutte
famiglie, anzi, alcune le conosce già, che possono benissimo
dormire assieme, per questa notte: si tratta della signora Liliana, con
la figlia e il marito, poi c’è la signora Lina e
la signora Roberta del Comitato, assieme al marito e ai due figli.
Gli altri sono due coppie anziane che non le daranno alcun fastidio,
glielo assicuro. Quindi, facendo un rapido calcolo, rimarrebbe una
famiglia o una persona scoperta … -
-S-sì, cioè, non sono riuscita a starle dietro,
ma mi pare di sì. Se le quattro stanze le diamo alle
famiglie, la signora Lina dove può dormire?-
-Non lo so, una soluzione sono sicura che … sì,
arrivo!!! Mi scusi, ma devo proprio andare. Allora, grazie ancora per
quello che farà, avviserò gli sfollati che
potranno venire da lei dopo pranzo, mentre noi ci vediamo alle quattro
nella chiesetta sconsacrata, va bene?-
-Se non si può fare altrimenti … -
Ma il sindaco, come per la loro prima telefonata, ha già
riattaccato.
-Che chiacchierata lunga! Chi era, un tuo spasimante?-
Tommaso, intento a rimescolare il sugo di pomodoro - ecco
svelato il motivo di tutto quel silenzio- si rivolge con un sorriso ad
Aurora che, invece, tornata in cucina, ha un viso tutt’altro che cordiale:
-Non so se sia tu a portarmi sfortuna, facendo cominciare questa catena
di tragici eventi con la tua improvvisa presenza, oppure se
è proprio la mia buona stella che da qualche tempo a questa
parte ha deciso di abbandonarmi ... -
La forestiera si siede sulla sedia dietro di lui, le braccia sconsolate
sulle ginocchia, la schiena leggermente incurvata.
-Perché dici così? Mi sembrava che avessimo
trovato un compromesso per la nostra convivenza. Chi era al telefono?
Hai cambiato completamente espressione da quando sei tornata
… -
Il ragazzo abbandona il suo compito di rimescolamento, per avvicinarsi
ad Aurora.
-Ti comunico che almeno per oggi non saremo soli. Dopo pranzo, non so
esattamente quando, arriverà una dozzina di persone a farci
compagnia-
-E chi sono?! Anche loro hanno affittato la casa a tua insaputa?-
-Non è affatto divertente, anche se quasi lo avrei
preferito- lo guarda decisamente storto lei.
-Sono alcuni abitanti del paese le cui case sono a rischio di crollare
a causa di una frana che è caduta nel paese dietro il
nostro. I Vigili del fuoco e la Protezione civile stanno cercando di
levarla, ma il sindaco –era lei prima al telefono - mi ha
detto che il maltempo di questa notte ha rallentato i lavori di
rimozione, così fino a domani non riusciranno a procedere-
L’uomo ritorna al pentolino con il sugo e, dopo aver spento
il fornello, si siede nuovamente vicino alla forestiera:
-Forse potrei aiutarli, dopotutto sono un collega- riflette Tommaso,
facendo spallucce e sospirando.
-Oh sì, ti prego! Magari puoi essere utile, così
questa storia finirà prima … alle quattro
dovrò andare in chiesa per allestire la mostra e ci
sarà anche il sindaco, se vuoi posso chiederle se hanno
bisogno di una mano … -
Gli occhi verdi di Aurora si illuminano per un istante, speranzosi come
la sua proprietaria.
-Va bene. Anzi, magari ti accompagno, che ne dici?-
-E qui chi ci resta con i nuovi arrivati?- prosegue lei, sistemandosi
meglio sulla sedia e continuando a stropicciarsi le mani.
-Non ti preoccupare, vedrai che non saccheggeranno nulla!-
Un insicuro sorriso si delinea sul volto della ragazza:
-Anche perché non c’è molto da
saccheggiare … l’unico problema è che
non so dove far dormire una di loro. E’ una vecchietta con un
certo caratterino! Ho paura non le andrà bene niente-
-Non ci sono abbastanza camere da letto?-
Lei scuote la testa, pronta a spiegare la situazione con chiarezza e la
voce da comandante militare:
-Due le stiamo occupando noi, nelle altre quattro si sistemeranno le
famiglie, mentre la signora Lina, che è appunto da sola,
rimarrebbe senza stanza-
-Se vuoi posso cederle la mia. Dopotutto, hai detto che si tratta solo
di un giorno. Io potrei dormire sul divano … -
-Per te non sarà un problema?-
-No, non preoccuparti. Devo ancora disfare le valigie. E poi
è meglio che ci dorma io sul divano, piuttosto che
un’anziana signora con magari qualche acciacco. Lascia che mi
rovini un po’ la schiena … !-
-Che stupido che sei … è solo che mi dispiace che
sia successa tutta questa confusione. Fino a poche ore fa ero
così contenta, pensavo solo a come realizzare al meglio la
mostra, e adesso … -
Tommaso le accarezza dolcemente il braccio e pone la sua mano su quella
di lei che, nel frattempo, ha smesso di sostenere lo sguardo del
ragazzo:
-Non preoccuparti, vedrai che si rimetterà a posto ogni
cosa, anzi, la tua mostra sarà un autentico successo!-
-Grazie, sei molto gentile a consolarmi- ribatte Aurora, la voce roca e
preoccupata -quasi vorrei non essere mai venuta qui, ma aver
scelto un altro posto dove stare da sola … oddio,
sola ormai non lo sono più-
-Che brontolona che sei! Forza, ora finiamo di cucinare, altrimenti,
quando arriverà tutta quella gente, noi staremo ancora
mangiando!-
Il giovane si alza e, con un gesto di incitamento della mano destra,
invita anche lei a seguirlo:
-Ancora una cosa: mi dispiace darti l’ennesima delusione del
giorno, ma le nocciole per fare la tua super pasta non ci sono
… -
-Ecco, te l’ho detto che la mia buona stella mi ha
abbandonata!- sancisce la forestiera, aprendo le braccia in un gesto di
sconsolata evidenza.
-Vorrà dire che faremo a meno delle nocciole-
Un’ora prima che la ragazza si preparasse ad andare
all’appuntamento con il sindaco, due colpi in successione del
battiporta risvegliano la sua agitazione.
Va ad aprire un po’ nervosa, si rimbocca le maniche della
maglia a righe blu e bianche e si sistema i capelli che ha raccolto in
una treccia sgangherata: come in una scena da film, l’Esodo
moderno invade il gradino d’entrata della casa rossa.
Gli uomini portano le valigie, le donne la loro borsetta: ma non si
devono fermare solo un giorno? Si domanda già allarmata.
La bottegaia, la signora Liliana, sembra capeggiare quel gruppo di
sfollati:
-Buonasera- esordisce con un sorriso incerto -ci scusi fin da
subito per l’intrusione. Il sindaco ci ha detto che
l’ha già avvertita del nostro arrivo. Le assicuro
che le daremo il minor fastidio possibile e, soprattutto, non faccia
caso alle valigie: le abbiamo portate per precauzione, non vorremmo
dover stare qui un giorno in più o, peggio ancora, perdere
qualche ricordo a causa di quella frana. E poi, dato che siamo un bel
po’, ho portato qualche pentola in più e dei
viveri-
-Non si preoccupi- la interrompe il più cordialmente
possibile Aurora, nervosa e preoccupata di arrivare in ritardo alla
chiesetta di sant'Abbondio -per un giorno ci aggiusteremo.
Cominciate ad entrare- conclude, mentre saluta accarezzando la guancia
di Linda, ancora febbricitante da quando l’ha sentita il
giorno avanti.
-Ciao, come stai? Hai visto che alla fine sei stata costretta a venire?-
La ragazzina sorride, gli occhi un po’ cerchiati e le guance
arrossate:
-Già, così potremo stare insieme. Ho portato
anche Blasco, adesso è in braccio al papà- le
spiega, indicando l'uomo con il gatto rosso sul petto, qualche passo
dietro a loro.
-Bene, così lo faremo conoscere a Macchia: sono sicura che
andranno d’accordo-
La sventurata processione di esuli entra raccolta e composta nella casa
rossa, salutando con estrema gentilezza quella che un tempo era
l’unica inquilina della villa.
Tommaso si avvicina al gruppo, rimanendo un po’ in disparte
vicino alla forestiera, che esordisce nel suo nuovo ruolo di salvatrice
della comunità:
-Benvenuti. Spero che il vostro soggiorno si rivelerà breve
ma positivo. Se volete seguirmi, vi mostrerò le vostre
camere, così potrete cominciare a sistemarvi. Purtroppo
c’è un solo bagno disponibile, oltre alla a quello
piccolo adiacente alla lavanderia. Gli altri due sono occupati da me e
dal nuovo inquilino … -
-Piacere, mi chiamo Tommaso – si presenta il ragazzo,
salutando gli altri ospiti con un veloce gesto della mano.
-Nel caso in cui ci sia necessità, non esitate a chiedere e
ad usufruire anche dei nostri. Bene, allora da questa parte, seguitemi-
La signora Lina, con il suo bagaglio in mano composto da una grossa
borsa apparentemente più pesante di lei, si avvicina ad
Aurora strascicando un po’ le scarpe, dicendole:
-Grazie per averci accolto, cara. Vorrei solo farle una dumanda:
vist’ che tuti i gan una famiglia, e mi sun la sula che
à l’aglo mia, indüa
l’è che a podi durmì?-
-Oh, il nuovo inquilino le ha gentilmente ceduto la sua camera-
Un sorriso degno della migliore pubblicità di dentifricio,
incornicia il volto raggrinzito della donnetta, che subito esclama:
-Ma che brav fiöl! Che generüs che
l’è! Indüa l’è, che
lo voli ringrazià?!-
Senza mai abbandonare il carico di guerra- la grossa borsa nera- la
signora Lina si avvicina a piccoli passi verso Tommaso, abbracciandolo
di slancio, per quanto sia possibile data la sua scarsa altezza:
-Grazie, grazie di cuore, lei è veramente un bravo ragazzo!
Il Cielo la ricompenserà!-
La forestiera e gli altri si mettono a ridere, mentre il povero
malcapitato arrossisce e, stritolato dalla presa mortale della mantide
religiosa, si rassegna a dare piccole pacche sulla schiena della
vecchietta, che sembra non avere alcuna intenzione di lasciarlo andare.
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Capitolo 11 *** Camomilla ***
Camomilla
L'antica chiesetta in stile
romanico di sant'Abbondio, sul retro il campanile della piazza ( foto a
destra)
La strada che conduce alla chiesa di sant’Abbondio si trova
dalla parte opposta rispetto alla zona soprannominata a rischio frane.
Un cartello plastificato di forma triangolare avvisa di non
oltrepassare l’area delimitata dal filo rosso, in quanto momentaneamente pericolosa
.
Il centro del paese sembra ancora più deserto rispetto agli
altri monotoni pomeriggi quotidiani, in cui ciascun abitante
è alle prese con le proprie occupazioni: il negozio della
bottegaia ha la saracinesca desolatamente abbassata, così
come quella della piccola edicola situata sullo stesso lato del
marciapiede, del chiosco di fiori e del bar all'altro capo della via e,
più in là, dove ha inizio il fiume, dell' ufficio
postale.
Dalla sua posizione, Aurora riesce a scorgere abbastanza bene quel
maestoso macigno sospeso lassù in alto, verso le
montagne, la sinistra causa di quell’improvviso
spopolamento e della fine della sua vita in quasi solitudine, proprio
allora che aveva trovato, con non poche riserve e titubanze, un
equilibrio nella relazione più che accettabile con Tommaso.
Persino il lembo di cielo sopra la vetta non promette nulla di buono,
è plumbeo e carico di pesanti banchi di nuvole e foschia.
La forestiera distoglie lo sguardo, un brivido a percorrerle la
schiena, per concentrarsi sul rettangolare orologio del campanile, poco
oltre la strada che sta attraversando: mancano un paio di minuti alle
quattro, così si affretta ad attraversare il violottolo che
conduce alla chiesa sconsacrata.
I battenti sono accostati ma, dopo la storia che la prima cittadina le
ha raccontato durante la loro inaugurale riunione per discutere della
mostra fotografica, ha paura ad entrare da sola, ad aprire quel portone
che la divide dal luogo che un tempo è stato scena
dell’orrore che lei stessa ha vissuto.
Si guarda intorno con una lieve nota di circospezione, arrendendosi
all'evidenza che lì intorno non ci sia né una
panchina o una sasso su cui sedersi, così aspetta in piedi
l’arrivo del sindaco, la schiena appoggiata a uno dei muri di
pietra.
I rintocchi del campanile la riportano alla realtà e,
proprio in quel momento, si accorge dell'ormai famigliare sagoma
dell’altra donna, sempre elegante nel suo tailleur questa
volta blu elettrico, ma con una ciocca ribelle che le scappa dalla
crocchia sapientemente pettinata, una borsetta poco più
grande di un portafoglio.
-Buonasera, mi scusi per il ritardo!- la saluta trafelata la prima
cittadina, mentre si guarda intorno per attraversare la strada.
-Non si preoccupi, sono arrivata da poco … - la
tranquillizza Aurora, stringendo la mano che la donna le porge.
-Meglio così: il telefono dell'ufficio continuava a
squillare, non sapevo più quale scusa usare per lasciare
tutto e venire da lei!-
La forestiera sorride di rimando, domandandole subito dopo se portasse
qualche novità.
-No, purtroppo. La situazione,
da quando ci siamo sentite questa mattina,
è rimasta invariata - il volto del sindaco si fa
improvvisamente serio, lo sguardo vacuo perso nelle preoccupazioni che
le affollano la mente e l’indice della mano sinistra
strofinato compulsivamente avanti e indietro sul labbro inferiore.
-Si sente bene?- la ragazza si avvicina di qualche passo alla prima
cittadina, la mano tesa a sfiorarle il braccio lasciato nudo dalla
giacca di satin a maniche corte.
-Come? Ah sì, certo, è tutto a posto: non faccia
caso al mio comportamento! Sono preoccupata e nervosa, ma sono certa
che presto ogni cosa si sistemerà!- le confida, avanzando di
qualche passo in direzione dell'antico portone di pietra.
-Bene, prima di entrare volevo sapere se i suoi ospiti sono
già arrivati … -
-S-ì, circa un’ora fa- spiega Aurora, grattandosi
distrattamente il sopracciglio destro, un gesto che è solita
fare quando è nervosa, poi prosegue:
-Li ho fatti accomodare nel salotto e ho mostrato loro le
camere dove sistemarsi ... non dovrebbero esserci problemi-
-Ha trovato una collocazione anche per la signora Lina?-
-Il nuovo inquilino le ha ceduto la sua stanza. A proposito,
arriverà a momenti ... - continua la forestiera, guardandosi
attorno in cerca di Tommaso, diventato quasi un rassicurante appiglio.
-Credo sia rimasto per completare il giro della casa ai suoi
concittadini: sa, io non ce l’ho fatta- continua, fissando
con finta noncuranza un punto in lontananza, per non dover reggere lo
sguardo del sindaco.
-Lo so che non è mia, ma in queste due settimane
è come se lo fosse stata e, adesso, vederla, mi passi il
termine, invasa
da tutta quella gente mi fa uno strano effetto-
La prima cittadina abbozza un sorriso triste e, ricambiando il gesto
che Aurora ha fatto pochi minuti prima con lei, le appoggia una mano
sul braccio sinistro, come per dimostrarle che capisce perfettamente il
suo stato d'animo.
-So cosa vuole dire e la ringrazio per quello che sta facendo, davvero.
Le prometto che la toglierò molto presto da questo disagio:
mi sono messa in contatto, proprio poco prima di raggiungerla, con il
Comandante dei Vigili del fuoco, il quale mi ha assicurato che stanno
approfittando del bel tempo per cercare di rimuovere fin da ora la
frana. Però, a
causa di tutta la pioggia che è caduta,
il terreno è fangoso, per questo devono muoversi con estrema
cautela ... -
-Certo, non si preoccupi- prosegue imbarazzata la ragazza -non
fraintenda le mie parole, è solo che mi sembrava corretto
farle sapere quanto la casa rossa sia importante per me. Confido nel
loro lavoro e nelle sue parole, sindaco-
-E’ quello che speriamo tutti. Purtroppo sfere di cristallo
ancora non ne abbiamo, dobbiamo solo sperare che presto ogni cosa si
aggiusti e che questa brutta storia rimanga un brutto ricordo del
passato!-
La forestiera annuisce, rincuorata dalle parole che le sono state
dette: si sente sgravata di un peso che non sapeva come fare a
togliersi dalla coscienza, seppure avesse temuto di ferire la donna, a
causa delle parole sincere che le ha confessato poco prima.
E' ben consapevole che non godono dell'aiuto di alcun oracolo,
così come sa che l'intera situazione risulta ancora
precaria, però vuole comunque avere fiducia e ottimismo
verso quella donna.
-Cosa facciamo?- la riporta alla realtà la prima cittadina,
togliendola ancora una volta dall'imbarazzo
-entriamo o vuole aspettare il suo coinquilino?-
-Oh, come vuole … -
-Allora cominciamo ad entrare, così mi dice se le piace come
ho allestito la scenografia! Le foto e i disegni li ha con
sé, vero?-
-Sì, li ho messi in questa busta- precisa la forestiera,
tirando fuori dalla tracolla arancione un rettangolo di carta marrone
poco spiegazzato.
Una volta dentro, Aurora rimane stupita dall'austerità che
trasuda da quelle pareti.
L’ambiente interno, infatti, menziona solo piuttosto
vagamente una chiesa: il pavimento in pietra è quasi
completamente zigrinato e in minima parte liscio.
Non è rimasto alcun paramento che ricordi la sua antica
origine: le panche e l’altare sono stati smantellati, al suo
posto vi è un ammasso di assi di legno assemblate da mani
evidentemente inesperte.
Gli unici paramenti a dare ancora una parvenza di
realtà e soprattutto di luce a quello spazio assai desolato,
sono le colonne dall’intonaco scrostato e i tre rosoni con le
raffigurazioni di sant’Abbondio, di Gesù e della
Madonna, attorniati da biondi e ricciuti angeli che suonano
festosamente le trombe.
-Sul soffitto si possono ancora intravedere gli affreschi che, secondo
le cronache prebelliche, godevano di
tanto pregio
tra tutte le chiese della vallata- spiega il sindaco, indicandoli con
l'indice sinistro -rappresentano l’Ultima cena e la
Resurrezione. Il resto è un po’ desolante, me ne
rendo conto, ma è comunque un posto ancora molto luminoso-
La ragazza annuisce convinta, guardandosi intorno con il volto
all’insù e compiendo un piccolo cerchio per
osservare meglio:
-Sì, in effetti c’è un’ottima
luce ... -
-Se mai riuscissimo a valorizzarla come merita, sarebbe una grande
soddisfazione per l'intera cittadinanza … Ora,
però, cambiamo argomento e parliamo della mostra!- prosegue
la donna, incamminandosi verso l'altare.
-Come vede, nei quattro angoli vicino ai pilastri, ho fatto portare dei
cesti di fiori. Sono due vasi di spatifillo e altrettanti di peonie
… le piacciono?-
-Ha avuto un’ottima idea, rallegrano l’ambiente!-
la forestiera si avvicina ai treppiedi e, una volta vicino, apre la
busta contenente le foto e i disegni - quelli sono i cavalletti su cui
attaccare le foto, giusto?-
-Esatto. Ne ho presi quattro, spero che bastino-
-Credo di sì. Come le ho detto prima al telefono, le foto
sono una cinquantina, senza contare gli otto schizzi a carboncino. Le
ho fatte sviluppare con un formato medio, quindi direi che quattro di
questa grandezza vadano bene. Abbiamo tempo per fare una prova
generale?-
La voce emozionata di Aurora rimbomba tra le mura, rimandando una lieve
eco.
-Siamo qui per questo. Prego, sulla base dei cavalletti ho lasciato del
nastro biadesivo ... -
-Prima di attaccarle, le posso chiedere dove scriveremo il titolo della
mostra?-
-Ha ragione, me ne sono completamente dimenticata!- esclama il sindaco,
scuotendo la testa e facendo schioccare le labbra - ho lasciato gli
striscioni da appendere all’esterno della chiesa in ufficio!
Mi perdoni, sono terribilmente sbadata, ma tutta questa storia mi ha
scombussolata!-
-Non deve scusarsi, la capisco ... sapesse quante volte io dimentico le
cose!- cerca di rincuorarla, invitandola a sorridere.
-Comunque, non si preoccupi, le ho già fatta stampare: sono
bianche, semplici, con le lettere scritte in corsivo di colore blu,
rosso e verde. Cosa ne pensa?-
-Mi sembra possa andare bene … - sospira fiduciosa l'altra,
curiosa di vederli dal vivo.
-Se entro domani tutta questa storia della frana sarà
finita, le prometto che glieli porterò, così
potrà vederlo con i suoi occhi!-
-Va bene, anzi, magari, senza disturbarsi a venire, passo da lei in
ufficio-
-Sì, forse è meglio. Allora, cos’altro
aspetta? Le attacchi, così potremo vedere il risultato
finale!-
La ragazza comincia a tagliare in piccoli pezzi il nastro biadesivo,
mentre con delicatezza li piega per farli aderire al retro delle
fotografie e dei disegni.
Cerca di dare un significato a tutte quelle immagini: sui due
cavalletti di sinistra posiziona gli scatti che ritraggono i contadini
e le mucche, insieme ai rispettivi ritratti, sugli altri due trespoli,
invece, incolla le foto che rappresentano la preparazione della festa,
il dietro le quinte,
come lo aveva definito la signora Liliana: i particolari dei carri, i
vasi dei fiori, gli oggetti che andranno a costituire i premi della
pesca di beneficienza.
-Ci stanno proprio per un soffio: per fortuna i cavalletti sono grandi,
altrimenti bisognava procurarsene almeno un altro … -
Aurora si allontana dalla sua postazione, soddisfatta del risultato
finale.
-Sono straordinarie!- esclama la prima cittadina –e poi, la
scelta del bianco e del nero per la parte antica è veramente
azzeccata, non saprei in che altro modo definirla! E questi ritratti
... sembrano fatti da un pittore professionista! Mi piacciono molto, ha
fatto un ottimo lavoro, complimenti davvero!-
Il rumore del portone che si apre e subito dopo si accosta interrompe
quelle lusinghe: in quel mentre, infatti, arriva Tommaso, anche lui un
po’ trafelato come poco prima si è presentata il
sindaco.
-Buonasera, scusate il ritardo … credevo di perdermi, invece
non è stato per niente difficile trovare la chiesa!-
Il giovane si avvicina alle due donne e porge la mano a quella che
ancora non conosce:
-Piacere, sono Tommaso Pastero -
-Il piacere è mio, signor Pastero. Da sindaco di questo
paese le do il più cordiale benvenuto a nome mio e degli
altri concittadini. Spero che avrà un soggiorno piacevole.
Se non ricordo male dal fax che mi ha inviato l’agenzia,
dovrebbe fermarsi un paio di settimane … -
-Sì, sedici giorni. Mi scuso ancora per non essere stato
puntuale, ma appena arrivato, ho dovuto accontentare la signora Lina,
mi sembra si chiami così- chiede conferma con gli occhi ad
Aurora -da
quando sa che le ho ceduto la mia camera,
credo mi abbia preso in simpatia!-
-Ah sì?- continua il sindaco, piacevolmente stupita,
guardando con fare allusivo la forestiera, forse ricordando
l'imbarazzante episodio di benvenuto che la vecchietta aveva riservato
alla ragazza, qualche settimana prima –
è stato un gesto molto cavalleresco. Può sembrare
aggressiva, ma in realtà bisogna solo conoscerla. I figli
sono lontani e il marito, un marinaio
con una donna in ogni porto, è proprio il caso di dirlo,
l’ha abbandonata più di vent’anni fa,
così, da allora, ha sempre vissuto con la sorella che,
poverina, è morta tre anni fa. Insomma, la signora Lina
è quasi
un’istituzione per tutti noi,
fa parte del Comitato per le feste da quasi mezzo secolo! Se
l’ha presa in simpatia, signor Pastero, allora vuol dire che
la considera già un suo protetto, e questo si
rivelerà solamente un bene per lei, glielo assicuro!-
Tommaso ritorna con lo sguardo ad incrociare quello della coinquilina,
quasi un'occhiata complice e divertita.
-Comunque sia, cambiando discorso, ha già visto le foto
della mostra? Immagino che la signorina le abbia
già raccontato della nostra festa ... -
-In effetti sì ... -
-Mentre ti aspettavamo, abbiamo attaccato le foto e i disegni-
s’intromette Aurora, ritornando davanti ai sostegni di legno
su cui poco prima ha posizionato le foto e i disegni.
-Cosa ne pensi?- si affretta a sapere Aurora, con una punta di attesa
nella voce.
Il nuovo arrivato si avvicina ai cavalletti e, dopo un'attenta
osservazione, sorride soddisfatto:
-Non avevo dubbi che il risultato d’insieme sarebbe stato
perfetto! La mostra sarà un autentico successo, non ho
dubbi!-
-E’ quello che credo anch’io, signor Pastero,
questa ragazza ha un vero talento!-
Poi, guardando l'orologio da polso, propone:
-Ora che abbiamo sistemato tutto, vogliamo uscire? Scusatemi, ma sono
rimasta lontana già troppo tempo dall'ufficio e non vorrei
avessero bisogno di me ... -
-Certo, non si preoccupi, ma le foto le lasciamo qui?-
s’informa la forestiera, indicandole.
-Sì, ma tanto chiudo a chiave, non è un problema.
E poi, domani dobbiamo venire a mettere su gli striscioni: mancano solo
tre giorni alla festa, sempre che si possa fare ... - spiega
impensierita, recuperando dalla borsetta il mazzo con cui ha aperto.
-Si riferisce alla frana?- domanda Tommaso, partecipe.
I tre, nel frattempo, sono usciti dalla chiesa e il sindaco, mentre
gira la chiave nella toppa arrugginita del pesante portone di legno,
risponde con voce rassegnata:
-Sì, purtroppo. Temo che, se la frana non verrà
rimossa e non si aprirà la strada che ci congiunge alla
città, dovremmo rimandare tutto: non ci saranno turisti, non
si potrà accedere alla via principale e, cosa più
importante, non si potrà assistere alla sfilata dei carri
... -
-Gliel'ho chiesto perché vorrei sapere se posso dare una
mano. Sono un vigile del fuoco e, anche se le montagne non sono
propriamente il mio luogo abituale di lavoro, forse potrei mettermi in
contatto con i colleghi del posto e vedere se in qualche modo mi
è possibile contribuire ... mi farebbe molto piacere-
-Sarebbe veramente gentile da parte sua, signor Pastero!- ribatte
riconoscente la donna, riponendo il mazzo di chiavi nella borsetta.
-Il Comandante dei Vigili del fuoco mi contatterà tra circa
un’ora: se non è un disturbo per lei, posso dare
il numero della casa rossa?-
-Ma certo, sarò felice di rendermi utile, non si faccia
problemi! -
-Allora grazie, grazie a nome mio e dei miei concittadini!-
I due si stringono la mano, mentre Aurora ne approfitta per domandare:
-Mi scusi, ma come mai avete sfollato solo una dozzina di persone?
Voglio dire, la via principale per quanto non sia lunghissima, ha molti
più abitanti di quelli che mi ha mandato. Gli altri dove
andranno questa notte?-
-Ha ragione, ma le loro case sono considerate, almeno per il momento,
sicure: gli uomini della Protezione civile e i Vigili del fuoco hanno
fatto due sopralluoghi per verificarne le condizioni e, dal momento che
si trovano dalla parte opposta rispetto alla frana e alla montagna,
hanno stabilito che, adesso come adesso, non c’è
alcun pericolo.
Ed effettivamente, se ci fa caso, passando di lì,
è vero: le abitazioni degli sfollati danno le spalle alla
montagna e, quindi, all’eventuale pericolo, mentre quelle
degli altri concittadini sono troppo lontane per essere coinvolte-
E allora
perché non li avete distribuiti nelle case più
sicure? Si interpella con un briciolo di sarcasmo la
forestiera.
Il sindaco, come se le avesse letto nel pensiero, prosegue a spiegarle
la situazione:
-Purtroppo, non è stato possibile smistare gli evacuati
nelle altre abitazioni: molte, infatti, sono troppo piccole anche solo
per un paio di persone in più, altre invece –come
avrà potuto notare se ha passeggiato fino a lì-
sono vecchi casolari adibiti al ricovero del bestiame. E poi
sì, ci sono le case dei forestieri, della gente che viene da
fuori, ma a malapena sappiamo chi è: sono quasi troppo snob
persino per salutarci, senza contare che passano tutta la giornata in
città e qui vengono solo per dormire. Inoltre, non le nego,
che per una sola notte ho preferito evitare di creare disagi inutili
... -
A me, però, i
disagi li ha creati!
Un lieve rossore imporpora le guance della ragazza che, con il senno
ritrovato, risponde:
-Sì, in effetti ha ragione. L’unica soluzione
possibile rimane la casa rossa: è grande e in fondo
è più vostra che mia-
-Però è lei che l’ha affittata e
quindi, almeno per questo periodo, siamo noi gli ospiti e non lei!- la
donna dà un’occhiata all’orologio, poi
esclama:
-Ora mi dispiace, ma devo proprio salutarvi. Arrivederci, signor
Pastero, la farò chiamare più tardi-
-Va bene, aspetto la telefonata-
-Noi invece ci vediamo domani, Aurora, per ultimare gli ultimi
particolari dello striscione … -
Dopo gli ennesimi saluti, i due forestieri osservano il sindaco
allontanarsi a piedi, avvolta nel suo tailleur blu elettrico, il passo
veloce a rincorrere il tempo che le sta scivolando tra le dita, forse
insieme alla sorte dell’intero paese.
-Sembra una donna in gamba- considera Tommaso, mentre la donna
è ormai lontana dalla loro vista.
-Sì, anche a me dà questa impressione-
Poi, una volta che la sagoma è ormai scomparsa, un guizzo
indefinito, lei sbuffa preoccupata:
-Ora sarà meglio andare: chissà Macchia come si
sentirà con tutta quella confusione ... -
-Da quello che ho visto benissimo!Si stava rincorrendo in giardino con
un altro gatto, uno arancione-
La forestiera sorride, ritornando a guardare verso la montagna, il
cielo sopra di essa sempre più minaccioso:
-E’ il gatto della bottegaia, anzi, di sua figlia Linda. Hai
presente quella donna che mi ha parlato quando è arrivato
quella specie di Esodo?-
-L’Esodo?! Ma sei veramente tremenda! Comunque sì,
mi ricordo ... - risponde divertito Tommaso, scuotendo la testa.
Aurora gli sorride di rimando, poi si avviano a passi lenti e
coordinati su per la strada secondaria che porta alla casa rossa.
A un certo punto, poco oltre il secondo viottolo, il nuovo
coinquilino, la voce titubante, considera ironicamente intimorito:
-Non vorrei fare il guastafeste per l’ennesima volta ma,
quella donna, la signora Lina, non fa altro che chiedermi di mangiare:
ha praticamente svuotato il frigo e la credenza e, se va avanti
così, temo rimarremo presto senza scorte ... -
-Bene! Devo ammettere che mi dai sempre delle belle notizie! Almeno fino
a domani abbiamo
abbastanza cibo?- ribatte lei,
sarcastica, fermandosi per un momento.
-Spero di sì. Liliana, la bottegaia con cui parlavi quando
sono arrivati, ha portato dei pacchi di pasta, delle
confezioni di tonno e della frutta. Tieni conto che dovremo mangiare in
quattordici per almeno una cena e un pranzo, sperando che domani sera
ritornino tutti nelle loro case, ovviamente. A proposito,
dov’è che mangeremo?- domanda con tono preoccupato
l'uomo, fermandosi anche lui
-Il tavolo in cucina va bene per massimo otto persone-
-Senti, così mi stai mettendo ansia! Non lo so dove
mangeremo! So solo che vorrei che quest' incubo non fosse mai iniziato
e ... aspetta, ma se facessimo dei turni?-
-Tu allora sei proprio fissata con questi turni!- sbuffa Tommaso,
riprendendo a camminare, di nuovo uno fianco all'altra.
-Però, se non si può fare diversamente, forse
è l’unica soluzione possibile. Anzi, sai che ti
dico? Per me va bene! Magari possiamo accontentare prima i
più anziani e quella povera ragazzina che non fa altro che
starnutire e tossire. E’ scesa un momento giù in
soggiorno per cercare la madre ma, conciata com’è,
è subito risalita nella sua stanza-
-Povera Linda. Ieri
sera le
è venuta la febbre e questa uscita proprio non ci
voleva. Le ho promesso che le avrei fatto vedere in anteprima le foto
della mostra, perciò, se dovesse capitare, non dire che in
realtà è la seconda a vederle, ho paura
che ci rimarrebbe male … -
-Promesso! Sarò sincero come Pinocchio!-
La casa rossa ora si vede chiaramente: stanno risalendo per la stradina
che costeggia la vecchia abitazione con i vasi di gerani rossi e
l’insegna locanda
ormai slavata dal tempo.
-Ma se siamo tagliati fuori dalla città e nella bottega del
paese non possiamo andare, come facciamo a sfamarli tutti quanti?-
domanda allarmata lei, la necessità dei
rifornimenti ormai trasformata in incubo.
-Non pensiamo subito al peggio. Aspettiamo quello che diranno i miei
colleghi e poi, beh sì, poi potremo disperarci! Sempre che,
nel frattempo, non abbiano già rimosso la frana. Magari, da
qui, non riusciamo a vederla, anzi, a non vederla ... -
-Sì, magari. Fino a mezz’ora fa c’era
ancora, e anche bella grossa, purtroppo-
-Forza, sii un po’ ottimista, Aurora! Vedrai che si
risolverà tutto molto presto, abbi fiducia!-
Una volta entrati, la casa rossa sembra davvero un rifugio per
sfollati: c’è un gran vociare al piano di sotto,
soprattutto in cucina, e lei pensa già al peggio: mi avranno incendiato qualcosa
o, peggio, avranno fatto del male a Macchia. O avranno rotto
qualcosa, me lo sento.
-Cos’è questa confusione?-
Tommaso si affaccia cautamente nella stanza, seguito a ruota dalla
forestiera, appiccicatagli come un’edera rampicante.
-Per fortuna siete tornati!- esclama sollevata
Liliana, attorniata dal resto degli evacuati, eccetto Linda che, per la
febbre, non è potuta scendere.
-La signora Lina si è sentita male, è quasi
svenuta e ora dice di avere degli attacchi fortissimi allo stomaco ... -
Effettivamente, la vecchietta, seduta su una delle sedie di legno, non
ha propriamente quella che si definisce una bella cera: il viso
raggrinzito dalle rughe attorno agli occhi, ora è di un
indefinito colore giallo-grigio, e le mani stringono con forza il
vestito, proprio alla bocca dello stomaco:
-Ahi, che mal ca
gò! Quela camumila non l’è
servì a nuta! Datemi un altro po’ di
quella pastiglia o morirò!-
-Che cosa le avete dato?- s’intromette la ragazza,
terrorizzata che possa succedere l'irreparabile.
-Le abbiamo fatto sciogliere nella camomilla una bustina contro il mal
di stomaco, nulla di più, non era una pastiglia,
come ha detto lei. Sono passati appena dieci minuti, forse non ha
ancora fatto effetto ... - le risponde il marito della
bottegaia, anche lui in aprrensione.
-Speriamo che non ci lasci proprio adesso che c’è
la frana e ancora dobbiamo fare la festa! Sarebbe una tragedia senza
precedenti! - commenta la Roberta, scuotendo la testa, il fazzoletto di
stoffa in una mano a sventolarlo sul viso della Lina.
-Non siate esagerati!- Tommaso si accoccola di fronte alla vecchietta
che, appena lo vede, sembra riprendere subito colore:
-Oh, eccolo il mio eroe! Da quando te ne sei andato, ho subito
cominciato a stare male! Non sarà forse che mi hanno
avvelenato per avere un posto in più in casa?!-
-Cuma
l’è che cun noi la parla il dialet e cun
lüi l’italian?- commenta non troppo ad
alta voce una delle altre due donne anziane lì presenti.
-Ma cosa va a pensare! Io, piuttosto, direi che ha fatto una brutta
indigestione! Ora riesce ad appoggiarsi a me? L’accompagno in
camera ... -
-Certo, mio caro, andiamo pure. Mi gira ancora un po’ la
testa, ma sento che lo stomaco va meglio-
Gli esuli, proprio come le acque del Mar Rosso, si aprono in due
gruppetti, lasciando passare il Salvatore con la povera vittima
avvinghiata al suo braccio che, ciabattando piano piano, si avvia su
per le scale.
-Che spavento ci ha fatto prendere!- è una critica velata
quella di Liliana che, come gli altri evacuati, ha capito che forse la
vecchietta non è che stesse poi così male.
-E’ svenuta per davvero o è una mia impressione
che fosse tutta una messinscena?- domanda la forestiera.
-No, per essere svenuta è svenuta, e credo che un
po’ di mal di stomaco lo avesse veramente, ma tutti ci siamo
accorti che non appena è arrivato quel giovane, si
è ripresa all’istante!- commenta la Roberta,
ridacchiando.
-Comunque tutto è bene quel che finisce
bene!- sentenzia la bottegaia che, trascinando un po’ in
disparte Aurora, le chiede:
-Come procedono i lavori per la mostra?-
-Bene, li ho praticamente conclusi. Sono tornata dalla chiesa di
sant’Abbondio per una prova generale con il sindaco. Abbiamo
attaccato le foto sui cavalletti che ha procurato e il lavoro
d’insieme non ci è affatto dispiaciuto! A
proposito, ho saputo che prima Linda è scesa. Come sta?-
La donna fa spallucce, chiudendo per un attimo gli occhi.
-Tutto questo trambusto non le fa per niente bene, però
sembra che la febbre si sia abbassata un po’. Se vuole
può salire a trovarla ... -
-E’ quello che ho intenzione di fare. Ieri le avevo promesso
che le avrei fatto vedere in anteprima le fotografie, però,
con quello che è successo, ho avuto appena il tempo
di salutarla-
-Le farà molto piacere! A casa non fa altro che parlarmi di
lei e di Macchia!-
-E’ una bambina molto intelligente: la sua compagnia
è sempre piacevole-
-E furba, non se lo dimentichi!-
La forestiera sorride alla battuta e, assicurandole che sarebbe tornata
presto per aiutarla a preparare la cena, sale le scale.
Prima va nella sua stanza a recuperare la Kodak ma, quando è
pronta per bussare alla camera di Linda, vede Tommaso uscire da quella
della signora Lina, intento ad accostare delicatamente la porta.
-Come sta? Si è ripresa?- domanda, avvicinandosi al giovane.
-Quella donna ha mille risorse, e poi non credo che stesse
così male. Ha mangiato come un uomo che pesa il triplo di
lei, ovvio che poi le sia venuto mal di stomaco!- precisa il ragazzo,
parlando a bassa voce.
-Secondo me è stata la tua presenza a farle passare tutto.
Credo ti abbia preso molto più che in simpatia!-
-Eh lo penso anch’io … e tu? Dove stai andando?-
-Da Linda. Le faccio vedere le foto della mostra- continua Aurora,
mostrandogli la Kodak.
Con un piede già sul primo scalino, il nuovo coinquilino
s'informa se per cena ci sono abbastanza provviste.
-No, non ancora, guarda pure se vuoi, io ti raggiungo quando ho finito-
-Va bene, ti aspetto giù-
Dopo essersi scambiati un saluto con gli occhi, bussa alla camera della
ragazzina e apre piano la porta:
-Si può?-
L’ammalata ha la testa rivolta verso la finestra, i capelli
non più raccolti nelle trecce, ma abbandonati a ventaglio
sul cuscino.
Socchiude gli occhi pigramente, poi, quando si accorge chi le sta
davanti, cerca di fare un sorriso:
-Ciao! Vieni, ho sentito un po’ di confusione su per le
scale. Cos’è successo?-
-Niente di grave, la signora Lina si è sentita male:
crediamo abbia mangiato troppo!-
-Immagino dolci: lei è golosissima. Pensa che quando ha
compiuto ottant’anni e per festeggiare le abbiamo portato una
torta con cioccolato, crema e panna, se l’è
mangiata tutta da sola, invece di aspettare la cena a cui peraltro ci
aveva invitati! Non ti sembra incredibile?! E’
così magra, sembra così fragile e indifesa,
invece mangia più di Tristano, il cavallo di Agnese, una mia
amica. E lui pesa almeno tre volte più di lei, oltre ad
essere molto più alto, ovviamente! Comunque, ora
sta meglio?-
-Sì, ora sì- ridacchia Aurora, la macchian
fotografica nascosta dietro la schiena.
-Per fortuna! Non vorrei che chiamassero il dottore e poi quello
tormentasse anche me: e
apri la gola, e fai ah! E fai un bel respiro e poi un altro ...
dov'è che ti fa male?! Uffa, la mamma
credo che gioisca quando si ammala qualcuno in famiglia, ha un debole
per i camici bianchi, anche se poi lui non viene mai con quella specie
di grmbiule, ma sempre elegante e con la cravatta!-
-Sbaglio o oggi ce l’hai su con tutti?!- la punzecchia la
ragazza, accarezzandole la testa.
-Con tutti eccetto te! Vieni, siediti vicino a me. Mi fai un
po’ di compagnia?-
La forestiera si avvicina al bordo del letto e si sistema sulla sedia
di legno con il cuscino di velluto rosso.
-Sono venuta proprio per questo, sai? Beh e anche per mostrarti le
foto: ti va?- domanda retoricamente Aurora, svelando il cimelio.
-Certo che mi va! Mi annoio a stare sempre a letto, anche se mi sento
un po’ più in forma di ieri. Sono tante?-
-Abbastanza: ne ho fatte un centinaio, però quelle che ho
stampato sono la metà, altrimenti non ci stavano tutte nella
chiesa! Quelle originali, insieme ai disegni, sono già
lì: appena sarai guarita, ti porterò a vederle!-
-Quindi la mostra si farà in chiesa?-
-Sì, in quella sconsacrata, però. Ci sei
mai stata?-
Linda annuisce, a metà tra il serio e l'annoiato.
-E' un obbligo, più che una tradizione. La mamma e il
papà mi portano ogni anno per la festa, ma gira che ti
rigira è sempre la stessa cosa, non so perché ci
tengano tanto … allora, me le fai vedere queste foto?!-
La forestiera sorride complice, poi tira fuori dalla custodia la Kodak,
l'accende e finalmente si avvicina alla ragazzina, cominciando a far
scorrere le immagini una dietro l’altra.
Il retro di sant'Abbondio
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Capitolo 12 *** Incidente di percorso ***
INCIDENTE DI PERCORSO
Dopo aver lasciato Linda addormentata e felice di aver visto gli
scatti in anteprima o quasi, Aurora scende in cucina, dove trova
Tommaso seduto su una delle sedie, proteso in basso a coccolare
Macchia che, con le rumorose fusa e la coda che si muove sinuosa,
sembra assai gradire quella dose di attenzioni.
La ragazza, sorridendo verso di loro, si siede a sua volta, notando
solo allora la strana quiete che si è creata nella stanza:
la confusione di poco prima, infatti, è svanita, sembra che
la casa rossa sia di nuovo solo per lei, il gatto e il nuovo
inquilino, ovviamente.
-Dove sono tutti?- domanda, speranzosa che il grande Esodo abbia
già tolto il disturbo, versandosi in
un bicchiere di carta un
po' d' acqua dalla bottiglia sul tavolo.
-Ho incontrato Liliana e il marito che stavano salendo dalla figlia, ma
gli altri?-
Tommaso elargisce un'ultima carezza al manto folto e brillante di
Macchia, poi ritorna a sedersi più comodamente,
approfittando per stiracchiarsi braccia e schiena.
-Nelle loro camere, a riposare e a riordinare i pensieri, come mi ha
detto Angela, quella signora tanto simpatica che parla solo il dialetto
… - risponde con un sospiro soddisfatto da post stretching,
poi, indicando il felino ebbro di coccole che si sta allontanando in
giardino, la porta della veranda aperta, commenta:
-E' proprio bravo il tuo gatto, Aurora. Te lo sei portato da *** ?-
-No- ribatte orgogliosa, ma anche rassegnata al fatto che gli ospiti
non se ne andranno così presto come aveva sperato in un
primo momento -l’ho trovato qui, qualche giorno
dopo essere arrivata. Per fortuna, si è subito ambientato... -
Versandosi un altro bicchiere d'acqua e sventolandosi con una mano per
evitare di boccheggiare a causa dell'improvviso sole estivo che
è tornato a illuminare la stanza, la ragazza s'informa con una punta di curiosità:
-A proposito, prima, mentre scendevo le scale, ho sentito il telefono. Chi era?-
-Ah, sì, erano i colleghi del posto. Sono andati
all’appuntamento dal sindaco prima del previsto: sono stati
contenti della mia proposta, tanto più che in queste
situazioni critiche due mani in più servono sempre.
Purtroppo, per stasera non riusciranno a fare più
nulla: a causa del buio e del terreno fangoso per la pioggia di
ieri, preferiscono aspettare domani mattina … mi verranno a
prendere davanti al municipio, per le otto. Tu sai
dov’è?-
-Sì, è molto facile da raggiungere- risponde
Aurora, alzandosi per tirare le tende della finestra, nello stesso
istante in cui Macchia ripiomba in casa con scattante
agilità -è l’unico palazzo
dall’altra parte della via principale, da solo occupa mezza
strada. E poi ha la bandiera esposta su un balconcino o una finestra,
non ricordo bene, comunque non puoi sbagliarti, stai tranquillo-
Una volta tornata a sedersi, continua:
-Sapete già come procedere?-
Tommaso smette di accarezzare il gatto che è tornato alla
carica per nuovi grattini
e carezze e che, contrariato da quella mancanza di attenzioni, si
struscia con maggior vigore tra le sue gambe ma, senza ottenere altre coccole, se ne va
indispettito dalla sua padrona, che lo accomoda sulle ginocchia.
-Per prima cosa, cercheremo di mettere in sicurezza la frana: mi hanno
detto che gran parte del lavoro lo hanno già fatto
stamattina, dovremo solo aggiungere una maglia di protezione in
più e, con l’elicottero, sollevarla e portarla via.
Se il tempo sarà clemente, credono che per domani pomeriggio
dovrebbe tornare tutto come prima-
-Ah, bene, che sollievo ... al sindaco non ho negato il mio aiuto, mi
sarei sentita una stupida e una maleducata, però, tutta
questa situazione mi tiene sulla corda e non fa altro che farmi
preoccupare e ... -
Tommaso le appoggia una mano sulla sua, per cercare di calmarla e per
farle capire che, tutto sommato, la comprende; punzecchiandola, le fa
notare con un mezzo sorriso:
-Ti ricordo che anche se andranno via gli altri, avrai sempre me da
sopportare ancora per un po’ di giorni!-
Aurora abbozza un respiro più profondo degli altri, la voce
ironicamente indifferente:
-Lo so, ma devo ammettere che ormai mi sto abituando alla tua presenza.
E anche Macchia, da come ti gironzola sempre intorno-
-Sì, in effetti è una soddisfazione aver
conquistato in un giorno solo un’anziana signora, un gatto e
te … non è da tutti, mia cara-
prosegue, stringendo con maggior calore la mano della forestiera che,
imbarazzata, la retrae e commenta:
-Già, non è da tutti ... -
Come previsto, le riserve di cibo per quattordici persone non sono
certo facili da trovare così all’improvviso.
Quella sera Tommaso, propostosi addetto alla cucina, avrebbe preparato
una casseruola abbondante di mezze maniche al pomodoro, gli unici due
ingredienti che alla casa rossa non mancano, lasciando da
parte le scorte della signora Liliana, per un eventuale futuro ancora molto
incerto.
Ovviato il problema del cibo, rimane quello di dove e come far mangiare
tutta quella gente, così,
all’unanimità, dopo una democratica votazione per
alzata di mano, ci si accorda per fare dei turni: prima avrebbero
cenato le due coppie più anziane, poi tutti gli altri
esodati, ad esclusione della signora Lina che, dato il forte attacco di
mal di stomaco dovuto all'indigestione di poco prima, si sarebbe
sfamata con un’altra tazza di camomilla e qualche biscotto
secco, e di Linda che, non ancora completamente in forze per scendere
le scale, avrebbe consumato la cena in camera sua.
Per ultimi, a gustarsi il banchetto per nulla luculliano, sarebbe
toccato al cuoco e alla forestiera, che non avrebbero potuto sottrarsi al dovere di lavare da
soli quella pila di piatti, se l’anima caritatevole della
signora Liliana non li avesse aiutati nell’immane compito,
volendosi assolutamente
sdebitare in qualsiasi modo per l'ospitalità forzata.
Così, sfiniti ma soddisfatti, agli ultimi rintocchi del
campanile, anche loro tre se ne vanno a dormire, fiduciosi
che l'indomani avrebbe decretato la fine di quell'incubo ad
occhi aperti.
MARTEDì
25 LUGLIO
La mattina successiva, il tempo sembra promettere bene: il cielo
è completamente sgombro di nuvole e il sole, nonostante sia
ancora relativamente presto, splende già alto.
Aurora si affaccia al balconcino della sua camera, la camicia da notte
ancora addosso: da lì non riesce a vedere la frana,
l’incombente minaccia che le ha fatto dormire un sonno
agitato, ma intravede solo la parte buona della
montagna, quella protettiva e famigliare, a racchiudere la distesa a
perdita d’occhio del lago, in quel momento così
simile al mare, largo, di un azzurro limpido, con i giochi di luce ad
incresparne piacevolmente la superficie.
L’unica sua consolazione è che tra appena due
giorni inizierà la festa del paese, di cui tanto ha sentito
parlare e in cui tanto è stata coinvolta nella realizzazione.
Un rumore la distoglie dai suoi pensieri: hanno bussato alla porta,
così, mentre si augura di non avere i capelli troppo
scompigliati e la camicia troppo stropicciata, invita chiunque sia a
farsi avanti.
Tommaso si affaccia nella stanza titubante, poi, ad un cenno ad entrare
della ragazza, si mostra già perfettamente pettinato e
vestito:
-Spero di non averti svegliata ... - commenta, indicando con un indice
l'abbigliamento di Aurora, le tende che ondeggiano come danzatrici,
spumose e protese ad accarezzare le pareti.
-N-no, figurati, mi ero appena alzata. Stai già andando?-
ribatte, nervosa per essersi fatta trovare in quelle condizioni
così poco consone ed eleganti.
-Sì, parto prima perché devo provare la divisa:
ieri, per telefono, ho comunicato la taglia e hanno detto che me ne
avrebbero portate un paio per vedere qual è la
più comoda ... -
-Ho capito. Allora confidiamo tutti in voi, almeno questa volta cerca
di portarmi belle notizie … - prosegue Aurora, sorridendogli
e sentendosi meno inadeguata di quanto non sia.
Tommaso distoglie lo sguardo, come per ricambiare la forestiera con la
stessa moneta, punzecchiandola amichevolmente, ma poi sembra cambiare
idea, perché semplicemente annuisce:
-Ci proverò. Buona giornata, coinquilina, a più
tardi-
-Grazie, buon lavoro e in bocca al lupo, coinquilino-
Per l’intera mattinata, alla casa rossa, sono tutti un
po’ agitati e attendono con trepidazione che arrivi una
qualche notizia dal “fronte” montagnino: le signore
più anziane, capeggiate dalla Lina che si è
ripresa a pieno regime, hanno indetto cinque minuti di preghiera prima
e dopo il pranzo, convinte che le loro parole devote e supplichevoli,
abbiano il potere di richiamare un qualche aiuto divino.
Oltre ovviamente a voler tornare al più presto nelle loro
case, tutti sperano di non dover rimandare l’inizio della
festa, perché non è mai successo e, credono
piuttosto superstiziosamente, che possa rivelarsi di cattivo
auspicio doverlo farlo.
Preghiera dopo preghiera, Aurora è costretta molto a malincuore
ad abbandonare quella sorta di setta, per recarsi
nell’ufficio del sindaco a recuperare gli striscioni da
appendere alla mostra, come dall'appuntamento fissato il giorno avanti.
Senza pensare due volte circa l'affidabilità di Liliana,
consegna nelle sue mani la gestione della casa e, dieci minuti dopo le tre e
mezza, si avvia verso il municipio, costeggiando il paese e la chiesa
di sant’Abbondio, fortuitamente lontana dalla zona rossa.
-Venga, si accomodi- la invita il sindaco, una volta entrata nella
stanza: tutto è rimasto come sabato, pochi giorni prima,
perfettamente in ordine.
La grande finestra che dà le spalle alla scrivania in
mogano, la libreria di ciliegio con gli scaffali imbottiti di libri di
ogni dimensione e genere e cianfrusaglie di modesto pregio, la poltrona
color caffé in eco pelle ... la frana avrà anche
modificato le abitudini dei paesani, ma l'apparenza di
normalità che traspare dall'ufficio della donna, la dice
lunga sulla tenacia e la costanza montagnina degli abitanti del luogo.
La forestiera si siede come l’altra volta sulla sedia di
legno intarsiato, di fronte allo scrittoio:
-Poco fa ho parlato con il Comandante dei Vigili del fuoco- esordisce
il sindaco, non riuscendo a trattenere un sorriso carico di
soddisfazione, un'elegante girocollo di seta color amaranto a
lasciarle nude le braccia -mi ha detto che sta procedendo tutto come
previsto, anzi, mi ha praticamente assicurato che entro questa sera i
nostri concittadini potranno tornare nelle loro case!-
-E’ una bellissima notizia! Quindi hanno già
rimosso la frana?- vuole sapere Aurora, sistemandosi meglio.
-Avrebbero iniziato proprio dopo la nostra telefonata! Speriamo che
vada tutto per il meglio, così non dovremo rimandare la
festa. Ah, guardi, le ho messo gli striscioni in questo sacchetto. Lo
apra pure, così mi dice come sono- spiega la prima
cittadina, porgendo una busta di carta alla sua ospite, dopo averla recuperata
da uno dei cassetti della scrivania.
La forestiera dispiega con mani un po’ emozionanti le due
stoffe bianche ripiegate con eleganza, trovandosi sotto gli occhi quei
caratteri blu, verde e rosso che le aveva annunciato la donna appena il
giorno prima.
-Vanno benissimo! E’ molto bella anche la stampa
... -
-Perfetto, allora direi che possiamo procedere con
l’allestimento sul cornicione della chiesa e dietro l’altare, almeno con questo potremo dire concluso il suo
lavoro!- sancisce il sindaco, già pronta ad agguantare la
cornetta dell'apparecchio di fianco a lei.
-Chiamerò subito Vittorio, si ricorda di lui?-
-Sì, certo, c’era alla riunione in parrocchia
… -
Lo squillo del telefono interrompe la conversazione: il sindaco sbianca
in volto appena un paio di battute dopo aver pronunciato semplicemente
la parola pronto.
-Quando è successo?! C’è qualche ferito
grave?! No, purtroppo, non è possibile. D’accordo,
lo contatto subito. Vi aspetto in ufficio, a dopo-
Aurora, abbandonato lo striscione che ora rischia di cadere, comprende
che dev’essere accaduto qualcosa di molto serio,
così, allarmata, domanda:
-Chi era? Cos’è successo?!-
-Era il Comandante dei Vigili del fuoco- la informa soprappensiero
l'altra donna, lo sguardo basso e preoccupato.
-C’è stata una nuova frana, per fortuna
più piccola della precedente: erano appena riusciti a
rimuovere la prima, che la seconda è scesa proprio mentre
stavano caricando l’altra sull’elicottero. Ci sono
tre feriti ... lievi - continua il sindaco, cercando di domare
la voce concitata in favore di un tono sereno.
-Ora devo telefonare al dottor Berti: porteranno i feriti qui al
municipio, perché il suo ambulatorio si trova nella zona
rossa e per questo è stato momentaneamente chiuso-
-Sa se è coinvolto anche il signor Pastero?- si appresta a
sapere Aurora, ormai dimenticatasi dello striscione e della festa.
-Non me lo ha detto, mi dispiace. Se vuole aspettare, credo che a
momenti saranno qui ... -
-Sì, certo, aspetterò, non c'è
problema-
Il dottor Berti, un uomo sulla cinquantina, dai capelli folti e
brizzolati, arriva dopo una decina di minuti con la sua valigetta in
cuoio marrone e la cassetta del Pronto soccorso:
-Mi scusi- dice rivolto al sindaco, che nell'attesa ha sgomberato la
scrivania e fatto portare in ufficio altre tre sedie e un tavolo, per
poter visitare i feriti –ma dal momento che
l’ambulatorio non è agibile, è tutto
quello che avevo in casa … -
-Non si preoccupi, il Comandante mi ha detto che sono solo casi lievi.
Se proprio sarà necessario, chiameremo un elisoccorso, anche
se mi auguro non si arrivi a tanto ... -
La ragazza ascolta con attenzione il dialogo tra i due, mentre lancia
un’occhiata verso la finestra dietro la scrivania, per
controllare l’arrivo dei Vigili del fuoco.
-Spero infatti che non ce ne sia bisogno. Non le hanno detto di che
tipo di ferite si tratta? Contusioni, probabili fratture, lacerazioni
... ?-
-No, non so nulla, purtroppo- risponde sempre più in
apprensione il primo cittadino, torturandosi l'anello in oro bianco all'anulare
destro.
-Se posso fare qualcosa ... - commenta con un filo di voce la
forestiera, facendosi per la prima volta avanti.
L'uomo si volta verso di lei e, dopo le sbrigative presentazioni da
parte del sindaco, scuote la testa:
-Fin quando non vedo con i miei occhi cos'è successo, non
posso dirvi se potrà essermi utile il vostro aiuto, signore
mie ... dobbiamo solo aspettare, a quanto pare-
Cinque minuti più tardi, tempo che la donna più
anziana ha trascorso a rispondere a un paio di
telefonate all'apparenza infinite, i malcapitati entrano
nell’ufficio del sindaco: c’è anche
Tommaso, tra di loro, con una vistosa escoriazione al braccio sinistro
e alle mani, fasciate con delle bende ora sporche di sangue.
Gli altri due feriti zoppicano piuttosto vistosamente e, anche loro,
mostrano varie lesioni sulle braccia.
-Siamo stati fortunati- saluta il Comandante, un uomo alto ed atletico,
i capelli completamente rasati e gli occhi molto scuri, stringendo le
mani della prima cittadina e del medico.
-Com’è accaduto?- s’informa prontamente
la donna, facendosi da parte per far accomodare i tre feriti sul tavolo
portato apposta per l'improvvisa evenienza.
-La frana era la metà di quella che abbiamo rimosso,
però è scesa talmente all’improvviso
che non abbiamo potuto deviarla. Per fortuna, i miei uomini,
così come il tenente Pastero, sono allenati e in gamba,
altrimenti avrebbe potuto travolgerli-
-E lei Comandante, non si è fatto niente? Non è
ferito, vero?-
-No. Io, insieme alla squadra della Protezione civile,
ero addetto a coordinare i lavori di rimozione dagli
elicotteri: mentre l'uno avrebbe portato via la frana,
l’altro lo avrebbe seguito a distanza,
sorvolando sulla zona per controllare che non ci fossero altri
massi. Purtroppo, la frana era perfettamente nascosta e non abbiamo
fatto in tempo a dare la segnalazione ai colleghi lì
sotto… -
-L’importante è che non sia successo nulla di
grave- continua il sindaco – ora occupiamoci dei
feriti. Le presento il dottor Berti, il medico del paese:
l’ho subito chiamato, come d'accordo, così
potrà visitare i feriti ... -
-Grazie, è stata molto gentile- ringrazia il Comandante, un
sorriso sincero a testimoniarlo.
Aurora, sempre in disparte dal gruppo, si gira verso Tommaso, che si
tiene il braccio escoriato con la mano insanguinata e, incrociando il
suo sguardo, la rassicura sorridendole.
-Prima preferirei visitare i due uomini che ho visto zoppicare: vorrei
escludere lesioni importanti-
I Vigili del fuoco chiamati in causa si fanno avanti, due quarantenni
non troppo alti ma massicci, i visi ancora leggermente sporchi di terra
e gli occhi color ambra, l'uno con i capelli ricci, l'altro lisci:
-Per fortuna non c’è nessuna frattura, solo una
distorsione abbastanza grave- sentenzia il dottor Berti, dopo
un’accurata analisi alle caviglie dei feriti – ora
fascerò il piede ad entrambi, ma cercate di non appoggiarlo
per almeno un paio di giorni. Se avete dolore e il ghiaccio non vi
aiuta, potete togliere la fasciatura e mettere un po’
di questo spray che vi darò. Mi raccomando,
utilizzate sempre bende pulite e possibilmente fatele aderire alla
pelle, ma non troppo. Ora vi disinfetto le escoriazioni- continua a
spiegare l'uomo, spostandosi verso la scrivania per recuperare gli
strumenti necessari nella cassetta del Pronto Soccorso -fatelo anche a
casa, possibilmente la sera, e dopo lasciatele libere
durante la notte, in modo che la cute non maceri ... -
-Va bene dottore, grazie- annuiscono i due Vigili del fuoco, aiutati
dal medico a sistemarsi sulle sedie e ad allungare le caviglie ferite
su altrettante seggiole di fronte a loro.
-E ora passiamo a lei- il medico si rivolge a Tommaso, rimasto in piedi
vicino alla scrivania del sindaco.
Aurora vorrebbe avvicinarsi, ma non fa in tempo perché il
dottor Berti si para davanti al forestiero.
-Ha una brutta escoriazione al braccio: riesce a muoverlo?-
-Abbastanza, comunque non credo sia rotto- commenta con una smorfia mal
celata, le sopracciglia aggrottate.
-Le fa molto male?- indaga l'altro, prendendo l'arto con delicatezza
tra le mani.
-Uhm ... n-no, non molto-
-Provi a portarlo in alto, poi in basso … sì,
così, ancora una volta di lato e infine cerchi di disegnare
un piccolo cerchio in aria-
Il giovane fa tutto quello che gli dice l’uomo, soffocando
un'altra smorfia di fastidioso dolore.
Il dottor Berti, soddisfatto per la buona riuscita di quegli esercizi,
prosegue:
-Molto bene, anche lei è stato fortunato, non ha nessuna
frattura. Ora vorrei vedere le mani … -
Srotolando le bende macchiate di un sangue scuro, domanda
rivolgendosi al sindaco:
-Ha un cestino dove buttarle?- .
-Sì, tenga- gli risponde lei, avvicinandolo preoccupata.
-Come ha fatto a conciarle in questo modo? Sembra che abbia cercato di
bloccare la frana … - commenta, a metà tra il
sarcastico e l'inquisitorio.
-Quando l’ho vista arrivare, mi sono buttato di lato, per
cercare di ripararmi, solo che dalla mia parte c’era un
groviglio di arbusti che mi ha graffiato le mani e le braccia … -
-Ho capito. Comunque, non vedo schegge di legno infilate …
disinfetterò le escoriazioni anche a lei: come ho detto ai
suoi colleghi, lo faccia anche a casa, tutte le sere. In più, per farle
cicatrizzare prima, le do un campione di una pomata da mettere due
volte al giorno: prima lavi accuratamente le mani, le disinfetti, e
infine ci spalmi su un po’ di questa. E’ meglio,
però, che tenga sempre su le fasciature, anche durante la
notte, almeno per tre o quattro giorni-
-Va bene, grazie-
Il dottor Berti, una volta fatto il suo lavoro e aver scambiato ancora
qualche battuta di circostanza con i presenti, se ne va, promettendo
che a fine settimana sarebbe tornato a visitare i tre feriti.
-Ora Comandante, dovrete rimuovere anche la seconda frana che
è caduta?- domanda la prima cittadina, dopo essersi
accomodati sulle sedie libere, insieme a Tommaso e alla forestiera.
-No, la frana è rotolata fino a valle, ma si è
fermata in un luogo, diciamo così, sicuro e facilmente
raggiungibile con l’elicottero. Andremo a recuperarla domani
mattina. Il problema è un altro: non vorrei che qualche
altra frana scendesse dalle montagne e che, non riuscendola a vederla,
come è successo con quella di oggi, possa fare altri danni
maggiori. Gli uomini della Protezione civile stanno aspettando una mia
telefonata per andare a fare un sopralluogo, prima che faccia buio,
così potremo valutare l’eventuale presenza ed
entità del pericolo-
-E le famiglie che abbiamo fatto evacuare ieri? Potranno
tornare a casa?-
-Direi proprio di no. Per la loro incolumità preferisco che
restino ancora per questa notte lontano dalla zona rossa. Le
saprò dire qualcosa con maggiore sicurezza più
tardi, dopo aver fatto il sopralluogo-
-Va bene. E per quanto riguarda il collegamento con la
città?- continua apprensiva il sindaco, lanciando
un'occhiata ad Aurora, attenta a quella conversazione.
-Non è più un problema. Questa mattina, prima di
salire a rimuovere la frana, abbiamo sgomberato la strada dai detriti,
così ora non siete più isolati. E lo stesso vale
per il paese dietro il vostro, da cui è scesa la prima frana-
Finalmente, un sorriso si apre sul volto dei presenti, che stringe la
mano all’uomo:
-Grazie, almeno una bella notizia!- commenta soddisfatta la prima
cittadina.
-Sono sicura che anche il sopralluogo andrà bene!-
-Lo speriamo tutti. Ora mi scusi, ma devo andare-
Il Comandante si alza dalla sedia e, stringendo la mano delle due
donne, si commiata rassicurante:
-La terrò informata. Arrivederci a tutti, e lei, tenente
Pastero, si rimetta presto - gli augura, salutandolo con una stretta
sulla spalla.
-Sì, signore, grazie-
Passando davanti alla chiesa di sant’Abbondio, Aurora e
Tommaso si fermano sul ponte che attraversa il fiume, la parte illesa
che non fa parte della zona rossa.
Affacciata al parapetto, il vento le scompiglia i capelli raccolti da
un fermaglio tempestato di piccoli Swarovski.
-Ho avuto paura per te-
-Dici sul serio?- la guarda stupito il ragazzo, muovendo titubante le
mani.
Lei annuisce, distogliendo lo sguardo da lui, per posarlo sul fiume
dorato dal sole.
-Quando il sindaco mi ha detto che c’erano stati dei feriti,
anche se lievi, ho come avuto la sensazione che tu fossi coinvolto, non
so perché … -
-Beh, mi fa piacere che ti sia preoccupata per me, ma hai sentito
quello che ha detto il dottore, no? Basta disinfettare e spalmare la
pomata! Vedrai che le mie mani torneranno come nuove!-
Ritornando a fissare gli occhi verdi in quelli scuri di Tommaso, la
forestiera sembra davvero preoccupata:
-Sei sicuro che non ti faccia male?-
-No, per niente, credimi! Mi dà solo un po’
fastidio il braccio: la pelle mi tira quando lo muovo, ma per il resto
mi sento bene, anzi, sto bene!-
Aurora si mette a ridere, scuotendo la testa:
-Perché ridi?-
-No, scusa, è che mi viene in mente una cosa sciocca: questa
sera chi mi aiuterà a cucinare e a lavare i piatti?-
-Ah, grazie per la tua considerazione! Ora capisco tutte quelle domande
… puro ed egoistico interessamento personale, il tuo!-
-Ma scherzavo! Io ero veramente preoccupata per te! E’ solo
che devo ammettere che ci sai fare in cucina, e anche con la signora
Lina. Chissà adesso quando ti vedrà ridotto
così come ti coccolerà!- lo punzecchia, girandosi
e dando la schiena al fiume.
-Vorrei scappare solo per questo! No, a parte tutto, mi sta simpatica
quella vecchietta, è molto gentile … -
-Se non te ne sei ancora accorto, lo è solo con te: la prima
volta che ci siamo incontrate e mi sono permessa di domandarle se
l’acqua del rubinetto fosse potabile, mi ha quasi sbranata!-
-Ma dai, non ci credo!- ribatte il ragazzo, ancora appoggiato al
parapetto del ponte.
-E' perché non sai come trattarla, ci vuole pazienza e,
quando possibile, assecondarla in quello che vuole fare, io non faccio
nulla di più ... -
-Se lo dici tu che sei diventato il suo protetto … -
-Puoi fidarti. Comunque, per questa sera, non preoccuparti: con le mani
conciate così non posso fare molto, ma il mio sostegno
morale ce l’avrai sempre, e anche incondizionato!-
-Bene, ora sì che sono tranquilla e non vedo l’ora
di affrontare quella banda di affamati!-
Tommaso dirige lo sguardo in direzione del campanile dietro di loro:
-Sono le cinque e mezza: cosa ne dici se cominciamo ad avviarci?-
Aurora annuisce con un profondo respiro e, sostenendo ironicamente il
ferito, si apprestano a raggiungere la strada principale e a percorrere
il viale verso la casa rossa e l'ignoto.
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Capitolo 13 *** Le feste natalizie di Aurora ***
LE FESTE NATALIZIE DI AURORA
Tardo pomeriggio di martedì 25 Luglio
Invece, alla cena, Aurora non deve affatto pensare.
Appena rientrati alla casa rossa, infatti, lei e Tommaso
trovano Liliana indaffarata in
cucina,
intenta a tirare fuori dal forno due teglie fumanti.
-Buonasera! Eccovi, finalmente, stavo per … oh, signor
Pastero, cos’è successo? Cosa si è
fatto?!- domanda allarmata la donna, appena
vede il ragazzo in quelle condizioni, gli
occhi chiari contratti in una smorfia preoccupata e il sorriso
che si spegne all’istante.
Posa con non troppa cura le presine e il contenuto che reggono sulla
credenza lì vicino, per avvicinarsi insicura ai due nuovi
venuti.
-Non si preoccupi, abbiamo avuto un piccolo incidente durante la
rimozione della frana. Per fortuna non è successo niente di
grave, solo qualche escoriazione … - la tranquillizza
Tommaso, passandosi il braccio sinistro, quello che non gli fa troppo
male, sul viso ancora leggermente sporco e graffiato sulla guancia.
-Le sue mani … le fanno male? Posso fare qualcosa?- continua
la donna, la voce preoccupata e gli occhi angosciati, gesticolando con
una punta d'isteria, in preda all’ansia.
-Mi danno fastidio, lo ammetto, ma, le ripeto, signora, non
è successo nulla di grave. Poco fa, nell’ufficio
del sindaco,
ci ha visitati il dottor Berti, veniamo proprio da lì. Devo
solo disinfettare le ferite e metterci una pomata, ma nel giro di
qualche giorno passerà tutto, stia tranquilla!-
Tommaso rassicura con lo sguardo la donna, che si appresta a soffiarsi
il naso, l’emozione palpabile che quella scena le ha
suscitato.
-E siete riusciti a rimuovere la frana?- domanda speranzosa, rimettendo
il fazzoletto nell’incavo del seno, indosso la maglia
turchese traforata a maniche corte.
-Sì, l'incidente è avvenuto poco dopo. Il masso
che ci ha quasi investito è stata un’altro,
più piccolo, che è inaspettatamente sceso a
valle. Proprio in questi momenti, il Comandante dei Vigili del fuoco
insieme agli uomini della Protezione civile è andato a fare
un sopralluogo su in montagna, per controllare l'eventuale presenza di
zone a rischio e non visibili dal paese … -
I tre, ancora in piedi vicino alla credenza in legno, non riescono ad
alleggerire la tensione, sebbene nessuno di loro voglia fomentare
ancora di più l'ansia e l'agitazione che le parole hanno
suscitato.
-Possiamo anche sederci … - propone Aurora, sorridendo,
trasformando a parole il pensiero di Liliana e Tommaso –la
situazione di certo non cambierà se rimaniamo in piedi.
Anzi, beviamo qualcosa?-
Il ragazzo è il primo ad assecondare la proposta della
forestiera, ovviamente scosso da tutto ciò che gli
è capitato nel pomeriggio.
Le mani fasciate gli prudono terribilmente, il braccio sinistro gli
pulsa fastidiosamente; si sente sporco, a causa della terra che
percepisce essersi infilata nella divisa che ha ancora addosso.
-Sì, grazie- risponde con un sorriso tirato – per
me va bene dell’acqua fresca … -
La giovane si avvicina al frigo e, dopo che anche Liliana ha confermato
di volerne un semplice e dissetante bicchiere, tira fuori la bottiglia.
La porta al tavolo, dove recupera dei bicchieri capovolti su uno
strofinaccio verde e posti lungo la parete, al centro, in modo che non
cadano.
-Quindi, signor Pastero- prosegue la bottegaia, dopo aver sorseggiato
il liquido trasparente – se c’è la
possibilità che esista qualche altra frana, vuol dire che
dovremo fermarci ancora qui, almeno per questa notte?-
-Credo proprio di sì, signora, però, almeno una
buona cosa siamo riuscita a portarla a termine: abbiamo fatto in tempo
a togliere i detriti dalla strada che porta alla città,
così ora non saremo più isolati- spiega Tommaso,
mentre Aurora gli versa dell’altra acqua.
-Oh, finalmente una bella notizia!-
-Dobbiamo esserne molto felici!- s’intromette la ragazza
–è un passo avanti verso la normalità
che, sono certa, presto tornerà a regnare in paese!-
Il forestiero le lancia un’occhiata complice, soddisfatto per
quella testimonianza inattesa di generosità, mentre Liliana
la fissa con occhi lucidi, poi, trattenendo a stento le lacrime, si
giustifica:
-Mi dispiace molto per quello che sta succedendo, Aurora, e anche per
il disturbo che le stiamo creando! Lei, qui, è venuta per
fare una semplice vacanza, per rilassarsi, invece si ritrova
catapultata in quest’incubo ad occhi aperti ... mi dispiace
davvero-
-Ma no! Perché dice questo?- le risponde la forestiera,
mentre un sorriso di conforto le affiora sulle labbra.
-E’ il minimo che possa fare per la sua gentilezza e quella
della sua famiglia- prosegue, avvicinando la sedia a quella della
bottegaia.
-Anzi, almeno mi ha dato la possibilità
di sdebitarmi per quella fantastica cena che alla fine non ho
più avuto occasione di ricambiare!-
-A
proposito di cena, quasi
mi dimenticavo!- la donna batte una mano sul tavolo, le guance
imporporate.
-Mi sono permessa di preparare qualcosa con quello che ho trovato in
giro. Volevo farvi una sorpresa per festeggiare il rientro nelle nostre
case, invece … -
-Invece ci mangeremo ugualmente tutto quello che ha preparato!-
conclude la ragazza, appoggiandole una mano sul braccio –
allora, cos’è questo profumino?-
-Oh, nulla di che- si schernisce ingenuamente Liliana -ho infornato due
teglie di focacce. Le ho potute fare solo semplici, con un
po’ d’olio, di sale grosso e del tonno che ho
portato-
Poi, dopo aver ritrovato il solito entusiasmo che la caratterizza e
alzandosi per rimettere a posto le presine che ha malamente abbandonato
sulla credenza pochi attimi prima, continua:
-Ho preparato anche due budini al cioccolato, li ho già messi in
frigo. Non so se basterà come cena ... magari potremmo fare uno sformato di pasta: ho visto che c’è
della mozzarella e ancora mezza bottiglia di salsa, in frigo.
Anzi, le prometto che appena tutto questo sarà finito, le
offrirò tutte le spese che vuole, potrà comprare
anche mezzo negozio, se lo desidera!- propone in rapida successione la
donna più anziana, per poi ritrovarsi a ridere entrambe,
complici dell’intimità che si è creata
tra di loro:
-Va bene, ma non vorrei depredarle la bottega! Ora, però,
bando alle ciance! Preparariamo lo sformato, altrimenti non
sarà tutto pronto per l’inizio del primo turno
delle sette! E tu, Tommaso, rimani seduto e riposati!-
-Agli ordini!- si arrende il ragazzo, reprimendo una smorfia di
doloroso fastidio alla mano destra, portata alla tempia per fare il
tipico gesto di obbedienza dei soldati di fronte ai loro superiori.
-A proposito, Linda come sta?- s’informa la forestiera,
recuperando dal
chiodo nel muro il
grembiule giallo con le cocche scucite, vicino alla finestra
semiaperta.
-Meglio. Poco dopo che è andata via, ha voluto scendere in
soggiorno e ha coccolato un po’ Blasco: deve vedere come quei
due gatti
vanno d’accordo!-
Liliana sta recuperando dal frigo la mozzarella e la bottiglia di
pomodoro già per metà utilizzata.
-Lo so, li ho visti ieri! Se sua figlia si sta riprendendo, magari
stasera potrà scendere a cenare con noi
… immagino si annoi molto a rimanere sempre da
sola in camera sua-
La bottegaia fa spallucce, mentre con la forbice taglia un lato della
confezione del formaggio molle e, sorridendo, asserisce:
-Forse, se sale lei a chiederglielo, riuscirà a
convincerla!- le schiaccia l'occhiolino la donna, accondiscendente.
-Va bene. L’aiuto qui e, una volta finito, vado!-
Aurora sta salendo le scale per andare a farsi una doccia: la
preoccupazione per quello che improvvisamente è successo,
l’ansia per le condizioni fisiche dei feriti, la piacevole
sorpresa della cena che Liliana ha preparato e la velocità
con cui hanno cucinato i due timballi di pasta, insomma, tutte quelle
emozioni hanno contribuire a sfiancare ancora di più la
ragazza.
Non si azzarda nemmeno a pensare alla possibilità
tutt’altro che remota che la festa non si possa realizzare:
tutto il lavoro che ha condotto in quella settimana per completare la
mostra fotografica, l’impegno, la ricerca di idee, non
può rivelarsi solo mero tempo sprecato.
Dopo aver recuperato dall’armadio e dal comò il
necessario per rimettersi in sesto, la forestiera è pronta
per rinfrescarsi corpo e idee con una bella doccia fresca.
Sul pianerottolo, di fronte alla sua camera, c’è
il bagno che ha scelto di utilizzare prima che arrivassero Tommaso e
gli esuli, in quanto più grande e vicino rispetto agli altri
due e alla piccola lavanderia posta sul retro della cucina, al piano
terra, dove si trovano anche il grande salotto con il divano e la
poltrona in tessuto a fiori rossi e alla sala da pranzo, priva di un
altro tavolo, assolutamente essenziale in quei giorni, ma occupata
dalla meravigliosa credenza in legno intarsiato, con i pannelli
colorati di vetro smerigliato e i pomelli dorati.
Dal lato opposto rispetto alla propria, ci sono le altre cinque stanze
da letto, ora occupate dai nuovi coinquilini.
Esattamente a metà del corridoio del piano superiore, vi
è la biblioteca, dove quasi due settimane prima Aurora ha
ritrovato il carillon con le lettere e le fotografie di Teresa, la
figlia più piccola dei conti che fino a
quarant’anni prima erano gli unici proprietari della villa.
La ragazza aveva trovato la morte giovanissima, appena ventenne,
decidendo di impiccarsi al ciliegio del giardino ormai sradicato, per
fuggire al viaggio in Uruguay con il ricco marito libertino, lontano
dalla sua casa e dai suoi cari.
La forestiera conserva quell’oggetto
prezioso e antico in
uno dei cassetti del comò, nella camera che probabilmente
avrebbe potuto bennissimo essere della ragazza, per quanto ne sa,
l’eredità di una persona che non ha mai
conosciuto, ma che, grazie anche al racconto di Linda di qualche giorno
prima, riesce a sentire emotivamente vicino.
All’improvviso, proprio mentre sta richiudendosi la porta
alle spalle, la ragazza avverte il getto dell’acqua provenire
da una delle altre stanze da bagno, quella più vicina alla
camera di Tommaso, ora occupata dalla Lina.
Aurora appoggia i vestiti sullo stretto davanzale in pietra e, con
passi titubanti, si avvia lungo il corridoio.
Il giovane, poco prima di salire, l’ha avvisata che avrebbe
voluto lavarsi, per rimuovere tutta quella polvere che avverte essergli
finita addosso, sotto la divisa.
Lei e Liliana si erano subito offerte di aiutarlo, anche solo per
fargli la barba, se ce ne fosse stato bisogno, però, dopo
aver pronunciato quella richiesta non del tutto assurda, il senso di
pudore e l’imbarazzo si erano insinuati nella loro mente: che
domanda stupida, che cosa avrebbero potuto fare per rendersi utile?
Di certo non si trattava di un bambino, che potevano lavare come meglio
credevano, ma di un uomo, che non avrebbe lasciato che due donne
sconosciute gli pulissero schiena e torso.
Avrebbe dovuto sfasciare le bende, certo, ma Tommaso era sicuro che un
po’ di acqua e del sapone neutro non avrebbero fatto male
alle sue escoriazioni.
E poi, da coscienzioso paziente, le avrebbe diligentemente
disinfettate, vi avrebbe spalmato con cura la pomata che gli aveva dato
il dottor Berti per, infine, rimettere a posto le fasciature, con
l'intento di proteggere le mani ancora per qualche giorno.
Aurora passa di fronte alla porta dietro cui sente distintamente lo
scroscio dell’acqua: sa per esperienza che le tubature della
villa sono piuttosto vecchie e che ci vuole qualche minuto prima che
l’acqua diventi calda, quindi, probabilmente, potrebbe fare
ancora in tempo a bussare e domandare a Tommaso se ha bisogno del suo
aiuto.
Poi, appena formulato quel pensiero, si dà della sciocca:
c’era voluto molto tempo per entrare in intimità
con Mattia, il suo Mattia, figuriamoci se potevano bastare tre giorni
per permettersi di vedere un completo estraneo mezzo nudo.
Già, Mattia: da quanto tempo non lo vedeva? Almeno un mese,
da quella sera in cui lei gli aveva chiesto del tempo per riflettere,
per pensare alla loro storia e al rapporto che li legava.
Quello che era successo, prima con l'insensata rivelazione della madre
e poi con la violenza subita dal suo capo, l’aveva
indubbiamente scossa, facendole vacillare le più elementari
certezze che credeva facessero parte della sua vita: la famiglia e
l’amore.
Pensare anche solo di non riuscire a stringerlo tra le sue braccia, di
non riuscire a baciarlo, perché la vicinanza, il contatto
fisico le avrebbe procurato ribrezzo e pudore, era qualcosa che non
avrebbe mai pensato potesse accadere.
I dieci mesi che li avevano visti uniti erano stati tra i periodi
più belli che riusciva a ricordare.
Ancora ferma in corridoio, Aurora avverte la porta di una delle stanze
aprirsi: prima di rendersi conto che ha gli occhi lucidi, si allontana
velocemente dalla parte opposta da cui proviene il rumore, per
rintanarsi, finalmente e in solitudine, in bagno, non desiderando
incontrare nessuno che, con il solo sguardo, la possa compatire.
Il vociare in soggiorno e in cucina si fa sempre più alto: i
poveri sfollati sono usciti dalle loro camere e, ora, sono tutti
concentrati a dare una mano con i preparativi della cena.
La signora Angela e Roberta stanno apparecchiando la tavola; Liliana
è intenta a tagliare in fette più eque possibili
le due focacce e gli sformati di pasta; i mariti si sono autoproclamati
addetti ufficiali alle
bevande, mentre la Lina, gli occhi incollati
su Tommaso, lo
sta tartassando
con parole zuccherose e abbondanti moine.
Dalla porta della veranda aperta, la ragazza riesce a scorgere Macchia
scorrazzare tra i cespugli di more e i gigli in fiore.
La doccia l’ha fisicamente rigenerata ma, prima di andare da
Linda, vuole assicurarsi che la bottegaia non abbia bisogno di aiuto
per imbandire il tavolo in favore del primo turno che si sarebbe svolto
da lì a dieci minuti.
Gli esuli più anziani – le due coppie che ha visto
per la prima volta solo il giorno precedente, all’arrivo
dell’Esodo, e la signora Lina- sono già pronti per
riversarsi affamati sui piatti.
Ad Aurora, tutto quel piacevole e famigliare trambusto, fa riaffiorare
alla mente i giorni affannosi delle feste natalizie: a casa sua tutti
erano in gran fermento, la madre stilava il menù della
Vigilia con settimane di anticipo e, ogni cosa,
dall’argenteria impolverata che tirava fuori solo per le
occasioni importanti, ai vestiti eleganti delle figlie e del marito,
doveva risplendere per l’intera serata e suscitare invidia
davanti ai parenti al gran completo.
Persino ai due cani di famiglia, Sansone ed Ercole, veniva comprato un
collare o un guinzaglio nuovo, a seconda delle necessità
annuali, ovviamente.
Lei e sua sorella Silvia erano le addette alle decorazioni
dell’albero e della tovaglia di raso rosso e dorato:
disseminavano gli aghi più lunghi che rubacchiavano dal pino
nel giardino della casa della nonna, avendo cura di posizionarli negli
spazi tra i vari piatti e bicchieri, appoggiavano con
solennità i segnaposti a forma di renna –
disegnati rigorosamente da loro due- davanti ai piatti di cristallo e,
infine, sparpagliavano, con abile maestria, candele bianche e rosse in
prossimità dei calici per il vino e lo spumante …
I mormorii indistinti della signora Lina, avvolta in un vestito nero da
lutto, risvegliano da quel viaggio della memoria la forestiera:
l’anziana donna ha cominciato a pregare insieme alle altre
due vecchiette -Angela e Teresa, che è scesa in
compagnia del marito
pochi attimi dopo la ragazza-, non prima di essersi assicurata che il
suo prediletto, Tommaso, stia effettivamente bene:
-Oh, caro, come ti senti? Ti fa male da qualche parte?- è
ormai diventata la sua implacabile nenia.
-No, signora, sto bene- biascica per l’ennesima volta il
forestiero, avvolto da una T-shirt rossa che lascia scoperte le braccia
abbronzate e muscolose
al
punto giusto, le ampie
spalle
rivolte verso la porta della cucina, i pantaloncini grigi
appena sopra il ginocchio e ai piedi un paio di sneakers.
Le mani ancora fasciate ondeggiano sui fianchi, un antistress alle
domande monotone della vecchietta.
-Sei stato molto coraggioso, sai? Non tutti avrebbero avuto quella
prontezza di riflessi! Però, se fossi in te, cambierei
mestiere, almeno è quello che ti suggerisco. E’
troppo pericoloso, soprattutto per una persona giovane come te:
poverino, chissà come soffri con tutte queste ferite
… !- prosegue petulante, accarezzando dolcemente le mani di
Tommaso.
-Ma a me il mio lavoro piace, signora! E poi, se la pensassero tutti
così, chi lo farebbe?-
La signora Lina ci riflette su per un nanosecondo, la fronte
carrugata,poi asserisce con convinzione:
-Hai ragione, caro, solo gli eroi come te possono fare un lavoro del
genere. Fossi nel sindaco, ti darei la medaglia d’oro!-
Poi, stringendo gli occhi cerulei e acquosi, sotto la perfetta
pettinatura candida cotonata, ha un’illuminazione a dir poco
sensazionale, che non le impedisce di emettere un risolino di auto
convincimento e di battere le mani ossute, con le vene in rilievo ma
incredibilmente senza rughe:
-Forse, non tutto è perduto! Come membro più
anziano del Comitato, sono sicura che riuscirò a
convincerla, mio caro!-
-Ma no, non si deve disturbare! -
Il forestiero si guarda intorno con la speranza che, qualche anima pia,
venga finalmente a trarlo in salvo.
-Quale disturbo?! Se non ci fossi stato tu, chissà dove
avrei dormito! Fuori, nel cortile, ecco dove mi avrebbero messo! E poi,
ieri mi hai salvato la vita: non potrò mai dimenticarlo,
caro, mai!-
Aurora non riesce a resistere a quelle moine, le viene inevitabilmente
da ridere e, visto che a differenza di Tommaso lei non rientra nelle
grazie della Lina, preferisce salire da Linda, per vedere se
riesce a convincerla a cenare con loro.
Macchia le sfreccia davanti, per concludere la sua corsa con un
elegante e quasi silenzioso tuffo su uno dei cuscini del divano.
La ragazza dà un’ultima occhiata divertita a quel
covo di matti e, finalmente, sale di nuovo le scale.
-Posso entrare?- domanda la forestiera, dopo aver bussato con un paio
di colpi di nocche alla porta.
La voce della ragazzina non risuona più flebile, anche se
è ancora sdraiata nel letto, il cuscino dietro la schiena e
Blasco accoccolato vicino a lei.
-Ciao! Sì, entra pure. Oggi pomeriggio mi sentivo meglio e
sono scesa giù sperando di fare due chiacchiere con te, ma
non c’eri … -
-Sono andata a sistemare gli ultimi preparativi per la mostra- le
spiega Aurora, accomodandosi sulla sedia rivestita di velluto rosso -
il sindaco mi ha fatto vedere gli striscioni da appendere in chiesa,
per questo sono dovuta uscire ... -
-Ma allora avete fatto le cose in grande! E cosa
c’è scritto?-
-Il titolo della mostra fotografica, Lavori di ieri e di oggi: il
passato e il presente fra tradizione e modernità.
Che te ne pare?-
-Mi piace! Sì, suona proprio bene!-
Poi, con voce coscienziosa e una punta di preoccupazione, chiede:
-Senti, ma secondo te, riusciremo a fare la festa?-
La ragazza sospira in maniera più evidente del solito, a
testimoniare che quella è una domanda per la quale nessuno
conosce ancora la risposta.
-Non lo so. Questa mattina, i Vigili del fuoco sono riusciti a
rimuovere la frana, ma ne è scesa un’altra,
ferendo alcuni di loro … -
Linda, eccitata e incuriosita, si sistema meglio il cuscino dietro la
schiena, Blasco immobile accanto a lei e, con fare solenne, domanda:
-Stanno bene, però, vero?-
-Sì, per fortuna, il dottor Berti li ha medicati e sembra
che non avranno conseguenze. Solo che adesso, dopo quello che
è successo, i pompieri temono che ci possa essere qualche
altra frana nascosta, su in montagna, per questo dovrete rimanere qui
ancora per questa notte … -
-Che bello!- batte le mani la ragazzina, ridiventando subito dopo
seria -cioè, ovviamente mi dispiace per quello che
sta capitando, non sono così insensibile, mi rendo conto
anch'io che la situazione è molto precaria,
però qui mi piace molto: dalla finestra riesco a vedere un
panorama bellissimo, con il lago e parte della città, mentre
a casa, dalla mia camera, posso guardare solo le montagne e il
campanile della piazza-
-Ogni volta che vorrai, lo sai, potrai venire da me ... - le sussurra
amorevolmente Aurora, guardandola con dolcezza.
-Lo so, ma non è solo per il paesaggio. Qui ci sei tu che mi
fai compagnia, e anche Blasco si diverte tanto con Macchia! E
poi, se penso che in questa villa ha abitato Teresa e che magari per il
giardino si aggira il suo fantasma, mi elettrizza un sacco! Quando
tutto questo sarà finito, potrò vantarmene con le
mie amiche!-
-Ehi, calmati, Linda!- le sorride con una punta di rimprovero la
forestiera, bloccando quel fiume di parole.
-Lo so bene che tutto questo ti piace- prosegue, accarezzando il dorso
di Blasco.
–E so anche che il tuo gatto e il mio sono diventati amici:
si sono talmente stancati, che ora Macchia si sta riposando sul divano,
anche se, con tutto quel rumore, non so proprio come faccia! A
proposito, ti va di scendere e mangiare con noi?-
Gli occhi verdi della ragazzina si illuminano di gioia e, non riuscendo
a frenare la curiosità, s’informa se quello che ha
sentito corrisponde a verità:
-Stamattina, la mamma mi ha raccontato che dovete fare i turni. E'
davvero così?-
-Sì- ammette la forestiera, allargando le mani con un
sorriso -non ci sono abbastanza posti per sedersi al tavolo tutti
insieme, così siamo stati costretti a trovare questo piccolo
stratagemma! Ma, se è solo questo che ti preoccupa, non hai
scuse, perché tanto tu mangerai con noi, non con i
vecchietti!- continua a punzecchiarla, pizzicandole amichevolmente una
guancia.
-Allora, scendi?-
-Uhm, va bene- fa finta di fare la sostenuta Linda, per poi aggiungere
allegramente: -Oggi a pranzo non ho quasi mangiato nulla, ma adesso,
dalla fame che ho, mi sta venendo un’acquolina in bocca che
mi divorerei l'intero letto!-
-Perfetto!- si alza in piedi Aurora -quando tocca a noi,
verrò su a chiamarti. Anzi, se te la senti, possiamo far che
scendere, così non starai più tutta sola e Blasco
terrà compagnia a Macchia! Che ne dici?-
Gettando il lenzuolo e la leggera coperta raffigurante dei delfini da
un lato, Linda si mette a sedere entusiasta:
-D’accordo, ci sto!-
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Capitolo 14 *** I due sogni ***
I DUE SOGNI
MERCOLEDI' 26 LUGLIO
La frana scende lentamente, un masso brunastro dagli spigoli appuntiti
e affilati come grezze cesoie: sembra un quadro di Picasso, in cui lo
spettatore non riesce a comprendere, da una prima sommaria
occhiata, dove finisce la realtà del soggetto rappresentato
per lasciar posto alla fantasia dell'inconscio.
Oh no! Non è
l’unica, ce ne sono altre che la seguono.
Aurora prova a contarle, angosciata cammina avanti e indietro dalla sua
postazione di sentinella.
Scruta con occhi sbarrati quel corteo inarrestabile, composto
da almeno dieci frane; una è molto grossa, grande quanto
un’automobile, e trascina dietro di sé tutto
quello che incontra: arbusti, alberi, fiori, piante, sembra riesca a
contrastare persino la forza del fiume.
Lei è terrorizzata: è rimasta in casa, da sola
con Macchia, e guarda quello spettacolo infernale dal balcone della
camera.
A un certo punto, quando ha finalmente trovato il coraggio di sporgersi
dal parapetto, si accorge con orrore della presenza di tutti gli
abitanti del paese, stipati nella piazza della chiesa: Aurora controlla
meglio, un tuffo al cuore la trafigge, perché tra di essi ci
sono anche i dodici sfollati e ... sì, certo, quello
è Tommaso, che ha ancora le mani fasciate e le bende
macchiate di sangue.
La ragazza urla, per tentare di avvisarli, di intimarli a sbrigarsi a
fuggire, per mettersi in salvo, ma qualcosa le blocca le corde vocali:
è la paura.
Affonda nel fango del panico, tanto da ripetersi biascicando "come faccio a salvarli, se non
ho voce?"
Allora, comincia a richiamare l’attenzione dei presenti
facendo degli ampi gesti con le braccia, poi batte le mani, si toglie
il golf turchese e lo sventola sopra la testa, in grandi vortici
scomposti.
E, finalmente, riesce a liberarsi da quella morsa silenziosa e infida,
riesce a gridare con tutto il fiato che ha in corpo: avvisa
con tutta l'aria che ha nei polmoni del pericolo che stanno correndo le
persone lì sotto, adesso tentano di scappare e di rientrare
alla villa, ma sono tutte pigiate, l’una
sull’altra, non riescono a trovare una via di fuga!
Aurora si sente impotente, non sa cos'altro può fare per
aiutarli.
Un fulmine improvviso, seguito da un rombo di tuono che squarcia
l'orizzonte, guarda in alto, verso il sole nel cielo che,
improvvisamente, lascia il posto a grosse nubi scure, basse
all’orizzonte, cariche di pioggia, acqua che, prontamente,
comincia a scendere.
La terra diventa fango e il fango si allarga fino a formare delle
pozzanghere enormi, mentre la melma -scura e pastosa- straborda fuori
quegli specchi di orrore.
Nel frattempo, la prima frana, quella più grande di tutte,
raggiunge la gente in piazza, travolgendola senza che nessuno possa
fare qualcosa per evitarlo, senza che lei possa fare
qualcosa.
Il campanile batte le ore, le undici o forse le dodici, la forestiera
non riesce a distinguere bene i rintocchi.
È come un gioco di magia, un'illusione di cattivo gusto, quel masso
enorme che, piano piano, si trasforma nel suo capo: il ghigno
così sicuro dipinto in faccia, i capelli perfettamente
pettinati, le braccia forti, il corpo atletico …
è lui, non c'è alcun dubbio.
La ragazza urla, ma nessuno la sente, perché ormai non
c’è più nessuno...
Aurora si sveglia madida di sudore, il respiro affannoso, i palmi delle
mani premuti contro le lenzuola stropicciate.
Ha gridato solo nel sogno, anzi, nell’incubo?
Perché, mentre guarda con orrore la porta della stanza, non le
sembra di sentire alcuno scalpiccio concitato incedere nel corridoio, a
indicare l'arrivo preoccupato di qualcuno in suo aiuto.
Si toglie i capelli dalla fronte e scende dal letto: una nausea
improvvisa le attanaglia lo stomaco e ancora di più la gola.
E’ da quando è successo, tre mesi addietro, che lei non ha
più avuto così nitida quella visione devastante.
La paura per la sua incolumità le ha fatto risvegliare il
sentimento di pura angoscia, di terrore incontrastato, che ha avvertito
prepotente e atroce negli attimi della violenza, impossibile da
dimenticare.
Si mette a piangere con tutta la disperazione di cui è
capace, come se fosse l'unica arma di difesa rimastale: non si accorge neppure che le unghie grattano la pelle sottile dei palmi, poi affonda il viso nel cuscino
spiegazzato, caldo e profumato di lillà, ora bagnato di
lacrime.
Dopo qualche minuto di quello sfogo il più silenzioso
possibile, la forestiera guarda l’orologio da polso che ha
appoggiato la sera prima sulla sedia che le fa da comodino: le sei e un
quarto.
Supina, lancia un’occhiata verso la finestra, le tende
tirate, i vetri socchiusi.
Non ha più sonno, così si alza e, lasciando la
stanza completamente al buio, scende le scale.
Sta andando in cucina per bere un bicchiere d’acqua, quando
vede una figura sdraiata sul divano.
Subito non le viene in mente che si tratta di Tommaso: si avvicina
cautamente alla sagoma, il lenzuolo tirato fino a metà del
petto che sobbalza con delicatezza al ritmo di un respiro tranquillo,
tranquillizzandosi subito dopo nel vedere il volto rilassato del
giovane.
Macchia, acciambellato sulla poltrona di fronte al divano, si accorge
della sua padrona e, per testimoniare la sua contentezza, comincia a
miagolare.
-Shh, silenzio, Macchia!-
Ma il gatto non ha alcuna voglia di smettere: pretende la sua razione
di coccole mattutine, così la ragazza è costretta
a riprenderlo ancora una volta, questa volta con tono più
perentorio:
-Smettila, altrimenti si sveglierà! Vieni, andiamo in cucina
... - continua, prendendo in braccio il felino che, finalmente contento
di aver imposto l’attenzione, comincia a fare le fuse,
contornate da qualche generoso miao
di ringraziamento, senza rendersi conto che, ormai, il danno
è compiuto …
- Aurora, sei tu? E’ successo qualcosa?-
Lei si volta lentamente, sentendosi come una ladra sorpresa a rubare
nella casa di un conoscente e che, nonostante tutte le precauzioni
prese, è stata colta in flagrante:
-Sì ... no, cioè, scusami se ti ho svegliato,
anzi, se lui
ti ha svegliato … continua a dormire, è presto-
tenta di sgusciare via la ragazza, felice che il rossore che le sta
imporporando le guance, al buio non si riesca a notare.
-Lui chi?-
-Ehm ... Macchia, è stato lui a miagolare e ... va beh, non
fa niente-
Tommaso, il volto ancora in penombra, abbassa la testa e, sospirando,
s'informa di che ore siano, non riuscendo a trattenere un sorriso.
-Le sei e un quarto passate da poco. Ora dormi ... hai bisogno
di riposo –
Ma lui ha tutta l'intenzione di non lasciarla andare:
-Come mai sei così mattiniera?-
-Non avevo più sonno, tutto qui. Però tu, da eroe
quale sei, meriti ancora di riposare, no? A proposito, come ti senti?-
Aurora, il tono di voce sempre basso, cerca di ironizzare in quella
situazione apparentemente irreale:
-Bene, mi danno un po’ fastidio le bende, ma per il resto
bene. Comunque, hai ragione- un lieve sorriso gli increspa le labbra -
ieri sera non finivano più di farmi domande, per non parlare
di quella donna, la signora Lina, che voleva a ogni costo che le
facessi vedere le ferite! A un certo punto, ho dovuto dirle che ero
talmente stanco e provato da quello che era successo, che avevo bisogno
di riposarmi-
-E lei ci ha creduto?- domanda Aurora retorica, già sapendo
la risposta.
-Per fortuna sì. Dovevi vedere con quale aria
compassionevole mi ha accompagnato fin qui, sul divano. Voleva persino
aiutarmi a sdraiarmi e a spogliarmi… -
-Ormai non puoi più sfuggirle!-
Il forestiero si mette a sedere sul sofà, il lenzuolo
giallognolo buttato da un lato, mentre la ragazza si siede sulla
poltrona, con Macchia sempre tra le braccia:
-Questa notte ti ho sognata … - esordisce Tommaso, la mano
destra abbandonata sul ginocchio corrispondente flesso.
-Oh, davvero? E almeno era un bel sogno?-
-Per me sì. Stavamo passeggiando, tu ed io, e tutte le
persone che incontravamo ci salutavano, ci chiamavano per nome. Poi mi
giravo verso di te e mi sorridevi: credo che fossi felice per qualcosa
… -
Lei deglutisce imbarazzata, non sapendo quale significato dare alle
parole appena udite.
-E’ un bel sogno, mi piace. E ... come è finito?-
-Non lo so, mi sono svegliato. Diciamo che era ancora in corso quando
ti ho sentita arrivare!-
-Mi dispiace, non solo per il sogno, ovviamente. E’ che
Macchia, quando vuole le coccole, non ha alcun ritegno!-
-Non importa- la rincuora, facendo spallucce.
-Magari, con un po' di fortuna, questa notte lo continuerò-
-Magari ... sono curiosa di scoprire la fine-
-Ascolta- riprende il ragazzo, la voce ancora più bassa e
complice -c’è una cosa che vorrei dirti
… -
-Ti ascolto- la forestiera sprofonda in quella poltrona troppo
grande per lei, la mano sinistra che continua ad accarezzare Macchia,
mentre con l’altra si stropiccia gli occhi appesantiti dal
sonno bruscamente interrotto.
-Riguarda la mia vita. Solo che non so da che parte iniziare ... -
-Beh, prova a dirmi in che modo come posso aiutarti
… vuoi un consiglio, un parere?-
Tommaso abbassa lo sguardo, le mani fasciate e giunte a mo' di
preghiera, abbandonate tra le ginocchia, i capelli spettinati
e il sorriso così affabile e sincero:
-In realtà non saprei se definirlo proprio un consiglio
… il fatto è che, da quando sono arrivato, ho
capito molte cose che prima, da solo, non ero riuscito a comprendere
fino in fondo ... -
-Ti ricordo che sei qui da soli due giorni: non vorrei che diventassi
troppo saggio, quando te ne andrai!- lo punzecchia lei, sistemandosi
meglio sulla poltrona.
-Può essere- ammette lui, recuperando con un piede il lenzuolo caduto
-anche se saggi non si finisce mai di esserlo. Aurora, tornando a
quello che stavo cercando di dirti, è una cosa che mi
riguarda nel profondo e che solo tu puoi aiutarmi a svelare. Promettimi
che … -
Un ciabattare cauto e guardingo, distoglie i due giovani dalla
conversazione: Tommaso si gira, mentre la forestiera rivolge lo sguardo
verso le scale, il punto da cui proviene il rumore.
-Oh, caro, ti sei già svegliato! Sei riuscito a riposare
questa notte?-
La signora Lina, avvolta in una vestaglia rosa a fiori blu e le
babbucce di spugna fucsia, si avvicina al ragazzo e, con premura,
appoggia le mani su quelle ferite di lui.
-Ma cosa ci fa qui, a quest’ora? E’ ancora presto!-
-Non sono riuscita a riposare oltre, mio caro, continuavo a pensare a
quello che ti è successo, lassù in montagna. Hai
avuto veramente coraggio!-
Aurora, lusingata dalla profusione
di saluti fatti in suo onore dalla vecchietta, emette un
debole risolino che, però, non sfugge alle attente orecchie
della donna:
-Perché la
rida? L’è quai suces un quarantot’ e lei
la ghigna? Fossi in lei, mi vergognerei!-
-Ma no, signora, non rideva mica di me!- arriva in suo soccorso
Tommaso.
–Vede? E’ per il gatto, le sta facendo le fusa, per
questo sorride. Comunque, grazie per il suo interessamento, signora. Ho
dormito molto bene e lei non doveva affatto disturbarsi-
Il forestiero cerca di togliersi da quell'impiccio, alzandosi dal
divano ma, furba come una volpe, la donnina anticipa le sue mosse,
bloccandogli un braccio:
-Quale disturbo, caro? E’ un piacere farti compagnia e
confortarti! Cosa ne dici se non rispettassimo quegli stupidi turni e
andassimo a fare colazione insieme?!-
Tommaso rivolge uno sguardo d’aiuto ad Aurora che, scuotendo
la testa, non riesce a ribattere, concentrata
com’è a rimanere seria e a non riprendere a ridere.
-Veramente, avrei ancora un po’ di sonno e vorrei riposarmi
almeno per ... un’ora, sì. Lei, se vuole,
può cominciare a mangiare, più tardi la
raggiungo, non si preoccupi-
La
Lina rivolge uno sguardo carico d’odio alla ragazza, occhiata
che raggelerebbe persino Jack lo Squartatore.
-Uhm, non è che vuoi rimanere da solo con lei?-
-Ma no, signora, è che non ho voglia di fare colazione.
E’ ancora presto … -
A quelle parole, la vecchietta si rabbonisce e, con un leggero buffetto
sul viso di Tommaso, accetta senza riserve:
-Hai ragione, caro. Quando suoneranno le sette, allora andremo a berci
un bel caffèlatte, con qualcuno di quei biscotti
dell’altro giorno! Cosa ne dici?-
-Ehm, che ore sono … ?-
La giornata è limpida e serena: non ci sono nuvole nel
cielo, un tappeto azzurro con al centro la palla infuocata del sole.
Con quelle previsioni così favorevoli, tutti alla villa
sperano che, finalmente, quello sia il giorno in cui potranno ritornare
alle loro case.
Verso le nove, dopo la tortura della colazione con la donnina, il
cellulare del forestiero squilla:
-Pronto? Sì, buongiorno comandante, mi dica. Ah, perfetto,
molto bene signore, grazie. Certo, glielo dirò subito. Cosa?
Naturalmente, lo avevo immaginato. D’accordo, se ci sono
problemi non esiti a contattarmi! Arrivederci, signore, buona giornata
anche a lei!-
Aurora sta versando la seconda porzione di latte a Macchia, la cucina
si è svuotata da poco dal resto degli esuli appena usciti
dal primo pranzo della giornata.
Liliana la sta aiutando a lavare e asciugare le posate che gli ospiti
si sono portati da casa, non volendo utilizzare le posate di plastica
che la bottegaia si era offerta di offrire a tutti.
-Sbaglio o era il comandante dei Vigili del fuoco?- domanda la ragazza.
-Non sbagli, infatti! Ho una bellissima notizia da darvi: non
c’è più pericolo di frane, la zona
rossa questa mattina stessa verrà smantellata e stasera
potrete rientrare nelle vostre case!- annuncia Tommaso, un bel sorriso
stampato sul volto riposato.
-Oh, santo cielo! E’ una notizia meravigliosa! Grazie, grazie
di cuore!- esulta la bottegaia, abbracciando il ragazzo.
-Ma non faranno altri controlli per verificare che sia davvero tutto a
posto?- s’informa Aurora.
-Sì, certo. Oggi pomeriggio ci sarà un
sopralluogo, ma è esclusivamente formale, che
farà stare più sicuri voi e noi!-
-E’ davvero stupendo! Devo andare ad avvisare anche gli
altri!- continua Liliana che, nell’impeto del momento, lascia
cadere lo strofinaccio che ha tra le mani.
-C’è una sola condizione, signora-
l’apostrofa Tommaso, abbassandosi a raccogliere goffamente
l’asciugapiatti, le mani fasciate, mentre lo anticipa la
donna, ringraziandolo con lo sguardo per quel gesto.
Liliana lo appoggia sul ripiano in ceramica di fianco al lavandino e,
una strana sensazione, domanda:
-Riguarda la festa? Non possiamo farla?-
-Sì, in effetti riguarda la festa, ma non è
questo per fortuna. Anzi, in realtà non si tratta di un vero
e proprio problema: il comandante mi ha pregato di chiedervi di
effettuare lo spettacolo pirotecnico in tempi tecnicamente ridotti. Il
sindaco lo ha informato di questa vostra tradizione, così vi
chiede se, al posto dei soliti venti minuti, potete farne al massimo la
metà. Anche se tutte le frane sono state rimosse, non
vorrebbe che, con le vibrazioni prodotte dai botti, se ne crei
qualcun'altra-
-Oh, ma certo, questo non sarà affatto un problema! Ne
parlerò io con Pietro e gli altri addetti ai fuochi, state
tranquilli!-
-Molto bene, allora oggi dobbiamo festeggiare!- s’intromette
la forestiera, prendendo tra le sue le mani di Liliana che, emozionata,
risponde:
-Sì, oggi dobbiamo dare il meglio di noi, ma prima devo
andare ad avvisare gli altri, perché non riesco a trattenere
tutta questa felicità!-
Quel giorno, a pranzo, sono tutti giubilanti: non fanno altro che
ridere, scherzare, prevedere come andrà la festa, sarà sicuramente
un successo,
dicono ad alta voce, mentre brindano con il tè alla pesca
che ha preparato Aurora.
Per una volta, riescono persino a mangiare insieme, si stringono sulle
sedie che vengono occupate dagli anziani e da Linda, mentre
gli altri rimangono in piedi, chi appoggiato al tavolo, chi alla
credenza, chi al lavandino.
Non importa più a nessuno di quegli stupidi turni, come
li ha definiti la signora Lina poche ore prima, l’incubo
adesso è concluso, finalmente
a póduma turnà a cà nostra,
continuano a ripetere gli esuli.
Persino la forestiera ritrova quella sensazione di
convivialità, respira quell’aria così
famigliare, esattamente come la sera in cui è andata a cena
da Liliana, il giorno dopo il suo arrivo alla casa rossa.
Si guarda intorno, reggendo il bicchiere di tè in una mano
e, nell’altra, l’ennesimo pezzo di focaccia che la
bottegaia ha voluto replicare dopo il successo della cena precedente,
anche perché di scorte alla villa non ne sono rimaste
granché.
Sorride alle battute dei commensali e, come loro, s’immagina
il successo della festa che finalmente potrà iniziare appena
due giorni dopo, proprio come ogni anno da novantatrè
stagioni a quella parte.
In pochi minuti, capisce che è tutto finito: la
fobia e la brama di rimanere da sola che l’hanno
accompagnata in quella manciata di giorni di convivenza forzata, non
sono servite a niente.
Aurora avverte un vuoto alla bocca dello stomaco, come quando in
macchina si percorre a velocità un po’ troppo
sostenuta una salita e subito dopo una discesa, mentre si percepisce la
temuta ed eccitante sensazione che sembra risucchiarci.
Non riesce a non dispiacersi al pensiero che, di lì a poche
ore, tutto quel vociare e quell’allegria spariranno.
Dopotutto la compagnia
non è così male, riflette, e
quell’armatura che desiderava tanto indossare da quando
è arrivata, forse non l’ha mai davvero portata con
sé o, più probabilmente, si è resa
conto che non serve a nulla nascondersi dietro a una maschera di
ostilità, perchè, prima o poi, si
sgretolerà.
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Capitolo 15 *** Che le danze abbiano inizio ***
CHE LE DANZE ABBIANO INIZIO!
GIOVEDI' 27 LUGLIO
Oggi
è il giorno dei Sette Sapienti: il sole si riversa generoso
sulle imposte della casa rossa, creando un geometrico gioco di luce
sulle pareti in ombra dell’abitazione.
Anche
quest’anno la leggenda millenaria non ha deluso gli abitanti
del paese: i giovani pastori di Efeso hanno raddrizzato
l’estate ancora
una volta, il tempo promette bene e, nonostante le incertezze protratte
fino all'ultimo, tutto è pronto per dare inizio ai
festeggiamenti.
Appena svegli, ci si affaccia alle finestre o ai balconi per scrutare
l'orizzonte, i nasi all'insù e lo sguardo lontano: nessuna
frana sembra incombere sulla quiete faticosamente ritrovata, le
montagne sono lì solo ad ammirare e proteggere quel
paesaggio secolare, non per danneggiarlo.
Come da tradizione, i negozi del borgo rimangono chiusi, tanto
più che la zona rossa è ancora da smantellare,
titubanti sul pericolo finalmente scampato.
Pochi minuti prima delle cinque, l’ora in cui si è
deciso avverrà l’inaugurazione della mostra
fotografica e l’inizio ufficiale dei festeggiamenti, Aurora e
Tommaso escono dalla villa e si avviano verso la chiesetta di
sant’Abbondio, le fronde degli alberi mosse da una leggera
brezza, l'impazienza nei piedi e un sorriso di soddisfazione sul volto.
Nell'edificio sconsacrato, la tensione è più che
palpabile: i teli di cotone che ricoprono l'evento della stagione,
ovvero il percorso fotografico realizzato dalla forestiera, fanno
capolino in bella vista proprio di fronte all'altare, propagandosi ai
primi metri delle navate laterali; i mormorii curiosi e speranzosi
riempiono il luogo, mentre le alte e spoglie pareti rimandano l'eco dei
discorsi eccitati.
Dietro al leggio, emozionatissima e sorridente, si erge il sindaco,
impeccabile in un vestito color turchese, i capelli castano chiaro
avvolti in uno chignon spalmato di lacca, gli occhi nocciola che si
agitano alla ricerca degli ospiti più illustri, le mani che
continuano a muoversi, stropicciandole sui fianchi o nascondendole
dietro la schiena.
Al posto delle panche ormai smantellate da diversi decenni, hanno
trovato posto numerose sedie di legno, lo schienale alto che fa
sembrare gli ospiti seduti su degli scranni medioevali.
Le porte della chiesetta rimangono spalancate, così da
permettere l'afflusso di quante più persone possibili,
sebbene molti degli avventori dovranno accontentarsi di aspettare sul
sagrato.
Il caldo è discretamente soffocante, mitigato da una mezza
dozzina di ventilatori strategicamente distribuiti agli angoli
dell'edificio, in prossimità delle colonne dall'intonaco
rosa marmoreo scrostato, il cui stato stato di abbandono è
messo in risalto dall'abbondante fiotto di luce che penetra attraverso
i tre ampi rosoni, raffiguranti sant'Abbondio, Gesù e la
Madonna attorniati da angeli e putti che suonano le trombe.
Un'ultima occhiata verso la platea ormai al completo e un respiro
lungo, silenziosamente impercettibile, che le infonda coraggio: il
sindaco accende il microfono e dà inizio al suo discorso,
scritto più con la pancia che con la testa.
<< Buon pomeriggio a tutti voi, cari concittadini e
graditi ospiti, è con grande felicità che vi
porgo i miei saluti, quelli dell’amministrazione comunale e
soprattutto quelli della nostra Proloco ( gridolini entusiastici e
numerosi applausi) che, ancora una volta, si è
impegnata con lo stesso profondo entusiasmo e devozione che riserva per
ogni altra manifestazione che organizza!
Come sapete, temevamo che avremmo dovuto rimandare l’inizio
della festa (unanimi
sibili di dissenso), un evento largamente sentito nella
nostra comunità, nonostante sia arrivata alla sua
novantatreesima edizione! (
qualche battito di mani e mormorii accondiscendenti)
Per fortuna, questo increscioso episodio non si è verificato
grazie agli uomini dei Vigili del fuoco, in particolar modo nella
persona del Comandante Luotti (scroscio
di applausi) che è qui presente e si
è adoperato senza sosta perché ciò non
avvenisse; un grazie particolare va anche alla sezione provinciale
della Protezione Civile (altro
scroscio di applausi), instancabile nel suo lavoro di
aiuto al prossimo.
Bene, dopo i ringraziamenti di rito e, permettetemi di dirvi
più che meritati, vorrei spiegarvi il motivo per il quale
siamo qui oggi: sono ormai da due anni che tramite la
generosità di diversi mecenati, la casa rossa è
ritornata a vivere e -anche se per brevi periodi- ad essere abitata da
persone speciali, oserei dire uniche, come lo è la signorina
Aurora ( l'intera
platea si volta verso la forestiera, addossata ad un angolino, per
evitare il più possibile gli sguardi indiscreti e gli
additamenti del caso; dopo un iniziale imbarazzo da parte della ragazza
che alza la mano ad accennare un saluto, il pubblico elargisce numerosi
battiti di mani e altrettanti saluti a distanza da parte delle
"ragazze" del Comitato, Lina inclusa), che ha voluto
offrire il suo talento artistico per migliorare la nostra festa.
Gli scatti e i disegni che qui
potrete ammirare, sono infatti frutto del suo lavoro!
Concluderei ringraziandovi ancora una volta per essere venuti
così numerosi e, soprattutto, vi chiederei un ulteriore
applauso per la nostra fotografa e per i protagonisti degli scatti, i
pilastri del paese, i contadini (
e giù applausi di giubilo) che sono felice e
orgogliosa di vedere tra di noi!
Grazie e buona festa a tutti!>>
La mostra fotografica risulta un successo fin dal primo giorno: la
chiesetta di sant’Abbondio richiama non solo
l’intero paese, ma anche i molti turisti arrivati da fuori e
gli abitanti dei borghi limitrofi.
Aurora, un semplice tubino di seta color carne che ha abbinato a un
maglioncino crema, rimane in disparte il più possibile,
sebbene sia letteralmente trascinata in mezzo alla bolgia di
ammiratori, che le vogliono ad ogni costo cavare di bocca qualche
commento sulla preparazione e l'esito dell'evento.
La ragazza è piacevolmente stupita da tutta quella folla
accorsa per visitare il suo lavoro, quello che lei ha prodotto in
così poco tempo, ma con tanto entusiasmo e voglia di fare, e
si lascia andare senza riserve ad assecondare le richieste di una
grezza intervista per il giornale locale.
Come annunciato dal sindaco, sono venuti persino i contadini dei suoi
ritratti, sorridenti e nei loro abiti migliori: anche il Giovanni, alla
vista di quegli scatti e di quei disegni, si lascia andare ad un
sorriso, e saluta con un cenno della mano la forestiera.
-Non avevo dubbi che sarebbe stato un successo!- si complimenta la
prima cittadina, liberatasi dall'ammasso di persone in cui era rimasta
intrappolata.
-Grazie, ma il merito è anche dei modelli: senza di loro,
questa mostra non esisterebbe!- le risponde orgogliosa, ma non fa in
tempo a concludere la frase, che la donna si allontana ancora una volta
per andare a salutare i sindaci dei due paesi vicini.
Linda, ormai guarita dalla febbre, si avvicina alla forestiera e,
alzandosi sulle punte, la abbraccia:
-E’ davvero tutto bellissim, Aurora, sei stata veramente
bravissima!-
Anche Liliana la saluta calorosamente, complimentandosi per l'ennesima
volta e lasciandosi scappare qualche lacrimuccia di affettuosa
partecipazione al meritato successo; e poi, quando finalmente la
giovane spera di avere qualche secondo per tirare il fiato e ammirare
il suo stesso lavoro, ecco che arriva Tommaso, sportivo ed elegante al
contempo con una polo blu notte e il colletto bianco, i pantaloni color
terra di Siena.
Ha concluso di fare il giro della chiesa, le mani in tasca - ora non
più fasciate, grazie al nullaosta del dottor Berti che, la
mattina stessa, lo ha visitato e gli ha permesso di togliersi le
bende, data la miracolosa e veloce guarigione delle escoriazioni-
ritorna da lei, un grande sorriso stampato in volto:
-Hai visto? Sono qui tutti per te e per il tuo talento. Sei riuscita a
fare un lavoro splendido, devi essere orgogliosa di te, proprio come lo
siamo noi!-
-Sì, lo sono! E' da tanto che non provavo questa sensazione
di pienezza e di entusiasmo, sono così felice che quasi non
ci credo! A proposito, vuol dire che ti piacciono davvero molto se li
stai rivedendo per la seconda volta!-
-E chi ti dice che stavo guardando le tue foto? Erano gli affreschi ad
interessarmi, non loro!- ribatte con tono serio il ragazzo, subito dopo
pronto ad aggiungere: -Ovviamente scherzo, anche se devo ammettere che
da amante dell’arte quale sono, anche quelli sono magnifici
... -
-Hai ragione- gli concede Aurora, assumendo un' espressione fintamente
arrabbiata -e, visto che su una cosa siamo d’accordo, per
questa volta ti perdono!-
Tommaso sorride, poi, la voce profonda, le domanda:
-Ti posso offrire qualcosa da bere?-
La prima cittadina, infatti, ha fatto allestire un piccolo rinfresco in
un angolo della chiesa: ci sono tramezzini, focaccine, pizzette e
bibite varie.
-Sì, grazie, mi è venuta una certa sete!-
I due si avvicinano al banchetto, poi il giovane le rovescia in un
bicchiere di carta il contenuto di una bottiglietta in vetro.
-Allora, continui a trovarti bene alla casa rossa, dopo che siamo
rimasti solo noi due?- esordisce la forestiera dopo un paio di sorsi
dell’analcolico alla pesca.
-Beh, è passato meno di un giorno dalla fine della
convivenza con la mia spasimante, la donna dei miei sogni, e non puoi
certo chiedermi di dimenticarla così, su due piedi ... -
-Non dirmi che stai parlando della signora Lina?!-
-E di chi, se non lei?!-
I due scoppiano in una sincera risata, divertiti e sollevati per
l'allontanamento della morbosa vecchietta dalla villa, in lacrime e con
un fazzoletto bianco ricamato in mano, pronto a sventolarlo in
direzione di Tommaso, un passo sì e l'altro pure, mentre
Roberta cercava di trascinarla via.
-A parte gli scherzi, perché non dovrei trovarmi bene? Se
dimentichiamo il modo in cui mi hai trattato al mio arrivo, direi che
non posso assolutamente lamentarmi!-
-E’ vero- conferma la ragazza, abbassando lo sguardo e
sentendosi colpevole -quella mattina sono stata imperdonabile e
terribilmente maleducata. Scusami ancora, davvero ... -
-Ormai è acqua passata. Senti, ti va di uscire un momento?-
-D’accordo, almeno posso riposarmi per un po’
dall’assedio dei fan!-
Qualche ritardatario si affretta a raggiungere la chiesetta, un cenno
di saluto rivolto in direzione di Aurora e di Tommaso.
Per il grande evento, è stata messa una panca appoggiata al
muro, così i due forestieri ne approfittano
per sedersi, i bicchieri di carta rossi in mano:
-Ti ricordi che ieri mattina e prima che c’interrompesse la
signora Lina … -
-La tua spasimante- lo stuzzica lei, mentre si passa l’indice
destro sotto l’occhio e poi si sistema i capelli
già perfettamente in ordine, in un tic nervoso.
-Forse lei vuole esserlo, ma per fortuna non è
così … comunque, quella mattina stavamo parlando
in soggiorno e io ti stavo chiedendo una sorta di consiglio, te lo
ricordi?-
-Sì, certo: volevi raccontarmi qualcosa, ma non sapevi da
dove incominciare. Se non sbaglio, c’entrava la saggezza ... -
-Beh, non esagerare- un lieve sorriso affiora sul volto del ragazzo,
mentre, con la mano destra su cui sono ancora visibili gli esiti delle
escoriazioni, fa ruotare il bicchiere ancora mezzo pieno.
–Era solo una metafora per farti capire che da quando sono
arrivato ci sono molte cose che adesso mi sembrano più
limpide, più chiare ... un po’ come
l’acqua-
-L’acqua a volte non è affatto limpida, purtroppo-
precisa lei con un sorriso dal sapore sarcastico.
-Hai ragione, infatti per me non lo è stata per molto tempo.
Ma adesso, in questo luogo e in questo momento, grazie a te, ho capito
che non ci si può nascondere dietro le apparenze, dietro una
maschera, solo perché si ha paura. Aurora, mi devi
promettere che non mi giudicherai per quello che sto per dirti
… -
Tommaso cerca di creare un contatto, toccando la mano sinistra della
forestiera.
-Così mi stai spaventando, che cos’è
che ti turba a tal punto da non riuscire a spiegarti? Ci stai girando
intorno da troppo tempo: insomma, o è una cosa talmente
grave da non sapere come uscirne, oppure sei così imbranato
che non ti vengono le parole per dire una cosa tanto semplice!-
La ragazza riprende a sorseggiare il suo aperitivo, poi appoggia il
bicchiere vuoto tra lei e il giovane.
-Entrambe le cose, ho quasi paura di quello che provo e sì,
sono anche imbranato!-
Se fosse stato un fumetto, probabilmente l'abile disegnatore avrebbe
raffigurato una lampadina proprio sulla testa di Aurora, gli occhi
sgranati e la bocca semiaperta.
-Di quello che provi? Ma tu non eri … ?-
-Dov'è la nostra fotografa? Ah, eccola qui! Signor Pastero,
venite, entrate, è il momento dei ringraziamenti ufficiali!
La reclamano a gran voce!- il sindaco interrompe quella mezza
confessione che, per la seconda volta in poche ore, rimane bloccata in
gola al forestiero.
Turbata, lei accenna un sorriso e, senza neppure rivolgere uno sguardo
dubbioso a Tommaso, si precipita in chiesa, seguita a ruota tutti dagli
altri due, il bicchiere con l'aperitivo ormai svuotato.
Quella sera, dopo la cena in casa di Liliana per festeggiare
l’apertura della festa e il successo della mostra, lei si
ritira in camera con un nuovo senso di malinconia e di incertezza che
le attanaglia lo stomaco.
Nonostante l’eccezionalità della giornata, i
complimenti, le strette di mano, la compagnia, ha come una
strana sensazione.
Per tutta la serata, ha cercato -almeno fisicamente- di stare il
più lontano possibile da Tommaso, anche se con la mente e
con lo sguardo cercava di rincorrerlo non appena si allontanava dal suo
campo visivo.
Il terrore di quelle frasi lasciate a metà,
l’angoscia del significato delle parole non completamente
dette, quasi la stordisce: non
voglio più uomini nella mia vita, non voglio avere altre
sofferenze, non voglio che mi facciano ancora del male.
Poi il pensiero vola a Teresa, a quella giovane donna che ha vissuto
nella casa rossa, anzi alla giovane padrona della casa rossa: tempo
prima, quando era tornata dalla città dove aveva portato
Macchia dal veterinario, ha giurato a se stessa che non avrebbe fatto
la sua stessa fine, che avrebbe lottato per imporre le sue idee.
E adesso, l’unica idea in testa è quella di
allontanarsi da Tommaso, l’estraneo piombato alla villa
quattro giorni prima, che ora sta improvvisamente
minando
la sua incolumità, la sua stessa vita.
No, avrebbe fatto di tutto perché non succedesse
un’altra volta, lo avrebbe cacciato se fosse stato
necessario, lo avrebbe aggredito, lo avrebbe preso a pugni, ma non gli
avrebbe permesso di farle del male.
Un lieve bussare alla porta la distoglie bruscamente dai suoi
tormentati pensieri: il panico l’assale, non sa cosa fare,
divora con lo sguardo la sedia e, subito, pensa di metterla di fronte
alla porta per impedirgli di entrare.
Si accorge presto dell’idea stupida che le è
balzata in mente: non servirebbe a niente, non ha neppure la chiave con
cui chiudersi dentro, anzi, per un assurdo scherzo del destino
è l’unica porta della casa a non averla.
-Aurora, posso entrare?-
-Un attimo, aspetta un attimo-
Guarda il comò, troppo grande e pesante, lo scrittoio rimane
la sua unica salvezza: mentre lo trascina, inciampa sul pavimento e
cade carponi.
Il cuore accelera i battiti, le mani sudano, gli occhi inorriditi
continuamente rivolti verso la porta.
-Tutto bene? Per favore aprimi- la voce di Tommaso risuona preoccupata
e insistente.
Arrendevole a quello che immagina accadrà di lì a
poco, la forestiera piega le ginocchia, poi affonda la testa tra le
ginocchia, cullandosi avanti e indietro.
Passano così otto, dieci secondi, ed ecco, di nuovo, la voce
dell’orco:
-Aurora, stai bene? Mi stai facendo preoccupare! Per favore, fammi
entrare!-
Lei, rassegnata e tremante, le mani che con forza sfregano le guance,
si alza, a passi strascicati, si avvicina alla porta, aprendola come se
pesasse tonnellate.
-Finalmente! Mi hai fatto spaventare! Cosa ti è successo
… ?-
Con le dita ormai libere dalla fasciatura, Tommaso cerca di sfiorare il
viso di lei che, bruscamente, si tira indietro:
-Non toccarmi!-
-Va bene, scusami- ribatte stupito -sono venuto solo perché
volevo concludere con te quel discorso infinito che, per un motivo o
per l’altro, non riusciamo mai a terminare. Hai un attimo di
tempo?-
-Ho sonno, magari domani sarà il momento adatto-
-Sei sicura? Non ci metterò molto, te lo prometto- insiste
speranzoso, ma viene subito zittito.
-No, te l’ho detto, sono stanca. Oggi è stata una
giornata molto impegnativa e ho la testa che mi scoppia-
-E’ solo che … -
-Ho detto di no, per favore!-
Il tono risulta in falsetto, irriverente e persino rabbioso.
-Come vuoi tu. Allora buonanotte-
-Buonanotte-
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Capitolo 16 *** Fuochi d'artificio ***
FUOCHI D'ARTIFICIO
VENERDI' 28 LUGLIO
Una pianta di orchidee rosa pallido è appoggiata sul tavolo
della cucina.
Inutile dire che Aurora avesse faticato per riuscire ad addormentarsi
anche solo per qualche minuto continuativo, ossessionata dalla paura
che il suo coinquilino potesse farle del male.
Alle sette, quando i raggi del sole erano filtrati attraverso le
fenditure delle persiane lasciate accostate per il caldo notturno, la
ragazza abbandona definitivamente il proposito di riposarsi.
Lungo il corridoio, il pigiama ancora indosso, non può far
altro che passare di corsa davanti la stanza di Tommaso, che ha ripreso
possesso della camera dopo la partenza della signora Lina, avvenuta
ormai due giorni prima.
Mentre sorseggia un bicchiere di latte freddo e inzuppa un paio di
grossi biscotti al cioccolato, la forestiera si accorge della presenza
di Macchia, che le viene incontro miagolando ed agitando sinuosamente
la lunga coda folta.
Aurora si alza e gli prepara la colazione, versando il solito liquido
bianco nel sottovaso.
-E’ un piccolo regalo per farmi perdonare-
Lei sobbalza, reprimendo a stento un'esclamazione di terrore: il
giovane coinquilino è appena spuntato da dietro la porta.
-Perdonare? E di che cosa?- riesce a boccheggiare la ragazza, non
guardandolo negli occhi scuri e profondi.
-Non lo so, ma qualcosa devo pur aver fatto: ieri sera, mi hai trattato
come se ti avessi offesa, anzi, peggio, quasi non ti facevi avvicinare
... -
Un sospiro si fa largo tra le labbra della forestiera, che è
ritornata a sedersi, dopo aver sfiorato insicura le foglie
dell’orchidea:
-Non è colpa tua, sono io che non mi sentivo bene-
Tommaso fa spallucce, la maglietta arancione e i jeans blu notte, i
piedi nudi sul pavimento irradiato dalla luce del sole.
-Mi dispiace, ma almeno so che non sei arrabbiata con me. Ora come ti
senti?-
-Meglio, adesso mi è passato. E’ molto bella, la
pianta, non dovevi disturbarti- ribatte Aurora, retraendosi sulla sedia
e continuando a sorseggiare dal bicchiere.
-Te l’ho detto, è solo un piccolo regalo, mi
faceva piacere fartelo- continua il ragazzo, sorridendo e sedendosi
sulla sedia opposta.
La forestiera si alza di colpo, avvicinandosi al frigorifero: lo apre e
tira fuori nuovamente la bottiglia di latte.
-Macchia lo ha già bevuto- s’intromette il
forestiero, alzando la mano destra nella sua direzione.
-Come fai a saperlo? Mi spii? -
-Certo che no! Semplicemente é da un'ora che sono sveglio: quando sono sceso in cucina, quel
furbacchione era già qui a reclamare la sua dose di latte
mattutino, ecco perché lo so!-
-E tu invece? Hai già fatto colazione?- mugugna, cercando di
mantenere un tono di voce il più neutro possibile.
-Sì, non preoccuparti- riprende lui, cercando di avvicinarla
nuovamente.
-Senti, per quel discorso che volevo finire con te, ieri sera, se non
vuoi non ne parliamo ... non è poi così
importante-
Aurora lo guarda confusa, una mano appoggiata al tavolo, le gambe
praticamente attaccate allo stipite della porta, pronta a scappare: non
sa se esserne sollevata o se pensare alla prossima mossa del
ragazzo
da anticipare, incredula per il fatto che voglia demordere
così facilmente.
-Credo che sia meglio. Almeno durante i giorni della festa, vorrei
stare tranquilla. Forse, quando sarà tutto finito, potremmo
riparlarne-
Tommaso si arrende all'evidenza: ormai non tenta più alcun
approccio, né tantomeno ritorna a sedersi, ma rimane in
piedi, a una debita distanza che possa non preoccupare la forestiera.
-Come preferisci. Allora, oggi quali sono i programmi?- continua
allegro.
-Per prima cosa, sistemare un po’ la casa. Da quando se ne
sono andati tutti gli ospiti, sono riuscita a fare solo il necessario.
Tu, però, puoi fare un giro in paese, se ti va ... -
-In realtà, sempre che ti faccia piacere, potrei
aiutarti: faremo sicuramente prima, insieme-
-Non mi sembra una buon idea. Sono passati appena tre giorni
dall’incidente e, anche se il medico ti ha dato il permesso
di rimuovere le fasciature, forse ... -
-Smettila di preoccuparti- taglia corto Tommaso, ancora all'altro capo
della cucina, vicino al frigorifero.
-Se ti dico che ce la posso fare, è così. E poi,
non puoi continuare a trattarmi come una mummia, è un ruolo
che non mi si addice!-
Aurora si lascia andare ad un sorriso:
-Va bene, quattro mani sono meglio di due. Pensavo di spazzare e pulire
i pavimenti, poi vorrei mettere fuori all’aria i tappeti
delle stanze. Cosa ne dici?-
-Mi sembra un bel lavoro, credo che così ne avremmo per
tutta la mattinata- risponde il giovane, riavvicinandosi di qualche
passo.
-Perfetto, prima iniziamo e meglio è. Finiremo presto,
così
oggi pomeriggio
potremo andare alla festa-
Tommaso annuisce, mentre la forestiera riprende a versarsi il latte in
un bicchiere: questa volta lo tracanna velocemente, solo per buttar
giù qualcosa, perché la fame e la sete l'hanno
abbandonata, ma sa che, se bevesse a piccoli sorsi, potrebbe vomitarlo
ancora prima che arrivi nello stomaco.
-Andiamo?- domanda lei, mentre risciacqua il bicchiere e poi ritira la
bottiglia.
-Dove mi porti?- domanda lui, divertito.
Escono dalla cucina e si avviano verso il retro della casa, nel capanno
degli attrezzi:
-Toglimi una curiosità … ma ti sei portata il
necessario per le faccende domestiche da *** o hai fatto rifornimento
qui?!-
-Credi davvero che sia così paranoica?- lo guarda
indispettita, dandogli le spalle.
-Mi dispiace deluderti, ma tutta questa roba non l’ho dovuta
comprare: nella rimessa ho trovato la scopa, mentre lo
spazzolone me lo ha prestato Liliana ieri sera, quando le ho detto che
oggi avrei lustrato per bene la villa- conclude con uno sbuffo, dopo
aver recuperato il materiale al gran completo.
- Ecco che cos’era quel pacco che hai portato qui, prima che
ti raggiungessi a casa loro! Volevi fare le cose di nascosto, eh? -
-Ci ho provato, ma evidentemente non ci sono riuscita!- la forestiera
porge il carico di battaglia al giovane, poi richiude a chiave la porta
della rimessa.
-Direi che possiamo cominciare, ci sono una marea di cose da
fare: potresti occuparti del piano di sotto, mentre io mi
concentrerò sul secondo. Ci sarebbe anche l’ultimo
da pulire, ma tanto non lo usa nessuno, quindi lo lascerei stare,
almeno per il momento. Allora, sei pronto?-
Tommaso si pone sull'attenti e, con il tono scherzoso ma il volto
serio, replica:
-Sissignore, signore!-
Circa un’ora dopo la suddivisione dei compiti, il sottoposto
raggiunge il generale nella stanza che, fino a due giorni, prima era
stata occupata da Linda.
-Permesso! Io avrei finito … ho spazzato e lavato il
pavimento, come mi hai detto di fare. Ti ho portato il secchio con
l’acqua, così possiamo dare una bella passata
anche qui, se ti va ... - suggerisce il ragazzo, avvicinandosi alla
forestiera.
-Ah, grazie- lo accoglie, affacciata ad una finestra, mentre i capelli
castano chiaro sono ormai scompigliati sulla fronte, un leggero abito
rosso e blu che ha sostituito il pigiama.
-Stavo finendo di mettere fuori i tappeti: per fortuna che la
biancheria se la sono portata da casa, altrimenti non saprei dove
l’avrei presa, per tutta quella gente!-
Il ragazzo, il volto abbronzato e leggermente arrossato dal vigore
impiegato fino a pochi attimi prima, conferma le sue parole,
sorridendo:
-E’ vero: sono stati molto previdenti a portare lenzuola,
pentole, posate e bicchieri!-
-Però, vedo che non ti è sfuggito nulla, hai
fatto un elenco più che preciso ... sei più
petulante della signora Lina!- lo rimpovera bonariamente, dando le
spalle alla finestra.
-Comunque, grazie per il secchio, sarei venuta io a chiedertelo-
riprende seria Aurora, indicandolo con un cenno del capo.
-Beh, se basta solo un secchio a farti venire da me, ben vengano le
pulizie di primavera!-
Lei sorride e, per stemperare un po’ la tensione, guarda
fuori dalla porta finestra in mezzo alla stanza, anch'essa spalancata:
-E’ una bella giornata: la leggenda dei sette Dormienti non
ha sbagliato-
-I sette Dormienti?! E chi sono?- domanda lui incuriosito, sbattendo
ancora una volta i tappetti sul davanzale e rimettendoli al proprio
posto.
-Me l’ha raccontata Liliana, quando sono andata a cena da lei
il giorno dopo il mio arrivo-
La forestiera si toglie con un braccio le ciocche ribelli
dalla fronte, sbuffando e concentrandosi:
-Non
è una storia molto lunga. Dunque, i contadini, ancora oggi,
credono che il tempo che farà il 27 luglio abbia il potere
di raddrizzare
il resto dell’estate, ovvero di far sì che ci sia
sempre il bel tempo ... -
-E per quale motivo?- ascolta interessato il ragazzo, appoggiato con la
schiena alla finestra.
-Sette giovani di Efeso, durante le persecuzioni cristiane, si
nascosero in una grotta per sfuggire alla morte, ma i soldati
dell’imperatore li trovarono e li murarono vivi.
Loro però, invece di morire, si addormentarono per
moltissimi anni.
Quando si risvegliarono, si trovarono di fronte un uomo, un pastore che
aveva spostato la pietra davanti al loro nascondiglio perché
credeva fosse vuota e voleva trasformarlo in un ricovero per le sue
pecore.
I sette Dormienti, essendo convinti di aver dormito solo per poche ore,
ebbero paura di quella persona apparsa all’improvviso, ma
lui, il pastore intendo, dopo aver sentito la loro storia, li
tranquillizzò, spiegando che il cristianesimo era diventata
una religione accettata da tutti. Così, li convinse ad
uscire dal loro rifugio improvvisato e cominciarono a
viaggiare per il mondo, a diffondere il messaggio cristiano. Fine della
storia!-
-Però: credo ci sia sempre un sottofondo di
verità nelle leggende popolari e, a quanto pare, sembra che
il tempo si sia veramente raddrizzato;
rispetto a quando sono arrivato e a tutte le disavventure che ci sono
capitate, oggi al confronto, è veramente una bella giornata!-
Aurora lo guarda divertita, dimenticandosi delle riserve che aveva
nutrito verso di lui appena poche ore prima.
-Sì, è veramente una bella giornata …
-
SABATO 29 LUGLIO
La terza sera dei festeggiamenti, la penultima, la tradizione vuole che
sia dedicata ai fuochi d’artificio: come raccomandato dal
comandante dei Vigili del fuoco, lo spettacolo potrà durare
solo una decina di minuti, e dovrà essere eseguito il
più lontano possibile dalle montagne, per scongiurare altre
improvvise frane.
Alle undici in punto, il cielo dietro il campanile comincia a
squarciarsi e a illuminarsi a giorno, grazie ai colori sgargianti dei
razzi: ruote panoramiche, stelle cadenti, coriandoli, zampilli
d’acqua e cascate si disseminano velocemente, uno dietro
l’altro, per poi ricadere al suolo privi di energia.
Chi non si è riunito in piazza o nel campo appena fuori il
paese, è affacciato alle finestre e alle ringhiere dei
balconi, ad osservare con il naso all’insù lo
spettacolo pirotecnico.
E dopo la pioggia dorata e argentata, scoppiettante più che
mai, è il momento della
fuga, il gran finale, caratterizzato da un ritmo
incalzante di bombe
blu, rosa, rosse e verdi, lanciate tutte nello stesso tempo, per poi
scemare e spegnersi sul terreno una dietro l’altra, come una
rete impalpabile che sembra piacevolmente intrappolarti.
Anche quest’anno, i due fuochisti hanno fatto un ottimo
lavoro, offrendo uno spettacolo che ha sempre il potere di stupire,
festa dopo festa, generazione dopo generazione, affascinando paesani e
turisti in un gioco di luci e rumori, incredibilmente nuovi e
sorprendenti ogni volta.
La ragazza richiude la portafinestra del balcone del soggiorno, dove
hanno appena concluso di vedere i fuochi: serra le persiane con
l’apposito chiavistello e tira le pesanti tende lattescenti,
la notte ormai spenta all'esterno.
Poi, si gira verso Tommaso, rientrato dalla cucina per riportare i due
bicchieri adesso
vuoti di
acqua tonica.
-Macchia si è molto spaventato- lo accoglie Aurora,
stringendosi al petto il golf turchese.
-Me ne sono accorto. Anche il mio Argo, quando sente un rumore insolito
e più forte degli altri, cerca la mia compagnia o va a
nascondersi sotto il tavolo-
Seduti entrambi sul divano a fiori rossi, il forestiero, le gambe
incrociate, commenta:
-Poverino … spesso noi umani non ci ricordiamo che per il
nostro divertimento facciamo loro del male, a degli animali che non
possono capire quello che sta succedendo e che, per questo, si affidano
totalmente a noi –
-L’importante è che adesso si sia ripreso: dopo le
coccole, l’ho lasciato tranquillo su una sedia in cucina,
pronto per dormire!-
-Ottimo, andiamo di là anche noi: mi è venuta
ancora sete-
Il
giovane si alza, la mano destra tesa verso quella di Aurora, ad
invitarla a seguirlo: la ragazza lo guarda titubante, poi si lascia
andare e, sorridendo, si avviano verso la stanza adiacente, il rumore
placido del riale
che scorre a pochi metri dalla villa.
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Capitolo 17 *** La sfilata dei carri ***
LA SFILATA DEI CARRI
DOMENICA 30 LUGLIO
Sui
muretti che costeggiano le rustiche ma curate case e quelli che
rasentano il perimetro degli esercizi della via principale, si possono
contare un centinaio di persone, le teste rivolte a sinistra:
c’è chi è seduto in modo composto
nell’attesa del grande inizio, chi -come i bambini e i
più giovani- è in piedi a farsi schermo con le
mani per non rimanere abbagliato dalla luce solare, mentre qualche raro
ritardatario, perlopiù dei paesi limitrofi, si appresta a
trovare un posto.
Le
donne del Comitato feste fanno parte ovviamente del primo gruppetto: si
sono riservate un angolino appartato ma dalla visuale eccellente,
trascorrendo i minuti che mancano a chiacchierare animatamente del
tempo, domandandosi se reggerà per l’intera
sfilata e commentando come sono stati a dir poco incantevoli i fuochi
d’artificio della sera precedente, ormai dimentichi del
pericolo della frana che incombeva sull'intero paese,
solamente pochi giorni prima.
Tutte
vestite nei loro completi di appartenenza blu elettrico, cercano di
contrastare l’aria tiepida del pomeriggio con antiquati
ventagli spagnoleggianti: i turisti le rivolgono sguardi incuriositi,
all'opposto degli altri abitanti del paese, che sono ormai
abituati a quel défilé.
-Eccoli,
arrivano!- si sente gridare emozionato qualche bambino.
Come
se fosse stata pronunciata una parola d’ordine, il capannello
di presenti aumenta il chiacchiericcio, mentre si fanno largo i primi
gridolini di giubilo: in lontananza, infatti, comincia ad
intravedersi la banda musicale, impeccabile nella sua divisa di rito,
costituita da pantaloni verdi per gli uomini e gonne del medesimo
colore per le donne, le camicie bianche e le giacche rosse a sfidare il
caldo estivo.
Il
complesso di sedici elementi dista ancora due o trecento metri, ma le
fanfare che lo precedono hanno iniziato a suonare e a richiamare
l’attenzione di tutti.
Pietro,
uno dei due uomini del Comitato, regge sorridendo orgoglioso lo
stendardo con lo stemma del paese: grande, a forma di scudo, svetta in
alto sull’alabarda, mentre sulla stoffa vecchia di quasi un
secolo, campeggiano i colori del paese cuciti nelle immagini ritranti
le montagne, il lago e la forma del sole.
Ora
la banda si riesce a scorgere con grande chiarezza: ecco il maestro che
dirige gli orchestrali, i musicisti di trombe e di clarinetto
che precedono quelli di tamburi e di grancasse, gli sbandieratori che
agitano verso il cielo quei pezzi di stoffa colorata dai volteggi
così perfetti, a disegnare eleganti figure che fanno
ondeggiare le teste dei presenti ritmicamente
all’insù e all’ingiù.
E
dietro, a chiudere la parata, arrivano sorridenti bambini e ragazzi
vestiti con gli abiti tipici della vallata –grembiuli
ricamati, calze bianche e zoccoli di legno decorato- intenti a lanciare
fiori, caramelle e cioccolatini sulla folla festante, mentre i genitori
e i parenti indirizzano loro baci e applausi entusiasmanti.
-E’
bellissimo!- esclama Aurora che, grazie a Liliana, è
riuscita a ritagliarsi uno spazio privilegiato per godersi la famosa
parata, proprio a metà della via principale, seduta sul
muretto del negozio della bottegaia.
-Non
avevo mai visto niente del genere, nemmeno a Carnevale
c’è questa atmosfera! Quando sfileranno i carri?-
le fa eco Tommaso, cercando di sovrastare la piacevolissima musica che
accompagna le loro parole.
-Non
lo so, credo alla fine della banda!- gli ribatte la ragazza,
affascinata dallo spettacolo che continua a snodarsi davanti a loro,
imperterrita a battere ritmicamente le mani.
I
due giovani si sorridono, per poi essere nuovamente risucchiati
dall’atmosfera festante: l’orchestra è
ormai passata, è giunta in fondo alla via principale e
continua a suonare e ad incantare le orecchie del loro pubblico.
Lo
sguardo degli spettatori non riesce più a seguire la colonna
di musicisti, perché sta proseguendo
celermente fino ai prati vicino ai campi, destinati
all’insediamento degli stand enogastronomici, al banco di
beneficienza e ai capannoni che, in quei giorni, ospitano con grande
successo pranzi, cene e veglie danzanti.
Un
rombo di motore arrugginito dal tempo si fa strada tra il continuo
chiacchiericcio e i gridolini esultanti della folla, costringendo a far
voltare le teste dei presenti verso la direzione opposta, la musica
un'eco lontana.
La
signora Liliana, un elegante abito rosso di cotone a maniche corte e i
capelli biondo cenere raccolti, batte le mani come tutti gli altri e,
con un leggero colpo di gomito, per farsi sentire in mezzo a tutto quel
frastuono, urla ad Aurora:
-Adesso
è il momento dei carri! Il trattore della prima edizione
della festa annuncia l’inizio ufficiale della sfilata!-
La
forestiera e Tommaso annuiscono, sporgendosi tra la folla per vedere il
tanto atteso arrivo.
Qualche
minuto dopo, uno dietro l’altro, giungono i carri, in fila e
composti a una cinquantina di metri di distanza, guidati dai
rappresentanti dei vari rioni: la ragazza intravede lo zio di Linda e
il marito di Roberta.
All’altoparlante,
la voce di Vittorio, seduto su una sorta di sidecar che precede i
veicoli su cui sono state montate le figure di cartapesta, annuncia con
entusiasmo le caratteristiche delle varie opere, mentre tutti
applaudono ed emettono fischi di incoraggiamento.
Il fotografo ufficiale, lo stesso uomo che continuava a scattare
durante l'inaugurazione della mostra fotografica appena tre giorni
prima, cerca di immortalare quegli attimi apparentemente ripetitivi, ma
ogni anno così unici.
Aurora,
una camicetta rosa antico con le maniche a sbuffo e un paio di
pantaloni di seta nera su dei sandali beige, vede passare proprio di
fronte a lei il trattore che trasporta il lavoro dello zio di Linda,
l’ultimo della sfilata: quell’opera maestosa che ha
visto poco più di una settimana prima, le appare in tutta la
sua magnificenza, ancora più della prima volta, mentre gli
altri cinque carri sembrano quasi sfiorarla, talmente le passano
vicini.
Ora
tutto è finito, la sfilata tanto attesa che ha richiesto
l’impiego di molte energie e altrettanti uomini, si
è conclusa anche per quell’anno.
I carri
si dirigono verso i prati vicino ai campi, dove verranno parcheggiati
ai lati della strada, chiusa per l’occasione ai veicoli a
motore, per permettere l’afflusso ordinato della folla
festante.
Pochi
attimi di felicità e di giubilo hanno ripagato mesi di duro
e faticoso lavoro, nonché di sacrifici ampiamente ricambiati
dagli applausi e dai complimenti gridati dalla folla compiacente.
-Vi
è piaciuto?- domanda la bottegaia, ancora battendo le mani
all’ultimo carro che se ne va, girandosi in direzione dei due
giovani, mentre il campanile batte i quattro rintocchi.
-Immensamente-
risponde la forestiera, sorridendo con gioia, seguendo con lo sguardo
l'ultima opera, quella dello zio di Linda, raffigurante i contadini
piangenti e il cerchio di bambini che ballano tenendosi per mano.
-E’
stato uno spettacolo unico!- ribatte Tommaso, una camicia blu
oltremare con le maniche lunghe e un paio di jeans scuri,
degli eleganti mocassini a completare l’abbigliamento.
-Benissimo,
sono molto felice! Allora, adesso, possiamo andare agli stand: per
l’ultimo giorno, ogni anno allestiscono delle bancarelle con
delle cose molto graziose, ancora più degli altri giorni!-
spiega la donna, mentre si fa largo in mezzo alle persone, elargendo
saluti praticamente a tutti i presenti a lei famigliari.
-E
poi tra un’ora ci sarà la premiazione dei due
concorsi, quello per la miglior torta e per il miglior balcone
fiorito!- ricorda Liliana, finalmente fuori da quell’ammasso
di gente.
Attraversano
la via principale, transennata per impedire il traffico che non sia
esclusivamente su due piedi, per poi girare a destra di fronte alla
piazza della chiesa con i vasi di fiori e le panchine di pietra,
proseguendo infine verso i prati rigogliosi.
Quando
arrivano a destinazione, al campo sportivo, li accoglie una distesa di
fili d’erba, talmente verdi da sembrare finti, ricoperta per
gran parte della sua area dai due capannoni adibiti ad ospitare i
pranzi, le cene e le veglie danzanti, mentre il resto del terreno
è occupato dai banchetti per l’esposizione delle
torte e dei vari prodotti provenienti dall’intera vallata: ci
sono manifatture di legno intagliate a mano, soprammobili, saponette
profumate, cibi tipici, collane, braccialetti e anelli realizzati con
le pietre del lago.
Aurora
si guarda intorno, trasportata da quella fiumana di gente: molti sono i
turisti e gli abitanti dei borghi limitrofi, che hanno così
triplicato il numero delle persone del paese, tutte intente a
passeggiare alla ricerca di qualche particolare souvenir da
conservare come testimonianza di quella piacevole giornata.
La
ragazza si sente di nuovo felice, appagata da quello spettacolo che ha
davanti e ai ricordi ancora così recenti della
manifestazione a cui ha assistito poco prima.
E’
circondata da persone di cui si può fidare, è
accettata così com’è, ora tutti le
sorridono e lei sorride agli altri che, non appena la incrociano, la
riconoscono e colgono l’occasione per complimentarsi ancora
una volta per la bellissima mostra fotografica di cui è
l’autrice, visibile nella chiesetta di
sant’Abbondio fino all'indomani.
Mentre
passeggia sottobraccio a Tommaso, di cui ora sente di potersi
completamente fidare, si ferma a contemplare una meravigliosa borsa di
rafia intrecciata, coloratissima e capiente.
Con
un cenno della mano, fa capire al suo accompagnatore che ha intenzione
di comprarla: una volta scelto il modello, la donna sulla cinquantina
che l'ha servita, la impacchetta e gliela porge augurandole buon
proseguimento.
Il
ragazzo, dopo che hanno ripreso la loro passeggiata, zigzagando tra le
persone davanti ai banchetti, commenta con un sorriso:
-E’
un po’ come il sogno che ti ho raccontato qualche notte fa
… ricordi?-
-Certo
che mi ricordo!- lo rassicura lei, stringendogli con affetto un braccio
-forse la tua è stata una specie di premonizione della
giornata che si sarebbe svolta oggi!-
-Chissà,
può darsi! Comunque, sono felice che tra di noi sia tornato
tutto come prima-
-Anch'io ne sono contenta, Tommaso-
-Cosa ne dici se dopo la premiazione ci mangiassimo una fetta di quella
torta? Sembra buonissima!-
Aurora
si blocca davanti allo stand, l’aria divertita:
-Ma
dai, lo dici solo perché sicuramente sarà la
torta vincitrice, dato che è stata fatta dalla tua
spasimante e pesta i piedi se non la si accontenta!-
In
effetti, il banchetto davanti al quale si sono fermati, è
proprio quello dedicato alla gara culinaria: appoggiati in eleganti
piatti di ceramica posti su un’altrettanta raffinata tovaglia
bianca ricamata con dei minuscoli girasoli, fanno bella mostra una
dozzina di dolci all’apparenza golosissimi e
appetitosi; davanti ad ognuno di esso, campeggia un segnaposto con il
nome della massaia che lo ha cucinato.
-Buongiorno!-
I
due giovani si girano nella direzione da cui proviene la voce: il
sindaco, raffinata in un abito color amaranto e i capelli castano
chiaro lasciati sciolti sulle spalle, stringe loro la mano.
-Finalmente
sono riuscita a trovarvi! Volevo farvi un saluto, ma sono stata
assorbita fino adesso a svolgere il mio ruolo di giurata!-
-Avete
già deciso chi sarà la vincitrice del concorso?-
s’intromette Tommaso, ammiccando verso la coinquilina, che fa
finta di sbuffare.
-Certo,
signor Pastero! Diciamo che c’è stato un ex aequo, che ha
visto primeggiare la signora Adelaide, una delle tre vecchiette
che avete gentilmente ospitato alla villa nei giorni
precedenti e … la signora Lina-
-Non
avevo dubbi … - commenta con una punta di sarcasmo la
forestiera, mentre il ragazzo non riesce a reprimere un sorriso e una
scrollata del capo.
-Lo
ammetto, anche l’anno scorso si è ripetuta la
stessa storia, ma se non la facciamo vincere … - confida a
bassa voce la prima cittadina - abbiamo paura di qualche
ritorsione!-
-E
che cosa hanno vinto?- s’informa Tommaso, spostandosi per
lasciar passare un gruppetto di persone.
-Una
pergamena con i nostri eterni complimenti! A proposito, le torte si
possono comprare! Il ricavato sarà devoluto alle casse del
nostro Comitato, quindi, fatevi avanti!-
-Contribuiremo
molto volentieri! Invece, per il concorso per il miglior balcone
fiorito? Avete già scelto?- continua Aurora, speranzosa che,
almeno in quella gara, la Lina non si sia intromessa.
-Sì,
ieri pomeriggio la giuria si è riunita e abbiamo deciso
quasi all'unanimità! Ha vinto la signora Teresa, la donna
che abita davanti alla casa di Liliana, ha presente?-
La
forestiera annuisce vagamente.
-Ora
scusatemi, ma gli ospiti mi reclamano!- li saluta il sindaco,
dirigendosi verso un capannello di uomini e donne che le fa cenno di
raggiungerli.
-Sono
tentato di comprare una di queste meravigliose torte: dal momento che
non le distribuiscono, è un peccato lasciarsele scappare,
sembrano così buone … - suggerisce Tommaso,
avvicinandosi di pochi passi all’esposizione.
-Scommetto
che vuoi comprare quella della tua spasimante … -
-Uhm,
non saprei- commenta scherzando il giovane, facendo spallucce
- non posso sempre dargliela vinta, non credi?-
Poi,
come un miraggio nel deserto, tutto si ferma: lei intravede il viso di lui, quel sorriso
perfetto, quel volto rassicurante che la osserva tra la folla, in mezzo
ad altre centinaia di volti sconosciuti che le passano di fianco e la
sfiorano con lo sguardo.
Si
blocca improvvisamente, lì su due piedi.
Gli
occhi frugano avidi alla ricerca di lui, il naso freme
impercettibilmente, le guance si imporporano, la bocca si dischiude
smarrita.
La
mano di Tommaso le sfiora il braccio, riscuotendola da quel torpore
così meraviglioso ma allo stesso tempo insostenibile da
interpretare come una sensazione reale.
-Aurora,
va tutto bene? Perché ti sei fermata?-
-Scusa-
deglutisce, sbattendo le palpebre per cercare di focalizzare la scena
in lontananza.
-Mi
sembrava di aver visto una persona: era lì, dopo quella
bancarella- continua, indicando in quella direzione.
-Ma forse era solo qualcuno che gli assomigliava … -
-Se
vuoi possiamo avvicinarci, non è un problema ... -
L’indecisione
e il panico l’assalgono: indugia per qualche secondo,
combattuta tra il desiderio bruciante di correre verso di lui e la
lenta e razionale presa di coscienza che quello che ha visto
è stata solo una suggestione, un uomo che assomiglia al suo
Mattia, lontano da lei e che forse l’ha già
dimenticata.
-No,
non fa niente- si riscuote decisa, ritornando a guardare negli occhi
Tommaso.
-Mi
sarò sicuramente sbagliata. Allora, quale torta compriamo?-
|
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Capitolo 18 *** Gli ottoni ***
GLI
OTTONI
LUNEDI' 7 AGOSTO
Finiti
i quattro giorni di festa, ognuno in paese ritorna alle proprie
occupazioni abituali: i contadini e i mungitori a lavorare nei campi,
Liliana a smistare merce tra gli scaffali della bottega e i
membri della Proloco a organizzare le celebrazioni per il
santo patrono.
Le
giornate continuano ad essere intiepidite dal sole che adesso si
accompagna nel pomeriggio a refoli di vento ora fastidiosi ora
cullanti.
La
sera prima della partenza di Tommaso, otto giorni dopo la fine dei
festeggiamenti, il giovane e Aurora si stanno occupando di bagnare i
fiori e le piante del giardino, sofferenti per quella calura
così pressante.
In
mezzo ai gigli arancioni, le dalie purpuree, le margherite bianche, i
cespugli di lavanda e quelli di gelso, il tempo sembra fermarsi:
ciò che c'è all'esterno di quella sorta di
cerchio magico sembra non esistere, appare privo di importanza; persino
Macchia si dipana da quei grovigli alla ricerca di qualche insetto da
inseguire, schivando con agilità i tronchi invecchiati del pruneto e
del melo.
-Stamattina,
sulla porta della bottega, ho visto una locandina di un concerto di
musica classica. Si svolgerà questa sera, nella chiesa
principale della città. Ci andiamo?-
Tommaso
ha rotto il silenzio che si era creato dopo aver parlato degli
argomenti più disparati, lasciando un vuoto di parole e di
pensieri.
La forestiera è intenta a non sporcarsi con la gomma
imbrattata di terra che, come un serpente strisciante, si aggira
famelica per il giardino e, ai suoi comandi, si libra leggiadra da una
parte o dall’altra per dissetare ora un fiore ora una pianta.
Cercando
di non abbandonare la presa su quell'improbabile rettile, con la mano
libera Aurora diminuisce con sicurezza il getto dell’acqua,
stringendo la leva del rubinetto a pochi metri da loro.
-Fino a due
giorni fa, non ho
visto nessuna locandina ... -
-Probabilmente
le hanno distribuite solo ieri o oggi. Allora, vuoi che andiamo?
Pensavo di fare qualcosa di speciale per concludere la mia permanenza
qui, una cena mi sembrava sminuente … -
La
ragazza lo guarda sorridendo, pronta a replicare senza riserve:
-Va bene, se vuoi ci andiamo. Mi piace la musica classica. Sai anche
quale sarà il programma?-
-E’
un quintetto di ottoni ma non c’era scritto cosa suoneranno.
Il concerto inizierà per le nove-
-Bisognerà
informarsi dell’orario dei treni: più tardi
andrò a vedere in stazione-
Il
serpente di gomma guizza felice tra le dalie e la lavanda, qualche
spruzzo si leva verso i due improvvisati giardinieri.
La
forestiera abbandona per un attimo la presa, perché una
mosca le sta ronzando insistentemente sulla punta del naso.
-Attenzione,
abbassalo, altrimenti ci faremo una doccia!- avverte Tommaso,
portando le mani in avanti.
Poi, prosegue con un sorriso sornione tutte le spiegazioni del caso:
-Non
preoccuparti, ho già pensato anche a questo! Dopo pranzo
sono andato in stazione a vedere quali treni ci fossero e, se non
ricordo male, c’è n’è uno
alle otto e trenta, mentre l’ultimo dovrebbe essere alle
dieci e quaranta! Credo che per allora il concerto sarà
finito, almeno spero-
Aurora distoglie per un attimo lo sguardo dalla terra inzuppata di
acqua, quando la mosca torna a disturbarla e, questa volta, colpisce
nel segno:
-
Ah! Maledetta gomma! Mi sono bagnata tutta! E’ meglio che la
piantiamo qui e che andiamo a prepararci!- suggerisce, allontanandosi
dalla pozzanghera che aveva creato.
Tommaso non riesce a trattenere una mezza risata, la maglietta
arancione mezza fradicia, così come le gambe tornite e
muscolose lasciate nude dai pantaloncini neri, le sneakers affondate
nel terreno umido.
-Mi sembra che non sei molto portata per il giardinaggio!-
La ragazza gli lancia un'occhiata per nulla amichevole e, facendogli il
verso, T-shirt e pantaloni virati dal blu al nero a causa della doccia
non prevista, replica:
-Speriamo solo di non perdere il treno, simpaticone che non sei altro.
Anche perchè non voglio passare la notte all'addiaccio con
te, maleducato!-
-Come hai detto? Ah già, hai ragione, sono troppo gentile
per i tuoi gusti! Dai, imbranata, andiamo in casa!- la consola, facendo
finta di non aver sentito le sue lamentele e avvicinandosi per
recuperarla, le mani che si sfiorano.
Hanno finito di cenare da quasi mezz'ora, e adesso entrambi i
forestieri sono nelle loro camere a prepararsi per la serata di gala.
Aurora
non ha portato abiti eleganti nella valigia, l’unico che
potrebbe andare bene per un concerto di musica classica è un
vestito azzurro, modello tubino, con l’orlo un po’
scucito, che spera nessuno noterà.
Tanto non ci conosce nessuno,
in città,
constata per convincersi a indossarlo, senza contare che è
il migliore che ho.
Specchiandosi
nell'ovale sbiadito appeso alla parete di fianco alla porta, si tira su
la cerniera laterale, facendo una difficoltà che non era
solita riscontrare: solo allora, infatti, si accorge che è
difettosa, così oltre la metà non riesce a
chiuderla.
Spazientita
e sbuffando, pesca in uno dei cassetti del comò neoclassico
di fronte al baldacchino, alla ricerca di un golf che possa abbinare,
affinché non si veda quel difetto: la scelta cade su un
cardigan bianco, i bottoni in madreperla e le tasche ricamate con dei
motivi ad onda.
Sorridendo
compiaciuta, indossa rapidamente quella salvezza, richiude il
comò, si allaccia l’orologio con il quadrante blu
recuperato dalla sedia che le fa da comodino ed esce dalla stanza con
la sua tracolla arancione, l’unica borsa che si è
portata da casa.
E
anche se stona con il resto della mise, a chi può importare?
Tanto non ci conosce
nessuno, ripete come un mantra, e si avvia
giù per le scale.
Ancora
una volta, la forestiera si ritrova a percorrere la strada che porta
alla stazione: prima, i due vicoli illuminati da un solitario lampione
che emana una luce troppo fioca, poi la piazza della chiesa, suggestiva
nel riverbero lunare, con i lunghi vasi rettangolari e le panchine di
pietra a colmarne il perimetro, infine il sentiero di terra battuta e
acciottolato che si snoda sicuro tra le case, i prati e i cespugli di
buganvillea.
Il
giorno in cui ha accompagnato la madre, seduti sulle banchine o in
piedi a piccoli gruppi composti, c’era una mezza dozzina di
pendolari, quella sera invece, sono solo lei e Tommaso ad attendere
l’arrivo del treno.
-Te
l'ho già detto che sei molto elegante?- esordisce il
ragazzo, dopo la sua ennesima e brevissima passeggiata avanti e
indietro sul marciapiede che costeggia la sala d'aspetto deserta.
-Sì, questa è la seconda volta- risponde con un
sorriso Aurora, stringendo la tracolla al ventre e abbassando lo
sguardo.
-E tu? Non hai freddo?- continua lei, indicandogli la camicia color
Tiffany.
-No,
è il maglione più pesante che mi sono portato-
-Le
serate cominciano a diventare più fresche... anche se siamo
ad agosto, si sente che siamo in montagna, vero?-
Il
vigile del fuoco la guarda facendo un'espressione strana:
-Cosa ci facciamo noi in un posto del genere, abituati
all’acqua, al mare e agli acquitrini?!-
-Gli
acquitrini … ?-
Tommaso
apre rassegnato le braccia:
-Nel mio lavoro tocca anche scendere giù nelle fogne, nel
caso s’intasino o succeda qualche incidente. Basta solo
abituarsi, cara mia!-
-Non
parlarmi di acqua, per favore! Con tutta la fatica che abbiamo fatto a
bagnare il giardino, saremmo veramente sfortunati se dovesse piovere
come nei giorni scorsi!-
Lo
sbuffare del treno li avvisa del suo arrivo, impedendo al ragazzo di
replicare: i fari della locomotiva principale illuminano i binari e,
man mano che si avvicinano, quasi accecano i forestieri.
-Sarà
meglio spostarci- dichiara Tommaso, allontanandosi definitivamente
dalle rotaie.
Il
convoglio rallenta fino a fermarsi, un leggero stridio delle ruote sul
ferro arrugginito che si snoda sotto le sue possenti ruote.
Una
volta saliti, hanno solo l’imbarazzo della scelta di dove
andare a sedersi: i vagoni, infatti, sono quasi tutti vuoti, oltre a
loro c’è una decina di persone disseminata qua e
là sui sedili dello scompartimento di seconda classe.
Scelgono
due posti sul lato del finestrino, uno di fronte all’altro.
Il
bigliettaio si avvicina ad Aurora e, facendo un cenno con il capo,
domanda:
-Buonasera,
quanti biglietti devo farvi?-
-Quattro,
due per l’andata e due per il ritorno- risponde Tommaso.
-Scendete
a *** ?-
-Sì-
conferma la forestiera.
L’uomo,
il berretto blu scuro in testa, apre la tracolla marrone sbiadita in
più punti ed estrae un taccuino e una biro dall'inchiostro
quasi terminato: scribacchia qualche cifra e poi porge al ragazzo la
ricevuta con la cifra del costo dei biglietti.
-Ecco
a voi-
Il
forestiero paga con prontezza, per poi lasciare il bigliettaio
ritornare nel corridoio, tra i vagoni di prima e seconda classe, mentre
il treno si mette nuovamente in moto.
Il
viaggio non dura molto, cinque minuti a vedere quel paesaggio notturno
di alberi, campi e case indefinite, che si confondono insieme in
un’immensa e caotica macchia scura.
La
ragazza e Tommaso scendono dal treno insieme a quasi tutti gli altri
passeggeri, dirigendosi all’uscita, dopo aver salito una
breve rampa di scalini.
Si
ritrovano nella sala d’aspetto della stazione, illuminata e
affollata di gente, sicuramente molta di più rispetto a
quella che ci sarebbe stata in quella del paese se non fosse stata
chiusa.
I
tabelloni delle partenze e degli arrivi registrano destinazioni
nazionali ed estere, ma subito Aurora distoglie lo sguardo da quei
nomi, richiamata dalle parole di Tommaso:
-Questa
mattina ho chiesto alla signora Liliana: la chiesa dovrebbe essere
oltre la piazza, dietro ai giardini che si intravedono là in
fondo-
-Ah
sì, credo di averla vista quando siamo venuti a stampare le
foto-
Sono
quasi le nove meno un quarto e si devono affrettare se non vogliono
arrivare in ritardo, così continuano il loro discorso mentre
si rimettono in moto.
Attraversano
un paio di strade, poi la piazza del mercato e infine un piccolo parco
vicino alla vecchia torre di guardia che le ha fatto vedere Linda il
giorno in cui hanno portato Macchia dal veterinario.
Dieci
minuti dopo, sono di fronte alla facciata rinascimentale della chiesa,
l'opposto della costruzione che svetta in paese.
Le
porte imponenti sono spalancate e, al suo interno, le panche appaiono
per la maggior parte occupate da numerosi e curiosi spettatori.
Di
fronte all’altare, in bella vista, sono stati sistemati
cinque leggii rossi con le spartiture per il concerto.
Lei
e Tommaso si dirigono verso la metà della navata e si
siedono su una panca libera, il rumore dei loro passi sul tappeto rosso
ammorbidito dal vociare confuso del resto degli avventori.
Sullo
schienale davanti, trovano ad accoglierli il programma della serata:
PRIMO
TEMPO
Fanfare
………………………………………..
P.Dukas
The
liberty bell
……………………………….
J.P.Sousa
Washington
Post
……………………………..
J.P. Sousa
Just
a closerwalk
……………………………..
Traditional
When
the Saints go marching in
……………
L. Armstrong
I
Buffoni
……………………………………..
Marcia Sinfonica
SECONDO
TEMPO
Memory
………………………………………..
A.L. Webber
Amparito
Roca
……………………………..
J.T. Dalmau
Cumparsita
………………………………….
M. Rodriguez
Oblivion
…………………………………........
Astor Piazzolla
Fantastica
…………………………………...
Marcia Sinfonica
-Non
ne conosco molte: Memory,
Oblivion e quella di Armstrong. Tu?- domanda la
forestiera, sussurrando e mettendo le gambe di lato per far passare una
coppia con due bambini all'incirca di tredici e dieci anni.
-In
realtà, anch’io sono nella tua stessa situazione:
qualche anno fa ero andato a vedere il musical Cats, per questo mi
ricordo molto bene la canzone Memory-
-Forse
non c’intendiamo poi così tanto di musica
classica, anche se questa non mi pare esclusivamente classica-
-In
effetti non lo è-
Una
donna dai capelli biondo cotonati e un abito nero sfavillante di pailettes, fa il
suo ingresso trionfale da una porta laterale dietro l’altare:
si avvicina al microfono sul pulpito e, con il migliore dei sorrisi che
si possa immaginare, elargisce cenni di assenso all’intera
navata, adesso zittitasi.
-Buonasera a tutti e grazie per
essere venuti alla XII^ edizione dei nostri concerti estivi! Questa
sera avremo l’onore di assaporare le note di cinque strumenti
dal suono poderoso come solo gli ottoni sanno avere: cinque maestri di
fama internazionale ci delizieranno con brani che vi stupiranno
piacevolmente, il tutto incorniciato dallo splendido ambiente che la
nostra chiesa ci offre ogni volta che qui ci riuniamo! Non mi resta
altro che augurarvi buon ascolto e buona serata!-
Un
caloroso applauso si leva dalla platea, mentre la donna si avvia sulla
panca in prima fila, occupata da altre quattro persone.
-Mi
sembra di averla già vista alla mostra- azzarda Aurora,
girandosi verso Tommaso, seduto alla sua destra.
-Forse
è il sindaco della città-
Le
elucubrazioni tra i due vengono interrotte dall’entrata in
scena del quintetto, composto da tre uomini e due donne, tutti vestiti
di nero.
In mano reggono i loro dorati e luccicanti strumenti: trombe, trombone,
corno e la maestosa tuba diventano gli assoluti protagonisti.
Un
inchino e un sorriso per nulla nervoso salutano il pubblico; poi, dopo
un’occhiata d’intendimento, i cinque musicisti
cominciano a suonare con una sicurezza degna dei migliori esperti.
Note alte si alzano da quei meravigliosi congegni, il classico suono
forte ed energico che ci si aspetta da fiati del genere.
Le
orecchie degli ascoltatori si devono abituare a quel vortice di suoni e
simboli sonori, perché la naturale eco nella chiesa
amplifica quegli immortali e splendidi fragori ma, una volta
assuefatte, vorrebbero che quel turbine non finisse più.
|
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Capitolo 19 *** Una cosa sola ***
UNA COSA SOLA
MARTEDI' 8 AGOSTO
Pioggia, pioggia e ancora pioggia: scrosci di acqua battono sui vetri
delle finestre fin da notte fonda, verso le tre comincia il diluvio.
Tic tic
fanno le gocce, schh
schh fa il riale, mentre il letto del fiume si ingrossa
sempre di più, secondo dopo secondo.
Qualche lampo solitario illumina il buio, poi tutto ridiventa scuro e
la luce artificiale dei lampioni non riesce più a supportare
quella naturale della luna, nel suo compito abituale e persino noioso
di ogni sera.
Trascorre così l’intera nottata e, adesso che il
sole nascosto da nuvole basse e pesanti si sta ormai levando, quel
paesaggio continua a rimanere in parte immutato, anche se
più chiaro rispetto a qualche ora prima.
I rintocchi delle campane squarciano il silenzio mattutino: la
forestiera conta sette rintocchi, lenti e ravvicinati, incredibilmente
vicini, poi apre gli occhi.
Fa un respiro profondo, le mani sul viso, consapevole che l'insonnia le
è stata fedele compagna: non ha dormito molto, infatti; quel
poco che è riuscita a riposare, sono stati minuti
inframmezzati dai rumori molesti e persistenti della pioggia.
Il ricordo del meraviglioso concerto della sera precedente ritorna ad
insuinarsi nella sua mente: sulla strada del ritorno fino alla
stazione, poi durante il brevissimo viaggio in treno e più
in su, ormai in paese, percorrendo il viale in salita verso la casa
rossa, Tommaso ed Aurora non hanno fatto altro che commentare lo
spettacolo; la leggiadria delle bocche e delle dita affusolate dei
musicisti, il suono potente e
al contempo carezzevole
del quintetto d'oboe, le luci sapientemente miscelate per creare
l'atmosfera perfetta, l'emozione che si fa largo dentro di lei, gli
applausi abbondantemente elargiti a più riprese ... persino
la dolce carezza del ragazzo su una spalla non ha fatto tremare la
forestiera, pronta a ricambiare quel gesto di augurio per una
buonanotte, con un sincero e riconoscente sorriso.
Adesso, però, la consapevolezza e un sentimento molto simile
alla tristezza fanno capolino in mezzo ai ricordi di Aurora,
costringendola a scacciare quei pensieri e a guizzare disturbata sotto
il lenzuolo accartocciato.
Dopo essersi levata il pigiama e aver indossato la tuta, scende
dabbasso e si dirige in cucina per preparare il
caffè, con l'intento di distrarsi.
Non vuole ammettere nemmeno con se stessa che quel miscuglio di
emozioni per nulla piacevoli non sono altro che l'esito naturale per
l'imminente addio che dovrà essere consumato a breve:
Tommaso, infatti, partirà quella mattina stessa, con il
treno delle otto.
Per questo e per ringraziarlo di tutti i bei momenti trascorsi insieme,
vuole fargli trovare la colazione pronta, come ultima dimostrazione di
amicizia, se così si può definire, il rapporto
che li ha legati in quei giorni così velocemente vissuti.
La casacca blu e grigia ben aderente al petto, la ragazza dà
un'occhiata fuori dalla finestra, muovendo con titubanza le tendine
color limone sbiadito.
Da un lato del suo cuore vorrebbe che fuori continuasse a diluviare ma,
dall'altro, vorrebbe che splendesse nuovamente il sole, per aiutarla a
superare meglio il grigio della solitudine che l'attende per le
prossime due settimane, fino a quando anche il suo soggiorno alla villa
si potrà ritenere concluso.
Il tempo non è affatto clemente, però: sebbene le
gocce di pioggia non siano grosse e simili a chicchi di riso come lo
erano appena qualche ora prima, l'acqua continua a farla da padrona.
Aurora sospira insoddisfatta, pensierosa per ciò che
l'attende, poi si concentra sull'obiettivo che si è
prefissata pochi minuti addietro.
-Buongiorno ... -
-Ciao, ti stavo preparando il caffè- le mani a svitare la
caffettiera, in piedi di fronte al lavandino, la forestiera si gira in
direzione della voce roca del vigile del fuoco, quasi stupita di
vederlo già in piedi, nonostante sia consapevole della sua
imminente partenza.
Il forestiero si avvicina alla credenza, aprendo il cassetto dove
tengono le tazzine e i cucchiaini, la parte sopra di una tuta color
petrolio su cui si apre una T-shirt cachi, i jeans di un blu sbiadito e
le sneakers
bianche e grigie.
Gli occhi nocciola sembrano penetrare per qualche secondo quelli verdi
di Aurora, che si sofferma a guardare i folti capelli castani e la
barba leggermente incolta ma curata.
-Direi che non sono molto fortunato con il tempo: quando sono arrivato
sembrava il diluvio universale e beh, anche oggi, non fa altro che
piovere … -
-Nessuno è contento che tu parta, nemmeno il tempo-
Adesso lei ha messo la caffettiera sul fuoco, poi il pacco dei biscotti
sul lungo tavolo in rovere, lo stesso che aveva bruciato con il
pentolino della cioccolata appena sedici giorni prima, quando il
ragazzo si era presentato alla casa rossa senza alcun preavviso.
Dopo una manciata di secondi in silenzio, Tommaso ribatte con il solito
sorriso a metà tra il serio e il divertito:
-Anche tu?-
-Sì, un po’ mi dispiace- ammette l'altra, con
finta noncuranza, facendo spallucce.
-Ormai mi ero abituata alla tua invadente
presenza!-
In quel mentre, arriva Macchia: trotterellando sulle zampette ancora da
cucciolo, si avvicina alla padrona, miagolando e attorcigliando la coda
sinuosa tra le sue gambe.
-Lascia stare, gli do io il latte … - si offre Tommaso,
vedendo con la coda dell'occhio la forestiera avvicinarsi al
frigorifero.
Abbozzando un sorriso, ne approfitta invece per controllare la
caffettiera che, nel frattempo, ha cominciato a sfiatare: ora il
caffè è pronto, il beccuccio della moka sussulta
impercettibilmente, mentre il forte aroma si diffonde per la cucina.
-Ecco, adesso sì che possiamo fare colazione- sancisce lei,
prendendo posto su una delle sei sedie.
I due si siedono, forse persino un po’ imbarazzati,
perché non trovano le parole per quell’ultimo
pasto insieme.
-Hai già preparato le valigie?-
-Putroppo sì. Quando siamo tornati dal concerto, nonostante
il sonno, ho finito di mettere i vestiti nel trolley. Sembra ieri che
sono arrivato ... - i biscotti inzuppati nel caffelatte, il cucchiaino
a raccogliere quelli che si sono sbriciolati, prima ancora di essersi
sciolti.
-Sei riuscita a dormire questa notte?- continua lui, lanciandole
un'occhiata che avrebbe voluto dire tutto e niente.
-Sulla mia finestra la pioggia continuava a sbattere e, in mattinata,
ho sentito il vento alzarsi e cominciare a soffiare. Devo ammettere che
non è stato piacevole come il concerto di ieri sera, vero?-
La forestiera sorride, beve un po’ di quel miscuglio che ha
nella tazza.
-No, infatti. Anch'io ho passato la stessa cosa: dormivo magari per un
paio d’ore, poi mi svegliavo, poi ancora mi riaddormentavo e
... beh, insomma, ho continuato così per tutta la notte. Ci
rivedremo ancora?- continua lei, tutto d'un fiato, smettendo ancora una
volta di fissarlo.
-A me farebbe molto piacere-
Aurora continua a sorseggiare il caffelatte, poi accantona di lato la
confezione di biscotti, spingendola quasi subito verso il forestiero,
ancora seduto di fronte.
-Anche a me … -
-Allora ti aspetto a ***. Lo sai che puoi venire a trovarmi quando
vuoi. Ah, a proposito, ti ho lasciato una busta all’entrata,
con il mio indirizzo e il numero di telefono-
Lei si alza, la tazza in mano che si riempie del getto freddo
dell’acqua del rubinetto.
-Va bene, lo stesso vale per te. Se mi aspetti un attimo, vado a
prendere un foglietto su cui scriverti anche i miei recapiti-
-Certo, tanto manca ancora mezz’ora … -
Prima,
Aurora
si reca in anticamera per prendere la busta di Tommaso, poi
sale le scale il più velocemente possibile e, una volta
arrivata nella sua stanza, apre il cassetto del comò dove
tiene la Kodak, il taccuino per gli schizzi a carboncino e
l’occorrente per disegnare.
Strappa un foglio a metà dal blocco: con una matita un
po’ troppo piccola per le molte volte che è stata
temperata, comincia a scrivere il suo indirizzo, il numero di cellulare
e quello di casa.
Poi, quando ha ormai un piede fuori dalla porta, una strana
curiosità le punzecchia la mente: riattraversa la soglia e
osserva dubbiosa la busta del forestiero.
Dal momento che non è sigillata, la apre senza
difficoltà, stupendosi del grande foglio su cui
dovrebbero essere scritti solo delle semplici cifre e il nome di una
strada.
Guarda l’orologio da polso appoggiato sulla sedia che le fa
da comodino: le sette e trentacinque, ha ancora un po’ di
tempo prima di salutare Tommaso, così dischiude quel pezzo
di carta troppo ingombrante e comincia a leggere:
"Cara Aurora,
si dice che le donne
siano il sesso debole, ma in realtà sono convinto che sia
l’esatto opposto: quando dicono che gli uomini sono dei
codardi, che non si prendono le loro responsabilità, quelle
persone hanno più buonsenso di tutte le altre che non hanno
il coraggio di ammetterlo o, addirittura, lo negano, perchè
non fanno altro che dire la verità.
In questi sedici giorni
trascorsi insieme, non ho infatti avuto il coraggio di rivelarti il
motivo per il quale sono venuto in questo paese, di cui fino a un mese
fa non conoscevo neppure l’esistenza.
Ho cercato di affrontare
il discorso più di una volta e, almeno questo, lo devi
ammettere, tuttavia mi è mancato quel pizzico di
intraprendenza in più che mi ero ripromesso di avere nei
tuoi confronti, prima del mio arrivo.
Anche adesso che sono
seduto nella “mia” stanza, non riesco a trovare le
parole giuste per dirti quello che devo raccontarti, per spiegarti chi
sono veramente.
Molto tempo fa, quando
andavo alle elementari, una delle maestre ci aveva letto un racconto di
un uomo che, per le molte bugie dette da bambino, era diventato di
cartapesta, una sorta di robot ante litteram.
Ecco, io, in tutti
questi giorni, non ho fatto altro che sentirmi quell’uomo di
cartapesta: le menzogne che mi hanno raccontato per anni, mi hanno
trasformato in un cattivo Pinocchio, spersonalizzandomi in
ciò che adesso mi ritrovo ad essere.
Spero che tu non abbia
frainteso quella volta alla mostra, quando ti ho detto che avevo paura
di ciò che provavo: mi rendo conto che non era paura quella
che sentivo, ma codardia, proprio come ti ho scritto
all’inizio di questa lettera.
Ho sempre odiato i
melodrammi, credimi: a me le cose piace dirle in faccia, apertamente,
senza troppi giri di parole, tuttavia, questa volta, qualcosa mi blocca.
Adesso non posso
più tentennare, Aurora, ho il dovere di dirti la
verità: sono tuo fratello, il figlio che nostra madre ha
avuto quando viveva in Belgio.
Le mani tremanti reggono il foglio di carta bianca che, senza
rendersene conto, all’improvviso si bagna di lacrime,
insicure e copiose.
La forestiera si morde il labbro inferiore, stringe le mani ora umide
di ansia e di sudore freddo.
In cuor suo, ha sempre saputo che quell’uomo portava con
sé un mistero, un filo invisibile che li lega da quando sono
nati, impossibile da tagliare, ma non voleva o non riusciva ad
accettarlo.
Distoglie per un attimo lo sguardo, indecisa se continuare a leggere o
se accartocciare quelle righe, solamente per gettarle lontano.
Si alza dal letto, il foglio abbandonato che cade per terra, leggiadro
rispetto al massiccio carico che gli è stato impresso.
Cerca di calmarsi, fa un respiro profondo, poi un altro e un altro
ancora.
Disperde lo sguardo oltre la finestra aperta, le tende bianche che
s’infrangono come onde spumose sui vetri, per raggiungere la
distesa calma e piatta del lago in lontananza.
Anche a lei manca quel pizzico di coraggio per continuare a leggere, ma
l’incredulità prende il sopravvento e, per questo,
decide di proseguire in quella rivelazione:
"Sai, quando ho scoperto
la tua esistenza, quando lei mi ha rivelato di avere due sorelle,
l’ho detestata, quasi odiata, perché non mi ha
permesso di vivere insieme a voi, mi ha negato un’infanzia
normale, come quella che immagino abbiate avuto tu e Silvia.
A proposito di nomi, non
ti ho mentito quando mi sono presentato come Tommaso, mi chiamo
veramente così, anche se so che nostra madre ti ha detto che
mi chiamavo Edoardo, il nome che lei mi ha dato alla nascita, ma le
persone con cui sono cresciuto, lo hanno voluto cambiare, ma non
chiedermi per quale motivo, la verità non
la so.
Sapevo, invece, che lei
era mia madre: non me lo ha mai tenuto nascosto, sebbene
nessuno mi abbia mai rivelato il perché
sia cresciuto “segregato”, lontano da lei, da voi e
da mio padre, che non so neppure che faccia abbia.
Quando dieci anni fa mi
sono trasferito dal Belgio in Italia, sono andato a cercarla e, solo
allora, ho saputo dell’esistenza tua e di Silvia, ma, anche
in quella circostanza, lei mi ha impedito di rintracciarvi.
Si è persino
inventata che vi eravate stabilite in Norvegia, chissà poi
perché proprio in quel Paese ..."
Aurora
sa benissimo il motivo di quella che non è per niente una
bugia: l'amante della madre era infatti uno scrittore norvegese che
aveva conosciuto per il suo lavoro alla casa editrice.
Lacrime di rabbia, delusione e tristezza le offuscano la vista,
impedendole per qualche secondo di riprendere la lettura.
"E' stato per puro caso, circa un mese e mezzo fa, che, durante un
nostro incontro, ho sentito una vostra telefonata. Non appena ho
compreso che eri tu, ho insistito fino allo sfinimento
perché mi dicesse finalmente dove abitassi.
Ma quando sono venuto a
*** per cercarti, tu eri appena partita per venire qui, alla casa
rossa, così mi sono di nuovo disperato, perché
questa volta –ad un passo dal conoscerti- tutto era andato in
fumo, svanito ancora una volta
Dopo che nostra madre mi
ha rivelato l’indirizzo di questo posto, sono andato
all’agenzia di viaggi per prenotare la mia
“vacanza” proprio nel tuo stesso periodo.
Il resto della storia lo
sai e, adesso, anche il passato.
Spero che non mi odierai
per il comportamento da codardo che ho avuto nei tuoi confronti, che
capirai che entrambi abbiamo sofferto e perso un pezzo della nostra
vita in questa storia.
So che Silvia non
è conoscenza delle mia esistenza: mi piacerebbe incontrarla
insieme a te, per cercare di recuperare il tempo che ci è
stato volutamente sottratto.
In fondo alla lettera ti
lascio il mio indirizzo e il numero di telefono.
Cercami, per favore.
A presto,
Tommaso
I singhiozzi hanno cominciato a sconquassarle il petto: ora non ha
più lacrime, solo un senso di disgusto misto a disperazione
per quello che ha appena letto.
Un disgusto per la madre –se così si
può chiamare una donna che le ha continuamente mentito fin
da quando ha avuto una ragione per capire- e disperazione per la sua
ingenuità, per essere stata ancora una volta ingannata,
sebbene da un’altra vittima come lei.
Lo sguardo le cade sull’orologio da polso: le sette e
cinquanta.
Non sa se scendere le scale che la separano da quello che ha appena
scoperto essere suo fratello, oppure lasciarlo andare, per non vederlo
e prolungare tutta la sofferenza che si sta impadronendo di lei.
E' giusto aspettare che tutto quel dolore e
quell’incredulità passi, per poi cercarlo?
E' giusto rassegnarsi al destino, lasciando che quell'uomo entri a far
parte della sua esistenza?
Seduta sul letto, le mani a lisciare i pantaloni della tuta, la testa
che si dondola a destra e a sinistra, Aurora non riesce a decidersi su
come comportarsi.
Stupidamente e irrazionalmente, il pensiero corre a Teresa, la figlia
più piccola della contessa della casa rossa.
Anche lei, in un certo senso, era stata ingannata, l’avevano
costretta a sposarsi con un uomo che non faceva altro che tradirla, era
stata sacrificata prima dalla sua famiglia e poi dal marito.
Solo il legame con il fratello lontano riusciva a darle un
po’ di conforto, ma non era stato sufficiente per salvarla.
La forestiera si alza dal letto, per andare di nuovo verso il
comò: questa volta apre il cassetto nel quale settimane
prima ha ritirato il carillon di zaffiro e oro intarsiato.
Lo sfiora, come un talismano che la possa proteggere e, soprattutto,
rivelarle quello che deve fare, come si deve comportare con
quell’uomo seduto giù in cucina.
Adocchia ancora una volta l’orologio da polso abbandonato
sulla sedia: le sette e cinquantacinque.
Sa che il treno per la città partirà tra cinque
minuti, perciò si convince che Tommaso non
può essere ancora dabbasso, a meno che non voglia perdere la
coincidenza.
Con quella infantile speranza, adesso si sente più
tranquilla, la quasi convinzione di non trovarlo
più davanti a sé.
Dopo aver ritirato il carillon, si allaccia il cinturino del quadrante
ed esce dalla stanza, un respiro profondo a farle da eco.
Effettivamente, in cucina, non c’è più
nessuno.
Il ragazzo se n’è andato, il tavolo è
stato ripulito, le tazze e i cucchiaini riposti nella credenza,
così come il pacco di biscotti.
Macchia è sdraiato vicino alla porta d’entrata, la
coda che si muove da una parte all’altra irrequieta, lo
sguardo interrogativo rivolto alla sua padrona.
Aurora emette un profondo respiro, un sorriso compare sul volto
arrossato, anche se è più simile ad una semplice
incurvatura delle labbra, mentre qualche lacrima le cade dagli occhi
già arrossati.
Sono di nuovo sola,
dopotutto è quello che ho sempre desiderato. Sono venuta qui
per questo.
E di nuovo, stupidamente e irrazionalmente, il pensiero corre a Teresa:
lei, per suo fratello, sarebbe stata disposta a qualsiasi cosa, lo
testimoniano le lettere che ha trovato nascoste sotto un'asse del
pavimento, le fotografie con i volti sereni, ritratti di quasi un
secolo prima; aveva avuto addirittura il folle e sbagliato coraggio di
togliersi la vita, di decidere per sé stessa, disperata per
l'allontanamento forzato dalla famiglia, seguendo un marito
che non la rispettava, tradendola, in Uruguay, all'altro capo
del mondo.
Tu, invece, che coraggio
hai?
Le immagini del carillon di zaffiro e oro intarsiato si confondono a
quelle delle lettere dentro contenute, alla festa del paese, alle mani
fasciate di Tommaso, alle fotografie della mostra, al volto e al
sorriso perfetto di lui, del suo Mattia, al ghigno beffardo
dell’altro, al buio di quella notte nell’ufficio,
alla rivelazione della madre, a Linda e a Liliana, al lago in
lontananza, al campanile ... immagini confuse, non cronologicamente in
ordine, eppure così vicine, così vive nella sua
anima e nel suo corpo ancora una volta feriti per non sua
volontà.
Con la fretta nei piedi, la ragazza attraversa i due vicoli, la piazza
della chiesa con i vasi di fiori e le panchine di pietra, il ponte
sotto cui scorre il fiume, il viale con le case e i cespugli di
buganvillea da un alto e i prati con i ricoveri per il bestiame
dall’altro.
La pioggia continua a cadere, fitta e noiosa, l’ombrello che
ha portato con sé è ritmicamente piegato di lato
dal vento.
Finalmente raggiunge la stazione, ci sono altre persone ad attendere
l’arrivo del treno, pronte a ripararsi sotto la tettoia
dell’entrata della sala d’aspetto.
Aurora si accorge subito che Tommaso non c’è, la
sala di aspetto è vuota e, fuori, tra quei volti
sconosciuti, è sicura che il suo viso non lo possa vedere.
Poi, da dietro il casotto che un tempo ospitava l’abitazione
del guardiano, lei lo scorge, la maniglia del trolley in una mano,
l’ombrello tenuto in quel modo buffo come il giorno del suo
arrivo.
Gli va incontro, lentamente, le mani strette a pugno lungo i fianchi,
dimenticandosi della pioggia e del vento, l’ombrello in
bilico su una spalla.
-Speravo che arrivassi … non ho preso il treno delle otto
proprio per questo-
La forestiera annuisce, abbassa lo sguardo e poi, con voce fioca,
risponde:
-Io, invece, non so che cosa speravo, se trovarti ancora qui oppure no.
E’ stato un caso che abbia letto la lettera, altrimenti non
sarei venuta ... -
-Quando non ti ho vista scendere, ho capito che la stavi leggendo.
Così me ne sono andato, senza aspettarti. Ancora una volta
sono stato un codardo, perdonami-
Lei distoglie l'attenzione dal volto che la sta fissando, spostandola
sulle scarpe.
-Sì, l’ho letta, certo che l'ho fatto. Cosa posso
dire, cosa vuoi che ti dica? Sono sconvolta ancora una volta di
più dal comportamento di nostra madre. E’...
insomma, è diventata subdola ed egoista, anzi, forse lo
è sempre stata e, le tue parole, non hanno fatto altro che
confermarlo. Ci ha mentito ... tanto e per troppo tempo-
-Lo so, lo so, Aurora!- esclama con passione, alzando la voce
-ma, adesso, dobbiamo cercare di recuperare il tempo che non
abbiamo potuto vivere insieme, solamente questo. I giorni trascorsi
alla casa rossa mi hanno fatto capire l’importanza di quello
che ci lega, non lasciamocelo sciupare per i suoi capricci, ti prego!-
Le otto e un quarto, le sbarre del passaggio a livello che si abbassano
al segnale luminoso e sonore, il treno che annuncia il suo arrivo in
lontananza e, subito dopo, la fermata sulle rotaie.
-Adesso devo andare … -
-Ma come? Non torni indietro?-
-Mi piacerebbe, ma non posso. Domani devo tornare al lavoro, la vacanza
è finita- riprende sorridendo.
-E' meglio che ognuno rifletta da solo su quello che è
successo- continua con fare serio -però ricordati
quello che ti ho detto stamattina: vieni a trovarmi, telefonami, ma non
sparire! Porta anche Silvia, così finalmente
potrò conoscerla ... -
I passeggeri salgono sul treno uno dopo l’altro, mentre loro
due sono gli unici a non muoversi.
-Allora vai, altrimenti perderai il treno-
Lui annuisce, lascia la maniglia del trolley e le chiede:
-Posso abbracciarti?-
Lei annuisce.
-E ricordati di venire, io ti aspetto … -
-Lo farò, te lo prometto-
Tommaso riprende la valigia, sparisce nel primo scompartimento libero
e, una volta sistematosi, si affaccia al finestrino, in cerca dello
sguardo della ragazza.
Il capotreno fischia, con un cenno della mano avvisa il macchinista che
può ripartire.
Le porte si chiudono automaticamente, il treno si mette in moto, lo
stridio delle ruote è un rumore troppo acuto per le sue
orecchie.
Aurora fa un cenno con la mano a quello che una volta era il
forestiero, lui ricambia con un sorriso.
La pioggia smette lentamente di cadere, le gocce si diradano fino a
scomparire e, nel cielo plumbeo, le nuvole grigie e pesanti si aprono
al sole, rischiarando la luce mattutina, ora satura solo del vento.
L’inquilina della casa rossa si avvia sulla strada di
ritorno, il treno ormai lontano, i cespugli di buganvillea da un lato,
i prati dall’altro, mentre una dolce malinconia fa breccia
nel suo cuore.
Quando
non vi resta
più nulla
ad
eccezione dell’amore,
per
la prima volta
vi
rendete conto
che
l’amore basta
all’amore
Emmet
Fox
NOTA
DELL'AUTRICE
Ciao
a tutti!
Credo
che questo sarà l'ultimo capitolo, perlomeno per un
pò di tempo: la storia originale finisce così, ma
vorrei dedicare ancora qualche paginetta all'epilogo, solo che adesso
sono super impegnata con il tirocinio universitario, quindi non so se e
quando avrò la possibilità di farlo.
Nel
frattempo, ringrazio TUTTI coloro che hanno seguito il mio racconto
fino a qui: siete stati tantissimi e vi ringrazio di cuore,
perché senza di voi sarebbe stato meno bello e soddisfacente
scriverlo! Mi dispiace solo che, troppi di voi, non abbiano scritto
qualche commento per questa avventura, ma sono comunque felicissima
così!
Milioni
di grazie agli stupendi RECENSORI, a chi ha inserito la lista nelle
preferite, nelle ricordate e nelle seguite.
Vi
ringrazio tantissimo!
A
presto!
Un
abbraccio a tutti
|
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Capitolo 20 *** Rimpatriata di Capodanno ***
RIMPATRIATA DI CAPODANNO
La
strada correva sinuosa e quasi priva di curve, spoglia di veicoli ad
ingombrarne la carreggiata.
Il
paesaggio, ovattato da una brina spettrale, rigogliva di pini ed abeti,
maestosi ed accoglienti.
La
macchina, un'Audi grigio metalizzata, procedeva di buona lena,
accarezzando l’asfalto non perfettamente liscio: lei e Mattia
non avevano avuto alcun dubbio a raggiungere il paese in auto,
piuttosto che con il certamente più comodo treno ma, il
caldo soffocante che si sarebbe respirato nei vagoni, sarebbe stato di
gran lunga peggiore della ghiacciata aria condizionata estiva.
"Non
vedo l'ora di rivederli, tutti quanti!" commentò il ragazzo,
le mani forti e sicure che accarezzavano il volante.
Aurora
guardò il ragazzo, intuendo che stava dicendo la
verità: dopo parte dell’estate trascorsa alla casa
rossa, in cui era stato accolto in maniera a dir poco calorosa da
Liliana, Linda, la signora Lina, il sindaco e tutti gli altri, Mattia
aveva accettato entusiasta l'invito della bottegaia, per trascorrere
qualche giorno in loro compagnia.
Mancava una manciata di giorni alla fine dell'anno, Aurora non aveva
avuto bisogno di chiedere alcun giorno di ferie, perché,
dopo il suo ritorno in città, oltre un anno prima, si era
licenziata dalla ditta tessile e, adesso, lavorava come stilista in una
piccola impresa di cui lei stessa era titolare.
Sorrise
al giovane, bellissimo ed elegante in un completo blu notte, la camicia
bianca e la cravatta rossa.
Lanciò
un'occhiata amorevole al suo profilo perfetto, i capelli tagliati
corti, castani, ricordando la limpidezza e la sincerità di
quegli occhi color nocciola, contornati dalle ciglia allungate, la
dentatura smagliante.
"Non
dici niente?" la riportò alla realtà,
pizzicandole con dolcezza un ginocchio, avvolto da un paio di collant
neri traforati.
"Scusami,
stavo pensando che anch'io sono felice di rivederli. Molto felice"
"Tommaso
e Andrea a che ora arriveranno?"
"Dovevano
passare un attimo in negozio, per dare disposizione ai dipendenti e
ritirare il panettone da portare. Credo saranno appena partiti
…" constatò Aurora, recuperando il cellulare che
aveva appoggiato sul cruscotto, nell'apposito porta telefono attaccato
al vetro, guardando l’orario sul display.
"Panettone?"
domandò avvilito Mattia, mentre imboccavano finalmente
l'ultima curva: il paese si apriva a pochi chilometri da loro,
sapientemente arroccato sulla montagna più bassa, il lago
-biancastro e piatto- si allungava davanti a loro, circondato da una
distesa di rami spogli e pungenti abeti.
"Lo
so che non ti piacciono i canditi e neppure l'uvetta, amore, ma Andrea
mi ha assicurato che te ne ha preparato uno speciale!"
Il
ragazzo si voltò per un istante verso di lei: le sorrise con
riconoscenza e, schioccandole un bacio a distanza, chiese:
"Ti
ho mai detto che ti amo?"
Aurora
fece finta di pensarci su, quindi, le labbra spalmate di un bel
rossetto morbido e burroso, constatò:
"Non
quanto spesso meriterei!"
La signora Lina ancora non si era rassegnata al fatto che il suo
Tommaso fosse "dell'altra
sponda".
Quando,
la scorsa estate, Aurora era ritornata al paese per trascorrere qualche
giorno alla casa rossa, a Ferragosto era arrivato anche il fratello e
il compagno pasticcere.
Apriti
cielo! La vecchietta era rimasta completamente sbalordita, mentre il
giovane vigile del fuoco, il coraggioso tenente Pastero, presentava
agli ospiti della villa Andrea, un altrettanto bel ragazzo, aveva
piacevolmente constatato la Lina, ma che non godeva della
benché minima classe del suo
eroe.
Da quando le aveva ceduto quella che avrebbe dovuto essere la sua
camera, alla casa rossa, dopo l'episodio increscioso della frana che
aveva scosso il paese l’anno precedente, la vecchietta non
aveva occhi che per Tommaso.
A capisci mia,
continuava a ripetere a se stessa e alle altre comari del Comitato, un bel fiöl insci
intelligente, cun
quel curac, forte, che le aveva tirato uno scherzo
talmente di cattivo gusto, da non riuscire a crederci.
Ma
si sa, al cuore non si comanda: per questo motivo, la Lina gli aveva
scritto un biglietto di auguri, qualche giorno prima di Natale, di suo
stesso pugno, per invitare Tommaso e quell’altro a
passare il Capodanno in paese, in modo da tenerli sott’occhio.
Dopo
che aveva personalmente spedito la busta, si era sentita sgravata di un
peso, felice di aver compiuto la missione che sarebbe diventata lo
scopo dei giorni a venire, fino a quando il bel vigile del fuoco non le
avesse confermato la sua presenza.
La
risposta arrivò non appena il servizio postale fu
ripristinato, dopo santo Stefano, e la riempì di pura e
infinita gioia: la vecchietta passò il resto della settimana
a cucinare primi piatti e dolci, oltre ad andare in città
alla ricerca di un negozio decente in cui scegliere un abito degno per un'occasione tanto importante.
Quando
ritornò a casa, accompagnata dalla signora Roberta, del
Comitato per le feste, la sera prima dell’arrivo di Aurora e
di tutti gli altri, la Lina si sentiva nuovamente giovane e desiderata:
si addormentò subito, senza neppure prendere la tisana di
rosa e cannella che era diventata la sua inseparabile compagna
notturna, scivolando in un sonno profondo e duraturo.
La villa era sempre lì, fiera e possente, a tratti persino
sprezzante.
Non
era cambiato nulla, dall'anno precedente e neppure dall'estate appena
trascorsa, il paesaggio sottostante era dominato da quel quadrato tozzo
ed elegante.
Dalla
finestra di quella che considerava la sua stanza, Aurora stava
ammirando il lago in lontananza, di un bianco spettrale e piatto, le
abitazioni della città avvolte da una soffusa bruma.
Il
viale che portava al cancello d'ingresso risultava asciutto, ma in
parte sconnesso, a causa del terriccio rivangato dallo scalpiccio delle
loro scarpe.
Il
campanile della chiesa barocca continuava a svettare orgoglioso, forse
solo un po’ più ingrigito dall'atmosfera invernale.
Persino
il gruppo di montagne e la foresta di pini ed abeti suggerivano
qualcosa di magico, quasi di fiabesco: i cocuzzoli erano spruzzati di
neve fresca, candida e dai contorni irregolari.
Aurora
si affacciò meglio al davanzale: stava cercando la distesa
dei campi, che d'estate avevano un intenso colore giallo dorato,
alternati a rigogliosi fili d'erba.
Adesso,
in quella tarda mattinata di fine anno, a testimonianza dei frutti
della terra, riusciva a rintracciare solamente dei rettangoli lontani,
brunastri, che le provocarono un'intensa sensazione di malinconia.
Quando
si trovava lì, tra le mura di pietra della villa, si sentiva
a casa, veramente a casa: le pareti spesse, le ampie e un po’
antiquate stanze, l'intricato giardino, ogni particolare aveva
contribuito a renderla la persona che era diventata, più
sicura e decisamente più serena.
L'incubo
della violenza, ormai, non tornava più ad oscurarle le ore,
a tormentarle le notti e a rovinare le sue giornate; le cose con sua
madre erano migliorate, non poteva negarlo, ma non sarebbero andate a
posto ancora per chissà quanto tempo.
Sorrise
tra sé e sé, all'idea della trasformazione
interiore che le era capitata: era pronta per ridiscendere da Mattia e
da tutti gli altri ospiti che attendevano nel salone, quando
sentì qualcuno bussare alla porta della camera:
“Volevo
avvisarti che siamo arrivati!”
La
voce allegra di Tommaso riempì la stanza, mentre Aurora gli
andava incontro, abbracciandolo.
“Avete
fatto in fretta! Come è andato il viaggio?”
“Molto
bene. Per fortuna, non abbiamo trovato traffico, solo qualche mucchio
di neve non ancora spazzata! E tu? Cosa mi racconti?”
La
ragazza invitò il fratello a sedersi sul letto, mentre anche
lei prendeva posto di fianco a lui:
“Dalla
Vigilia non è cambiato nulla: sono molto felice, non posso
lamentarmi, lo sai”
“E
con mamma? L’hai sentita?”
Aurora
abbassò lo sguardo, perdendosi in un sorriso appena
abbozzato.
“Con
lei è una battaglia già persa in partenza. Sai,
in macchina, prima, ho pensato per un attimo al nostro rapporto:
è migliorato, certo, ma ancora non riesco a fidarmi
completamente di ciò che dice, di ciò che fa.
Persino a Natale, quando parlava o guardava Mattia, temevo che potesse
dire qualcosa solo per farmi soffrire. Ho bisogno di tempo, Tommaso, e
questo lei lo sa”
“Ieri
sono andato a farle gli auguri di buon anno. Le ho detto che sarei
venuto a passare il Capodanno insieme a te… mi è
sembrata felice”
Lei
annuì, mordendosi un labbro.
Si
passò un dito lungo il tessuto verde della gonna, morbido e
scuro, poi appoggiò una mano sui pantaloni di velluto del
fratello: con lo sguardo, accarezzò la giacca color
cammello, la camicia bianca, gli occhi verdi e i capelli castani,
sempre cortissimi ed in ordine.
“Hai
ragione, forse sono io che esagero e non riesco a vedere il
bene nelle persone”
Tommaso
le cinse le spalle, abbracciandola e baciandole la nuca, pettinata in
una elaborata acconciatura.
“E’
meglio andare: di sotto ci stanno aspettando per mangiare. E poi, ho
bisogno del tuo sostegno … la signora Lina ha già
preteso di sedersi vicino a me, ma non credo di riuscire a sopportarla
per l’intero pranzo!”
La
ragazza scoppiò a ridere, una mano sulla bocca, scuotendo il
capo divertita.
“Nonostante
tu sia fidanzato, non vuole proprio saperne di lasciarti stare, eh?
Scendi pure, io devo finire di fare una cosa e ti raggiungo”
“D’accordo.
Allora ti aspetto qui fuori, nel corridoio, così scendiamo
insieme”
Aurora
si avvicinò alla finestra, scostando le tendine: banchi di
nuvole, soffici ed eteree, si affacciavano all'orizzonte;
assomigliavano a grandi meringhe, irregolari e dalle forme
più improbabili, eppure magnetiche allo sguardo.
La
ragazza stette per qualche istante con il naso all'insù, per
cercare di carpirne l'essenza, fino a quando un gruppo nutrito di nembi
cominciò a fluttuare nel cielo azzurrissimo, rincorrendosi e
quasi scomparendo ai suoi occhi.
Felice
di quella nuova pace interiore che era riuscita a conquistare,
uscì dalla camera e, seguita dal fratello, scese dabbasso,
accolta dal vociare festoso degli altri convitati e dal crepitio del
camino acceso.
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