August the Sixth

di HabbyandTsukiakari
(/viewuser.php?uid=798854)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First Part ***
Capitolo 2: *** Second Part ***
Capitolo 3: *** Third Part ***



Capitolo 1
*** First Part ***


August the Sixth

First Part

 

Aprì un occhio, poi l’altro. Il verde elettrico delle sue iridi fu illuminato da un raggio di sole malevolo, che lo indusse a serrare di nuovo le palpebre e a girarsi dall’altra parte. Ma ormai il danno era fatto. Scansò malamente le coperte e si mise a sedere sul letto, stropicciandosi gli occhi.
-Shit!-
Arthur Kirkland odiava il sole. Preferiva le giornate umide e fredde, quando il vento uggiola piano e la nebbia ristagna nell’aria, che gli ricordavano la sua amata Londra. Ma quel giorno c’era il sole. Non gli piaceva tutta quella luce, aveva l’impressione che lo illuminasse troppo, troppo bene. Preferiva rimanere nel morbido mistero della foschia, che appannava le pupille e lo proteggeva dal resto del mondo.
Si trascinò in cucina, inciampando nei pantaloni del pigiama e sbattendo le palpebre ancora appiccicate dal sonno. Diede un’occhiata spassionata all’orologio, aggrottò le cespugliose sopracciglia e storse la bocca sottile in una smorfia: non avrebbe avuto molto tempo per mangiare. Sarebbe arrivato all’ora di pranzo di cattivo umore – be’, peggiore del solito – abituato com’era alle colazioni abbondanti. Sospirò e, mentre l’acqua per il tè bolliva, tirò fuori qualche biscotto dalla dispensa. Si scottò mentre preparava l’infuso, e poco ci mancò che si versasse addosso il latte, imprecando nella sua lingua madre. Ma che bella giornata.

Quel sei di agosto non si prospettava così diverso dalle altre giornate. Si recò alla fermata dell’autobus per andare a lavoro, e trovò come al solito ad aspettarlo Lukas e Vladimir.
Quest’ultimo sembrava essere parecchio su di giri, anche più del solito, e stringeva tra le mani una specie di involtino di stoffa. Non la smetteva di chiacchierare, gesticolando e mettendo l’oggetto sotto il naso di Lukas, che roteava con una certa insopportazione gli occhi ombrosi.
–Cos’è?- chiese Arthur, gli occhi verde prato illuminati da una rara scintilla d’interesse. Vladimir sussultò. –Che diavolo, non si saluta più ora?- ridacchiò, dando una pacca sulla spalla di Arthur.
Lukas non proferì parola. Sembrava di pessimo umore, anche se cercava di non darlo a vedere, mantenendo nei lineamenti sottili la sua espressione usuale di assoluta indifferenza.
Vladimir srotolò la stoffa, rivelando così lo strano oggetto. –Bella, vero? Me l’ha data Sadik!- spiegò il rumeno allegramente. Arthur non rispose. Era rapito. Nelle mani di Vladimir c’era una meravigliosa lampada orientale d’oro, intarsiata da stucchi e vetri rosa e azzurri.
Fece per toccarla, ma Vladimir la scostò dalla sua portata con una risatina. –Eh no, caro mio! Il mio istinto mi dice che si tratta di una lampada magica. Non provare a sfiorarla, lo faremo stasera insieme, alla riunione del club di magia.-.
Arthur annuì. Aveva senso. Quella lampada emanava una strana energia, sarebbe stato meglio prendere precauzioni ed essere sicuri di restare in segreto.
–Stasera non ci sarò- intervenne per la prima volta Lukas, con quella sua voce profonda e sussurrante, che incuteva timore e accarezzava l’udito.
Vladimir fece un sorrisetto, scoprendo i lucenti canini decisamente troppo appuntiti, e diede una gomitata all’inglese. –Oggi esce con Mathias Kohler, quel danese esagitato di cui si lamenta sempre. Ecco perché sembra furioso, in realtà è in preda a una crisi di nervi perché secondo me non sa cosa mettersi…- il norvegese lo interruppe lanciandogli un’occhiata da far gelare il sangue – non quello di Vladimir. Arthur si era sorpreso a sospettare che neanche ce l’avesse, il sangue. –Ovviamente non è per quello, idiota- si degnò di replicare il norvegese, con una nota di rancore nella voce usualmente atona e avvolgente. Infilò le mani nivee nelle tasche dei jeans trasandati, rivolgendo lo sguardo pesante verso un punto non ben definito dall’altra parte della strada.
C’è da sapere che solo in occasioni estremamente rare l’apatico Lukas si apriva agli altri e raccontava qualcosa su di sé; ma quando lo faceva, si confidava principalmente con le sue fatine, con Arthur e Vladimir, oppure con lo spensierato Mathias, che per qualche ignota ragione lo faceva sentire più… leggero.
–Qualsiasi cosa ti faccia preoccupare così tanto, non pensarci. Quel poveretto ha sputato sangue per strapparti un appuntamento, si vede che ci tiene- gli fece notare Vladimir, abbandonando distrattamente la lampada nelle mani di Arthur. –Che poi cosa ci troverà mai in un asociale come te… ahi!-.

Ormai Arthur non prestava più la minima attenzione ai due amici, che continuavano a battibeccare e a lanciarsi frecciatine.
Era ipnotizzato dalle sinuose linee degli stucchi, dalla lucentezza dei vetri, dall’oro puro della lampada.
Sentiva ancora quell’aura strana, eppure così familiare, provenire da essa. Gli provocava contemporaneamente attrazione e repulsione, in un certo senso. Non riusciva a staccare gli occhi da essa.
Solo lo stridere dei freni dell’autobus lo riportò alla realtà.
Scrollò la testa e tese l’oggetto a Vladimir, ansioso di separarsene. Non gli piaceva, non gli piaceva affatto.
–Oh no, amico. Questa la tieni tu, io non posso. Devo andare a lavorare e sai quanto s’incavola il mio capo quando mi porto dietro queste cose… particolari.- -Cosa?- -Sì, te l’ho detto l’altra volta! Quando mi ero portato la pelle di Girilacco…- -No, intendo…- lo interruppe Arthur alzando una delle cespugliose sopracciglia, –…me la lasci sul serio?- -Certo!-. Lo sguardo dell’inglese si incupì. Aveva uno strano presentimento, ma quella lampada era così

Avrebbe portato solo guai, se lo sentiva. Ciononostante, la ripose con cura nel panno. L’avrebbe lasciata tutto il giorno nel ripostiglio del locale in cui lavorava, giusto per accertarsi che stesse al sicuro e non potesse combinare danni.


Se c’era qualcosa che Arthur Kirkland odiava più del sole, quel qualcosa era il suo lavoro. Faceva il cameriere in un grazioso locale vicino ad un lago, fuori città. Fortunatamente non era troppo lontano da casa sua.
Aveva già avuto precedenti esperienze in quel mestiere, ahimè, tutte negative: il suo brutto carattere faceva in modo che il proprietario lo licenziasse puntualmente dopo un mese dall’assunzione. Senza contare quando i piatti serviti da lui arrivavano al tavolo rosicchiati o mezzi vuoti, e a nulla era servita l’esauriente spiegazione dell’inglese (“Ma quel pixie aveva fame, jerk!”).
Entrò sbattendo la luminosa porta a vetri, in preda ad un certo nervosismo che non gli aveva dato tregua per tutto il viaggio in autobus.
Mei, la sua giovane collega asiatica, sobbalzò. Poi si voltò, e sorrise nel vedere l’inglese. Era poco più che una bambina nell’aspetto, estremamente graziosa: aveva lunghi capelli castani ondulati e grandi occhioni color cioccolato fondente che ben spiccavano sulla pelle d’alabastro, un nasino a patata leggermente schiacciato e una piccola bocca sorridente, che sembrava un petalo di rosa. I suoi lineamenti erano morbidi e minuti. Arrivava appena al mento di Arthur, nonostante l’inglese in questione non fosse molto alto.
–Buongiorno, Arthur-kun! Dormito bene?- domandò con voce gentile. Arthur non le rispose. Sapeva che se avesse aperto bocca ne sarebbe uscita una sfuriata, e Mei non se la meritava di certo. Le fece un cenno sbrigativo di saluto e si recò nel ripostiglio dov’erano custodite le divise dei dipendenti.

Nonostante facesse un caldo pazzesco, Arthur fu costretto ad infilarsi una stretta camicia, un paio di pantaloni eleganti beige e a legarsi un papillon rosa intorno al collo. Quella roba gli teneva un caldo asfissiante, oltre ad essere ridicola. Si tirò su le maniche della camicia fino al gomito, sapendo che le regole del locale non permettevano altro. Non ci teneva a dover cercare un altro posto di lavoro.
Cercò un angolino dove potesse riporre la lampada, con scarsi risultati: lo stanzino era completamente ingombro di cianfrusaglie, dai vasetti di sottaceti che non avevano trovato posto in cucina alle spirali verde scuro di citronella antizanzare. Faticosamente, trovò un angoletto impolverato e ce la ficcò a forza, facendo quasi cadere i vasetti. Si asciugò la fronte, sollevato, quando vide la lampada tremare.
Spalancò gli occhi scioccato.
Con un colpo secco, la fece cadere a terra per evitare di danneggiare i vasetti.
La lampada, incredibilmente, non cadde a terra con un colpo secco, ma volteggiò soavemente fino a poggiarsi delicatamente a terra.
Con un morbido suono, il coperchietto si spalancò e lasciò uscire un getto di fumo profumato, rosa.
Il cuore di Arthur perse un battito.
Conosceva quel fumo.
Conosceva quell’odore.
Conosceva la figura che si stava delineando lentamente in quella foschia leggiadra.
Un paio di occhi acquamarina scintillò nella penombra del ripostiglio. Si sentì uno schiocco di dita, e una luce fortissima si accese, andando a illuminare ogni angolo dello stanzino e accecando gli occhi di Arthur – quanto odiava quella luce!

-Che diavolo ci fai qui?- sputò l’inglese, rivolgendo alla figura l’occhiata più carica di acidità e odio di cui fosse capace.

Il fumo si dissolse dolcemente, disperdendosi nell’aria e profumandola di zucchero, rivelando l’identità della sagoma: un ragazzo mingherlino, incredibilmente simile ad Arthur. T
uttavia, aveva un aspetto decisamente più stravagante. Aveva capelli morbidi e fulvi, quasi rosati, che contrastavano piacevolmente con il limpido sguardo verde acqua. La sua carnagione era più chiara rispetto a quella del londinese, gli zigomi erano costellati di lievi efelidi. Ma il dettaglio che più si notava del volto delicato era l’enorme sorriso abbagliante, che sembrava brillare di luce propria.
‘ello, love!- salutò, chiudendo gli occhi. –Ok, lo ammetto: sono uscito dallo specchio. Non te l’aspettavi, eh?- ridacchiò amichevolmente, dando colpetti col gomito sul braccio di Arthur. –Torna subito lì dentro, Oliver. Ora!- sbraitò questi, schiaffando via il braccio dell’altro. Quest’ultimo finse di guardarsi intorno, corrucciando la bocca e portandosi ironicamente una mano sopra gli occhi a mo’ di schermo dal sole. –Spiacente, non vedo alcuno specchio qui- sorrise, alzando le spalle. –Fuck you, you bloody wanker!- -Piano con i complimenti. Non ti interessa sapere perché sono qui?- insistette Oliver, con voce carezzevole. –No.- –Faresti bene ad interessartene, invece! Riguarda proprio te.-. Arthur spalancò gli occhi. Aveva un brutto presentimento. –Tranquillo, non sarà niente di grave… potrebbe semplicemente trattarsi solo della definitiva condanna della tua reputazione. Prendila come una piccola vendetta: non mi lasci mai uscire dallo specchio!- assunse un’espressione malinconica, per poi tornare al suo usuale sorriso. Si frugò in una delle tasche dei pantaloni e ne estrasse un sacchettino pieno di zuccherini colorati, quelli che si mettono sopra ai cupcake. Arthur sbiancò. Non c’era niente di buono se Oliver tirava fuori i suoi cupcake o qualcosa che aveva a che fare con essi. Oliver versò una gran quantità di zuccherini sul pallido palmo della sua mano, per poi chiudere il pugno e ridurli in polvere colorata. Soffiò quest’ultima in faccia al londinese, che cercò di ritrarsi senza tuttavia riuscire ad evitare la polvere. Tossicchiò. –What the…-

Una spirale di luce rosa cominciò ad avvolgerlo completamente, roteando su se stessa. Arthur sentì una specie di bruciore, e, soprattutto, un gran profumo di zucchero che gli dava alla testa. Durò poco. Tutto si dissolse lievemente, accompagnato dalla cristallina risata di Oliver.

Arthur non aveva mai trovato tanto scomodi i suoi vestiti. Eppure, la divisa era della sua taglia! Allora come spiegarsi il fatto che quasi non riusciva a respirare? Si accorse anche di una leggera pressione sulla sua testa. Che diavolo aveva combinato, quel mostro?

Oliver non riusciva a smettere di ridere. –Come stai bene! Dovresti indossarne più spesso!-. Aveva addirittura le lacrime agli occhi, e si teneva la pancia dalle risate. Arthur trovò il coraggio di guardarsi. Cacciò un urlo poco virile, come del resto lo era l’abbigliamento che si era trovato addosso.




Angolo dei pomodori lunatici
Hola!
Questa storia è dedicata alla fantastica Tay66, per il suo compleanno! Spero che ti piaccia! ^^
Rating giallo per, ehm, linguaggio scurrile ^^"
Fatemi sapere che ne pensate!
Adios, churros y besos,
Tsukiakari

PS: per le lettrici di The Sleeping Frying Pan! Il capitolo è pronto, ma non so quando riuscirò a postarlo... sowwy ^^"

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Second Part ***


Second Part

 

Oliver non riusciva a smettere di ridere. –Come stai bene! Dovresti indossarne più spesso!-. Aveva addirittura le lacrime agli occhi, e si teneva la pancia dalle risate. Arthur trovò il coraggio di guardarsi. Cacciò un urlo poco virile, come del resto lo era l’abbigliamento che si era trovato addosso.
 
 
Era un vestito da maid, con tanto di grembiulino e crestina di pizzo! E terribilmente succinto per giunta! Inoltre, si accorse di avere addosso della lingerie, che spuntava maliziosa dalla minimale gonnellina nera e gli tirava sulle gambe.
Il londinese era in sovraccarico emotivo. Da una parte pendeva uno stupore che non gli permise di mettere in ordine di idee, dall’altra un istintiva vergogna per quel vestitino ridicolo, dall’altra ancora una rabbia primordiale che maturava sempre di più e che certamente lo avrebbe portato ad uccidere Oliver.
Quest’ultimo si stava ancora sbellicando, puntando l’indice verso di Arthur e tenendosi la pancia con l’altra mano. –Dovresti vederti, sei uno spasso! Ops, dimenticavo, qui non ci sono specchi!- e giù a ridere, sempre di più. Tentò di calmarsi, ma lo sguardo assassino di Arthur gli provocò ulteriore ilarità.
–COSA DIAVOLO MI HAI FATTO?- urlò Arthur, il viso infuocato di rabbia e vergogna. –Te l’ho detto!- sghignazzò Oliver, asciugandosi le lacrime. –Prendila come la probabile rovina della tua reputazione! Anche perché, non ti ho detto chi saranno i clienti di oggi!-. Arthur si fece viola. Ebbe un altro brutto, bruttissimo presentimento. –Dimmelo! Voglio saperlo, ORA!- sbraitò, e afferrò con rabbia il bavero di Oliver, che ridacchiò: -Divertiti!- e schioccò le dita. La luce si spense. Arthur si ritrovò a stringere una brillante polvere rosa. Spalancò gli occhi, cercando di riabituarli alla penombra. Tentò di mantenere il sangue freddo.
Frugò febbrilmente in ogni angolo del ripostiglio. I suoi vestiti e la divisa erano spariti, così come il suo cellulare. Preso da un moto di stizza, afferrò la lampada e la scagliò a terra, senza tuttavia riuscire a scalfirla. Coloriti insulti nella sua lingua madre riempirono l’aria viziata dello stanzino.
 
Una volta smaltita la sfuriata, Arthur rifletté. Non sapeva quando sarebbe durato quell’incantesimo, ma l’unica cosa da fare era tornare a casa per cambiarsi. L’unica cosa da fare era darsela a gambe e perdere il lavoro. Provò ad aprire la finestra dello stanzino, ma era bloccata. Bloccata!
Sferrò un pugno al vetro, e subito dopo se lo portò al petto, dolorante. Rimaneva un’altra opzione: fuggire dalla porta principale. Il locale era in periferia, e con un po’ di fortuna l’avrebbe raggiunta senza farsi notare, dato che le strade erano poco trafficate. Tuttavia, Oliver, essendo praticamente un altro lato di lui stesso, lo sapeva bene. Possibile che fosse tutto così semplice? Decise comunque di tentare. Poggiò la mano sulla maniglia arrugginita della porta e la spinse verso il basso, facendo inavvertitamente scivolare le dita per via del sudore nervoso che gli impregnava le mani. La porta si dischiuse leggermente, giusto quel che bastava per dare uno scorcio della stanza accanto. Poco mancò che gli venisse un infarto. Non era affatto il corridoio, come era sempre stato! Era la sala da pranzo del ristorante, ed era piena di clienti! Arthur imprecò per l’ennesima volta, pestando un piede a terra. Sapeva cosa voleva Oliver: sarebbe dovuto passare in mezzo a tutta quella gente. Tirò un sospiro rabbioso e spalancò la porta. Si ritrovò con due vassoi di cibo in mano. Ah, e quindi doveva anche servirli?
Una testa spuntò da un grande tavolo rotondo. –À la bonne heur!- esclamò, per poi interrompersi e spalancare la bocca. Il viso di Arthur si fece bianco come la neve, poi rosso infuocato. Una piccola vena cominciò a pulsare sulla sua fronte, mentre le sue spesse sopracciglia si corrugavano pericolosamente. Non poteva essere lui. Oliver non poteva averlo fatto. –La rana!- boccheggiò, isterico. Quell’inconfondibile francese dai capelli biondi fino alle spalle e dagli occhi color blu profondo, Francis Bonnefoy, era stato al college con lui, fino all’anno prima. Aveva deciso di nominarlo suo peggior nemico sin dal loro primo incontro. E non era tutto! Vicino a lui sedevano i suoi inseparabili migliori amici, ovvero quel megalomane albino di Gilbert Beilschmidt e quello stronzo sorridente di Antonio Fernandez eccetera eccetera – Arthur provava un certo astio nei suoi confronti, astio ricambiato con gli interessi (a suo parere). Antonio, ovviamente, si era portato dietro Lovino Vargas, un italiano scontroso e bisbetico, che sembrava annoiarsi a morte. Lo spagnolo, per non lasciarlo in disparte, chiacchierava con lui a ruota libera e sparava battute idiote per farlo sentire meglio (“Guarda!”, l’indice abbronzato puntato sul quotidiano, “Sembra che il virus Ebola sia sempre più diffusosososo” “Sta’ zitto, bastardo!”). Immancabile, proprio accanto a Lovino, sedeva Feliciano Vargas, suo fratello minore, che sembrava voler gareggiare con Antonio a chi parlava di più e più in fretta. Stavolta la vittima era Ludwig Beilschmidt, palesemente il suo fidanzato, che era d’altronde il fratello minore di Gilbert – per quanto potesse sembrare improbabile dall’aspetto e dal carattere diametralmente opposto di quei due. Ludwig ascoltava con svariati sospiri le ciance dell’italiano, lanciando di tanto in tanto un’occhiata disperata al giovane orientale che gli sedeva accanto. Quest’ultimo era proprio Kiku Honda, uno dei pochi grandi amici di Arthur! E siccome l’inglese lo conosceva molto bene, sapeva che avrebbe dovuto stare alla larga da lui. Il motivo? La sua inseparabile macchina fotografica. C’era persino il fratello maggiore di Kiku, Yao, che si stringeva contro il fratellino per via del suo vicino: l’inquietante Ivan Braginski. Ma fu il cliente successivo a terrorizzare ancora di più il povero Arthur. Capelli biondi, occhi azzurri luminosi ed ammiccanti circondati da occhiali sottili, un sorriso accecante ed una risata orribile. Alfred F. Jones. Chiudeva la fila un posto vuoto, accanto a Francis. Ah, no, non era vuoto, c’era il fratello di Alfred. Com’è che si chiamava?...
Ma non ebbe tempo per pensarci, perché la sua presenza scatenò una valanga di reazioni diverse. Il francese non gli staccava gli occhi di dosso. I suoi due amichetti si zittirono di botto e cominciarono a ridere, e Antonio commentò (così odiosamente del resto): -Bel vestitino, amigo!-. Lovino sgranò gli occhi e sbottò un “ma che cazzo” decisamente poco fine, per poi far scattare le mani a coprire gli occhi d’ambra del fratellino. Quest’ultimo mormorò un “vee” di sconcerto e disappunto per essere stato interrotto, e artigliò le mani del maggiore per scostarsele dagli occhi (senza successo). Ludwig distolse educatamente lo sguardo, imbarazzato, e Kiku lo nascose dietro la sua macchina fotografica, che stava cominciando ad emettere frenetici clic poco rassicuranti per il povero inglese. Yao si lasciò scappare uno squittio di orrore. Ivan al contrario rimase impassibile, e propose ad Arthur, con un sorriso affabile, di diventare una cosa sola con lui. Quel gigantesco idiota sovrappeso di Alfred sbatté un paio di volte le palpebre per poi scoppiare a ridere – com’era fastidioso! –Ehi Artie! Come mai questo cambio di stile?- e poi una gomitata al fratello, che si nascondeva dietro al suo orsacchiotto per non guardare.
Arthur cominciò a sudare freddo. –Che diavolo avete da guardare?- sbraitò, e sbatté i vassoi sul tavolo, facendo schizzare alcune gocce di salsa sulla camicia gialla di Antonio (non senza soddisfazione). Lo spagnolo si guardò il capo rovinato per poi tornare a sorridere, assicurandogli che non era un gran danno. Così fastidiosamente gentile. Si allontanò frettolosamente per passare ai tavoli successivi, ma non poté fare a meno di sentire, con suo grande orrore, la voce di Francis che chiedeva a Kiku una delle foto.
Altri due vassoi gli comparvero sulle mani. C’erano rimasti giusto altri due tavoli. I restanti erano, fortunatamente, vuoti. Si recò verso il più vicino, e notò che vi sedevano in quattro. Il problema era che conosceva anche loro! Innanzitutto Roderich Edelstein, che era un altro suo ex compagno di college. Ovviamente vicino a lui sedeva Elizaveta Hédervàry, una bella ungherese dai lunghi capelli color castano chiaro lievemente ondulati e dai grandi occhi verdi, che aveva incontrato in un paio di occasioni (ella era una fioraia) e che sapeva avere un debole per Roderich – nonostante Gilbert Beilschmidt facesse di tutto per conquistarla. Poi Vash  Zwingli, un noto benestante dai capelli biondi e dagli occhi duri e freddi, che in genere non si vedeva in citta. Correva voce che avesse una collezione di fucili da caccia con cui respingeva chiunque osasse addentrarsi troppo nel suo giardino senza essere stato invitato. Accanto a lui c’era la sorella minore, Lili, praticamente identica a lui ad eccezione dello sguardo più dolce e profondo e dei lineamenti graziosi e infantili. Appena vide Arthur, Vash si affrettò a coprire gli occhi della sorellina, fulminandolo con lo sguardo. Elizaveta si irrigidì ed estrasse di scatto una piccola macchina fotografica da chissà dove. –Tranquilla, ci ha già pensato Kiku- la bloccò Arthur sarcastico, roteando gli occhi con fare rassegnato. Lei mise a posto l’apparecchio, con una strana luce negli occhi. Roderich si limitò a dire, educatamente: -Herr Kirkland, trovo il vostro… outfit un tantino inappropriato.- -Non me ne parlare- lo interruppe Arthur, posando con malagrazia il vassoio e passando all’ultimo tavolo, frettolosamente.
E poi lo vide.
Tra tutti i ristoranti della zona, Lukas doveva scegliere proprio quello?
Era lì insieme a Mathias, l’idiota danese, suo fratello Emil e Li, il cugino di Kiku.
Ecco perché era così nervoso, pensò Arthur. Quello era un doppio appuntamento, e c’era anche il suo fratellino – verso il quale era decisamente iperprotettivo. Evidentemente aveva organizzato tutto per tenerlo d’occhio, combinando i due appuntamenti. In effetti Emil aveva un’aria decisamente scocciata, e di tanto in tanto lanciava occhiatacce a Lukas.
Appena vide Arthur, il norvegese si alzò di scatto prima che raggiungesse il tavolo e gli afferrò il polso. Cominciò a trascinarlo verso il bagno, sotto lo sguardo limpido, stupito e non particolarmente intelligente di Mathias.
–Che diavolo ti è successo?- sibilò il norvegese, appena furono lontani dagli sguardi (e dalle orecchie) di tutti. –Oliver- disse Arthur, secco. Lukas sgranò appena gli occhi profondi, alterando lievemente la sua usuale espressione. –Come ha fatto ad uscire dallo specchio?- -Non ne ho la più pallida idea!- ringhiò Arthur. –L’ho trovato nella lampada che aveva Vladimir stamattina!-. Lo sguardo di Lukas si fece pensoso. –Magari quell’affare era veramente magico, deve aver trovato un modo per trasferire la sua essenza lì dentro…- –Non m’importa niente di come abbia fatto. Devo coprirmi, questo coso è orripilante. Hai una giacca?- –Ma ti pare? Di fuori ci saranno quaranta gradi. E poi guarda, per quanto è coprente quel coso ti conviene rimanere direttamente in mutande.-. Arthur roteò gli occhi. –Non ti ci mettere anche tu! Ho già una rana pervertita che mi sbava dietro e un comunista che mi propone di diventare una cosa sola con lui. In più, il mio migliore amico mi ha pugnalato alle spalle e scommetto la mia più bella teiera che domani la mia faccia (e questo orribile vestito) saranno su minimo trenta siti internet. Cosa ci potrebbe essere di peggio?-. Lukas tacque per un attimo. –Non stai messo bene…- –Ma non mi dire!- –Sta’ zitto, lasciami finire. Posso aiutarti, ho un’idea. La macchina di Mathias è qui fuori. Visto che lui è gigantesco e tu sei un tappo…- –Ehi!- –…dicevo, potremmo far finta di niente e uscire. Tu potresti nasconderti dietro di lui, magari abbassandoti un po’, e noi potremmo circondarti. Siamo quattro persone, nessuno farà caso a te…- –Come no- commentò Arthur, acido, –se non l’avessi capito, quel maniaco francese mi sta mangiando con gli occhi.-. Il norvegese alzò un sottile sopracciglio. –Vale la pena tentare. O preferisci non provarci neanche?-. Stavolta fu Arthur a tacere. ­Gonfiò le guance e aggrottò le sopracciglia. –…e va bene!
Il piccolo gruppetto si radunò davanti al bagno per nascondere Arthur, dopo un messaggio di Lukas. Purtroppo, appena passarono davanti al tavolo più grande, Alfred si alzò e venne loro incontro. –Arrivederci dudes! Divertitevi, mi raccomando!- e, con noncuranza, diede una pacca energica ad Emil. Il gracile adolescente inciampò, andando a sbattere con Li, che finì addosso ad Arthur, che cadde, e batté la testa. La mente gli si svuotò e tutto si fece buio.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Third Part ***


Third Part


E fu così che, per la seconda volta in quel sei di agosto, Arthur Kirkland si ritrovò immerso nella luce.
Aprì faticosamente gli occhi, ma li richiuse quasi subito.
Riuscì a schiudere le palpebre solo quando una lieve ombra si affacciò sul suo viso.
Avvertì il tocco lieve di alcuni ricci solleticargli il viso, e, faticosamente, mise a fuoco il viso della persona. Aveva occhi grandi e profondi, scurissimi, liquidi. Una gran massa di capelli ricci castano chiaro le circondava il viso sorridente.
–Ti sei svegliato, Arthur!
 
Arthur non capiva.
Stringeva tra le mani una tazza di tea caldo – Twinings, notò con un velo di soddisfazione –, aveva addosso la sua divisa da lavoro e faceva vagare lo sguardo stordito per la luminosa stanza. Un profumo dolce di impasto messo a cuocere gli accarezzava le narici.
–È una torta?- chiese stupidamente. Idiota. Linguaccia inutile.
–Sì- disse la ragazza (Camilla, gli pareva di aver capito) rivolgendogli un sorriso. –Ah- fece Arthur (trovando quel suo commento apatico ancora più stupido e poco galante).
Bevve un sorso di tea fumante, senza staccare lo sguardo dalla figura formosa della ragazza che si muoveva con esperienza tra gli scaffali alla ricerca di chissà cosa.
–È… è il compleanno di qualcuno?- chiese incerto.
–Sì- disse Camilla, con noncuranza. –Il mio.-.
Arthur raddrizzò la schiena, in un impulso da gentleman. –Oh, ehm. Allora, tanti auguri.- (perché diavolo ho balbettato ora mi spieghi perché ho balbettato stupida stupida stupidissima lingua!)
–Grazie mille- replicò lei pacata, versando della farina in una scodella di vetro. Per qualche istante calò il silenzio, interrotto solo dai placidi rumori degli ingredienti che cadevano uno sopra l’altro e quelli secchi dei recipienti di vetro che si appoggiavano sul piano da lavoro della cucina.
Arthur osservava rapito la naturalezza di Camilla tra quei sacchetti, quelle bottiglie e quelle ciotole, tra quegli ingredienti che lui finiva sempre per bruciare irrimediabilmente.
Fu lei a spezzare il silenzio.
–Ehi, ti piace cucinare?-.
Arthur si lasciò sfuggire un sorriso amaro. –A me sì, ma a quanto pare sono io che non piaccio alla cucina.-. Lei ridacchiò. –Non dire così, dai. Sono sicura che non sei così male. Vieni ad aiutarmi!-. –No, sul serio, non voglio incendiarti la cucina- replicò Arthur scuotendo i già spettinati capelli biondi. –Andiamo, mi occupo io dei fornelli!- lo incitò Camilla. Arthur esitò. –E va bene!- acconsentì, poggiando la tazza sul tavolo davanti a lui.


Incredibile, era riuscito a non combinare disastri! Merito sicuramente del talento di Camilla, che lo guidava e gli mostrava le giuste quantità per gli ingredienti.
Era stato piacevole.
L’unica cosa che Arthur aveva rifiutato categoricamente di preparare erano stati i cupcake, e stranamente Camilla non ne era rimasta affatto stupita.
Alla fine, mentre il dolce profumo dei dolci infornati riempiva ormai l’atmosfera della luminosa cucina, l’inglese e l’italiana si sedettero su due sedie, l’uno di fronte all’altra, separati dal tavolo – dove Camilla appoggiò le braccia. Arthur aveva intenzione di raccontarle tutta la sua storia.
Perché diamine si trovava lì?

La ragazza ascoltò attentamente il suo racconto, annuendo come per incitarlo ad andare avanti.
-…e così, eccomi qui. Non so davvero come… ho semplicemente battuto la testa e…- –Sì, lo so- lo interruppe Camilla senza smettere di annuire.
Arthur la guardò, confuso. –In che senso… in che senso lo sai?- –Non posso spiegarti. Ora devi solo…- –Ma sei una maga, o qualcosa del genere?- chiese l’inglese serio alzando un sopracciglio. –Perché anch’io…- –Oh no, niente del genere!- rise lei, scuotendo i ricci. –Senti, meglio che tu non faccia domande, ok? So che detto così sembra un po’ strano, ma devi fidarti di me.- –Ma… sai almeno come sono finito qui?- insistette Arthur. –No. Assolutamente no. Ed è questo il problema. Probabilmente è stata la magia di Oliver, in qualche modo. C’è questo headcanon secondo cui la magia dei Second Player è molto instabile…- –Headcanon?- –Oh, sì, ehm- balbettò la ragazza –n-niente di importante. Puoi scusarmi un secondo? Devo inviare un messaggio importante, sono subito da te.- –Uhm… d’accordo.-.
Arthur le rivolse un lieve sorriso di riconoscenza, mentre lei si alzava e si dirigeva verso un’altra stanza.
 
 


La mora entrò nella primitivamente disordinata stanza del computer, e si lasciò cadere poco elegantemente sulla sua sedia. Aprì il browser e digitò tre lettere sulla barra di navigazione, per poi premere un link ed effettuare l’accesso a un sito web. Controllò la casella di posta elettronica e le sue labbra si distesero nel vedere che c’era un nuovo messaggio. Aprì impaziente il link.


Da Tay66 a te (6/08/15, ore 14:32)

Oggetto: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re:…

Testo del messaggio:

Tsuki, spero che tu legga questo messaggio il prima possibile.



Il sorriso della ragazza si affievolì, e il suo sguardo nocciola si fece serio. Lesse tutto il breve messaggio due o tre volte, prima di decidersi a rispondere.
Si passò una mano sulla fronte, mentre l’altra passava agilmente ad aprire un documento Word.
Come cavolo è possibile?!
 




–Scusa per l’attesa, rieccomi!- disse Camilla, rientrando in cucina. –Oh, non fa niente- la rassicurò Arthur.
Lei si sedette di nuovo davanti a lui e gli prese le mani, facendolo sussultare. –Ora è davvero importante che ti fidi di me, Arthur. D’accordo?.
L’inglese annuì lentamente.
–Bene. Neanch’io so cosa sta succedendo, te lo assicuro. Quello che so è che ora devi dormire. Soltanto dormire. Ok?-.
Arthur deglutì. –Perché?-
–Devi fidarti, Arthur- insistette lei, guardandolo negli occhi.
Lui trasse un profondo respiro.
–Va bene.-.
Lei lo guidò al divano in salotto e lo fece stendere. –Ora dormi, dai. Vedrai che andrà tutto a posto.-
–Camilla?- mugugnò Arthur, già circondato dalle braccia di Morfeo.
–Tu… io… ti rivedrò?-.
Il britannico percepì in modo ovattato il sorriso della giovane donna. –Quello che so, Arthur, è che io rivedrò te.



Quanta tristezza, dalla luce al buio.
 
 
 


Passi e sussurri. –Si è svegliato?- –Vee, ancora no…-. Freddo. Era disteso su un pavimento, e percepì che era proprio il consumato parquet del locale. –Allora meglio che intervenga il fratellone! Gli farò la respirazione bocca a bocca…-
Due secondi e la gola di Francis si trovò compressa da dieci dita inglesi. –Che diavolo pensavi di fare, frog?!- –Sì, è sveglio- commentò Lukas, inespressivo.
Arthur si tirò su di scatto, preoccupato, ma fortunatamente aveva indosso la sua solita, orripilante divisa da cameriere maschile.
–Che… cos’è successo?- balbettò, incredulo.
–Sei inciampato mentre portavi a tavola e hai battuto la testa, mon lapin- rispose Francis dandogli una pacca rassicurante sulla spalla. Arthur si scansò schifato. –Non toccarmi, pervertito! Ho visto come mi guardavi mentre avevo addosso quel… quella cosa.-. Francis sembrava non capire. –Quale cosa?-. Arthur cominciava a perdere la pazienza. –Quell’osceno vestito da maid!- –Perché, avevi un vestito da maid? Devo vederlo!- ridacchiò il francese. –Ma che diamine…- –Arthur- li interruppe Lukas. –Dobbiamo parlare.


–Ricapitoliamo- disse il norvegese squadrando l’amico, per quanto l’angusto e ombroso bagno lo permettesse. –Oliver ti ha appiccicato addosso un vestito da maid, tu hai battuto la testa, ti sei svegliato in una cucina sconosciuta dove una ragazza sconosciuta stava cucinando allegramente…-
–Era il suo compleanno- precisò Arthur.
–Sì, sì. E poi tu hai cucinato senza bruciare niente…-
–Lukas!-
–Smettila di interrompermi. E poi lei ha mandato un messaggio, tu ti sei addormentato e ti sei ritrovato qui, vestito normalmente.-.
–Mi credi, allora?-.
–Certo che ti credo. La magia dei Second Player è potentissima ma incredibilmente instabile, no?-.
Arthur sbiancò. –L’ha detto anche lei! Camilla, intendo!-.
Lukas si accigliò. –Sicuro che non fosse una maga?-
–Assolutamente. Gliel’ho chiesto, e lei ha negato. E poi l’avrei percepito.-
–Quella ragazza sa troppe cose per non essere una di noi- affermò Lukas aggrottando le sopracciglia con fare pensieroso. –E poi come ha fatto a farti tornare indietro? Non ha senso. Non c’è altra spiegazione, ti ha mentito e i tuoi sensi da stregone si stanno ovattando. Ci vorrà un rituale di amplificazione dei poteri, ma di questo parleremo domani con Vladimir.-.
All’improvviso, una voce che definire squillante sarebbe stato un eufemismo trillò: –Lukiee! Ma ci siete caduti dentro?-.
Lukas si irrigidì e rispose, atono: –Anko, non essere ridicolo.-.
Poi si rivolse ad Arthur, sottovoce: –Meglio che usciamo, o Mathias mi si appiccicherà ancora di più e farà l’idiota geloso.
 



Il sole stava ormai tramontando, e i clienti se n’erano andati da un pezzo.
Arthur Kirkland si era tolto quella stupida divisa e stava spazzando il pavimento, e una volta finito sarebbe potuto andare a casa.
La bocca gli si piegò in una smorfia.
Sapeva che non avrebbe dormito. Erano successe troppe cose quel giorno. Gli era sembrato di vivere una specie di incubo, ma per fortuna sembrava essere tutto finito…
Chenille!-
Ecco, appunto. Sembrava.
–Che ci fai tu qui?- chiese acidamente, lanciando un’occhiataccia alla figura familiare che si stagliava controluce sulla soglia del locale.
Francis sorrise.
–Sapevo che il tuo turno finiva a quest’ora e… sì, be’, sono passato a prenderti.-
–Potevo benissimo prendere l’autobus, come al solito.-
–E stare in piedi per tutto il viaggio ed essere sballottati di qua e di là ad ogni curva?-.
Damn. Quella rana non aveva tutti i torti.
–D’accordo- cedette l’inglese, rilassando il viso.
Ci fu un attimo di silenzio.
–E be’… grazie.-.
Francis ampliò il sorriso. –Tu che mi ringrazi? Non è da te.-
–Senti, è stata una giornata pesante, ok?- tentò di giustificarsi Arthur, mentre riponeva la vecchia scopa in un angoletto del locale.
Si avviò con il francese fuori dal locale, mentre gli ultimi raggi di sole tentavano debolmente di raggiungerli.
Arthur se ne ritrovò uno sul viso, e, invece di sottrarsi infastidito, sorrise.
–Come mai sorridi, mon lapin?- –Niente di importante.-.

L’elegante Citroen di Francis partì sollevando una nuvola di polvere, mentre un immaginario, dolce odore di impasto per dolci pareva carezzare le narici di Arthur Kirkland.
 







 
The End
 
 






Angolo dei pomodori lunatici
 
Ce. L’ho. FATTA!!!
*esplodono coriandoli*
 
Hola a tutti, Lettori!

Lo so, non ci si sente da un casino, ma proprio non ho potuto scrivere. Perdonatemi! T^T  Tra la scuola, i compiti e World Twinkle (chi di voi la sta seguendo? :3 ) proprio non ci ho raccapezzato niente!

 Ma ora sono qui, e spero che questo tanto atteso capitolo vi piaccia!
Specie a Tay, che ha dovuto aspettare così tanto tempo ;-;

Questa è la prima (mini) long che finisco *-* quindi sono doppiamente felice per averla terminata!

Ovviamente Camilla è Tay66 (ti dispiace se ho messo il tuo vero nome? Basta che mi avverti, posso cambiarlo e scrivere semplicemente “Tay” ^^ ) e ora vi spiego un paio di cosette: Camilla ha mandato un messaggio a me! Stavo scrivendo io la storia di Arthur, perciò potevo modificarla! E il fatto che Arthur si sia trovato nel mondo reale, deriva davvero dalla magia di Oliver. (L’headcanon l’ho ideato io :3 ho sempre pensato a una cosa del genere e calza a pennello, qui!)

Annuncio anche che il prossimo capitolo della Padella Addormentata è quasi finito! Aggiornamento garantito nei prossimi giorni (;

D’accordo, ci risentiamo! Grazie a Princess Vanilla e a Tay66 per aver recensito entrambi i precedenti capitoli! Grazie anche ai lettori fantasma che wow, sono tantissimi! X3

Adios, churros y besos!
Tsukiakari


 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3216897