The Dark Half Of The Blue di magnetism (/viewuser.php?uid=855485)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO I ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Tutto
quello che vedevo era un'enorme macchia nera, ai piedi del mio palazzo.
Del nostro palazzo. Ero appoggiato alla ringhiera del balcone di casa
mia e guardavo giù, verso di loro. Sopra di me, anche il
cielo era scuro, ricoperto da nuvole grigie.
Non pensavo a nulla: per la prima volta da tanto tempo guardavo le cose
per come erano veramente, senza giudicarle o senza cercare di renderle
migliori.
Guardavo la mia famiglia e quella di lei e tutti i suoi parenti; erano
rammucchiati, tutti vestiti di nero, parlavano tra di loro a voce
bassa, come a non volersi far sentire l'uno dall'altro. In tutto erano
una ventina, probabilmente. Non ero particolarmente lontano da loro, il
mio appartamento era al terzo piano, quindi riuscivo a sentire qualche
frase, del tipo: "Chissà come l'avrà presa" o
"Era una ragazza così serena, non capisco perchè
l'abbia fatto" e addirittura "Io la conoscevo bene, sono sicuro che sia
stato qualcuno a spingerla a fare una cosa del genere".
Anche io ero vestito di nero, anche se non volevo. Sapevo che a lei non
sarebbe piaciuto se tutti avessero tenuto il muso lungo: lei avrebbe
voluto che gli altri capissero. Era quello che aveva sempre voluto.
Avrei preferito indossare qualcos'altro, ad esempio una maglia gialla,
il suo colore preferito. Ma era stata mia madre ad obbligarmi a non
farlo, e quando si mette in testa qualcosa è a dir poco
impossibile farle cambiare idea. "Tutti ti guarderanno male!" aveva
detto.
Scrutando tra la piccola folla, incontrai il suo sguardo, triste e
compassionevole: era l'unica ad essersi accorta di me, l'unico volto
rivolto verso l'alto. Mi fece cenno di scendere: era ora di andare.
Buttai il mozzicone della sigaretta, ormai finita, e scesi
giù.
Finito il funerale, scattai fuori dalla chiesa. Fui il primo ad uscire:
non ne potevo più di sorbirmi tutte quelle cazzate su Dio e
palle varie. Una volta fuori, sentii una goccia cadermi fredda sulla
guancia.
Mia madre si avvicinò e la cacciò via con un
dito, approfittandone per accarezzarmi la pelle.
-Non piangere, amore, ti prego. Andrà tutto bene, vedrai-
sussurrò queste parole in modo dolce, per tranquillizzarmi,
forse. Questo suo gesto, però, faceva l'effetto contrario:
infatti, mi sentivo più arrabbiato.
-Non sto piangendo, mamma- dissi, con la voce ferma. Cercavo di
manantenere la calma e anche di mascherare ciò che realmente
provavo in quel momento. Ci ero riuscito. Ci riuscivo sempre, ero
davvero bravo a falsificare le cose. Dalle firme sul libretto delle
assenze ai miei sentimenti. Tutto.
Gli invitati, poco a poco, andarono via, dopo aver fatto le
condoglianze ai suoi familiari. Molti si avvicinarono anche a me,
esprimendo quanto fossero dispiaciuti per la sua morte.
Tutti quelli che ci conoscevano sapevano perfettamente quanto ci
volevamo bene: io appartenevo a lei e lei apparteneva a me. Eravamo due
anime legate, destinate a vivere insieme per tutta la vita. Ma non da
innamorati, no, non è quello che eravamo. Eravamo
semplicemente due ragazzi incompresi, isolati dal resto del mondo. Non
avevamo bisogno di nessuno, ci completavamo a vicenda. Se fossimo
rimasti solo io lei sulla Terra, non avrebbe fatto alcuna differenza.
Ma era tutto cambiato, ormai, e sapevo che non ci sarebbe stato mai
nessun altro in grado di ascoltarmi, capirmi e completarmi come solo
lei sapeva fare.
Non piansi, no. Nessuno meritava di vedere le mie lacrime, le
consideravo una cosa preziosa, da mostrare solo a chi davvero meritava
di vederle. E l'unica che le meritava non c'era più.
Perciò, arrivai alla conclusione che nessuno le avrebbe mai
più riviste.
Nemmeno io stesso.
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Capitolo 2 *** CAPITOLO I ***
-Mi
stai ascoltando?- mi sentii dire più volte. Era Lorenzo che
mi stava scuotendo una spalla ripetutamente.
Lo guardai negli occhi, ma non lo vidi. Lui alzò le
sopracciglia e mi scosse di nuovo, afferrandomi per entrambe le spalle,
'sta volta. Mi scostai e lo spinsi di lato, piano, ma lui con infinita
esagerazione si buttò per terra dalla panchina su cui
eravamo seduti, sporcandosi di neve.
-Non stressarmi, Lollo - farfugliai, guardando dritto verso di me. Il
laghetto del Parco era completamente ghiacciato; non era un lago
particolarmente grande, ma lo era abbastanza da accogliere una piccola
quantità di anatre e papere. Ignorando nuovamente il mio
amico, ripensai al libro che avevo letto diversi mesi prima, "Il
giovane Holden" e alla domanda che aveva posto il protagonista al suo
taxista: Mi saprebbe dire per caso dove vanno le anatre quando il lago
gela?
Ci pensai su a lungo, strofinandomi le mani per riscaldarle. Dove
diavolo potevano andarsene? Non arrivai a nessuna conclusione; mi
senitvo stanco quel giorno e incapace di ragionare e pensare
profondamente, come solitamente mi piaceva fare.
-Secondo te, quando il lago si ghiaccia, dove vanno a finire le
anatre?- gli domandai, senza distogliere lo sguardo dal laghetto. Lui
si era già alzato e seduto accanto a me.
-Ma che cazzo, Ludo- mi rimproverò, infastidito -Ti ho fatto
una domanda.
-E io te ne ho fatta un'altra.
-Sì, ma io per primo- sbuffò. Aspettò
che ribattessi un'altra volta, ma, vedendo che non ne avevo intenzione,
ricominciò a parlare. -Ti ho chiesto se ci vieni alla festa,
sabato prossimo.
Corrugai la fronte -Che festa?
Sbuffò per l'ennesima volta -Dio! Perchè non mi
ascolti mai?
Non volevo andare a nessuna festa, proprio non ne avevo voglia. -Ce
l'hai una sigaretta? Grazie.
Lui si alzò in piedi, bruscamente -No, cazzo, non ho nessuna
sigaretta. Ascol...
Lo interruppi subito, volevo evitare l'argomento: -Ne hai fumate tre,
due minuti fa...
-Senti, lo sai quante sigarette mi devi?- esclamò,
posizionandosi davanti a me. -Comunque, ora mi fai parlare- Il suo tono
cambiò, diventò più intrigante -Hai
presente Federica Sdruccioli? Quella della 4D?- chiese, tornando a
sedersi vicino a me.
Finsi di fare l'interessato e cambiai espressione, guardandolo in
faccia. Ci riuscii benissimo. Lorenzo aveva le palpebre leggermente
abbassate e un ghigno malizioso, alzava e abbassava le sopracciglia
ripetutamente. Quella smorfia mi fece sorridere e, sempre fingendomi
interessato, chiesi: -Mmh. La biondina, alta, carina? Quella che ha,
tipo, la quarta?
Lui mi lanciò una gomitata e il suo sorriso si
ampliò -Oh, sì! Lei, proprio lei! Adesso sai
benissimo di cosa parlo. Eh? Eh?- ridacchiò, prima di
ricominciare -Ale conosce la sua migliore amica e gli ha detto che i
genitori di Fede sabato prossimo sono via. Ha invitato poche persone a
casa sua, ma credo che venga molta più gente.
Annuii più volte, per incitarlo ad andare avanti,
così lui continuò: -Ale mi ha anche detto che ti
corre dietro come una povera cagnetta in calore.
Non era affatto una novità e non ero affatto sorpreso. Non
era la prima volta che mi veniva detto che a qualcuno interessavo,
anzi. Ero molto considerato a scuola, anche troppo, mi piaceva sentire
l'attenzione delle ragazze su di me. Iniziai a interessarmi davvero,
pensai che era da un po' che non mi facevo una bella scopata e,
ascoltando le parole di Lorenzo, mi era tornata una certa voglia.
Pensai a Federica Sdruccioli, cercando di ricordarla bene. Era alta,
sì, ma non più di me. Bionda, aveva un mare di
capelli mossi e dorati, bellissimi. Come avevo detto prima, aveva un
seno prosperoso che piaceva mostrare: indossava sempre magliette
scollate e attillate e amava piegarsi in avanti quando ti parlava,
perciò la vista era abbastanza piacevole. Immaginai di avere
davanti a me le sue bellissime labbra carnose, piene.
Lollo mi riportò alla realtà: -Allora, ci stai?
Allungai una mano all'interno della tasca della sua giacca e tirai
fuori il pacchetto di Winston, sfilando una sigaretta. Mentre
l'accendevo, gli diedi la mia risposta: -Perchè no?
* * *
In una grigia e deprimente mattinata di un grigio e deprimente inverno
della mia vita, circondato dalle risate e dai gridolini dei miei
compagni di classe, aspettavo seduto e silenzioso al mio banco -da
bravo alunno- l'arrivo di Corradi.
Ernesto Amedeo Corradi, per la precisione. Io e Lollo ci eravamo
intrufolati nell'ufficio del preside, al secondo anno, e avevamo
ficcanasato nei documenti dei professori sparsi per quell'orribile e
vecchia scrivania di legno. L'intero ufficio aveva un forte odore di
umidità e muffa, un odore che mi sarebbe rimasto impresso
per tutta la vita (tenedo il conto di tutte le volte che ero stato
lì dentro, seduto scomodo su una poltrona in pelle che
avrebbe dovuto avere l'età di Ötzi, fingendo di
ascoltare le ramanzine del preside che, dopo un paio di volte che le
sentivi, suonavano come una filastrocca).
Ernesto Amedeo Corradi era un giovane insegnante di lettere che
dimostrava molti più anni di quanti non ne avesse. Credo
fosse per colpa della leucemia da cui era guarito pochi mesi prima.
Aveva i capelli corti e a spazzola, un paio di occhiali rotondi alla
Harry Potter, un naso adunco che sembrava sgocciolare dalla sua faccia
e i due occhi più tristi del mondo. Prima di congedarsi
dalla scuola per via della grave malattia, ricordo Corradi come un
insegnante allegro e positivo, persino il colore della sua pelle
sembrava più vivace, prima della chemio.
Adesso, invece, Ernesto Amedeo Corradi sembrava un fiore appassito, con
il viso deprimente e rivolto verso il basso e la camminata lenta e le
braccia incrociate al petto e quegli occhi tristi che le spesse lenti
degli occhiali rendevano più grandi e, di conseguenza, li
rendevano ancora più tristi.
Il corso di letteratura approfondita che seguivamo con lui era
facoltativo, perciò metà della mia classe era
unita alla metà della 4A.
Quando entrò in classe, automaticamente i miei compagni si
zittirono e andarono ognuno al proprio posto: la sua tristezza era
contagiosa. Poggiò la sua cartella sulla cattedra e
tornò indietro per chiudere la porta: venticinque teste si
muovevano nella sua direzione, studiando ogni suo triste movimento,
aspettando che inziasse a parlare.
Quando finì di fare qualsiasi cosa stesse facendo,
concentrò l'attenzione su di noi, corrugando le sopracciglia
e arriciando le sottili labbra.
-Okay- disse con voce roca -Abbiamo da poco iniziato il Rinascimento-
continuò, scrutando la classe -e mi sembra più
che giusto iniziare a conoscere il nostro amico Ariosto partendo dalla
sua opera più importante, L'Orlando Furioso.
Corradi iniziò con una breve introduzione del poeta, poi
però s'interruppe, infastidito dai vari commenti dei miei
compagni. Qualcuno aveva fatto una battutaccia su Orlando Bloom e
Lollo, accanto a me, aveva scherzato sul fatto che io avessi lo stesso
nome di Ariosto.
-Okay- ripetè Corradi, sistemandosi gli occhiali alla base
del naso gocciolante. -Okay, basta. Ora vi cambio di posto.
La sua frase fu seguita da una serie di lamenti da parte della classe
che il prof si affrettò a zittire: -Mi dispiace, ragazzi, ma
è dall'inizio dell'anno che vi divertite a fare stupidi
commenti nelle mie ore. Non riesco a fare lezione tranquillamente. E
deduco che, data la libertà che avete nella disposizione dei
banchi, credo che ognuno di voi si sia seduto accanto al proprio
amicone. Sù, sù! Via quei musoni tristi, questa
è un opportunità per stringere nuove amicizie!
Lollo mi colpì con una leggera gomitata: -Quei musoni
tristi?!- esclamò, ripetendo la frase del prof. -Da che
pulpito!
Facendo una gran confusione con i nostri nomi, Corradi
iniziò a cambiare i nostri posti.
E, di tutte le persone nella mia classe, dovetti sedermi proprio
accanto all'unica di cui non conoscevo il nome. Persino il suo volto mi
era ignoto, circondato da una miriade di lunghi capelli corvini, chino
su un libro che teneva aperto sul banco.
-Ciao- la salutai, ma non ebbi alcuna risposta, così decisi
di presentarmi. -Io sono Ludovi...
-So chi sei- mi zittì immediatamente, senza distogliere lo
sguardo dal libro. Anche se poco mi importava, il mio scopo era quello
di scoprire il suo nome, così da evitare figure di merda nel
chiederglielo. Da tre mesi la scuola era inziata, da tre mesi era
inziato il corso di letteratura approfondita e da tre mesi gente che
non avevo mai conosciuto entrava e usciva dalla mia classe, tre volte
alla settimana. Dopo tre mesi non conoscevo ancora i loro nomi e questa
cosa era davvero imbarazzante.
Comunque, quelle furono le uniche parole che ci scambiammo e da quel
poco che avevo visto, non sembrava che morisse dalla voglia di
conoscermi.
Questa cosa mi turbò parecchio per il resto dell'intera
giornata. Aveva detto che sapeva chi fossi, no? E quindi, quale persona
sana di mente nella mia scuola si sarebbe rifiutata di guardarmi negli
occhi e stringermi la mano quando ne aveva la possibilità?
Nessuna, nossignore. Dedussi, infine, che, evidentemente, non era una
persona sana di mente, certo che no, come avrebbe potuto esserlo? Ero
quasi sicuro che, se mi avesse guardato negli occhi (o anche solo in
faccia), sarebbe andata diversamente. Si sarebbe incantata, vedendo i
miei grandi occhi verde smeraldo. Come succedeva a tutte le ragazze che
incontravo, del resto. Ero fin troppo orgoglioso di questa cosa.
Quando la campanella suonò, la tipa si alzò di
scatto, facendomi saltare, e fu la prima a oltrepassare la porta della
classe per uscire. Sembrava che non aspettasse altro da tutta l'ora. Mi
accorsi che, nella fretta di uscire, aveva fatto cadere qualcosa per
terra. Mi chinai accanto al mio banco e la raccolsi. Era un
braccialetto di cuoio scuro, consumato e sembrava essere molto vecchio;
mi accorsi che, nella parte interna del bracciale, c'erano due inziali:
F
e G.
So benissimo che sarei dovuto uscire dalla classe, andare in 4A e
restituirglielo. Ma di certo non era un gesto degno di Ludovico
Falasca, no. Il mio compito era strafregarmene degli altri, o almeno
fingere di strafregarmene. C'era una lista infinita di cose che sapevo
fare bene e, al primo posto, avrei messo 'fingere'. Ovviamente, nessuno
lo sapeva, come avrebbero potuto saperlo, altrimenti?
Così, "tanto per cambiare", decisi di fare lo stronzo e mi
ficcai il braccialetto in tasca.
Rieccomi!
So che fa schifo
è corto e tutto il resto ma, in questi due mesi non ho
passato, diciamo, i migliori dei momenti. Comunque, cercherò
di aggiornare tra poco, perchè ho già iniziato a
scrivere l'altro capitolo. Anche se non vi è piaciuta, per
favore, lasciatemi una recensione per sapere quello che pensate: siate
i più sinceri possibile!
Grazie per aver
letto,
Sofia.
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