Vita Passata, vita futura

di Petricor75
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Ah, ecco chi sei! ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Cazzo ne sai te! ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Niente spoilers! ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: C'è posta per te! ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: Ho paura? ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: Perché non torno a galla? ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: Sensi ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Ah, ecco chi sei! ***


Novembre 2002

Mi trasferirono nel braccio C, dopo due anni e mezzo là dentro, e molti altri in un altro blocco, si erano finalmente accorti che non ero pericolosa, mi assegnarono una cella singola, meglio così, non m'interessava integrarmi con il resto della popolazione del carcere. Non che mi ritenessi migliore di loro, ma, come nella mia vita passata, rimanevo una personalità solitaria.
E poi, avevo altro a cui pensare. Sempre gli stessi pensieri, gli stessi ricordi, erano quelli, che mi facevano andare avanti e mi distruggevano allo stesso tempo. Mi stendevo su quel letto duro, chiudevo gli occhi e ricordavo il suo sguardo, i suoi sorrisi, il suo odore, la nostra vita insieme, prima del coma, le nostre giornate, le serate passate a cucinare, i viaggi, il suo calore su di me, a letto...
Ogni giorno mi imponevo di ricordare una giornata diversa, e piangevo. Le mie lacrime sembravano non esaurirsi mai. Uno stillicidio che durava ormai anni, faceva parte di me.
Non piangevo perché ero rinchiusa lì, o perché provavo rimorso, il mio avvocato aveva chiesto due volte la libertà vigilata, ma loro volevano che io mi pentissi, o almeno, che fingessi di farlo, che mostrassi rimorso, che capissi e ammettessi di aver sbagliato, ma io non potevo, non potrò mai. Mi sono costituita, vero, ma perché ho agito contro la legge, ne ero consapevole e volevo pagarlo, il mio debito con la società! Alla fine l'ho ricusato... l'avvocato.
Mi accorsi presto che nel braccio C le ragazze erano molto più silenziose, più tranquille, le celle, quasi tutte singole, erano disposte solo su un lato del corridoio, cosicché davanti non si aveva nessuno. La mia era l'ultima cella in fondo, e messa di traverso, in mezzo al corridoio, c'era la scrivania delle guardie, quasi sempre deserta, durante il giorno. Non notai nemmeno la presenza di telecamere a circuito chiuso e questo mi stupì.
La mia cella era larga circa un metro e venti centimetri e profonda più o meno tre, il letto era un blocco di acciaio che sporgeva dal muro di ottanta centimetri, a occhio, con sopra un materasso di gommapiuma spesso meno di un palmo della mia mano. Le coperte di lana prudevano sulla pelle quanto quelle del braccio A, il cuscino appena più soffice. Un sottile muretto, alto fino alla vita e largo quanto il letto, separava lo spazio restante, occupato dal cesso e da un minuscolo lavabo, entrambi di acciaio, per evitare che gli ospiti li rompessero ed usassero le schegge di porcellana come armi. Finalmente un po' di privacy, almeno per pisciare! Non c'erano asciugamani, sono pericolosi, ci si può strangolare qualcuno, dicono, solo salviette usa e getta e, fortunatamente, non mancava la carta igienica. Il soffitto era basso, riuscivo a toccarlo con la punta delle dita se mi allungavo tutta, e sopra il lavabo, privo di specchio, quasi all'altezza del soffitto, c'era una minuscola grata, non più larga di quaranta centimetri e alta circa quindici, che lasciava passare un po' di luce esterna.
Spostai il cuscino dal muretto alle sbarre della cella e mi stesi sul mio nuovo giaciglio, non avevo alcuna intenzione di addormentarmi osservando le guardie sedute alla loro scrivania.

Apro gli occhi, ancora assonnata, - È ancora presto - Penso, volto il capo per vedere l'ora sulla sveglia. Salto giù dal letto, afferro i vestiti in fretta e corro in bagno. - Cazzo, sono in ritardo! - Mi dico stizzita. Ci metto più tempo a farmi la treccia che a lavarmi e vestirmi. Indosso la mia cintura, chiedendomi per l'ennesima volta perché mi ostini ogni sera a sfilarla dai pantaloni dell'uniforme, inforco gli scarponi, mi infilo una manica del giubbotto mentre con l'altra chiudo a chiave la porta e salto in sella.
- Fa freddo - Penso - Ma se voglio arrivare in tempo devo prendere il mezzo veloce -
Parto, sfrecciando nel traffico del rientro. Striscio il badge giusto in tempo, passo dal capoturno per gli aggiornamenti, ci sono stati nuovi arrivi e trasferimenti vari in giornata. Cammino lentamente nel corridoio fino alla mia scrivania, controllando i documenti appena presi in consegna. - Cella otto, ok... cella tredici, ok... cella ventidue, ok... cella trenta, ok... - Poso la borsa sulla scrivania e mi siedo, cerco una penna e compilo le pratiche. Qualcuna già russa, sento due vicine di cella che bisbigliano tra loro, tutto tranquillo. Quella della trenta è sdraiata al contrario, con la testa alle sbarre, è contro il regolamento, ma la lascio fare per ora. - Viene da un altro braccio, deve ambientarsi. - Penso.
Osservo la sua sagoma raggomitolata sotto la coperta. La vedo muoversi, si porta una mano sulla faccia, tira su col naso. Arrivo alla sua pratica e la leggo con attenzione. È dentro da nove anni, ha avuto uno sconto di pena per essersi costituita, tra poco più di un anno e mezzo uscirà. - Ah, ecco chi è! - Ricordo vagamente l'eco mediatica che ne sortì al tempo, non sono mai riuscita a biasimare gesti simili.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Cazzo ne sai te! ***


Gennaio 2003

- Non è normale - Mi dico, pensando alla donna della trenta, mentre, dal mio piccolo balcone, osservo il mare, scaldandomi con una tazza di tè bollente. - È passato troppo tempo e quella ancora non accenna a integrarsi - Continuo nel mio monologo interiore, ripensando alla telefonata che, durante il mio turno, ho fatto alla collega del braccio A.

"No, no, credimi, lei è così, glaciale, non glie ne frega niente, quella mangia, dorme e piange. Patetica!" Mi ha informata la guardia.
"Allora tanto glaciale non può essere, no? Ci hai mai parlato?" Ho chiesto.
"Non è mica mia sorella, chissenefrega? Affari suoi!" Ha risposto cinica.

- Ci parlerò io! - Penso, bevendo l'ultimo sorso della bevanda, prima di rientrare.
Sfilo la cintura dai pantaloni, pentendomene all'istante, tolgo l'uniforme e m'infilo sotto il getto rigenerante della doccia.

I giorni passavano sempre uguali, tranne qualche piccolo tafferuglio nel braccio, rifiutavo la mia ora d'aria, divoravo i pochi libri letti e riletti della biblioteca, piangevo fino ad addormentarmi, le solite cose, insomma. Le guardie mi lasciavano in pace, tutti tranne una, quella fissa del turno di notte, sempre la stessa, pensai che non avesse famiglia, forse aveva bisogno di soldi, magari se li giocava, chissà.
Mi lasciò in pace solo i primi tempi, probabilmente credendo che il mio fosse l'isolamento temporaneo che colpisce quasi tutti i nuovi e i trasferiti, credendo che prima o poi avremmo scambiato qualche sillaba. La percepivo, mentre ascoltava il mio silenzio, ascoltava le mie lacrime notturne, vegliava il mio sonno quando alla fine, stremata, cedevo. Una sera smise di ascoltare, la udii alzarsi dalla sedia e camminare verso la mia cella. Mi irrigidii immediatamente. - Che cazzo vuole questa? - Mi domandai.

“Hai sete?” Chiese con voce dura.
“No, grazie, sto bene così.” Risposi schiarendomi la gola, congestionata dal pianto.
“Non mi pare!” Osservò cinicamente, dopo qualche attimo di silenzio.

Ma non si mosse subito, rimase lì, in piedi, per un tempo che mi parve un'eternità, a contemplarmi, infine allungò una mano attraverso le sbarre e la posò sulla mia spalla, stringendo dolcemente la presa. Istintivamente mi ritrassi.

“Devi reagire!” Sentenziò in tono più morbido, quasi a volersi scusare per essere stata acida poco prima, poi tornò lentamente alla sua scrivania.

- Forse sono stata troppo dura. - Penso, mentre torno a sedere con il bicchiere d'acqua che non ha voluto. La contemplo ancora un po', indecisa, se dirle che deve dormire per il verso giusto. - Non ce la faccio, non stanotte... Vedrò che succede nei prossimi giorni. -

Provai invano a dormire, quella notte, ma continuavo a girarmi e rigirarmi, e percepivo il suo sguardo su di me ogni volta che mi muovevo, udendo nella mia mente quelle due parole, come se fossero una persecuzione. - devi reagire, devi reagire, devi reagire... - Mavvaffanculo vai! Cazzo ne sai te! -

Dopo qualche giorno, credetti di essere riuscita a prendermi gioco di lei, sforzandomi di farlo in silenzio, lasciando che i miei pianti si depositassero sul cuscino, piuttosto di asciugarmi gli occhi con le mani, stando ferma, immobile, fingendo di dormire, ma dopo qualche giorno lei si avvicinò ancora. Percepivo la sua figura torreggiare su di me, dal fruscìo prodotto dai suoi vestiti, intuii che stava incrociando le braccia. - brutto segno, chiusura, disapprovazione... siamo sul piede di guerra! -

“Hey, senti... lo so, che fai solo finta di dormire...” Mi sussurrò in tono neutrale. “...per quanto tempo pensi di continuare così? Non ti sei torturata abbastanza? Pensi che vorrebbe vederti in questo stato pietoso? Hai fatto una scelta, la scelta più coraggiosa che un essere umano nella tua stessa situazione potesse prendere, ed hai avuto le palle di pagarne le conseguenze, non è abbastanza? O ti sei pentita? Per cosa ti punisci, esattamente? Ne hai almeno una vaga idea? A questo proprio non ci arrivo!”

Mentre parlava le lacrime scesero più intense che mai, sapevo che aveva ragione, che dovevo smetterla, l'avevo sempre saputo, ma fino a quel momento mi ero sentita completamente sola, avevo creduto che nessuno fosse capace di capire il mio gesto.
Cominciai a singhiozzare, raggomitolandomi in posizione fetale, percependo finalmente la vicinanza morale di qualcuno, un altro fruscìo mi arrivò alle orecchie, si stava accucciando vicino a me, al di là delle sbarre, mi strinse una spalla, e allora cercai alla cieca quella mano amica che, prontamente, strinse la mia. Rimase lì con me finché mi calmai, credo fosse ancora lì quando mi addormentai.

Deglutisco a fatica, mentre le stringo la mano e cerco di cacciare indietro le lacrime. - Credo di aver trovato uno spiraglio, non capisco di cosa ha bisogno, ma almeno, sono qui. - Le resto accanto, finché sento il suo respiro farsi regolare e profondo, le lascio la mano, le tiro la coperta fin sotto il mento. - Dormi bene, piccola... PICCOLA?? E questa da dove salta fuori??? - Mi chiedo, travolta dalla mia stessa domanda... - PICCOLA?? -

Il mattino seguente mi svegliai prima del solito, rimasi per qualche istante sdraiata, fissando la luce dalla piccola fessura della mia cella, a contemplare quanto accaduto la sera precedente, con quella che mi sembrava una nuova tranquillità dentro di me.
Aveva ragione, ho fatto una scelta e ci ho messo la faccia, come ho sempre fatto. Tutto questo dolore, da cui mi sono fatta logorare, per tutto questo tempo, non ha senso, se non quello di autodistruggermi.. Aveva ragione. Adesso basta! Mi misi silenziosamente a sedere e guardai il corridoio strofinandomi la faccia. Lei era lì, in piedi, vicino alla sua scrivania, intenta a radunare le sue cose, prima di andarsene, ed io mi resi conto che era la prima volta che la osservavo veramente.
Poco più alta di me, la divisa blu indossata in maniera impeccabile, i capelli biondi, raccolti in una lunga treccia. Doveva avere più o meno la mia età, la sua pelle era liscia e ancora abbronzata, nonostante fosse pieno inverno, e gli occhi, illuminati dai neon del braccio e dalla poca luce mattutina, che filtrava dalle grate delle celle, sembravano di un grigio tendente al verde.
Si accorse di me, mi guardò per un lungo attimo, mettendosi la sua borsa a tracolla e fece un mezzo sorriso.

“Fa la brava oggi!” Esclamò in tono scherzoso, strizzandomi un occhio. “Ci vediamo stanotte”
“Buona giornata” Risposi ricambiando inaspettatamente il sorriso. - Da quanto tempo non sorridevo spontaneamente? -

Un cretino mi sorpassa, suonando il clacson e agitando il braccio. In un'altra occasione, l'avrei mandato allegramente affanculo senza pensarci su, ma stamattina ho il morale alle stelle e non permetterò a nessuno di rovinarmi questa giornata! - È stata una bella soddisfazione vederla sorridere per la prima volta... Davvero una bella sensazione! -
E con quella sensazione, tornata a casa, dopo aver fatto una doccia veloce e mangiato un boccone, mi addormento.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Niente spoilers! ***


Aprile 2003

Una notte notai che stava sfogliando un libro che avevo letto nella mia vita passata, così scoprimmo di avere una passione in comune.

“Ho letto solo i primi tre libri di quella collana...” La informai, appoggiandomi alle sbarre della mia cella. “... ma so che in questi anni ne sono usciti altri, quello che stai leggendo è il secondo, se non sbaglio...”

Lei alzò la testa, sorpresa, nel sentirmi parlare senza che mi fosse stata prima rivolta la parola.

“No infatti, e ne sono usciti nove in totale, fino ad oggi... Una bella serie, in effetti!” Rispose. “Dopo aver letto il primo, mi sono appassionata, a casa ho già la scorta!” Aggiunse distrattamente riprendendo la lettura.

- Inutile, oggi non c'è nulla da fare, stamattina proprio non riesco a prender sonno... - Mi alzo dal letto ed esco dalla mia camera, salgo la scala a chiocciola, trovo subito quello che cerco, mi butto sul divano, incrocio le gambe e accendo la tv... Immaginandomi la sua reazione, mi sfugge un sorriso, mentre percepisco una strana sensazione allo stomaco. E la riconosco... e mentre la riconosco, mi accorgo che non mi angoscia come forse dovrebbe... - Dovrebbe? -

E così, la notte seguente, appena arrivata, si avvicinò alla mia cella con le braccia nascoste dietro la schiena e, con un sorriso strano sulla faccia, mi porse il primo volume della collana, che riconobbi dalla copertina.

“Le guardie non possono portare materiale di nessun tipo, per i detenuti...” Bisbigliò “... ma se vuoi, puoi leggerlo durante il mio turno, so che lo hai già letto, ma magari ti fa piacere rileggerlo, mentre aspetti che io finisca il secondo... e poi il terzo e così via...” Mi porse il libro attraverso le sbarre, lo accettai, ringraziandola con un lieve cenno del capo.

"Ad una condizione..." Esclamai, mentre si stava allontanando, per tornare alla sua scrivania. Si voltò, alzando un sopracciglio, colta dalla sorpresa e dalla curiosità. - Adorabile! - Aspettava in silenzio che io mi spiegassi.

"Tu sei più avanti di me... Niente spoilers, ok?"

Fu in quel momento che decisi di rimettere il cuscino come lo avevo trovato, in modo da rivolgere il mio sguardo al corridoio ed uscire dall'isolamento, almeno con lei.

Iniziai a stare sveglia, di notte, per leggere in sua compagnia, avevo tutto il tempo di recuperare durante il giorno. In una notte si può leggere davvero molto, ma, man mano che il tempo passava, ci ritrovavamo sempre più spesso a perder tempo in scherzi che solo noi potevamo capire, fatti di sguardi, espressioni buffe e risate soffocate, un libro poteva anche durarci settimane, e cercavamo sempre di finirli insieme. La collana si esaurì e noi passammo ad altri autori.

È strana, la nostra amicizia, se così si può chiamare, non parliamo quasi mai, ma ci lega una specie di rispetto reciproco, e la lettura ci unisce, nei nostri silenzi, è il nostro segreto. Ogni tanto, alzo gli occhi dal libro, perché mi viene voglia di guardarla, e mi accorgo che lei sta già guardando me, ed è bello vedere che non distoglie lo sguardo, anzi, questo significa più di qualsiasi parola.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: C'è posta per te! ***


Natale 2003

È la vigilia, è ancora presto, ma le strade sono già affollate di gente che si accalca nei negozi. Parcheggio l'auto davanti casa, entro e non mi spoglio nemmeno. Svuoto la borsa di cartone sul tavolo, apro il foglio di carta da pacchi, prendo uno dei due oggetti uguali e lo metto distrattamente da parte, l'altro lo adagio sulla carta e confeziono il pacchetto. Mi alzo e lo sistemo con cura sotto le luci colorate intermittenti dell'albero. - Devo ricordarmi di prenderlo, stasera. - Penso, emozionata.

La mattina di Natale venni svegliata dalla guardia diurna, mi lanciò sul letto un pacco piuttosto pesante, aperto, come da regolamento.

“C'è posta per te, buon Natale!” M'informò in tono freddo.

In tutti quegli anni, era la prima volta che ricevevo posta, mi ero voluta completamente isolare dal mondo esterno, proibendo ai pochi, veri amici, che mi erano rimasti accanto, di spedirmi alcunché, facendo loro promettere di non venire mai a trovarmi in carcere, chiedendo loro semplicemente di aspettarmi fuori. Mi chiesi chi potesse aver infranto la promessa, sfilai dalla busta il suo contenuto e subito riconobbi l'autore menzionato sulla copertina. Guardai dentro la busta, cercando un biglietto, una lettera, qualche indizio che rivelasse il mittente, sfogliai le prime pagine, ma non c'era nulla, mentre, dentro di me, mi accorsi di sperare che quel regalo venisse dalla mia compagna di letture, capii che poteva, doveva essere lei, non poteva che essere lei, e durante il giorno ne maturai la certezza interiore.
Quella fu una giornata interminabile, più ci pensavo e più il tempo sembrava dilatarsi, ma finalmente arrivò la sera e con il buio arrivò anche lei.
Ricordo di aver pensato che era più bella del solito, ricordo di aver sentito, dopo tanti anni, il desiderio, quasi irresistibile, di tenere una donna tra le mie braccia, di tenere lei tra le mie braccia, cercai di allontanare quella bruciante sensazione dalla mia mente e dal mio basso ventre, ma il mio viso prendeva fuoco.

Percorro il corridoio del braccio, mi manca il respiro, ma questa volta non è perché sono in ritardo... Ho controllato i registri, quindi ho già la conferma. - Rilassati - Mi ordino.

“Mi hanno detto che hai ricevuto della posta oggi...” Esclamò scherzando, mentre con una mano sollevava il nuovo libro e con l'altra si appoggiava distrattamente mia cella.

- Sono un'idiota - Pensai con un sorriso ebete, non riuscendo a rispondere. Mi voltai e presi da sotto il cuscino la mia copia del libro, avvicinandomi e ponendo la mia mano libera proprio sotto la sua, mentre seguitavo a guardarla.

“Eh già... e tu, ovviamente, non ne sai nulla, vero?” Risposi ammiccando, nel tentativo di mascherare l'imbarazzo.
“Volume dieci... sarà bello leggerlo nello stesso momento...” Mi disse con dolcezza, guardandomi negli occhi, e sorridendomi.
“È un regalo davvero speciale, ed un gesto che apprezzo moltissimo, vorrei poter ricambiare, ma...” La informai in tono serio.
“Lo farai!” Esclamò con naturalezza.

La sua mano scivolò sulla mia e la tenne stretta per qualche secondo, i suoi occhi mi perforavano l'anima, temetti che le mie gambe mi avrebbero tradito da un momento all'altro. Poi, lentamente, si allontanò sorridendomi e prese posto alla sua scrivania. Fui travolta da un fiume di pensieri, nel tentativo di trovare una spiegazione che mi suggeriva che avevo frainteso, non ne trovai, insomma... Che cazzo stava succedendo?
Aprimmo il libro e iniziammo e leggerlo insieme. Ad ogni ora, quando lei si alzava per il solito controllo del braccio, mi fermavo ed aspettavo che tornasse per continuare insieme la lettura.
Mi resi conto che, mentre leggevo, potevo sentire la sua voce, ormai così familiare, era come se fosse lei a leggermi quel libro, e mi chiesi se anche lei percepisse la stessa sensazione.
La mattina seguente non riuscii a chiudere occhio, che cosa mi stava succedendo? E a lei, cosa stava succedendo? Perché si comportava così? Una vocina paranoica mi suggerì che stesse giocando, subito la scacciai. No, lo sapevo benissimo che cosa CI stava succedendo, il problema era come potessi 'tenermi a bada'... pensai a come mi sarei comportata se fossi stata fuori, pensai a quanto fosse facile, lì dentro, affezionarsi a qualcuno che ti regala qualche momento particolare, mi chiesi il perché di quelle sue attenzioni nei miei confronti e se non fosse tutto frutto della mia fantasia. No, quel libro, come gli altri, erano reali, i suoi sorrisi lo erano, la nostra complicità... Non mi stavo sognando proprio nulla e lo sapevo!
Mi restavano pochi mesi da passare in quel buco, e mi chiesi se ci fosse qualcosa di moralmente sbagliato, nell'assecondare le mie sensazioni e se realmente ci fosse un interesse tale, da parte mia, da sostenerlo eventualmente anche in condizioni di libertà. Da una parte mi sentivo presuntuosa a credere che lei potesse, in un certo senso, provare lo stesso tipo di interesse nei miei confronti, ogni tanto continuava a sfiorarmi l'idea che stesse giocando, ma alla fine realizzai che, se anche avesse avuto uno scopo meno candido, non mi sarei persa l'emozione di scoprirlo, rischiando il conseguente dolore e forse una eventuale umiliazione. Avevo affrontato ben altre prove, nel corso della mia vita, avevo le spalle abbastanza larghe!

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: Ho paura? ***


Febbraio 2004

Ci penso sempre più spesso... Il contesto è singolare, ma è nato in maniera così naturale e spontanea, è nato dal rispetto, dalla comprensione... Sento che mi sto innamorando, non mi sono mai chiesta, prima, come sarebbe la vita accanto ad una donna... Ogni tanto mi capita, di vedere coppie di donne camminare abbracciate, e se prima le guardavo con indifferenza, adesso provo qualcosa di simile all'invidia, in senso buono... Ripercorro il mio passato in cerca di indizi, ma non ne trovo, ero innamorata di quel ragazzo conosciuto alle superiori e l'ho sposato, non sentivamo l'esigenza di essere genitori, siamo stati lui ed io, per tanto tempo. Ma io sentivo che qualcosa si stava deteriorando, non ho avuto le palle di insistere quando volevo parlarne e lui negava.
Solo quando ho cominciato a sentirmi in trappola, ho messo fine a tutto, e lui non ha fiatato. Semplicemente ha lasciato a me ogni responsabilità. E va bene così! - Ho sudato così tanto, per guadagnarmi la mia serenità, la mia indipendenza, ed ora che sono tranquilla, vado a perdere la testa per una donna! Detenuta, per giunta! - Allontano quel pensiero scuotendo il capo, cercando di concentrarmi sul programma in tv.

Avevo voglia di parlare con lei, ma timore di metterla in difficoltà, non volevo che qualcuno, guardie o detenute, ci vedesse parlare troppo spesso. Escogitai un modo originale per comunicare silenziosamente.
“Mi manca la possibilità di scrivere...” Le confessai una sera, mentre aprivo il libro, piegavo più volte l'ultima pagina, quella vuota, quasi sulla legatura, in maniera che la piega mi facesse da guida, e diligentemente, la strappavo per la sua lunghezza. Mi osservava con aria interrogativa, quel suo tipico sopracciglio alzato, che mi mandava in corto la ragione!
“... ma so che è vietato usare penne o matite...” Conclusi.
“Di per sé non ne è vietato l'uso...” Precisò aprendo il primo cassetto della sua scrivania, con aria complice.
“...ma gli involucri possono diventare taglienti...” Aggiunse, tirando fuori una biro rossa. Tolse il tappo, svitò la punta ed estrasse il serbatoio pieno di colore, con la piccola punta a sfera ad un estremo.
“Certo... Questi da soli sono un altro paio di maniche” Osservò, lanciandomi sul letto il suo prezioso dono.

La ringraziai con un sorriso silenzioso, prima di metterci a leggere.
Adesso avevo la penna e mi ero procurata un foglio, quella sera la tradii, non avevo la testa per leggere, non facevo che pensare a cosa potessi scriverle, e non vedevo l'ora che si allontanasse per il controllo orario del braccio. Non appena fui fuori dalla sua vista, piegai il foglio in tre sezioni per la lunghezza, in modo da formare tre colonne e sulla prima, in piccolo, scrissi la nostra prima frase, dopodiché riposi la penna tra le pagine del libro ed arrotolai il foglio già piegato per le colonne a formare un piccolo sigaro. Aspettai il suo ritorno con il cuore che mi martellava nelle orecchie e le guance in fiamme.

Cammino soffermandomi davanti ad ogni cella del braccio, come ogni ora, qui è tutto tranquillo, la mia mente invece sta correndo chissà dove, pensando a quello che è appena accaduto, già mi chiedo che succederà quando tornerò dal mio giro. - Ho paura... Ho paura? - Penso fra me, paura di quello che potrebbe dirmi, paura di quello che potrebbe non dirmi, paura di rispondere, paura di non rispondere, una fottuta paura di perdere il controllo... Mi fermo davanti alla cella ventinove. Cerco di calmarmi, respiro profondamente, mi avvicino alla mia postazione, faccio finta di nulla, le gambe mi cedono e sono costretta ad appoggiarmi alla scrivania.

Lei si rimise a sedere ed aprì nuovamente il libro, prima di captare il mio insolito movimento, mi guardò avvicinarmi alle sbarre, appoggiare il foglio arrotolato a terra e lanciarlo verso di lei, con una piccola spinta della mano. Il foglio si fermò dopo aver urtato un suo stivale. Avrei voluto capire di più dalla sua espressione, ma per il momento, tradiva solo curiosità.

Prendo il foglio con le mani sudate, mi rimbombano le orecchie, mi sento come a quindici anni, quando ho dato il mio primo bacio... - E' Normale? - Mi chiedo srotolando il foglio.
'Ceneresti con me, se fosse possibile?'
Cerco di allentare la tensione, provando a sorridere, apro il cassetto e trovo una penna, mi sforzo di trattenere il tremore delle mani, mentre scrivo, ho qualche problema ad arrotolare nuovamente il foglio, alla fine ci riesco, lo poso a terra e lo faccio rotolare oltre le sbarre della cella.

Mi chinai per raccoglierlo e lo aprii rimettendomi a sedere.
'CENERÒ con te appena sarà possibile...'
La guardai seria e incerta su cos'altro scriverle. Il suo sguardo era puntato su di me, quanto il mio su di lei. Intorno a noi, nulla esisteva.
'Non ti fa paura tutto questo? Sai perché sono qui?Nemmeno mi conosci...'
'Si, ho paura, e anche tu ne hai, ma non le permetto di condizionarmi, e neanche tu lo permetti, questo lo so, un po' ho imparato a conoscerti, e più ti conosco... più voglio conoscerti...'

- Ecco, glie l'ho detto! - Penso emozionata, guardandola intensamente per evidenziare le mie parole, mentre alza lo sguardo su di me, dopo aver letto la mia ultima frase, che non lascia dubbi ad altre interpretazioni.

Mi avvicinai con espressione dura alle sbarre.
“Non è un gioco” Affermai a bassa voce in tono neutro. Lei si alzò a sua volta avvicinandosi a me.
“No che non lo è... non è un gioco, né per te, né per me...” Mi confermò sostenendo decisa il mio sguardo, volse lo sguardo verso il corridoio del braccio, per accertarsi della presenza o meno di qualche collega, cercò la mia mano attraverso le sbarre della cella, glie la presi, accarezzandole il dorso col pollice per un breve attimo, concentrandomi sulla sensazione che mi dava quel tocco, per ricordarla più a lungo possibile. La lasciai andare subito, per paura che ci vedessero.
“...quattro mesi?” Chiese, in tono frustrato.
La guardai dolcemente, accarezzandole il viso con lo sguardo.
“... e sette giorni” Precisai.

In un attimo di frustrazione adagio la fronte sulle sbarre della cella. La sua mano è calda ed il suo tocco delicatissimo sul mio viso, brividi danzano sulla mia schiena, stringo con rabbia le sbarre, sperando che scompaiano e quasi credo che stia accadendo, prima di mettere a fuoco il rumore che sento provenire dall'altro capo del corridoio.

Udimmo il suono di alcuni passi decisi avvicinarsi dall'altro braccio, istintivamente, si allontanò da me, tornando al suo posto. Il capoturno la voleva in ufficio per le pratiche di fine mese, la guardai allontanarsi, realizzando che, se da una parte mi sentivo sollevata, dall'altra provavo un grande sgomento, adesso che sapevo che fuori mi aspettava qualcosa, ma che ancora non era tempo di goderne...

- Quattro mesi e sette giorni... e un futuro assolutamente incerto - Penso se voglio davvero impelagarmi in una cosa che al momento è così complicata, e mi chiedo anche se sarò capace di aspettare. - Il futuro è mai certo? Potrei morire in questo momento, su questa strada... Certo che lo voglio! - Apro il gas del mio motore e decollo sul rettilineo deserto.

Mi addormentai abbracciata al nostro libro, che nascondeva la penna ed i nostri messaggi, e sognai la mia vita futura, fuori, a passeggiare con lei, mano nella mano.
Avevo una buona ragione per prepararmi al dopo, così iniziai a rendermi utile, accettando il lavoro nella mensa, e usufruendo della mia ora d'aria per rimettermi in pari col fisico, il fatto che mi fossi sempre defilata, mi aveva permesso di tenermi fuori dai vari gruppetti di detenute e, di conseguenza, fuori dai guai. Dopo anni, ormai, praticamente non esistevo, per loro. È vero, all'inizio avevo dovuto subire diversi pestaggi, non avevo mai reagito, né dato loro alcun tipo di soddisfazione, e presto l'attenzione venne rivolta nuovi bersagli.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6: Perché non torno a galla? ***


Maggio 2004

Un giorno, poco dopo l'ingresso nel cortile per l'ora d'aria, scoppiò una lieve rissa tra le ragazze. Osservavo divertita, da lontano, gli sforzi delle guardie, che cercavano di mettervi fine, con le buone, quando la vidi arrivare con altre quattro guardie del turno di notte, in sostegno alle già presenti.
Notai alcune detenute che, approfittando della confusione creata dalle altre, armeggiavano indisturbate con qualcosa a terra e mi avvicinai lentamente per vedere meglio. Capii che stavano rimuovendo un tombino e supposi che dovesse esserci una cisterna di acqua piovana interrata. Sulle prime pensai che credessero di poter evadere, ma realizzai subito dopo che non potevano essere tanto stupide, mi chiesi quale fosse il loro piano, e dopo pochi istanti divenne chiarissimo, solo uno scherzo ingegnoso, per farsi due risate alle spalle delle guardie.
Probabilmente qualcuna sarebbe finita in isolamento, per quella bravata, evidentemente, ma secondo loro, ne valeva comunque la pena. Una di loro gridò qualcosa e le altre in prima linea, con mosse rapide e decise, sfruttando la forza stessa delle guardie, scattarono indietro, facendo cadere in acqua tre agenti.
Mi avvicinai in fretta, notando che era caduta anche lei in quella trappola goliardica. Subito si udì assordante il suono dell'allarme, il che significava che tutte le detenute avrebbero dovuto stendersi a terra in silenzio, con le mani sopra la testa, ad aspettare che i disordini fossero sedati e le guardie le riportassero ai loro alloggi.
Lo ignorai completamente. Fui subito colpita alla schiena da una violenta spinta e una guardia mi obbligò a stendermi, gridando ordini a pochi centimetri dal mio orecchio. Fui costretta ad ubbidire, ma il mio sguardo era fisso alla scena che avevo davanti, la guardia continuava a ripetermi di mettere la faccia a terra. Ed io la sentivo come in sordina e a rallentatore.
Vidi riaffiorare una prima guardia, che annaspando, si aggrappò al bordo della cisterna, urlando incazzata tra un colpo di tosse e un rantolo, puntando minacciosa il dito contro le ragazze, che si sbellicavano dalle risate, soddisfatte del risultato ottenuto. Poi riemerse il secondo, entrambi vennero issati dagli altri agenti, mentre le detenute se la ridevano sguaiatamente. Adesso le guardie si concentrarono su di loro, dimentichi del fatto che tra loro mancasse una collega.

Il peso del collega mi spinge in profondità, mi lascio andare a fondo aspettando che la spinta passi... - Strano, perché non torno a galla? - Penso distrattamente. Capisco che mi sono impigliata, appoggio le mani alla parete del pozzo, o quello che è, ma è troppo liscio e non riesco a far presa. Guardo in alto, devo respirare... - Sta calma - Mi dico, ed entro nel panico in un istante.

Scattai in piedi e mi misi a correre, sentendo una mano della guardia che cercava di afferrarmi dai vestiti. Mi divincolai per sfuggire alla presa.
“Ce n'è un'altra!” - Mi giustificai gridando e continuando a correre, oltrepassando il bordo e tuffandomi più in fretta che potevo.
L'impatto con l'acqua gelata mi colpì violentemente. Era scuro, là sotto, e notai a malapena la sua sagoma adagiata sul fondo. Scesi di un circa due metri e potei toccare la sua spalla, si agitava, le stava mancando l'aria, senza pensarci mi avvicinai, le presi il viso tra le mani e le soffiai aria in bocca, l'afferrai per un braccio, ma mi resi conto che era impigliata in qualcosa.
Tornai velocemente su e presi ancora aria. Scesi di nuovo, prima che qualcuno riuscisse ad agguantarmi e a tirarmi fuori, chiedendomi perché nessuno si tuffasse per aiutarmi, la feci respirare ancora e cercai di capire che cosa la bloccasse, la sua cintura si era impigliata ad un ferro curvo, che sporgeva dalle pareti della cisterna. Riuscii a sganciarla, ma era ancora bloccata, così tentai di sfilarla dalle asole dell'uniforme.
Mi sembrò di impiegarci un'eternità, finalmente la presi per la vita e la portai su, due guardie l'afferrarono goffamente trascinandola oltre il bordo, la sentii tossire, un altro agente, grande e grosso, mi afferrò per il colletto della tuta, mi tirò fuori dall'acqua di peso, e con impeto mi sbatté violentemente a terra, bloccandomi con un ginocchio sulla schiena. Esalai tutta l'aria che mi era rimasta nei polmoni.

“FACCIA A TERRA, DETENUTA!” Sbraitò il macho...

“Ma che cazzo fai? Datti una calmata, amico! Se non fosse stato per lei, sarei ancora là sotto!” Grido, prima che i colpi di tosse tornino più prepotenti di un attimo fa.
“Pensa a calmarti adesso, lo sai... è la procedura...” Si intromette un altro collega. So che ha ragione. Ma mi hanno fatto incazzare lo stesso!

Mi voltai verso di lei udendo i suoi colpi di tosse.
“Stai bene?” Ansimai in tono premuroso. Annuì mestamente, continuando a tossire.

Fummo subito portate in infermeria e mi assicurarono un polso al telaio della branda, dove ero seduta, con una coperta sulle spalle, ancora fradicia. Sbirciai nella stanza accanto, la vidi seduta sul bordo del letto, mentre il medico le stava auscultando la cassa toracica. Si teneva la mascherina di ossigeno sulla bocca, mi guardava, al di là del vetro. Dopo poco il medico venne da me e mi visitò brevemente.

Ho freddo... - Mi ha salvato la vita, e l'unica cosa alla quale riesco a pensare in questo momento sono le sue labbra sulle mie e la sensazione che ho provato quando ha mi ha slacciato la cintura aiutandosi con i denti... Non c'è male! -

“Sta bene?” Chiesi mentre la osservavo voltarsi nella mia direzione e guardarmi a sua volta.
“Ha la pressione un po' alta, è stato un brutto spavento” Rispose neutro.
“Posso tornare nella mia cella?” Chiesi.
“Non appena avrò finito di compilare le pratiche” M'informò.

Lei si alzò, riponendo la mascherina di ossigeno sul gancio preposto, si strinse la coperta sulle spalle e si avvicinò alla porta che separava le due stanze attigue.
Dopo aver aperto la porta, chiamò il medico per nome e lui la raggiunse, cercai di capire cosa stessero dicendo, ma il volume della conversazione era troppo basso, fu comunque chiaro un attimo dopo, quando, allontanandosi, il medico la informò che sarebbe stato poco distante, in caso di bisogno.
Aspettò che se ne andasse, si chiuse la porta alle spalle, dopodiché camminò verso di me, mi contemplò seria per un lungo attimo, stringendosi la sua coperta addosso, il suo sguardo danzava tra i miei occhi e le mie labbra, fece ancora un passo avanti, così che le nostre gambe si toccassero.
Mi prese delicatamente il viso fra le mani, si avvicinò lentamente e mi baciò sulla bocca. Le sue labbra erano calde e morbide, non avevo notato nulla di tutto ciò, poco prima, quando l'avevo fatta respirare sott'acqua, - Come poteva essermi sfuggito? - Adesso i miei sensi erano vigili, pronti a registrare tutte le sensazioni che stavo provando, sentivo il suo respiro farsi più profondo.
Cercò dolcemente la mia lingua, mentre le sue mani scivolavano sul mio collo e mi circondavano le spalle, potevo sentire il suoi seni sfiorare i miei, la cinsi col braccio libero per aumentare il più possibile quel contatto, per sentirla tutta su di me, e in un attimo mi ritrovai completamente bagnata per l'eccitazione.
Allontanai dolcemente il suo corpo dal mio, le presi il viso con la mano, adagiando la mia fronte sulla sua, respirando affannosamente.

- Non fermarti, non ancora... Penso

“Se non ci fermiamo adesso non ci fermiamo più...” Esalai in preda alla frustrazione, lei annuì, cercando ancora le mie labbra, poi si arrese, allontanandosi per potermi guardare negli occhi, stringendo la mia mano libera.
“L'ultima cosa che voglio è che tu rischi di compromettere il tuo lavoro, a causa mia...” Mi giustificai.
“A causa nostra...” Precisò sorridendomi dolcemente.
Annuii in segno di consenso, seguitando ad alternare lo sguardo tra i suoi occhi e le sue labbra. E tutto d'un tratto, la vidi rilassarsi... Arrendersi all'evidenza che, per il momento, non era possibile proseguire oltre.
Chiamò il medico, informandolo che stava bene e mi avrebbe riportato lei stessa alla mia cella. Mi liberò dal letto, e, come da regolamento, mi bloccò entrambe le mani dietro la schiena, camminava di un passo arretrata, tenendo la sua mano tra le mie, con la scusa delle manette.
Passeggiavamo in silenzio e lentamente, per prolungare il più possibile quel contatto. Ogni volta che incrociavamo una guardia o lo sguardo di un'altra detenuta tra i corridoi, lasciavo andare la sua mano, in maniera che potesse spostarla sulle manette.
Arrivate nel braccio, ancora semideserto, mi fece entrare nella mia cella, prima di liberarmi. Mi voltai e ci guardammo a lungo negli occhi.

- Ci penso da un sacco di tempo, adesso so che è la decisione giusta - Ragiono tra me, con serenità.

“Sto per rassegnare le mie dimissioni...” M'informò in tono sereno. La guardai con aria interrogativa, ma non dissi nulla.
“La tua ultima notte qui dentro sarà anche la mia.” Aggiunse. Aprii bocca per dire qualcosa, ma mi bloccò, adagiando un dito sulle mie labbra.
“Non voglio che il mio lavoro possa pregiudicare il mio futuro, il nostro, se avrai voglia di scoprire se ce ne sarà uno... io ci credo, in quello che sta succedendo, e voglio viverlo, qualunque cosa succeda...” Abbassò gli occhi, cercando la mia mano.
La contemplai, lusingata da tanta fiducia, infine le sorrisi con aria complice.
“Vattene...” Le dissi, in tono al tempo stesso dolce e scherzoso.
“Esci subito di qui, che è meglio per tutt'e due...” Le confermai, mentre soffocava una risata per farmi capire che aveva ricevuto il messaggio.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7: Sensi ***


Giugno 2004

Lascio aperto il mio armadietto, dopo aver preso tutti i miei effetti personali, non vedo l'ora di tornare a casa, ho un sacco di cose da fare, entro nell'ufficio del responsabile, consegno chiavi, badge, le manette e il mace. Mi stringe la mano, accennando un sorriso formale. Saluto i colleghi con un cenno della mano. Sono fuori in cinque minuti.

Giro per casa in biancheria intima, mi muovo svelta, è quasi ora, oggi non dormirò, ma non mi interessa, se anche volessi, non riuscirei, tante cose cambieranno, da oggi, e non vedo l'ora. Svuoto quattro degli otto cassetti del guardaroba, - Finalmente è la volta buona che mi decido a buttar via qualcosa - Penso sorridendo. Faccio un po' d'ordine, libero qualche scaffale, faccio spazio per nuovi abiti. Il letto è intatto, l'ho preparato la sera prima, rinnovando finalmente le lenzuola che mi hanno regalato, salgo di sopra, per controllare che tutto sia in ordine, ravvivo i cuscini sul divano, anche se non ne hanno bisogno. Scendo di nuovo, - Ok, adesso calmati... va tutto bene... - Mi dico. Mi vesto, esco.

Il portone principale si aprì e mi avviai sicura verso la mia nuova vita, attraversai la strada, tenendo le mani nelle tasche dei miei pantaloni di tela, ormai fuori moda, e il mio libro stretto sottobraccio, svoltai alla prima traversa a sinistra, come mi aveva indicato.

- Eccola... - Appena la vedo mi passa il tremore, cammina svelta, serena, - Dio, quanto è bella! - Penso tra me. - Ancora non mi sembra vero che sia tutto finito... e che tutto abbia inizio... finalmente... -

Faticai, sulle prime, a riconoscerla, non l'avevo mai vista in abiti civili e con i capelli sciolti, la sua luminosità mi colpì come una scossa elettrica. Era appoggiata ad una piccola monovolume, indossava un paio di occhiali scuri e teneva le braccia incrociate.
Quando si accorse di me, si scostò dalla macchina, si tolse gli occhiali, lanciandoli all'interno della vettura e iniziò a camminare lentamente nella mia direzione. Affrettai il passo e poco dopo ci trovammo faccia a faccia. Strizzò gli occhi per la troppa luce e mi sorrise serena, mi avvicinai, posai il palmo della mia mano sulla sua guancia scaldata dal sole, mossi un passo verso di lei e la baciai appassionatamente, mi strinse ricambiando le effusioni, incurante, come me, dei possibili sguardi dei passanti. Dopo un lungo attimo ci voltammo e ci dirigemmo abbracciate verso la sua auto.

Mentre guido le tengo la mano, non glie la lascio neanche per cambiare marcia, tanto è il timore assurdo che possa svanire da un momento all'altro. Non mi basta, porto il mio braccio attorno alle sue spalle e l'attiro a me, lasciando che si accoccoli al mio fianco, le bacio la fronte, le accarezzo amorevolmente la spalla, guido piano.

Mi portò in un piccolo bar, affacciato su una splendida spiaggia dalla sabbia chiara e finissima, i tavoli, disposti sotto un pergolato di glicini viola in fioritura, che emanavano un profumo inebriante, erano sistemati in più file e si estendevano dalla strada fino a una trentina di metri dalla riva. Ci accomodammo e subito un cortese cameriere ci propose una ricca prima colazione, comprensiva di caffè, spremuta di arancia e delle deliziose sfogliatine con crema e mela. Inutile sottolineare che erano anni che non gustavo qualcosa di tanto buono.
Mentre eravamo sedute, in compagnia del suono delle onde che si frangevano sulla battigia, lei mi propose il programma della giornata.
“Che ne pensi se andassimo a fare un po' di shopping per te? Poi potremmo decidere cosa fare per cena, vorrei cucinare qualcosa con te... se non sarai troppo stanca... potremmo tornare qui, per mangiare un boccone veloce a pranzo e farci una passeggiata sulla spiaggia...”

“Bello... Mi piace!” Risposi in tono rilassato.
La mattinata volò tra capi di abbigliamento, scarpe, generi alimentari e quant'altro. Scegliemmo del pesce, per la sera, ed un leggero vino bianco.
Tornammo al locale sulla spiaggia, che si stava affollando e, dopo aver gustato un panino con le verdure e una coca, mi chiese di aspettarla, mentre faceva un salto a casa a lasciare la spesa.
Mi persi ad osservare serena la spiaggia, respirai l'aria che sapeva di sale a pieni polmoni, pensando che avrei voluto subito tuffarmi e nuotare.
Dopo pochi minuti udii il rombo di alcuni potenti motori sulla strada e mi voltai, per osservare un gruppo di motociclisti sfrecciare in sella ai loro bolidi, non accorgendomi che uno di loro si era staccato dal gruppo ed era andato a fermarsi a pochi passi dal locale, mi voltai ed incrociai i suoi occhi che mi guardavano, mentre con il braccio mi faceva cenno di raggiungerla. Rimasi a bocca aperta dallo stupore.
“Tutto mi sarei aspettata, tranne di vederti arrivare con uno di questi bestioni sotto il culo!” Esclamai sorridendo felice.
“Naaah, quelli sono bestioni!” Precisò, indicando il gruppo di centauri.
“Questa è una motoretta tranquilla! Hai paura?” Mi chiese, allungando il braccio dietro di sé, per sganciare un secondo casco.
“No, affatto...” Le assicurai, prendendo il casco che mi stava porgendo.
“Ne avevo una anche io, ai tempi.” Conclusi indossando l'elmetto.
Salii dietro di lei e l'abbracciai, appoggiandole il busto alla schiena, lei inforcò gli occhiali, accese il motore, ingranò la prima e spiccammo il volo, sotto il vento caldo di inizio estate. Mentre la strada scorreva sotto di noi al suono del motore, mi tenevo stretta a lei, non per paura, ma solo ed unicamente per il piacere di sentirla vicina. Ogni tanto rallentava, togliendo una mano dal manubrio, per posarla sulle mie, adagiate sul suo ventre.
Ci fermammo su un tratto di costa rocciosa e scendemmo sulla scogliera per goderci il nostro primo tramonto, sedute vicine, in silenzio, mano nella mano, come due adolescenti innamorate.
La sua casa si affacciava su un lembo di spiaggia privata, poco lontano dal locale visitato durante il giorno. Non era grandissima, ma era senza dubbio accogliente e funzionale.
Un vialetto asfaltato portava ad un piccolo portico, dove trovavano riparo la moto ed alcuni armadietti di metallo. Dal portico si accedeva al piano terra, composto da un grande salone con cucina a vista, da un lato, una modesta camera da letto con annessa cabina armadio e un bagno piuttosto spazioso, dall'altro. Sul lato rivolto verso il mare, uno stretto viottolo di sassi si fondeva con la spiaggia, poco lontano.
Una stretta scala a chiocciola, ad un angolo del salone, si arrampicava in alto.
Mi prese per mano e mi condusse nella mansarda, completamente rivestita in legno ed illuminata da una grande porta-finestra, che si affacciava su un piccolo balcone davanti al mare, ornato da una varietà di piccoli ortaggi coltivati in vasi di terracotta.
Mi guardai intorno. La stanza pareva occupare l'intera pianta del pianoterra. Un largo divano dall'aspetto decisamente comodo, la libreria colma di volumi di vario genere, una TV di discrete dimensioni, proprio di fronte al divano, niente altro.
“Credo che diventerà la mia stanza preferita!” Confessai.

L'attiro a me, circondandole le spalle con le braccia, la guardo negli occhi intensamente, le sfioro la guancia con la mano.

“Questa, ora, è anche casa tua!” Mi dice in tono dolce e sicuro.

Finalmente, consapevole che adesso siamo solo io e te, qui e ora, adagio la mia fronte sulla tua, mentre chiudo gli occhi e mi abbandono alla sensazione di accarezzarti il viso, fissare la tua essenza dentro la mia essenza, e la mia dentro la tua, e in un attimo, mi perdo.
Tatto, la consistenza della tua pelle... sulle mie mani, sulla mia pelle, le curve del tuo viso, del tuo collo, la sensazione dei tuoi capelli tra le mie dita, e sento che la tua pelle cambia, sento i tuoi brividi sotto i miei polpastrelli...
Olfatto, l'odore del mare che hai addosso, misto al mio profumo sulla tua pelle...
Tatto, la consistenza del tessuto sulle mie mani, i bottoni rimossi dalle asole, uno ad uno... La sensazione delle tue mani leggere sotto la mia maglietta... Senti i miei brividi come io sento i tuoi, amore?
Udito, i tuoi respiri profondi, all'unisono coi miei... Il silenzio più assordante, inebriante, dolce, mai giunto alle mie orecchie...
Tatto... La sensazione del tuo respiro sulle mie labbra, e del mio, che si fonde al tuo, nei pochi centimetri che ci separano...
Non capisco più nulla, ma allo stesso tempo percepisco tutto... La ragione si arrende e lascia campo libero all'istinto...
Vista, lo specchio di me, in te...
Tatto... Il tepore dell'aria di Giugno sui nostri corpi nudi... Il calore del tuo corpo a contatto con il mio...
Gusto... Il sapore delle tue labbra sulle mie...
Tatto... La carezza della tua lingua sulla mia, i morsi delicati sul mio labbro inferiore...
Udito... Sono tua... Ti voglio...
La stoffa morbida del divano sulla mia pelle, le tue mani sulla mia schiena, sulle mie gambe, dappertutto, la tua lingua sul mio collo, tuoi capelli tra le mie dita, l'odore del nostro sudore, il sapore della tua pelle, i tuoi brividi sulla mia lingua, la morbidezza dei tuoi seni, tu dentro di me, la tua eccitazione tra le mie mani... Il tuo sapore...
E non sapere più chi sono, dove sono, che giorno è...
E non sapere più dove ha fine il mio corpo e ha inizio il tuo...

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