Monetarium - la neve e le ombre

di _ivan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01 ***
Capitolo 2: *** 02 ***
Capitolo 3: *** 03 ***
Capitolo 4: *** 04 ***
Capitolo 5: *** 05 ***
Capitolo 6: *** 06 ***
Capitolo 7: *** 07 ***
Capitolo 8: *** 08 ***
Capitolo 9: *** 09 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***



Capitolo 1
*** 01 ***





Una fiamma verde scoppiettava vicina al soffitto, sospesa al centro del salone di legno. Nodose radici sbucavano dalle pareti e sparivano poi al loro interno, circondate da intagli di simboli mistici e scene di battaglie antiche, quando ancora gli uomini usavano le armature e le armi bianche. Monumentali volte a ventaglio sovrastavano tronchi secolari, che arricchivano la parete destra della stanza. In fondo, sotto un titanico acero rosso, il corpo gelatinoso e verdastro di Vil’yhak gorgogliava placido, lasciando al suo passaggio una scia traslucida e melmosa sul pavimento.
Snow, poco indietro, lo osservò con diffidenza, mentre quello trafficava con stecchetti di incenso ed essenze che, visti attraverso la sua trasparenza, apparivano distorti e rigonfi. Come lui, anche gli altri studenti del primo anno guardavano il mostro informe, ora con interesse, ora con disgusto.
Snow scambiò fugaci sguardi con alcuni dei futuri compagni, ordinatamente seduti nella sala adiacente, separata da quella dove si trovava tramite una lunga inferriata che percorreva il lato sinistro del salone.
Il chiacchiericcio sommesso creava un sottofondo che sembrava crescere direttamente dalle membra dell’edificio.
Quando il primo filo di fumo cominciò a salire dalla punta di uno degli incensi, Vil’yhak si voltò e strisciò verso Snow: un occhio turgido e grande come un pugno sporgeva dalla parte sommitale della creatura, mentre un intrico di nervature si dipanava al suo interno, parzialmente visibile grazie alla sua semi-trasparenza.
Nessuno era a conoscenza della storia di Vil’yhak, guardiano della Prima Sala e secondo custode dell’Accademia Magica dell’Ardèche: alcuni dicevano fosse lì da quando il primo preside conquistò il palazzo, altri che si fosse auto-generato dal Myst presente in quel punto, altri ancora pensavano fosse in realtà una spia, seppur non si sapesse ancora di chi. Quel che più importava, tuttavia, era che Vil’yhak fosse uno dei pochi Siv’ku a risultare al pari degli umani in quanto ad intelletto e indole. Il fatto che fosse buono, dunque, era un evento strabiliante, ciònonostante non bastava a tranquillizzare Snow e gli altri ragazzini che, in sua presenza, non si vergognavano di mostrarsi tesi e distaccati: dopo un’infanzia passata a sentirsi dire certe cose sui mostri, dopo tutto, non era poi così semplice abituarsi all’idea che ce ne fosse anche solo uno di buon cuore.
Snow si portò un dito alle labbra e cominciò a mordicchiarne l’unghia. Con il sibilo di uno stantuffo, nel corpo di Vil’yhak si aprì uno squarcio da cui uscirono parole pronunciate con timbro in tutto e per tutto umano. L’insolito connubio lasciò esterrefatti i presenti, vicini e lontani. L’occhio roteò pigro, inglobato talvolta dalla melma e poi vomitato di nuovo all’esterno.

«Allora, Foster» disse avvicinandosi a Snow, che subito si fece rigido «Usa l’intelletto, ehk. Ok? Ammesso che tu ne abbia, ehk».

Vil’yhak singhiozzò qualcosa di molto simile ad una risata, col corpo informe tremolante. Snow si limitò ad annuire.

«Voi ragazzi siete tutti uguali, ehk» aggiunse il mostro, agitando le appendici viscide che aveva al posto delle braccia «Venite qui, mi guardate con aria strana, annuite, e poi quando vi si presenta di fronte il Si’v cominciate a frignare e vi fate portare fuori con il cucchiaino, ehk. ‘Usa la magia e non frignare’, dico io, ma no, ‘Vil’yhak dovevi spiegare meglio le cose’, mi dicono, ehk. Stai attento, ragazzo. Poi che non mi si dica che io…»

«Monsieur Vil’yhak» una voce maschile irruppe nella stanza richiamando l’attenzione dei presenti.

In piedi oltre le tozze sbarre, il professor Blanchard fissava con sguardo severo il gelatinoso. Al suo fianco, seduta, la preside Prinkett stava lisciando con le piccole mani grinzose il tessuto dei suoi pomposi abiti vittoriani.

«Ha svolto il suo lavoro egregiamente, monsieur» continuò Blanchard «Ma ora per gentil cortesia abbandoni la sala e lasci il ragazzo ai suoi impegni. Sono certo che se la caverà in maniera esemplare, anche senza i suoi vaghi incoraggiamenti».

L’occhio di Vil’yhak sparì al centro della massa gelatinosa, girando su sé stesso lentamente, come un pianeta lontano. Quando questo tornò in superficie, il corpo stava già strisciando verso la porta, lasciandosi il ragazzo alle spalle.

«Egregiamente, dice il signor Blanchard, ehk. Lo spaventi, dice.» bofonchiò «Ma poi dicono che non ho avvisato i ragazzi che si fanno male, ehk».

Le risatine degli studenti accompagnarono la figura fino a quando sparì in una fessura del muro di legno, tra incisioni di cavalli rampanti, strisciandovi dentro come un liquido.
Snow rimase solo e in silenzio.
Blanchard tornò a sedersi assieme agli altri professori. Al suo posto, si alzò la preside Prinkett, in un frusciò di sete e merletti rosa cangianti.

La sua voce squillò come il suono d’una trombetta: «Le raccomando, signor Foster, di prestare la massima attenzione a ciò che la circonderà quando uno dei sommi spiriti Si’v si manifesterà nella sala. Qualora necessario, abbandoni l’idea di entrarvi in sintonia in modo pacifico e si prepari a dominarlo».

Sfilato da una fusciacca vellutata, la preside Prinkett mostrò a tutti un ventaglio dorato col quale prese a farsi aria.

«Faccia attenzione, mi raccomando» aggiunse «Lei è un tipetto intelligente, Foster, sono sicura che farà un’ottima figura. Che piacere, vedo il primo Myst apparire. Non mi resta che augurar buona fortuna!»

Con il rumore degli applausi nelle orecchie, Snow si voltò verso il grande acero, concentrato. Il filo di fumo sollevato dall’incenso definiva spirali che si avviluppavano lungo il tronco e poi sparivano. L’odore di rosa canina si diffuse nell’aria, e con esso l’apparente pesantezza del primo Myst: l’energia magica, presente in grande quantità, cominciò a condensarsi in una soffice bruma dalle sfumature d’ambra. Fumoso, il Myst galleggiò quindi prima vicino al pavimento e poi ovunque, disperdendosi e poi raggruppandosi ancora, in un gioco di flutti e bagliori.
Il suo tepore accarezzò la pelle di Snow, che istintivamente portò la mano destra ad altezza del petto, dove la sua unica moneta magica pendeva da un anello della catena detta monetarium.

«Entra in sintonia col Si’v» sussurrò a sé stesso, accarezzando il cimelio con le dita e percependo l’intaglio a forma d’albero, sulla sua superficie «Entra in sintonia col Si’v, in sintonia, in sintonia…»

Nessuno aveva idea di quale Si’v avrebbe risposto al richiamo, ma qualunque fosse stato, da quel momento sarebbe diventato la sua guida. Ammesso che fosse rimasto vivo.
Fa che sia un Si’v della terra, pensò Snow.
Gli occhi di tutti si incollarono alla sua pelle.
Figure leggendarie sembravano muoversi nel legno, danzando al ritmo delle verdi fiamme magiche sul soffitto.
La linea incandescente della brace serpeggiò lungo il bastoncino d’incenso. Quando anche l’ultima punta profumata fu lambita dal calore, vi fu solo un attimo di silenzio assoluto, poi qualcosa fece tremare lo scheletro dell’edificio.

«Ci siamo!» urlò qualcuno, in un chiacchiericcio generale subito sedato dai professori.

Snow mosse un passo nel Myst, ora ravvivato da sfumature avorio.
Accadde tutto in un tempo breve: dapprima si generarono flussi d’aria che, trascinando il Myst, apparvero come densi serpenti di pagliuzze dorate, ora dritti ed ora a spire, poi fu il momento d’una corrente più forte, che trascinò con sé le prime foglie rosse e le ceneri degli incensi.
Nuovi brusii si sollevarono dal silenzio, mentre l’aria cominciò ad ululare tra le figure nelle pareti.
Snow si voltò verso il pubblico: qualche studente si reggeva alla sedia, altri si legavano i capelli per non farseli trascinare dal vento, altri ancora ridacchiavano visibilmente eccitati. Mathieu, nel posto più in fondo a destra, gli sorrise.
Concentratosi in un unico movimento vorticoso, il flusso d’aria accelerò tanto da fischiare e creare un ciclone non più alto di una persona e che zigzagò nei pressi del grande acero, scosso dalle correnti.
Quando il turbine si espanse, improvviso e violento, più d’una persona si lasciò scappare un urlo. Un’onda d’urto si schiantò contro il corpo di Snow, destabilizzandolo. Inchiodati i piedi al terreno, si ingobbì e chinò la testa avanti per far fronte all’ostacolo. Il vento prese a sferzare con forza il suo corpo: il suo unico Siv’ne, la moneta appesa alla catena, dentro la quale risiedeva la poca energia magica neutrale di cui disponeva, gli scivolò dapprima sul petto e poi oltre la spalla, cominciando a sferragliare nell’aria come una bandiera.

«Mantenete la calma!» urlò qualcuno.

Voltarsi era quasi impossibile.
Stormi impazziti di foglie rosse gli frullarono addosso. Il Myst sfarfallava nell’aria, rilucendo in un mare in movimento, talvolta grigio e talvolta dorato. Le fiamme verdi sul soffitto erano ancora ben visibili, immutate nonostante le correnti. Quando le prime gocce d’acqua punteggiarono i vestiti di Snow, questi si trovò completamente spaesato.
Acqua?
Da qualche parte, immensamente lontano o forse vicino, un tuono rimbombò inghiottendo ogni cosa.
Snow girò il viso verso i compagni, ma oltre il ciclone riuscì a intravedere solo le possenti sbarre nere della grata. Un foglio di carta lo schiaffeggiò, poi venne trasportato via.
L’acquerugiola divvenne pioggia, e la pioggia tempesta.
Ma sì!, pensò, il Si’v della tempesta!
Le gocce precipitavano dalle nubi grigie fluttuanti sul soffitto, picchiando contro il viso contratto di Snow.
Dunque era l’acqua il suo elemento.
Se fosse stato realmente lo spirito della tempesta, allora non avrebbe corso pericoli: fedele alla sua natura dispettosa ma non ostile, non lo avrebbe mai attaccato.
Rincuorato dal ragionamento, Snow cominciò a guardarsi attorno.
Il cuore, risalito ad altezza della gola, batteva così forte da fargli male.
Nel più totale disorientamento, Snow cominciò a muovere i primi passi verso quella che gli sembrava la direzione in cui si era generato il tutto: oltre il muro di vento e magia dorata, il profilo dell’acero si stagliava nero come la notte. I vestiti, completamente fradici, gli appesantirono ulteriormente i passi: ogni secondo era una fatica indescrivibile, sembrava di camminare in una piscina di fango.
Un lampo baluginò nella stanza, seguito da un tuono che ruggì scuotendo ogni cosa: quando la sala si illuminò, Snow vide una sfera nera fluttuare accanto all’albero.
Delle urla gli giunsero alle orecchie, portate dal vento. L’acqua gli stava penetrando fin dentro alle ossa, facendolo rabbrividire.
Snow urlò con tutto sé stesso per lo sforzo, cercando di allungare le falcate, con i muscoli che si tendevano fino a bruciare. La sfera apparve in una danza di fogliame strappato, grande quanto una palla e con una superficie che vorticava talmente forte da far incrociare la vista. Con le palpebre semi-chiuse ed un braccio ad altezza della fronte, Snow osservò fili di vento, solidi e densi, intessersi e poi sbrogliarsi attorno al globo, donandogli l’aspetto d’un gomitolo evanescente. Oltre quella rete intricata, tra gli squarci che di tanto in tanto comparivano, una piccola creatura stava frullando le ali.
Snow non riuscì a vedere molto, oltre alle piume blu cobalto e il becco argento, coperto nella parte sommitale da una maschera di cuoio le cui frange frustavano l’aria sopra il capo, nervose. Quando il becco si aprì, un rombo di tuono scoppiò da qualche parte nella tempesta.
Era dunque questo l’aspetto dello spirito.
Lo sciabordìo dell’acqua confuse ogni cosa.
Snow esaminò la situazione: se avesse ceduto ora non sarebbe mai più riuscito a raggiungere il Si’v, e per lui sarebbe finita. Era giunto il momento di ricorrere alla magia. Con fatica millenaria, Snow protese il braccio e aprì il palmo in direzione del globo impazzito. Concentrato, attinse alla magia che percepì scorrere nel corpo.

«Ku’Ra’de!» urlò, col vento che lo schiaffeggiava con forza, penetrandogli in bocca e fischiando nelle orecchie.

Davanti alla sua mano, una forza invisibile detonò divampando con un’onda d’urto e fendette il vento in verticale, come una lama sottile. Il colpo s’infranse contro la sfera, che si schiuse in una corolla attorno alla creatura che custodiva. Nei lucenti occhi neri dello spirito scoppiettarono fulmini e saette.
Poi tutto finì, svanì inspiegabilmente nel nulla: vento, acqua, Myst e persino il Si’v.
Snow rimase da solo al centro della sala vuota, fradicio, su un letto di foglie rosse che sembravano sangue. Il ticchettìo delle gocce che colavano dai vestiti era l’unico suono udibile, seppur estremamente leggero.
La confusione gli fece girare la testa.
Gli applausi che si sollevarono distolsero la sua attenzione: oltre le sbarre, gli studenti gli sorridevano felici, chi con i capelli sfatti, chi con una sciarpa al collo.

«Zitti tutti, vi prego!» urlò il professor Blanchard: il cipiglio nella sua espressione non prometteva nulla di buono «La moneta non è ancora comparsa, e questo significa che non è finita».

I ragazzi si scambiarono sguardi straniti, in silenzio.
Appollaiato su un ramo spoglio dell’acero, il volatile evanescente fissava Snow. Quando spiccò il volo precipitando in picchiata verso di lui, qualcuno emise un gridolino.
Fu a mezz’aria che una massa fumosa e nera cominciò a colare dai suoi occhi, veloce e famelica: quella si modellò e si distese, ammantando il volatile in un concerto di garriti sofferti. Tentacoli ombrosi prima si allungarono e poi tornarono indietro, inghiottendo l’uccello e trasformandolo in un’unica macchia d’oscurità che si stendeva e poi comprimeva. Quando quella pasta si schiantò a terra sollevando sbuffi di fuliggine, Snow fece giusto in tempo a saltare alla sua destra, rotolando in uno sferragliamento di catene e fruscii di foglie. Ruzzolò fino a sbattere contro il tronco d’una colonna, e con l’urto cacciò l’aria rimasta nei polmoni. Per fortuna il suo fisico gli permetteva simili abbozzi d’acrobazie.
Il Myst ricomparve leggero e spumoso, d’un colore ora argenteo e ora rosato: era un fantasma che aleggiava ad altezza delle caviglie.

«Foster, ci dica subito cosa ha fatto!» squittì la preside Prinkett, avvicinatasi alle sbarre e con un fiume di capelli che ondeggiava dietro di lei.

Snow la osservò confuso, rialzandosi acciaccato e con il fogliame incollato ai vestiti, resi pesanti dall’acqua. Nello stesso istante, da terra le ombre si sollevarono con lentezza, plasmandosi in una figura sottile.

«Foster, risponda! Immediatamente!»

L’oscurità gorgogliò modellandosi come plastilina: dopo quello che sembrò il corpo d’una donna, il nero assunse le forme d’un lungo serpente e poi quelle d’un cavallo. Le linee e le sfumature all’interno di quelli erano invisibili, assorbite da un’unica macchia così nera da sembrare irreale, un buco nel mondo avvolto da un’aura nebbiosa.
Da un corpo scivolarono a terra quattro zampe, poi una coda e una testa tozza, incorniciata da voluminose forme scure.
Un leone.

«Foster!» la Prinkett urlò infuriata.

«NON LO SO!» rispose.

Il terrore rese acuta la voce di Snow.
Una ragazzina, bassa e castana, si alzò dalla sedia e puntò il dito verso la creatura d’ombra.

«È il Si’v del Cambiamento!» urlò.

Tra lo sgomento degli studenti, i professori sciamarono borbottando.
La Prinkett zittì con un braccio la ragazza e gli altri ciarlatori.

«Gatti, faccia silenzio! Tutti Quanti!»

Le zampe della creatura si poggiarono con insolita grazia sul pavimento di foglie, senza produrre alcun suono. Snow, con le spalle contro il titanico tronco, mosse piccoli passi in direzione della porta. La coda della bestia frustò l’aria. Il sudore freddo si unì all’acqua, sul volto di Snow, appiccicando i capelli castani alla fronte.
Non era sicuro d’esser pronto a morire.
Non gli restava che attaccare.

«Ku’…» la voce gli morì in gola.

Tremava come un fuscello.
Fu l’istinto di sopravvivenza a tirarlo fuori dal baratro, quando la bestia scattò e spiccò un balzo verso di lui.

«Ku’Ra’de!» urlò Snow, con la schiena appiattita contro la colonna di legno e le mani tese davanti a sé.

Pura energia, densa e semi-trasparente, si sprigionò dai suoi palmi come un campo di forza, si espanse come un elastico e schizzò verso il Si’v, mancandolo di poco: il colpo percorse il resto della stanza e si schiantò contro una sbarra di metallo, che risuonò e vibrò dando l’impressione d’essere una grossa campana.
Dong.
Il caos stordì Snow, poi, quando la bestia affondò le fauci nel suo braccio, tutto si tinse indistintamente di nero.
Il dolore era lancinante, insopportabile.
Snow urlò come mai in tutta la sua vita. La luce verde delle fiamme sul soffitto appariva lontana, sfuocata. Più perdeva i sensi e più voleva tornare sano, più tornava sano e più sentiva dolore. Le orecchie fischiarono con forza zittendo per un attimo tutto il resto.

«Drih’tan!» squillò la voce di una donna.

Il crepitìo assordante dell’elettricità fu seguito da uno scoppio di cui Snow percepì il calore e lo sbuffo d’aria sul corpo. La morsa che gli stringeva il braccio si sciolse, e lui fu libero di cadere a terra. Sentì addosso il sangue e l’umidità della tempesta che c’era stata.
Snow lottò con tutte le sue forze per non farsi trascinare nel buio.

«T’nays!» urlò qualcun altro.

Uno sfarfallìo di luci viola scoppiò nell’aria inscenando uno spettacolo pirotecnico.

«Foster! Foster!»

«Snow!»

Le guance avvamparono.

«Foster!»

Qualcuno lo stava prendendo a schiaffi.
Il professor Blanchard.
Quando Snow tornò in sé, pur non essendo mai svenuto, inspirò l’aria con avidità e si sentì raschiare la gola. Con le sue grosse mani, Blanchard lo scosse per le spalle. Tutto quel movimento gli diede il vomito.

«Ti senti bene?» chiese l’uomo, mentre il suo viso incorniciato tra folti capelli biondi assunse forme sempre più delineate.

«Mi fa male la testa…e il braccio.»

Snow sbattè le palpebre e sollevò la mano sana per scostare i capelli fradici. Con la stessa si riportò davanti al petto la moneta magica appesa alla catena.

«Guardate, si è svegliato!» cinguettò qualcuno, poco distante da lì.

«Chiudi gli occhi.» gli ordinò Blanchard.

Snow obbedì, e un attimo dopo sentì qualcosa di fresco sul braccio, forse un unguento. Un avvolgente odore di mele gli risvegliò i sensi, e l’appetito. Si morse il labbro e patì le ultime fitte al braccio, poi tutto si assopì lentamente, come le pieghe di un lago smosso da un sasso.
Con l’aiuto del professor Blanchard, Snow tornò in piedi. Gli studenti, passati oltre le sbarre, erano sparpagliati un po’ ovunque nella stanza. In molti lo fissavano, ma altri erano intenti a guardare altrove, dove i professori e in primis la preside Prinkett si erano raggruppati.
Ai loro piedi, un bambino riposava rannicchiato tra le foglie, circondato da lucciole viola il cui bagliore si perdeva nel nero profondo dei suoi indumenti. Quando la luce si rifletteva sui sottili capelli bianchi, donava loro sfumature d’ametista.
Sulla schiena del Si’v, tentacoli di fumo non più lunghi d’un braccio accarezzavano l’aria, giocando a intrecciarsi.
Una maschera nera gli tagliava il volto in due: una benda scura sulle palpebre appesantite dal sonno.
Qualcuno battè le mani due volte: la Prinkett.
I suoi scatti e i movimenti frenetici tradirono l’intento di apparire tranquilla.

«Tornate ai vostri posti! Mi prenderò la briga di punire severamente e di persona chiunque si ostini a non farlo!»

I primi ragazzi scivolarono in silenzio oltre le sbarre. Quelli che durante la prova erano stati i primi della fila, erano ancora bagnati per la tempesta. Con essi se ne andò anche la ragazza che Snow aveva sentito gridare il suggerimento. L’ultimo fu Mathieu, che tornò al suo posto non prima d’aver lanciato un’occhiata strana che Snow non riuscì a comprendere.
Del Myst che avvolgeva la sala restava solo qualche spruzzo fumoso qua e là, in banchi che fluttuavano soprattutto attorno alle colonne.
Snow si osservò il braccio ferito, avvolto da una pasta di erbe verdi e gialle. Le scarpe fradice sfigolarono mentre prestava attenzione a non cadere sul letto di foglie, là dove erano più bagnate.
Lui e Blanchard si fermarono vicini al bambino: il suo petto si sollevò lentamente, prima di riabbassarsi. Le piccole labbra schiuse erano distese in un sorriso beato.

«Sono stato io?» disse Snow con un filo di voce.

«Non proprio, signorino Foster».

A rispondere fu la Prinkett, con il ricordo d’uno chignon bianco latte che pendeva scomposto a lato del capo. I vestiti, accartocciati, disegnavano pompose onde di rosa e violetto.

«I professori dell’accademia sono intervenuti per evitare che la situazione degenerasse:» aggiunse «Il Si’v del Cambiamento è uno spirito ostile e pericoloso. Quello che non ci spieghiamo è come tutto questo sia potuto succedere…»

Il suo silenzio lasciò intendere a Snow che cercava in lui le risposte alla tacita domanda.

«Io non saprei…» dise il ragazzo, rapito ora dal viso accigliato della donna, ora da quello beato dello spirito, raggomitolato a terra come un gatto.

Ne osservò il corpo vibrare e a tratti sparire, come un’immagine riflessa sullo specchio d’un lago.
Il chiacchiericcio degli altri studenti riempiva la sala, mescendosi al crepitio delle fiamme sul soffitto, ancora vive.

«Avanti, Foster» aggiunse la Prinkett, sfilando il ventaglio e facendosi aria «Eventi fortuiti e inaspettati o meno, questo è quello che ha voluto il fato per lei, dunque assimili la magia del Si’v. Questa giornata non può fermarsi».

Il sorriso della donna non riuscì a tranquillizzare Snow. Affatto.

«Mi aspetto di trovarla nel mio ufficio, questo pomeriggio: sarò ben lieta di offrirle un the».

Snow attese in silenzio.

«Avanti» lo incalzò lei.

Il ragazzo annuì e prese un respiro profondo. Si sentiva stanco come non mai. Pose una mano sul corpo rannicchiato dello spirito e si schiarì la voce.

«E lyd’r oui» disse, cercando di ripetere la pronuncia perfetta.

Prima sparirono le lucciole violacee, frutto dell’incanto del sonno, poi spire di Myst avvilupparono gli arti e la testa del bambino dalla pelle diafana, ingobandoli lentamente e rendendoli prima evanescenti, poi invisibili. Un bagliore crebbe al centro dell’ammasso informe di energia, e quello fu l’ultima cosa a sparire. Al suo posto, a terra, rimase solo una moneta, poco più piccola d’un pugno e con un foro sulla parte alta.
Snow si chinò e la prese in mano, quindi la osservò: inciso sulla superficie dorata, il Si’v bambino gli sorrideva sghembo.
Il fogliame sparso ovunque svanì nel nulla, e con esso le poche pozzanghere non filtrate nel pavimento. Quando Snow sollevò lo sguardo, l’acero era rigoglioso al centro della stanza, come se lo ricordava prima di tutto.
Vyl’yhak strisciò fuori da un fregio intagliato nella parete e si ricompose. Come se nulla fosse, il mostro andò ad armeggiare con gli incensi.



NOTE VARIE : ecco qui il nuovo progetto dai toni harrypotteriani (nonostante io non abbia mai letto harry potter, sigh).
pur avendo già scritto un'altra trentina di pagine, penso che aspetterò con la pubblicazione perchè vorrei prima far conoscere la storia. a tal proposito, se l'hai letta, ricordati di farmelo sapere anche solo con un pm (della serie 'non importano tanto le recensioni, quanto i sorrisi').
A onor del vero, devo ringraziare a gran voce Ely79, che si è occupata di editare il testo apportando modifiche che ne hanno indiscutibilmente migliorato la qualità. è una scrittrice grandiosa, e consiglio a tutti voi di dare un occhio alle sue storie, che spaziano dal genere steampunk, a quello sovrannaturale (licantropi), a quello dai toni più drammatici. qui c'è il link al suo profilo ( click )

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Capitolo 2
*** 02 ***





Una rete di glicini in fiore tesseva una trama in lento movimento, come un nido di serpenti che ammantava il soffitto d’un lilla tiepido e cangiante, per metri e metri. Alcuni petali piovevano soffici, prima di svanire a metà del loro percorso e ricomparire poco dopo, attaccati ai rami velati di Myst.
Sotto la volta naturale della Sala delle Sale, un caos di risate e chiacchiere si levò dalla folla di studenti, ammassati senza ordine attorno a una delle due piattaforme circolari. Al centro di ognuna c’era una porta, ed entrambe poggiavano a nessuna parete.

«Quattro.Sette.Uno!» urlò l’unico ragazzo sulla pedana, prima di girare la maniglia d’ottone.

Oltre la porta, per un istante solo, si intravide il fondo della stanza. Quando col primo piede lo studente varcò la soglia, tuttavia, il suo corpo venne inghiottito voracemente dal vuoto e sparì alla vista di tutti, col rumore d’un risucchio: fu come vederlo prima distorto e poi compresso fino all’inverosimile. Una manciata di foglie verdi sbuffò sulla folla, poi la porta sbattè e la maniglia girò su sé stessa.
Come se nulla fosse accaduto, una ragazza salì sulla pedana e prese il suo posto.
La calca si mosse d’un passo e le foglie spruzzate qua e là sparirono sotto l’assito del pavimento.
Mentre Snow lottava contro il desiderio di scorticarsi ad unghiate il braccio fasciato, Mathieu, in piedi al suo fianco, giocava alla versione elettronica del FightFight!
Uscito dall’infermeria dopo ore, e dopo altrettanto tempo dall’ufficio della preside Prinkett, Snow aveva avuto modo d’assistere solo a due prove nella Prima Sala, prima del termine degli eventi. Ora, sfinito e in compagnia degli altri studenti del primo anno, stava facendo ritorno ai dormitori.
Sulla pelle, sensibile sotto le bende, la Polvere di Fungoide frizzava producendo un lieve e costante sibilo. Mordersi il labbro era l’unico modo per non cedere al prurito.

«Hai notato?» chiese Mathieu senza staccare gli occhi dal gioco.

Entrambi mossero un altro piccolo passo, dopo che anche Lindsay Mogett fu fagocitata dalla porta.

«Cosa?» rispose Snow, strofinando leggermente i polpastrelli sulla garza.

«Fossi in te non mi gratterei troppo: ho sentito di gente a cui è caduto un braccio, o anche peggio» Mathieu guardò prima il braccio ferito e poi gli occhi di Snow «Non so se capisci quello che intendo» si indicò tra le gambe e ridacchiò.

Mathieu spense il videogioco, lo infilò nella tasca posteriore dei jeans e cominciò a guardarsi attorno con aria di sufficienza.

«Intendevo, se ti sei accorto che ti parlano tutti dietro» aggiunse «E lo farei anche io, credimi, ma ammetto che sarebbe inopportuno».

Certo che Snow lo aveva notato, era impossibile non farlo: le occhiate sconvenienti e i mormorii lo avevano accompagnato per tutto il giorno. Ora semplicemente cercava di non farci caso, e quando la situazione si faceva insostenibile aveva imparato a fissarsi le punte ancora umide delle scarpe.

«Immagino sarai felice di essere la primadonna dell’accademia» continuò Mathieu, sbuffando una risata.

«Non fai ridere. Ho rischiato di morire».

«Come la fai grossa. Cosa ti ha detto la Prinkett?»

«Pensava fosse colpa mia, o almeno credo».

«Per la vecchia è sempre colpa degli altri» rispose Mathieu «Specie se quel qualcuno le ha rovinato uno dei suoi vestiti da cerimonia: è fissata col vittoriano e nessuno sa il perchè. Io comincio a pensare sia nata in quel periodo. Sei fortunato che non abbia fulminato te, invece che il Si’v».

Assieme, mossero un altro passo. Snow scosse la testa.

«A parte gli scherzi» rispose Snow «Mi sembra una brava donna. Certo, non è una motivazione valida per avermi distrutto il cervello per un intero pomeriggio, è vero, ma da quello che ho capito dev’essersi spaventata più lei che tutti noi, oggi. In fondo se succede qualcosa le fanno lo scalpo. Ah, e il suo the fa schifo».

«Un’altra vittima del brodo di Millicent Prinkett».

Entrambi sorrisero e nessuno dei due decise di proseguire il discorso.

«La conosci?» chiese Mathieu indicando con un cenno della testa Melody Mallory e due delle sue amiche, prese dal lanciare sguardi nella loro direzione e ridacchiare sotto ai baffi – che alcune di loro avevano per davvero.

Sembravano uscite da Happy Days, con lunghi vestiti color pastello e cofane in testa di proporzioni bibliche. Il fatto che per i Cyh’t risultasse facile reperire ogni genere di indumento creava, nella società, un numero indefinito di mostri della moda e di altrettanti ‘mostri-e-basta’. Loro appartenevano chiaramente al secondo gruppo.
Le collane sui loro petti tintinnavano come le loro voci.
Mathieu le guardò torvo, come era solito fare con tutto il mondo e in particolare con quello femminile.

«Melody» disse Snow, annuendo «È di Londra. È stata brava, prima. No?»

«Non che ci voglia una qualche abilità, col Si’v delle sgualdrine».

«Si’v della Bellezza».

«È uguale» Mathieu scrollò le spalle.

Snow si grattò le bende e fece una smorfia in bilico tra il fastidio e il godimento.

«Io so di cosa parlano» continuò il francese.

I suoi occhi azzurri penetrarono le tre e le costrinsero a voltarsi altrove. Entrambi sapevano, tuttavia, che avrebbero solo fatto finta di parlar d’altro.

«Lo so anch’io, me l’ha spiegato tuo padre» rispose Snow.

«Professor Blanchard, prego. Qui dentro lui non è mio padre, mettitelo in testa. Comunque si dice che un Si’v che ne sostituisce un altro durante una cerimonia della Prima Sala sia un evento tanto raro quanto nefasto. In pratica sei ufficialmente il beccamorto del primo anno, e se consideriamo il fatto che tra le altre cose è anche comparso un Si’v dell’ombra…Che poi di per sé non vuol dire nulla, visto che è un elemento come un altro e che potresti essere anche il Nobel per la pace, ma sai com’è la gente: ombra è brutto, luce è bello. Credo dovrai abituarti al fatto che se lo strizzeranno e faranno le corna al tuo passaggio, perché andrà avanti per un bel po’» Mathieu ridacchiò, poi si passò la mano tra i capelli biondi e si lasciò andare a un cavernoso sbadiglio.

«Ti diverti?»

Annuì. «Non puoi capire quanto.»

«Comunque ti ripeto: lo sapevo già. Me l’aveva spiegato Tuo Padre.»
Mathieu gli lanciò un’occhiataccia.

«Scusami» disse «Non potevo resistere alla tentazione di fare la battuta sugli spergiuri. Ci penso su da questa mattina».

La calca andava pian piano diminuendo. Di tanto in tanto a sbattere era la seconda porta, dalla quale gli studenti non venivano inghiottiti ma sputati fuori, prima di sparire nei corridoi con passo svelto.
Quando da quella vennero vomitati uno sbuffo di foglie secche ed uno studente completamente nudo, per un attimo sembrò congelarsi il tempo. Tutti scoppiarono in ovazioni e risate fragorose. Mathieu stesso si mise in punta di piedi e scoppiò a ridere.

«Guarda!» disse, indicando a Snow la direzione verso la quale già tutti stavano guardando.

Era Alf Becker, secondo anno, vittima predestinata dei migliori scherzi dell’accademi, che lo avevano reso famoso. Di fronte al pubblico delirante, Alf si coprì con una mano tra le gambe e con l’altra la pancia flaccida, ricoperta di riccia peluria bionda. I piedi scalzi scalpicciarono sul pavimento mentre, in preda al panico, si diede alla fuga mostrando le terga, arrossate anch’esse per la vergogna.
Era chiaramente un benvenuto in gran stile per quelli del primo anno.

«Amo quelli del quinto anno» disse sogghignando Mathieu, che non si perse neppure un secondo della vergognosa ritirata.

Snow scosse la testa e si grattò leggermente il braccio: grazie al cielo il calvario sarebbe durato ancora per qualche ora.

«Qual era il numero della nostra stanza? Non me lo ricordo» chiese a Mathieu quando ormai furono a due passi dal loro turno.

Dietro di loro rimanevano solo una quindicina di persone.
Quando Melody Mallory fu inghiottita dalla porta, si lasciò scappare un gridolino che divertì i presenti. Sulla pedana rimase una sua scarpetta bianca, ma questa venne presa da una ragazza che, imbarazzata, svanì subito dopo oltre la soglia della porta.

«Che sfigate» bofonchiò Mathieu «È la due zero quattro. Soffri il mal di porta?»

«No, scemo» una foglia morbida frusciò davanti al viso di Snow, che sorrise.

Poi un’idea lampeggiò nella sua mente.

 «A proposito!» esclamò «A te com’è andata?»
Mathieu salì il primo gradino della pedana, si voltò e gli sorrise. Sollevata la mano, la portò al suo monetarium e strofinò tra due dita uno dei medaglioni.

«Era ora che me lo chiedessi. È lo Scoppio» disse, lasciando la presa e facendo tintinnare la collana sul petto «Figo, no? Ah, e a proposito: ho scambiato due chiacchiere con la tua nuova ragazza. Sembra simpatica».
Snow inarcò un sopracciglio. Mathieu impugnò la maniglia.

«Ma che…»

«Due.Zero.Quattro!» lo interruppe.

Di Mathieu non rimase che un ciuffo di erba sputato nel vento.
Per un attimo Snow restò immobile a fissare gli intarsi lungo lo stipite della Tras-porta: preziose decorazioni di frutti e fiori.
Quando, confuso, salì a sua volta il gradino, i pochi rimanenti si zittirono e lo fissarono. Ne scrutò uno ad uno i volti, prima di dar loro le spalle e sentire l’origine dei primi sommessi chiacchiericci. La Sala delle Sale divenne un fiume di sussurri.
Snow sospirò e poggiò la sinistra alla maniglia: non vedeva l’ora di sparire, anche se solo per un po’.
 

***

 
Materializzatosi nell’androne del dormitorio, Snow si diresse verso la stanza e ne aprì la porta con la foga d’un rinoceronte.
Nel mezzo, Mathieu si guardava attorno con una scintilla d’interesse e le mani nelle tasche. Quando si voltò verso l’amico, tuttavia, gli mostrò un’espressione piatta.

«Come sarebbe a dire ‘la mia nuova ragazza’? Mi sono perso qualcosa?» disse Snow, chiudendosi la porta alle spalle. Distratto dagli eventi, cominciò a grattarsi con forza il braccio.

«Ti cadrà, te l’ho detto» rispose Mathieu.

«Allora? Mi spieghi?»

«Mamma, come sei pesante» Mathieu sospirò e  alzò lo sguardo verso un tubo al neon, che percorreva nella sua lunghezza la parte centrale del soffitto «Elettricità? C’hanno presi per degli antiquari, chiaro. Loro usano le fiaccole di Myst anche per asciugarsi i calzoni. Comunque tu da che parte dormi? Nei prossimi giorni dovrebbe arrivare il nostro compagno di stanza, ma mio padre dice che a volte non arriva nessuno, quando ci sono questi ritardi, quindi in tal caso mi prenderei io anche il secondo letto. Sai, odio dormire nei singoli, non puoi capire il fastidio…»

Con un sorriso divertito sul viso, Mathieu si incamminò verso l’angolo cottura, grande un quarto del monolocale.
Di tanto in tanto, con un sibilo, dalle travi di legno che componevano lo scheletro della stanza spuntavano radici che sparivano subito dopo, rituffandosi nelle pareti.
Anche le strutture del campus, come l’accademia stessa, erano generate da Myst della Terra allo stato puro, e in quanto tale brulicavano di energia: era come vivere nella pancia di un essere vivente.
Sconfitto dalla testardaggine di Mathieu, dalla stanchezza e dal fastidio al braccio, Snow si gettò sul letto più distante dalla porta d’ingresso e più vicino al balcone.
Quando Mathieu aprì il frigorifero, l’apparecchio cominciò a ronzare.

«Il frigorifero è vuoto» lo precedette Snow, fissando l’amico da quella nuova posizione «Ma se vuoi nel cassetto ci sono delle Spiritelle che mi sono rimaste dal viaggio.»

Il trucco per sconfiggere Mathieu era dimostrarsi indifferenti al suo gioco.
Detto fatto: lasciato il cassetto aperto dietro di sé, Mathieu andò a sedersi sul letto di mezzo e fissò in silenzio l’amico sdraiato. Nel suo palmo destro, la tonda Spiritella era incartata in una velina cangiante azzurra e verde. Tolto l’involucro, Mathieu studiò per un attimo il dolcetto rosa, quindi aprì la bocca e…lo gettò a terra.
Pop.
La Spiritella si aprì con uno scoppiettìo e sfiatò uno sbuffo rosato che si mosse sinuoso nell’aria, compiendo voluttuose spirali e assumendo ora le fattezze d’un delfino, ora quelle di due vivaci bambini. Quando anche l’ultimo fazzoletto di nube zuccherina corse nella sua bocca, Mathieu chiuse le labbra e ingoiò, visibilmente in estasi per i piaceri del Si’v della Dolcezza.

«Ok, parlo» disse poi, come da copione, passandosi il dorso della destra sulle labbra «Mi riferivo a quella tizia che oggi ti ha dato una mano durante la prova. Hai presente?»

Snow rimase in silenzio e si mise a fissare il soffitto, dove un ramo spuntò come germoglio, crebbe, fiorì e poi sparì di nuovo nelle assi.

«È il Si’v del Cambiamento!» scimmiottò Mathieu, prima di gettarsi sul letto e sbuffare un sorriso.

«Ok. Quindi?»

«Ma niente, scherzavo sul fatto che fosse la tua nuova ragazza, ma con te non si può fare ironia. Insomma, sai chi è quella? Denise Saponetta Gatti. La chiamano tutti così perché i suoi genitori sono dei Gamma, ed entrambi hanno solo il Si’v della Schiuma. Pensa che sfigati. Ah, ed è italiana, ho detto tutto. Lei prima frequentava l’accademia a Pompei, ma poi ha cambiato perché lì aveva vita impossibile. Come se qui le cose potessero cambiare. Io gli italiani proprio non li reggo».

«Mi ha aiutato».

«Quindi ti è simpatica. Lo so come funziona il tuo cervello, Superman. Risparmiami i bei discorsi. È vero, ti ha aiutato, e quindi le dobbiamo un favore. Comunque sia oggi ha guadagnato una buona fetta di rispetto: mentre la Prinkett ti intossicava col brodume, lei è entrata in sintonia con il Si’v della Luce, uno degli elementali, e questo la farà schizzare dritta ai primi posti di qualunque classifica di Cyh’t degni di nota di quest’anno…» il discorso scemò in un borbottìo: era sempre così, quando Mathieu doveva cominciare a parlare bene delle persone «Domani ti va di andare in accademia a piedi?»

Snow sbadigliò e chiuse gli occhi. «Ok» rispose.

«Pensa» anche Mathieu sbadigliò, mentre una radice gli accarezzava i capelli e spariva dietro di lui «Che ridere se scopriamo che la nostra stanza è infestata e ci ritroviamo i fantasmi di legno che escono dai muri questa notte. Gaspard si è ritrovato legato al letto e hanno scoperto che erano stati folletti del mogano, sai? Chissà se è vero.»

Silenzio.

«Snow?» chiese.

«Già…» rispose l’altro.

Mathieu aprì gli occhi e alzò la schiena dal materasso. Quando si voltò, Snow stava già dormendo.
Mathieu si sfilò il monetarium dal collo e lo poggiò sul comodino. Il leggerissimo Myst che ogni tanto appariva negli angoli della stanza, svanì magicamente ai suoi occhi.

«Buonanotte».



NOTE VARIE : ok avevo detto che avrei aggiornato dopo molto, ma dato che ho scritto tipo 25 pagine in due giorni, portandomi avanti non di poco, ho deciso di pubblicare un altro frammento. questo libro è nato senza capitoli, ma con scene ( di diversa natura e lunghezza ) separate da un asterico ( ne avete avuto un esempio ), quindi mi è un po' difficile scegliere di volta in volta quando e dove fermare la pubblicazione. per questo motivo, non succede molto in queste pagine, ma se avessi dovuto aggiungere la parte successiva ( con qualche novità ) sarebbe diventato tutto troppo lungo, quindi penso vi dovrete accontentare di questo, per il momento. cercherò sempre di aggiornare con una decina di pagine alla volta. spero abbiate gradito anche lo specchietto iniziale, che vi dovrebbe aiutare a tirare le somme di tutto.
dilemma: non mi piace la parola siv'porta, ma non ho la più pallida idea di come sostituirla. qualcuno ha delle idee? sono ben accette.
e soprattutto: cosa ne pensate del layout così? vi facilita la lettura o lo reputate orribile?
un abbraccio, ivan.
Beta-reader: Ely79. è una scrittrice grandiosa, e consiglio a tutti voi di dare un occhio alle sue storie, che spaziano dal genere steampunk, a quello sovrannaturale (licantropi), a quello dai toni più drammatici. qui c'è il link al suo profilo ( click )

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Capitolo 3
*** 03 ***



|| La Si'vporta è stata trasformata in Tras-porta. Se non vi tornano i conti è per quello!



«Dai, sbrigati o faremo tardi!» Mathieu superò con un balzo gli ultimi due gradini e mise piede sul sentiero ghiaioso.

Qualche nuvola d’ovatta galleggiava in un cielo turchese da cartolina. Attorno a lui, un formicaio di edifici di legno dall’aspetto bizzarro si ergeva coprendo in parte il panorama montano. Il campus-foresta dell’accademia francese era unico nel suo genere e conosciuto in tutto il mondo: Mathieu si concesse qualche attimo per osservare estasiato le composizioni di strutture  che lo circondavano.
Case-bozzolo erano appese a possenti rami di pini millenari, e ondeggiavano pigramente al vento; tende di liane pendevano dai pavimenti delle case sugli alberi; torri di radici intrecciate fiorivano sulla punta, avvampando di arancioni e porpora. Uccelli e insetti nidificavano tra le fronde dei palazzi ammantati di edere e accarezzati da felci, librandosi nell’aria in un movimento perpetuo. Lungo il tronco di una quercia la cui vetta era invisibile da quella posizione, si arrampicava a spirale un serpentone squadrato punteggiato di finestre. Accanto a questo sorgeva il dormitorio di Mathieu e Snow: un complesso di qualche stanza dall’aspetto deludente e ordinario. L’unico in tutto il campus.

«Cambia forma» disse Snow, ormai al suo fianco.

Preso com’era dal godere di quel panorama, Mathieu non si era accorto del resto.

«Come?» gli chiese, sistemandosi lo zainetto di cuoio sulle spalle. L’aspetto raffinato da parigino e i capelli biondicci lo facevano apparire come in realtà non era.

«Credo sia il dormitorio matto, ne ho sentito parlare qualche volta. Nel dubbio, ricordiamoci la sua posizione» Snow cominciò a camminare.

«Ti fa male il braccio?» chiese Mathieu dando un occhio alla manica del cappotto dell’amico, lungo fino alle ginocchia e color navy.

«No! C’è solo una grande macchia rossa e ogni tanto prude. Credo sia lo scotto da pagare per essermi grattato fino allo sfinimento».

La ghiaia scricchiolava sotto le suole degli scarponcini. Il sole, già alto nel cielo, spinse Snow a nascondere gli occhi castani dietro le lenti di un paio di Persol.
Alla loro destra, da una scatola priva di finestre che poteva essere un altro appartamento, s’aprì un varco nel legno e ne uscì un gigantesco cucù: il suo cinguettìo stridette talmente forte da obbligare entrambi a tapparsi le orecchie e digrignare i denti.
Quando smise di cantare, il cucù sparì dentro l’edificio, tra cigolii di molle e gracchi di ingranaggi.

«Immagino che questa fosse l’ultima sveglia» disse con una smorfia Mathieu, dando un occhio all’orologio da polso: le otto meno dieci. Dovevano sbrigarsi.

«Ma non potevamo prendere la Tras-porta?» disse Snow allungando il passo, in un continuo tintinnìo dovuto alle ingombranti collane.

Più avanti, degli studenti chiassosi uscirono in gruppo da uno dei dormitori e corsero lungo la via. Uno di loro cercò di infilare la giacca in movimento.
Snow aveva già il fiatone.
Fu quando svoltarono oltre il cucù, che il paesaggio dell’Ardèche si mostrò in tutta la sua magnificenza.
La zona dei dormitori, in posizione lievemente rialzata, permetteva una vista nitida sulla valle, che si stendeva stretta per chilometri serpeggiando tra le creste calcaree. Tutto era dominato dal verde incontrastato delle conifere, macchiate qua e là da spruzzi di flora mediterranea.
Un vento lieve suonava le fronde delle robinie e trasportava la fragranza degli aghi di pino e della resina fresca. Una nuvola coprì il sole per qualche istante, gettando nella penombra l’intero paesaggio.
Migliaia di metri più avanti, al termine del sentiero sterrato che spariva inghiottito dal verde, l’accademia dominava il paesaggio dal picco più alto, affacciandosi su una ripida discesa di basalti che, più in basso, sfumavano prima in sassi e poi nell’acqua di un fiume, il cui scroscio ravvivava la foresta.
L’imponente facciata, ben visibile anche da quella distanza, ricordava lo stile gotico inglese, ma era incastrata tra mura più massicce e pulite, ora dall’aspetto medievale e ora realizzate con una moltitudine di legni unici, che sfavillavano sotto ai raggi del sole. Un alone dorato appariva e spariva tra le guglie, e gli alberi cresciuti sui tetti.
I due ragazzi rimasero a bocca aperta.

«Dovrebbero cambiare il giro del treno» disse Mathieu «Venendo la prima volta non si nota niente di tutto questo, è praticamente un delitto» tirato fuori il cellulare dalla tasca, scattò una foto e sorrise.

Un ronzìo richiamò la loro attenzione: un ampio divano in pelle galleggiò e li superò, passando alla loro destra. Due ragazze sedute tra i cuscini chiacchieravano tranquille, truccandosi.

«Dovremmo fare l’abbonamento» disse Mathieu seguendo il sofà con passo lento «La Fluttuovia ci farebbe risparmiare un bel po’ di tempo». 

«Secondo te quanti chilometri saranno?» chiese Snow fissando la valle.

«Secondo te cosa posso saperne? Saranno cinquecento metri» Mathieu scrollò le spalle «Ad ogni modo, a questo punto, fin troppi per farli a piedi. È tardi, e ci conviene tornare indietro e usare la Tras-porta. Rimanderemo la nostra passeggiata nei boschi a domani. Castagne, funghi e lupi cattivi potranno aspettare».

«Te l’avevo detto, io» disse Snow.

«Te l’avevo detto, io» lo imitò l’altro.

«Non rompetemi le scatole!» urlò una ragazza rompendo l’equilibrio.

Entrambi si guardarono attorno straniti. Mathieu indicò una fila di felci ai limiti del sentiero. Di soppiatto si avvicinarono e si nascosero tra le fronde del sottobosco.
Quando Snow fece per dire qualcosa, il francese lo zittì con un dito sulle labbra. Scostò una foglia e aprì la visuale su tre persone tra gli alberi, ad una ventina di passi da loro.

«Quello alto è Emilien De Ville» mormorò Mathieu a denti stretti «Quarto anno. Sono bulli».

«Non dovremmo essere qui» disse Snow, con le ginocchia nel terriccio polveroso.

Emilien, un ragazzo poco più che ventenne col naso appuntito come una lancia, stava lanciando delle ghiande addosso a una ragazza stesa tra gli aghi di pino. I suoi singhiozzi si mischiavano ai rumori della valle.
Accanto a lui, un ragazzino di colore gli dava man forte sghignazzando.

«Avanti, lavati, cretina. Pulisci, dai!» disse Emilien col suo timbro graffiato.

Una ghianda colpì con un rumore secco la testa della ragazza, che sussultò e gemette di dolore.

«È Denise!»

Mathieu strattonò per il braccio Snow e lo riportò giù, facendolo capitombolare nell’erba. Il gioco dei due si interruppe per un secondo, ma non vedendo niente d’anomalo tra il verde, ripresero poco dopo.

«La terra!» incitò quello nero e grassoccio «Prendi la terra!»

«Basta, vi prego» singhiozzò Denise.

Quando Emilien cominciò a tirarle addosso manciate di terra, Denise si raggomitolò su sé stessa, tremante.

«Torna in Italia, Saponetta. Qui in Francia ci laviamo da soli».

«Sei completamente impazzito?» sibilò Mathieu, avvicinando il volto a quello di Snow «Come minimo se ti acchiappano ti scotennano come un maiale, e sappi che se sei talmente scemo da farlo, darò loro una mano».

Snow fissò in silenzio oltre i cespugli e poi di nuovo il suo amico.

«Non possiamo lasciarla lì» disse «Le dobbiamo un favore, ricordi?»

«Un favore non significa farsi aprire come una Spiritella. Avranno come minimo sette Siv’ne ciascuno, e noi ne abbiamo due e non sappiamo nemmeno usarle. Ti è chiaro il meccanismo?»

«Ti prego…»

Quando Emile afferrò la borsa di Denise da terra, quella cercò di ribellarsi, ma dopo una spinta col piede tornò accucciata nella sua posizione sottomessa.

«Ok» disse Mathieu «Ma tu non metterti in mezzo: non sei capace di allacciarti le scarpe, figuriamoci gli atti di eroismo. E sia chiaro: che sia la prima ed ultima volta».

Snow annuì senza riuscire a nascondere un sorriso.

«DENISE!» urlò Mathieu alzandosi dal suo nascondiglio e sbucando da dietro i cespugli.

Dal suo nascondiglio, Snow fissò lo zainetto sulla schiena di Mathieu, mentre questo si avvicinava al gruppo. Dal tono di voce poteva immaginarne il sorriso forzato.
Sotto gli occhi dei tre tra gli alberi, Mathieu tirò fuori il cellulare e, come se niente fosse, scattò una foto.

«Cosa cazzo fai?» urlò spazientito Emilien.

«Fermo, fermo, fermo» lo interruppe Mathieu con una mano a mezz’aria «Non pensate che la luce filtrata dai pini sia suggestiva? Pensavo di stampare la foto per mostrarla a mio padre, il professor Blanchard».

Emilien e il suo amico si fermarono e si guardarono, cercando risposte l’uno nell’altro. Il sudore cominciò a imperlare la fronte spaziosa del primo e le rughe flaccide del viso del secondo.

«Denise Gatti, vero?» continuò Mathieu, avvicinandosi alla ragazza ostentando sicurezza.

Denise annuì confusa.

«Mio padre ti sta cercando da questa mattina: vuole congratularsi con te per lo splendido spettacolo di ieri. Pensi di potermi seguire fino al suo ufficio? Se per te non è un problema, chiaramente. Ho interrotto qualcosa? Potrei dire a Blanchard e la Prinkett di aspettare un’oretta».

Mathieu porse la mano a Denise e la aiutò a rialzarsi da terra: i vestiti e i capelli erano un ricettacolo di aghi di pino e terriccio fresco.

«Ragazzi?» incalzò il francese «Lo zaino, s’il vous plait. E a proposito: siete molto fotogienici».

Snow sorrise.

«Io dico di pestarlo» disse il più basso.

«Da quando difendi le Gamma, Blanchard?» disse invece Emilien, tutto un fuoco d’ira.

«Sì, da quando?» rincarò l’altro.

«Da quando ne ho voglia, problemi?» rispose Mathieu riprendendo lo zaino dalle mani del bullo.

«Noi no, ma tu da adesso avrai molti problemi.» Emilien trasudava veleno. Vibrava d’odio. «Tuo padre non potrà esserci sempre, Blanchard».

A Snow salì un brivido lungo la schiena. Denise diede qualche pacca al vestito per scrollarlo dalla terra e la polvere.

«Ne terrò conto, grazie» disse Mathieu fingendosi indifferente.

Assieme a Denise, mosse i primi passi verso i cespugli.

«E cancella quelle foto, Blanchard!» gli urlarono dietro, quasi in coro «Ci divertiremo, vedrai!»

Quando Snow incrociò lo sguardo di Mathieu gli si gelò il sangue. Abbandonò il suo nascondiglio poco dopo, quando venne superato dai due, mano nella mano. Si alzò mostrandosi ai bulli per un istante, e dopo averne incrociato gli sguardi seguì gli amici con una corsa di rimonta.

«Grazie» disse affiancando Mathieu.

Denise tirò su col naso e si lisciò – invano - i capelli con le mani. Alle loro spalle si sentivano le voci grosse dei bulli tra gli alberi. Probabilmente stavano discutendo.

«Sei un cretino» rispose Mathieu, lapidario, guardando dritto a sè.

Stavano camminando verso il dormitorio foresta, di nuovo.

«Vi ringrazio…» si intromise timidamente Denise, con la borsa sgualcita e appesantita da manciate di spillette colorate. I palmi, le ginocchia e lo stesso viso erano visibilmente arrossati.

«Non me ne faccio niente dei ‘grazie’, Gamma.»

«Stai esagerando, Mathieu.» Snow gli diede un buffetto sul fianco, per richiamarlo all’ordine.

Mathieu sbuffò, quindi Denise rallentò il passo e, chinata la testa, singhiozzò.

«Oh, che palle» sbottò il francese «Vuoi smetterla di frignare?»

«Mathieu!»

«È una lagna! Che fine ha fatto il coraggio della Prima Sala?»

«È sconvolta».

«IO dovrei essere sconvolto. Diamine, mettetevi nei miei panni: quei due mi batteranno come un tappeto indiano, mio padre è un professore dell’accademia e vado in giro con Saponetta e quello-che-porta-iella. Mi distruggeranno!»

Denise continuava a singhiozzare. Snow le poggiò una mano sulla spalla e Mathieu aumentò il passo lasciandosi dietro gli altri due.

«Scusalo» mormorò Snow alla ragazza «È solo un po’ spaventato».

Saponetta annuì e si passò una mano sul volto impiastricciato di lacrime e terra. Se normalmente aveva un aspetto ordinario, così era davvero un disastro.
Mathieu si fermò una ventina di passi più tardi, inscenando un rumoroso sospiro.

«Avanti» disse voltandosi «Non vi aspetterò ancora per molto. E come minimo mi dovete un favore. Anzi due. E un sacco di dolci. E le monete del FightFight!»

Denise guardò confusa Snow, che in risposta scrollò la testa, sconsolato.

«Visto? È scemo, ma è buono».

Quando arrivarono al dormitorio, si respirava già un’aria più distesa.

«Secondo voi mi picchieranno a sangue o mi uccideranno direttamente? C’è un mucchio di spazio per sotterrare la gente, qui».

«Come la fai tragica, hai decisamente fatto il pieno di CSI» rispose Snow.

«Siete buffi» azzardò Denise, con un sorriso.

«Non abituarti, Saponetta» disse Mathieu aprendo il portone del palazzo e lasciando passare prima gli altri «Sono più cattivo di quel che sembro».

«Non credergli, è tutta facciata, ma in realtà si guarda Twilight in streaming e piange con le scene romantiche».

«Hey!»

«Denise» li interruppe lei «Mi chiamo Denise».



NOTE VARIE : altri stralci di quotidianità, qualche dettaglio in più sul carattere dei protagonisti e l'introduzione di altri personaggi ancora non molto definiti. vi anticipo qualcosa sul prossimo capitolo: ci sarà la prima lezione di magia! vi consiglio di non perderla.
ringrazio chiunque abbia recensito e chiunque abbia letto senza scrivere nulla. in tal caso vi invito a mandarmi anche solo una mail privata, perchè mi farebbe piacere sapere della vostra nebbiosa presenza! vi lascio con due fanart di monetarium fatte da un artista che preferisce restare anonimo, e con accanto il mio pessimo tentativo di riprodurle. sono una schiappa! ahahahah
Beta-reader: Ely79. è una scrittrice grandiosa che ha in cantiere una storia dall'ambientazione steampunk dal sapore Zafoniano. Stay tuned! qui c'è il link al suo profilo ( click )


|| una fanart di Snow e il mio pessimo tentativo di replicarla


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Capitolo 4
*** 04 ***



|| Ci sono stati altri piccoli cambiamenti, segnati nello spazio a fine capitolo. Prometto che saranno gli ultimi.
Ad ogni modo non sono fondamentali o complicati, quindi tranquilli!


Quando i tre ragazzi varcarono la soglia della Grande Quercia, il silenzio calò nella sala.
Denise si chinò in avanti col fiatone, sfiancata dalla corsa.
Lievi correnti spiravano all’interno del tronco cavo nel quale era stato ricavato lo spazio, rendendolo uno strumento. Singole note ovattate vibravano nell’aria, dove banchi di Myst galleggiavano placidi, diventando invisibili e poi color smeraldo.
Snow arricciò in naso, infastidito dall’odore di muschio e funghi.
Mathieu sollevò lo sguardo e l’altezza spropositata fece incrociare i suoi occhi azzurri, stordendolo con un capogiro. Quando alcuni degli studenti seduti cominciarono a sussurrare, si strinse nelle spalle.
Nessuno dei tre mosse un passo.
Di fronte a un ammasso informe di felci a una ventina di passi da loro, Momo Kauli Lane si concesse tempi geologici per girare su sé stesso: gli occhi allungati, tipici della gente delle Hawaii e ridotti a due fessure dalla vecchiaia, si posarono un po’ più a destra di dove i tre si trovavano. Chinata indietro la minuscola testa inspirò l’aria, come a saggiarne il profumo. Un sorriso distese le labbra  sottili, incastrate perfettamente nel viso grinzoso e incartapecorito. Il corpo di Lane sembrava accartocciato su sé stesso come l’involucro di una Spiritella, forse per il peso delle diciotto monete sul suo petto che, in gioventù, avevano fatto di lui il Cyh’t più potente al mondo.

«Snow Foster» disse, con la voce che uscì debole come l’aria che spira da una cripta «Il signorino Blanchard e…» Lane accarezzò una delle monete al suo collo, pensieroso «Gatti. Giusto?»

«Sì, professore» Denise annuì.

Il vecchio sorrise. Tutto di lui dava una sensazione di calma e consapevolezza millenarie.

«Che insolito terzetto…» aggiunse Lane, alzando un braccio verso gli altri alunni «Prendete posto…prego. Non sarà certo un ritardo…a minare l’umore di questo povero vecchio».

Snow guardò Mathieu e insieme sospirarono sollevati, promettendosi in silenzio di evitare ora e per sempre ulteriori ritardi.
Gli sguardi inopportuni strapparono loro i vestiti: qualcuno sogghignò per l’aspetto cencioso di Denise, mentre altri osservarono con sdegno Snow, che in risposta limitò ad abbassare la testa.

«Dovresti fare il duro» gli mormorò Mathieu, al suo fianco e con la testa alta.

Snow annuì.
Presero posto su tre ceppi di differente altezza, in fondo alla sala. Tolti gli zaini e i cappotti, presero il libro di cultura magica e lo posarono sulle ginocchia.

«Immagino che queste chiacchiere…» intervenne Lane «Siano conseguenza degli eventi di ieri…o forse sbaglio?» gli occhi bianchi vagarono pigri sulla stanza, senza mai posarsi su qualcuno o qualcosa in particolare.

La mano ossuta del professore si aggrappò alla cattedra.
Il tronco risuonò di un Do cupo e continuo.

«Può venire qui…signor Foster? Immagino che parlando di lei riceverò più attenzione…che non parlando di storia e altre teorie da enciclopedia».

Snow rimase immobile. Tutti si voltarono a guardarlo.

«Foster…?» ripetè Lane.

Mathieu gli diede una gomitata. Snow sobbalzò, si alzò e si incamminò verso la cattedra. Kauli Lane gli tastò le spalle e la testa, inspirò come stesse annusando del buon vino e annuì.

«Certo, certo…» mormorò tra sè, dunque alzò la voce «Chi di voi mi sa dire qualcosa…di ieri?»

Melody Mallory alzò la mano.

«Mallory» confermò il professore senza indugi, poggiandosi al braccio di Snow.

«Secondo me si finge cieco» mormorò qualcuno in prima fila.

Lane sorrise.
La stessa Melody impiegò qualche secondo, prima di alzarsi. Una vistosa collana di perle si intrecciava sul petto assieme al monetarium, tra boccoli nocciola e fronzoli di tessuto sull’abito verde.

«Ho visto un documentario, tempo fa» disse «La sostituzione di un Si’v nella Prima Sala porta sfortuna. L’anno in cui scoppiò la seconda guerra mondiale, all’accademia di Tel Aviv ci furono ben tre cose così. E poi, insomma, era anche uno spirito dell’ombra…»

«Va bene così» interruppe il professor Lane «Non mi faccia dubitare delle sue idee…signorina Mallory. Si sieda, avanti».

Melody tornò a sedersi con un cipiglio sul viso.

«Ah…sì» disse il vecchio, lasciando il braccio di Snow e andando a sedersi su uno scranno di radici annodate, dietro la cattedra «Ricordo di Tel Aviv. Mi feci grandi risate già ai tempi. Quanti anni sono passati…»

Il fruscìo delle felci anticipò un Mi e un Fa, che riecheggiarono per qualche secondo nella stanza, come suonati da flauti lontani.

«L’ombra è un elemento come gli altri, signorina Mallory…se lo ricordi. Sarà brutta…ai suoi occhi, ma nella storia…Cyh’t di buon cuore hanno usato con onore e saggezza il dono dell’oscurità. E si è dimenticata un dettaglio, Mallory…la sostituzione può essere il frutto di una potente maledizione».

Snow guardò le espressioni esterrefatte dei suoi compagni. Alle sue orecchie, quelli, non erano argomenti nuovi: a spiegargli tutto era stata la Prinkett, il giorno prima.

«Sono certo che nessuno voglia il signor Foster morto…e che questa volta sia stata una scelta dettata dal fato…ma ciò dovrebbe insegnarvi a non trarre le conclusioni solo sulla base di sciocche credenze popolari. La sciagura…non esiste: esistono solo i buoni e i malvagi. Se mai dovesse accadere un evento nefasto, incolpate i carnefici o il destino... Nessun altro. Foster…?»

«Sì?» Snow trasalì.

«Può andare a sedersi».

Snow tornò al posto, tra i suoi amici, ma questa volta a testa alta. Mathieu gli diede una pacca sul ginocchio e Denise gli sorrise.
Il vecchio inspirò con calma e fece vagare lo sguardo tra i presenti. Il canto di un uccello risuonò nell’ambiente.

«Dubois, Mureau e…vediamo…tu…» Lane per un attimo sembrò smarrito, pensieroso.

Annusò l’aria e si accarezzò una guancia. Nessuno sapeva da che parte guardare.

«Lefevbre, se non sbaglio…» aggiunse «Potete venire qui, per cortesia? Gli altri aprano a pagina ventotto».

«Ma come fa?» chiese Denise agli altri due, con voce sommessa.

«Sembra telepatico» aggiunse Snow, scoprendosi con la pelle d’oca.

«Ti ha salvato» disse Mathieu con un sorriso «Ora se non altro sarai solo ‘lo sfigato che verrà ucciso’, e non più ‘quello che porta iella’».

Nessuno dei due gli rispose, ma insieme aprirono i tomi alla pagina indicata: il Si’v del Fiore.
Sul foglio ingiallito, dipinta al centro di una moneta, una ragazzina dai lineamenti dolci e il nasino a punta sorrideva ai lettori. Sulla sua testa, una coroncina di margherite richiamava le rose e i girasoli dai quali era incorniciata.

«Tanto vale fondere il monetarium» mormorò Mathieu sfogliando altre pagine.

«Shhh» Denise lo zittì e invitò entrambi a guardare davanti a loro.

I due ragazzi si scambiarono uno sguardo stranito, per lo slancio di carattere di Saponetta.
Snow non aveva mai visto nessuno dei tre studenti chiamati: due di loro sembrare sorelle, con lineamenti poco prununciati, labbra gonfie e capelli ramati. A tradire il loro legame di sangue era solo il cognome diverso.
Il terzo, invece, indossava una lunga tunica grigia che lo copriva fino alle punte dei piedi, e un paio d’occhiali tondi sul viso rovinato dall’acne.

«È Paolo Lefevbre» bisbigliò Denise «È in camera con me, anche se non si potrebbe, ma hanno fatto dei casini e…» la frase terminò in un frulliò della mano destra «È un po’ svitato».

«N.F.P.S.K.» disse Mathieu «Nerd Frustrato Possibile Serial Killer».

«Zitto, scemo» lo riprese Snow.

Mathieu roteò gli occhi verso l’alto.

«Muu’fan» pronunciò con fermezza il professor Lane «Si richiama in questo modo il Si’v del Fiore, uno spirito della Terra buono…e altruista, che difficilmente risponde alle battaglie».

«Come se servisse a qualcosa» concluse Mathieu «Povero Lefevbre».

Denise gli colpì un fianco zittendolo.

«Possedere un Siv’ne non significa dominare in toto uno spirito...I Si’v vi hanno fatto un dono, ma restano liberi. Essi risponderanno ai vostri comandi nella maggiore delle evenienze…e alcuni di voi riusciranno a comandare azioni che vadano contro la loro indole…ma tenete sempre a mente…la loro natura…e con essa la nostra piccolezza. Talvolta manifesteranno solo la loro magia...altre volte compariranno di persona per aiutarvi».

Le due ragazze accanto a Lane si guardarono e sorrisero complici. Qualcuno tra i seduti prese nota, ma la maggior parte di loro – tra cui Snow e Mathieu - sfogliò il libro alla ricerca del proprio Si’v.

«Coraline Dubois, prima lei…prego. Ci mostri la magia. Muu’fan…avanti. Muu’fan…»

Il viso di Coraline divenne rosso per la vergogna e poi bianco per la tensione. Fece un passo avanti e strinse tra le dita affusolate il monetarium.
Il mormorio che produsse risultò inudibile forse anche per le sue stesse orecchie.

«Alzi la voce, su!» rimbeccò Lane, sprofondando nello schienale del suo trono, sconfitto dalla stanchezza.

«Muu’fan!» urlò lei.

Seguì il silenzio. Tutti gli occhi erano puntati su di lei.
Una pioggia di petali azzurri cascò soffice sulle teste dei presenti, sfarfallando nell’aria. Il Myst si mosse lento e caldo nella stanza, illuminato qua e là da bagliori di pura energia.
Con gli sguardi sorpresi e divertiti, tutti applaudirono estasiati e Coraline frizzò di allegria. Quando la magia terminò, il pavimento rimase ammantato di scaglie cerulee. Un piacevole odore di pesche mature sostituì quello ristagnante di sottobosco.

«Buoni, buoni!» urlò Lane, per quanto il corpo glielo rendesse possibile «Ottima prestazione, signorina Dubois, ma sono sicuro che possa fare di meglio. Torni pure al posto. Mureau, è il suo turno».

Aurore Mureau abbracciò l’amica e si scostò di un passo dalla cattedra. Aveva linee più piene di quelle di Coraline. Nell’elegante chignon, i primi petali azzurri cominciarono a svanire nel nulla.

«Saresti stato carino, col Si’v del Fiore» disse Snow a Mathieu, sorridendo. Nessuno più lo stava guardando, e non poteva essere più sereno di così.

«Saresti stato simpatico, col Si’v del Silenzio» gli rispose lui.

Denise ridacchiò e si nascose invano dietro la mano, per non farsi vedere da Snow. Mathieu se ne accorse e si impettì.

«Comincia a piacermi» disse infatti.

«Anche se sono italiana» aggiunse lei.

«Gatti sta uscendo dal suo guscio» si intromise Snow.

«Muu’fan!» gridò con fermezza Aurore.

Lo scatto teatrale che fece col braccio suscitò le risate in molti dei presenti.
Il Siv’ne al collo di Aurore s’illuminò d’un bagliore dorato, sotto lo sguardo stupito di tutti. La stessa Aurore indietreggiò spaventata, cozzando con una delle felci alle sue spalle.
Una propaggine di luce scivolò fuori dalla medaglia frustando l’aria e puntando al soffitto. Quello si plasmò come un fluido e si staccò dal cimelio, librandosi nella stanza ormai satura di Myst baluginante. Le pagliuzze dorate sfrigolarono tutt’attorno al Si’v del Fiore, che si manifestò nella sua forma di donna.
I capelli bianchi dello spirito fluttuarono come se immersi nell’acqua. Una maschera di petali copriva per un quarto il volto fanciullesco, sviluppandosi a spirale attorno ad un occhio solo. Le labbra si schiusero in un sorriso pieno di gioia.
Qualcuno tra gli studenti si abbassò, quando la figura eterea volò sulle loro teste. Dalla sua coda evanescente, come quella di una cometa, piovvero petali di rose bianche e corolle di margherite.
Le voci festose delle ragazze si mischiarono ad uno scrosciante applauso: qualcuno si alzò in piedi e Aurore guardò tutto col cuore gonfio di gioia.
Il Si’v percorse il perimetro circolare del tronco e disegnò, al suo passaggio, una spirale dorata che spingeva verso l’alto. Dalle linee luminescenti sbocciarono fresche e piccole primule che velarono la corteccia ruvida del tronco.
Snow si scrollò di dosso i petali, contento. Mathieu svuotò il cappuccio della sua felpa e si passò una mano tra i capelli biondi, un po’ scocciato. Denise arricciò il naso, infastidita dal profumo che si era fatto troppo intenso.
L’unica a non risentire affatto dell’atmosfera era Coraline, che per la prima volta guardò l’amica con un pizzico d’invidia.
La pesante collana di Momo Kauli Lane tintinnò non appena il Si’v sparì nel nulla. Si alzò e richiamò all’ordine gli studenti.
Tutti pendevano dalle sue labbra. Qualcuno era in attesa della magia di Paolo. Aurore tornò al posto, ma Coraline non l’abbracciò.

«Queste due promettenti signorine…» disse il professore «Hanno entrambe la stessa guida, ma a loro questa risponde in maniera differente. Non c’è ‘di più’ e non c’è ‘di meno’…c’è solo…‘in maniera differente’. Una di loro migliorerà, l’altra forse resterà a questo livello. Una di loro avrà più monete…l’altra solo due, come ora. Dipende dalla quantità di energia nel nostro corpo…quella con cui siamo nati. Alpha, Beta, Gamma…sono solo etichette per indicare il potenziale magico di una persona, ma non sono la persona. La buona magia non fa il buon mago. L’intelligenza…quella sì che è importante…ma non tutti lo capiscono…»

Denise sospirò.
Snow fece scivolare la mano sulla sua e la strinse piano.

«Signor Lefevbre» concluse Lane, fissando un punto imprecisato della porta d’ingresso, oltre il ragazzo.

Snow fece caso al monetarium del ragazzo, quando quello si mosse di qualche passo verso i compagni.

«Ha tre Siv’ne» lo anticipò Mathieu, pensieroso.

«Già» confermò Denise. «Da quello che so, ieri sera è già entrato in sintonia con un altro Si’v».

Qualche bisbiglio accompagnò i primi passi di Paolo Lefebre. Dietro gli occhiali, la sua espressione era alienata. Aveva qualcosa di strano, e anche Lane sembrava essersene accorto.

«Muu’fan!» urlò Lefevbre.

Non accadde nulla.
I presenti si scambiarono occhiate interrogative fugaci.
I banchi di Myst vorticarono lenti, sollevandosi e concentrandosi a qualche metro da terra, in una nebbiolina bluastra e brillante di magia.
Dove l’energia accarezzava i fiori, muovendosi come un’onda, quelli diventavano prima bianchi e poi marroni, accartocciandosi. Fu come desaturare i colori della Grande Quercia.
Le primule appassirono e furono seguite dalle margherite, che persero i petali e sparirono nelle venature della corteccia, sotto lo sguardo atterrito di tutti.
Il profumo svanì di pari passo con il resto, fino a quando della magia non rimase più traccia.
Il tronco vibrò suonando una nota bassa.
Gli studenti rimasero in silenzio.

«Snow…» mormorò Denise.

«Lo so» rispose lui.

Paolo Lefevbre lo stava fissando.
 

***

 
L’oscurità era rischiarata dai fiochi raggi della luna, tonda e gonfia al centro del cielo. Era una luce lattiginosa e opaca che conferiva, alle armature esposte nella tesoreria, un aspetto delicato e leggero. Mistico.
Su un piedistallo a destra dell’unica finestra chiusa, lo zaffiro del diadema magico della regina Maria Stuarda emanò un bagliore che si spense poco dopo, debole come uno sbadiglio.
L’ombra si mosse appena, avvolta in un mantello nero che ne nascondeva le forme. Il fruscìo dei tessuri si mischiò al respiro pesante dei guardiani, a terra accanto all’ingresso.
Julius si agitò nel sonno, mormorando qualcosa e muovendo nell’aria la mano tozza.
L’ombra si voltò verso di lui, poi camminò svelta tra le file di statue, calchi e reliquie in teche di vetro. Qualcosa la distrasse: un arbusto con le foglie rese petrolio dalla notte, nacque e poi morì nel legno di un angolo della sala.

«No, dai, no…» bofonchiò Walter, accasciato sui gradini di una pedana.

L’ombra cercò qualcosa sulle mensole, sui piedistalli e perfino sulle sedie barocche, attorno ad una tavola rotonda impreziosita da lamine d’oro.
I movimenti si fecero più rapidi, bramosi.
Quando finalmente lo trovò si lasciò scappare un sospiro: l’Elmo di Ade.
Si concesse qualche attimo per studiarlo, goderselo prima ancora di possederlo. Considerata la sua età era in condizioni impeccabili: un perfetto esemplare di elmo ionico. I rilievi sulla superficie brillavano ai raggi della luna, dove scheletri danzanti, figure incappucciate e mucchi di cadaveri asciugati dalla morte interagivano tra cornici d’ossa e roccia.
Sì.
Era finalmente suo.



NOTE VARIE : premetto che mi scuso anticipatamente con chiunque e per qualunque motivo, futile o meno: il lavoro mi sommerge e mi impedisce di essere presente come prima, con letture, recensioni e risposte. Non appena mi è possibile cerco sempre di fare tutto nel migliore dei modi, purtroppo non sempre mi è concesso, quindi..ogni cosa subirà un rallentamento generale - ahimè. Figuratevi che non riesco neppure a scrivere come vorrei!
Ringrazio di cuore chiunque abbia recensito e anche chiunque abbia letto senza scrivere nulla. Se ci sono dei dubbi non esitate a farmelo sapere! Qui sotto scriverò i pezzi modificati dei capitoli precedenti, e qui ne spiego il motivo: cercavo un fil rouge che potesse accomunare tutti i Si'v, per renderli simili a una grande famiglia e non a dei singoli elementi galleggianti nella nebbia dell'immaginazione. Inizialmente, così, avevo pensato di rifarmi al genere steampunk, suggeritomi da più e più persone. Col terrore, tuttavia, di mettere troppa carne al fuoco, ho pensato all'espediente delle maschere citato anche nel magicarium di questo capitolo: una trovata semplice ma a mio avviso abbastanza efficace. Ecco il perchè delle modifiche alle descrizioni fatte nel primo capitolo, relative al Si'v del Cambiamento e a quello della Tempesta!

Beta-reader: Ely79. è una scrittrice grandiosa che ha in cantiere una storia dall'ambientazione steampunk dal sapore Zafoniano. Stay tuned! qui c'è il link al suo profilo ( click )

parti relative al Si'v della Tempesta che hanno subito cambiamenti _
[ ... ] Snow non riuscì a vedere molto, oltre alle piume blu cobalto e il becco argento, coperto nella parte sommitale da una maschera di cuoio le cui frange frustavano l’aria sopra il capo, nervose. Quando il becco si aprì, un rombo di tuono scoppiò da qualche parte nella tempesta. [ ... ] Appollaiato su un ramo spoglio dell’acero, il volatile evanescente fissava Snow. Quando spiccò il volo precipitando in picchiata verso di lui, qualcuno emise un gridolino.
Fu a mezz’aria che una massa fumosa e nera cominciò a colare dai suoi occhi, veloce e famelica: quella si modellò e si distese, ammantando il volatile in un concerto di garriti sofferti. Tentacoli ombrosi prima si allungarono e poi tornarono indietro, inghiottendo l’uccello e trasformandolo in un’unica macchia d’oscurità che si stendeva e poi comprimeva. Quando quella pasta si schiantò a terra sollevando sbuffi di fuliggine, Snow fece giusto in tempo a saltare alla sua destra, rotolando in uno sferragliamento di catene e fruscii di foglie. Ruzzolò fino a sbattere contro il tronco d’una colonna, e con l’urto cacciò  l’aria rimasta nei polmoni.


parti relative al Si'v del Cambiamento che hanno subito...cambiamenti _
[ ... ] Le linee e le sfumature all’interno di quelli erano invisibili, assorbite da un’unica macchia così nera da sembrare irreale, un buco nel mondo avvolto da un’aura nebbiosa.
Da un corpo scivolarono a terra quattro zampe, poi una coda e una testa tozza, incorniciata da voluminose forme scure. [ ... ] Ai loro piedi, un bambino riposava rannicchiato tra le foglie, circondato da lucciole viola il cui bagliore si perdeva nel nero profondo dei suoi indumenti. Quando la luce si rifletteva sui sottili capelli bianchi, donava loro sfumature d’ametista.
Sulla schiena del Si’v, tentacoli di fumo non più lunghi d’un braccio accarezzavano l’aria, giocando a intrecciarsi.
Una maschera nera gli tagliava il volto in due: una benda scura sulle palpebre appesantite dal sonno. [ ... ] Ne osservò il corpo vibrare e a tratti sparire, come un’immagine riflessa sullo specchio d’un lago. [ ... ] Snow si chinò e la prese in mano, quindi la osservò: inciso sulla superficie dorata, il Si’v bambino gli sorrideva sghembo.


 

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Capitolo 5
*** 05 ***


|| Ho saltato un turno (settimana scorsa) e forse lo salterò ancora (settimana prossima). Questo perchè, causa lavoro, in questo periodo non sto scrivendo. Ahi ahi. In compenso ho caricato più pagine del solito. Buona lettura!


«Non conosco i tempi di cottura» disse Snow rimestando la zuppa.

Col volto arrossato dal vapore, guardò la poltiglia di cipolle ribollire nella pentola e arricciò il naso per via dei fumi.

«Non è che verresti a dare un occhio?» chiese ancora «Mathieu?»

Snow si voltò verso l’amico, steso sul letto e col pc portatile sulle gambe. Le lumacuffie, due grandi gusci di chiocciola in plastica nera, vibravano ai lati del suo volto concentrato. Di tanto in tanto, Mathieu digitava qualche tasto o premeva con una mano contro la cuffia.

«Hey!» disse Snow agitando la mano libera.

Quando Mathieu si accorse di lui, sorrise e ripose i gusci in due scatolette di cartone, che si premurò di richiudere. Poggiò il pc sul comodino, sbadigliò e stirò braccia e gambe, con mugolii compiaciuti.

«Queste chiocciole non registrano più come una volta» disse stropicciandosi gli occhi «Per capire cos’ha detto il pofessor Gaultier c’ho messo ore. Quell’uomo ha i denti più grandi che abbia mai visto. Secondo me è un Siv’ku in incognito. Cos’è sta puzza?» Mathieu fece un’espressione disgustata «Cucini le tue ascelle?»

«È zuppa di cipolle» rispose Snow «Sto preparando un piatto italiano perché questa sera verrà a cena Denise».

«Quindi hai pensato potesse essere carino avvelenarla» concluse l’altro.

Mathieu si alzò dal letto e si avvicinò al balcone, che spalancò. Oltre quello, il cielo stellato incorniciava una luna gonfia e gialla. Uno spiffero d’aria fredda fece rabbrividire il francese, che si avvicinò a Snow, si tappò il naso e si sporse a guardare la sbobba.

«Esagerato. Prova» disse Snow con un sorriso, porgendogli il mestolo.

Mathieu balzò indietro con fare teatrale, nascondendo un sorriso divertito «Nemmeno per sogno, cowboy. Sembra la roba radioattiva che ha trasformato le tartarughe ninja. E a parte il fatto che le hai fatte stracuocere, non ti sembra fuori luogo servire cipolle?»

Snow spense la fiamma e chiuse il coperchio «È un piatto italiano».

«Ho capito, ma se vi doveteste baciare?»

«Idiota».

Mathieu si avvicinò al tavolo apparecchiato per tre e si sporse a prendere un grissino. Fuori, nel viottolo, qualcuno rise e schiamazzò.

«Cosa c’è, Gatti ti fa paura?» chiese Mathieu sbocconcellando il primo pezzo e parlando tra una masticata e l’altra «Effettivamente, hai notato come è cambiata in questi giorni? Secondo me è la luna piena. Io te l’avevo detto che gli italiani non sono normali. E io quella roba non la mangio».

«La mangerai eccome. E mi ha spiegato che lei è così: vitale e allegra. È tutto il resto che l’ha sempre frenata».

«Che carina. Anche le psicopazze hanno un cuore».

«Non è una psicopazza, psicocretino».

«Quando ne avete parlato?»

«Quando non c’eri tu».

«Ti piace?»

«No».

«Sicuro?»

«No. Cioè…sì!»

«Sei uno sfigato».

Mathieu si imboccò con un altro grissino e si lasciò il tavolo alle spalle. Avvicinatosi al letto, si cambiò i vestiti e indossò una nuova maglietta e un cardigan nero.

«Dovremmo fare una lavata di panni. C’è il bagno che sta per esplodere» disse Snow, cominciando a lavare le stoviglie sporche.
Mathieu si annusò le ascelle e arrotolò le maniche.

«Non sono capace» rispose.

«Tuo padre? Potremmo darle a lui».

«La smetti?»

Snow chiuse il rubinetto e si voltò, asciugandosi le mani con un canovaccio.

«Si può sapere perché lo odi così tanto?» chiese.

«Non lo odio. Mi dà solo il nervoso sentirne parlare».

«Ma non ti ha fatto niente!»

«Dai Snow, finiscila, ok? Tanto lo sai come la penso, e non mi va di parlarne».

Il silenzio calò nella stanza. Fuori l’ululato di un lupo riecheggiò nella valle.

«Secondo me a Mallory piaci» disse Mathieu riponendo il portatile.

«Mallory mi vede ancora come il demonio in persona».

«Hanno rotto, sti qui che parlano dietro. Dovresti spaccare qualche faccia e farti valere».

«Lo terrò a mente».

«Potremmo andare dal mago di Oz a chiedergli un po’ di coraggio per te».

«Potremmo chiedergli una manciata di simpatia».

Snow gli lanciò lo straccio e Mathieu lo prese al volo.
Il campanello suonò.
Un tulipano sbocciò poco al di sopra dello stipite, quindi svanì di nuovo, assorbito dalla parete.
Mentre Snow si affannava per sistemare le ultime cose in tavola, sistemando anche le grinze sulla tovaglia, Mathieu aprì la porta.
Uno sconosciuto lo fissò dal corridoio, con sguardo torvo. Era asiatico, alto quasi quanto lui, con un lungo ciuffo di capelli neri che gli copriva mezza faccia e le spalle più strette del trolley che gli era accanto. Quando fece una smorfia disgustata guardando Mathieu, due sferette di metallo affondarono nelle fossette al centro delle guance.
I due si studiarono in silenzio.

«Snow, c’è Jackie Chan alla porta».

«La smetti di fare l’idiota?» rispose Snow.

«Questa volta lo giuro!»

«Fammi entrare» si intromise il nipponico, con accento francese.

«Altrimenti?» rispose Mathieu «Mi ammazzi con qualche mossa di kung fu? O una tempesta di lamette?»

Snow accorse svelto e sbirciò oltre l’uscio, incuriosito dalla voce estranea. Fissò prima il viso nuovo, poi il trolley.

«Mathieu…»

«Sono il nuovo inquilino» si intromise l’altro «E non pratico kung fu. Sono francese. Mi chiamo Adrien. Adesso fammi entrare, per favore».

Adrien scosse la testa e il lungo ciuffo ondeggiò per un attimo, prima di incollarsi al volto nella stessa posizione. Varcò la soglia spingendo con una spalla Mathieu, che digrignò i denti e face un’espressione crucciata.

«Francese, come no» bofonchiò Mathieu.

Snow lo guardò storto per zittirlo.
Raggiunto Adrien al centro della stanza, gli strinse la mano e gli sorrise in modo plastico.

«Tra poco mangeremo» disse.

«Cosa, cadaveri?»

Adrien accostò la valigia al letto più esterno, quindi vi si sedette e si sistemò il ciuffo con una mano.
Snow non seppe già più cosa dire, a disagio.

«Neon?» disse Adrien guardando il soffitto «Scherziamo? E loro usano le fiaccole di Myst anche per asciugarsi le mutande».

Snow guardò Mathieu e gli sorrise.

«L’ho già sentito dire, da qualche parte» rispose.

Tutto, pensò, ma non un altro Blanchard.
Il campanello suonò ancora. Mathieu, ancora vicino alla porta, aprì.
Denise esplose in un “hey!” estasiato e in un sorriso a trecento denti, luminoso quanto il suo cappotto rosso fuoco. Si sporse per baciare sulla guancia l’amico e scosse la testa per mettere in evidenza la lunga treccia che le cascava sulla schiena.

«Ti sta bene» le disse lui accennando un sorriso.

«Che faccia. Che è successo?»

Mathieu scosse la testa. Storia lunga.
Denise si sporse per sorridere a Snow, alle spalle del francese, quindi arricciò il naso.

«Sa di sterco e muffa, vero?» la precedette Mathieu, scostandosi d’un passo per lasciarla entrare «È la cena che ti ha preparato Foster. Notare: Che.Ti.Ha» Mathieu ridacchiò e gli altri due si voltarono a guardarlo.

Denise si fermò a due passi dall’ingresso.

«Salve…» mormorò ad Adrien,  che rispose con un cenno della testa.

«Lui è il nostro nuovo coinquilino» si intromise Snow.

«Simpatico, vero?» disse Mathieu, chiudendo la porta «Un cinese emo. Qualche anno fa sarebbe stato al passo coi tempi»

Snow guardò Adrien con un pizzico di terrore. Lo vide soppesare in silenzio ogni possibile reazione e per un attimo sperò addirittura che diventasse la volta buona in cui qualcuno rifilava un cazzotto a Mathieu.

«Sono di Lione» rispose invece quello.

Adrien si sfilò la giacca, la lasciò sul letto e prese posto al tavolo, tutt’uno con il legno del pavimento.

«Volevo portarvi del vino, ma me ne sono dimenticata» disse Denise con un sorriso.

Con una mano sulla sua spalla, diede un bacio sulla guancia a Snow, che si illuminò.
La gioia rendeva Denise molto più disinvolta e carina, era un peccato che fosse rimasta nascosta tutto questo tempo.

«Avete saputo che hanno anticipato la Bataille di settimana prossima?» disse «La faremo lunedì. Sto studiando come una matta. E a dire il vero sono anche un po’ in ansia per la lezione di domani».

«Quale?» chiese Snow.

«La smetti di studiare?» disse invece Mathieu «Si diventa ciechi».

«Come mai l’hanno anticipata?» chiese Adrien, che si portò un grissino tra le labbra e scostò il ciuffo con un cenno della testa.

Denise incrociò il suo sguardo torvo per un secondo, poi lo distolse puntandolo verso il balcone, ancora aperto. Con le dita cominciò a sbottonarsi il cappotto, mostrando un vestitino nero che aderiva alle sue forme del tutto nella media.
Snow la guardò a sorrise.

«Uno alla volta!» rispose Denise «Tu: ho paura per la lezione di Creature Magiche. Tu: studio quanto voglio. E tu: l’hanno anticipata di qualche giorno perchè  in quelli prefissati non era disponibile il professor Lane».

«Come fai a sapere sempre tutto?» chiese Mathieu, prendendo posto al tavolo, sul lato opposto a quello di Adrien.

«Sono italiana, e noi italiani siamo onniscienti. Ah, per inciso: io sono Denise, anche se credo si fosse capito. Sei qui da molto?»

«Sono arrivato oggi» Adrien alzò le spalle.

Denise poggiò il cappotto sul letto di Snow, chiuse il balcone e prese posto accanto all’asiatico. Snow aggiunse le altre posate e occupò il posto vacante.

«E che Siv’ne hai?» domandò invece Mathieu.

Era difficile che, in situazioni di quotidianità come queste, i Cyh’t indossassero i monetarium, nonostante ciò significasse non disporre della magia.
Adrien infilò una mano in tasca e ne tirò fuori il monetarium, che tintinnò quando venne poggiato sul tavolo.
Snow guardò la moneta, se la rigirò tra le mani e annuì. Una figura coperta da una grossa cappa fissava a terra, senza mostrare il volto.

«Mi pare sia il Si’v del Nascondiglio, giusto?» chiese.

Adrien annuì.

Snow passò a Mathieu la moneta, che a sua volta la passò a Denise.

«Cosa si fa il primo novembre?» chiese Snow.

Il silenzio calò nel monolocale.

«Discoteca?» azzardò Mathieu.

«Non ci sono mai stata» rispose Denise.

Per poco non caddero dalle sedie.

«Stai scherzando, vero?» chiese Adrien, sbuffando una risatina che la mise in imbarazzo.

«Aspettate» interruppe Snow «Mangiamo?»

Gli altri sbarrarono gli occhi e si guardarono.

«Propongo di ordinare una pizza» disse Adrien.

«Approvo Jackie Chan» rispose Mathieu.

«E pizza sia!» urlò Denise.

«Povero me».
 

***

 
In piedi al centro dell’arena di roccia, i professori Villon e Renard osservavano gli alunni seduti sui gradoni degli spettatori.
Erano giovani per essere professori dell’accademia, e il loro stravagante look da Indiana Jones poco si confaceva al titolo che rivestivano, così come l’atteggiamento, molto più in linea con quello di due animatori, che non di due insegnanti d’una materia ostica come Creature Magiche.
A detta di Mathieu erano ‘due professori di High School Musical’; a detta di tutti gli altri, Villon e Renard erano ‘dei gran fighi’.
Tutto in loro sembrava richiamare l’avventura: dalla borraccia appesa alla cintola del professor Villon, al suo cappello Fedora, su una scompigliata matassa di ricci neri; dal giacchetto da safari della professoressa Renard al suo monetarium, nascosto sul petto da collane di legni e ossa, dall’aspetto tribale.
Il fatto che non ci fossero chiacchiericci tra gli spalti era la dimostrazione palese di come quei due fossero in grado di attirare l’attenzione.
Snow poggiò la schiena al gradone alle sue spalle, l’ultimo, e oltre il quale le pareti scabre della grotta svettavano verso l’alto, dando alla sala una forma semisferica.

«Finalmente qualcosa che non sia di legno» disse con un sorriso.

Mathieu, alla sua destra, annuì. Denise, alla sua sinistra, sorrise.

«Secondo voi sono veri?» chiese Denise, indicando con un cenno la pioggia di capelli platino della professoressa Renard.

Alla luce delle fiaccole di Myst, la chioma sfavillava come polvere di fata.

«Immagino succeda questo, a Edward Cullen sotto al sole» disse Mathieu.

«Quindi hai letto Twilight» lo pizzicò Snow.

Denise sorrise divertita.

«Non rompere, Fister».

Tutti e tre ridacchiarono, anche se Snow diede un pugno sulla gamba a Mathieu.
La professoressa Renard cominciò a camminare lungo il perimetro dell’arena bisbigliando parole inudibili da quella distanza: nulla di particolarmente strano per qualcuno che masticava pane e magia da quando era nato.
Snow cercò Adrien e lo vide qualche fila più in basso, in compagnia di altri ragazzi. Era ancora ignoto il motivo del suo atteggiamento scostante, ma non sembrava andare a genio né a Mathieu né a Denise, e questo era bastato a non insistere perché entrasse nel loro gruppo.
La luce verde delle fiaccole si rifletteva sulle superfici sfaccettate dei minerali nella pietra, che di tanto in tanto luccicavano come specchietti. Il Myst era rado: una nebbiolina appena visibile in alcuni sporadici punti della sala.

«Aju’ga» pronunciò a voce alta il professor Villon, muovendo con grazia la mano a mezz’aria, disegnando un cerchio.

Di fronte a lui, da un bagliore argenteo, si concretizzò un baule. Qualcosa lo scosse da dentro, facendolo sobbalzare sulla pietra levigata. Villon vi si avvicinò e poggiò un piede sul baule con fare vittorioso, fermandone i movimenti. Con le mani sui fianchi e un’espressione tronfia sul viso, scrutò i volti degli studenti e sorrise.

«Quando un Cyh’t muore» disse con una voce femminea che poco si addiceva alla sua immagine  «La sua energia si disperde e si infonde in ciò che lo circonda. Quando la morte è violenta, tuttavia, l’energia vaga cercando una nuova dimora dove marcire, generando così i Siv’ku, o meglio, i mostri».

Qualcuno annuì, e in generale rimasero tutti zitti.

«Chi ha mai visto un Siv’ku?» chiese, con un sorriso più adatto ad altri argomenti, che non alla morte e ai mostri.
Quasi tutti alzarono la mano.

«Non intendo film o videogiochi» aggiunse «E neppure il nostro amatissimo Vil’yhak».

La mano alzata rimase una sola: quella di Alberto Ruiz. Tutti conoscevano la storia di Alberto, resa celebre dai media: i suoi genitori erano stati uccisi da un branco di mostri canidi erranti, in Africa.

«Va bene così, Alberto, abbassa pure la mano» disse Villon invitandolo a sedersi.

Villon sbirciò in direzione di Renard, quando questa finalmente fermò i suoi passi. Lei annuì e Villon sorrise.

«Che la lezione abbia inizio!»

Il rumore dello scoppio di fuochi d’artificio accompagnò l’accensione del perimetro circolare calpestato dalla professoressa: un lungo serpentone di pura energia azzurra e fluorescente, che baluginò riportando alla vita la grande grotta. Una membrana evanescente si protese verso l’alto con il crepitìo dell’elettricità, densa come gelatina.
Gli studenti, esaltati, cominciarono ad urlare, applaudire, alzarsi dai posti e sorridere.
Quando la barriera si sollevò al punto da formare una cupola, svanì nel nulla, lasciando come unico segno della sua presenza un nastro luminoso ai piedi del primo gradone.

«In questo corso» disse la professoressa Renard, cercando di imporsi sui chiacchiericci degli studenti «Impareremo a conoscere e fronteggiare i Siv’ku. Sono pura magia, e in quanto tali sono invisibili e innocui per gli umani, ma voi dovrete sempre stare all’erta, perché i Siv’ku sono una realtà più comune di quanto pensiate. Sono la maggiore causa di morte di Cyh’t al mondo. Ma vedrete che insieme ce la faremo! Tu, vieni qui, per favore» Renard avvicinò un ragazzo della prima fila e gli mormorò qualcosa.

Quando quello passò oltre il limite della barriera, una membrana azzurrastra avvolse il suo corpo, lo fagocitò e poi sparì. Si mise dunque a consegnare, uno ad uno, dei libri impilati in fondo alla sala.

«Questi sono i vostri libri di testo. Si apriranno solo dopo che avrete pronunciato il nome della creatura sulla copertina, che cambierà ogni volta. Chi gioca a FightFight! sarà avantaggiato, mentre a tutti gli altri consiglio di prendere appunti. O, detto tra noi» Renard sorrise e portò una mano di lato vicino alla bocca «Di copiare durante il compito, ma non ditelo al professor Villon».

Villon sorrise.
Mathieu bofonchiò qualcosa.

«Niente suggerimenti!» disse ancora la professoressa Renard «C’è di mezzo la magia della verità. Se imbrogliate, il libro non si apre. Se sbirciate da quello del vostro compagno, l’inchiostro svanisce!»

Qualcuno in prima fila azzardò i primi tentativi di aprire il libro, pronunciando a turno o tutti insieme i nomi di mostri, veri o inventati.

«Questa lezione mi piace un sacco!» disse esagitato Snow, con la luce negli occhi.

Sia lui che Denise allungarono una mano per prendere il libro.

«Caniraptor» disse Mathieu, guardando il suo.

Una serratura invisibile gorgogliò e il libro si aprì sulle sue ginocchia. Mathieu sorrise soddisfatto.

«Potrei elencarvi le abilità di tutti i mostri a memoria e in ordine alfabetico» disse «Se non fosse per questi professori da asilo nido, la lezione potrebbe piacere anche a me, sì».

«Dragolepre» disse Denise.

Lo sguardo deluso parlò per lei.
Snow guardò la copertina del suo libro e si mordicchiò l’unghia dell’indice. Era una creatura che non aveva mai visto, simile a uno yeti ma con la folta peluria dorata e otto occhi tondi come quelli dei ragni. Scosse la testa, poggiò il libro accanto a sé e rimandò a più tardi.

«Siete delle schiappe» mormorò Mathieu sfogliando le pagine «Così imparate a prendermi in giro per il FightFight! Lo conoscete il detto ‘chi la fa l’aspetti?’».

«Lo conosci il detto ‘Mathieu Blanchard stai zitto un secondo?’» rispose Snow.

«Il micetto ha tirato fuori gli artigli».

Villon lo interruppe, ormai seduto sul baule «Oggi parleremo dei Divoratori, creature che si cibano di Myst e che lo sfruttano per rigenerarsi o crescere di grandezza e numero» il professore si sistemò il cappello sulla testa e si passò una mano sul volto velato di barba «A seconda dell’ambiente in cui crescono, i Divoratori diventano affini a un elemento, e vanno ghiotti dell’energia di quello in particolare. Sono esseri piccoli e poco pericolosi, ma in gruppo possono essere un fastidio. È una grande famiglia che comprende più specie, di caratteristiche e forme diverse: ci sono i Mangiasassi, i Mangianuvole, i Mangiafuoco eccetera eccetera. Come riconoscerli? Sono fatti in parte di vistosi cristalli».

«Potremmo farci dei gioielli!» sdrammatizzò la professoressa Renard, cinguettando una risata.
Villon la assecondò con un sorriso e poi assottigliò lo sguardo scrutando i volti nella folla.

«Tu, e…tu» disse, indicando Alberto Ruiz e poi Denise, che trasalì.

«Ahia» disse Mathieu.

Qualcuno si voltò verso Alberto, altri verso Denise che, con espressione funerea, poggiò il suo libro e si alzò dal posto.

«Io?» chiese.

Villon annuì.
E pensare che aveva anche paura della lezione. Forse se lo sentiva.

«In bocca al lupo» le disse Snow, col batticuore.

Fissò il baule e poi seguì con lo sguardo l’amica, che varcò con qualche indugio la membrana di luce. Alberto la seguì qualche secondo più tardi.

«Alberto che Siv’ne ha?» chiese Snow «È forte, vero?»

«Mi pare qualcosa dell’acqua» Mathieu alzò le spalle.

Di certo Alberto non dava l’impressione d’essere un guerriero, con la sua pancia molle e gli occhi piccoli come bottoni sul viso butterato dagli ormoni.
Villon mormorò qualcosa ai due, che annuirono tesi. Sorrise loro, diede qualche pacca sulle spalle e si allontanò con la collega, oltre il perimetro segnato dall’incanto di protezione.
Il baule tornò a sbatacchiare sulla pietra. Qualcuno mormorò, altri semplicemente continuavano i tentativi d’aprire il libro.

«Non sento niente, sti cretini» disse Snow.

«Oggi sei combattivo o sbaglio?» chiese Mathieu «Vedrai che andrà bene».

«Vai, Alberto!» urlò una ragazzina tra il pubblico.

Alberto sorrise, ma guardò altrove.
La professoressa Renard si raccolse i capelli bianchi davanti al petto, con eleganza.

«Pronti?» disse «Vedrete che sarà divertente! Allontanatevi dal baule, forza!»

«Tre…»

Snow passò a mordicchiarsi la pelle attorno alle unghie.

«Due…»

«Povera Saponetta. Riposa in pace» disse Mathieu.

«Uno…»

Tutti trattennero il respiro e il silenzio schiacciò ogni cosa.

«Via!»

Il baule si aprì di scatto, cigolando.
Alberto e Denise si guardarono e si avvicinarono tra loro, pallidi come stracci.

«Non esce ni…»

«Shhht» interruppe Snow.

Denise fece un passo indietro. Qualcuno si alzò sui gradoni, ma venne subito fatto risedere. Altri si limitarono a indicare.
Ma cosa? A Snow stava esplodendo il cuore.
Un tentacolo grigio si snodò fuori dal baule. Dopo quello ne seguirono altri, che scivolarono lungo il bordo esterno della cassa, fino al pavimento. Al posto delle ventose, piccole gemme grezze, bianche e azzurre, strofinarono contro la roccia dell’arena, cercando un appiglio nel quale incastrarsi.

«Cos’è?» chiese Snow.

Una testa non più grande d’un pallone seguì le propaggini.

«Sembra un polpo» rispose Mathieu «Tipo…un polpo di roccia».

Certo non era il Siv’ku che tutti si immaginavano. L’essere strisciò oltre il profilo della cassa e tonfò sgraziato sulla pietra, risuonando come un ciottolo. Alberto sorrise.

«Cucinalo, Ruiz!» gridò qualcuno.

«Lavalo, Saponetta!» urlò qualcuno del gruppo di Adrien.

Una manciata di persone, tra cui lui, scoppiò a ridere.
Mentre il Siv’ku cercava una posizione muovendo lentamente i tentacoli sul pavimento, Alberto mosse un passo in avanti e si ravvivò i folti capelli neri. Così, prese un respiro profondo.

«E’la!» urlò.

Il Myst si addensò nella grotta, in risposta alla magia, tenendosi a una decina di centimetri da ogni superficie. Di fronte a quel cambiamento, il Siv’ku agitò le sue appendici e frustò la roccia.
Una nebbiolina grigiastra trasudò dalle pareti e galleggiò fino all’arena: una bruma nella quale sfarfallarono cristalli bianchi, come tante piccole stelle.
In prima fila gli studenti si strinsero nelle spalle e qualcuno indossò di nuovo il cappotto. La temperatura nella grotta calò di cinque gradi in pochi attimi. Il fiato corto di Snow si condensò e lambì il suo viso. Agitato, il ragazzo scese d’un gradino. Mathieu lo seguì senza indugi.
Denise si strinse in un’abbraccio, rabbrividendo.
Una patina bianca si arrampicò lungo la pelle coriacea del mostro, come un fungo, rivestendolo e paralizzandolo.
Quando tutto venne dato per concluso e il Divoratore rimase immobile, la bruma cominciò a disperdersi.
I primi applausi ruppero il silenzio. Mathieu si soffiò aria calda tra i palmi.
Il ghiaccio, lentamente, sparì assorbito dalla pelle del mostro, che a breve tornò a muoversi. Le ovazioni si interruppero bruscamente.
Le gemme sui tentacoli vibrarono d’energia. Una di quelle si staccò e rotolò a terra tintinnando. Una massa informe si allargò attorno alla pietra, distendendosi come plastilina grigia, e mutando prima in qualcosa di simile ad un pallone, poi in una copia perfetta del Siv’ku, che si concretizzò e sfiatò Myst dagli occhi, prima di muoversi.
Dal suo corpo si staccò una pietra, e da quello del nuovo Siv’ku un’altra ancora, e ancora, ancora ancora.
Qualcuno imprecò, altri bofonchiarono tesi. Snow picchiettò col piede contro il gradino, cercando invano di scaricare la tensione. Fissava Denise con un’insistenza tale da trapassarla con lo sguardo.
Alberto, spaventato, mosse un passo indietro e si portò alle spalle della compagna.
Un groviglio di tentacoli di dodici o forse più esemplari di Divoratori ammucchiati pulsò come un’unica entità gommosa e snodata.
Denise era un fascio di nervi.

«Merda» bofonchiò Mathieu.

Snow le doveva qualcosa.

«Vai Denise, credo in te!» urlò, alzandosi dal suo posto e richiamando l’attenzione di tutti.

Alcuni ridacchiarono, ma questa volta se ne infischiò. Mathieu si voltò altrove per nascondersi agli sguardi inopportuni.
Denise sorrise, prese un respiro profondo e mosse un passo verso le creature che avevano cominciato a disperdersi. Un Siv’ku che cercò di varcare il perimetro protetto andò a sbattere contro un pallido muro di energia, che svanì non appena quello cambiò direzione. Un altro esemplare tornò nel baule, mentre altri tre strisciarono e rotolarono goffi, verso i ragazzi.
Alberto disse qualcosa, a Denise, visibilmente scosso.

«Ruiz ti fai salvare dalle Gamma!» urlò Adrien in prima fila, scoppiando a ridere assieme ai suoi compagni.

Denise tornò d’un passo indietro.

«Quel cinese lo ammazzo» sibilò a denti stretti Mathieu.

Snow provò un odio bruciante e promise a sé stesso vendetta, a tempo debito.

«Avanti!» rimbeccò Villon.

«Mek’ed!» squillò finalmente Denise.

Un Siv’ku strofinò il corpo contro la superficie litica del pavimento, come a voler scavare una buca. Un tentacolo sfiorò la scarpa di Denise, che balzò indietro. La magia non si manifestò

«Alberto!» urlò spaventata.

«E’la!» urlò quello, in preda al panico e con le spalle avvolte dall’energia della barriera.

«NO! ALBERTO, NO!» tuonò il professor Villon, in piedi sul limitare del cerchio.

Pozze di ghiaccio divorarono il terreno; da quelle, stalattiti cristalline svettarono verso l’alto. Là dove trafiggevano un Siv’ku, squarciandone le membra  di pietra,  si spargevano le gemme. Quelle che non venivano polverizzate dall’impatto si tramutavano talvolta in un Divoratore, altre volte in un solo tentacolo che danzava sul pavimento, prima di spegnersi. I MangiaFlutti si riprodussero veloci, maturando come frutti ed esplodendo in figure sempre più grandi, che si accatastarono e fendettero l’aria con tentacoli sempre più lunghi.
I professori, indecisi, rimasero nella loro posizione.

«Cosa aspettano? Non entrano? Dai!» disse Snow.

«Mek’ed! Mek’ed! MEK’ED!» strillò Denise fuori controllo, calciando prima un mostro e poi pestando gli arti di un altro.

«Ku’ra’de!» gridò invece Alberto.

Una lama invisibile spazzò come un’onda d’urto i Siv’ku, schiantandoli contro la parte opposta della gabbia magica.
Qualcuno urlò soddisfatto dai gradoni.

«Io scendo» disse Snow, ormai fuori di sé.

«Aspetta» lo fermò Mathieu, prendendolo per un braccio.

«Ku’ra’de!» fece eco Denise, con una stilla di coraggio.

«Ku’ra’de!» aggiunse ancora Alberto, al suo fianco.

I sibili degli attacchi tagliarono l’aria, mentre fendenti di energia divampavano sminuzzando i corpi molluschiformi dei MangiaFlutti. Le gemme che si staccavano dai loro corpi, questa volta, rotolarono e divennero polvere argentata.
Quando l’area fu completamente pulita, il silenzio calò come la lama di una ghigliottina.
Denise si sedette a terra e, messa la testa tra le ginocchia, singhiozzò un pianto.
Alberto si chinò al suo fianco e le accarezzò una spalla.

«Ok, ok, basta così, è tutto finito, tranquilli!» si intromise Villon.

La professoressa Renard, nel frattempo, raccoglieva le poche pietre rimaste intatte e le gettava a manciate dentro la cassa, dove un ultimo mostro si muoveva tranquillo e al riparo

«Gatti non c’è bisogno di piangere, dai» disse Villon aiutando ad alzarsi Denise, che tremava come una foglia «È stato solo un piccolo incidente, ragazzi, non dovete preoccuparvi. Non siamo intervenuti perché sapevamo che era tutto nella norma. Ora mettete via i libri, la lezione finisce qui, ci vediamo settimana prossima».

Snow guardò storto il professor Villon e poi Adrien «Odio Creature Magiche».



NOTE VARIE : problema: mi hanno fatto notare che 'creature magiche' è un nome troppo simile a quello di una materia della scuola di harry potter, dunque..avete suggerimenti?
spero che vi sia piaciuta la lettura. scusate ancora per i ritardi vari ma è un periodaccio!

Beta-reader: Ely79. è una scrittrice grandiosa che ha in cantiere una storia dall'ambientazione steampunk dal sapore Zafoniano. Da quello che so sta anche scrivendo altre storie sui licantropi, quindi vale la pena dare un occhio! Stay tuned! qui c'è il link al suo profilo ( click )

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Capitolo 6
*** 06 ***


|| Mea culpa, mea culpa, mea santissima culpa. Il nuovo lavoro - sommato a quello che avevo già -, i problemini di cuore (non nel senso che sono malato di cuore, eh, ma in senso lato) e tutto il resto non mi hanno aiutato e....Ok, a voi non posso mentire: ho un blocco, non tanto perchè non so cosa scrivere - anzi -, quanto per il fatto che..bo, semplicemente non mi metto più lì le ore a macinare pagine. Sento che, dopo mesi, qualcosa mi si sta sbloccando (oggi avevo anche una mezza intenzione di aprire word, anche se alla fine ho desistito), quindi magari proseguirò a passo spedito molto presto..fino ad allora, tuttavia, non vi prometto nulla. Per il momento, invece, beccatevi queste sette/otto paginette! Buona lettura!



Snow si svegliò di soprassalto, senza fiato.
Con lo sguardo vagò nel buio pesto della camera, mentre una goccia di sudore gli rigò la fronte e lo zigomo. Aveva fatto un brutto sogno, anche se non ne ricordava le immagini.
La bocca asciutta reclamò acqua, ma Snow prima d’alzarsi si concesse qualche attimo per calmare il battito cardiaco, chiudendo le palpebre e respirando piano. Quando le riaprì, il mondo della notte assunse forme e sfumature, rendendosi più chiaro.
Alla sua destra Adrien respirava pesante.
Alla sua sinistra, invece, il letto di Mathieu era inspiegabilmente vuoto.
Titubante, Snow scostò le coperte e infilò i piedi nelle pantofole. Una luce fioca filtrava dal balcone chiuso, oltre il quale un magico cielo stellato ammantava le montagne dell’Ardèche.
Fissò ancora il letto vuoto. Il senso di disagio causato dall’incubo gli si era incollato addosso, meschino e fugace come un predatore notturno.
In cucina, portata la bottiglia alle labbra, bevve un lungo sorso e si domandò che fine avesse potuto fare Mathieu.
Dei rumori all’esterno richiamarono la sua attenzione: uno strappo e un fruscìo, forse causati da un grosso ramo rotto.
Snow si avvicinò al balcone e sbirciò oltre il vetro, senza risultati; incassò così il petto tra le spalle, si strinse in un abbraccio e uscì al gelo della notte.
Il freddo pizzicò la pelle e lo fece rabbrividire, portato da un vento lieve ma costante che ravvivò le chiome degli alberi, orchestrandoli. Snow poggiò i gomiti sulla balaustra in legno e respirò a fondo.
Qualcosa si distinse tra i rumori della vallata: delle note, prima lontane e poi innaturalmente vicine, che sembravano sollevarsi dal terreno come una bruma misteriosa. Un uomo stava stonando la Filastrocca dei Re:
 

Viene la pioggia col vento e il Sole,
Viene il bene e viene anche il male.
Vengon l’eroe e la strega col gatto,
Il principe azzurro, il re e il giullare.

 
Snow si guardò attorno.
Era sul viale, e i ciottoli scricchiolavano sotto la suola delle pantofole. Si guardò alle spalle, in alto, verso il balcone sul quale era fino a un attimo prima. L’agitazione strisciava sotto pelle, dandogli  i brividi.
La nenia nuotò nell’aria della notte.
Lentamente Snow si mosse verso la foresta. La natura lo strinse in un freddo abbraccio, mentre la cresta nera degli alberi si piegò mossa dal vento, che si infilava ora nelle pantofole e ora negli spazi lasciati scoperti dagli indumenti.
Il pigiama scuro lo rese un’ombra tra le ombre.
Qualcosa si mosse alle sue spalle.
Snow si voltò di scatto, ma in un silenzio di piombo non scorse nessuno. Una civetta cantò fissandolo da qualche ramo.
Il cuore scandiva un ritmo fuori dal tempo, battendo con forza nel petto.
La filastrocca riprese: veniva da lì, oltre i cespugli, dove lui e Mathieu avevano salvato Denise. Le note sembravano quasi possedere un colore: un viola pallido che gli si attorcigliava fumoso attorno alle caviglie, attirandolo nel sottobosco.
Più si avvicinava e più la canzone diventava chiara:
 

La neve con l’ombra la luce ha vicino,
Templi nascosti e tesori perduti,
Vicino alla quercia e dentro al leone,
Profondi misteri verranno svelati.

 
C’era qualcosa di sbagliato nel testo.
Quella non era la Filastrocca dei Re. Non più, almeno.
Snow si accasciò tra i cespugli proprio come aveva fatto con Mathieu, quella mattina. Lì dove avevano trovato Denise, rischiarata appena dalla luce di qualche stella, vide un’ombra muoversi e ne sentì lo spostamento tra le foglie secche.
La filastrocca scemò prima in un fischiettìo canzonato, poi in una serie di mugolii e infine nel silenzio.

«Da bravo, devi mangiare» disse l’ombra, avvicinandosi a una pianta resa nero petrolio dall’oscurità «‘Per essere forti ci si deve abbuffare’ dicono sempre, e allora io porto il cibo, ehk. Per essere forte, ehk».

A Snow gelò il sangue.
Vil’yhak.
Sotto la luce diretta d’un raggio di luna, la massa gelatinosa s’illuminò d’una sfumatura argentata. Nella melma, milioni di frammenti di stelle si accesero, creando un piccolo cosmo. In altri momenti sarebbe stata una scena magnifica.

«Shhh, da bravo, ehk» disse Vil’yhak.

Il Siv’ku gettò qualcosa, e questa rotolò ai piedi della pianta di fronte a lui…che si mosse.
I polmoni di Snow si accartocciarono attorno al cuore. Tremò, ma senza riuscire a voltarsi e scappare.
Due occhi cremisi brillarono nelle tenebre, come gioielli, comparendo e poi sparendo nella corteccia. Un ramo spoglio scricchiolò sinistro, afferrò ciò che Vil’yhak aveva gettato e lo avvicinò al tronco, dentro al quale sparì.

«La neve con l’ombra la luce ha vicino» mormorò il guardiano dell’accademia «Templi nascosti e tesori perduti, vicino alla quercia e dentro al leone» Vil’yahk si interruppe e strisciò tra foglie e rami secchi «Ecco chi c’è, ehk. Lo abbiamo trovato, finalmente. Avanti sciocco, ti abbiamo scoperto».

Snow tremò, e con esso le foglie vicine al suo corpo.

«Uhm?» mugugnò Vil’yahk, richiamato dal rumore.

Nonostante la mente di Snow urlasse di fuggire, il corpo rimase di pietra. Qualcuno o qualcosa venne dal cuore della foresta, distogliendo l’attenzione del gelatinoso: il chiarore della luna illuminò una fila di fauci d’avorio, e attorno a loro un volto mostruoso.
Un ringhio sommesso distorse il muso del lupo in un orribile sorriso. Il Siv’ku annusò la corteccia del Trent al suo fianco e poi prese a mordersi una zampa grinzosa e bluastra. Le squame del serpente che aveva al posto della coda brillarono nella notte, quando quello strisciò sul dorso spelacchiato del canide.
Snow si scoprì a trattenere il respiro. Non lo avevano scoperto.

«Eccoti qui, mascalzone, ehk» disse gioioso Vil’yahk, accarezzando il rettile con una delle appendici luminescenti «Dobbiamo aspettare gli altri. Ci vuole pazienza».

Una scintilla di coraggio convinse Snow a vincere la paura e scappare. Nello scatto che ne seguì, una pantofola si sfilò dal piede e finì tra i rovi.

«Hey!» urlò Vil’yahk alle sue spalle.

Il serpente sibilò acuto e il Trent smosse i rami. Qualcosa si sollevò dalle fronde degli alberi, sbattendo le ali.
Snow trasalì. Corse veloce, con tutta la forza che aveva in corpo, senza mai fermarsi. Si sentiva morire. La ghiaia si conficcò nella pianta del piede nudo, facendolo lacrimare.
Lo stavano inseguendo, ne era certo.
Il profilo dei palazzi apparve nel buio, ma senza mai avvicinarsi.
Aiuto!Urlò.
No, lo stava solo pensando.
Aiutatemi!
C’era qualcosa a terra in mezzo al viale, tra le pietre. Due occhi lo guardarono e una bocca si aprì.
Era in una stanza senza pareti né luci, dove l’orizzonte era invisibile.
Una luce squarciò il tappeto di ombre e avvolse ogni cosa.
Snow si coprì gli occhi con un braccio e il monetarium tintinnò sul suo petto.
Il monetarium?
Quando scostò il braccio, Snow vide, nel bianco del vuoto in cui si trovava, un baule: sulla superficie decorata da bassorilievi geometrici, un volto d’ottone aprì gli occhi cavi e lo fissò. Tra le labbra schiuse forgiate in un’espressione di sgomento, una serratura brillò dall’interno, emanando un fascio di luce gialla che scivolò ai piedi di Snow.
Snow aveva paura, una paura tremenda.
Mosse un passo e allungò un braccio.
La neve con l’ombra la luce ha vicino, sentì nella sua mente.
Lo scrigno si aprì portando con sé il volto, e la luce divampò accecandolo.
Templi nascosti e tesori perduti.
Bianco.
Vicino alla quercia e dentro al leone.
Bianco dappertutto.
Profondi misteri verranno svelati…
Quando Snow si svegliò, si mise a sedere di scatto e respirò l’aria con bramosia, come fosse rimasto troppo a lungo sott’acqua.
L’ossigenò graffiò la gola arida. Era sudato fradicio.
Il cuore martellò nel petto con ferocia.
Adrien tossì nel sonno, riportandolo alla realtà.
Stava tremando.
Snow si tastò il collo senza trovare il monetarium, quindi si passò la mano sul volto e si abbandonò sul materasso. Deglutì senza riuscire a risanare la gola e si costrinse a respirare con calma.
È solo un incubo, si disse. Uno stupido incubo.
Tastò il comodino, prese il monetarium e lo indossò: il contatto e il peso del metallo lo fecero sentire più sicuro, protetto. Scostò con forza le coperte e poggiò i piedi a terra.
Sotto al letto c’era una pantofola sola.
Il letto di Mathieu era vuoto.
Snow cercò di sottrarsi recalcitrante alla paura, ma invano.
A piedi scalzi si incamminò verso il balcone, agitato. Sbirciò oltre il vetro, aprì la porta-finestra e uscì all’esterno.
L’aria fredda della notte lo schiaffeggiò sul viso, facendolo tornare lucido. Il sudore ghiacciò sulla pelle, ma lui non se ne curò. La luna sovrastava la valle, coperta in parte dalla sagoma di uno dei picchi dell’accademia.
Era talmente confuso che gli veniva da piangere e gli mancava il respiro.
La pianta dei piedi bruciò per il freddo.
Snow poggiò i gomiti sulla balaustra in legno e chinò la testa per passarsi una mano tra i capelli umidi. La forma del dormitorio era cambiata e ora, da quella posizione, sembrava d’essere sulla parte sommitale d’un grosso stivale.
La ghiaia del viale scricchiolò, sotto i lenti passi di qualcuno.
Qualcuno lo fissava, illuminato dal bagliore fioco di una lanterna al Myst.
Paolo Lefevbre.
La sua tunica svolazzò smossa dalla brezza, mentre gli occhiali apparivano come due luminosi specchi, verdi e tondi.
Paolo si fermò e entrambi si fissarono in silenzio.
Il verso di un barbagianni riecheggiò tra i palazzi.
Snow guardò per l’ultima volta Lefevbre e tornò nell’appartamento.
Il cambio di temperatura lo lasciò senza fiato.
O forse era solo la paura.
Chiuse la porta del balcone e poggiò le spalle al vetro. Con due dita si accarezzò i capelli, poi la fronte, la guancia e le labbra. Si mordicciò l’unghia dell’indice e poi del medio, per un tempo indefinito, pensando a tutto e a niente.
Con la mano scese sul collo e poi sulla catena del monetarium, del quale sfiorò ogni anello. Sentì il primo Siv’ne, il secondo, e un terzo.
Snow trasalì e trattenne il fiato. La catena sferragliò quando se la avvicinò al volto.
Illuminato dalla luna alle sue spalle, sulla terza moneta, una maschera lo fissava indifferente, impressa sulla facciata d’uno scrigno.



NOTE VARIE : periodaccio. periodaccio. periodaccio. nonostante cioè..grazie a tutti per il sostegno, l'interesse, l'attenzione e il tempo che mi dedicate ogni volta. vi voglio bene.

Beta-reader (e amica): Ely79. è una scrittrice grandiosa che ha in cantiere una storia dall'ambientazione steampunk dal sapore Zafoniano. Da quello che so sta anche scrivendo altre storie sui licantropi, alcune fantasy, altre ancora fantascientifiche e..insomma, è in piena fase creativa trascendentale (a differenza mia, insomma), quindi vale la pena dare un occhio! Stay tuned! qui c'è il link al suo profilo ( click )

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Capitolo 7
*** 07 ***


Ad ogni passo, l’erba indurita dalla brina scricchiolava sotto le suole delle scarpe degli studenti.
Il libro di magia, aperto tra le mani di Snow, sbatacchiava a ritmo della camminata e veniva scostato solo quando, di tanto in tanto, a causa dei dissestamenti il ragazzo perdeva l’equilibrio.
L’indice destro accarezzò la pagina ingiallita appena al di sotto di una riga di testo:

Il Si’v del Sogno appartiene al mondo dell’Ombra. È uno spirito saggio e misterioso, solito manifestarsi a Cyh’t tranquilli e riflessivi. È uno spirito quieto con il quale facilmente si entra in sintonia, ma non esistono modi per comandarlo. È tanto misterioso quanto impossibile da assoggettare e amante degli enigmi […]Tra i poteri che concede vi sono la premonizione, i viaggi astrali e la capacità di entrare nel mondo onirico altrui. Quando il Cyh’t Erbert Schnegel […]


«Cosa leggi?» chiese Mathieu.

Snow trasalì, chiuse con forza il libro e lo premette al petto. Sotto la giacca riscaldata data in dotazione dalla scuola, sentì il monetarium aderire alla pelle scoperta.

«Niente» rispose lapidario.

Mathieu lo fissò per un istante, poi aumentò il passo.
Alle sue spalle, il cielo plumbeo minacciava pioggia in fondo alla vallata. L’aria profumava di bagnato e di bosco. Erano gli ultimi singhiozzi d’estate.

«Dov’è Denise?» chiese Snow, cambiando argomento in modo magistrale.

Sfilò una sola bretella dello zaino e vi infilò dentro il libro, cercando invano di nasconderne la copertina. Mathieu lo osservava attento, ma evitò le domande. Avevano entrambi il volto vistosamente segnato dal sonno.

«Ha la febbre» rispose Mathieu.

Snow annuì distratto, con la testa altrove.
Non sapeva se parlargli o meno di Vil’yahk, di Lefevbre e del Si’v. Conoscendolo, pur di non affrontare il discorso con serietà avrebbe rifiutato di credere a tutto, anche con le prove sotto al naso.
Era strano da tutta la mattina.
Forse la soluzione stava nel riordinare le idee da solo. Oppure poteva parlarne con Denise.
Dunque Vil’yahk era pericoloso, o comunque sospetto. Idem Lefevbre. Perché il Si’v del Sogno si fosse manifestato, invece, era ancora del tutto ignoto. A quanto diceva il libro, poteva comparire per mostrare presagi o indirizzare le persone verso il proprio destino, ma cosa questo significasse veramente, purtroppo non lo sapeva.
Una fitta al centro della testa gli fece corrugare la fronte e lo riportò alla realtà.
Snow si voltò verso Mathieu, che scambiava due chiacchiere con Aurore Mureau al suo fianco. I riccioli ramati di lei molleggiavano al ritmo della marcia lungo i pendii sterrati.
Dunque era davvero l’ombra il suo elemento, non c’era stato un errore. Il Si’v del Sogno lo confermava. Non doveva appartenere al Si’v della Tempesta, come avevano pensato tutti all’inizio; e allora perché era comparso, durante la Prima Prova?

«Secondo te, Snow?» gli chiese Mathieu.

Snow cadde dalle nuvole e lo fissò.

«Se, va bè, lascia perdere» si sbrigò l’altro. Aurore sorrise «Grazie Aurore. Speriamo d’esser squadra insieme!»

«Di niente, ciao!» Aurore accennò un saluto anche a Snow e si allontanò a passo svelto per raggiungere Coraline, più avanti.

Dietro di sé lasciò una scia di profumo di violette e l’immagine d’un sorriso da telepromozione.

«Certo, come no» bofonchiò tra sé Mathieu, guardandola parlare con l’amica «In squadra con una fioraia. Tanto vale alzare bandiera bianca» sbuffò una risatina.

Un lampo lontano, dietro le montagne, illuminò il cielo. Una folata gelida si levò stropicciando ogni cosa, tra cui il viso di Snow, che si accartocciò come un fazzoletto.
Fare la salita controvento era faticoso e in molti avevano già il fiatone.
Gli altri studenti chiacchieravano seguendo una fila scomposta, con alla conduzione i professori Villon e Renard, che cantavano canzoni da campeggio, e con alla coda il professor Blanchard, che parlava composto con Momo Kauli Lane, seduto su una poltrona fluttuante. Le frange della coperta sulle ginocchia del vecchio Cyh’t tremolavano a mezz’aria, mentre con sguardo vuoto e fisso al cielo assentiva alle parole del collega più giovane.

«Secondo me prendi questa faccenda della Bataille un po’ troppo sul serio» disse Snow, con le mani nelle tasche dei jeans stretti, sfiancato dalla camminata. L’accademia svettava tronfia tra gli alberi, incoronata da nuvole rumorose.

«Scherzi, spero» rispose Mathieu «È questione di vita o di morte, Fister. È come il ballo delle debuttanti, solo che qui ci si azzuffa. È la nostra occasione per affermarci come fighi o sfigati, per far capire al mondo che valiamo, che non dobbiamo essere presi di mira se non per lanciarci rose o cioccolato, o tutti e due. Ne parlerà anche il giornalino, capisci? È l’ingresso in società, è…»

«Ok, chiaro. Respira, per favore, mi fai mancare il fiato».

«Se non te ne fossi accorto, sei già in debito d’ossigeno».

Touchè. Come sempre.

«Come mai questa notte non eri in casa?»

Mathieu si fermò. Stephane Duval, quasi il doppio di lui, schiantò contro la sua schiena e quando imprecò a denti stretti, Mathieu non si voltò neppure a guardarlo, intento com’era a trapassare Snow.
Seguì la sua schiena con lo sguardo, quindi lo raggiunse a grandi falcate e tornò al suo fianco.

«Non sei mia moglie» si limitò a dire.

«Dico solo che…»

«Fatti gli affari tuoi».

«Ok» concluse Snow, alzando le spalle «Come vuoi».

Gli stava nascondendo qualcosa, e Mathieu non gli aveva mai nascosto nulla. Mai.

«Secondo te Denise ha davvero la febbre?» glissò Snow.

«Saponetta se la fa sotto dopo la figura dell’altro giorno, e non la biasimo: in fondo se fossi un avversario nella gara di oggi, non esiterei un istante a prendermela con la più schiappa».

«Deni non è una schiappa».

«Deni?» Mathieu ridacchiò «Credici. Resta il fatto che sia momentaneamente tornata al suo stato maniaco-depressivo solito, spero solo per oggi. Tu ti sei allenato?»

«Non tanto. Solo quelle volte da Lane».

«Sai cambiare gli oggetti?»

Snow sollevò le spalle, indeciso.

«Perfetto, saprò chi attaccare» Mathieu sorrise.

«Deficiente».

Quando la comitiva raggiunse la cima del colle roccioso, i professori concessero cinque minuti di pausa e tutti si sparsero in gruppetti nella zona.
La poltrona di Lane si appollaiò su una roccia, con piccoli sbuffi di vapore che sfumarono nell’aria.
Alle sue spalle, l’autunno aveva cominciato a mutare lo spettacolo nel quale erano immersi: in quella parte della valle, alle spalle dell’accademia, le querce e i castagni creavano un mare di rossi e arancioni in lento movimento; sui picchi più alti, invece, i pini secolari ammantavano i pendii d’un verde carico e selvaggio, venato qua e là dal grigio delle rocce nude. I cucuzzuli delle montagne, spruzzati dal bianco dell’ultima neve, giocavano a sparire tra le nubi per poi riapparire poco dopo.
Villon e Renard, in abiti da escursionisti, si sedettero sull’erba. I capelli platino della professoressa si adagiarono al terreno e sfavillarono, come puntinati di ghiaccio.
Quando qualche studente li emulava, erano loro stessi a premurarsi di richiamarli con dei cenni, per farli rialzare.

«Benvenuti a tutti» disse Blanchard a pausa terminata, avvolto in una pesante cappa di cammello che ciondolava e sfiorava i fili d’erba «Come sapete, la Bataille è un evento che celebriamo due volte l’anno nella nostra accademia, fin dalla sua fondazione. È un allenamento dinamico che non va preso sotto gamba. Non è una guerra, ma come le guerre è una lezione di ingegno, astuzia e gioco di squadra».

«Mi perdoni, Dottor Blanchard» si intromise Villon.

Dopo una breve esitazione, Blanchard gli sorrise per cortesia, ma era evidente che l’interruzione – per di più ad inizio del suo discorso - l’avesse contrariato.

«Quello che l’esimio professore vi sta dicendo» continuò Villon, piegando la tesa dell’inseparabile cappello texano «È che nonostante siate ancora mezzi addormentati per via dell’ora dovrete impegnarvi al massimo delle vostre capacità, e possibilmente senza incappare in ferite gravi, ok? Anzi, niente ferite e basta. Niente bullismo, niente accanimenti, niente sangue. Solo qualche livido. Altrimenti non ci sarebbe divertimento, giusto?»
Villon sorrise radioso e fece un cenno con la testa a Blanchard, che gli sorrise di rimando. Gli studenti approfittarono del silenzio per mormorare qualcosa. Un uccello strillò nel vento.

«La ringrazio, professor Villon» disse Blanchard, cortese e austero, coi capelli d’oro sbatacchiati dal vento «Ora veniamo a noi: sarete divisi in squadre, la verde e la rosa. I rosa partiranno da quel punto, là dove il fiume svolta e torna indietro» si voltò, diede loro le spalle e indicò la valle, dove il fiume si esibiva in una curva a gomito, inghiottito in una baia di ciottoli bianchi che da lì brillavano come diamanti «Una colonna di luce rosa segnerà la posizione della vostra Casa Madre, il Refuge. I verdi partiranno dal centro della foresta, dove c’è la Quercia di Annibale».

La luce verde infiammò il cielo partendo dal centro della chioma dell’immenso albero. Entrambe le colonne, così, svettarono e si persero oltre le nubi plumbee. Assieme ad esse, altri sei fasci bianchi illuminarono la vallata.

«Quelle sono le Case Bianche, terre di nessuno: i vostri obiettivi» Blanchard diede la schiena al paesaggio, ma nessuno seguì lo spostamento con gli occhi «Alla base di ognuna c’è un MangiaMagia: scagliate contro di esso un vostro incanto e prendete così il dominio della zona, fino a quando questa non passerà nelle mani degli avversari. Il controllo di ogni Casa conferisce alla squadra un punto al minuto. Colpire un avversario al giacchetto che tutti quanti indossate assegna due punti, ma farlo impedisce che possiate colpirlo nuovamente per altri tre minuti. Avrete un’ora di tempo, durante la quale potrete decidere di tendere trappole, nascondervi, andare all’attacco di persone o alla conquista di territori avversari. Colpite i giacchetti, chiaro? Ogni altra ferita grave sarà punita severamente».

Qualcuno alzò la mano. Palaniuk, un ragazzo tracagnotto che aveva fatto di Alberto Ruiz la sua unica ragione di vita. Blanchard assentì in silenzio.

«Cosa intende per ‘ferire gravemente’, professore?»

Blanchard schiuse le labbra, ma Villon lo anticipò sul tempo «Che potrebbe arrivarti una freccia nella gamba, Palaniuk, o anche peggio. Fossi in te camminerei con la schiena contro i tronchi degli alberi».

Tutti ridacchiarono. Tutti tranne Blanchard e Kauli Lane, che tossì la sua stanchezza dal petto con la lentezza degli alberi.
La professoressa Renard si portò i capelli davanti al petto con un gesto elegante della mano «Vedrete» disse «Andrà benissimo!»

*


Snow sentiva il cuore battere con forza, mentre il freddo cercava di insinuarsi sotto il giacchetto termico, che aveva assunto sfumature rosa fluide e luminose. I ciottoli levigati dal fiume scricchiolavano sotto le suole, vicino a quel punto in cui il letto si assottigliava, tanto da risultare attraversabile da un versante all’altro. Attorno a lui, gli altri componenti della squadra erano in silenzio, seduti sulle pietre più grandi e intenti a bisbigliare sotto l’ombra degli alberi o a studiare il paesaggio.
Qualcosa si mosse tra gli alberi, facendo frusciare le foglie sottili del sottobosco. Uno stormo di uccelli fendette l’aria fredda spostandosi verso l’accademia. Solo la Torre del Legno d’Oro, una struttura avvitata su sé stessa e con il tetto di spessa corteccia bronzea, era visibile da quella posizione ribassata.
Qualunque cosa Snow cercasse di pensare veniva rimpiazzata dai ricordi della sera prima: il corpo traslucido di Vil’yahk, gli occhi di rubino del Trent, le fauci del lupo e il bagliore del Si’v del Sogno. Nulla pareva avere un ordine preciso, una ragione d’essere, e questo lo innervosiva. Le parole della filastrocca riecheggiavano nella mente e riaffioravano di tanto in tanto, frammentate.

«Avete litigato?» la voce di Aurore lo riportò bruscamente coi piedi a terra. Si scambiarono un’occhiata in silenzio e lei gli sorrise «Sembrate entrambi di cattivo umore, e in genere fate sempre comunella» aggiunse.

Mathieu, accovacciato sulla riva del torrente, osservava in silenzio l’acqua sciacquettare. Avevano entrambi qualcosa di strano, e la situazione si era inevitabilmente raggelata col passare dei minuti.

«No, cioè, non credo» rispose Snow.

Aurore si strinse nel giacchetto termico animato dal bagliore color confetto. Le scarpe da ginnastica ai suoi piedi erano l’unica stonatura nel suo aspetto, in generale elegante e raffinato nonostante gli evidenti chili di troppo. Aurore era una di quelle ragazze che basta guardare una volta sola per prenderle in simpatia.

«Sai» gli disse «Io e Coraline avevamo discusso, dopo la lezione di Lane: mi accusava di averla umiliata davanti a tutti. È sempre stata un po’ egocentrica. Mi ha tenuto il broncio per qualche giorno, ma poi è passato tutto».

Snow si guardò attorno «Dov’è?»

«Coraline? Nei verdi, ma ci siamo promesse di non colpirci» Aurore sorrise e a Snow migliorò un po’ l’umore.

La ringraziò e si allontanò, così si avvicinò a Mathieu e ne guardò la schiena.

«Hey» gli disse.

«Hey» rispose l’altro, tuffando la mano nell’acqua bassa.

«Cattivo umore?»

«Una specie» Mathieu alzò le spalle.

«Cosa fai?»

«Raccolgo sassi».

«Wow» Snow gli si affiancò e si accovacciò. Vide Mathieu scegliere dei sassolini con accuratezza e tenerli nel palmo della sinistra. Il suo monetarium con due Siv’ne, il primo e quello dello Scoppio, tintinnava ad ogni piccolo movimento.

Un piccolo pesce brillò d’argento sotto l’acqua increspata, frugando tra le alghe marroni incastrate tra i sassi.

«Hai ragione tu» gli disse Snow «Non sono tua moglie».

Mathieu si voltò e lo guardò, quindi tornò ai suoi affari «E meno male» disse.

«Potremmo pestare Adrien per rifarci l’umore, non credi?»

Mathieu infilò nella tasca dei jeans skinny una manciata di sassolini bagnati e si asciugò i palmi sulle ginocchia. Si alzò da terra e lo guardò dall’alto: era un silenzioso trattato di pace.

«Squadra rosa» disse «Conosci un’umiliazione più grande?»

«Andare in giro con te» rispose Snow, con un sorriso.

Il francese fece roteare gli occhi.

«Noi punteremo alla Grotta del Drago» disse Mathieu «Ora ti spiego».

*


Quando il corno rimbombò tra le montagne, stormi di uccelli si sollevarono dalle fronde degli alberi, coprendo il cielo di pagliuzze nere illuminate di tanto in tanto da lampi minacciosi.
Il vento fece risuonare il castagneto come un’orchestra.
In risposta all’allarme ci fu solo una breve esitazione, poi gli studenti della squadra rosa sciamarono nella vegetazione, singolarmente o in piccoli gruppi. Durante l’attesa qualcuno aveva cercato di organizzare una strategia, ma la noncuranza e la spavalderia tipici dell’adolescenza avevano portato tutti, prima o dopo, ad abbandonare la teoria del gioco di squadra.
Mathieu e Snow correvano l’uno accanto all’altro, zigzagando tra i tronchi. Snow era già inciampato due volte nelle radici sporgenti, e ora sui palmi sporchi di terra portava i segni delle sbucciature.
Le chiome degli alberi, tavolozze di rossi, marroni e gialli, disegnavano a terra una trama puntinata di luci che si muovevano veloci, smosse dal vento, come i riflessi chiari sul fondo del mare.
L’aria fredda raschiava il palato di Snow, a bocca aperta.

«À la Bastille!» urlò qualcuno, oltre le creste delle querce.

L’ombra proiettata sul letto di foglie, di qualcosa in alto e in movimento, oscurò il terreno e sparì inghiottita dalla natura. Mathieu rise, ma senza mai fermare la corsa.

«Jerome Durand!» disse col fiato corto «Si’v del Volo. Dieci euro che lo abbattono per primo!»

Un ammasso di colori saettò di fronte a loro, sfuocato dalla velocità, con rumori simili a quelli d’uno scacciaspiriti di conchiglie smosso dal vento. Snow interruppe la corsa e per poco non ruzzolò a terra. Mathieu inchiodò il piede nel terriccio e seguì con lo sguardo la figura che balzava tra i fusti di querce e castagni: era Jasmine Vijaya, con il Si’v del Balzo.
La sentirono ridere e la videro fuggire.
Entrambi ne approfittarono per recuperare il fiato.
Piegato in avanti, sfiancato, Snow guardò l’amico alla ricerca di risposte: lui aveva già perso l’orientamento.

«Beati loro» disse.

«Credo sia lungo quel sentiero» rispose il francese, ravvivandosi i capelli biondi sudaticci; la casacca rosa lo rendeva buffo.

Indicò a destra, dove il sottobosco già calpestato si snodava tra alcuni cerri dal tronco più largo che avesse mai visto.
Il rumore di un’esplosione lontana scosse la foresta.

«Ti prego, Mathieu, dimmi che hai un piano».

«Forse».

«E se ci trovano?»

«Di certo non mi faccio ammazzare per salvarti».

«Certo che sei amorale come un ratto di fogna in cerca di cibo».

Mathieu, forse scambiandolo per un complimento, ridacchiò divertito. Un rumore tra le foglie zittì entrambi.

«Nasconditi, sbrigati!» sibilò il francese.

Snow rimase immobile e inebetito, così Mathieu prese l’iniziativa e lo spinse tra i cespugli. Snow ruzzolò a terra in malo modo e rimase coi polmoni svuotati. Un ramo gli si conficcò nel braccio e qualcos’altro gli premette su un fianco. Quando aprì la bocca per gridare, Mathieu gliela tappò con una mano e si sdraiò su di lui, fronte contro fronte.
Snow mugugnò contrariato e si irrigidì per fronteggiare scomodità e dolore.

«Shht!»

Con un cenno indicò oltre i rami di biancospino, verso Adrien e i suoi amici. Le catene ai loro colli sbatacchiavano contro le casacche verdi, tintinnando. Snow non conosceva i nomi degli altri due, ma li aveva già visti più volte nelle aule e nei corridoi. In tutta franchezza fino ad allora non sapeva neppure fossero amici di Adrien. Erano persone ordinarie, in mezzo alle quali Adrien spiccava in quanto ad estro. L’unica ragazza, più alta di entrambi i suoi compagni, aveva spalle larghe e un seno prosperoso da donna matura, che tradiva la sua età anagrafica, invecchiandola. Dai lunghi capelli mori, a boccoloni, spuntava sul lato destro un orecchio largo e leggermente appuntito, da volpe.
L’altro ragazzo, alto nella media, indossava un paio di occhiali dalla montatura spessa e giocherellava con un anellino che gli forava il centro del labbro inferiore.

«Peccato non ci sia Saponetta» disse Adrien, sistemandosi il ciuffo con una mano «Ci saremmo divertiti un sacco».

Snow digrignò i denti e Mathieu premette più forte il palmo sulla sua bocca. Entrambi trattennero il respiro.

«Potremmo prendercela con Mureau» suggerì la ragazza alla sua sinistra. La sua voce era morbida, da doppiatrice di film «Tanto sarà rimasta al Refuge».

«Scherzi?» concluse il terzo «E poi chi ci prova più, con Dubois?»

Tutti e tre sghignazzarono e la ragazza spintonò il più anonimo dei tre. Quando Adrien si interruppe, come se si fosse ricordato qualcosa all’improvviso, sbirciò verso l’alto sotto lo sguardo vigile degli amici, poi riprese a camminare al loro fianco. Si allontanarono e le voci sparirono nel verde.
Mathieu si scostò e Snow fu libero di contorcersi per il dolore, mugugnando insulti. Ad essersi piantato nel fianco era un grosso sasso, fortunatamente liscio. Si rialzarono, ripulirono i vestiti dal fogliame e tornarono al centro della via battuta, accanto ad una spruzzata di funghi precoci, ai piedi di un faggio.

«Ricordami di distruggerlo» disse Mathieu, guardando nella direzione da cui erano venuti e mettendo fine a un discorso neppure mai iniziato.

Si addentrarono nella foresta correndo su un terreno in pendenza, verso l’alto, fino a quando tra le fila di caducifoglie si intromisero gli abeti, prima con discrezione e poi in maniera virale, prepotente. Un tuono scosse la vallata e una folata di vento costrinse entrambi a socchiudere gli occhi.

Mathieu sbirciò il cellulare «Sono passati venticinque minuti. Mi aspettavo qualcosa di più emozionante».

Una ragazza strillò squarciando la quiete.
Snow guardò Mathieu, che non gli disse nulla. Veniva dalla loro destra, verso il cuore della foresta.

«Impara a stare zitto» disse Snow.

«Tanto noi dobbiamo andare dall’altra parte» azzardò il francese. Improvvisamente non sapeva più dove guardare.

«E se fosse dei nostri?»

Mathieu lo guardò in silenzio, poi sbirciò verso la direzione che avrebbero dovuto seguire, verso la Grotta del Drago, e sospirò.

«La devi smettere» disse.

«Stai diventando sempre più buono».

«Dopo dieci favori mi regali un peluche?» Mathieu si ravvivò i capelli «Lo sai che le prenderemo, vero?»

Snow annuì e sorrise: «Grazie».

Senza aggiungere altro, Mathieu corse verso il centro del bosco e Snow lo seguì.
Trovarono Jasmine Vijaya intrappolata in un intrico di corde, appesa al ramo di un abete a più di due metri da terra. Il fagotto dondolava e sussultava pericolosamente, mentre le corde stridevano tese all’inverosimile. I suoi strilli cessarono solo per un istante, quando con lo sguardo impazzito incrociò quello dei di Snow. Le braccia e le gambe sbucavano dalle maglie larghe della rete, agitandosi come gli arti di una tartaruga ribaltata. Gli strilli ripresero più forti di prima, così come le richieste d’aiuto.

«È Jasmine!» gridò Snow, gettandosi di corsa ai piedi dell’albero, lasciandosi dietro Mathieu.

«FERMO!» tuonò il francese.

Un fiotto di energia traslucida, come gas addensato, scudisciò e si schiantò su un fianco di Snow prima ancora che questo potesse ascoltare l’amico, facendolo accartocciare su sé stesso e schizzare tra gli aghi dei sempreverde.
Snow cacciò un urlo e ruzzolò fino a finire tra i rovi secchi e puntuti. I rami graffiarono il suo volto facendolo avvampare.
Mathieu rimase immobile e Jasmine si calmò.
Dal suo nascondiglio dietro un tronco, Alberto Ruiz uscì allo scoperto. I suoi piccoli occhi neri guardavano Snow contorcersi a terra. Il giacchetto termico, che lo rendeva ancora più grosso di quanto già non fosse, avvampava di luce verde.

«Scusami, Snow» disse con un filo di voce, muovendo un unico passo nella sua direzione, indeciso sul da farsi. Il suo sguardo si mosse agitato prima verso Il ferito e poi verso Mathieu.

«Aiuto!» squillò Jasmine.

«Taci, tu!» Mathieu corse verso l’amico.

«Io, io» balbettò Alberto.

«Tutto ok?» Mathieu poggiò una mano sul petto di Snow, che annuì e cercò di sollevarsi da terra.

Peggio d’un colpo ben assestato c’è solo un colpo ben assestato ed inaspettato, e questo Snow lo aveva imparato a sue spese.
Mathieu ferveva di rabbia; il suo volto avvampò d’un rosso innaturale e i suoi muscoli si irrigidirono. Assieme a Snow si sollevò da terra lentamente, quindi digrignò i denti e quando si voltò inchiodò lo sguardo su Alberto, che in risposta venne scosso da un brivido e diede loro le spalle, tentando la fuga.

«Eh no» vomitò Mathieu.

«Lascia stare, dai» disse Snow, accarezzandosi il petto. Il suo giacchetto non brillava più di rosa.

Aveva tre minuti di immunità.

«Non me ne fotte un cazzo» rispose Mathieu osservando la schiena flaccida di Alberto «deve morire».

Snow sospirò.
Mathieu puntò la mano aperta verso Alberto e prima ancora che Snow potesse aggiungere altro urlò: «Aq’muceh!»
Per un attimo non successe assolutamente nulla, poi delle scintille porpora sfrigolarono sul palmo. Con uno scoppio assordante che fece sobbalzare tutti, un fuoco d’artificio sparò verso il fuggitivo e spedì indietro la mano di Mathieu, stordito dal suono, dai colori e dal rinculo. Una scia di luci pirotecniche fischiò a mezz’aria delineando una retta precisa. Il colpo mancò Alberto d’un fiato, strisciò contro il fianco del giacchetto, quindi rimbalzò sul terreno come un ciottolo sulla superficie di un lago. Quando colpì la corteccia di un albero, il fuoco fece un altro botto e sfavillò in una fontana di tizzoni arancioni. Alberto si fermò e si voltò: aveva il terrore dipinto sul viso e le scuse bloccate in gola. Quando riprese a correre, Mathieu si gettò al suo inseguimento.

«Fermo!» urlò Snow.

Mathieu si fermò a comando dopo neppure tre falcate, ma con lo sguardo non smise di seguire Alberto Ruiz che, balzato un cespuglio con l’agilità della disperazione, si fece sempre più distante. La cosa non sembrava acquietare il francese, che si costrinse al silenzio e all’immobilità con un forte morso al labbro inferiore.
Jasmine riprese a piagnucolare, nella sua prigione di corde.
Snow mosse il braccio facendo roteare la spalla destra e accartocciò il viso in un’espressione di fastidio. Non era propriamente dolore, ma non era neppure una sensazione piacevole. Era ben peggiore la sensazione di frastornamento dovuta all’intera situazione.

«Arrivo, ho capito» si rassegnò a dirle, avvicinandosi alla quercia «Stupida prova» bofonchiò.

«Tiratemi giù!» squillò Vijaya.

«E cosa stiamo facendo, secondo te, raccogliamo le castagne?» Mathieu si avvicinò di nuovo a Snow e si passò una mano tra i capelli. Sul suo viso si conservava un’espressione crucciata «Sicuro che sia tutto ok?» chiese di nuovo a Snow, che non rispose.

«Jasmine, se rompo la corda riesci a fare qualcosa?» chiese invece.

Jasmine si guardò attorno e prese un respiro profondo «Potrei provarci» rispose.
Snow si allontanò di qualche passo.

«Cos’hai in mente?» chiese Mathieu, guardandosi in giro e seguendo l’amico in quel piccolo spostamento.

«Io lo so chi è stato» cinquettò l’indiana: la sua voce cominciava ad essere snervante «Quel simpaticone di François, con il Si’v della Costruzione. Appena lo prendo gli faccio una testa grossa come un’ananas».

«Chi è?» mormorò Snow a Mathieu, che alzò le spalle.

«Sbrigati, che dobbiamo andare alla grotta» gli disse, anzi.

«Pronta?» Snow guardò verso l’alto e studiò ogni dettaglio.

«Fossi in te non lo farei, Foster» una voce richiamò la loro attenzione.

Mathieu scattò con le mani avanti.
Adrien e i suoi due amici erano l’uno accanto all’altro, con le spalle appoggiate ai tronchi di due pini adiacenti. Uno sbuffo di vento gelido suonò la foresta. Snow sentì il cuore sobbalzare. Adrien gli sorrise beffardo.

«François!» Jasmine squillò come una tromba «Giuro su me stessa che ti ammazzo!»



NOTE VARIE : a piccoli passi sono tornato a scrivere. c'è bisogno d'aggiungere altro?

Beta-reader (e amica): Ely79. è una scrittrice grandiosa che ha in cantiere una storia dall'ambientazione steampunk dal sapore Zafoniano. Da quello che so sta anche scrivendo altre storie sui licantropi, alcune fantasy, altre ancora fantascientifiche e..insomma, è in piena fase creativa trascendentale (a differenza mia, insomma), quindi vale la pena dare un occhio! Stay tuned! qui c'è il link al suo profilo ( click )

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Capitolo 8
*** 08 ***



|| Una MAGNIFICA fanart di Mathieu, visto dagli occhi di Quarantotto, lettore, artista e persona speciale. Dato che è un tipo timido ma bramoso di attenzioni, vi prego di esprimere un parere anche sul disegno, nel caso in cui lasciaste una recensione. Mi - e gli - farebbe molto piacere. qui trovate il suo profilo di deviantart con un altro bellissimo disegno (prossimamente ne caricherà altri).
Per quanto riguarda il capitolo, vi avviso che sarà moooolto lungo e moooolto movimentato (Fabio93 se ti lamenti anche questa volta ti uccido, lol). Ne avete per un po', insomma.
Vi lascio alla Bataille. Buona lettura e, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate: mi farebbe piacere. Un abbraccio forte, Ivan.




(Ultime frasi del capitolo precedente)

«Pronta?» Snow guardò verso l’alto e studiò ogni dettaglio.
«Fossi in te non lo farei, Foster» una voce richiamò la loro attenzione.
Mathieu scattò con le mani avanti.
Adrien e i suoi due amici erano l’uno accanto all’altro, con le spalle appoggiate ai tronchi di due pini adiacenti. Uno sbuffo di vento gelido suonò la foresta. Snow sentì il cuore sobbalzare. Adrien gli sorrise beffardo.
«Tu!» Jasmine squillò come una tromba «Giuro su me stessa che ti ammazzo!»

(Nuovo capitolo)

François si rivelò essere quello più anonimo dei tre, con gli occhiali dalla montatura spessa e l’anellino al labbro, e che mosse qualche passo verso di loro. Aveva qualcosa di strano nel viso, dovuto forse al labbro superiore un po’ sporgente, o a una qualche asimmetria nella posizione degli occhi, che sembravano come gettati senza cura sul viso ovale.
«Non giurare su te stessa, Jasmine» disse «Potresti pentirtene. A proposito: che testa mi volevi fare?» guardò in alto, verso il fagotto di corde che imprigionava la ragazza.
Con lentezza, il giubbottino di Jasmine tornò al suo bagliore iniziale, e così quello di Snow, sancendo la fine dell’intervallo di immunità.
«La testa ad ananas» disse lei «Ma a quello ci ha già pensato madre natura. Sto soffocando, François, vedi di farmi scendere, non è più divertente».
Adrien irruppe con un urlo che sovrastò entrambi: «Ku’Ra’De’!»
Una mezzaluna di pura energia fendette l’aria e si schiantò sul fianco di Jasmine, che guaì di dolore. Il sacco girò su sé stesso e il grosso ramo al quale era appeso scricchiolò pericolosamente. Le foglie piovvero a manciate, il giubbotto termico di Jasmine perse nuovamente colore. Come una bestia in gabbia, rimase in silenzio a gorgogliare sofferente.
François fissò Adrien, di poco dietro di lui.
Mathieu sibilò qualcosa a denti stretti.
«Come, Blanchard?» chiese Adrien con un’espressione beffarda, sistemando il ciuffo con un cenno della testa.
Mathieu si irrigidì.
«Quello è Blanchard?» chiese la ragazza in seconda fila.
Tirò su col naso, le braccia incrociate sotto al seno e lo sguardo da predatrice. Non le rispose nessuno. Snow alzò gli occhi verso Jasmine, dispiaciuto, e Mathieu si voltò verso di lui. Sembrava volergli leggere il pensiero.
Oltre i rami appuntiti di un arbusto, le orecchie di un cerbiatto vibrarono e poi sparirono.
Il corpo di Mathieu fu scosso da un solo impercettibile singulto, e lo scampanellio del monetarium scandì un tempo che tutti percepivano dilatato, aldilà di quello reale.
«Aq’muceh!» urlò finalmente.
Una delle due monete al suo collo si animò di una intensa luce rossa. Da quella saettarono due scie fumose dai colori cangianti, ora arancioni, ora gialle. I razzi rimbalzarono sul terreno, impossibili da seguire con lo sguardo: uno colpì una radice e deviò in alto, oltre le fronde degli alberi. Ad un boato seguì una pioggia di scintille verdi, che scesero come neve sullo spiazzo, sotto lo sguardo sorpreso di tutti.
 Il secondo razzo detonò ad appena due passi da Adrien, ruggendo al punto da scuotere il terreno. Con gli aghi di pino, in una fontana di scintille, esplosero foglie e zolle di terra umidiccia. Dal centro del piccolo cratere si levò una colonna di luce rossa e attorno a questa, presero a ronzare tra fischi e risate argentine, pixie luminescenti non più grandi di un pugno. Là dove volavano, gli spiritelli lasciavano code di piccoli petardi. Adrien si coprì la testa e si chinò in avanti, François agitò le mani in aria in preda al terrore e la ragazza, rimasta indietro, non ci pensò più d’un secondo prima di dare le spalle e correre. Quando un pixie scattò verso di lei, spruzzò polveri e scintille colorate. La creatura risalì sul corpo della ragazza vorticandole tra le gambe, ridendo con squilli di trombetta e tintinnii di triangolo. Quando cadde, rovinò a terra con un urlo e si coprì la nuca, abbandonandosi agli effetti pirotecnici che la investirono. Era il caos.
Snow sollevò lo sguardo verso Vijaya e la trovò incantata dagli effetti del Si’v dello Scoppio. Studiò il groviglio di corde e prese un respiro profondo.
«L’Ryhka» disse con fare sicuro.
Il monetarium nascosto sotto i suoi vestiti vibrò sulla pelle del petto. Piccole macchie nere aprirono brecce tra le corde, fagocitandone le fibre e velandole d’un nero prima opaco e poi intenso. Prima che Vijaya potesse capire la situazione, la sua prigione era già divenuta un bozzolo di ombre, che gorgogliarono come mosse da vita propria. Quando le tenebre assunsero nuovamente delle fattezze, ad avvolgere Jasmine rimase solo una costruzione di piume bianche che si accartocciò su sè stessa e la lasciò in pasto alla gravità. In quella pioggia dal candore irreale, spazzata da un’intensa folata di vento dall’odore di pioggia, Jasmine cacciò un urlo che si accavallò alla fine dei fuochi d’artificio, sancendone la fine.
Nella confusione, il corpo di Adrien sbiadì fino a svanire nel nulla. Manciate di foglie si sollevarono per la lunghezza di qualche passo, alla sua destra, poi non rimase alcuna traccia di lui.
Jasmine franò a terra su un fianco prima ancora di poter attingere alla magia del Salto. Fu uno schianto spaventoso, al quale seguì il silenzio.
Il flusso del tempo si incrinò, e un istante divenne un intero universo.
Snow, Mathieu e François, immobili, fissarono Vijaya stesa a terra, con gli occhi chiusi. L’ultima rimasta, invece, incorniciata da una criniera arruffata, si alzò da terra e si allontanò con la coda tra le gambe, prima camminando e poi correndo.
Si sentì François deglutire. I suoi occhi asimmetrici, dietro le lenti degli occhiali da vista, erano pervasi dal terrore.
«È morta?» disse con un filo di voce.
Nessuno gli rispose. Mathieu cominciò a guardarsi attorno. Snow, invece, si avvicinò a Jasmine con andamento incerto. Quando si chinò al suo fianco stava ormai sudando freddo. Vijaya aprì di poco una sola palpebra e Snow ne vide la pupilla nera. Trasalì, cadde col sedere a terra e urlò come una donnetta.
François, forse fraintendendo la sua reazione, impallidì e si diede alla fuga verso il centro della foresta. Jasmine ne seguì i movimenti di sottecchi e poi, quando quello sparì tra le piante, sbuffò risate silenziose dalle piccole narici.
«Cretina» bofonchiò Snow.
Mathieu finalmente arrivò alle sue spalle, distratto.
«Preferivi che mi fingessi morta?» chiese Jasmine.
Si sollevò da terra con uno sforzo che le comparve nitido sul viso, con una smorfia. Diverse articolazioni scrocchiarono simultaneamente; non riusciva a tenere il braccio destro sollevato senza che avvampasse di dolore.
«Stai bene?» le chiese Mathieu.
«Ho il Si’v del Salto, Blanchard: cose di questo tipo mi succedono almeno venti volte al giorno. Dopo essermi rotta entrambi i polsi ed essermi lussata una spalla penso d’aver capito dove stia il trucco. Potrei darmi al wrestling: sarei for-titanica».
Nessuno dei due le rispose. Mathieu porse la mano a Snow, che si alzò da terra. Al fianco aveva quella sgradevole sensazione che si prova quando, dopo una botta, si sa che a breve uscirà fuori un livido vistoso.
Le prime gocce di pioggia filtrate dalle terrazze di foglie picchiettarono sui corpi accaldati.
«Te l’avevo detto che non dovevamo venire» disse Mathieu.
«Hai ragione».
«Adrien tornerà, questo è poco ma sicuro. Non sono riuscito a capire dove stesse andando».
«Scusate, hey, sì, perdonatemi: e io dovevo restare qui?» Jasmine agitò l’indice a mezz’aria, indicando la sua posizione «No ma tranquilli, eh, faccio da sola» si alzò da terra indispettita dal gesto di Mathieu, quindi si prese a piccoli schiaffi i vestiti.
Nel farlo, il suo viso esageratamente espressivo si esibì in un ventaglio di ghigni di dolore che fecero risaltare il segno bruno che una corda, premendo, le aveva scavato sulla guancia.
«Ricordatemi di distruggerli» disse.
«Mettiti in fila, Vijaya» rispose Mathieu.
«Potevo morire, sapete?»
Snow accennò un sorriso di cortesia: non stava ascoltando.
Come se si fossero accordati, insieme si incamminarono verso la Grotta del Drago.
 
*
 
La pioggia continuò con quell’intensità per lunghi minuti: quando le gocce cominciavano ad appesantirsi, ecco che tutto tornava come prima, ad uno stato di lieve acquerugiola. Se una di quelle perle picchiettava il giubbottino termico dei ragazzi, un soffice bagliore rosa si concentrava su quel punto del tessuto, quindi si disperdeva. La foresta accolse l’acqua con bramosia e gli alberi dialogarono tra loro con fruscii che la fecero pulsare di vita. La terra, come ringraziamento per quel dono, inebriò l’aria di una fragranza che sapeva di antico e di selvaggio. Nei luoghi in cui il sottobosco era più fitto e ostico da attraversare, l’odore di foglie bagnate si fece talmente forte da inibire i sensi. Da qualche parte gli uccelli cantarono agitati.
La prima a rompere il silenzio fu Jasmine, all’ombra d’un castagno rigoglioso e gonfio di frutti: «Adrien abita con voi, giusto?»
Snow annuì.
«Non mi sembra un tipo molto ok» continuò lei «Era proprio quello che ci voleva a François perché completasse il suo declino».
«Lo conoscevi anche prima? François, dico» le disse lui.
Con una mano si tastò un fianco, dove un formicolio intenso infastidiva ancora la zona colpita dalla magia di Alberto. Jasmine annuì, ma non andò oltre.
«Avete sentito di ieri sera?» chiese, invece.
«La smetti di parlare?» interruppe Mathieu senza voltarsi.
Aumentò il passo in una direzione qualunque e si impose come guida, tra file di tronchi indistinguibili. Gli altri due lo seguirono guardandosi straniti.
«La smetti di essere acido con tutti? Sei indigeribile! Lasciami parlare, è un mio super-sacro diritto!» la voce di Jasmine si fece più acuta, proporzionata al nervosismo.
Mathieu sospirò teatralmente, si girò e fissò Vijaya negli occhi. Rimasero lì, zitti, a guardarsi per lunghi istanti. Snow percepì un cambiamento nello sguardo di lei, l’insinuarsi di un dubbio, come se stesse realmente prendendo in considerazione l’idea di voltarsi e andarsene.
Il grugno che fece Jasmine ne accentuò la curva pronunciata del naso tipica di chi è originario delle indie. I capelli bruni, resi crespi dall’aria umida, le incorniciavano la testa piccola in modo scomposto.
«Stai esagerando, Mathieu» disse «La stai facendo fuori dal vaso».
«Lascialo perdere, dai» si intromise Snow «È solo irritato per quello che è successo prima».
«Se non arriviamo alla Grotta del Drago entro cinque minuti giuro che faccio saltare in aria tutto» confermò il francese, calciando una grossa castagna che rimbalzò sul tronco di un pino, con un rumore secco.
Le parole di Vijaya sembrava non lo avessero scalfito. Prima di incamminarsi nuovamente, la ragazza indicò una direzione di poco alla loro destra.
«Guardate che la Grotta del Drago è da quella parte» disse.
La mandibola del francese si contrasse all’inverosimile.
«E si può sapere perché lo dici solo adesso?» chiese, sistemandosi i capelli umidi tanto per tenere la mano occupata e, forse, non usarla per strangolarla. L’energia che impiegò per trattenersi gli fece digrignare i denti.
Jasmine sbuffò.
«Senti ma cosa ne potevo sapere io?» disse.
Mathieu strabuzzò gli occhi, fece un respiro profondo e, in silenzio, partì come un treno verso la direzione indicata da Jasmine. Per mettersi in pari e bruciare le distanze, gli altri due dovettero improvvisare una breve corsa.
«Per poco non morivo soffocata dalle corde» insistette Vijaya, irriducibile e col fiato corto «Mi hanno devastata di colpi prima che arrivaste, tanto che credo di aver regalato almeno cinquecentotrentamille punti ai verdi. Non mi sento più le braccia! Sono un po’ distratta, non me n’ero accorta che avevamo sbagliato strada, e vorrei anche vedere, ok? Può capitare: fatti una risata! Adesso ci arriviamo. Che poi si può sapere perché dobbiamo andare lì?»
«Non ti risponderà» disse rassegnato Snow. Ne aveva decisamente fin troppo di quella situazione. Fissò la schiena di Mathieu e superò con un balzo una radice nodosa e ricoperta d’un muschio reso argentato da un velo d’acqua piovana «Piuttosto: cosa dicevi, di ieri sera?»
«Notte. Quindi non lo sapete?» sembrava non stesse aspettando altro che quella domanda «Hanno rubato l’Elmo di Ade dal museo dell’Accademia».
Il silenzio affettò l’aria con prepotenza. Mathieu si fermò e così fecero anche gli altri due.
«L’Elmo di Ade? Quell’Elmo?» ripetè Snow.
«Già. Quello. Questa mattina al cambio della guardia hanno trovato Julius e Walter addormentati».
«Julius-Occhio-Aperto» chiese Mathieu, senza punto di domanda.
«Sì, e l’Elmo di Ade era sparito dal suo piedistallo. Non avevano mai rubato niente in Accademia, dicono. È già scoppiato un putiferio, e oggi ne parlavano tutti i giornali. C’è la Magizìa in accademia e stanno pelando quei due come cipolle. Dicono che la Prinkett abbia urlato così forte questa mattina, che si sono dimesse tutte le banshee della Francia. Ho sentito dire da Melody che ha sentito dire da qualcuno che hanno sentito dire al professor Villon che faranno venire Nobu Ishiro dal Giappone, perchè è l’unico con il Si’v della Verità».
«E il Parkinson» aggiunse Mathieu.
«Anche quello, sì, ma è pur sempre Nobu Ishiro».
Lasciarono decantare la notizia per qualche secondo, poi ripresero a camminare. Un tuono spinse al volo diversi uccelli. Snow fissò la schiena di Mathieu: era uscito dalla stanza nel cuore della notte e per la prima volta nella loro vita gli teneva nascosto qualcosa. Non che pensasse potesse essere colpa sua, ma il discorso di Jasmine aveva fatto riaffiorare i pensieri dalle profondità della sua mente.
«Io non c’entro» sbuffò il francese leggendogli nella mente.
«E chi ha detto niente?» chiese Jasmine «Egocentrico».
«Già, chi ha detto qualcosa?» concluse Snow.
Il discorso cadde lì.
Delle urla giunsero dal cuore nero della foresta, in direzione della Grande Quercia, ma di comune accordo decisero di non fermarsi.
Quando giunsero al limitare del bosco si affacciarono su un terreno piatto che da erba sfumava in terra nuda e infine in dura roccia bruna. In quel punto il cielo era grigio ma non piovoso. Rimasero nascosti dietro l’ultima fila di abeti, così netta da sembrare disegnata da una grossa matita. Davanti a loro si ergeva aspra e minacciosa la montagna e ai suoi piedi, come un’appendice spinta verso l’esterno da una forza misteriosa, si apriva una grotta il cui ingresso raccoglieva il vento ululando.
Sembrava il luogo del tesoro d’una ciurma di pirati. La sua forma, innaturale, richiamava in tutto e per tutto la massicca testa d’un drago: file di stalattiti acuminate delimitavano l’ingresso e componevano le fauci mostruose del rettile; da una cavità oculare, invece, spuntava un pino che allungava i suoi rami fin sopra le larghe e asimmetriche narici, sulla sommità del muso di pietra. Qua e là, nelle spaccature della roccia, avevano cercato di crescere dei cespugli, ma di questi ora restavano solo grovigli di rovi nudi e spinosi.
L’ombra gettata dalla monumentale grotta era fredda e scura. Al centro di quella, ben piantata in una montagnola di pietre, una vecchia scopa di paglia frusciava agitata. A venti centimetri dalla sua punta, invece, un globo di luce verdastra galleggiava nell’aria lanciando verso il cielo un raggio dello stesso colore. Quello era il MangiaMagia.
«Quindi adesso?» chiese Jasmine, appoggiata al fusto di un pino, bruciato sulla sua sommità e spaccato in due da un fulmine «Mi rifiuto categoricamente di finire nei guai, la mia giornata è stata già abbastanza disas-tragica per i miei gusti».
Mathieu la guardò stranito: «Che?»
«Disastragica» ripetè Snow per lei, sollevando le spalle «Comunque secondo me quello è il MangiaMagia».
«Geniale» incalzò Mathieu.
«Fammi finire. Sarebbe stupido lasciare una Casa libera, no? Specie sapendo che, prima o poi, gli avversari tenteranno di conquistarla».
«Per quanto la Casa della Grotta del Drago sia poco ambita» interruppe il francese.
«Già» riprese Snow «Comunque, secondo me, i verdi sono qui nascosti da qualche parte. Bisognerebbe solo capire dove. Jasmine potrebbe uscire allo scoperto, in fondo è molto più agile di noi, e potrebbe schivare i colpi facendoli uscire allo scoperto».
«Perché parli di me in terza persona?» Jasmine mosse la mano davanti al viso di Snow «Guarda che sono qui, eh».
L’inglese non sembrò vederla «Poi Mathieu potrebbe passare da quella parte, e io da questa» disse concentrato.
«Hai finito?» chiese Mathieu, ravviandosi i capelli biondi «Ti manca di schierare Lane, tua madre, e dopo hai praticamente dato ordini a caso a metà dei Cyh’t del mondo. Comunque sia, ci ero arrivato anche io».
 «A nessuno interessa il parere dell’indiana, vero?» Jasmine guardò preoccupata in direzione della grotta e si concesse qualche attimo per pensare «Fare da esca non è mai stata la mia ambizione più grande, ma suppongo di non avere altra scelta, giusto? Mi sa che a questo giro mi tocca accettare».
Un colpo invisibile scudisciò tra Snow e Jasmine, generò un frammento di vuoto che risucchò l’aria circostante e si infranse con un rumore sordo contro il tronco rinsecchito del pino, che si spaccò maggiormente lungo il profilo destro, in una pioggia di schegge. Fu come gettare dell’acqua su un formicaio: i tre si divisero agitati, Snow balzò all’indietro e capitombolò con la schiena a terra, ruzzolando e sbuffando l’aria dal torace.
«Zis’eh!» gridò Jasmine, poggiando un piede su un tronco rovesciato a terra.
L’aria attorno alle sue scarpe da ginnastica vorticò con un sibilo, sollevando gli aghi di pino. Molleggiate le ginocchia, Jasmine spiccò un balzo portentoso, come se fluttuasse a gravità zero, mantenendo tuttavia una velocità sostenuta. Saltò oltre la linea di alberi, verso la grotta. Snow la sentì urlare ma non ebbe il tempo di capirne il motivo. Tastò il terreno e cercò appigli ai quali ancorarsi, confuso. Sotto l’ombra di un pino ambrato di resina, il corpo di Adrien apparve gradualmente dal nulla, come un fantasma. L’espressione arrabbiata assottigliava ancor di più gli occhi a mandorla, facendoli quasi sparire nel viso. Un campanello d’allarme si accese nella testa di Snow e lo fece ragionare alla velocità d’un computer.
Deglutì e porse il palmo verso Adrien: «Ku’Ra’De» disse.
Il colpo sparò e urtò una radice con un rumore sordo. Il contrattacco di Adrien arrivò tempestivo, con la stessa magia, e costrinse Snow a rotolare a terra come una bestia. A pancia in giù e con il viso nella terra, sentì lo schianto della magia sul terreno ad una vicinanza tale dal suo braccio da percepirne il calore, poco sopra il gomito.
«Mathieu, attento!» urlò Jasmine nel mezzo del prato alle sue spalle.
Non si sentì la risposta del francese, inghiottita dai rumori di un feroce scontro. Avevano ragione: qualcuno li stava aspettando al varco.
Sul fianco era ancora forte il dolore per il colpo inferto da Alberto e sui palmi c’erano i segni delle cadute, tuttavia Snow si fece forza e si alzò. Sentì fischiare le orecchie e la confusione pervadergli il corpo.
La magia scagliata da Adrien lo investì in pieno petto, schiacciandogli il monetarium al centro della cassa toracica. Il colpo di frusta lo spinse contro il ramo basso e ancora verde di un pino, sul quale si accasciò pungendosi la pelle. In altre occasioni sarebbe rimasto lì, su quella piattaforma rigogliosa a soffrire, ma l’adrenalina lo fece rialzare, e quando ci riuscì Adrien non c’era più. Si tastò il giubbottino termico, spento, e schiuse le labbra per respirare meglio.
La voce di Adrien non sembrava provenire da un punto preciso, ma da tutta la foresta insieme.
«Io non ce l’ho con te, Snow» disse «È Mathieu che non sopporto, ma tu…tu sei anche simpatico, a volte».
Snow si guardò attorno. Spostò lo sguardo alle sue spalle e intravide Jasmine saltare verso il cielo.
«Vedi, io sono ambizioso, e per questo mi procuro amici forti. Gente sulla quale poter contare. Gente che vale. E questa gente ha braccia molto lunghe, che arrivano ovunque, se mi capisci. E voi, voi avete sbagliato a mettervi contro di loro, e ora dovrete pagare. Nulla di personale, Snow, ma così come tu dipendi da Mathieu, io dipendo da qualcun altro».
«Si può sapere di cosa stai parlando?» Snow indietreggiò fino a toccare con la schiena il tronco fratturato del pino, accanto al quale erano prima.
Seppure il suo nemico fosse uno solo, aveva la sensazione sgradevole di essere circondato. Una fitta al fianco lo fece scomporre.
«”Emilien” ti dice qualcosa?» chiese la voce di Adrien.
Emilien del quarto anno: il ragazzo che aveva preso di mira Denise, prima del loro arrivo. Certo che gli diceva qualcosa.
«Snow, sbrigati!» gridò Mathieu da qualche parte alle sue spalle.
Adrien apparve come un ologramma frastagliato, a qualche metro di distanza da lui. La magia che scagliò arrivò a sfiorarlo, prima di passare oltre e viaggiare verso il campo dell’altra battaglia. Non era facile gestire la magia, specie quando veniva alternata ad altri incanti.
«L’Ryhka!» disse Snow reagendo con foga, il dito puntato ai piedi di Adrien, presto avvolti da volute tenebrose come tentacoli di fumo nero.
La terra ai suoi piedi trasudò una sostanza nera, che poi cominciò a produrre bolle e schiuma grigie e poi biancastre, che arrivarono a sfiorare le caviglie di Adrien, confuso. Non successe altro e così il nipponico, con un solo passo, uscì dal raggio d’azione della magia che, dopo pochi secondi, si spense e tornò alla terra. Tramutare il suolo in sapone non era servito a molto. Snow osservò contrariato la scena e Adrien scoppiò a ridere.
«Ti ringrazio per avermi lavato le scarpe» disse.
Quando una bruma fumosa e bianca, tempestata di minuscoli cristalli di ghiaccio, si sollevò dal sottobosco e avvolse le caviglie di Adrien, quello smise immediatamente di ridere. Sembrò anche volersi muovere, agitato, ma invano. Le spire fredde gli risalirono lungo le gambe e poi sul busto, avvolgendolo in una nuvola densa che ne fece sparire completamente le fattezze. Snow si mosse istintivamente di due passi indietro. Il freddo giungeva fin dove si trovava lui.
La nebbia rimase a galleggiare attorno ad Adrien e lo inghiottì completamente. Oltre quel muro lattiginoso, Alberto Ruiz, richiamò l’attenzione di Snow con un cenno della mano, poi gli sorrise e scappò. Era davvero opera sua? Alberto non era cattivo, e pur di sdebitarsi era stato disposto ad andare contro la sua stessa squadra. Snow non gli disse niente: si limitò a guardarlo fuggire, e non cavò una sola parola di bocca.
Senza pensarci due volte, Snow diede le spalle ad Adrien e scappò oltre la fila di alberi.
Irruppe nel mezzo di uno scontro in pieno svolgimento. Jasmine stava balzando tra le rocce del pendio evitando d’un soffio gli attacchi ripetuti di Coraline, di poco distante dal MangiaMagia, i capelli legati in una crocchia alta e il giubbottino verde di due taglie più ampio. I colpi esplodevano tra le rocce, smottando la terra del pendìo e lasciando dei solchi. Il rumore degli impatti vibrò sul terreno. Mathieu, dietro una massiccia roccia monolitica, si nascondeva dagli attacchi insistenti di un ragazzo dai lineamenti squadrati, i capelli biondi e lo sguardo affilato come una lama. Se non ricordava male si chiamava Ethan. La pioggia di schegge elettriche che lanciò si infranse contro la pietra, frizzando e generando scintille. Più che cercare di stanare Mathieu, sembrava volesse abbattere l’ostacolo che li separava. Era uno stile di combattimento aggressivo e brutale.
La luce verde sprigionata dal globo alla sommità del MangiaMagia tagliava perfettamente nel mezzo la scena.
Coraline e Ethan smisero di lanciare magie contemporaneamente, come interrotti da un timer: si avvicinarono, illuminati dalla luce del MangiaMagia, e mormorarono qualcosa. Coraline incrociò lo sguardo di Snow, trasalì e richiamò l’attezione del ragazzo al suo fianco, che lo fissò con un’intensità tale da imbarazzarlo.
Non ci fu il tempo di pensare: Snow scattò verso Mathieu e si gettò con un tuffo sconsiderato per bruciare l’ultimo tratto. Dietro di lui, ad appena un paio di centimetri dalla punta del piede, sentì sfrigolare una scarica di elettricità che gli fece accaponare la pelle. Ruzzolò a terra ai piedi del suo amico, tossì e si rannicchiò. Il corpo divenne una mappa di dolori e contusioni.
«Non sei uno stuntman, idiota» mormorò Mathieu, poggiando una mano sulla testa di Snow «Tutto ok?»
Non ottenendo risposta, Mathieu ritirò la mano, si contorse per riuscire ad infilarla nella tasca dei jeans skinny e a fatica ne tirò fuori la manciata di sassolini che aveva raccolto sulla riva del fiume fiume. Snow si sollevò e poggiò la schiena alla superficie fredda della pietra, imperlata d’acqua. Dietro il monolito, i primi attacchi tornarono ad infrangersi con forza.
«Sei vivo?» mormorò Mathieu, contando i sassolini che aveva in mano.
«Sì. Cos’hai in mente?» chiese, impegnandosi poi a calmare il respiro e il battito cardiaco.
«Muu’fan!» urlò Coraline, ma nulla sembrò accadere, o almeno non lì.
«Secondo te verranno qui?» bisbigliò Snow, fissando i sassolini.
«Non credo. Coraline vale poco o niente. Aspetteranno che usciamo allo scoperto e approfitteranno del vantaggio».
«Sicuro?»
«No».
Mathieu alzò le spalle e accennò un sorriso.
Snow sospirò «Credo abbia il Si’v della Scossa».
«Ma va?» disse Mathieu strabuzzando gli occhi «Pensavo fosse quello del Cioccolato» strinse il pugno e prese un respiro profondo, si voltò verso l’amico, serio «Non urlare, chiaro? Non fare nemmeno un rumore, qualunque cosa accada».
«Quindi hai un piano. Non è rassicurante, ma hai un piano».
«Sì, e prevede la tua flagellazione se non mi ascolterai».
«Tranquillo. Devo fare qualcosa?»
«Esca?»
Snow ci pensò su un attimo: «Posso provarci».
«Shht! Senti?»
Aguzzò l’udito. Qualcuno gemette soffocato, forse Jasmine. Non sapere cosa stava succedendo oltre la roccia lo agitava. Trovare la concentrazione in quella situazione risultò più difficile del previsto, ma cominciò col guardare intorno alla ricerca di un diversivo.
«Ti muovi?» incalzò Mathieu.
«Sì, sì…»
Snow sollevò lo sguardo verso la punta della pietra monolitica, divisa in due come la lingua di un serpente. Una delle due sommità, quella più sottile e stretta, sembrava fare al caso suo.
« L’Ryhka» disse chiaro.
Sentì il Siv’ne del cambiamento vibrare contro il petto nudo. Quando il fumo nerastro traspirò dalla stessa roccia Mathieu sobbalzò e si scostò d’un passo.
«Avvisami, cretino» disse scocciato, restando ad osservare i cambiamenti nella forma dell’oggetto, ora completamente avvolto dall’oscurità.
Quando ogni voluta di fumo si dissolse nell’aria, la punta di roccia si era sfinata e allungata, diventando di metallo ed esibendo una piccola boccia lucida sulla punta: era diventata un perfetto parafulmine, incastrato nella parte alta dell’ammasso di pietra.
Snow si voltò verso Mathieu e non riuscì a non sorridere, l’altro sembrò capire al volo.
«Non funzionerà, stanne pur certo» disse sorridendo, forse mosso da un filo d’invidia.
«Io dico di sì. E che Dio mi aiuti».
«Ci proverò. Mi raccomando: silenzio, ok? Qualunque cosa accada».
«Qualunque cosa accada».
Così come si aspettava, Coraline e Ethan lo stavano attendendo nello stesso punto di prima, tesi come animali da guardia. L’unica differenza stava nel fatto che, ai piedi di Coraline, vi era una grossa crisalide di fili d’erba intrecciati, una matassa vegetale distesa sul terreno per oltre un metro. Il bozzolo tremò e poi sussultò, e i gemiti di Jasmine si diffusero nell’aria.
«Jasmine!» urlò Snow.
Delle margherite sbocciarono sotto ai suoi occhi sulla superficie di erba, poi svanirono, come spazzati via dal vento. L’unica nota bassa spirata verso l’esterno dai venti gelidi nella Grotta del Drago componeva una colonna sonora inquietante. Ci furono un tuono, un lampo e le prime gocce di pioggia puntellarono il terreno.
«A’hanko!» gridò Ethan, lo sguardo tagliente.
Era il momento decisivo. Snow si coprì il viso con entrambe le mani.Una scossa elettrica sfrigolò nell’aria e disegnò un arco che puntò verso l’alto: il flusso deviò inevitabilmente verso il parafulmine sulla sommità della pietra, e quando quello assorbì la magia, si sentì uno stridìo assordante, insopportabile.
Snow, con un sorriso tronfio, fissò prima le sue mani, ferite ma bene o male intatte, e poi i due avversari. Lo sguardo di ferro di Ethan lo trapassò da parte a parte, facendo a brandelli ogni stralcio di sicurezza.
«Giù!» urlò Mathieu, alle sue spalle.
I sassolini che lanciò disegnarono una curva nell’aria bagnata. Fu come assistere alla scena madre di un film sul basket,  quando tutti gli spettatori fissano la palla decisiva lanciata a un secondo dalla fine. Allo stesso modo, i presenti osservarono le pietre fino a quando vennero inghiottite dalle tenebre nelle narici del drago. Fu un lancio preciso e degno di nota. Ci fu solo un breve attimo di silenzio, poi il picchiettìo della roccia contro altra roccia si diffuse, dapprima tenue, dopo sempre più intenso, caricato da un’eco infinita. Le narici del drago vibrarono come casse di risonanza mentre il rumore, troppo per essere tenuto all’interno, venne vomitato dalla bocca come un ruggito crescente e minaccioso. A breve, tutta la montagna risuonò funerea.
Una folla di strilli rimbalzò sulle pareti di roccia fredda, forse un altro effetto della strana eco della grotta: fu come se un mare di ratti impazziti stesse sciamando tra i loro piedi, era un rumore agghiacciante.
Le Garguille esplosero fuori dalla grotta in numero smisurato: non più grandi di una mano aperta, le creature mostruose erano dotate di ali da pipistrello e di un becco adunco affilato, su un corpo umanoide che terminava in quattro zampe da rapace. La pelle, grinzosa e grigia, riluceva come idratata da un sottilissimo velo d’acqua. Gli occhi, completamente bianchi, non fissavano niente e nessuno. Fu una confusione totale di battiti d’ali e zuffe: il volo scomposto dei Siv’ku, infatti, li portava a cozzare tra loro con una certa insistenza, scatenando a sua volta piccole lotte aeree che non duravano più d’un secondo o due. Se in pericolo - o anche senza un motivo preciso - i mostri mutavano in roccia, precipitavano verso il suolo e, se non riuscivano a tornare alla propria forma a mezz’aria, si schiantavano tra i sassi e la terra umida.
Snow venne scosso da un forte brivido, che lo fece tremare fin dentro alle ginocchia; a salvarlo fu Mathieu, che gli premette una mano sulla bocca prima di ogni sua possibile reazione. Ethan rimase paralizzato. Coraline, invece, urlò con quanto fiato aveva in gola, e per lei fu subito il caos: le Garguille planarono verso di lei, che rinsavì e tentò la fuga. Ethan, rimasto immobile, fu investito in pieno dal mostruoso stormo e sparì in una bolgia di ali membranose. Nessuno si fermò sul suo corpo: puntarono tutti a Coraline, ormai oltre la prima fila di alberi.
«Ku’Ra’De!» urlò Mathieu, scagliando un colpo contro il MangiaMagia.
La scopa risucchiò l’ondata di energia e vibrò appena. Il fascio di luce sulla sua sommità si richiuse su sé stesso e cambiò sfumatura lentamente, dal verde al rosa. Poi, quando la mutazione fu completa, sbocciò come la corolla di un fiore e tornò a dirigere la sua luminescenza verso il cielo, in forma di colonna rosata.
L’urlo di Mathieu richiamò l’attenzione dei Siv’Ku, che piantarono su di loro gli occhi bianchi e i grugni diabolici. Mathieu si rannicchiò e coprì la testa con le braccia, il monetarium ben fissato tra le ginocchia per evitare tintinnii. Snow, immobile, fissò i Siv’ku fino all’ultimo istante, prima che di essere travolto dall’infinità di mostri che lo schiaffeggiarono con le ali e con gli arti ossuti. Le Garguille pietrificate piovvero sul suo corpo colpendolo come pugni: una sulla coscia, una al braccio, una in pieno stomaco. Durò tutto tre o quattro secondi al massimo poi, quasi non si fossero accorti della loro reale posizione, i Siv’ku andarono oltre e sparirono a branchi, verso la foresta o nuovamente nella grotta. Con la pace tornò il silenzio. Qua e là, sul terreno, come orrende lapidi, le piccole Garguille di pietra fissavano il vuoto con la fronte aggrottata, il becco aperto o gli artigli alzati al cielo, le ali richiuse.
Snow si mosse solo quando fu sicuro che più nessuna creatura fosse nei paraggi. La pioggia frusciava costante ma lieve. Si concesse qualche respiro profondo e silenzioso, per rallentare il battito cardiaco e ricollegare il cervello. Il suo corpo si accese di dolore. Mathieu si alzò da terra con un sorriso beffardo sul viso, inorgoglito. Ethan era sparito. La luce rosa del MangiaMagia svettava nel mezzo della piana: avevano conquitato la Casa della Grotta del Drago.
«Bè, figo, no?» disse sogghignando Mathieu.
Aveva il viso tagliato da linee sottili, in più punti e in particolar modo sulla guancia destra. Snow si voltò, lo fissò in silenzio, deglutì e inspirò profondamente. Poteva ancora sentire i battiti d’ali in faccia e nelle orecchie. Quando ci pensava, un brivido gli percorreva la parte bassa della schiena.
«Ce ne portiamo una a casa?» chiese ancora il francese, avvicinandosi a una Garguille e toccandone il muso piatto con la punta della scarpa. Gli arrivava di poco sopra la caviglia. Vista in quello stato, la Garguille non faceva poi tanta paura.
«Coraline potrebbe essere morta» disse Snow.
«Morta» ripetè Mathieu, voltandosi «Che esagerazione. Le Garguille sono innocue, fanno solo qualche graffio. Figurati che si cibano di muschio, anche se non si direbbe».
Si sentirono dei gemiti e il bozzolo vegetale al centro della piana ebbe un sussulto. Mathieu si incamminò in quel punto. Snow si accasciò sulla terra bagnata e sospirò. Il francese infilò le mani nella matassa di fili d’erba e tirò in direzioni opposte, squarciandola.
Jasmine urlò forte, disperata o forse felice.
«Shht» la zittì Mathieu.
«Potevo morire!» la testa dell’indiana sbucò dallo squarcio e si agitò convulsivamente.
Cercò in ogni modo di liberarsi dalla prigionia e Mathieu la aiutò come gli fu possibile. In poco tempo potè tornare a camminare e a sentire l’aria fresca sulla pelle.
«Una sauna. Una dannatissima sauna!» sbottò «Stavo bolli-cuocendo. Hey, ma che è successo qui? Cosa sono? Garguille?»
«Hai preso più colpi tu oggi che la Francia nella Prima Guerra Magica» le disse Mathieu.
Jasmine sbuffò e gli diede un calcio al fianco, senza imprimervi troppa forza.
Snow sorrise appena. Un lampo illuminò il cielo plumbeo. Era il trionfo dei grigi, un po’ come la sua Londra di metà novembre. Era esausto a tal punto da avere la nausea. Sentire la pioggia sulla pelle era davvero risanatorio.
«Bè, sono stato bravo, vero? Ora vedrete che non verrà più nessuno a disturbarci» disse Mathieu.
Snow lo fulminò con lo sguardo. Dietro di lui, il parafulmine tornò alla sua forma originaria mutando in pietra.
«Tu sei tutto scemo, Mathieu, Coraline è così sconvolta che si riprenderà tra un anno, quell’altro è sparito nel nulla, io sono a pezzi e ho i palmi bucati, guarda!» gli mostrò le mani con i vistosi segni delle cadute e le lotte «Cosa prevede il tuo piano adesso: ammazzare delle foche a legnate?»
«Gesù» rispose.
«Cosa».
«Per i palmi. Sembri Gesù».
«Non fa ridere!»
«A me sì, e comunque la fai troppo grossa, come sempre» lentamente si avvicinò al cumulo di pietre del MangiaMagia e vi si sedette accanto a gambe incrociate «Ci sono persone che sentono la pioggia, altre che si bagnano e basta».
«MA NON VUOL DIRE NIENTE!»
Mathieu fece spallucce e Jasmine ridacchiò.
Snow sospirò e chiuse gli occhi, sconfitto. Erano tutti a terra, uno più stanco dell’altro. Quando si toccò il viso si accorse di avere uno zigomo gonfio. In bocca, invece, aveva un sapore malevolo, come avesse masticato a lungo una striscia di cuoio.
«Come facevi a saperlo?» chiese a Mathieu, quando finalmente si calmò un po’.
«Delle Garguille e dell’eco nelle narici? Me l’ha detto Vil’yahk» disse Mathieu.
«Vil’yahk?» si intromise Jasmine «Ma mica non parla mai con nessuno? Io sapevo che non usciva neppure dlala Prima Sala».
Snow sentì trillare lontano un campanello d’allarme, ma decise di non dargli troppo peso. Mathieu e Vil’yahk? Non poteva essere. Le immagini del suo sogno, tuttavia, riemersero nella sua mente.
«Le Garguille sono cieche e dispettose, non cattive» disse Mathieu «Non sono Gargolle, Gargoyle o Garguglie Testa Cornuta. Piuttosto, chi era prima, nella foresta?».
«Adrien».
Jasmine si sollevò da terra, attenta, e lo stesso fece Mathieu.
«E ha detto che in pratica è della stessa cricca di Emilien» aggiunse, notando il silenzio dei suoi compagni «Da quello che ho capito gli hanno detto loro di darci sotto con noi»
«Capisco» si limitò a rispondere Mathieu.
«Avete dato fastidio a Emilien?» chiese Jasmine, basita «Lo sanno tutti che è un rompiscatole, cosa vi è passato per la testa?»
Snow sollevò le spalle e non rispose.
Ormai erano fradici, ma nessuno sembrò curarsene. La pioggia lavò via la stanchezza e la tensione.
«Jasmine la feticista delle prigioni» disse Mathieu divertito «Già me la vedo a girarsi tutti i castelli della Loira per farsi rinchiudere nelle segrete. Tanto, ormai, tra fagotti di corde e robi di erba…»
«Scemo!» lo interruppe l’altra, con un sorriso sul volto.
L’aria si distese.
Mathieu aveva ragione: nessuno venne più a disturbarli.
Il boato del corno si disperse nella valle, decretando la fine della Bataille.



Beta-reader per la prima parte (e amica): Ely79. ha appena pubblicato una storia sui licantropi: date un occhio!! Qui c'è il link al suo profilo ( click )

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Capitolo 9
*** 09 ***


|| Finalmente riesco ad aggiornare. Dannato lavoro che mi fa sembrare un frustratone da novanta. A questo giro non ho molto da dire, se non che troverete meno azione e più caratterizzazione dei personaggi (ogni tanto ci vuole, 'che ce volete fa'). Spero non ci siano troppe imprecisioni: in tal caso sappiate che sono dovute ad una correzione 'scazzo', perchè in questo periodo non ho molto cervello per mettermi lì ad editare in maniera precisa (chi lo sa, magari troverete qualche aggettivo in meno, olè...o in più). Due questioni importanti che metto ai voti: come chiamare la Magizia e le Guerre Magiche? Magizia fa schifo, Guerre Magiche è stato fregato dalla Rowling (maledetta). Fatemi sapere! Se volete, chiaro. Passo e chiudo!



Quando Denise aprì la porta Snow non la riconobbe subito, ma dovette attendere il suo inconfondibile sorriso.
Ne osservò i capelli incredibilmente corti per un tempo indefinito che valicò il limite dell’inopportuno e si riprese solo quando la sentì tossire e la vide passarsi una mano sulla fronte, velata da un trucco quasi invisibile.
Dall’interno, appena accennata, proveniva una canzone che lui conosceva bene e che si sorprese di sentire in camera di Denise: Everything’s perfect, di Magnet. Quel brano gli ricordava Kensington Garden, con non poca malinconia.
Nell’aria c’era un buon profumo di caffè.
«Lo so, non dire nulla» lo anticipò lei con un sorriso forzato «Avevo bisogno di cambiare. E smettila di guardarmi in quel modo. Non è carino».
Snow si scoprì a fissarla ancora e si costrinse ad abbassare il viso, imbarazzato. Denise con i capelli così corti era uno shock. Quando lei gli diede le spalle, la seguì in silenzio e chiuse la porta.
Era la prima volta che metteva piede in quella camera, quindi si concesse tutto il tempo necessario a studiarla: era bene o male della stessa dimensione della sua, ma il fatto d’avere pochi pezzi di mobilia e un balcone dalla porta finestra doppia la rendeva a prima impressione molto più ariosa e spaziosa. Fuori l’acquazzone scrosciava con forza, illuminato a tratti dai lampi. La presenza di Lefevbre si limitava a una bottiglia d’acqua e una custodia per occhiali sul comodino, niente più. Nel complesso era una stanza piatta, senza personalità, come fosse stata appena abitata.
Snow arricciò il naso, un po’ deluso, si avvicinò al tavolo a penisola e prese posto su uno sgabello; nel mentre Denise si avvolse il corpo in una coperta di lana. Quando gli esaminò le mani fasciate, lui le ritirò subito sotto il tavolo.
Aveva immaginato questo momento molto diverso: forse era un’impressione, ma la sentiva distaccata.
«Mi sono fatto un po’ male durante la prova» le disse.
«Nulla di grave, giusto?»
«Qualche sbucciatura. Domani dovrei già essere come nuovo. Mi dà solo un po’ fastidio il fianco».
«Com’è andata?»
«Abbiamo perso: hanno fatto quasi il doppio dei punti».
«Mathieu?»
«Sta bene. Ed era con me, nei rosa».
Denise sorrise immaginandosi Mathieu, e Snow la imitò, osservandola in silenzio. Lei tossì in modo forzato, poi tirò su col naso e sospirò appena.
«Guarda che non devi fingere di star male, non serve» le disse Snow in tutta calma «Non servono mica delle scuse, davvero: so che non te la sentivi di partecipare e penso tu abbia fatto bene a non farlo, tutto qui. Per certe cose bisogna essere pronti, e ognuno ha i suoi tempi e i suoi modi».
L’idea di esser stata smascherata agitò per qualche istante Denise, che trattenne il respiro. Avesse potuto fare un rumore, il suo cervello avrebbe prodotto un clangore assordante. Rimase a pensare fissando il tavolo in un punto imprecisato, dunque, con calma e un respiro profondo, si tolse la coperta dalle spalle e la lasciò cadere a terra. Denise sorrise distesa: liberarsi di quel fardello aveva restituito ai suoi occhi la lucentezza di sempre. Snow non potè non sorridere.
«Allora? Ti piaccio?» chiese lei con una voce rinnovata, la schiena dritta e lo sguardo vivo «Ho fatto la pazzia questa mattina, senza rendermene conto: ho preso le forbici e zac! Mi sono tagliata i capelli a manciate. Non sono ancora pienamente convinta del risultato, ma così diversa, in fondo, mi sento bene».
Snow seguì lo sguardo di Denise e vide, sparse sul pavimento, le lunghe ciocche di capelli recise. Dall’ingresso non le aveva notate. Il perché fossero ancora lì non gli era chiaro e trovava la cosa anche lievemente sgradevole, ma si premurò di tenere ogni pensiero per sé e si nascose dietro a un sorriso.
La nuova capigliatura di Denise, a ogni modo, le metteva in risalto i lineamenti dolci del viso, gli occhi grandi e il labbro superiore lievemente sporgente. Aveva anche una bella forma della testa e le orecchie, così piccole da sembrare disegnate da un bambino, sembravano evadere ogni regola di proporzione. Il taglio era palesemente impreciso, ma nel complesso non riusciva a non piacergli.
«Sei…diversa» le disse soltanto «Ma stai bene, giuro».
Denise non sembrò molto convinta della risposta ottenuta, ma alla fine accettò il complimento di buon grado, si alzò dallo sgabello e gli offrì un tè.
«Mi sento che questa sarà una nuova Denise» disse lei, forse più a sé stessa che a Snow, per poi aggiungere: «Dai, raccontami tutto, forza».
Sotto invito, Snow cominciò così a narrarle della Bataille, di come lui e Mathieu avevano salvato Jasmine e di come poi questa fosse finita nuovamente in trappola. Si preoccupò di far apparire Adrien ancora più cattivo di quanto non fosse stato e ripetè almeno cinque volte come fosse palese che Alberto, che in fondo era di cuore buono, si fosse sentito a disagio per averlo colpito in pieno. Come un bravo sarto, Snow tagliò alcuni pezzi di discorso e vi cucì qua e là delle altre frasi. Quando alla fine gli parve d’esser riuscito a vendersi piuttosto bene, sorrise disteso.
«Ti ha fatto molto male? Adrien, dico» gli chiese Denise «Ancora non mi è chiaro il perché di questo suo accanimento».
«Un po’, ma ora sto abbastanza bene. Mi sento come se ieri avessi fatto ore di allenamento in palestra e avessi i muscoli spaccati. Le mani prima bruciavano un bel po’, ma ora che mi hanno medicato danno solo fastidio».
Snow macchiò il tè col latte e ne bevve un lungo sorso.
Si era tenuto il più bello per la fine ed era elettrizzato all’idea di poterglielo raccontare. Lo scontro alla Grotta del Drago, così, lo descrisse con foga, impegnandosi a sottolineare come fosse stata assolutamente geniale la sua trovata del parafulmine e limitandosi a qualche blando complimento per le Garguille di Mathieu che, a detta sua, si erano rivelate più rischiose che vantaggiose. Denise, che pendeva dalle sue labbra, di tanto in tanto faceva domande o commentava a bassa voce: fece i complimenti a entrambi, disse che odiava Adrien, che Jasmine era stata carina nei loro confronti e che le dispiaceva se si erano fatti male, ma che era sicura che presto si sarebbero rimessi in forze. Quando Snow si ritenne soddisfatto delle risposte, terminò il discorso e non andò oltre per non apparire pesante.
A conclusione fatta, Denise si rabbuiò appena e Snow dedusse che doveva essersi pentita di non aver avuto il coraggio di affrontare le sue paure in tempo, perdendosi così un’avventura speciale.
Forse non avrebbe dovuto presentare il tutto in maniera così romanzata; col senno di poi era stato un errore.
Il calore della tazza tra le mani, il profumo del tè nero, il rumore incessante della pioggia contro i vetri e la luce soffusa della stanza: Snow le fece un sorriso di cuore e cercò di farle tornare il buonumore. Solo quando lei gli rispose allo stesso modo, il ragazzo poggiò la tazza, infilò una mano nel collo del maglioncino e ne tirò fuori il monetarium, che tintinnò.
Denise non se ne accorse subito, ma quando lo fece per poco non cadde dalla sedia per lo stupore.
«Questa notte ho fatto un sogno, hey, attenta!» Denise si sporse, afferrò il monetarium e lo tirò a sé con tanta foga da rischiare di strozzarlo, facendogli morire la frase in gola.
Snow urtò la tazza col petto e parte del tè tracimò sul tavolo.
«È il Si’v del Sogno» le disse con un filo di voce, resistendo alla sua presa e tirando nel senso opposto.
Denise fece dondolare la moneta davanti al viso, a mezz’aria, la studiò e la lasciò ricadere sul petto di Snow. Quando tornò al posto sembrò turbata.
«Non è un buon segno» gli disse, la voce velata di preoccupazione.
Non era più eccitata, ma solo molto pensierosa.
«Lo so. Pare significhi che succederà qualcosa, e con questo siamo a due moniti se consideriamo il cambio di Si’v che è avvenuto nella Prima Sala…È una situazione frustrante».
Mentre parlava, Snow strofinò le monete tra due dita, come volesse lucidarle con i polpastrelli o saggiarne le pregiate incisioni.
«Cosa hai sognato?» chiese Denise.
Snow non era mai stato bravo con le parole, e per questo motivo ci mise più tempo del necessario, ma alla fine riuscì a esporle i dettagli del sogno. Non fu facile, perché quando finalmente raggiungeva un determinato punto della narrazione ecco che, come un lampo lontano, un ricordo ad esso precedente si risvegliava costringendolo a tornare indietro per recuperare il filo. Denise però ascoltò attenta, passando solo di tanto in tanto la mano tra i capelli corti o inarcando il sopracciglio, e così non dovette ripeterle nulla per più di una volta.
Coinvolto dal ritmo di quello sfogo e privo dell’iniziale imbarazzo, Snow cominciò a raccontarle anche dei dubbi su Mathieu relativi alla sparizione dell’Elmo di Ade. Venne fuori tutto da solo, senza il minimo controllo da parte sua.
Espresse a voce, quelle congetture gli si rivelarono in tutta la loro stupidità. Sembravano concetti talmente lontani e strani da non sembrare neppure opera sua; eppure li aveva pensati.
«Sei solo molto stanco» disse Denise un po’ in difficoltà, prima di un altro sorso di tè «Vuoi il mio parere? Hai detto cavolate. Cioè, per Mathieu, dico. Si sarà solo fatto un giro, o magari vuole farti una sorpresa, non puoi saperlo. Insomma, è Mathieu, sarà anche un po’ strano, ma è un buono, e tu lo sai benissimo. E poi è solo uscito di casa, diamine: come sei paranoico!»
Denise ridacchiò e Snow si sentì ancora più stupido.
«Comunque il Sogno è un Si’v enigmatico, a cui piace parlare per indovinelli o comunque per vie traverse» aggiunse lei «Non è detto che ti abbia mostrato la realtà, anche se tu dici di non aver più trovato la scarpa sotto al letto. Forse doveva solo dirti qualcosa di irrilevante. Secondo me dovresti stare tranquillo, tanto vedrai che se dovrà succedere qualcosa, succederà».
Snow bevve un sorso di tè. Lo strofinìo delle bende sui palmi gli fece arricciare il naso. Sbirciò fuori dalla finestra, dove la pioggia scrosciava ancora, poi sorrise all’amica.
«Non è consolante. E se mi stesse avvisando che devo morire? Devo lasciarlo fare?» le chiese «Hai qualche biscotto?»
Denise lo osservò accigliata.
«Non erano collegate le domande. Cioè, vorrei un biscotto adesso, non quando morirò».
«Suppongo sia un tuo modo per chiudere il discorso» rispose lei, che si alzò e si avvicinò alla dispensa.
«Com’è vivere con Lefevrbe?»
Denise fece per poggiare il pacco dei biscotti in mezzo al tavolo poi, attraversata da un’idea che la fece sussultare, tornò accanto alla dispensa e cominciò a disporli su un piattino.
«Lascia stare» la fermò Snow.
«Troppo tardi. Già fatto».
La scelta era ampia: Snow prese una pasta alla cannella, la annusò e la morse. Era squisita, e lo provava il suo sorriso.
«Lefevbre è praticamente un ninja» disse Denise.
«Un’ombra» rincarò lui.
«Già» Denise girò il cucchiaino nella tazza vuota «Piove molto, eh?»
Snow annuì «Come va col Si’v?»
«Il mio? Meglio. Sai, credo di aver capito il perché non funzionasse. Cioè, è solo un mio pensiero, ma visto che oggi siamo in vena di confessare le nostre più strane congetture, forse è il caso che lo faccia anche io. Insomma, non c’è scritto nei libri, ma io credo che il Si’v della Luce si…appoggi alla luce interiore di una persona, e che sia forte solo quando questa stia bene con sé stessa e col resto del mondo. E prima non lo ero. Ora sì, credo».
«Non funziona perché non sei buona?»
«Non “buona”: anche il professor Lane ha detto che quello non c’entra, ma…non so, parlo di equilibrio, di pace interiore, non so spiegarmi».
Snow aveva l’impressione che Denise si stesse sbagliando, ma decise di non contraddirla. Se lei era giunta a quella conclusione e la cosa la faceva stare meglio, allora andava bene così e non c’era bisogno di aggiungere altro.
«Sai» riprese Denise «Forse in fondo non avevi tutti i torti: sono un po’ strana».
«Dici?»
Annuì «Mi fa piacere sapere che ci siate sia tu che Mathieu. Forse non dovrei attaccarmi così velocemente alle persone, ma non ho mai avuto qualcuno intorno con così tanta…costanza».
Snow non sapeva cosa dire: non era mai stato un ottimo oratore, figuriamoci in circostanze simili.
«Quindi pensi che ora funzionerà?» le chiese «La magia, intendo».
Denise lo studiò in silenzio riflettendo sulla domanda. Forse se ne aspettava una del tutto diversa, magari un ringraziamento per quelle belle parole.
«Bè, sì, spero» rispose con poca convinzione.
«Comunque grazie» le disse Snow.
«Grazie a te».
Denise sorrise.
 
*
 
Il giorno seguente la Magizia chiuse le porte dell’Accademia per indagare sulla sparizione dell’Elmo di Ade. Agli studenti, dunque, venne regalata una giornata di vacanza del tutto inaspettata, e tra loro non vi fu persona che non inneggiò almeno un momento al misterioso ladro.
«Comunque ieri sono andato da Coraline e mi sono fatto perdonare» disse Mathieu sfoggiando uno dei suoi sorrisi sghembi ed enigmatici.
Condivideva lo stesso ombrello con Denise e, alla sua sinistra, Snow si guardava attorno senza prestare troppa attenzione alle sue parole. La pioggia scendeva rada e debole, prossima a smettere; a Snow ricordò un po’ quella di Londra, sottilissima e un po’ fumosa.
Attraversarono il ponte a passo svelto, lottando contro il vento e camminando sul rumore delle acque impetuose del fiume Ardèche, che in quel punto si allargava tanto da risultare inguadabile perfino in periodo di secca. Si immisero dunque sulla strada principale di Fort Saint Marcel e si uniformarono al flusso di persone a passeggio.
La strada, che tutti chiamavano semplicemente ‘Il Viale’, serpeggiava risalendo lungo il promontorio e forniva alloggio alle coloratissime bancarelle del mercato giornaliero, attrazione locale. In fondo, la via sfociava nella piccola Piazza del Centauro, sulla quale si affacciava il forte del paese: una costruzione massiccia e anonima risalente al medioevo.
Snow, Mathieu e Denise si concessero il tempo di assaporare l’ingresso nel paese, ammirando l’agglomerato di edifici semplici e di pietra. A renderlo  famoso in tutta Francia erano i mosaici: oceani di tasselli colorati che rivestivano le strade e che, di tanto in tanto, risalivano lungo i profili delle case donando loro uno splendore fiabesco. Denise, a bocca aperta, fissò in silenzio le composizioni che piastrellavano la via principale, dove draghi rossi e blu si inseguivano in volo su foreste rigogliose. Fort Saint Marcel la prima volta faceva sempre quell’effetto.
«In estate dev’essere stupendo» disse con un sorriso ampio, senza mai staccare lo sguardo da terra.
Quasi le dispiaceva calpestare quell’opera d’arte.
«Gli strumenti di Pierre, migliori dell’Elmo di quel fannullone di Ade!» urlò un ragazzo ad un banco di chincaglierie di poco conto, nascosto dietro numerosi chili di troppo.
«Dolci!» gridò invece una signora sulla cinquantina, in voluttuose forme di stoffe leggere, seduta a gambe accavallate su un tavolo fluttuante, sospeso su una nuvola di zucchero filato dorato «Spiritelle, Gommogrosse, Risantine, Colorocchie!» squillò, circondata dai dolci che, tra polveri luminose, galleggiavano nell’aria accanto a lei.
«Ce ne prendiamo un po’?» propose Mathieu.
«Prima facciamo un giro» rispose Denise.
«Quello non è Ruiz?» chiese Snow, per poi salutare il ragazzo che gli rispose con un sorriso.
Andava nel senso opposto, verso l’uscita del paese.
I chiacchiericci si imponevano con prepotenza sui rumori della natura, lontana ma tutt’intorno. Lentamente la pioggia si affievolì fino a cessare. Snow sorrise ad un’anziana signora alla finestra di una casa, ma quella si rifugiò dietro le tende.
«Vi spiace se entro un secondo?» Denise indicò un negozio di vestiti.
«Atelier Tussaude» lesse a bassa voce Snow «Ok! Ci vediamo tra una mezz’oretta per pranzo, da Chocolat?»
Denise inarcò un sopracciglio, confusa.
«Lascia perdere» Mathieu si intromise e sventolò una mano a mezz’aria «Torniamo noi qui tra mezz’ora, tu cerca solo di non perderti tra gli scaffali, di grazia. E non andremo da Chocolat, l’ultima volta c’era più cibo per terra che sul menu. Quel posto è cinquanta sfumature di schifo».
«Continui con i grandi classici delle citazioni, eh?» Snow ridacchiò «Da Twilight all’erotico, ahia!» si contrasse per il pugno che, sul fianco già di per sé dolorante, sentì trapassare da parte a parte.
«Come mai si è tagliata i capelli?» chiese Mathieu «Secondo me stava meglio prima».
«Dice che è cambiata e che quindi sentiva il bisogno di fare qualcosa anche al suo corpo. Bo».
«Poteva cambiare smalto, invece che sfigurarsi con un trinciapolli».
«Dai, scemo. A me piace» Snow sorrise.
Mathieu roteò gli occhi, poi legò l’ombrello con il nastrino e chiese: «Quindi si è ripresa?»
Snow annuì.
«Meno male. Andiamo lì, è un rivenditore FighFight!»
Se fossero stati in un fumetto, a Mathieu sarebbero schizzati gli occhi fuori dalle orbite: quando sentiva parlare di FighFight! usciva fuori dalla grazia del Signore.
Snow, tuttavia, lo fermò afferrandogli un braccio. Prima doveva dirgli qualcosa di importante. Gli raccontò così del Si’v del Sogno e di ciò che aveva visto, del fatto che ne avesse già parlato con Denise e, addirittura, che per un istante aveva dubitato di lui per via del fatto che si ostinasse a tenergli segreto qualcosa.
«In fondo mi hai sempre detto tutto» gli disse, senza ottenere risposta.
«Come l’hai fatta tragica» disse invece Mathieu alla fine del discorso.
Non sembrava particolarmente colpito dalle sue parole, ma a onor del vero era sempre stato anche un ottimo bugiardo.
«A parte che lo sapevo già» aggiunse muovendosi verso il negozio «Ma per come eri partito sembrava dovessi dichiarare l’ultimo segreto di Fatima. Ho visto il tuo monetarium questa mattina sul comodino: da due a tre Siv’ne, il cambiamento non passa di certo inosservato. Non sei furbissimo».
Snow lo seguì, pensieroso. Non aveva ottenuto una sola parola in merito al segreto che si ostinava a nascondergli, e non era un fatto grave, chiaro, ma ora stava diventando una questione di principio piuttosto fastidiosa.
Il discorso, ad ogni modo, cadde lì e nessuno dei due lo rispolverò più.
Il rivenditore di FighFight! si sviluppava in un’unica sala con grosse scaffalature lungo i lati. Al centro, dietro un bancone quadrato, un uomo sulla quarantina, capelli brizzolati e baffi folti, li salutò cortese. Carte e monete erano esposte in ogni angolo, custodite singolarmente in teche di vetro o gettate in grosse scatole. Cartonati dei più grandi giocatori del mondo erano sparsi per il negozio, appesi al soffitto o attaccati alle pareti. Gli schiamazzi del drappello di ragazzi che si sfidavano in fondo alla sala, su tavoli tondi, animava l’ambiente silenzioso. I piccoli ologrammi dei Siv’ku evocati dalle carte si stavano fronteggiando in una sfida all'ultimo colpo: un Leone Cornuto caricò con ferocia un'Idra di Ferro, che incassò il colpo prima di ricoprirsi di spunzoni e frustare il nemico con la coda. L’immagine del leone si fece prima tremolante, poi svanì in una nuvoletta di Myst.
Mathieu sembrava smarrito: I prodotti esposti si rivelarono talmente tanti da essere troppi perfino per lui, che restò impietrito vicino all'ingresso cercando di capire da dove cominciare. Quando finalmente mosse il primo passo, cancellò Snow dal suo mondo e si alienò.
Snow si avvicinò ad una teca di vetro e si chinò per leggere da vicino i dettagli segnati sull’unica carta custodita al suo interno, sotto un’illustrazione acquerellata.
«Ymp» lesse a bassa voce «Manipolatore delle ombre e delle tenebre. La sua mente non risiede nella testa, ma nello scettro, dal quale non si separa mai».
Snow osservò il mostro, chinando la testa su un lato.
«Curioso» bofonchiò prima di sbuffare un sorriso «Questo ce l’hai?» chiese a Mathieu, tanto per intavolare un discorso.
Come previsto non arrivò alcuna risposta.
«Bè, allora io esco un attimo, ok?» chiese ancora, invano.
Sospirò e uscì dal negozio, sotto il cielo grigio della valle. L'aria fresca e i rumori del paese lo abbracciarono desiderosi.
Tre sedie sbuffarono volute di fumo e galleggiarono a decine di centimetri da terra, attirando la sua attenzione. Seguì con lo sguardo i ragazzi seduti sulla Fluttuovia fino a quando scomparvero oltre una fontana di pietra, in direzione del forte. A risvegliarlo fu la spallata che gli diede per sbaglio un bambino, prima di varcare la soglia del negozio davanti al quale era rimasto.
«Frutti succosi! Le ultime arance di Sicilia» urlò un venditore accanto ad un carretto con le ruote sbilenche.  
Tutti sembravano avere qualcosa da fare. Tutti tranne lui.
«Le scope di Madame Crisaude, spazzano da sole!»
Chissà come stavano gli altri, a Londra: non aveva notizie di nessuno da più d’una settimana. A volte, come ora, vivere lontano da casa si faceva insopportabile.
Una goccia di pioggia gli puntellò il naso, quindi aprì l'ombrello e rimase a guardare il paese. Di tanto in tanto qualcuno della sua età passava nelle vicinanze e incontrava il suo sguardo, così lui prontamente lo scostava e fissava altrove, timoroso d’essere riconosciuto per ciò che gli era successo nella Prima Sala. Era un pensiero che lo perseguitava ancora, nonostante nel frattempo il furto dell'Elmo di Ade e la Bataille avessero fornito altri buoni argomenti da intavolare. Ne era ben consapevole, ma nonostante ciò non riusciva a darsi pace.
Un treno fischiò, in lontananza. Snow lo vide, in alto e sottile come una riga, passare su un ponte stretto che tagliava in due la valle, il fumo che si disperdeva nella pioggia.
«Hey!» Denise corse sotto la pioggia zigzagando dall'ombra di un balcone all'altra.
Si infilò sotto l'ombrello di Snow e si shiacciò al suo corpo, ridacchiando divertita. I due sacchetti nelle sue mani scricchiolarono e sgocciolarono.
«Che corsa!» sbuffò.
Snow sorrise «Preso qualcosa?»
«Una tazza decorata con dei mosaici, scarpe, e unasciarpa»
Snow si accigliò «Non ti facevo da souvenirs» disse.
Sembrava che fosse l’unico del trio senza una passione o un desiderio di collezione particolare: non si era mai reso conto d’essere atipico. La rivelazione gli lasciò l’amaro in bocca.
«Edward è già qui? Ha fatto in fretta» si intromise Mathieu aprendo l'ombrello «Edward. Le mani di forbici» mimò, indicando poi Denise «Oh, insomma, lasciate perdere, andiamo a pranzo».
Denise ridacchiò nonostante fosse l’unica che non avrebbe dovuto.

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Capitolo 10
*** 10 ***



|| E Quarantotto, lettore e artista, ha deciso di disegnare un altro soggetto di Monetarium, concentrando la sua attenzione su Denise, che nell'ultimo capitolo si è tagliata i capelli. Ha anche aggiunto che 'lui, non sa perchè, ma la vede dentona', quindi ecco a voi il risultato. Mi - e gli - farebbe molto piacere se lasciaste un piccolo commento a lui indirizzato. qui trovate il suo profilo di deviantart, ancora un po' scarno ma in fase di costruzione e aggiornamento. Non penso - dati alcuni motivi vari - che realizzerà altri disegni di Monetarium, quindi mettetevi l'animo in pace: Snow non lo vedrete mai (lol). Se volete ve lo disegnerò io, anche se non so quanto possa convenire...
Non vi rubo altro tempo. Buona lettura! Un abbraccio forte, Ivan.




(Ultime frasi del capitolo precedente)

«Che corsa!» sbuffò.
Snow sorrise «Preso qualcosa?»
«Una tazza decorata con dei mosaici, scarpe, e una sciarpa».
Snow si accigliò.
«Non ti facevo da souvenirs» disse.
Sembrava che fosse l’unico del trio senza una passione o un desiderio di collezione particolare: non si era mai reso conto d’essere atipico. La rivelazione gli lasciò l’amaro in bocca.
«Edward è già qui? Ha fatto in fretta» si intromise Mathieu aprendo l'ombrello «Edward. Le mani di forbici» mimò, indicando poi Denise «Oh, insomma, lasciate perdere, andiamo a pranzo».
Denise ridacchiò nonostante fosse l’unica che non avrebbe dovuto, e insieme si misero a cercare un posto dove mangiare.

(Nuovo capitolo)

La scelta ricadde sul “VraimentVert”, che lì a Fort Saint Marcel si trovava in un edificio distinguibile dagli altri solo grazie alle due grandi “V” verdi dell’insegna. L’ampiezza, indeducibile dall’esterno, ospitava un paradiso in linea con la filosofia della catena: un prato verde tagliato da un ruscello dal letto ciottoloso, sovrastato da un cielo terso artificiale, come quelli dei casinò di Las Vegas. Dell’acqua vaporizzata venne spruzzata sulla sala e Snow ne percepì il sibilo che coprì i rumori della natura, realistici ma dopo tutto non molto credibili.
«Questo è bello quasi quanto quello di Londra» disse avvicinandosi alla cassa e mettendosi in fila, ombrello chiuso alla mano.
«Coraline tuba con Evan» rispose invece Denise.
Snow e Mathieu si voltarono nella direzione che lei indicò loro. Coraline e Evan, sdraiati nell’erba su un fianco, si scambiavano carezze, parole e sorrisi, non troppo distanti dal ruscello. Lui era il ragazzo con cui si erano fronteggiati alla Bataille, quello che Snow aveva chiamato Ethan, dallo sguardo cattivo. Di primo acchito rimase confuso; non sapeva fosse il ragazzo di Coraline.
Presero posto tra le radici di un sambuco in fiore.
Il pane era fresco di giornata e l'insalata croccante: consumare  il pranzo sotto i raggi del sole fu piacevole e rilassante al punto da far dimenticare a tutti del mondo esterno, umido e grigio.
Denise picchiettava la forchetta sul fondo dell'insalatiera, svogliata. Infilzò un crostino ammorbidito dai condimenti e lo portò alla bocca.
«Mathieu» disse, per poi deglutire «Si può sapere che genere di problemi hai con tuo padre?»
Fu come trafiggere sia Snow che Mathieu con un unico dardo, dritto al petto. Restarono entrambi senza fiato, col boccone sulla lingua e la masticazione immobile.
Snow fissò Denise con gli occhi sbarrati. Aveva il volto del terrore.
Mathieu rimase fermo ancora per qualche istante, poi riprese a mangiare la pasta fredda un fusillo alla volta. Entrambi lo studiarono mentre piluccava lento, pensieroso, l’uno preparandosi a una sua reazione, l’altra aspettando una sua risposta.
Mathieu si concesse tutto il tempo di pensare, quindi si schiarì la voce e sollevò gli occhi su Denise.
«Com’è la pasta?» si intromise Snow.
«Cosa vorresti sapere,» chiese Mathieu senza punto di domanda, prima di passarsi il dorso della mano sulle labbra.
Snow sospirò appena.
Denise sembrò pensarci su un istante.
«Bè, sì, insomma» disse «Perché sei sempre stizzito quando se ne parla, ecco. Sbotti anche quando non stiamo dicendo nulla di male, e non mi sembra una situazione piacevole, no?»
Mathieu poggiò la ciotola nell’erba e si stiracchiò.
«È tutta la vita che mi dà addosso per ogni ragione» disse tranquillo, facendo spallucce «Ho cercato con ogni mezzo di trovare un equilibrio, giuro, ma a quanto pare la sua mente contempla solo le sue opzioni. Non capisce che semplicemente abbiamo interessi diversi, poverino, perché è un concetto troppo articolato. Essendo convinto di avere la verità in tasca non capisce come sia possibile che a qualcuno non possa piacere la storia, o…la cultura, o quelle cose lì. Come se ci tenessi a diventare la sua fotocopia, capisci? Perché lui lo vorrebbe, cioè, la fotocopia, ma tra il volere il meglio per i figli e quello che fa lui, ce ne passa. E quindi mi bastona, capito? Per tutto. Ogni cosa. Ma non ha capito che se mi girano comincio a legnarlo io. Per davvero» Mathieu si passò la mano tra i capelli più e più volte, in un rabbioso tentativo di sistemarli nonostante non ce ne fosse bisogno «Che poi parliamone: cosa te ne frega a te di come cazzo vivo io?» chiese alzando la voce, spingendo qualcuno nelle vicinanze a voltarsi verso di loro.
Denise si accigliò.
«Dico mio padre, non tu» riprese Mathieu grattandosi la nuca con forza «Era un “tu” generico. Cioè, cosa gliene frega? Ma lasciami fare, no? Nemmeno spacciassi droga o rubassi Siv’ne. Non ho voglia di andare a leggere come lui? Wow, non mi sembra un reato. Ma è finito il periodo in cui annuivo e sorridevo, sai? Adesso gli rispondo eccome, e la cosa lo fa andare ai pazzi. E ci godo, mi ha rotto».
Snow rimase senza parole. Mathieu riprese la ciotola e infilzò gli ultimi quattro fusilli, che si infilò in bocca. Si guardò attorno, nervoso, e chi era voltato verso di loro tornò ai propri affari.
«Tutto qui?» Denise aggrottò la fronte «Solo perché vuole farti studiare? Non mi sembra una cosa così orribile, è un bene che ti sproni. Che poi…»
«Ok, credo possa bastare, stop» Snow mise una mano tra i due, a mezz’aria, e la mosse per richiamarne l’attenzione.
Il fuoco negli occhi di Mathieu gli bruciò la pelle.
«Stop un cazzo! Ma l’hai sentita, sta qui?» sbottò.
«Hey, i termini!» pigolò Denise.
«Ma cosa ne sai tu!»
«Disturbo?»
Alberto Ruiz, in piedi, li salutò timidamente con un gesto della mano.
«Sì» tagliò corto Mathieu.
«No! Ovviamente no» aggiunse Snow.
Alberto rimase in piedi e guardò Denise, perplesso, torturando con le dita la bretella di una borsa a tracolla. Quando anche lei diede il suo assenso, Ruiz si sedette accanto a Snow e gli sorrise.
Alberto raccontò di come i suoi compagni lo avevano mollato per andare a far compere e di come lui, dopo averli attesi per oltre quaranta minuti, aveva infine deciso di pranzare per i fatti suoi. Mathieu fissava altrove, disinteressato e scocciato.
«Credo che alla fine siano andati al forte, senza di me» disse Alberto sollevando le spalle, sereno.
Qualcuno strillò il discorso si interruppe.
Insieme si voltarono verso il capannello di gente che si era radunato attorno al tronco di un albero. Qualcuno rise sguaiato, altri tirarono fuori i cellulari. Quando un dipendente di VraimentVert si avvicinò, la folla si squarciò in due e poterono vedere Alf Becker ciondolare a testa in giù, appeso a un ramo per le caviglie. Sembrava un maialetto, col volto violaceo e gli occhi a palla. Mathieu scoppiò a ridere e tirò fuori il telefonino per scattare una foto. Snow sorrise, mentre Denise e Alberto rimasero impassibili, si guardarono attorno e sospirarono quasi all’unisono. Quando anche un secondo uomo con la casacca di VV raggiunse Alf, gli slegarono le caviglie, lo adagiarono nell’erba e gli diedero assistenza. La situazione, ormai noiosa, sparì così dagli occhi di tutti, e il mondo andò avanti come se nulla fosse mai accaduto.
Alberto si schiarì la voce con un colpo di tosse.
«Avete saputo della festa di Halloween?» chiese «Non la fanno più il primo novembre, a quanto pare, ma il trentuno».
«Halloween?» chiese Mathieu.
Alberto annuì. C’era qualcosa, nei suoi occhi piccoli come bottoni, che lo faceva apparire inquieto. Si guardò attorno in silenzio e poi alternò l’attenzione tra i due ragazzi.
«A dire il vero vi dovrei anche dire una cosa» disse passandosi una mano sul viso arrossato dall’acne «Ho saputo che Emilien vi vuole dare fastidio, alla festa».
Per un attimo ci fu il silenzio.
«Mpfh» sbuffò divertito Mathieu.
Denise sospirò «Forse dovrei parlargli» disse.
«Fuori discussione» si intromise Snow «Non ne posso più, giuro. Si comporta come se gli avessimo amputato una gamba. Ti ha fatto qualcosa?»
«A me?» ripeté Alberto «No. Non sanno nemmeno che sono stato io a interrompere Adrien. Ma attenti, ok? Emilien è cattivo e ha sempre preso seriamente il suo ruolo, ne so qualcosa».
«Come no» disse Mathieu, col capo chino e le mani prese ad annodare tra loro i fili d’erba «Non troverebbe le palle neanche col GPS. Possiamo stare tranquilli».
Alberto, senza parole, guardò Snow in cerca di comprensione.
«Grazie» gli disse semplicemente l’inglese «E grazie anche per l’aiuto alla Bataille. Staremo attenti».
 
*
 
Nel buio, una melma verdastra trasudò dalla roccia e colò a terra, dove formò una polla e cominciò a ribollire. Una propaggine si spinse verso l’alto e generò un corpo informe, al cui centro un nucleo rotondo venne avviluppato da nervature pulsanti. L’occhio roteò nella gelatina e scrutò lo spazio circostante, illuminato solo da una sottile crepa nell’unica alta parete di mattoni, all’inizio del tunnel. Tutt’attorno, la roccia disegnava una galleria primitiva che si perdeva più avanti, nel buio assoluto, sorretta qua e là da coppie di colonne scavate nella pietra.
Vil’yhak gorgogliò morso dal freddo e mosse le due piccole appendici che gli facevano da arti. Del Myst trasudò dalla melma, che s’accese d’una suggestiva bioluminescenza che accarezzò i profili scabri delle pareti e allargò la visuale.
«’Hanno rubato l'Elmo di Ade’ ha detto, ehk, ‘e solo tu puoi porvi rimedio, Vil’yahk’» disse il mostro «’Solo tu in tutto il mondo’» gorgogliò squarciando il corpo in un sorriso «Non posso stare solo nella Prima Sala, ma posso fare molto di più, ehk. Ci sono cose che solo io posso fare. Io in tutto il mondo» ripetè «’Vil’yahk fai questo e quello’. No! Ehk, Messer Vil’yahk non lo fa!»
Il Siv’ku rimase in silenzio ad ascoltare il suo urlo rimbombare nel buio. Alle sue spalle, oltre il muro di mattoni, qualcuno gridò qualcosa nella Sala delle Sale.
Sbarrò il suo unico occhio: doveva esser più cauto.
Vil’yahk strisciò verso il cuore della fredda terra e brancolò a lungo, guidato solo dalla sua fioca luminescenza. Si fermò davanti alle grate di un cancello che alto fino al soffitto e rimase ad ammirare le gocce d’acqua che, lente, scivolavano lungo le sue sbarre.
Un rumore nel buio lo fece trasalire con un risucchio viscido, ma quando oltre il cancello apparvero gli occhi rossi del suo amico, il gelatinoso si tranquillizzò. Il lupo si trascinò sulle zampe ossute con un ringhio basso e i denti in mostra. Sul corpo grinzoso e bluastro non restavano che poche manciate di ciuffi di peli grigi e tra quelli, sulla schiena tagliata in due dalle vertebre sporgenti, il grande serpente giallo che gli faceva da coda si risvegliò e si sollevò in aria, sibilando per saggiarla.
Entrambi i Siv’ku si avvicinarono al cancello, ma quando quello s'illuminò d'un riverbero argentato, un’energia invisibile impedì loro di accostarsi ulteriormente. Vil’yahk si squagliò a terra, ribollì agitato e poi si ricompose, con l’occhio che girava nel bacino melmoso.
«Non disperare, amico mio, ehk» disse «Presto sarai qui».
Alle spalle della chimera una bestia ringhiò nel buio, senza palesarsi. Lo strillo di un volatile rimbalzò nel tunnel. Vil'yhak si voltò, si avvicinò a una parete di roccia e la tastò con le sue piccole appendici. L'interruttore era piccolo, d'oro e nascosto tra piccoli funghi mucosi. Lo studiò in silenzio, il corpo flessuoso chinato in avanti.
«Ci vorrà un po' di tempo» disse Vil'yhak a sé stesso, a voce bassa «Ma presto c'è la farò, ehk. ‘Tu sei capace, Vil'yhak’ mi ha detto, ehk, ‘Devi attuare un cambio di programma. Hanno rubato l’Elmo’, ehk. Il ladro verrà fermato».
 
*
 
Dopo un giorno di vacanza la lezione di Storia della Magia era pesante ai limiti dell’insopportabile.
Fortunatamente, però, la Biblioteca Grande era una di quelle strutture in grado di lasciare senza parole anche a distanza di tempo, e così non era raro vedere gli studenti passare intere lezioni guardarsi intorno meravigliati.
La struttura, intagliata in titanici pannelli di noce, era caratterizzata dalla presenza di scultoree scene di battaglie, che si sviluppavano in orizzontale come nei fregi dei templi antichi, in file e file accatastate l’una sull’altra. Il soffitto, invece, si curvava a formare una cupola liscia, al cui centro bruciava una fiamma verde sospesa nel vuoto. Ricordava un po’ la Prima Sala, anche se in questo caso le dimensioni spropositate dell’ambiente non si spiegavano con l’uso che ne veniva fatto. A lasciare interdetti, inoltre, era il fatto che nonostante il nome non fosse presente neppure un libro; nessuno sapeva spiegarselo.
Snow stava osservando tutto questo, interrompendosi solo di tanto in tanto per muovere la matita sul foglio con tratti piccoli e precisi: evidenziò la peluria di un centauro senza braccia né testa, quindi lo osservò soddisfatto nonostante la totale assenza di proporzioni tra le zampe e il resto del corpo. Al suo fianco, la stessa figura mitologica infilzava con una lancia il corpo asciutto di un umano, e sopra le loro teste un drago d’ossa osservava la scena mostrando le fauci affilate.
La voce del professor Blanchard era cantilenante e pacata: aveva smesso di ascoltarlo dopo appena cinque minuti, quando aveva cominciato a parlare della magia per gli antichi greci. Pronunciava le parole piano, come fossero parte di una stessa melodia mononota, camminando a passi corti tra i banchi nel vano tentativo di raccogliere un po’ di attenzione. Lì dove passava, così, gli studenti si zittivano, ma nel resto della classe la concentrazione era ai minimi storici, e una ragnatela di brusii serpeggiava tra i pochi banchi, in ordine a due a due al centro della grande sala.
«Fa un caldo fetido in questa stanza» bofonchiò Mathieu slacciandosi un bottone della camicia «E puzza di polvere. Solo lui poteva lavorare qui. Cosa disegni?»
Gli sfilò il disegno e lo squadrò.
«Non disegni male» disse, restituendoglielo.
Blanchard, dall'altro lato della stanza, li guardò senza interrompersi e poi si voltò altrove.
Snow riprese a disegnare, con la mente distante. Si figurò il centauro trafiggere con una lancia Adrien e sorrise, in dubbio se disegnarlo o meno. Ultimamente faceva pensieri nei quali non si riconosceva, tuttavia non poteva fare a meno di trarci un certo gusto.
«Come mai tuo padre non fa vedere il monetarium?» sussurrò senza staccare la matita dal foglio.
Mathieu squadrò suo padre e sbadigliò.
«Bè, non è vietato» rispose.
«Ma non è nemmeno ben visto. Ha qualcosa da nascondere?»
Mathieu ci pensò un po’ su, poi disse: «Nah. E poi ormai ha una sua reputazione da gentiluomo. Non ci fa più caso nessuno. La vede come una questione di privacy: mostrare il monetarium sarebbe come mettersi a nudo, dice. Ma vallo a capire. Comunque se glielo chiedi te lo mostra, non ha mai avuto problemi di questo tipo, solo non gli piace sbatacchiarlo in giro».
«Capisco. Qual è il suo primo?»
«Il Fumo».
«Blanchard, Mathieu» chiamò il professore interrompendoli «Può raggiungermi alla cattedra, per cortesia?»
La classe si voltò verso il francese, ma Mathieu non si alzò.
«Dimmi che non l’ha fatto» mormorò invece, a denti stretti.
Snow nascose il disegno sotto al libro e sbirciò verso Denise, con la quale scambiò un’occhiata e un sorriso.
«Blanchard» ripetè il professore «Sto aspettando».
Mathieu abbassò il viso, si alzò e si incamminò verso la cattedra. Suo padre si chinò e tirò fuori dal cassetto della cattedra un contenitore grande quanto una scatola di scarpe. Fece spostare Mathieu per metterlo frontale rispetto ai compagni e qualcuno ridacchiò per i suoi movimenti impacciati, chiaramente a disagio. Snow sorrise e cercò di scattare una foto con il cellulare. Quando finì, si concesse del tempo per studiare la scatola.
Sembrava metallica, opaca e verdastra, forse di rame, con motivi floreali sui lati e una piccola persona sdraiata sul coperchio. Non riusciva a vederne i dettagli, ma ebbe l’impressione che fosse molto bella, antica e ben fatta.
«Ora il vostro compagno vi dirà cos’è questo oggetto» disse Blanchard, prendendo posto sulla sua sedia «Mathieu» lo invitò.
Vuoi per il misterioso oggetto, vuoi per Mathieu, finalmente il professor Blanchard aveva raccolto l’attenzione di tutti e il silenzio era calato come una pesante coperta.
«È un L’ra’Cyh’t» rispose Mathieu.
«L’ra’Cyh’t» ripetè Blanchard con un sorriso, a voce alta «Per chi non udisse al di sotto dei due decibel».
La classe sobbollì in tante piccole risatine e Mathieu assottigliò lo sguardo, rosso in viso.
«E che cos’è?» chiese ancora il professore.
«È un vecchio monetarium».
«Benissimo. Al posto, grazie».
Mathieu tornò al banco trascinando a terra i piedi, con la coda tra le gambe. Quando si sedette strinse la matita con forza: Snow la vide vibrare tra le sue dita e temette di vederla spezzarsi, ma non disse nulla.
«Lo ha fatto apposta» disse Mathieu «Ecco perché non volevo nemmeno che si sapesse a scuola, che è mio padre. Lo ha fatto apposta, perché parlavamo. Hai visto, no? Poi non dovrei odiarlo. Cosa c’hai da guardare, eh?»
Melody Mallory, che li stava fissando, si voltò di scatto e diede loro le spalle. Snow rimase in silenzio.
«I monetarium non sono sempre esistiti, come già saprete» disse Blanchard, sistemandosi i lunghi capelli biondi dietro le orecchie «Ma sono stati inventati in epoca classica. Per questo hanno il nome latinante e non in lingua Cyh’t, come invece i nomi ‘Si’v’, ‘Siv’ne’, e gli altri».
Snow sbadigliò e strofinò un dito sull’occhio.
«Questo» continuò Blanchard «Perché solo sotto l’impero romano l’uomo scoprì come imbrigliare il Myst e comprimerlo al punto da creare gli anelli che portate al collo. Prima di allora non si conosceva oggetto inanimato in grado di sostenere l’energia sprigionata da una moneta durante il suo utilizzo e negli attimi precedenti e successivi. Ferro, oro, argento, pietra: si disgregavano tutti. Così, ogni Cyh’t portava con sé questa scatola dovunque andasse e dentro vi riponeva le sue monete, che all’occasione tirava fuori e utilizzava tenendole in mano. Era come i vostri portafogli».
Qualcuno borbottò ai primi banchi.
«Esattamente» continuò Blanchard «Non era molto comodo, ma era l’unico modo. Non si sa chi abbia inventato il L’ra’Cyht, ma si sa che veniva generato con il Si’v della Costruzione, e si pensa che sia stata questa stessa entità a donarlo per la prima volta agli uomini» Blanchard si alzò dalla sedia e sollevò il contenitore, che tenne tra le braccia come un bambino «Ora: di solito sui L’ra’Cyh’t venivano incisi o scolpiti i Si’v della prima moneta acquisita dal Cyh’t, i Primi, e qui abbiamo una splendida riproduzione del Si’v della Nebbia…Ma quello che interessa a noi è altro, ovvero: come si aprono questi scrigni?»
«Li si fa sbadigliare con queste cavolate» mormorò Mathieu, con il mento sul palmo della mano.
Snow sorrise e gli diede un buffetto sulla gamba.
«È un’operazione semplice: si premono testa e petto, contemporaneamente, così, vedete? Questo perché mente e cuore sono ciò che serve per eccellere come Cyh’t: è una visione un po’ romantica, ma cosa ci vogliamo fare» sorrise Blanchard.
Lo scrigno si aprì con lo sferragliare di più serrature, tra le braccia del professore. Blanchard scostò la testa altrove, poi poggiò il L’ra’Cyh’t sul primo banco e lo lasciò tra le mani degli studenti. L’attenzione si spostò da lui alla reliquia, e nessuno ascoltò più le sue spiegazioni e i cenni storici che elencò senza trasporto.
«Adesso ci cago dentro e poi glielo riporto» sibilò Mathieu, ancora stizzito.
«Sei il solito scemo…» rispose Snow, riprendendo a disegnare «Prima ti ho fatto una foto, facevi ridere».
Il telefono del francese vibrò.
«Esco un attimo» rispose quello, alzandosi.
«Tutto ok?»
«Ciao».



Beta-reader (e amica): Ely79.date un occhio al suo profilo, perchè ne vale la pena. E' tempo ben speso!! Qui c'è il link ( click )

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Capitolo 11
*** 11 ***


|| Sarò breve: carico questa decina scarsa di pagine per farvi capire che sono ancora in vita e ancora in fase attiva. A dire il vero queste pagine le avevo scritte mesi fa - e ricorrette solo ora -, quindi non è che valga davvero tantissimo, tuttavia ci tengo a farvi sapere che sono in una fase creativa esplosiva che mi ha portato a buttar giù una cinquantina di pagine nuove. Le suddette le correggerò solo quando questo fiume in piena si calmerà un po' (non sia mai che cominciare a correggere mi blocchi tutto l'entusiasmo per il resto), quindi non posso darvi dei tempi precisi. Spero vi basti sapere che ci sono. Il mondo di Monetarium non è fermo, insomma...anzi!
Non è un periodo facile per me, quindi non siate esageratamente cattivi nei commenti: potrei rimanerci male (Fabio 1, Fabio 2 e Fabio 3, questo è per voi). Grazie a Ely79, betareader di questa storia e spalla forte alla quale appoggiarsi nelle lunghe giornate d'ufficio con superiori incompetenti.
Buona lettura!!




Un corvo lo stava fissando dal ramo basso di una betulla, gli occhi fluidi come petrolio. Alle sue spalle l’acqua sciacquettava placida, sulla riva del lago ai piedi del pendìo roccioso dietro l’Accademia.
Aveva provato a lanciargli un sasso più e più volte, ma l’animale aveva sbattuto le ali, gracchiato e non si era spostato dal suo scranno.
Snow si fissò i palmi senza bende, poi studiò con l’indice la macchia rossa che gli era rimasta impressa sul braccio dopo lo scontro con il Si’v del Cambiamento. Sospirò, si passò una mano tra i capelli e poggiò la schiena al tronco.
Una papera starnazzò forte e volò altrove, lontana. L’aria era fresca e umida, gradevole. Se chiudeva gli occhi poteva addirittura sognare di essere sulla riva del Serpentine, a Hyde Park, con i chiacchiericci lontani dei turisti nelle orecchie e la grande Londra tutta intorno.
In quei giorni non faceva che pensare all’Inghilterra: la situazione nel complesso lo infastidiva, eppure non riusciva a non godere di quella sensazione di calda malinconia che i ricordi risvegliavano in lui.
Sapeva che quel momento sarebbe giunto prima o poi, lo aspettava. Gli pendeva sulla nuca come la lama di una ghigliottina, fin dal primo giorno, e ora doveva solo prenderne atto, accettarlo. Gli mancava la sua casa.
Lanciò un sasso e l’acqua lo inghiottì con un tonfo. Il corvo gracchiò e volò via, incoraggiato da una folata di freddo vento autunnale. Snow incassò il petto tra le spalle e rabbrividì.
Il vento porta in giro i pensieri buoni, pensò, e spazza via quelli cattivi.
Aveva Mathieu e ora anche Denise, ma a volte sentiva che l’affetto di due sole persone non era abbastanza rumoroso e avvolgente da farlo sentire appagato. Chissà, piuttosto, come stavano i suoi vecchi amici in città.
Forse avrebbe dovuto frequentare l’Accademia di Glasgow, in Scozia: con tutta probabilità non sarebbe neppure successo il disastro nella Prima Sala e tutto il resto, con Vil’yhak, il segreto di Mathieu, Emilien e l’Elmo di Ade. Forse c’entrava lui anche per quello.
Lo scricchiolio del fogliame alle sue spalle lo fece scattare come una molla, allarmato.
I due ragazzi si fissarono confusi, quindi Paolo gli diede le spalle e scappò nella foresta.
Lefevbre. Ancora.
Qualcosa si innescò nella testa di Snow, una scossa che gli fece vibrare i muscoli, e senza neppure rendersene conto era già all’inseguimento di Paolo a grandi falcate. Un piede slittò sulla fanghiglia e mise alla prova il suo equilibrio. Vacillò, ma non cadde. Lefevbre correva zigzagando tra gli alberi, saltò la radice di un salice e si scontrò con il ramo di un arbusto, spezzandolo. Gli aghi di un pino schiaffeggiarono Snow e gli graffiarono il viso. Si coprì la faccia con le mani e tossì senza mai smettere di correre. Le piante, nei suoi occhi, si fusero come in un paesaggio acquerellato e poi lasciato sotto la pioggia.
 Raggiunse il suo limite più rapidamente di quanto credesse possibile, e ben presto dovette fare i conti con i polmoni e la milza, come lacerati da strappi. Ansimava rumoroso e spossato.
Paolo perse l’equilibrio, e questo permise a Snow di incenerire le distanze. Quando acciuffò un lembo del suo vestito lo tirò forte, rabbioso. Paolo si accartocciò gettandosi a terra, così Snow gli artigliò il braccio e rovinò con lui, sbuffando l’aria che aveva in corpo e rotolando nell’erba umida. Un lampo illuminò la terra.
Paolo inforcò gli occhiali sporchi sul naso, un’astina sbilenca, e Snow gli stritolò una spalla annaspando agitato. Prima che quello potesse rialzarsi e scappare, lo strattonò, lo costrinse a voltarsi e lo schiacciò sul terreno. La resistenza di Lefevbre si rivelò debole, malaticcia: fatta esclusione per un calcio che lo colpi forte al polpaccio, Snow non ebbe problemi a dominarlo. Una volta calmi e immobili, Snow ansimò, sudato.
In quell’attimo di pace i primi pensieri tornarono a rimbalzare nel cranio, e con essi la vergogna e la paura per il gesto violento che aveva appena commesso e nel quale non riuscì a riconoscersi. Tempo fa tutto ciò non sarebbe successo.
Se solo lo avesse visto Mathieu…
«Perché continui a seguirmi,» chiese senza punto di domanda.
Snow senti i muscoli affusolati di Lefevbre contrarsi sotto il suo corpo, invano, e i quattro Siv’ne adagiati sul suo petto tintinnare.
«È inutile» gli disse premendo più forte sulle sue spalle, poi deglutì «Tanto non mi toglierò da qui fino a quando non parlerai».
Una goccia di sudore gli colò dal naso dritto e picchiettò la fronte di Lefevbre, che per lunghi istanti rimase muto. Nei suoi occhi Snow vide una tranquillità che non potè che trovare fuori luogo e a modo suo inquietante.
«Non ho niente da dirti» rispose, guardandolo da dietro le lenti impiastricciate di terra.
Aveva una voce inadatta al suo aspetto fisico: dura, calda, da adulto, con una cadenza italiana quasi impalpabile.
«Sono libero di fare quello che voglio» aggiunse Lefevbre.
Snow rimase in silenzio a pensare.
Sospirò e si chiese sinceramente cosa stesse facendo. Questa storia era assurda sotto ogni punto di vista.
Allentò la presa e lo lasciò sistemare a terra, più comodo ma sempre al di sotto del suo corpo.
«Te lo chiedo per favore» gli disse.
Lefevbre sfilò la mano destra da sotto la gamba di Snow e la alzò lentamente, afferrò con cautela i tre Siv’ne di Snow e li guardò.
«Il Sogno» disse.
Snow annuì.
Vide Paolo stringere nel palmo le tre monete, prima con poca convinzione e poi sempre più forte, lo sguardo concentrato.
Snow cominciò ad agitarsi.
Un ticchettìo meccanico lo fece sobbalzare: un rumore artificiale, come di ingranaggio che si innesta, e del quale non intuì la provenienza. Sembrava essere vicino e allo stesso tempo lontano. Il suo primo pensiero andò ai Siv’ku, e solo il secondo a Paolo, al quale strappò di mano le monete.
«Hai sentito?» gli chiese.
Paolo guardò prima a destra e poi a sinistra, apatico, senza mai rispondere.
Snow si prese in una mano i Siv’ne e li strinse forte. Forse era solo suggestionato, e per questo stava esagerando. Dare la colpa a Paolo era assurdo: cosa mai avrebbe potuto fare sotto ai suoi occhi, a quegli stessi Siv’ne sui quali non trovava nulla di diverso?
Era solo un ticchettìo. Roccia contro roccia. Il verso di un uccello raro.
«Non ti sto spiando» disse Paolo «O almeno, non spio solo te. Sto facendo un’indagine, chiamiamola così».
Snow lo fissò.
«Di’ a Emilien che ha rotto. Sta esagerando».
Lefevbre scosse la testa.
«Non c’entra Emilien, e anzi, se vuoi un consiglio, non prenderei la faccenda sotto gamba. Gli stupidi e i cattivi tornano sempre indietro e lui, se posso permettermi, in questo caso sembra un vero boomerang. Non penso neppure sia realmente arrabbiato con voi. Magari si è dimenticato perfino il motivo per il quale dovrebbe odiarvi, anche perché se se lo ricordasse dubito sarebbe ancora al vostro inseguimento, ma si sa: l’orgoglio è la forza dei pazzi».
Snow lo fissò in silenzio. Aveva un che di ipnotico, di evanescente e incomprensibile. Gli sembrava parlasse in maniera confusa, eppure sempre con cognizione di causa. Chissà cosa sapeva di ciò che era successo con Emilien.
«Mi dispiace che ti sia sentito disturbato» continuò Paolo, invitandolo con una mano a scostarsi «Cerco solo di fare chiarezza su ciò che ti è accaduto nella Prima Sala, per capire se ci siano sotto dei motivi che vadano aldilà di ciò che suggerisce il folklore: la storia della sfortuna, e tutto il resto. È successa la stessa cosa a mio fratello quest’anno, a Pompei».
Snow si scostò e rimase in ginocchio lì di fianco, i muscoli e la mente deboli, svuotati. Nulla gli dava da pensare che Lefevbre stesse mentendo, eppure non riusciva ad essere totalmente convinto della sua versione dei fatti. Pareva tutto artefatto, cinematografico. O forse era semplicemente lui ad essere esageratamente diffidente, stressato. Mentre Paolo stiracchiava gli arti, Snow sollevò lo sguardo al cielo, dove una coltre di nuvole nere appesantiva il cielo oltre le fronde caduche.  
«Giura» gli disse, come potesse cambiare qualcosa.
Paolo annui.
«Giuro» rispose.
«Non potevi dirmelo?»
Paolo scrollò le spalle, quindi si sfilò gli occhiali dal viso e ne strofinò le lenti con il tessuto della tunica che aveva indosso.
A conti fatti forse avrebbe dovuto addirittura scusarsi con lui per i modi bruschi che aveva adottato. Rimase così con le labbra schiuse per un istante, prima di guardare altrove e deglutire.
Forse l’averlo perdonato per i pedinamenti insistenti era già stato abbastanza. In fondo neppure Paolo si era comportato in maniera pulita.
Lefevbre si alzò lentamente da terra, come una volpe ferita, mentre le prime gocce di pioggia cominciavano a punteggiare la foresta e le loro teste.
I profumi antichi e profondi della terra avvolsero Snow, che si passò una mano tra i capelli e sospirò abbattuto.
Pensò al rumore che aveva sentito, al comportamento di Lefevbre, a quello che gli era stato detto e al fatto che si fosse comportato come una bestia. Forse era davvero arrivato il momento di staccare la spina per un po’, di riprendere le energie lontano dallo studio, dalla presenza negativa di Adrien in casa e da tutti gli altri problemi.
Chiuse gli occhi e respirò piano. Accanto a lui, Paolo Lefevbre si allontanò tra gli alberi.
 
*
 
Il fiume Ardeche balzava nel lago in una fontana di spruzzi spumosi, e il Myst dorato che galleggiava nell’aria conferiva alla cascata un aspetto monumentale e fiabesco. Lo scroscio delle acque faceva tremare il terreno e donava sensazioni diametralmente opposte alla piacevole frescura del vapore che, teneramente, carezzava la pelle. Su una roccia velata di muschio argentato un colombo lo osservava attento. Quando Paolo alzò la mano nella sua direzione, quello attese un secondo e spiccò il volo verso il cielo plumbeo, oltre la sommità del dirupo della cascata, che sporgeva come il naso di un viso incartapecorito.
Un'ombra si mosse sotto lo specchio d’acqua, azzurro come una polla di vernice. Paolo, impassibile, la osservò strisciare e increspare la superficie. Portò una mano vicina all’orecchio destro e pigiò bene un dito al suo interno, poi ripetè col sinistro.
La testa di una Sy'ren emerse dall'acqua, la chioma di alghe brune galleggiante e aperta come un ventaglio. Paolo potè solo immaginare lo sciacquettìo del lago mentre ne carezzava le spalle bronzee e il collo lungo, sul quale si aprivano coppie branchie dorate. Il ragazzo la contemplò in silenzio: era di una bellezza disarmante, con profondi occhi bianchi che come nei Modigliani sembravano celare indicibili segreti. La sottile linea delle labbra si distese in un sorriso e si schiuse come la corolla di un fiore.
Mentre la Sy’ren recitava un carme di bisbigli, fece emergere una mano affusolata e con quella invitò Paolo a entrare nel lago. Le dita si mossero nell’aria lentamente, sature di carica erotica.
«Vai via» le ordinò Paolo.
La creatura interruppe il canto, corrugò la fronte e sibilò come un gatto. Le branchie squamose sul suo collo frusciarono e sbatacchiarono sulla pelle umana.
«Sparisci» ripetè.
Il viso della Sy’ren si plasmò in una smorfia di odio e la bocca si aprì mostrando file di denti dritti come lance. Mascella e mandibola schioccarono veloci mentre la pelle del mostro s’accendeva di un rosso intenso.
Paolo fece per scacciarla con la mano, ma quella strillò e rimase immobile nell’acqua. Dietro di lei, una grossa coda di pesce emerse dalla superficie e vi sbattè sollevando pesanti spruzzi. Fu una guerra di sguardi che si concluse quando il Siv’ku, senza armi con cui combattere, si immerse nell’acqua e sparì nelle profondità del lago.
Paolo si sistemò gli occhiali sul naso e si avvicinò alla riva. Per sicurezza non si sfilò neppure i tappi dalle orecchie, ma anzi li assicurò all’interno del timpano premendoli con l’indice.
«C’duha»  recitò pacato, senza inflessioni, con gli occhi sulla cascata.
L'acqua gorgogliò e sobbollì ad appena un passo dalla sua posizione, in quel punto affiorò una lastra di granito attorno alla quale si addensarono le pagliuzze del Myst. Paolo poggiò la punta della scarpa per verificarne la stabilità, quindi vi salì, e quando entrambi i piedi furono fermi una seconda piattaforma emerse e gli segnò il cammino. Seppure non potesse vederle, Paolo era certo che da qualche parte nell’acqua del lago le Sy’ren lo stavano osservando, forse intimorite dall’energia del Si’v della Roccia che aveva richiamato.
Ogni passo verso la cascata metteva alla prova il suo equilibrio: si sentiva tremare fin dentro le ossa, i vestiti infradiciati prima dal vapore e poi dagli schizzi. Si fermò ad appena tre metri dal muro d’acqua, e si specchiò in quel verde smeraldo.
«Fuu’t» disse.
Il Myst davanti a lui sciamò placido e uno dei quattro Siv’ne al collo si illuminò d’oro. L’energia magica si compattò e divenne al suo centro troppo luminosa da poter essere osservata: da quel globo si distesero liane che si aggrovigliarono e plasmarono, generando prima forme astratte e poi sempre più antropomorfe. Quando il bagliore si diradò, rimase il Si’v del Legno ad osservarlo con sguardo pacato, il volto come una mappa intricata di grinze e rughe, proprio come la corteccia del suo elemento. Il vecchio ciondolava al ritmo delle acque, in piedi su quelle e avvolto da un tenue bagliore spettrale. Il suo aspetto druidico era corredato da un’ampia maschera di agrifogli senza bacche tutt’attorno agli occhi. I capelli, pochi, erano concentrati sulla nuca, bianchissimi come quelli di tutti gli altri Si’v. Al posto di braccia e mani, tentacoli di radici danzavano nell’aria.
Lefevbre lo osservò in silenzio e gli sorrise; lui, lentissimo, gli diede le spalle e camminò sul lago. Sotto la superficie, un’ombra parve allontanarsi con uno scatto.
Il Si'v del Legno venne inghiottito dalle acque roboanti della cascata. Banchi di funi e rami nuotarono, si annodarono e rinverdirono, prima dritti e poi ad arco. I rami spezzati dall’acqua furono spinti in profondità e riaffiorarono a metri di distanza, su letti di foglie falciate prima ancora d’esser maturate del tutto. Lefevbre passò invano una mano sulle lenti degli occhiali completamente bagnate.
Quanfdo la volta di legno fu completa e il flusso della cascata deviato, il Si’v sbiadì in una brezza dorata.
Non vi era nessuna grotta oltre le acque, nessuna apertura segreta o nascondiglio di sorta: solo pietra viscida di alghe brune.
Una piattaforma di granito si sollevò dall’acqua ad un passo dalla posizione di Paolo e lo invitò a proseguire.
Ai piedi del dirupo poggiò una mano su una pietra e si sporse, i piedi ben saldi sul granito. Il sasso marchiato con il simbolo ‘₵’ fu difficile da trovare: non aveva considerato che l’acqua avrebbe cancellato le tracce del segno, di cui era rimasta solo una traccia sbiadita, ma poco importava, perché da lì a breve avrebbe cambiato nascondiglio. Spostò la pietra e infilò il braccio nel buco profondo che quella celava.
Quando lo estrasse, attento a non farlo strisciare contro le strette pareti di roccia, l’Elmo di Ade riflettè la luce del Myst e brillò come fosse vivo. Era lì ad attenderlo dove lo aveva lasciato, ed era bellissimo.

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Capitolo 12
*** 12 ***


|| Scusate la (lunga) assenza. O forse dico 'scusa' più a me che agli altri. La fine di una relazione, o meglio, DELLA relazione, ha trascinato con sè, come conseguenza, anche la fine del mio rapporto con la scrittura. Ora, a distanza di poco più di due anni, più tranquillo seppur non del tutto 'guarito', torno tuttavia a scrivere. Qui sotto, così, vi è parte del risultato, forse non editato con la cura necessaria, ma comunque frutto di qualcosa di buono. Spero vi piaccia. Un abbraccio forte a tutti, I.




Hermeline Chevalier non stava ferma un momento. Era qualcosa di ben radicato nel suo DNA, una tentazione troppo forte alla quale proprio non riusciva a resistere.
A ciclo continuo, così, lanciava polvere di zaffiro sulla lavagna d’alabastro, per farvi comparire le parole, osservava il tutto per un paio di secondi, mollava le frasi a metà, le riprendeva, andava verso la cattedra, un grosso blocco grezzo di opale di fuoco, tornava alla lavagna con appena due falcate, fissava il vuoto, parlava. Parlava davvero molto.
Durante le sue lezioni, di base, Hermeline sembrava dunque muoversi senza un reale progetto di vita concreto. Come se ciò non bastasse, la costante frenesia che le intasava le articolazioni, il tic alle labbra che la costringeva a smorfie carnevalesce, il viso appuntito e scurito dal sole e gli occhialetti tondi sempre a ridosso della punta del naso, la rendevano un personaggio ancor più singolare, un vero fenomeno da baraccone agli occhi astuti degli studenti.
La buona Hermeline Chevalier, dodici anni a tic per un totale di settantadue, così, veniva chiamata da tutti ‘Hermine’, ‘ermellino’: un nome che le calzava talmente a pennello che lei stessa si era ritrovata a utilizzarlo più volte, presentandosi ai nuovi colleghi e alle classi.
Nel ventaglio delle sue qualità, Hermine poteva vantare l’abilità di non riuscire a finire mai un discorso, così, più spesso di quanto uno studente dedito agli appunti non desidererebbe, si ritrovava a terminare discorsi sulle acquemarine con aneddoti sugli eliotropi, i diaspri o addirittura, con collegamenti più sfilacciati sulle nere ossidiane.
«La vedete, questa?» disse stringendo tra due dita ossute una riolite non più dissimile da un sasso di un qualunque altro sasso «So che state facendo l’esperimento, ma occhi a me, per favore. Occhi a me! Ragazzi! Ok, non importa, la metto qui. Ne parleremo più tardi. Ragazzi, insomma! Dicevamo che le onici possono essere di più qualità…»
«Dieci euro che non arriva alla fine della lezione con la stessa faccia che ha adesso» disse Mathieu frugando nella tasca senza trovare nulla «Le si sta già squagliando il cerone. Vedi? Si vede già il porro sul mento. Che poi qualcuno mi spieghi come fa quella lì a insegnare: sarà pure una luminare della Gemmologia, ma ha l’autorità di una noce e la dialettica di Forrest Gump. Zero percento di leadership».
«Lasciala in pace, poverina. È così gentile…» si intromise Denise «E poi potresti aiutarci qui, invece di dire idiozie» aggiunse porgendogli il libro di testo «Cosa ne pensi? Dimmi quanta ce ne vuole, dai».
Attorno a loro, gli schiamazzi degli studenti, seduti attorno ai banchi di lavoro in gruppi sparsi e assolutamente non omogenei. Hermine proseguiva noncurante la sua lezione, mentre Denise, con le orecchie un po’ ovunque ma gli occhi sugli strumenti da lavoro, giocherellava con un paio di pinze da medico.
«Non potremmo semplicemente copiare quello che fanno gli altri?» propose Snow sbirciando dovunque e da nessuna parte.
Preso il cellulare in mano, scattò di sfuggita una foto alla professoressa mentre, nel suo mondo, lanciava la polvere azzurra sulla lavagna.
«Oggi mi sento davvero stanco» sbuffò sconfortato e poggiò la fronte sul banco di raffinata lepidolite rosa.
«Sta roba non dovrebbe calmare gli animi?» aggiunse borbottando con le labbra vicine al minerale del loro banco di lavoro «A me sembra solo mi stia asciugando dentro».
«Se fosse vero che le pietre hanno effetti così immediati sugli uomini» rispose Mathieu con gli occhi sul libro di Gemmologia, interrompendosi solo per abbandonarsi a uno sbadiglio rumoroso «Penso non uscirebbe nessuno da quest’aula con un briciolo di sale in zucca. E poi la lepidolite rosa non penso neppure aiuti per la stanchezza».
Effettivamente, pensò Snow, non aveva tutti i torti: l’aula di Gemmologia era un cimitero degli elefanti di minerali d’ogni natura, ora accostati in casuali mosaici eleganti, ora assemblati dalla stessa madre terra in agglomerati senza alcun valore artistico. La stessa mobilia era ricavata in monoliti rosa e verdi, brillanti e opachi. Si diceva che, nei giorni immediatamente successivi alla lucidatura delle pietre – che avveniva sempre durante le festività -, facendo luce anche solo con un accendino ne si poteva vedere la fiamma riflessa milioni di volte, pressochè ovunque.
«Sono l’unica che abbia voglia lavorare, qui?» bofonchiò Denise, sollevando con le pinzette una scheggia di howlite bianca e poggiandola con cura su un vetrino. Aveva il labbro inferiore per metà nascosto nella bocca, mangiucchiato dagli incisivi per la concentrazione.
«Sì» rispose Mathieu sfogliando il libro.
«Sì» fece eco Snow, con la fronte incollata al banco.
Denise scosse la testa in silenzio.
«E ora cosa faccio?» chiese.
Mathieu leggiucchiò saltando da una riga all’altra.
«Almeno sei sulla pagina giusta?» ridacchiò Snow senza neppure alzare la testa, ma anzi grattandosi pigramente la nuca.
Mathieu sospirò «Prendere una tormalina nera e immergerla nello…»
Silenzio.
«…Nello?» chiese Snow alzando il viso sciupato dal sonno.
«Oh merda. Oh. Questa roba è da malati. Dobbiamo farla?» Mathieu arricciò il naso e si guardò attorno. Al banco accanto al loro, Jasmine scoppiò a ridere e qualcuno urlò “che schifo!”.
«Leggo: immergere la tormalina nello sperma di un bovino adulto per cinque minuti esatti».
A Snow per poco non cadde la mandibola. Arricciò il naso, si sporse, sfilò il libro a Mathieu, lesse e glielo ripassò in silenzio, un attimo dopo, scuotendo la testa. Hermine cercava inutilmente di calmare gli animi, mentre le risate di Jasmine stavano trascinando rovinosamente anche gli altri studenti, a manciate.
Un bicchierino cadde a terra e si infranse. David Cromelle urlò “Le scarpe!” e scappò dall’aula. Hermine urlò e tutti risero.
Denise ridacchiò appena.
Mathieu sollevò l’unico bicchierino di vetro sul tavolo e lo agitò per far traballare il liquido bianco al suo interno.
«Secondo voi è davvero sperma?» disse.
«Non è troppo fluido?» chiese Denise.
Silenzio e sguardi sbigottiti.
«Cos’è, non posso dire la mia?» aggiunse subito dopo.
«Saponetta che parla di spermatozoi con questa certezza empirica, fa un sacco ridere» disse Mathieu tra qualche risata.
«Secondo me è latte» si intromise Snow, ora meno annoiato e stanco.
«Nel dubbio, volete assaggiarlo?»
«Mathieu finiscila, sei disgustoso» Denise gli tolse di mano il contenitore, svitò il tappo e con l’aiuto della pinzetta vi immerse la tormalina, adagiandola sul fondo. Snow arricciò il naso; era un’impressione o ne sentiva l’odore nauseante? Prese il cronometro e lo fece parti.
«Cinque minuti esatti. Non un secondo di più. C’è scritto qui» disse Mathieu, per poi allontanare appena il libro aperto.
«Ma secondo voi chi ha inventato queste cose?» Snow si sollevò le maniche della camicia a fiori e sbadigliò «Insomma, qualcuno un giorno si è svegliato e ha detto “immergiamo per cinque minuti una tormalina nello sperma di un toro”, giusto? Cioè, non è normale. Non credo abbiano trovato un antico reperto a proposito di questa roba. La stele di Rosetta dello sperma».
«La stele di che?»
«Rosetta. Era una tipa. Credo».
«Ah ok. Comunque no, non è normale. Decisamente no».
«I miei capelli! PAZZO!» i voluminosi boccoli di Alisandre si mossero scaruffati seguendo gli scossoni della testa della ragazza, che scoppiò in lacrime tra le risate di pochi ragazzi, intorno a lei.
«Michael, fuori dall’aula!» cercò di imporsi Hermine, senza risultati, prima di avvicinarsi ad Alisandre per consolarla e aiutarla a pulirsi, tra le risate e le urla degli altri.
«Schifosi…» bofonchiò Denise.
«Che poi cosa ce ne facciamo di ‘sti cosi?» si intromise Snow, poggiando il cronometro e scuotendo il sacchettino di velluto blu che, passo passo, stavano riempiendo durante la lezione «Voglio andare a dormire» concluse.
«Sei un po’ nervosetto, Snow?» domandò Denise, distratta dal caos che li circondava.
«Bè, fai tu» si intromise Mathieu «Ha inseguito e gonfiato di botte Lefevbre, nel bosco. Anche io sarei stanco. Un gancio, così, poi un destro, così. Pam! Pom! Inghilterra uno, Italia zero, come da pronostico. Sul podio per la medaglia d’oro, s’il vous plait. Gli autografi e le donnine più tardi».
«Certo che sei proprio scemo» interruppe Snow, scambiando il sacchettino con il cronometro, che sbirciò «L’ho solo buttato a terra».
«L’ho solo buttato a terra» gli fece il verso l’amico «L’angelo della morte, altroché! Non ti facevo così pericoloso: un autentico uomo-cobra».
«Smettila».
«Non la ssssssmetto».
«Cretino!» Snow si sporse verso l’altro lato del tavolo e tirò un pugno sulla spalla di Mathieu, che si accartocciò, gemette appena e cominciò a ridacchiare.
«Voi due!» squittì Hermine.
«Shhht!» fece Denise, tornando con gli strumenti in mano.
«Blanchard, Foster, basta, per cortesia!»
La Chevalier li guardò da dietro gli occhiali tondi, poi, come se nulla fosse mai accaduto, tornò a parlare dell’importanza del velluto ‘blu di prussia’ per realizzare i sacchettini magici che tutti stavano cercando di comporre da più di due ore.
«Insomma, alla fine tu gli credi» disse tranquilla Denise, passandosi una mano tra i capelli corti «A Paolo, dico. Credi a quello che ti ha detto».
«Controlla il timer» aggiunse poi.
«Perché non dovrei? Credere a Paolo. Mancano due minuti».
«Bè, se posso» si intromise Mathieu.
«Non puoi».
«Per cominciare» continuò «Non ha esattamente la faccia raccomandabile, con tutti quei brufoli antiestetici: sembra una pizza con gli occhi».
«Vi prego ditemi che non fa sul serio» sospirò Denise.
«Ahimè ho paura di sì» disse Snow.
«Fatemi finire. Poi c’è quella faccenda del rumore strano che hai sentito, no? E anche il fatto che abbia già quattro Siv’ne. Insomma: quando mai si è sentito che uno prenda quattro monete in due mesi? Tre monete. Tre mesi. Insomma, quelli che sono. Quel tipo puzza, ve lo dico io. Fidatevi del mio fiuto infallibile, sono un cane da bugiardi».
«Il rumore strano non c’entra: l’ha detto anche Snow che non ha notato nulla di anomalo».
Snow annuì e guardò Paolo, di spalle e immobile, nell’unico gruppo della classe davvero intento a fare un buon lavoro.
«Secondo me è sincero» disse Snow tornando con lo sguardo un po’ sugli amici e un po’ sul cronometro «E ho passato al setaccio le mie monete: niente di niente. Tutto come prima. Insomma, le ha toccate, ma non è mai morto nessuno, no? Era un ticchettìo strano, è vero, ma cosa potrebbe aver mai fatto? Non mi viene in mente davvero nulla».
«Sarà, ma poi non dite che non vi avevo avvisati» bofonciò Mathieu massaggiandosi il punto colpito prima dal pugno di Snow.
«Ma se ti basi sui brufoli, che credibilità vuoi avere?»
«Comunque sono ufficialmente in camera con uno stalker» disse Denise «Certo, aveva dimostrato di essere particolarmente difficile, ma non credevo fosse così strano. Insomma, pedinarti nel bosco…».
«Forse era lì per caso» rispose Snow «O forse sta davvero cercando di capire cosa è successo nella Prima Sala. In fondo non se n’è saputo più nulla. Chissà se se ne stanno occupando ancora…» sospirò appena «Ad ogni modo ti assicuro che stare in camera con il cinese non è meglio: quelle poche volte che lo vediamo sa come farsi sentire. Ci discuto sempre».
«Come mai?»
Snow non rispose, anzi, trasalì appena percettibilmente.
Denise lo osservò stranita, in silenzio. Hermine aveva smesso di parlare e si era messa a scrivere sul registro. Anche gli altri sembravano essersi calmati.
«In pratica Snow non sopporta che il cinese ti chiami ‘gamma’» sciorinò con noncuranza Mathieu «E per questo, per poco non lo spaccava in due come un cocco, qualche sera fa. Sai, mi viene da pensare che ci sia anche lo zampino della linguaccia di Adrien, se sentiamo ancora parlare della stizza di Emilien & Co. nei nostri confronti. Secondo me il cinese fomenta tutto il fomentabile; mi sfugge solo il motivo. Dev’essere malato».
Quando smise di parlare, Denise era già chiusa a riccio, con lo sguardo abbassato e il viso rabbuiato. La guardò senza capire.
Snow sospirò, guardò l’amico e fece roteare gli occhi, sconsolato. Con il pollice e l’indice della mano destra disegnò una ‘L’, che portò alla fronte. Loser. Sfigato.
Mathieu si fermò un attimo a pensare e lì si rese conto che, forse, aveva combinato un piccolo pasticcio.
«Non trovi anche tu che ormai Snow sia inarrestabile?» le disse forzando un sorriso «Ormai è un violento. Penso abbia la rabbia, perchè schiuma dalla bocca alla minima provocazione. Ormai ne ha per tutti, mi ha tirato un pugno anche prima! Potremmo farci dei soldi, venderlo al mercato nero, fargli fare le battaglie contro i Siv’ku nei bassifondi americani».
Snow sospirò rassegnato, ma Denise alzò il viso e stirò appena le labbra. Il sorriso divenne più ampio quando Mathieu cominciò a imitare, pur mantenedo un tono di voce accettabile, i ringhi di chissà quali bestie bavose, senza il minimo contegno.
«Sono passati quasi cinque minuti, passami il colino, dai» disse lei a lui, mettendo fine al pietoso spettacolino da clown.
Snow trasalì e strinse forte il cronometro.
«Tre, due, uno…» trattenne il fiato.
Sul fondo del bicchierino la tormalina s’animò d’una luce che le conferì sfumature azzurrate. Quella che sembrava fioca, in realtà si dimostrò poi essere una luce densa, quasi fluida, non appena la pietra venne estratta dal contenitore e messa in un colino sospeso su un piccolo piatto. A vederla così, viva ma coperta da un velo opaco, la gemma sembrava pervasa da un’energia più intensa del Myst, ma che lo ricordava per fascino e movimento, lento, quasi geologico.
La osservarono ancora per un po’, poi Denise la fece scivolare su un tovagliolo di carta.
«Ma poi cosa ce ne facciamo di questi sacchettacci blu?» chiese Snow «Cioè, ce li teniamo?»
«L’hai già chiesto, Foster» disse Mathieu.
«Ma nessuno mi ha risposto».
Qualcuno urlò di stupore, alla loro destra. Jasmine applaudì contenta alla riuscita dell’esperimento del suo gruppo.
«Non credo ce li faranno tenere» rispose Denise «Penso verranno dati all’Accademia. Cioè, quelli usciti bene, intendo. Gli altri penso li smantellino, anche perché, se ci pensi, in ognuno di questi sacchetti ci stanno facendo mettere la tsavorite, che vale una fortuna. Sarebbe come regalarci un anello d’oro senza alcun motivo».
«Questa roba vale come un anello d’oro? Questa micro-caccola?» Mathieu fece scivolare dal sacchetto di velluto, sul palmo, una gemma verde più piccola di una nocciolina, ma perfettamente levigata e ovale.
«Esatto» annuì Denise «Tsavorite. Una protezione realizzata con quella, non solo difende dalle energie negative, ma fa anche da repellente per i Siv’ku. Per intenderci: c’è un bel po’ di tsavorite seppellita intorno all’Accademia e ai dormitori. Non scherma al cento percento, ma è comunque un buon deterrente».
«Strano che non lo sapessi» aggiunse «In fondo tuo padre è professore qui in Accademia».
«In genere non mi interesso a queste cavolate new age» concluse Mathieu.
«Io lo trovo interessante, invece. A volte» aggiunse lei, che con una palettina raccolse i frammenti delle pietre che avevano a disposizione e le inserì accuratamente nel pacchettino di velluto blu di Prussia, al quale Snow annodò poi, pigramente e per sette volte, un laccetto di fili d’argento e canapa.
«Gemmologia a me piace molto, e mi riesce anche bene. In fondo è anche matematica» riprese a spiegare Denise «Tipo, alcuni rituali vanno effettuati solo in seguito a calcoli fisici e astronomici particolari, e…»
«Sto già dormendo, fermati. Così mi uccidi» Mathieu agitò una mano a mezz’aria «Ecco svelato il motivo per il quale non studierò mai Gemmologia».
«Zitti un secondo» li ammonì Snow indicando la professoressa Chevalier «Stranamente è interessante».
«Per l’Accademia è diverso, signorina Mallory» squittì Hermine, mentre con le dita tamburellava sul registro di classe e con la punta del piede picchiettava il pavimento scabro «Dei miseri sacchettini non sarebbero bastati a proteggerla. Ci sono veri e propri monoliti sparsi nell’edificio e nascosti agli occhi, i cui effetti, combinati, ci assicurano l’immunità da pericoli e ostilità. A chi dobbiamo tutto questo? Federico Gorzetti, architetto italiano cresciuto nelle corti di Parigi, da semplice umano. La Gemmologia fu l’unica pratica del mondo dei Cyh’t che non rinnegò, e decise di applicarla all’arte della costruzione, con risultati strabilianti: vi confesso che neppure io, a distanza di quasi quattrocento anni, saprei rifare dei calcoli accurati come quelli condotti dal Gorzetti. Un genio. Un vero genio. L’architetto più bravo mai esistito. Anche per questa accademia, all’apparenza così semplice, Gorzetti…»
«Dove sono i monoliti?» interruppe Nikki, l’amica di Mallory, quella dai capelli rosso sangue e la personalità assente.
Hermine si illuminò a tal punto che l’orripilanza del suo trucco sbavato riuscì a passare in secondo piano per qualche istante. Stava aspettando quella domanda, così come, in fondo, un qualunque altro accenno di interesse.
Si sistemò gli occhialetti tondi sul naso e si alzò di fretta dalla cattedra, quasi ronzando come un insetto.
«Tsavorite dove sorge il Sole, simpsonite dove la sua luce non arriva, childrenite nel cielo, tra i venti e le nubi, boracite al centro, immersa nell’acqua, ma tra le rocce e la terra, a tenerle tra loro unite» sorrise appena «Sono gli appunti di Gorzetti. Dubito che qualcuno sappia ancora dove queste siano nascoste. Forse la Dottoressa Prinkett e pochi altri, chi lo sa. Come sapete la nostra Accademia è una creatura viva e in continuo mutamento, chissà quante stanze segrete ci saranno!»
Hermine e tutti gli altri rimasero in silenzio. Solo qualcuno stava ancora chiacchierando, sommessamente.
«Che strano sentire il silenzio in aula. Giubilo! Avanti, vediamo le vostre tormaline! Slacciate i sacchetti!»
 
***

L’occhio di Vyl’yhak, aggrovigliato in una matassa di nervi, si mosse al centro del corpo gelatinoso seguendo un’orbita con moto lento e costante. Quando emerse, l’iride si appiccicò lusinghiera alla persona che aveva di fronte, distante appena qualche passo.
Lo spazio era immerso in un buio fitto e viscoso. La bioluminescenza verde che lo stesso Siv’ku emanava permetteva a stento di intravedere i profili nudi delle pareti rocciose, e a Vyl’yhak questo generava un sincero stato di piacere, perchè per una volta non avrebbe dovuto sostenere il peso dello sguardo altrui.
Uno squarcio si aprì nel corpo melmoso col rumore di un risucchio e si modellò in qualcosa che ricordava vagamente un sorriso deforme, orribile.
«Chiedo umilmente perdono, ehk» gorgogliò il mostro «’Vyl’yhak devi portare a termine il compito in una settimana’ aveva detto, ‘Solo tu ci puoi riuscire’, ma ho provato e non è facile, ehk. È un compito molto complicato. Molto molto difficile. Davvero».
Le parole ritornarono a lui in un’eco che si perse poco dopo nelle tenebre.
«Ti ho sempre trattato con garbatezza, Vil’yhak, ma confesso che ti ritenevo più scaltro, come solo un vero braccio destro è in grado di essere. Pensavo che il fatto che fossi una creatura differente fosse un pregio, non una mancanza. A questo punto temo di averti sopravvalutato. Ma dimmi cosa devi ancora fare, avanti, non temere».
Braccio destro. Creatura differente.
L'eco glielo ripetè ancora due volte, per farglielo sentire bene. Il discorso in sé gli era sembrato duro, ma le singole parole usate bastavano a scaldarlo, così Vil’yhak gorgogliò e si mosse sul posto come minestrone rimestato in una pentola.
Una Garguille strillò nella profondità della terra, lontana. Quel posto ne era pieno, e a lui non piaceva l’idea. Il suo unico occhio sfarfallò, si tuffò nel corpo e ne riemerse.
«Ho avvicinato la piccola pietra nera alla grande pietra verde, come aveva detto, e quella si è spenta, come aveva detto, ehk. Allora l’ho allontanata, perché ‘Faremo tutto in una volta sola’, aveva detto, ‘Ma prima dobbiamo vedere se funziona, e preparare il terreno per quando sarà il momento giusto’, ehk. Così adesso le pietre nere sono nelle stanze delle grandi pietre, ma non tutte, perché ne manca una. Una pietra grande Vil’yhak proprio non la trova. Proprio no. Ho aperto anche il cancello nel passaggio segreto, che non è segreto per Vil’yhak, ma gli amici comunque non possono entrare. Forse serve un invito. Madame Prinkett può scrivere questo invito, forse, ehk».
Si sentì un sospiro leggero come un refolo di vento, o forse era proprio un refolo, perché Vil’yhak lo sentiva sulla sua pelle.
«Nessun invito, Vil’yhak. Non deve saperlo nessuno. Nessuno, va bene? I tuoi amici entreranno quando avrai finito con le pietre. Ora dimmi dove hai lasciato l’ultima nerolite».
«Non capisco, ehk».
«La pietra nera. Dove l’hai messa. Quella che devi accostare all’ultimo monolite, la pietra grande».
«Le custodisco in un posto segreto, ehk. ‘Nascondile’ aveva detto a Vil’yhak, e io le ho nascoste, ehk. Ho fatto male?».
Vil’yhak chinò la sua sommità superiore, nell’unico gesto di remissione che il suo corpo gli permetteva di adottare.
«No. Non hai fatto male, Vil’yhak. Hai fatto molto bene, ma dimmi che monolite manca».
«Non capisco, ehk».
«Quale pietra grande manca, dannazione!»
Vil’yhak vibrò con tutto il suo essere.
«Quella gialla è nel cielo,» mormorò «e questo povero Siv’ku non vola, ehk».
«Bè allora il povero Siv’ku dovrà imparare a farlo, o trovare altri mezzi, così avrà quello che gli è stato promesso e che gli spetterà di diritto. Ricordi?»
Vil’yhak era confuso: non sapeva se esser contento per l’idea della ricompensa o intimorito dal rimprovero. Esitò un istante per evitare di tradirsi con una reazione inappropriata, ma un sorriso si allargò involontariamente sul suo corpo, quasi a tagliarlo in due, mentre la testa tornava a sollevarsi fiera.
«Potrò diventare il padrone della Prima Sala, ehk? Davvero tutta?» azzardò.
Questa volta aveva sentito un sospiro, ne era certo.
«Sarai il padrone anche di tutta l’Accademia, Vil’yhak, se lo vorrai. In fondo te lo meriti: stai facendo un buon lavoro e sei un bravo essere. Stai facendo la cosa giusta, ma devi cercare di farla in fretta».
Erano davvero troppi complimenti da reggere: il Siv’ku si squagliò lentamente in una polla di muco che si allargò sul terreno scabro. Indugiò un’istante e cercò inizialmente di ricomporsi, ma poi traspirò del tutto e sparì nella roccia della grotta. Quando anche l’ultima goccia bioluminescente del suo corpo venne così assorbita, ovunque rimase solo il buio.

 

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