The Dark Half Of The Blue

di magnetism
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO I ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


13 marzo 2014


Tutto quello che vedevo era un'enorme macchia nera, ai piedi del mio palazzo. Del nostro palazzo. Ero appoggiato alla ringhiera del balcone di casa mia e guardavo giù, verso di loro. Sopra di me, anche il cielo era scuro, ricoperto da nuvole grigie.

Non pensavo a nulla: per la prima volta da tanto tempo guardavo le cose per come erano veramente, senza giudicarle o senza cercare di renderle migliori.

Guardavo la mia famiglia e quella di lei e tutti i suoi parenti; erano rammucchiati, tutti vestiti di nero, parlavano tra di loro a voce bassa, come a non volersi far sentire l'uno dall'altro. In tutto erano una ventina, probabilmente. Non ero particolarmente lontano da loro, il mio appartamento era al terzo piano, quindi riuscivo a sentire qualche frase, del tipo: "Chissà come l'avrà presa" o "Era una ragazza così serena, non capisco perchè l'abbia fatto" e addirittura "Io la conoscevo bene, sono sicuro che sia stato qualcuno a spingerla a fare una cosa del genere".

Anche io ero vestito di nero, anche se non volevo. Sapevo che a lei non sarebbe piaciuto se tutti avessero tenuto il muso lungo: lei avrebbe voluto che gli altri capissero. Era quello che aveva sempre voluto.

Avrei preferito indossare qualcos'altro, ad esempio una maglia gialla, il suo colore preferito. Ma era stata mia madre ad obbligarmi a non farlo, e quando si mette in testa qualcosa è a dir poco impossibile farle cambiare idea. "Tutti ti guarderanno male!" aveva detto.

Scrutando tra la piccola folla, incontrai il suo sguardo, triste e compassionevole: era l'unica ad essersi accorta di me, l'unico volto rivolto verso l'alto. Mi fece cenno di scendere: era ora di andare. Buttai il mozzicone della sigaretta, ormai finita, e scesi giù.

Finito il funerale, scattai fuori dalla chiesa. Fui il primo ad uscire: non ne potevo più di sorbirmi tutte quelle cazzate su Dio e palle varie. Una volta fuori, sentii una goccia cadermi fredda sulla guancia.

Mia madre si avvicinò e la cacciò via con un dito, approfittandone per accarezzarmi la pelle.

-Non piangere, amore, ti prego. Andrà tutto bene, vedrai- sussurrò queste parole in modo dolce, per tranquillizzarmi, forse. Questo suo gesto, però, faceva l'effetto contrario: infatti, mi sentivo più arrabbiato.

-Non sto piangendo, mamma- dissi, con la voce ferma. Cercavo di manantenere la calma e anche di mascherare ciò che realmente provavo in quel momento. Ci ero riuscito. Ci riuscivo sempre, ero davvero bravo a falsificare le cose. Dalle firme sul libretto delle assenze ai miei sentimenti. Tutto.

Gli invitati, poco a poco, andarono via, dopo aver fatto le condoglianze ai suoi familiari. Molti si avvicinarono anche a me, esprimendo quanto fossero dispiaciuti per la sua morte.

Tutti quelli che ci conoscevano sapevano perfettamente quanto ci volevamo bene: io appartenevo a lei e lei apparteneva a me. Eravamo due anime legate, destinate a vivere insieme per tutta la vita. Ma non da innamorati, no, non è quello che eravamo. Eravamo semplicemente due ragazzi incompresi, isolati dal resto del mondo. Non avevamo bisogno di nessuno, ci completavamo a vicenda. Se fossimo rimasti solo io lei sulla Terra, non avrebbe fatto alcuna differenza.

Ma era tutto cambiato, ormai, e sapevo che non ci sarebbe stato mai nessun altro in grado di ascoltarmi, capirmi e completarmi come solo lei sapeva fare.
Non piansi, no. Nessuno meritava di vedere le mie lacrime, le consideravo una cosa preziosa, da mostrare solo a chi davvero meritava di vederle. E l'unica che le meritava non c'era più.
Perciò, arrivai alla conclusione che nessuno le avrebbe mai più riviste.

Nemmeno io stesso.

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Capitolo 2
*** CAPITOLO I ***


                                                                                        CAPITOLO I                                                                                                       8 mesi dopo



-Mi stai ascoltando?- mi sentii dire più volte. Era Lorenzo che mi stava scuotendo una spalla ripetutamente.

Lo guardai negli occhi, ma non lo vidi. Lui alzò le sopracciglia e mi scosse di nuovo, afferrandomi per entrambe le spalle, 'sta volta. Mi scostai e lo spinsi di lato, piano, ma lui con infinita esagerazione si buttò per terra dalla panchina su cui eravamo seduti, sporcandosi di neve.

-Non stressarmi, Lollo - farfugliai, guardando dritto verso di me. Il laghetto del Parco era completamente ghiacciato; non era un lago particolarmente grande, ma lo era abbastanza da accogliere una piccola quantità di anatre e papere. Ignorando nuovamente il mio amico, ripensai al libro che avevo letto diversi mesi prima, "Il giovane Holden" e alla domanda che aveva posto il protagonista al suo taxista: Mi saprebbe dire per caso dove vanno le anatre quando il lago gela?

Ci pensai su a lungo, strofinandomi le mani per riscaldarle. Dove diavolo potevano andarsene? Non arrivai a nessuna conclusione; mi senitvo stanco quel giorno e incapace di ragionare e pensare profondamente, come solitamente mi piaceva fare.

-Secondo te, quando il lago si ghiaccia, dove vanno a finire le anatre?- gli domandai, senza distogliere lo sguardo dal laghetto. Lui si era già alzato e seduto accanto a me.

-Ma che cazzo, Ludo- mi rimproverò, infastidito -Ti ho fatto una domanda.

-E io te ne ho fatta un'altra.

-Sì, ma io per primo- sbuffò. Aspettò che ribattessi un'altra volta, ma, vedendo che non ne avevo intenzione, ricominciò a parlare. -Ti ho chiesto se ci vieni alla festa, sabato prossimo.

Corrugai la fronte -Che festa?

Sbuffò per l'ennesima volta -Dio! Perchè non mi ascolti mai?

Non volevo andare a nessuna festa, proprio non ne avevo voglia. -Ce l'hai una sigaretta? Grazie.

Lui si alzò in piedi, bruscamente -No, cazzo, non ho nessuna sigaretta. Ascol...

Lo interruppi subito, volevo evitare l'argomento: -Ne hai fumate tre, due minuti fa...

-Senti, lo sai quante sigarette mi devi?- esclamò, posizionandosi davanti a me. -Comunque, ora mi fai parlare- Il suo tono cambiò, diventò più intrigante -Hai presente Federica Sdruccioli? Quella della 4D?- chiese, tornando a sedersi vicino a me.

Finsi di fare l'interessato e cambiai espressione, guardandolo in faccia. Ci riuscii benissimo. Lorenzo aveva le palpebre leggermente abbassate e un ghigno malizioso, alzava e abbassava le sopracciglia ripetutamente. Quella smorfia mi fece sorridere e, sempre fingendomi interessato, chiesi: -Mmh. La biondina, alta, carina? Quella che ha, tipo, la quarta?

Lui mi lanciò una gomitata e il suo sorriso si ampliò -Oh, sì! Lei, proprio lei! Adesso sai benissimo di cosa parlo. Eh? Eh?- ridacchiò, prima di ricominciare -Ale conosce la sua migliore amica e gli ha detto che i genitori di Fede sabato prossimo sono via. Ha invitato poche persone a casa sua, ma credo che venga molta più gente.

Annuii più volte, per incitarlo ad andare avanti, così lui continuò: -Ale mi ha anche detto che ti corre dietro come una povera cagnetta in calore.

Non era affatto una novità e non ero affatto sorpreso. Non era la prima volta che mi veniva detto che a qualcuno interessavo, anzi. Ero molto considerato a scuola, anche troppo, mi piaceva sentire l'attenzione delle ragazze su di me. Iniziai a interessarmi davvero, pensai che era da un po' che non mi facevo una bella scopata e, ascoltando le parole di Lorenzo, mi era tornata una certa voglia. Pensai a Federica Sdruccioli, cercando di ricordarla bene. Era alta, sì, ma non più di me. Bionda, aveva un mare di capelli mossi e dorati, bellissimi. Come avevo detto prima, aveva un seno prosperoso che piaceva mostrare: indossava sempre magliette scollate e attillate e amava piegarsi in avanti quando ti parlava, perciò la vista era abbastanza piacevole. Immaginai di avere davanti a me le sue bellissime labbra carnose, piene.

Lollo mi riportò alla realtà: -Allora, ci stai?

Allungai una mano all'interno della tasca della sua giacca e tirai fuori il pacchetto di Winston, sfilando una sigaretta. Mentre l'accendevo, gli diedi la mia risposta: -Perchè no?

           
                                                                                                                  * * *


In una grigia e deprimente mattinata di un grigio e deprimente inverno della mia vita, circondato dalle risate e dai gridolini dei miei compagni di classe, aspettavo seduto e silenzioso al mio banco -da bravo alunno- l'arrivo di Corradi.

Ernesto Amedeo Corradi, per la precisione. Io e Lollo ci eravamo intrufolati nell'ufficio del preside, al secondo anno, e avevamo ficcanasato nei documenti dei professori sparsi per quell'orribile e vecchia scrivania di legno. L'intero ufficio aveva un forte odore di umidità e muffa, un odore che mi sarebbe rimasto impresso per tutta la vita (tenedo il conto di tutte le volte che ero stato lì dentro, seduto scomodo su una poltrona in pelle che avrebbe dovuto avere l'età di Ötzi, fingendo di ascoltare le ramanzine del preside che, dopo un paio di volte che le sentivi, suonavano come una filastrocca).

Ernesto Amedeo Corradi era un giovane insegnante di lettere che dimostrava molti più anni di quanti non ne avesse. Credo fosse per colpa della leucemia da cui era guarito pochi mesi prima. Aveva i capelli corti e a spazzola, un paio di occhiali rotondi alla Harry Potter, un naso adunco che sembrava sgocciolare dalla sua faccia e i due occhi più tristi del mondo. Prima di congedarsi dalla scuola per via della grave malattia, ricordo Corradi come un insegnante allegro e positivo, persino il colore della sua pelle sembrava più vivace, prima della chemio.

Adesso, invece, Ernesto Amedeo Corradi sembrava un fiore appassito, con il viso deprimente e rivolto verso il basso e la camminata lenta e le braccia incrociate al petto e quegli occhi tristi che le spesse lenti degli occhiali rendevano più grandi e, di conseguenza, li rendevano ancora più tristi.

Il corso di letteratura approfondita che seguivamo con lui era facoltativo, perciò metà della mia classe era unita alla metà della 4A.

Quando entrò in classe, automaticamente i miei compagni si zittirono e andarono ognuno al proprio posto: la sua tristezza era contagiosa. Poggiò la sua cartella sulla cattedra e tornò indietro per chiudere la porta: venticinque teste si muovevano nella sua direzione, studiando ogni suo triste movimento, aspettando che inziasse a parlare.

Quando finì di fare qualsiasi cosa stesse facendo, concentrò l'attenzione su di noi, corrugando le sopracciglia e arriciando le sottili labbra.

-Okay- disse con voce roca -Abbiamo da poco iniziato il Rinascimento- continuò, scrutando la classe -e mi sembra più che giusto iniziare a conoscere il nostro amico Ariosto partendo dalla sua opera più importante, L'Orlando Furioso.

Corradi iniziò con una breve introduzione del poeta, poi però s'interruppe, infastidito dai vari commenti dei miei compagni. Qualcuno aveva fatto una battutaccia su Orlando Bloom e Lollo, accanto a me, aveva scherzato sul fatto che io avessi lo stesso nome di Ariosto.

-Okay- ripetè Corradi, sistemandosi gli occhiali alla base del naso gocciolante. -Okay, basta. Ora vi cambio di posto.

La sua frase fu seguita da una serie di lamenti da parte della classe che il prof si affrettò a zittire: -Mi dispiace, ragazzi, ma è dall'inizio dell'anno che vi divertite a fare stupidi commenti nelle mie ore. Non riesco a fare lezione tranquillamente. E deduco che, data la libertà che avete nella disposizione dei banchi, credo che ognuno di voi si sia seduto accanto al proprio amicone. Sù, sù! Via quei musoni tristi, questa è un opportunità per stringere nuove amicizie!

Lollo mi colpì con una leggera gomitata: -Quei musoni tristi?!- esclamò, ripetendo la frase del prof. -Da che pulpito!

Facendo una gran confusione con i nostri nomi, Corradi iniziò a cambiare i nostri posti.

E, di tutte le persone nella mia classe, dovetti sedermi proprio accanto all'unica di cui non conoscevo il nome. Persino il suo volto mi era ignoto, circondato da una miriade di lunghi capelli corvini, chino su un libro che teneva aperto sul banco.

-Ciao- la salutai, ma non ebbi alcuna risposta, così decisi di presentarmi. -Io sono Ludovi...

-So chi sei- mi zittì immediatamente, senza distogliere lo sguardo dal libro. Anche se poco mi importava, il mio scopo era quello di scoprire il suo nome, così da evitare figure di merda nel chiederglielo. Da tre mesi la scuola era inziata, da tre mesi era inziato il corso di letteratura approfondita e da tre mesi gente che non avevo mai conosciuto entrava e usciva dalla mia classe, tre volte alla settimana. Dopo tre mesi non conoscevo ancora i loro nomi e questa cosa  era davvero imbarazzante.

Comunque, quelle furono le uniche parole che ci scambiammo e da quel poco che avevo visto, non sembrava che morisse dalla voglia di conoscermi.

Questa cosa mi turbò parecchio per il resto dell'intera giornata. Aveva detto che sapeva chi fossi, no? E quindi, quale persona sana di mente nella mia scuola si sarebbe rifiutata di guardarmi negli occhi e stringermi la mano quando ne aveva la possibilità? Nessuna, nossignore. Dedussi, infine, che, evidentemente, non era una persona sana di mente, certo che no, come avrebbe potuto esserlo? Ero quasi sicuro che, se mi avesse guardato negli occhi (o anche solo in faccia), sarebbe andata diversamente. Si sarebbe incantata, vedendo i miei grandi occhi verde smeraldo. Come succedeva a tutte le ragazze che incontravo, del resto. Ero fin troppo orgoglioso di questa cosa.
Quando la campanella suonò, la tipa si alzò di scatto, facendomi saltare, e fu la prima a oltrepassare la porta della classe per uscire. Sembrava che non aspettasse altro da tutta l'ora. Mi accorsi che, nella fretta di uscire, aveva fatto cadere qualcosa per terra. Mi chinai accanto al mio banco e la raccolsi. Era un braccialetto di cuoio scuro, consumato e sembrava essere molto vecchio; mi accorsi che, nella parte interna del bracciale, c'erano due inziali:  F  e  G.

So benissimo che sarei dovuto uscire dalla classe, andare in 4A e restituirglielo. Ma di certo non era un gesto degno di Ludovico Falasca, no. Il mio compito era strafregarmene degli altri, o almeno fingere di strafregarmene. C'era una lista infinita di cose che sapevo fare bene e, al primo posto, avrei messo 'fingere'. Ovviamente, nessuno lo sapeva, come avrebbero potuto saperlo, altrimenti?

Così, "tanto per cambiare", decisi di fare lo stronzo e mi ficcai il braccialetto in tasca.





Rieccomi!
So che fa schifo è corto e tutto il resto ma, in questi due mesi non ho passato, diciamo, i migliori dei momenti. Comunque, cercherò di aggiornare tra poco, perchè ho già iniziato a scrivere l'altro capitolo. Anche se non vi è piaciuta, per favore, lasciatemi una recensione per sapere quello che pensate: siate i più sinceri possibile!
Grazie per aver letto,
Sofia.

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