La città degli Dei

di SagaFrirry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I- Quella notte ***
Capitolo 2: *** II- La caduta ***
Capitolo 3: *** III- ruoli e classi ***
Capitolo 4: *** IV- Ritorno ***
Capitolo 5: *** V- Tempio ***
Capitolo 6: *** VI- Demoni ***
Capitolo 7: *** VII- Lilith ***
Capitolo 8: *** VIII- Principe ***
Capitolo 9: *** IX- Con gli occhi di Luciherus ***
Capitolo 10: *** X- La ricerca di Vereheveil ***
Capitolo 11: *** XI- Ricordi ***
Capitolo 12: *** XII- incontri ***
Capitolo 13: *** XIII- senza magia ***
Capitolo 14: *** XIV- L'ospitalità di Abramian ***
Capitolo 15: *** XV- L'equilibrio del passato ***
Capitolo 16: *** XVI- Prove e cambiamenti ***
Capitolo 17: *** XVII- Addio ***
Capitolo 18: *** XVIII- Nuovo Equilibrio ***
Capitolo 19: *** XIX- I signori dell'aria ed il principe del mondo ***
Capitolo 20: *** XX- Squartamento (NDA arancione per questo) ***
Capitolo 21: *** XXI- Il canto del demone ***
Capitolo 22: *** XXII- La rabbia dell'angelo ***
Capitolo 23: *** XXIII- Il figlio del peccato ***
Capitolo 24: *** XIV- Prigionia e risveglio ***
Capitolo 25: *** XXV- Urihel ***
Capitolo 26: *** XXVI- Creazione ***
Capitolo 27: *** XXVII- Riunire e dividere ***
Capitolo 28: *** XXVIII- Morte e Vita ***
Capitolo 29: *** XXIX- Eserciti ***
Capitolo 30: *** XXX- Canti divini ***
Capitolo 31: *** XXXI- Redenzione ***
Capitolo 32: *** XXXII- Ricominciare ***



Capitolo 1
*** I- Quella notte ***


I

 

QUELLA NOTTE

 

 

“Ti vedo più calmo del solito questa sera. Anzi… ti vedo tranquillo come mai prima d’ora!” disse il Dio del Tempo.

“Vaffanculo!” rispose il Dio del Kaos, seduto sul trono, con  voce roca ed altalenante.

Il Dio del Tempo sorrise e Kaos alzò lo sguardo. Tempo era alto, con i capelli che si arricciavano in verticale a formare il simbolo dell’infinito, quasi a voler ricordare in ogni momento la sua ciclicità e durata eterna. Quella notte, come sempre nella sua esistenza, la divinità dello scorrere delle ore stringeva un pendolo nella mano destra. Era color  rosso rubino ed oscillava, inevitabilmente e in qualunque posizione venisse posto, una volta al secondo.

Quella notte il Tempo passeggiava per il salone del Kaos, ignorando l’oscillare di quello che era uno dei suoi strumenti di lavoro, e faceva svolazzare per il pavimento la veste ampia a sfumature grigie.  Passeggiava canticchiando e sorridendo all’irritatissimo Dio del Kaos, che invece stava seduto su un seggio fatto di spuntoni e rientranze irregolari.

Kaos si sorreggeva la testa con la mano destra e seguiva con gli occhi quel maledetto pendolo che, in quel momento, avrebbe fatto tanto volentieri mangiare al suo proprietario.

Con la mano libera iniziò a giocare con l’altissimo colletto del mantello che faceva sì che il suo volto, indefinito, privo di tratti somatici, fosse quasi del tutto coperto. La sola caratteristica chiaramente riconoscibile sul viso del Kaos erano gli occhi, che quella notte ruotavano a destra e sinistra in modo inquietante.

Nervoso, iniziò a tamburellare sul bracciolo, producendo così l’unico suono in tutto il salone.

Nonostante fuori imperversasse una sorta di tempesta, con  tuoni, lampi e urla di vari Dèi controllori dei fenomeni atmosferici che litigavano tra loro, all’interno della dimora nera regnava il silenzio totale. Era una cosa molto rara. Il Tempo, forse intimorito da quell’insolito silenzio, fluttuava a mezz’aria per non disturbare.

Ta-tak.  Le unghie del Kaos si alzavano e si abbassavano dal bracciolo.

Ta-ta-tak.

Kaos fissava la confusione assoluta che regnava sovrana da sempre nel suo palazzo. Dall’alba dei giorni, primeggiava la mancanza di logica eppure, quella notte, il padrone di casa provava l’irrefrenabile desiderio di mettere in ordine. Fremeva al pensiero di ricomporre i vari oggetti distrutti e sparsi per il pavimento, o di ritrovare le cose dimenticate negli angoli e lasciate al buio a fare ragnatele. Al Kaos piaceva lanciare in giro ciò che gli capitava a tiro e questo rendeva il suo regno alquanto singolare. Inoltre detestava gli angoli retti e l’armonia perciò tutta la Sua architettura si basava su angoli assurdi, scale e pavimenti storti, divergenze cromatiche preoccupanti e forme prive di senso. Adorava il suo pavimento diagonale, le sue piastrelle tagliate a casaccio, i quadri in pendenza, le finestre rotte e gli oggetti sparsi ma, quella notte, aveva un irrefrenabile desiderio di mettere in ordine...

Iniziò a guardare in alto, per distrarsi. Seguiva le linee che attraversano tutto il soffitto, terminante a punta, decorato con tantissime forme geometriche impossibili formate dal loro incrocio.

Con il bel tempo da quella punta entrava uno spiraglio di luce. Il padrone di casa non amava molto i luoghi luminosi quindi le finestre erano oscurate da pensanti tende nere e quel piccolo spiraglio era l’unico punto da cui filtrava un lieve bagliore.

“Immagino sia la tua natura” riprese, ad un tratto,  il Dio del Tempo “Il Kaos, quando va tutto bene, è agitato e nervoso. Quando invece ha motivo di preoccuparsi, se ne sta tranquillo e mogio”.

Il Kaos fece un balzo sulla sedia non aspettandosi la voce del collega. Aprì la bocca e la richiuse.

“Mi vien voglia di mandarti di nuovo in quel posto” esclamò, infine.

Decise di alzarsi e si avvicinò al suo primogenito, il Dio della Paura e dei Sogni, che stava seduto sul pavimento ad occhi chiusi. Quel bambino stava sempre ad occhi chiusi, perché “solo ad occhi chiusi si realizzano i Sogni”.  E serrando le palpebre si affronta la Paura.

Il padre Kaos lo prese in braccio. Come sembrava piccolo quel bambino tra le braccia di quel Dio così alto e dai contorni così indefiniti!

Tutto il corpo del Disordine, composto da nebbia e fumo in continuo movimento e mutazione, si confondeva con i capelli che si agitavano e non lasciavano capire in che punto preciso finissero.

il bambino, soprattutto se messo accanto al padre, era chiaramente nato presentando molti tratti della madre, a partire dai capelli corvini ad esempio. Kaos, pur avendoli scuri, presentava molte sfumature tendenti al grigio. La voce del piccolo, inoltre, era rilassante ed ipnotica, molto diversa da quella cavernosa del genitore.

“Come vuoi che sia il tuo fratellino o sorellina in arrivo?” domandò il Disordine.

Suo figlio gli sorrise: “Come nei miei sogni, papà!”.

Il padre lo rimise sul pavimento dove il piccolo rientrò nel suo mondo fatto di illusioni e terrore, e tornò a sedersi. Aspettava... Aspettava che la porta che gli stava davanti, diagonale e con troppi fronzoli, si aprisse per far entrare o la Morte o la Vita a dirgli se il suo secondogenito era nato e che era andato tutto bene.

 

Gli Dèi dei palazzi confinanti iniziarono ad arrivare. Ognuno voleva sapere com’era fatto questo nuovo Dio o nuova Dea che si faceva attendere. Il Sole, un uomo dalle spalle larghe e le fiamme disegnate sul petto scoperto, stava sulla porta ad est. Al suo fianco, il figlio di pochi anni  con gli stessi tatuaggi appena accennati ed in via di definizione. Entrambi vestiti di rosso, con i capelli alti ed agitati come le fiamme, erano avvolti da una luce calda e luminosa che metteva in mostra strane ombre inquietanti lungo il pavimento del salone. La Dea della Notte osservava da fuori la finestra. Aveva spostato una tenda e sedeva sul balcone. La Speranza invece era grande e restava, a mani giunte, accanto al Kaos che la guardava piuttosto scocciato.

Ad un tratto la Vita aprì la porta e sorrise.

La Morte rimase in un angolo e incrociò le braccia: “Questa notte io non lavoro” disse con  voce profonda, proveniente dalle viscere della terra.

Nessuno era a conoscenza del vero aspetto di Morte. Era maschio o femmina? Di pelle chiara o scuro? Il suo volto poteva essere visto solo da coloro che erano ormai giunti alla fine del loro cammino d’esistenza.  Quella notte, con il cappuccio calcato sul capo, chinò la testa e abbandonò la scena sorridendo.

“Come sempre io e la Vita ci siamo sfidati nel nostro gioco di bianchi e di neri e stanotte ha vinto Lei. Gran bella partita. Congratulazioni per il secondo figlio, Kaos” parlò. E svanì.

Prima di ogni nascita, oppure in caso di ferite gravi e condizioni di indecisione tra Vita e Morte, le due divinità si sfidavano in un gioco simile agli scacchi. La partita poteva essere vista solamente dall’oggetto in discussione, il soggetto in bilico tra la possibilità di vivere e morire. Gli Dèi, sì, sono immortali, ma solo dopo la loro nascita. In caso di vittoria della Morte, il nuovo Dio non vedrà mai la luce e la Vita..ma quella notte aveva vinto la Vita!

Il Kaos si sentì di nuovo in vena di fare disordine.  La Vita, radiosa e stupenda, una tra le più belle tra le Dee, stringeva tra le braccia un fagottino bianco, da cui spuntava un ciuffo di capelli corvini.

“È maschio?” chiese il Kaos ansioso e felice.

“Non è nessuno dei due!!” esclamò la Vita, con entusiasmo, e continuò: “ È una cosa bellissima. Né maschio, né femmina…”.

“Cos’è?! Il Dio degli invertiti?!” gracchiò il Kaos, tornato alla sua solita personalità.

Il Tempo gli tirò uno scappellotto dietro la nuca.

“Sei un animale!!” urlò la Vita, probabilmente rivolta ad entrambe le divinità che stavano per azzuffarsi, cosa insolita per il Tempo ma del tutto normale per il Kaos.

“Che divinità diventerà?” domandò il Sole con voce calda e serena.

“Credo dell’Equilibrio” sussurrò la Guerra, rimasta appoggiata alla porta da dove era entrata la Vita. Il Kaos spalancò l’occhio sinistro lasciando il destro semichiuso, cosa che al Dio riusciva particolarmente bene, e guardò Guerra, la sua consorte.

“Tesoro mio, moglie mia” disse “Come può il figlio nostro, il figlio della Guerra e del Kaos, essere il Dio dell’ Equilibrio?”.

La Guerra alzò le spalle. La Dea, bella, bellissima, anche quella notte era incantevole nonostante quell’aria un po’ stravolta. Ma sempre e comunque con un carattere che solo il Kaos poteva sopportare..e amare.

Il Kaos guardò il bambino. Era qualcosa di indefinito, che emanava luce e buio, gioia e timore.

Il piccino lo guardò, con due splendidi occhi azzurri.

Il padre sorrise: “Ha i miei occhi...” ammise “...ed io sono l’unico Dio con quella particolare tonalità, perciò devo dedurre che non hai fatto ciò che pensavo con un altro, donna”.

Guardò la Guerra che, con il suo solito sguardo accigliato, lo minacciò di morte sibilando.

Era il loro modo di dimostrarsi il proprio amore.

Il Kaos prese il bambino per la collottola:“L’Equilibrio non può stare in casa mia”.

“C’è già un Dio dell’Equilibrio, compare Kaos…” si affrettò a dire il Tempo “...non cambierà nulla! Evidentemente questo è il futuro Dio dell'Equilibrio, destinato a prendere il posto all’attuale Signore dell’Ordine quando sarà giunto il momento. Quando cioè l’attuale Dio, che a te da tanto fastidio, sarà stanco o sarà ammesso tra gli Dèi Alti”.

 

Gli Alti erano considerati degli Dèi “consapevoli”. Dèi che avevano vissuto, lavorato e appreso regole e procedimenti dello spazio e dell’insieme di ogni cosa. Erano divinità che prendevano decisioni, grazie alla loro esperienza e saggezza, e le comunicavano ad altri Dèi che lavoravano svolgendo il proprio ruolo. Ma gli Alti al Kaos non erano mai stati in grado di comandare nulla, perché al di fuori dalle regole e da ogni schema, perciò non provava alcun timore nel sentirli nominare.

 

Il padre continuava a tenere il figlio come un gatto.

“Credi che mi piaccia l’idea?” domandò rivolto prima al Tempo e poi agli altri “Credete che mi piaccia, compagni Dèi, l’idea di avere un altro Equilibrio tra i piedi?! Certo che no. Spero sempre che il mio attuale opponente si stufi e se ne vada, in modo da darmi libero spazio e pieno potere. Cosa che non potrà mai avvenire se questo sgorbiciattolo prende il suo posto”.

Il Tempo intervenne: “Ma un giorno anche tu diventerai stanco, stufo, e sarai ammesso tra gli Alti”.

Il Kaos scoppiò a ridere. Una risata tetra che fece espandere il fumo e i ciuffi dei suoi capelli e rabbrividire la maggior parte degli Dèi nel salone.

“Scherzi, vero, Tempo? Io sono il Dio più anziano fra di voi. Sono il primo creato dalle divinità Supreme e ho visto numerosi Dèi che hanno svolto il loro compito e son stati ammessi tra gli Alti. Io non sarò tra questi. Sono destinato a sopravvivere e lavorare ancora a lungo, ben oltre tutti i presenti in questa sala! Non mi stancherò mai del mio lavoro, adoro fare casino e nessun Alto potrà mai dirmi che cosa fare”.

“Beh... allora... troviamo una soluzione!”

Vi furono varie proposte. A chi affidare il futuro Dio dell’Equilibrio? Come allontanarlo da un padre che, evidentemente, non apprezzava la sua presenza? C’è chi suggerì di portarlo all’attuale Dio che un giorno sarebbe stato sostituito dal piccolo neonato. Oppure, chiedendo agli Alti…

Ma il Kaos non ascoltava.

Tenendo il bambino con due dita guardava dalla finestra: “Guarda...” sussurrò “...guarda, figlio mio, quanti patetici, piccoli, insulsi mortali. Guarda quanti ce ne sono sparsi per i Mondi. La loro vita è solo un soffio per noi. Le loro preghiere rimbombano ogni notte e in ogni attimo nella nostra testa, ma per la maggior parte di noi è così facile ignorarle! Vuoi tu andare da loro? Vuoi strisciare e attendere la morte guardando in alto in attesa di un segno che io non manderò se non con distruzione e dolore? Vuoi tu…” ma non finì la frase.

Una voce all’improvviso irruppe dal centro della stanza.

“Che intendi fare, Kaos?”.

Lei: il Destino! Colei con il potere decisionale su praticamente ogni cosa, in contatto diretto con gli Alti, puntava ora il dito contro l’unico Dio che mai era riuscita a piegare.

“Che intendi fare, Kaos? Non puoi agire come credi!”.

 Il Kaos si voltò: “Che vuoi da me, donna?” sbottò “Intanto non sei molto portata a fare la Dea del Destino, se mi chiedi che intendo fare. E poi, lo sai, mai mi hai comandato e mai lo farai, mia cara! Vuoi dirmi che gli Dei Alti non vogliono? Non mi interessa. Anzi: me ne frego!! ME NE FOTTO!!” urlò pieno di rabbia l'ultima frase, esprimendo tutto il suo odio nei confronti di chi osava dargli ordini.

La Dea del Destino non si mosse

“Ci sarà sempre qualcuno al di sopra di te. Ricordatelo, Kaos. Sempre!” mormorò poi.

Ma il Dio Caotico continuava a guardarla con l’aria di chi non ammette in nessun modo di essere fermato o contraddetto.

Qualcuno al di sopra di te?! Chi può essere al di sopra di me? Pensò il Dio padrone di casa.

Gli Dei supremi, che mi hanno creato… continuò a ripetersi nella testa …che però fin ora non hanno mai interferito in nessun modo, e quindi che mi interessa  se sono “al di sopra”!? Di sicuro non sei tu, Destino, a poterti considerare al di sopra di me, Kaos e disordine primordiale!

La Dea del Destino, con una piccola sfera nella mano sinistra, allungò di nuovo il dito e, puntando il bambino, disse: “Lui tornerà. Appena comincerà ad avere di nuovo consapevolezza del suo stato divino, tornerà. Non puoi impedirlo, Kaos”.

“Ma certo che posso!” affermò il Dio, con un largo sorriso inquietante che si apriva sul volto di nebbia.

E lanciò il bambino di sotto, verso uno di quei pianeti lontani ed a malapena visibili nel cielo. Lo scagliò lontano e nessun Dio si mosse perché il timore del Kaos, della sua ira ed irrazionalità, era più forte di ogni pietà.

Il piccolo Dio cadde come una stella, lasciando una lunga scia di luce dietro di sé, ma non emise un solo gemito. Forse pianse una lacrima da quei bellissimi occhi azzurri, ma dalla neonata bocca non un uscì un solo suono.

E quella notte, lentamente, anche la scia della sua luce sparì alla vista della Città degli Dèi.

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Capitolo 2
*** II- La caduta ***


II

 

LA CADUTA

 

 

Gli Angeli guardavano il cielo. Ogni gerarchia, dai Serafini fino alle classi minori, guardava il cielo. A mani giunte, pregavano incessantemente e , sul loro capo, l’aureola pulsava seguendo il battito del cuore, che si faceva sempre più rapido.

Quale Dio è così irato da creare une tempesta simile? si chiedevano, spaventati e confusi. Abbiamo forse fatto qualche sbaglio ed ora  veniamo puniti? O qualche Divinità lassù si sta facendo la guerra?

Chiusi nelle loro case, sobbalzando ad ogni tuono, speravano che tutto finisse presto. Avevano subito compreso che quello non era un semplice temporale, ma una dimostrazione di mancanza di armonia. Era la manifestazione chiara che qualcosa si era rotto nell’alto del cielo.

I fulmini si accanirono per tutta la notte sulla Città degli Angeli. I bambini piangevano e gli adulti erano confusi, perché mai si era vista una simile tempesta. Da ogni abitazione si levavano canti e suppliche. Convinti che quella fosse la prova che qualche divinità era in collera, tentavano di ammansirla con preghiere e pentimento.

Perché distruggete la nostra città, oh Divini?

La torre del tempio, posto al centro della città, prese fuoco. Colpita da un fulmine, crollò su se stessa e sugli edifici sottostanti.

Perché distruggete il luogo in cui vi adoriamo, oh santi?

D’un tratto, iniziò una forte pioggia, che estinse le fiamme ma coprì ogni luce con le sue nuvole nere. Qualcuno giurò di vedere una stella cadere nel buio, ma nessuno gli diede retta. Era un lampo, fu la spiegazione.

La luce della piccola stella dagli occhi azzurri che cadeva, illuminò la casa di uno degli  “Angeli Padre”. Ma Lui non la vide.  Era uno dei pochi che non si curava del brutto del tempo. Ignorava il temporale, il vento, i tuoni… Beveva latte e guardava Lei, la sua “Angelo Madre”, che stava distesa in un letto di nuvola a dormire felice.

Quanto è bella  pensava come sono fortunato.

Ed era per davvero molto bella.  I lunghissimi capelli color dell’oro incorniciavano tutto il suo corpo, snello e delicato, in quella circostanza reso più dolce e arrotondato dall’avanzato stato di gravidanza. La veste color del cielo lanciava mille riflessi in tutta la candida stanza, facendola sembrare un angolo di cielo stellato. Alcune punte di luce segnavano il volto ed il lungo abito aranciato del suo sposo, in netto contrasto con i capelli raccolti che erano scurissimi, quasi neri, con mille segni blu. Lui le era seduto accanto e le diede un bacio sulla fronte annusando il suo profumo di fiori. Le loro aureole, quella di lei azzurra e quella di lui rossa, si incrociarono per un istante, formando scintille tendenti al violetto.

Fai bei sogni, amore mio.

Loro due erano la più giovane coppia di “Angeli  genitori”, le uniche creature in quella città con chiari attributi sessuali ed il cui scopo era quello di generare nuovi piccoli angeli.  Loro due non avevano ancora mai procreato ed attendevano quella nascita con un po’ di timore. Le altre tre coppie li battevano in anzianità ed esperienza ed avevano avuto molti figli e molte soddisfazioni.

Da loro erano nati Serafi, Cherubi, Arcangeli, Angeli semplici, Messaggeri e molti altri. Tutte le creature generate da quelle coppie erano perfette e si aspettavano lo stesso dal primogenito in arrivo. L’Angelo Padre era nervoso. E se quel bambino avesse avuto qualcosa di errato? E se, per volontà degli Dei, fosse nata qualche altra creatura non destinata a stare in quel luogo?

Lui era nervoso ma, in quel momento l’Angelo  Madre sognava e non aveva paure. Sorrideva, addormentata, e sognava la Città degli Dei. Vide tutti i Divini in un grande salone che ridevano e giocavano tra loro. Lei capì che stavano facendo festa. I loro sorrisi e le loro parole, anche se Lei non era in grado di capirle, trasmettevano tranquillità e serenità. Tra loro, in quel sogno, c’era solo amore e armonia. C’era chi rideva, chi lanciava una pallina di un qualche materiale in giro, chi inciampava sulle scale fatte a protuberanze del palazzo del Kaos, chi cantava, chi mangiava... Tutti si divertivano, come dei bambini. Quel sogno la rilassava. Lo vedeva come un buon segno per il bambino in arrivo. Ma poi… un urlo. Un grido, nel suo sogno, che interruppe la gioia ed i giochi.

Era carico di terrore ed odio e... quel  bambino.. un bellissimo bambino dagli occhi azzurri sull’orlo di un baratro.  Sotto di lui il vuoto infinito, senza via di scampo. Il buio divenne l’elemento predominante del sogno, mettendo a tacere tutte le risate e l’armonia, e distruggendo la sensazione di pace che aveva provato la Madre fino a quel momento.  Ora il suo sogno era divenuto un incubo spaventoso, pieno di strilli, immagini confuse, freddo e vuoto.

No, bambino, no! Pensò Lei, in preda al terrore. Non cadere! Non farti male! Ti salvo io! Non morire!  Ti raccolgo io!  Ti aiuto io! Non cadere in quel buio terribile!

Ed il bambino cadde, seguito dalla sua scia di luce. Lei gridò nel sonno e allungò le braccia verso quel piccolo che lentamente precipitava, risucchiato dalle tenebre. Riuscì a fermarlo, afferrandolo e stringendolo a sé. Sorridendo, la luce di quel bimbo divenne parte di lei. Poi la Madre gridò, questa volta nella realtà: la creatura che portava in grembo voleva venire al mondo. Fra i lampi e l’ira del cielo, nel buio nacque un Angelo: perfetto!

Sul capo brillava la sua piccolissima aureola bordeaux, fra i  capelli neri a riflessi blu come quelli del padre. Ma i suoi occhi... Isuoi occhi erano azzurri come quelli degli Dèi!

 

 

 

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Capitolo 3
*** III- ruoli e classi ***


III

 

RUOLI E CLASSI

 

 

Al nuovo Angelo venne dato il nome di Kasday: occhi di Kaos. Voci circolavano tra le creature alate sul colore degli occhi del Dio del Disordine ed in molti dicevano che avesse gli occhi azzurri, proprio come quelli del neonato. Negli anni successivi si narrerà che il temporale si placò nel momento in cui la nuova creaturina aprì quegli occhi. Forse, si pensò, quel piccolino era nato sotto la benedizione del Dio Kaos!

Appena si seppe della nascita, per la città crebbe la curiosità. A che gerarchia apparteneva? Quante ali aveva? Quattro, come i Cherubini? Sei, come i Serafini? Otto, o dieci, come gli angeli Genitori? E di che colore erano? Dorate come quelle degli Arcangeli? Argento come quelle dei Messaggeri?

Il nuovo arrivato nacque con sulla schiena tre paia di brillanti e minuscole ali blu. Un Serafino, dunque! Un “altolocato”, destinato un giorno ad una posizione di potere. Nel pianeta degli Angeli, infatti, comandavano i Serafini più anziani e la più esperta coppia di Angeli Genitori. La gerarchia dominante era di colore blu, seguito dal rosso, il colore dei Cherubini. Poi veniva l’oro degli Arcangeli ed il bianco degli angeli semplici. Argento era il colore dei Messaggeri, non inclusi fra le gerarchie perché estremamente rari e scelti dagli Dèi stessi.

Il neonato aprì pian piano le piccole e scintillanti ali, delicate come quelle di una farfalla, e le agitò lentamente e leggermente per asciugarle.

Una nuova nascita non era un evento molto comune e gli abitanti della città accorsero per accogliere la nuova vita con gioia.

Fra loro, un giovanissimo Arcangelo di rara bellezza. Era solo un pre-adolescente ma già era chiara la regione per cui gli era stato affidato l’appellativo di “più bello”. Con insoliti capelli corvini e sguardo luminoso come una stella, trovò nel piccino appena venuto al mondo un degno rivale in quanto a bellezza.

“Ha degli occhi stupendi!” esclamò, accarezzandogli la piccola aureola rossa con il dorso della mano e facendogli fare un suono simile a quello che produce il bordo di un calice.

“Ed è pure accordato” aggiunse sarcastico.

“Mi sono sempre chiesto…” iniziò a parlare un altro giovane Arcangelo, compagno di classe e gemello minore dell’accordatore di aureole “..perché, quando parli, sibili, Luciherus. Non sai fare la Esse senza sembrare un rettile?!”.

Il più bello lo guardò senza espressione. E con la calma gli rispose: “Tu sei solo capace di criticarmi, Mihael! La tua è invidia o solo voglia di rompere?”.

Uno degli Angeli Genitori li rimproverò aspramente per il loro comportamento e, dopo aver ricevuto due scappellotti dietro la nuca, i due Arcangeli fecero silenzio.

“Andate in classe, piccoli” suggerì un Cherubino “E non litigate! Non in un giorno di giubilo come questo! Un nuovo bambino vive ora nella Città degli Angeli e dovete gioirne! Dopotutto siamo tutti fratelli!”. Pur non credendo del tutto all’ultima frase, i ragazzi si avviarono verso la scuola.

 Ed iniziò un nuovo giorno nel Mondo degli Angeli, una volta passata la tempesta. Nel cielo ora vi era perfino l’arcobaleno!

 

Il piccolo Kasday, appena fu  in grado di camminare, dimostrò subito di essere molto curioso.

In particolare amava spiare le lezioni degli Arcangeli, la classe definita “più problematica” per via delle evidenti differenze caratteriali degli alunni.

Se ne stava buono buono fuori dalla finestra ad arco in marmo bianco e guardava all’interno, aspettando il momento in cui uno degli Arcangeli anziani, scelto come professore, se ne andasse.

Era quello il momento in cui scoppiavano le risse ed era quello il momento in cui Kasday si divertiva di più!

Un giorno, prima che il Maestro se ne andasse, sentì una domanda molto curiosa fatta dal “più bello”.

“Scusi, esimio Professore…” lo sentì domandare con  la tipica Esse sibilante “…ma per quale motivo, negli altri mondi, le creature sono chiaramente divise tra maschi e femmine e fanno, bene o male, tutti dei figli e invece noi siamo delle specie di incroci imbarazzanti e solo tre coppie hanno il compito di creare altre vite? È una cosa che non mi so spiegare”.

Il Maestro lo guardò un po’ male. Dopo un paio di colpi di tosse, si schiarì la voce e iniziò a rispondergli: “Intanto, mio giovane allievo, ti pregherei di metterti seduto composto. Le sedie sono fatte per sedersi, non per starci appollaiati sopra!”  

Luciherus  stava seduto sullo schienale della sedia, puntando i piedi sul sedile e ondeggiando avanti e indietro, ovviamente dando molto fastidio a Mihael con le piume finali delle ali dorate.

Sbuffando e incrociando le braccia, si lasciò cadere sulla sedia. E mise i piedi sul tavolo.

“A volte ho come l’impressione che tu ti diverta a prendermi in giro…” riprese il professore “Comunque… rispondendo alla tua domanda, posso dirti che nei pianeti governati dalla Dea del Destino non c’è bisogno di un gran numero di gente in grado di donare la vita. In questi Mondi, tra cui è compreso anche il nostro, è noto che non ci sono guerre e grossi sconvolgimenti, a differenza dei Mondi governati da Kaos, in cui lavora molto sua moglie: la Guerra. Quel Dio si diverte molto a creare e distruggere perciò le morti in quei Pianeti sono frequenti e quindi necessitano di un gran numero di vite nuove per compensare l’enorme numero di decessi periodici. Qui, in questo Mondo, la Morte arriva solo quando è Destino che accada. Quando Lei, le Dea creatrice del nostro luogo d’origine, decide che è ora di andare. Ma questo succede solo dopo una vita felice e molto lunga. Erroneamente si può pensare che nei Regni del Dio Kaos ci sia più gente in confronto al numero di persone dei Regni del Destino, ma non è così. Il numero è lo stesso. Le nuove vite sostituiscono le morti avvenute, in tutti i Pianeti, qualunque sia il loro creatore. Spero di averti chiarito un po’ le idee…”.

Il “più bello” annuì, dubbioso. “È un po’ noioso, però. Si vede sempre la stessa gente…”. L’insegnante gli sorrise e scosse il capo: “Molti da giovani fanno questi ragionamenti. Ma prova a mettere piede in uno dei Pianeti di Kaos e ti assicuro che non troverai più noioso questo Mondo. Ma solo bello e…”.

Luciherus lo interruppe: “Spiacente, doc. A noi giovani pennuti non è permesso lasciare il Pianeta!”.

Il professore si fece subito serio e gli rispose seccamente che era, ovviamente, giusto così, perché fino ad una certa età non è facile capire certe cose.

“E poi…” continuò il Maestro “...tu, con  la tua sfacciataggine moriresti subito in uno dei Pianeti del Kaos!”.

Detto questo prese il suo libro ed uscì dall’aula: la lezione era finita. Ora veniva il momento divertente della giornata per Kasday! Le discussioni vertevano quasi sempre sul ruolo degli Arcangeli. Mihael imitava, ridendo, la Esse di Luciherus, che lo ignorava e faceva il gioco delle pulci con l’aureola e tre monetine. Scopo del gioco era far entrare le monetine nell’area dell’aureola blu scuro appoggiata al tavolo. Di solito, mentre giocava, canticchiava “i sogni son desideri”, con una vocetta stridula.

“A che serve il fatto che tu sia il cosiddetto più bello? Che scopo hai?” lo provocò Mihael, portandogli via una monetina “E poi... chi l’ha stabilito che il più bello sei tu? Con quei piedi grandi e appuntiti e quel viso così poco angelico…”

Luciherus, lo si notava subito, non presentava i tratti degli altri Angeli. Il viso, per esempio, era sottile e a punta, molto diverso dei volti dolci, arrotondati e fanciulleschi delle altre creature angeliche, con i loro sorrisi ed i loro occhi grandi e tondi. Lo sguardo dell’Arcangelo più bello, al contrario, erano sensuale e sfuggente e non aveva proprio nulla di fanciullesco. Sorvolando sul fatto che qualcuno disse di vederci le fiamme nelle sue iridi.

“Io, mio caro Mihael, porto la luce in questo mondo fatto di misteri, proibizioni e tabù”.

L’Arcangelo emetteva una luce molto forte, più forte di quella di qualunque altra creatura Angelica, motivo per cui a volte il gemello lo chiamava "lampadina".

“Tu, piuttosto, che scopo hai? Arcangelo guerriero?! Che cosa devi combattere?”.

Ci fu silenzio. Si guardarono a lungo.  Mihael, con la spada sempre al fianco, indossava una tunica più corta rispetto a quella degli altri che, di solito, si trascinava sul pavimento coprendo del tutto i piedi del loro possessore. Eccezion fatta per i piedi di Luciherus, che spuntavano sempre ed inesorabilmente. Anche perché portava sempre scarpe a punta l’Arcangelo più bello, e in quell’occasione le conficcò con gioia nel polpaccio di Mihael per riprendersi la propria monetina. Mihael urlò e cercò di colpirlo, ma l’Arcangelo più bello schivò facilmente e lo derise

“Oh, Miky Mik!! Pare che il tuo addestramento non serva a molto!”.

Ridendo iniziarono a rincorrersi tra i tavoli. Gli altri Arcangeli li guardarono, rassegnati. Gibrihel starnutiva, in preda all’ennesimo attacco di allergia ai gigli, e pensava a quanto fosse stata crudele la Dea del Destino a dargli come simbolo proprio il fiore di cui era allergico. Gli toccava sempre portarsene uno dietro di quei fiori maledetti, purtroppo simbolo della purezza delle sue annunciazioni.

Tra uno starnuto e l’altro tentò di far fare la pace ai due Arcangeli litiganti, ma non suonava molto convincente con quella voce sottile e dolce. Ed in più era più giovane di Mihael e Luciherus e quindi temeva episodi di nonnismo, come l’ultima volta in cui gli erano state tolte metà delle piume. E le ali gli servivano! Il suo compito, cioè portare messaggi, annunci e rivelazioni, senza penne era un’impresa ardua da compiere! Così non insistette ed attese che facessero la pace da soli, anche se sapeva che non poteva succedere.  

Come sempre fu Urihel, l’Arcangelo più anziano della classe, a fermarli. La sua voce si udì dal fondo dell’aula: “I pianeti ed i Mondi girano tanto quanto le mie scatole, razza di bambini! Finitela! Sembrate dei pupi con ancora il piumino sulle ali!”.

Ogni volta la stessa storia e, come ogni volta, l’Arcangelo Urihel, il cui scopo era lo studio dei pianeti e la verifica della loro luce, si alzò dalla propria sedia e, facendo svolazzare la lunga veste blu scuro, afferrò per la collottola i due litiganti, facendone sbattere le teste l’una contro l’altra.

Con uno stok il litigio di solito finiva. Almeno per qualche ora.

“Perdonali, Urihellino” sussurrò Rahahel, il più giovane della classe “Quella che vedi è solo una chiacchierata tra amici! In realtà Mihael e Luciherus si vogliono bene!”.

La risata fu corale. Camahel, l’Arcangelo dell’amore puro, rideva da matti commentando con :“Oh, si, Raphy mio! Si amano!!!”. 

Remihel, l’Arcangelo della Speranza affermò che, in fondo, non si poteva mai sapere.  Tutti ridevano,  tranne i due interessati, che minacciavano pugni sul naso. Più i due sibilavano promesse di repressioni fisiche, e più si alzava il tono del coro: “Bacio, bacio!!”.

“Che giramento di aureole!” commento Luciherus.

Gibrihel, disperato a causa del suo attacco di allergia, ebbe un attacco diverso: d’isterismo!

Iniziò, tra le lacrime, a piagnucolare sul fatto che, in fondo, sempre a lui toccava andarsene in giro a portare annunciazioni non sempre gradite ed a dover interpretare le parole inviate dagli Dèi di cui nemmeno lui capiva il significato e di cui, forse, nemmeno il Dio che creava il messaggio ne capiva il senso. Senza contare il fatto che gli toccava portarsi a spasso quell’odiosissimo fiore che tanto lo faceva soffrire e che gli faceva anche un po’ schifo.

Sconcertati, gli altri Arcangeli lo lasciarono alla sua auto commiserazione ed iniziarono a discutere sul fatto che il notevole peso della spada di Mihael era in netto contrasto con il peso del suo cervello, a detta di Luciherus del tutto inesistente. Poi, tutto ad un tratto, smisero di litigare ed andarono fuori a giocare tra loro. L'adolescenza era davvero una brutta età, si erano detti gli insegnanti giorno dopo giorno.

 

A volte, le creaturine più piccole come Kasday ed i suoi amici, riuscivano ad unirsi ai giochi delle classi più grandi. Luciherus adorava il piccolo Serafino e, quando poteva, se lo portava in giro per la città degli Angeli, chiacchierando del più e del meno. Lo amava per la sua capacità di farsi domande e di rivolgere quesiti considerati “irritanti” dai Serafini a capo delle schiere. Quesiti strani, su Dèi e simboli, che il bambino diceva di aver visto, forse in sogno, ma che per un Baby Serafino erano decisamente incomprensibili. Di certo fu lieto di constatare che non solo per lui non fossero di facile comprensione. L’Arcangelo più bello lo stava sempre a sentire e cercava di rispondergli, quando poteva, ma anche Luciherus si ritrovava in difficoltà con certi glifi.

Più cresceva e più gli Angeli erano convinti che il piccolo Kasday fosse stato prescelto dal Dio Kaos. Bisognava solo aspettare che crescesse, a detta di molti.

 

Assieme a Kasday erano nati altri tre piccoli: Vereheveil, Eleniel e Samhian.

A Vereheveil fu dato l’appellativo di “divoratore di libri”. Questo perché dimostrò subito di avere una spiccata capacità nel leggere, scrivere e imparare le lingue. Aveva imparato, nonostante la giovane età, la lingua di tutte le zone del Pianeta e qualche altro linguaggio diffuso in altri Regni del Destino. Era il migliore amico di Kasday, anche se appartenevano a due cerchie diverse.

Sulla schiena di Vereheveil, infatti, crescevano due ali dorate, come dorati erano i suoi occhi, ed era dunque un Arcangelo: l’Arcangelo delle lingue e dei libri. Ma non ebbe  mai ufficialmente quel ruolo...

Rahahel lo istruiva e lo seguiva. Gli piaceva molto, quasi quanto a Luciherus piaceva Kasday. Eleniel aveva l’aspetto più da bambina, con i riccioli biondi e le vesti color pastello.

Gli occhi, blu, come la notte, risplendevano sul viso pallido. Con quattro ali rosse, da Cherubino, seguiva gli insegnamenti di Camahel, l’amore puro. Cantavano assieme dolci melodie e suonavano strumenti di vario tipo. Camahel continuò a lodarla finché non ebbe il coraggio di cantare davanti ad altri Angeli. La piccola si sentiva in imbarazzo, diceva all’Arcangelo che lui aveva la voce più bella del Pianeta e lei non si sentiva all’altezza. Ma lui la prese per mano e le disse, un giorno, che in realtà la voce più bella era la sua: la voce di Eleniel era la migliore, non più quella di Camahel, ed era un grave peccato celarla. Ed Eleniel mostrò, dopo un po’ di titubanza, a tutto il Mondo degli Angeli la sua bellissima voce, che lasciò tutte le creature alate incantate e meravigliate.

Samhian, infine, aveva una luce particolare fin dalla nascita e questo aveva attirato l’attenzione di Urihel che gli parlava dei Pianeti, delle stelle, delle loro orbite e della loro luce. Con i capelli ramati e gli occhi verdi, iniziò a vestirti dello stesso colore dell’Arcangelo che lo seguiva: blu scuro. Con tante stelline che decise di disegnarci sopra.

In attesa di scoprire quale fosse il loro ruolo, i piccoli si divertivano con gli Arcangeli che, anche se i bambini non lo sapevano, erano ancora molto confusi sul loro futuro. E questo nonostante la giovane età dell’adolescenza stesse per concludersi, per quella classe.

 

“Che cosa hai sognato stanotte, mio piccolo Kasday?” domandò Luciherus, con le mani dietro la schiena. Passeggiavano l’uno accanto all’altro.

Kasday lo guardò e iniziò a raccontare: “Ho sognato un grande palazzo. Uno strano tizio mi guardava. E c’era una signora che io chiamavo mamma. Ma quella non era la mia mamma! La mia è bionda e vestita di chiaro. Quella aveva i capelli corti e neri e vestiva di scuro. Che vuol dire?” Luciherus si fermo di colpo e ammise: “Non posso sapere tutto, Kasdy! In ogni caso proverò a cercare tra i libri che…”

Kasday lo tirò per la veste. Chiedendo di essere preso in braccio. Alla fine l’Arcangelo lo accontentò.

“Sei così alto. Tutti voi siete così grandi! Io invece sono piccolo piccolo…” mugugnò il bambino appoggiato con il viso alla spalla di Luciherus, che lo rassicurò dicendo: “Anch’io alla tua età ero uno sgorbio insignificante come te! Ma poi si cresce. E vedrai come diventerai bello e alto! Come me!”.

Il bambino sorrise anche se protestò un po’ sul termine “sgorbio”. Andava bene “insignificante”, perché era consapevole di esserlo, ma non si sentiva uno sgorbio! Mise le braccia attorno al collo dell’Arcangelo e lo abbraccio forte. Guardò gli occhi arancio e il viso affilato del giovane.

“Sei proprio un Arcangelo strano!” gli disse, alla fine della sua analisi.

“Non immagini quanto!” gli rispose, ridendo, Luciherus.

Continuarono a camminare per le vie della città. Parlavano di sogni e prendevano un po’ in giro la gente che incrociavano. Il piccolo, però, fermo l’Arcangelo: “Non dovresti prenderli in giro, Lucy. Dopotutto, tu parli come un rettile che ha freddo e hai quei piedi a punta…”.

Lucy, che continuava a tenerlo in braccio, lo capovolse ridendo e, facendogli il solletico, tentò di zittirlo.

“Ma che cuccioletto impertinente che ho fra le mank!”.

Ed è pure più sfacciato di me! Pensò divertito l’Angelo dalle ali d’oro.

Il bambino diventò, tutto ad un tratto, serio e chiese: “Come mai ai Serafini da tanto fastidio se gli faccio certe domande?”.

Luciherus lo posò a terra. Si inginocchiò per guardarlo negli occhi.

“Non è colpa tua, mio adorato Kasday. Non pensare di essere strano o respinto… o quant’altro. La verità è che loro hanno dei segreti”.

“Loro chi?” domandò, curioso, Kasday.

“Loro! Tutti! Gli Dèi, i Serafini che ci circondano, gli Angeli Genitori... tutti! Ci credono stupidi e pronti ad accettare ogni cosa senza farci nessun problema. Ma noi non siamo schiavi! E nemmeno dementi! Io non me ne sto buono… io sono la Stella del Mattino!”.

Non nascose il suo disappunto. Kasday lo guardò con un sorrisetto.

“Magari adesso esageri...” azzardò il piccolo Serafino.

Luciherus si rimise in piedi. Spettinò un po’ i capelli al piccolo e sospirò.

“Ora sei troppo piccolo, Kasdy. Quando sarai più grande ti spiegherò altre cose. Tu promettimi che, fino a quel momento, non diventerai come loro. Non sarai pieno di segreti e con il capo piegato! Vorrei che tu me lo promettessi”.

Il bambino, con gli occhi spalancati, si affretto a rispondere: “Ma certo!! Intanto perché non ho niente da nascondere e poi non sarò mai il servo di nessuno! Però… mi parli come se stessi per morire! Sei veramente strano, Lucy”.

 “No, non muoio!” sorrise l’Arcangelo “Semplicemente io e gli altri Arcangeli della mia classe abbiamo un compito da svolgere. E per questo staremo via a lungo. Quando torneremo, sarai cresciuto…”.

“E dove andate?” chiese Kasday, da un lato pieno d'entusiasmo per Luciherus e dall'altro sentendone già la mancanza.

“Segreto!” fu la risposta.

"Mi mancherai" ammise il bambino e l'Arcangelo non rispose, non volendo ammettere di provare lo stesso.

Una volta congedatosi da Luciherus, Kasday andò dagli ultimi Angeli nati, i suoi tre amici, e parlò loro dei segreti che non voleva avere e della testa che non voleva abbassare. Disse loro che dovevano aspettare di essere grandi per poter capire perché ora, da piccoli, non conoscevano nemmeno il loro ruolo.

 

La loro infanzia fu felice.

Iniziarono scuola e crebbero, ma non dimenticarono mai quelle frasi sui “segreti”

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Capitolo 4
*** IV- Ritorno ***


IV

 

RITORNO

 

 

Kasday, crescendo, aveva sviluppato un insolito viso sottile e affusolato, cosa che lo faceva un po’ assomigliare all’Arcangelo più bello. Inoltre, come il più bello, aveva lasciato crescere i capelli neri a riflessi blu in modo che un ciuffo coprisse un occhio, nel suo caso il destro. Ma la luce di quell’occhio non poteva essere celata tanto facilmente e tutti avevano notato che sul volto di quel Serafino vi erano incastonati due occhi da Dio, sempre più luminosi e brillanti. Perfino al buio si potevano scorgere, e nella sua adolescenza splendevano come due stelle. Era ormai un giovane Serafino e si era dimostrato bravo nel ballo e nell’uso della magia.

“C’è qualcuno che mi guida quando mi muovo. E c’è qualcuno che mi parla quando cerco le parole e le formule per incanalare l’energia magica” rispondeva, quando qualcuno chiedeva come riuscisse ad essere così bravo.

Benedetto dagli Dèi, così fu definito.

Vereheveil, con i suoi capelli verde acqua tagliati corti davanti e con un lungo codino dietro, aveva affinato con gli anni le proprie capacità letterarie e linguistiche. Aveva imparato a leggere sempre più in fretta ed i suoi occhi dorati scorrevano velocissimi su ogni libro stampato. Conosceva la maggior parte della letteratura scritta nei Mondi del Destino e poteva parlare e comprendere tutte le lingue in cui erano scritti. C’era chi affermava che conoscesse anche il linguaggio degli Dèi.

“Non arrivo a tanto!” si affrettava a rispondere l’Arcangelo. "La lingua divina non può essere compresa da nessuno, se non dagli Dèi stessi".

Eleniel era diventata la tipica “donna angelo”, con i capelli lunghi a boccoli che ricadevano morbidi sulle spalle e sulla candida veste come una corona. Sembravano risplendere d’oro, come sul capo di una regina. I suoi occhi blu facevano sospirare più di una creatura alata.

Faceva parte dei cori angelici e aveva la voce migliore nel coro dei Cherubini. Sorrideva sempre e le sue canzoni erano sempre felici e piene di energia.

Molti mormoravano che Kasday ed Eleniel ballassero e cantassero assieme.

“Anche se fosse?!” fu la risposta “È perché ci amiamo. Io, Kasday, Vereheveil e Samhian ci amiamo!”

Samhian era rimasto un po’ più piccolo degli altri tre, ma era il più luminoso del gruppo. I suoi capelli ramati si arricciavano dietro la nuca e gli occhi verdi erano diventati grandi e tondi.

Si era dimostrato particolarmente bravo nello scrivere. Lui scriveva, Vereheveil leggeva ed eventualmente gli donava ispirazione. Quando componeva musica e canzoni, erano invece Kasday ed Eleniel a testare la qualità delle sue creazioni, cantando e ballando.

 

Il giorno in cui rividero la classe degli Arcangeli, i quattro amici erano seduti uno accanto all’altro. Notarono arrivare da lontano i sette compagni, poiché la loro luce intensa illuminava tutta la Città degli Angeli.

L’Arcangelo guerriero, Mihael, apriva la fila, con indosso la propria armatura, l’inseparabile spada con l’elsa d’oro e l’aria truce stampata sul viso. La folla che si era accalcata ad accoglierli si scansò, vedendolo. La sua mano poggiava sulla cintura dove pendeva il fodero dell’arma e quel gesto gli lasciò campo libero, senza discussioni o fastidi di sorta.

Dietro di lui marciavano in composti Rahahel, con la sua aria sognante, e Gibrihel, che canticchiava un motivetto fatto di annunci di gioia e parole solo a lui (e forse neanche a lui) comprensibili. L’Arcangelo dell’amore puro e quello della speranza tenevano il passo discutendo tra loro su quanto si stesse bene in quel Mondo rispetto che su altri Pianeti. Urihel rimaneva concentrato su un libro e si chiedeva, tra sé e sé, quale fosse il colore più adatto per la luce di un pianeta o di una stella.

Chiudeva la fila l’Arcangelo più bello, che fu l’unico che parlò rivolto alla folla.

Guardò i quattro ragazzi e li salutò: “Come siete cresciuti, piccini! Ciao Very, ciao Ely, ciao Sammy… Kasday… ti devo parlare!”.

Kasday annuì: “Anch’io!”.

Luciherus sorrise. Gli porse la mano e gliela strinse: “Sei un adulto ormai!” gli disse e continuò “Facciamo stasera a casa mia?”.

“Perfetto!”.

Gli Arcangeli si allontanarono dalla gente riunita a salutarli. Gli sguardi di tutti erano di viva ammirazione e in particolare si soffermavano su colui che chiudeva la fila. L'osservato, consapevole del fatto di avere tutti gli occhi, o quasi, su di lui... si voltò di scatto. Così facendo, i capelli neri, sciolti, lunghi fino alle spalle e dai mille riflessi d’oro, si agitarono vaporosi emettendo mille frammenti di luce aurea. Fece un sorriso, malizioso come sempre, illuminando lo sguardo più sensuale del mondo angelico. Poi continuò per la propria strada, agitando le ali d’Arcangelo.

Le aureole di più di un abitante della Città iniziarono a pulsare velocissime per l’amore e per ogni altro genere di sensazione poco angelica, ma tremendamente piacevole, che Luciherus era in grado di far suscitare.

 

 

“È vero che avete creato un Mondo nuovo?” fu la prima domanda di Kasday, nella casa piccona e decisamente disordinata dell’Arcangelo appena tornato.

“Non siamo mica Dèi!” fu la risposta divertita, tra un sorso e l’altro di “black and white”, del padrone di casa “Noi abbiamo solo il compito di incanalare le energie e di obbedire alla volontà delle divinità”.

Kasday lo guardava ammirato.

Chissà se un giorno anch’io…pensò speranzoso.

Con gli occhi che brillavano dalla curiosità, chiese una descrizione del Mondo appena creato.

Luciherus, con un sorriso pieno di tenerezza, spostò il ciuffo di Kasday in modo da averne la stessa pettinatura: con l’occhio sinistro coperto.

“Perché copri sempre lo stesso occhio? Perché non ti copri mai l’occhio destro con i tuoi bei capelli?” gli domandò il Serafino.

L’Arcangelo non gli diede nessuna risposta, ma ricominciò a parlare: “Dunque… il Mondo nuovo, a mio parere, è una gran noia. Ci sono solo un gruppetto di omuncoli dal cervello scarso e nessuna capacità magica che girano a vanvera e senza scopo nell’immensa quantità di spazio libero. Non hanno ancora deciso quale divinità lo comanderà e…” voleva continuare, ma si interruppe.

Kasday lo guardava con uno sguardo che voleva dire solo una cosa: che significa l’ultima frase che hai detto? Il Serafino spalancò l’occhio sinistro lasciando il destro semichiuso.

Luciherus sospirò: “Direi che devo farti un discorso sulle divinità, piccolo Serafo ignorante!”. L’Arcangelo si sedette sotto uno dei finestroni che davano sulla strada. Con le gambe incrociate, stava in bilico sul balcone. Guardando fuori, si poteva notare l’ingresso del tempio, in cima a centinaia di gradini perfetti e bianco latte. Sbatté un paio di volte le ali facendo volare qualche piuma e si sistemò la cravatta. Aveva tolto da tempo il lungo e ampio abito candido che portavano gli Arcangeli, ed indossava un completo nero. Elegante, ma considerato molto strano da tutte le creature angeliche.

Kasday trovava il modo di vestire di Luciherus davvero assurdo, ma al più bello piaceva stare così. “Perché sono un maschio” si giustificava Luciherus “ E il vestitino mi da davvero urto!”

Maschio?! In che senso? si chiedeva sempre il Serafino. E se lo chiese anche quella sera.

L’Arcangelo ruotò gli occhi al cielo e decise di cambiare argomento.

“Tu non hai idea di cosa significano troppe cose, mio povero piccolo Kasdy. Comunque… tu sai che ci sono due tipologie di divinità…”.

“Veramente no…”.

“Giusto. Perché per saperlo avresti dovuto entrare nella biblioteca del tempio, la cosiddetta stanza blu. Cosa proibita, almeno teoricamente. Ma in realtà basta usare un po’ di furbizia per entrarci. Dunque… dicevo… vi sono due tipologie di Dèi: I Denian e gli Hainuet. I Denian hanno una sorta di gerarchia al loro interno: c’è chi comanda e chi obbedisce. Gli Hainuet invece fanno quello che gli pare. Come i muscoli volontari e involontari. I primi comandati dal cervello e dalla tua volontà, i secondi indipendenti ma fondamentali. Anche se non pensi, il tuo cuore batte e la tua aureola si illumina al suo ritmo, che tu lo voglia o no. Ma un braccio non si muoverà mai da solo... senza un tuo ordine mentale, perlomeno”.

“Come i muscoli?”.

Luciherus sospirò di nuovo: “Non sai neanche questo… mi rincresce sapere come l’ignoranza si espanda tra le creature angeliche! Ma il tuo amico Vereheveil non è l’Arcangelo che legge tutto quello che gli capita sotto mano? Se avessimo un etichetta sulle ali di pochissimi millimetri con su scritto "lavare a secco", quello è l’unico che se ne potrebbe accorgere…”.

Lavare a secco?! Mi lasci sempre più perplesso Luciherus… forse stai delirando. Anche se, pensò Kasday lavare le ali a secco dev’essere comodo! Le piume bagnate, infatti, pesano e non poco. Figuriamoci se sparse su tree paia di ali da Serafino! Per non parlare del fatto che asciugandosi si arruffano e si gonfiano. Ma ora sto divagando…tornò con i pensieri a ciò che stava dicendo Luciherus. E gli rispose: “Si, è vero, Vereheveil legge di tutto. Ma i libri che abbiamo a disposizione sono per lo più storie, canzoni e racconti di famiglia, tramandate di padre in figlio. Le lezioni che ci fanno non ci aiutano molto. E l’unico trattato che si può definire istruttivo è quello che illustra le varie gerarchie angeliche”.

“Almeno quelle le conosci!” il più bello sospirò di nuovo ed appoggiò le ali e la schiena alla vetrata colorata.

Quanto brillava! Probabilmente in strada, da quella finestra, la sua luminosità era più che visibile. Non ha caso gli era stato dato quel nome. Luciherus: il portatore di luce.

“Almeno, cugino Kasday, sai chi comanda e chi è più potente tra le creature di questo pianeta”. Ovvio. “Quello che non capisco è… perché tu comandi me, Lucy?”.

L’Arcangelo scese dal balcone. “Io non comando nessuno!” disse con sicurezza “Meno che mai te. Non posso ordinarti di fare niente. L’unico motivo per cui la mia classe è andata ad assistere alla creazione di quel mondo nuovo è solamente perché siamo più anziani. Ma ti assicuro che non ti sei perso proprio niente. E poi è una gran rottura di aureole essere nella classe della cosiddetta età di mezzo, come purtroppo sono io. Tu e i tuoi amichetti siete troppo giovani e non siete ancora in grado di comprendere ed usare una certa tipologia magica. Gli anziani sono troppo deboli e poco stabili. Quelli che restano sono impegnati in altri Mondi o in altre attività, come ad esempio creare altri sgorbietti piumosi come te. Mentre noi nel mezzo veniamo spediti di qua e di la, costretti ad obbedire agli ordini degli Dèi. Che, te lo dico, se ne fregano di noi mortali. Se uno di noi fosse in fin di vita, ma in grado di incanalare la loro magia, lo userebbero comunque, come un giocattolo, per poi gettarlo via una volta divenuto un involucro vuoto e senza vita”.

C’era un tono di malinconia nelle sue parole, forse delusione.

Continuò tenendo gli occhi bassi: “Quando un Mondo viene creato, gli Dèi inviano una gran quantità di energia magica sul Pianeta e danno precise disposizioni ai mortali, loro schiavi, su come plasmarla a loro piacimento. Potrebbero farlo da soli, ma non han voglia di stancarsi e fanno faticare noi: i loro servi. I servi del Destino e dei suoi seguaci. Non abbiamo libertà, probabilmente nemmeno gli Dèi al di sotto di Lei sono privi di capacità decisionale. Obbediscono e basta. Che schifo”.

Kasday lo guardava senza dire una parola.

Ma l’Arcangelo non aveva finito: “E sai qual è il peggio, Kasdy? Che noi li adoriamo! Noi preghiamo quegli Dèi che ci considerano meno di zero! Gli chiediamo di amarci, proteggerci e aiutarci. Ma nessuno di loro ci ascolta” e tacque di colpo.

Allora è questo che vuoi Luciherus…si disse il Serafino …vuoi essere amato ed ascoltato. O altro? Che cerchi? Kasday ammirava ed invidiava quell’Arcangelo. Voleva anche lui vagare per i Mondi e servire gli Dèi, gli Dèi! Lui ha parlato con gli Dèi!!

“Luciherus,..” domandò “..tu hai visto gli Dèi?”.

L’arcangelo si accese una sigaretta. Dopo una prima boccata di fumo rispose scocciato: “Chi? Io? Certo che no. I Messaggeri parlano con loro. Le divinità affidano i loro messaggi agli angeli dalle ali d’argento, che sono gli unici che li possono vedere, i quali trasmettono le loro parole a noi servitori. Gli Dèi sono troppo… non saprei come dire… troppo… in alto, ecco il termine giusto, sono troppo in alto! Le divinità sono troppo in alto per abbassarsi a parlare con dei mortali come noi. Perché ricorda, Kasday, che anche se abbiamo un vita molto lunga, alla fine del nostro cammino ci sarà sempre la Morte ad attenderci. Forse sbagliano a considerarci così miseramente perché, in fin dei conti, siamo noi che preserviamo la loro immortalità. Se nessuno crede in lui, un Dio muore! Ma io da solo non posso cambiare le cose… non posso far altro che obbedire”.

Kasday restò molto stupito di quel discorso. Gli Dèi non si mostrano? Ci considerano davvero meno di niente? Siamo i loro schiavi? Se io fossi un Dio, si ritrovò a pensare il giovane Serafino, mi mostrerei alle persone che credono in me. E le ascolterei. Tutte quante. Camminerei tra loro e cercherei di aiutarli in ogni modo. Ma forse è un grave peccato pensare in questo modo..

Tornando al discorso degli Hainuet e dei Denian…” riprese Luciherus “…hanno entrambi un Dio considerato il più forte e importante del gruppo. Per i Denian è la Dea del Destino a ricoprire quel ruolo. Lei prende le decisioni e gli altri Denian obbediscono. Gli Hainuet non hanno un capo, ma considerano il Kaos come una sorta di divinità suprema da non ostacolare in nessun modo. Ogni volta che viene deciso che un nuovo Mondo deve essere creato, per ordine degli Alti immagino, ma non chiedere sull’argomento perché non saprei darti spiegazione, il destino ed il Kaos iniziano a bisticciare. Quei due sono gli unici Dèi Creatori, gli unici cioè che sono in grado di incanalare e usare una quantità tale di magia adatta a poter creare un Pianeta e tutte le varie cosette che ci vanno sopra. Sono gli unici in grado di controllare tanta potenza e tante cose assieme. Una volta creato il Mondo nuovo, uno dei due prende il controllo del Pianeta. Questo in cui viviamo è una proprietà del Destino. L’ultimo Mondo creato, quello a cui sono stato presente, aveva come ordine quello di essere privo di guerra, dolore, odio, tristezza, paura, desideri… un mondo di infinita letizia, insomma. Ma finché non decidono chi comanda, il progetto non può avere inizio…”.

Kasday ascoltava attentamente e, dopo averci pensato un po’, affermò con convinzione: “Ma nessuno dei due può vincere! La Dea del Destino, si sa, è crudele quanto basta da creare abbastanza tristezza e incertezza, e il Kaos… be', è il Kaos! Come può avere un Mondo senza Guerra né Paura, se sono sua moglie e suo figlio?!”.

Luciherus guardò Kasday con occhi spalancati. Schiacciò il mozzicone della sua sigaretta sotto il mocassino destro.

“Com’è che sai ‘ste cose, cugino Kasdy?”.

Lo fissò con aria interrogativa, ma non ricevette risposta dal Serafino ed allora continuò a parlare: “Comunque hai ragione, Serafo. L’unico in grado di creare un Mondo equilibrato è, basta dirlo, l’Equilibrio. Ma il Dio che porta questo nome è vecchio e stanco. Non è in grado di controllare il Kaos. È troppo debole per poter fare qualcosa. Così la divinità del disordine fa un po’ quello che vuole, esattamente come il Destino. Il ruolo del Dio dell’ordine sarebbe quello di mediatore tra i due, ma non ha più questa capacità e di sicuro non ha la forza di creare un pianeta. L’Equilibrio è facile da spezzare, il Kaos è facile da creare. Basta che butti in terra un qualsiasi oggetto ed ecco che hai fatto la volontà del Dio dell’assurdo! E l’Equilibrio si indebolisce ogni volta che qualche cosa è fuori posto e fuori dall’ordine. Il motivo per cui capitano catastrofi e macelli vari è perché Kaos è fuori controllo. Fa quello che vuole e ogni casino che combina lo rende più forte, mentre il suo opposto lentamente si spegne. E certi disastri capitano anche qua, in un mondo governato dal Destino, poiché Kaos va cercando un buon avversario per divertirsi un po’ e, per ora, il Destino è l’unica che corrisponde a questa descrizione. Per rispettare la sua natura, quel Dio deve dare fastidio!”.

“Come hai tutte queste informazioni sugli Dèi?” chiese Kasday.

“Le ho lette” fu la risposta “Nella libreria proibita del tempio. E altre cose le ho sentite dire dai Messaggeri”.

Il Serafino non capiva perché quei libri fossero stati proibiti dagli anziani. Forse perché la consapevolezza di certi argomenti portava alla soppressione del loro dominio? Forse perché temevano che la gente, sapendo troppo, potesse ribellarsi?

“Non hai mai provato il desiderio di fare altro, Kasday? Insomma… che cosa fai tutto il giorno?”. chiese l’Arcangelo, continuando a guardare fuori.

Cosa  faccio tutto il giorno? Rifletté  l’ospite Ballo. Ed a volte canto. Adorava ballare. La magia scorreva potente in ogni sua vena quando si muoveva, quando danzava. Gli capitava di unirsi ai cori angelici anche se, doveva ammetterlo, la sua intonazione non era delle migliori. Soprattutto ora che, da adolescente, stava cambiando voce e piume, creando un insieme di abbassamento e storpiamento di toni decisamente poco serafico. Sapeva che era una situazione temporanea, ma comunque era irritante. Pensandoci... gli piaceva anche cantare, nonostante tutto! A volte desiderava tanto fare qualcosa di più… ma che cosa? Non c’era altro modo di passare il tempo, in quel mondo di infinita letizia, se non ballando e cantando.

Forse leggendo i libri nel tempio… ma come arrivarci alla cosiddetta stanza blu?

L’Arcangelo gli fornì la risposta: “Stasera andrò a far visita ai Sacerdoti ed ai Serafini  Capo nel Tempio. Credimi, saranno molto impegnati con me, cugino Kasdy. Se vuoi provare ad entrare nella biblioteca proibita, quella è l’occasione! Sali al piano di sopra quando nessuno ti vede, oltrepassa la porta ed è fatta. Ma non pretendere di leggere tutto in una notte, o in una sera. Sono decisamente troppi i volumi celati lassù”.

Kasday continuava a non capire perché quei tomi fossero così terribili da essere rinchiusi in segreto ed in silenzio per sempre. Ad un tratto gli vennero in mente tutti gli strani sogni che aveva fatto in quegli anni in cui Luciherus era assente. Doveva parlarne con l’Arcangelo!

“Lucy… io… vedo delle cose la notte…”.

“Mmm… il termine ̎cosa̎ è un po’ generico. Sii più preciso… che mi vuoi dire?”.

“Simboli. Nei miei sogni appaiono simboli che non ho mai visto prima. E si sente parlare una lingua che credo di aver sentito, ma non capisco”. Disegnò il simbolo che vedeva più frequentemente su un foglietto appoggiato su un tavolino color ebano e lo porse all’Arcangelo. Luciherus esaminò quel glifo con curiosità: una spirale nera.

“Questo è il simbolo di un Dio…” disse con un po’ di insicurezza “…ma al momento non saprei dirti a quale divinità appartiene esattamente. Per quanto riguarda la lingua… il tuo amico Vereheveil non ti aiuta?”.

Kasday scosse il capo, afflitto. “Dice di non averla mai sentita” sospirò. “E la stessa risposta mi han dato tutti quelli a cui ne ho parlato. Dicono che è solo nella mia testa, e che forse sono un po’ matto. Credi che nella libreria del Tempio ci sia un testo in grado di aiutarmi? Credi che là possa trovare delle risposte? E perché tutti quei testi sono tenuti lontani dalla gente?”.

L’arcangelo lo guardò con tenerezza: “Trovare le risposte a tutto, tra quei volumi, non credo sia possibile. Ma ci puoi provare. Per quanto riguarda il motivo della loro segretezza, ti posso dire che il ruolo dei Serafini Capo dipende dal fatto che ci hanno convinti che solo loro sono in grado di parlare e capire gli Dèi ed i loro Messaggeri. Ma non è così. E alcuni di quei libroni lassù possono darne conferma. E se tutti lo sapessero... sarebbe un bel casino, non trovi? Comunque, cugino, sta calando il Sole. Io ho un appuntamento con venti signori dalla lunga barba ed il capino a riccioli. Vado a cambiarmi ed a rimettere quella specie di tenda frusciante. Se mi presento così, neanche mi fanno entrare al Tempio! Buona fortuna, nel caso tu decidessi di provare ad entrare nella stanza blu stanotte. Io sarò là, con altri che sanno la verità e che vogliono cambiare”.

Si tolse la cravatta quasi con rabbia. Fissò con odio la tunica appesa alla parete e Kasday si avviò verso l’uscita.

“Un'ultima cosa…” riprese l’Arcangelo “…non chiamarmi mai più Lucy! Ti mordo, se lo rifai!”.

Si guardarono sorridendo. Il Serafino si disse che decisamente stava meglio con quegli strani abiti suo cugino, piuttosto che con la tunica. Ma gli anziani non avrebbero mai accettato un indumento così “fuori norma” in un luogo sacro.

Si salutarono ed il più giovane chiuse la porta, mentre l’Arcangelo sfilava le ali dalla giacca attraverso due fori fatti sulla schiena.

Con l’avvicinarsi della sera, tutte le creature angeliche si affrettavano a tornare verso la propria abitazione. Si diceva che di notte il Dio Kaos si aggirasse incontrollato per le vie facendo del male al malcapitato che, inavvertitamente, osava incrociare il suo sguardo.

Le ombre si allungarono velocemente ed il Serafino affrettò il passo lungo il ciottolato. Diede uno sguardo al Tempio ed a tutti quei gradini eburnei. Era una cosa saggia provare ad entrarci? Voleva veramente cambiare le cose? Voleva delle risposte… risposte ai suoi incubi ed ai suoi dubbi.

E Luciherus? Che aveva in mente? Voleva scombinare le gerarchie? O semplicemente richiedere la libertà che, a sua veduta, non aveva mai avuto? Ed in che modo gli Anziani avrebbero potuto placare ed accontentare la sua rabbia ed i suoi desideri? Queste e molte altre domande giravano per la testa del giovane Serafino mentre camminava, a capo chino, per la capitale.

Sono, forse, la creatura più confusa di questo Pianeta! Si disse.

Attraversò in fretta le piccole vie che lo portavano verso casa. Il bianco dei muri, delle porte, perfino dei tetti, stonava rispetto ai suoi capelli neri. Per questo aveva scelto di vivere un po’ fuori dal centro, vicino al bosco, tra gli alberi. Stare in mezzo al verde gli faceva dimenticare molte cose che, a volte, gli venivano in mente. Come quella spirale nera… quanta paura risvegliava in lui quel simbolo! Ma perché? Decise che al Tempio ci sarebbe stata la risposta che cercava!

Il Sole scendeva piano verso Nord, mentre due pallidi satelliti sorgevano, uno a Est ed uno a Sud, cominciando ad illuminare timidamente la Città degli Angeli.

Quanto mi piace questo Mondo! Si disse Kasday.

Estrasse una chiave dal colletto della tunica, la teneva appesa al collo con un filo d’oro, la inserì nella serratura della porta azzurra ed entrò a casa sua. Cominciarono a scendere lievi gocce di pioggia.

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Capitolo 5
*** V- Tempio ***


V

 

TEMPIO

 

 

Quando l’oscurità della notte prevalse sulla luce del giorno, alcuni Angeli iniziarono ad uscire dalle loro case e si avviarono verso le gradinate del Tempio. La pioggia si era fatta battente e gelida.

Kasday, avvolto in un lungo mantello, copriva la testa con un cappuccio e avanzava a capo chino. Si era avvolto bene nelle stoffe per evitare di bagnare le ali. Se lo avessero scoperto, doveva avere le piume leggere e pronte al volo. In caso contrario, cioè nel caso in cui fossero state umide e pesanti, non avrebbe potuto sollevarsi da terra tanto facilmente.

Iniziò a salire i 225 scalini che portavano all’ingresso del luogo sacro. Tradizione voleva che si dovessero fare tutti a piedi, mai volando, per potersi purificare e fare ammenda dei peccati.

Vide che dalla finestra del piano inferiore usciva una luce intensissima. Evidentemente Luciherus era già lì. Dalla cupola, la sede dei libri proibiti, non si vedeva nulla. Nessuna luce, nessuna ombra. La biblioteca molto probabilmente era deserta. Erano, infatti, tutti al piano di sotto.

Aprì il portone con cautela e non con  poco sforzo. Sentì delle grida: urla di rabbia. Si stavano insultando. O meglio, gli anziani ed i capi insultavano il portatore di luce che sapeva benissimo rispondere a tono, con tutte le sue S sibilanti.

“Ci sarà sempre qualcuno al di sopra di te!” urlò qualcuno.

Dove aveva già sentito questa frase? Si arrestò Kasday, per un attimo, sulla ripida scalinata che portava all’ingresso della biblioteca. Ispirò a fondo, strinse i pugni e si diede coraggio. Ripartì convinto. Se mi scoprono…mi uccidono! Togliendosi quel pensiero dalla testa, entrò nella cupola.

Girò la chiave e spinse la porticina scura. La stanza blu lo spaventò e non poco. Immensa, lo fece sentire piccolo, insignificante e, soprattutto, debole. Migliaia di libri lo circondavano, distribuiti in ordine alfabetico sugli scaffali azzurro cielo. Quale scegliere?

Devo cercare il significato dei disegni dei miei sogni si disse se Luciherus mi ha dato un’informazione corretta, devo riuscire a trovare un libro sugli Dèi. Uno di questi volumi deve contenere i loro simboli!

Iniziò a cercare tra gli scaffali. Vide, in cima al terzo scomparto, un libro grosso e logoro. A caratteri d’oro portava scritto sul dorso la scritta “La Città degli Dèi”. Con un colpo d’ali, salì a prenderlo. A causa del peso notevole del volume, rischiò di cadere a terra. Preso alla sprovvista, perché non si aspettava un tomo così massiccio, spalancò tutte e sei le ali e riuscì a non precipitare.

Appoggiò il librone sul pavimento, lasciando che le sue piume stessero ben aperte. Soffiò sulla copertina sollevando un bel po’ di polvere e si mise a tossire. Uno starnuto fece volare un paio di sue penne per la stanza. Devo ricordarmi di raccoglierle, prima di uscire si disse.

Continuò ad esaminare il libro. Sembrava molto vecchio. Con un klack aprì i due ganci che lo tenevano chiuso. Stando seduto in terra prese coraggio ed aprì il volume. Una luce abbagliante ne uscì e si trattenne dal gridare, nonostante lo spavento, consapevole che avrebbero potuto sentirlo.

L’abbagliante raggio che lo investì colpì in pieno le sue pupille che si serrarono, diventando sottili come due fili d’erba.

 

 

Intanto, al piano di sotto, si erano radunati molti angeli, incuriositi dalle grida. Nei luoghi attorno al Tempio vigeva, normalmente, il silenzio e l’insolita confusione aveva attirato un bel gruppetto di curiosi. Luciherus stava in centro all’immenso salone. Brillava più forte di tutte le candele presenti nel luogo di culto. Guardò la statua che gli stava di fronte. Rappresentava una figura danzante, con molte braccia. Su ogni mano fluttuava un simbolo luminoso e ogni segno rappresentava un Dio.

Notò che uno di loro brillava più di tutti.

Simbolo che la divinità corrispondente è vicina? si chiese.

La spirale nera. Luminosissima e pulsante stava sopra la mano con su scritto “Kaos”. Luciherus sussultò, per un attimo ricordandosi dei sogni di Kasday. Ma dovette subito tornare alla realtà perché aveva ben altri problemi: gli anziani erano nel bel mezzo di una predica nei suoi confronti.

Sarà la centesima volta che mi sento fare questi discorsetti di rimprovero.

Tentò di spiegare il suo punto di vista, esponendo le proprio teorie ed il desiderio di maggiore libertà. Le sue parole sulle divinità ed il sistema di comando risvegliarono non poca curiosità tra la gente presente. Nel sentire cose che una creatura angelica qualunque non avrebbe mai potuto sapere, uno dei Serafini  Capo si avvicinò all’Arcangelo. Con aria minacciosa, gli si parò davanti ed afferrò con  rabbia quel ciuffo che Luciherus teneva sempre sull’occhio.

“Quante volte ti abbiamo fatto notare che quel ciuffo è irritante?!” lo strappò con decisione. L’Arcangelo trattenne un grido. Serrò gli occhi e girò il viso. “Fottiti” sussurrò.

L’anziano non fu in grado di sentirlo, ma intuì i pensieri del giovane.

Il Serafino gli bloccò il volto tra il pollice e l’indice dicendo: “Guardami, giovane dalla mente decisamente confusa!” e Luciherus obbedì.

Lo guardò negli occhi esprimendo sicurezza e rabbia. Gli occhi aranciati brillarono e la pupilla dell’occhio sempre celato si mostrò sottile come un foglio di carta.

“Tu hai visto i libri proibiti!” sbraitò l’anziano “Ecco perché una volta tenevi coperto l’altro occhio, mentre invece ora il ciuffo ha cambiato posto! Hai dovuto cambiare lato, per poter coprire l’occhio simbolo del tuo peccato!”.

“Ma quale peccato!” sibilò l’Arcangelo, spingendo all’indietro il Serafino anziano, che cadde in malo modo. “Maledetti vecchi!” urlò Luciherus, ancora con gli occhi lucidi a causa del ciuffo strappato. Nonostante tutto, il suo sguardo era pieno d’orgoglio e convinzione.

Quasi ringhiando, continuò: “É forse peccato sapere ciò che voi non ci volete dire? È forse peccato sapere come sono gli Dèi veramente? È forse peccato voler cambiare?”. 

“Vuoi cambiamenti? Li avrai!” rispose un altro Serafino anziano.

I capi si stavano riunendo in cerchio. Prendendosi per mano iniziarono a borbottare una sorta di nenia. Luciherus non capiva che cosa si stessero dicendo. Sussurravano troppo piano e l’unica cosa che riusciva a capire era che parlavano in angelico.

“Mi state maledendo, piumini per la polvere?” domandò l’Arcangelo.

Si sentì sbattere il portone d’ingresso. Mihael, il guerriero, entrò brandendo la spada: ora sapeva chi doveva combattere. Schiere di Angeli armati circondarono Luciherus ed i suoi seguaci.

L’attaccato serrò i pugni.

“Vieni, Mikino bello. È da secoli che ho l’irresistibile voglia di farti molto, molto male!!”.

 

 

Kasday riaprì gli occhi con un senso di assoluta confusione nel corpo e nella mente. Dopo pochi attimi di smarrimento, cominciò a sfogliare il grande libro. Scosse la testa per riprendersi ed iniziò a leggere, seduto a terra. Le sue sei ali fremevano a causa della lieve corrente che proveniva da una piccola finestra aperta. Rimase perplesso dal testo che aveva davanti perché la parte destra era in bianco. La sinistra era invece nella sua lingua e sembrava una specie di trattato con varie descrizioni di divinità. Girando una delle pagine, ritrasse la mano di colpo: si era tagliato un dito. Una goccia del suo sangue cadde sulla carta luminosa ed iniziò ad emettere lucette azzurre. La parte destra del volume, prima del tutto priva di ogni segno, iniziò a riempirsi di simboli e parole in una lingua che il Serafino ignorava. In mezzo ad una delle pagine, vide apparire ciò che più volte aveva visto in sogno: la spirale nera. La toccò e sentì il libro che lo chiamava per nome.

Il volume iniziò ad inviargli immagini e parole che lentamente cominciò a comprendere.

Conosco questo posto! Nella sua mente si era materializzato un grande salone in totale disordine, con un trono imponente al centro. Sentiva delle voci che spiegavano ciò che vedeva.

Il palazzo del Kaos! Le figure continuarono a susseguirsi, una dietro l’altra.

Kasday respirava sempre più in fretta, la sua aureola pulsava velocissima.

Il palazzo di mio padre!

Quegli improvvisi ricordi lo colpirono come un fulmine, ma subito si rese conto che il dolore che provava al petto non era causato da ciò che stava leggendo: una lancia nera gli trapassava il cuore. “La lancia degli Hainuet” ansimò, voltandosi.

Uno schizzò rosso vivo aveva macchiato il libro aperto su entrambe le pagine e ora anche il pavimento blu si stava tingendo dello stesso colore. Sentiva in bocca il sapore del sangue: stava morendo. Vide un uomo dietro di lui., o perlomeno, sembrava un uomo. Altissimo. Enorme. Pareva continuare a crescere ed aumentare di dimensioni e quasi toccava il soffitto. Il ferito non riusciva a percepire chiaramente i contorni di quella figura, così indefiniti e sfuocati. Non riusciva a capire se la sua incapacità ad individuarne i tratti fisici era dovuta alle sue attuali pessime condizioni od alla reale forma fisica di quell’essere..

Lo sentì parlare con la sua voce profonda: “Sapevo che gli Dèi neonati sono consapevoli e hanno ricordi fin dal loro primo respiro. Ora ho la certezza assoluta che sanno qualcosa in più, come la faccenda della lancia degli Hainuet e la spada dei Denian. I loro simboli. È un onore morire dilaniati da quella lancia!”.

La estrasse di colpo e Kasday urlò, sentendo la vita che lentamente lo abbandonava.

“Il bello, mio caro ragazzo, piccolo Kasday,…è questo il nome che ti hanno dato giusto?…il bello è che sei debole. Mortale. Non come me. Non come un Dio. Le divinità sono difficili da uccidere. Tu, invece, sei così delicato! Posso ammazzarti tutte le volte che voglio senza fatica. E anche se so già che rinascerai, perché una simpatica signora con una palla in mano ha deciso così, io tornerò di nuovo a porre fine alla tua vita! A tutte le tue vite! Rinasci pure dove e quando vuoi, ma io tornerò sempre per distruggerti! Addio! Per ora…”.

Per tutto il tempo, l’alta figura aveva tenuto un piede sulla schiena del Serafino agonizzante.  “Perché?” ansò Kasday terrorizzato e dolorante.

“Perché?! Bella domanda…perché mi va! Sono il Kaos e non voglio averti tra i piedi! E ogni volta che ti verrà in mente chi sei veramente e qual è il tuo compito, io farò in modo che non  ti serva avere di nuovo quel ricordo” il Dio gracchiò quella risposta, con la sua voce ferruginosa, e rise facendo tremare le pareti.

Dopo aver spalancato la porta, puntandogli l’indice contro, tese la gamba e scaraventò il giovane angelo giù dalle scale, facendolo atterrare in mezzo al salone, fra le candele, l’altare, le statue e gli Angeli in lotta.

 

 

Luciherus e Mihael combattevano come avrebbero voluto fare da tempo. La loro forza era pari, come pari era la loro determinazione. I due Arcangeli, tra le imprecazioni, si colpivano a vicenda con forza e rabbia ma poi si sentì un tonfo e una specie di rantolo, un gemito, seguito da una risata. Il pavimento tremò, così come le pareti del Tempio. Tutti si fermarono, volgendo il capo verso la ripida scalinata. Da li pareva provenisse quella risata terrificante.

“Kasday!” sussurrò l’Arcangelo più bello.

Lo vide disteso a terra e si rese subito conto del fatto che il suo giovane collega era ferito a morte.

Il sangue si stava allargando lungo la navata laterale, subito sotto la rampa che portava alla cupola dei libri proibiti. Soffriva, e Luciherus lo avvertì chiaramente.

“Rahahel! Ti prego, aiutalo!” supplicò l’Arcangelo cercando di individuare il suo confratello guaritore.

Rahahel, rimasto fino a quel momento lontano dalla massa di Angeli litiganti, cercò di avvicinarsi al Serafino ferito, ma si dovette fermare. Uno strano vento teneva le sue gambe fisse sul pavimento, immobili nelle loro posizioni. Tutti quelli che cercavano di aiutare Kasday venivano tenuti lontani da una sorta di forza magnetica.

Nel frattempo, una luce verdastra aleggiava attorno agli anziani che, nonostante tutto, continuavano a sermoneggiare. Luciherus, il più bello, sentì qualcosa di caldo scorrere dalla sua fronte. Con un dito si toccò le tempie. Sangue.

“Sangue!! Che mi state facendo? Voi e le vostre strane formule…”.

Si guardò in uno dei 100 specchi che tappezzavano le pareti del tempio. Le corna? Cosa volevano significare? E la coda…

Le sue ali dorate si spensero, divennero nere, perdendo la loro luce. Ma nulla poteva spegnere la luce rossa emessa dal corpo dell’Arcangelo che continuava, nonostante tutto, a brillare più di ogni altra creatura angelica. Strinse i denti con rabbia. Notò che tutti quelli che lo avevano appoggiato nell’esposizione delle sue idee al Tempio ora presentavano tratti simili ai suoi. Posò gli occhi arancio di nuovo su Kasday. Stava ancora in terra, boccheggiante. Pensando di essere, in qualche modo, responsabile della sua lenta agonia, Luciherus divenne triste. Una piccola lacrima scese sul suo viso. In fin dei conti quel piccolo Serafino era stato l’unico in grado di capire a pieno il suo punto di vista. Aveva qualcosa di diverso e di migliore rispetto agli altri Angeli.

“Perdonami Kasday!” sussurrò piano.

Non riusciva a pensare ad altro, se non al fatto che doveva esserci un modo per salvarlo. Mihael, approfittando della situazione, colpì l’Arcangelo più bello sulla spalla. Lo trapassò con la sua spada e lo fece cadere. Non era una ferita mortale, Luciherus lo capì subito, ma quel colpo basso lo fece urlare con tutta la sua forza :“Mihael! Era da tempo che te lo volevo dire…” si rialzò lentamente, in preda al dolore “…sei un figlio di puttana! Un bastardo! Un infame! Mi fai schifo”.

L’ultima parola gli uscì storpiata e con un tono di voce quasi bisbigliante. Si era messo in ginocchio, tenendosi la spalla ferita e Mihael vide le sue lacrime.

“É facile eliminare chi non la pensa come voi. Il mio povero Kasday…” piangeva il ferito, un po’ per il dolore e un po’ per la tristezza.

Le corna, che lentamente crescevano, gli appannavano i sensi. Le sentiva, pulsanti e calde, mentre uscivano dalle sue ossa e dalla sua fronte. Lanciò un grido: “Non è giusto! Io non voglio stare qui! Non voglio stare in un mondo così!”.

La figura in cima alle scale, rimasta in silenzio, compiaciuta del macello che si stava creando al piano di sotto, alzò una mano. Il vortice di forza magnetica che si era creato attorno a Kasday si espanse, spingendo fuori dal luogo di adorazione tutti i maledetti dagli anziani, seguiti da un bel po’ di piume vaganti. Il vento li spinse via da quel regno, da quel Pianeta, diretti chissà dove.

Gli Angeli del Tempio li videro sparire dall’orizzonte. La divinità, soddisfatta, si riavvolse nella sua nebbia, spiccò il volo e tornò nel suo palazzo, attraverso l’apertura di un portale magico dai mille colori.

 

 

Luciherus teneva stretto tra le braccia Kasday. Cadevano. Il vento bruciava sulla pelle scoperta e nessuno sapeva dove stessero andando. Si sentivano voci e suppliche da parte di tutti i cadenti. L’Arcangelo dalle ali spente abbracciava il Serafino morente.

“Tu non centri! E non devi morire!” gli disse, cercando di difenderlo dal vento pungente.

Ma si accorse subito che nessuno poteva mantenerlo in vita. Quella ferita era troppo profonda.

Che razza di divinità poteva averlo ridotto in quello stato? Che cosa poteva aver mai fatto di così terribile un ragazzo ancora così giovane e debole?

Sentì la voce di Rahahel e lo intravide in lontananza. Il guaritore aveva provato a seguirli per un breve tratto ma poi aveva dovuto rinunciare, sopraffatto dalla potenza di quella forza magica che spingeva via gli Angeli ribelli. 

“Perdonatemi!” disse, frustrato e deluso.

Luciherus lo sentì e sorrise debolmente:  “Grazie per averci provato, almeno tu” fu la sua risposta.

Kasday morì lungo il volo verso un Pianeta sconosciuto. Non disse una parola, con gli occhi sbarrati dal terrore e dalla tristezza.

Il più bello lo lasciò andare, rassegnato.

“Ci rivedremo. Lo so!” gli disse.

Spalancò le ali nere ad attese l’atterraggio su quel nuovo Mondo che lo attirava con la sua fortissima forza di gravità. Guardò il Serafino con gli occhi da Dio e lo lasciò andare. Sapeva che sarebbe rinato, qualcosa dentro di lui glielo diceva. Poi spalancò le braccia ed atterrò su quel nuovo mondo e sorrise. Urlò, rivolto al suo Pianeta natio, con la mano aperta verso la sua luce sempre più lontana.

“Sono libero ora! Lontano da un Mondo che detestavo, inizierò una vita nuova!

E saprò ritrovarti, Kasday! Tornerai da me!

E le tenebre lo avvolsero.

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Capitolo 6
*** VI- Demoni ***


VI

 

DEMONI

 

 

Il giovane demone se ne stava disteso a terra ascoltando musica. Batteva la coda a ritmo e faceva ondeggiare i capelli scuri, pieni di riflessi rossi, muovendo la testa. Teneva gli occhi chiusi e cantava. Poi, preso dal ritmo, si alzò in piedi e iniziò prima a battere il tempo con le mani e poi a ballare. Cosa molto poco da demone…si disse…ma che importa! Rideva, senza mai aprire le palpebre.

“Papà!” si sentì chiamare.

Tornò alla realtà, guardò chi lo chiamava e gli sorrise.

Mio figlio è stupendo.. si ritrovò a pensare  ..con la pelle color bianco latte della mia splendida compagna ed i suoi capelli oltremare. Per non parlare degli occhi! Scurissimi, di un nero così intenso da non lasciare spazio a nessun angolo bianco.

“Dimmi, Agares”.

Il bambino era abituato a sorprendere suo padre mentre ballava. Lo faceva sempre e lo divertiva, anche perché non riusciva a vedere in che modo il suo genitore potesse fare qualcosa di diverso. Non era di sicuro adatto a combattere o a dar prova di forza fisica perché era decisamente gracilino, magrolino e affusolato. E con le gambe troppo lunghe e sottili rispetto al resto del corpo.

Agares, pur essendo solo un bambino, presentava tratti già più “demoniaci” rispetto al padre, il quale sembrava sempre in uno stadio di sviluppo adolescenziale. Oltre alle gambe fuori proporzione aveva, infatti, anche le corna troppo lunghe e grosse e le ali ampie come quelle di una creatura di almeno tre volte più grossa di lui. A ciò che più di tutti lo distingueva da tutti gli altri demoni erano gli occhi: azzurri. Era l’unico demonio di tutto il Pianeta ad avere gli occhi azzurri!

Ma Agares sapeva che sua madre lo aveva scelto come suo compagno proprio per la sua particolarità, perché era diverso da ogni altro diavolo.

Il piccolo sorrise con i suoi dentini a punta. Dimostrava cinque o sei anni. Con le mani incrociate dietro la schiena, si alzò sulle punte il più possibile.

“Guarda papà..i miei cornini..” disse, felice.

Il demone adulto si inginocchiò e le guardò da vicino. Piccole e rosse, le corna del figlio brillavano come le pietre del Sole.

“Sono cresciute ancora!” esclamò con orgoglio.

Il padre lo abbracciò forte e gli diede un bacio sulla fronte :“Sei bellissimo, piccolo mio. Come tua madre. Ti voglio bene!”.

Il bimbo lo spinse via con decisione: “Dai, papà! Fai il demone ogni tanto!”.

Il giovane si mise a ridere, ma smise subito. Il suo erede era convinto di ciò che diceva.

 “Scusami, Agares, dimenticavo che ormai sei grande!”

“Non è per questo! E che io sono un vero demone. Non ballo, non canto, non do bacetti…”.

Voleva continuare con l’elenco ma si fermò. Suo padre, seduto in terra, lo guardava con aria smarrita, confusa, con i suoi due enormi occhi color del cielo.

“Comunque, papà, sono qui per dirti che il Principe chiede ti te”.

Il Principe.. pensò il demone  ..tecnicamente, mio cognato.

La sua compagna, Lilim, era nata alcuni minuti dopo la sorella Lilith, la compagna del Principe. Quindi, teoricamente, avrebbero dovuto conoscersi, ma in realtà non si erano mai neppure parlati.

Forse perché il Principe non aveva tempo da perdere con quel parente acquisito, più simile a quegl’esseri che gironzolavano per altri Mondi senza magia piuttosto che ad un abitante di quel Pianeta. O forse perché lui, diavoletto sproporzionato, non usciva mai dalla sua casa. Un po’ per timore degli altri individui che stavano al di fuori delle sue quattro mura, che amavano divertirsi con uno sgorbietto come lui, e un po’ perché aveva trovato il modo di mantenersi senza muoversi dal suo nido: scrivendo. Aveva abbastanza pazienza da ricopiare, riscrivere, ristrutturare, correggere e tradurre i vecchi testi che gli venivano portati quando questi si rovinavano o se ne servivano più copie. Era una dote che aveva scoperto da poco, prima di allora era la sua compagna a portare i soldi in famiglia. Lei era brava a ballare e cantare ed era la più bella, seconda solo a Lilith, di tutti gli abitanti del Mondo dei demoni. Tutti si chiedevano di chi fosse la compagna, quello splendore e nessuno poteva immaginarsi che lei potesse stare assieme ad uno come lui, il demone che si spezza con un soffio di vento. Ma da quando scoprì di aspettare il bambino, loro figlio Agares, aveva smesso di esibirsi. Ora aiutava il suo compagno nel suo lavoro, dimostrando una notevole capacità artistica nelle miniature. Il fatto che non lavorasse più in pubblico, fece molto infastidire la sorella maggiore Lilith. Il suo parere era che la sorellina dovesse trovarsi un compagno più bello e più “demoniaco”, in grado di difenderla e comandarla.

Le proteste di Lilith, prima della nascita di Agares, furono le ultime parole da parte della famiglia regnante. Poi più nulla. Ed ora il Principe richiedeva la sua presenza. Il demone fragile, il cognato dimenticato, convocato dal padrone del Regno. Chissà per quale motivo…forse era a causa di quelle voci. Più di qualcuno affermava che il vero padrone del Pianeta, nonché suo creatore, che portava il nome di Kaos, stava radunando un esercito.

Che mi abbia convocato per questo? No, impossibile! È più adatto mio figlio, che ha cinque anni, a far parte di un esercito rispetto a me! Ma allora? Che cosa vuole da me? Non mi sembra il tipo da convocarti giusto per fare quattro chiacchiere…che vuole da me?

L’unico modo per saperlo era andare fino alla capitale e scoprirlo di persona.

 

 

Fare un viaggio per il Mondo dei Demoni era una vera e propria avventura.

Essendo un Pianeta governato dal Kaos, non vi era un solo elemento logico in tutta la sua superficie. I fiumi si spostavano, i boschi sparivano per poi ricrescere, nel giro di un paio di ore, in un luogo diverso. Inoltre i monti cambiano forma, gli alberi passano dallo stadio di germoglio a quello di sequoia in una notte e nulla rimaneva immobile per lungo tempo. Le uniche cose a cui era concesso stare ferme erano le case e le costruzioni. Ma solo se, subito dopo essere stati eretti, questi edifici venivano sigillati e bloccati con una formula magica ed un glifo particolare. Se sulla porta, o in qualunque altro luogo, non c’era il glifo, o se la formula non veniva pronunciata correttamente, c’era il forte rischio di ritrovarsi la casa a spasso per il Pianeta senza preavviso.

Le torri asimmetriche della capitale si intravedevano da qualunque punto del Mondo ed erano l’unico punto di riferimento fisso. Neppure le stelle potevano essere utilizzate per orientarsi di notte perché la loro posizione mutava di giorno in giorno a causa dell’orbita molto irregolare e priva di senso del Pianeta dei Demoni. Questo, oltre a rendere difficile l’orientamento, rendeva anche le ore della luce e del buio molto mutevoli, così come le stagioni che potevano rimanere invariate per mesi o passare dalla primavera all’autunno in pochi giorni.

Tutto seguiva i capricci del Dio del Kaos, che mutava i giorni in base ai suoi sbalzi d’umore. Il demone che voleva raggiungere la capitale sapeva bene che l’unico modo era individuare le due torri più alte del palazzo del Principe e andarci incontro.

Il convocato iniziò a volare verso quei due punti di riferimento. Non si curava del buio.

Le due torri, storte ed a protuberanze, brillavano sempre grazie alla luce emessa dal Principe, che era l’unico demone in grado di emettere luce propria. Curioso, ma nessuno fin ora aveva mai avuto il coraggio di andare a chiedergli il motivo della sua costante luminescenza. Sarebbe stata una follia perché tutti lo descrivevano come un demone crudele e con poca pazienza, spietato e violento.

Avrebbe tagliato la testa a chiunque avesse osato andare a dargli fastidio per simili sottigliezze riguardanti il suo colore e le sue lucette.

Il demone stava volando da giorni, attraversando valli, colline e villaggi, quando finalmente cominciò ad individuare il contorno della capitale, circondata da mura. Sapeva che, una volta oltrepassato il cancello principale, ci voleva ancora un giorno di volo per poter giungere al palazzo del Principe. Per fortuna le sue ali, sproporzionate ed enormi, gli permettevano di fare poca fatica.

Almeno una cosa positiva nel mio essere così…assurdo!

Si disse soddisfatto, notando i volti degli altri demoni che, come lui, erano giunti fino alla cittadella. Erano stravolti ed affaticati, mentre lui sentiva a malapena la stanchezza. Sorrise e continuò il suo volo.  Meglio non far aspettare il Principe!

La capitale si estendeva sotto di lui, immensa, con tutte le sue architetture e la sua gente. Vedeva i bambini correre per le vie, le donne per i mercati a fare spese, alcuni operai che trasportavano le pietre per delle riparazioni o per nuove costruzioni, gente che rideva e che litigava…non era abituato a tutta quella vitalità. Viveva in campagna dove tutto era più lento e silenzioso. Lì sembrava che tutti avessero fretta! Correvano, saltavano, urlavano e parevano tutti indaffarati.

 Il giovane giunse davanti al cancello del palazzo principesco. Si stiracchiò le ali e si sistemò un attimo. Poi fece un passo, ma non riuscì ad andare oltre: i due guardiani, Adanak e Damhar, lo afferrarono saldamente.

“Dove credi di andare?” tuonò Adanak.

Massiccio e forte teneva il braccio del giovane piegato dietro la schiena e ringhiava. I suoi occhi rossi stavano fissi sul malcapitato, che gemette per il dolore.

Damhar continuò: “Il Principe non riceve visite di piacere!”.

Anche lui ringhiava e teneva ferocemente, con gli artigli, le ali del demone sproporzionato. Lo colpì violentemente facendolo cadere in terra. Che accoglienza! si disse il povero diavolo. Non poteva competere con quei due. Erano grossi e inferociti, addestrati per tenere lontani gli intrusi indesiderati ed a nulla servivano le sue spiegazioni. Tentava invano di convincere i guardiani del palazzo che era stato convocato e che aveva il diritto di stare lì davanti, che doveva entrare ad incontrare il Principe.  Dopo diversi ed invani tentativi, non vide altra soluzione se non quella di tornare a casa. Prima, però, guardò di nuovo l’edifico: metteva i brividi. Centinaia di statue di draghi, demoni e serpi guardavano la città con  i loro occhi di fuoco. Sulla facciata erano rappresentate strane scene di guerra tra angeli e demoni, ma nessuna delle due parti vinceva mai: una guerra infinita. I draghi sputavano fuoco dalla loro bocca di pietra ad intervalli variabili. Le mura, nere come l’onice, splendevano alla luce di uno dei satelliti d’argento che brillava sulla capitale in quella notte stellata. Il cancello era pesante e massiccio, in stile gotico, con riccioli e decori di mostri e figure minacciose.

Forse è meglio se io non ci entro là dentro…si consolò il giovane, spaventato da tutti quegli sguardi malvagi. Se la casa è cosi…figuriamoci com’è il proprietario!!! Mi sbranerà! Mi avrà convocato per divertirsi, come fanno gli altri demoni da cui devo scappare da quando sono nato!

Sospirò e fece per andarsene ma una voce roca lo fermò: “Si fermi, per cortesia”.

Il demone senza proporzioni si girò lentamente: che bella sensazione sentir parlare in modo educato in questo Mondo di zotici dal vocabolario ristretto! Individuò la figura che si era rivolto a lui con quelle belle parole. Era un grosso diavolo che stava davanti alla porta d’ingresso, oltre il cancello, e in cima alla rampa di scale che separavano il convocato dall’ingresso. Portava un lungo mantello scarlatto, legato al collo con un fiocco. Una spada pendeva dal suo fianco e la sua aria minacciosa fece rabbrividire sia Adanak sia Damhar.

Il giovane si spaventò non poco notando i muscoli dell’ultimo arrivato.

Questo vuole mangiarmi!

Il grosso demonio iniziò a parlare: “Io sono Asmodai, il capo di questo branco di idioti vagamente identificabili come soldati. Non sono stupidi infondo…ma non hanno né l’educazione né la pazienza per ascoltare chi hanno di fronte, salvo  non gli vengano rivolti degli ordini. Voi dovete essere il demone convocato dal Principe…”.

Il demone dai capelli a riflessi rossi annuì: “Se non do fastidio..”.

Asmodai gli sorrise: “Povero piccolo, non aver paura. Qui non mangiamo nessuno. Qualunque cosa ti abbiano raccontato!”.

Il giovane si fece coraggio. Porse al guardiano massiccio, che nel frattempo era sceso dalle scale, la lettera con la convocazione ed il sigillo del Principe. Asmodai afferrò il foglio con due dita facendolo passare attraverso le sbarre del cancello. Con un rapido cenno del capo, il diavolo con il mantello fece aprire i cancelli.

“Mi segua, la prego” parlò, ed il giovane attraversò il cancello.

Dietro di lui, Asmodai tirò due ceffoni ai due guardiani che lo avevano maltrattato. Il tutto accompagnato da parole molto poco gentili.

“Non è necessario. Facevano il loro lavoro” sussurrò il piccolo diavolo.

“Ma voi siete un demone davvero?” chiese Asmodai divertito “Siete troppo buono!”.

Detto questo, lo accompagnò oltre il portone d’ingresso: era arrivato a destinazione, era entrato nel palazzo!

 

 

Guidato da Asmodai, percorse il lungo corridoio buio, illuminato fiocamente solo da qualche fiammetta che faceva intravedere delle statue di pregevole fattura. L’ospite si abituò presto all’oscurità e riuscì a seguire facilmente la sua giuda, che gli parlò: “É sempre buio qui. O meglio, è buio quando il Principe non è presente. Con la sua luminescenza, riesce a dar luce ad ogni stanza della sua abitazione”.

Quindi dedusse il demonietto il Principe non è in casa adesso..

“No, il Principe ora non c’è” gli disse Asmodai, quasi leggesse nel pensiero. Forse lo faceva davvero.. “Il Principe ora non c’è, ma è in arrivo. Ora la sto conducendo nel salone principale, dove Madama Lilith le vuole parlare”.

 Madama Lilith? La sorella della sua compagna. Chissà che cosa voleva. Forse rinfacciargli che non era abbastanza per la sua bellissima sorella.

Non è che sono stato chiamato qui per errore? Per qualche sbaglio?

Tutto a un tratto ebbe paura. Il Principe irritato per qualcosa era uno spettacolo da evitare, soprattutto se eri tu la causa della sua irritabilità. Se da irritato, poi, diventava furioso…tremò nonostante la temperatura estiva.

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Capitolo 7
*** VII- Lilith ***


 

VII

 

LILITH

 

 

I due demoni giunsero davanti ad un portone nero con decori in argento lucido. Allo stesso modo della facciata, i decori erano volti accigliati e infuocati che fissavano gli intrusi con aria minacciosa. Asmodai bussò due volte. I colpi sul legno rimbombarono lungo il corridoio.

Rispose una voce femminile: “Entra pure”.

Il demone guardiano dovette usare tutta la sua forza per poter aprire il pesante ingresso nero, anche se gli bastò solo una piccola fessura per far passare il demonietto sproporzionato, che però non aveva il coraggio di entrare. Guardava ammirato Asmodai. Se lui, quel demone così grosso e muscoloso, faceva così fatica ad aprire quella porta, cosa avrebbe potuto fare lui da solo?

Per fortuna che c’è lui con me…si disse il giovane. Gracilino come sono, restavo di sicuro chiuso fuori, nella speranza che qualcuno mi possa venire ad aprire. Se questo bestione deve fare un così grosso sforzo…

Si accorse che il “bestione” lo stava guardando e gli faceva segno di entrare.

“Madama Lilith chiede di Voi. Non di me. Entrate, prego, e scusate ancora per il comportamento delle guardie all’ingresso”.

Notando la titubanza del piccolo demone, Asmodai lo spinse dentro con una mano e chiuse il portone dietro di se.

Il demonietto non ebbe il tempo di opporre resistenza né di rispondere alle scuse.

 

 

Il portone si rinchiuse dietro di lui, con scricchiolii e cigolii inquietanti, lasciandolo solo, nell’immenso silenzio. La luce filtrava debolmente tra le tende che coprivano le alte finestre e così l’ospite iniziò a guardarsi intorno. Aveva chiamato un paio di volte il nome di Lilith, ma non aveva ricevuto risposta. Guardò in su. L’altissimo soffitto aveva davvero degli strani disegni. Angeli, Demoni e complicati simboli che si incrociavano, formando cerchi concentrici di colori diversi.

La stanza gli parve cilindrica, ma capì subito che andava restringendosi verso la cima, come un cono tronco.

Del resto, pensò, siamo in un regno governato dal Kaos. Le forme perfette e le linee perpendicolari devono essere una vera rarità!

Si guardava attorno, curioso, agitando la coda. Era, in fondo, una bella stanza nonostante gli strani sguardi minacciosi delle statue. Di fronte all’ingresso, verso il fondo della parete, stava una specie di trono rialzato. Su quattro o cinque scalini pieni di protuberanze si erigeva un complicato intreccio di spuntoni e rientranze. Sembrava una corona di raggi d’ebano posto attorno ad una sedia d’onice lucida. Dietro al seggio il giovane demone ebbe modo di notare una piccola porticina.

Quella deve essere la porta d’accesso alle stanze private del Principe.

Da una specie di gattaiola, ai piedi della porticina, entrò un cagnolino a tre teste che si appisolò, accoccolato, sotto il trono. Il demone ospite decise di fare un po’ di luce nel salone, convinto che, oltre al cane, non ci fosse nessun’altro. Con le mani ed un po’ di magia creò una piccola sferetta luminosa che teneva sospesa tra i suoi due palmi. I raggi bianchi si espansero per la stanza.

“Ti diverti?” si sentì dire, all’improvviso.

Con un sussulto di spavento e stupore, batté le mani e spense la sfera. Sentì l’eco del suo gemito ripetersi più volte lungo le pareti.: Lilith stava di fronte a lui.

“Ti diverti?” si sentì di nuovo chiedere.

Respirò un paio di volte profondamente, per riprendere coraggio.

“Perdonate, Madama Lilith! Non credevo che Voi foste nella stanza…” esordì, pronunciando la frase tutta d’un fiato e chinando il capo.

Lei gli si avvicinò e gli sorrise, tentando di rassicurarlo. Non portava vestiti. Un serpente particolarmente grosso la copriva, in parte. Lei teneva la testa del rettile, la accarezzava, e spiegò che quel serpente era un regalo del suo compagno.

Pallida e splendida, lui non poté fare a meno di notare quanto assomigliasse alla sorella, Lilim. E sentì che avrebbe voluto fare molte cose con lei e con il suo corpo…come con la sorella.

Ma no! Si disse di colpo. Brutto idiota! È la compagna del Principe! Quello ti evira se solo…

“Non preoccuparti…”. Lilith interruppe i pensieri del giovane con la sua voce sensuale. “…tutti fanno gli stessi pensieri su di me. É il mio potere. Porto tutti i maschietti in uno stato di agitazione. E, soprattutto…”.

Tacque per un attimo. Si avvicino al demone ospite e appoggiò una delle sue pallide mani vellutate sul petto del ragazzo: “..soprattutto..di eccitazione!”.

L’ultima parola la sussurrò all’orecchio del diavolo che si ritrasse imbarazzato.

“Madama Lilith! La prego! Siete mia cognata!”.

Ma lei non si allontanò. Sbatté i due grandi occhi grigi.

“Non ha importanza” esclamò, invece “Siamo Demoni! Ogni demone ha più di un compagno o compagna!”.

L’ospite rimase accigliato e, anche se a fatica, allontanò la demoniessa con la mano.

“Io no, Madama Lilith. Voi, per caso, sapete dirmi il motivo della mia convocazione a palazzo?”.

Il serpente si spostò leggermente, lasciando la bellissima Lilith del tutto scoperta.

Non soddisfatto, il rettile iniziò a srotolarsi e ad insinuarsi tra le gambe del demone, vestito con un’ampia veste color porpora che era allacciata alla spalla destra, senza maniche che lasciava in vista il lato sinistro del suo petto. Si allacciava poi in vita con una cintura nera, ricadendo fino quasi alle caviglie.

“Come ti sei fatto quella grossa cicatrice sul cuore, cognato?”.

Lilith scuoteva la treccia di capelli vermigli. Il demone non era in grado di risponderle. Non lo ricordava. In evidente stato di agitazione, tentava di uscire da quella situazione che lo metteva in imbarazzo e in suggestione.

È una prova? C’è il Principe nascosto in qualche anfratto buio di questa stanza, pronto a sbucare all’improvviso non appena cedo alla tentazione e decido di possedere la sua donna? È così bastardo? Se io mi fotto la sua puttana ammaliatrice, lui che può farmi? Uccidermi?Oppure è lei che… Può lui punirmi se è lei a volere me? È lei che mi vuole…se io ora entro in lei, lui che può farmi? Compito suo sarebbe tenerla buona, non mia!So solo che non devo cedere. Anche se…

Sentiva la coda del serpente che saliva lungo la sua gamba.

“La prego, Madama Lilith, mi levi la sua bestiola che mi vaga tra le gambe con tanto entusiasmo…”.

Lei sorrise. Con un piccolo strattone, richiamò il rettile che tornò ad arrotolarsi attorno ai fianchi ed i seni della demoniessa. Solo la testa dell’animale era rimasta sempre nello stesso punto: accanto al viso della padrona, che lo accarezzava con le sue dita bianche.

“Sei un demone davvero strano, cognato. Adahel è il tuo nome…se non sbaglio, giusto? Nessun’altro aveva mai resistito a me…o al mio serpente! Ma se a te sta bene così…”.

Con un sorriso malizioso, tornò ad appoggiare le mani sul petto del demone.

“Chissà quanto ha fatto male quella ferita…che brutto segno ti ha lasciato…povero piccolo…”.

Si chinò e baciò la cicatrice.

“Ma…Ma…Madama Lilith!!” sussultò lui, cercando di sottrarsi a quel contatto.

Sentiva la lingua di lei passargli prima sul segno della ferita dimenticata per poi passare alla spalla e salire fino al suo collo.

Che bella sensazione…mia principessa…

“La prego!!” esclamò, cercando di resisterle.

Lei lo morse e lui si scansò deciso.

“Sei proprio un demone strano…”.

Lilith fece qualche passo indietro, continuando ad ondeggiare e a provocare. Lui pregò che il Principe arrivasse presto.

Dov’è il padrone di casa? Dov’è il Principe? Perché non è qui a soddisfare i desideri e le passioni della sua signora? È , forse, con altre? Lascia qui da sola questa creatura dagli strani pensieri per appagare i sogni di altre? Spero solo che arrivi presto. Qualunque cosa voglia da me!

Nonostante il suo, a detta di molti, notevole autocontrollo, la sua natura di demone fremeva ed era una sensazione difficile da dominare. La sua coda si agitava e frustava l’aria. Continuava a ripetersi che aveva di fronte la sorella della sua compagna, nonché concubina del Principe: non doveva pensare a certe cose!

Ma lei continuava. Provocava. Con quegli occhi, con quelle labbra, con quel corpo…

Oh, Principe, dove siete?

Lei andò a sedersi sul trono, schivando il cagnolino, che continuò a dormire. La demoniessa incrociò le gambe color latte e lasciò che il serpente se ne andasse a spasso per la stanza. Completamente nuda, guardò il giovane dall’alto di quei cinque scalini. Lui respirò a fondo, guardando altrove. Pensò alla sua compagna, a quanto fosse bella con quel suo piccolo vestitino e le  movenze leggere. Come ballava bene! E ora ballava solo per lui! Non avrebbe mai potuto tradirla…

Lilith parlò: “Perché, secondo te, il mio Principe ti ha chiamato qui? Cosa può volere da te? Hai qualche ipotesi?”.

Tirò su le gambe verso di sé ed iniziò a giocherellare con i suoi capelli ricci.

Lui si sforzò di tenere lo sguardo concentrato in altri punti della stanza. Non voleva guardarla.

“Non lo so, Madama. Non ne ho idea” rispose sinceramente

Lilith sospirò, guardando in alto con aria afflitta. Mugugnò quasi con tristezza: “Lui è sempre così misterioso! Non mi parla praticamente mai ed è un vero peccato perché adoro la sua voce. Purtroppo non so dirti cosa vuole fare e perché ti ha chiamato qui. Ma io so perfettamente cosa voglio da un tipo come te!”.

Si alzò dal trono ed iniziò a scendere dagli scalini. Lui iniziò ad indietreggiare ed inciampò sul serpente. O forse fu il serpente a farlo cadere. Si ritrovò disteso a terra, le ali aperte sul pavimento freddo e la coda che batteva sulla superficie lucida e nera.

“Ouch!” gemette, serrando gli occhi “Che botta!”.

Piegò le ginocchia cercando di rialzarsi ma non ci riuscì. Lilith stava su di lui, a braccia tese ed aprendo gli occhi, la vide. I lunghi capelli vermigli di lei gli solleticavano la pelle lasciata scoperta dalla veste. Lei si appoggiò su di lui ed Adahel non poté fare a meno di sentire la sua morbida pressione.

Così bella…e così vicina! Così desiderosa di avermi e così…proibita!

“La…prego…Madama…”.

Ma lei gli chiuse la bocca con un bacio appassionato.

“Mia sorella dice che sei bravo, perché non mi dimostri che è vero? Prendimi, per le fiamme di Gehenna!”.

Ricominciò a baciarlo.

Le fiamme di Gehenna? Te le mostro io le fiamme dell’inferno! Le sacre fiamme maledette del tempio di Gehenna, in confronto, non ti sembreranno niente di più di un piccolo fuoco. Un falò di solo fumo!

Il demone si stupì dei suoi stessi pensieri. Iniziò a dimenarsi, tentando di togliersi certe idee dalla testa ma, soprattutto, tentando di togliersi LEI di dosso! Il serpente, però, gli impediva di svicolare via. Stupido animale!!! Nel frattempo Lilith iniziò a scendergli lungo la veste con la mano affusolata, continuando il percorso che aveva iniziato prima il suo rettile.

I suoi baci e il suo contatto fecero accelerare i battiti cardiaci ed il respiro del demone.

“Lilith…” sussurrò.

Con le mani lungo i fianchi bianchi di lei, ad un tratto capì di non poterle più resistere. Con un sorriso, la attirò a te e ricambiò il suo bacio.

Fare l’amore qui, nel palazzo del Principe? pensò il demone. Possedere la sua compagna? Qui? Sapeva che era una cosa stupida, molto stupida, da fare. Una cosa sbagliata.

Se il Principe mi scoprisse…le conseguenze per me saranno terribili!

Ma non riusciva a fermarsi. Non riusciva a smettere di baciarla e non aveva altri pensieri in mente se non quello di stringerla forte a sé e mostrargli di cosa era capace. Accarezzò la pelle di velluto della bella tentatrice. La afferrò saldamente mentre lei gli sollevava la morbida veste. Lilith lo graffiò, sulle braccia e sul ventre. Lui la avvolse con le sue ali ed entrò in lei. Quasi con rabbia la prese, ringhiando. Con violenza. fece stare lei in contatto con il pavimento gelido. Lei gemette, graffiandolo ancora. Inarcò la schiena, supplicandolo di stringerla più forte. La demoniessa lo morse e lo fece girare un'altra volta. Ora stava di nuovo sopra di lui e, digrignando i denti, accelerò il ritmo, ansimando. Ma una coda lunga e nera afferrò Lilith per la vita e la sollevò, separando i due.

Il cagnolino a tre teste iniziò ad abbaiare.

“Scusate l’interruzione” si sentì.

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Capitolo 8
*** VIII- Principe ***


VIII

 

PRINCIPE

 

 

“Scusate l’interruzione”.

Una voce profonda e una luce, che illuminava tutta la stanza.

Il Principe! Il giovane demone scattò in piedi, tentando di ricomporsi, chinò il capo e sussurrò: “Perdonatemi, mio Principe!”.

Si sentì un idiota. Teneva la testa bassa e i pugni chiusi. Forse dovrei inginocchiarmi..forse dovrei invocare pietà..forse dovrei..Il silenzio che era sceso nella stanza lo inquietava, ma non aveva il coraggio di alzare gli occhi per vedere cosa stesse accadendo. Aveva paura di incrociare lo sguardo del Principe. Adesso mi uccide!

“Smettila di tremare, cognato”.

La voce del padrone di casa era straordinariamente calma e tranquilla, quasi divertita.

“Vi lascerò continuare più tardi, se avete questo desiderio. Ma ora ho altro di più importante di cui parlarti, Kasday”.

Kasday? Chi è Kasday?

Il giovane prese coraggio, alzò gli occhi e guardò il suo capo. Notò che sul collo e sul petto, scoperto, presentava profondi graffi lasciati da Lilith. Gli stessi graffi che ora anche il giovane aveva. La mia compagna mi ucciderà…ma non è questo, ora, il mio problema. Cosa vorrà il Principe da me?

“Mia Lilith…” lo sentì dire “…ti ho comprato quel serpente, è vero, e mi fa piacere che ti piaccia. Ma non te l’ho regalato affinché tu ti ci possa vestire. Hai tanti begl’abiti…”.

Continuava a sembrare calmo e tranquillo. Si era andato a sedere sul suo trono, con un grosso gatto nero appallottolato in grembo ed il cagnolino che gli faceva le feste ai piedi. Portava un mantello scuro, con un alto colletto fissato alla gola, e dei pantaloni neri e larghi con una cintura molto ampia, d’argento. La camicia, anche quella nera, era sbottonata ed aperta.

“Fa caldo” esclamò il Principe, “Oggi siamo in estate. Altrimenti sarei più elegante per te. Spero che tu mi possa perdonare”.

Il Demone  Capo sorseggiava qualcosa di non identificabile e si accese una sigaretta. L’ospite gracilino non poté fare a meno di notare quanto fosse grosso il padrone di casa. Le spalle, le braccia, le ali…quanti muscoli aveva quel demone luminescente!

 “I tuoi occhi…” ricominciò a parlare il Principe “…sono come in passato. Azzurri! Ma tu ora non puoi ricordare. Ti aiuterò io, assieme a Vereheveil”.

Vereheveil? Quel nome…cosa mi ricorda?

“Vieni con me” gli ordinò il suo capo.

L’imponente demone si alzò dal trono e si avvicinò al suo ospite, iniziando a spiegargli il motivo della convocazione.

“Devi sapere, mio cortese invitato, che tra poco ci sarà una guerra. E non una guerra qualsiasi!”.

Il Principe aprì la grossa porta d’ingresso del salone con una mano sola. Senza sforzo.

Asmodai ha fatto tanta fatica ad aprirla…mentre lui invece…spero di non averlo mai come avversario! Si preoccupò il giovane demone.

Il Demone  Capo illuminò tutto il corridoio, prima buio e tetro, con la sua luminescenza rossa. Accompagnò il suo ospite fino ad un'altra porta, massiccia, di color verde e oro.

“Ci sarà una guerra, Voi dite? E contro chi?” chiese il giovane, mentre il Principe cercava la chiave giusta tra tutte quelle che aveva in mano.

“Non una guerra tra noi Demoni ed altri mondi, come ci è solito fare…” rispose il grosso demonio, aprendo il portone con una chiave d’argento,“…ma bensì un affare molto più grosso. Una guerra tra Dèi!”.

Tra Dèi? Si chiese l’ospite, perplesso. Addirittura! E io che cosa c’entro?

 “Il capo degli Hainuet, il Kaos, e quella dei Denian, il Destino, hanno intenzione di farsi la festa utilizzando tutti gli eserciti di tutti i loro Mondi.” continuò a spiegare il Principe “E tu sai, spero, mio ospite, che questo è un Mondo il cui Re è il Kaos”.

Il giovane annuì.

Mi piace il suo modo di pronunciare le S. E’ così strano…si ritrovò a pensare.

“Non prendere in giro le mie S!” sbottò il padrone di casa, che nel frattempo si era messo al centro della stanza, espandendo la sua luce, illuminandola “Non pensarci nemmeno perché, ricorda bene, io leggo ogni tuo pensiero!”.

Ci fu un attimo di silenzio. Ora la voce del grosso demone si era fatta più minacciosa.

“Non voglio spaventarti…” continuò il Principe, spostandosi un ciuffo di capelli neri dal viso “…ma non è carino apostrofare i difetti degli altri, non trovi? Io in te noto un sacco di cose fuori posto eppure non te lo faccio pesare! Ad ogni modo…come avrai potuto notare, sono piuttosto irascibile per quanto riguarda la mia S sibilante. Sarà perché mi rompono le palle con ‘sta storia fin da quando ero piccolo…ma, tornando a noi…”.

“Io la trovo carina la vostra S. Non la prendo in giro” sussurrò il giovane.

Poi si morse la lingua, ripetendosi nella testa di smettere di dire cretinate.

Il Principe gli sorrise e sospirò: “Come hai fatto a sopravvivere in questo Mondo senza l’aiuto di nessuno?” gli chiese.

“Me lo chiedo anch’io” fu la risposta dell’ospite.

Il grosso demone si guardò attorno, come cercando qualcosa. Erano in un’immensa biblioteca. “Vereheveil? Dove ti nascondi, piumino?” chiamò il Principe.

Un giovane, fin ora rimasto nell’ombra, scese lentamente da uno degli scaffali della libreria, sfogliando un grosso volume. Sentendosi chiamare, lo richiuse e si avvicinò ai due demoni. I suoi capelli verde acqua, corti davanti e con un lungo codino dietro, risplendevano con la luce del Principe. Era vestito in modo davvero elegante, con un lungo abito nero con ricami d’argento.

I suoi occhi dorati guardarono l’ospite con curiosità mentre sul suo viso si apriva uno splendido sorriso. Il giovane demone notò subito che quegli occhi erano troppo grandi per essere gli occhi di un demone ed erano truccati, con dei segni che sembravano raggi di sole neri: poco demoniaco. Solo allora notò le ali del ragazzo dai capelli verdi: erano ali piumate! Erano ali come quelle di un angelo, solo che erano nere. L’angelo le scosse, facendo volare qualche piuma, per togliere la polvere che vi stava sopra a causa del suo continuo rimestare tra i libri antichi.

Ali angeliche! Che meraviglia! si disse il giovane demone, con una penna che gli volò fra le mani.

Si chiese come mai un essere del genere vivesse nel palazzo del Principe dei Demoni. Da quel che sapeva, gli Angeli e i Demoni erano sempre stati in guerra. Ma quella creatura aveva le ali nere…aveva qualcosa di strano. Quasi con tenerezza, il piccolo demone ebbe modo di notare che anche colui che ora aveva di fronte era magrolino e gracilino, come lui.

Anche se…lui è giustificabile, lui è un angelo! Io no…

“Eccomi, Lucy!” esclamò l’angelo nero.

Lucy? Che razza di nome è? È ubriaco? Cosa c’entra il nome del Principe con “Lucy”?

Il Demone  Capo rispose con un ringhio, evidentemente irritato per essere chiamato così.

“Te l’ho portato, Vereheveil. Lui non ricorda. Pronuncia la formula e fai in modo che gli torni tutto in mente o, perlomeno, il più possibile”.

Vereheveil lo guardò: “Il termine ̎per favore̎ non esiste nel tuo vocabolario?”.

Il Principe iniziò a battere i piedi, spazientito, sul pavimento di marmo. Solo in quel momento il giovane ospite notò che il Demone Capo aveva un grosso artiglio che spuntava su ognuno dei suoi talloni, mentre due altri artigli neri uscivano dalla metà di entrambi i piedi. Quelle appendici emettevano un ticchettio inquietante sulla superficie su cui entravano in contatto. Vereheveil, sempre sorridendo, andò verso un massiccio tavolo di mogano scuro che aveva per gambe delle statue di creature demoniache e angeliche. Su di esso stava, aperto, un volume di dimensioni notevoli.

“Ti dispiace aiutarmi, grosso demone perfido?” chiese l’angelo, rivolto al Principe.

L’ospite si chiese come mai quell’angelo parlasse in quel modo al capo dei Demoni, senza il rispetto che si dovrebbe avere nei confronti di uno con un rango più alto. Il grosso demone si avvicinò al tavolo, agitando la lunga coda nera.

“Che ti serve, Ver? Luce?”, domandò.

“No, stella del mattino” rispose l’angelo.

Stella del mattino?!

“Ti dispiace portare il libro al centro della stanza, di fronte al nostro ospite, così che io possa leggerlo senza doverlo tenere tra le braccia? Tu sei grosso e palestrato, io piccolo e mingherlino”. “Però, quando non ci sono, i libri te li tiri giù da solo e te li porti pure in giro” fu la risposta del grosso demone, che sollevò il volume e sorrise scuotendo il capo.

“Scansafatiche!” sussurrò all’angelo, e portò il libro davanti al giovane demone, sempre più confuso.

Devono essere amici da un sacco di tempo, si disse.

L’ospite notò, poi, sul tavolo di mogano, una lunga piuma d’oro in un calamaio d’argento. Il demonietto la trovò bellissima e chiese di poterla vedere da vicino, ma il Demone Capo scosse la testa, convinto.

“Nessuno deve mai toccare quella penna!” esclamò, con irritazione e gelosia.

Il giovane tacque. L’angelo ora gli era davanti e lo guardava negli occhi. Era leggermente più basso di lui. Il libro portava scritte in una lingua che il piccolo diavolo non ricordava di aver mai visto. “Concentrati” gli sussurrò l’angelo dalle ali nere, che iniziò a leggere con facilità i complicati simboli del volume.

I due si guardarono negli occhi. L’ospite cercava di ricordare dove avesse già visto quella splendida creatura dagli occhi dorati. Vereheveil continuava a leggere: una nenia molto ritmata, una formula magica. Il Principe, molto più alto del piccolo ospite, appoggiò l’indice affusolato sulla fronte del diavolo sproporzionato che iniziò a ricordare. Iniziò a ricordare la lingua con cui stava parlando Vereheveil: angelico! Lo ricordava! Ricordò la Città degli Angeli, Eleniel, Samhian, gli Arcangeli, gli amici, i nemici…la fine!

Cadde in terra, confuso e spaventato. Chiuse gli occhi, frastornato. Poi guardò in su e incrociò gli occhi arancio del Principe.

“Oh! Luciherus!” sussurrò.

Il grosso demone gli sorrise: “Era da tanto che nessuno mi chiamava così!”.

Poi porse la mano al giovane: “Alzati, Kasday”.

Kasday! Sì, io mi chiamo così!

Si alzò. E continuò a guardare il Principe.

“Certo che…” iniziò a commentare “…sei diventato proprio grosso!! Eri così magrolino e affusolato, Arcangelo più bello,…ora, invece…”.

Luciherus lo guardò, con uno sguardo un po’ nostalgico.

“Grazie per avermi dato del ciccione!” sibilò con un sorrisetto maligno.

“Non ti ho dato del ciccione! Non sei ciccione! Sei…grosso! Che braccia…” iniziò Kasday, ma il Demone  Capo lo zittì borbottando: “Piantala! Sei rimasto di sesso incerto come gli angeli? Mi imbarazzi!”.

Kasday rise. Ed abbracciò il grosso demone, che lo allontanò con  i due indici. “Cognato…cugino…ho una dignità! Abbraccia Vereheveil se hai questi desideri!”. Giusto…Vereheveil! Il giovane iniziò guardarsi attorno. L’angelo era sparito, ma subito riapparve.

Era andato dietro ad uno scaffale a riporre il grosso volume.  

“Vereheveil!” urlò il demonietto, quando lo rivide. Si abbracciarono ridendo felici.

“Mi sei mancato! Mi sei mancato tanto, Kasday mio! Ti ho tanto cercato! È bellissimo rivederti! Non lasciarmi più! Mai più!”.

L’angelo piangeva. Kasday gli asciugò le lacrime. Ed il loro abbraccio divenne un bacio.

 

 

“Scusa se ti interrompo di nuovo, cugino” si affrettò a dire Luciherus, separando i due “Ma abbiamo altre cose da discutere! Mi spiace”.

Ricordando, Kasday collegò la piuma dorata alle luminosissime ali che una volta brillavano sulla schiena dell’Arcangelo caduto.

“Quella piuma è una delle tue?” chiese timidamente.

Il Principe demone andò vicino al calamaio e accarezzo la penna con due dita.

“Sì. Era mia. Mi sono ripreso, dopo la caduta, e lei stava lì, accanto a me. Solo lei. Le altre si erano tutte bruciate o spente. Lei invece era ancora lucente e bella. L’ho tenuta per ricordarmi della vita di merda che avevo da Arcangelo”.

“Secondo me un po’ ti manca quella vita” gli rispose Kasday.

Luciherus fece segno all’ospite ed a Vereheveil di sedersi. I  tre ex-angeli si sedettero attorno al tavolo di mogano, su tre comode sedie imbottite con morbido velluto rosso. Il Principe versò da bere ai suoi ospiti in coppe d’argento, decorate da pietre preziose. La bottiglia, nera con un sigillo sul tappo, si aprì con docilità alla torsione delle due dita del demone massiccio. Dopo aver servito i due, si servì a sua volta in una coppa di cristallo sorretta dalle ossa di una mano. Kasday la trovò dapprima rivoltante e poi ne rimase affascinato. Bevve un sorso e ripose il bicchiere: era un liquore molto forte. Luciherus sorrise divertito, svuotando il proprio calice. Vereheveil non toccò ciò che gli era stato offerto perché stava da tempo alla corte del Principe e sapeva che gradazione alcolica avevano le bevande che solitamente offriva il padrone di casa. Chiese che gli fosse portato del tè e dopo pochi minuti un piccolo diavoletto portò quanto richiesto e tornò ad uscire dalla stanza.

“Ho saputo che hai un figlio, Kasday” esclamò con entusiasmo l’angelo dalle ali nere, pur non nascondendo una punta di fastidio, forse gelosia.

Kasday annuì: “Sì. Ho un maschietto. Agares. E voi? Che mi raccontate? È passato tanto tempo…”.

Incrociò le gambe e agitò leggermente le orecchie appuntite, con aria curiosa.

Sorseggiò il suo liquore, desideroso di svuotare il bicchiere. Lo trovò buono, anche se troppo forte.

Si ritrovò a riflettere sul fatto che Vereheveil, pur sembrando molto giovane, non poteva esserlo. Kasday sapeva di essere rinato, di aver rivissuto una vita intera, di essere giovanissimo. L’amico sembrava un caduto, ma era diverso da Luciherus, che non somigliava neanche un po’ ad un ragazzino. Ed anche Vereheveil doveva sembrarlo, in teoria, ma forse gli angeli crescono in modo diverso. Il Principe, accendendosi una sigaretta, iniziò a rispondere alla domanda dell’ospite.

“Io, come hai avuto modo di constatare, ho una bellissima compagna…”.

Kasday arrossì per l’imbarazzo.

“…ma, a causa della maledizione che i Serafini mi hanno scagliato contro, non posso avere figli”. “Mi dispiace” gli disse il piccolo demone.

Ma Luciherus sorrise e gli fece un cenno con la mano: “Non dispiacerti. A me non importa. Basta farci l’abitudine! Io e Lilith siamo una coppia aperta, se mi permettete il termine. Variamo compagni ed incontri. Se lei rimane incinta ed ha figli, cosa che è successa, so che non sono miei. Sono cose che capitano!”.

Kasday rimase perplesso: “Ma come?” domandò “Con una compagna come Lilith, andate a cercare altre donne?”.

Il Demone  Capo, dopo una boccata di fumo, gli sorrise malizioso. Con la sua S sibilante ricominciò a parlare: “Sia a me che a Madama Lilith piace variare. Ci annoia la routine e non riusciamo mai a stare fermi, E poi…dicono che solo una Dea possa soddisfarmi del tutto riuscendo a star dietro al mio ritmo…non so se mi spiego”.

“Perfettamente” biascicò Vereheveil un po’ sconcertato, tra un sorsetto di tè ed un altro.

Con la mano libera, quella che non reggeva la tazza, sventolò l’aria in modo da allontanare il fumo della sigaretta dal suo viso e dalle piume scure. Tossì un paio di volte.

“Odio quelle cose, Luciherus!” sbottò “Spegni quella sigaretta! La sua puzza mi impregna le ali e i capelli. Non riesco a mandarla via. Senza contare che poi fa male fumare!”

Il demone continuò, dopo un sospiro, girando la testa per non mandare fumo sull’angelo.

“Sono felice qui, Kasday. É finita l’Era degli angeli asessuati! Adoro questo Mondo, il mio Mondo. Adoro questa vita…la MIA vita!  Non tornerei mai e poi mai indietro”.

“Fai la bella vita, insomma. Bravo! E tu Very? Che mi racconti?” chiese l’ospite.

L’angelo lo guardò negli occhi azzurri. “Io ho una figlia”.

Kasday rimase in silenzio. Confuso.

“Tu sei un angelo…” iniziò a dire, sentendo un po’ di gelosia solleticargli la mente.

“Non ho detto che ho AVUTO una figlia ma che HO una figlia. Non l’ho creata carnalmente. L’ho adottata. Non avrei potuto fare altrimenti, neanche volendo! Era rimasta da sola e io l’ho presa con me”.

“Povera piccola…dov’e ora? Voglio vederla” chiese il giovane ospite.

“Sta dormendo. Appena si sveglia te la mostro volentieri”.

I due si sorrisero. Kasday tornò a guardare il Principe.

“Che cosa è successo a tutti noi? Cosa fa Vereheveil qui? Non era al Tempio quella sera. Non so perché sia caduto. E come mai avevo dimenticato tutto?”.

Luciherus, spegnendo il mozzicone della sigaretta con uno degli artigli del suo piede destro, iniziò a parlargli: “Tu sei morto e rinato. Non ricordi che facevi prima della caduta?”

Kasday scosse il capo. Ricordava il Tempio, le scale..un libro? Che mal di testa…

“Ricorderai” ricominciò l’Arcangelo caduto “Noi non siamo morti. Siamo caduti e ci siamo rialzati. Sul perché Vereheveil sia qui, sarà lui stesso a spiegartelo. E sul motivo della perdita di memoria, credo dipenda dalla maledizione e da un fatto pratico. Immagino sia una delle regole scritte dalle divinità: se si passa da un Mondo governato da un creatore ad un altro, con un creatore diverso, suppongo che sia la prassi far dimenticare il Pianeta che si lascia. Anche noi abbiamo dimenticato. E abbiamo ricordato ogni cosa una volta letta la formula che hai sentito pochi istanti fa”.

“Voglio sapere tutto! Cosa vi è successo da quando ci siamo separati fino ad oggi? Ogni cosa!” chiese l’ex Serafino.

Attese una risposta mentre il Principe e Vereheveil si guardarono, come a decidere chi dovesse parlare per primo.

“Immagino che, per una questione gerarchica, tocchi a me” esclamò, infine, Luciherus.

Si sistemò sulla comoda sedia imbottita ed iniziò la sua storia.

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Capitolo 9
*** IX- Con gli occhi di Luciherus ***


IX

 

CON GLI OCCHI DI LUCIHERUS

 

 

Appena caduto, Luciherus si rese conto che la pressione su quel Pianeta sconosciuto era maggiore rispetto a quella a cui era abituato. Questo lo faceva sentire pesante e goffo.

Disteso sulla pancia, notò accanto a sé una piuma dorata. Non ricordando che fosse la sua, la prese tra le dita, stupito. La nascose nell’ampia manica del suo vestito. Un lieve solletico lo fece sobbalzare. Si alzò a fatica, tossicchiando nuvolette di cenere. Scosse le ali, che sembravano intorpidite, come se fossero rimaste chiuse da tempo ed ancora pulsavano, appena nate. Oscurò per un attimo la luce dell’alba con la membrana che le ricopriva.. Immense e ungulate, inquietarono un po’ la stella del mattino, che si ritrovò a chiedersi se aveva sempre avuto cose del genere sulla schiena. Si sbilanciò leggermente sotto il peso di quelle ali di pipistrello ma, con un movimento involontario della coda, rimase in piedi.

I suoi occhi aranciati riflettevano la luce del pallido Sole che sorgeva, ramato, all’orizzonte. Si sentiva intontito e dolorante. La lunga veste che tanto odiava era stracciata in più punti e bruciacchiata e questo fece provare al confuso Luciherus un’insolita sensazione di soddisfazione.

Un rumore improvviso lo fece voltare e notò che una folla di gente lo fissava.

“Chi siete?” chiese in una lingua che non ricordava quale fosse.

Tutto ad un tratto si accorse di non ricordare più nulla. Chi era? Da dove veniva? Cosa ci faceva lì? Le persone che gli stavano attorno sembravano spaventate. Non capivano la sua lingua e forse erano intimorite dalla sua forte luce. L’angelo caduto ringhiò piano facendo allontanare un po’ la gente curiosa. Cercò di lavare il sangue che aveva sulla fronte con la rugiada. La spalla gli faceva male. Cos’erano tutte quelle ferite? Gemendo, provò a comunicare con gli abitanti del Pianeta, che però non lo capirono: nemmeno lui si capiva! Pensava alla frase da dire ed usciva quella strana lingua sconosciuta. Altri, però, erano come lui. I caduti riuscirono a raggrupparsi assieme e si sedettero l’uno accanto all’altro.

La gente del posto, nel frattempo, si era fatta minacciosa, come delle bestie che avvistano la preda.

Vogliono mangiarci, questi animali? Si chiese l’ex – Arcangelo.

Il chiasso aumentava man mano che avanzava l’alba. Luciherus guardava verso l’astro nascente cercando di capire perché le montagne gli parevano in continuo movimento. Stava lui male o le alture effettivamente si muovevano?

Che strano Pianeta…ma che pianeta è? E come ci sono arrivato?

La folla iniziò a minacciarli, ad urlare e ringhiare. Poi, ad un tratto, ci fu silenzio. Dietro al gruppetto di caduti si era materializzato un uomo, alto e dagli occhi azzurri. Luciherus guardò quegli occhi ,che avevano qualcosa di familiare, e l’uomo ricambiò lo sguardo. Aveva il volto coperto da una specie di sciarpa nera, come nero era il suo lungo abito ed i capelli voluminosi.

“Ciao” gli disse l’uomo, in una lingua che compresero tutti, caduti ed abitanti del posto.

Aveva una voce molto profonda, che fece tremare il terreno “Ciao. Io sono il Kaos”.

Tutti i presenti rimasero a bocca aperta. “Il Dio del Kaos?” si chiedevano increduli, e con gli occhi spalancati dallo stupore.

“Sì, sono il Dio del Kaos, tesorini miei…” rispose il Dio rivolto al gruppo di neo-arrivati “…e voi siete caduti su uno dei miei Pianeti. Siate i benvenuti”.

Luciherus si alzò in piedi e lo guardò negli occhi, cosa che solo lui ebbe il coraggio di fare.

“So di non essere giunto fino qui di mia spontanea volontà…” iniziò l’Arcangelo caduto “…perciò ci terrei davvero tanto a sapere qual è il motivo della mia presenza in questo posto. É vostro? Davvero? Ordini a quel branco di fessi di piantarla di urlarmi contro!”.

Strinse i pugni. Il Kaos gli appoggiò la mano sulla testa, quasi con affetto. Il Dio era tanto più alto di Luciherus e, nonostante tutto, l’ex - Arcangelo aveva il coraggio di parlargli con tanta insolenza. Il Kaos apprezzò molto la cosa.

“Siete stati scacciati da un Mondo lontano…” incominciò a spiegare la divinità “…ma non ha importanza! Ora siete qui e potete fare ciò che volete. In particolare vorrei parlare con te, Satanahel, nemico”.

“Nemico di chi? E Satanahel è il mio nome?” chiese l’Arcangelo caduto.

Il Kaos gli mise un braccio attorno alle spalle, abbassandosi un po’ per non far notare troppo il dislivello di altezza.

Eppure sono il più alto tra tutta questa gente…ma questo Dio è altissimo…

 “Adesso sì. Non ti piace come nome?” chiese il Dio e continuò “In quanto al nemico…beh, ogni cosa a suo tempo”.

I due iniziarono a camminare verso l’alba.

“Farai grandi cose, ragazzo mio, se seguirai i miei consigli. Il primo tra tutti è questo: se vuoi sopravvivere in un mondo governato da me, il Kaos, devi imparare a difenderti!”.

La popolazione riunitasi dietro di loro si era fatta ancora più minacciosa, irata dal fatto che il loro Dio avesse scelto per pupillo quella creatura misteriosa venuta dal cielo, uno straniero!Il nemico si voltò, frustando la sua nuova coda nera con rabbia. Si ritrovò a dover combattere con quel branco di diavoli impazziti che non vedevano di buon occhio quel figlio di nessuno dalla strana luce. Il Dio del Kaos donò al nuovo demone forza e agilità e, così facendo, Luciherus non ebbe difficoltà a sconfiggerli tutti.

La divinità lo guardò con orgoglio: “Resta accanto a me Satanahel” esclamò “Resta accanto a me e io ti renderò immortale. Per sempre forte, per sempre perfetto. Prenderai forza e magia da me. Sarai principe del mio Pianeta!”

Principe? Si chiese l’Arcangelo caduto. Mi piace!

Seguì il Dio verso l’orizzonte ed iniziò la sua nuova vita nel nuovo Mondo.

 

 

Dopo poco tempo tutto il Pianeta sapeva della presenza del “demone luminoso” che, con le sue abilità, aveva sconfitto molti degli abitanti di quel Mondo affermando la sua supremazia. Si era istaurato al potere con l’appellativo di “Principe”. Il Kaos, capo supremo del Pianeta, approvava questo fatto e gli aveva permesso di costruire un palazzo maestoso, come mai se ne erano visti in tutto il Mondo dei Demoni. Le sue due torri erano le più alte mai realizzate e portavano, sulla loro cima, il simbolo del padrone, il simbolo del Kaos. Quella spirale nera brillava fortissima quando i piedi del Dio toccavano la superficie del suo creato.

Dietro alle torri si erigeva un muro massiccio, con un imponente cancello nero a motivi complessi. Altissime, le pareti ripide dell’edificio parevano bucare il cielo, quasi sempre nebbioso e scuro. Numerosissime erano le stanze interne. Le più importanti, le sale dei troni, erano le più decorate.

Quella del Kaos si trovava al piano superiore, quasi sempre celato dalla nebbia, e riprendeva sotto molti aspetti le fattezze presenti nel palazzo della divinità nella Città degli Dèi. Disordinata, con linee incrociate e oggetti sparsi, solo al Kaos ed al Principe era concesso entrare in quella sala, e il Principe poteva accederci solo previo invito.

Il caduto aveva scelto per la sua stanza delle convocazioni, la sala del trono, una diversa architettura, mettendo in luce alcuni aspetti del suo sangue ancora in parte angelico. Le statue, il mobilio e i decori alle pareti parevano di un altro Mondo, pur essendo inquietanti, sotto molti punti di vista, con i loro occhi infuocati ed espressioni irate. Tutta la struttura della dimora principesca era sovrastata da una cupola che fungeva da scudo in caso di attacco dall’alto. Ricoperta d’oro, si diceva che quella cupola potesse essere vista da molto lontano, forse perfino dal Mondo degli Angeli che stava in un altro Universo.

Il nuovo demone sorrideva all’idea.

Che sia un segno, per noi e per loro, che non siamo inferiori a nessuno! Meno che mai a quei piccioni piumati!

Dimenticando di aver avuto a sua volta le ali piumate, faceva crescere nel suo cuore l’odio per quella razza rivale e, più in generale, per tutte le creature protette dalla Dea contrapposta al Re Kaos. Il nuovo Principe arruolò nel suo esercito i Caduti ed i Demoni di nascita più forti, per poter adempiere al volere del Dio supremo. Selezionava i suoi uomini organizzando tornei o scontrandosi direttamente con chi gli sembrava adatto. Se si dimostrava all’altezza, gli veniva fatta la richiesta di unirsi all’esercito del nuovo capo dei demoni e giurargli fedeltà. In molti casi, se la risposta era negativa, il demone veniva eliminato.

La divinità lasciò sempre più libertà al nuovo Principe sapendo che, infondo, l’ex – Arcangelo agiva comunque nel suo interesse privo di logica. E il demone era felice della sua posizione, si sentiva realizzato. Nonostante il Kaos esercitasse un certo controllo sulle sue azioni, aveva abbastanza libertà di movimento per poter fare quello che aveva sempre sognato. Poteva comandare ed agire a suo piacimento, senza sentirsi ripetere continuamente che ciò che faceva era sbagliato o proibito.

Dentro di sé avvertiva la sensazione di essere sempre stato comandato e bloccato, mentre invece ora si sentiva finalmente al giusto posto.

Decise di riservare la stanza più grande di casa sua alla biblioteca. Ricordando pochissimo del suo passato, voleva costruirsi un nuovo presente imparando il più possibile per compensare le lacune che aveva in testa. Si fece portare volumi e libri da ogni parte del Pianeta. Cercò in molti di loro tracce del tempo che non ricordava, ma senza molto successo.

Chiedendo al Kaos, apprese che era stato maledetto dalla razza nemica. Il Dio gli aveva raccontato una storia. Gli aveva detto che era stato scacciato da un Mondo da sei Serafini e che era stato maledetto, in modo tale da non poter ricordare ciò che aveva imparato da loro. La sua luce era dovuta alla maledizione, era un demone che doveva essere riconosciuto da chiunque in qualunque Mondo. Un demone unico che probabilmente non avrebbe mai avuto figli per non far espandere la sua razza segnata dalla Dea del Destino.

“Ma perché io? Che ho fatto di così sbagliato? E cosa ci facevo nel Mondo degli Angeli?” chiedeva con insistenza.

La risposta era sempre la stessa: “Il Destino è una Dea malvagia. Gioca con le vite inferiori come la tua”.

“Anche Voi giocate con la mia vita?”.

“No. Finché resti fedele ai miei principi, io non giocherò con te ma ti erigerò al di sopra di tutto, mio eletto. Fai una cazzata, ed io ti distruggo!”.

A quelle parole, il Principe rimase stupito e un pochino spaventato, ma poi il Kaos gli sorrise. Pur non avendo una bocca chiaramente definita, il Dio sapeva come esprimere emozioni modificando la forma del volto, privo di tratti somatici. Quando parlava, pareva che la sua voce profonda provenisse da un abisso.

Mise una mano sulla spalla del suo Principe protetto, rassicurandolo: “È difficile disobbedirmi Satanahel! Io non ho regole precise. E tu fin ora ti sei comportato perfettamente. Continua così e sarai al sicuro!”.

Il demone annuì. Si strinsero la mano: la loro alleanza non si sarebbe sciolta.

 

 

Il Principe stava spesso fino a tardi nella sua biblioteca, illuminato da una piccola candela o semplicemente dalla luce che emetteva il suo corpo. Stava lì, fumando e sorseggiando liquore. Tanto sono immortale, che me frega se fa male!

Una giovane donna entrò, una sera, senza bussare. Bianca e pallida come la Luna, guardò il demone stringendo un libro verde tra le braccia. Portava un abito blu oltremare senza maniche e lungo fino ai piedi. Era scalza e sorrideva, con una piccola bocca vermiglia.

“Che posso fare per te, Madama?” chiese l’ex – Arcangelo, alzando gli occhi da uno strano libro scritto con inchiostro rosso. Incrociò lo sguardo di lei e rimase in silenzio. La trovò bellissima.

La donna rispose: “Sono Lilith. Mia sorella è troppo timida per venire qua di persona e così sono arrivata io a portarle questo libro. L’ha scritto lei, Lilim, la mia sorellina, per Voi”.

Lilith rimaneva in piedi al centro della stanza.

“A cosa devo questo dono?” chiese il Principe, stupito.

“É un ringraziamento. Per Voi. Avete fatto in modo che un grosso demone che le dava molto fastidio non la insidiasse più. È uno dei tanti che avete eliminato e sconfitto. Lei vi ringrazia inviandovi questo dono. Non è tanto brava a scrivere ma è davvero bravissima con  i disegni”.

La demoniessa fece qualche passo e appoggiò il libro sul tavolo di mogano intarsiato dove stava seduto il Principe.

 L’Arcangelo caduto lo aprì e ammirò le miniature che vi erano sopra. Le trovò stupende.

“Mi fa piacere di aver aiutato la vostra sorella minore. E questo dono è molto gradito” affermò Luciherus sfogliando le pagine.

“Mia sorella è molto strana. Non ama i demoni Veri. Quelli grandi, grossi e potenti. La spaventano. E li respinge. Ma è molto bella, quindi è difficile che nessuno le dia fastidio. Questo tizio grande e massiccio ha iniziato ad insistere e si è anche fatto violento. Ma ha incrociato la vostra ira, Principe, e ora non lo vediamo più”.

“Sarà stato eliminato. Che volete farci, è la vita!” il demone sorrise e offrì da bere alla sua ospite, che si ostinava a guardarlo negli occhi.

La cosa un po’ lo imbarazzava e le fece segno di sedersi, con un dentino a punta che spuntava dal suo labbro superiore. Quel giorno portava i capelli scuri legati in un piccolo codino, con un paio di ciuffi ribelli che gli solleticavano il viso.

La demoniessa accettò l’invito e si sedette. Sorseggiò il liquore continuando a sorridere.

“Vivete qui da solo, Principe?” domandò Lilith.

“Solo, con le mie guardie di palazzo. Ma non sono esattamente di compagnia” rispose lui, cercando di sfuggire agli occhi grigi di lei.

“Ma come? Non avete una compagna?” si stupì la diavolessa.

“Non ci ho mai pensato…” ammise il Principe, girando gli occhi su un lato e lasciando che la sua sigaretta facesse cadere un po’ di cenere in terra.

“Molto strano…” sussurrò Lilith “Solitamente i demoni come Voi sono molto gettonati”.

Luciherus si alzò, appoggiando le mani al tavolo e avvicinando il viso a quello di lei.

“Nessun demone è come me!” le bisbigliò.

“Lo so!” rispose lei, avvicinandosi a sua volta.

Poi entrambi tornarono a sedersi.

Lei ricominciò a parlare: “Ma nemmeno come me! Come può vedere, non ho ali, non ho coda. Non ho molto di demoniaco, se non queste piccole corna a malapena visibili. Sono stata creata dal Kaos, assieme a mia sorella. Ci ha generate con la sua potenza creatrice quando sua moglie, la Guerra, rimase incinta per la seconda volta. Siamo state le sue piccole e le sue bamboline per un periodo. Ci chiamava 'perle' o 'tesori di ceramica'. Aveva problemi con la sua compagna per non so quale motivo e così si dilettava con  noi. Ma da quando la Guerra ha avuto un altro figlio, una bambina, la terzogenita, si sono riavvicinati e ci ha lasciate libere per il Pianeta. Da sole. Ci porta dei doni a volte, ma non ci ama più come un tempo. Come vedi, anch’io ho qualcosa di speciale, demone luminoso”.

Lui la guardò con curiosità. Una creatura del Kaos…interessante…

“Siete sole? È un peccato! Perché non venite qui, voi due sorelle?” domandò il padrone di casa “Un po’ di compagnia non mi dispiacerebbe” ammise, dondolando sulla sedia e dandosi piccole spinte con la coda “Sempre che al Kaos non dia fastidio…” aggiunse dopo, ricordando la parte del “fai una cazzata e ti distruggo”.

Lilith scosse il capo “É stato lui a dirci che eravate stato Voi a mandare via quel grosso demone e che sareste stato contento con un certo tipo di doni”.

Tacque per un attimo poi ricominciò “Forse immaginava che vi sentiste un po’ solo…”.

Arrossì un pochino e si alzò. “Vado a chiamare mia sorella, allora” concluse.

Dando le spalle al Principe, fece qualche passo facendo ondeggiare l’abito che metteva in risalto ogni forma del suo corpo. Luciherus si soffermò ad osservarla. Che bella sensazione mi dà stare ad ammirarti, pensò, con la testa sorretta dalla mano destra. Sorrideva malizioso. Lei si girò di colpo, facendo sobbalzare il demone, che finse indifferenza. Lilith fece un risolino ed uscì dal salone.

Il demone appoggiò la testa al tavolo. Guardando la sua superficie lucida, iniziò a chiedersi quanti pensieri, per niente prosaici, aveva avuto mentre lei era lì.            Quanta fatica per non esprimerli!

Ma poi, risollevando la testa, una domanda gli sorse spontanea: ma perché si era trattenuto? Non era forse libero di fare ciò che preferiva?

Si alzò convinto dal suo seggio, srotolando la coda da una delle gambe del tavolo, e inseguì la demoniessa.

“Aspetta un attimo!” le disse, ritrovandola lungo il corridoio buio.

Lei si voltò. “Sì?” disse, con aria interrogativa.

Il demone le si avvicinò: “Io non ricordo se ho mai avuto una compagna. Non so come io possa comportarmi con una bella donna come te. Ma immagino che tu…possa darmi una mano…”.

Lei lo strinse a se, sorridendo: “Lascia fare a me, mio Principe!”.

I due si baciarono nell’immenso corridoio e Luciherus seppe che era quella la sensazione che era andato cercando per tutta la sua vita.

 

 

Il giorno in cui la sua mente ricominciò a ricordare, era un giorno d’inverno. La neve scendeva lentamente e un vento gelido sferzava il Pianeta. Il Principe copriva il viso con un alto colletto che lasciava solo gli occhi allo scoperto. Portava un lungo mantello che arrotolò stretto, in modo da coprire anche le ali. La punta della lunga coda spuntava, lasciando una scia nella neve.

Odiava il freddo e avrebbe fatto volentieri a meno di muoversi con quelle temperature ma purtroppo, in quel Pianeta, le stagioni mutavano troppo in fretta ed il freddo aveva colto tutti alla sprovvista lungo il viaggio di ritorno dal tempio di Gehenna. Lì aveva avuto un importante incontro con i demoni a cui aveva affidato vari territori del Pianeta per rendere più facile la sua gestione.

Duchi, Conti, Marchesi…al suo servizio, gli avevano giurato fedeltà davanti al fuoco sacro che ardeva nel tempio.

Era un assolata giornata di primavera, cosa che il Principe detestava tanto quanto il gelo, il giorno della riunione. Ma a causa della rotazione assurda del Pianeta, si era ritrovato in inverno nell’arco di tempo di due giorni.

Il capo dei Demoni aveva portato con sé un piccolo gruppo di persone. Azazel, il suo araldo, con il tipico abito rosso e nero, apriva il corteo. Avvolto nel suo mantello di pelo scuro, tentava invano di tenere in piedi la bandiera con lo stemma del suo signore. Bestemmiando a denti stretti contro il Dio dell’Inverno, che se la rideva felice dall’alto di un monte, avanzava a fatica.

Dietro di lui venivano Asmodai e Zagan, due grossi Demoni Soldato che parevano impassibili davanti alle sfavorevoli condizioni atmosferiche e proseguivano con sicurezza.

Il Principe veniva dietro di loro avvolto del mantello. Ad un tratto si voltò e si fermò, tolse il lungo mantello e lo offrì a chi lo seguiva. Lilith e Lilim gli erano accanto e presero il mantello con vera gioia. Battevano i denti con forza. Riuscirono ad avvolgersi entrambe, stando l’una accanto all’altra, e Luciherus spalancò le ali tentando di coprirle dalla bufera ma non gli riuscì facile perché il vento era forte e il ghiaccio si insinuava da ogni dove.

Dietro alle due demoniesse chiudevano il corteo altri due Demoni  Soldato: Abigor e Balam.

Il Principe si sforzava di tenere la coda sollevata in modo da non farla entrare in contatto con la neve gelida. Dietro di loro iniziarono a seguirli un gruppetto di curiosi, nonostante le avverse condizioni meteorologiche.

Ma chi ve lo fa fare? Si chiedeva il capo dei Demoni. Starei a casa mia tanto volentieri se potessi! Purtroppo non si poteva alzare in volo fino alla fine della tempesta: il vento e la bufera coprivano la visuale e si rischiava di precipitare con facilità. Scosse le ali per liberarle dalla neve che vi si era accumulata. La tormenta parve placarsi, per un attimo, mentre rientravano nella capitale.

Attraversato il cancello principale, il gruppetto fu circondato da una folla di impiccioni pettegoli, desiderosi di sapere le novità dalle altre città. Altri, arrivati in seguito, giunsero fin li per salutare il ritorno del loro Principe esprimendo tutto il loro entusiasmo.

Una voce sovrastò le altre: “Luciherus!” si sentì urlare.

Ma nessuno si fermò. Nessuno aveva nulla da collegare a quel nome.

La voce insistette: “Sono io! Ascoltami! È importante!”.

Incominciò a recitare una formula in una lingua a tutti sconosciuta. I caduti si arrestarono di colpo ed i ricordi iniziarono a fluire nelle loro menti. Ribaltarono la testa all’indietro e, ad occhi chiusi, lanciarono un grido.

“Iscua nahamien!” sussurrò Luciherus, quando riaprì gli occhi “Io sono un angelo”.

Si guardò intorno.

I Demoni Soldato e le due donne osservarono il Principe con preoccupazione. Anche Azazel si comportava in modo strano. Borbottava cose sul fatto che era uno degli angeli vigilanti…

Nel frattempo il Sole era tornato a scaldare il Mondo dei Demoni.

Luciherus si coprì con le ali e si abituò gradatamente alla luce improvvisa. Continuò a girare la testa a destra e a sinistra finche non riuscì ad individuare Vereheveil tra la folla. Portava un grosso libro tra le braccia e lo fissava, con uno sguardo tremendamente triste.

“Vereheveil! Cosa ci fai qui? E quella cosa che mi hai letto che cos’era? Sei stato tu a farmi ricordare il Mondo degli Angeli?”

L’angelo dalle ali nere sospirò. “È una lunga storia..”.

 

 

“E qui immagino che io mi possa fermare e lasciare a Vereheveil il compito di continuare il racconto”. Terminò così di parlare il Principe, nella biblioteca illuminata con la sua luce.

Kasday annuì. Guardò negli occhi Vereheveil ed i due si sorrisero, tenendosi per mano.

Ora consapevole della sua natura da angelo, si soffermò a guardare Luciherus tentando di ricordare l’aspetto precedente dell’Arcangelo più bello.

“Non guardarmi così!” lo rimproverò lui “Io ho lo stesso potere della mia compagna Lilith nello sguardo. E sono consapevole che, evidentemente, sei rimasto molto più angelo di me, perciò ti senti un po’ maschio e un po’ femmina. So perché mi guardi così. Ma, te lo dico subito, io a letto con te non ci verrò mai!”.

Kasday spalancò gli occhi “Sei un pervertito! Non pensavo a quello!” si affrettò a dire.

Tornò a guardare Vereheveil ,che rise divertito. Evitando lo sguardo sensuale del Principe, Kasday arrossì per gli strani discorsi dell’ex – Arcangelo. L’angelo dalle ali nere ed il demone appena risvegliato si guardarono in silenzio, ricordando i momenti passati assieme. Il Principe iniziò a tamburellare le dita sul tavolo ed incrociò le gambe. Frustrando la coda, richiamò l’attenzione dei due con un paio di colpi di tosse.

“Ragazzi…io non ho niente contro di voi. Vi capisco. Ma avrei una certa fretta. Devo risolvere una piccola cosa. Ma per farlo, serve l’altra metà della storia. Perciò, se cortesemente la finite di lanciarvi cuoricini e se Very è così gentile da continuare da dove mi sono fermato…”.

“Non ci stiamo lanciando cuoricini!” esclamò Kasday. “Piantala di fare l’antipatico!”.

Luciherus gli mostrò la punta della lingua.

“Scusa…” rispose Vereheveil. “…comunque la mia storia inizia la sera in cui voi due siete caduti…”.

 

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Capitolo 10
*** X- La ricerca di Vereheveil ***


X

 

LA RICERCA DI VEREHEVEIL

 

 

La notte in cui gli angeli caddero, Vereheveil sentì un forte tuono. Guardò fuori: pioveva forte.

Chissà dov’è Kasday…si chiese allarmato.

Con la luce dell’ennesimo lampo, vide l’amico salire al Tempio e decise di seguirlo. Si vestì pesante, coprendo le ali per non bagnarle. Alzò il cappuccio per nascondere i capelli dal forte vento a dall’umidità ed iniziò a salire le scale che portavano all’ingresso, ma non riuscì ad arrivare in cima. Venne, infatti, buttato all’indietro da una corrente magica proveniente dall’interno del Tempio. Cadde in malo modo lungo tutte le scale. Si rialzò a fatica e, ancora bocconi vide sulla cupola del luogo sacro un angelo nero, o forse un Dio, che apriva un portale per andarsene usando delle parole che non comprese. L’angelo/Dio attraversò il vortice da lui appena creato e sparì.

Vereheveil salì di corsa le scale: voleva vederci chiaro!Giunto in cima, entrò nel tempio e gli fu detto che Kasday era morto, oppure era stato ferito gravemente, ed esiliato su un Pianeta lontano.

Approfittando della confusione generale provocata dalla caduta degli angeli ribelli, Vereheveil si avviò lungo la scalinata che conduceva alla stanza blu della cupola, al piano superiore del Tempio.

Sapeva che Kasday si era particolarmente fissato con  i libri proibiti che stavano riposti in quella sala. Magari era andato troppo oltre. O magari gli avevano raccontato una bugia e Kasday stava bene: non poteva accettare di non vederlo più!

La porta d’ingresso era spalancata. In terra c’era un volume aperto e molto sangue, sul pavimento e su alcune pagine del libro. Vereheveil cercò di capire che cosa ci fosse scritto. La metà scritta in angelico la lesse in un attimo, ma l’altra parte non la capiva: non conosceva nessuno di quei simboli, nonostante avesse letto ogni libro possibile. Riconobbe alcuni glifi che collegò alle divinità ed iniziò a cercare nella biblioteca un volume in grado di aiutarlo. Ne trovò uno interessante, che parlava di magia. Lo estrasse ed iniziò a leggere. Trovò una formula che attirò la sua attenzione: erano delle frasi da pronunciare per ritrovare persone scomparse. Chiuse il grosso tomo con le gocce di sangue e lo tenne tra le braccia. L’amico aveva qualcosa a che fare con quel libro e non poteva rischiare di perderlo!

Iniziò a leggere ad alta voce, pensò a Kasday e si ritrovò circondato dalla luce. Un vortice lo risucchiò e iniziò a trasportarlo altrove. Strinse a sé i due volumi. Le sue ali, una volta dorate e lucenti, divennero nere e spente. La sua aureola si separò dal capo verdeacqua e smise di pulsare.

Con un urlo cadde, in un Mondo sconosciuto. Si svegliò nel Pianeta dei Demoni con i suoi due libri sottobraccio. Un’ ombra gli si avvicinò, gli poggiò una mano sulla fronte ed iniziò a parlargli: “Ora tu sei in questo Mondo. Il mio padrone mi ha dato l’ordine di far dimenticare il Pianeta d’origine a chi proviene da altri Universi”.

Vereheveil cercò di resistere alla sua presa. “Chi sei tu? Cosa vuoi?” domandò, confuso.

“Sono la Dea della Memoria. Il Kaos ti dà il benvenuto in uno dei suoi Pianeti. I ricordi sul Mondo degli Angeli non ti servono più”.

“No! Aspetta! Non…”. Vereheveil dimenticò ogni cosa.

Chiuse gli occhi, tentando invano di resistere al risucchio di ogni sua memoria. Poi l’ombra scomparve e lui si ritrovò da solo, sperduto, confuso e con due libri in una lingua ora per lui incomprensibile. Si guardò attorno. Perché era lì? E perché era accanto a questa creatura con le ali come le sue ma senza vita? La trovò bellissima, con quei lunghi capelli neri. Una brutta ferita gli trapassava il petto ed i suoi occhi azzurri erano ancora spalancati verso il cielo. Vereheveil scoppiò a piangere. Pur non ricordando chi fosse quel giovane privo di vita, pianse a lungo per lui.

Tremò, colpito da un improvviso colpo di vento. Sapeva di non poter rimanere in quel luogo da solo: doveva capire chi era e cosa facesse lì.

Abbandonò l’angelo dalle ali azzurre e cercò di entrare in contatto con delle persone. Subito si accorse di avere un aspetto notevolmente diverso rispetto ai consueti abitanti del Pianeta. Coprì le ali con un pesante mantello che rubò, vergognandosene un po’, da un cortile in cui stava appeso al sole. Per fortuna non perse la sua capacità di imparare in fretta le lingue e le scritture e, nel giro di poco tempo, imparò il linguaggio degli abitanti di quel Pianeta nuovo. Questo lo aiutò a comunicare ed a farsi dare delle informazioni, anche se la sua vita non fu per niente facile.

Era sempre stato molto timido, e gli riusciva complicato fare delle richieste senza ingarbugliarsi imbarazzato. A questo andava a sommarsi la naturale diffidenza degli abitanti di quel Mondo nei confronti degli stranieri. E quando, accidentalmente, il vento gli fece scoprire le ali piumate da sotto il mantello, dovette scappare il più velocemente possibile per non essere torturato o ucciso.

A quanto pare, faceva parte di una razza nemica..

Afflitto e abbattuto, gli capitava spesso di piangere. Non riusciva proprio a capire come era arrivato in quel luogo crudele e voleva andarsene, ma dove? Doveva scoprire chi era e da dove veniva. Si chiese se, magari, i libri che portava con sé avrebbero potuto aiutarlo..ma andavano tradotti!

Prendendo coraggio, ricominciò a vagare per i villaggi alla ricerca di qualcuno che potesse dargli delle informazioni in merito. Dormendo all’aperto, non avendo la forza di chiedere di poter restare a dormire nella casa di uno di quelli che vedeva come dei mostri crudeli, sopportò pioggia, vento, neve e caldo soffocante.

Finalmente, dopo diversi tentativi a vuoto, incontrò un anziano demone che gli disse: “Quello che porti tra le mani è un libro scritto in angelico. Ho visto già simboli simili alcuni secoli fa, quando uno dei piumati atterrò qui. Disse che era per studiarci, ma se ne andò dopo poco tempo per problemi di comunicazione. Io ero giovane al tempo e mi fece una grande impressione osservare quella creatura. Per trovare informazioni più precise su questa lingua straniera, devi andare alla biblioteca del Principe. Lui è l’unico che possiede libri simili”.

L’anziano non chiese dove avesse trovato quel volume,  forse perché aveva intravisto le ali nere di Vereheveil e non aveva voluto indagare.

Uno dei piumati? Ci sarà un Mondo che li ospita… si disse l’angelo nero.

Doveva andare alla biblioteca del Principe. Si, ok, ma come poteva lui, essere non identificabile né come diavolo né come  nient’altro, accedere al palazzo del capo dei Demoni?

A detta di tutti era descritto come una creatura crudele e spietata…non poteva di certo presentarsi davanti ai suoi cancelli e dire: “Salve! Vorrei leggere i libri della tua biblioteca, posso vero?”

No di certo.. pensò ..mi ucciderà! Ma doveva fare un tentativo, e così iniziò ad avviarsi verso il palazzo della capitale.

Il viaggio di Vereheveil fu lungo e stremante. Incontrò ogni sorta di evento atmosferico: neve, pioggia, grandine, sole cocente..  Le sue ali, piumate e delicate, non erano abituate a certe condizioni e doveva fermarsi spesso, costretto a continuare a piedi. La veste che indossava non era adatta al freddo o al troppo caldo e lui non aveva la possibilità di comprare qualcosa. Ovviamente l’idea di rubare altro lo disgustava.

Fu un cammino davvero demoralizzante, ma l’angelo nero era convinto di quello che faceva! Doveva sapere la verità! Così, quando fu davanti al palazzo del Principe, non ebbe paura di chiedere di poterci entrare. Sicuro di sé, si ripeteva che al massimo il Principe poteva ucciderlo, che era in ogni caso meglio che vivere in quel luogo senza risposte. Si fece sempre più insistente. Le guardie del palazzo lo ricacciarono via con sempre maggiore violenza ma Vereheveil non si arrese.

Sicuro di non dover demordere, chiedeva un colloquio con il capo del Mondo dei Demoni.

Una sera, dopo diversi giorni di tentativi, se ne stava seduto sotto la pioggia con aria affranta. Copriva i libri e le ali sotto il pesante mantello, che però ormai era zuppo e inefficiente. Non sapeva più che fare, quando una voce lo fece alzare. Un grosso demone, che si presentò come Asmodai, lo invitò ad entrare. Spaventato, ma speranzoso, seguì il guardiano fino alla sala del Principe. Alle sue spalle, a porta si chiuse e Vereheveil rimase solo. Subito notò una luce rosso fuoco proveniente da dietro il trono, che ruotò mostrando chi ci stava seduto sopra: il Principe.

A gambe incrociate, e un whiskey in mano, il grosso demone lo osservava.

“Togliti quegli abiti bagnati. Mi stai allagando la sala!” tuonò, con voce profonda.

Ma l’angelo nero non voleva. Non voleva che il diavolo vedesse le sue ali piumate!

Con uno schiocco di dita, il Demone Capo convocò due giovani diavoli e ordinò loro di portare qualcosa di asciutto al giovane ospite. Vereheveil tentò di resistere, ma il Principe gli lanciò uno sguardo minaccioso. Quando i servi se ne furono andati, il grosso demone lo rassicurò, in parte: “So già che non sei di questo mondo. Lo vedo. Hai gli occhi troppo grandi. E poi..hai perso una piuma…”.

Il Principe fece ruotare il trono tornando a guardare dalla finestra, dando le spalle all’angelo nero, che si cambiò. Gli abiti di velluto nero e oro piacquero molto all’ospite: morbidi e asciutti lo fecero sentire più tranquillo. Asciugò la copertina dei suoi libri con cura.

Il Principe ricominciò a parlargli, tornando a guardare l’angelo: “É evidente che tu non sei di questo Mondo. Perciò non dovresti essere un problema  mio. Ma la tua perseveranza mi ha colpito…”. “Perseverare è diabolico” sussurrò Vereheveil.

Il padrone di casa, con  le sue orecchie a punta, riusciva a sentire ogni suono e così riuscì ad udire le parole dell’angelo nonostante il forte frastuono della pioggia battente.

“Esatto” gli rispose “Perciò persevera pure! Che posso fare per te, piumato?”.

Evidentemente oggi è di buon umore si disse Vereheveil meglio per me…

Prese coraggio e chiese: “Vorrei avere il permesso di cercare dei libri nella Vostra biblioteca”.

Il capo dei demoni sorrideva, pur trovando curiosa la richiesta di quello strano essere.

 “A me va bene…” rispose, dopo un attimo di esitazione “…ma vorrei sapere che cosa vai cercando, esattamente”.

Curiosissimo, il Principe guardava i due libri che l’angelo teneva stretti tra le braccia. Allungava il collo tentando di capire cosa fossero.

Vereheveil, intuendo i desideri del demone, iniziò a spiegare: “Questi sono libri scritti in una lingua che non conosco. O che, comunque, non ricordo di conoscere. Ho un enorme vuoto in testa. Non so da dove vengo, che cosa ci faccio qui…non ricordo nemmeno il mio nome! Questi volumi, da quando ho memoria, li ho sempre avuti con me. Perciò ritengo che, se riuscirò a tradurli, potrò capirci qualche cosa sulla mia misteriosa vita. Mi è stato detto che nella Vostra biblioteca potrò trovare un valido aiuto”.

Satanahel scese gli scalini davanti al suo trono e prese tra le mani uno dei due volumi. Aprì alcune pagine e subito percepì di aver già visto quella scrittura: evidentemente nella sua biblioteca qualcosa c’era a riguardo. Restituì il librone all’angelo e gli fece cenno di seguirlo. Lo condusse fino alla porta verde che portava alla sala con la libreria del palazzo. Aprì con una chiave d’argento e accompagnò il suo ospite all’interno, poi scostò le tende e l’angelo rimase sbalordito dall’enorme quantità di volumi e carte. Gli scaffali toccavano quasi il soffitto, che era molto più alto di quello di una stanza normale, ed erano tutti riempiti e trasbordanti di materiale di vario tipo. Vereheveil allungò lo sguardo verso i vari titoli, affamato di sapere. Il demone luminoso si fermò al centro della stanza e fissò l’angelo negli occhi.

 “Io non ho regole, angelo” disse “Sono per il libero arbitrio. Ma sono molto, molto, molto geloso. Perciò, se deciderai di restare qui, come bibliotecario, parassita o altro, diventerai una mia proprietà. Non potrai più uscire da palazzo senza il mio permesso. È qui che resterai. E dovrai venire a riferirmi sempre quello che trovi. Questa è la mia unica legge. Se vuoi accettarla, io ti accolgo volentieri”.

Vereheveil non rimase molto a pensarci: “Io accetto, Principe. In questo Mondo non ho amici, non ho parenti, non ho nessuno! Non ho passato, non ho ricordi…non ho niente da perdere! Perciò non mi importa se dovrò restare segregato in questa stanza. Almeno così i demoni là fuori non proveranno ad uccidermi. Poi sono in cerca di risposte. Sono smarrito, solo, confuso…potrei avere una cosa, perlomeno: un padrone”.

Il Principe mise le mani in tasca: “Conosco la sensazione che descrivi. Vorrei sottolineare che non puoi mentirmi. Uno sguardo e sono in grado di capire se mi nascondi qualcosa. Ora devo andare, piumino. Il Re ha chiesto di me e abbiamo delle cose di cui discutere. Asmodai ti mostrerà la tua stanza al calar del sole. Non sono così animale da farti dormire sul pavimento della biblioteca! Avremmo modo di parlarci più tardi”.

Detto questo il Principe uscì, chiudendo a chiave l’angelo.

Il “piumino” iniziò subito a lavorare tra i libri. Imparò a riconoscere quando il Principe ed il Re erano presenti nel palazzo poiché la luce del demone era inconfondibile e illuminava ogni stanza mentre il Kaos segnalava la sua venuta facendo brillare la spirale nera tra le due torri principali.

Quando entrambi erano “fuori sede” il buio era quasi assoluto e Vereheveil si sentiva a disagio, quando questo accadeva. Il palazzo diveniva tetro e spaventoso, pieno di ombre e presenze. E in più l’angelo sapeva che se un demone avesse voluto attaccarlo, per un qualsiasi motivo, non avrebbe avuto scampo senza l’aiuto del Principe: non era assolutamente in grado di difendersi e sarebbe stato ucciso di sicuro, o peggio!Fortunatamente il Demone Capo aveva dato l’ordine di non toccare l’angelo bibliotecario e veniva punito severamente chi osava fargli del male. Ma se il Principe non c’era…non aveva garanzie.

L’angelo nero si era accorto che molti dei demoni a guardia del palazzo provavano l’irrefrenabile desiderio di spiumare un essere come lui, così strano, perciò, quando non c’era il Principe, Vereheveil aveva paura. Però appena la sua luce rossa si intravedeva da lontano si sentiva di nuovo tranquillo.

 

 

Vereheveil iniziò a leggere tutti i libri che poteva. Trovare qualcosa nella biblioteca più grande del Pianeta, con i suoi milioni di libri, era un vera impresa ma, dopo diverse settimane di ricerche ininterrotte, trovò un volume che poteva aiutarlo. Era un libro in angelico, con accanto la traduzione nella lingua che aveva imparato a parlare e scrivere. Paragonando i simboli, iniziò un difficile lavoro di traduzione del testo che aveva sempre portato con sé e scoprì che parlava di magia.

Curioso si disse che cosa mai ci potevo fare con un libro di magia?

Trovò un incantesimo interessante. Un formula per poter scoprire la propria vera natura, per rivedere un eventuale vita precedente e per ricordare particolari dimenticati.

Sembra scritto proprio per me! Perfetto!

 Iniziò a tradurre, pieno di entusiasmo, anche se il testo presentava non poche difficoltà. Era molto complesso, con frasi di senso ambiguo, parole complicate…ma, nonostante tutto, riuscì ad arrivare fino in fondo. Soddisfatto, si soffermo a guardare la pagina che aveva appena tradotto. Poi, una volta appurato che era proprio dell’argomento che gli interessava, usò un altro libro per imparare a pronunciare i suoni in angelico. Una volta portato a termine anche quell’impresa, decise di leggere ad alta voce le frasi magiche. Un po’ nervoso per le possibili conseguenze del suo gesto, appoggiò il volume su un leggio, si schiarì la voce, ed iniziò a leggere.

“A’ liem àminòra, àliem levinòra, àliem manui sien…”.

(Un ricordo per la vita, un ricordo per sempre, un ricordo che torna…).

Il testo continuava a lungo, ma ad ogni riga si rendeva conto di avere più memoria del passato. Immagini di angeli, volti, eventi…tutto gli tornò in mente all’improvviso. Lui era Vereheveil! L’Arcangelo delle lingue e delle scritture! O meglio..avrebbe dovuto avere quel ruolo ma poi…Luciherus! Il Principe era Luciherus!

E Kasday…ricordò quell’angelo a terra quando era caduto. Era caduto proprio accanto al corpo del suo amato Kasday! E lui era lì per ritrovarlo..ma .. era morto! Il Serafino Kasday non c’era più!

L’angelo nero cadde a terra. Iniziò a piangere e non riuscì a smettere. Singhiozzò disperato, gridando il nome dell’amico perduto. Dopo essersi ripreso, almeno un poco, si dedicò all’altro libro, quello che aveva trovato aperto nella stanza blu del tempio degli angeli. Kasday era stato ucciso per averlo letto? Un volume sugli Dèi…gli vennero in mente i “segreti” di cui Luciherus gli aveva parlato quando era piccolo. Decise che, se qualcuno poteva fornirgli delle risposte, quello era il Principe: l’Arcangelo più bello. Prese il libro con la formula e, infrangendo la regola, corse fuori.

Non era difficile individuare colui che stava cercando. Volò sul tetto e cercò la luce del Principe. La notò quasi subito: la sua luminescenza era identica a quella che aveva nel mondo degli angeli. Il Principe era tra la gente e fra loro Vereheveil riconobbe altri angeli caduti. Chiamò ad alta voce, usando i nomi che ricordava, me nessuno si voltò, poiché nessuno aveva memoria di ciò che era.

Allora l’Angelo nero iniziò a leggere la formula dal libro: “A’ liem àminòra, àliem levinòra…”

Il gruppo degli angeli caduti si arrestò di colpo.

“Iscua nahamien!” esclamò il capo dei demoni “Io sono un angelo!”

Guardando in alto, e lanciando un grido a causa della grande quantità di ricordi che si ammassavano, tutti i caduti ritrovarono la memoria. Respirando piano per calmarsi, Luciherus cominciò a guardarsi in giro. Chi aveva risvegliato tutte quelle immagini nelle sua mente?

I demoni attorno a lui parlavano. Alcuni di loro si salutavano calorosamente e si abbracciavano, ricordando antichi rapporti di parentela e loro trascorsi nel mondo degli Angeli.

Lilim e Lilith cercavano di farsi dare delle spiegazioni, ma non ne ebbero. Il Principe continuava a girare gli occhi di qua e di là, in ricerca di qualcosa o qualcuno, ignorandole. Finalmente, Luciherus riuscì ad individuare l’angelo che aveva pronunciato quelle parole, che lo avevano di nuovo reso consapevole della sua vita dimenticata.

“Vereheveil!” esclamò, vedendolo.

Il giovane angelo chinò il capo: “Non uccidetemi per essere uscito da palazzo!” sussurrò in tono di scusa “Ma avevo urgente bisogno di parlarVi. Avevo tanto, tanto, tanto bisogno di parlare con te, Luciherus”.

Il demone annuì. “Non qui, però” rispose all’angelo.

Detto questo, spalancò le ali. Con un cenno del capo tutti i caduti, alati, si alzarono da terra, volando e Vereheveil li seguì, avviandosi tutti verso il palazzo.  Lilith cominciò a camminare verso la sua dimora, protestando vivacemente. Lei non era fornita di ali ed il suo compagno aveva da sempre l’abitudine di lasciarla a terra, dimenticando il fatto che lei non era in grado di seguirlo quando volava via. Per Lilith lo faceva apposta, per Lilim in realtà era solo molto sbadato. La bella demoniessa non aveva mai avuto problemi nel trovare un demone disposto a riaccompagnarla a casa, o ad ospitarla..dipendeva da quanto era arrabbiata. Quel giorno era molto arrabbiata, furiosa, ma anche preoccupata: il suo Principe aveva avuto troppi comportamenti strani nell’ultima mezz’ora. Decise così di tornare immediatamente a palazzo. Ordinò al capo delle guardie, rimasto a terra a disperdere la folla come scorta a Vereheveil, di portarla con sé. Sua sorella Lilim, invece, non fu in grado di volare via. Non poteva dare ordini a nessuno e, come Lilith, non aveva ali. Sospirò: era abituata ad essere lasciata indietro. Diede un calcetto ad un sassolino e iniziò a camminare per la via principale. Portava un bel vestito riccamente decorato, mentre i capelli li aveva lasciati sciolti sulla schiena. Passò fra la folla, che non si disperse, come si aspettava, ma crebbe di numero. La demoniessa non riuscì ad aprirsi un varco e venne spinta con violenza da ogni direzione,  cadendo  in terra in malo modo. Urlò di rabbia, ma nessuno la stava ad ascoltare. Era avvenuto qualcosa di straordinario e tutti si accalcavano per saperne di più. Cosa era successo al Principe? E quel piumato chi era? Lilim si sentì sollevare da terra ed ella chiuse gli occhi in preda al terrore. In quel Pianeta non si poteva mai sapere che cosa poteva succederti senza il Principe a proteggerti! Quando ebbe il coraggio di riaprire le palpebre, notò con gioia di essere lontana dalla ressa, su un tetto. Dietro di lei, un demone alato le dava le spalle.

“Ti ringrazio per avermi salvata. Sarei stata schiacciata di sicuro là in mezzo!” iniziò la demoniessa, notando che il suo salvatore era piuttosto magrolino. “…a proposito…io sono Lilim”.

“Non c’è di che, Lilim” le rispose il giovane demone, girando il viso.

Aveva gli occhi azzurri come quelli di un Dio. Ma questa è un'altra storia.

 

 

Giunto a palazzo, Vereheveil venne convocato dal Principe nelle sue stanze private, una cosa che non era mai stata concessa a nessun’altro.

Rimasti soli, in quella che l’angelo nero poté definire una sorta di “stanza studio” piena di oggetti strani e celati agli occhi di tutti, si sedettero uno di fronte all’altro. Vereheveil si stupì di quella sala.

Dal soffitto pendevano piccoli campanellini d’argento che si muovevano leggermente, grazie a piccoli sospiri di vento provenienti da una finestra. La luce rossa del Principe si rifletteva sulla loro superficie liscia, creando effetti strabilianti. Il demone teneva tra le dita la sua piuma dorata, che aveva conservato gelosamente e con cura, nascosta in quel salone: ora sapeva da dove proveniva.

“Io ero l’Arcangelo più bello, Vereheveil, ricordi? Ero…uno di loro…”.

Luciherus guardò in alto. Anche in quella stanza, sul soffitto, erano dipinti  angeli e demoni. Il Principe guardò con odio entrambi, ma non disse nulla.

Guardò di nuovo Vereheveil: “Non sapevo che, quella notte, fossi caduto anche tu, Very”.

L’angelo lo guardò a lungo senza rispondere. Poi iniziò a raccontare al demone la sua avventura e la sua ricerca. Si fermò alla parola “Kasday”.

“Oh..Kasday..” iniziò a dire, a voce bassa e triste “…io…l’ho visto morto. Sono venuto fino a qui per ritrovarlo. Ma lui non c’è più”.

“È  per questo che hai gli occhi rossi? È per questo che hai pianto?” domandò Luciherus con gentilezza.

Si avvicinò all’angelo. Vereheveil sentì di nuovo un nodo alla gola ed annuì al Principe, guardandolo con occhi grandi e luminosi.

“Suvvia, non piangere più, piccolo angelo! Quegli occhi color dell’oro non devono più versare lacrime per Kasday. Lui è vivo. Lo so per certo!”.

Vereheveil singhiozzò. Guardò il demone, poco convinto: “Io l’ho visto. Ho visto il suo corpo” piagnucolò..

Il Principe dei demoni gli appoggiò una mano sulla spalla. Con la mano affusolata, asciugò una lacrima dalla guancia dell’angelo nero.

“Mio caro Arcangelo delle scritture…” iniziò a spiegare Luciherus “…quando io e Kasday siamo caduti, insieme, ti posso dare la conferma che il suo cuore si è fermato. Ma non è stato il Dio della Morte a portarlo via con sé ma bensì la Dea della Vita. L’ho vista chiaramente. Non volevo lasciarlo andare, ma lei mi ha sussurrato all’orecchio che il Serafino sarebbe tornato di nuovo. Così ho lasciato che lei prendesse la sua essenza. Cosa mi importava, poi, della sorte del suo corpo? Probabilmente è già rinato, in questo Mondo, come mi ha detto lei. Mi ha anche detto che sarei divenuto Principe e padrone. Poi ha aggiunto: libero grazie a Kasday. Questo non mi è stato molto chiaro…”.

Si fermò un attimo. Si accostò alla finestra aperta e scansò le pesanti tende. Con un’ala si coprì il volto, finché non riuscì ad abituarsi di nuovo alla luce, poi riaprì lentamente gli occhi e sospirò.

“So che è la fuori, Vereheveil. Non so dove, non so che cosa stia facendo o che aspetto abbia, ma so che è qui. È rinato e noi dobbiamo solo trovarlo. Il Re mi ha dato notizie allarmanti ed ho bisogno di tutti quanti voi. Cominciamo le ricerche: mi sarai di grande aiuto”.

Rincuorato, Vereheveil sorrise al demone. Si alzò e gli andò accanto.

“Non guardarmi così” sibilò Luciherus “Non provare ad abbracciarmi!”.

L’angelo sorrise. Con uno scatto improvviso ed imprevisto, diede un bacio sulla guancia dell’amico. Il demone, disgustato, gli soffiò conto, come un gatto.

 

 

Iniziarono le ricerche tra la gente e tra i documenti. Per un lungo periodo non portarono a nessun risultato ed a volte Vereheveil si chiedeva se realmente Kasday fosse tornato. Poi, una mattina, capitò un libro tra le mani dell’angelo dalle ali nere. Lo aprì e subito riconobbe la scrittura dell’amico. Corse dal Principe.

“Questa è la scrittura di Kasday!” quasi gridò.

Il demone, mezzo addormentato a causa dell’ora precedente all’alba, esaminò il volume.

“L’avevo mandato a riparare. Si era rovinato. È la sua scrittura? Bene…in pochissimo tempo ti saprò dire chi ci ha lavorato per me”.

Non appena ebbe un nome, confermato dal fatto che molta gente gli comunicò che era stato scritto dal “demone dagli occhi azzurri”, lo mandò a convocare.

 

 

“Da qui in poi immagino che la storia tu la sappia già, amico mio”.

Vereheveil concluse il suo racconto. E nella biblioteca del Principe fu di nuovo silenzio.

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Capitolo 11
*** XI- Ricordi ***


XI

 

RICORDI

 

 

“Tu sei caduto in questo Pianeta a causa mia” sospirò Kasday, guardando Vereheveil “Sei in questo Mondo senza colpa, solo per seguire e cercare me! Mi dispiace tanto…”.

L’angelo dalle ali nere lo guardò con affetto: “Non mi pesa essere qui. Ho passato dei brutti periodi, ma ora sono felice” gli rispose. E continuò: “E se non fossi giunto in questo mondo, non avrei trovato mia figlia, Flèavia”.

“Non mi hai raccontato come l’hai incontrata…” sussurrò Kasday.

Vereheveil sorrise:  “Era una notte d’inverno. Fuori c’era la guerra, come capita spesso in questo Pianeta. Lei è entrata, rompendo una vetrata della biblioteca. Cercava di sfuggire alla cattura”.

“Alla cattura?”.

“Sì, lei è una cosiddetta figlia mista. È bionda, come la maggior parte degli angeli, ma si vede che è un demone. Forse aveva per genitori dei caduti, che avevano ancora nel sangue del DNA angelico che si è manifestato nella bambina. Non lo sapremo mai. I suoi parenti sono morti. Io ho avuto il permesso di tenerla con me”.

“Era troppo tenera per essere torturata e uccisa da un branco di zotici. E poi…” si intromise il Principe nella conversazione “…ha uno sguardo con qualcosa di molto malvagio. Mi è sempre piaciuta”.

Kasday rise. “Sono felice che, in fondo, tutto sia andato per il meglio” ammise. Poi guardò Luciherus: “Non ti senti preso in giro da tutte le parole e le storie false che ti ha detto il Kaos?”.

Il demone scosse la testa: “Non mi cambia molto. So solo che la mia luce non è dovuta alla maledizione…e so anche che non vedo l’ora di riavere di fronte certi individui…odiosi!”.

Kasday rimase in silenzio per un attimo. “Eleniel e Samhian?” domandò, dopo aver assimilato le molte informazioni.

“Non so dirti molto al riguardo…” iniziò a rispondergli il Principe. “…a noi scacciati non è permesso mettersi in contatto con le creature del Pianeta angelico, il nostro Pianeta d’origine. Ci giungono notizie frammentarie e non confermabili. A volte è il Kaos a riferirmi certe cose, quando è di buon umore, oppure qualcuno del mio Mondo che passa per di là. L’ultima cosa che ci è giunta all’orecchio è che Eleniel è una sorta di insegnante di canto mentre Samhian è diventato un angelo Messaggero. Non saprei dirti altro. Anche se sono passati tanti anni, su quel pianeta non succede mai niente di particolare, quindi immagino che stiano tutti bene”.

“Quanto vorrei parlare con loro…” sospirò Kasday.

“Anch’io…” ammise Vereheveil “…ma a noi non è concesso. Chi lascia quel Pianeta non può rientrarci. E l’unico modo per parlare con loro e andare nel Mondo degli Angeli”.

“A meno che non lo voglia il Kaos” interruppe Luciherus, quasi con rabbia “Ad ogni modo, tornando a noi, io ti ho convocato qui per un motivo, Kasday. I due gruppi di Dei, gli Hainuet e i Denian, che spero tu ricordi, sono in guerra. Hai memoria del Pianeta che io e quelli della mia classe abbiamo aiutato a creare? Non hanno ancora deciso chi dei due capi deve comandarci sopra! E da un singolo Pianeta, è nata una guerra infinita tra le due schiere di Dèi rivali. Che vuoi farci… Ci sarà una grande battaglia molto presto, da quel che ho capito, che coinvolgerà tutti i Mondi e le loro popolazioni. Il Re sta chiamando a sé più soldati possibili tra i suoi vari possedimenti con l’obiettivo di distruggere il Destino. Inutile dirti che le loro due forze sì equivalgono…”.

Kasday guardò il Demone Capo con aria perplessa.

“Ma…” iniziò a domandare “…non dovrebbe esserci l’Equilibrio tra di loro a mediare? Tra la Dea del Destino e il Dio del Kaos, non dovrebbe esserci lui?”.

Vereheveil rispose tristemente: “Sei mai stato al Tempio di Gehenna? Il Tempio supremo del Mondo dei Demoni? Oppure ricordi com’è il Tempio del regno degli Angeli? In ognuno di questi edifici c’è una statua, con molte braccia e mani, danzante. Su ogni palmo, a coppa, fluttua il simbolo di una diversa divinità, avvolto dalle fiamme. La loro luminosità varia a seconda della potenza del Dio che rappresenta. La figura dalle molteplici braccia è l’Equilibrio. Suo è il compito di equiparare le diverse forze. Purtroppo il suo glifo, che sta sopra il capo della scultura, è sempre più pallido e debole. Il suo compito è quello di fare in modo che le diverse potenze si equivalgano, ma ormai non credo sia in grado di farlo. Dicono che stia morendo. Nei vari mondi quasi nessuno crede che qualcuno possa fermare la guerra tra il Kaos e il Destino”.

Kasday attese un attimo: “Ma non potrebbe mai fermare la guerra del tutto, altrimenti rischierebbe di far morire la Dea che comanda quell’evento. Senza guerre, muore la Guerra” affermò.

“Non ci avevo pensato…” ammise Vereheveil “…ad ogni modo, l’Equilibrio sta morendo e le altre due potenze creatrici stanno per affrontarsi, sono pronte allo scontro finale”.

“Ma uno scontro del genere porterebbe alla fine di ogni cosa! Sopratutto per il fatto che il Kaos è più forte e non ama molto lasciare a metà o in sospeso delle faccende. Se dovesse trovare il punto debole della Dea del Destino, la distruggerebbe. Quei due…finiranno per ucciderci tutti!” disse Kasday, allarmato.

“Vedo che te ne intendi!” gli rispose Luciherus divertito “Devi aver trovato il libro giusto alla biblioteca del Tempio, quella notte!”.

Libro? Ma certo…ricordò Kasday…stavo guardando un libro quando…

Urlò tenendosi la testa. Una specie di scossa elettrica gli attraversò le tempie appena cercò di ricordare cosa era accaduto quella notte. Ricordava le scale, la stanza, il libro…poi più nulla. Non riusciva a farsi tornare in mente cosa avesse letto di così importante e che ora più non sapeva.

Vereheveil gli andò accanto, allarmato. Gli porse il libro che aveva portato con  sé dal mondo degli angeli: “Questo è il volume che ho trovato in terra quando sono entrato al Tempio” gli bisbigliò, tenendogli la mano.

Kasday osservò il grosso libro: “Sì, è questo quello che stavo leggendo quella notte”.

L’ex-Serafino iniziò a sfogliarne le pagine

“L’ho portato con me quando non sono riuscito più a trovarti…ho pensato che fosse importante…” continuò l’angelo nero.

“Lo è. Grazie, Vereheveil”.

Kasday notò che una parte del libro era in bianco.

“Ho visto dei simboli su queste pagine. Ora sono vuote, ma io ci ho visto dei simboli e delle parole. Ma ora…non ricordo come farle apparire…” gemette il Serafino decaduto.

 

La porta della biblioteca si spalancò di colpo. Entrò un angelo con  le ali d’argento: un Messaggero.

“La Regina desidera conferire con Voi, Principe. Siate presentabile” esclamò, con un lieve tono di rimprovero, la creatura angelica.

Il Principe gli rispose scocciato, ma con gentilezza: “Io sono SEMPRE presentabile! Falla venire qui per cortesia. Nessuno meglio di Lei può descriverci la battaglia che ci attende”.

Il Messaggero lo guardò con sufficienza. “Come preferite”, fu la sua risposta, ed uscì dalla stanza. La Regina? Si disse Kasday. La Dea della Guerra! Avrebbe visto una Dea!

Dimenticò momentaneamente il libro e si concentrò sulle tre ombre che entrarono dalla porta, precedute dall’ angelo Messaggero.

La Guerra era la figura centrale, con i suoi occhi scuri e i capelli corti, corvini. Indossava una tunica a due colori, rosso sangue e grigio acciaio, senza maniche, ed era armata. Una spada azzurra pendeva dalla sua cintura, sulla sinistra. Sulla destra, invece, Kasday poté notare una specie di mitra a più canne. Nella mano sinistra reggeva uno scudo mentre nella destra stringeva la lunga lancia degli Hainuet. Camminava decisa e le sue scarpe ticchettavano sul pavimento nero.

Dietro di lei venivano altre due persone, un uomo e una donna, entrambe con i capelli corvini. L’uomo era avvolto in un lungo mantello blu scuro. Teneva gli occhi chiusi e stava in silenzio.

La figuretta femminile, esile e leggera, aveva uno sguardo minaccioso. I suoi occhi color dell’ebano brillavano nel buio e teneva i capelli raccolti in una lunga coda. Con la stessa espressione accigliata della Guerra, la donna portava un cappotto rosso che le sfiorava i piedi. Lo aprì, infilandosi le mani in tasca. Facendo questo, scoprì l’enorme quantità di armi di ogni tipo che portava con sé. Il vestito, composto da una canottiera color del metallo e da dei pantaloni neri, le permettevano piena libertà di movimento e pareva pronta a combattere.

La Guerra iniziò a parlare ai tre caduti, che si erano portati al centro della stanza. Vereheveil e Kasday si inginocchiarono. Con un cenno, la Dea li fece alzare e poi iniziò il suo discorso: “Io sono la Dea della Guerra, come sai Satanahel. Volevo presentarti le mie due creature. Lui è il mio primogenito, il Dio dei Sogni e delle Paure. Lei, invece, è la Dea delle Armi, la mia bellissima figlia!”.

Il Demone Capo annuì: “É un onore conoscere entrambi. Avete ragione…lei ha davvero una bellissima figlia”.

La Dea sembrò quasi malinconica per un attimo: “Sì. Lei è stata un autentico dono degli Alti. Nel periodo precedente al suo concepimento, tra me e il Kaos non correva buon sangue. Litigavamo spesso a causa di un nostro errore…commesso quella notte. Per un periodo nemmeno ci parlammo. Il nostro non era un buon rapporto. Ma poi è arrivata Lei, e tutto si è risolto. Almeno in parte”

Non era un buon rapporto ma, in qualche modo, rapporti dovevano averne..se no come nasceva lei? Ma come mi vengono certe idee in testa?! Si rimproverò Kasday.

La Dea delle armi fece un passo avanti:  “Piacere di conoscerti, finalmente. Nostro padre parla spesso di te, Satanahel. Sei pronto alla grande battaglia?”.

L’arcangelo caduto le sorrise. Il Dio della Paura e dei Sogni salutò con un cenno del capo.

“Lui non parla?” chiese Kasday, in un impeto di coraggio.

“No, lui non parla” rispose la Dea delle Armi.

Scese il silenzio. Il Dio avanzò di un passo e Kasday sentì la sua voce nella testa: “Io non parlo. Mio padre mi ha impedito di farlo. Quand’ero bambino, facevo troppe domande. Ed il Dio del Kaos mi ha estirpato la voce”.

L’ex Serafino rabbrividì: “Che genere di domande? Non per farmi gli affari tuoi ma…così le evito, se per sbaglio me lo trovo davanti!”

“Ma che dici?” gli sibilò Vereheveil.

La voce del Dio tuonò di nuovo nella mente del demone sproporzionato “Io facevo domande…su mio fratello”.

Con un cenno brusco della mano, la Dea della Guerra lo zittì. Tutti i presenti avevano ascoltato la sua risposta.

“Fratello?” bisbigliò Luciherus/Satanahel rivolto a Vereheveil “Tu che leggi tutto, per caso né sai qualcosa?”.

Vereheveil scosse il capo.

Che razza di Dio toglie la voce al proprio figlio? Si vede che è cieco, o almeno così sembra, come si può togliergli anche la capacità di parlare? Come si può servire un Dio così?

Queste domande erano presenti nella testa dei tre caduti, confusi e spaventati.

La Dea delle Armi si parò davanti a Kasday. Con un dito gli sollevò il mento e lo fissò negli occhi. “Tu fai troppe domande, mortale. Prega di non dare troppo fastidio al mio fratellone. Prega di non vedere mai il bianco dei suoi occhi. Prega di non udire mai l’unico suono che è in grado di emettere. Con il suo urlo, tu moriresti dal terrore, patetico, piccolo demone…” fece una pausa “…ma con degli occhi stupendi”.

La Dea della Guerra afferrò la figlia per le spalle e la tirò indietro: “Certi discorsi non sono adatti ai mortali” le parlò, nella lingua degli Dèi “Tornando a noi, Satanahel, mio marito chiede se tu e il tuo popolo siete pronti alla battaglia”.

 Il Principe rimase un po’ perplesso dai discorsi precedenti, ma rispose prontamente: “Si, mia Regina!”.

La Dea guardò il grosso demone: “Chi sono quei due che stanno accanto a te? Uno non mi sembra di questo Pianeta”.

Satanahel rispose: “Loro due sono dei caduti, come me”.

La Dea si stupì del fatto che il demone avesse riavuto tutti i suoi ricordi, poi si concentrò sugli altri due che stavano accanto al Principe. Notò il colore dei loro occhi: notò il colore degli occhi di Kasday.

“Come quelli del Kaos…” bisbigliò piano. Scosse il capo.

“Dovrò informare il mio compagno del fatto che hai di nuovo la memoria, Principe” disse la Dea, rivolta al capo dei demoni.

“Non è necessario” fu la risposta “Nulla cambia tra me e il Kaos. E poi…immagino che già sappia ogni cosa. Lo so che mi spia”.

La Guerra sorrise.

“Ho una richiesta da farle, mia divina” ricominciò a parlare il Principe “Loro sono due ex angeli e vorrebbero tanto rientrare in contatto con le creature angeliche. Crede che la cosa sia possibile?”.

La Dea rimase un attimo in silenzio. Guardò in alto.

“Intendi farli tornare nel Mondo degli Angeli?” domandò la Guerra “Credo che si possa fare. Per quanto riguarda il piumato, la cosa è possibile. Ma quell’altro ragazzo..non penso che sia fattibile. È proibito mescolare le specie. E poi gli angeli odiano i demoni. Se andasse là da loro…lo ucciderebbero. Ma, adesso che ci penso, un modo c’è. Solo per una piccola visita…va bene”.

Si avvicinò all’ex Serafino. “Come ti chiami?” gli chiese.

“Adahel, in questo mondo. Ma di nascita, io sono Kasday”.

La Dea lo guardò con tenerezza. Gli spostò un ciuffo di capelli: “Ovvero 'occhi del Kaos'” commentò “Mai nome fu più indovinato. Sei bellissimo”.

“Ma che dite, signora?” rispose, imbarazzato, il giovane e piccolo demone.

La Dea tornò a guardare il Principe: “Non far combattere questi due ragazzi. Non credo nemmeno siano in grado di farlo. Penserò io a loro. Li farò allontanare da questo Mondo in cui non vogliono restare”. Iniziò ad avvicinarsi alla porta.

“Come desiderate, divina Guerra” rispose Satanahel.

“Portali da me al tramonto. Prima della battaglia”.

“La battaglia inizierà al tramonto?” domandò allarmato Vereheveil e la Dea annuì.

“Noi abbiamo una famiglia qui!” si affrettò a dire Kasday.

“Famiglia?”. La Dea della Guerra sembrava perplessa. Guardò l’ex Serafino con stupore.

“Si, famiglia. Io ho un figlio ed una compagna. E lui ha una figlia”.

La Guerra rimase in silenzio, sull’uscio della biblioteca: “Portate anche loro. Al tramonto. Vedrò che posso fare”.

Uscì dalla stanza, seguita dai figli e dall’angelo Messaggero. Aggiunse solamente, prima di chiudere la porta: “Preparati, Luciherus, so che ora ricordi il tuo nome, perché prima di notte dovrai combattere”.

L’angelo messaggero, che chiudeva il corteo, chiuse la porta.

 

I tre caduti si guardarono.

Luciherus guardava la porta, con le mani dietro la schiena. Aveva uno sguardo duro e preoccupato. “Devo congedarmi da voi, amici miei. Ho una guerra alle porte. E non sarà di certo come quelle che ho vissuto fin ora”.

Urlò i nomi dei capitani delle guardie, che subito si presentarono al cospetto del loro capo. Con un cenno si avviarono verso l’esercito dei demoni che si stava radunando.

“Kasday…tu resta qui. Mando uno dei miei più fidati servitori a prendere la tua famiglia”.

Il giovane non poté far altro che acconsentire. Lo sguardo del capo dei demoni era malvagio e truce: non permetteva in nessun modo di ribattere. Kasday capì solo allora perché il Principe era descritto come qualcosa di spaventoso. Gli sembrava molto più grosso e la sua luce pulsava, mentre la possente coda frustava l’aria con rabbia. Vereheveil corse nelle sue stanze cercando la propria figlia. Kasday restò da solo, al buio. Spaventato, ancora confuso da tutto il suo passato, riprese in mano il suo libro. Non riusciva proprio a capire come far apparire le parole del lato in bianco. Sapeva che era importante, ma non riusciva proprio a capire come aveva fatto. La testa gli faceva male. Sfogliò le pagine, arrabbiato con se stesso. Notò sull’angolo destro di una di esse una macchia di sangue. Era asciutto e spento, ma nella sua mente ecco che quella macchia gli parve luminosa e brillante. Ma certo! Mi sono tagliato con la carta! Quel sangue è mio!

Con convinzione, si diede un morso, con i denti a punta, al dito indice e lasciò che una piccola goccia ci cadesse sopra. Il volume la assorbì al suo interno. Il librò gli parlò, nella sua mente sentì la sua voce. I simboli iniziarono a comparire, luminosi e meravigliosi. Kasday rimase in silenzio: era di nuovo consapevole di essere il figlio del Kaos.

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Capitolo 12
*** XII- incontri ***


XII

 

INCONTRI

 

 

Poco prima del tramonto, Kasday e Vereheveil stavano seduti, l’uno di fronte all’altro, accanto al tavolo di mogano lucido. Si guardavano preoccupati. Una bella bambina, dai capelli color dell’oro, sedeva in terra, sfogliando un libro illustrato, tranquilla. Leggeva ad alta voce, lentamente. Era in quell’età in cui si iniziava a scrivere ed a comprendere i testi. Vereheveil la correggeva, a volte, e la guardava con orgoglio. Poi tornò ad osservare lo sguardo affranto dell’amico.

“Non preoccuparti, Kasday! Vedrai che arriveranno presto! Luciherus ha detto che mandava qualcuno a prendere la tua famiglia. Sono sicuro che saranno qui a momenti!”.

 Vereheveil tentò di rassicurare l’amico, tenendogli la mano. Gli era andato accanto e si era inginocchiato accanto a lui. Kasday si scansò, alzandosi. Andò vicino ad una delle immense finestre e guardò fuori, aprendo leggermente una tenda. La biblioteca si trovava su un piano elevato e permetteva un ampia visuale del giardino interno del palazzo. Un giardino meraviglioso, pieno di fiori e di primizie, ma non in quella occasione, in cui era occupato da una parte degli eserciti del regno. Kasday richiuse tutte le tende. Da quando Vereheveil aveva iniziato a lavorare in quel luogo, quei tendaggi erano sempre lasciati aperti per far passare più luce possibile, ma l’ex Serafino oscurò la luce del tramonto. Accese delle candele per dare luce alla sala. Illuminata, la biblioteca diveniva un luogo piacevole. Pur essendo un ambiente molto scuro e cupo, quasi interamente di colore nero o blu scuro, con le luci delle fiamme si accendevano mille riflessi su ogni superficie e comparivano disegni in argento e oro di angeli, demoni, Dèi e molte altre figure. Il pavimento, in marmo blu lucido, quando veniva colpito dai raggi luminosi sembrava fatto d’acqua da quanto rifletteva coloro che ci camminavano sopra o gli oggetti appoggiati su di esso. Portava rappresentato, al centro, tra due scaffali, il simbolo del Kaos, circondato da stelle e pianeti sotto il controllo della divinità, che si espandevano lungo tutta l’area della biblioteca. I libri erano suddivisi in quattro ripiani che arrivavano quasi fino al soffitto il quale era, come nella maggior parte delle stanze del palazzo, molto alto. Kasday tentò di immaginare cosa potesse portare rappresentato sul soffitto un palazzo della Città degli Dèi. Il soffitto sotto il quale era ora, aveva un disegno complicatissimo che lo ricopriva, fatto di intrecci e simboli di non facile interpretazione. Molte figure campeggiavano su di esso. Sospirò. Si appoggiò ad una piccola maniglia dorata che apriva una delle finestre. Vereheveil si era messo a sedere sul tavolo, dietro al Serafino. Le gambe del mobile, a forma di demoni con sorrisetti malvagi e angeli malinconici, sorreggeva il piano che brillava con riflessi d’argento grazie alla lieve luce che riusciva ad entrare dal piccolo spazio lasciato da Kasday tra le tende.

“Kasday…” iniziò a parlare l’angelo dalle ali nere.

“Ti prego..” lo interruppe l’amico, che continuò guardare fuori.

Vide che il simbolo del Kaos si era acceso sulle due torri principali. E vide la Guerra con il suo plotone alle spalle, composto da vari individui dei molteplici Pianeti governati dal suo compagno. Luciherus apparve dal lato opposto, spronando il suo esercito con urli minacciosi. Erano pronti a far iniziare la battaglia contro la Dea del Destino, aspettavano solo un segnale da parte del padrone di quel Mondo. Ma il Kaos non si vedeva ancora. Kasday guardò il soffitto, di nuovo. Al centro di esso, si poteva notare la divinità del disordine, re supremo di quel Pianeta, con un’aria minacciosa, circondato da tutti gli Dèi che gli erano fedeli: tutti gli Hainuet. Ognuna di queste divinità era accompagnata dal proprio simbolo e incorniciata da glifi complessi e decori.

L’ex Serafino rabbrividì allo sguardo del Kaos e si avvolse nel lungo mantello, che gli era stato dato per combattere il freddo che era sceso all’improvviso. Distolse lo sguardo e si mise a fissare il vuoto, perso nei suoi pensieri. D’un tratto la porta della stanza si spalancò ed una figura scura entrò nella biblioteca. I suoi occhi azzurri brillavano e, con voce piuttosto scocciata, puntò il dito contro Kasday.

“Eccoti qui, mostriciattolo!” esclamò, nella lingua degli Dèi, e le pareti tremarono.

La bambina di Vereheveil, spaventatissima, si mise a piangere. Il padre adottivo la circondò tra le braccia, pronto a difenderla. La figura ricominciò a parlare, ma questa volta usò in linguaggio che l’angelo dalle ali nere riuscì a comprendere: “Non preoccuparti, mortale. A te ed alla tua bambina non ho alcuna intenzione di fare del male!”

Eppure…io ti ho già visto! Si disse Vereheveil. Prese la bambina in braccio e andò a rifugiarsi in un angolo della biblioteca. Quel Dio lo spaventava e non riusciva a capire in che lingua stesse parlando a Kasday. Sembravano conoscersi…forse non sarebbe successo nulla di spiacevole.

“E così…” iniziò il Dio “…tu e tua madre complottate contro di me!”.

“Io non complotto niente. Voglio solo andarmene di qui con le persone che amo” rispose Kasday. L’ex Serafino guardò le mani della divinità che gli stava di fronte: solo il tavolo divideva lui e il massiccio individuo. Appuntite e taglienti, le dita del Dio grondavano di sangue.

Ma gli Dèi non sanguinano si disse non hanno un cuore che pompa sangue, ma nelle loro vene scorre magia! Perciò quel sangue…

Il Dio non gli lasciò il tempo di fare supposizioni. Tese la mano e Kasday si sentì sollevare da terra.

Con un lievissimo movimento delle dita, la divinità catapultò l’ex Serafino fuori dalla finestra, che si frantumò in migliaia di pezzi. I vetri tagliarono Kasday, strappando in più punti le sue vesti. Cadde al piano di sotto. Boccheggiando, carponi, scosse la testa per riprendersi e si rialzò di corsa: doveva andar via. Sotto i suoi piedi scalzi sentì pungere il vetro e percepì su quasi tutta la sua pelle il pizzicorio delle schegge, ma ignorò la cosa, concentrato sul fatto che doveva sparire da lì il più in fretta possibile. Vereheveil urlò il suo nome. L’angelo nero si era rannicchiato in un angolo e stringeva forte la sua bambina.

“Kasday! No! Non andartene da me di nuovo! No!”.

L’ex Serafino si mise a correre, cercando di allontanarsi da quel Dio, ma l’ombra che emetteva era sempre più lunga. Le tenebre lo avvolsero. Sono parte del Kaos, pensò con terrore. Sentiva la risata del Dio del disordine e poi una luce d’argento apparve dall’alto. Il piccolo demone incrociò le braccia sul viso per coprirsi gli occhi, abbagliato. Si sentì chiamare per nome ed aprì le palpebre: un angelo dalle ali argentate gli porgeva la mano: “Sono venuto a portarti via, come la mia padrona mi ha ordinato!” esclamò la figura angelica. Confuso, Kasday lasciò che lo afferrasse e l’angelo messaggero lo portò in alto, in fretta.

“Tu sei il Messaggero della Guerra?” domandò timidamente il giovane demone.

“Sì” si limitò a rispondere la creatura piumata.

Teneva l’ex Serafino tra le braccia e insieme volavano velocemente verso il Mondo degli Angeli. Kasday si sentì infinitamente piccolo e triste.

“E la mia famiglia?” domandò.

“Non preoccuparti per loro. La Dea del Destino provvederà a farvi rincontrare, ne sono sicuro!” gli rispose l’angelo.

Girandosi verso il Mondo dei Demoni, che si allontanava sempre di più, Kasday vide che era avvolto da lingue di fuoco.

“Distruggeranno il pianeta!” urlò, ma non ricevette risposta.

Il Messaggero stava aprendo il portale che li avrebbe portati nel Pianeta degli Angeli. Sembrava preoccupato: era consapevole che ciò che accadeva per i Mondi era, in parte, colpa della divinità che serviva. Kasday tremava: sapeva che il Kaos lo aveva ormai trovato.

Rinasci pure dove e quando vuoi, ma io tornerò sempre per distruggerti.

Al ricordo di quella frase, il piccolo demone sentì di nuovo il dolore che aveva provato quando il Kaos lo aveva trafitto con la lancia degli Hainuet. Gli aveva provocato una ferita così profonda da lasciargli una cicatrice sul cuore passando da una rinascita all’altra. L’aveva mantenuta nonostante fosse morto e rinato. Ma non voleva morire di nuovo per scoprire se l’avrebbe mantenuta anche nella prossima vita! Ricordò il suo sangue, che si spargeva per la stanza blu del tempio e ricordò il colore rosso che sovrastava, rapido, l’azzurro prevalente della stanza. Ricordò quando fu lanciato da un Mondo all’altro, buttato di sotto a forza da un Pianeta divino ad uno angelico.

Attraversarono il portale. Con un ultimo battito d’ali, l’angelo Messaggero lo poggiò a terra.

“Vai al Tempio degli Angeli. C’è chi ti aspetta là, Kasday. Io ora devo lasciarti. Devo tornare dalla Dea che mi comanda”.

“Puoi mandarmi notizie della mia famiglia e dei miei amici, appena possibile?” domandò timidamente il demone.

Il Messaggero annuì e fece un piccolo inchino, poi riprese il volo verso il pianeta dei Demoni.

 

 

Rimasto solo, Kasday rialzò il cappuccio e tentò di sistemarsi la veste. Vide che si trovava poco fuori della capitale, non molto lontano da dove si trovava, un tempo, la sua casa. Coprì il viso, le ali, arrotolò la coda attorno ad una gamba e si incamminò verso il centro. Gli angeli si stavano radunando in truppe, pronti anche loro ad unirsi alla battaglia. Davanti all’esercito stava una donna, con una sfera nella mano destra e una spada lungo il fianco. Volava a mezz’aria e dava disposizioni ai soldati. La Dea del Destino, si disse Kasday. Sapeva che tutte quelle creature stavano andando a dare supporto al primo gruppo, che già si trovava nei pressi del Mondo dei Demoni e stava combattendo. Per tutta la città si udivano urli e insulti contro le creature demoniache. L’ex Serafino coprì ancora di più il viso e si affrettò lungo gli scalini del Tempio. Chi lo aspettava? Si chiedeva. E, soprattutto, si chiedeva se era il caso di fidarsi delle parole del Messaggero di una Dea che aveva permesso che lui, neonato, fosse scaraventato dalla finestra. Ma ormai era tardi per pensarci. Sospirò. Tanto, peggio della lancia del Kaos…

Entrò nel luogo sacro, si incamminò lungo una delle navate, nascondendosi come poteva dietro alle colonne.

“Kasday! Non avere paura! Non ti mangio mica!”.

Il demone allungò il collo e vide una figura inginocchiata di fronte alla statua con i simboli degli Dèi. Era coperta, come lui, da un lungo mantello e da un ampio cappuccio.

“Avvicinati” gli disse.

La voce di quell’individuo aveva un qualcosa di indefinito. Non si capiva se era da maschio o da femmina e Kasday pensò che appartenesse ad un angelo.

“Chi siete?” chiese il demone, sospettoso “Ci conosciamo?”.

“Vieni qui, accanto a me” fu la risposta. Kasday si avvicinò. In piedi, accanto alla strana figura, attese altre richieste.

“Inginocchiati qui, giovane Kasday. Dimmi: quale divinità pregheresti in un giorno come questo?”. Il demone, stupito, si inginocchiò. Almeno non vuole distruggermi…credo...si disse. Guardò la statua, non sapendo che cosa rispondere. Cercava di individuare il viso della persona che gli stava accanto, ma non ci riuscì.

“Sai chi rappresenta quella statua?” si sentì domandare.

Il demone annuì: “L’equilibrio. Suo il compito di mantenere l’equità delle forze divine”.

“Già. Dovrebbe essere così. Ma, come puoi vedere, il simbolo che porta sul capo è debole”

“Ed ancor più debole è il simbolo della Pace. Non saprei che farci. Io non ne ho colpa!”

Non voleva rispondere male, ma in quel momento aveva altri pensieri in testa. Ad esempio rimanere in vita, scappando dal Kaos.

“La Pace è morta” gli rispose la figura misteriosa. Kasday avvertì il terrore che aumentava in lui. La Dea della Pace è morta? Ma allora ci sarà per sempre la guerra!

“Come può essere morta?”.

“Semplice. La gente non prega la Dea della Pace per far terminare i conflitti, ma prega la Guerra per poter vincere le battaglie. Sempre meno persone si rivolgevano a Lei, sempre meno persone credevano in Lei. E Lei, piccola Dea, lentamente si è spenta. L’ho vista affievolirsi, fino a spegnersi, come una candela. Ora un'altra entità ha dentro di sé il suo potere, ma non durerà a lungo se la situazione non cambia. Ma se è questo quello che la gente vuole…”.

“Ma tu…chi sei?”.

L’ombra incappucciata si alzò a fatica. “Non ha importanza” disse a Kasday.

Il demone continuò a guardare la statua: “Io pregherei l’Equilibrio” sussurrò, ad un tratto, in risposta alla domanda che gli era stata rivolta precedentemente. “O, forse…” continuò, dopo una pausa “…gli Alti. Loro, con il solo movimento di un dito, potrebbero far cessare tutto questo ed impedire che la gente e gli Dèi si distruggano a vicenda!”.

La figura parve sorridere: “Gli Alti? Pregheresti gli Alti? Loro ci ignorano!”.

 Kasday notò che si teneva in piedi grazie ad un bastone. Forse la voce giovane di quell’individuo non era proprio la più adatta alla sua età. L’esile incappucciato si accostò alla fila di candele e ne accese un paio, che erano state lasciate in disparte. Accompagnò i suoi gesti con dei lievi sussurri, forse preghiere. Guardava verso il cielo:

“Io ho risposto alla tua domanda. Ti ho detto per chi prego. Ora tocca a te: dimmi chi sei!” sbottò Kasday.

Il demone veva fretta. Voleva sapere chi aveva di fronte, con chi stava parlando.

L’individuo iniziò a parlare: “Te ne devi andare, figlio cacciato degli Dèi. Io non posso difenderti, non ne ho più la forza. Ma posso fare in modo che, per poco, le forze contrapposte delle divinità in guerra non si autodistruggano coinvolgendo le popolazioni da loro stesse create. Posso fare da intermediario. Posso fare in modo che la situazione non precipiti. Ma non per molto ancora. Presto o tardi, io soccomberò al loro crescente potere e spero proprio che tu possa rientrare nel tuo ruolo, quando questo accadrà!”.

Parlava piano. Sembrava affaticato, stanco. Abbassò il cappuccio: sulla sua fronte brillava, timidamente, il simbolo dell’Equilibrio.

“Tu…Voi…siete il Dio dell’Ordine! Siete il Dio dell’Equilibrio!” balbettò Kasday e si inginocchiò. Guardò il Dio negli occhi. Anche se la loro luce era accesa e brillante, il suo viso era logoro e consumato e sembrava svuotato dall’interno. Debole e malato, l’Equilibrio si stava arrendendo: stava morendo.

“Ma basterebbe solo che la gente credesse in Voi…” esclamò il demone, spaventato e addolorato nel vedere una divinità ridotta in quello stato.

“Ti sembra una cosa da niente? Ti sembra una cosa facile, Kasday? Sono tutte balle quelle storie che ti raccontano della potenza degli Dèi. In realtà noi divinità siamo deboli, dipendenti dai mortali. Sono loro che decidono chi di noi vive o no. Chi ha il diritto di regnare e chi invece deve spegnersi”.

“Ma è una cosa stupida lasciare consumare le divinità dell’Equilibrio e della Pace!” protestò il demone.

“Non ho mai detto che i mortali siano intelligenti! Scusa ma…”.

La porta del Tempio si spalancò, facendo entrare un vento gelido. Tutte le candele si spensero e l’unica luce che rimase fu il flebile bagliore emesso dal Dio dell’Equilibrio. Avvolto dalle tenebre, Kasday sapeva di non avere più via di scampo. Il Kaos si stava avvicinando. In un attimo, colto da un improvviso istinto di sopravvivenza, il demone spiccò il volo ed il Dio dell’Equilibrio lo seguì. Salirono assieme all’aperto, verso l’alto. Nonostante il forte vento, la divinità restava in bilico sulla sottilissima asta che stava sulla cima della cupola. Afferrò il demone per mano e gli parlò: “Hai ancora un passaggio da compiere prima di poter essere ciò che devi. Lui ti prenderà. Non puoi farci niente. Ma un giorno tornerai, te lo prometto. Provvederò io a tutto!”.

“Che?! No!” gemette il demone.

Kasday arrancò sulla superficie liscia del tetto del tempio, fatto con un materiale simile al vetro con centinaia di colori che riflettevano la luce del sole. Preoccupatissimo, dovette lasciare la mano del Dio e scendere a terra, in cerca del suo avversario. Era pronto ad affrontarlo, come un mortale affronta un Dio: senza speranza!

 

 

Il Kaos stava sulla porta del luogo sacro. La Dea del Destino lo vide e iniziò a salire lungo le scale, in cerca dello scontro diretto. Kasday cadde tra loro, seguito dal Dio dell’Equilibrio.

Il demone sussurrò: “Fai quello che devi, Dio. Falli smettere. Io sono anche pronto a morire, ma tu falli smettere”.

Si guardò rapidamente attorno, cercando qualche volto familiare. Vide Eleniel in lacrime. Pregava, a mani giunte, piangendo. Rahahel le stava accanto, nel cortile esterno del tempio. L’Arcangelo guaritore guardava il cielo e gli eserciti che si preparavano in esso. Iniziò a pregare con la collega, non poteva far altro.

Kasday li vide entrambi. Non sono cambiati…sono cresciuti, ma sono sempre loro. Amici miei!

Lo sguardo suo e quello di Eleniel si incrociarono e lei lo riconobbe: gli occhi di Kasday erano inconfondibili. Lo chiamò per nome, ma l’ex Serafino non poté udirla.

Nel frattempo, infatti, il Kaos gli aveva abbassato il cappuccio, mostrando a tutti i presenti il suo aspetto demoniaco. Piombò il silenzio. La Dea del Destino, a metà della scalinata, vide padre e figlio vicini. Pensò che ci fosse un qualche tipo di accordo tra i due e non poteva permetterlo!

Urlò al suo esercito di angeli: “Demone! C’è un demone! Nemico!”.

Tutte le creature angeliche lanciarono un urlo di odio. Kasday fu  travolto, dal Destino e poi da molti angeli. Non riuscì a capire chi gli diede il colpo di grazia. Riverso sulle scale, boccheggiante e in agonia, sentì in lontananza la voce di Eleniel che lo chiamava.

Molte voci ripetevano il suo nome, senza capire: “Kasday? Come Kasday? Come può essere?”.

Il Kaos rideva: “Sono felice che sia stata tu, Destino, mia cara, a fare il lavoro sporco!” lo sentì dire “E in quanto e te, sgorbietto, ti spedirò in un mondo meraviglioso. Senza nessuna forma magica! Così voglio proprio vedere come riesci a tornare qui!”.

Il demone iniziò a sussurrare parole che gli uscivano dal cuore, in preghiera a qualcuno che stava più in alto. La Guerra lanciò un grido. Di rabbia, odio o paura.

“Mamma…” bisbigliò Kasday.

“Non puoi sempre fare quello che vuoi, Kaos! E nemmeno tu, madamigella Destino!” si udì la voce dell’Equilibrio.

“Taci, fratellino! Io comando e tu stai buono!” gli rispose, con rabbia, il Kaos.

Fratellino?

“Ci sarà sempre qualcuno al di sopra di te! E prima o poi te ne accorgerai!”.

Quella frase…

Il grido dell’Equilibrio si fece sentire. Un vento sempre più pungente avvolse le tre divinità, dividendole. Kasday sentì sempre più freddo e chiuse gli occhi, sorridendo: l’Equilibrio aveva bloccato, per ora, la guerra finale.

Il sangue del demone scorreva lungo i 225 scalini. Finché poté continuò a mormorare parole di preghiera, poi tacque: il suo cuore aveva smesso di battere.

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Capitolo 13
*** XIII- senza magia ***


XIII

 

SENZA MAGIA

 

 

Con le cuffie dell’mp3, che pompavano musica ad un volume altissimo, ben fissate tramite un piccolo auricolare, il giovane dai capelli corvini salì le scale del suo nuovo appartamento.

Portava tra le braccia un piccolo scatolone con tutte le sue cose dentro. Girò la sottile chiave, leggermente ruggine, ed aprì la porta. Entrò nella sua nuova dimora, al terzo piano di un condominio del centro. Aveva iniziato l’Università e quello era il suo primo giorno in un'altra casa.

Emozionato, poteva ora vivere da solo, iniziò a mettere in ordine i suoi oggetti. Svuotò la valigia con cura, fischiettando e canticchiando, con la sua voce dolce, ma per niente mascolina. Ballava, anche, e rideva. Si sentiva davvero felice.

Suonò il cellulare: “Si? …Ah, ciao mamma! Ti avevo detto di non chiamarmi subito! Sono fuori casa da solo due ore! Sì, sì…l’appartamento è carino. E non pago molto al mese. Torno da voi per il week-end. Adesso vado. La valigia non si disfa da sola e tra un paio d’ore ho la prima lezione. Ciao!”.

Finì di riordinare le sue cose ed uscì.  Attraversò la stradina pedonale di sassi che circondava la sua nuova dimora. Sentiva l’aria dell’autunno, con le  prime piogge e le foglie che mutavano il loro colore. Alcune già iniziavano a cadere. Al ragazzo piaceva l’autunno, anche se gli metteva un po’ di malinconia nelle ossa. Guardando le sfumature del cielo e del verde del parco, che stava sulla sua destra, il giovane si ritrovò a pensare a quanto dovesse essere grandioso e magico il potere degli Dèi, o di Dio, non lo sapeva bene, per poter creare una cosa così meravigliosa. Anche in quel caso, però, poté notare quanto poco importasse agli altri abitanti del luogo questa magnificenza. Ovunque poteva scorgere cartacce, alberi rovinati, scritte oscene.. e l’odore dello smog e dell’inquinamento.

Attraversò il parco, zigzagando tra bimbi sorridenti e chiassosi nei loro giochi, cagnolini scodinzolanti e coppiette in atteggiamenti compromettenti. Si chiese quanto tempo sarebbe durato l’amore promesso eternamente da quegli uomini e quelle donne. Sarebbe arrivato a scorgere i primi fiori della primavera o sarebbe morto con il gelo dell’inverno? E quello era davvero “l’Amore”?

Scacciò quei pensieri, consapevole che non sarebbe mai giunto ad una soluzione, ed affrettò il passo. Aveva chiesto alla portinaia se, gentilmente, poteva indicargli la via più breve per giungere alla sua Università. Seguì diligentemente le sue indicazioni e, con la borsa sulla spalla sinistra, trovò l’entrata. Era un edificio molto antico, il ragazzo lo avvertì: aveva un odore particolare, sapeva di “vissuto”. L’arco d’ingresso, decorato in pietra, portava una scritta in una lingua arcaica che dava il benvenuto agli studenti. Appena entrato, il giovane avvertì il profumo dei libri e della biblioteca.

Lo sentì familiare e rassicurante perché era un odore che lo accompagnava, il suo preferito.

Camminava lungo il corridoio, cercando l’aula in cui avrebbe avuto  la sua prima lezione. La trovò dopo pochi minuti, guidato da vari cartelli, ed entrò, appoggiando il suo quaderno.

I suoi occhi azzurri esplorarono l’ambiente e notarono che molti lo fissavano.. o forse era solo una sua impressione. Un ragazzo con  i capelli biondi gli si sedette accanto, seguito da una ragazza dai capelli rossi.

 “Ciao!” salutò la giovane, che aveva splendidi occhi verdi “Lui, questo spilungone dai capelli biondi, si chiama Samuael. Io sono Larian. E tu hai un nome, matricola, o hai solo due divini occhi azzurri?”.

La ragazza rideva ed il ragazzo, un po’ imbarazzato, rispose sottovoce: “Io sono Abramian. E mi fa piacere che ti piacciano i miei occhi azzurri, Larian. Avete entrambi nomi strani…”.

“Per me Abramian non è normale. Samuael è relativamente comune nella variante: Samuel” affermò il ragazzo dai capelli biondi.

“Abramian è un nome antico…” iniziò lo studente dai capelli corvini.

La ragazza lo interruppe: “Presta attenzione alla lezione di oggi. Si svolgerà la presentazione di tutti i corsi e gli insegnati. Segui, in particolare, quattro professori. Quando entrano, ti indicherò quali” gli disse Larian, con un sorriso.

Il ragazzo che portava il nome di Abramian annuì. Si soffermò a guardare la ragazza. Nonostante la temperatura, non molto elevata, lei portava una maglietta leggera che portava la scritta “Io non sono qui”  in caratteri maiuscoli e in rosso. Spiccava sul blu della stoffa. I jeans che indossava erano leggermente troppo bassi e le lasciavano scoperta l’ultima parte della schiena, mettendo in evidenza la curva dei suoi fianchi. Il ragazzo distolse lo sguardo ed osservò Samuael. Aveva i capelli ricci, lunghi fino alla schiena, tenuti con cura. I suoi vestiti parevano di una, o due, taglie più grandi. La felpa, nera con la scritta argento “Death Angel”, aveva le maniche che gli coprivano le mani. Anche i pantaloni erano troppo grandi e si allargavano nella parte finale, coprendo del tutto i piedi del proprietario. Aveva degli occhi scurissimi ed un sorriso splendido. Abramian lo guardava con curiosità.

“Siete anche voi al primo giorno?” domandò il ragazzo, ai due.

Fu Larian a rispondere: “È come se lo fossimo. Diciamo che ormai siamo di casa, conosciamo molto bene, quasi da una vita, alcuni professori, ma non abbiamo mai seguito una lezione”

“E allora che fate qui, se non seguite le lezioni?”.

“Siamo alla ricerca di una persona. Ma finché lei non ci chiama, non possiamo rivelarci”.

Abramian finse di comprendere e fece un cenno con  il capo. Nella stanza scese il silenzio perché stavano entrando i docenti. Erano sei, tre donne e tre uomini. I due al centro iniziarono a parlare ed a spiegare come si svolgevano i corsi e gli esami. Larian diede un colpetto alla spalla di Abramian e bisbigliò al suo orecchio

“L’uomo sulla destra è un po’ misterioso, ma è un grande maestro. La donna sulla sinistra ha un caratteraccio, ma se ti serve qualcosa lei è lì, pronta per te”.

Continuò Samuael: “L’uomo sulla sinistra non è di tante parole, anzi, non parla quasi mai. Ma sa più di quanto tu possa immaginare. La donna sulla destra è sempre di buon umore e sa sempre come consigliarti”.

Abramian guardò le quattro figure. Il primo uomo, accanto alla porta, era molto, molto alto. Aveva tratti molto dolci, con occhi grandi, in parte celati da un paio di occhiali sottili, e capelli raccolti in un codino. Non pareva avere più di trent’anni ed osservava gli studenti in silenzio. La donna che gli sedeva accanto era accigliata ed assorta in altri pensieri. I capelli scuri, lasciati sciolti sulla schiena, spiccavano sull’abito rosso. Giocava con la collana di grosse pietre dure che portava attorno al collo. Abramian ignorò i due che parlavano e si concentrò sulle figure di destra che gli erano state indicate da Larian e Samuael. La donna sulla destra, sorridente, era vestita di chiaro, con abiti larghi, e teneva le gambe incrociate. Scosse il capo, facendo brillare la chioma dorata. Anche lei pareva piuttosto giovane. L’ultimo insegnante, nell’angolo destro, teneva le mani incrociate davanti al viso ed i gomiti sul tavolo. Seduto, in abiti scuri e stivali, faceva ruotare velocemente gli occhi da una parte all’altra. Aveva uno strano sorriso, ambiguo.

Una volta finita la riunione di presentazione dell’ateneo, gli studenti si avviarono verso l’uscita.

Il giovane dai capelli corvini si trovò subito a suo agio nella scuola nuova e diede ragione ai suoi nuovi amici che gli avevano indicato quali professori seguire maggiormente: effettivamente quei quattro erano i docenti che preferiva. Giovani e pieni di argomenti interessanti, sapevano come stimolare la sua fantasia e la sua concentrazione. Due di loro, la donna in rosso e l’uomo alto, insegnavano due tipi diversi di letterature e scritture straniere. La donna in chiaro era la docente di scrittura e traduzione dell’Università. L’uomo in abiti scuri faceva lezioni sui numeri, le formule e la logica. Tutte e quattro le materie avevano connessioni strette tra loro ed Abramian ne avvertiva la magia, in ogni parola.

Mi piace questo posto, mi piace la mia nuova scuola, mi piace la mia nuova casa: mi piace la mia nuova vita!

 

 

Un pomeriggio, dopo un breve periodo passato nel nuovo ambiente, decise di tornare a casa in fretta. I primi fiocchi di neve cominciavano a scendere ed un vento gelido sibilava da nord.

Arrivò a casa con il buio, il sole tramontava presto in quel periodo. Aprì la porta in cima alla rampa di scale che aveva percorso silenziosamente. Appoggiò le chiavi, come sempre, sul piccolo tavolino dell’ingresso ed accese la luce del breve corridoio che divideva il cucinino dalla sua stanza da letto. Notò che sul tavolo, oltre al telefono, stava un grosso volume verde scuro.

Da dove sbuchi tu? È impossibile che non ti abbia  mai notato fin ora… Rigirò il libro fra le mani. Vabbè…domani chiederò alla portinaia. Magari è del proprietario precedente. O forse sono passati i miei genitori a portarmelo e, non trovandomi a casa, l’hanno appoggiato qui.

Chiamò sua madre. Da lei ebbe la notizia che quel libro non apparteneva alla sua famiglia. Assonnato e stanco, decise di ignorare, per quella sera, il tomo misterioso, si spogliò in fretta ed andò a dormire. La mattina seguente, ancora in pigiama e davanti ad una tazza di cappuccino con  i biscotti, riprese in mano il volume misterioso. Iniziò a sfogliarlo e si mise a ridere: era un libro di magia.

“Che forte…chissà se funziona ‘sta roba!”.

Pronunciò una piccola formula che gli parve interessante: “Una frase per poter comunicare con una creatura alata…magari questa creatura può aiutarmi con i compiti di logica” rise.

 Lesse le poche frasi, scritte in corsivo. Che cretinata, si disse. Finita la colazione, andò a fare la doccia e gli venne di nuovo da ridere mentre l’acqua scorreva sul suo corpo. Scansò la tendina, che circondava la cabina in cui scendeva il getto d’acqua calda ed uscì. Sobbalzò, quando vide un'altra persona allo specchio.

“Chi sei?” urlò spaventato.

Si voltò per afferrare un asciugamano ma, quando tornò a guardare nella superficie riflettente, vide solo se steso.

Devo essermi svegliato troppo presto…

Lasciò cadere l’asciugamano azzurro ed iniziò a vestirsi. Con il completo, in giacca e cravatta, si sentiva bene. Avvertì la portinaia del libro dimenticato ed andò a lezione.

Dopo le ore di studio decise di prendersi una buona cioccolata calda. Ma prima, si disse, vado ad appoggiare la cartella a casa e fece una piccola corsa fino al suo appartamento. Fischiettava, lungo le scale. La portinaia lo avvertì di aver informato il proprietario precedente di aver scordato un libro.

“Grazie!” canticchiò il ragazzo. Chiuse la porta dietro di se, si voltò, e cacciò un grido.

“Chi siete voi?”.

 

 

Tre figure, tre ragazzi, pensò, stavano seduti attorno al tavolo del suo cucinino. Avevano aperto tutte le tende, cosa che lui non faceva mai. Giocavano a “Non ti arrabbiare”, un gioco da tavolo che l’universitario aveva ricevuto in regalo per il compleanno.

“Non ti allarmare” rispose uno dei tre intrusi, dai capelli ramati “Non abbiamo cattive intenzioni”. “Tu sei straniero. Hai un accento strano!” notò subito Abramian.

“Che cosa ti importa sapere da dove veniamo?” chiese il secondo ragazzo, dai capelli biondi.

“Chi siete?” tornò a domandare lo studente, con impazienza “E come siete entrati in casa mia? Qui siamo al terzo piano. Porte e finestre sono chiuse a chiave”.

Il terzo ragazzo, dai capelli castano chiaro, rimasto in silenzio fino a quel momento, parlò con voce calma e melodica: “Noi non siamo, propriamente, fatti di materia fisica come a te piace intenderla. Siamo, più che altro…come dire…eterei!”.

Il giovane dai capelli corvini si mise a ridere: “Sì, sì…certo! Che cosa sareste? Fantasmi?!” rise, quasi piegato in due.

Il ragazzo biondo sussurrò, in una lingua che lo studente non comprese: “Perché non ce lo portiamo via e basta?”.

“Tu ci hai chiamato, ragazzino!” sbottò la figura dai capelli ramati.

“Io? E in che modo?”.

“Con quel libro…” risposero i tre intrusi, in coro, indicando il grosso volume verde scuro. “Scherzate, vero?” domandò Abramian “É una specie di programma televisivo o stupidaggine organizzata? O cosa? Che buffonate dite? Vi piace sfottere? O, forse, ho capito…uno di voi tre è il proprietario del libro. Evidentemente ha fatto la copia della chiave, o forse gli ha aperto la portinaia, e adesso ve ne state qui a sparare cazzate!”.

“In effetti…” iniziò il ragazzo dai capelli ramati “Il libro ci appartiene. O meglio, appartiene a Vereheveil. A noi non è concesso rivelarci a voi, di questo Mondo, senza esplicito invito. Non sapevamo come poter parlare con te, se non tramite questo libro. Non abbiamo abbastanza forza magica per stare tanto tempo nella forma delle creature prive di questa energia. Così abbiamo messo questo libro in casa tua. Leggendo quelle frasi, ci hai permesso di venire qui e di parlare di certi argomenti, occhi divini. Ora siamo qui, eccoci. E abbiamo molte cose di cui parlare”.

Il giovane dai capelli neri lo guardò, scettico.

“E voi chi sareste? Angeli?”.

“Beato chi crede senza vedere…” bofonchiò il ragazzo biondo, visibilmente scocciato. “Ecco…tecnicamente…sì. Siamo angeli” rispose il giovane dai capelli castano chiaro.

Lo studente quasi si distese in terra dal ridere: “Per essere dei ladri, devo ammetterlo, siete molto creativi. Non ho mai sentito una storia più assurda!” rideva, piegato in due, e non riusciva a smettere. Poi si fermò. Espirò un paio di volte, e tornò serio: “Ad ogni modo…ditemi i vostri nomi, signori. Chiamo la polizia. Questa è una violazione di domicilio!”.

I tre intrusi si guardarono, sospirando.

“Dai…!” iniziò il ragazzo dai capelli ramati “…una volta non eri così scettico!”.

Una volta? Intendi quando ero bambino?

“Te lo dicevo, io, che questi sono difficili da convincere. Fidati di me, una buona volta, che ho una certa esperienza. Sono cocciuti e razionali. La magia e le divinità non rientrano più nelle loro credenze!” sbottò il biondo “Avevo anche suggerito di risolvere il problema con una botta in testa e…”.

“Stai calmo, Gibrihel. Ringrazia il fatto che stai lontano dai tuoi gigli per mezza giornata!” lo ammonì il castano chiaro, che ora si era messo seduto sul tavolo, a gambe incrociate.

“Tu! Tu sei l’Arcangelo Gibrihel?” chiese lo studente.

Il biondo, sistemandosi i capelli, si alzò e si avvicinò al ragazzo: “So che può non sembrare…”.

Fu interrotto da una fragorosa risata e dalla frase: “Ma dai! Gibrihel in jeans e camicia!”.

Continuava a ridere. I tre giovani non avevano proprio nulla che potesse collegarli al mondo degli angeli. Portavano dei jeans scuri e delle camicie bianche, con un piccolo ricamo rappresentante un occhio sopra al cuore. Dietro ai jeans, al proprietario dell’appartamento parve di scorgere un disegno di ali. I loro capelli erano curati, profumati, e ricadevano sulle spalle. Il biondo aveva dei ricci particolarmente definiti e il giallo oro, che li colorava, risplendeva. Il ramato aveva ricci lungo il viso, ma sulla schiena erano a onde a malapena accennate. Il castano chiaro aveva ciuffi voluminosi e morbidi, che accarezza spesso, forse era nervoso per qualche motivo.

“Mostratemi le ali, grandi angeli, o sparite da casa mia. Macché polizia…qui ci vuole la psicanalisi!” affermò lo studente.

Il biondo si morse il labbro, reprimendo un certo fastidio: “Adesso gli spacco la faccia” sussurrò, ma continuò a sorridere.

“Non ci sarebbe concesso mostrare le ali senza un permesso specifico…” iniziò il ramato.

Continuò il giovane seduto sul tavolo: “Ma pare che questa sia una situazione di emergenza. Non vedo altre soluzioni…”.

I tre si misero uno accanto all’altro. Alzarono gli occhi, che divennero del tutto bianchi, al cielo, e aprirono le braccia. Sulle loro schiene apparvero le ali, strappandogli le camicie candide. Su due di loro le piume apparvero dorate, sul terzo argento. Poi si tolsero i brandelli di vestiti con due dita.

“Che casino abbiamo combinato…”.

Le loro penne sfioravano il soffitto ed avevano rovesciato alcuni oggetti dalle mensole e rotto dei piatti. Le piume degli alati si sparsero per la casa, con la loro luce e la notevole grandezza. Un piccolo vaso in ceramica si frantumò in mille pezzi.

“Scusa…” sussurrò l’Arcangelo sceso dal tavolo.

“Non fa niente…non era mio…” balbettò lo studente, che era caduto all’indietro dallo stupore. Seduto in terra, guardava i suoi ospiti con occhi spalancati.

“Hai sempre gli stessi occhi. Non sono cambiati. Di un bell’ azzurro. Azzurro/Kaos!”.

“Cos’è l’azzurro/Kaos?” chiese, timidamente, lo studente dai capelli corvini.

I tre alati sorrisero.

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Capitolo 14
*** XIV- L'ospitalità di Abramian ***


XIV

 

L’OSPITALITA' DI ABRAMIAN

 

 

Piume giravano per la casa. I tre angeli si sedettero sul tavolo, stando attenti a non urtare altri oggetti poiché già abbastanza cocci giacevano sul pavimento.

“Adesso ci credi?”.

Il ragazzo annuì: “Sedetevi. Accomodatevi. Posso…non so…offrirvi un tè? Continuate pure a giocare…non volevo interrompervi…”.

Il castano chiaro scese dal tavolo. Si sistemò i pantaloni scuri e porse la mano allo studente, ancora scosso. Lo fece alzare.

“So che non ci ricordi. Io sono Rahahel, lui è Samhian e lui e Gibrihel”.

“Quei Rahahel e Gibrihel?” sussurrò il ragazzo dai capelli corvini, un po’ impaurito.

“Che storie si raccontano da ‘ste parti su di noi?” domandò Gibrihel, sottovoce, a Rahahel. L’Arcangelo non aveva idea di che cosa dire. Alzò le spalle.

“Chiedi al capo…” fu la sua risposta.

“Bando alle ciance! Abramian ti chiami, giusto? Dobbiamo portarti via con  noi! Hai un importante missione da svolgere!”.

“Dio mi vuole?”.

“Mmm…uno dei tanti, in effetti, sì! Anzi…più di uno! Ma ogni cosa a suo tempo…”.

Samhian fece un passo avanti. Portava una borsa a tracolla: “Io sono un Messaggero, un angelo che porta i messaggi degli Dèi. Ma le divinità non mandano tanti segni diretti nel tuo Pianeta, così non lo conosco molto bene. Ho dovuto chiedere a Gibry se mi accompagnava. Infondo lui…da queste parti ha girato parecchio e se la cava!”.

Gibrihel fece il segno della vittoria con le mani, pieno di entusiasmo: “Sì, me la cavo! Anche se voi, senza magia, avete una vita così breve! Fate sì che ogni volta che passo di qui mi ritrovo tutte le cose scombinate! Vi lascio un paio di secoli ed ecco che nulla è come prima! Le architetture e i visi cambiano così in fretta! E anche voi cambiate…una volta eravate così adorabili e connessi alle divinità! Oggi invece…vabbè…”.

“Immagino…poveri voi! Ma, quindi, finché uno di noi, definiti senza magia, non vi chiama, voi non potete comparire?”.

Il ragazzo e i tre angeli iniziarono una serie di domande e risposte. Abramian chiedeva e i tre davano spiegazioni, a turno.

“Non è esattamente così…nel tuo Mondo ci sono un sacco di creature angeliche e demoniache”

“E tra di voi non litigate?”.

“No. Che ci importa di litigare? Certo…a volte capita! Ma, personalmente, io litigo anche con gli angeli. Non dipende dalla specie, ma dal carattere” disse Gibrihel.

“Ma i demoni non sono creature malvagie? E gli angeli non sono coloro che devono farli stare lontani dai deboli, in modo che non vengano fuorviati verso vie di crudeltà?”.

“Stronzate!” esclamarono i tre, in coro “Sono le nostre divinità che litigano e si impicciano degli affari degli altri! In realtà, come disse Gibrihel, dipende dal carattere. Ci sono angeli che prenderei a sprangate e demoni a cui offro volentieri una birra. Poi, ovvio, in presenza dei capi e degli Dèi dobbiamo stare l’uno contro l’altro. Qui siamo in un Pianeta neutrale, si può dire. Non c’è un Dio predominante. E perciò siamo abbastanza tranquilli, lontani dalle guerre” precisò Samhian.

“Quanti angeli e demoni ci sono per il mio Mondo?”.

“Tantissimi! Ad esempio…hai presente il tuo professore? Quello alto, alto? Quello è Metatron! Un angelo. E i tuoi amici, quelli del primo giorno di Università? Samuael in realtà è Samael, un Arcangelo. Larian è Lamian, una demoniessa. E posso andare avanti…” iniziò Rahahel.

Il ragazzo rimase molto stupito.

Immagino che anche gli altri tre miei docenti siano angeli e demoni…incredibile!

 “Come mai, Rahahel, tu sei qui? Sei l’Arcangelo guaritore, protettore dei viandanti e dei matrimoni…”.

“So chi sono! Vedrai in seguito che cosa ci faccio qui…”.

“Certo che…ce ne hai messo di tempo per rinascere!” esclamò Samhian, e continuò “Per fortuna ti abbiamo trovato appena in tempo!”.

“Non capisco…”.

“Lo so. Comunque, come detto, io sono un Messaggero. E ti porto una comunicazione da parte dell’Equilibrio. Io non sono il suo Messaggero personale, ma lui ha preferito mandare me. Colui che svolge quel compito ha voluto  rimanere accanto al suo padrone, che sta molto male. Sta morendo”.

“Il Dio dell’Equilibrio sta morendo?”.

“Sì. È molto debole. E ti manda a chiamare”.

“Me? E perché?”.

“Non te lo so dire. Ho il compito di portarti da una persona che ti aiuterà a ricordare alcune cose ed a raggiungerlo”.

“Cosa ne sai dell’Equilibrio e di cose simili, Abramian?” chiese Gibrihel.

“A parte il fatto che è una condizione di stabilità in fisica…nulla di più. Immagino sia una divinità, ma non saprei dire molto altro. Gli affari religiosi non mi riguardano…”.

I tre angeli risero.

“Me ne ricorderò! Questa frase, detta da te…” iniziò Rahahel.

“Perché? Che c’è?”.

“Niente. Ricorderai presto. Avete ancora templi o cose simili con i simboli delle divinità?”.

“Sì, ma non ci vado spesso”.

“Preghi mai, anche se non nei templi?”.

“Sì, il Dio della Letteratura e delle Lingue, la maggior parte delle volte. Poi dipende dai casi…perché? Che vi importa?”.

“Tu sai che non c’è una divinità principale che governa questo Pianeta?”.

“Fin lì ci arrivo! Questo Mondo è un casino!”.

Con un sorriso Samhian ricominciò il suo discorso: “Dobbiamo portarti in un altro Mondo, Abramian. Lì ci sarà il Dio che tu preghi che ti farà tornare la memoria grazie all’uso di un libro. Voleva venire di persona, ma poi ha scoperto che quel rituale può essere svolto solo tenendo quel libro tra le mani, non recitando a memoria. E il proprietario del volume è molto possessivo e non concede che venga portato fuori dalla sua biblioteca. È molto geloso della sua roba”.

“Oh, si! È geloso di tutto! Ma non di sua moglie…” commentò, acido, Gibrihel.

“Dove mi volete portare?”.

“Oh, in un bel posto! Ci sei già andato. Nel palazzo di Luciherus”.

Il ragazzo guardò i tre con occhi sgranati: “Cosa?!” balbettò “Quel Luciherus? Il Principe? Il Vice del Kaos? Un demone?”.

“Lo conosciamo, non serve che ce lo descrivi!”.

“E voi volete portarmi da lui? Non se ne parla!!”.

“Perché no? Dopotutto siete amici…”.

“Come, scusa? Io? Amico di un demone? Amico di QUEL demone? ! L’avete detto voi che la mia vita è breve, non accorciamola ulteriormente, per favore! In fondo mi và di vivere ancora un po’…”.

“Il libro è nel suo palazzo”.

“Bene. Fotocopiatelo!”.

“Divertente! Avanti, andiamo!”.

“No! Non voglio!”.

Il giovane Abramian protestò vivacemente, ma i tre angeli, di parecchi centimetri più alti di lui, lo afferrarono saldamente. Con una formula, di poche parole, aprirono le finestre dell’appartamento e lo trascinarono fuori, volando via. Il ragazzo si dimenava in cielo, scalciando con le gambe. Samhian guidava il corteo, Rahahel e Gibrihel tenevano, uno per braccio, strettamente, Abramian. I capelli corvini dell’essere privo di magia si spettinavano al vento ed i suoi occhi, grandi e azzurri, bruciavano, colpiti dall’aria. Iniziò prima ad inveire contro i tre angeli e poi proferì pesanti offese contro tutte le divinità che gli venivano in mente.

“Fai silenzio! Non hai idea di chi stai offendendo!” lo rimproverò Samhian, prima di aprire il portale grazie al quale cambiarono Mondo.

“Che vuoi che me ne freghi di chi sto offendendo! Mettetemi giù!” sbraitò il ragazzo.

“Come vuoi!” esclamò Gibrihel e lasciò andare il braccio di Abramian.

Rahahel, non in grado di reggere il peso del ragazzo tutto da solo, precipitò al suolo. Sbatacchiò le ali inutilmente e cadde di faccia, bestemmiando. Abramian, invece, batté la schiena e quasi svenne.

“Sei proprio un bastardo, Gibry. Io l’ho sempre detto!” sussurrò Rahahel, con rabbia.

Si rialzò, sistemandosi le ali. Gibrihel atterrò dolcemente, si riassettò le ali e, con aria civettuola, si passò una mano sui capelli spettinati. Poi tornò a concentrarsi sulle sue piume, che lisciò con cura.

“Che botta!” bofonchiò Abramian.

Tentò di rialzarsi ma non gli riuscì semplice. La gravità del Mondo dei demoni lo schiacciava al suolo, come in una morsa. Si sentiva soffocare, gli mancava l’aria. Rahahel gli appoggiò una mano sulle costole, permettendogli di ispirare di nuovo.

Il giovane riuscì a sussurrare: “Mi hai…”.

“Guarito? È il mio compito. Ora alzati”.

Il ragazzo si accorse di essere caduto su un pavimento nero, lucido. Alzò gli occhi: una donna bellissima, pallida, lo guardava.

“Madama Lilith” sussurrò Samhian “Lo abbiamo portato, come aveva ordinato Vereheveil”.

“Lo so. Lo vedo!” rispose lei “Il mio compagno arriverà a momenti. Vedetevela con lui. Io non voglio avere niente a che fare con certe cose!”.

Si inginocchiò. Lo studente dai capelli corvini non voleva alzarsi. Lei gli bisbigliò nelle orecchie qualcosa: “Io e te abbiamo un affare in sospeso. Ci rivedremo presto!”. Poi si rialzò, coperta, come sempre, solamente dal serpente.

Il giovane rimase profondamente turbato da quell’incontro, ma cercò di non farlo notare ai tre angeli, che parevano impassibili davanti alla bellezza della demoniessa. Lei uscì dalla stanza ed al suo posto entrò un'altra figura. Si sentirono rumori di tacchettini sul pavimento. Luciherus!

Abramian rimase a terra, guardando il pavimento.

“Sempre con la sigaretta in bocca!” sentì dire.

“Non rompere Gibrihel!”.

Quella voce. Così bassa e sinistra…doveva appartenere al Principe! Il ragazzo rabbrividì.

“E sei sempre così irascibile!”.

“Certo! Stavo per terminare l’ultimo livello di un gioco su cui sto concentrato da anni! Una vera tortura! Ma poi siete arrivati voi, rompini!”.

Stava giocando? A cosa? Alla play station? 

“Ho dovuto chiudere tutto!”.

Poi ci fu silenzio.

“Che fai, lì in terra? Cerchi formiche? Guarda che non ce ne sono!”.

Il Principe stava parlando ad Abramian, che ancora non si alzava. Il ragazzo non fu in grado di rispondere.

Io non dovrei essere qui. Adesso muoio. Non voglio essere qui! Voglio tornare a casa!

Gli veniva quasi da piangere. Forse è tutto un sogno. Adesso mi sveglio…devo svegliarmi…

“Spero che il mio capo non mi distrugga per averlo fatto venire qui” si sentì dire dall’Arcangelo caduto.

“Grazie a te, per non distruggere noi!”

“Non istigarmi, Gibrihel! E sappiate che non lo faccio per voi, pennuti, ma per lui!”.

Per me?

 Il ragazzo alzò gli occhi, osservando Luciherus. Era vestito elegante, come lui. I capelli erano raccolti con un nastro e la sua coda nera frustrava l’aria. Per il nervosismo, pensò Abramian.

“Portiamolo in biblioteca. Vereheveil è là”.

Lo studente si sentì sollevare da terra. Il Principe lo aveva afferrato con la coda e lo aveva rimesso in piedi.

“Certo che…sei piccolino in quest’ultima rinascita! Che nome hai ‘sta volta?” commentò il demone.

“Io…non capisco…comunque…mi chiamo Abramian”.

“E che nome è? Terribile!”.

La coda del Diavolo continuava ad agitarsi di qua e di là, come quella di un felino nervoso. A volte sbatteva sul pavimento con forza, lasciando dei segni.

“Seguimi!” ordinò il padrone di casa al ragazzo, che continuava a guardarsi attorno smarrito. Srotolò la coda dal ventre del giovane che lo seguì, in silenzio. Abramian notò come continuasse a dimenarsi ed a frustare nervosamente l’aria.

“Io sono immortale, piccioni giganti. Ma questa condizione resta invariata solo finché Lui, il Kaos, me lo concede. Se finirò nei guai per colpa dei vostri casini, ve la farò pagare! La battaglia finale è vicina!” sibilò il Principe, rivolto ai tre angeli.

“Effettivamente…potevamo fare a meno di ucciderlo l’ultima volta…”.

Ucciderlo? Uccidermi?

“Adesso sparite, piumini. Tornate a girarvi i pollici nel vostro Mondo. Qui ci pensiamo io e Very!” esclamò il demone.

“Come sei gentile…” commentò Rahahel.

“Se vuoi ti mordo! Quello è essere gentili! E ti avverto che, come demone, ho dei gran bei dentini! Dite a Mihael che non vedo l’ora di rincontrarlo per poter spaccare il suo bel faccino!”.

Rahahel e Gibrihel annuirono, con una risata. Scossero il capo: il Principe non sarebbe mai cambiato! E Poi i due Arcangeli volarono via.

 

 

Luciherus e lo studente entrarono in biblioteca. Samhian li seguì in silenzio, e si rintanò in un angolo.

“Very?” chiamò il demone “Dove sei? Ti ho portato un regalo!”.

Abramian era molto spaventato: non c’erano più gli angeli a proteggerlo! Intravide una luce verde/azzurra proveniente da dietro uno scaffale e Vereheveil spuntò. Era altissimo, sfiorava il soffitto. Senza ombra di dubbio, quella creatura era un Dio. I suoi occhi d’oro risplendevano e le ali nere parevano incastonate di smeraldi. Il Dio della Letteratura si avvicinò al ragazzo, con un libro in mano e la creatura senza magia si inginocchiò.

Un Dio! Di fronte a me sta un Dio! Deve essere un sogno!

Vereheveil sospirò. Rimpicciolì, per essere della misura giusta per guardare l’amico negli occhi. “Grazie” gli sussurrò Luciherus.

Il Dio iniziò a leggere: “A’ liem àminòra, àliem levinòra, àliem manui sien…”.

Il ragazzo dai capelli corvini ricordò. Kasday ricordò..e guardò Vereheveil negli occhi.

“Da quando sei un Dio?” chiese, dopo un attimo di silenzio, per riordinarsi le idee.

L’amico gli sorrise. “Te lo spiegherò” rispose, allargando le braccia per ricevere un forte abbraccio.

L’angelo dalle ali nere portava sempre gli stessi disegni sul viso: i raggi di sole nero. Solo che ora non erano più dipinti, ma bensì tatuati permanentemente. L’ex Serafino/demone chiese spiegazioni.

“Ho iniziato a disegnarmeli sul volto quando sono giunto per la prima volta nel regno dei demoni. Un giorno, qualcuno, mi ha fatto notare che sembravano i segni delle lacrime. Così, quando sono diventato un Dio, ho deciso di mantenerli come segni fissi. Molti Dèi hanno tatuaggi e disegni che li rappresentano. I miei simboleggiano il dolore e le lacrime che ho versato”.

“Per colpa mia?”.

“Anche. Ma non  importa: ora sei qui”.

Poi Kasday osservò Luciherus: “E tu? Sei…più adulto…più grosso e più…uomo…”.

“Ah, grazie! L’ultima volta mi hai detto che ero grasso e ‘sta volta mi dai del vecchio! Troppo buono!”.

“No! No! Non voglio offenderti! Stai bene così! Cioè…dico sul serio! I tuoi occhi risaltano e…”. “Ok! Adesso basta! Smettila! Basta, pietà! Concentrati su qualcos’altro!”.

Il Principe distolse lo sguardo e si allontanò leggermente da Kasday. Vereheveil tornò ad abbracciare l’amico, con trasporto, quasi buttandolo in terra. Ridevano. Dopo un piccolo bacio iniziarono a raccontarsi le loro storie.

“Mi sei mancato tanto, Kasday. Dicevano che saresti rinato, ma non riuscivamo ad individuarti. Poi, un giorno, Lucy ti ha visto all’Università!”.

“Cosa ci facevi all’Università, tu?”.

Il demone si sistemò la cravatta, con un largo sorriso. Pronunciò alcune parole nella lingua dei demoni che fecero sparire le sue corna, le sue ali e la sua coda. Ora assomigliava ad un abitante del Mondo delle creature senza magia.

“Oh…il mio professore di logica!”.

“Già. In principio ero passato per di lì solo per una conferenza sugli esorcismi, ma poi ti ho visto. I tuoi occhi sono rimasti immutati. Non ho avuto bisogno di chissà che trucchi per risultare il miglior candidato per il posto di docente. L’ho fatto per te…” sorrise.

Kasday si sentì un po’ turbato all’idea di quel demone che fa una conferenza in mezzo a tutte quelle creature dalla vita breve e fragile. Chiese perché non era stato il demone a portarlo via, quando l’aveva visto, invece di farlo trascinare a forza, in quel palazzo, dagli angeli.

“Vedi, Kasdy, ci sono delle regole…” iniziò a rispondere il demone “…tecnicamente, gli abitanti dei vari Mondi non dovrebbero interferire in alcun modo l’uno con l’altro. Agendo di mia volontà, senza la richiesta di un Dio, sarei stato punito. Aspramente. Tornato in questo mio Pianeta, ho avvertito Vereheveil”.

Fece un piccolo inchino al Dio, con un sorriso. “Che ti racconti lui gli altri dettagli” concluse.

Il Principe invitò i due a sedersi. Con un urlo, profondo e infuriato, fece giungere al suo cospetto un piccolo diavoletto e gli ordinò di portargli da bere. Dopo un piccolo sorso di tè, Kasday si sentì più tranquillo e rilassato.

“Perché noi tè e tu liquore?” chiese il giovane portatore degli occhi del Kaos.

Il demone sorrise: “Intanto tu, mortaluccio deboluccio, non lo reggeresti! E poi perché a me, se un liquido non brucia in gola, neanche lo considero. Minimo 60 gradi! O non se ne fa niente! Dammi del pazzo, ma a me piace così!”.

L’ex Serafino, nonché ex demone, finì il suo tè. “Certo che…” ricominciò a parlare “…ti sei incattivito nel tempo. Hai trattato davvero male quel povero diavoletto che c’era qui prima. Non serviva urlargli contro!”.

“Gli ho solo detto di muoversi! Niente di che…però hai ragione. Con gli anni sono diventato più brontolone. È l’età!”.

“Quanti anni sono passati da quando…sono morto l’ultima volta?”.

“Mmm…millenni. In effetti è passato tanto tempo. Il potere del Kaos è aumentato ed è riuscito a ritardare a lungo la tua rinascita, ma alla fine le cose sono andate come era stato deciso…”.

“Voglio sapere cosa è successo!”.

Vereheveil iniziò a parlare: “L’Equilibrio è riuscito a bloccare, per un po’, la situazione. Ha disperso le energie delle due divinità che si combattevano, rimandando  lo scontro finale. Ma ora la forza dei creatori Kaos e Destino è di nuovo aumentata. Presto si ritroveranno l’uno contro l’altro, pronti a schierare i loro eserciti ed i loro Mondi nello scontro finale. Inoltre hanno formato attorno ai propri corpi una barriera, in modo che  la loro forza non possa più essere dissolta. Ero a pezzi quando seppi della tua morte. Pregai l’Equilibrio, giorno e notte, per giorni interi. Pregai Lui e la Pace, anche se la sua luce era ormai spenta. Pregavo che qualcuno ti riportasse da me e, una sera, lui mi apparve. Mi apparve il Dio dell’Equilibrio e mi invitò nel suo palazzo”.

“Raccontami tutto, amico mio”.

Vereheveil iniziò a raccontare.

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Capitolo 15
*** XV- L'equilibrio del passato ***


XV

 

L’EQUILIBRIO DEL PASSATO

 

 

“Dio Equilibrio, io sono il vostro servo, Vereheveil. Sono tanto confuso. Vorrei ringraziarVi per la momentanea tregua. Ma vorrei anche chiederVi un immenso favore. Ascoltate la mia preghiera. È l’unico sogno e desiderio che ho ora. Vi prego: fatemi andare dalla persona che amo! Fatemi morire. Pregate la divinità della Morte affinché mi porti via con sé. Fatemi andare via da qui, fate come volete, ma io non voglio restare senza di lui. Non di nuovo. Vi supplico…”.

Così pregava Vereheveil, subito dopo la tregua della guerra.

Stava accoccolato, stringendosi le braccia attorno al busto, e si stringeva forte, con il capo rivolto a terra. Ondeggiava, spaventato, mentre la sua bambina rientrava al tempio, in cerca di riparo dal freddo. Nel silenzio e tra le lacrime, l’angelo avvertì una presenza alle spalle.

“Non piangere, Arcangelo” si sentì dire “Ogni cosa a suo tempo. Ogni cosa nel modo giusto. Vieni con me”.

Una voce vellutata, a metà fra quella di un uomo e di una donna, lo rassicurava.

L’angelo dalle ali nere girò lo sguardo ed una piccola lacrima scese dai suoi occhi dorati. Vide il Dio dell’Equilibrio, in piedi, accanto a lui. Vereheveil chinò il capo, con riverenza, ed il Dio gli porse la mano e lo fece alzare. Chiamò per nome la bambina, che corse appresso alla divinità, rassicurata dai suoi occhi dolci. Il bastone dell’Equilibrio batté due volte in terra e i tre si ritrovarono nel palazzo del Dio.

Che posso fare per un Dio come lui? A che cosa posso servirgli io? si chiedeva Vereheveil.

Il padrone di casa invitò gli ospiti a sedersi ad un tavolo. Alla bimba fu portata una cioccolata e una specie di girandola con cui giocare, mentre i due adulti iniziarono a conversare tra loro.

“Quante lingue conosci, Vereheveil?” domandò l’Equilibrio in una idioma ibrido fra quello degli angeli e quello dei demoni, che l’angelo nero comprese.

“Beh..ecco..vediamo..angeli, demoni, creature senza magia, relativi dialetti ed un paio di linguaggi di altri Mondi. Credo che, a conti fatti, siano una trentina. Più o meno”.

“E sai anche leggerle?”.

“Sì. E scriverle”.

“Bravo. E in quanto tempo impari una lingua nuova?”.

“Un paio di settimane. Massimo un mese”.

“Straordinario! Senti…sarò schietto con te. Sto per farti una richiesta su cui voglio che tu rifletta: vorresti essere un Dio?”.

“Io, un Dio?” Vereheveil lo guardò con aria molto stupita “Vi sentite bene?” chiese.

Il Dio sospirò: “No. Effettivamente non  sto molto bene. Ma la proposta che ti ho fatto è seria”. Deve essere un sogno. Uno scherzo. Io non posso essere un Dio!

 “Che devo fare? E che Dio sarei? Se decido di rispondere in modo affermativo…”.

Il Dio si appoggiò alla sedia, pareva davvero molto stanco. Il suo angelo Messaggero si avvicinò e appoggiò una mano sulla spalla del suo padrone, con aria preoccupata. Sussurrò alcune parole, che Vereheveil non comprese, nelle orecchie del Dio che, con un gesto della mano, lo allontanò.

Il Messaggero non volle andarsene. L’Equilibrio allora lo rassicurò con alcune parole bisbigliate che lo fecero desistere dall’idea di far riposare il suo capo.

“Erezehimsay, mio Messaggero, sto bene. Sta tranquillo. Ora, però, devo parlare con questo giovane, se non ti dispiace. Resta, se vuoi, ma non costringermi a fermarmi finché non ho finito di spiegare ogni cosa”.

Il Messaggero chinò il capo, con un inchino si allontanò, rassegnato, anche se si vedeva che era ancora molto preoccupato.

“Tu, Vereheveil, saresti il Dio delle Letterature e delle Lingue. Attualmente è la Dea delle Parole che svolge questo compito, ma ha una quantità eccessiva di lavoro e mi piacerebbe che tu potessi sgravarla da parte dei suoi impegni. Se te la senti”.

L’angelo rimase turbato e stupito. Io?

“Per poter diventare un Dio, verrai addestrato da me. Ti insegnerò alcune cose e poi potrai sostenere un esame alla presenza degli Alti. Saranno loro a decidere se sarai in grado di svolgere quel ruolo divino. Se riuscirai a superare le diverse prove che ti proporranno, diverrai un Dio, sarai immortale e potrai aspettare Kasday attraverso i secoli. Fino al suo ritorno. Potrai aiutarlo a…”.

“Accetto!” interruppe Vereheveil “Dove devo firmare?”.

Il Dio sorrise. “E mia figlia?” chiese, poi, l’angelo.

“Sarà la tua Messaggera. Anch’essa immortale, finché l’essenza di ciò che rappresenti esisterà”. L’Equilibrio si alzò a fatica, aiutandosi con il bastone. Nonostante il suo aspetto, giovane, respirava a fatica: “Ora ti lascio, Vereheveil. Cominceremo domani mattina. Il mio Messaggero ti indicherà la tua stanza. Io vado a riposare, se non ti spiace. È stata una giornata snervante e alquanto stancante. Ci rivediamo…”.

L’Equilibrio se ne andò, con il Messaggero che lo accompagnò, per poi tornare per condurre Vereheveil e la figlia in una delle lussuose camere dell’Equilibrio. Sembrava che quelle stanze fossero deserte da tempo, il silenzio era pressoché totale e l’angelo avvertì tutta la tristezza e la debolezza del padrone di casa. Erezehimsay era parte di quella tristezza e di quella debolezza. Un Messaggero dolce, anche se dall’aria malinconica. Nonostante il suo nome portasse il significato di “Sempre sorridente”, aveva iniziato a divenire sempre più serio da quando il suo Dio si era ammalato e indebolito. Lasciò gli ospiti da soli e tornò dall’Equilibrio.

 

 

Al sorgere del Sole, Vereheveil iniziò l’addestramento. Montagne di libri, volumi e pagine da leggere, tradurre, imparare… Nel giro di pochi mesi riuscì a comprendere ed a parlare la lingua degli Dèi, pur non uscendo mai dal palazzo dell’Equilibrio, ma semplicemente ascoltando le parole che il padrone di casa rivolgeva al suo Messaggero. I due parevano davvero buoni amici. Parlavano e leggevano insieme per ore e Vereheveil avvertì tra loro un legame molto simile a quello che teneva uniti lui e Kasday. Sospirò a quel ricordo e tornò a studiare. Non poteva mai uscire, non perché non volesse o non potesse, ma perché le altre divinità della Città degli Dèi non volevano avere contatti diretti con i protetti del “Neutrale”. La paura dell’ira della Dea del Destino e del Dio del Kaos era forte perfino fra le divinità, tanto forte da tentare in ogni modo di emarginare l’Equilibrio, che non si schierava, ma combatteva entrambi. Vereheveil era sotto il suo controllo e quindi, per gli altri Dèi, era una persona da evitare.

Il palazzo del Dio dell’Ordine era distante dalla città. Si erigeva su un’altura che permetteva di scorgere tutte le altre case con i loro rispettivi simboli. Vereheveil iniziò ad imparare molto presto tutti i glifi dei vari Dèi, che si illuminavano quando i proprietari erano presenti. Ogni Dio un colore ed una luce, ogni palazzo una diversa tonalità. Sapeva che il Kaos ed il Destino, i due creatori, avevano altri edifici personali sparsi nei vari pianeti che avevano sotto controllo.

Quel pomeriggio, dopo lunghi anni di addestramento, Vereheveil vide che i loro due simboli erano spenti. Chissà dove sono, in questo momento, a litigare.

 Sentì la voce dell’Equilibrio: “Sei pronto per andare. Il Messaggero degli Alti sta per venire a prenderti. Affronterai la prova finale, dopo anni di lezione. Secondo me sei pronto. Ti auguro buona fortuna…”.

Vereheveil si sentì molto nervoso. Respirò lentamente, tentando di restare posato e tranquillo. Cosa potevano chiedergli? Cosa avrebbero potuto fargli fare? Fu portato nel Mondo degli Alti, Samhian  lo venne a prendere. Da buoni amici si salutarono, con un breve abbraccio e un largo sorriso, e l’angelo nero si sentì più tranquillo con l’amico vicino.

Il palazzo delle Alte divinità spaventò Vereheveil. Enorme, gigantesco, pieno di luci e di ombre,

di sogno e realtà, lo faceva sentire insignificante. Venne guidato fino ad un salone centrale, riccamente decorato. Al centro se ne stava una figuretta minuta, dai lunghi capelli biondi.

“Eleniel!” urlò Vereheveil, riconoscendola “Sei proprio tu?”.

Eleniel si voltò: “Vereheveil!” gli sorrise.

I due si abbracciarono con gioia: “Cosa ci fai qui, angioletta dai capelli dorati?”.

“La Dea della Pace ha passato parte della sua essenza in me, così ora sono in questo luogo per affrontare la prova e poter usare il suo potere, per essere una Dea. E tu?”

“Io dovrei divenire il Dio della Letteratura e delle Lingue. È una situazione un po’ strana…mi sento confuso”.

“A chi lo dici! Questo è del tutto imprevisto. Almeno Samhian è nato con le ali da Messaggero e quindi sapeva che, prima o poi, lo sarebbe diventato…ma noi?”.

 

 

Vereheveil smise per un attimo di raccontare. Guardò Kasday negli occhi: “Non posso raccontarti come si sono svolte le prove. Sappi solo che io e lei siamo diventati divinità quel giorno. L’unico problema è che non siamo Dèi di nascita, e quindi le altre divinità ci guardano un po’ male e ci snobbano. Ma la cosa poco ci importa”.

“Che bello! Eleniel la Dea della Pace! Come mai tu stai nel Mondo dei demoni? Non hai il tuo palazzo?” chiese Kasday.

“Come dicevo, gli Dèi non amano le divinità che non lo sono dalla nascita. Perciò preferisco stare qui, dove posso leggere e fare ciò che mi pare senza che qualcuno mi dica che non è da Dio o cose simili. E poi potevo cercarti con più facilità in questo luogo, in cui anche altri ti volevano. Anche Luciherus era sulle tue tracce. Ci siamo uniti per ritrovarti..e ora sei qui!”.

“Non so se posso chiedertelo ma…come mai voi due siete stati scelti come divinità?”.

 Kasday bruciava di curiosità. 

“L’ha deciso l’Equilibrio. Ha salvato molte persone, le ha rese immortali”.

“Fai tu, ora, parte del suo esercito?”.

“L’Equilibrio non ha esercito” rispose Vereheveil “E la Letteratura, le Lingue, la Cultura, non possono prendere parte ad un conflitto così stupido come quello che si sta svolgendo tra quei due cretini di Creatori!”. Sorrideva, e scuoteva il capo.

Come può non avere un esercito? È così debole perché deve mediare tra i due, Kaos e Destino, tutto da solo? Si chiese Kasday, confuso.

“Anche mio figlio, Agares, è stato chiamato dal Dio dell’Ordine?”.

“Sì. Spero di farvi incontrare presto. Mia figlia, come detto, è ora la mia Messaggera ed Agares svolge un ruolo simile ma non so dirti di quale Dio lui porti la voce. Un giorno vi rincontrerete. Ma ora la cosa più importante è condurti dall’Equilibrio che ha urgente bisogno di parlare con te”.

“A che proposito?”.

“Che ti importa?” interruppe Luciherus “É un Dio! E ti sta cercando! Il minimo che tu possa fare e rispondergli e correre da lui!”.

Kasday annuì. “Come posso raggiungerlo?”.

“Ti ci portiamo noi!” esclamò Samhian. “Mentre io e Vereheveil ti conduciamo nel palazzo del grande Dio dell’Ordine, Luciherus ci farà il favore di distrarre il Kaos!”.

Al demone andò di traverso il liquore. Tra i colpi di tosse, guardò l’angelo Messaggero con occhi minacciosi. “Come scusa?! Non ho capito bene… Sei ubriaco, piumino d’argento?!” esclamò, rosso in viso.

“Oh, suvvia! Che ti costa? Basta solo che lo distrai fino a quando non arriviamo a destinazione. Una volta entrati nel Palazzo dell’Equilibrio sarà lui a schermarci con la sua barriera ed al Kaos sarà difficile individuarci. Parlate di guerra, di strategia, di casino tra i Mondi! Di quello che volete…anche di donne o di cucina basta che lo tieni buono per un paio d’ore!”.

Samhian era felice, di buon umore e guardava il Principe con un largo sorriso.

Il demone, frustrando sempre di più la coda, sibilò accigliato: “Hei! Come ho già detto ai tuoi compagni piumosi, la mia immortalità ed il mio ruolo dipendono dalla volontà del Kaos. Se quello scopre che sto complottando contro di lui, sicuramente mi polverizza! Mi distrugge! Mi disintegra e mi toglie ogni cosa. E io, non so se lo avete notato, ci tengo al mio posto ed alla mia immortalità. E, soprattutto, mi piacerebbe rimanere intero!”.

Samhian sbuffò: “Non complotti contro nessuno! Semplicemente aiuti un amico!”.

“Si, certo! Un amico che il mio capo, da quel che ho visto, detesta!”.

Vereheveil intervenne: “Le altre divinità odiano me, ma questo non mi impedisce di aiutare Kasday! Anche se, facendo questo, aiuto un Dio evitato da molti: l’Equilibrio!”.

Luciherus incrociò le braccia: “Le altre divinità mi ignorano, come sempre. Ma il Kaos è diverso. Lui mi controlla, mi spia, mi comanda…e mi protegge. Ho visto solo in minima parte il suo potere e vi assicuro che non ci tengo ad avercelo contro!”.

“Ok…ho capito…se hai paura…” iniziò Samhian.

Ma il Principe ricominciò a parlare, guardando altrove: “Tuttavia…” si vedeva che era stato punto nell’orgoglio “…non posso permettere che Kasday muoia di nuovo. Anche perché più in basso della creatura in cui si è reincarnato adesso c’è solo il protozoo! Scusami…”.

“Oh, non fa niente. Mi capita tutti i giorni di farmi chiamare protozoo!” commentò Kasday, sarcastico.

“Perciò lo terrò occupato. Il più possibile. Andate, prima che tramonti il Sole: lui sarà qui stanotte. Credo di riuscire a distrarlo fino all’alba, a costo di mandargli Lilith in camera! Ma oltre al sorgere del Sole, non posso assicuravi nulla…” sospirò Luciherus, che non aveva un’aria molto convinta. “Per l’alba saremo nel palazzo dell’Equilibrio. E sarà tutto a posto! Ti saremo debitori…” esclamò Samhian.

“Non so perché faccia questo, ma pazienza. Sparite, prima che cambi idea! E per quanto riguarda il debito…saprò come farmi ripagare…”.

Luciherus si alzò dalla sedia e voltò le spalle ai tre ospiti: non voleva che vedessero il suo sguardo turbato. Tutti e quattro sapevano che, con il minimo errore, il Kaos li avrebbe distrutti.

 “Partite in fretta. Se mette piede nel Pianeta, il Kaos si accorgerà subito della vostra presenza. Muovetevi!” incitò il demone.

Samhian si alzò. Spalancò le ali e afferrò Kasday.

“Tu stai qui. Dai una mano a Lucy. Ci penso io al piccolo Kasdy!”.

Vereheveil, colto alla sprovvista da quell’ordine, rimase seduto e bofonchiò un “Va bene…”.

“Non ho nulla contro di te, mio caro Very. Ma le divinità in movimento vengono subito notate!”. L’angelo dalle ali nere fece un brusco cenno a Samhian: “Muoviti! Vola! E ricorda che, se capita qualcosa al mio migliore amico, verrò di persona a strapparti tutte le penne!”.

Samhian prese il volo.

“Buona fortuna!” si augurarono l’un l’altro.

L’ex Serafino aveva fretta. Ricordava, tutto ad un tratto, un discorso che aveva iniziato con il Dio dell’Ordine e fremeva per continuarlo. E poi non voleva proprio incrociare il Dio con i suoi occhi. “Vorrei avere di nuovo le ali, così da non dover farmi portare a braccio!” sussurrò a Samhian, che lo teneva stretto.

“Sei così leggero che non mi crei la minima differenza! Nessun problema!”.

L’angelo Messaggero pronunciò una breve formula e si aprì il portale.

 

 

Atterrarono nel palazzo dell’Equilibrio, senza che nessuno li vedesse. Attraversarono l’enorme portone d’ingresso e Kasday non riuscì a trattenere un’ esclamazione di stupore. Due file di colonne, quella di destra bianca e quella di sinistra nera, accompagnavano il visitatore lungo il corridoio che conduceva ad un’ altra stanza. Alle pareti spiccavano stucchi, anch’essi bianchi e neri, con cornici perfette e decori geometrici regolari. Il tutto era illuminato da piccole finestre dai mille colori poste in alto, ad un angolazione tale che permetteva sempre alla luce del Sole, o di un satellite, di entrare nella sala. La loro colorazione tingeva le parti bianche del palazzo con tonalità variabili a seconda delle ore e della posizione della luce. Il soffitto era alto e diviso in cassettoni quadrati, dentro ad ognuno di essi stava un simbolo e un ritratto. Svariate divinità e spiriti Alti li osservavano lungo la via. Il pavimento brillava, anche quello in bicromia e chiaroscuri, lucido ed a motivi di geometria perfetta ed emetteva piccoli ticchettii sotto i piedi di Kasday. Giunsero fino al portone al termine del corridoio. Era blu scuro, con glifi dorati. Le incisioni su di esso, nella lingua degli Dèi, furono di facile comprensione per l’ex Serafino/demone. Parlavano delle forze che muovevano i Pianeti e le divinità. Spinsero la pesante porta, che si aprì con uno scricchiolio sinistro, spezzando il silenzio totale. Entrarono nel salone principale, più spettacolare della stanza precedente, che aveva forma circolare. Al centro si poteva notare un largo tavolo che seguiva la forma della sala e che sopra portava raffigurata la rosa dei venti. Il pavimento riportava lo stesso disegno e Kasday poté notare come, su ogni spicchio, fosse scritto il nome di un Dio, accompagnato dal proprio simbolo. I colori che regnavano sovrani erano il blu scuro ed il porpora. Le finestre a trifora facevano entrare diversi fasci di luce che si intersecavano al centro del tavolo.

 “Beato il giorno in cui regnerà il potere trigemino” sussurrò Samhian, non volendo infrangere il silenzio “Queste sono le prime parole che mi ha rivolto l’Equilibrio. Mi disse che un giorno arriverà un Dio che porterà dentro di se i poteri dei tre creatori: Equilibrio, Kaos e Destino. I tre poteri dell’Universo, dei Multiversi”.

“Sarebbe bello” rispose Kasday, sempre sussurrando “Ma dubito possa succedere. Come  può una persona sola gestire tutti e tre i poteri?”.

“Già, è vero. Ma l’Equilibrio è un inguaribile ottimista!”.

Una piccola porta porpora si aprì. L’Equilibrio entrò nella stanza, seguito dal suo Messaggero. Il Dio zoppicava visibilmente. Kasday inorridì quando vide quanto fosse divenuto pallido e debole il Dio dell’Ordine: sembrava ormai prossimo alla fine.

Il Messaggero lo sorreggeva, nonostante l’Equilibrio tentasse in ogni modo di scansarsi. “Salutazioni, figlio del Kaos!” esclamò il padrone di casa, sottovoce, nella lingua degli Dèi. “Benedizioni, Dio Creatore”.

Samhian guardò l’amico Kasday con aria molto stupita, ma non disse nulla. Il Dio continuò a parlare con la sua voce a metà tra quella maschile e quella femminile, una voce così giovane in un corpo così consumato!

“Và pure, Samhian. Avverti il giovane Vereheveil che il suo amico speciale è qui con me, sano e salvo. Io e Kasday, ora, abbiamo molte cose di cui parlare. In privato. Và anche tu, Erezehimsay, mio Messaggero”.

L’ex Serafino si accorse di come gli occhi dell’Equilibrio non brillassero più, come un tempo.

La cosa lo rese triste. Il Messaggero del Dio dell’Ordine non volle lasciare il suo padrone, farfugliò qualcosa ma il Dio insistette finché non lasciò la stanza assieme a Samhian.

 

 

Rimasti soli, l’Equilibrio prese posto in una delle sedie che stavano attorno al tavolo circolare ed invitò Kasday a fare altrettanto. Un po’ titubante, il giovane dai capelli corvini salì sulla seggiola posta di fronte alla divinità. Era molto alta per lui e dovette mettersi in ginocchio per poter guardare oltre al legno del tavolo. L’Equilibrio gli sorrise. Si sistemò i capelli, bianchi come il latte e lunghi fino alle ginocchia, ma raccolti in una complessa pettinatura che lasciava in libertà solo due ciuffi più corti.

Cominciò a parlare: “Come stai, Kasday? Ti piace se ti chiamo così? Ricordi le tue origini?”. Kasday annuì.

“Ricordi ogni cosa?” continuò l’anziano Dio.

“Credo di sì” rispose.

“Bene ragazzo, in questo caso sei pronto ad iniziare il tuo addestramento per divenire Dio dell’Equilibrio”.

“Come? E chi ti dice che voglia farlo? E poi…Voi che farete?”.

“Allora, giovanotto, o mi dai del Tu o mi dai del Voi! Chi ti dice che puoi scegliere? Se devi diventare il Dio dell’Equilibrio lo devi fare e basta! Solo così potrai essere davvero realizzato e felice. E potrai stare accanto alle persone che ami, come Vereheveil e Agares. Li ho fatti divenire io quello che sono, proprio perché un Dio non può iniziare il suo cammino da solo. É deprimente! Per quanto riguarda me…guardami! Sono vecchio e stanco. Per fare questo lavoro, ci vuole grinta ed energia. Che io non ho più. Sono così stanco di stare dietro e fare la brava mammina a quei due rompiscatole!”.

“Immagino…ma non so se io…”.

“Non sai se ne sarai in grado? Io ne sono certo, nipote mio!”.

“Nipote?”.

“Sì. Te ne stupisci? Il Kaos è il mio fratello maggiore, anche se non si vede. Lui si rigenera grazie al suo potere. Tutti gli Dèi si rigenerano, quando la gente crede in loro e quando il principio che rappresentano viene rispettato. Io, ormai, riesco a tenere in ordine solo questo posto. E lo faccio in modo quasi maniacale, non so se lo hai notato…”.

L’aveva notato. I libri alle pareti erano riordinati in ordine alfabetico, per autore e per argomento. Un grosso raccoglitore suddivideva i tomi in ogni ordine possibile, perfino per colore.

“Ti dico subito che io sono un Dio molto paziente ed è praticamente impossibile farmi arrabbiare ma, purtroppo, non abbiamo molto tempo. Perciò se sarò costretto a sgridarti per farti concentrare durante le nostre lezioni non userò mezzi termini, ok?”.

“Perfetto, Signore” rispose Kasday.

“No, no! Niente Signore! Zio. O Equilibrio, se proprio non vuoi usare un termine che ti colleghi alla famiglia. Il mio vero nome non te lo posso dire”.

“Come mai?” domandò il giovane, stupito.

“Ah…non lo sai! Semplice. A parte i propri genitori, o meglio, la propria madre e la Dea della Vita che ci fa nascere, nessuno deve sapere il nostro nome. Perché se viene pronunciato, la forza della divinità che lo porta diviene schiava di chi ha esclamato quelle parole. Se tu ora mi chiamassi con il mio vero nome, dovrei divenire tuo servo e obbedirti. E tu potresti rapire tutti i miei poteri. I pochi che mi restano…”.

“Quindi solo la Vita e tua madre sanno il tuo vero nome? Nemmeno il Kaos?” domandò Kasday, cercando di non perdere il filo del discorso.

“No. Nemmeno il Kaos. Io non so il suo nome e lui non sa il mio. La Dea della Vita, presente al momento della mia nascita, ha smesso di essere una divinità da tempo. E mia madre? Chissà dov’è! Sta tra gli Alti e l’unica cosa che sento da lei sono messaggi confusi e di scarsa comprensione! Imparerai che gli Dèi parlano complicato…”.

“Capito!” esclamò il ragazzo dai capelli neri.

“Tu sai il tuo nome da Dio? O ricordi solo il nome da angelo, Kasday?”.

“In effetti…ricordo il nome angelico, demoniaco, della creatura senza magia ma il nome da Dio…non lo so!”.

 “Bel problema…” mugugnò il Dio dell’Equilibrio, pensieroso.

“Perché è un problema?”.

“Il giorno dell’esame, agli Dèi di nascita, gli Alti chiedono di pronunciare il nome. Loro lo conoscono già, immagino, ma tu devi pronunciarlo ad alta voce per fissare in te il tuo potere. E senza il nome…è un po’ difficile…”.

Kasday notò lo sguardo preoccupato del Dio. Guardava lateralmente, tenendosi la testa con una mano.

“Come si può rimediare?”.

Il Dio tacque per un attimo: “Devi andare nel palazzo del Destino. Lei ha una stanza in cui sono contenute tutte le tele. Tu sai perché viene chiamata la tessitrice?”.

Il giovane scosse il capo.

“Quando una creatura nasce, lei tesse una tela su cui cuce simboli e percorsi che rappresentano la vita, il futuro, il destino, del nuovo nato. Sulla parte alta riporta, con filo oro, il nome del mortale. Per gli Dèi è diverso. Noi divini non abbiamo tela. Abbiamo massimo arbitrio. Me tu sei mortale e quindi, da qualche parte, dev’esserci il ricamo con tutti i tuoi nomi. Devi trovarlo e distruggerlo. Solo così potrai divenire un Dio, libero dai suoi giochetti e dal suo potere decisionale”.

“Anche Vereheveil ha fatto così?”.

“Chiedilo a lui!”.

“Se io distruggo quella tela, dopo aver visto il mio nome, non muoio?”.

Era un po’ allarmato. Dopotutto se tutta la vita di un individuo stava scritta lì sopra, se veniva cancellata la vita come continuava?

Il Dio lo fissò: “Non saprei…chiederò alla Morte. Non credo…comunque, ogni cosa a suo tempo!”. Kasday attese un attimo. Si sistemò i capelli. “Ma…se il Destino sa il mio nome, perché non l’ha usato contro di me? E non potrebbe, lei, usarlo per distruggermi una volta che sarò divenuto un Dio?”.

L’Equilibrio sorrise: “Forse se ne è dimenticata. Si è dimenticata il tuo nome. Perché altrimenti ti avrebbe chiamato lungo la scalinata in modo da incanalare in se il tuo potere ed il tuo destino, in modo da non farti unire all’esercito di tuo padre, come temeva che facessi. Invece, in preda al panico, ti ha fatto uccidere pur di non avere contro un alleato del suo nemico”.

“Come può dimenticarlo?”.

“Hai idea di quanti mortali ci siano, sparsi per i vari Mondi? Pensaci…quanti nascono e muoiono ogni giorno? Probabilmente è convinta di non poterti più controllare. Per Lei, da quel che mi è stato detto, tu servi il Kaos e quindi è convinta che la tua tela sia già stata distrutta da tempo!”.

“E io come faccio a riprenderla? Non posso presentarmi alla sua porta e chiederle di darmi la mia tela!”.

“Certo che no” rispose l’Equilibrio “Vereheveil ti accompagnerà. Lui va spesso in quel palazzo. É il più bravo ad interpretare i segni e le scritture e perciò la Dea lo chiama spesso quando i simboli che le ordinano di eseguire gli Alti non le sono chiari. Ti aiuterà lui. Troverà il modo di farti entrare in quel posto…troveremo il modo! Te lo prometto. Ma ora…concentriamoci sul tuo addestramento”.

“Sissignore!” esclamò Kasday, alzandosi di colpo.

 “Sissign…” iniziò ripetere, ma si interruppe “Sì …Zio!”.

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Capitolo 16
*** XVI- Prove e cambiamenti ***


XVI

 

PROVE E CAMBIAMENTI

 

 

La prima parte dell’addestramento prevedeva uno studio approfondito di ogni divinità. Kasday doveva imparare e conoscere ogni loro ruolo e scopo per poter mantenere un vero equilibrio delle loro forze. E così si rese conto di quante divinità ci fossero: troppe! Ma tutte importanti.

Il Dio del Sole, proprietario della luce, delle stelle, del fuoco, del calore..  La Dea della Notte, signora del buio, delle ombre. La Natura con tutte le sue bestie e le sue piante. La Luna con  tutti i satelliti dei Mondi. Il Dio della Paura e dei Sogni, la Dea delle Armi, il Dio dell’Amore e dell’Amicizia, la Vita, la Morte…quanti nomi e quanti ruoli!

Ma il giovane si mise d’impegno ed imparò tutto relativamente in fretta. Anche perché, ogni giorno che passava, vedeva il Dio dell’Equilibrio che appassiva e si spegneva. Temeva di perderlo e quindi accelerava di molto i tempi e si concentrava per poterlo aiutare il più possibile.

Appena i nomi gli furono tutti chiari, e così pure il loro ruolo, si passò alla seconda parte del corso. Bussò timidamente alla porta della stanza del Dio dell’Ordine, che stava disteso, supino, nel suo grande letto, ad occhi chiusi. Il respiro della divinità pareva irregolare e lieve.

“Scusate se vi ho svegliato o disturbato. Ma mi avete detto di cercarvi appena mi sarei sentito pronto per passare alla fase successiva…”.

“Non disturbi” sussurrò il Dio. Guardò il giovane, aprendo gli occhi, lentamente, e sorridendogli.

Il Messaggero Erezehimsay stava seduto accanto al suo padrone, a gambe incrociate.

Gli occhi color del rame, leggermente truccati, dell’angelo fissavano il ragazzo, con rimprovero.

“Il mio Signore ha bisogno di riposare…” iniziò a parlare il Messaggero, con una voce melodica. Ma l’Equilibrio lo zittì con il dorso della mano.

Una mano affusolata ed incredibilmente bella, si ritrovò a notare Kasday.

“Balla per me, Kasday. Balla, per favore. Poi passeremo alla seconda parte dell’addestramento”.

Il ragazzo rimase un po’ sorpreso da quella richiesta. Si sentiva in imbarazzo perché non aveva mai ballato davanti a nessuno. Ma prese coraggio e mosse alcuni passi, con incertezza.

“Erezehimsay, so di chiederti molto ma…suoneresti qualcosa per il mio piccolo allievo?” domandò il Dio, rigirandosi. L’angelo sospirò e si alzò, avvicinandosi al bancone accostato alla parete. Aprì uno dei cassettini e ne estrasse un piccolo violino, che iniziò a suonare. Una dolce musica si diffuse, accompagnandola con il canto dell’angelo. Kasday, chiudendo gli occhi, iniziò a muoversi con più convinzione. Si sentì afferrare per il braccio e riaprì le palpebre: il padrone di casa gli sorrideva, in piedi accanto a lui.

“Segui me!” gli sussurrò.

I due iniziarono a ballare assieme e Kasday si stupì di come potesse imparare in fretta con la guida divina. La lunga veste di entrambi strusciava lungo il pavimento emettendo lievi frusci a ritmo con la musica. Entrambi scalzi, scivolavano agilmente sul pavimento lucido. Al giovane venne in mente che il Dio, ballando, non zoppicava più anche se, a volte, il suo viso rimaneva trasfigurato da una smorfia di dolore, quando appoggiava troppo a lungo il piede malato.

Chissà che cosa gli è successo. È da quando l’ho visto la prima volta che cammina con il bastone… si chiese l’ex Serafino/demone.

Finita la musica, i due si fermarono un attimo.

Kasday era affannato e respirava a fatica. L’Equilibrio invece sembrava stare meglio, come se non si fosse mosso. Stava su un piede solo, immobile, finché il Messaggero non gli porse il suo bastone.

“Vieni con me, piccolo”.

Camminarono lungo il corridoio che portava al cortile interno al palazzo.

“Sarà una parte piuttosto difficile, la prossima” ammise il Dio “Perché di solito le future divinità nascono con dei poteri che sviluppano. Tu, ora, non hai potere e nessuno può darteli finché gli Alti non decidono che sei degno di essere un Dio. Cercherò di essere delicato. Ma non sarà facile. Spero di non ucciderti…”.

Uccidermi? Di nuovo? Basta!

 Entrarono nel giardino. Al centro stava un enorme albero, in cima vi era stato posto una specie di bastone con una sfera sulla sommità. L’Equilibrio, con un balzo, ci si mise sopra, con un piede. Non misurava più di 15 centimetri in larghezza. E lui ci stava retto e fermo, con tranquillità. Con un ciuffo ribelle davanti al viso, il Dio si accovacciò, sempre in bilico sulla sfera.

“Quando sarai pronto, mio caro ragazzo, sarai in grado anche tu di fare come me!”.

Dubito. Pensò Kasday. “Ci proverò” disse a voce.

Il Dio scese dalla sferetta e si posò, con grazia, davanti al giovane. All’aria aperta sembrava più alto. anche perché rimaneva a mezz’aria ed i suoi capelli bianco-argentei fluttuavano nel vento. Gli sorrise, con gli occhi grigio perla che brillavano, anche se debolmente. Porse una spada al ragazzo dai capelli neri, che lo fissava con ammirazione.

“Questa NON è la spada dei Denian, e quella che vedi appoggiata a quel muro laggiù NON è la lancia degli Hainuet. Ma voglio che tu impari ad usarle, entrambe. E, soprattutto, vorrei che tu fossi particolarmente bravo con questo…”.

Con un gesto delle mani, tra le braccia del Dio apparve uno scudo.

“Questo, mio caro allievo, è lo scudo dell’Equilibrio. Il suo compito è difendere e difendersi da tutti gli Dèi. Nessuno potrà mai essere apertamente dalla tua parte e tu non potrai essere dalla parte di nessuno. Dovrai semplicemente andare da una divinità all’altra e tentare di sopravvivere!”.

Ma non è un po’ triste fare così? E tu, Dio, non hai legami, se non con il tuo Messaggero? Non c’è chi ti ama e ti sta accanto? Nessuno si schiera con te? Sospirò Kasday.

Toccò con mano lo scudo, liscio e brillante. La sua superficie era lucida e intaccata da chiari segni di spada e di lancia.

Iniziarono l’addestramento. Lottavano tra di loro e Kasday dovette  imparare a difendersi. Si sentì subito molto debole. L’Equilibrio, infatti, pur sembrando quasi prossimo alla morte, doveva trattenersi molto per non colpirlo gravemente. Si ritrovò a pensare a quanto forte potesse essere il Kaos ed ebbe paura. Forse era tutta una causa persa…non avrebbe mai potuto vincere! Né contro l’Equilibrio, né, tantomeno, contro il Kaos!Il Dio rendeva più difficile il suo apprendistato facendolo lottare su superfici instabili o con diverse inclinazioni. Così facendo, permetteva al giovane di affinare le sue capacità di difesa e di equilibrio. Notò quanto fosse simile a una danza quella lotta contro quel Dio.

 

 Un pomeriggio assolato, Vereheveil entrò nel palazzo. Kasday stava lottando con Erezehimsay.

I due avevano imparato ad andare d’accordo e si allenavano assieme. Con l’angelo lo scontro era più semplice, rispetto alle battaglie contro l’Equilibrio, anche se in ogni caso per il ragazzo era impossibile batterlo. Lottavano, balzando da un luogo e un altro nel giardino. Il Dio dell’Ordine osservava il suo allievo dalla finestra, seduto su una sedia a dondolo, leggendo un libricino arancione.

Vereheveil salutò educatamente il padrone di casa e gli porse un volumetto verde: “Sono sicuro che questo ti piacerà”.

“Grazie” gli sussurrò la divinità, stanca e pallida. “Puoi chiudere la finestra, Vereheveil, per cortesia? Fa un po’ freddo…”.

Il Dio della Letteratura chiuse la finestra, sospirando.

Fuori faceva piacevolmente caldo, ma quel poveretto era, ormai, gravemente malato.

“Riesci a portare il ragazzo dalla Dea del Destino? Quella tela và distrutta al più presto. Non è ancora pronto, ma non c’è più tempo”.

Vereheveil fece un inchino: “Lo porto con  me questa sera. Lei mi ha convocato”.

“Perfetto. Grazie”.

Kasday fu mandato a chiamare.

“Preparati, piccolo. Ti porto dal Destino!”.

Il giovane deglutì, spaventato. Non si sentiva affatto preparato all’evento. Avrebbe preferito che l’amico fosse lì solo per salutare. Invece…

“Ho chiesto alla Morte. Lei, lui…che né so…mi ha detto che non morirai distruggendo la tela. Senza un ordine preciso, da parte di una divinità, la tua vita continua!”.

“Spero che lei non dia quell’ordine preciso…”.

Vereheveil, percependo il timore dell’amico, lo prese per mano: “Non preoccuparti! Ci sono io qui! Non ti succederà niente!”.

“Come lo farai entrare?” chiese l’Equilibrio.

“Userò questa” esclamò Vereheveil ed estrasse da una tasca una scatola in legno, intagliata. “Come?!”,domandò Kasday, rigirando tra le mani la scatolina.

“Io posso farti divenire più piccolo, come io posso divenire più grande. Poi, tranquillo, ti faccio tornare normale!”.  

Il ragazzo lo guardò, perplesso e ispirò a fondo: “Va bene…mi fido di te, amico mio”.

“Benissimo” sussurrò il Dio dell’Ordine.

Le due divinità erano molto diverse. Poste uno accanto all’altro facevano risaltare le loro particolarità.

Vereheveil era grande, con enormi occhi brillanti, pieno di entusiasmo, giovane e allegro. L’Equilibrio era piccolo e gracilino, raggomitolato sulla sedia. Pareva in procinto di spegnersi. Era sofferente e con gli occhi vuoti, persi nel nulla.

Il suo Messaggero gli andò accanto: “Lasciate che sia Vereheveil, stasera, ad occuparsi del ragazzo, Signore. Dovete riposare. Venite a letto”.

Kasday guardò quel Dio. Si sentiva in apprensione. Tra quanto tempo quella divinità si sarebbe spenta? E, una volta divenuto un Dio, avrebbe sofferto allo stesso modo? O forse anche di più? Seguì con gli occhi il suo maestro, mentre veniva accompagnato alla sua stanza.

“Buona fortuna, ragazzo mio. E non aver paura! Vereheveil ti difenderà!” gli sussurrò la divinità dell’Ordine.

Il giovane si voltò e vide che l’amico era uscito da palazzo. Una volta all’aperto, era divenuto enorme. Vereheveil prese Kasday con due dita e lo pose sul palmo della sua mano.

“Ecco la nostra meta!” esclamò, indicandogli il Palazzo del destino.

Era gigantesco, altissimo.

Kasday annuì: “Benissimo. Andiamo! Adesso che il Kaos non c’è”.

Il simbolo sopra al suo palazzo era spento ed il giovane lo aveva notato.

Vereheveil annuì e lo infilò nella scatolina che teneva in tasca, divenuta più grande assieme al Dio. Kasday capì, ad un tratto, perché i palazzi degli Dei ed i templi dei vari Mondi avessero sempre un soffitto così alto. Il suo amico, ora, probabilmente era della misura giusta.

Gli Dèi erano alti così…ringraziò il fatto che il suo maestro fosse rimasto così piccino per tutto il suo addestramento. Scesero lungo le strade della Città. Da una piccola fessura nel legno, l’ex Serafino/demone riusciva a vedere ciò che lo circondava.

Gli sguardi di molti Dèi si posarono sul Dio della Letteratura: si vedeva che non lo apprezzavano molto.

Non è un Dio di nascita.. però è un’ingiustizia trattarlo così! Si diceva Kasday.

Avvertì la voce dell’amico nella testa: Non preoccuparti per me, figlio del Kaos!

Il ragazzo trasalì. “Riesci a sentire i miei pensieri?” domandò.

Si, ricominciò a parlargli il Dio della Letteratura nella mente. Si, si, ti sento. Non parlare ad alta voce o ti sentono anche altri. Io ti sento perché voglio farlo. Come ho sempre percepito tutte le tue preghiere.

Continuarono a camminare lungo le vie, sempre parlando con il pensiero. Bellissimo!…da quando sai che sono il figlio del Kaos?

Vereheveil sorrise, coprendosi il viso con una mano. Da quando l’ho visto. Vi assomigliate.

Kasday torse il naso. Non è vero! Il Kaos fa paura! Io no!

Vereheveil non riuscì a trattenere una risata. No, in effetti, no. Tu sei solo un adorabile cosetto con gli occhi azzurri!

Vereheveil salì le ripide scalinate dorate che conducevano all’ingresso del palazzo della Dea.

Sul portone d’ingresso, campeggiava un enorme specchio che rifletteva tutta la città. Il Dio bussò educatamente, sorridendo. L’oro che ricopriva l’ingresso rifletteva la luce argentea di uno dei satelliti del pianeta e Vereheveil si specchiò, sistemandosi i capelli. Notò, con orgoglio, che il colore dei suoi occhi era identico a quello del portone: oro puro. La porta gli fu aperta.

Kasday continuava a sbirciare dalla fessura: tutto brillava in quel salone! Centinaia di sfere di cristallo e pietre dure pendevano dal soffitto riflettendo colori e luci. A terra erano rappresentate delle carte, che cambiavano continuamente. Gli specchi, posti tutt’attorno al posto dei muri delle pareti, rendevano difficile l’individuazione delle porte e delle uscite.

Preoccupante! Si disse Kasday, rabbrividendo.

La Dea del Destino entrò, tendo una sfera vermiglia nella mano destra. I suoi lunghi capelli verde scuro, a riflessi oro, erano raccolti in una lunga treccia complessa. Attorno al suo viso roteavano due piccole sferette che seguivano un’orbita ellittica lungo il capo della Dea. Ogni volta che una di quelle sfere incrociava i suoi occhi, la Dea aveva visioni di futuro, presente o passato.

La lunga veste, ricoperta di materiale riflettente, continuava a mandare riverberi sul volto di Vereheveil, che distolse lo sguardo. Nessuno poteva guardare in faccia il Destino, senza il suo permesso perciò i suoi occhi viola raramente errano incrociati da sguardi estranei.

Il terzo occhio, posto al centro della fronte della divinità, quella sera era chiuso. Non le serviva, si fidava di Vereheveil.

“Mi avete chiamato, divina?”.

“Sì, mio giovane Dio delle Letterature. Ho trovato un altro libro di difficile interpretazione. Puoi aiutarmi?”.

“Certo. È il mio lavoro. Vorrei, però, se mi è concesso, entrare nella stanza delle tele. Vorrei dare un’ occhiata a quella di una persona che conosco”.

 “Non c’è problema, amico mio. Facciamo in fretta però, perché non ho molto tempo. Devo tessere le tele dei bambini di domani. Cos’hai in quella scatola?”.

Vereheveil la nascose nell’ampia manica: “Niente di che. Cose che devo portare altrove…”.

“Oh, capisco…vieni con me”.

La Dea lo condusse nella sua stanza. Vereheveil appoggiò la scatolina in legno su un tavolo, fuori dalla porta della camera. I due Dèi entrarono, lasciando la porta semichiusa.

Eh, no! Non mi lasci qui da solo! protestò Kasday. Sganciò dalla cintura un piccolo coltellino usato per gli allenamenti ed allargò la fessura dalla quale guardava verso l’esterno, riuscendo ad uscire.

Sentì dei passi e si nascose dietro un vasetto di ceramica che gli stava accanto. Passò l’angelo Messaggero della Dea. Aveva l’aria assonnata, si stiracchiò, pigramente, perdendo qualche piuma, e andò oltre, senza notare l’infiltrato che si nascondeva. Alcune penne andarono a finire sul pavimento. Una quasi colpì Kasday, che la schivò per un pelo, anche se fu spinto all’indietro dallo spostamento d’aria. Quando la vide, l’ex-Serafino, ebbe un’ idea. Lasciò andare il centrino, al quale si era aggrappato per non cadere di sotto, ed afferrò la piuma. La usò per scendere, come se fosse un paracadute, ed arrivo con facilità a toccare il pavimento. Entrò, attraverso la piccola apertura lasciata dalla porta, senza troppi problemi. Si sentiva davvero minuscolo.

La stanza era buia, le tende erano tirate e facevano passare solo uno spiraglio luminoso, che veniva riflesso dagli specchi della Dea. La luce bianca che emetteva la sua pelle si fondeva con quella azzurro/verde che sprigionava Vereheveil.

I due Dèi stavano seduti, uno vicino all’altro, su un grande letto a baldacchino. Il Dio delle Letterature teneva tra le mani un piccolo libro, che sfogliava. Parlavano tra loro, ma Kasday non riusciva a sentirli.

“Parla di una leggenda. Ma è una storia che non ho mai sentito…” iniziò Vereheveil.

“Nemmeno io!” rispose il Destino “Ho trovato per caso quel volumetto mentre io e la mia Messaggera riordinavamo una vecchia stanza nell’ala nord. Ho pensato che ti potesse interessare…”.

“Molto! E’ un libro che non ho!”.

“In questo caso, te lo regalo!” esclamò la Dea del Destino, piena di entusiasmo “Un piccolo omaggio per il mio buon traduttore!”.

“Io non traduco…”.

“Ma conosci tutti i simboli degli Alti, che altrimenti non riuscirei a capire! Riesci a dargli un senso…cosa che per me è difficile e non poco!”.

“Sono il Dio delle Letterature e delle Lingue. Il minimo che possa fare è…”.

La Dea guardava fisso Vereheveil, che però distoglieva lo sguardo.

“Guardami!”. Lui obbedì. “Mi trovi bella?”.

“Molto, Signora” ammise il Dio.

“Ebbene, io sono tutta sola qui. Solo tu mi vieni a trovare, Signore della Cultura. Gli altri Dèi vengono qui solo per motivi burocratici e formali. Mai per una visita tra amici. È triste…”. “Immagino che questo avvenga perché siete importante e non avete l’aria di una che ha bisogno di un compagno di merende!”.

La Dea lo guardò, accigliata: “Capisco. Quello che voglio dire è…nessuno viene qui senza uno scopo. Tu che cosa vuoi?”.

“Voi mi avete convocato! E poi c’è quella tela…” iniziò a protestare l’angelo dalle ali nere.

 “Di chi?” domandò la Dea, avvicinandosi.

“Non ha importanza”.

“Sento che c’è dell’altro. Mi nascondi qualcosa, neo-Dio!”.

“Ma no! Non nascondo niente! Ora se volete scusarmi…grazie per il libro ma dovrei andare…”. “Ricordati, angelo divino, che, se lo desidero, posso farti ritornare al tuo stato di mortale. Conosco il tuo nome. Conosco il nome che gli Alti ti hanno dato per farti divenire un Dio. Se sei contro di me…tu muori!”.

“Non sono contro di voi!” esclamò Vereheveil, tentando di distanziarsi dalla Dea che gli si appoggiava contro.

Lei, con uno scatto improvviso, lo baciò. Chiuse gli occhi viola, ma aprì il terzo occhio che aveva sulla fronte. L’angelo non riuscì a distogliere lo sguardo da quell’occhio spalancato.

Il loro bacio fu lungo, finché il Dio non chiuse gli occhi. Kasday non riusciva a crederci: il suo amico era cambiato a tal punto? Da angelo puro a Dio consolatore di Dee solitarie?

Si convinse che era meglio trovare la tela da solo. Uscì dalla stanza, lasciando i due Dèi avvinghiati, nel bacio più lungo che avesse mai visto. La Dea, che aveva spinto a tal punto il giovane Vereheveil da farlo stendere, lo guardava dall’alto in basso.

“Lo sapevo!” esclamò “Tu mi nascondi qualcosa! Perché scappi da me? Mi hai trasmesso una barriera, e non immagini come sono solita vedere nello sguardo di chi bacio”.

“Ma no, Signora della Preveggenza. Non le nascondo niente! Non scappo da voi perché ho qualcosa da celare ma perché il mio cuore…appartiene ad un'altra persona…”.

La Dea si alzò e lo guardò con aria dapprima stupita e poi dolce: “Oh! …scusa…non pensavo… è che qui attorno è sempre pieno di cospirazioni e complotti contro la mia persona e quello che rappresento! Il bacio è il mio metodo, il più rapido, per entrare nella mente di una persona. Devi essere un uomo molto fedele ed innamorato, per respingere il mio terzo occhio con tanta convinzione!”.

“Fedele da sempre, innamorato da millenni”.

“Che bello…è raro un sentimento così. Direi unico. Ma questa persona…lo sa del tuo sentimento per lei?”.

Vereheveil sorrise, con una risatina e un’ alzata di spalle fece intendere che non ne aveva idea. E che, probabilmente, a lui stava meglio così. Il Destino lo pregò di leggere una delle storie contenute nel volumetto. Adorava la voce di quel Dio, così strano e così triste, in molti casi.

 

 

Kasday iniziò a vagare per i corridoi. Le stanze e le porte parevano non finire mai, anche perché lui era molto piccolo e ci metteva tantissimo ad attraversarle. Poi notò che, da un’ apertura, si intravedeva una luce fortissima.

Deve essere la sala delle tele! Mi è stato detto che brillano in modo particolare! Iniziò a correre per raggiungerla e si ritrovò in un immenso stanzone pieno di scaffali, cassetti, ripiani…

È grande come un pianeta!! Pensò, preoccupato.

Come avrebbe fatto a trovare quello che cercava in mezzo alla moltitudine di documenti contenuti in questa stanza? E come sarebbe arrivato ai ripiani superiori? A malapena arrivava al primo…il più basso… Strinse i pugni. Ci sarebbe riuscito!

Quanto vorrei le ali, sospirò.

Iniziò ad arrampicarsi tra i libri, cosa che non gli riuscì per niente facile, piccolo com’era. Un respiro improvviso alle sue spalle lo fece sobbalzare. Si voltò e davanti a sé vide un grosso gatto. Aveva un corno sulla testa e un bel paio d’ali. Era blu e porpora e faceva le fusa, piano.  Si avvicinò al ragazzo, solleticandolo con i baffi bicolore. Kasday era terrorizzato perché, pur avendo di fronte un gatto, apparentemente inoffensivo, era comunque tre volte più grosso di lui! Il felino lo prese dolcemente tra i denti, come poteva fare con  i suoi piccoli.

Vuoi mangiami? No, vero?

L’animale spiccò un balzo. L’ex Serafino trattenne un grido di terrore: un solo suono e lo avrebbero scoperto.

Meglio mangiato da un gatto che torturato dal Destino!

Dopo un paio di agili balzi, Kasday fu lasciato cadere delicatamente davanti ad una pila di tele, ordinatamente riposte in ordine alfabetico. Il ragazzo non ebbe difficoltà a trovare la sua.

Eccola qui! Ed ecco il mio nome! Grazie micio…a che devo questo favore? E, soprattutto, adesso come scendo?

Sentendo la porta aprirsi, il giovane dai capelli corvini si nascose, in silenzio.

Vereheveil era, da solo, al centro della stanza.

“Eccoci qui, Kasday. Puoi uscire!” sussurrò il Dio, aprendo la piccola scatola di legno.

Non vedendo l’amico all’interno rimase sconcertato. “Ma dove sei, piccolo…”.

Kasday uscì allo scoperto. “Sono qui” rispose sommessamente, con ancora negli occhi il bacio delle divinità.

“Dovevi rimanere dov’eri! Come hai fatto ad uscire?”.

Notò una certa nota di rimprovero nella voce della divinità. Kasday non rispose alla domanda: “Ho trovato la mia tela. Questo micio mi ha dato una mano”.

Vereheveil gli andò vicino. Lo guardava senza il bisogno di volare.

Ma quanto sei alto? Trenta metri?!

“Io non posso vedere il tuo nome. Cancellalo e poi indicami la tela, in modo che possa distruggerla”.

Kasday annuì. Con il suo fedele coltellino recise i fili che componevano il suo simbolo e le sue lettere, poi indicò la tela al Dio, che la fece fluttuare a mezz’aria davanti a se per un po’.

Pronunciò delle parole, lentamente, e una fiamma verde distrusse il documento.

“Ora sei libero, amico mio. Andiamocene!”.

 “Ma quel micio chi è? E perché mi ha aiutato?”.

“Micio? La creatura dell’Equilibrio!”.

“La creatura!?”.

“Ogni Dio ha la sua bestiola. È un usanza che risale dalla notte dei tempi. Io ho un bel volatile, simile al gufo, dai grandi occhi dorati e le piume verdi. L’Equilibrio ha questo felino molto strano e con i suoi colori preferiti”.

Chi meglio di un gatto può rappresentare una bestia in equilibrio?

“E quello strano pennuto che sta dietro di te è la bestiola della Dea del Destino?”.

“Chi?” chiese Vereheveil girandosi.

“Merda!” esclamò, quando vide il pavone ed i suoi occhi viola, centinaia, puntati su di lui. L’animale emise un verso stridulo.

“Stupido animale!” Vereheveil imprecò, infilò in tutta fretta Kasday nella scatola e corse fuori. Attraversarono il corridoio senza problemi, forse nessuno aveva sentito il pennuto!

Il Dio si voltò, davanti alla porta d’uscita, controllando che effettivamente nessuno li seguisse. Quando tornò a girarsi, la Dea gli stava davanti, bloccandogli la strada.

 “Dove vai, tesoro?” gli sussurrò lei.

“Ciao…” non sapeva che altro dire, non vedeva vie d’uscita.

Ma, inaspettatamente, la Dea si scansò: “Vai pure. So perché lo hai fatto. So per chi lo hai fatto. È per la persona che ami. Evidentemente è mortale e vuoi che diventi immortale come te. Bastava chiedere!”.

Vereheveil sorrise imbarazzato.

“La prossima volta…se ci sarà un'altra volta…chiedi alla sottoscritta e non cercare di nasconderti in una casa con miliardi di specchi!”.

“Grazie…Signora…”.

“Chiunque sia la persona che ami…è fortunata! Sei adorabile! Rischiare la vita…per lei…la invidio”.

I due Dèi si salutarono. Vereheveil corse via, prima che il Destino cambiasse idea.

La Dea chiuse il portone d’oro dietro di sé, sorridendo, ma poi vide la creatura dell’Equilibrio  e capì di essere stata imbrogliata.

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Capitolo 17
*** XVII- Addio ***


XVII

 

ADDIO

 

 

Kasday e Vereheveil giunsero nel palazzo dell’Equilibrio. Si accorsero subito che qualcosa non andava, perché c’era molto più silenzio e molto più buio. Rimasero a guardarsi, senza dire una parola, mentre il Dio della Letteratura riportava l’amico nelle dimensioni normali.

“L’abbiamo fatta grossa. La tua donna si vendicherà di brutto…” bisbigliò l’ex Serafino.

“La mia donna? Hai battuto la testa?”.

“Guarda che vi ho visti…”.

“A lei, veramente, credo piaccia la sua Messaggera…”.

“Ma è un maschio!”.

“È un angelo! È quello che vuoi! C’è chi la vede come donna e chi come uomo. Non è nessuno dei due!”.

Kasday non parve molto convinto, ma sorrise all’amico: “Chi è la persona che ami? Quella di cui ha parlato il Destino?”.

Vereheveil parlò, piano: “Ti sembra il momento di chiederlo? Vai da lui. Ti sta sicuramente aspettando. Io devo andare. Altri Dèi hanno chiesto di me. Darò un’ occhiata in giro per vedere se riesco a capire cos’è tutto questo silenzio”.

Kasday annuì, perplesso, e si avviò verso la stanza del suo maestro. Bussò alla porta ed entrò, cercando di non fare rumore. Tutte le finestre erano chiuse e sprangate e le uniche luci nella sala erano le ali d’argento del Messaggero ed i fievolissimi scintillii emessi dal Dio. L’Equilibrio dormiva e respirava piano, disteso sul largo letto blu scuro. Erezehimsay gli stava seduto accanto, con aria apprensiva. Fece cenno di non parlare a Kasday, facendogli capire che il suo padrone stava dormendo e doveva continuare a farlo. Il giovane dai capelli neri si avvicinò, in punta di piedi.

La coperta leggera copriva solo in parte il Dio, che respirava a fatica. L’ex Serafino notò due grosse cicatrici sulla schiena del maestro, e si accorse di notare, solo in quel momento, due piccole corna azzurre sulle tempie. Probabilmente non le aveva mai viste perché l’Equilibrio non portava mai i capelli all’indietro, ma solo in ciuffi sciolti.

Anche lui ha dovuto attraversare i vari Mondi, reincarnandosi, per poter essere l’Equilibrio? E quelle cicatrici?

“Una volta il mio padrone aveva delle ali, dove tu ora vedi delle cicatrici” sussurrò il Messaggero “Ma, in uno degli scontri del passato, le ha perse”.

Kasday rabbrividì al solo pensiero.

“Ho fatto ciò che dovevo..” iniziò a parlare l’allievo.

“Bene” gli rispose l’angelo d’argento, nascondendo a malapena un singhiozzo.

 “Erezy…”.

Il Dio si rigirò nel sonno, gemendo.

 “Kasday…” iniziò il Messaggero. Non andò oltre. Si fermò. Stringeva la mano del Dio e continuava a tenergli i capelli all’indietro. Respirò a fondo e si fece forza.

“Kasday…tu sai che lui sta morendo…”.

Il ragazzo fece un cenno. Sì, lo sapeva.

L’angelo tentò, invano, di trattenere le lacrime. Scoppiò in un pianto dirotto, appoggiandosi al petto di quel Dio che per tanti secoli aveva servito. Si copriva il viso con le mani.

“Non è giusto” gemette “Non è giusto! Lui non deve morire! Non può! Gli sono sempre stato vicino! Ricordo il primo giorno in cui sono stato portato qui come suo portatore di messaggi. Io ero così giovane e piccino, e lui così grande e forte. E così bella quando mi apparve mostrando il suo aspetto femminile!”.

Può dunque cambiare sembianze a suo piacimento, scegliendo se avere l’aspetto da maschio o da femmina. O entrambi in uno…

 Kasday vide la mano della divinità muoversi e appoggiarsi sul capo dell’angelo argentato. Cominciò ad accarezzargli i capelli arancio vivo con riflessi violetto, per rassicurarlo, ma il Messaggero non smetteva di piangere.

“Suvvia, smettila, Erezy! Non è questo il momento!”.  Poi si rivolse al suo allievo: “Il Kaos è vicino. È qui. Scappa. Và nel Mondo degli Alti e diventa un Dio! Solo così avrai qualche possibilità di tener testa a quei due e sopravvivere! Mio Messaggero, vai con lui!”.

“No! Non ti lascio!” esclamò l’angelo, continuando a tenere stretta la mano del Dio.

“Muoviti! È un ordine!”.

Ma Erezehimsay non volle saperne.

L’Equilibrio sospirò: “Ora, mio piccolo Kasday, devi andare. In fretta. Sali fino in cima all’albero che sta al centro del giardino. Arrampicati, e saranno loro, gli Alti, a portarti via. Va! Muoviti!”.

La voce del Dio non permetteva in nessun modo di fare obiezioni. L’ex Serafino fece un inchino ed uscì di corsa dalla stanza. Percorse il corridoio, verso l’entrata del giardino. Le tenebre lo avvolsero.

No! Sta volta no! Corse più in fretta, liberandosi dalle tenebre. Guardò in alto, verso la punta dell’albero. Sali? Arrampicati? E come? La fa facile lui…

Avrebbe tanto voluto avere qualcuno accanto, a dargli una mano, ed invidiò l’unione tra Messaggero e padrone.

Sentì urlare Erezehimsay: “Vattene, verme! Sei senza cuore! Lascialo stare! Non vedi che già muore da solo? Che bisogno c’è di fargli questo? Lascialo!”.

La voce tonante e profonda del Kaos sovrastò le suppliche del Messaggero, la cui voce, invece, era rotta dai singhiozzi. Il Kaos era nel palazzo! Doveva andarsene, e di corsa!

Alla voce profonda del Dio del disordine si unì quella femminile della Dea del Destino. Kasday iniziò ad inerpicarsi, su, per l’albero.

Che faticaccia… Ansimò, giunto a metà dei rami. Ad un tratto una strana forza lo avvolse.

Muoviti! Sali! Si sentì ordinare nella testa.

Con un paio di salti raggiunse la cima e, senza rendersene conto, si ritrovò in bilico sulla piccola sferetta e i suoi 15 centimetri di diametro.

Mi verranno davvero a prendere? pensò con  terrore.

 Ma, con ancora più terrore, si ritrovò a pensare che, se aveva quella forza improvvisa era, probabilmente, perché l’Equilibrio era morto. Aveva passato le sue ultime forze al suo successore. Con un nodo alla gola, aprì le braccia, rivolte verso il cielo, in gesto di supplica.

Una presenza gli afferrò la gamba destra: Erezehimsay si era aggrappato a lui. Piangeva e si issò a fatica, accanto al ragazzo. Era gravemente ferito e fece segno a Kasday che dovevano prendere il volo, con decisione, verso il chiarore che si apriva nel cielo, sopra la loro testa.

“Sono qui per rispettare la volontà del mio padrone. L’ultima volontà…” tacque e batté le ali, con sforzo.

La luce li avvolse ed entrarono nel Mondo degli Alti, che stavano riuniti attorno ad un tavolo, in un evidente stato di agitazione. Erezehimsay depose Kasday, dolcemente. Poi, allo stremo delle forze, cadde in terra. Il ragazzo dagli occhi color Kaos lo chiamò per nome e lo scosse. Una voce, avvolta dal riverbero, ordinò che l’angelo venisse portato in un luogo più adatto per essere accudito. Kasday era agitatissimo, spaventato dal possibile futuro del Messaggero e dall’incombenza del suo esame.

“Io…sono…”.

“Lo sappiamo chi sei” gli rispose la stessa voce “E sappiamo perché sei qui. Non c’è tempo da perdere. Facciamo subito questo esame!”.

 “Ma…non potreste far finire, voi, la guerra…”.

“No. É compito tuo!” tuonò un’altra voce, minacciosa.

Il ragazzo non riusciva a vedere i loro tratti, erano totalmente avvolti dal bianco bagliore emesso dalla loro pelle. Ed erano altissimi.

Più di Vereheveil.

“Non avere paura. Vieni con noi!”.

 Ma Vereheveil non aveva fatto l’esame con uno solo di loro? Perché io ho tutto ‘sto esercito a guardarmi? Sospirò, cercando di darsi coraggio.

Gli Alti lo circondarono. Lui stava su una piccola sedia al centro di uno stanzone e teneva il capo chino.

“Parla, mortale, perché sei qui?”.

Perché sono qui? Ma che domanda è?

“Dicono che io debba diventare il Dio dell’Equilibrio” rispose, sommessamente.

“Chi lo dice?”.

“L’Equilibrio stesso, Vereheveil immagino, Erezehimsay…e…mi dissero…voi!”. Continuava a tenere la testa bassa.

“E tu lo vuoi diventare?”.

Se voglio divenire un Dio? Bella domanda…ho, forse, qualche altra scelta?

 “Non ci ho mai pensato…” rispose l’ex Serafino timidamente “All’inizio pensavo fosse tutto un errore, poi ho iniziato l’addestramento e devo dire che mi sono spaventato. Ora sono qui, e non sono molto convinto di poter essere un Dio, ma l’Equilibrio è morto e immagino che non mi resti altro da fare… E poi i due creatori mi stanno cercando. L’unico posto sicuro, più o meno, immagino sia qui”.

“Sei qui per sfuggire alla Morte?”.

“No. Io sono qui perché mi hanno detto di farlo! E adesso, scusatemi, ma fatemi ‘sto benedetto esame! Vada come vada! Tanto, appena metterò piede su uno qualsiasi dei Pianeti, verrò distrutto da uno dei due”. Ora la sua voce era più convinta. Alzò la testa.

“Hai paura di loro?”.

“Certo!”.

“E chi sono loro?”.

“Chi sono loro?!”.

“Chi sono i due che ti danno la caccia?”.

“Ma che domande idiote mi fate?! Loro sono la Dea del Destino ed il Dio del Kaos, mio padre!”. “Perché hai paura di loro?”.

“Vogliono uccidermi. Vi sembra poco? E io sono consapevole di non riuscire a contrastarli, in nessun modo”.

“Sei arrabbiato con loro?”.

“No…dovrei, forse, ma non lo sono. Dopotutto, loro fanno solo il loro lavoro…”.

Gli Alti annuirono: “Non vuoi, dunque, il potere per distruggerli?”.

“No! Voglio il potere per fermarli quando vanno troppo oltre!”. Un altro segno di assenso.

Kasday si era un po’ rilassato, incrociò le gambe.

“Sei pronto a dimostrarcelo?” ricominciò a domandare la Voce.

“Dimostrarvi che non provo odio?”.

“Sì. Che non provi odio nei confronti di quelle divinità che hanno permesso il tuo allontanamento e le tue morti?”.

Dovrei odiare anche voi…ma non è così.

“In qualunque momento!”.

“Alzati allora”.

Kasday si alzò. La sedia venne portata via. Gli Alti si sedettero, in cerchio, lasciando un grande spazio attorno al giovane. Di fronte all’allievo dell’Equilibrio venne aperta una porta, dalla quale entrò una figura in armatura. Impugnava una grossa spada nella mano destra.

Il giovane deglutì. Che dovrei fare io? Gli Alti gli porsero una spada ed uno scudo.

“Combatti. Dimostraci che non provi odio”.

Cosa?! Io, combattere?! Ma per chi mi avete preso?

“Al tuo avversario è stato dato un bracciale che ne limita la forza. Così non potrà ucciderti”.

Oh, come sono rassicurato adesso! Pensò, sarcastico.

La figura in armatura scattò verso l’allievo, velocissima. Kasday imbracciò lo scudo, appoggiato a terra, e parò il colpo. L’armatura continuò, incessantemente, ad attaccarlo. Con  la spada inutilizzata, il ragazzo si limitava a parare l’arma avversaria, utilizzando lo scudo. Non era sua intenzione attaccare o ferire. Con rapidi passi di danza, schivava e incassava i colpi.

“Il combattimento non si fermerà finché uno dei due non cadrà in terra o deporrà l’arma” tuonarono gli Alti. Avevano un tono di voce che pareva divertito.

Kasday si stupì di riuscire a cavarsela, tutto sommato non stava andando tanto male. Ma non avrebbe potuto continuare a lungo…

“Voglio vederti in faccia!” esclamò il mortale, rivolto al suo avversario “Voglio sapere chi sei. Perché dovrei odiarti?”.

L’armatura non rispose.

“Mostragli il tuo volto, Tati. Mostra, a questo giovanotto, chi deve odiare” ordinarono gli Alti.

La figura armata si fermò e tolse l’elmo. La Dea della Guerra!

“La puoi non odiare, ex Serafino?” domandò una delle Alte divinità “Avrebbe potuto fermare tuo padre e non ha voluto farlo…”.

Kasday gettò in terra la sua arma:  “Se non odio mio padre, che mi ha ucciso, e se non odio Voi, Alti, per non averlo impedito, come potrei odiare lei, che neanche volendo avrebbe mai potuto far cambiare idea al Kaos?”.

La Guerra lo guardò con tenerezza. Allungò una mano per accarezzare il figlio, ma lui si ritrasse. “Non Vi odio. Ma nemmeno Vi amo. Mi spiace” sussurrò, senza girare i suoi occhi azzurri verso la madre.

Gli Alti fecero un cenno. La Guerra, con un inchino, venne accompagnata fuori.

“Mortale!” tuonò uno degli Alti, “Se tu dovessi fare una scelta fra una delle due fazioni, gli Hainuet o i Denian, dalla parte di quale delle due ti schiereresti?”.

“Nessuna delle due parti!” rispose, convinto, l’allievo “Nessuno dei due capi di questi schieramenti merita di vincere. Ma entrambi devono esistere. Perciò io sarò l’ago tra i due piatti della bilancia, ma questo avverrà solo nel caso io possa avere abbastanza potenza, un giorno. In caso contrario, i due avversari finiranno per autodistruggersi, portando con  loro i Mondi e le creature che li venerano”.

Gli Alti tacquero, per un istante.

“Sembri molto sicuro di te, ragazzo”.

“Lo sono! Ho visto di che cosa sono capaci!”.

Gli Alti guardarono il piccolo mortale, in silenzio. Poi si alzarono. Ed iniziarono ad uscire, uno dopo l’altro, dalla stanza, lasciando Kasday da solo. Lì, in silenzio, in attesa di un responso.

Voglio davvero essere un Dio? Forse no…anzi…sicuramente no!

La porta si aprì. Una figuretta zoppicante entrò nella stanza.

“Erezehimsay!”.

L’angelo Messaggero andò ad accoccolarsi accanto all’ex Serafino che, nel frattempo, si era seduto sul pavimento, un po’ stanco.

“Come stai?” chiese il giovane alla creatura dalle ali d’argento, in tono apprensivo.

“Fisicamente, bene…”  rispose l’angelo, con la testa bassa.

Si vedeva che era distrutto.

“Sapevo che, prima o poi, sarebbe successo. Sapevo che, prima o poi, se ne sarebbe andato. Ma non mi aspettavo…”.

Tacque. Fece un profondo sospiro, tenendosi i piedi con le mani: “Mi auguro che il mio padrone abbia visto giusto in te. Spero abbia avuto ragione a credere in te!”.

“Cosa farai, ora?”. L’angelo non riuscì a rispondere.

La luce degli Alti inondò la stanza e zittì ogni voce. Kasday e il Messaggero si alzarono.

“Mortale!” iniziò uno degli Dei “Sappiamo che la situazione è decisamente fuori controllo, ora. E sappiamo anche che tu non sei in grado di spingerti, con la mente, troppo in là con il tempo, impensierito come sei dalla circostanza attuale. Tuttavia noi sappiamo ciò che accadrà. È quindi tuo compito prendere il posto del Dio dell’Equilibrio e tentare, in ogni modo, di stabilizzare la situazione. Non sarà un’impresa facile, te lo possiamo dire subito. Nostro compito è farti presente che, se accetti questo compito, mai alzerai la spada contro di loro. Contro nessun Dio tu userai un’arma. Avrai lo scudo ed il tuo scopo sarà quello di difenderti e difendere. Se mai uno strumento d’offesa capiterà tra le tue mani, e tu lo utilizzerai contro qualcuno, sarà a rischio la tua carica, la tua condizione di Equilibrio e la tua stessa vita, in quanto trasgrediresti alle nostre regole. Ora, a te la scelta: vuoi tu essere un Dio? Vuoi tu essere l’Equilibrio?”.

Kasday annuì: “Sono qui per questo”.

“Bene. Allora pronuncia il tuo nome. Se desideri quel Messaggero accanto a te, nel tuo futuro, allora può restare nella stanza. In caso contrario deve uscire e decideremo in seguito cosa farà. A te la scelta!”.

L’ex Serafino guardò Erezehimsay: “Vuoi essere il mio Messaggero, Erezy?”.

L’angelo lo guardò negli occhi. “Se Voi lo desiderate, io ne sarei grato!” sussurrò in risposta. Kasday pronunciò il suo nome. Il suo vero nome.

E subito avvertì l’energia entrargli nelle vene. Venne sollevato da terra e avvolto dalla luce, mentre gli Alti parlavano.

“Sii tu un nuovo Dio!” tuonarono, in coro, le Alte divinità “Noi non possiamo fornirti l’energia che cerchi. All’Equilibrio, come ad ogni alta divinità, spetta ricercare la propria forza nella fede di chi crede in lui e nel rispetto del principio che porta.”.

Il ragazzo iniziò a percepire che la magia si stava sostituendo al suo sangue.

“Fai in modo che la gente creda!”.

Non era una bella sensazione! Si sentì svuotato di ogni linfa vitale.

“Fai in modo che torni l’Equilibrio!”.

Cadde in terra, stremato. Sulla fronte apparve il suo simbolo: un rombo.

Perché un rombo? Ma che importa…

Si rialzò, a fatica, sorretto dal suo Messaggero dalle ali d’argento e l’abito cremisi. L’ex Serafino gli sorrise: ora i  suoi occhi brillavano.

“Ti serve un periodo di tempo, dipende da te se questo sarà più o meno lungo, in cui abituarti alla tua nuova condizione divina. Molti si arrendono dopo poco e rinunciano. Non essere tra questi”. Kasday si rizzò sui piedi e fece un inchino.

“Sarà un compito difficile, come già detto. Buona fortuna!”.

Gli Alti ora mostravano il loro volto ed i loro tratti. Con un gesto della mano, le Alte divinità rimandarono l’ex Serafino al palazzo dell’Equilibrio.

Il nuovo Dio si sentiva terribilmente stanco. Seduto in terra, chiese al suo nuovo Messaggero notizie su come si comportasse il suo padrone.

Erezehimsay andò a sistemarsi accanto a lui. “Io…avrei un favore da chiederVi.” domandò, timidamente, l’angelo. 

“Dimmi pure, ma non darmi del Voi!”.

“Va bene…ecco…Voi…”.

Ma non ti avevo detto di non darmi del Voi?

“…siete stato sempre un mortale. Avete pregato un sacco di volte. Io ho sempre vissuto con gli Dèi e non l’ho mai fatto. Mi insegnereste?”.

Giusto. Quegli Dèi che, fino a pochi giorni fa, pregavo, ora…sono come me! Io sono un Dio. Guardò in alto, verso il soffitto decorato del suo nuovo palazzo.

“Non è difficile. Pensa a che cosa vuoi dire e dilla! Basta! Vuoi pregare per lui? Vuoi pregare per il mio e tuo maestro? Ti do una mano io…vieni!”.

Si presero per mano ed uscirono all’esterno. Era scesa la notte.

“Che bella serata! Quante stelle!”.

“Lo sapete che la giovane Dea della Notte è la moglie di vostro fratello?”.

Kasday sorrise. La volta del cielo brillava con migliaia di luci.

“Che bello…ora, però, segui me! Guarda le stelle. Concentrati. Pensa a lui, e parlagli!”. Erezehimsay iniziò, titubante a parlare, rivolto all’Equilibrio appena scomparso.

“Io…vorrei…che Voi, mio antico Signore, foste una di quelle meravigliose stelle e che mi poteste guidare e parlare attraverso questo ragazzo, che ora porta il vostro ruolo e…io non so…”.

Riprese il nuovo Equilibrio: “Diventa tu, maestro, la stella più lucente del cielo! Affida la tua essenza più pura alla divinità della Morte! Preghiamo affinché la dolcissima Vita ti faccia rinascere o dimorare in un luogo di pace e ordine, come hai sempre desiderato. Aiutaci, Dea della Speranza, a non chinare il capo, a non arrenderci. Aiutaci, o divina Gioia, a vivere con serenità il loro ricordo. Aiutaci, oh Pace, a non provare odio verso chi ci ha portato via amici cari e parenti. Asciuga le nostre lacrime, che non smetteranno di scendere dalle nostre guance. Così voglio, così sia, vi prego!”.

“Grazie…” sussurrò l’angelo.

“Di niente. Solo una cosa…Erezehimsay: smettila di darmi del Voi!”.

“Come volete…” Kasday ruotò gli occhi al cielo “…ora dovete riposare!”.

Insieme rientrarono nel palazzo ed in cielo apparve una nuova stella.

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Capitolo 18
*** XVIII- Nuovo Equilibrio ***


XVIII

 

IL NUOVO EQUILIBRIO

 

 

La notte era tranquilla. Kasday tentava di abituarsi alla sua nuova condizione. Sentiva voci nella testa e la sua debolezza aumentava, nonostante stesse tranquillo ed a riposo. Guardava fuori dalla finestra, contando le stelle, quando notò una cosa strana: le stelle iniziavano a spegnersi ed il buio avanzava velocemente. La città stava piombando nelle tenebre!

“É il Kaos! Scappate, Signore!” urlò il Messaggero.

Il nuovo Equilibrio si sentiva stanco e confuso.

“Scappare? E dove?” chiese l’ex Serafino.

Si accorse che la sua voce era cambiata, rapidamente, divenendo un misto fra quella di una donna e quella di un uomo.

Ebbe un’ idea. Ricordò un  luogo carico di energia magica, in un Pianeta in cui le creature non la sapevano utilizzare. Lui aveva bisogno di ricaricare la sua forza e pensò che quel luogo fosse l’ideale perché solo con il massimo delle forze poteva sperare di affrontare il proprio fato.

Lui e il Messaggero iniziarono a correre lungo i corridoi, tentando di schivare le ombre che avanzavano e che entravano da ogni anfratto. Erezehimsay pronunciò una complicatissima formula ed aprì il portale che conduceva ad altri Mondi.

“Ho capito dove volete andare. Precedetemi, Signore. Io cercherò di trattenerlo!”.

“Non se ne parla, mio Messaggero! Sei ancora troppo debole a causa delle ferite inferte da quel Dio psicopatico! Tu adesso vieni con me, è un ordine!”.

L’angelo parve rassegnato. Si accinse a seguire il suo padrone  ma, appena questi passò oltre il portale, non lo accompagnò.  Si girò di scatto, chiudendo il portale e rientrando nel palazzo.

Il nuovo Equilibrio si accorse subito di non avere il Messaggero al suo fianco e lottò con tutte le sue forze per tornare indietro ad aiutarlo, ma non ci riuscì. Cadendo, percepì sensazioni che già aveva provato. Gli venne in mente quella notte, la notte in cui era stato lanciato dal Mondo degli Dei a quello degli Angeli. Precipitò al suolo, battendo la schiena malamente, ignorava come gli Dèi volassero senza avere le ali. Fortunatamente il suo angelo aveva aperto il portale a pochi passi dal suo obbiettivo: la fonte magica in uno dei Mondi in cui dimorano creature senza magia.

 “Benedetto sia Erezehimsay! Spero di ritrovarti presto, amico mio!”.

Era una sorgente, con un piccolo lago ed una grotta, che conteneva un’ enorme quantità di energia. Arrancò, ansando a causa della botta, fino al ciglio del laghetto. Subito la magia lo aiutò a guarire e lui vi si immerse, delicatamente, chiudendo gli occhi. Si sentì già meglio. Specchiandosi  nella limpida fonte, notò che i suoi capelli erano diventati lunghissimi, fino alle caviglie, e si espandevano sulla superficie dell’acqua. Anche gli occhi erano mutanti: si erano ingranditi e l’azzurro si era espanso, fino a coprire ogni altro colore dell’orbita.

“Sembro una mosca” si disse “Una grossa mosca dagli occhi azzurri!”.

Per assimilare di più la magia, il Dio si tolse le vesti, ormai logore e stracciate a causa degli ultimi eventi, e si accorse di non essere più né maschio né femmina. O meglio, si accorse di poter cambiare forma a suo piacimento e di poter scegliere quale dei due generi essere.

Da donna era una creatura magra e bella, con gli occhi sensuali, nei quali si distinguevano i contorni delle iridi e la rotondità della pupilla.

Da maschio…assomiglio troppo a mio padre si ritrovò a pensare. Suo padre, infatti, aveva gli occhi con un colore unico, senza distinzione, e quegli occhi non li voleva vedere. Non ancora!

Così si stabilizzò in una posizione intermedia, con grandi occhi femminili e viso dolce, con corpo esile e aggraziato, ma da maschio. Sorrise, specchiandosi. Si immerse fino alla punta del naso e chiuse gli occhi, rilassandosi, lasciando che i suoi lunghissimi capelli si espandessero lungo il pelo dell’acqua. Poi però sentì un rumore ed alzò la testa, di colpo.

“Chi è là?” chiese, allarmato. Si sentiva piccolo e senza difese.

“Non abbiate paura, Signore!” parlò una donna, spuntando da dietro un albero “Non volevo spiarla, davvero! Perdonatemi!”.

Il nuovo Equilibrio constatò che colei che aveva di fronte era una mortale, come era stato lui fino a pochissimo tempo prima. Stava prostrata a terra, spaventata.

Il Dio tentò di farla alzare: “Non fare così. Non è necessario. Alzati!”.

“Voi siete un Dio! La vostra luce illumina questo periodo buio!”.

Il giovane si guardò la pelle. Effettivamente emetteva un lieve bagliore arancio-dorato.

Era un barlume debole, ma presente.

“Venite con me al villaggio, ve ne prego! Oh, divino…”.

La donna non si alzava da terra e continuava a guardare in basso. Il nuovo Dio iniziò ad uscire dall’acqua.

La mortale sussurrò: “Era da un po’ che la osservavo. Mi sono presa la libertà di portarvi una stoffa, se la volete…”.

L’Equilibrio vide il tessuto in terra. Era bella, blu e cremisi. La allacciò attorno alla vita, scrollando i capelli per asciugarli un po’. Sul petto gli era rimasta la profonda cicatrice della lancia degli Hainuet e la cosa lo infastidì. Fissò di nuovo la mortale ed ammise di sentirsi a disagio.

Che cosa devo fare per questa gente?

Nonostante la fonte magica lo avesse rigenerato, ancora non era in grado di agire divinamente.

Si avvicinò alla donna e le alzò il volto con la mano: “Guardami. E non avere paura di me!”.

Sono io che ho paura di te…cosa vuoi da me? Sono in grado di darti ciò che desideri?

La donna alzò gli occhi. Il Dio le sorrise e lei ricambiò il sorriso.

 “Portatemi al vostro villaggio allora, Madama!”.

 

 

Iniziarono a camminare, lentamente, lungo il sentiero che li conduceva al paese. Era una strada ripida, stretta e con sassi, non stabili, sparsi un po’ ovunque.

Lei correva, raggiante, mentre lui la seguiva, titubante, e sembrava un ragazzino smarrito. La donna faceva fatica, in alcuni tratti, perché i sassi scivolavano e, a volte, l’Equilibrio doveva sorreggerla. Lui non aveva problemi, pareva non toccare terra. La mortale arrossiva ad ogni contatto con il Dio, che cercava invano di metterla a suo agio. Lui non aveva difficoltà ad avanzare, ma sentiva ancora la testa e le palpebre pesanti.

“Ho bisogno di riposare…” sussurrò.

La giovane adepta gli rispose: “Lo vedo! Chissà quali grandi cose succedono nel vostro Mondo! Chissà che fatica essere un Dio! Ad ogni modo…se me lo permettete, non sembrate una mosca! Anzi…siete molto bello!” tornò a guardare altrove e aggiunse “Scusatemi!”.

In evidente imbarazzo, la donna arrossì, ma arrossì anche il Dio.

Sono un bel Dio…chissà da che cosa si capisce che sono stanco…avrò le occhiaie!

In realtà si notava chiaramente osservando la luce emessa dal suo corpo: smorta e debole.

Il volto della nuova divinità era pallido e lui si sentiva sempre più stremato. L’Equilibrio rivolse il capo verso il cielo e sussurrò una preghiera, rivoltò a chiunque lo volesse ascoltare. Pregò per il suo Messaggero, sperando di poterlo rincontrare presto. Intravide, da lontano, il villaggio dove si stavano dirigendo.

“La porto a casa vostra, mio Signore: il Tempio!”.

“Bene” sospirò.

Iniziarono ad  inoltrarsi lungo le vie del paese. Il Dio coprì il suo simbolo con un ciuffo di capelli e spense la sua luce. La sua guida gli porse una veste, nuova e lunga.

“Non dire a nessuno che io sono qui. Mostrerò la cosa al momento opportuno” ordinò alla mortale che annuì, con un inchino. “Saprò come ricambiarti, grazie” sussurrò il Dio alla donna.

“State bene così, se mi permettete di farvelo notare. Però…dovreste cercare di assomigliare di più ad un Dio. Avete l’aspetto di un ragazzino smarrito!”

Perfetto!

“Sono un novizio…” ammise lui.

“Ah! Congratulazioni!”.

“Grazie. Non essere in imbarazzo, dimmi pure tutto ciò che vuoi. Sono un Dio aperto alle critiche!”.

“Nessuna critica! Avete anche un ottimo accento!”.

“Sono stato un mortale per un periodo”.

“Davvero? E perché? E come mai venite Voi qui e non il vostro Messaggero, come accade solitamente?”.

“È una lunga storia…se avrò modo di spiegartelo, ti racconterò tutto volentieri!”.

 

 

Entrarono nel luogo sacro. La veste lunga della divinità si trascinava sul pavimento. Aveva coperto il simbolo sulla fronte con una fascia, dato che i suoi capelli si agitavano senza controllo. Alzò il cappuccio, coprendosi il volto e la capigliatura. Avanzarono fino alla statua posta dietro all’altare, la statua rappresentante i simboli degli Dèi e l’Equilibrio che li reggeva. Tutti i presenti notarono che la figura scolpita stava mutando.

I suoi occhi stavano cambiando tonalità ed i capelli si allungavano, formando dei raggi e dei riccioli attorno al capo del divino danzante. Così facendo , la statua prese le sembianze del nuovo Dio dell’Equilibrio.

Come si sentiva strano il piccolo novizio! Era confuso, triste e, soprattutto, tanto stanco. Barcollò, reggendosi la testa con la mano e scuotendola per stare sveglio.

“Equilibrio!” gli sussurrò la donna. Il Dio si portò l’indice alle labbra e le fece segno di tacere.

I sacerdoti, presenti nel tempio, notarono il cambiamento della statua.

“C’è un altro Equilibrio!” si sentirono voci mormorare“Il vecchio Equilibrio si è spento!”.

Diverse furono le reazioni. C’era chi piangeva il Dio appena decaduto e chi, invece, sperava in una possibile risoluzione dei bisticci tra Kaos e Destino: nessuno li sopportava più!

Il simbolo della Pace era fievole e traballante.

“Devo trovare la Dea della Pace! Devo impedire che si spenga di nuovo!” bisbigliò il nuovo Dio. “Ho sentito che la Dea della Pace sta nel Mondo degli Angeli, protetta dai padroni del cielo: gli Arcangeli immortali” rispose la donna che gli stava accanto.

I padroni del cielo? Gli Arcangeli immortali?

“Ma se uno dei due creatori volesse fargli del male, non avrebbe scampo. Non ha incantesimi di protezione a difenderla” continuò lei.

“Come lo sai?”.

“Io sono una Sacerdotessa. I Messaggeri mi parlano. È la prima volta che mi capita di poter comunicare direttamente con un Dio…”.

“Sono una divinità molto particolare”.

“Dov’è il vostro Messaggero?”.

L’Equilibrio non rispose. Lei notò il suo sguardo triste e non chiese altro.

“Scusate…” mormorò.

La mortale saltò sopra all’altare e tutti i presenti si voltarono a guardarla.

“Il nuovo Dio ha bisogno di forza! Ed è compito nostro fornirgliela!” urlò lei. Attirò l’attenzione di ogni creatura nel tempio, poi continuò: “Il vecchio Equilibrio ha lasciato questo sistema divino. Ora è fra gli Alti, in pace. Non possiamo più fare nulla per lui, ma possiamo aiutare il nuovo Dio dell’Ordine, che in questi giorni muove i primi passi. Ha bisogno della nostra fede! Per  troppo tempo ci siamo scordati di lui! Per troppo tempo non abbiamo pensato al fatto che solo lui può fermare la guerra tra i due creatori!”.

La gente nel luogo sacro vociferava. Un gruppo dava ragione alla Sacerdotessa ed altri la additarono come pazza. Il Dio percepiva tutti i pensieri della gente.

Sono più confusi di me…

Lei continuava a parlare: “Noi siamo in un mondo conteso tra Kaos e Destino…perché non dare abbastanza forza all’Equilibrio, in modo che sia lui a governarci?”.

Il Dio la guardò. Pazza…

“Che dobbiamo fare, Sacerdotessa?”.

Lei balzò giù dall’altare. “Ballate!” ordinò. “Ballate e dategli forza!”.

La donna iniziò a ballare, seguita da alcuni altri presenti del tempio.

L’Equilibrio percepì la sua magia aumentare. Nascose le mani con l’aiuto delle ampie maniche e si coprì di più il viso, perché la sua luce si estendeva con più vigore. Un tuono fece arrestare ogni danza ed una fitta pioggia iniziò a cadere. Dapprima era solo lieve e delicata, ma poi ogni goccia si tramutò in una lingua di ghiaccio. Le case iniziarono a danneggiarsi e grida di dolore giunsero alle orecchie dei Sacerdoti.

“Sono gli Dèi! Gli Dèi creatori ci stanno facendo questo! La gente viene ferita e il villaggio distrutto! Moriamo perché non apparteniamo a nessun Dio!”.

La popolazione urlava, nel terrore.

“Gli Dèi degli eventi atmosferici sono contro di noi!” strillava qualcuno.

I presenti nel tempio si avvicinarono alla statua, pregando: “Lasciateci in vita, oh divini! Lasciateci le nostre case! Lasciateci i nostri parenti!”.

L’Equilibrio percepì tutte le loro richieste. Sospirò e si avviò verso la porta, verso l’esterno. “Signore…” gli disse la Sacerdotessa.

“Balla!” gli ordinò lui, ed andò fuori.

Guardò verso l’alto. E parlò, in lingua divina:  “Compagni miei, nuovi miei compagni, io vi chiedo: chi vi comanda? Chi vi obbliga a fare questo? Chi vi comanda di fare del male?”.

Un lampo e un possente tuono furono la risposta. Il neo-Dio riprese: “Io so cosa il Kaos ed il Destino vi fanno. Entrano nella vostra mente e vi muovono come burattini. Lo so perché mi è stato insegnato e, con sufficiente potenza, sarei in grado anch’io di farlo. Ma ora io vi chiedo di tornare voi stessi. Svegliatevi e calmatevi! Pensate a perché fate questo. Ha forse uno scopo che io non comprendo? Compagni miei…rispondetemi!”.

La pioggia cessò. Un angelo Messaggero apparve nel cielo e rimase sospeso a mezz’aria, ruotando gli occhi a destra e a sinistra, come in cerca di qualcuno.

Il Dio gli parlò: “Non ho qui con me il mio Messaggero, caro angelo dalle ali d’argento. Non puoi discorrere con lui, come sei abituato a fare. Parla con me”.

L’angelo parve confuso. Abbassò il capo, in un inchino, e iniziò a riferire le parole che il suo padrone divino gli aveva affidato: “I divini controllori del Vento, della Pioggia, del Gelo e dei Lampi salutano il loro compagno. Vi danno il benvenuto, nuovo Dio. E chiedono perdono per il loro comportamento ma, purtroppo, sono divinità minori che vengono facilmente manipolate dai creatori e dagli Dèi maggiori. La vostra voce li ha liberati dalla loro possessione. E per questo Vi ringraziano. Avete riportato l’ordine nella loro mente”.

“È solo una situazione temporanea. Non ho la forza per fare questo molto a lungo”.

Il Messaggero fece un cenno di congedo e volò via. Sparì tra le nuvole che si diradarono, lasciando spazio al Sole che tornò a splendere. Il Dio delle stelle e dei fuochi salutò il nuovo Dio Equilibrio, illuminandogli il viso. L’Equilibrio rispose, con un sorriso e una mano.

Poi scoprì i lunghi capelli, abbassando il cappuccio e liberandoli dalla veste dentro il quale erano stati nascosti. Dentro il tempio la gente ballava, così come la le creature in paese, ed il giovane Dio Equilibrio si sentì più tranquillo, per un attimo. La sua luce era potente, si sentiva molto meglio, anche se era consapevole di essere ancora molto debole rispetto ai creatori.

Gli abitanti della città iniziarono ad invocare il nome del loro divino salvatore.

“Voi, Signore dell’Ordine, potete far finire la guerra! Voi, Dio dell’Equilibrio, potete salvarci tutti! Che dobbiamo fare? Che dobbiamo fare per poterVi aiutare?”.

Il Dio ci pensò un attimo, poi rispose: “Ballate! Ballate per me!”. Guardò la Sacerdotessa: “Non potrei chiedere di più! Ballate per me! E credete. Solo così avrò la forza di fare ciò che mi chiedete!”.

La mortale lo fissava, felice: “Andate a cercare la Dea della Pace, nostro Signore?”.

L’Equilibrio fece un cenno d’assenso, poi iniziò a danzare, come non faceva da tempo.

Chiuse gli occhi e traccio dei segni, con i piedi scalzi.

C’era chi tentava di seguirlo, nei suoi passi, ma i movimenti della divinità erano troppo complessi. A terra disegnò i simboli per aprire un portale per altri Mondi poi si fermò. Riaprì gli occhi e pronunciò alcune parole che fecero apparire la luce multicolore del vortice, segno che ora il passaggio era attivo. Diede un’ ultima occhiata a tutti i presenti ed entrò nella spirale multicolore che lo avvolse, trasportandolo altrove.

La notizia che un Dio era giunto alla capitale fece rapidamente il giro del Pianeta. Ovunque si diffuse la voce che, se la gente ballava, lui diveniva più forte e così  la popolazione ballò, danzò in suo onore.

“Crediamo in te, Dio della Danza!”.

E l’Equilibrio sorrise, passando da un universo ad un altro.

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Capitolo 19
*** XIX- I signori dell'aria ed il principe del mondo ***


XIX

 

I SIGNORI DELL’ARIA

E IL PRINCIPE DEL MONDO

 

 

L’Equilibrio si ritrovò a pochi passi dalla capitale del Mondo degli Angeli, non molto distante da dove, un tempo, aveva la casa. Si coprì con il mantello ed avanzò verso il Tempio. In quel luogo, teoricamente, stavano i capi del Pianeta. Loro dovevano sapere se la Dea della Pace era effettivamente su quel corpo celeste. Velocemente attraversò le vie bianche della città e passò vicino a quella che un tempo era l’abitazione di Luciherus, con le sue finestre di migliaia di colori, ma così spente senza il loro padrone! Vide la scuola dove aveva studiato e spiato le lezioni degli Arcangeli e sorrise a quei ricordi. Quanto tempo era passato? Di tutti i volti che lo circondavano, non riusciva ad individuarne nessuno familiare. Si rassegnò all’idea che molti di quelli che conosceva un tempo, erano morti. Per gli anni, secoli o millenni, trascorsi, o per i continui attacchi del Kaos al Pianeta. Si affrettò lungo le scale del tempio.

Che brutta sensazione.

Sentì ancora sulla pelle la pioggia di quella notte ed avvertì una fitta alla cicatrice sul cuore.

Lacrime e risate, tristezza e gioia, vorticavano nella sua mente ed  il ricordo del volto del padre gli apparve, come un lampo. Lo ricacciò nel profondo del suo subconscio. Nei suoi confronti provava paura, curiosità ma, se ne rese conto, nessun’accenno di odio o rabbia.

Mise a tacere le mille voci delle sue memorie, perché doveva concentrarsi su altro. Entrò nel luogo sacro, aprendo la pesante porta decorata. Il luogo era luminoso, con tutte le candele accese che proiettavano ombre traballanti sulle pareti. Una dolce musica si diffondeva per tutto il tempio e l’Equilibrio si soffermò ad ascoltare. Era un suono angelico e soave ed alla melodia si unirono le voci degli Arcangeli. Il Dio si mise al centro della sala, nel mezzo delle due navate, e guardò in alto.

Da lì poteva vedere il piano rialzato su cui era posto lo strumento musicale. Vide Raguhel, l’Arcangelo dell’armonia, suonare l’organo. Lo accompagnavano Gibrihel, Mihael, Camahel e Remihel. Mancavano Rahahel e Urihel. Come erano cambiate le loro voci! Non erano più dei ragazzini ed il loro canto meraviglioso era innalzato con tono profondo e potente. Il nuovo Dio rimase ad ascoltarli, in silenzio.

Al loro coro si unì, ad un tratto, un canto femminile. Conosco quella voce! Eleniel!

Gli Arcangeli si fermarono.

“Potete riferire a Samhian, Signora, che, come sempre ha fatto un ottimo lavoro. Il testo e la musica sono prefetti!” parlò Raguhel.

Eleniel, la nuova Dea della Pace, si sporse e vide l’Equilibrio.

“Ma guarda un po’ chi si vede!” esclamò lei, scendendo dal palco.

Non usò le ali, che rimasero chiuse, e planò dolcemente, avvolta dalla sua magia. Librò a mezz’aria ed atterrò e gli Arcangeli, curiosi, la seguirono volando.

Il Dio teneva il volto coperto, consapevole del fatto che stava ancora mutando. Gli era stato detto che ci avrebbe messo del tempo per assumere il suo aspetto definitivo.

Chissà come lei mi ha riconosciuto… Si sentiva di nuovo stanchissimo. Dovrei essere a riposo ora, si disse. Ma non c’è tempo!

“Ciao, Eleniel. È un piacere vederti” sussurrò il nuovo Dio, con la sua nuova voce melodica.

 I Serafini e gli Arcangeli che stavano nel tempio, sentendo una voce sconosciuta, iniziarono a radunarsi. Scesero dalle scale in due gruppi, il primo proveniente dalla biblioteca ed il secondo da una stanza che l’Equilibrio non ricordava. Evidentemente non c’era ancora quando era caduto.

Eleniel lo abbracciò: “Loro non sono in grado di riconoscerti, ma io saprei individuarti tra mille! Saprei che sei tu anche nella più completa oscurità! Vieni, c’è una persona, qui, che credo tu abbia voglia di rivedere”.

“A parte te? Chi?”.

Eleniel arrossì e gli sorrise. Il Dio notò il bracciale che lei portava al polso.

“Chi è il tuo compagno? Porti il bracciale delle unioni…”.

“Samhian” gli rispose lei.“In realtà anche tu e Vereheveil siete rimasti nel mio cuore. Ma poi voi due siete spariti e lui è divenuto il mio Messaggero…”.

 “Non serve che ti giustifichi!”.

“Mi hanno anche detto che hai avuto un figlio”.

“Sì. Quand’ero un demone”.

Lei voleva sapere altro, ma notò lo sguardo triste di lui e cambiò argomento. I due continuavano a parlarsi nel loro linguaggio divino e gli Arcangeli li guardavano, senza capire.

“Santa Eleniel…” iniziò a parlare Gibrihel, il più bravo con le parole “…è forse costui un tuo compagno divino?”.

Costui? Non mi riconosci? Gibry! Sono io! Sono così diverso rispetto a…? Si guardò in uno degli specchi del tempio. Sì, sono diverso. Ma anche voi siete diversi!

 Gli Arcangeli erano cambiati nell’aspetto, oltre che nella voce. Erano più alti, con i capelli più lunghi e il volto più adulto, nonostante avessero mantenuto lo stesso sguardo e gli stessi occhi grandi. Portavano tutti lo stesso abito lungo.

La tunica che Luciherus tanto odiava!

Un altro ricordo. Un altro pensiero che il Dio tentò di scacciare. Quanta nostalgia…

La Dea non rispose all’Arcangelo, ma prese l’Equilibrio per mano e lo condusse per la ripida rampa di scale che portava ai piani superiori. Incrociarono diversi Serafini e, pur non essendo gli stessi che provocarono la sua caduta, l’ex abitante del Mondo degli Angeli non incrociò i loro sguardi. Non voleva ricordare, non voleva memoria, non voleva avvertire di nuovo quella fitta al petto, là dove lo aveva trafitto la lancia degli Hainuet. E non voleva ricordare la lama gelida di uno degli Angeli che gli trapassava il corpo di demone. Affrettò il passo, lungo un buio e stretto corridoio che terminava con una porta bianca. Aprendo quella porta, i due Dèi si ritrovarono nella stanza più luminosa che potesse esistere. La cupola d’oro si apriva in un punto, permettendo il passaggio della luce, che poi veniva amplificata tramite specchi e superfici lucide. Perfino in piena notte, quella sala sembrava e illuminata a giorno. Una volta abituato al bianco totale della sala, il Dio si accorse di essere in una specie di camera da letto.

“Come sta?” sussurrò Eleniel.

Rispose un'altra voce: “Bene. Sta bene. Si è addormentato”.

L’Equilibrio guardò verso il bordo del letto e vide che era stato Rahahel a parlare. Riconobbe anche Samhian, che era in piedi contro una parete a braccia incrociate. L’angelo lo salutò con un inchino e poi si concentrò sulla figura distesa sul letto.

“Erezehimsay!” sussurrò il nuovo Dio.

Il suo Messaggero dormiva tranquillo. Evidentemente avvertì la sua presenza perché aprì gli occhi, lentamente.

“Signore!” bisbigliò l’angelo ferito allungando una mano verso il suo padrone.

L’Equilibrio gli si avvicinò di corsa e lo abbracciò.

“Sono così felice che tu sia salvo!”.

“Gli Alti mi hanno ascoltato. Ho chiesto di avere la possibilità di rincontrarVi. E loro hanno fermato la mano del Kaos, quando stava per lanciarmi contro il colpo finale. Loro volevano che tornassi da Voi!”.

“Volevano che tornassi da te! Dammi del Tu!” lo rimproverò, gentilmente, il Dio.

Continuava a tenerlo forte a se: “Non ti faccio male, vero?” domandò preoccupato.

“No. Ormai sono guarito. Sto bene. Rahahel mi ha curato”.

L’Equilibrio ringraziò l’Arcangelo: “É un piacere rivederti, Rahy. Ora manca solo Urihel all’appello…”.

“Io ho fatto il mio lavoro! E Urihel se ne sta sempre tra le sue…chissà perché!”.

Rahahel guardò meglio il nuovo Dio: “Non posso credere che tu sia quel piccolissimo Serafino che veniva a spiarci… Siete una generazione speciale!”.

 Il Dio sorrise: “Anche voi Arcangeli siete speciali, se siete ancora in vita!”.

Il guaritore sorrise.:“In effetti…la Dea del Destino ci ha fatto questo dono. Ci ha donato l’immortalità. C’è chi l’accetta con gioia e chi si fa dei problemi come Urihel o Gibrihel…”. “Problemi?”.

“Si, problemi!”.

Una voce dal corridoio. Gli altri Arcangeli si erano radunati fuori dalla porta. Come sempre era Gibrihel a parlare: “Tu sei quel piumino che parlava sempre con il caro S sibilante? Che tenerezza…comunque, sì, mi faccio dei problemi. Io dovrei essere un maestro. Ma maestro di cosa? La Dea ci ha reso immortali perché non nasce più nessun angelo con un ruolo, come avevamo noi, e allora deve tenerci per forza. Ma cosa dovrei insegnare, io, ad un branco che sa solo cantare e suonare? Danza, forse? I poteri magici abbandonano le nuove generazioni e rimaniamo solo noi, Arcangeli immortali. I Signori dell’aria. In pochi ancora sanno cos’è la magia”.

“Sanno solo danzare, ballare e cantare? Non chiedo altro…”. 

Eleniel corse fuori: “L’Equilibrio, il Dio dell’Ordine, è qui! Cantate! Danzate! Suonate! Fate tutto questo in suo onore! Fate tutto questo per la sua felicità!” urlò la Dea.

L’Equilibrio si sentì imbarazzato. Ma che dici? La mia felicità?

“Vieni con me, Dea della Pace!” esclamò il Dio, guardandola “Vieni con me. Ho un piano. Fidati di me!”.

“Perché mi vuoi proteggere?”.

“Ho fatto una promessa. Il mio maestro mi aveva fatto giurare che ti avrei trovato e ti avrei protetto, ad ogni costo, dal Kaos”.

“Capisco…quell’individuo, in effetti, mi spaventa!”.

“Vieni con me..”.

La Dea corse tra gli angeli, che avevano iniziato a cantare. Mosse lievi passi di danza. Voleva che gli altri la seguissero. L’Equilibrio la osservava. I due messaggeri, Samhian ed Erezehimsay, gli si avvicinarono. Il Messaggero della Pace raggiunse la sua compagna ed iniziarono a danzare.

Il Dio dell’Ordine, invece, si mise a cantare.

Non sono più l’angelo più stonato del Pianeta!

La sua voce era splendida e tutti gli Angeli presenti lo guardarono, affascinati. Poi, seguito dal Messaggero, si mise al centro della stanza, accanto alla Dea della Pace e a Samhian. Chiuse gli occhi ed aprì il portale danzando.

 

 

I quattro apparvero dal pavimento del palazzo del Principe. Il padrone di casa, che stava seduto in orizzontale sul suo trono, trasalì. Si levò le cuffie, dalle quali stava sentendo musica, ed imprecò.

“Io ho una certa età!” urlò con convinzione “Non potete apparire di colpo! E, soprattutto, questa è casa mia! Dove sta l’educazione?”.

Il nuovo Dio sorrise: “Scusa, cugino!”.

“Ma vai a fare in Kaos!”.

Il demone si girò, dando le spalle ai suoi ospiti. L’Equilibrio rimase un po’ sconcertato dalle sue parole.

“Se cercate Vereheveil, sappiate che è ancora nella mia biblioteca”.

“Lo immaginavo. Lui rispetta i patti” ammise il giovane.

“Quali patti?” si incuriosì il Principe, che girò solo leggermente la testa verso gli intrusi.

“Tu gli hai ordinato di restare qui. È lui ci resta!”.

Luciherus tornò a sedersi in modo normale. Guardò suo cugino, non riuscendo a trattenere un “Wow!”.

“Wow cosa?” domandò il giovane.

“Niente. Che hai fatto ai capelli? E quella fascia sulla fronte? Vai alla guerra, Rambo?” ridacchiò.

Non si accorge che sono un Dio. La mia luce viene coperta dalla sua. Il Principe ha una luce più potente della mia! E, non potendo vedere il simbolo che porto sulla fronte, coperto dalla fascia, non riesce ad identificarmi come una divinità.

“Tornando al discorso di Vereheveil,…” riprese a parlare il padrone di casa “…io non lo trattengo qui. Il patto è rotto. Ora lui è un Dio. Che vada dove gli pare! Ma non vuole. Sta sempre qua, di sua spontanea volontà!”.

Il demone si accese una sigaretta, rimettendo le gambe sul bracciolo.

“Non va dagli altri Dèi?” chiese l’Equilibrio.

“E perché dovrebbe? Le altre divinità non lo amano molto, per il fatto che non è un Dio di nascita. Sono così spocchiosi ed antipatici! E sono…”.

“Ti prego, non continuare!” mormorò l’Ordine.

“E perché? Da quando sei un religioso? Che ti importa anche se offendo gli Dèi?”.

“Niente. Continua pure. Ma sai che ogni volta che offendi un Dio, questi si indebolisce?”.

“E allora?”.

“Nulla…dì pure ciò che vuoi. Ora, però, portami da Vereheveil!”.

Il demone drizzò le orecchie a punta: “Mi dai ordini?”.

“Ho fretta! Scendi da lì e sbrigati!”.

Luciherus si stiracchiò con calma e, senza fretta, discese gli scalini davanti al suo trono. Si infilò una mano in tasca ed estrasse un mazzo di chiavi. Camminando lungo il corridoio se le passava, una dopo l’altra, tra le mani, fingendo di non sapere quale fosse quella che apriva la porta della biblioteca. Il Dio, spazientito, gli afferrò il braccio ed infilò la chiave giusta, a forza, nella serratura.

La fece girare, assieme alla mano del Principe, che gli ringhiò contro con rabbia.

“Ragazzino!” tuonò, frustando la coda.

 La creatura divina fece entrare i due Messaggeri ed Eleniel. Poi, con un inchino, chiuse la porta dietro di se, girando la chiave, lasciando il padrone di casa fuori.

 

 

I quattro avanzarono in fretta fino al centro della stanza. Era buia e fredda. Solo le luci dei due Dèi presenti la illuminavano.

 “Chi è?”,si sentirono chiedere da dietro uno scaffale.

 “Un amico!” rispose il Dio dell’Equilibrio, usando la lingua divina.

Vereheveil corse fuori dal suo nascondiglio e andò appresso all’amico. Lo abbracciò forte, facendo fremere le grandissime ali.

“Oh! Sei tu! Sei qui! Che bello!” il Dio delle Letterature si inginocchiò ai piedi del nuovo Dio pronunciando: “Oh, Equilibrio! Mio Equilibrio! Sei di nuovo qui con me! Amore mio…”.

Amore mio?

Stupito dal comportamento di Vereheveil, il giovane Dio si inginocchiò a sua volta: “Oh, Letterato! Mio Letterato! Perché fai così?”.

L’angelo dalle ali nere piangeva, affondando le testa sulla spalla dell’amico, e notò subito i suoi lunghissimi capelli.

“Sei bellissimo. I tuoi capelli…i tuoi occhi…la tua voce…sei bellissimo!”.

“Very!”.

Samhian ed Eleniel li fissavano, tenendosi per mano.

“Siete bellissimi anche voi…” mormorò il Dio delle Letterature, continuando a tenere stretto l’Equilibrio.

 “Siamo sposati” lo informò la Dea della Pace.

“Lo so. Congratulazioni”. Rimase in silenzio. Poi continuò: “É così bello rivedervi!” esclamò l’angelo nero.

“Non serve che fai così! Non sono stato via tanto…”.

Vereheveil lo abbracciò ancora più forte: “Un giorno ti porteranno via di nuovo da me. Lo sento. Perciò io ora voglio vivere ogni singolo momento con te!”.

Il Dio dell’Equilibrio gli accarezzò i capelli e lo guardò. Non era cambiato. I suoi capelli verde acqua avevano la stessa pettinatura e gli occhi dorati brillavano come sempre.

“Hai i capelli lunghissimi…” gli sussurrò il Dio della Letteratura.

Il Dio dell’Ordine si alzò e vide che, ora, i suoi ciuffi neri arrivavano quasi fino ai piedi. “Continuano a crescere!” protestò.

“Devi stabilizzarti. Si vede”.

“Perché tu, escludendo i tatuaggi, non hai cambiato nulla nell’aspetto?”.

“Perché io non sommo insieme quattro dna!”,esclamò Vereheveil, rialzandosi.

Quattro dna? Giusto…Dio, demone, angelo e la creatura senza magia.

Si guardò attorno: “Certo che…dovresti mettere un po’ in ordine qui!”.

Il Dio dai capelli verde acqua lo guardò accigliato: “Io metto a posto!”.

“Sei sicuro?”.

L’angelo alzò il dito medio, con un sorriso: “Questo è perché ti voglio bene!”.

Si misero a ridere, scuotendo il capo: non sarebbero mai cresciuti.! Sarebbero sempre rimasti due piccoli bambini che giocano tra loro.

“Tu sei qui per un motivo, Equilibrio. Che posso fare per te?”.

Il Dio dai lunghissimi capelli neri lo guardò negli occhi, era più alto dell’angelo di una ventina di centimetri.

“Io vorrei che tu, mio caro Dio della Letteratura, pronunciassi una formula per proteggere la Pace”. Vereheveil annuì, sparì dietro uno scaffale e riapparve con un libro in mano.

“Qui dentro c’è quello che ci serve” spiegò.

“Un incantesimo per difenderla dal Kaos?”.

“Mi chiedi molto. Quel Dio è molto potente!”.

“Lo so! Per questo io ti chiedo di concentrarsi solo su di lei. Se dovesse morire, sarebbe un grosso problema!”.

“Anche se tu dovessi morire sarebbe un bel problema…Equilibrio!”.

“Ma io non morirò. Sta tranquillo!”.

Il Dio della Letteratura, per niente convinto, sfogliò il grosso volume, sospirando.

“Per questa magia, che fa al caso nostro, mi serve un enorme quantità di energia…”.

“Ti daremo la nostra. E se te ne serve di più, basta dirlo. Quanta te ne serve? Ci penso io!” lo rassicurò il nuovo Dio.

“Ti starò vicino. Quando avrai sufficiente magia nel corpo, te lo saprò dire. Ma come pensi di immagazzinare tanta potenza? Non sei una pila!”.

Il Dio dell’Equilibrio uscì di corsa dalla biblioteca, seguito dal gruppetto di Dèi e Messaggeri. “Dov’è il tuo Messaggero, Vereheveil?” chiese Samhian.

 “É mia figlia. E se ne va sempre in giro. Non mi serve a molto…la lascio sempre libera. A me piace parlare alla gente…”.

“Anche a lui!” affermò Erezehimsay, indicando il suo padrone “Ma io lo servo comunque!”. Vereheveil non rispose. Era troppo impegnato a preservare il fiato per riuscire a stare dietro al Dio dell’Ordine, che marciava per il corridoio. Il gruppetto si fermò davanti ad una porta color del sangue.

“Non entrerai lì dentro, spero…” sussurrò il Dio della Letteratura al suo amico con gli occhi del Kaos “Quella è la camera del Principe! Così sì che lo farai arrabbiare!”.

L’Equilibrio non lo ascoltò ed entrò nella stanza, spalancando la porta senza alcun garbo. La richiuse dentro di se, facendola sbattere. Luciherus dormiva, agitato e tormentato da incubi e ricordi. Il Dio gli andò vicino, con un sorriso.

“Buongiorno, fiorellino!” gli urlò, nelle orecchiette a punta.

Il demone balzò di colpo, afferrando l’intruso per il collo, con rabbia. Quando si accorse che tra gli artigli teneva suo cugino, allentò un po’ la presa, titubante, e poi lo lasciò andare del tutto. Ringhiò. “In nome di quell’imbecille di Belzebù, ma che cazzo vuoi?” tuonò il Principe.

“Oh! Adesso sì che ti ho fatto arrabbiare!” esclamò il Dio, felice.

“Tu e il tuo amichetto dai capelli verdi avete fumato qualcosa di strano? Ti sei drogato? Che hai da essere così felice?”.

Luciherus si mise seduto. Scosse il capo, cercando di svegliarsi, ed incrociò le gambe, in un’insolita posizione del loto. Fissò l’invasore della sua privacy: “Che vuoi da me, straccia palle?!”.

“E dai, cugino, non ti alterare! Sono qui per chiederti un favore!”.

Il Principe stiracchiò le ali, aprendole del tutto per poi richiuderle.

“Spero che sia importante! Se è una delle tue solite cazzate… Che il Kaos ti possa prendere se mi hai svegliato per niente!” biascicò il demone, sbadigliando.

Il Dio avvertì una fitta in prossimità della sua cicatrice a quelle parole, ma non lo diede a vedere. “Scendi dal letto, dai! Ho bisogno di te! Scendi, o ti prendo per la coda!”.

“Guarda che fa molto, molto male! Ha tante nervature quante ne ha l’ala di un angelo!”.

“Lo so! Scendi!”.

Luciherus sbadigliò di nuovo. Allungò la mano affusolata verso il tavolino a fianco del letto.

Trovò il suo obiettivo: le sigarette. Ne prese una e la accese :“Che posso fare per te? Ormai mi hai svegliato…”.

Il demone fece un piccolo cerchio con  il fumo.

“Balla per me!” gli rispose l’Equilibrio.

Il Principe lo guardò molto male: “Divertente…ha roba buona nella biblioteca, il caro Very…”. “Non mi sono drogato! Dico sul serio! Mi serve che tu, assieme agli altri demoni, vi mettiate a ballare! Mi serve energia!”.

Luciherus scoppiò a ridere.: “Ho una dignità sai! Magari tu l’hai persa da millenni, bacia angeli, ma io l’ho ancora! E poi, secondo te, cosa dovrei fare? Vado fuori da Asmodai e gli chiedo: scusi, Madama, permette questo ballo? Ma dai!!!!”.

Rideva, ribaltando la testa all’indietro: una risata agghiacciante.

Il Dio, accigliato, piombò su di lui: “Non è una richiesta gentile! È un ordine!”.

Il Principe smise di ridere: “Che fai? Vuoi fottermi, finocchio? Come già ti dissi, io non verrò mai a letto con te!”.

Lo derideva, senza guardarlo. Poi abbassò il capo ed i loro sguardi si incrociarono. Disteso, con le mani dell’Ordine affondate, l’una sulla sinistra e l’altra sulla destra, sul suo cuscino nero, si accorse di non riuscire a distogliere i suoi occhi arancio dagli occhi azzurri del cugino. Quella tonalità…

“Tu sei in parte donna, vero?” domandò, lentamente.

“Sì…perché?”.

“Niente! Scansati!”.

Il demone si alzò. Guardò altrove, dando le spalle al Dio.

“Io non posso ballare, cugino. E poi, cos’è questa storia dell’energia?”.

L’Equilibrio sospirò: “Guardami!” disse, e slacciò la fascetta, mostrando al Demone il suo simbolo.

Luciherus lo fissò, sbigottito: “Sapevo che le divinità ti avevano fatto dei doni…ma da qui a farti diventare un Dio…”.

“Io sono un Dio di nascita. Sono il figlio del Kaos”.

Tacque per un attimo, notando lo sguardo feroce del Principe.

“E che cazzo aspettavi a dirmelo?”.

Solo ora aveva associato la tonalità degli occhi fra padre e figlio.

 “Sono faccende che non ti riguardano. Adesso puoi, per cortesia, farmi il favore che ti ho chiesto?”. Il demone digrignò i denti: “Io non ballo. Fine della questione. Per quanto riguarda gli altri demoni…fa ciò che vuoi. Fa ciò che credi. Sei il figlio del Re. Sei più Principe di me”.

Gli voltò le spalle, frustando l’aria con la coda ed incrociando le braccia.

“Eh, dai! Lucy…”.

Luciherus si girò di scatto e lo morse: “Ti avevo detto di non chiamarmi più così! E adesso vattene!”.

L’Equilibrio gemette, guardando i segni dei denti lasciati dal demone.

 “Ma che hai? Sei tu il drogato, non io!”.

“Vai fuori di qui!” tornò ad urlargli il padrone di casa, scandendo ogni parola.

Il Dio uscì, con un inchino.

 

 

“Ma che ha?” si chiese l’Equilibrio, ricominciando a correre lungo il corridoio.

I Messaggeri e le due divinità, che aspettavano fuori dalla camera, iniziarono ad  inseguirlo. Il Dio dell’Ordine si arrampicò su una delle torri, in cerca di qualcuno che lo potesse aiutare. Non si accorse di essere in bilico, con un piede, su uno degli spuntoni che le circondavano. I demoni notarono questa stranezza e guardarono in su, verso quello strano individuo dall’equilibrio straordinario. Soddisfatto per aver attirato l’attenzione su di sé, il giovane, con i capelli neri mossi dal vento, iniziò a parlare.

“Io sono il figlio del Kaos!” esclamò.

Non gli piaceva ammetterlo, ma era necessario comunicare la cosa in quel Mondo.

L’azzurro dei suoi occhi si espanse, coprendo il bianco e il nero della pupilla, acquisendo così  lo stesso sguardo di suo padre.

“E voi, ora, dovete obbedirmi. Ho bisogno della vostra energia. Ne ho bisogno, e voi potete fornirmela. Datemi armonia!”.

I demoni lo fissavano: “Che possiamo fare per Voi?” domandarono, titubanti “E il nostro Principe cosa dice al riguardo?”.

“Il Principe dice: suonate!”.

 Il Dio si voltò e, con sollievo, vide Luciherus su un terrazzino del suo palazzo, che incitava il suo popolo a seguire la nuova divinità. Con un balzo, il giovane dai capelli corvini si piazzò accanto al grosso demone che dimenava la coda. Non si guardavano.

“Se sei dalla parte del Kaos, tuo padre, non voglio avere niente a che fare con te. Un capo mi basta e mi avanza! Se sei contro di lui, non ti posso aiutare, in quanto è quel Dio a rendermi immortale. Se io mi schierassi contro di lui, verrei ucciso. Ed io ci tengo alla mia vita!”. Tacque per un attimo. “Tuttavia…” riprese, dopo un sospiro “…tu sei mio amico. Perciò io suonerò per te. E suoneranno tutti gli altri demoni”.

“Grazie” gli rispose il Dio.

“Non ringraziarmi…troverò il modo di farmi ripagare!”.

 La popolazione del Mondo dei Demoni iniziò a suonare. Il ritmo delle percussioni rimbombarono per tutta la capitale.

Vereheveil agitava il capo: “Che ritmo..non avrei mai immaginato”.

Eleniel rimase un po’ spaesata da quella musica, abituata com’era alla dolce armonia e dal melodioso canto degli angeli. I demoni urlavano, con toni profondi e minacciosi, ed i tamburi facevano vibrare ogni cassa toracica.

 “Equilibrio! Balli con me?” chiese Vereheveil, ridendo.

Il Dio dell’Equilibrio lo prese sul serio e lo tirò a se, sul tetto del palazzo. Lo teneva stretto, per non farlo cadere. Mossero alcuni passi, ridendo.

“Sembriamo degli idioti!” esclamò il Dio delle Letterature.

“Proprio!”.

Guardarono verso il basso. Luciherus li guardava: “Avete ragione. Sembrate proprio degli idioti!”. Il Dio dell’Ordine afferrò il demone per le ali e lo guardò negli occhi.

 “Balli con me? Così sei anche tu idiota?”.

Il Principe si dimenò e lo graffiò.

Tornò a terra, con rabbia. Atterrò sul suo terrazzino e ringhiò alla divinità: “Vai al diavolo!” urlò.

“Ci sono già! Non puoi, tu, dire una cosa del genere!”.

Il demone rimase fermo, a guardare in alto: “Hai ragione. Non lo posso dire. E allora vaffanculo!”. Si voltò e rientrò nel palazzo, sbattendo la porta, ed il Dio ci rimase un po’ male.

 

 

L’Equilibrio sospirò e tornò a concentrarsi sul ritmo della musica. Aprì le braccia per incanalare più energia. Con una piroetta scese dal tetto, seguito da Vereheveil che spalancò le ali piumate. Il ritmo si fece sempre più incessante e la magia entrò in ogni vena della giovane divinità.

L’angelo dalle ali nere lo guardava, con ammirazione e stupore: “Allora è così che accumuli energia! Con l’armonia, il ritmo, la danza e la fede!”.

“Vereheveil! Sono qui! Pronuncia la tua formula!”.

Stava a mezz’aria, completamente immerso nella potenza della musica. Il Dio delle Letterature iniziò a recitare le parole magiche, intimando la Dea della Pace di guardarlo negli occhi. La forza del Dio dell’Ordine venne trasferita, lentamente, alla mano di Vereheveil, che la impresse alla Dea della Pace, premendole l’indice sulla fronte. Una barriera di luce si formò attorno alla Pace, che urlò per lo spavento e la sensazione di freddo che le provocava il flusso magico.

Quando il breve rito fu terminato, la luce si spense e i tre Dèi si guardarono. I demoni continuavano a suonare ma l’Equilibrio non incanalava più l’energia. La sua luce era pallida.

“Ora il Kaos non può più vederti. Sei al sicuro, Dea della Pace!” sussurrò Vereheveil, sorridendo e la Dea rispose al sorriso. L’Equilibrio scese a terra. Si sentiva felice per aver aiutato la sua amica.

Sapeva di averla salvata dagli occhi del Kaos ed era raggiante, ma poi la debolezza prese il sopravvento e perse i sensi.

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Capitolo 20
*** XX- Squartamento (NDA arancione per questo) ***


XX

 

SQUARTAMENTO

 

 

“Buongiorno, fiorellino!”.

Gli occhi dell’Equilibrio si riaprirono lentamente. Chi ha parlato? Dove sono? Intravide la luce rossa di Luciherus. Era in una stanza da letto. Si alzò a sedere e si stropicciò gli occhi. Si sentiva di splendido umore e guardò il demone: “Sei ancora arrabbiato con me, Luciherus?”.

Il Principe scosse il capo, come sempre fumava: “Non sono arrabbiato con te, cugino. Sono arrabbiato, furioso, con il Kaos. Avrebbe potuto dirmelo che eri suo figlio. Sarebbe stato tutto diverso…”.

“In che senso?”.

“Non ha importanza…”.

La voce del demone era debole e distante. Guardava altrove. Spense la sigaretta sul muro, dove teneva appoggiata la schiena ed un piede. Le ali gli formavano una corona attorno alla testa. Portava un abito nero e argento ed i capelli, legati con un nastro rosso, gli ricadevano su una spalla. Rimise i guanti di velluto ed incrociò le braccia.

Guardava in alto, con gli occhi splendenti, come avvolti dalle fiamme.

“Sei bellissimo oggi, Luciherus. Sembri di nuovo uno degli angeli…”.

Il demone gli lanciò uno sguardo gelido. Mostrò la lingua.

“Dico sul serio…” insistette il Dio.

“Ma sparati!” gli ringhiò contro il Principe, uscendo dalla stanza.

L’Equilibrio girò la testa e vide che al suo fianco stava il suo Messaggero. Era seduto, a gambe incrociate, accanto ad un tavolino. Leggeva.

“Prima ci ha detto che siamo liberi di andare per il Pianeta a suo piacimento. Non era così…irritato!” gli riferì Erezehimsay.

“Irritante! Ma non preoccuparti. Non è colpa di nessuno. È fatto così! Più tardi andremo a fare un giro tutti assieme!”.

“Va bene. Ma adesso riposate!”.

Il Dio si rassegnò al fatto che il Messaggero non gli avrebbe mai dato del Tu. Tornò a stendersi sul letto color ebano e sentì sotto le sue mani le morbide lenzuola di seta. Rimase incantato dall’immenso lampadario che rifletteva, in argento, le luci di mille candele. Il baldacchino, sorretto da quattro draghi d’opale, rispecchiava a sua volta quei luccichii, facendo sembrare il soffitto un cielo stellato. Chiuse gli occhi e tornò ad addormentarsi.

 

 

Si risvegliò quando la luce di uno dei satelliti del Pianeta entrò dalla finestra, colpendolo sul viso. Aprì gli occhi pigramente. Si girò verso il tavolino dove stava seduto il suo Messaggero e vide che si era addormentato, appoggiando il capo sul bancone. Il Dio si alzò e si vestì, con gli abiti che gli erano stati lasciati sul bordo del letto. Non indossò il mantello, ma lo appoggiò sulle spalle dell’angelo, che si mosse solo lievemente, continuando a dormire. Uscì dalla stanza, con le stoffe delle vesti che si trascinavano sul pavimento. Appartenevano al padrone di casa, di molto più grosso di lui. Si sentiva a disagio in quegli abiti principeschi.

A piedi scalzi uscì da palazzo, così inquietante nel buio della notte ma, allo stesso tempo, così magnifico! Cambiò forma.

Così, pensò, non mi riconosceranno e potrò girare liberamente.

Con il suo aspetto femminile andò verso il centro. Quanto era strano vedere quell’abito, che aveva visto indossare dal Principe, ingrossarsi in corrispondenza del suo seno!

Percorse le vie della capitale, dove c’era sempre un grande movimento di persone. Si comprò un abito nuovo, più adatto al suo corpo di donna. Scelse una veste semplice, rosso cupo, riportò l’indumento del Principe a palazzo e ricominciò la sua esplorazione.

Ricordava bene le vie di quella città. La popolazione si accalcava e urlava, rideva e cantava. Molti di quei demoni erano mossi da qualche bicchiere di troppo!

L’Equilibrio abbandonò il centro, perché cercava un po’ di tranquillità. Uscì dalla capitale ed imboccò un piccolo sentiero che usciva dall’abitato. Andò verso il bosco, seguendo la strada sterrata. La sua pallida luce illuminava gli alberi, avvolti dall’oscurità. Colse un fiore blu e lo annusò, felice, poi continuò a camminare, tenendolo stretto nella mano destra.

D’un tratto udì un fruscio dietro di sé. Si voltò, ma non vide nessuno.

Sarà il vento, si disse, e proseguì.

 Il vento si fece più insistente e gelido. Si pentì, per un attimo, di non avere tenuto la veste del Principe con sé. Una strana nebbia avvolse la vegetazione.

Il Kaos! Capì, ed iniziò a correre.

Doveva uscire dalla nebbia! Una violenta fitta gli attraversò la gamba destra. Guardò in giù e vide che una radice nera le era penetrata alla base della caviglia. Urlò e si liberò a fatica. Cadde in terra. Il dolore era insopportabile, ma strinse i denti: doveva andarsene da lì. Urlando di nuovo, per il male che provava, e zoppicando, tentò disperatamente di uscire dal bosco e dalla nebbia del Kaos.

Perché sono qui? Perché ho fatto una cosa così stupida?

Una forza spinse la divinità contro un albero. Picchiò violentemente la schiena, sulla quale, poté notare, stavano lentamente crescendo due ali blu. Avvertì sempre più freddo. Gelo. Dolore. Non poteva più muoversi. Era immobile, in preda ai brividi. La gamba gli bruciava terribilmente e si stava, pian piano, ricoprendo di sottili linee nere in corrispondenza delle vene.

Una mano impediva ogni suo movimento. La mano era quella del Kaos, che guardava la nuova divinità, sorridendo.

L’Equilibrio lo fissava, con occhi pieni di terrore.

“Che vuoi fare?” domandò.

 Domanda stupida…che vuoi che voglia fare? Vuole distruggermi!

Il Dio del Disordine gli appoggiò due dita sulle labbra, togliendo la parola al figlio.

“Non avere più di tanta paura, Equilibrio. Gli Alti mi impediscono di ucciderti. Ma ci sono cose migliori che si possono fare con una cosettina come te” gracchiò il Kaos, con la sua voce roca e profonda, che proveniva da ogni angolo del bosco. Era come se lui e quel Mondo fossero una cosa sola. La divinità senza tratti somatici prese con dolcezza il fiore che l’Ordine teneva tra le mani e glielo mise tra i capelli.

“Che splendida figlia che ho! Hai i capelli di tua madre…” le dita nere del Kaos passavano tra i capelli corvini, perdendosi in mezzo alla loro lucentezza.

Il padre bloccava la sua creatura, che sentiva la gamba pulsare per il dolore. Lei teneva gli occhi spalancati, senza staccarli da quelli del Kaos. Tremava, sentendo la sua presenza così vicina. Tentò invano di parlare, muovendo le labbra, ma nessun suono ne uscì.

“Smettila di tentare di emettere parole o versi! L’ultima cosa che voglio che tu faccia è parlare! Le donne non devono parlare!” protestò il padre.

Il Kaos la strinse a sé: “Credi di potermi sopraffare, bambina mia? Credi di potermi battere? Gli Alti mi bloccano le mani quando cerco di ucciderti ma, come detto, ci sono molte altre cose che io posso fare, senza porre fine alla tua vita!”.

L’Ordine si dimenò, tentando di liberarsi, senza successo. Il Kaos era più grande, più potente e più spaventoso e non poteva fare nulla..

Il Dio del Disordine rideva, divertito: “Sei bella come tua madre, figlia mia” gli mormorò ad un orecchio, stringendola più forte.

Lasciami! Che vuoi fare?

“L’Equilibrio è facile da spezzare!”.

No! Lasciami!

Con uno strappo deciso, il Dio caotico scoprì per buona parte la figlia.

Non puoi farmi questo! Come puoi farmi questo? Perché? Che razza di padre può fare questo? Ormai aveva chiaro cosa volesse fare il Kaos, e sapeva di non poter fare niente per impedirlo.

Sentì la sua stretta farsi più violenta e decisa. Lo sentì entrare nel suo delicato corpo di giovane Dea e rivolse lo sguardo al cielo. Dai suoi occhi azzurri cominciarono a sgorgare calde lacrime.

Come può un padre…

Spalancò la bocca, in un grido che però non riuscì a pronunciare.

Perché non mi lasci andare? Perché mi hai tolto la voce? Neanche urlare mi lasci! Perché? Continuava a non chiudere mai le palpebre, guardando in alto, in cerca di salvezza, già consapevole che la salvezza non sarebbe arrivata. E, ad ogni modo, era troppo tardi. Le unghie del Kaos affondavano nella sua schiena, squarciandola. Il Dio del Disordine rideva ed ansimava, mentre l’Equilibrio piangeva, non potendo più muoversi. Come puoi sconfiggermi così? In un modo così subdolo e perverso? Mi fai male. Mi fai MALE! Risate e urla. Urla e risate. Spasmi e fremiti. Dolore ed eccitazione.

Mio padre…mio padre è dentro di me!

Avvertiva l’odore della nebbia, l’odore del Kaos.

Perché? Alti! Perché?!

Lacrime e sudore, magia perduta e acquisita, vita e morte.

Non mi sconfiggerai così! Non riuscirai a distruggermi!.

Dopo un tempo, che parve un eternità, il Dio si fermò e scaraventò la Dea in terra.

“Ringrazia gli Alti, dolcezza mia! Se fosse stato per me, ti avrei uccisa, ma loro me lo hanno impedito. È nella mia natura fare ciò che ho fatto”.

La tua natura?

Lei stava in terra, senza riuscire a chiudere gli occhi.

“Ricordati: tu, bellissima mia figlia, non mi batterai. Mai!”.

Sparì, assieme alla sua nebbia, lasciando l’Equilibrio sull’erba, in preda al dolore.

 

 

 Devo tornare alla capitale. Devo andarmene da qui!

Tentò di alzarsi ma la gamba ferita cedette, ributtandola in terra. Strinse i denti. Cercò di ridare un ordine alla sua veste e riuscì ad alzarsi. Tenendosi appoggiata agli alberi, riuscì ad uscire dal bosco.

Vereheveil! Luciherus! Eleniel! Samhian! Erezehimsay!

Piangeva ancora. Le lacrime le rigavano il viso, sporco di terra. Non riusciva a cambiare forma, non riusciva a tornare uomo!  Si sentiva sporca e arrabbiata, con se stessa.

 Come posso essere stata così stupida da addentrarmi da sola nel bosco? Di notte? Nel Mondo del Kaos? È stata colpa mia…la sua natura…

La gente per strada la schivava, non riconoscendola. La sua luce era del tutto spenta e il  simbolo dell’Equilibrio era troppo pallido per essere notato.

Riuscirò di nuovo a mutare forma? Riavrò mai la mia voce? O sarò condannata, come mio fratello, a non poter più parlare?

Giunse fino alla scalinata che portava al palazzo del Principe. Cadde, inciampò in malo modo.

E lì rimase…guardando in terra. Dopo qualche istante, lo scalino davanti a sé si illuminò di rosso. Alzò lo sguardo: Luciherus le tendeva la mano.

Amico mio…

“Bella fanciulla, che posso fare per te? Che ti è successo?”.

Non mi riconosce? Non sa chi sono…e io non so come dirglielo.

Afferrò la sua mano.

Aiutami, ti prego!

Il Principe la sollevò tra le braccia e la portò in camera. Sentirsi le lenzuola di seta tra le mani, fecero sentire meglio la piccola Dea.

Luciherus le si sedette a fianco: “Che cosa ti è successo?” le chiese, gentilmente.

L’Equilibrio si toccò la gola, facendogli segno di non poter parlare.

“Non hai voce, povera piccola?”.

Tacque. Lei lo guardò negli occhi. Come sei bello…

Lo vide, avvolto nella sua luce rossa, con i capelli sciolti e la camicia aperta. Ai suoi occhi parve quasi un angelo. Le sembrò di avere di fronte, di nuovo, l’Arcangelo più bello.

Ma tu non sei più un angelo. Non ami più da angelo. Tu ora sei un demone. E ami da demone! Ma che pensieri ho nella testa? Ma certo…è il suo potere! Il potere di condurre alla lussuria e al desiderio chi brama!

E lo sguardo di Luciherus era fisso su di lei, eccitando ogni suo senso. Non riusciva a opporre resistenza a quegli occhi che riversavano desiderio in ogni parte del suo corpo. Ora che era del tutto una donna e, per giunta, priva di potere divino, non poteva resistergli.

Ma vide che anche lui sembrava agitato.

Forse anche io ho un potere simile al suo…forse neanche lui può opporre resistenza alla magia dei miei occhi.

Luciherus la guardava. Guardava i pochi stracci color porpora che la coprivano, guardava i suoi capelli d’opale che scintillavano, guardava i suoi seni che si muovevano, seguendo il ritmo del respiro. E guardava quelle labbra vermiglie che parevano chiedere di essere baciate.

Il demone le si avvicinò: “Posso darti un bacio, bellissima?”.

La Dea annuì ed i due si baciarono.

Il Principe la osservava, curioso: “Che piccole ali hai. Sei anche tu un angelo caduto, come me? Ma non mi importa cosa sei…forse sei una musa o una fata. Una Dea o un angelo. Qualunque cosa tu sia…puoi essere mia questa notte eterna?”

La notte più lunga che il Pianeta avesse avuto.

La voce, la sua voce…così calda. Così sensuale.

L’Equilibrio fece un cenno d’assenso.

Come posso resisterti? Non posso! E non voglio! Prima che tramontino le Lune, e prima che sorga la stella del mattino, in questa notte eterna, io sono tua. Per tutta questa notte infinita, possiedimi!

 

 

Riaprì gli occhi.

“Ti sei svegliata…”.

L’Equilibrio vide che il Sole era alto. Girò la testa e notò Luciherus seduto accanto a lei. Cercò di riordinarsi le idee. Sentiva ancora il corpo fremere eccitato, percependo il profumo, quasi angelico, del demone. Ma poi ricordò ciò che era successo nel bosco e  lanciò un grido, serrando gli occhi: aveva di nuovo la voce! Quando riaprì le palpebre, capì che il Principe le teneva il viso con due mani.

“Cosa ti succede? Stai male? Signorina…”.

“Oh…Luciherus…”.

“Come sai quel mio nome?”.

“Guardami bene negli occhi…”.

Il demone obbedì. La guardò e trattenne un urlo: “Tu! Serafo!” balzò all’indietro.

“Luciherus, cugino mio, aiutami! Sto tanto male!”.

La Dea sentiva la testa girare. La sua voce mutava, ma non  il suo corpo.

Che mi succede? Aiuto!

“Sei ferita…ferito…” affermò il Principe, non sapendo come definire chi aveva di fronte.

Dalla gamba di lei si espandevano  rivoli neri, come sangue velenoso, che si  ramificavano lungo le vene del corpo.

“Non sei stato tu. Tu non mi hai fatto male. Il Kaos…”.

Inorridito, l’angelo caduto urlò un nome. Il nome del demone guaritore.

“Scusa…” mormorò l’Equilibrio “…scusami tanto. Tu avevi promesso che non saresti mai venuto a letto con me. Io, invece, ti ho fatto infrangere la promessa. Scusa”.

“Tu? No! Non è così…non…”.

“Sento il peso della mia colpa…”.

“Dov’e Malaphar? Dov’e il demone guaritore?” urlò Luciherus, spalancando la porta.

Asmodai, che stava fuori dalla stanza, non aveva mia visto il suo padrone tanto agitato. Sembrava quasi spaventato, con i capelli spettinati e lo sguardo che roteava in tutte le direzioni.

“Arriva, mio Principe!”.

“Che si sbrighi!”.

Aveva l’aria confusa, ma si ricompose abbastanza in fretta. Malaphar, il demone guaritore, arrivò di corsa nella camera in cui giaceva l’Ordine. La Dea aveva i brividi e gemeva dal dolore. Era in preda agli incubi. Teneva gli occhi serrati. Con le unghie si lacerava la pelle in preda alla follia del male che provava, e per cercare di togliersi dalla mente il pensiero del corpo di suo padre.

Il guaritore le toccò la fronte: “Brucia di febbre. Che è successo?”.

Luciherus rimase in disparte, a braccia incrociate e frustando la coda: “É arrivata qui. Era semisvenuta sulla mia scalinata”.

Fece una pausa e poi riprese: “Pensavo che fosse ubriaca o drogata. Non mi sono accorto che era ferita. Né mi sembrava che avesse altri problemi, se non quello che non parlava”.

“Ma adesso parla?”.

“Sì. Mi ha parlato”.

“E che cosa ha detto?”.

 “Aiutami, ecco cosa mi ha detto. E quindi ora aiutala!”.

Malaphar le prese il polso, impedendole di graffiarsi ulteriormente.

“Devo visitarla…”.

Luciherus uscì dalla stanza, chiudendo la porta dietro di se.

Lungo il corridoio vide arrivare Vereheveil di corsa: “Che cosa è successo? Cosa è successo al mio Equilibrio?”.

Dietro di lui venivano Erezehimsay, Eleniel e Samhian. Tutti e quattro correvano ed il Principe li fermò, con le ali e con un braccio: “Fermi, piumini” ordinò “C’è il medico da lei, cioè da lui, cioè…oh! Fanculo!”.

Si accese nervosamente una sigaretta.

“Come sta?” chiese il Dio delle Letterature, in apprensione.

“Non lo so. Tra un attimo lo sapremo”.

“Ma cosa ci faceva il mio padrone in camera tua?”.

“La tua padrona?” iniziò Luciherus.

L’angelo dalle ali nere lanciò un’occhiataccia al demone. Che fece un passo indietro.

“Giuro che se sei stato tu a fare del male alla persona che amo da Ere intere…giuro che non avrai vita facile!” sibilò Vereheveil.

“Calmati! Io non le ho fatto del male! È stato quello stronzo di suo padre!”.

 “Nemmeno tu credi alle tue parole! Bastardo! Figlio di meretrice e genero del peggiore degli esseri! Galoppino del Dio più disgustoso degli universi! Era tutto un complotto fra te e il tuo padrone, vero? Che tu possa morire per questo!!”.

“Calmati, Vereheveil!” gli disse Eleniel, abbracciandolo.

Il demone parve turbato dalle parole dell’amico: “Facile dare la colpa a me” gli sussurrò. Poi gli urlò contro: “Perché non te la prendi, ogni tanto, con gli Dèi? Facile dare la colpa ad una persona che è già dannata! Facile dire che la colpa è dei demoni! Ma guardati un po’ in giro e pensa a chi realmente dare la colpa! E poi…credi di spaventarmi? Anche se sei un Dio, io ricordo la tua nascita e non ti considero, di certo, superiore a me!”.

Il padrone di casa se ne andò, stupito della sua stessa reazione. La porta della camera si aprì ed il medico uscì. Vereheveil respirò a fondo, per calmarsi: “Che cos’ha?”.

Malaphar parlò: “La causa del suo male e della febbre è una profonda ferita che ha nella gamba destra. Gli è stato inoculato un veleno tramite essa”.

“Un veleno?” mormorò, spaventato, il Dio delle Letterature.

“Sì. Ma è curabile. La magia farà guarire il suo corpo. Sta già reagendo. Per questo ha la febbre. Vi lascio delle medicine da somministrare ogni sei ore. Tornerò ogni tre giorni a cambiare le bende con cui ho medicato la ferita. Se c’è qualche problema, mandatemi a chiamare”.

Gli alati annuirono.

“Posso vederlo?” chiese Vereheveil.

“Vederlo? Sì, certo. Ma ora sta riposando. Ha bisogno di dormire il più possibile e di non fare sforzi. Così la magia la guarirà in fretta. Altrimenti non potrà mai recuperare del tutto”.

Il demone guaritore si congedò e se ne andò, scortato dalle guardie del palazzo.

Vereheveil entrò timidamente incitato da Samhian: “Va da lei! Ha bisogno di te!”.

“Io non l’ho mai vista in forma di donna…”.

“Nessuno di noi! Ma entra…”.

L’angelo delle Letterature si avvicinò all’Equilibrio, che dormiva tranquillamente grazie ai sonniferi.

“É stato il Kaos?” si chiese il Dio dai capelli verde acqua.

Strinse la mano dell’Ordine, che non si svegliò per parecchi giorni.

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Capitolo 21
*** XXI- Il canto del demone ***


XXI

 

IL CANTO DEL DEMONE

 

 

Quando l’Equilibrio riaprì gli occhi, dopo diversi giorni, si accorse di avere una gran fame. Sapeva che ciò che mangiava diveniva magia, perciò capì di averne bisogno.

Sono ancora in forma di donna…non riesco a cambiare aspetto. Perché?

Vereheveil gli stava accanto.

“Ho fame…” sussurrò all’angelo.

Il Dio delle Letterature gli sorrise, felice di vedere che aveva aperto gli occhi. La donna Equilibrio tentò di mettersi seduta, ma tornò subito a distendersi: le testa le girava terribilmente. L’angelo dalle ali nere gli porse un piccolo panino che l’Ordine mangiucchio lentamente.

“Va meglio?” domandò Vereheveil.

“Mica tanto…ho la nausea e per testa ho una trottola…”.

“É normale. Da troppo non mangi e sei molto debole. Vedrai che presto passerà tutto!”. L’Equilibrio si raggomitolò, distogliendo lo sguardo dagli occhi dorati dell’amico.

 “Perdonami, Vereheveil”.

“Per cosa?”.

“Tu sai perché…”.

“No, non lo so. E non lo voglio sapere! Perciò ora rilassati, dormi e non farti più problemi”. L’Ordine sospirò, triste, e si riaddormentò.

 

 

Vereheveil uscì dalla stanza, per andare a riferire del risveglio dell’Equilibrio.

Dopo una ventina di giorni, la ferita pareva rimarginarsi e la febbre era calata.

“Dice che le gira la testa. E mangia poco. Ha la nausea…” riferì l’angelo a Luciherus, in presenza del medico.

Sembravano entrambi preoccupati.

“Quando tornerà alla sua forma originale? Quando tornerà alla sua vera forma?” domandò il demone a Malaphar.

Il demone guaritore scosse il capo: “Lui, o lei, non ha una forma. Non una principale, perlomeno. È tanto maschio quanto femmina e…”.

“Sì, sì!…” lo interruppe il Principe “…fatelo tornare maschio!”.

“Vedrò che posso fare, Signore”.

Il medico lasciò lo studio del demone ed entrò nella camera dove riposava l’Equilibrio. Luciherus si fece portare da bere e lo offrì anche a Vereheveil, che si mordeva le labbra con  nervosismo. L’angelo accettò, anche se dopo un sorso riappoggiò sul tavolino il bicchiere: già si sentiva ubriaco. Il Principe ridacchiò divertito ma tornò subito serio. Il medico era rientrato e sorrideva.

“Levati quel sorriso idiota dalla faccia, Malaphar, e parla. Riesci a farlo tornare uomo?”.

Il medico stava appoggiato alla porta. Inclinò leggermente la testa e si passò una mano sui capelli mori e corti. Con  occhi color ocra fissò il suo padrone: “Temo, mio Principe, che non possa tornare alla sua forma di maschio ancora per un po’…”.

“Perché?” gracchiò il demone, che fumava con rabbia “Sei così incompetente da non sapere la differenza tra un uomo e una donna? Vuoi che te lo insegni?”.

“Non siate così crudele con me! Semplicemente lei è in stato interessante…se capite ciò che voglio dire…”.

Vereheveil spalancò gli occhi, agitando la mano per scansarsi dalla faccia il fumo delle sigarette di Luciherus.

“Di chi? Di chi è il bambino che…” domandò l’angelo, balbettando.

“Non lo posso sapere!” esclamò il medico, stizzito “Ma la giovane Dea dovrà affrontare una scelta. Non è in grado di guarire del tutto e portare avanti una gravidanza. Deve decidere se tornare comunque a ballare o se avere suo figlio. Deve scegliere al più presto. Fra tre giorni, quando tornerò, voglio avere una risposta. È necessario intervenire quanto prima a…”.

L’angelo si alzò in piedi, con rabbia: “Intervenire? Già pensate al modo migliore di porre fine ad una vita e…”.

“Calmati piccione! Sarà lui a decidere! Sarà l’Equilibrio” tuonò il Principe.

Malaphar abbandonò il palazzo, lasciando Vereheveil e Luciherus da soli.

Il demone si alzò: “Andiamo dalla divinità ferita”.

Il Dio della Letteratura annuì e lo seguì lungo il corridoio che li conduceva alla camera.

“Non è mio, Vereheveil” parlò il demone, senza voltarsi.

“Cosa?”.

“Il bambino. Prima che tu lo pensi…non è mio. Io non posso avere figli”.

 “Non ho pensato, neanche per un attimo, che fosse tuo! Non credo tu sia così pervertito da andare con tuo cugino…ad ogni modo…chissà cosa potrà scegliere…”.

Luciherus rimase in silenzio. Aprì la porta, inondandola con la sua luce rossa.

La Dea era sveglia e guardava fuori: “So cosa scegliere” si limitò a dire, senza incrociare lo sguardo dei due appena entrati nella stanza “Io voglio avere mio figlio”.

“Pensaci…” parlò il grosso demone Principe “…non potrai più ballare perché non riuscirai a guarire del tutto e…”.

“Non ballerei più comunque, sapendo che ho rinunciato alla mia creatura!”.

“Io appoggio la tua decisione…” sussurrò Vereheveil, andando a sedersi accanto all’Equilibrio, tenendo la mano alla creatura che amava “E non mi importa chi sia il padre. Io ti resterò sempre vicino!”.

Luciherus scosse il capo: “L’amore non lo capirò mai…” mugugnò, fra sé e sé.

L’Ordine sospirò: “Andatevene ora. Lasciatemi sola”.

L’angelo e il demone uscirono. Il Dio della Letteratura si diresse in biblioteca, a cercare un modo per aiutare la persona che tanto amava. Il Principe tornò nelle sue stanze, percependo un’ insolita sensazione di malessere. Non l’aveva mai provata prima, e  non capiva cosa fosse.

 

 

I mesi passavano ma la soluzione non si trovava.

Luciherus stava seduto accanto al letto dove si era riassopita la Dea dell’Equilibrio. C’era un gran silenzio, rotto solamente dal ticchettio del pendolo che lei aveva voluto nella stanza. “Per darmi il senso del tempo che passa…”.

Ogni movimento della lancetta dei secondi, faceva fremere le orecchie a punta del demone, che respirò a fondo. Vereheveil se ne andava spesso, vagando per le biblioteche e le librerie dei Mondi alla ricerca di un aiuto. L’Ordine dormiva quasi sempre, la febbre non scendeva e la ferita non guariva. Gemeva, per il dolore e per gli incubi. Il Principe osservava il ventre della Dea.

Perché tuo fratello, signore dei sogni, ti da tanto tormento? Chi porti dentro di te, amica mia? Il figlio di tuo padre? Il tuo stesso fratello? O, forse, mia divina, sei in grado di darmi un figlio mio? Se è così mi dispiace. Mi dispiace di averti fatto questo. Non sai quanto mi dispiace…

Le baciò sulla fronte.

“Lucy! Sei tu!” sussurrò lei.

“Come lo sai?” chiese lui.

“Ti riconosco. Dal profumo”.

 “Di zolfo?” chiese divertito.

“Ma no! Stupido! Hai il profumo del fuoco e della roccia…”.

E che odore è? Si domandò il Principe, perplesso.

“Mentre Vereheveil, il mio dolce Vereheveil, ha il profumo del mare d’inverno. Così freddo ma allo stesso tempo così delicato…”.

Teneva gli occhi azzurri chiusi. I due rimasero in silenzio per un po’ e il demone credette che lei si fosse riaddormentata. Ma poi la Dea parlò, tenendo chiuse le palpebre: “Canta per me, Lucy!”.

 Il Principe inclinò il capo. Io? Cantare?

“Chiamate uno degli angeli. Sono loro che hanno la voce per cantare…”.

“Ma io voglio sentire la tua, stella del mattino. Ti prego!”.

Luciherus ridacchiò: “Prima mi chiedi di ballare e adesso di cantare. Per chi mi hai preso? Per un saltimbanco?” rideva, ma lei girò il capo e lo guardò.

Incrociare quegli occhi azzurri impedirono al demone di opporre resistenza.

“Non so se mi ricordo come sì fa…” sospirò, e chiuse gli occhi.

Iniziò a cantare. Le sue esse sibilanti svanirono e la sua voce tornò ad essere quella dolce di un angelo, anche se molto più profonda.

 

 

Oh, mio Dio, mio Dio, come hai potuto farmi questo?

Farmi soffrire tanto, per un semplice gesto?

Oh, Dei, di crudeltà infinita,

Ditemi se questa, per voi, è vita.

Sapere di portare nel cuore il peso di un altrui sbaglio

che brucia dentro me come il solco di un’ arma da taglio.

 

Sole! Brucia! Brucia questo mio corpo mortale!

Divino, perfetto, incontrastato e senza colpa voglio diventare!

Vento! Vento gelido! Fammi cambiare!

In questo Mondo, così, non posso restare.

Speranza, dolce Speranza, perché mi hai abbandonato?

Perché, tutto ad un tratto, mi hai risvegliato?

 

Perché, su di me, Kaos, c’è la colpa che preme sul tuo cuore?

Perché fai sopportare a me il tuo dolore?

Perché, mio Dio, mi vuoi ancora tormentare?

Quale altro grave peccato ho da espiare?

 

Perché fai ricadere su di me le tue frustrazioni?

Kaos! Tieni per te le tue maledizioni!

Perché io ho scontato la mia pena,

a causa di sei angeli che hanno dannato ogni mia vena.

Adesso basta! Fammi tornare come un tempo!

Senza pesi e senza alcun sentimento!

 

Beato chi può ridere e piangere alla mia età

Beato chi è vivo e presto morirà.

Ti proteggerò, divina, da colui che mi ha dato immortalità,

Da colui che mi ha concesso e promesso felicità.

Ed io sono stato felice, fino agli eccessi,

Ma morirei per te, Dea, se potessi.

 

Possa la Madre mia, un giorno perdonare

Questo suo rinnegato figlio che non vuole più pregare.

Tu che stai tra le anime morte,

Forse ti raggiungerò presto, se sarà la mia sorte.

 

Tu perché continui a battermi in petto?

Solo senza te sarò io il più perfetto.

Il mio aspetto da demone dannato,

Con questa voce da angelo beato!

La mia voce! Da coro cherubino!

Che scherzo crudele e sadico della Dea Destino!

 

Che qualcuno, chiunque, mi presti attenzione.

Che qualcuno, chiunque, mi dia redenzione!

Dèi, senza né cuore né ritegno,

Non pregerò per voi, per te, non ne sei degno!

Kaos! Guarda come hai ridotto la tua perfetta creatura

Kaos! Garda come hai reso la mia vita una tortura!

 

Oh, Dei, di crudeltà infinita,

Ditemi se questa, per voi, è vita.

Oh, mio Dio, mio Dio, come hai potuto farmi questo?

Farmi soffrire tanto per un semplice gesto?

 

 

Le ultime due strofe vennero pronunciate assieme, da lui e da lei. 

“Questa è la cosa più stupida che…”.

“A me è piaciuta, Lucy”.

“Certo…perché stai delirando a causa della febbre!”.

Lei gli sorrise: “Il Kaos fa pesare su di te i suoi sensi di colpa?”.

“Lo ha sempre fatto. Lui fa casino e poi scarica le brutte sensazioni su di me. Così è più libero di seguire la sua natura”.

La sua natura…

La Dea sbadigliò, tornando di nuovo a dormire.

E Luciherus sentì che aveva un gran desiderio di uccidere qualcuno. Chiunque. Purché gli desse la soddisfazione di soffrire terribilmente per lui.

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Capitolo 22
*** XXII- La rabbia dell'angelo ***


 

XXII

 

LA RABBIA DELL’ANGELO

 

 

“Vuoi che ti apra la tenda?” domandò Vereheveil.

Il Dio delle Letterature si era accorto che l’Equilibrio non dormiva più. Non ricevette risposta.

“Può una vita nascere da una creatura morta?” si sentì, bensì, chiedere.

L’angelo nero andò a sedersi sul letto: “Morta? Tu non  sei una creatura morta!”.

“Sì, invece! Ricordo ancora la lancia che mi trapassò il petto e avverto ancora il gelo della lama delle spade degli angeli nel mio ventre. Quante volte la mia vita è ripartita da zero? E la mia è stata una vera rinascita o, in realtà, non sono altro che un’anima in pena in cerca di pace?”.

“Ma che dici! Io sono qui, accanto a te! Come puoi credere di essere soltanto un’illusione? Io posso vederti, toccarti, accarezzarti ed amarti. Sei tu! Sei qui! Dopo tante rinascite, ma sei sempre tu! E presto darai ai Mondi una nuova vita! Ed è una cosa bellissima, Kasday!”.

L’Equilibrio guardò l’angelo: “Ripetilo ancora”.

“Cosa?”.

“Il mio nome. Da tanto nessuno mi chiamava così!”.

“Oh…Kasday!”disse l’angelo, mentre lei si alzava a sedere e lo abbracciava.

“Che bello sentirtelo dire! Che bello! Ripetimelo ancora! Dimmelo solo tu, amore mio!”.

Amore mio?

Vereheveil la abbracciava, ripetendo il nome lentamente.

“Stringimi forte, Vereheveil mio. Fammi scordare il dolore che provo! Aiutami!”.

Lei gemeva e piangeva.

“Perché…” iniziò il Dio delle Letterature, sottovoce “…perché…Luciherus? Perché…tu sei…”.

La Dea non rispose.

“Perché? Credevate che non lo avrei capito? Quando sono entrato qui la prima volta, avevi addosso il suo odore…”.

 “Ti ho chiesto scusa. E comunque…niente mi lega a lui”.

L’angelo si sciolse dal suo abbraccio: “E allora perché? Io sono sempre stato qui. Credevo che tra me e te…invece…non lo so…”.

Vereheveil si accorse che, nonostante fosse il Dio delle Letterature, non trovava le parole per esprimere ciò che provava.

“Non lo so perché. Il suo potere…il mio…perdonami, angelo nero. Hai sofferto tanto per colpa mia e, se tu non vuoi accettare questa cosa, io ti capisco” sospirò lei, con una mano sul ventre e lo sguardo basso.

 L’angelo non rispose. Fece per andarsene.

“Vereheveil…” ricominciò lei, alzando gli occhi “Vereheveil…io…ti ho mai detto che ti amo?”.

 Il Dio delle Letterature si fermò, sulla porta: “Dimmelo solo se lo pensi davvero…”.

“Io ti amo. E tu? Mi ami ancora?”.

L’angelo si voltò. Vide le lacrime sul viso di lei e le tornò accanto.

“Guardami!” le disse, prendendole il volto fra le mani “Guardami e ripetimelo! Dimostrami che è vero!”.

“Io ti amo!” gemette lei, sentendo un'altra fitta alla gamba.

Lui la abbracciò, teneramente.

“Mi perdoni, angelo mio?”.

“Come potrei non farlo? Se ti ho aspettato per delle Ere, ora che sei qui come posso lasciarti andare? E poi…tutti hanno i loro segreti”.

 “Io non voglio sapere niente di ciò che mi nascondi, Vereheveil. Tienimi in questo abbraccio ancora per un po’”.

“Anche per tutta la notte…”.

Ma lei dovette tornare a stendersi.

“Oh, divinità della Vita! Come hai potuto farmi concepire il figlio di mio padre? Sei crudele, senza cuore…”.

L’angelo rimboccò le coperte, dando uno sguardo preoccupato alla gamba ferita.

“Non posso immaginare il dolore che provi. Ammiro il tuo coraggio ad affrontare una cosa simile. Chiunque altro avrebbe rinunciato a portare avanti la piccola vita, tentando di dimenticare!”.

“Tu avresti fatto così?”.

“No, immagino. Ma non sono in grado di rispondere. Non potrebbe mai capitarmi…”

“Sei fortunato. Anche se non è la cosa più giusta da dire…”

“Cerca di dormire. Io ora vado di nuovo a cercare qualche libro con le soluzioni per  te. Vedrai che ne troverò!”.

Lei gli sorrise: “Scusami…” gli sussurrò ancora.

 “Basta scuse. Non ne parliamo più! Ormai è fatta, giusto?”.

Lei annuì, deliziandosi di quanto fosse tremendamente buono colui che aveva di fronte.

“Solo una cosa ti chiedo, Kasday”.

“Dimmi”.

“Non descrivermi mai che cosa hai fatto esattamente. La cosa mi disgusta”.

Lei si accorse di quanto lui ci stesse male. E si sentì ancora più in colpa.

 “Very?” lo chiamò quando era quasi sulla porta.

Lui sorrise: “Non vuoi lasciarmi andare, Kasday?”.

“Non ancora…mi dai un bacio?”.

Lui tornò indietro e le diede un bacio sulla fronte.

“No, no! Very…un bacio vero!”.

Lui la guardava. Si chiedeva da chi altro fossero state baciate quelle labbra.

“E sta volta non ci sarà Luciherus ad interromperci!” affermò poi, quasi con rabbia.

I due si baciarono, a lungo.

Lei teneva le braccia attorno al capo di capelli verdi acqua e lui la stringeva, facendo fondere le loro luci. La loro magia ed i loro pensieri divennero una cosa sola, per quell’attimo d’unione.

Quando le loro labbra si separarono, l’angelo si congedò con un inchino ed un sorriso. E l’Equilibrio tornò ad assopirsi, dimenticando, per un attimo, il dolore che provava.

 

 

Kasday sognava. Sognava lievi onde che cullavano il suo corpo. Dolci acque argentee lambivano la sua pelle ed erano accompagnate da splendide voci angeliche. Si rilassò, sorridendo felice.

Ma poi le voci divennero grida di paura e rantoli di dolore. Iniziò a precipitare, con le membra avvolte da pesanti correnti d’oscurità. Allungò le braccia ed d urlò. La sua mente era tornata alla realtà.

“Tuo fratello ti tormenta mandandoti incubi?”.

Lei si guardò attorno, e vide che a chiederglielo era stato Luciherus. Il grosso demone stava seduto accanto ad un piccolo tavolino, con la coda avvolta attorno alla sedia e lo sguardo pensieroso. Reggeva la testa con una mano e leggeva un libro. Dietro di lui stava, in piedi, Erezehimsay che indicava una pagina del volume con l’indice.

“Mio fratello?” chiese l’Equilibrio, ancora con le immagini dell’incubo davanti agli occhi.

“Sì. Il Dio dei Sogni e delle Paure. Anche a me fa spesso visita la notte con la sua mente turbata e i suoi disegni raccapriccianti” ammise il Principe.

“Fai brutti sogni, demone?” chiese lei.

“Sì. Praticamente sempre. Ma non ti deve importare!”.

 La Dea annuì: “Che cosa leggete?” sussurrò e notando con gioia il suo Messaggero.

 “Vereheveil ha trovato un  libro. Crediamo possa essere d’aiuto per il bambino”.

L’Equilibrio sorrise felice: “Sapevo che avrebbe trovato qualcosa per aiutarmi!”

Si strinse il ventre: “Per aiutarci!” aggiunse.

Il Messaggero e il demone continuavano a leggere.

“Io credo che il Kaos voglia mio figlio…suo figlio…ed io non voglio!” esclamò lei.

Erezehimsay iniziò a parlare: “Lo immaginavamo. E per questo che abbiamo trovato questa formula interessante. Permette di legare la vita di una piccola creatura, fino alla maggiore età, in modo che nessuna divinità possa interferire nella sua esistenza, ad un mortale. Solo con la morte dell’individuo a cui è stato legato, il piccino verrà scoperto. In antichità era usato per proteggere i neonati da Dèi irati ed invadenti. Come nel caso di richieste di scambio…”.

“Scambio?” la Dea sembrava dubbiosa.

“Sì, scambio! Nel caso in cui il Dio richiedesse la vita del figlio in cambio di altro, pena una punizione eterna. Cose così…”.

“Cose raccapriccianti. Non potrei mai fare una cosa del genere!” esclamò, convinta, la divinità dell’Equilibrio.

“Questo perché Voi siete una divinità, si può dire, equilibrata!” rispose il Messaggero.

“Che battuta…” sibilò Luciherus, rimasto incantato nei suoi pensieri, mentre guardava le fiamme del caminetto che ardevano nella stanza.

“Ad ogni modo…” ricominciò a parlare lei “…mi sembra che quella magia possa andare bene per il mio piccolo!”.

 “Sì…ma a chi lo leghiamo? A quale mortale leghiamo la vita del vostro bambino? E deve essere per forza un mortale…non può essere un Dio o un Messaggero!”.

La domanda di Erezehimsay fece piombare il silenzio nella stanza. Lei respirò profondamente, guardando il soffitto. Ricominciò a parlare.

 “Non so nemmeno se nascerà. Una vita…che viene creata da me…che sogno la morte?”.

Luciherus si alzò, srotolando la coda e le diede un piccolo schiaffo.

“Smettila di dire queste stronzate!” la rimproverò, puntandola con il dito indice.

“Tu vivi così, Luciherus…come ci riesci? Come riesci a sopravvivere ricordando la luce? Come convivi con questo pensiero? Non hai paura delle tenebre?”.

La domanda di lei fece arretrare il demone che la guardò con fastidio: “Che dici? Stai ancora delirando? Perché dovrei avere paura delle tenebre? Io sono il Principe! E, come già ti ho detto, sono felice qui!”.

“A me non sembra. E l’ho capito anche dalla tua canzone. Parlava di dolore, sofferenza e senso di colpa”.

Luciherus digrignò i denti. “Piantala!” le urlò “Tutto questo è solo per colpa tua! Il mio Re ha fatto ricadere su di me tutti i suoi sensi di colpa per poter continuare ad agire come se nulla fosse! Ed io ora soffro da morire! Per colpa tua!”.

Il Messaggero afferrò il demone per le spalle: “Che stai dicendo? Sei impazzito? Calmati!”.

Tentava di far sedere il Principe ma senza successo.

“Tu!” continuò ad urlare il padrone di casa,“Tu! Tu e i tuoi casini famigliari! Tu odi tuo padre, e questo è un dato di fatto. Ma io cosa c’entro? Perché mi avete messo in mezzo alle vostre beghe? Tu neanche immagini che cosa sto provando!”.

Kasday lo guardava: “Io non odio mio padre..e mi dispiace…”.

 “Ti dispiace?! Dovrai dire molto più di questo per farmi calmare!”.

Erezehimsay tentò di nuovo di far arretrare il Principe e di farlo stare seduto. “Hai battuto la testa, demone?” gli urlò contro, con rabbia “Vai a farti un giro! Hai bisogno di schiarirti le idee!”.

Luciherus si liberò della sua presa facilmente e sbatté l’angelo in terra, con rabbia.

 “Non mi toccare, creatura piumata! Non osare toccarmi, essere beato, senza incubi, dolore e desideri!”.

“Basta Luciherus! Non prendertela con lui!” esclamò l’Equilibrio.

Vereheveil entrò nella stanza. Il Messaggero si stava rialzando, sistemandosi la veste e le piume. “Che diavolo succede qui?” domandò il Dio, perplesso.

“Niente…” rispose Erezehimsay, passandosi una mano sul labbro spaccato “Niente. Semplicemente, messer Diavolo ha perso tutto il suo autocontrollo!”.

“Non è vero!” ringhiò il demone “Sei tu che mi provochi, piumino piagnucolante!”.

“Ma stai zitto, razza di lampadina rossa!”.

 “Adesso basta!” esclamò Vereheveil, mettendosi fra i due litiganti per separarli.

“Vai ad esaltarti da un'altra parte, pennuto! Anche se sei un Dio, questo non comporta che ti porti rispetto!”.

“Riavvolgi la tua lingua da serpente, cornuto!” sbottò Erezehimsay, in difesa del Dio.

Con uno scatto, il Principe gli fu addosso, sbattendolo contro il muro.

Lo teneva sollevato da terra, stringendolo per il collo, con una mano, e lo terrorizzava mostrandogli i suoi occhi di fuoco e le zanne. L’angelo delle Letterature tentò invano di allentare la stretta degli artigli di Luciherus, ma non ci riuscì: il demone stringeva sempre più la presa.

Kasday alzò la voce: “Mettilo subito giù! Sei ubriaco? Luciherus!”.

Il Messaggero annaspava, in cerca d’aria.

“Mettilo giù!” sbottò Vereheveil, afferrando una sedia, deciso ad usarla come arma, ma tutto fu interrotto dall’urlo di Kasday.

“Cos’hai?” chiese il demone, tornando al suo aspetto più docile e liberando l’angelo.

Erezehimsay cadde in ginocchio e tossì un paio di volte.

“Che ti prende, Equilibrio?”.

“La gamba! Fa male! Malissimo!”.

Vereheveil appoggiò la seggiola in terra e si avvicinò al letto. Tolse le coperte.

“Ha ricominciato a sanguinare…”.

“Io non sanguino! Gli Dèi non hanno sangue!”.

“Cos’è quello allora?” chiese il demone indicando il flusso scintillante che avvolgeva l’arto ferito.  “É magia” rispose il Dio delle Letterature “E non è mai un buon segno quando esce così!”.

“Vado a chiamare il medico!” esclamo Erezehimsay e corse fuori.

Luciherus si sedette in terra, stringendosi la testa.

“Stai male anche tu? Non dirmelo…” chiese l’angelo nero mentre tentava di calmare l’Equilibrio. Ma il Principe non rispose. Kasday lanciò un altro grido e poi perse i sensi. Fu di nuovo tutto buio.

 

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Capitolo 23
*** XXIII- Il figlio del peccato ***


XXIII

 

FIGLIO DEL PECCATO

 

 

Avvolta dal buio, la divinità precipitava verso il basso. Avvertiva la presenza del Kaos. Cadeva, ad occhi spalancati, allungando le braccia in cerca di aiuto, e tentava di uscire da quell’incubo ma senza successo. La lancia degli Hainuet avanzava nell’oscurità e non poteva schivarla. Trafisse il suo ventre e la nebbia la avvolse. La Dea Equilibrio urlò, imprigionata in quel sogno.

“Io sono il figlio del tuo peccato!” parlò una voce dalle tenebre.

“Io non ho commesso nessun peccato!” gridò di rimando.

L’ombra nera si alzò nel cielo. Il dolore aumentò e riuscì a riprendere i sensi. Vide migliaia di luci che circondavano il suo corpo. La magia se ne stava andando, gradatamente ed inesorabilmente.

Il mio piccolo? No, non può. È troppo presto!

 Una violenta contrazione la fece tornare del tutto alla realtà. Inarcò la schiena ed urlò di nuovo.

“Oh, Dèi! Morirà!” gemette Vereheveil “Perché la magia la lascia così in fretta?”.

Il Dio della Letteratura strinse la mano di lei, tentando di trattenere la forza nel corpo della Dea. Luciherus sbraitò il nome del demone guaritore, ruotando il capo verso la finestra e notò che sulle due torri si era illuminato il simbolo del Kaos.

“Lui è qui” sibilò il demone.

“Chi?” chiesero gli angeli, Erezehimsay e Vereheveil, in coro.

“Non preoccupatevi! Ci penso io! Fate ciò che dovete!” rassicurò il principe ed uscì dalla camera, diretto alla sala dei ricevimenti dove sapeva che, ad attenderlo, c’era il Kaos.

 

 

Corse lungo il corridoio, quasi inciampando, e piombò nella stanza più grande che aveva nel suo palazzo. Se combatterti significa perdere l’immortalità e morire…ebbene…così sia! Si disse nella testa ed alzò lo sguardo, incrociando quelli del Dio, con sfida.

Il Kaos stava seduto, sorridendo e sorseggiando caffè.

“Ne vuoi un po’, amico mio?” domandò la divinità con la sua solita voce raschiante.

Ma poi, guardando meglio il demone, riconsiderò la sua offerta.

 “No, meglio di no. Ti vedo già abbastanza nervoso. Che c’è, Satanahel, piccolo mio?”.

Il demone distolse lo sguardo: “Niente”, rispose tranquillo.

Il Kaos ridacchiò: “Sei bravo a mentire, Saty, ma non abbastanza. Non con  me, per lo meno. Io so che lei è qui”.

“Lei?”.

“Sì. Lei. Mia figlia”.

Luciherus si morse il labbro: “Pensate che ve lo nasconda?” domandò, calcando il tono sul fatto che, per lui, si stava parlando di un maschio.

“Io sono sicuro che tu me la nascondi! Nascondi l’Equilibrio!”.

Il Principe rimase calmo: “Non so di che cosa parlate…”.

Il Dio alzò una mano verso il soffitto: “Guarda!” ordinò al demone.

Fra il Re e l’Arcangelo caduto, si formò un’ immagine, una sorte di rappresentazione olografica.

Un angelo, bellissimo, e dalla forte luce, teneva la testa bassa e le mani legate. Piangeva.

“Guarda, nemico degli angeli! Ecco come saresti se ti avessi lasciato in quel Mondo! Ti avrebbero sfigurato e umiliato, incatenato e ignorato. Ora invece, grazie a me, sei libero!”. Il Dio si alzò dall’alto trono su cui stava seduto, alzando la voce: “Io ti ho reso padrone di questo Mondo! Sei divenuto Principe! Ti ho donato l’immortalità! E tu mi ringrazi in questo modo?! Ricambi i miei doni, con le menzogne?!”.

“No…” si affrettò a dire Luciherus.

“Ah no?!” tuonò il Dio.

Con un solo movimento dell’indice, scaraventò il demone contro la parete nera e gelida del salone. Flettendo il dito, lo tenne sospeso a mezz’aria, a braccia aperte. Il Principe, così grosso e potente accanto a chiunque altro, pareva minuscolo e impotente.

“Io ti ho donato la vita eterna!” ricominciò il Kaos“Io ti ho donato la possibilità di attraversare le Ere! Ma posso toglierti questa occasione in un attimo! E se fai il tifo per L’Equilibrio, ti dico subito che se io muoio, muori anche tu! Tu vuoi morire?”.

“No!” ammise il demone, tentando di liberarsi dalla morsa della divinità, che lo teneva a gambe ritte e a braccia parallele al pavimento.

Crocefisso?!

“No! Bravo! E allora perché, piccolo e patetico essere, cerchi di nascondermi la verità?”.

Il Dio si stava avvicinando al Principe, con la mano tesa e l’indice puntato.

“Perché lui…” iniziò a giustificarsi il demone, ma il Kaos lo interruppe.

“Lei! Mi piace pensare che sia totalmente una donna!”.

“Ma non lo è…” sussurrò Luciherus.

Il Dio del Disordine gli stava di fronte, serrando la sua mano nera e affilata attorno al collo del diavolo. I due si guardarono negli occhi. E il Kaos gli parlò nelle orecchie, piano: “Però quando l’hai stretta a te non hai fatto tanto il fiscale, mio caro Satanahel! Non hai dato tanto peso ai dettagli!”.

Il Principe distolse lo sguardo.

“Cos’hai provato?” ricominciò il Kaos “Dimmi, cos’hai provato entrando in una Dea? Com’era danzare su un ventre divino? Cambieresti qualcosa, se avessi la possibilità di tornare indietro nel tempo? Certo che  no! É stato molto meglio con lei che con qualunque altra femmina, vero?”. Luciherus non poteva negare. Ma non voleva sentirlo parlare.

“Smettetela…” supplicò lentamente.

“Quando l’hai avuta davanti, così bella e così eccitante, non hai avuto di sicuro alcun senso di colpa! Eppure…potevi capire chi avevi in fronte a te! Bastava che la guardassi negli occhi! Ma tu avevi ben altro da guardare! E non lo negare! Dillo! Dillo che ti è piaciuto da matti! Dillo che è stata la scopata più eccitante della tua vita!!”.

“E a Voi è piaciuto stuprare vostra figlia?” ringhiò Luciherus, senza riuscire a controllare oltre la sua rabbia“Animale perverso! Vi è piaciuto? Fate così anche con la vostra terzogenita, la Dea delle Armi? Poverino, con Vostro figlio maggiore non potete fare la stessa cosa! E quindi, giusto per fare qualcosa, gli avete tolto la voce! Solo perché chiedeva del suo fratellino! Non vi fate schifo?”.

 Il Kaos si mise a ridere, divertito: “E tu? Ti soffermi mai sulle tue azioni?”.

“Io non mi fotterei mai mia figlia!”.

“Certo! È ovvio! Non puoi averne!”.

Luciherus avvertì una fitta al petto a quelle parole: “Bastardo!” mugugnò.

Il Kaos gli prese il viso tra le mani: “Io e te, Saty, siamo uguali! E se ti fossi scopato tua figlia, di sicuro ti capirei! Specie se avessi una figlia bella come la mia!”.

Accarezzò i capelli del demone, che però ritrasse il viso con decisione, turbato dai discorsi della divinità.

“Non avere paura di me! Satanahel! Io seguo la mia natura! Dovresti fare anche tu lo stesso!”.

Il demone lo guardava, serio: “Se siete così in pace con Voi stesso, Kaos, allora perché trasmettete a me il vostro senso di colpa?”.

Il Dio non rispose. Si accigliò leggermente: “Perché difendi l’Equilibrio?”.

“Perché lui è mio amico! E Voi non l’avrete!” ringhiò il Principe.

Il Dio si fece più grosso, fino quasi a sfiorare il soffitto. Con i capelli avvolse Luciherus, immobilizzandolo.

“Credi di potermi battere, vermiciattolo? Arcangelo negato?”.

Aprì il palmo della mano e sollevò il demone, trascinandolo fino a davanti al portone.

“Mio schiavo! Che credi di fare?”.

Con una lieve flessione delle dita, fiondò il Principe fuori dalla porta. Luciherus arrancò, sputando sangue. I diavoli soldato, che stavano fuori dalla stanza, estrassero le spade, pronti a difendere il loro capo.

Ma il padrone di casa ordinò loro di fermarsi: “É una cosa che devo risolvere io! Voi pensate a proteggere l’Equilibrio! È un ordine, e non voglio assolutamente sentire obiezioni!”.

Asmodai annuì, con un cenno deciso da militare. Impartì i comandi ai soldati, che si affrettarono lungo il corridoio, diretti verso la stanza dove stava l’Ordine.

Il Kaos avanzò deciso verso il Principe, che nel frattempo si era rialzato.

 “Non sfidarmi, demone!” minacciò il Dio “Abbassa la testa, creatura insignificante!”.

“Mai!” ringhiò Luciherus, sfidando la divinità con lo sguardo.

 Il Dio e il demone si lanciarono, l’uno contro l’altro, affondandosi gli artigli nella carne.

 

 

Kasday sentiva le forze che, lentamente, la abbandonavano. Le fitte dolorose attraversavano ogni suo muscolo, dalla testa fino alla punta dei piedi. Stravolta, nonostante il veleno e la febbre, si sforzava di rimanere sveglia. Non doveva perdere i sensi! Vereheveil continuava a mormoragli di non addormentarsi.

“Tieni gli occhi aperti! Non svenire! Parlami! Canta per me!”.

E l’Equilibrio iniziò a cantare: “Vid him jai turas oh mohor?” (Sei disposto a morire per noi o no?). La sua voce, da donna, si storpiava in strilli acuti ad ogni morsa che doveva sopportare.

“Frahai hi! Ghihitmi hi!” (Noi credenti! Noi mortali!).

Cominciò a piangere calde lacrime turchese.

Il Dio delle Letterature cercava di far cambiare motivo a Kasday ma lei ricominciava, una volta arrivata alla fine.

“Non cantare questo! La canzone degli Dèi! No…ce ne sono tante…recitiamo assieme qualche altra cosa…”.

Nessun risultato. La nenia si ripeteva, incessantemente, tra i gemiti.

“Madre! Madre mia!” iniziò ad urlare lei.

A quale Madre si riferisce? Si chiese l’angelo. A quella divina? A quella mortale? A quella demonica? O a quella senza magia? O forse è lei…la Madre fra gli Alti.

In quel momento la porta della camera si sfondò.

 

 

Luciherus, scaraventato dentro, si schiantò contro una finestra, frantumandola. Il demone si ancorò, con gli artigli che portava sulla cima delle ali, per non cadere di sotto, e rientrò nella stanza. Le persone attorno al letto rabbrividirono.

“Chi ti ha ridotto così?” domandò il Messaggero.

 Il Principe era ferito in più punti ,ma continuava a brillare d’orgoglio. Agitando la coda, fece segno all’angelo d’argento di non aprire la bocca. Con un lunghissimo, straziante, grido, Kasday interruppe il silenzio che si era formato. Poi non si udì più nessun suono.

Luciherus passò la lingua su una delle ferite che il Kaos gli aveva aperto sul braccio, fece una smorfia per il bruciore e rizzò le orecchie: nell’aria si udì il pianto di un neonato. Il demone si pulì l’angolo della bocca dal sangue e guardò la nuova creatura. Sorrise, con occhi brillanti.

“Una bambina!” sussurrò Vereheveil, avvolgendola in una copertina.

Il Dio della Letteratura iniziò a pronunciare la formula per proteggerla.

La bimba aveva gli occhi azzurri di Kasday. Agitò una manina. I capelli, fumosi e agitati, e la pelle color ebano, la facevano facilmente identificare come la figlia del Kaos.

Ma aveva un altro tratto, unico. Una bellissima particolarità: brillava della luce rossa di Luciherus. “Sbrigati, Vereheveil! Lui sarà qui a momenti!” affermò il Principe.

Tornò a passare la lingua su una delle ferite e sibilò dal dolore. Continuava a tenere lo sguardo fisso verso la porta: il Kaos era entrato.

“E così…tu non mi nascondevi mia figlia…” iniziò il Dio del Disordine.

“Io non avrei mai potuto consegnartelo…”.

Il Kaos avanzava verso il Principe, che ringhiava sommessamente, ansimando.

“No! Tu trovi solo gusto nel nascondermi la cose! Ma io conosco un sistema…per fare in modo che tu non lo possa più fare!”.

Il demone sembrava per niente turbato dalla minaccia della divinità.

Vereheveil aveva terminato la sua formula: la bambina ora era al sicuro.

Luciherus guardò Kasday: “Non preoccuparti!” la rassicurò “Non  ti farà del male. E non farà del male a lei!”.

“Io posso vivere con o senza di te, Satanahel!” sibilò il Kaos.

“E allora, stronzo, trovatene un altro come me! Magari più forte e più stupido, così da manovrarlo meglio!”.

Il Dio color della nebbia sollevò il Principe con un dito, avvolgendolo con la magia. Lo tenne sospeso a mezz’aria, contro il muro. Nel frattempo, scoprì la mano dalle lunghe dita appuntite e taglienti e gliela piantò nel petto,

“No!” urlò l’Equilibrio.

Un fiotto di sangue nero uscì dalla bocca del demone e dalla ferita aperta. Il Kaos, continuando a tenere il demone sollevato, con una rapida mossa del braccio, strappò il cuore dell’ex Arcangelo dalla luce rossa. Kasday lo guardava, piangendo, ma il Principe sorrideva. Il Dio del Disordine lasciò andare l’angelo caduto e si avvicinò alla figlia. Una potente scossa magica lo allontanò dalla bambina appena nata: l’incantesimo di Vereheveil funzionava!

L’Equilibrio gli urlò contro: “Bastardo! Figlio di nessuno! Eri il suo Dio! Maledetto!”.

Il Kaos ghignò: “Shhhh!” sibilò.

Appoggiando una mano sulla fronte della Dea, le fece perdere i sensi.

“Non ti lascerò di certo uscire da qui!” sbraitò Vereheveil, fiondandosi contro il Kaos che, però, lo ricacciò indietro con un dito. Nessuno poté impedirlo, neppure le guardie che erano accorse numerose.

Il Disordine prese in braccio l’Ordine: “Non posso ucciderla, se ti fa piacere saperlo. Gli Alti me lo impediscono. Ma ci sono cose peggiori della morte!” scomparve, avvolto dalla nebbia.

Vereheveil lanciò un grido, di rabbia e di disperazione, non sapendo che altro fare.

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Capitolo 24
*** XIV- Prigionia e risveglio ***


XXIV

 

PRIGIONIA E RISVEGLIO

 

 

“Apri gli occhi, Equilibrio!”.

Una voce dolce, angelica, tentava di risvegliare il Dio addormentato. Gli occhi azzurri del Dio dell’Ordine si aprirono, lentamente. Era riuscito a riacquistare le sembianze che aveva scelto alla fonte magica. Come si sentiva stanco…ma si sforzò di non riaddormentarsi.

 Che splendido angelo che aveva di fronte! Sembrava giovane. I ciuffi di capelli biondo scuro gli incorniciavano il viso ed i suoi grandi occhi grigi lo scrutavano, con apprensione.

Era uno degli angeli più belli…

“Luciherus!” bisbigliò l’Equilibrio.

“Non paragonarmi a lui!” sbottò l’angelo, passandogli un pezzo di stoffa umida sulla fronte, per farlo svegliare del tutto “Io non sono come lui. Fratello Lucy è molto più coraggioso e determinato di me. Prende le sue scelte e poi và per la sua strada. Io non sarei mai in grado di farlo…”.

Pareva triste.

Fratello Lucy? Sei dunque uno degli Arcangeli…

La creatura alata lo stava curando. Appoggiandogli due dita sulla fronte gli stava trasmettendo, oltre che a cure fisiche, calore e conforto.

 “Mi dispiace per la gamba. Non posso fare nulla di più. Sono arrivato tardi. Ma la febbre è scesa e il veleno è sparito!”.

“Grazie a te?” domandò il Dio, con un sorriso.

“Yai!” esclamò l’Arcangelo, con gioia.

“E tu…sei…”.

“Mi offendo, se non ti ricordi di me!”.

I due si guardarono con attenzione.

“Rahahel! Tu sei l’Arcangelo Rahahel!”.

Il giovane biondo sorrise con più convinzione: “Bravo! Bravo! E tu, una volta, eri Kasday. Che carino! E che belle ali che ti stanno crescendo sulla schiena! Peccato per le corna…”.

“Corna?”.

L’Equilibrio si passò una mano sulla fronte e le sentì, piccole e appuntite.

L’Arcangelo gli bloccò la mano: “Sono ancora tenere e delicate. Non le toccare”.

“Anche il precedente Dio dell’Ordine aveva le ali e le corna…”.

“Ovvio. L’Equilibrio deve avere qualcosa in comune con ogni cosa e…”.

“Dev’essere tutto…e niente!” lo interruppe il Dio, chinando il capo.

Rahahel lo guardava, inclinando il capo: “Io trovo bello il tuo nuovo stato. Mi piaci così. Ed è così che devi essere!”.

La divinità non gli rispose. L’Arcangelo si alzò, allontanandosi da lui: “Vorrei restare qui ancora per un po’. Ma non mi è concesso”.

“Dove sono?” chiese l’Ordine, riprendendo lentamente lucidità.

“In un bruttissimo posto. Con  pessima compagnia. Mi dispiace…”.

Il Dio si guardò attorno. Si trovava in un luogo angusto, buio, con pareti in pietra, forse un’antica torre o una prigione. Non aveva arredamento o finestre, era vuota, spoglia e fredda.

La porta, di legno massicciò, si aprì cigolando e, dall’odore di nebbia, l’Equilibrio capì che stava entrando il Kaos. Rimase seduto a terra, con la schiena e le ali contro il muro. Il Dio del Disordine afferrò il viso di Rahahel, che stava per uscire dalla stanza: “Sta bene ora, piccione?” domandò con la sua voce tenebrosa.

“Io sono un angelo, messere, e, comunque, sì. Sta bene. Ad eccezione della gamba che…”.

Il Kaos lo interruppe: “Non mi importa. Basta che riesca a stare cosciente. A quanto vedo non sei più solamente una donna…”.

Spinse l’Arcangelo lontano che, però, protestò.

“Spero di averVi accontentato, Kaos. Avevamo un patto”.

Che patto? Come si può fare un patto con un essere del genere? Rahahel…che combini?

Il Dio nero non rispose, ma fece un cenno con la mano, chiudendo la porta. L’Arcangelo, rimasto fuori, sospirò. Sussurrò delle parole per augurare buona fortuna all’ex Serafino e volò via. L’Equilibrio guardò il Kaos. Si sentiva debole e afflitto: “Cosa vuoi farmi?” domandò ed il padre non gli rispose. Prese il figlio per i capelli ed iniziò a trascinarlo lungo i corridoi, stretti e bui. Illuminato solo da delle piccole candele, l’Ordine non riusciva a capire dove stesse andando e si dibatteva per liberarsi, anche se era inutile. Era come un pesce all’amo: senza via di scampo. Le scale che scese, parvero non finire mai. Alla fine di un lunghissimo percorso tortuoso, il Disordine sganciò una grossa chiave, ormai ruggine, da un anello appeso alla parete.

La girò in una serratura scricchiolante, che aprì una porta molto pesante. Scaraventò dentro il figlio, che batté la testa violentemente e perse di nuovo i sensi, avvolto da un alone di magia.

Quando rinvenne, cercò di muoversi ma non ci riuscì perché grosse catene lo tenevano ancorato al pavimento. Le braccia erano legate dietro la schiena, con ganci in ferro mentre le ali erano serrate con un nastro. Il piede ferito era libero. Piegò le ginocchia. L’altra gamba era ancorata alla parete con cinghie lucide, nuove. A terra notò i suoi capelli neri: gli erano stati tagliati.

Il Kaos lo guardava, a gambe piegate: “Non potrai mai più uscire da qui, Equilibrio! A guardia di questo posto ci sono delle statue in pietra che obbediscono solamente ai miei ordini. Solo la morte può ucciderle. Peccato che non  ti possa aiutare! Anche lei è al mio servizio!”.

Si alzò, allontanandosi dall’Ordine. Uscì, serrando la porta, e l’Equilibrio rimase da solo, al buio, al freddo. Nell’umido di quella stanzetta, senza finestre, chinò il capo. Senza speranza.

Le ali erano doloranti. Dovevano crescere e non potevano, così legate.

Ho le ali…ho di nuovo le ali. Luciherus dovrà di nuovo insegnarmi a volare…già…se  solo potesse…

Incominciò a piangere, chiudendo gli occhi. Una volta che si fu calmato, dopo aver pensato a tutte le persone che amava, respirò a fondo. Alzò gli occhi al cielo, annullando il loro bianco e la loro pupilla. Lasciò che subentrasse l’oblio nelle sue membra. Solo così poteva sopravvivere.

La magia lo avvolse e cadde in un sonno eterno, costellato da dolore e incubi.

 

 

Passò il tempo. Fu risvegliato una notte da un rumore assordante, così potente che fece tremare le pareti e lo fece uscire dal torpore.

Quanto tempo è passato? E che cosa è successo?

I capelli non erano cambiati. Non erano ricresciuti.

Probabilmente non ne è trascorso così tanto di tempo da quando…o forse sì…

Una crepa sul muro fece filtrare uno spiraglio di luce argentea da un satellite, così il Dio poté vedere che tutte le catene con cui era legato erano arrugginite e logore. Girò la testa per evitare il raggio luminoso, il primo della sua prigionia. Il muro alle sue spalle crollò, facendolo ricadere al centro della saletta. Contrasse le pupille per difendersi dalla luce fortissima che entrava e si coprì il volto. Solo più tardi si accorse che, in realtà, quello che gli sembrava un bagliore accecante non era altro che il pallido riflesso dei satelliti del Mondo. Chiuse gli occhi, per qualche secondo e, quando li riaprì, vide a terra due colori diversi di luminescenza. L’argentea, che lo aveva accecato, e una nuova colorazione rossa.

“Luciherus…” si affannò a dire. La voce raschiava, come non usata da anni.

“No” si sentì dire.

Alzò lo sguardo. Una donna. Bellissima, con il volto coperto dal collare del mantello, reggeva un’altissima falce. Al suo fianco c’erano altre figure, che apparvero come ombre nel bagliore. L’Equilibrio vedeva ogni cosa come  priva di contorni, avvolta dal bianco.

“Non sono Luciherus…” ricominciò a parlare la figura avvolta dalla luce rossa. Chi sei? Sembrava giovane. I tuoi occhi…vieni più vicino…

“Io sono Luciheday, Lucina per gli amici”.

Luciheday? Luciherus più Kasday! I tuoi occhi…sono come i miei. Figlia mia? O sei solo frutto della mia mente addormentata e derisa dalle fantasie di mio fratello? E come sei entrata qui, se sei reale? Solo la Morte può sconfiggerle…

“Sei, tu, la Morte? Sei venuta a prendermi?”.

Una risatina precedette la risposta: “Sì, è vero, sono la Morte. E sì, sono venuta a prenderti. Ma per riportarti a casa!”.

Con un rapido movimento della falce, la ragazza ruppe le catene che imprigionavano l’Ordine.

Quanto vorrei riuscire a vedere il tuo viso! Ma il Dio non ci riusciva, quasi accecato. Scorgeva solo l’immensa luce rossa ed il bagliore di un bel paio d’occhi azzurri.

Una delle altre due figure, rimaste indietro, si avvicinò all’Equilibrio. “Signore!” esclamò, con voce colma di entusiasmo.

“Erezehimsay! La tua voce la riconosco! Non riesco a vederti chiaramente, ma so che sei tu! Mio Messaggero!”.

L’angelo dalle ali d’argento si inginocchiò davanti al suo padrone e lo abbracciò.

“Perdonate se non sono giunto qui prima! Ma ci serviva la Morte per poter entrare! E non preoccupatevi se ora non riuscite ad abituarVi alla luce…è normale dopo tanto tempo nell’oscurità totale!”.

Tentò di fare alzare la divinità ,ma l’Ordine ricadde subito. La gamba ferita non lo resse ed una fitta lo attraversò. La terza figura si decise ad avanzare. Porse al Dio sofferente un bastone, in oro, con motivi gotici dipinti in blu: il bastone che l’antico Equilibrio aveva la prima volta in cui maestro e allievo si erano incontrati.

“L’Equilibrio tuo predecessore aveva il tuo stesso problema” affermò l’ombra, con voce profonda. Kasday si alzò, lentamente, sorretto dal sostegno che gli era stato dato.

“Lo so. Me lo ricordo. Tu sei…un demone? Vedo il contorno delle tue ali…”.

“Sì, io sono un demone. Sono l’unico Messaggero con le ali senza le piume. Io sono Agares”.

Il Dio ricadde in terra: “Agares?! Il mio bambino?!”.

Non sei più un bambino. Sei un uomo!

Infatti, il demone che aveva davanti presentava l’aspetto di un giovane che portava l’età in cui ormai l’adolescenza è trascorsa. Da poco, ma è trascorsa. Era un uomo, o forse di più. I Messaggeri avevano una vita lunga ed invecchiavano lentamente. I capelli blu, a riflessi dorati, erano mossi ed agitati e gli occhi avevano lo stesso colore di quelli della madre: nerissimi e lucenti. Le corna, che l’Equilibrio ricordava piccole ed a malapena visibili, erano grosse ed arricciate, come quelle di un ariete. Portava una veste vermiglia sorretta, sulla spalla, da una fibula verde cupo.

Non portava da nessuna parte il simbolo della divinità che serviva.

Dev’essere uno dei Messaggeri degli Alti.

“So che non ti piace farti abbracciare…” iniziò il Dio, ancora seduto sul pavimento in pietra.

“Per questa volta passi…papà!” lo interruppe il demone, inginocchiandosi.

Il figlio sollevò il padre, con facilità.

“Quanto tempo è passato? Quanti anni hai ora, mia creatura?” domandò il padre.

Avendolo così vicino, notò che portava la barba. Un piccolo pizzetto intonato con  i capelli.

“Non ha importanza. Ora sono un Messaggero degli Alti e non invecchio. Perciò non conta se sono passate ore…o Ere!”.

“É bellissimo rivederti!”.

 La divinità cominciava ad abituarsi alla luce ed a vedere meglio. Concentrò l’attenzione sulla donna. Aveva un aspetto più giovane, rispetto al demone. Forse aveva passato da poco l’adolescenza. La giovane fece un piccolo inchino, presentandosi: “Io sono la Dea della Morte. Lo sono diventata da poco, qualche stagione. La divinità che svolgeva prima di me questo compito, ha rinunciato al suo ruolo ed è tornata dagli Alti. È un piacere conoscerti. Sono tua figlia…credo. Papà Luciherus non è stato molto chiaro! Fa sempre una gran confusione e cerca ogni volta di cambiare argomento!”.

“Papà Luciherus? È, dunque, vivo? Lucy è vivo?”.

La ragazza lo guardò, perplessa: “Certo. Dovrebbe essere morto?”.

“Sì. Lui è vivo” rispose Erezehimsay “Il Kaos ha rotto e ricostruito il suo giocattolino con facilità. Anche grazie all’aiuto di Rahahel, che ha ricevuto il permesso, del tutto eccezionale, di entrare nel Pianeta del Principe con la presenza del Kaos”.

È stato questo il patto che hai fatto con il Kaos, Arcangelo guaritore? Obbedire al Kaos, chissà in quali altri modi oltre che ad aiutare me, in cambio della salvezza del fratello Luciherus? Rahahel…rinunciare alla protezione della Dea del Destino per salvare un Arcangelo caduto! Quale coraggio…e quale grande cuore…

L’Equilibrio si rincuorò sapendo che il Principe stava bene. Un peso in meno sulla coscienza e un sollievo al cuore, se ce l’avesse. In realtà non era sicuro che quello che pulsava dentro di sé fosse un cuore. Non aveva sangue ma magia…forse era qualcosa di diverso che la faceva circolare.

Guardò la sua bambina. La mia bambina? Quel fagottino piangente che ho abbandonato quando sono stato trascinato qui? Sei già così grande? È passato davvero tanto tempo…ed io non vi ho visti crescere. I miei figli sono adulti ormai…mi sono perso la vostra infanzia.

Sospirò, malinconico. Abituato ormai alla luce, vide come la ragazza presentasse i tratti del Kaos.

I suoi capelli erano di nebbia e la pelle color ebano, mentre occhi azzurri spiccavano sul nero del  viso.

Sei perciò figlia di mio padre, sorella mia.

Brillava di una potente luce rossa.

Ma sei anche figlia di Luciherus, mia creatura!

Lei portava un abito lucido, forse pelle, che le stava aderente, e si poteva muovere agilmente e con facilità grazie a quell’indumento. Al collo aveva una collana con piccole pietre preziose.

Il Dio stava in piedi, sorretto da Erezehimsay, che sorrideva sinceramente. Mai lo aveva visto così felice.

“La formula di protezione di Vereheveil ha funzionato” parlò il Messaggero “Lei è stata al sicuro fino a quando non è diventata una Dea. Ed ora non può più farle del male, perché gli Alti la stanno aiutando”.

L’Equilibrio sospirò, felice. Scosse le ali dalla polvere caduta dal soffitto e mosse alcuni passi, sempre aiutato dal suo Messaggero.

“Ora andiamocene da qui. Non voglio incrociare lo sguardo del Kaos! Non oggi perlomeno!” sibilò l’Equilibrio.

Erezehimsay aprì il portale e tese una mano verso il suo padrone. Facendo alcuni passi verso l’esterno, il Dio poté notare che poteva di nuovo percepire la magia trasmessa da chi credeva in lui. Probabilmente le spesse pareti in roccia della sua prigione erano state create in modo da bloccare ogni influsso magico. Saltò nel portale, guidato da Erezehimsay. Li seguì la Dea della Morte, con la sua falce e la coda frustante, e per ultimo venne Agares, sbattendo le enormi ali nere. Richiuse il portale dietro di se e tutti e quattro giunsero a destinazione.

 

 

Atterrarono in uno dei Mondi senza magia. Il loro obbiettivo era la fonte magica, dove il Dio venne immerso, delicatamente. Nella penombra della grotta dove si trovava la sorgente, l’Equilibrio si sentì subito meglio. Il torpore stava iniziando ad abbandonarlo e la magia dei Mondi di nuovo a scorrere in lui.

“La gente ti ama..i tempi sono cambiati!” comunicò Erezehimsay alla divinità.

Agares teneva le ali spalancate, pronto a ripartire.

“Noi andiamo. Comunichiamo ai popoli ed ai Pianeti che sei libero!”.

I tre ripartirono: Erezehimsay si inoltrò nei vari Mondi delle creature senza magia, Luciheday tornò a casa da suo padre e si concentrò sui Pianeti dei demoni ed infine Agares volò verso i Regni degli Angeli. Essendo un Messaggero, era libero di andarci, senza che il suo evidente stato di demone creasse problemi.

Il Dio dell’Ordine si immerse ad occhi chiusi. In tutti i Pianeti si stava ballando, cantando e suonando in suo onore, invocando Pace e armonia. Lo avvertiva chiaramente e si sentiva sempre più forte. Aprì gli occhi, rivolgendoli al cielo, capendo finalmente quel che doveva fare, e fece un patto con gli Alti.

 

 

Fu felice che lo avessero portato in quel luogo: gli era più facile immagazzinare energia e magia. Richiuse le palpebre, rilassandosi e riposando.

“Kasday!”.

Riaprì gli occhi: “Vereheveil!”.

Il Dio delle Letterature appoggiò in terra un fagotto che teneva in braccio e si gettò nel lago.

“Ti prometto, amore ed amico mio, che ora più nessuno ci separerà!” urlò l’angelo dalle ali nere. “Ma adesso non provare a venire nell’acqua più profonda con quelle ali!” gli gridò, di rimando il Dio dell’Equilibrio, che teneva le piccole ali blu fuori dal laghetto per non bagnarle ed appesantirle. Vereheveil non ci aveva neanche pensato. La metà delle sue piume, bagnate, iniziarono a pesargli terribilmente e dovette fermarsi. Protese le braccia verso l’amico, che nuotò verso di lui.

Si abbracciarono.

“I tuoi capelli…sono così corti…”.

“Stanno ricrescendo in fretta! Sta tranquillo!”.

Insieme si sedettero sul ciglio del lago, con i piedi a mollo.

“Non sei cambiato, Vereheveil”.

Il Dio delle Letterature aveva truccato gli occhi e legato i capelli. Il suo lungo soprabito bianco, a decori in oro, era aperto. Sotto di esso la divinità indossava dei pantaloni larghi, anch’essi decorati, sorretti da un ampia cintura con su incastonata una pietra: un lapislazzulo: “Mi ricordava il colore dei suoi occhi…”.

Il suo petto era scoperto, lasciando in mostra i tatuaggi con tutti i sistemi di scrittura dei Mondi. Simboli, lettere, note e segni vari, in nero e blu. Era scalzo e scalciava nell’acqua. L’Equilibrio allungò la mano verso il fagotto che gli aveva portato: erano degli abiti, riccamente decorati.

Quanto ci ha lavorato la persona che ha realizzato questi ricami? Si chiese.

Poi ricordò che colui che aveva di fronte era amico della Tessitrice, la Dea del Destino. Lo capì anche dal fatto che non era stato punito in seguito al tranello in cui avevano fatto cadere la Dea per distruggere la tela. Gli sembrava passata un’eternità..e forse era proprio così. Evidentemente era stata lei a realizzare i vestiti di entrambi, poiché anche ciò che indossava Vereheveil aveva ricami molto complicati. Fece passare le piccole ali in due fessure fatte appositamente nella sua nuova veste.

“Come sapevi che avrei avuto le ali? Erano così insignificanti e in procinto di cadere l’ultima volta che ci siamo visti…”.

Il Dio delle Letterature sorrise: “Io ti ho sognato. Eri bellissimo, con capelli neri fino alle spalle e due enormi ali blu. Eri tutt’uno con il tuo pianeta. Eri un creatore. È stato un sogno fantastico. Impugnavi una spada”.

“La spada dei Denian?”.

“No. più stretta. La Spada dell’Equilibrio!”.

 L’Equilibrio non ha la spada…

Si passò una mano sulle piccole ali che lentamente crescevano, alimentate dal sole che splendeva sulla sua schiena.

“Scusa se sono così scoperto…ma il Pianeta ha cambiato orbita e fa sempre più caldo…”.

“A me non dispiace” rispose Kasday, sistemando la veste.

Era blu scuro con ricami vermigli. La legò in vita con una cintura con gli stessi motivi e tornò ad accoccolarsi accanto al Dio delle Letterature.

“Cos’è successo agli altri?” domandò.

Vereheveil lo guardò un attimo e poi iniziò a raccontare: “Sono cambiate alcune cose. Ma non  tante come puoi pensare. Samhian ed Eleniel hanno avuto un figlio, che ora è il Dio della Vita…”.

“Il Dio della Vita?!”.

“Sì. Colei che svolgeva prima quel ruolo si è stancata, specie dopo che era stata costretta a farti concepire il figlio del Kaos. Ha rinunciato al suo stato divino e se ne è andata. Non è morta, ma nessuno ha idea di dove sia sparita”.

Kasday annuì, incitando l’amico a continuare.

“Luciherus è vivo e continua a svolgere la sua attività”.

Attività?

“Nel Mondo degli Angeli non è cambiato molto. Mihael è il capo degli eserciti angelici, Gibrihel insegna e lascia ad altri la sua missione di annunciatore, Rahahel ha rinunciato all’immortalità concessa dal Destino o, meglio, è stata lei a togliergliela. Credo in seguito a non so che patto che Rahy aveva fatto con il Kaos. Ma visto che lui è amico della Vita e della Morte, non  muore né invecchia. Comodo, no? Nessun legame, stesso risultato!”.

“Urihel è sempre l’Arcangelo che studia la luce dei pianeti e le loro orbite?”.

“Sì, certo!”.

“Bene…”.

“I tuoi figli hai già avuto modo di vederli. Sono venuti a liberarti, appena la piccola è stata in grado di usare a pieno i suoi poteri di nuova Dea della Morte. Ha ucciso le guardie approfittando dell’assenza del Kaos. Ultimamente è molto impegnato…”.

Kasday interruppe Vereheveil con un cenno della mano.

“Vorrei andare da Urihel, mi accompagni? Vieni con me?”.

“Certo!” esclamò il Dio delle Letterature, alzandosi in piedi.

L’angelo scosse le ali nere, asciugandole. Di conseguenza si gonfiarono tutte le penne, creandogli non poco disappunto. Porse la mano all’amico, facendolo alzare. Kasday fece qualche passo, ma poi ricadde: la gamba ferita non accennava a smettere di tormentarlo. Vereheveil lo sorresse e gli porse il bastone che aveva portato Agares. Grazie a quello, l’Equilibrio riuscì di nuovo a camminare.

“Che razza di Dio dell’Equilibrio sono, se neanche sto in piedi?” si disse, scocciato.

“Mi dispiace…” iniziò l’angelo nero.

“Per cosa?” domandò la divinità dell’Ordine.

“Sapevo quanto ti piaceva ballare. Lo hai sempre fatto, in ogni tua reincarnazione. E ora non puoi più…”.

Kasday lo interruppe: “Hei! Sono vivo! Sono qui! Con te! Non ha molta importanza che io possa o meno ballare. Ci sono cose più importanti di queste! La magia dei popoli sta riscorrendo in me, cosa potrei chiedere di più? Ora che anche tu sei qui…”.

Si avvicinò fino a sfiorarlo: “Andiamo da Urihel” sussurrò, con un sorriso.

Il Dio delle Letterature si ritrasse. “Non sono più un angelo. Non sono più un asessuato. Non fare così”.

“Che problema c’è? Io posso cambiare forma…”.

“Ma io non posso. Non sono più come te. Ti mancherà sempre qualche cosa, che io non saprò darti…”.

“Che cosa dici?”.

Kasday era confuso. Ma Vereheveil non gli fornì spiegazioni.

L’Equilibrio attese qualche secondo, guardando in terra, pensieroso.

“Non mi ami più, Very?”.

“Come il primo giorno. Come sempre. Ma non posso sopportare di vederti come una donna con cui provare certi desideri. Il nostro rapporto è diverso…”.

L’Equilibrio non capì del tutto.

Prese le mani di colui che non si definiva più un angelo e le incrociò con le sue.

“Non vedermi come una donna. Né come un uomo. Vedimi per ciò che sono: il tuo Kasday. Come io, in te, vedrò sempre il mio angelo”.

Si baciarono, lasciando che il tempo passasse lentamente. Vereheveil prese il viso del Dio che aveva appena baciato. Fronte contro fronte si sorrisero.

“Temevo che non provassi più nulla per me. Mi hai spaventato!”.

“Andiamo ora”.

Il Dio dell’Ordine cresceva, illuminandosi sempre di più. Anche le sue ali, i capelli e le corna si rafforzavano e si allungavano aiutate dalla magia. Pronunciando una sola parola, Vereheveil aprì il portale.

 “Che bravo…” gli sorrise Kasday.

 “Secoli di pratica” fu la risposta.

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Capitolo 25
*** XXV- Urihel ***


 

XXV

 

URIHEL

 

 

Il portale portò Vereheveil e Kasday in una delle stanze dell’abitazione di Urihel. Era completamente al buio, cosa molto strana per la casa di un angelo, di solito piena di luce e vita. “Che cosa vuoi?” sbottò una voce nell’ombra.

I due Dèi accentuarono la loro luce, illuminando flebilmente la sala.

“Buongiorno…” salutò Vereheveil, storcendo la bocca per il fastidio.

Amava i benvenuti e la frase d’accoglienza non sembrava di buon auspicio.

“Oh! Scusate. Siete voi…pensavo fosse…no, niente…”.

Le due divinità si avvicinarono alla voce e illuminarono la figura: Urihel. L’Arcangelo stava seduto su un piccolo tavolo, progettato per una persona, e consultava un libro. Alzò gli occhi dalle pagine, batté le palpebre ed i suoi occhi argento brillarono, come stelle. Giocherellava con i capelli color del cielo, arricciandoli con le dita. Come sempre, vestiva di scuro, blu con riflessi d’argento. L’abito di velluto frusciò quando l’alato incrociò le gambe.

“Cosa posso fare per voi?” domandò, sottovoce.

“Come mai tutto questo buio, Urihel?” domandò Vereheveil.

“Siete venuti qui per chiedermi questo? Non credo…ditemi cosa volete e poi lasciatemi in pace”.

I due Dèi si guardarono perplessi.

“Scusate…” ricominciò l’Arcangelo “Se proprio volete saperlo…il buio mi aiuta a concentrarmi. Ultimamente provo molto fastidiosi i rumori e la luce. Sarà l’età”. Si alzò, lasciando il libro aperto: “Se mi date un secondo accendo le candele”.

Kasday gli fece segno di stare seduto. Il luccichio della sua pelle, tenuto appositamente molto fievole, bastava ad illuminare la stanza.

“Vereheveil…quanto è bello vederti! I tuoi occhi dorati si intonano con il mio arredamento”.

I due si sorrisero.

“E tu…Kasday! Ti riconoscerei ovunque! È inutile che cambi taglio di capelli! Con quegli occhi…Che cosa ti porta qui, figlio del Kaos? Spero non siate spinti da motivazioni spiacevoli…”. L’Equilibrio inclinò la testa, spostando un ciuffo ribelle: “Vorrei che tu mi spiegassi le orbite dei pianeti dei due creatori. È vero che stanno cambiando?”.

Urihel fece un cenno con il capo: “Seguitemi. Da questa parte”.

L’Arcangelo spostò una pesante tenda e cambiò sala. I due Dèi lo seguirono, attraversando un corridoio e salendo le scale. Il silenzio era infranto solo dal ticchettio di un orologio a pendolo e dal rumore prodotto dal bastone dell’Equilibrio. Salirono all’ultimo piano del palazzo.

“Ce la fai?” chiese Vereheveil, rivolto all’amico zoppicante.

“Certo. Sta tranquillo”.

Continuavano a sussurrare, cosa che Urihel apprezzò molto. L’Arcangelo aprì una porta in cima alle scale. La stanza che si presentò davanti agli occhi degli ospiti era spettacolare. Con un soffitto a volta, color della notte, conteneva al suo interno, fluttuanti, migliaia e migliaia di sferette luminose. Avevano dimensioni, colori e moti diversi , ma tutte parevano seguire una loro orbita.

“Wow!” esclamò Vereheveil, meravigliato.

“Ogni sfera corrisponde ad un pianeta o ad una stella” spiegò Urihel.

Le sferette ruotavano su loro stesse e attorno a quelle che rappresentavano le stelle, più luminose e fisse. Ogni orbita erano delineata da lievi tratti in argento. Ogni cosa si muoveva, pulsava e girava. “Come fai a fare questo?” chiese l’Equilibrio.

“Non sono io a muovere tutto! Ovvio! Ma lui” rispose l’Arcangelo, indicando una finestra.

Una mano scostò la tenda ed apparve il Dio del Sole, che sorrideva e stava seduto sul balcone. A gambe raccolte e un braccio sulle ginocchia, il Dio salutò con una mano.

“Ciao Kasday. Mi ricordo ti te! Ero solo un bambino quando sei nato, ma ho memoria di quella notte”.

“Anch’io mi ricordo di te. Sei cresciuto!”.

Il Sole scosse i capelli, che si alzavano come fuoco. Stirò una gamba, scoprendo il ventre tatuato a fiamme rosse, gialle e nere. Portava un abito leggero, che lo copriva solo fino alle ginocchia.

Il mantello, che sventolava al vento, aveva le estremità bruciacchiate.

Alto e slanciato, il Sole sorrise: “Io sono la divinità che controlla le orbite dei Pianeti, ma non posso cambiarle. Solo un creatore può. Il mio compito è avvertirli se qualcosa non và. Ma, ultimamente, nessuno di quei due mi dà ascolto!”.

“Come sta tuo padre?”.

“Si è stancato di fare questo lavoro un paio di secoli fa e se ne è andato. Non ho idea di dove sia né di che cosa faccia. Probabilmente gli Alti gli hanno dato un luogo migliore in cui stare”.

Vereheveil e Kasday guardavano ogni sfera, con ammirazione.

“Dev’essere un lavoraccio governare la luce, le orbite e la traiettoria di ogni pianeta e stella…” commentò Kasday..

“Sì. Per fortuna esiste la Dea che governa i satelliti!”.

“Ma non esiste una divinità del Cielo o una cosa del genere? Qualcuno che controlli gli andamenti degli Universi…”.

Il Sole scosse il capo.

Urihel ricominciò a parlare, schivando una pallina con la testa: “Una volta c’era. Era una bellissima Dea. È stata lei ad aiutarmi a costruire tutto questo. Ma poi si è stancata di tutto. Alla fine i creatori fanno sempre quello che vogliono, ignorando la gente. Dovrebbe essere il contrario! Gli Dèi creatori non dovrebbero pensare a loro stessi, mai. Lei ha rinunciato ai suoi poteri, trasmettendoli al Dio del Sole. Facendo questo, è divenuta una mortale e si è lasciata morire. Ed io, che le avevo promesso di restarle accanto sempre, non ho potuto seguirla, incatenato in questo corpo immortale. Solo la Dea del Destino può porre fine alla mia vita, ma non ne ha alcuna intenzione”.

Il Sole guardò l’Arcangelo, con sguardo malinconico: “Ultimamente le cose vengono fatte tutte a casaccio. O a Kaosaccio, come piace dire alla Dea della Natura” e tornò a guardare fuori dalla finestra, aperta.

“Qual è il problema nelle orbite, Urihel?” domandò Kasday, senza distogliere lo sguardo da un pianeta che stava immobile, senza luce, in un angolo.

L’Arcangelo avanzò verso il centro della stanza: “Questa zona, con prevalenza di colore bianco, è l’Universo della Dea del Destino”. Si mosse verso le estremità: “Quest’area avvolta nel nero è invece l’Universo del Kaos”. Lì le sferette si muovevano in un apparente casualità e confusione. Forse non solo apparente: erano senza regole.

“Al confine di queste due zone..” continuò Urihel “..dove gli Universi si incontrano, una volta c’era un anello di pianeti e di stelle. Era l’Universo dell’Equilibrio, che aveva il compito di tenerli separati. Ma è da tempo, ormai, che quell’anello non esiste più. L’unico Pianeta rimasto del suo sistema è quella pallina che tanto osservi. Morto, spento e senza alcun potere”.

Kasday lo toccò con un dito.

 “Il problema è che quell’anello era indispensabile! La forza di gravità e di attrazione dei Pianeti del Kaos sta scombinando i moti dei Pianeti della Dea del Destino. Ha spostato anche alcune sue stelle fisse! Se la cosa và avanti di questo passo, si giungerà al collasso”.

“Collasso? Intendi che i pianeti si scontreranno fra loro?”.

“Esattamente! I due Universi si auto distruggeranno, facendo scontrare stelle e Pianeti. È una reazione a catena. Se uno di loro esce dall’orbita, poi passa accanto ad altri Mondi e crea problemi anche ai loro moti e così via”.

Vereheveil, si stupì: “Ma i creatori non fanno niente per impedirlo?” chiese il Dio delle Letterature.

“Per tutti i Multiversi! Mai e poi mai! A loro che importa? Anche se tutte le loro biglie colorate si disintegrano, che cosa gli cambia? Sono creatori, tenuti in vita dagli Alti. Ne creano altre di sferette e tornano a giocare! Solo gli Alti potrebbero intervenire, ma non lo fanno mai. Più sono potenti e più se ne fregano dei popoli…”.

“É disgustoso!”.

“É sempre stato così. Con ogni creatore e con ogni divinità. Dobbiamo farcene un ragione”.

Kasday sembrava turbato: “Come si può impedire che i pianeti si scontrino? Qual è la condizione ideale? La condizione di Equilibrio?”.

Urihel lo guardava, con le mani avvolte nella veste: “É complicato. Ma se vuoi ti mostro quanto diversa dovrebbe essere la situazione, per farti un’idea di quanto sia impossibile ristabilire l’ordine. Dobbiamo rassegnarci alla prospettiva che, ormai, siamo destinati a venire distrutti”.

“Quanto sei pessimista!”.

“Chissà perché…” sospirò l’Arcangelo, avvicinandosi ad una delle pareti “Ad ogni modo, Kasday, non sono io che controllo i movimenti delle sferette. Chiedi al Sole…”.

Il Dio del Sole, sbuffando, si alzò dal suo posto e si mosse verso il centro della stanza. Sollevò una mano, che brillò. La luce giallo paglierino si espanse, avvolgendo ogni cosa, e le sfere rappresentanti i pianeti iniziarono a muoversi in modo inverso rispetto al loro moto abituale.

La zona bianca e la zona nera vennero divise da un anello circondato dalla luce arancio - dorata dell’Equilibrio.

“Questa è la posizione ideale” iniziò a spiegare Urihel “In questa posizione, i Pianeti non hanno problemi. E questa era la disposizione degli Universi quando l’Equilibrio era abbastanza forte da tenere a bada i due litiganti”.

Che spettacolo straordinario avevano di fronte chi stava in quel palazzo! Centinaia di luci, colori e movimenti. Migliaia di pianeti e stelle circondavano i presenti. Il Dio del Sole fece un altro cenno con la mano ed i Pianeti presero diverse posizioni.

“Questa è la situazione attuale”.

La fascia arancio – dorata era scomparsa e le due zone, la bianca e la nera, iniziavano a mescolarsi in modo confuso.

“Nel giro di pochi anni non ci saranno più confini. Le orbite si annulleranno, i Pianeti si scontreranno, le stelle imploderanno, gli Universi collasseranno… E non ho detto che questo avverrà fra secoli o millenni. Ho detto che accadrà fra anni. Anni! Un tempo davvero insignificante per chi ha davanti l’eternità…”.

Vereheveil rabbrividì: “Forse sei un po’ pessimista, Urihellino caro…”.

“No di certo. Sono fin troppo ottimista”.

Kasday guardava fuori dalla finestra, dove era tornato a sedersi il Sole, sbadigliando: “Grazie Urihel. E ringrazio anche te, Dio del Sole”.

Passò fra le sfere e si spaventò non poco quando vide la distanza che separava il Mondo degli Dèi da quello degli Angeli. Il Pianeta degli Dèi era al di fuori del sistema di Universi. Lontanissimo da ogni altro Mondo.

Quanta strada ha fatto la mia essenza, passando da un Pianeta all’altro?

Decise di non pensarci più e si concentrò su altro. Sentiva la magia aumentare sempre di più ed aumentavano anche le voci che aveva nella testa: voci di persone che volevano essere aiutate e lo chiamavano.

“Vereheveil…” iniziò a parlare.

“Dimmi, Kasday. Dove andiamo?” domandò il Dio delle Letterature.

“Vorrei che tu convocassi tutti gli Dèi. Vorrei parlare con ognuno di loro…puoi farlo?”. “Certamente. Ma dove? E quando?”.

Kasday vide che fuori era quasi l’alba: “Dammi dieci giorni”. L’Equilibrio chiuse un pugno e vide l’energia magica scintillare. “Sì, dieci giorni mi basteranno.. passato quell’arco di tempo, portali da me, sul Pianeta dell’Ordine. L’ottavo giorno vorrei incontrare te, Eleniel e Samhian. Deciderò poi se vorrò altri al mio seguito. Quello che conta è che ci sia tu, l’ottavo giorno”.

Vereheveil annuì, senza capire.

“Scusa se non chiedo ad Erezehimsay di svolgere questo incarico…ma lui non sarebbe mai in grado di capire chi portare da me, trascorse otto albe. Devono essere le persone che più amo…e tu sai chi sono”.

Il Dio delle Letterature sorrise: “Sarà fatto. Ma mi vuoi spiegare che cosa ci vengono a fare tutte le divinità su un Pianeta morto?”.

“Nulla è mai morto per sempre. Nemmeno tu, che eri un angelo, credi nei miracoli?”.

“Ho smesso di credere nella clemenza degli Dèi da millenni…”.

“Anche se sei un Dio tu stesso?”.

“Soprattutto perché sono un Dio io stesso! So di non essere clemente e di non dare mai niente per niente! Senza parlare dell’irritazione che gli Alti che mi creano…”.

 Kasday rise: “Ok, ok! Tranquillo! Ho capito. Comunque…fidati di me! Fra otto giorni voglio vederti su quel pianeta. Ed entro il decimo tramonto, voglio avere al mio cospetto tutti gli Dèi”.

“Io ci sarò!” esclamò il Dio del Sole, con entusiasmo “Da Ere non ci ritroviamo tutti assieme! Credo da quando sei nato tu, Kasday…”.

 Io? Ere? La durata della mia vita fin ora si può contare in Ere? Raccapricciante…

Il dio dell’Equilibrio si ricompose, con una smorfia divertita: “Vereheveil…prima di andare da mio Padre ti consiglio di passare dalla Dea del Destino e da mia madre. Lui non saprà resistere all’occasione di scontrarsi con la sua nemica di sempre. E non potrà sfuggire per sempre alla pressante testardaggine della mia mamma”.

Mamma…ma che tenerezza. Peccato che sia tutto fuorché tenera…

Kasday afferrò saldamente il suo bastone e lo batté sul pavimento per tre volte.

Scomparve, avvolto dalla magia. Vereheveil si congedò da Urihel, con un inchino. Aveva tutte le divinità da convocare…tantissime persone da contattare!

L’Arcangelo tornò al suo silenzio, per nulla turbato dagli eventi, ed il Dio del Sole tornò ad osservare le ultime stelle rimaste in cielo dopo il levare dell’astro del mattino. Sorrise, osservando il cielo.

“Oggi si balla!” commentò.

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Capitolo 26
*** XXVI- Creazione ***


 

XXVI

 

CREAZIONE

 

 

Kasday apparve davanti al palazzo del suo vecchio maestro. Aprì la porta con  nostalgia. Il pavimento con motivi a cubi a tre colori gli mise tristezza perché sapeva di essere da solo. Erezehimsay si spostava fra un pianeta all’altro, un po’ aiutando Vereheveil e un po’ trasmettendo la notizia che la sua divinità era tornata. Nel silenzio totale del Pianeta solitario, avvertì una presenza. L’Equilibrio si voltò e vide la sua creatura: una specie di gatto blu scuro e rosso cupo. La strana bestiola gli corse appresso, facendogli sommessamente le feste. Il Dio la prese in braccio, accarezzandola, e lasciò che si appollaiasse sulla sua spalla.

“Devo lavorare, tesorino. Vuoi vedere?”.

 Il padrone di casa iniziò a vagare per le stanze, aprendo tutte le tende. Luce! Voleva luce! Ma la stella che doveva illuminare quel Pianeta era morta e spenta da millenni. Il simbolo sulla cima della cupola riprese a brillare forte e Kasday sorrise, alzando il braccio che non reggeva il bastone.

“L’Equilibrio è a casa! L’Equilibrio è tornato sul suo Pianeta!” urlò al cielo.

Uscì dal palazzo. Il Mondo su cui aveva messo piede era deserto, senza vita e senza colore.

“Qui, ora, ci abita solo la polvere del passato. Ma presto le cose cambieranno!”.

Scalzo, sentiva la terra sotto i piedi. Gli bastava chiudere gli occhi per avvertire l’enorme quantità di magia che stava immagazzinando. Era vero, i tempi erano cambiati: ora la gente credeva nella forza dell’Equilibrio, la sola che poteva riportare ordine negli Universi. Per un attimo, ricordò la divinità che lo aveva istruito. Ripensò a quanto fosse debole e senza aiuto. Sospirò, perché era consapevole di non essere all’altezza del Kaos e della Dea del Destino, ma doveva almeno tentare di fare qualche cosa. Appoggiò il lungo bastone, oro e blu, in terra e la creatura scese dalla sua spalla e si sedette, guardandolo con i suoi grandi occhi. Il Dio lottò per non cadere, strinse i denti per resistere alla fitta di dolore della sua gamba ferita. Fece qualche passo e si fermò. Dopo qualche istante, in cui la vista gli si era annebbiata, fece un profondo respiro ed incominciò a ballare. Dapprima a lievi movimenti, lenti ed incerti, che divennero, però, sempre più veloci e precisi. La magia iniziò ad incanalarsi a suo ordine, pulsando con più forza nelle sue vene. Si sollevò in aria, avvolto dall’energia, e continuò a danzare in cielo. Spalancò le braccia ed incrociò le gambe, inarcò la schiena e ribaltò la testa all’indietro. Concentrò la forza magica sulle mani, creando due sfere di colore arancio, con scosse e scintille in oro. Con una piroetta, lasciò andare le due sfere, che si espansero, correndo per i due lati del cielo. Le due fasce di luce avvolsero, in principio, il piccolo Pianeta deserto, per poi ricominciare a correre ed espandersi altrove, in direzione opposta l’una all’altra. Si rincontrarono fra le mani di Kasday, che le aveva guidate e che ora stava sospeso a mezz’aria, con gambe divaricate e a braccia tese, incrociate, sopra la sua testa. Aveva guidato le due sfere muovendo le braccia in un moto circolare e ora stava fermo, a palmi aperti. Le sfere tornarono e si incontrarono, rientrando nel corpo di chi le aveva lanciate. Avevano formato un anello, uno spazio vuoto ricoperto di arancio e di oro, che divideva l’Universo del Kaos da quello del Destino.

L’Equilibrio sorrise, in un modo piuttosto sadico, come gli aveva insegnato Luciherus tanto tempo addietro: “Tremate, forze del cielo! Il terzo creatore è tornato!”.

Tornò a terra con un volteggio all’indietro e riprese la sua danza. La sua creatura lo guardava, perplessa..forse si chiedeva perché il suo padrone parlasse da solo.

Il ballo si fece regolare e ripetitivo. Dalle mani della divinità si sprigionava energia e luce e ad ogni suo movimento creava un suono, in modo da essere accompagnato dalla musica: ora, per tutto il nuovo Universo, si espandeva una melodia ritmata e incessante. Per tre giorni, l’Equilibrio riempì il suo Cielo di stelle, pianeti e corpi celesti. Diede al Pianeta che ospitava il suo palazzo un nuovo astro, Nesidey, con la sua luce argento e oro. La stella spenta iniziò a riflettere i suoi raggi e divenne un satellite. Ad ogni Mondo, il Dio diede una propria orbita, perfetta e precisa, in modo che dividesse per bene i due regni nemici. Le stabilizzò cantando, così che solo conoscendo il testo originale usato nella creazione si potesse cambiare ciò che aveva stabilito. Evitava, in questo modo, che il Kaos sconfinasse e portasse fuori orbita le sue realizzazioni. Soddisfatto, la divinità dell’Equilibrio spalancò le ali, che erano cresciute a dismisura assorbendo la magia. Erano ali blu scuro, da angelo, e gli bastò muoverle solo leggermente per essere in volo. Fece un giro per l’anello da lui creato e vide, con un certo orgoglio, che era riuscito ad inglobare al suo interno il Pianeta conteso dai due Dèi litiganti: era ora sotto il suo controllo! Planandoci sopra, accese il suo simbolo su tutti i templi del Regno delle creature senza forza magica. Appena coloro che vi abitavano lo videro, iniziarono a fare festa e a ballare con lui. Provavano sollievo ad essere sotto il controllo di un Dio solo, rispetto a due che non facevano altro che litigare e decidere in base a  quanto erano nervosi. Kasday volò oltre, un po’ turbato: si aspettavano molto da lui. E se non fosse stato in grado di mantenere a lungo la stabilità che aveva appena creato? Scacciò quel pensiero e riprese a lavorare. Con movimenti meccanici e rapidi impostò le regole che dovevano governare ogni suo Mondo. Impose la gravità, l’orbita, il collegamento fra stelle, satelliti e Pianeti. Ruotando i polsi circondò ogni Pianeta di un’aurea di colore diverso. All’interno di questa, sapeva che si sarebbe potuto creare la vita. Ma non aveva fretta di farlo. La cosa principale, dividere i due Universi rivali, era stata fatta. Nonostante questo, l’energia in lui era potente e così decise di dare sfogo all’incessante desiderio che aveva nella testa: dare la vita. Cantando e seguendo la musica che lui stesso si plasmava, iniziò a deporre il seme della vita nei vari Pianeti. Atterrando su ognuno di essi, e creando per ciascuno una danza diversa, fece germogliare la vita. Ad ogni passo e movimento delle mani, comparivano elementi nuovi.

Diede al suo creato il vento, la pioggia, le stagioni, le albe e i tramonti, le costellazioni e gli elementi. Montagne, colline, pianure. E oceani, mari, fiumi, sorgenti e coste. Foreste immense e sconfinate praterie: su ogni Mondo qualcosa di diverso. Pianeti d’acqua, di roccia, di fuoco.

Fino all’alba del sesto giorno, Kasday diede ad ogni suo nuovo Mondo qualcosa di unico.

Due di loro decise di dedicarli agli altri due creatori. Il Pianeta che creò pensando alla Dea del Destino fu chiamato Pianeta di cristallo e lo riempì di superfici come specchi. Luminoso e riflettente, ricoperto di pietre colorate e preziose, fu il primo in cui ci pose delle creature. La vegetazione, adornata da cristalli lucenti, si popolò di esseri alati, quasi eterei, molto simili agli Angeli ma più luminosi e quasi trasparenti, con enormi occhi dai mille colori. Risplendevano della luce argentea della più bella delle stelle ed il creatore era felice, pensando che un giorno quelle creaturine avrebbero eretto templi e palazzi in suo onore.

Il Pianeta che dedicò a suo padre fu detto Mondo della nebbia. La sua superficie nera e lucida cambiava continuamente e gli abitanti che vi pose seguivano tutti quel colore, ed erano dotati degli stessi artigli gelidi del Kaos.

Volando da un posto all’altro diede vita a creature di acqua, di terra, alate, avvolte dalle fiamme o dalle rocce, abitanti del giorno e della notte, della luce e delle tenebre. E ad ognuno donò una voce forte e meravigliosa perché voleva sentirli cantare. Ad alcuni donò una voce simile alla sua e ad altri trilli, versi e suoni diversi.

Il settimo giorno atterrò alle porte del suo palazzo e si concentrò su quel Pianeta deserto.

Accanto alla sua dimora vi pose, avvolta da una foresta e protetta da una grotta, una sorgente sprigionante energia magica: una fonte come quella in cui si era immerso quando non aveva più forza. L’acqua prese il colore delle sue lacrime e dei suoi occhi.

Prese caratteristiche di vari Mondi appena creati e li pose sul suo Pianeta perché vi voleva tutte le specie viventi. Voleva che nel suo Mondo convivesse ogni genere di creatura. Riempì il cielo di uccelli e creature alate, come quelle a cui aveva dato vita nel Pianeta di cristallo. I loro colori avvolsero l’aria. Popolò le foreste, i mari, le valli di fuoco e le distese di roccia.

E poi diede origine ad una nuova coppia. La plasmò utilizzando un elemento di ogni creatura da lui creata fin ora. Una coppia di esseri che, come lui, contenevano assieme ogni essenza vivente.

“Nel mio Pianeta, come in tutti di quelli che ho creato fin ora, non ci saranno differenze di razza. Le specie non litigheranno fra loro”.

Creò un piccolo gruppetto di ogni creatura.

Le prese fra le mani, a palmi aperti, e parlò loro: “Ditemi, figli miei, cosa volete per il vostro futuro? Volete la vita eterna, l’immortalità, oppure una lunga vita con una fine, una morte, ma con la possibilità di creare voi stessi?”.

Uno degli esseri che racchiudevano più specie si alzò in piedi, guardando gli enormi occhi del suo Dio: “Creare noi stessi? Intende dare la vita?”.

Kasday annuì.

Alcune specie scelsero di poter vivere a lungo, morendo, dando vita ai propri figli, altre presero la vita dell’immortalità. Il loro creatore accontentò le loro richieste e guardò il cielo. Era scesa la notte e solo la sua luce arancio – dorata  illuminava il Pianeta. Era alle porte l’ottavo giorno, quello in cui attendeva le persone che amava. Si fece più piccino ed attraversò la foresta che circondava il suo palazzo e la fonte. Si tuffò nelle acque turchesi, addentrandosi nella penombra della grotta, illuminandola. Canticchiava, con entusiasmo, guardando il proprio riflesso: il suo aspetto si era, ormai, stabilizzato. Le ali, immense, stavano fuori dall’acqua, sollevate. Le corna, rosse, erano cresciute e brillavano. Notò che, comunque manteneva la cicatrice sul cuore: la lancia degli Hainuet. La toccò con due dita, ricordando la sensazione che si percepiva quando il petto veniva trafitto.

Il suo corpo aveva ancora energia magica, che teneva dentro di sé e per questo aveva un aspetto più massiccio e muscoloso, pur mantenendo il viso dolce e femminile. Carichi di forza, gli occhi brillavano, totalmente azzurri. Battendo le palpebre, fece ricomparire le pupille e il contorno dell’iride. Si passò una mano fra i capelli che stavano ricrescendo: voleva che prendessero la loro lunghezza definitiva in un altro momento.

Sorrise e si immerse fino alla punta del naso.  Girando gli occhi vide una luce rossa. “Luciherus?” chiese.

O forse è la bambina…

“Ciao, Kasday. O come altro ti devo chiamare…”.

Una voce maschile!

“Luciherus!”.

Con entusiasmo, l’Equilibrio fece cenno al demone di entrare in acqua.

“Non ci penso proprio!” ricevette di risposta.

“Vieni qui! Immergiti con me! É una sensazione bellissima!”.

Il Principe si limitò a guardarlo, leggermente accigliato. Aveva i capelli bianchi e lo sguardo fisso. “Temevo fossi morto…” continuò Kasday “É un vero piacere rivederti! Come stai? E come mai sei qui?”.

Il demone teneva le mani dietro la schiena e non parlava. Kasday vide che  non chiudeva mai le palpebre.

“Stai bene? Luciherus…”.

“Sono qui per parlarti. Solo un attimo. E, comunque, io di solito vado sempre a ficcare il naso nei nuovi Pianeti. È la mia natura…sono un inguaribile curioso”.

 Il Dio sorrise: “Che ne pensi, Principe? Il mio regno è di tuo piacimento?”.

Il demone rimase senza espressione :“Carino. E anche tu sei cresciuto bene. Peccato per quelle ali…”.

Kasday rise. Si immerse, diventando tutt’uno con l’acqua e sparì. Luciherus storse la bocca, perplesso. Il Dio riapparve davanti al demone, incrociando le braccia dietro al collo dell’ospite, e lo trascinò nel lago. Il Principe uscì con un balzo, soffiando come un gatto e sputacchiando acqua.

“Scusa!” rise l’Equilibrio “Dimenticavo che hai paura dell’acqua!”.

“Ma fottiti! Razza di inquietante incrocio! Non mi spaventa l’acqua! Mi fa schifo…è diverso! Specie se non vedo o tocco il fondo!”.

“Quella è paura…”.

“Taci!”.

“Ok…non ti offendere…che cosa devi dirmi?”.

Il demone si ricompose: “Sono solo qui per riferirti che io non posso stare dalla tua parte. Lui, il tuo adorato paparino, mi ha strappato il cuore, come ricorderai. Ed al suo posto ci ha messo uno strano aggeggio che comanda lui. Questo mi rende dipendente dalla sua volontà: è lui a tenermi in vita. E grazie a quel coso, che ora ho dentro di me, lui riesce a sapere tutto quello che faccio, tutto quello che sento e che vedo. Se io sapessi quali sono i tuoi sogni, i tuoi progetti, i tuoi segreti…lui li saprebbe. E li userebbe contro di te. È per questo che devo starti il più lontano possibile. Se venisse a sapere dei tuoi piani ti distruggerebbe, anticipando ogni tua mossa. Tuttavia non sarò nemmeno contro di te. Io sarò contro gli Angeli, come lui mi obbliga, e come a me piace fare. Non so che cosa accadrà, quando verrà il tempo della guerra finale. So solo che se lui morirà anche io finirò di vivere. Il mio cuore, se così lo si può chiamare, si fermerebbe all’istante se il Kaos venisse sconfitto. Per questo combatto contro la Dea del Destino. Non perché mi vada di vivere, non in questo modo, perlomeno, ma perché spero di liberarmi dal Suo controllo in caso di vittoria. Non ho niente contro di te, ad ogni modo”.

Il Principe si accese una sigaretta. Il Dio uscì dall’acqua. Era molto più alto del demone, che si limitò ad alzare gli occhi, con le mani in tasca.

“Scusa, Luciherus. Non riesco a diventare più piccolo di così. Ho troppa magia che…”.

“Nessun problema. Tuo padre fa di peggio”.

I due si osservarono.

 “Non me ne offri una?” chiese Kasday.

“Di cosa? Non vorrai mica una di queste?” chiese il Principe, alludendo alla sigaretta che aveva in bocca.

“Perché no?”.

 “Ah, ok. Il Dio sei tu. Cazzi tuoi!”.

 “Appunto!”.

I due uscirono dalla foresta.

“Ho un favore da chiederti, Luciherus”.

“Che cosa vuoi?”.

“Parte della tua essenza. Posso?”.

“E per farne cosa?”.

“Quanto sei curioso! È per creare nuove divinità!”.

Il demone rimase fermo a guardarlo, inclinando la testa: “Non so che hai in mente, figlio del Kaos, ma fa un po’ quello che credi. Basta che non mi faccia male!”.

“Non sentirai nulla”.

Il Dio appoggiò due dita sulla fronte del demone, ricavandone una lucetta azzurra, che tenne sospesa sul palmo della mano.

Entrò nel suo palazzo, seguito da Luciherus, ed entrarono in una stanza immensa. Al centro di essa si erigeva, alto quasi fino al soffitto, un uovo azzurro, percorso da migliaia di scintille di magia. Kasday inserì la luce  all’interno del guscio che la avvolse, inglobandola.

Il Principe deglutì: “É passato un drago per di qua?”.

“Ma no! È stato creato con  la magia. Ed ora contiene anche la tua essenza”.

Luciherus non parve molto convinto ed uscì dal palazzo: “Devo andare adesso…” esclamò, spalancando le ali.

“Ho visto la nostra bambina. È bellissima…” iniziò Kasday, ma il demone lo fermò: “Non è una bambina. Non più. E non è mia”.

Prese il volo e si allontanò dal Pianeta.

È il Kaos che ti manda. Non riusciresti mai a passare da un Mondo all’altro con le tue sole forze. Ricominciò a ballare, seccato perché ancora non si abituava al dolore alla gamba, allontanandosi dalla sua dimora. Aveva ancora delle cose da fare, prima che arrivassero i suoi ospiti.

 

 

Vereheveil atterrò davanti all’ingresso della reggia dell’Equilibrio.

Dietro di lui giunsero Eleniel, Samhian, Erezehimsay, Agares, Luciheday e Lilim.

Iniziò a chiamare Kasday ed una farfalla multicolore si posò sul naso del Dio delle Letterature, che solo in quel momento si accorse di quanto bello fosse il Mondo su cui era atterrato.

“Che posto meraviglioso! È fantastico! Il mio Equilibrio è un creatore!”.

Intravide la luce oro – arancio del Dio dell’Ordine.

“Kasday!” lo chiamò, accentuando la sua luce verde – azzurra.

I nuovi arrivati gli andarono incontro. Il Dio dell’Equilibrio apparve, lasciandosi alle spalle la foresta. Parte del suo corpo era tutt’uno con il Pianeta e, avanzando, lentamente, ne usciva.

In una mano impugnava una lunga spada sottile, dono degli abitanti del Mondo che aveva inglobato nella sua luce. Nell’altra teneva sospesa, a mezz’aria, una fiamma che ardeva, contenente il suo simbolo. Con un gesto, il fuoco andò ad illuminare e scaldare il villaggio che aveva plasmato per le sue creature. Kasday ripose la spada nel fodero che teneva agganciato alla cintura, e spalancò le ali, maestose e lucenti, in segno di saluto. Ancora con molta magia in corpo, presentava un aspetto piuttosto massiccio rispetto a ciò che era solitamente. I pantaloni che indossava erano infilati in un paio di stivali alti e fascianti, che bloccavano la gamba ferita. In vita, oltre che alla cintura, portava una sorta di gonna di colore chiaro. Spalancò le braccia, sorridendo. Liberò i piedi dalla terra e continuò a camminare verso gli amici.

È come il mio sogno! Ricordò Vereheveil, guardandolo negli occhi, così grandi e dolci.

Kasday scosse la testa, facendo crescere i capelli di colpo e facendoli giungere fino alle caviglie.

“So che ti piacciono più così, Vereheveil!”.

Il Dio delle Letterature sorrise: “Sei stupendo. Stai benissimo. Peccato per quelle corna…”.

 Kasday rise e fece segno ai suoi ospiti di risalire la collina che li avrebbe portati al suo palazzo. Entrarono tutti assieme nella sala in cui stava l’uovo e rimasero in silenzio ad osservarlo.

“Mi serve la vostra essenza. Dentro a questo involucro magico, si creeranno nuove divinità che andranno a sostituire tutte quelle che si schiereranno apertamente contro di me e che, di conseguenza, non potranno aiutarmi a governare i miei Pianeti. Con la vostra essenza posso dare vita a ciò che desidero”. Gli ospiti annuirono.

A tutti, previo consenso, il Dio dell’Equilibrio prese una piccola scintilla di essenza e la inserì nell’uovo azzurro. Poi vi appoggiò le mani sopra e pronunciò alcune parole, ad occhi chiusi.

Le scintille di magia si intensificarono, accentuate dalla forza di Kasday. L’uovo iniziò a pulsare, simbolo che nuova vita si stava creando in esso. Ora il Dio dell’Equilibrio era divenuto molto meno grosso, perché aveva trasmesso buona parte della magia che aveva immagazzinato per poter dar inizio alla creazione delle nuove divinità.

“Potete andare ora. Grazie. Visitate ciò che ho realizzato e datemi un parere. Solo tu, Vereheveil, vorrei che restassi qui, con me, ancora per un poco”.

Gli ospiti uscirono, lasciando il Dio della Letteratura e quello dell’Equilibrio da soli.

“Cosa posso fare per te?" domandò Vereheveil osservando Kasday, che era tornato alla forma affusolata e graziosa che amava.

“Chiudi gli occhi”.

Il Dio dai capelli verde acqua obbedì.

L’Equilibrio iniziò a cantare, prendendogli le mani. Intonava una nenia dolce.

“Che cosa stai cantando?”.

“Shhh!” gli rispose l’Ordine, continuando a cantare.

La divinità dalle ali nere percepì la magia che scorreva e confluiva fra le sue mani.

Che stai facendo? Non ti capisco…

Cominciò a sentirsi strano, come se gli stesse assorbendo l’energia.

“Sono stanco, Kasday! Basta!”.

Al tatto avvertì un oggetto liscio fra le mani.

“Ora riapri gli occhi” sussurrò l’Equilibrio “Scusami se hai percepito una sensazione di disagio”. L’angelo obbedì e vide che reggeva un uovo, blu e verde, grande tre spanne o poco meno.

“Questo è il simbolo della nostra unione: la fusione delle nostre essenze. Desideravo realizzare questa cosa con te”  parlò Kasday.

“Simbolo della nostra unione? Figlio nostro?”.

L’Equilibrio sorrise.

“Ma..perché con  me? Perché non con uno degli altri?”.

“Perché tu sei l’unico che mi è rimasto sempre accanto. Tu non mi hai mai abbandonato”. Vereheveil non sembrava convinto: “Nemmeno gli altri ti hanno mai abbandonato…”.

“Oh! Insomma! Ti dispiace così tanto che abbia preso questa decisione?” sbottò l’Ordine, con aria offesa. Incrociò le braccia.

“No! Certo che no!” esclamò il Dio delle Letterature, che gli si appoggiò contro, rassicurandolo. Tolse il lungo mantello bianco che indossava e avvolse l’uovo con cura. Poi lo appoggiò in terra, dolcemente. Kasday lo abbracciò, mettendogli le braccia attorno al collo. Con le mani gli solleticò le ali. Vereheveil, ridendo, si scansò dalla presa. Si soffermarono a guardarsi. L’Equilibrio teneva le mani dietro la schiena, ed iniziò a mutare.

Ora, davanti al Dio della Letteratura, stava una splendida donna: “Mi baceresti anche così, Vereheveil?”.

L’angelo annuì, stringendola a sé: “Certo, Equilibrio. Ti bacerei sempre e comunque!”.

“E faresti anche altro, angelo mio?”.

“Io non sono più un angelo…sono un Dio”.

“Sei il Dio della letteratura…”.

I due sussurravano, guardando l’astro del pianeta che tramontava.

“Sì, sono un Dio. Non più asessuato. Posso amarti…e fare molto di più”.

Kasday lo trascinò in terra, su di lei. Con le ali blu aperte sul pavimento e il seno scoperto, diede un bacio a colui che desiderava.

“E allora amami! Questa sarà la nostra notte!”.

Prese Vereheveil a sé, che non oppose resistenza. E si amarono, dolcemente, fino all’alba.

 

 

Il nono giorno fu dedicato al riposo ed alla contemplazione di ciò che era stato creato. Uscendo dal palazzo, Kasday incontrò Lilim. Era eterea, trasparente, e gli sorrise.

“Il tuo Mondo è bellissimo. Mi piace!” commentò lei.

“Grazie, amor mio”.

“Io sono la guardiana delle anime. Dopo la vita, tutte le creature vengono colte dalla Morte e vengono condotte da me, dove attendono la rinascita per mano della divinità della Vita. Potrei farti un dono, amor mio. Potrei farti incontrare i tuoi genitori, angeli, demoni e senza magia”.

“Mi piacerebbe. Avrei anche altro da chiederti, ma avverrà in un altro momento…”.

“Benissimo. Ci rivedremo domani!”.

La demoniessa sparì in una nuvoletta di fumo bianco. L’Equilibrio, con un telo allacciato in vita, si stese sull’erba. Vereheveil uscì dal palazzo, stringendo fra le mani l’uovo blu e verde e si sedette accanto a Kasday, accarezzando il guscio liscio.

“Quanto tempo ci vorrà prima che si schiuda?” chiese il Dio delle Letterature.

“Dipende. Potrebbe nascere fra qualche minuto o fra centinaia di anni! Dobbiamo solo aspettare”. Vereheveil sorrise e i due si diedero un piccolo bacio. Stavano distesi, l’uno accanto all’altro.

Un gruppetto di creature salirono su per a collina a salutare il loro creatore e poi tornarono verso il paese.

“Nessun creatore ha mai fatto una cosa del genere. Sei il Dio della gente. Sei speciale!”.

“Piantala! Sono solo felice di sentire cosa pensa la gente. È inutile mandare su e giù Messaggeri quando mi basta fare due passi!”.

Anche gli altri ospiti, Eleniel, Erezehimsay, Agares, Luciheday e Samhian, andarono a sedersi al Sole, sulla collina. Cominciarono a canticchiare tutti assieme, alcuni di loro tenendosi per mano.  Kasday sbadigliò: era stanco. Chiuse gli occhi, lentamente, e si assopì.

Dormì, senza incubi, per tutto il nono giorno.

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Capitolo 27
*** XXVII- Riunire e dividere ***


XXVII

 

RIUNIRE E DIVIDERE

 

 

L’Equilibrio fu risvegliato da lievi passi sull’erba. Si tirò su a sedere, sbadigliando e stiracchiandosi. Scosse le ali, facendone volare qualche piuma.

“Buonasera” si sentì dire.

“Buonasera” rispose pigramente, stropicciandosi gli occhi.

Era da poco passata l’alba del decimo giorno.

Buonasera?!

Osservo la figura che lo aveva svegliato. Gli dava le spalle, con un abito grigio, e stava in piedi, diritta come una colonna dorica.

“Tu sei il Tempo, giusto?” domandò Kasday, alzandosi.

L’alto uomo in grigio annuì: “Ma che bel posto! Davvero carino questo Pianeta! Hai fantasia…cosa buona per un creatore”.

 Il Dio del Tempo si girò leggermente, in modo da guardare in faccia l’Equilibrio, che sbadigliava. Aveva gli occhi del colore della sabbia: la sabbia delle clessidre. Faceva oscillare il suo pendolo del colore del rubino e scuoteva i capelli, con lo stesso taglio rappresentante il simbolo dell’infinito, diventati bianchi. Alzò lo sguardo, osservando alcuni uccelli variopinti che passarono nel cielo.

“Mi ricordo di te, Kasday. Posso chiamarti così? Sei così giovane e piccino che mi suona strano darti del Dio…”.

“Anch’io mi ricordo di te. Posso darti del Tu? Puoi chiamarmi come vuoi. Io sono sempre io, in qualunque modo tu ti possa rivolgere a me”.

I due si sorrisero.

“C’eri il giorno in cui sono nato”.

“Già. Sono sempre io. Non mi sono ancora stancato di fare questo lavoro. In fondo mi piace, anche se, a volte, è un po’ noioso…”.

 “Che ore sono?” chiese l’Equilibrio, continuando a stiracchiarsi.

“Sono proprio il più adatto a risponderti. L’alba è trascorsa da 2 ore, 13 minuti e 47 secondi, ed io, che voglio sempre essere puntuale, sono arrivato per primo. Forse troppo presto, mi spiace, non volevo svegliarti”.

“Era ora che mi destassi! Ho fatto proprio una bella dormita!”.

“Sei l’unico Dio che dorme…”.

“Davvero?”.

Kasday era molto stupito. Cercava di guardare in faccia la divinità  del Tempo, ma lui continuava a guardare altrove, distratto da tutte le cose nuove del Pianeta neonato.

“Sì, davvero. Ma credo che sia dovuto al fatto che hai appena creato il tuo Universo. Solitamente gli Dèi dormono solo quando sono malati o deboli”.

L’Equilibrio si passò una mano fra i capelli, sistemando qualche ciuffo che stava fuori posto. “Forse, Tempo, io riposo perché in me convivono quattro specie”.

 “Lo vedo! Sei un angelo con le corna e la luce divina. Che carino!”.

Con la mano libera dal pendolo, il Tempo si appoggiò sulla testa di Kasday, spettinandolo.

“Vorrei vedere il tuo palazzo. Posso?” domandò.

“Ma certo. Prego!” lo invitò il creatore di quel luogo.

 I due entrarono, aprendo il portone blu oltremare. L’Equilibrio si guardò sulla superficie lisca e riflettente del pavimento. Così facendo, poté constatare che i suoi capelli erano molto disordinati e, con una smorfia,  ricominciò accuratamente a riordinarli. Assieme, i due Dèi attraversarono i corridoi.

Chissà dove sono gli altri…probabilmente in giro per il Pianeta.

 Il Tempo fu particolarmente attratto da un antico pendolo in pietre lavorate. Stava nel salone che Kasday aveva adibito per il ricevimento, che aveva anche voluto un tavolo triangolare, in marmo blu, con le sedie color rosso diaspro.

“Magnifico!” esclamò il Tempo, guardando l’orologio “É perfetto! Tutti i meccanismi che si incrociano, ticchettano, si muovono, suonano…in meravigliosa armonia! Quanto adoro questo equilibrio!”.

“Grazie” sussurrò Kasday, controllando che la sala fosse esattamente come la voleva.

“Carina l’idea del tavolo triangolare. Io dove mi metto seduto?”.

“Dove preferisci, Signore delle Epoche. Tu non crei problemi. Sei una divinità pacifica e senza oppositori diretti. Credo che nessun Dio ti voglia morto…”.

“Oh, per gli Alti! Spero di no!”.

L’Equilibrio spiegò che preferiva pensare a dove porre la Dea della Guerra, che potrebbe creare problemi alla Dea della Pace, e le altre divinità che avrebbero voluto rovinare la riunione.

Il Dio del Tempo tornò a concentrarsi sull’orologio, che presentava motivi complessi e simboli.

I numeri erano lucenti e finemente lavorati.

“Il tuo maestro aveva buon gusto. E devi averlo anche tu, altrimenti lo avresti gettato nel fuoco!”. Ad un tratto un’ ombra passò, attraversando il muro. Il Dio rimase molto perplesso dalla cosa.

 “E tu che cosa saresti?” domandò all’esserino etereo.

“Io? Un anima, immagino…”.

L’Equilibrio, che nel frattempo si era dedicato alla conta dei posti, si girò ad osservare la figuretta. “Giochi con le anime, Kasday? Che nome stupido che ti hanno dato gli angeli, figlio mio”.

La Dea della Guerra era entrata nella sala, seguita dalla Dea delle Armi.

Nel frattempo si erano materializzate altre ombre in modo da formare tre coppie. Stavano in fila, uno accanto all’altro, a due a due.

“Kasday? Sei tu?” chiese una di quelle figure semitrasparenti.

L’Equilibrio annuì, sorridendo. Aveva capito chi aveva di fronte.

“Chi sono questi?” chiese il Dio del Tempo.

“Te li presento!” esclamò, iniziando ad indicarle, da sinistra “Mamma, papà, mamma, papà, mamma, papà. Sono i miei genitori nelle mie varie reincarnazioni. Sono anime, solo l’essenza ne rimane, ma sono sempre loro”.

Il Tempo emise un suono, stupito, e salutò le tre coppie. Due creature angeliche, due ombre demoniache e due figurette piccine e spaventate, confuse dalla grandezza del luogo, se ne stavano in fila, meravigliate.

“Come puoi essere, tu, un Dio?” chiese una di loro.

L’angelo non gli diede tempo di rispondere: “Io e tua madre lo sapevamo che eri speciale! Avevi sempre avuto qualcosa in più rispetto agli altri!”.

“Mamme, papà…” iniziò Kasday “Questa è mia madre, colei che per prima mi ha generato” disse, additando la Guerra.

La Dea abbracciò forte il figlio, come a voler indicare, agli altri genitori, di essere lei la più importante: “Mi sei tanto mancato, piccolo mio. Sono felice di rivederti…”.

“Mamma…la tua falsità ed ipocrisia mi commuove. Lasciami”.

Il Dio si scansò dalla stretta della madre, facendo un passo indietro.

“Perché zoppichi, figlio mio?”.

“Chiedi a papà!”.

I due si separarono. Il Tempo stava in disparte, sicuro che era meglio tacere.

 “É un onore conoscerla, divina!” esclamò il padre – angelo, che si inchinò.

La Dea rimase stupita da quel gesto. Dopotutto era la Guerra, normalmente la gente la adorava solo in caso di vittoria o battaglia imminente.

“Sono io che sono onorata di conoscervi. E vi invidio. Voi siete stati fortunati…avete visto il mio bambino crescere. Lo avete visto nei primi passi, le prime parole, il primo volo, le sue lacrime, le sue risate, i suoi amori, le sue paure…”.

L’Equilibrio la interruppe: “Basta, mamma. Avresti potuto venire a riprendermi, se tanto ci tenevi a vedere queste cose!”.

“Disobbedendo a tuo padre?”.

“Oh! Quale smacco per l’ordine divino! Disobbedire al Kaos!”.

 “Non fare l’imbecille! Io sono sua moglie e rispetto le sue decisioni!”.

 “E allora piantala di fare certi discorsi. Sono un adulto, non puoi convincermi con una storiella che, in fondo, mi vuoi bene!”.

“Oh, Dio!” esclamò l’anima della creatura dalla breve vita.

 “Quale?” risposero, in coro, i quattro Dèi presenti.

“Per favore, non  litigate!” pregò la madre – angelo.

“E perché? Lascia che si divertano!” disse, di risposta, il padre – demone.

“Lilim!” chiamò l’Equilibrio.

La guardiana delle anime apparve, in una nuvola di polvere candida: “Dimmi, marito mio”.

“É stato un vero piacere rivedere i miei genitori. Ma ora attendo gli Dèi. Verrò io, da voi, il più presto possibile. Adesso, però, ti chiedo di riportarli nella loro casa, nel luogo dove attendono la rinascita. Ti ringrazio ancora ed arrivederci, a presto!”.

Lilim si inchinò.

“Ciao Kasday, vieni presto da noi!” si sentì dire dalla coppia di angeli.

Kasday…il mio nome angelico.

“Bel lavoro diventare un Dio. Davvero bravo, Adahel! Ci rivediamo!” lo salutò la coppia di demoni.

Adahel, il mio nome nel Mondo demoniaco.

 “Ti vogliamo bene, Abramhian. Spero davvero di rivederti presto”.

Anche l’ultima coppia, quella senza magia, scomparve.

Abramhian, il mio nome nel Pianeta con le creature senza magia.

Con un inchino ed un sorriso, l’Equilibrio congedò le anime.

“Perché mi hai detto tutte quelle brutte cose, bambino mio?”.

 “Perché è quello che penso”.

La Dea della Guerra tacque.

“Dove ci sediamo, fratellone?” chiese la Dea delle Armi, appoggiandosi alla spalla della madre.

Il Dio padrone di casa si sedette in corrispondenza di uno degli angoli del tavolo triangolare. “Laggiù” esclamò, indicando l’angolo opposto “Su quella punta si siederà il Kaos e tu gli starai accanto, da brava moglie. Tu, sorellina, mettiti dove preferisci”.

“Perché così lontano da te, mio piccino?”.

“Perché non voglio averti accanto mentre reciti la parte della madre addolorata e devota e mentre vaghi per il mio regno raccontando quanto tu sia una mamma perfetta, disperata perché ha il figlio lontano. Facendo così credere a tutti che non puoi vivere senza di me. In realtà, oltre che a concepirmi, probabilmente in modo accidentale, che cosa hai fatto per me?”.

“Sei cattivo!”.

“E tu sei falsa! E schiava”.

“Schiava?” si inserì la Dea delle Armi “Mamma non è schiava!”.

“Ah, no? Però se il Kaos fa qualcosa, pur essendo contraria, non fa altro che annuire!”.

La Guerra lo guardò, con aria triste: “Non ho potuto fermarlo quella notte. E non ho potuto evitare che ti uccidesse, o che ti facesse uccidere. Ma oltre questo, lui non ti ha fatto del male…”.

“Tu dici, mamma? Sai cosa mi ha fatto il tuo caro e santo marito una sera? Lo sai? Sai come è nata mia figlia? Spero e prego che alla mia sorellina non sia stato riservato lo stesso, abominevole, trattamento!”.

La Dea delle Armi lo guardò, senza capire.

“Scusate” mormorò l’Equilibrio, tenendosi il viso con una mano.

“Vieni, figlia mia, vieni a sederti” affermò a Dea della Guerra e le due Dee si sedettero.

“Una volta l’Equilibrio aveva un tavolo circolare…” mormorò il Tempo, timoroso di entrare nella conversazione.

 “Lo so bene. Ma volevo avere la certezza di avere mio padre di fronte. E vorrei che anche gli opposti si guardassero, e si parlassero”.

“Gli opposti?” domandò il Tempo, seguendo con gli occhi il pendolo in pietra dura.

“Sì. Vorrei che, allo stesso angolo della Guerra, ci sia la Pace. Voglio che si parlino e che si osservino. A questo proposito, da buon mediatore, staresti al centro del lato lungo del triangolo, opposto alla Dea del Destino?”.

“Sarà un onore! Ma Vereheveil, che è suo amico, non è meglio?”.

Kasday non rispose, storcendo la bocca. Il Tempo non approfondì e prese posto.

Iniziarono ad entrare gli Dèi, guidati da Eleniel e Vereheveil. La Dea della Pace andò a sedersi di fronte alla Guerra, con riluttanza ed un po’ di timore. Vereheveil andò a prendere posto accanto a Kasday e di fronte a lui si accomodò la Dea delle Parole e dei suoni.

“Non siete opposti, ma, per fortuna, non esiste il Dio dell’ignoranza, mio angelo della cultura!”.

Il Dio della Letteratura, che aveva affidato l’uovo alla figlia, sua Messaggera, strinse la mano dell’Equilibrio. I due avevano lo stesso bracciale. Si baciarono, sorridendo.

“Mi fate schifo!”.

Kasday aprì gli occhi, con riluttanza staccò le sue labbra da quelle dell’angelo nero.

“Siediti, Kaos”.

Aveva parlato proprio il Dio del Disordine.

“Prendi posto” lo invitò il padrone di casa, lievemente infastidito.

Il Dio dai tratti indefiniti si accomodò sulla sua sedia, con un ghigno sadico. Il Dio della vita, figlio di Eleniel e Samhian, entrò ed andò a sedersi. Di fronte venne Luciheday, la Morte, figlia di Kasday, Luciherus e il Kaos. Il Dio del Sole, rappresentante delle stelle lucenti e del fuoco, ebbe in opposto la Dea dei Satelliti, protettrice delle Lune e dei riflessi dei Pianeti. I due si sorrisero: fra loro c’era una solida amicizia. Entrarono la Dea della Notte, che si sistemò accanto al marito, il Dio dei Sogni e delle Paure, la Dea della Natura, il Mare, l’Aria, l’Amore, le quattro divinità delle stagioni, la Dea della Famiglia e dei Figli…giunsero tutte le creature supreme.

L’ultima, che chiuse il corteo, fu la Dea del Destino, con la sua lunga treccia e la sfera in cristallo.

“Sei sempre l’ultima!” le gracchiò contro il Kaos, con un sorriso maligno.

 “E tu sei sempre il solito rompicoglioni!” rispose lei.

“Sedetevi!” ordinò l’Equilibrio “E non fate casino, come vi piace fare sempre!”.

I Messaggeri degli Déi stavano in un’altra stanza. Si divertivano e ridevano, felici, fregandosene del parere che potevano avere i loro padroni.

Le divinità stavano in silenzio. Davanti a tutti loro c’era una bevanda fresca e qualche stuzzichino. La maggior parte di loro cominciò a mangiucchiare i frutti del Mondo nuovo, ignorando gli altri, senza parlare.

L’Equilibrio, dopo un profondo respiro, iniziò a parlare, con le mani sottili incrociate davanti al viso “Vi ringrazio per essere qui. Ci tenevo davvero molto. Volevo vedervi, finalmente, personalmente e tutti quanti. In particolare, non me ne vogliano gli altri presenti, volevo dire grazie a mio padre”. Quest’ultima frase stupì la maggior parte dei commensali.

“Sì, vorrei dire grazie a mio padre perché è grazie a lui se sono qui. Perché, se non mi avesse scaraventato nel mondo dei mortali angelici, non sarei stato in grado di conoscere i vari popoli con cui sono entrato in contatto. Grazie a lui ho quattro essenze in una, e solo in questo modo potevo essere l’Equilibrio: solo essendo tutto e niente. E l’unico modo, era vivere in ognuno di questi Pianeti. Grazie…papà”.

Il sorriso sul volto di Kasday era beffardo e, in qualche modo, sincero.

“Ti sei fregato da solo, Kaos!” esclamò la Dea del Destino, ridendo.

“Taci! Quello non è un Dio! È una caricatura! É un meticcio senza potere!” rispose il Dio del Disordine, battendo le mani sul tavolo e facendolo vibrare.

“Ma fa silenzio, brutto pallone gonfiato! Hai visto cosa è stato in grado di fare? Ha ripristinato l’antico anello che divideva i nostri Universi. È un creatore, come me e te. E sono sicura che sia più forte di te, nuvolone grigio!”. La Dea del Destino pareva divertita dalla questione.

 “Come osi dire una tale eresia? Hai le idee confuse, mia cara. La tua palla è rotta!”.

Il Dio del Kaos si riferiva alla sfera che la Dea portava sempre con se. Si diceva che, all’interno, potesse scorgere il futuro di tutti. Ma lei dava più ascolto alle sferette che le ruotavano attorno alla testa. Ad ogni passaggio davanti agli occhi di lei, queste dischiudevano immagini e flash di vite e accadimenti. Il Kaos si alzò ed espanse la sua ombra nera, terrorizzando molti presenti. Continuò ad espandersi, fino a raggiungere metà del tavolo, dove stava la Dea del Destino, che rimase impassibile. Si limitò a scuotere la mano sinistra per allontanare quella fastidiosa nebbia. Kasday, che stava seduto tenendosi la testa con la mano, appoggiò il suo drink e si alzò a sua volta. Tese il braccio destro ed espanse la sua luce arancio – dorata.

L’ombra del padre non riuscì ad andare oltre, respinto dalla magia del figlio.

“Hai intenzione di rimanere in quella posizione a lungo, figlio mio?”.

“Vediamo chi si stanca prima?”.

Il Kaos tornò a sedersi, con un ghigno. L’Equilibrio si accomodò, richiamando l’attenzione su di sé.

“Ebbene, miei ospiti, io sono un creatore, come potete vedere. Che la cosa vi piaccia o meno, non è affar mio!”.

Provocò un gran vociferare e commentare di soppiatto. Bisbigli e domande riempirono il salone. Alcuni di loro iniziarono a litigare, accusandosi l’un l’altro che era stata la regina dei Denian o il capo degli Hainuet ad iniziare i problemi e volarono insulti e velate minacce. Chi non parlava, non volendo entrare nel litigio, si limitava a mangiare e bere. Il Kaos tirò una pasta alla Dea del Destino che gli diede dell’infantile.

“Potreste fare silenzio?” domandò l’Equilibrio, con la sua voce mista, a metà fra quella di un maschio e quella di una femmina.

Nessuno gli diede retta. Un brusio fastidioso e continuo andò avanti per lungo tempo. “Promemoria…ricordamelo Vereheveil! Scrivetelo da qualche parte. Annotatelo sulla pancia, se necessario. Non farmi scordare che devo creare la divinità del Silenzio!”.

Vereheveil sorrise: “Sarà fatto, Dio dell’Ordine!”.

“Scusami…”.

“Per cosa, Kasday?”.

L’Equilibrio scattò in piedi. Percosse con forza il tavolo, con  i pugni, e tuonò di fare silenzio, con  voce bassa, profonda e minacciosa.

Vereheveil lo guardò terrorizzato, mentre nella sala piombò il silenzio.

“Scusate se vi disturbo…colleghi!” iniziò a palare, con la sua solita voce senza genere “Non volevo entrare nei vostri problemi, ma vi ho convocato qui per un motivo, mica per offrirvi da bere!”.

Le altre divinità lo guardarono, notando la somiglianza all’interno della famiglia Kaos – Guerra – Equilibrio.

“Ho una cosa da chiedervi. Questi sono i miei Mondi, il mio Universo. Io non obbligo nessuno a stare al mio servizio, non voglio costringere nessuno a darmi una mano. Io vorrei solo sapere chi è disposto a collaborare con il mio sistema e chi no. Ho bisogno di tutti voi, anche se preferirei che la Guerra, la Paura e altre cose del genere stessero al di fuori del mio creato”.

Il Dio del Sole fu il primo ad alzarsi: “Io lavorerei volentieri anche nel tuo Universo. Mi definisco neutrale. Faccio brillare e sorgere tutte le stelle del Destino e del Kaos e governo i loro fuochi, perciò non mi fa differenza. Sarebbe un onore, nuovo creatore!”.

“Grazie” rispose Kasday, con un sorriso.

La Dea della Guerra incrociò le braccia: “Perché hai fatto venire fino qui divinità che non ti servono?”.

 “Tutti voi mi servite! E, sopratutto, volevo che gli opposti si parlassero. Magari riuscite a trovare un accordo e…”.

“Mai!” urlò la Dea.

“Come volete!” rispose l’Equilibrio, alzando le braccia.

“Mamma…io ti servo?” chiese la Dea della Morte, rivolta a Kasday.

Si sentirono sussurri che chiedevano spiegazioni.

La Dea della Guerra era turbata. Forse aveva capito come quella creatura era venuta al mondo. L’Equilibrio sorrise alla figlia: “Ma certo, piccola mia! Come posso creare nuove vite, senza che nessuna di queste giunga al termine?”.

“Ma in questo caso…ti servo anch’io!” esclamò il Dio della Vita.

 “Ovvio. Piacere che tu ti voglia unire alla combriccola!”.

Vita e Morte si guardarono negli occhi, ridendo. Si strinsero la mano, colleghi, ed il Dio dell’Amore sogghignò. Altre divinità diedero il loro appoggio all’Equilibrio, mentre altri preferirono non intromettersi. Molti rimasero al servizio di un solo creatore. La maggior parte si sentiva soddisfatta all’idea che l’Ordine fosse tornato. Magari, ora, le cose potevano cambiare.

 Il Kaos si alzò, con aria torva e minacciosa: “Puoi essere e fare quello che vuoi, ma non potrai mai sconfiggermi. Non mi interessa se ora, mia creatura, sei un Dio che genera Mondi. Millenni ed Ere di esperienza ci dividono, pulcino dalle ali blu e dalle cornette rosse! Divertiti finché puoi, Equilibrio, goditi il tuo Mondo fatato. Non durerà a lungo!”.

Detto questo, il Kaos uscì dalla sala, seguito dalla moglie e da due dei suoi figli. L’Ordine lo fissava, senza mostrar timore, anche se dentro di sé sapeva con quale facilità suo padre avrebbe potuto distruggerlo. La Dea del Destino si avvicinò a Kasday, mentre le altre divinità iniziarono ad alzarsi, salutandosi.

“Mio caro nuovo Equilibrio…” iniziò a parlare la Dea dalla lunga treccia “…io avrei una proposta da farti. Tu sai che non hai speranze contro tuo padre. Non puoi batterlo, come non puoi battere me. Ma io ti propongo questo: alleati! Stai dalla mia parte, combatti al mio fianco! Io e te, insieme, possiamo sconfiggerlo per poi regnare fianco a fianco”.

Il Dio la guardò negli occhi: “Sarebbe una proposta allettante, Dea degli specchi, ma io sono l’Equilibrio. Non posso schierarmi e non lo voglio fare. Nonostante sappia che questa mia scelta sia simile al suicidio, devo rifiutare”.

“Tu sai che, in questo caso, saresti contro di me, vero?”.

 “Sì, me ne rendo conto, Signora”.

La Dea sospirò. Salutò con la mano Vereheveil, ed uscì dal salone.

 

 

Rimasto solo, con pochi intimi, Kasday ripiombò sulla sedia, finendo la bottiglia che aveva davanti.

Vereheveil gli si avvicinò, appoggiandosi al tavolo: “Tu sai che io ti starò sempre vicino…”.

L’Equilibrio lo interruppe con un tocco delle dita e gli chiese di seguirlo, con un cenno.

Entrò nella stanza con l’uovo grande fino al soffitto. Dietro di lui venne il Dio delle Letterature, la Dea della Pace, sua figlia e tutti coloro che avevano donato l’essenza per crearlo. Tutti tranne Luciherus, che regnava nel suo Pianeta del Kaos. Con un grido, Kasday fece schiudere la sua creazione. Tante divinità né uscirono, bambini, con caratteristiche miste dei presenti. Ognuno di loro stava a mezz’aria, avvolto da una luce diversa e ad ognuno di loro il creatore diede un ruolo, sussurrandogli qualcosa all’orecchio e prendendoli fra le braccia. Vennero poi deposti in copertine e lettini morbidi, a riposare.

Vereheveil stringeva il suo piccolo uovo: “L’ho sentito muoversi stanotte”.

Kasday sorrise: “Resta con i neonati, Dio delle Letterature. Ho una persona da incontrare”.

Il Dio dell’Ordine, dopo aver dato la vita, si allontanò, diretto verso il mondo dei morti.

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Capitolo 28
*** XXVIII- Morte e Vita ***


XXVIII

 

MORTE E VITA

 

 

Kasday decise di partire al sorgere del Sole. Nonostante fosse un Dio e, quindi, immortale, provava una certa inquietudine ad entrare nel regno delle anime al buio. Indossò un abito complesso, blu e rosso cupo. Usò i suoi colori per potersi rendere immediatamente riconoscibile alla guardiana delle anime. Non voleva finire in qualche lista d’attesa per la reincarnazione!

Vereheveil lo riempì di raccomandazioni: “Ricordati che dentro di te dormono, latenti, quattro essenze. Quattro anime! Sta attento a non perdere il controllo su di loro! E, soprattutto, attento a non perderti! Se non trovi l’uscita,  rimarrai per sempre lì dentro, fino a divenire come loro: un’ombra eterea in attesa di rinascita!”.

“Lo so Vereheveil! Sono morto altre volte! Conosco il posto e so come uscirne! Rilassati! Sarò qui prima del tramonto”.

Mentiva, in parte, perché in realtà non ricordava molto bene il percorso da seguire.

Probabilmente, passando da una vita all’altra, vengono cancellati i ricordi del luogo d’attesa.

Aprì il portale, eludendo la sorveglianza di Erezehimsay che lo voleva sempre seguire, e si ritrovò alle porte del regno delle anime, il reame dei morti. Notò subito quanto fosse immenso ma pensò che fosse del tutto normale perché esso doveva accogliere le essenze di tutti i Mondi, in attesa che la divinità della Vita li facesse ritornare materiali.

All’ingresso di quel luogo sconfinato, il Dio dell’Equilibrio si sentì lievemente a disagio. Si ritrovò a pregare, sottovoce, di non tornarci presto. C’era silenzio e pace, poiché nessuna delle anime litigava mai con un'altra, anche se di specie diversa.

Il Dio aprì i cancelli e vi entrò. La luce lo colpì sul viso e lui si fece ombra con le mani. Si accostò ad un angolo dove c’era ombra ed iniziò a guardarsi attorno. Sapeva di aver usato l’entrata riservata alle divinità, per questo non vi erano essenze in attesa di entrare. Ed era consapevole che molti Dei accedevano in quel luogo per rilassarsi o per sfuggire ai propri compiti per un po’. Ma lui non trovò quel luogo rilassante. Iniziò a camminare, diretto alla dimora della guardiana delle anime e, immediatamente, si accorse che,al suo fianco camminava qualcuno. Girò il viso e vide…se stesso!

Vide se stesso in forma di angelo che camminava tranquillamente, guardando avanti, in un lungo abito color del cielo. Voltando la testa alla sua sinistra poté scorgere la sua essenza di demone, in una veste scura allacciata alla spalla. I passi che avvertiva alle sue spalle erano quelli della sua anima come creatura senza magia, con il completo e la cravatta.

Si era diviso nelle quattro essenze che risiedevano nel suo corpo.

Ed io? Come sono io ora? Senza le parti di dna delle mie reincarnazioni?

Guardandosi in uno specchio d’acqua, ebbe modo di scorgere come sarebbe stato se non fosse vissuto nei mondi mortali. I suoi capelli neri fluttuavano nell’aria mentre gli occhi erano esageratamente grandi, sul viso privo di tratti: assomigliava in modo spaventoso a suo padre!

In cuor suo ringraziò di non essere solo così, di non essere la copia, in piccolo, del Kaos. E ringrazio anche che la sua natura duplice di maschio e femmina non volesse dividersi. Doveva stare attento a non separarsi dalle tre essenze che se ne andavano a spasso accanto a lui. Perdendone una sarebbe cambiata ogni cosa, una volta ritornato al mondo materiale.

Camminò, con le sue anime, lungo le vie del regno. Notò che solo lui zoppicava e doveva aiutarsi con il bastone dorato. La gamba faceva male più del solito, forse perché, in condizioni normali, il dolore era diviso fra quattro.

Le strade del reame erano bianche, riflettenti, e piene di gente. Udiva molte voci. Solo lui riusciva a controllarsi e non distrarsi mentre gli altri tre si voltavano di continuo, sentendosi chiamare per nome da chi li riconosceva. L’Equilibrio richiamò all’attenzione le altre sue anime. Si sentiva chiamare figlio, amico, cugino…

La guardiana delle essenze gli andò accanto, sghignazzando: “Vedo che hai dei problemini con i tuoi IO interiori!” si mise a ridere.

Il Dio non trovava la cosa divertente, neanche un po’! Si alzò al di sopra di tutte le ombre che dimoravano in quel luogo ed iniziò a parlare, sostenuto dalle parole delle altre sue anime.

“Vorrei…vorremmo…” si corresse, notando che aveva quattro voci “…discutere di una certa cosa con Voi, essenze in attesa. Sapete chi sono?”.

In molti annuirono: “Siete un Dio! Si vede dalla Vostra luce!”.

“Sì, sono un Dio. Sono l’Equilibrio. Ed ho bisogno di voi! Se lo volete…”.

Le anime parlottavano fra loro. Sembravano confuse.

Come mai un Dio ha bisogno delle essenze delle persone passate? Che cosa vuole fare?

“Io ricordo, fra voi, persone che amavo, persone che mi amavano e mi conoscevano. Molti di voi sanno che c’è una guerra in corso fra divinità. Ed ora io vi chiedo: stareste dalla mia parte? Mi aiutereste a salvare coloro che sono in vita? Quelli che sono vostri successori e che, un giorno, saranno vostri antenati? Mi aiutereste a preservarli dalla distruzione dei pianeti?”.

Alcune essenze mostrarono disappunto: non si sentivano più legate al mondo dei viventi e non pensavano al fatto che ci sarebbero dovute tornare, prima o poi. Altre, invece, sorridevano con entusiasmo. Una di loro parlò: “Noi siamo già morti! Nessuno ci può uccidere! Perciò che cosa abbiamo da perdere? Combattere dev’essere divertente, non potendo essere sconfitti!”.

“Io non voglio che voi facciate del male. I morti non devono fare morti. Io vi chiedo di venirmi in aiuto quando si tratterà di difendere creature divine e mortali dalla furia dei creatori in guerra”. Alcune delle anime fecero intendere che poco gli importava se i Pianeti venivano distrutti.

Loro sarebbero rimaste in attesa che qualche altro creatore donasse la vita ad un nuovo Mondo con nuove creature.

“E se un nuovo creatore non ci fosse?” domandò loro la guardiana Lilim.

Le ombre eteree tacquero: “Come sarebbe a dire? I creatori ci saranno sempre!”.

“E se gli Alti volessero che, finalmente, finisse ogni cosa? Se anche questo posto fosse destinato a scomparire?”.

“Non fare la catastrofica…” la fermarono le quattro voci dell’Equilibrio.

Ma le parole della guardiana avevano già fatto cambiare idea a molti, anche se non a tutti, che iniziarono a guardare il Dio con aria interrogativa. Volevano sapere che cosa fare!

L’Equilibrio andò accanto a Lilim, allontanandola dalla folla: “Non costringere nessuna essenza a servirmi” le spiegò “Non è un esercito! Avrai del tempo per prepararle. L’importante è che nessuno attacchi. Il mio scopo è difendere. Quando avrò bisogno di voi, ti chiamerò. State pronti, perché la guerra finale non è tanto lontana”.

Si voltò per recuperare le altre tre parti di sé, rimaste sommerse dalle persone che conoscevano.

Si fece largo fra la folla e prese la sua parte da angelo, da demone e da creatura senza magia tra le braccia e si alzò in volo, usando solo la mente.

Finalmente ho imparato a volare come un Dio! Senza ali!

Si librò in aria ed uscì da quel luogo. Con sollievo ridivenne tutt’uno, con le sue ali blu, le corna e il solito aspetto. Planò dolcemente sul proprio Pianeta, quello con il suo palazzo, ed atterrò accanto alla fonte magica. Vi immerse la gamba ferita e ribaltò la testa all’indietro per il sollievo.

“Fa ancora male?”.

Kasday sobbalzò: “Vereheveil! Mi hai spaventato! Comunque sta tranquillo, mi ci sto abituando”.

Il Dio delle Letterature stringeva l’uovo tra le braccia e si accoccolò accanto all’Equilibrio.

“Che cosa ti serviva da Lilim?” domandò curioso.

Kasday non rispose.

Vereheveil insistette:  “La battaglia finale è così vicina da dover già assoldare un esercito? Di anime poi…”.

Il Dio dell’Ordine lo guardò, senza espressione.

“Mio padre, il Kaos, tenterà di distruggere la Dea del Destino prima che io sia in grado di fermarlo. E poi, una volta che lei sarà sconfitta, anch’io morirò perché l’equilibrio non potrà esistere. Ora come ora, è il Kaos il più forte ed è meglio che mi prepari al peggio”.

Lanciò un sassolino nell’acqua turchina che si increspò. Vereheveil lo guardava allarmato: “Fra quanto credi che accadrà?”.

“Prima di quanto tu credi. Ma non preoccuparti. Andrà come deve andare”.

Il Dio delle Letterature non sembrava per niente rassicurato. Passò una mano sull’uovo. “Oggi si muove davvero tanto. Credo che voglia uscire. Ma non so…preferirei che aspettasse il passaggio di questo pessimo periodo”.

Kasday sospirò: “Non si può decidere quando nascere”.

Toccò con due dita l’uovo, che iniziò a schiudersi. Dapprima uscì una piccola manina, alla quale Vereheveil porse l’indice perché lo stringesse. Con un gemito, la creaturina tirò un calcetto e si aprì un altro varco nel guscio. Entrambi gli Dèi diedero una mano al nascituro ad uscire. Aveva un folto ciuffo di capelli verde acqua, accompagnati da un viso dolcissimo con enormi occhi dorati. Vereheveil lo estrasse dall’uovo e lo immerse nella fonte magica per fargli recuperare le forze, mentre il nuovo nato iniziava a strillare. Aveva una coppia di ali blu e un cornino rosso al centro della fronte.

 “Non è né maschio, né femmina!”.

Il Dio della Letteratura lo avvolse nella veste e lo cullò, calmandolo.

Kasday gli passò l’indice accanto alla bocca ed il piccino lo morse, con due dentini acuminati, ed iniziò a succhiare.

Vereheveil si spaventò un po’.

“Sta tranquillo, Very! È normale! Si nutre di magia”.

Accarezzò la testa del neonato, con affetto. Una piccola lacrima scese sul volto commosso dell’Equilibrio che si accorse che, quando piangeva, sul suo Pianeta calava una lieve pioggia color dello zaffiro.

Quando il neonato fu  sazio, sbadigliò e si addormentò, sempre cullato dal Dio delle Letterature. “Chissà che ruolo avrà…non si capisce!” si chiese Vereheveil.

Kasday guardò suo figlio e, per un attimo, lo vide più grande. Sempre bambino, ma un pochino più grande, con lo stesso sguardo dolce dell’uomo che amava. I capelli spettinati, gli occhi grandi e un lungo mantello. E quel simbolo che aveva sulla fronte? Che cosa significava?

Con un battito di palpebre tornò alla realtà.

“Che nome gli diamo?”.

Il Dio delle Letterature lo guardò negli occhi: “Kavahel! Il nostro bambino si chiamerà Kavahel!”. “Kavahel?” domandò l’Equilibrio.

“Sì! Non ti piace?”.

“No, và benissimo!”.

“Fantastico. Allora è deciso!”.

I due Dèi si abbracciarono.

“Vieni nel tempio, Kasday! La Dea delle Arti ha realizzato uno splendido mosaico per la camera dei pupi! È meraviglioso!”.

Vereheveil iniziò a camminare verso la dimora dell’Equilibrio e le stanze dove vivevano assieme a Erezehimsay e la figlia del Dio delle Letterature. Recitava una ninnananna al piccolo Dio neonato. Kasday guardò in alto. La battaglia finale era alle porte.

 Con le mani giunte, seguì l’angelo dalle ali nere ed iniziò a cantare: la canzone degli Dèi.

 

 

Sei disposto a morire per noi o no?

Vuoi morire per noi o no?

Vuoi morire?

Trovami, io sono qui! Muori per me!

Muori per noi!

Noi santi, noi immortali, noi Dèi!

 

 

Sei disposto a sacrificarti per noi o no?

Vuoi sacrificarti per noi o no?

Vuoi morire?

Proteggimi, io sono qui! Sacrificati per me!

Sacrificati per noi!

Noi credenti, noi mortali, noi popoli!

 

 

Ricordati che fui io concederti la tua esistenza mortale!

Ricorda che fummo noi, Déi, a darti la vita!

 

 

Ricordati che sono io a mantenerti immortale!

Ricorda che siamo noi a darti vita!

 

 

Esiste un popolo disposto a difendere il suo Dio?

Esiste un Dio disposto a sacrificarsi per il suo popolo?

 

 

“Basta cose tristi per oggi!” lo interruppe Vereheveil.

Assieme rientrarono a palazzo, illuminato dalla Luna.

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Capitolo 29
*** XXIX- Eserciti ***


XXIX

 

ESERCITI

 

 

L’estate passò, in relativa tranquillità. Kasday stava seduto su una verde collina, osservando il colore delle foglie che cambiavano. Ormai non faceva più caso al dolore che provava alla gamba ma doveva comunque avere sempre, stretto nella mano destra, il suo bastone dorato a sorreggerlo.

Udiva le risate dei piccoli Dèi nati dall’uovo che si libravano a mezz’aria, giocando. Vereheveil teneva sulle ginocchia Kavahel, facendolo giocare con un campanellino d’argento. Il bambino rideva, attratto dal dolce suono che produceva, e batteva le mani. L’Equilibrio raggiunse i due, prendendo in braccio il figlio, che protestò un poco. Si stava divertendo e lui lo aveva interrotto!

Il Dio dell’Ordine sorrise. Il bambino, per il disappunto, aveva espanso la sua luce, rendendola più forte ed accecante. Dentro quel piccolo scorreva un’energia spaventosa, che Kasday avvertì chiaramente ma, allo stesso tempo, riuscì a percepire un'altra presenza.

Spalancò le ali, coprendo i bambini: “Che cosa vuoi? Che cosa ci fai qui?”.

Per la vallata si diffuse una tetra risata: “Ma che bravo! Mi hai scoperto!”.

Era il Kaos, che rimaneva sospeso in aria, ricoperto di fumo e di nebbia: “Sta tranquillo, Equilibrio. Non ho alcuna intenzione di fare del male ai tuoi pulcini. Non ora, perlomeno!”.

“Perché sei qui?” domandò Kasday, sulla difensiva.

 “Sono in questo luogo per riferirti una cosa”.

“Bene. Riferiscimela e poi sparisci. Mi spaventi i piccoli…”.

“Oh…niente di che…solo questo: ho intenzione di attaccare la Dea del Destino. Pensavo che ti facesse piacere saperlo. I miei eserciti sono pronti. Sono tutti in attesa di un mio segnale per attaccare il Mondo. La sconfiggerò, stanne certo, e poi verrò da te, mio tesoro!”.

Il Kaos ridacchiò, con occhi dolci.

Psicopatico…

“Quale Mondo?” domandò l’Equilibrio.

“Mmm…?”.

Il Dio del Disordine esibì il suo solito sguardo: con un occhio spalancato e l’altro socchiuso.

“Quale Mondo vuoi attaccare, Kaos?”.

“Quello che voglio! Ce ne sono tanti…”.

Ridendo più forte, il Dio senza tratti somatici scomparve.

“Così non mi aiuti…” sospirò l’Equilibrio, rilassando le ali.

Mi cadono le braccia e le ali…ma con che gente devo avere a che fare? Uffa.

“Erezehimsay!” chiamò con voce potente.

“Sì, Signore?” rispose il Messaggero, comparendo all’uscita del palazzo del suo padrone.

“Vola dalla Dea del Destino. Dille che il Kaos si prepara ad attaccare”.

“Ma…” si intromise Vereheveil “Così facendo lei preparerà i suoi eserciti e scoppierà la guerra!”. “Questo lo so” rispose Kasday, in apparente calma. In realtà, il suo nervosismo era messo in evidenza dal fatto che si accese una sigaretta. “Lo so, Dio delle Letterature. Ma se si dovesse trovare impreparata, sarebbe la fine per lei e per i suoi Pianeti. Non esiste un altro modo”.

Erezehimsay prese il volo più in fretta che poté ed aprì il portale. Scomparve portando il suo messaggio.

L’Equilibrio ricominciò a parlare: “Vereheveil, porta i bambini con te quando la guerra avrà inizio, non vorrei che qualcuno di voi venisse coinvolto. C’è un luogo che abbiamo prestabilito io e la Dea della Pace. Vi recherete lì, assieme, in attesa che tutto finisca. Se le cose dovessero andare veramente male, sarà compito vostro far ripartire il sistema, addestrando le nuove divinità”.

Il Dio delle Letterature lo afferrò per un braccio: “Non fare la guerra anche tu. Non rischiare la vita…”.

 “Io non faccio la guerra!” lo interruppe l’Equilibrio “Io mi difendo e basta. Difendo me stesso, i miei Mondi ed il mio popolo. E, soprattutto, difendo l’armonia degli Universi!”.

Vereheveil era poco convinto e continuò ad esporre la sue opinioni: “Se loro vogliono la guerra finale…ebbene: che sia guerra finale! Lascia che facciano tutto da soli, che si distruggano, che si uccidano…che muoiano! Tu resta con me e ricominciamo insieme…”.

“Smettila! Sei fuori di testa?”.

“Dopo di questa non si dovrà più combattere e…”.

“Sai che non è possibile. Senza battaglie, la Dea della Guerra muore”.

“E allora? Non è meglio? Capisco che sia tua madre, ma…”.

“NO! Nessun Dio deve morire!”.

Eleniel, la Dea della Pace, uscì dal palazzo. Aveva sentito ogni cosa e sospirò: “Fai ciò che devi. Anche se mi fa soffrire la guerra, credo che non ci sia altra soluzione. Non morire però!”.

La Dea dai lunghi capelli biondi abbracciò Kasday, che rimase in silenzio. Il Dio si allontanò da loro, desideroso come non mai di assenza di suoni e di tranquillità. Doveva riflettere e prendere delle decisioni: il suo esercito andava radunato!Iniziò a camminare tra l’erba alta, come sempre scalzo. La sua lunga gonna aranciata strusciava sul manto erboso ed il Dio lottava contro il forte vento pungente che si era alzato, che gli faceva volare i capelli in tutte le direzioni e lacrimare gli occhi. Indossava la stessa cintura di Vereheveil, con la sola differenza che, mentre quella del Dio delle Letterature aveva incastonato uno zaffiro, su quella dell’Equilibrio spiccava un ovale in oro: il colore degli occhi dell’angelo nero. Nonostante il freddo portato dalla corrente d’aria, il Dio era a petto scoperto e si osservò le cicatrici, sperando di non averne altre da aggiungere prossimamente. Saltellava, tentando di ostentare il buon umore. Il suo corpo, gracilino e magro, di sicuro non era adatto alla battaglia e lui lo sapeva bene. Giunto in un luogo isolato e silenzioso, si sistemò i capelli e chiamò il nome di Lilim.

La guardiana delle anime apparve, dopo pochi attimi: “Mi cercavi?”.

“Tenetevi pronti. La guerra è vicina. La prossima volta che ti chiamerò, sarà per far entrare in campo le essenze”.

Lilim annuì. L’Equilibrio continuò: “A che punto siete con i preparativi e l’addestramento?”. “Siamo pronti. Spada e scudo, come mi hai chiesto. Solo di difesa e non di attacco”.

“Ottimo” esclamò Kasday, ma con poca convinzione.

“La Dea delle Armi non ci aiuta. Perciò l’equipaggiamento a nostra disposizione è fornito da altre divinità o dai mortali…tu capisci che non è la stessa cosa!”.

“Lo so bene, Lilim. E mi dispiace. Ricorda che il nostro scopo e difendere, non uccidere. Ponetevi fra i due eserciti, quello del Kaos e quello del Destino, e separateli.”.

“È  impossibile!”.

“Ma è quello che voglio! Non mi contraddire, ti prego! Che ti piaccia o no…tenetevi pronti. Manca poco alla vostra entrata in campo”.

La guardiana era preoccupata.: “Tu sai che le essenze, senza un corpo fisico, non possono sopravvivere per più di 24 ore al di fuori del Regno delle anime? Spero di sì…Adahel…”.

Adahel?

“Sì, certo che lo so. Non è un problema. Nel caso che la battaglia si dovesse protrarre più a lungo del previsto,  avevo in mente di dividervi in due gruppi, che si scambieranno al calare della notte. Decidi tu in base a cosa dividerli. Non dovresti avere carenza di personale..”.

“No di certo. Ho carta bianca dunque?”.

“Assolutamente. Io avrò ben altro a cui dedicarmi…”.

I due restarono in silenzio, ascoltando il vento.

“Non ti invidio, Equilibrio. Non vorrei mai scontrarmi con il Kaos!”.

“Neanch’io” ammise il Dio dell’Ordine “Preparati per un mio segnale. Ormai la guerra è imminente”.

Lilim sospirò. Con un inchino si congedò da Kasday e volò via, verso la sua schiera di essenze che attendevano ordini.

L’Equilibrio riprese il cammino. Tornando verso la sua dimora, avvertì tutta la tensione nell’aria.

Si fermò alla fonte magica e concentrò le sue forze, creando una barriera attorno ad essa ed alla grotta da cui nasceva, poi bevve qualche sorso, avvertendo la sua carica nelle vene.

Fece in modo che Vereheveil, i bambini e la Pace entrassero in quella grotta, protetti. Forse era presto ma era meglio non rischiare: avvertiva l’odore del conflitto nell’atmosfera. Poi ripartì, creando una barriera simile attorno al villaggio delle sue creature. Risalì la ripida collina verde che divideva la valle. Giunto in cima, vide che il Dio della Vita e la Dea della Morte stavano lottando fra loro.

“Una volta…” iniziò a parlare il Dio dell’Ordine “…Vita e Morte si sfidavano giocando a scacchi!”.

Fermò con una mano la falce della figlia.

“Oh, dai! Papà! Cioè…mamma! Non fare così! Non stiamo litigando! Ci esercitiamo!”.

“Preferirei che voi vi esercitaste in modo diverso!” commentò, sarcastico, Kasday. “Lui…lei…hem…Kasday ha ragione!” esclamò il Dio della Vita “Noi non dovremmo combattere!”.

La Morte depose la falce, sorridendo e scuotendo il capo: “Non ci si può neanche divertire!”. Kasday percepì qualcosa di umido scendergli dalla fronte.

Piove? Si chiese. Impossibile. Sono io che faccio piovere!

Con due dita si toccò la fronte. Sangue! Era sangue! Alzò lo sguardo ed il Dio della Vita urlò. L’Equilibrio ringraziò gli alti per aver portato al sicuro la maggior parte dei presenti sul Pianeta, mentre una risata squarciò il silenzio. Un angelo Messaggero era conficcato, per il ventre, all’asta che stava sulla cima della cupola della dimora dell’Ordine ed il suo sangue scorreva per le pareti, fino a piovere sul terreno.

“Questo succede a chi osa spiarmi!” tuonò il Kaos, autore di quel gesto raccapricciante.

L’angelo si agitò ancora, in un ultimo spasmo di vita, per poi lasciar cadere le braccia, inermi, morendo ad occhi spalancati.

Dietro al Dio del Disordine si ammassava un esercito, nero e minaccioso, di demoni e creature del Kaos.

“Bastardo!” urlò una voce femminile. Era la Dea del Destino, apparsa dall’altro lato del cielo: “Bastardo! Hai ucciso il mio Messaggero! La pagherai per questo!”.

Ovviamente era attorniata dalla luce bianca emanata dai suoi seguaci alati.

L’Equilibrio guardò entrambi.

Era questo il Pianeta! Si attaccheranno qui! La guerra finale si svolgerà nel mio Mondo!

Urlò il nome di Lilim .L’ultima goccia:  il vaso era traboccato ed ora iniziava la guerra.

 

 

Perché sul mio Pianeta?

Si chiese, in principio, mentre le anime andavano a sistemarsi fra i sue eserciti rivali.

Ma certo! Terreno neutrale…chi vince se lo prende! Se uno dei due muore…se entrambi muoiono…se io muoio…

Tentò di scacciare certi pensieri dalla testa.

Alcune delle creature del Pianeta erano fuori dal villaggio, protetto dalla barriera. Si apprestò a proteggerle dagli attacchi degli Dèi, coprendole con le ali ed accompagnandole fino a casa. Piangevano ed invocavano aiuto, in preda al terrore. Kasday mormorò loro qualche parola di conforto e di scuse. Fortunatamente era molto più alto di loro e riuscì ad avvolgerle, senza difficoltà.

“Ti dai troppa pena per quegli esserini. Sono dei comunissimi mortali!” gli gracchiò contro il Kaos “Se ne muore uno, ne rifai tre! Sono cosetti senza importanza”.

“Anche quelli che hai, ora, dietro di te, Disordine, sono dei cosetti senza importanza. Eppure sono lì in attesa dei tuoi ordini. Sono disposti a sacrificare la vita per te! Morire per servirti!” fu la risposta dell’Equilibrio.

Il Kaos si rabbuiò, accentuando il nero del fumo che lo avvolgeva: “Le tue ali bruceranno, figlio mio. Le tue ali saranno cenere, prima che tramonti il Sole!”.

Il Dio senza tratti lanciò una sfera di luce contro il figlio. La magia sprigionata da quella palla fu facilmente deviata dall’Equilibrio, che rimase coperto di polvere a causa dello spostamento d’aria, ma illeso. E illese rimasero pure le creature e le loro abitazioni.

“Credi di sconfiggermi con così poco?” chiese Kasday, che poi si rimproverò per averlo provocato. “Certo che no, saputellone! Oggi non sei tu il mio obbiettivo!” gli rispose il Kaos, volando oltre le nuvole.

 

 

Entrambi i creatori rivali davano ordini al capo dei loro eserciti.

“I tuoi uomini sono pronti, Satanahel?” tuonò il Disordine.

“Come sempre!” rispose il demone.

“Bene! Benissimo! Sai qual è il mio obiettivo: distruggere tutte le creature governate dal Destino e distruggere quella troia narcisista il più in fretta possibile. Non mi deludere!”.

“Sì” si limitò a rispondere Luciherus.

“E ricorda, Principino, che io ti controllo da molto vicino…” accompagnò quelle parole toccando il punto dove, un tempo, batteva il cuore del demone “Ricordati: il tuo cuore mi appartiene. Fai qualche stronzata e lo faccio fermare! E, soprattutto, sii deciso nella tua battaglia. Se io muoio…muori anche tu!”.

“Lo so” Luciherus non aveva più luce negli occhi.

“Concentrati su Mihael, è l’unico che sa combattere in mezzo a quel branco di piccioni troppo cresciuti!”.

“Sarà un vero piacere!” sogghignò il Principe, passandosi la lingua sulle labbra.

Un sorriso sadico e beffardo comparve sul suo viso.

Il Dio del Kaos volò ancora più in alto. Luciherus espanse la sua luce ed iniziò ad inviare ordini precisi alle sue truppe. Era stato un angelo e conosceva benissimo ogni loro strategia e punto debole: “Uccidete, dilaniate, fate ciò che volete…ma Mihael deve restare a me!”.

Un urlo si levò da tutto l’esercito dei demoni e delle creature del Kaos, anche quelle non volanti che erano state materializzate a terra e che guardavano in alto. Tutti ringhiarono e gridarono, minacciosi, mentre tamburi di guerra rimbombavano incessanti, sempre più veloci.

Una battaglia principalmente aerea…che spasso! Si disse Luciherus, sfoderando la spada, nera come la notte.

“Asmodai! Prendi con te i Duchi e i Conti dei demoni, assieme alle creature d’ombra che li circondano, ed attacca i Principati, che sono pochi, e i Cherubini”.

“Cosa sono i Principati?”.

“Ti sembra il momento di chiederlo?! È una gerarchia angelica, brutto pirla! Sbucano solo in caso di emergenza, assieme alle Dominazioni, ai Troni ed ad altri che non ti devono interessare. Collaborano con i Cherubini e i Serafini, che sono addestrati alla guerra. Sono le uniche creature del Destino che potrebbero crearci dei problemi. Concentrati sui Cherubini. I Serafini lasciali a me”. “Sissignore. E gli altri?”.

“Chi? Gli Arcangeli? L’unico che può interferire, in qualche modo, è Mihael. Lascialo a me e rilassati. Gli altri a piuma dorata possono, al massimo, minacciarti con un giglio o supplicare pietà! Tu concentrati sui Cherubini e sta tranquillo!”.

 Insisteva sul punto riguardante i Cherubini. Voleva essere sicuro che la testa d’uovo che aveva di fronte capisse bene ciò che doveva fare. Alzò la voce, facendosi udire da tutti: “Gli altri vengano con me. Il nostro obiettivo sono i Serafini, i più addestrati a combattere. Le milizie a terra si concentrino sulle presenze che la Dea del Destino sicuramente invierà contro di voi. Avanti! Alla battaglia!”.

 

 

Fra gli angeli e le creature del Destino si udiva solo la voce dolce e ricercata di Mihael.

“Non importa se un tempo erano come noi” iniziò a parlare l’Arcangelo guerriero. “Non importa se, un tempo, alcuni di loro erano angeli. Ora sono qui per distruggerci. Ricordate che non avranno né pietà né rispetto nei nostri riguardi. Combattete per il vostro Mondo, per la vostra famiglia, per il vostro futuro! Non permettete che il caso vinca sul destino!”.

“Belle parole!” lo interruppe Urihel, con il suo solito sguardo strafottente “Belle davvero! Peccato che loro siano molti di più. Noi siamo in pochi e loro sono migliaia, e tutti pronti a spiumarci e sbranarci! Sono dei pazzi incivili!”.

La Dea del Destino, che percepì dei dissidi fra le truppe, apparve dietro a Mihael, mettendogli una mano sulla spalla:  “Noi non chineremo il capo! Noi combattiamo per la Pace!”.

“Ma è un controsenso!” protestò Rahahel.

“Concordo con Raf!” affermò Gibrihel.

“Basta, sovversivi!” tuonò Mihael.

“Ma ragiona, Mik! Hanno ragione! È come odiare in nome dell’amore!” disse l’Arcangelo dell’Amore puro.

“Io combatto per il mio pianeta e per la mia gente! Voi fate quello che volete, massa di codardi senza spina dorsale! Andatevene, se preferite! Mi auguro, però, di non incrociare il vostro sguardo da traditori in futuro, perché non avrei problemi ad usare la mia spada contro di voi!”.

“A me sta bene, coglione!” ringhiò Rahahel “Io non sono un traditore! Non appartengo alla Dea del Destino, che mi ha tolto l’immortalità e i favori da secoli! Perciò io sono libero di fare quello che mi pare! Ci tengo a vivere! Forse non l’hai capito che, se vieni colpito a morte, la tua vita finisce…”.

L’Arcangelo guaritore lasciò lo schieramento e volò verso terra.

“Lo so benissimo!” gli rispose Mihael.

Urihel seguì il suo collega verso terra e così fece Camahel, l’amore puro, e Gibrihel.

L’Arcangelo guerriero riprese a parlare, rivolto al suo esercito: “Se loro vogliono essere uccisi che facciano pure. Non hanno futuro. Ma noi siamo qui per difendere ciò in cui crediamo! Unitevi, fratelli miei! Odiate, se ci riuscite!”.

 Rahahel volò in fretta verso il Pianeta dell’Equilibrio: “Sei uno stupido, Mihael!”.

Decise che sarebbe stato molto più utile a terra, a curare i feriti ed i caduti.

I Serafini si ammassarono, espandendo le loro luci fiammeggianti ed i Cherubini si schierarono subito sotto di loro, a spada sguainata.

 

 

Le anime richiamate dall’Equilibrio formarono una barriera, dividendo i due eserciti che si fissarono di soppiatto. Kasday tentò di individuare il Kaos, sparito dalla sua vista.

Ha lasciato qui da soli i suoi eserciti? Impossibile! Dove si e cacciato?

La Dea del Destino incitava i suoi popoli, avvolgendoli con la propria luce bianca. I demoni e le creature del Disordine si scagliarono contro i loro nemici, abbattendosi sulle essenze che però  resistettero. Sull’altro fronte, andarono all’attacco gli angeli e le creature del Destino. Le anime, fra due fronti, respinsero ogni colpo.

Luciherus e Mihael si librarono più in alto della barriera di creature eteree ed iniziarono a combattere fra loro.

“Attenti ai Duchi, miei soldati! Sono i più aggressivi!” urlava la Dea dai mille specchi.

I Serafini, con più ali e più imponenti, crearono uno schieramento tinto di blu, il loro colore. Sotto di loro i Cherubini spalancarono le loro ali cremisi e fiammeggianti. A volte, in mezzo allo scontro, alcune anime venivano sconfitte, permettendo ai due schieramenti di entrare in contatto.

Ora anche la Dea del Destino era scomparsa, oltre le nuvole e Kasday prese il volo, spalancando le ali blu. Gli Dèi, che nel frattempo si stavano radunando sul Pianeta, presero posizione: chi con il Kaos, chi con il Destino e chi con l’Equilibrio.

Un lampo ed un tuono attraversarono il cielo, mentre il vento si fece più forte ed iniziò a piovere, una tempesta gelida provocata dallo scontro degli Dèi degli eventi atmosferici.

 Il Dio dei Sogni e delle Paure apparve, accanto alla madre ed alla sorella, su una sporgenza di roccia dalla quale si vedeva la valle. Il Dio spalancò gli occhi, completamente bianchi, attirando l’attenzione su di sé. Dopodiché lanciò un grido, agghiacciante e terribile, che instaurò il terrore nell’animo di tutti i nemici di suo padre Kaos.

Rahahel cadde in terra, ad occhi spalancati. Piangeva: “Perché fate questo, fratelli miei? Basta!”.

Cercava di curare tutti i feriti, ma le sue forze si stavano attenuando, così come la sua speranza.

Ed ora era pure spaventato a morte! Guardava Luciherus e Mihael ed anche l’Equilibrio li osservava. Il loro scontro sembrava una danza, malvagia e spietata. Le loro spade si incrociavano, sprigionando scintille d’argento, e con movimenti rapidi e precisi, si alternavano fra attacchi e respinte. Paravano e colpivano, con sempre più forza.

“Ricordi l’ultima volta come ti ho sconfitto?” domandò Mihael.

“Tu non mi hai sconfitto, verme! Ne hai approfittato!”.

“Io non sono come te! Io sono un essere di luce! Vivo nell’eterno Mondo degli Angeli! Tu invece sei un caduto, un dannato, un maledetto! Vivi nella polvere ed è ora che tu ci torni, nella polvere!”. “Mangiala la polvere, schifoso!”.

Un fendente particolarmente forte sbilanciò l’Arcangelo, che però riuscì subito a reagire ed a rispondere al colpo.

 

 

Kasday li guardava, sospirando. Il Kaos stava alla sua sinistra, con aria minacciosa e la lancia degli Hainuet nella mano destra. La Dea del Destino, sul lato opposto, sguainò la spada dei Denian.

L’Equilibrio stava nel mezzo, girando gli occhi per tenerli entrambi sotto controllo.

Senza preavviso, le due divinità nemiche si scagliarono l’una contro l’altra ed  il Dio dell’Ordine materializzò fra le mani due scudi, uno sulla destra e uno sulla sinistra, parando entrambi gli Dèi. Incassò i colpi, con decisione, e rimase fermo, al centro, dividendo i due contendenti.

 

 

“Ricordi quando eravamo bambini?” Rahahel guardava Urihel, che era atterrato sul Pianeta e stava seduto al suo fianco. “Ti ricordi come quei due, Lucy e Miky, litigassero di continuo? Ma mai si scontravano in questo modo…”.

“Perché pensare a quando ci eravamo appena affacciati alla vita, ora che siamo così vicini alla morte?” rispose Urihel, acido.

“Non dire così…c’è qualcosa che non và in Lucy. Ha una faccia…strana…sembra posseduto! Mi vien voglia di prendergli la testa fra le mani e scuoterla per liberarlo!”.

“Posseduto da chi, scusa? Da un angelo?” ridacchiò Urihel.

“Teoria interessante…piuttosto…dovremmo cercare di fermarli! Altrimenti si uccideranno!”.

Urihel alzò le spalle: “Sono stanco di fare il cretino che deve sempre separarli. Senza contare che ora loro sono armati e se mi intrometto mi ammazzano!”.

 Gli abitanti dei vari Mondi si scambiavano insulti e grida, carichi d’odio.

 “Mi fate schifo. Dovete morire tutti!” sibilò Gibrihel, seduto a sua volta.

Urihel si reggeva la testa, in balia dell’emicrania. Era così abituato al silenzio che tutto quel rumore lo faceva impazzire: perfino gli angeli Messaggeri litigavano e si insultavano!Gli Arcangeli, e gli Dèi che si erano schierati dalla parte dell’Equilibrio, si presero per  mano ed iniziarono a pregare la Pace. Erezehimsay, stanco ed abbattuto, si unì al coro pregante, ricordando il suo antico maestro.

 

 

Nel frattempo, lo scontro fra i tre creatori si faceva sempre più aspro, così come la battaglia tra Luciherus e Mihael. La Dea della Guerra rideva, osservando ogni cosa, mentre frecce e dardi attraversavano il cielo, con lingue di fuoco e barlumi d’argento.

L’Equilibrio resisteva, anche se le braccia e le spalle subivano violente percosse e strappi.

 Il Kaos e la Dea del Destino, sempre più irati per l’impossibilità di scontrarsi, decisero, pur senza parlarsi, che era necessario liberarsi dell’Ordine per potersi battere fra loro. Così, i  loro colpi si fecero sempre più potenti ma Kasday restava impassibile, senza cedere.

Era uno scontro senza fine. Tremava dal freddo e ansimava dallo sforzo ma non poteva attaccare! Non poteva colpire! Doveva difendere e tenere i due separati.

Ad ogni urlo del Kaos, un lampo squarciava il cielo, accompagnato da un tuono profondo che faceva vibrare il terreno.

Anche la popolazione del pianeta iniziò a pregare per il loro Dio e per la Pace. E la Dea della Pace, non potendo sopportare oltre, uscì dalla grotta in cui stava, avvolse gli eserciti con la sua luce arcobaleno ed iniziò a cantare.

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Capitolo 30
*** XXX- Canti divini ***


XXX

 

CANTI DIVINI

 

 

Lo scontro di molti finì. Avvolti dal canto della Dea della Pace, molti litiganti si fermarono, incantati dalla voce e dalla melodia della divinità. Luciherus e Mihael si guardarono negli occhi, a spade incrociate, con sguardo di sfida. Nessuno dei due si muoveva. Immobili, sospesi nel cielo, come statue di pietra, si fissavano ansando. La luce tornò, per un istante, negli occhi del Principe dei Demoni. Nella mente dei due erano apparse immagini del passato, ricordando quando erano bambini. Luciherus vedeva se stesso da piccolo, in un grande prato, che correva ridendo. Le sue piccole ali dorate fremevano al vento. Scappava, o forse di nascondeva, per gioco, dall’Arcangelo Mihael. Anche l’Arcangelo Guerriero ricordava episodi felici, di quando era bambino, momenti che trascorreva con il gemello, ovvero colui che aveva davanti. In mente gli apparve il canto che facevano tutti assieme quelli della sua classe.

“Fratello” mormorarono, ed entrambi deposero le armi, abbassando le braccia.

 

 

Al canto della Dea Eleniel, si unirono le voci degli Arcangeli in terra e degli Dèi neutrali. In ognuno dei presenti, quel coro aveva fatto risvegliare qualche bel ricordo custodito nel cuore. Anche l’Equilibrio ricordava quando era bambino, ricordò la notte in cui era nato, quando il padre lo teneva sollevato in aria, stringendolo con sole due dita, fissandolo con occhi malvagi. Ricordò di non aver avuto paura, ma solo il desiderio di essere abbracciato da quell’omone fumoso e minaccioso. Le altre due divinità creatrici, il Kaos e la Dea del Destino, si erano momentaneamente arrestate, e si fissavano.

Ricordate anche voi la vostra infanzia? Kaos…ricordi tuo fratello? Stai male per quello che gli hai fatto?

Uno stano lamento giunse alle orecchie del Dio dell’Ordine.

Luciherus?

Il demone gemeva, tenendosi la testa, ed iniziò ad urlare contro il Dio del Disordine.

“Smettila di addossare su di me tutto il peso delle tue colpe! Basta! Basta!”.

Il principe scuoteva la testa, come per liberarsi da un dolore incessante o da una voce interiore.

“TU hai ucciso tuo fratello, non io! Piantala!”.

 Scoordinato nei movimenti convulsi che faceva, Luciherus cadde, precipitò, al suolo. Boccheggiando, si rialzò, tenendo una mano dove una volta stava il suo cuore. Ringhiò, mentre Mihael atterrò accanto a lui.

“Non infierire, piccione. Sono affari che non ti riguardano!” sibilò il Principe.

Mihael non rispose, ma si unì al coro di voci che intonava un canto per il Pianeta.

 “Voglio che tutto questo finisca” bisbigliò Luciherus “Voglio essere libero, come non sono mai stato. Eppure era l’unica cosa che volevo…”

Guardò in alto, respirando a fondo, strinse i pugni ed iniziò a cantare. Con aria di sfida, lanciò così un segnale al Dio che lo controllava: non mi interessa come andrà a finire, ma lasciami in pace!

Kasday e gli altri due creatori guardavano giù. La Dea del Destino lanciava ordini, inascoltati, al suo esercito, cercando di spingerli a ricominciare a combattere. Anche il Kaos sbraitava comandi, ma nessuno si muoveva. Cantavano tutti, perfino le piccole creature del villaggio dell’Equilibrio e gli Dèi bambini.

“É finita!” iniziò a parlare il Dio dell’Ordine “Loro non vogliono più combattere. Loro non vogliono che uno solo di voi regni”.

Il Kaos ringhiò, furioso. A lui non bastava, di certo, dividere il potere con qualcun’altro! Strinse fra le mani la lancia degli Hainuet, l’unica arma, oltre alla spada dei Denian, in grado di uccidere un Dio, e, con un colpo deciso, trapassò la Dea del Destino. Kasday non riuscì ad impedirlo e la Dea nemmeno se ne accorse, intenta com’era a lanciare ordini. La lancia entrò ed uscì dal suo petto e lei cadde, chiudendo gli occhi. Vereheveil, uscito a sua volta dalla caverna, la afferrò prima che si schiantasse al suolo. A nulla servirono le cure di Rahahel, la Dea morì ed un pianto sommesso si diffuse fra i suoi popoli. Al Dio delle Letterature si rigarono le guance con lacrime dorate e fu silenzio.

L’Equilibrio rimase immobile, si voltò verso il padre: “Brutto idiota! Che hai fatto?!”.

 Il Kaos si mise a ridere, osservando la magia scintillante che grondava dalla punta della sua lancia. “Non farti sopraffare da lui!” urlò Vereheveil “Non farti sconfiggere! Distruggi quel bastardo! Annientalo! Non farti sconfiggere!” pieno di ira, sbraitava al cielo.

Facile a dirlo…vieni tu qui, se credi che sia una cosa semplice!

“Io…non ho svolto il mio ruolo”.

“Era inevitabile!” urlò Luciherus “Non fermarti per questo! Combatti!”.

“Ma io non posso colpirlo! Disobbedirei agli Alti!”.

“Ci sarà sempre qualcuno al di sopra di te. Anche al di sopra degli Alti!” il Dio del Tempo aveva detto questo.

Con le braccia spalancate, fece volare fino all’Equilibrio la spada dei Denian appartenuta alla Dea del Destino. Kasday la guardò, poco convinto. Allungò le mani e la impugnò, pur continuando a tenere stretto uno dei suoi scudi. Con una piroetta si girò di scatto, respingendo un colpo a lui rivolto dalla parte del Kaos. Scese di qualche metro, allontanandosi dal padre.

Non sapeva cosa fare. L’Equilibrio era spezzato e sentiva la sua forza indebolirsi.

“Hei!” gli urlò contro Luciherus “Tutti noi abbiamo dei problemi! E tu che sei un Dio, dovresti saperlo! Magari è un’ impresa disperata cercare di fermarlo, ma è quello che devi fare. Perciò muovi il culo e fai ciò che devi!”.

“Traditore!” sibilò il Kaos, mandando una morsa dolorosa al cuore del demone, che però non emise un solo gemito.

L’Equilibrio tornò a guardare il padre, che aveva gli occhi carichi di odio. Vide che la Dea della Morte si stava avvicinando al corpo della Dea del Destino per accompagnare la sua essenza nel regno delle anime.

“Fermati, figlia mia” esclamò il Dio dell’Ordine “Non ancora, per favore”.

La Morte si fermò: “Come vuoi…” e tornò a concentrarsi sulle creature che erano giunte alla fine della loro vita durante la guerra.

La popolazione del Destino si era ammutolita. Gli Arcangeli, i signori del cielo, si chiedevano se ora sarebbero invecchiati e poi morti, non avendo più la Dea a donargli immortalità.

Al contrario, gli abitanti dei regni del Kaos esultavano ed urlavano. Gli angeli caduti stavano in silenzio, seguendo l’esempio di Luciherus che ringhiava contro il suo padrone. Il Dio della Vita piangeva. Era necessario, Kaos? Si chiedeva. Non ti bastava la guerra? Dovevi proprio ucciderla?

I tamburi ripresero a battere incessanti.

“Kaos…” iniziò a parlare l’Equilibrio, senza guardarlo “…non provi pena per tutte queste creature che stanno morendo e che sono morte per te?”.

“Ma neanche un po’! Perché dovrei? Conosci la canzone degli Dèi? Recita così: sei disposto a morire per noi, o no? Evidentemente loro sono disposti a farlo!”.

L’Ordine chinò il capo: “Ma recita anche: sei disposto a sacrificarti per noi, o no? É un dare e un avere. Dovresti anche tu dare qualcosa a loro…”.

Il Kaos riprese a ridere, fragorosamente: “Mi stai dicendo che dovrei morire per questo branco di mortali? Che bella battuta, figlio mio. Hai senso dell’umorismo!”.

“Un Dio dovrebbe essere disposto ad  immolarsi per salvare il suo popolo, così come la sua gente è pronta a morire per lui. Forse tu non lo farai mai…ma io si. Io sono disposto a tutto per salvarli”. Kasday si unì al coro delle voci. Sempre più persone cantavano e la Della Guerra storceva il naso, infastidita. Suo figlio, il Dio dei Sogni e delle Paure, alzò la sua voce ma venne coperto dalla canzone che intonava la Dea della Pace assieme a tanti altri. Il Kaos, scocciato da tutto quel cantare, si fiondò verso terra, con l’intento di colpire la Dea della Pace. Kasday lo fermò e lo respinse: gli puntò la spada alla gola. Il Dio del Disordine ridacchiò e riprese quota: “Tanto so che non mi puoi colpire!”.

“Non lo voglio fare. Ma non mi costringere. Riprendi il volo, torna in cielo, e lascia stare la Pace e i bambini”.

Il Kaos sospirò: “Sei pazzo se credi di battermi. Sei già debole…”.

Il Dio rise, facendo tremare il terreno.

“Piantala di ridere” ringhiò Luciherus.

I due Dèi creatori si affrontarono, in aria. Kasday avvertiva la rabbia del padre aumentare ad ogni colpo. Perché? Perché mi odi così tanto? Io non voglio distruggerti…

Il Kaos lo colpiva sempre più forte e l’Equilibrio si limitava a parare ogni attacco.

 

 

“Che cosa fa? Perché non lo colpisce a sua volta?” si chiese Mihael.

“Non può” rispose il Dio del Tempo “L’Equilibrio non può attaccare. Deve solo difendersi!”.

“Ma così facendo, morirà!”.

“Lo so. E lo sa. Ma non può fare altro. Non vuole…credo…”.

“É un suicidio!”.

“Che sia!” si intromise Luciherus “Se vince il Kaos, saremo tutti spacciati perché i Pianeti collasseranno, senza controllo. Lui si farà una bella risata e ricreerà un nuovo Universo. Se, invece, vince l’Equilibrio, con la morte del Kaos non ci sarà più ordine, che non può esistere senza disordine. Resteremmo senza Dèi ed affronteremmo la stessa sorte…morire! Oggi moriremo…”.

“No! Io non voglio!” urlò Vereheveil.

“Tu sei un Dio…forse il tuo futuro sarà diverso…”.

“No”  rispose il Tempo “Se i popoli non esistono, anche gli Dèi si spengono”.

“Il mio Kasday morirà?” gemette il Dio delle Letterature, abbracciando suo figlio.

Il Tempo non rispose subito: “Possiamo solo sperare che gli Alti facciano qualcosa”.

 

 

Il Kaos lanciò diverse sfere di magia contro il Pianeta, deciso a distruggerlo. Kasday spalancò le ali per fermarle ma non  riuscì a bloccarle tutte. Le sue piume divennero cenere, in contatto con l’enorme quantità di energia. Il sole stava tramontando e le schiere di essenze si scambiarono, permettendo alle anime di tornare nel loro regno prima dello scadere delle 24 ore.

L’Equilibrio, allarmato per non aver deviato tutte le sfere, scese verso terra per controllare i danni. “State tutti bene?” domandò.

“Sì. Tranquillo! Tu piuttosto..” si preoccupò Vereheveil.

“Sto bene…” anche se le ali gli bruciavano ed erano ormai cenere.

Stavano così vicini, guardandosi negli occhi…e gli occhi dell’Equilibrio si spalancarono.

Stava provando una sensazione molto familiare: la lancia degli Hainuet gli attraversava il petto, da parte a parte. Vereheveil lanciò un grido, i bambini si misero a piangere, la Guerra distolse lo sguardo e Luciherus guardò il suo capo, allarmato. Arrivi a questo punto? Hai ucciso tuo figlio?

“Quante volte devo vederti morire ancora, figlio mio?” domandò il Kaos.

Ma l’Equilibrio sorrise. Girò il viso, mordendosi le labbra.

“Te lo avevo detto che non ero più vivo…” sussurrò al Dio della Letteratura.

Scoppiò a ridere. Estrasse la lancia, con una smorfia di dolore, e la gettò in terra. Con il semplice gesto di una mano, si curò e spalancò le braccia, avvolto dalla luce, mentre le sue ali ricrescevano più grandi e più belle.

“Questa volta non conta…papà. Non mi puoi uccidere! Io ho fatto un patto con gli Alti. La mia vita appartiene a loro! Mai potrai porre fine alla mia esistenza, finché loro non lo vorranno!”.

Calò il silenzio più assoluto. Nessuno parlò più.

“Brutto mostriciattolo!” lo apostrofò il Kaos, furioso.

Il Dio senza tratti somatici espanse la sua luce, oscurando il cielo, mentre le ali di Kasday coprivano il sole.

“Io sono il Dio del Disordine! Come osi contraddirmi ed ostacolarmi?!”.

L’Equilibrio lo guardò, alzando la testa, con occhi dolci e sorriso sincero: “Non esiste il Disordine…solo Ordini diversi!”.

Il Kaos, turbato da quest’ultima affermazione ed irritato dall’espressione idiota che aveva il figlio, si tornò a scagliare contro la caverna dove stavano gli Dèi bambini.

“Tu non farai del male ai piccoli!” gli ordinò Kasday.

“Invece sì! Morirete tutti! Distruggerò ogni cosa! Sono esausto! Sono stufo! Mi avete stancato…tutti quanti!”.

Prese velocità. L’Equilibrio si pose fra lui e la sua meta, deciso a fermarlo.

Ma in che modo?

Era veloce e determinato…lo avrebbe fatto volare all’indietro e poi avrebbe continuato verso il suo scopo.

Cosa voleva dire? Era stanco? Voleva, forse, non essere più un Dio? Perché gli altri Dèi non fanno nulla? Aspettano che io muoia, prima di muoversi?

Non aveva altra scelta…

Il Kaos scaraventò contro il figlio tutta la sua rabbia, convinto di trovare uno scudo a fermarlo.

I due Dèi si scontrarono, uno contro l’altro.

“Perdonami papà…” mormorò l’Equilibrio.

Il padre non gli rispose. Lo guardò, con sul viso un’espressione di stupore, con la spada conficcata nel ventre. Rimasero così, uniti, mentre il firmamento si annuvolava. Il creatore del Pianeta piangeva e dal cielo scesero gocce color dello zaffiro. La luce nera del Kaos si spense e Luciherus cadde in terra, senza emettere un suono: non brillava più.

 

 

L’Equilibrio adagiò il Disordine al suolo, accanto alla Dea sua rivale, sull’erba che ora era umida di pioggia turchina. Si guardò le mani, sconvolto dal suo gesto. Era tutto finito: aveva disobbedito ad ogni regola. Aveva lasciato che la Dea del Destino morisse ed ora aveva usato un’ arma contro una divinità. Aveva ucciso un Dio, aveva ucciso il Kaos. Aveva ucciso suo padre!

Una luce bianchissima e molto forte avvolse il pianeta.

Gli Alti. Sono venuti a prendermi. Sono venuti a punirmi.

“Le regole erano chiare” una voce profonda si espanse nell’aria. Kasday stava inginocchiato accanto ai due creatori senza vita. “Le regole erano chiare, Equilibrio. Tu non dovevi attaccare. Non dovevi usare armi. Non dovevi uccidere!”.

“Non avevo altra scelta. Mi sono solo difeso. Non potevo fare altro”.

“No, non è così! Hai trasgredito alla nostra legge ed ora devi pagare! L’Equilibrio non esiste più…”.

“Non è vero!” esclamò il Dio dalla luce arancio – dorata, alzandosi “Io esisto! Ed esisterò per sempre! Nel cuore di chi crede in me!”.

Siete irati con me? Ebbene, potevate aiutarmi! Potevate non costringermi a fare questo! Ora volete distruggermi perché ho salvato i miei piccoli? Perché ho protetto chi amavo? Non è giusto! No! Non deve andare così!

“Vita! Dio della Vita!” urlò Kasday, guardando verso il cielo, dove vedeva gli Alti che si avvicinavano “Dio della Vita! Dimmi i loro nomi! Dimmi i nomi della Dea del Destino e del Dio del Kaos! Dimmi i loro veri nomi!”.

Il Dio della Vita tremava: “Che vuoi fare?”,

 “Dimmeli! È un ordine!”.

Non potendo pronunciarli, per non farli sentire agli altri, il Dio della Vita parlò nella mente dell’Equilibrio, inviandogli i due nomi. Kasday li percepì chiaramente e sorrise.

Si inginocchiò accanto alle due divinità distese a terra e ripeté i loro nomi, i loro veri nomi, a bassa voce.. Una forza spaventosa lo sollevò da terra, avvolgendolo. Chiuse gli occhi, combattendo fra due luci. Gli Alti tentavano di afferrarlo e di fermarlo.

E adesso? Che cosa mi succederà? Morirò oppure…

E l’immensa carica magica lo scaraventò di nuovo verso terra.

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Capitolo 31
*** XXXI- Redenzione ***


XXXI

 

REDENZIONE

 

 

“Buongiorno, fiorellino!”.

Una voce metallica salutava Luciherus, che si risvegliava.

“Non sono morto?” chiese il Demone, confuso.

“No, non ancora”.

Quella voce…si chiese il Principe. Quella voce…dove l’ho già sentita? Il Kaos!

“É stato tutto un sogno! E che strano sogno…io ora sento la tua voce, ma ho sognato la tua morte!”. Sogghignò, ad occhi chiusi. Aprendoli vide di essere avvolto in lenzuola blu e porpora.

“Questa è una cosa strana…” si accorse subito che qualcosa non andava. Se era tutto un sogno, cosa ci facevano i colori dell’Equilibrio nel suo letto? “Dove sono e che cosa è successo?” chiese.

“Sei morto per un po’…ma ora stai bene. Devi solo riposare” l’Arcangelo Rahahel gli stava vicino, sorridendo.

“E tu cosa ci fai qui, pennuto?!”.

“Non fare il bruto con me! Ti ho anche curato! Potevo lasciare che tu morissi! Ingrato…” incrociò le braccia, offeso.

“Me ne ricorderò. La prossima volta ti lascerò morire” di nuovo la voce del Kaos.

“Dove sono?” chiese Luciherus, sempre più convinto di avere i postumi di una sbornia addosso e non le conseguenze di una guerra.

Sto impazzendo…sento le voci. O forse no? Se il Kaos è vivo…allora Kasday è…

Chiuse gli occhi. Non voleva pensaci. E non voleva pensare al fatto che, se il Kaos era vivo, era ancora suo schiavo.

 “Sei nel palazzo dell’Equilibrio” rispose il Guaritore.

“La guerra è finita?”.

 “Sì e no”.

“In che senso?”.

“É complicato…”.

La voce del Kaos tornò a farsi sentire nel buio della camera: “Rahahel, puoi andare. Lasciaci soli, per favore. Ora sta bene. Puoi tornare a casa”.

L’Arcangelo si inchinò leggermente ed uscì, canticchiando di buon umore. Quando chiuse la porta dietro di se, la figura nel buio avanzò. Il demone respirò lentamente.

Mi hai salvato per ora torturarmi? Perché Rahy non è rimasto nella stanza?

“Stai bene? Vuoi un po’ d’acqua?”.

“Acqua?” ridacchiò il Principe “Quando mai?!”

“Non vorrai mica ricominciare subito a bere, vero? Piccolo stupido…”.

Da quando ti preoccupi per la mia salute? Ma…quella voce…

“Cugino?”.

 “Sì e no…”.

“Spiegati!”.

La figura andò a sedersi accanto al demone e venne illuminata dalla luce rossa: era completamente coperta. Sulla testa era calcato un pesante cappuccio, mentre una maschera cremisi celava la parte sinistra del viso, più buona parte della fronte, senza fessure per l’occhio di quel lato. La mano sinistra era infilata in un guanto di velluto e tutto il corpo era avvolto in una veste ampia, che ne nascondeva ogni tratto.

“Fa freddo? Che fai così imbacuccato? E, soprattutto, sei mio cugino o sei tu, Kaos, che ti diverti?”. L’unico occhio che appariva sotto tutta quella stoffa era azzurro e molto triste. E stanco.

Forse piangeva, e il Kaos non piangeva mai.

“Cosa ti è successo, Equilibrio? Perché nascondi il viso? La guerra l’ha sfigurato?”.

“Alla Dea della Guerra piacerebbe sfigurarmi. Ma non è questo il problema”.

“E allora cos’è?”.

Il Dio sospirò: “Non voglio mostrartelo. Né a te né a nessun altro” si alzò, appoggiandosi al suo bastone.

“Come stanno gli altri? Vereheveil?”.

Il Dio non rispose.

“Avanti! E dai…Kasday! Non dirmi che, dopo Ere di unione, adesso avete litigato! Non ci credo! Allora sei proprio il Kaos che mi sta prendendo in giro!”.

“Non mi va di parlare di questo. Ora riposa. Non immagini quanta gente ti stia aspettando là fuori, Satanahel”.

“Satanahel? Solo il Kaos mi chiama così!”.

Sul ciglio della porta, il padrone di casa si voltò: “Ah, sì. Prima di dimenticarmi, Luciherus…sei libero!”.

“Libero?”.

Il demone non capiva. Libero da cosa? Starnutì.

“Spero non siano le piume, Principe!”.

Piume? Le tue? Si mise a sedere, con la coda a punto di domanda. Un piuma dorata gli scese sul naso. Alzò lo sguardo e  lanciò un grido: aveva le ali dorate.

“Sono un Arcangelo!”.

“Non esattamente. Ora hai quattro ali: due da demone e due da angelo. Tua la scelta di quale usare e di che cosa fare della tua vita. Se vorrai essere Principe del regno dei Demoni, a me sta bene. Sei libero di tornare nel regno degli Angeli, oppure di andartene dove più ti aggrada. Per ora sta tua figlia sul trono. Se non vuoi rivendicarlo, spetterà a lei prendere il tuo posto. Se vuoi tornare al tuo palazzo, sei libero di farlo. Lilith è qua fuori, Erezehimsay la farà entrare, ora che sei sveglio. E d’ora in poi potrai dormire tranquillo: niente più incubi!”.

Luciherus ricadde sul letto, sfinito e sconcertato: “Grazie” sussurrò.

“Di niente. Auguri…e figli maschi!”.

Figli maschi? Ma certo…se la maledizione è tolta…

“Se le corna o altro ti danno fastidio dimmelo. Posso farti cambiare come mi pare…”.

“Sto bene così, cugino. Ma…aspetta…che cosa…”.

Ma il Dio era già uscito dalla stanza, chiudendo la porta.

 

 

L’Equilibrio entrò nella propria camera, scostando una pesante tenda blu oltremare, e si sedette, con la schiena contro il muro. Era stanco, stanco di controllare ogni pianeta. Farlo consumava molta della sua energia. Piangeva..quante volte lo aveva fatto da quando…

Fuori pioveva, di nuovo. Doveva smettere, ma lui non ci riusciva proprio. Si tolse tutte le vesti e si rifletté negli specchi della sala. Erano tanti, anche se storti e di forme strane. Si osservò, con odio.

Gettò la maschera sul bordo del letto, dove dormiva il suo nuovo Messaggero, Nosmagiès.

Glielo avevano affidato gli Alti “Per aiutarti a comunicare meglio con noi e per aiutare Erezehimsay, che ha già molto da fare”. In realtà, lui lo sapeva, era solo per controllarlo.

Invidiava quell’angelo. Aveva i capelli mossi, lunghi su tutta la schiena, del colore del rubino: quasi magenta, con degli occhi grandi e come la giada. Dormiva placidamente. Probabilmente era lì da ieri notte, quando il suo padrone aveva avuto la sua solita crisi isterica e lui aveva cercato di calmarlo. Alla fine, era rimasto a vegliarlo nel sonno, pregando che non succedesse di nuovo. Il Dio, svegliandosi, non lo aveva neanche notato.

Quanto lo invidiava!

Era bellissimo, con le ali argento e il viso dolce. Lui…invece…

Si guardò allo specchio. Senza abiti poteva osservarsi interamente e detestarsi in ogni suo centimetro. Tutto il suo corpo era diviso in due. La parte destra non era di molto diversa rispetto al periodo precedente alla guerra ma la sinistra…era come l’ebano. Era come il Kaos! Priva di tratti sicuri, divideva il suo volto in due metà. Perfino le sue labbra era divise in due: metà erano del colore del sangue e l’altra metà erano lucide e del colore dell’acciaio. Al centro della fronte, dove una volta campeggiava il simbolo dell’Equilibrio, ora stava un occhio, viola. I capelli erano per metà come era abituato: lisci, lunghi ed ordinati. L’altra metà era invece come la capigliatura di suo padre: fumosi e libranti a mezz’aria. Al centro poteva scorgere un ciuffo, che formava una piccola treccia: verde scuro. Nessun dettaglio poteva indicare se era maschio o femmina. In nessun modo poteva, ora, avere rapporti fisici. Si strinse con le braccia, graffiandosi con quella mano nera, così affilata e fredda. L’occhio destro era rimasto il suo di sempre, ed era l’unico che versava lacrime. Quello di sinistra era senza pupilla e contorno dell’iride: era completamente azzurro. Afferrò con le mani le due sferette che continuavano incessantemente a ruotargli attorno alla testa. Fece un passo indietro e la gamba gli inviò un chiaro segnale: finiscila, sono stanca. Faceva male.

“Mi spiace che tu sia zoppo, figlio mio!”.

 “Taci, falso!”.

Lanciò le sferette contro lo specchio che aveva di fronte, mandandolo in mille pezzi: si ricostruì immediatamente. Quante volte aveva infranto quella superficie riflettente! Lanciò un grido, stringendosi la testa, e tornò a sedersi a terra.

Il nuovo Messaggero si svegliò di soprassalto, allarmato dal forte rumore.

“Signore!” urlò, spaventato “State bene?”.

“No! Certo che no!”.

L’angelo scese dal letto, avvolto da una veste turchese, ed andò accanto al suo Dio: “Ricordate che è solo una questione momentanea. Tutto questo passerà non appena le essenze degli altri creatori troveranno un corpo in cui rinascere!”.

Il Dio non rispose. Si guardava le mani.

“Smettete di piangere! Fuori piove incessantemente da tantissimo tempo perché voi piangete! Non lo fate!”.

“Lasciami stare”. Il Dio si scansò.

Una voce femminile parlò, senza che lui muovesse la bocca: “Sei fortunato, Equilibrio. Guardati! Hai delle labbra stupende, senza bisogno del trucco. Gli occhi sono i più belli che esistano e i capelli…”. La mano destra iniziò a pettinarli: “Se solo tuo padre li tenesse un po’ in ordine!”.

 “La finiamo con questi discorsi da finocchi? Ti ricordo che è un maschio, non un invertito!” tuonò una voce ferruginosa.

“A dirla tutta…sono metà femmina. Siamo…” aveva parlato di nuovo l’Equilibrio, con la  voce mista fra il maschile ed i femminile “E, sinceramente, se devo scegliere…”.

“Non lo dire!” esclamò, di nuovo, la voce profonda.

Era brutto avere quell’aspetto, sentire tre voci diverse provenire da sé, ed avere una di queste voci che insisteva per vedersi di continuo allo specchio.

Covava ancora rabbia dentro di sé.

“Và fuori, per cortesia, mio Messaggero”.

Nosmagiès obbedì, chinando il capo, ed uscì dal palazzo, coprendosi dalla pioggia con  un telo.

 

 

Una notte il Dio stava steso sul letto, da solo, chiudendo tutti e tre gli occhi e sprofondando con la testa nel cuscino. Il suo giaciglio era così grande da permettergli di tenere le ali completamente aperte.

La voce della Dea del Destino continuava a discutere con quella del Kaos nella sua testa.

“Basta!” supplicò. Voleva solo silenzio.

 Il suo Messaggero urlò: “Fermi! Non potete entrare! Tornate qui!”.

“Fa silenzio e levati, microbo!” parlò la voce della Dea della Guerra.

Sentì un’ esplosione. Evidentemente aveva fatto scoppiare la porta. Passi pesanti si avvicinarono velocemente e la tenda all’ingresso della sua camera bruciò, in fiamme a causa del Dio del Sole. Il padrone di casa si alzò a sedere, avvolgendosi, d’istinto, nella coperta e guardando l’ingresso. Ringhiò agli intrusi: “Come osate? Io, forse, entro così a casa vostra?”.

La Dea della Guerra lo guardava, con un’ espressione confusa: “Figlio mio?”.

“Mamma…” rispose lui, con la sua voce.

 “Marito mio!” continuò la Guerra.

“Moglie…” fu la risposta, questa volta con la voce del Kaos.

Vereheveil, che era entrato per ultimo, osservava l’occhio viola che aveva aperto al centro della fronte.

“Destino!” sussurrò.

“Sì, Dio delle Letterature” la voce, sta volta, era quella femminile della Dea.

“Per tutte le luci del cielo…com’è potuto succedere?” domandò il Dio del Sole, guardando la figura che stava sul letto.

“Che avete fatto al mio Messaggero? Avevo dato ordine di non far entrare nessuno…”.

“Niente di che, tranquillo. È solo legato ed imbavagliato nella stanza di là!”.

“Cosa ci fate qui?” sibilò il Dio seduto, che tentava invano di celare il suo aspetto ai presenti, soprattutto a Vereheveil.

“Luciherus è uscito, dopo una convalescenza lunga, e ci ha detto di averti visto. Ci ha detto che sembravi triste e che avevi dei problemi. Non potevo sopportarlo e sono venuto qui!” si giustificò il Dio delle Letterature.

“Io, invece…” parlò il Dio del Sole “…sono qui perché, se non ti dispiace, vorrei fare il mio lavoro anche su questo pianeta. Ma, da quando è finita la guerra, non fa altro che piovere. E so che è colpa tua…”.

Il creatore abbassò lo sguardo.

“Io glielo avevo detto di smettere di piangere e di fare l’uomo…ma  lui mai che mi ascolti!” parlò il Kaos.

“Ti ascolto anche troppo!” gracchiò l’Equilibrio.

La divinità della Guerra si avvicinò al letto: “Tu sei mio figlio..e mio marito? Come convivono due voci dentro di te?”.

“Due? Veramente sono tre…”.

“Il Dio triplice!” sussultò Erezehimsay, corso nella stanza a sua volta.

“Non dire cazzate!” esclamò la voce del Kaos “Questa è solo una situazione temporanea! E poi…non dirmi che alla tua età credi alle storielline sul Dio triplice!?”.

Calò il silenzio.

“Il mio ruolo” parlò l’Equilibrio “È quello di mantenere in vita le essenze degli altri due creatori, in attesa che nascano delle divinità con i loro ruoli. Purtroppo, nonostante sia creatore, non posso plasmare degli Dèi come me. Solo gli Alti possono. A lungo ho pregato affinché venissero al mondo nuove divinità del Kaos e del Destino, ma a nulla è servito. Come sempre, non mi hanno ascoltato”.

“Ma com’è potuto accadere?” domandò di nuovo il Dio del Sole.

“Ho chiamato i loro veri nomi. E loro sono entrati in me. Ora siamo in tre, in un corpo solo. L’Equilibrio, la personalità dominante e con maggior potere, il Kaos e il Destino. Ho tutte le loro capacità e difetti…il problema è che parlano di continuo. Anche se, ultimamente, hanno smesso di litigare, riuscendo a leggere i pensieri l’uno dell’altro hanno, in parte, capito le ragioni dell’avversario”.

“Come mai non esci da questo luogo?” domandò Vereheveil.

 “Perché? Innanzi tutto perché, a volte, non riesco a controllare del tutto le diverse personalità. Chiedete a quel povero Messaggero. Quante volte ho perso completamente la ragione! Senza contare che dormo molto a causa del super lavoro di controllo dei tre Universi che mi tocca fare. E poi…non volevo che tu mi vedessi così. Non volevo che qualcuno mi vedesse con questo aspetto. Volevo aspettare che tutto passasse, per poi tornare alla mia vita. Con te e nostro figlio”.

La Dea della Guerra lo abbracciò: “Amor mio! Non puoi uscire da questo corpo?”.

La voce del Kaos tornò a farsi sentire: “Certo. Ma solo per un tempo limitato. E, comunque, sarei con le braccia incatenate al polso sinistro di mio figlio. Come una qualsiasi essenza, resisterei poco senza un corpo. Abbiamo provato…ma dopo poche ore io, anima, perdevo consistenza e lui, corpo ospitante, si indeboliva con me. Poche ore…cos’è un ora per un Dio? Poco più di un battito di ciglia. Non vale la pena di rischiare di scomparire per sempre, senza possibilità di rinascita, per un tempo così esiguo!”.

La Dea lo baciò, con gli occhi lucidi.

Sto baciando mia madre!

L’Equilibrio avvertiva quanto forte fosse il sentimento che univa i suoi genitori e appoggiò la testa alla spalla della Guerra, senza opporre resistenza.

“Non mi odi, madre e moglie mia, per quello che ho fatto?”.

“E come potrei? Ho tanto pianto, temendo di avervi persi, ed invece siete qui! Entrambi!”. Vereheveil prese coraggio e si sedette al alto opposto, abbracciandolo a sua volta.

“Perché non mi hai detto di te e del Destino?” sussurrò l’Equilibrio.

La Guerra si alzò. Vereheveil  pareva triste, ma  l’Ordine sorrise: “Tanto…siamo entrambi qui!” e si baciarono.

Anche il terzo occhio, viola, si chiuse e  il Kaos non disse nulla, avvertendo lo stesso sentimento che lo legava alla moglie.

“Scusami, Dio del Sole, se faccio sempre piovere. Ma sono…abbattuto. Speravo che il mio futuro sarebbe stato diverso e invece…” sospirò “Sono imprigionato in un corpo che non  mi permette di amare, né di dare vita. È tremendamente triste…”.

“Ma tu sei un creatore! Anzi…sei tre creatori in uno! Avrai di certo altri  modi per donare l’esistenza!” obbiettò il Dio del Sole, con un sorriso.

“Già…immagino sia così…” non sembrava molto convinto “Mi sei mancato, Vereheveil. Volevo solo rivedere te ed il piccolo ma…come può reagire mio figlio vedendomi così? E come reagisci tu all’idea che mai più nulla sarà come prima? Fino a quando le essenze dei creatori non troveranno il loro nuovo corpo, saranno sempre qui, dentro me, e non…”.

“Non importa. Sono ancora un angelo, in fondo. Non ho bisogno di altro all’infuori della tua voce e della certezza che stai bene. Non avendo più tue notizie, ci eravamo tutti preoccupati. Temevamo che fossi stato portato via dagli Alti o che ti fosse successo qualcosa di peggio…il Pianeta, a volte, era senza controllo…”.

 “Scusami. Scusatemi”.

“E adesso alzati da lì ed esci! La gente fuori ti aspetta! Così come i tuoi figli, gli Dèi, bambini e no, e molti altri. Muoviti!” gli ordinò il Dio delle Letterature.

“Andate a liberare il mio Messaggero…” iniziò a parlare il padrone di casa.

Erezehimsay obbedì alle richieste e, dopo qualche attimo, il Messaggero degli Alti apparve, protestando vivacemente contro tutti i presenti. Guardò il suo signore: “Che maleducati! Capisco siano vostri amici, ma…”.

Il Dio creatore sorrise, con la testa sulle ginocchia: “Mio Messaggero…io voglio uscire da qui!”. L’angelo era raggiante, e cambiò espressione di colpo. Corse al bordo del letto, porgendo una veste variopinta al suo padrone ,che la indossò. Quando il suo capo fu in piedi, il nuovo Messaggero si inchinò e gli baciò la mano.

“Che notizia lieta, mio Dio!”.

“Alzati subito!” gli ordinò l’Equilibrio. Poi guardò Erezehimsay: “Va là fuori, Messaggero dell’Ordine, e dì loro che io sono qui, sto bene…e credo che sia il caso che veda un po’ la luce del Sole!”.

Il Dio degli Astri e dei fuochi uscì, illuminando il cielo con la stella del Pianeta: dopo tanto aveva smesso di piovere. Kasday indossò una collana a due colori, bianco e nero. Brillava. Era particolarmente utile quando una delle due essenze estranee si allontanava. Bastava vedere quel ciondolo per sapere se stava bene o se si stava spegnendo, come la luce del gioiello.

Raccolse i capelli come poteva, la parte del Kaos si agitava a vanvera per aria, e poi uscì, accompagnato dalla Dea della Guerra e da Vereheveil.

Fuori la gente danzava. Fuori la gente festeggiava. Erano finiti i conflitti, c’era di nuovo bel tempo e il loro creatore stava bene. Uscito dalla porta, il Dio del Pianeta si coprì il viso, non abituato alla luce. Preferiva stare al buio nelle sue stanze, per non vedersi più di tanto. Uscì e tutti si fermarono, guardandolo. L’Equilibrio temeva quel momento ma, invece di sentire i commenti e le reazioni che si aspettava, avvertì la gioia dei presenti.

“Siete la divinità più bella degli Universi!” si sentì dire.

Io? Una divinità bella?

Stupito da questo, si arrestò sulla collina. Si voltò verso l’ingresso, dove aveva fatto mettere due specchi a lato della porta, momentaneamente assente a causa dell’esplosione provocata dalla Dea della Guerra. Si specchiò e sussultò. Su quella superficie, incastonata in un occhio di pietra, la sua pelle, nel lato oscuro, splendeva tantissimo, riflettendo i raggi del Sole.

I capelli si erano sciolti e si libravano in aria, gli occhi erano sfavillanti di luce azzurra e viola,  i bracciali, che aveva indossato, tintinnavano al ritmo dei suoi movimenti.

Sentendo la musica, iniziò a danzare, come non faceva da tempo, sospeso a mezz’aria, evitando così di sentire il dolore alla gamba.

È solo una situazione di passaggio. Presto tornerai quello che eri. Per ora…accetta ciò che sei!

Si disse, cantando con tre toni diversi. Si accorse che anche suo padre aveva una bella voce, quasi dolce, quando voleva. Aprì le braccia verso il cielo.

È tutto finito? No…non ancora.

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Capitolo 32
*** XXXII- Ricominciare ***


XXXII

 

RICOMINCIARE

 

 

L’Equilibrio sbadigliò. Guardava fuori, annoiato. Vide passare il Dio dell’inverno, da solo. Significava che la primavera era ancora lontana, perché questa iniziava solo quando quel Dio e la Dea dell’estate si avvicinavano. Era notte fonda e fuori splendevano tutte le stelle. Com’era diversa quella notte rispetto a quella in cui era nato! Canticchiava per i corridoi del suo palazzo con le mani in tasca. Era di buon umore, abbastanza rilassato da essere quasi in procinto di fare le fusa.

Buttò l’occhio nella sua camera, dove era assopito Vereheveil. Vide l’inarcarsi della sua spina dorsale e l’attaccatura delle ali nere. Il suo respiro regolare faceva ondeggiare le penne che gli partivano dal dorso. Pensò a quanto bello fosse il contatto fra la sua e la propria pelle.

Il nero del lato sinistro del Dio dell’Ordine era particolarmente sensibile ed era stranamente liscio e freddo, come un metallo o un vetro, e fremeva al contatto con le piume oscure e morbide dell’angelo delle Letterature. Pensò a quanto fosse piacevole l’incontro fra le loro labbra ed il loro petto, stretti in un abbraccio ed in un bacio che pregavano sempre non finissero mai.

Quando tempo era passato? Non lo sapeva nemmeno lui.

Si guardava allo specchio e cercava di ricordare come era stato una volta, senza riuscirci del tutto. Respirava l’aria limpida della notte, sorridendo alle stelle. Vide suo figlio, Kavahel, passare da una stanza all’altra.

“Giovanotto! Cosa fai sveglio a quest’ora?”.

Il bambino sorrise: “Niente! Volevo giocare!”.

Kasday gli fece segno di uscire all’aperto e si sedettero sull’erba. Era alto come una delle gambe del genitore e lo guardava con  immensi occhi dorati, avvolto in un mantello rosso.

Danzava al ritmo di una musica che si cantava nella testa e l’Equilibrio sorrise nell’osservarlo.

 “Sai, papà? Oggi succederà qualcosa di speciale!”.

“Cerchi di anticiparmi? Ti ricordo che io governo anche il destino!”.

“Sì, ma io controllo te! Ricordi cosa hanno detto gli Alti? Quando tutto finirà, resterò io, io soltanto. Io sarò più potente di te!”.

“Sarai! Per ora stai a terra, piccoletto!”.

Risero assieme. Kasday non aveva capito le parole di quella profezia. Alla fine di tutto?

Si sosteneva che alla fine ci fosse sempre il Kaos, ma evidentemente non era così.

Suo figlio aveva l’essenza necessaria per controllare lui, Dio triplice, e la sua eventuale caduta.

 Ora era tranquillo, non sentiva più le voci nella testa degli altri due creatori. Avvertiva ed usava i loro poteri e le loro facoltà senza problemi. Era calmo, in perfetto equilibrio.

Quello che doveva impedire, era che nascessero un altro Kaos ed un altro Destino. In questo caso l’ordine si sarebbe infranto e sarebbero stati guai. Specie ora che le essenze estranee si erano fuse, con il tempo, alla sua, divenendo una sola: indivisibile. Sbadigliò, annoiato dal silenzio.

“Oggi è l’ultimo giorno dell’anno” esclamò il bambino.

“Ah sì? Solo altri attimi in più. Cosa vuoi che sia un anno in più…di fronte all’eternità?”.

“É vero che tu sei vecchio di Ere, papà?”.

“Vecchio? Io non sono vecchio! Ce ne sono molti più anziani di me!”.

Kavahel lo guardava dubbioso: “Chi, per esempio?”.

“Lui!” rispose l’Equilibrio, indicando il Dio del Tempo, che stava risalendo la collina su cui loro due stavano e su cui sorgeva il palazzo.

Il Tempo salutò il piccolo, che gli corse incontro.

 “Cosa ti porta qui?” chiese il padrone di casa.

“Niente. Ma mi han detto che un uovo potrebbe schiudersi questa notte, ed io ero curioso di assistere a questa cosa”.

“Sì, sì, è vero! È l’uovo del mio fratellino che stanotte si schiuderà!”.

Kasday fece una smorfia.

“Non è detto che sia stanotte…ma se vuoi stare qui nel frattempo…”.

Il Dio del Tempo entrò nel palazzo, con entusiasmo. Il Dio bambino rimase all’esterno, giocando con le creature dei genitori: il gatto blu e cremisi ed il gufo dagli occhi dorati.

I due adulti presero posto nella stanza dei ricevimenti. Il Tempo tornò a concentrarsi sulla pendola che scandiva i secondi con precisione impeccabile.

“C’è più disordine rispetto a quando sono stato qui l’ultima volta…” fece notare l’ospite.

“Chissà perché!” rispose, sarcastico, l’Equilibrio, lasciandosi cadere pesantemente su una sedia. “Sei nervoso?” chiese il Tempo.

“Dovrei?”.

“Forse. È pur sempre una nuova vita…”.

“È un uovo…non può succedergli niente di male!”.

“Sarà…”.

“Una cosa mi preoccupa, però…”.

“Parla, piccolo”.

Piccolo?

“Non riesco a vedere il suo futuro. Non riesco a scorgere cosa nascerà. Cosa strana…devono essere gli Alti che hanno deciso di interferire, perché i miei poteri sono limitati nei confronti della mia creatura”.

“Credo sia il motivo per cui la Dea del Destino non aveva figli. Non le davano il permesso di avere controllo su di loro e quindi ha preferito non averne”.

“Che motivo stupido…” disse l’Equilibrio, sorseggiando un liquore rosso e reggendosi la testa con la mano.

“O, forse, gli Alti non vogliono farti sapere che da quell’uovo nascerà un mostro gigantesco e deforme che ti mangerà!” ironizzò il Dio del Tempo.

“Ma vaffanculo!” sibilò Kasday, non  trovando per niente la cosa divertente.

“Scherzavo! Sono sicuro che sarà bellissimo! É sempre tuo e di Vereheveil, come Kavahel?”.

Il padrone di casa annuì: “Sì, è nostro. Ma sono un po’ inquietato dall’idea che è il primo figlio che ho…in questo stato!” rispose, indicando se stesso con l’agitare delle dita affilate della mano sinistra. “Non so cosa aspettarmi. Forse è stato un errore decidere di avere un altro figlio…se gli Alti mi hanno dato questo corpo, incapace di amare allora, forse, non dovevamo…”.

“È  il cuore che ama, non il corpo!” lo interruppe il Tempo.

L’ospite sorrideva, camminando per la stanza con  il suo pendolo.

“Tu non hai famiglia, Tempo?”.

“Io? Certo. Avevo una moglie”.

“Avevi?”.

“Sì, non lo sai? La tua testa non ti dice nulla?”.

La mia testa? Cosa dovrebbe dirmi?

“Figli? Ne hai?”.

“No. La donna che amavo non ha mai voluto averne. Ed io stavo bene così”.

“Cos’è successo? Perché parli al passato? È fra gli Alti?”.

“Più o meno. Ad ogni modo…la nostra storia era terminata da secoli. Lei preferiva altre compagnie…”.

“Mi dispiace…”.

“Una parte di te non lo pensa davvero”.

È vero. È come se qualcosa dentro di me mi dicesse che non mi devo rattristare per il destino di…il destino?

“Eri il compagno della Dea del Destino?!”.

Il Tempo fermò il suo pendolo. I secondi dell’orologio non avanzarono più.

“Che reazione, amico mio! L’hai detto tu che era acqua passata…roba vecchia! E, ad ogni modo, perché non me lo hai mai detto?”.

Il Dio con i capelli pettinati ad otto teneva stretto il pendolino nel pugno, senza farlo oscillare: “Perché mi faceva innervosire solo il pensiero…sai che significa dover fare questo movimento insulso ogni secondo, senza mai fermarsi, per l’eternità? L’unica consolazione e diversivo che potevo avere era la mia bellissima Dea. Ma poi…te la ritrovi da sola, in camera, con il Dio delle Letterature che le legge una favola! E la senti accusare, ogni volta, che nessuno le vuole bene e che nessuno viene a trovarla, se non per motivi burocratici. Tu la perdoneresti?”.

“Ti ricordo che il Dio delle Letterature che legge le favole è Vereheveil, l’angelo con cui sto per avere il secondo figlio. È la vita…”.

Non aveva mai visto, prima di ora, il Tempo arrabbiato o scosso in qualche modo: era sempre imperturbabile e tranquillo.

“Devo dirti una cosa, assolutamente!” esclamò il Dio delle Ere, girandosi verso Kasday e guardando il suo occhio viola.

“Ok..dimmi” balbettò questi, sconcertato.

“Stronza!” sibilò il Tempo “Io ero il Dio più paziente di tutti gli Universi e tu ne hai approfittato!”. “Và bene…adesso basta! Non stimolarla ulteriormente. Non voglio sentire la sua voce ancora nella testa, ora che stanno in silenzio i due litiganti, dopo tanti secoli di insulti e chiacchiere. E, per l’amor degli Alti, non fate la pace! Non sopporterei l’idea di baciarti…”.

Il Tempo si mise a ridere: “Santi Dèi! Che pensiero raccapricciante! Da chi hai preso il senso dell’umorismo? Da tuo padre e da tua madre no di certo!”.

“Forse dallo zio…”.

 L’ospite ridacchiò e fece ripartire il pendolo: “Grazie, Kasday. Non sai quanto mi abbiano fatto bene queste poche frasi fra noi!”.

L’Equilibrio alzò le spalle, come a voler dire: non so se sei pazzo oppure no, ma se basta così poco a farti felice…

“Tu non sei mai venuto a trovarmi nel mio pianeta, per paura del mio terzo occhio viola?!”.

“Volevo essere sicuro di non dover sentire la voce di quella…”.

“Non spaccare la faccia di Vereheveil, se ti capita di vederlo. Ci tengo al suo bel visino”.

I due si misero a ridere, pur non capendo perché lo facessero.

 “Dicevano che pregavi affinché la tua situazione cambiasse presto. Invece, ora, mi sembri tranquillo” iniziò a parlare il Tempo, cambiando argomento.

“Ora sto bene. Non ho più voci nella testa che mi insultano e borbottano di continuo. È scocciante essere mio padre ma…ci si abitua a tutto, pian piano! Ho imparato ad accettare quello che sono e le mie responsabilità, gestendo i miei poteri. Sono felice. Non potrei chiedere altro, ora che fra me e Vereheveil è di nuovo tutto sottocontrollo”.

“É davvero così dolce?”.

L’Equilibrio guardò il Tempo, senza capire.

 “Vereheveil intendo. É davvero così dolce come lei mi ha detto?”.

Kasday non rispose. Aprì la bocca e la richiuse, non sapendo che dire.

 “Lei mi accusò di essere freddo, calcolatore, troppo preciso e fiscale. Monotono e prevedibile. Ma, cazzo, donna! Sono il Tempo! Cosa pretendi?! Che saltelli di qua e di là scombinando lo scorrere delle ore?”.

L’Ordine continuò a non parlare. Il Dio con il pendolo si ricompose e sospirò. Si sedette, con lo sguardo perso nel nulla. L’Equilibrio intravide il Dio della Vita. Si alzò in piedi, giocherellando con la sfera della Dea del Destino. La faceva correre, con la mente, fra le gambe delle sedie e del tavolo, per poi farla arrivare ad un mucchietto di giocattoli di Kavahel messi in pila, che abbatté. Esultò, alzando le braccia al cielo.

“Sei peggio dei bambini…” gli disse il Tempo, che si sistemava il boccolo verticale dei suoi capelli.

“Vuoi una mano?” domandò divertito il padrone di casa, mentre iniziava a fare dei palleggi con la sfera.

“Non mi serve, grazie. Avevo questo taglio di capelli quando ancora il tuo maestro, il vecchio Equilibrio, si disperava perché le piante del suo giardino crescevano con un busto a 88 gradi rispetto al terreno e non a 90! E sta attento a quella palla! Se cade, si disintegra in migliaia di pezzi. Voglio proprio vederti a rimettere assieme tutti i vetrini! Uno ad uno…”.

Si mise a ridere, mentre l’Ordine faceva giravolte e giochetti con la sfera fra i piedi. Poi la ripose, soddisfatto di aver fatto cretinate a sufficienza per quel giorno.

“Ah, sì. Buon anno, Kasday!”.

La divinità triplice non rispose.

Cos’era un anno in più? Perché festeggiarlo? Per quale motivo tutti ci tengono a ricordarmi che un altro, stupidissimo, anno sta per passare? Sospirò.

Il suo nuovo Messaggero, Nosmagiès, apparve felice e ripose con cura la sfera di cristallo nel giusto posto. Erezehimsay lo osservava, controllandone i movimenti. Poi entrambi se ne andarono, alla ricerca di Kavahel. Il bambino li vide ed iniziarono a rincorrersi, mentre la luce del Sole entrò dalla porta.

Ma è notte!

Era il Dio del Sole a portare quella luce.

“Cosa fai anche tu qui?”.

“Voci di corridoio” rispose il Dio del Sole, tenendo per  mano la figlia, che assomigliava tantissimo alla Dea dei Satelliti.

“Party di capodanno?” domandò l’Equilibrio e scoppiò di nuovo a ridere, forse un po’ brillo.

 Era dalla mattina presto che beveva per scacciare molti pensieri scomodi.

Vereheveil corse lungo il corridoio: “L’uovo! Si sta aprendo l’uovo!” esclamò con  gioia. 

“Te lo avevo detto che nasceva stanotte!” affermò il Dio con il pendolo.

L’Equilibrio sbirciò fuori dalla stanza, in attesa: non voleva entrare a guardare. Forse era un po’ turbato dalle frasi che gli aveva detto il Tempo.

E se avesse ragione? E se nascesse un mostro o un qualcosa di anomalo? Sarebbe solo colpa dei miei geni mutanti ed insoliti.

Scese il silenzio, mentre i minuti scorrevano. L’Equilibrio si pettinava nervosamente, girava gli occhi e contorceva le mani. Suonò la mezzanotte: cominciò il nuovo anno. cominciò una nuova Era!

Ed al dodicesimo rintocco entrò il Dio della Vita, raggiante e sereno. Dietro di lui, ecco arrivare Vereheveil, soddisfatto ed orgoglioso. Teneva fra le braccia due gemelli, un maschio ed una femmina.

Kasday spalancò gli occhi.

La femmina portava sulla fronte il simbolo del Kaos, il maschio quello del Destino.

 

 

FINE

 Siamo giunti alla fine. In realtà questa storia prosegue con altri due volumi, che non so ancora se caricherò. Vedremo che ne pensate! Per ora, grazie di essere giunti fino a qui

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