The world of Nightmare

di L0g1c1ta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quando tutto ebbe inizio... ***
Capitolo 2: *** Smarriti... ***
Capitolo 3: *** Il rito antico ***
Capitolo 4: *** Portafortuna ***
Capitolo 5: *** Fidanzati...oppure no... ***
Capitolo 6: *** Il gigante di fuoco ***
Capitolo 7: *** Yoshi-chan ***
Capitolo 8: *** Voci... ***
Capitolo 9: *** Monsieur Sandy ***
Capitolo 10: *** Un mostro in cucina ***
Capitolo 11: *** Festa ***
Capitolo 12: *** Sopravvissuti ***
Capitolo 13: *** Malattia ***
Capitolo 14: *** Nero ***
Capitolo 15: *** Dopo un mese... ***
Capitolo 16: *** Figli adottivi ***
Capitolo 17: *** Bloody Mary ***
Capitolo 18: *** Morta ***
Capitolo 19: *** Mai più solo ***
Capitolo 20: *** Volantino ***
Capitolo 21: *** Condanna a morte ***
Capitolo 22: *** Un vecchio amico ***
Capitolo 23: *** Angelo o demone? ***



Capitolo 1
*** Quando tutto ebbe inizio... ***


THE WORLD OF NIGHTMARES

 

 

“Buona sera a tutti!”

Gianni fece entrare i gemelli Sanz che di corsa si fiondarono sui morbidi cuscini della cucina del terzo piano. Avevano finalmente deciso di fare una festa dopo due settimane di divertimento, era ora di dirsi addio e ritornare ognuno nel proprio paese.

“Non sai che corsa che abbiamo fatto per venire qui!” disse uno dei gemelli, Al.

“Pensa Gianni! Immaginati Arnold che si gira mentre fa il turno di notte e due vampiri assetati di sangue gli fanno fare uno spavento assurdo!” disse con entusiasmo l’altro gemello, Mini.

“Ma la piantate di fare questi scherzi!? So che è mezzanotte, ma vi ricordo che se qualcuno ci becca sono cavoli per tutti!” Gianni era infuriato. Non era molto più grande di loro. Aveva solo sedici anni in confronto ai quindici dei gemelli spagnoli, ma sembravano dei veri e propri bambini.

“Su con la vita Giovanni, non stiamo mica spacciando…” disse Mini con tono dispiaciuto, anche se sotto quegli occhi color pece nascondeva un sorriso a un milione di denti, e Gianni questo lo sapeva.

“Alejandro e Carmen, basta!” solo con loro perdeva la pazienza, era considerato il ragazzo più paziente del gruppo, ma dopo averli incontrati il primo giorno di vacanze studio tutti dovevano ricredersi.

“Ma non sei mica nostr…”

“Ma che state combinando a quest’ora…?” i tre ragazzi si girarono di scatto. Era Mino, falso allarme.

“Cielo! Sei solo tu! Credevo che fossi la Forlì” disse Gianni preoccupato.

“Ho sentito di un certo spaccio, ma che state combinando?” disse il diciassettenne preoccupato.

“Ha ha! No no! Ora ti spieghiamo. Sai che oggi è l’ultima serata insieme a New York, no? Beh, volevamo fare una festa d’addio con tutti quanti, senza droga tranquillo!” spiegò velocemente Al.

Mino tirò un sospiro di sollievo. Non voleva che la Forlì li beccava e si cacciassero nei guai, quei ragazzi gli erano simpatici.

“Ok. Posso festeggiare con voi?” I ragazzi spalancarono gli occhi. Gelsomino il secchione che chiedeva di partecipare ad una festa con la Forlì sullo stesso piano che potrebbe svegliarsi da un momento all’altro? Molto interessante….si potrebbe fare, ma…

“Perché?” l’unico che non era sicuro della cosa era Gianni. Appunto, perché?

“So che non vi sono sembrato proprio un vostro coetaneo e quindi…beh…volevo passare una festa anch’io dato che con Farut non voglio più stare …Insomma posso?”

“Intendi Farut? Quell’afgano che è stato umiliato da mia cugina?” Gianni mostrò un piccolo sorriso. Forse finalmente Mino aveva capito…

“Si esatto. È molto arrabbiato e credo che prima di andarsene la farà pagare a Fabiola” disse il ragazzo imbarazzato. Non si sarebbe mai immaginato che quel piccolo “tappo di sughero”, come la chiamava l’afgano, li avrebbe fatto fare la figura dell’imbecille.

“Tranquillo, puoi stare con noi, basta che non facciamo rumore” disse Gianni lanciando un cuscino al diciassettenne che felice si posizionò vicino al bancone.

“Scusate il ritardo, ma dovevo preparare Ceci e i piccoli” disse una voce femminile con un conosciuto accento dell’Est. Entrò una ragazza piuttosto bassa con i capelli a metà tra il biondo e il castano chiaro, gli occhi a metà tra il verde e il marroncino e la pelle a metà tra il bianco pallido e il rosa confetto. Già, perché era così Fabi, una metà. Anche i suoi genitori sono a metà, il padre italiano e la madre russa.

Dietro di lei arrivò una ragazza alta più o meno come Gianni, i capelli corti castani e ricci e gli occhi color nocciola e aveva sedici anni come lui. Si assomigliavano molto anche se lei era del Nord e lui del Sud. La ragazza si stava per avvicinare al sedicenne ma venne spinta in avanti da due piccole pallottole non bene identificate. Gianni cadde all’indietro portando dietro di sé Cecilia.

“Gianni, non credo sia il momento adatto per certe cose…” disse il gemello con un sorriso mentre la sorella rideva come una indemoniata.

“Scusa…non volevo…io…ecco…” la ragazza si alzò grazie all’aiuto dell’amica facendo intravedere un viso infuocato sul volto di entrambi. Non era esattamente così che Ceci voleva iniziare a parlare con Gianni…

“Ho trovato i colpevoli!” Mino alzò le braccia che tiravano per i vestiti i due responsabili: un bambino di undici anni con i capelli biondi e ricci, occhi azzurri e pelle rosa ed una bambina della medesima età con i capelli corvini, come i due gemelli, la pelle giallo-bianca e due occhi a mandorla.

“Cosa ci fanno loro qui?!” Gianni si rivolse a sua cugina con tono di rimprovero. Fabi alzò le spalle con un sorrisino imbarazzato. Faceva sempre così, era sempre silenziosa. Eppure non era timida, Gianni lo sapeva, la conosceva da una vita.

“Ebbene?”

“Ci hanno beccato mentre ci stavamo mettendo le scarpe e conosci mio fratello e Niki, no?” Gianni si girò verso Ceci che stava guardando il pavimento imbarazzata con del rosso sulle guance. Pensò per qualche secondo…alla fine decise. Si girò verso i due bambini, che intanto si stavano prendendo a cuscinate sotto gli occhi divertiti dei gemelli.

“Leonardo, Nikito. Ascoltatemi! Please Niki look at this way!” disse in inglese,dato che la giapponesina non sapeva l’italiano. I due amici si girarono incuriositi.

“Allora ragazzi, potete stare qui a condizione che non facciate rumore o distruggete qualcosa, capito?” il cuginetto annuì con un sorriso, mentre la sua amichetta non sembrava aver capito quello che il sedicenne cercava di dire. Gianni capì la situazione.

“Erm…you can stay here if you…erm…” non era mai stato bravo in inglese. I genitori l’avevano mandato a New York con la speranza che riuscisse ad avere almeno un sei in pagella in quella materia che lui tanto odia perché pensa che non viaggerà mai all’estero in futuro. Poveri illusi…

“Glielo dico io” alla porta apparì un quindicenne con gli occhi a mandorla come la piccola. Il giapponese si chinò e con un sorriso spiegò tutto alla sua compatriota.

“あなたはパーティーで滞在することができますが、あなたは気にする必要はありません” la bambina annuì e raggiunse Leo che intanto si era seduto su uno dei cuscini lasciandole uno rosa con dei pois bianchi. I suoi colori preferiti. E Leo lo sapeva molto bene, nonostante si conoscessero solo da quattordici giorni. Nessuno sapeva come avevano fatto amicizia quei due. La sorella maggiore Fabi sapeva solo che il secondo giorno che stavano nel college Leo andò sorridente dicendole che aveva trovato una amica molto simpatica e carina. Fabi non sapeva altro. Gianni si girò verso il suo salvatore.

“Grazie Yoshi” Yoshiki rivolse un sorriso al suo amico. Lui sapeva sempre cosa fare, sempre con il suo sorriso, sempre allegro, alcuni non capivano come facesse ad essere sempre di buon umore.

“Nessun problema” disse andando al bancone. Era incredibile conoscere un giapponese che conosceva l’italiano. Yoshi spiegò che suo padre aveva un amico che conobbe durante uno dei suoi viaggi di lavoro che, ovviamente, era italiano. Per questo lui lo sapeva così bene e preciso, dato che entrambi gli uomini erano buoni amici e si conoscevano da quando Yoshi aveva quattro anni e veniva sempre da loro per insegnare delle parole e frasi in straniero che poi il ragazzo imparò meglio. Invece i gemelli lo sapevano parlare perché, come raccontano, loro madre era italiana. Anche se non sembravano essere “una metà”come Fabi. Avevano i capelli corvini, la pelle abbronzantissima e gli occhi color oscurità.

Dopo aver domandato cosa ci facesse Mino in quella stanza iniziarono a fare giochi, trasmisero della musica allegra, ma a basso volume, come voleva Gianni, mangiarono cibi che non vedevano da due settimane…

 

“Al, ma quanto cribbio mangi?!” li urlò contro Ceci guardando Alejandro mentre si stava divorando due hot dog della scorta segreta di Gianni e Fabi.

“Che c’è? Non mangio un hot dog da giorni!” disse con aria annoiata e la bocca aperta.

“Non facci caso. Mio fratello è un maiale, qualche volta” sussurrò Mini all’orecchio di Ceci con tono divertito.

Scoprirono nuovi talenti…

 

Com’è possibile pensare che sia più facile morire!?

No!!!

Non lo pretendo!!

Ho ancora un sogno!!

 

Tutti guardarono Fabi la silenziosa che cantava. Anche suo fratello e la giapponesina.

“Fabi, ma perché non c’è l’hai detto?” chiese Yoshi senza parole.

“Che non sono capace nemmeno di cantare?” disse Fabi imbarazzata. Quel karaoke era un’idea di suo cugino che voleva mostrare che in realtà lei non era così timida e riservata come dimostrava con gli altri.

“Fabì! Emma non vale niente in confronto a te!” disse Al, con una strana voglia di gentilezza. Molto strano.

“Scusa, ma che…?” cercava di dire Mino, ma venne interrotto dalla gemella.

“Allora amici, sono le tre del mattino, cosa facciamo prima di sparire?”

“Prima di tutto volevo essere anch’io invitato alla festa…” la porta si spalancò. Al e Mini sbiancarono, Mino e Yoshi spalancarono gli occhi, Ceci si morse il labbro, Gianni non sapeva cosa fare. Leo e Niki guardarono verso la porta incuriositi con un biscotto al cioccolato dentro entrambe le bocche. La stanza era diventata una tomba. Nessuno riusciva a dire qualcosa di simpatico e allo stesso tempo amichevole. Ci pensò Fabi, che era l’unica che guardava il diciannovenne con uno sguardo sospettoso.

“Farut”

“Fabiola jan” disse con un sorriso che aveva poco di rassicurante.

“Come mai sveglio a quest’ora?”

“Io sono nel mio elemento casomai dovrei chiederti io cosa ci fai a quest’ora”

“Niente di che…”

“Io non credo invece”

Stava per scatenarsi una guerra come l’ultima volta, Gianni lo sapeva, lo immaginava da quando era entrato l’afgano.

“Farut, non sei invitato a questa festa” disse con tono autoritario, anche se aveva paura che con quei muscoli gli avrebbe rivolto la faccia e spedita dentro un pacchetto diretto verso l’Italia.

“State facendo una festa! Non potete aggiungermi all’elenco?” disse guardando con rabbia Mino che intanto si era nascosto dietro al bancone cercando di mimetizzarsi con il bianco e il nero dei mobili, fallendo miseramente. Certo, è facile beccare un diciassettenne alto 1.90 cm, la pelle rosa, gli occhiali spessi e i capelli mori. Farut lo avrebbe trasformato in un puntaspilli. Sarebbe stato facile, lui era un “armadio abbronzato” come lo aveva soprannominato l’italo-russa, mentre invece Mino era uno “spaventapasseri con gli occhiali”

“Ho io un bel gioco per voi…tranquillo pulce, non voglio rovinarvi la festa, anzi! Voglio renderla più divertente. Vi piacciono i giochi fatti a mezzanotte?” disse l’afgano con simpatia. Fabi tese le orecchie. Lei AMA tutte le cose che riguardano l’orrore, la paura, i fantasmi, la morte. Era un’appassionata di videogiochi horror, ci giocava da quando aveva sei anni. Forse…potrebbe restare dopotutto…

“Di che si tratta?” disse con noncuranza, anche se avrebbe voluto saperlo subito. Farut era entusiasta. Aveva convinto la sua rivale. Le cose andavano bene.

“È un gioco che ho visto su internet prima di venire qui. Bisogna fare un rito abbastanza antico per entrare nel regno dell’Uomo Nero…”

 

 

 

 

 

ANGOLO DI L0G1

ALLORA??

SPERO CHE L’INZIO VI SIA PIACIUTO, è STATO TUTTO MOLTO CALMO VERO? NON ABITUATEVI TROPPO, perché PRESTO O TARDI TUTTA LA STORIA SARà MOLTO Più MOVIMENTATA E SOPRATTUTTO HORROR!!!

SPERO CHE COMMENTIATE PRESTO!

L0G1C1TA

 

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Capitolo 2
*** Smarriti... ***


Madre de Dios …che male…la testa…

Perché è tutto buio?

Perché la testa la sento esplodere?

Ma soprattutto, DOVE SONO?!

Riesco ad aprire gli occhi. Sono in uno stanzino buio e grigio. Non sento alcun rumore. Ma come ci sono arrivato qui?! Mi prendo la testa fra le mani. Pulsa in un modo allucinante, come se il mio cuore si fosse trasferito nel cervello. Diablos che dolore! Come mi sono ridotto così? Non ricordo… forse ho sbattuto la testa da qualche parte…aspetta…forse si! Ma certo! Il pavimento! Si è rotto! Non so come ma è così! Ma perché mi trovavo lì, nella cucina degli italiani?

 Mmmintanto gli occhi si sono abituati all’oscurità. Lo stanzino, o qualsiasi cretinata sia, ha una via d’uscita: una porta che non credo sia bloccata. Degli scatoloni chiusi col, credo, nastro adesivo, delle torce d’emergenza con molte pile, un corpo, una lante…erm…?

MADRE DE DIOS!

È una ragazza stecchita!

No.

Carmen?

Mini?

Si si! È lei!

Mi fiondo su di lei e comincio a muoverla con una grazia da non commentare. Ma perché devo essere sempre così aggressivo? Anche con mia sorella? Ma perché non vuole svegliarsi?! No no, si sveglia. Grazie al Cielo…

“Emr…?” mi guarda come se non mi avesse mai visto in vita sua.

“Mini? Sorellina stai bene?” si stropiccia gli occhi. Fa sempre così quando si sveglia.

Diablos…Al…dove siamo…?” mi chiede con voce stanca.

“Sei viva!” comincio a gioire. Mini sta bene!

“…?!” mi guarda come se fossi impazzito. Erm…il balletto di gioia può aspettare.

“Al che è successo?” si guarda attorno confusa.

“Non lo so ma la cosa non mi piace” comincio ad osservare meglio il, credo, sgabuzzino. È piuttosto piccolo ora che mi sono rimesso in piedi lo noto. Ma perché non c’è luce?

Faccio alzare Mini. Lei fa un piccolo urletto e si tocca la caviglia.

Que succede?”

“La caviglia…è come se un gigante si fosse seduto sopra…”dice mentre si dimena dal dolore. Presi, finalmente, quella dannata torcia. Ci sono già le pile, meno male. La punto sulla sua caviglia. Ha un livido enorme! Ed è tutto blu!

“Ma come te lo sei fatta?!” è grande quanto il mio pugno, e il mio pugno non è qualcosa da sottovalutare.

“Mi ricordo del rito…e del pavimento…ma gli altri dove sono?” Dios è vero! E gli altri dove si sono nascosti?

“Non lo so, ma qui la cosa è molto grigia…” Non so il perché, ma sento che qualcosa non va. C’è qualcosa che non torna…Farut…voleva farla pagare a Fabì…gliela aveva promesso…ma certo!

Guardo mia sorella negli occhi: ha il mio stesso sguardo. Siamo gemelli, ci capiamo al volo e talvolta ci leggiamo nel pensiero, infatti Mini ed io abbiamo centrato il punto.

“Farut ci ha fatto uno scherzo molto divertente…” dice lei con tono furioso.“Non so come abbia fatto a portarci qui ma credo sia opera sua” Mini ha ragione. Lei ha sempre ragione.

“Senti, intanto che cerchiamo di capire come abbia fatto, cerchiamo gli altri, devono essere nei paraggi, e prendi la torcia” lo fa. Anche quella ha le batterie. Dopo aver preso altre batterie che ci sono per terra, non si sa mai, apriamo la maniglia. Un corridoio lungo che sembra non finire mai con delle porte lungo di esso.

“Senti, esploriamo tutte le porte…forse si è nascosto dentro per farci prendere uno spavento…” mi sussurra Mini.

“Allora non sa cosa sono i gemelli Sanz”dico con tono da assassino. Già, non ci conosce proprio quello sciacallo. Crede che noi non possiamo sbrigarcela con le nostre mani perché abbiamo in corpo due sangui diversi.

Ingenuo!

Faccio segno a Mini di andare a destra ed io vado a sinistra. Abbiamo il nostro sguardo furbo e sicuro.

Poggiamo le   orecchie contro la porta. Si sentono dei sospiri dall’interno.

Che idiota. Fregarci così! Dilettante! Faccio il conto alla rovescia con un sussurro…Tres…Dos…Uno…VIA! Apriamo di scatto la porta, nello stesso secondo. Credeva di fregare Aleja…

Madre de Dios

Ma cosa diavolo sono?

“Al…” mi giro verso Mini. Gli stessi cavalli neri. Hanno occhi di leone e la criniera…ma di che diavolo è fatta? Mini mi prende la mano. Un po’ trema. Guardiamo i cavalli sul lato destro. Ci guardano…non credo che sia un buon segno…fiutano l’aria attorno a noi. Si avvicinano lentamente…verso Mini. Oh no! Non lo permetterò!

“Mini scappiamo!” corriamo verso il corridoio come quella volta che da bambini buttavamo dei petardi nel palazzo dei vicini e noi correvamo come degli idioti in cerca di un luogo dove nasconderci.

Mini è vicino a me. Non è per niente stanca, certo, ci siamo allenati come dei malati nelle corse insieme a Fabì. Ci guardiamo dietro. I, credo, cavalli hanno uno sguardo minaccioso e i loro occhi di leoni sono incollati ai nostri e non sembrano aver voglia di mollarci.

Faccio segno a mia sorella.

La vecchia tattica del nascondiglio.

Mi fa segno di si, anche se un po’ impaurita.

Continuiamo a correre più veloci di prima. Si! Non ci vedono! Una via ad X! Perfetto! Raggiungiamo gli angoli dell’X e ci nascondiamo lì. Come previsto…i cavalli continuano a correre dritti mentre invece noi siamo nascosti agli angoli dell’incrocio. Idioti…

Spariscono dalla vista. Bene, possiamo parlare. Mini mi guarda con occhi da topo impaurito.

Què. Diablos. Eran. Quei. Cosi!?” mi guarda come se dovessi avere una specie di risposta a quel quiz impossibile.

“Non. Lo. So…” la imito per non farle avere paura. Funziona. Mi lancia un sorriso furbetto, peccato che subito lo sostituisce con uno sguardo pensieroso.

“Chissà come ha fatto Farut a fare quei cosi”

“Mi crederai un perfetto idiota ma non credo che Farut abbia avuto un’idea così bella” dico mentre cerchiamo di ripercorrere il corridoio all’indietro. Quel tricheco non è capace di fare una roba del genere, siamo più bravi noi, modestamente. Mini si morde un dito e mi guarda.

“Forse ha chiesto a qualcuno come farlo”

“No! Ti immagini qualcuno che aiuta quel bestione? Non accetterebbe manco pagato!” è vero. Da quella volta nel bosco con Fabì, cioè quasi all’inizio della vacanza, Farut è stato messo su una cattiva luce. Meglio per noi e peggio per lui. Mica si offende mia sorella in quel modo! Mini, saggezza della saggezza, nota il mio sguardo pensieroso.

“Non pensare più a quel giorno, è tutto ok! Ora dobbiamo pensare a come uscire da questo…non lo so…poi trovare gli altri e dire che è stato uno scherzo molto divertente” ha ragione. Mmm…ho un’idea.

“Andiamo dentro alcune camere e vediamo cosa possiamo fare” e così facciamo, questa volta senza separarci però, altrimenti dobbiamo rifare ancora un’altra maratona. Entriamo in una stanza. I muri sono di un bianco sporco, c’è un letto…no due, con delle tendine per dividergli. I materassi sono quasi del tutto distrutti e mezzi ammuffiti. Bleah! Ma…CHE?!

Guardo mia sorella con gli occhi sbarrati. Le finestre sono murate, letteralmente!

“L’hanno fatto di recente…l’argilla è mezza fresca” è vero. Molto strano. Vedo ancora la cosa molto grigia… corriamo verso le altre camere. La stessa storia: due letti con tendine e una finestrona murata, forse, poche ore prima. Ma che scherzo è?!

“Esta historia apesta…”

“Non può essere stato Farut…”

Penso in fretta. Dobbiamo capire subito dove diavolo siamo. Subito! O uccido qualcuno e non vorrei che quel qualcuno fosse Mini.

“Spacco tutto!”

“Ok ti aiuto!” e iniziamo a dare calci ai mattoni che lentamente si spostano all’indietro. Qualcuno se ci vedrebbe ci prenderebbe per dei drogati, ma io e Mini siamo fatti così. Non importa se esiste una regola che ci dice cosa fare o non fare. Anche se è una cosa scema o idiota la facciamo lo stesso, l’importante è che entrambi siamo d’accordo.

I mattoni, finalmente, decidono di collaborare.

Madre de Dios…!” lo diciamo insieme.

È il paesaggio più triste e desolante che io abbia mai visto…

Ci troviamo in un, più o meno, paese.

Lo capisco dalle case e i negozi.

Spingiamo altri mattoni.

Ora vedo meglio.

Si, è un paese, ora non ho dubbi. Non è molto grande. Guardo più in fondo: c’è un bosco gigantesco di cui non vedo il maledetto fondo. Poi c’è una piazza con una fontana distrutta…poi ci sono delle case e dei negozi ma non ci bado molto a che tipo di negozi siano…è troppo…questo non è un maldito scherzo…

“Ma come siamo finiti qui?!” dico mezzo impazzito.

“Aspetta! Prima dobbiamo trovare un modo per uscire da…”

“Ma come faremo?! Non c’è una cacchio di porta guarda!” indico il piano di sotto del, diablos non lo so, palazzo dove ci troviamo. La porta non è nemmeno murata: non esiste. Saludos…la porta è inesistente.

Mini intanto comincia a camminare avanti e indietro per pensare. La sento dai suoi passi. Anche lei è molto nervosa. Ma perché siamo finiti in questa situazione!? Perché siamo qui?! Chi è il genio che ci ha portato qui?! Se è stato Farut li metto del peperoncino nelle mutande e…no…no…non può essere stato lui! DIABLOS! Non è divertente come scherzo…forse è così che la gente si sente quando noi due facciamo questi scherzi…giuro che non gli farò mai più. Mai! Ascolterò più spesso papà e basta…

Sento un urletto alle spalle. Mini si piega sulla gamba. Diablos…quella maratona deve averla sgangherata di brutto…

“Aspetta ti aiuto” prendo il suo braccio, me lo metto sopra il collo e la stendo sul letto. Le arrotolo la gamba del jeans. Mini ora ha dei jeans lunghi, aderenti e grigio scuri con una canotta scollata e nera con i suoi guanti neri senza dita. Noi due amiamo il nero, abbiamo anche lo stesso colore preferito. Anch’io ho il suo stesso completo e dello stesso colore ma molto più largo, comodo, con la mia camicia di pelle preferita, quella che papà mi dice sempre che sembro un criminales e la guardava sempre male soprattutto girava sempre la testa quando vedeva le borchie color argento e siamo solo con i calzini. Non dovevamo toglierci le scarpe…

“Diavolo…si è fatto più blu…” mannaggia…e ora? Mia sorella sta soffrendo e io non so cosa cribbio fare! Ma perché non potevo fare lo scout al posto del mini terrorista? Ma perché non ho fatto una cavolo di cosa utile in questi quindici anni e mezzo? E ora? Mica c’è qualcuno che mi aiuta?

“Aiu…” Mini geme. Madre de Dios, cosa faccio?!

“Mini, cosa faccio?”

“Credo che siamo in un ospedale…” diavoli…sta pure delirando…

Què?”

“Intendo dire che forse in questa baracca c’è un kit del pronto soccorso tipo infermiere” è vero. Es cierto!

“Aspettami qui. Io vado a trovare qualcosa di buono” mentre dico questo esco dalla stanza e la chiudo. Non si sa mai cosa può accadere. Prendo la torcia in mano e parto per questa avventura idiota.

 

 

Idiot. Retrasado. Deficiente. Anzi no. Non esistono parole per descrivermi ora.

Sto camminando da non so quanto tempo in questo, credo, ospedale.

Diablos! Dovevo restare con Mini invece di girare a vuoto in questa baracca! Maldito a me e alla mia zucca vuota.

Perfetto…un altro bivio…se continuo così mi perderò…

Erm…no…

No!!!

NO!

E ora come ritorno da Mini?!

Mi sono perso come un deficiente!

MADRE DE DIOS!

Ma perché tutte le sciagure più nere di questo mondo devono accadere solo ed esclusivamente a me?!

È già troppo se siamo nei guai a scuola e con papà,e ora questo?!

Mi siedo per terra con la schiena schiacciata tra il corpo e il muro. È pure gelato…magnifico…e ora che faccio se quei cavalli, o quello che sono, mi ritrovano?! Mi metto a terra a implorare pietà?! Anzi no…e se quei cosi riescono a trovare Mini?!

Scatto in piedi. No, non glielo permetterò!

Comincio a camminare velocemente all’indietro, forse così trovo la stanza. È una speranza da non sottovalutare, ben detto Yoshi. Sempre se trovo questa famosa stanza. Ecco, un altro bivio…maldito a me! Ero andato di là o di là? Ma che ne so?! Dai proviamo…andiamo di là…

Continuo a camminare. Lo sapevo, dov’ero andato io non c’erano le scale. Mi giro e…

Ma…ma…ma…ma…ma…

No!

Non è possibile!

E questo muro chi l’ha messo qui?!

Tocco il muro. Mi trema la mano. Mini…come faccio?! Mini…Papà…non voglio che finisca così…no!

Prendo a pugni il muro. Voglio tornare da Mini! Questo scherzo è durato anche troppo!

“Ora basta! Avete finito di rompere! Finitela! Siete soddisfatti?! Eccomi con le lacrime agli occhi, ma basta! Lasciateci stare! Aprite questo coso! ORA!” le lacrime mi spezzano la voce. Forse qualcuno mi ha sentito…aspetto…aspetto…NO…niente…

Qualcuno ride…

Forse…le ho già sentite queste risate…

Pochi attimi prima di sprofondare nel pavimento…

Vengono dalle scale…devo essere impazzito…

Prendo la torcia e vado giù con cautela.  Maldito a queste scale…troppo scivolose. Ma que diablo è? Le risate sono più vicine. Ecco sono arrivato al fondo, finalmente.

Erm…?

Bambini?

Si, bambini.

Loro stanno ridendo. Sono…cinque…no, sei. Sei maschi. Tutti con i capelli scuri. Sono in cerchio e al centro c’è una bambina. L’unica del gruppo che non sta ridendo. Loro ridono della piccolina, ho capito. Deve essere anche la più piccola del gruppo…diablos che capelli rossi!

“Strega strega! Sei una strega! Sparisci rossa! Quelli come te devono essere bruciati! Bruciamola viva!” continuano a cantare questa filastrocca per, non so quante volte. La piccola continua a piangere mentre i bambini cominciano a darle calci e pugni. E ridono. Ridono come dei mostri. Mi sento un verme. Maldito a me e a quello che sto per fare!

Hey criminales!” Si voltano…Madre de Dios, gli occhi! Sono come dei mostri di prima! Indietreggio. Mi guardano male. Ma perché non potevo fare gli affari miei?! Dios…che vogliono…? Perché si avvicinano?!

Fuera! Andate via!” urlo contro di loro. Sorridono. Che brutto sorriso. Questi devono essere los hijos del diablo, i figli del demonio.

“Uno stregone…” mormora uno di loro.

“Un altro tuo amico…” un altro mormora. La bambina alza gli occhi dalle mani. Che visino…è piena di lividi…hanno esagerato quei criminales!

Fuera! Salir! Andate via!” mi muore la voce in gola. Dios. Ho paura… quei criminales si gettano su di me! Devo andare via!

Corro su per le scale.

Corro.

Corro.

Corro.

Ma non erano così alte!

Ne sono sicuro! Guardo indietro. Mi Dios! Non sono i bambini! Non sono i cavalli! Cosa sono!? Aiuto!

No!

Sono inciampato!

Scale maledette!!!

I fantasmini mi hanno preso…

“Ayùdame!!!” nessuno mi sente. Dov’è la piccola?! Cosa faccio?! Eccoli…sono a due passi da me…no! No! Due fantasmini mi prendono per le braccia…poi altri due per le gambe…un altro mi tiene la testa…ce n’è un altro.

Cos’ha in mano?

Luccica.

È lungo quanto il braccio di Niki o Leo.

Mi dimeno. Sono troppo forti.

Si avvicina lentamente.

È a pochi centimetri da me.

Guardo i suoi occhi.

Ho paura.

Ho tanta paura.

Non può finire così!!!

“Ayuda! Alguien me ayude!!!”

Ridono ancora.

Non dovevo essere qui! Perché?! Perché?!

Alza il coltello. Aiuto…

“MINI!!!”

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Capitolo 3
*** Il rito antico ***


CAPITOLO 2

IL RITO ANTICO

 

 

“Cosa?” chiese Fabi come se Farut avesse parlato in arabo.

“Hai sentito benissimo” rispose il ragazzo.

“Perché dovremo fare il tuo strampalato giochetto?” chiese Al in tono di sfida. L’afgano li lanciò un’occhiata piena di odio che subito cambiò mentre si girò verso il gruppo di amici.

“Insomma, perché no? Perché non dovremo fare qualcosa di interessante? Dopotutto è l’ultima serata anche per me vi ricordo” disse con tono gentile.

“Beh…il tuo ragionamento non fa una piega” rispose Fabi con un sorriso che nascondeva degli occhi seri e dubbiosi. Aveva qualcosa in mente, altrimenti non sarebbe venuto qui. Vorrà fargliela pagare, certo. Ma la ragazza era molto curiosa e sapeva che qualsiasi cosa stesse architettando Farut non ci sarebbe cascata. Aveva sempre gli occhi aperti durante le sue partite nei mondi dei videogiochi anche nella vita reale, avrebbe capito subito il suo tranello. Oltretutto l’afgano non era bravo a fare scherzi, anche di cattivo gusto. Sicuramente non era in grado di battere i gemelli spagnoli.

“NO!!!” una voce fece fermare i ragionamenti di Fabi. Leo si catapultò verso il braccio della sorella cominciando a tirarglielo con aria di chi cerca di essere ascoltato.

“Fabi, no! Lo faremo arrabbiare! Ci verrà a prendere! Forse ti farà del male solo perché hai voluto sfidarlo! Fabi, no!” il bambino continuava a tirarla per il braccio supplichevole, mentre l’afgano li lanciò uno sguardo interessato. Anche il piccolo teme della sicurezza della sorella? La sorella si chinò all’altezza del fratellino. Anche se lui, in confronto alla sorella, aveva un’altezza giusta per la sua età.

“Chi verrà a prendermi?” chiese con tono gentile. Intanto il piccolo aveva finito di tirarle il braccio.

“L’Uomo Nero. Ascolta Fabi, non dargli fastidio” Leo guardò la sorella in tono supplichevole. Crede ancora dopotutto. Ora che ci pensava, in confronto a pochi anni fa, non c’erano più molti bambini che continuavano a credere in queste creature misteriose come Babbo Natale o La Fata Del Dentino. Era qualcosa che si chiedeva spesso, senza avere una vera risposta. Fabi accarezzò la sua testa piena di ricci biondi con aria premurosa, come una mamma accarezza il suo bambino.

“Non verrà, noi stiamo solo giocando, non credo che l’Uomo Nero vorrà dare fastidio dei ragazzi solo perché si stanno divertendo” ma il bambino non sembrava del tutto convinto. Fabi usò il suo asso nella manica.

“E poi se vorrà avvicinarti a te io ti starò vicino e lo prenderò a pugni fino a fargli vedere le stelle” disse mostrandogli gli invisibili muscoli delle sue braccia magre. Leo sorrise. Sapeva che la sua sorellina lo avrebbe protetto.

“Ma se l’Uomo Nero dovrebbe prendere Niki?” chiese in tono preoccupato mentre si voltò verso la sua amichetta che intanto lo guardava interessato mentre Yoshi le traduceva ogni parola. Farut cominciò ad interessarsi alla vicenda.

“Allora dovrai fare il cavaliere: dovrai proteggerla come se fosse la tua donna, piccolo. Come se fosse la tua futura sposa” disse in tono serio, come se stesse parlando di una cosa vitale. Fabi era sorpresa. Da quanto tempo ti piacciono i bambini? Chiese con lo sguardo. L’afgano le rispose con uno sguardo serio come se volesse dirle: Da molto più tempo che tu possa immaginare. Almeno questo era vero. Nonostante si comportasse come un talebano, non avrebbe mai osato sfiorare un bambino. I bambini sono come il sole, sono indispensabili per il mondo, sono un bene prezioso, li ripeteva sempre suo padre. Leo intanto si era più che convinto.

“Come si gioca?” chiese in tono allegro.

“Allora, bisogna…”

“Io non credo sia una buona idea…” lo interruppe una voce. Ceci ODIA i giochi di mezzanotte. In un certo senso era il contrario di Fabi.

“Perché che problema c’è?” le chiese Mini.

“Ceci, non dirmi che hai paura, eh?” chiese con un sorriso lugubre l’altro gemello.

“No! Solo che non mi piacciono le cose dell’orrore…” aveva paura, si. Ma non voleva dimostrarlo. Dopotutto c’era Gianni a pochi passi da lei.

“A me la cosa interessa. Vorrei partecipare” disse Yoshi con tono allegro.

“私がプレイしたい!” disse Niki alzando la voce per farsi notare, quasi urlando.

“Dice che vuole giocare anche lei” tradusse Yoshi.

“Anche noi siamo d'accordo!” dissero insieme i due gemelli spagnoli.

“Io…credo di si…” disse Mino con tono preoccupato. Sarebbe accaduto qualcosa di brutto, il suo sesto senso non ha mai sbagliato, ma non lo ascoltava mai.

“Per me va bene, basta che non alzi le mani contro mia cugina” disse Gianni con tono di chi non deve contraddirlo.

“Io? Alzare le mani su una donna?! Non sono un terrorista ti ricordo…” rispose Farut con tono sincero. Anche questo era vero. Nonostante desiderasse che Fabi si buttasse dal terzo piano, non avrebbe osato alzare le mani su di lei. Nonostante lo avesse umiliato come l’ultima volta.

“Allora siamo tutti d’accordo? Ceci?” chiese l’italo-russa alla torinese.

“Come volete…” disse con un sospiro. Non era mai riuscita ad avere la meglio sugli altri. Era troppo timida per dire la sua, anche in questa situazione, nonostante avrebbe preferito fare altro.

“Bene. Allora, come si gioca?” chiese Fabi all’afgano.

“Prima di tutto bisogna prendere delle candele, posizionarle un po’ ovunque e accenderle. Ma le candele devono avere il numero degli anni dell’Uomo Nero, ovvero quattromila” nessuno riusciva a credere che quella specie di fantasma che rapisce i bambini potesse avere quattromila anni. Gli unici che non erano sorpresi erano Leo e Niki, nonostante Yoshi le traducesse tutto quello che dicevano gli altri.

“Poi bisogna, ovviamente, spegnere le luci, prendere una bambolina vestita in nero, mettersi in cerchio, ripetere per tre volte una specie di preghiera e uno di noi dovrà prendere un coltello e accoltellare la bambolina”

“E perché dovremo accoltellare una bambola?” chiese Al a Farut.

“Perché per entrare nel suo regno bisogna fare qualcosa per fargli aprire un portale verso il Regno dell’Incubo. In questo caso bisogna “ucciderlo” attraverso la bambolina ed entrare nel suo mondo” rispose come se lo spagnolo li avesse chiesto una cosa decisamente ovvia.

“Ok. Ma chi ha tutta questa roba?” chiese Mini con tono annoiato.

“Le candele e l’accendino ce l’ho io, ma non ho una bambolina” rispose l’afgano.

“Aspettatemi!” disse Leo mentre spariva dietro la porta. Dopo qualche secondo tornò con qualcosa di nero in mano e un cappello marrone chiaro, simile a quello degli esploratori, con una striscia blu che lo circondava.

“Ho trovato la bambola!” disse mentre la diede a Farut. Era una bambola di legno con un volto di donna vestita di nero, ma non era questo che fece inquietare la sorella. Aveva un volto di ghiaccio. Era questo che pensò la ragazza appena vide il suo viso. Aveva un’espressione vuota, appunto di ghiaccio. Un’espressione estremamente seria ed inquietante con occhi color bianco azzurro talmente intensi che sembrare di guardare delle sfere di neve.

“Leo, ma dove l’hai trovata?” chiese la sorella sospettosa.

“L’ho vista poco prima di venire qui. Era per le scale e così l’ho presa” rispose il fratellino.

“Forse è di qualche bambina, credo che dovremo restituirla” disse, finalmente, Ceci con la speranza che quella situazione possa sparire da un momento all’altro.

“Non credo che una bambina possa avere una bambola del genere” disse Fabi con tono molto serio. Lo stesso che usa quando gioca a “Ju On: The Grudge” o a “Silent hill”.

“Si ma…”

“Ceci se vuoi puoi sederti vicino a me quando ci dovremo mettere in cerchio” disse in tono gentile Gianni.

“Gianni continua a fare il playboy…” sussurrò Mini al fratello.

“Leo, perché hai preso il mio cappello?”

“Perché quando fai un videogioco di paura tu lo metti sempre, quindi pensavo che ti servisse” disse il bambino con un sorriso.

La ragazza si mise il cappello. Già. Quando gioca ai suoi videogiochi indossa sempre quel cappello. Non sa il perché ma le da molto coraggio. Si sente sempre la protagonista coraggiosa di quella strana avventura.

“Allora, cominciamo!”

 

Le candele con il numero quattromila vennero accese sopra il bancone della cucina. Le luci vennero spente. I ragazzi si misero in cerchio. Ceci aveva alla sua sinistra Gianni, poi Al era con Mini, Niki e Leo, Farut e Mino e alla fine Yoshi, e Fabi era alla destra di Ceci. Farut si alzò in piedi.

“Popolo! Abbassati i capi dinanzi al vostro Re!” tutti abbassarono la testa. Fabi invece teneva un occhio aperto per vedere il rito che venne detto in arabo per tre volte.

“الملك العظيم! عظيم الرب! ما تركت لنا النفوس الفقيرة في مملكتك حتى نتمكن من الاستمتاع في كل مجدها! في اسم ربك، وأنا أطلب منك أن تدخل أرضكم!”

Alla fine Farut prese un coltellino dalla tasca dei suoi jeans e cominciò a pugnalare la bambolina di legno. Ceci odiò ogni secondo di quel rito, la sua immaginazione pensava che la bambolina sarebbe ritornata dal Regno dell’Incubo in cerca di vendetta per averla distrutta in un modo così violento e orribile. Aveva una gran fifa. Senza motivo. Non capiva il perché.

“Popolo! Alzatevi dinanzi al Regno del Nostro Signore!” tutti si alzarono. Il rito era compiuto.

“الملك العظيم! عظيم…”

“MA CHE DIAVOLO STA SUCCEDENDO!?!?!”

I ragazzi si voltarono verso la voce, anzi l’urlo. Questa volta insieme agli altri anche Farut sbiancò, nonostante la sua abbronzatura.

“MA SIETE IMPAZZITI?! Voglio subito una spiegazione a tutto questo!” Gianni si fece avanti verso la donna.

“Professoressa Forlì, posso spiegarle tutto…”

“Non voglio spiegazioni da te Giovanni! Gelsomino, anche tu?! Dimmi cosa sta succedendo!” Mino si sentiva gli occhi di fuoco della sua professoressa sulla sua pelle. Per la prima volta in quattro anni ebbe paura di lei.

“Professoressa, stiamo festeggiando l’ultima serata insieme. Insomma…cercate di capire…questa forse è l’ultima volta che ci vediamo…” la professoressa lo interruppe.

“Vi ho detto che non potevate festeggiare! Dovreste fare le valigie, controllare che non abbiate dimenticato qualcosa, prendere i passaporti! È l’ultimo giorno in America e voi pensate ad una cosa talmente inutile! E cosa sono tutte queste candele!?” stava diventando una furia. Gianni si sentiva mortificato, perché era una sua idea e perché aveva messo nei guai anche sua cugina, Mino e Ceci. Mino e Ceci avevano lo sguardo sul pavimento, lo sguardo di Fabi era invece di puro odio. Non l’aveva mai sopportata. Dal primo giorno delle superiori. Inoltre aveva interrotto qualcosa che per lei era veramente importante. Gli amici cercarono di difendere i ragazzi.

“Mi scusi signora, potrebbe chiudere un occhio per questa faccenda piuttosto futile?” chiese Al con tono gentile. La professoressa si girò verso i due gemelli.

“La cosa non vi riguarda! Non dovreste essere nemmeno qui. Dovreste stare con gente come voi, con i portoghesi, insomma!”

“Signora, questi ragazzi sono spagnoli…”

“Ci mettono anche i cinesi! Ma come fate ad avere amici del genere? È tutta opera tua Fabiola, ne sono più che certa!” lo sguardo di odio di Fabi divenne di disgusto. Dava sempre la colpa a lei, anche se non aveva mai fatto niente di male. Solo perché sua madre veniva dalla Russia. Era certa che fosse così. Era qualcosa che non sopportava.

“Senta lei. Solo io posso parlare in questo modo alla mezzosangue! Lei non si deve permettere di avere quel tono!” Farut in confronto agli altri, dimenticò le buone maniere. Fabi non avrebbe mai creduto che l’afgano l’avrebbe mai difesa.

“E tu da dove verresti?! Fabiola non dirmi che alla tua età pensi già ad avere un fidanzato? Soprattutto Egiziano!”

“COSA!?! Io non oserei essere la fidanzata di questo armadio! E poi è afgano, professoressa…” disse cercando di avere un tono serio e calmo. Cosa che con lei le riusciva molto difficile.

“E io sarei un armadio!?” le urlò contro Farut.

“SILENZIO!” urlò Mini a tutto il gruppo. Tutti si girarono.

“Non lo sentite anche voi?” chiese la spagnola. Tutti tacquero.

 

Sussurri…

Molti sussurri…

Sembrano venire dalle pareti…

“Cosa sono…?” chiese a bassa voce Leo, che si era aggrappato di nuovo al braccio della sorella. Non c’era nemmeno il tempo di risponderli che accadde qualcosa di incredibile agli occhi di tutti.

Il pavimento si ruppe. Provocando un potente spacco in mezzo ai ragazzi e alla professoressa.

Altri spacchi…

Molto più grandi...

Stavano dividendo tutti quanti…

Ma la cosa incredibile era che dagli spacchi usciva piano piano una sostanza gassosa e nera che cominciava ad avvolgere tutta la stanza. Si spensero le candele. Nessuno riusciva a reggersi in piedi. Alcuni cercarono di raggiungere altri ragazzi. Al si avvicinò a Mini, Gianni prese la mano di Ceci che stava per perdere l’equilibrio, Niki e Leo si strinsero in un abbraccio, Mino e Farut si avvicinarono lentamente cercando di non inciampare, solo Fabi e Yoshi rimasero fermi credendo che se si fossero mossi si sarebbe distrutto il pavimento. Intanto la professoressa si era avvicinata a Gianni e Ceci con occhi pieni di rabbia.

“Non so come abbiate fatto, ma…” venne interrotta da delle risate…forse di bambini…pensò Fabi. Le risate provenivano dallo strano gas.

Accadde tutto molto in fretta.

Troppo in fretta anche solo per pensare.

Il pavimento crollò sotto ai piedi di tutti. Ma stranamente la caduta sembrava non finire più. Vedevano solo oscurità. Non riuscivano a muoversi. Qualcuno urlò. Forse Leo e Niki.

Continuarono a cadere…

A cadere…

Cadere…

C’era solo buio…

E oscurità….

 

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Capitolo 4
*** Portafortuna ***


Què he hecho…?

Cos’ho fatto…?

Por què l’ho mandato via…? Forse non c’era bisogno di prendere questo maldito kit dell’infermiere… potevo farcela anche da sola…

AHIA!

No…

Mi fa male ancora la gamba…

Ahi…

Al ha ragione, ma come mi sono fatta questo coso blu?

Allora…Al era vicino a me prima che il pavimento crollasse…poi c’era solo nero e…qualcuno ha urlato…? Leo e Niki?

Si, erano loro.

Ma poi niente…

Al mi aveva svegliata…era molto preoccupato…Al…

Te amo…ti voglio bene…

Dovrei dirglielo più spesso…siamo solo noi due dopotutto…soy estùpida…sono stupida…

Mi avvicino alla, più o meno, finestra. Perfecto…sta cominciando a piovere…

Al ha ragione…dovrei prenderlo un po’ sul serio…

Dobbiamo cambiare.

Non dobbiamo fare più questi stupidi scherzi.

Dovremo imitare un po’ Gianni o Mino…no, Mino è un secchione. Lui non sembra avere una vita.

Dovremo ascoltare di più papà. Lui ha ragione di essere arrabbiato con noi. Siamo troppo vivaci. Ci comportiamo da ragazzacci. Non l’ha capito bene lui…ci sentiamo in colpa perché la mamma se n’era andata in cielo…

Avevamo quasi sette anni…

Al ed io l’abbiamo vista cadere dalle scale…

Non si muoveva…

Papà ci gridava “Què has hecho?!” già…cosa abbiamo fatto…

Mama…mi dispiace…non dovevamo fare lo scherzo del ketchup…

Mi esce una lacrima dall’occhio sinistro. La asciugo subito.

Ottimo…sto ancora piangendo come una principessina che ha perso la coroncina d’oro.

Non ci devo pensare….

Non devo pensare…

Basta…

Mama…

Ci dispiace….

Apro gli occhi, guardo dalla finestra.

…uh?

Cos’era?

Qualcosa o qualcuno stava correndo.

Forse era un cane, era un lampo grigio…

Eccolo di nuovo! Si, si! È molto vicino!

“Hey tu! Fermo!” non si ferma. Aspetta…si ferma! Yes baby! È vicino ad un negozio di…non riesco a leggere. Ecco, si gira. Si è messo a due zampe…Que?!

No no…ho visto male…devo comprarmi degli occhiali…

“Ma…ma…dici a me?!” credo di aver fatto si si con la testa perché quel coso mi risponde.

“Ma come sei finita lassù? Hai bisogno di aiuto?” intanto si avvicina. Non lo voglio tra i piedi, qualsiasi cosa sia. Mi allontano dalla finestra. L’ho visto bene…non ho bisogno di occhiali…

“Sei ancora lassù? Aspetta che arrivo” ma che vuole fare? Mi nascondo dietro la finestra. Forse era meglio se stavo zitta…

MA COME HA FATTO?!

“Ma…ma…ma…ma…ma….ma…” è saltato dentro la stanza con un balzo.

“Hey calma amica! È tutto ok!”

Còmo serìa?! Còmo lo hiciste?!” questa risposta deve averlo paralizzato di brutto perchè abbassa le orecchie e mi guarda abbastanza storto. Ma si riprende quasi subito.

“Ma non sei italiana? Perché ho sentito delle parole italiane. Mmm…pensandoci bene sembri più una brasiliana…o un’argentina…” detto questo mi annusa e mi gira intorno tipo trottola. Alla festa qualcuno deve avermi messo qualcosa di potente nella Coca, se no non me lo spiego i cavalli, il paese, questo coniglio gigante e Al che…Madre de Dios, Al!

“Senti bello. Non so chi tu sia o da dove arrivi ma devo andare” mi fiondo verso la porta, ma il tizio mi blocca mezzo secondo prima. Mi guarda serio e…ma quanto cribbio è alto?!

“Hey hey! Ma dove pensi di andare? Aspetta!” cerco di prendere quella maldita maniglia.

“Senti bello, io devo cercare mio fratello prima che si cacci nei guai con i cavalli di prima…che ti prende?” si ferma. Mi guarda con gli occhi spalancati. Sono di un verde splendente…non gli avevo notati.

“Hai visto gli Incubi?! Quindi tu credi in noi?! E anche in Pitch?!” si tira le orecchie. Ma chi è questo qui?!

“Se intendi quei cavalli indemoniati che cercavano di ucciderci, beh si. E che intendi dire con “noi”? Hey bello, ma mi ascolti?” inizia a saltellare sul posto tipo canguro impazzito. Questo deve avere qualche problema serio. Forse lui sa dove siamo…il tizio mi precede.

“Senti raccontami tutto quello che è successo a te e a tuo fratello” e così ci ritroviamo sopra i due letti. Lui ascolta e io racconto della festa, dell’idea del rito, del pavimento, i cavalli e di Al che sparisce a cercare un kit da infermiere per la mia gamba.

“Perché? Cosa ti sei fatta?” li mostro il segno blu. Sembra concentrato. Ora che ci penso…ma questo tizio chi è?

“Beh…ti ho raccontato tutto. Ora voglio sapere di te coniglietto.”

“Senti ragazzina, smettila con questi soprannomi, ho già un Jack Frost e non ne voglio un altro in formato brasiliana.”

“Hey bello. Primo: io sono spagnola. Secondo: voglio almeno sapere cosa sta succedendo in questa baracca e sei l’unico abbastanza sano di mente che ho incontrato fino ad ora, quindi immagino che ti ho incastrato per bene coniglietto” dico questo con un tono malizioso, così per farlo incasinare di più. È mezzo scioccato. Bueno!

“Non so nemmeno come ti chiami! E poi non sono un coniglietto ma un coniglio di un metro e ottantacinque, maestro di tai-chi, con nervi…” meglio fermarlo, altrimenti finiamo domani mattina.

“Mi chiamo Carmen Sanz, ma per gli amici e i bei coniglietti sono Mini e volevo iniziare a cercare Alejandro mio fratello gemello. Raccontami qualcosa di te coniglietto…” mi guarda storto. Non vuole collaborare.

“Se mi racconti cosa succede qua dentro non ti chiamerò più coniglietto” devo averlo convinto.

“Va bene…Mini…ma è qualcosa di incredibile.”

“Mi piacciono le cose incredibili” gli faccio l’occhiolino. Rigira gli occhi con sguardo arrabbiato. Probabilmente è una storia lunga, è meglio sdraiarsi.

 

 

 

“E questo è tutto” sono sdraiata sul letto da tipo mezz’ora e il tizio…ha detto di chiamarsi Calmoniglio, ha finito di raccontare qualcosa di simile alla storia della sua vita in formato riassunto. Questo è un pazzo. Sono davanti ad uno di quei tipi che dovrebbero essere in una cella con i cuscini sulle pareti.

“Quindi tu saresti il Coniglietto di Pasqua…?” dico scioccata.

“Esatto” lo dice con una sicurezza che mi spaventa. Forse siamo finiti in mano a dei malati di mente.

“E quindi tu proteggi i bambini di tutto il mondo con Babbo Natale, La Fata dei Dentini, L’omino del sonno e anche…”

“E anche Jack Frost, lo spirito dell’inverno” mi sto spaventando.

“Come saresti finito tu qui…?” rigira gli occhi di nuovo. Devo averglielo chiesto più di una volta mi pare. Non mi ricordo più. Sono troppo scioccata.

“Questa è l’ultima volta che te lo ripeto: era la sera di Pasqua e stavo controllando che le mie ovette fossero state raccolte tutte, poi però sentii Jack che mi chiedeva aiuto. Diceva che Pitch, ovvero l’Uomo Nero ti ricordo, nel caso te lo saresti dimenticata, lo aveva intrappolato nel suo nascondiglio. E io, come un koala ignorante, avevo seguito la sua voce verso il suo nascondiglio. Entrai nell’apertura sotto il letto e ad un certo punto si aprì un portale che mi trasportò qui. Credo che anche i miei amici mi abbiano seguito più in là e li sto cercando. Hai capito o te lo devo ripetere ragazzina?” questo ha qualche problema serio. Mi viene da ridere. Questa storia è troppo idiota. Forse dovrei allontanarmi prima che li venga un istinto omicida e decida di buttarmi giù dalla nostra finestra. Ma purtroppo sono troppo curiosa.

“E dove saremo secondo te…?” tra poco esplodo, voglio sentire l’ultima però.

“Credo che siamo in un suo nuovo covo, anche se non capisco cosa c’entrino i bambini e gli spiriti che ho visto. Ma si, probabilmente siamo in quello che voi umani chiamate Regno dell’Incubo” questo è troppo. Non riesco più a trattenermi. Il coniglio mi guarda male. Mi sembra  papà quando ci becca a fare qualcuna delle nostre.

“Cosa c’è di divertente?! Siamo in pericolo e tu ti metti a ridere?! Sei peggio di Jack lo sai!” si è proprio arrabbiato. Ma non riesco a smettere.

“Ma mi stai ascoltando o no?!” è impossibile che sia vero. È troppo divertente. Non ce la faccio a smettere.

“Scusa…! Coniglietto di Pasqua, ma la tua storia è troppo retrasada  per essere vera!” mi si avvicina con sguardo minaccioso. Smetto. Ok, questo mi fa paura.

“Senti ragazzina spagnola…” non gli dico che dovrebbe chiamarmi per nome. Si è alzato sulle punte. Guardo dietro le sue spalle, ha una specie di faretra con un grosso pezzo di legno attaccato. Spero che non decida di usarlo…

“…siamo in un luogo sconosciuto, i tuoi amici sono spariti, tu sei stata abbandonata da tuo fratello e forse non riusciremo ad uscire di qui vivi. Pensi ancora che io stia scherzando?” è a due millimetri da me. Queste parole mi penetrano nel cuore. Mi brucia. Al è sparito. Ho deluso mama. Ci aveva detto di stare sempre insieme, di essere una squadra, io papà e Al. Ho deluso papà e anche mama…forse qualche verità c’è in tutta questa storia.

“Mettiamo che tu abbia ragione, cosa vuoi che facciamo?” mi fa male la voce. Mi fanno male gli occhi, la gamba e anche il cuore. Il coniglio però sembra non accorgersene, mi guarda ancora serio.

“Prima di tutto mi chiamo Calmoniglio e non coniglietto” faccio si si con la testa. È meglio non farlo arrabbiare di nuovo, questo qui mi fa paura.

“Credo che dovremo trovare tuo fratello prima che succeda qualcosa di grave…” Al può essere nei guai…ed io l’ho mandato a cercare una cosa introvabile…mi sento male…Calmoniglio continua.

“Poi andremo a cercare i tuoi amici e poi i miei, e insieme daremo una bella lezione a Pitch” quest’ultima frase l’ha detta con rabbia. Questo Pitch deve averli fatto soffrire las penas del infierno.

La sua espressione cambia.

Da arrabbiato diventa magicamente assente.

Tende le orecchie e si gira verso la porta.

Fiuta l’aria.

Il silenzio mi sta uccidendo.

“Què està pasando?”

Mi fa segno di stare zitta.

“Qualcuno sta chiedendo aiuto” sto zitta. Non sento niente.

“Non sento niente…”

“…e…ay…d…”uh…?

“Mini…!” un lieve sussurro…è Al!

“Al aspetta!” mi fiondo verso la porta. La spalanco e corro verso il corridoio semi-buio. Continuo a correre.

Non sento più niente.

Giro a destra.

Corro ancora…

Corro…

Non sento più la sua voce…

Al…diablos, dove sei?!

“AL!!! ALEJANDRO! DòNDE ESTàS?!”

Aspetta!

Sento dei sussurri da quella parte!

Ok vado di là.

Continuo a correre.

Al tra poco ti raggiungo!

Delle scale…i sussurri sono delle risate…

Dove le ho già sentite…?

Non vedo il fondo…forse dovrei scendere…conoscendo mio fratello dev’essere andato di sotto.

Faccio tre gradini di scale…

Qualcosa mi prende da dietro!

 

Vorrei urlare…mi tappa la bocca.

Mi agito ma è troppo forte.

Mi manca il respiro.

Ha una grossa mano pelosa.

Ok niente panico!

Gli do un calcio sul polpaccio o almeno credo sia il polpaccio…

Mi libera.

Sbatto la schiena per terra.

Che male…

Ma chi è questo idiota…?!

“Ma sei impazzita?!” mi sussurra. È Calmoniglio.

“Scusa! Credevo che fossi…” forse ho alzato troppo la voce perché le risate di colpo spariscono. Chiunque sia ci ha sentito.

“Andiamo prima che ci vedano!” mi sussurra spaventato tirandomi con violenza per il braccio mentre cerchiamo non so cosa per nasconderci da chissà chi.

“Chi non ci deve vedere?” sussurro come vuole lui. Ma per chi mi ha preso?! Una bambolina da strapazzamento?! Mi fa male pure la gamba. Perfecto…sento dei passi dietro di noi. Qualcuno ci segue per davvero. Mi giro. All’ultimo secondo vedo delle piccole figure. Svoltiamo per il corridoio. Questo coniglio mi ha presa veramente per una bambola…mi sta praticamente facendo correre. Sento delle voci dietro l’angolo.

“Te l’ho detto! Ho sentito qualcosa! Forse ci sono altri stregoni!”

“Sei un idiota! Hai di nuovo sbagliato!”

“Però prima avevamo preso uno stregone…”

“Si, ma l’avevo visto prima io!”

Io e Calmoniglio entriamo in una stanza. È grande quanto lo sgabuzzino che avevo visto all’inizio della baracca.

“Se continui così la padrona si arrabbierà moltissimo!”

“Poi finirai come quell’idiota di Sergio…” sento delle risate. Intanto ci siamo nascosti dietro la porta e il coniglio mi tappa la bocca con le sue zampacce pelose. Cerco ancora di togliermele dalla faccia.

“Già se non avessi promesso alla padrona allora l’avrei ucciso…” ucciso…? Mi fermo.

“Anch’io” ci sono altre voci che sembrano essere d’accordo. Allora…quanti sono…? Le voci sembrano confuse.

“Te l’avevo detto che non era uno stregone…” prima voce.

“Ma…io…ero certo!” seconda voce.

“Come no…” terza…no…è ancora la prima.

“La prossima volta che sbagli lo diremo alla padrona!” terza voce…sembra averlo detto con felicità…

“No! Non voglio essere come Sergio, no!” la seconda voce sembra piangere. Sento delle risate. Che schifo…intanto Calmoniglio sembra aver deciso di usarmi come bambolina portatile anti-stress.

“Sentite, parlando seriamente, cosa faremo dello stregone?” quarta voce. Tutti sembrano aver perso la voglia di ridere.

“Mmm…possiamo metterlo dentro una pentola bollente! O…o…aspettate! Possiamo squartarlo, ma vivo, altrimenti non capirà mai il suo sbaglio.” Madre de Dios…questi sono più pazzi del coniglio che mi sta uccidendo tramite soffocamento! Tutte le voci sembrano essere d’accordo. Quinta voce.

“Volete dire dopo averlo ripreso, giusto?” qui tutti si zittiscono. Sesta voce. Che intende dire?

“Ora basta! Ho detto che non sbaglierò mai più!”

“Era tanto difficile tenerlo fermo?!”

“Ma ti ricordi? Era arrivata quella strega che si era messa in mezzo…”

“Si lo sappiamo, ha liberato il suo amico in tempo e hanno tagliato la corda prima che potessimo aprirli la pancia. Hai sbagliato ancora. Non c’è nessun altro stregone quassù” non so quante volte ho deglutito, ma sento la gola secchissima…il coniglio sta aumentando la presa.

“Ma possiamo riprenderli…e poi guarda cos’ho preso dallo stregone! Alla padrona piacerà!” sento sventolare qualcosa di pesante…quel rumore lo riconosco…Dios, dimmi di no…

“Alla padrona non piacciono i vestiti…”

“Lo so! Ma guardate, è bello! È nero come piace a lei! Forse mi perdonerà” Madre de Dios…Madre de Dios…

“Non credo proprio…” le voci si mettono a ridere.

“E quando vorresti darglielo? Abbiamo altro lavoro da fare! Siamo in ritardo di mesi!”

“Ha ragione. Ti ricordi cosa ci ha ordinato la padrona?”

“Lo so…dobbiamo prendere i cinque spiriti e portarli alla padrona…” sento Calmoniglio agitarsi. Forse…non credevo di dirlo o pensarlo mai…ma…

“Ma vi ricordate? Nella foresta ne abbiamo già preso uno!” il coniglio tende le orecchie.

“Quale dei cinque?”

“Non lo so…l’avevano preso gli amici di Sergio…non so ora dov’è…devono averlo portato dalla padrona…” Calmoniglio, gracias a Dios, molla la presa e si avvicina a quattro zampe alla porta chiusa con le orecchie drizzate al massimo. Sono preoccupata...mi avvicino anch’io alla porta.

“Ma cerca di ricordare è importante! Non voglio cercare qualcuno che è stato già preso!” la voce sembra furiosa.

“Non ricordo il nome…erm…loro si vantavano moltissimo per la cattura…ecco…forse qualcosa…”

“Avanti sputa!”

“Ecco si! Avevo visto Diana e Gaia che si vantavano vicino ai negozi per i borghesi…allora…parlavano…insomma…”

“Se ti faccio cadere dalle scale ti ricorderai…?”

“No! No! Ecco si! Ricordo! Girava sempre nella foresta, era sempre nervoso…e portava tanta di quella neve che tutti gli alberi in poco tempo avevano perso le foglie!” Calmoniglio si alza di scatto sulle due zampe dando una craniata micidiale al soffitto. Diablos…spero che quelli non ci abbiano sentito!

“Zitti! Avete sentito?” Madre de Dios!!! Lancio un’occhiata arrabbiata al coniglio. Ma che bravo! Prima mi usa come anti-stress personale e poi ci fa pure beccare da una banda di assassini! Y ahora què hacemos?! D’istinto appoggio la schiena contro il muro. Non siamo qui dentro…non siamo qui dentro…non siamo qui dentro…sento qualcosa cadere per terra…dei passi piccoli e leggeri che si avvicinano…Calmoniglio si mette su due zampe e prende in mano il suo bastone che, ora che lo vedo bene, non è proprio un bastone…i passi si avvicinano…

“Che bello, che bello…lo stregone e la sua amica devono essere da queste parti…” sento delle risate…sono nervosa…cosa faccio…

Un urlo…

Viene dal corridoio…

Deve essere una bambina…

“Eccoli li! Andiamo!” non sento passi…non sento più nulla…strano…che paura che ho avuto…il coniglio rimette nella faretra il suo bastone o quello che è. Mi tremano le mani…diablos…Calmoniglio sbircia fuori dalla porta.

“Vieni non c’è più pericolo…” mi alzo di scatto. Devo capire se quello che teneva in mano la seconda voce sia…apro la porta. Nel corridoio c’è qualcosa per terra. Dios…no…no…volevano ucciderlo…e io l’ho mandato a prendere un kit dell’infermiere…cado per terra. Prendo in mano la giacca. Mi tremano ancora di più le mani.

“Che cos’è?” mi alzo e gli mostro la giacca di pelle nera con le borchie.

“Questa è la giacca preferita di mio fratello…” mi fa male la voce. Mi fa male il cuore. Non lo guardo il faccia. Mi sento più male della mia gamba. Stringo al cuore la giacca. La zampa di Calmoniglio mi alza la testa. Lo guardo negli occhi. Ha lo sguardo del mio papà.

“Hey, su col morale musona! Senti, ho bisogno del tuo aiuto e insieme possiamo uscire di qui e trovare i nostri amici. Sono più che certo che Alejandro sta benissimo come Jack!” lo guardo negli occhi. Non so il perché ma mi sento molto meglio. Guardo la giacca, forse è meglio che me la metto, comincia a far freddo qui.

“Andiamo! Proviamo ad uscire di qui” dice porgendomi la zampa. La guardo…devo essere impazzita. Stringo la sua più o meno mano.

“Mi ricordo la strada che abbiamo fatto, vieni con me!” e così mi ritrovo a ripercorrere il corridoio con una zampa di coniglio in mano.

 

Forse mi porterà fortuna…

 

 

 

 

ANGOLO DI L0G1

Ave a tutti ragazzi! Chiedo umilmente scusa per il ritardo apocalittico, scusate! Ma con i compiti delle vacanze (latino e greco inclusi), un esame da fare e altri problemi con la linea era praticamente impossibile aggiornare questo racconto…per questo ho deciso di mettere due capitoli. Allora? Cosa ne pensate? Abbastanza interessante, noioso, ridicolo, intrigante, da buttare nel dimenticatoio o altro? Comunque volevo avvisare che se notate strani errori nel linguaggio o nei pensieri dei protagonisti non fateci caso: infatti ho intenzione di scrivere, in modo e con parole diverse i pensieri e le emozioni dei ragazzi in modo che ognuno abbia una propria personalità e modo di fare.

Attendo i vostri giudizi.

P.s è possibile scrivere qualsiasi tipo di recensione!

Incubi d’oro a tutti! UHAHAHAHAHAH!

L0g1

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Capitolo 5
*** Fidanzati...oppure no... ***


“Ma prof! Ve l’ho ripetuto! Era solo un gioco!”

“Gia! Il gioco più inutile che potevate inventare, Giovanni!”

“Ma…”

“Niente ma! Non so come abbiate distrutto il pavimento, ma questo stupido giochetto lo dovrete pagare voi! Se ci sarà qualcosa da pagare, ma sicuramente sarà così!”

Lo sapevo che non dovevamo fare quel rito…nessuno mi ascolta…mi sembra di ritornare a scuola, ci siamo svegliati in questa classe da una ventina di minuti circa e devo dire che è la classe più spettrale che io abbia mai visto…

“Non riesco ancora a crederci che vi siete fatti abbindolare da quell’Egiziano! Ma come avete fatto ad essere talmente stupidi?!”

“Prof, è Afgano e ha un nome, si chiama Farut…”

“Quello che è! Siete sempre stati degli ingenui!”

Avrei voluto almeno essere con Fabi al posto che con la Forlì…lei mi da più coraggio…avrebbe potuto aiutarmi con Gianni…questa classe mi fa impressione…voglio tornare a casa! Questi muri sporchi, questi banchi distrutti, questa finestra rotta con queste strade buie che si vedono attraverso di essa mi fanno paura!

“Ecco, guarda che cosa hai combinato con la tua stupida festa! Giovanni, hai fatto piangere anche Cecilia! Ma questi adolescenti! Io non ero come voi! Decisamente no!” continua a parlare, non mi importa. Non la sento più…dove sarà Fabi e i Sanz e Yoshi e i piccoli, dove sono! E anche noi come siamo arrivati qui…forse era meglio se passavo l’estate con mamma…no…mi è piaciuto avere Fabi come amica…forse l’unica amica che abbia mai avuto…non avrei nemmeno avuto il mio colpo di fulmine…

“Cecì basta…” è Gianni…perché dovevo avere questo colpo di fulmine con lui…? Se papà lo scopre mi riempirà di botte…molto più potenti di prima…non voglio più tornare a casa…

“Tutto si aggiusterà…” mi sorride…papà non deve scoprire che mi sono innamorata di un napoletano…

“Andrà tutto bene…prima cerchiamo gli altri e troveremo una soluzione!” mi sento meglio…ti voglio bene Gianni…

“No, Giovanni. Prima dobbiamo scoprire come siamo arrivati qui, poi cerchiamo un modo per andarcene e chiameremo i soccorsi” la Forlì è vicino la cattedra…il suo trono di legno…così dice Fabi…lei la odia…ha ragione…un po’ non la sopporto nemmeno io…

“Ma mi pigliate in giro?! Prof! Dobbiamo prima trovare i vua…”

“Che stavi dicendo?” lo fulmina con lo sguardo. Gianni abbassa la testa, vedo i suoi occhi…mi piacciono molto, sono come i miei, due piccole nocciole.

“Nulla…”

“Giovanni, una persona educata non parla in dialetto! Non si dice “vuagliuni” ma ragazzi! Non siamo mica persone incivili! È ovvio allora che vi chiamiamo “terroni” se parlate in questo modo!” la Forlì viene da Torino, come me…non mi piace che parla così a Gianni…a me piace il suo dialetto, mi fa sempre ridere quando lo parla…già…mi fa ridere…non ridevo da molto…è bella l’America…e ho conosciuto lì un ragazzo che mi fa ridere…le mie rarissime risate…

“Scusi…insomma, dobbiamo prima trovare i…” si blocca. Lei lo fulmina…non mi piace quello sguardo…è lo stesso di papà quando mi picchia…

“Cioè i ragazzi, POI insieme cerchiamo un modo per andarcene” sottolinea il “poi”, ha ragione…prima dobbiamo trovare i nostri amici, forse sono in pericolo…poi dobbiamo trovare un modo per andarcene…forse questa è una scuola…non mi piace la scuola…mi prendono tutti in giro…

“Ti sbagli Giovanni, io sono la vostra professoressa e IO dico cosa dovete fare e non, chiaro?” Gianni alza la testa verso il cielo…come se volesse chiedere aiuto, mi fa ridere. Si mi sento meglio.

“Come il sole, prof…”

“Molto bene. In questo caso è meglio uscire da questa classe e cercare una via d’uscita, seguitemi!” dice così alzando il naso all’insù come se fosse una regina e noi i suoi servitori. Mi fa ridere questo atteggiamento. Non mi piace, ma fa ridere. Fabi ci scherza sempre sui suoi modi di fare. Gianni fa un lungo sospiro e la segue come un cane stufo dei comandi del padrone. Io sono dietro di lui. La Forlì ci fa uscire e insieme percorriamo il lungo corridoio. Ha delle gigantesche vetrate sporche e molti vetri sono rotti. È tutto molto inquietante. Soprattutto il cielo, è grigio scuro con pioggia, tuoni e fulmini. Tutto questo non fa che peggiorare la situazione.

“Ma che scuola è mai questa!? Ma guardate che sporcizia! E questi vetri? Ma non possono spendere un po’ di soldi per riparare questo scempio?! Ma questi Americani non li capirò mai…!” Gianni mi lancia uno sguardo annoiato, so cosa sta pensando, la Forlì ha qualcosa contro tutti gli stranieri, l’ho notato da tempo. Ce l’ha anche con Fabi, anche se lei è nata in Italia, forse odia il suo accento. Forse non sa che lei non lo fa apposta…non credo…

“Oh, siamo arrivati” alzo la testa. C’è la scritta “Exit” ma sembra rotta. Non è illuminata come al solito. Anche questo mi inquieta molto…la Forlì prende la maniglia. La tira. Non si apre. Riprova con due mani, niente da fare.

“Ma mi volete dare una mano al posto di fare i signorini?!” la aiutiamo. Spingiamo insieme. Gianni spinge con molta più forza. Niente.

“Andiamo al secondo piano” lei comincia ad avviarsi verso le scale.

“Pecchè?” non capisco nemmeno io cosa dovremo fare lassù. La Forlì lo fulmina ancora…

“Perché, Giovanni, perché! Si dice così! Comunque forse c’è qualcuno che potrebbe aiutarci, insomma ci deve essere qualcuno!”

“Non credo prof…”

“Non fare il pessimista! Seguitemi!” e la seguiamo ancora. Comincio ad innervosirmi per davvero. Forse siamo…no…non è possibile…forse si… sento delle voci, si avvicinano velocemente.

“Ma che diavolo…?! Ma fate attenzione!” ci sono due bambine, sembra che si stiano divertendo. Hanno una strana palla color avorio con loro che per poco non colpiva la Forlì…non so di che cosa è fatta…non ho mai visto una palla del genere.

“Voi due fermatevi immediatamente!” la voce squillante della Forlì fa girare le bambine che sembrano abbastanza arrabbiate.

“Cosa vuole?” la bambina che risponde ha dei capelli castani che le arrivano poco più sotto delle spalle. Ha uno strano vestito verde acido. Sembra di tre taglie più grandi ed è tutto sporco. Lo stesso per gli stivaletti neri che sembrano sul punto di sfilarsi dai piedi.

“Come “cosa vuole…?!” regola i toni, bambinella. Sono un’insegnante e sto cercando un modo per uscire da questa scuola. C’è qualcuno qua dentro che possa aiutarmi?” dice tutto questo con rabbia, mi sorprende che le bambine non siamo spaventate, anzi, sembra che si siano offese.

“Ma come si permette?! Non sa chi siamo noi?!” l’altra bambina che ha risposto ha i capelli biondi molto corti e un paio di occhiali che…sembra che una delle lenti sia rotta…anche lei ha dei vestiti piuttosto larghi. Un vestitino azzurro e delle scarpette, questa volta della taglia giusta, ma senza lacci…questi vestitini fanno vedere le ossa delle loro spalle. Sono magrissime, anzi ossute, sono un po’ come Fabi…no, Fabi è solo molto magra invece loro sono…denutrite. Troppo inquietante…

“No…e non mi interessa” i loro occhi fanno paura…sono di uno strano giallo luccicante…non so se esistano degli occhi con questo tipo di colore…

“Noi siamo Diana e Gaia” la Diana è castana e la Gaia è  bionda. Anche la pelle è strana…è color bianco cenere…il colore dei morti…

“Quindi…?” la Forlì sembra scocciata. La prego non farle arrabbiare…le due sembrano aver trovato qualcosa di divertente in quello che aveva detto. Si lanciano delle occhiate furbette e con un pizzico di crudeltà…

“Ma come non lo sapete…?! Allora siete nuovi! Dovevate dircelo subito allora! Comunque, noi siamo state scelte, insieme ad altri stupidi plebei, a catturare i famosi cinque spiriti che la padrona ci ha detto di prendere con estrema urgenza” la Diana lascia la parola alla Gaia.

“Come tutti sanno, noi siamo riuscite a catturarne uno, con la felicità della nostra padrona” dicono tutto questo con aria solenne, non sono più arrabbiate meno male…

“Padrona…? Avete una padrona?” la Forlì sembra incredula. Non riesco a capire niente nemmeno io.

“Ma allora siete morti ieri! Lei è Macula Sanguinea, la nostra padrona e la sovrana nel Regno dell’Incubo” Oddio…avevo ragione…ecco perché avevo paura…il rito aveva funzionato…! Oddio…non usciremo più da qui…non potrò più rivedere i miei unici amici che ho conosciuto…guardo Gianni, ha gli occhi spalancati. Si gira, è terrorizzato quanto me. La Forlì invece ha lo sguardo di una che sembra aver sentito la barzelletta dell’anno.

“Bambinelle, ora basta scherzare, esigo che voi mi aiutiate ad uscire da questo posto. SUBITO!” sta diventando una furia…come quando ci ha scoperti mentre facevamo il rito…le due alzano i nasi all’insù con aria offesa.

“Ne dubito profondamente. Andiamocene Gaia” detto questo prendono la palla e vanno verso la porta con la scritta “Exit” a pochi metri da essa però si fermano.

“Nonostante queste insolenti parole, avviseremo la padrona della vostra entrata nel Regno. Vi consigliamo di regalarle qualcosa di carino, dopotutto è un grande onore servirla, non ve lo dimenticate” la Gaia dice questo di spalle, senza guardarci.

“Oh, non credo proprio che voi ve ne andiate in questo modo! Ritornate…” la Forlì, Gianni ed io spalanchiamo gli occhi…impossibile…Oddio…Oddio…voglio tornare a casa…aiuto…

“Prof, avete visto…?” Siamo in pericolo…aiuto…

“Giovanni…credo che sia solo un’illusione ottica…”

“Mi pigliate in giro?! Hanno praticamente attraversato la porta! Mò abbiamo parlato con loro! Non erano dei manichini, cioè!” la Forlì non risponde…mi preoccupa…in questo caso dovrebbe dire a Gianni che in italiano corretto non si dice “mò” ma “ora”…sento i suoi passi salire le scale…ho paura…

“Troviamo qualcuno che possa aiutarci…” la sua voce diventa un sussurro…

“Chi, prof…?! Chi?!” lei si gira con uno sguardo che potrebbe uccidere anche un elefante.

“Non usare quel tono con me Giovanni! Se c’erano quelle due qui dentro allora ci deve essere anche un adulto!” non mi piace quando qualcuno litiga…dovremo andare tutti d'accordo…non voglio che la Forlì rovini tutto…non so cosa fare…voglio un altro amico qui oltre a Gianni…

“Prof, secondo me qui il demonio c’ha messo lo zampino!” Oddio…no…

“Ma che cosa stai dicendo Giovanni?!” non voglio che litighiate…

“Secondo me quelle due hanno detto la verità! Siamo finiti nell’inferno, ecco cosa prof! Per colpa di quel musulmano…! Voleva vendicarsi pecchè Fabì ha reso giustizia ai gemelli! Perché lei li ha difesi mentre lui stava quasi per fare una rissa e pecchè voleva fà ‘sta rissa?! Pecchè aveva alzato ‘e mani su Mini ecco ‘o pecchè!” dice questo a raffica…non resisto più…cado sulle ginocchia…mi vengono le lacrime…anche i miei litigano così…inizia sempre papà…

“Maronn’…Ceci…scusa…” non riesco a fermarmi…me ne vado…non volevo che litigassero…

“Cecilia! Fermati immediatamente!” non importa dove vado…non voglio sentire persone che litigano…sono andata in America proprio per non sentire persone che litigano…entro dentro una classe. Resterò qui per sempre…non importa se è il Regno dell’Incubo…io resterò qui per sempre…

“Ceci! Dove sei?!”

“Cecilia! Ritorna subito qui!” sono a casa mia…ho cinque anni…sono nascosta sotto il letto…papà mi cerca…

“Ceci…scusa! Non volevamo, almeno io no…dove sei?!” questo non è un letto ma una cattedra…non sono a casa mia ma in una scuola…ma c’è sempre papà con le sue mani giganti…vuole farmi male…perché non sono tornata subito a casa dopo scuola…

“Cecì…! Non volevamo farti piangere!” sta camminando verso la porta…voglio tornare a casa…mi vuole fare del male…

“CECILIA!” non voglio avere ancora quei lividi…non voglio mascherarli con dei jeans e delle felpe…voglio essere come Fabi…lei è forte…voglio essere come Yoshi…lui sa cosa dire…

“Guarda cosa hai combinato ancora! L’hai fatta piangere come una disperata! Dovresti vergognarti! Ma dico Giovanni, non ti hanno insegnato che dovresti essere un po’ gentile con le ragazze?!” non sento la sua voce…mi piace la sua voce…mi da forza…perché non parla…?

“Senta…mò basta…”

“COME?!”

“Nel senso che ci tratta come dei maledetti vermi, ecco cosa! Ma che avete contro gli stranieri?! Che vi hanno fatto?! Mia cugina è la ragazza migliore che un amico possa desiderare! Cosa vuole da lei?!”

“Fabiola è una ragazza indisciplinata! Mi guarda come se mi volesse uccidere! Cosa dovrei dire ora…?! Che odio tua cugina solo perché ha origini russe?”

“Prof, è la verità” silenzio…ha detto bene Gianni…voglio avere la sua grinta…voglio essere come lui…

“Come vuoi!” sento dei passi pesanti che si allontanano.

“Dove crede di andare?!”

“Se non desideri la mia presenza me ne vado! Puoi anche cavartela da solo se ci tieni tanto! Dopotutto hai sedici anni, si comincia a quest’età ad andarsene da casa” i passi continuano a camminare pesantemente per il corridoio. Si fermano all’improvviso.

“Un ultima cosa. Dimentica che io ti faccia superare l’anno con il tuo disgustoso due in inglese” Oddio…povero Gianni…si è vendicata…

“Ma…mi piglia in giro?! Sto faticando come un ciuccio per avere quel dannato sei!”

“Beh…non mi interessa. Buona fortuna” i passi continuano a camminare finchè non gli sento più. Oddio Gianni…è tutta colpa mia…io non riesco a fare nulla di buono…papà ha ragione…Oddio…esco fuori dal mio nascondiglio. È quasi la stessa classe che avevamo visto all’inizio. Guardo fuori dalla finestra. Sta diluviando…ho sempre avuto paura dei fulmini…ci sono delle case che sembrano abbandonate. I lampioni per strada sono spenti…in fondo vedo una spaziosissima foresta…spero che nessuno dei miei amici sia laggiù…chissà dove sono gli altri…i tuoni si fanno sentire…guardo le strade…mi fanno un po’ impressione…mi ricordano i videogiochi che fa Fabi…una volta me ne ha fatto vedere uno…non era horror però…molto strano…non è da lei…la copertina era colorata…c’era un omino che sembrava fatto di cubetti con una spada azzurra che Fabi mi disse che era di diamante. Questo ricordo mi fa ridere. Quello era stato un videogioco molto simpatico devo dire. Volevo che Fabi comandasse il personaggio perché io non ero capace di usare il computer per giocare. Mi disse che il personaggio si chiama Steve e che per sopravvivere alla notte bisognava costruire dei rifugi perché di notte apparivano diversi mostri. Il mio preferito è una specie di mostriciattolo verde e nero che se ti avvicini troppo esplode…mi faceva ridere come camminava…sembrava quasi vero…Fabi mi ha detto che si chiamava Creeper ed era il mostro che odiava di più…in effetti noi due non abbiamo molto in comune anche di aspetto. Lei è bionda scura, io castana. Lei ama le cose paurose e io no. Lei adora i colori vivaci e io quelli un po’ meno. Infatti ora indosso dei legghins neri con sopra una mini-gonna di jeans, dei braccialetti di vario genere sul braccio sinistro e una maglietta viola scuro…a maniche lunghe…ho ancora qualche livido…spero che nessuno gli abbia notati…chissà cosa succederebbe se qualcuno gli avesse visti…Oddio, non ci voglio pensare…devo andare da Gianni, deve sentirsi male per la Forlì…è tutta colpa mia…

Esco dalla classe, credo che Gianni sia nel corridoio.

Oddio…

Non c’è…

Oddio…Gianni…dove sei andato! Ho paura!

“Gianni! GIANNI!” nessuno risponde…deve essersene andato chissà dove per colpa della Forlì…no, per colpa mia…perché sono una codarda…devo fare come Steve, lui se n’era andato in un mondo misterioso e non si era ritirato in un angolo a piangere come sto facendo io…

Devo cercare qualcuno…

Ma chi…?

La Forlì!

Ho sentito i suoi passi andare verso sinistra! Bene, devo andare per di qua!

Continuo a camminare, i tuoni si fanno sentire più di prima…ho paura…devo stare calma…

Oh, delle scale. Comincio a percorrerle…sono al primo piano. Mi guardo intorno, verso destra ci sono le classi…meglio non andare per di la, andiamo a sinistra…Oddio…le ombre sembrano vere…sembrano che mi seguono…

Niente…ci sono altre classi…mi sento persa…non ce la faccio ad andare avanti…mi siedo per terra. Il pavimento è congelato, anche questo non va bene…voglio tornare a casa…non importa se c’è papà che mi aspetta, voglio tornare a casa…e…

Un ombra…?

Oddio…no…non voglio finire nei guai…!

Fuori dalla finestra c’è qualcuno…!

Il pavimento sembra più caldo del normale. Ho paura…che strana figura! Sembra che stia…volando…? No…no…no…impossibile…nessuno sa volare e nessuno ha delle ali…mi sto inventando tutto…è come quella volta che pensavo di aver preso la Fatina del Dentino…si…esatto…! È come questa volta…! Sicuramente è così…!

La figura sembra avere delle ali…

Oddio…

Bum bum bum!

Oddio…sta cercando di rompere il vetro!!!

Forse mi ha visto! Urlo…non riesco a trattenere le urla…

Chi è…?! Voglio saperlo!

Mi alzo dal pavimento congelato…mi si è pure congelata metà della faccia…mi giro…si…qualcosa sta sbattendo con insistenza contro il vetro…! Non riesco a vederla in faccia…è troppo buio…ho paura…continuo ad urlare…mi escono le lacrime dagli occhi…mi bruciano molto…

Mi rigiro ed entro in questa classe qua di fronte e chiudo dietro di me la porta. È tutto buio…troppo buio…non vedo niente…sento dietro di me il vetro spaccarsi…vuole uccidermi…non volevo fare quel rito…dovevo insistere…

Risate…

Si sentono da fuori la porta…devo aprirla…?

No…no…se la apro quella cosa mi ucciderà…forse è armato…non voglio…

Ancora risate…sono di…bambini…?

Si…si…le sento meglio…!

Forse sono come la Diana e la Gaia! Forse cercano noi! Forse ci aiuteranno!

Spalanco la porta.

Potrò tornare a casa…no…voglio restare in America per sempre, insieme a Gianni…devo decidermi di dirglielo! Potremo prendere un appartamento a New York…! Potranno venire anche Fabi e Leo…!

Oddio…

Non sono dei bambini…

Ridono…non mi piacciono queste risate…

Non potrò dirlo a Gianni…

“Un altro spirito!!!” la voce è della Gaia…Oddio…non saranno loro due questi spettri…?

“Prendiamolo!”

Lo “spirito” si volta verso di me…è terrorizzato…sono quelle due pazze…devo aiutarlo…?

Gli spettri hanno preso lo spirito per le braccia…si sta ribellando…non è abbastanza forte…cosa devo fare…?

“Si…! La padrona sarà così orgogliosa di noi!”

Un altro tuono…si era fatta un po’ di luce, anche se per poco tempo…Oddio…non è un mostro…Oddio…Oddio…devo aiutarlo…! Come faccio…come faccio…

Lo spirito si libera della Diana…mi guarda ancora con quegli enormi occhi lilla…non avevo mai visto nemmeno questi occhi…devo aprire la finestra…!

Cerco di aprirla, il vetro si era spaccato in diversi frammenti che ora sono per terra. La maniglia è arrugginita…devo farcela…!

“Oh, oh, oh! Fai il furbetto spirito…? Non puoi più scappare! Non devi fare così! La padrona ti farà bellissima vedrai…!” la Diana lo dice in un modo inquietante…ho ancora più paura…

“Non ribellarti…! Presto potrai servirla…! Non sei contenta…? È un grande onore, ricorda!” ridono…sono pazze…c’è l’ho fatta…!

“Prendi la mia mano…!” non sembra aver capito quello che dico…aspetta…ha capito…! Cerca di prendere la mia mano! È vicinissima…!

BUM!!!

UN FULMINE!!! Non ce la faccio…! Era troppo vicino…!!! Non riesco più a tendere la mano…ho paura dei fulmini…

Lo spirito riesce a liberarsi…i due spettri sembrano spaventati…hanno paura come me…tremano come delle foglie…

“Aiuto!!! Gaia…! Aiuto…!!!” si stringono e…piangono…?

Oddio…si…mi fanno un po’ pena…

Lo spirito è sparito…eccolo là…! Sta andando avanti!

“Aspetta…! Non volare così velocemente…! Fermati, ti prego…!” non mi sente, lo rincorro, anzi, LA rincorro. Il suo è un volto di donna, l’ho vista…povera ragazza…è finito il corridoio…è sparita…

“No…! No! Non andartene aspetta…!” sbatto contro qualcosa. Urlo…cade all’indietro…Oddio…sono salva…sono salva…

“Professoressa!!!” lei è stupita di vedermi. Vorrei che fosse mamma…vorrei abbracciare qualcuno…

“Professoressa…! La Diana e la Gaia…loro…erano…lo spirito…erano spettri neri…e occhi lilla…no, gialli…!!!” non riesco più a parlare che vergogna…

“Cecilia…ti prego basta…non mi dire che hai visto anche tu dei morti…?” morti…? Ora mi accorgo che ha lo sguardo spaventato più del mio…cosa succede…? Perché la professoressa è così…? Mi guardo in giro…di fronte a noi c’è un’altra porta con sopra scritto “Presidenza”…mi giro verso la Forlì. Ha uno sguardo spaventoso…mi fa pena…è come se avesse visto un…morto…? Oddio…guardo per terra…sangue…ne sta uscendo molto…corro verso la finestra dietro di me…urlo…chiudo gli occhi…non volevo finire qui…siamo all’inferno…! Voglio tornare a casa…!!! Continuo ad urlare. Devo sfogarmi…non riesco a fermare la bocca.

Non urlo più…qualcosa mi ha colpito sul viso…qualcuno mi ha frustato…no…non c’è nessuna frusta…non c’è mio padre che cerca di farmi male…c’è la Forlì…è arrabbiatissima…mi fa male il viso…mi fanno male gli occhi…non riesco più nemmeno a piangere…

“Vuoi stare zitta…! Senti gallinella, smettila di starnazzare o ti do un altro schiaffo peggiore del primo!!!” lo dice con un sussurro…mi fa ancora male il viso…ha lo sguardo di fuoco…ho paura anche di lei…

“Bene…allora dov’è finito il tuo amico napoletano?”

“Non…non…non…” non riesco a fermarmi…non riesco a dire niente…ho ancora la voce di pasta frolla…che vergogna…

“Ah, non lo sai…? Meglio per noi, che se ne vada da solo a cercare qualcuno…!” alza ancora il naso all’insù…mi viene voglia di ridere. Forse riesco a parlare.

“Professoressa, andiamo a cercarlo…non voleva offenderla…”

“Non voleva offendermi, eh…? Sarà come dici ma a me non sembrava proprio…” gira la testa dall’altra parte. Mi sento meglio…!

“Senta, Gianni è un bravo ragazzo è solo molto protettivo nei confronti della cugina…sa, Fabi mi ha raccontato che erano come fratelli fin da quando lei aveva sei anni ed è normale che il fratello maggiore protegga la minore, anche se deve rischiare la bocciatura” non so come mi sia uscito questo discorso, deve essere il ricordo di Gianni che mi ha dato forza…ti ritroveremo Gianni!

La Forlì sospira…

“Si…credo che tu abbia ragione…” comincia ad avviarsi verso il corridoio.

“Vieni su, andiamo a cercare il tuo fidanzatino…”

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Capitolo 6
*** Il gigante di fuoco ***


Ultima tra i dannati in terra! Schifosa serpe nera! Vipera! Verme! Le strappo l’osso della gamba e ci gioco a crichet con il ginocchio! Dovrei pigliare uno e dirgli di ammazzarla! Schifosa femmena!

Oh, pensando male della prof sono riuscito a trovare la palestra. Mmm…forse posso uscire per il giardinetto e poi…si…! Posso scavalcare la rete e sono subito fuori! Sò ‘no genio!

Apro il portone e sono in palestra. Che puzza! Sa di chiuso! Maronn’ quanta polvere! E le ragnatele sul soffitto! Agg’ capito che è la casa del Babau ma, maronn’, è un po’ pesante come cosa…

Vado un po’ in giro per questo posto enorme. Più che palestra mi sembra nà fortezza tanto è grande, più della palestra della mia scuola. Maronn’…Cecì…me stò a sentì male per lei…Fabi m’ha detto che lei deve avere qualche problema con à mammà e ò papà…se n’è andata via piangendo…mi sento male…quando tutto sarà finito la inviterò a casa, sempre che i genitori vogliano, e potrò farle vedere Napoli! È bella assai Napoli. Le piacerà di sicuro! Forse le posso regalare anche ‘no mazzo di rose. A Fabì piacciono quelle bianche, forse sarà così anche per Cecì.

Spero però che i genitori non pensino che la mia famiglia sia ignorante come pensano quelli del Nord…devo provare a parlare di più in italiano, posso provarci! Andrà tutto bene!

Spero che stia bene…sono preoccupato…non è una…cioè una ragazza forte…sono preoccupato anche per gli altri…non per Fabi, se è riuscita a scappare da quelle suore al collegio allora ce la farà anche in questo posto…Yoshi sa sempre cosa fare…i gemelli insieme posso anche scalare il Monte Bianco insieme…forse Farut e Mino sono anche loro qui ma non mi preoccupo…Leo e Niki…

O Santa Maronn’!!! Loro sono piccoli! Chissà dove, forse anche da soli! Saranno nei guai più neri! Quelle due hanno detto che ci sono altri ragazzini insieme a loro! Forse hanno trovato i piccoli! Forse non hanno buone intenzioni! Forse…! Hanno detto di una certa padrona…

Ma…ma non era il Babau il padrone qui? Forse non è un “lui” ma una “lei”…no no…non credo…una donna non potrebbe fare paura a dei bambini, un uomo sarebbe più capace.

Non ci sto capendo nulla.

Comunque devo uscire da questo posto prima che le cose peggiorino.

Mi butto verso la porta della palestra.

La apro.

Che atmosfera…sembra di essere in un cimitero…il cielo continua a fulminare e piove peggio di prima. Mi sta salendo l’ansia…

No dai, non è il momento di farsela addosso.

Il giardinetto…Maronn’ giardinetto…non ha l’ombra di fiori o erba, tutte le “piante” sono secche e morte…le poche rimaste ovvio. Il resto del giardinetto ha solo terra e fango. Se continuo a restare impalato qui prenderò sicuramente un influenza con i baffi e controbaffi.

Comincio a camminare per il giardinetto. Mannaggia…mi sto bagnando tutto! La giacca bianca, i jeans marroni, le scarpe verdi…bagnati, inzuppati…ottimo…

Bum!

Bum!

Bum!

Maronn’!!! Mi sto pigliando un infarto! Che fulmini!

Bum!

Bum!

“Aaaaa!!!” qualcosa mi colpisce alle spalle. Cado per terra e credo che mi sono spaccato mezza schiena!

“Ma che…?!” mi giro. Erm…non qualcosa ma QUALCUNO mi è saltato addosso. Fa fatica ad alzarsi. Maronn’ Santa! Ma che cos’è?! Sembra tipo mezzo uccello e mezza donna!

“Eccoti!”

“Ti abbiamo presa!”

Alzo la testa.

Oh…Santa…Vergine…Maria…

Dei demoni stanno venendo qui!!! Mi paro il viso con le mani.

“Attento! Sto per lanciare la palla!” tolgo le mani dagli occhi.

Eh?!

E da dove sono arrivate quelle due vipere?!

Mi giro verso la donna uccello, apre le ali e cerca di muoverle. Ha il corpo pieno di piume, mani e viso esclusi, anche le ali non sono piumate. Sta per volare via. Ha il viso sofferente. Mi sento come lei…

“Aaaa!!!” cade di nuovo a terra a pancia in giù. Qualcosa l’ha colpita pesantemente. Una palla gialla…ma cosa…? Mi giro verso le due che sembrano aver l’aria di due donne che hanno vinto alla lotteria.

“Si!!! L’abbiamo presa!” si buttano verso la donna uccello. Avevo visto delle scintille quando la palla l’avevano colpita. O almeno credo…ma che sto facendo?!

“Hey! Hey! Ma che state combinando?!” sono assai confuso. Le due intanto legano la poverella.

“Te l’abbiamo detto, dobbiamo catturare i cinque spiriti per la padrona!” Diana dice questo annoiata. Forse posso sfilarle qualcosa d’interessante. Le piccerelle dopo aver legato ‘a donna uccello si fanno il cinque e ridono come delle pazze. Ora vedo i loro occhi…sono anche loro gialli. Dev’essere la moda qui dentro…

“Scusate piccerelle” si girano. Diana mi guarda inclinando la testa in modo inquietante, invece Gaia mi guarda imbarazzata. Erm…andiamo al dunque.

“Vuoi chiederci qualcosa?” guardo i loro vestiti…i capelli…le scarpe…il pallone…non sembrano essere bagnati…strano…mi sveglio.

“Perché…l’avete catturata…?” mi guardano come se le avessi chiesto che cos’è un albero. Diana rigira gli occhi annoiata, Gaia invece mi guarda con gentilezza.

“Vieni che ti spieghiamo tutto” dice questo e…

…si trasformano…in…in…

“Sorpreso vero? Ci vuole molto allenamento, ma un giorno lo saprai fare anche tu se sarai al servizio della padrona!” i due demonietti prendono per i piedi la donna e la portano dentro. Le seguo. Siamo ritornati in palestra.

Le due sbattono, letteralmente, la donna verso una parete di legno. Credo che l’abbiano legata…La donna cerca di proteggersi. Mi fa una pena della Madonna…

Le due ritornano “umane”, si voltano verso di me e si siedono per terra. Faccio lo stesso. Diana mi guarda come se fossi uno scarabeo, invece Gaia si sfila le lenti e le pulisce con un fazzoletto. Mi viene l’ansia.

“Scusate, ma sono nuovo. Vorrei sapere perché bisogna catturare questi famosi spiriti” è meglio sorridere così forse faranno qualcosa al posto di guardarmi male.

“Perché l’ha chiesto la padrona è ovvio!” mi risponde Diana con rabbia.

“Cioè…quali sono questi spiriti…?” Gaia mi sorride.

“Ti abbiamo gia detto che ne abbiamo catturato uno. La padrona ci ha detto che si chiama Jason Frost…o qualcosa del genere” il battito di ali della donna si ferma all’improvviso. C’è qualcosa che non va. Il nome è molto famigliare…

“Per caso è…Jack Frost…? Insomma, come quell’uomo che fa le tempeste di neve e fa nevicare e che porta l’inverno?” Diana fa un sorriso inquietante.

“Non “come” è lui! L’abbiamo preso nella foresta, stava cercando un certo Pitch se non sbaglio…era insieme a lei, ma noi l’abbiamo preso! E non è stato facile con tutto il ghiaccio che faceva” dice questo con aria solenne. Mi sembra la prof…che rogna ricordarsi di lei…dai Gianni!

La donna comincia ad agitarsi. Cerca di liberarsi dalle corde. Diana prende la palla e la scaglia contro di lei. La colpisce sulla schiena. Vedo ancora quelle scintille. La donna non si muove più. Sono sbigottito…non sapranno usare pure l’elettro shock?! Passa mezzo minuto di silenzio…non mi piace per niente questa situazione…

“Come ti chiami…?” Gaia mi chiede questo con timidezza. Eh…? Intanto si è rimessa le lenti mezze rotte.

“…Giovanni…ma potete chiamarmi Gianni…” Gaia ha l’aria di aver sentito il nome più bello del mondo.

“Mi piace il tuo nome!...insomma…hai una ragazza…?” Diana la guarda sbigottita. Ma che…?

“Per ora no…”

“Ah, ok!” mi guarda felice. Diana non sembra capire cosa c’entra tutto questo con me, e neanche io ci capisco qualcosa.

Passano altri due minuti di silenzio. Gaia sembra imbarazzata. Diana la guarda con rabbia. Io non riesco a capire nulla. Non riesco a staccare gli occhi dalla donna dietro le piccerelle. Devo trovare un modo per liberarla.

“Posso sapere…insomma…come sei morto…?” morto…?

“Come…?” Gaia mi guarda imbarazzata.

“Insomma…se non ne vuoi parlare posso capire…insomma…non è una cosa bella…insomma…molte persone sono venute senza volerlo…insomma…come me e Diana…” Diana spalanca gli occhi. mi gira la testa. Mancava solo questa…non dirmi che è così altrimenti…!

“Veramente…io sono vivo…è impossibile che io sia morto…!” dico questo con la voce spaccata a metà. Non sono morto…noi non siamo morti…! Se fossimo morti…noi…ecco…non potrò mai fare il giornalista…non potrò più rivedere mammà…non potrò più sapere se Fabi sta bene…non potrò…! Diana ride. Una risata carica di tristezza.

“È impossibile! Tutti noi siamo venuti qui lasciando la vita. Altrimenti come avresti fatto a venire in questo regno scusa?” Diana mi guarda come se lei fosse il gatto e io il topo. Gaia la guarda male. Chiudo gli occhi. non sento più niente…qualcosa batte dentro di me però…grazie a Dio…non sono morto…

“Sono vivo, Santa Madonna! Sentite! Venite qui! Il mio cuore sta ancora battendo!” dico questo facendole cenno di avvicinarsi. Gaia resta immobile, Diana si butta sul mio petto. Sento il suo viso ghiacciato su di me. Ora la vedo meglio…non ha la pelle bianca ma grigia…mi sembra di vedere una persona morta…mi fa impressione questa cosa. Il suo visino determinato mi pressa il petto. Dopo poco lei spalanca i suoi strambi occhietti gialli. Diana si stacca da me e raggiunge Gaia sempre con i suoi occhi pieni di stupore.

“Ha ragione!” mi guardano come se io fossi io il morto e loro le vive. Ho la testa completamente incasinata.

“Dobbiamo chiedere alla padrona, lei saprà di sicuro perché sei ancora vivo!” Diana dice questo prendendo il pallone e Gaia raggiunge la donna. È il mio momento d’oro!

“Aspettate! E se ci vado da solo dalla padrona? Cioè, avete molto da fare sicuramente, non vorrete perdere tempo per questa sciocchezza” Diana mi guarda soddisfatta.

“Mi sembra giusto. Però dovresti anche portare lo spirito gia che ci sei” Gaia la guarda delusa.

“Non credi che dovremo accompagnarlo…?” Diana risponde in fretta.

“No! Voglio dire, abbiamo molto da fare. Gaia, dobbiamo ancora finire il nostro dovere, ricordatelo! Non dobbiamo farci battere da quelli insulsi plebei!” fulmina la biondina con lo sguardo. Gaia si arrende.

“Andiamo…” mentre metto sulle spalle la donna le piccerelle camminano verso l’uscita per il giardinetto.

“Ma che ti è preso?!” Diana sussurra questo alla sua amica.

“Hai visto quant’è carino? Pensi che vorrà essere il mio ragazzo?”

“Ma sei impazzita?! Non puoi!”

“Perché no…?”

“Perché ce l’ha detto la padrona! Non si può innamorarsi di un vivo! E poi non devi stare con un plebeo! Lui non è del nostro rango!”

“Ma un giorno morirà e forse…”

“La mamma ci ha detto di non sposarci con un cristiano, ricordi? Ti ricordi cos’è successo con papà?!” non sento più le loro parole…fantastico…pure le bambine sono diventate razziste…di questi tempi non riesco proprio a capire che succede a questi piccoletti. Gli unici normali per me sono solo Leo e Niki.

Mi assicuro che le due pazze se ne siano andate…se ne sò andate. La donna è molto più leggere di quanto mi sarei aspettato. L’appoggio per terra delicatamente a pancia in su.

Guardo il suo viso. Le escono delle lacrime dagli occhi viola. Si, ha decisamente degli occhi viola. Credo che dovrei abituarmi a tutto questo. Mi siedo per terra. Mi sento un verme solo a guardarla. Appena mi siedo chiude di scatto gli occhi e gira la testa di lato. Credo che pensa che io possa farle del male…dai…proviamo ad essere un gentiluomo…a che punto devo fa ‘o rammollito…?

“Non hai ancora capito che non ti porto da quella padrona?” ora mi accorgo che trema come una foglia. Penso più per un possibile calcio in testa che per il freddo. Ha le piume bagnate. Le ali continuano a scuotersi.

Guardo i piedi e le mani legati, ma soprattutto le mani. Sò piccerelle. Come quelle di Fabì. Solo che quelle della donna sono molto aggraziate e da principessa.

Comincia ad aprire gli occhi. Mi guarda spaventata.

“Guarda ora che faccio” dico questo e provo a slegare le corde. Dopo un po’ riesco a toglierle, sono molto strette e sottili e lei ora…

“No, aspetta!” appena la slego lei vola in un angolo del soffitto. La raggiungo.

“Non voglio farti del male! Non capisci? È accaduto tutto un macello per venire qui e ho bisogno di aiuto!” non mi crede. Rimane ancora lassù.

“Guardami. Credi che possa fare del male a una donna? Credimi, prima di venire qui ero assai furioso con la mia prof pecchè quella tratta mia cugina come se fosse ‘na terrorista. Ma ‘o sai ‘na cosa? A Napoli se dai un pugno a una donna sei considerato un assassino. Io non sono un assassino” comincia ad avvicinarsi a me. È pochi metri più in alto di me, con le manine da principessa a pugno lungo i fianchi.

“Sai parlare?” fa cenno di si, ma con esitazione.

“Io sono Gianni. Tu come ti chiami?” esita. Mi guarda negli occhi.

“…Dentolina…” vorrei chiederle di più. Ho troppe cose da chiedere, non so da dove iniziare, non so cosa dire o fare…insomma sono un rammollito davanti ad una donna uccello…che faccio ora…? Anche lei però sembra che non sappia cosa fare. Simm’ in due vualioncè…apre la bocca.

“Sai dov’è Jack? È stato davvero catturato? Chi è questa padrona? Dov’è Pitch? Perché…?” mi chiede questo con occhi supplichevoli. Mi sento male solo a guardarla negli occhi.

“Non so nemmeno di cosa stai parlando…mi dispiace” abbassa la testa delusa. Ha il viso impiastricciato di lacrime.

“Sei davvero vivo…?” sorrido e le faccio segno di si. Credo che comincia a fidarsi, sta scendendo e vola un paio di metri più in basso.

“Chi sei…?” alza la testa e mi guarda sorpresa, come se le avessi chiesto chi sia la Belen. Mi scruta con i suoi occhioni viola.

“Quanti anni hai?” mi scruta come se mi avesse visto per bene ora.

“Sedici…perché…?”

“Tu credi ancora nella Fata del Dentino o a Jack Frost…?” non ci sto capendo niente…o forse…

“No…ma…tu non sei…?” non mi escono le parole di bocca. Lei mi precede.

“Si sono una fata…” sono sorpreso…anzi…pensandoci bene non lo sono…inizialmente credevo di esserlo ma ora…non credo di esserlo più. Forse perché in poche ore ho visto molto più di quanto non vedrò in altri dieci anni…o forse devo finirla di sfidare Fabi con le sue prove di coraggio giocando a dei videogiochi horror solo per vedere quanto tempo duro prima di dire che mi ero spaventato come un bambino.

“Oh…va bene…” mi guarda sbigottita.

“COSA?! Non sei sorpreso?! Voglio dire…ogni bambino che mi vede reagisce in modo differente…tu invece no! Perché?” dicendo questo raggiunge la mia altezza. Si sta spaventando peggio di prima.

“Piccerè. Agg’ visto due vuaglioncelle che stevano pè ammazzà ‘na fata, quindi agg’ visto metà mondo…” non mi ha capito. Mi guarda come se stessi parlando una lingua sconosciuta, anche se…in effetti…

“Insomma, venendo qui ho visto di tutto, quindi vedere la Fata del Dentino non è chissà che per me ora” è pensierosa, ma non credo per quello che ho detto.

“Ma se non credi in noi…allora non dovresti vederci…non riesco a capire…” abbiamo qualcosa in comune piccerè…

“Nemmeno io ci capisco qualcosa…”

“GIANNI!” mi giro. Vedo…

“CECI! PROF!” Ceci corre ad abbracciarmi. La prof invece sembra disgustata da quello che sta vedendo. La guardo con odio. Non ho ancora finito con lei. Ceci si stacca da me e guarda Dentolina, ma non sembra sorpresa.

“Ti ho gia visto. Eri fuori dalla finestra e cercavi di salvarti dalla Diana e dalla Gaia” Dentolina spalanca gli occhi e anch’io sono sorpreso. Ma non riesco ancora a capire una cosa.

“Ora che siamo tutti qui, puoi spiegarci cosa sta succedendo?” la fata mi guarda severamente.

“Prima però voglio sapere chi siete e perché siete qui. Scusate ma voglio essere certa che abbiate buone intenzioni” mi sembra giusto.

Così andiamo a sederci sulle panchine e io racconto tutto quello che era successo e Ceci mi aiuta con i dettagli.

“Una strana sostanza gassosa avete detto? Anch’io l’ho vista insieme a Jack quando sono venuta qui. Credo che sia un incantesimo…ma non sapevo che qualcuno potesse trasportarci in questa altra dimensione”

“Come “un’altra dimensione”? Siamo finiti tipo in un altro mondo come nei film?!” Ceci si mette le mani sopra bocca. È sbigottita quanto me.

“Credo che possa fidarmi di voi…va bene vi racconto!”

 

 

 

 

 

“Quindi…aspè, secondo te il Babau non c’entra in questa storia?” Dentolina fa cenno di si. Ci ha raccontato tante di quelle cose che mi sento la testa esplodere.

“Perché sei andata nel suo nascondiglio? Non capisco questa parte” Ceci ha ragione. Mi giro verso la fata.

“Io ero nel mio palazzo come al solito e ad un certo punto vidi Jack che mi chiese di seguirlo fino al Polo Nord per incontrare gli altri Guardiani. Era molto preoccupato. Dopo essere arrivati Nord, chiamato Babbo Natale dai bambini, ci disse che per molti giorni Calmoniglio, ovvero il Coniglietto di Pasqua, era sparito senza sapere dove fosse. Jack pensò che Pitch stesse architettando qualcosa di losco e così mi convinse ad andare nel suo nascondiglio. Solo che…”

“Cosa?”

“Notammo delle cose strane. Ad esempio c’era una nuova entrata, mentre invece quell’altra era stata sigillata dai suoi incubi prima che fosse trascinato nel sottosuolo” è tutto molto strano in effetti. Quindi il Babau probabilmente non c’entra niente in questa faccenda.

“Ma per carità…” ci voltiamo verso la prof. Vorrà dire qualcosa di “fantastico” probabilmente.

“Questa storia è incredibile, lo ammetto. Ma a questo punto diventa assurda!” strano…non lo dice con rabbia ma…non so…per tutto il tempo la prof non aveva fiatato, cosa che io chiamo “assurda”. Non avevo visto il suo volto quando avevamo incontrato Dentolina. Ora però la fatina sembra essersi offesa. Meglio avvertirla che in realtà ci troviamo davanti ad una serpe e non con una donna di mezz’età in pigiama.

“Non ti preoccupare Dentolina, tanto la prof non crederebbe a Babbo Natale nemmeno se lo avesse annanzi gli occhi” la prof mi fulmina di nuovo. Tanto chi se ne frega. Ormai mi ha praticamente bocciato.

“Ricordati che ti posso bocciare!” non mollo. M’hai gia pigliato a calci bella bruna…

“Si ricordi che siamo in una situazione pazzesca, quindi mi sembra il caso di cercare una soluzione!” Ceci con un segno fa attirare tutta l’attenzione su di lei.

“Credo che dovremo cercare la padrona delle bambine e forse lei può dirci dove sono gli altri…scusate non è una buona idea…” abbassa la testa, di nuovo. Dev’essere qualcosa di serio se si comporta sempre così.

“Io invece sono d'accordo. Cerchiamo questa Macula Sanguinea e ne parleremo tra donne” pensavo che la prof dicesse questo con la sua aria da regina, invece…

“Non ne sono del tutto sicura…ma…va bene, proviamo” Dentolina sembra abbastanza sospettosa, non ci bado molto. Ma ‘na cosa non mi convince.

“’Na cosa…qualcuno sa a do sta ‘sta padrona?” silenzio generale. Ceci sembra che voglia dire qualcosa.

“Elementare mio caro Giovanni. Se troviamo degli indizi allora troveremo qualcosa e se troveremo qualcosa allora avremo la soluzione” la prof mi sventola sotto il naso un foglio di carta. Me lo mette davanti gli occhi.

“Che è sta robba?” la prof mi fulmina…sta ritornando serpe…

“Insomma cos’è?”

“Venendo qui l’ho trovato appeso ad una parete e credevo potesse essere utile…” Ceci ad ogni parola minimizza la voce e la riduce a un sussurro. Mò basta…appena torno la porto a Napoli.

“Sentite giovanotti: Chi volesse avere assistenza dalla nostra padrona sia pregato di raggiungerla nella biblioteca presso la scuola. Siate fedeli!” non riesco a vedere bene il foglio…ma pecchè non me lo passa?! Va buò…fa nulla…

“Beh che stiamo aspettando? Non restiamo qui a prendere polvere! Avanti!” si…è decisamente tornata in se…o quasi…

Questa volta sono io a capo gruppo insieme a Cecì, la prof dietro di noi e Dentolina SOPRA di noi. Mi giro verso la prof. Ha paura. Ora ho capito. Anzi no, è mezza terrorizzata. Non l’ho mai vista così…sarà pazzesco ma credo che sono preoccupato per lei. Dai Giannì! Concentrati! E non fare sempre il pepe!

“…mi dispiace…” Ceci ha lo sguardo abbassato…mi fa tenerezza…Dentolina si abbassa alla nostra altezza ma continuando ancora a volare a pochi centimetri da terra. Le ragazze si guardano negli occhi. Ceci abbassa subito lo sguardo.

“…non volevo lasciarti fuori al freddo…e…scusa per non averti aiutata…io…io…” Dentolina sorride. Credo che anche lei ha capito che Ceci ha un qualcosa che la rende timida.

“Non importa. Sono ugualmente felice che qualcuno volesse aiutarmi e non uccidermi” Dentolina mentre dice questo prende le sue mani. Ceci fa un sorriso un po’ imbarazzato. Solo ora mi accorgo che strambo quadretto abbiamo fatto: una fata variopinta che tiene le mani di una sedicenne molto timida in una scuola molto grigia e triste. Mentre sbatte le ali Dentolina fa un rumore simile ad un sacchetto pieno di spiccioli. Forse faceva sempre quel rumore e forse solo ora me ne accorgo. Che strambo ma simpatico quadretto. E poi ci sono io: un sedicenne bagnato e infangato con i riccioli ribelli e la prof…

…eh?

Ah, eccola, è poco più avanti di noi.

“Non per rovinare questo bel momento, ma credo che siamo arrivati” ci catapultiamo tutti verso la prof. Ci troviamo davanti ad un porta, leggo la scritta “Biblioteca”. Ci guardiamo negli occhi. La prof, come pensavo, è terrorizzata. Ceci, stranamente, sembra che voglia scoprire subito cosa si trova la dentro. Dentolina invece ha uno sguardo strano. Sembra un misto tra rabbia e determinazione. Lasciamm’ stare.

“…la apriamo…?”

“…credo di si…sempre meglio che sentire la battuta di Gerry Scotti…” Ceci si mette a ridere. La sua risata è un po’…non strana…particolare, ecco. La fa chiudendo gli occhi e mettendo le mani sulla bocca, come se non volesse che qualcuno la sentisse. Quando non ride le sue mani sono sempre poggiate sul cuore.

“Non diceva così…!” mi piace questa risata timida…ha un qualcosa di dolce che ti riempie il cuore…

“Lo so ma almeno ci assomiglia” potevo dire di meglio…Fabì ha ragione: talvolta sono proprio pepe…

Sento la prof alla mia destra deglutire e apre la porta.

 

 

 

 

 

Ed eccoci qua nella tana del lupo, per così dire. Credevo che la biblioteca fosse come il resto di questo posto ma mi sono assai sbagliato. È tutto pulito. Non ci posso credere. Forse l’unica stanza, anzi no, stanzone pulito, splendente e maledettamente bello. Il soffitto deve essere di tipo dieci metri circa con degli scaffali in legno che probabilmente lo toccano illuminati con la luce di una ventina di candele. Mi sento assai piccerello qua dentro. Dentolina comincia a svolazzare sugli scaffali. Ceci invece è sempre dietro di me. La prof è sparita chissà dove. Non ci posso credere. Cioè…mi sembra assurdo…la scuola è quasi tutta tetra con ragnatele, polvere, poca luce…e invece…al terzo piano in fondo al nulla c’è QUESTO. Qualcuno deve aver benedetto questa biblioteca.

Sposto lo sguardo su Dentolina. Credo che abbia una specie di crisi, perché è da un po’ che svolazza a scatti su un ripiano all’altro degli scaffali più alti. Credo che stia andando in panico, di nuovo. Meglio capire cosa succede.

“We! Che succede?!” c’è qualcosa che non torna in lei. Non riesco a capire.

Dopo un po’ si decide a tornare giù con in braccio sei o sette libri con le copertine marrone scuro. Gli poggia sopra ad un tavolo li vicino a noi due. Smette di battere le ali e comincia a sfogliare velocemente uno dei giganteschi libroni. Ci avviciniamo a lei. È rientrata in panico. Sul tavolino ci sono tre candele accese che garantiscono si e no della luce. Il librone che sfoglia è scritto a mano e ha l’aria di essere qualcosa di vecchio per le pagine…non credo sia carta…

Ceci intanto si è messa alla destra della fata verso la torre di libri. Ne prende uno in mano e comincia a sfogliarlo. Il suo sguardo cambia in continuazione, dall’attento diventa spaventato poi curioso poi sbigottito.

Eh…?

Ceci alza gli occhi dal libro. Mi guarda negli occhi…vuole che mi avvicino. Guardo le pagine del librone, questa volta è carta, ne sono certo ma è ingiallita. C’è un disegno, credo fatto a mano, di un ragazzo con un bastone in mano.

Leggo cosa c’è nella pagina di prima “Jack Frost, spirito dell’inverno, Guardiano del Divertimento. Nato nel 1712 e morto all’età di diciassette anni nella piccola cittadina di Burgess…”

E così è il resto della pagina e credo anche tutto il libro. Prendo in mano gli altri libri. Leggo diversi titoli: Sandman, Babbo Natale, Il Coniglietto di Pasqua… guardo la pagina dove Dentolina ha puntato gli occhi. C’è un altro disegno…è Dentolina…

Non ci capisco più niente.

Solo ora mi accorgo che sta sorgendo l’alba. Vedo dalle gigantesche vetrate un cielo che piano piano comincia a schiarirsi. Aveva anche smesso di piovere e non me n’ero accorto…le stelle cominciano a sfumarsi con il cielo. Presto sarebbe apparso all’orizzonte una debole striscia arancione.

Mi sento vuoto…non so il perché…

Ah si…ricordo…io e Fabi da piccoli una volta avevamo in mente di svegliarci presto per vedere l’alba…eravamo pure saliti su un albero per vedere quel colosso che desideravamo guardare svegliarsi e alzarsi in cielo tipo una colomba che vola via verso la libertà…mi sento vuoto…sono di nuovo preoccupato…

“Beh…buongiorno” oh Santa Madonna di Monte…ma chi è…?!

Mi volto…non è la prof…non è una delle ragazze…loro sono assai dietro di lei…mi guardano mezze sbigottite. Lei è sopra una scala. Ha in mano un librone. Riesco a leggere il titolo: Streghe in età Medioevale. Non mi ha mai guardato. Ha dei capelli rosso…non fuoco…nemmanco carota…vino…ho la nausea solo a pensarci.

“Avete bisogno di aiuto?” ha una veste nera…Ha alzato un po’ la testa verso di me…ha degli occhi…di ghiaccio…ha ancora la testa semi nascosta nel libro. Devo dire qualcosa…

“Lei chi è, scusi…?” non ho aperto bocca. È stata Ceci. Dentolina è affianco a lei. La rossa come il vino alza la testa verso la piccola vocina. Non sembra arrabbiata o offesa…non so cosa sembra…appena ci vede si illumina un sorriso.

“Ah! Voi siete coloro che ho convocato qui! Buongiorno. Avete bisogno di aiuto? Avete perso i vostri amici?” quest’ultima frase mi sveglia di brutto.

“Si, in effetti si. Volevamo…” aspè…ma cosa ha detto prima…?

“In verità non so dove si trovino ora. Forse saranno nell’ospedale oppure nella foresta o per le strade del paese. Se chiedete in giro sono certa che li troverete” ha ancora lo sguardo sul libro…non capisco ‘na cosa.

“Avete detto che ci avete convocato. In verità siamo venuti da soli…” grazie Cecì.

“Beh, voi non lo sapete ma in verità sono stata io a portarvi qui” COSA?! Dev’essersi sbagliata…mi preoccupa soprattutto il tono con cui parla…è come se ci stesse raccontando una cosa da nulla…mi sto agitando…

“Signora, mi scusi, ma in verità noi siamo venuti qui per errore con…”

“Il portale dimensionale che il vostro amico, grazie ad un rito, riuscì ad aprire e a farvi venire qui. Infatti, sono stata io a dire a Farut di fare il rito per portarvi qui” ma che diavolo…?! Ma cosa…?! Non ci credo…! Lo conosce…?!

“Ma perché?! Cosa abbiamo di tanto speciale?!” sento la voce disperata della prof alla mia sinistra. Non ho mai sentito la sua voce così…mi sto preoccupando. La rossa rimette a posto il libro e scende dalla scala.

“In verità non siete “tutti” voi che mi interessate, solo due di voi, ne ho bisogno, per avere tutto” non ci capisco niente.

“Cosa vuoi dire?! E cosa c’entriamo noi in questa storia?!” Dentolina è schizzata in volo verso la rossa. È assai furiosa. La rossa sorride.

“Tu devi essere la Fata del Dentino! È un piacere conoscerti di persona” detto questo tende la mano. Ma Dentolina non la stringe. La rossa sembra essersi abbastanza offesa.

“Perché ci fai questo?! Cosa vuoi dai Guardiani?! Chi sei?! Perché fai questo?!” si, è decisamente fuori di se. La rossa chiude un attimo gli occhi…dopo un po’ gli spunta un sorriso…mi ricorda quello dei gemelli…riapre gli occhi, guarda Dentolina con una sguardo che più inquietante di così… Si fissano negli occhi. Dentolina cade sotto quello sguardo…ho paura…

“Come desideri…” comincia a camminare verso uno scaffale pieno di libri.

“Vedi, mia cara…io, in quella che noi chiamiamo Terra, ho molti più nomi di quanto qualcun altro possa avere. E molti umani, non dico che mi abbiano visto, ma quasi tutti mi conoscono” con lo sguardo mezzo nascosto nell’oscurità vedo che prende un libro: Storia dell’Islam.

“Gli Islamici mi chiamano Iblis” lascia cadere il libro che fa un rumore piatto appena tocca il suolo. Questo botto ce l’ho sigillato nel cervello…prende un altro libro: Induismo nel mondo.

“Gli Indù mi chiamano Asura” fa cadere il libro. Ne prende un altro: Secondo Buddha.

“I Buddisti mi chiamano Mara” cade ancora il libro…non capisco…dove vuole arrivare…? Prende un altro libro: Vita nel Cristianesimo.

“I Cristiani mi chiamano Satana…” cade il libro. Si apre. Vedo la pagina aperta…c’è un uomo macchiato di sangue in un paesaggio in bianco e nero e dietro di lui c’è una donna con il volto nascosto e vestita di nero con dei capelli rosso vino…

“In questa regno invece mi chiamano Macula Sanguinea…” ho gli occhi fissi su quella donna nel disegno. Non sento alcun rumore di libri caduti sul pavimento di legno. Sapevo che esisteva…ne ero certo…Fabì invece diceva sempre il contrario…mi fa male la testa…non riesco ad alzare gli occhi…sento delle voci però…

“Ma…ma…insomma…non…”

“Come vedi, mia cara, è così…”

“Ma…allora…cosa c’entrano i Guardiani…?” sta esitando…non mi piace…alzo lo sguardo verso la rossa. Quei capelli rossi mi fanno più effetto del vino…mi gira la testa…

“Non l’hai ancora capito? Vedi, da quando sono nata ho sempre avuto una particolare ambizione. Come gli spiriti, io ho bisogno di essere creduta e infatti lo sono, ma…non sono venerata, e questo mi procura molto fastidio. Da millenni io sono e sarò sempre la rivale del vostro dio, ma per fare in modo che lui venga dimenticato io devo prima eliminare i suoi Fedeli Angeli…hai capito…?” Dentolina ha gli occhi che sembrano due biglie viola. Dopo un po’ mormora qualcosa.

“Quindi tu sei la rivale dell’Uomo nella Luna…? E noi saremo i suoi Fedeli Angeli che tu dovrai distruggere…? E quindi questo regno sarebbe…”

“L’Inferno, esattamente” mi gira la testa. Il cielo è diventato di un arancione fiammeggiante. Fabi è in pericolo…Leo è Niki sono in pericolo…

“Ma…che cosa hai fatto a Jack?!”…Al e Mini sono in pericolo…

“Tranquilla…sta benissimo. Non gli ho sfiorato nemmeno un capello argentato. Ma…come posso dire…ora lui non potrà più vederti…nè te né gli altri tuoi amici”…Mino è in pericolo…

“Cosa?! Che cosa gli hai fatto?! Cosa intendi dire?!”…Farut può marcire qua sotto…non lo perdono…non lo perdonerò mai…

“Ora ti spiego. Immagino che da umana tu abbia mai sentito parlare di me e delle mie azioni sui mortali, giusto? Ebbene, tra questi miei poteri quali conosci?”…Ceci è in pericolo…mi brucia il cuore…

“…ecco…puoi…fare azioni anche involontarie ai mortali e agli spiriti…e se vuoi anche renderli tuoi schiavi…”…IO sono in pericolo…!

“Esattamente, mia cara. Credo che tu abbia gia compreso. Ma non fraintendere: croci, acqua santa e altro non mi scalfiscono minimamente. Dev’essere qualche invenzione dei mortali per negare che io sia invincibile” la rossa come il vino sorride…devo avvertire i ragazzi…devo uscire da qui!

“Ma temo che dovrò usare lo stesso trattamento del tuo amico anche verso di te…non ti preoccupare…non sentirai nulla…”si avvicina lentamente verso Dentolina.

Eh no vualiuni! Chista rossa non sadda permettere!

“Ferma! Ho detto fermati!” mi è uscito dalla gola l’ira di Dio. Sono assai furioso. Ceci corre dietro di me. La rossa si volta verso di me. Non è arrabbiata.

“Ringrazia il tuo cavaliere per averti salvata. Ma tanto…non ho fretta di catturarti…” oh Santa Madonna…mò m’ammazza…

Eh…?

Non mi guarda nemmeno…

Punta gli occhi verso la prof.

Lei è terrorizzata.

Ma che…?!

Si mette in ginocchio?!

“No! Abbiate pietà! Vi scongiuro! Abbiate pietà!” Maronn’, la prof comincia pure a piangere. Mi fa uno strano effetto. La rossa alza un sopracciglio. Sembra che a lei piaccia vedere la prof così.

“Non capisco di cosa parliate” la rossa ride. Continua ad avvicinarsi alla prof. Faccio cenno a Ceci di allontanarsi e faccio qualche passo indietro.

“Prendete lei! Non prendete me! Io non c’entro nulla in questa storia!” Oh…Santa…schifosa serpe nera…me la pagherà cara! Sono più furioso di prima!!! Ma come si permette ‘sta vipera di vendere una fata?! Com’è possibile vendere una persona…?! Schifosa…serpe…

La rossa come il vino sembra sorpresa, ma non più di tanto. Ci lancia un veloce sguardo. I suoi occhi color ghiaccio si spostano da me verso Ceci.

“Non crederete davvero che potrete uscire dal mio regno in così tanti” eh no. Voglio sentì quello che dirà. Mò ‘a prof è proprio disperata.

“Prendi anche loro!!!” ma…che…come…cosa…CI HA VENDUTI?! Le do un ultima opportunità.

“Ma che dite prof?! Vuole venderci a lei?!” mi ignora. La rossa come il vino sembra soddisfatta del “contratto” che ha fatto. Schifosa…me la pagherai cara per questo…e anche per Fabi e i gemelli e Yoshi e tutti gli stranieri che hai mandato al diavolo!!!

La rossa come il vino indica l’uscita verso la fuga. La prof non se lo fa ripetere due volte. Si alza di scatto e, con le lacrime agli occhi, si catapulta verso la porta. Non ci guarda nemmeno. Io non guardo né Ceci né Dentolina…mi vergogno…mi vergogno…di avere LEI come prof…mi vergogno…non la voglio più vedere…che se ne vada a vendere qualche altra anima al diavolo…che sprofondi all’inferno…

“Solo un momento” la rossa come il vino lo dice prima che la prof apra la porta.

“Non ho mai detto che lei possa andare via. Ho bisogno di lei” ottimo…mai fare accordi col diavolo Giannì…lui, anzi lei, è molto più furba di quanto sembra. La prof si volta. Ha la morte in viso.

“Vede, in questo regno le cose funzionano così: chi in vita è stato particolarmente disubbidiente verso la giustizia viene premiato ad essere tra i migliori Fearling di tutto il regno. Credo che…lei sia particolarmente dotata ad avere questa posizione…” detto questo spalanca il pugno verso la prof.

…?

La prof…vola…

Oh…Santa…Vergine…Maria…

La prof è si e no a cinque metri d’altezza.

È disperata.

Ben le sta.

“Avevi…avevi detto che potevo tornare a casa…” le lacrime le escono a fiumi. E mò che farà ‘sta qua?

“Non ricordo di aver mai detto nulla del genere!” ride…ride…come una pazza…cosa vuole fare…?

Fa qualche passo verso le finestre. Il colosso di fuoco guarda lo spettacolo.

Muove velocemente il braccio verso le finestre…come se stesse lanciando una pallina.

Mi sembra di vederla al rallentatore…

La prof di conseguenza vola contro la finestra…

Dei frammenti di fuoco volano fuori e alcuni dentro…

Poi è tutto buio…

È tutto nero…

Sono finito chissà dove…

Forse è tutto un incubo…

Tra poco mi sveglierò…

Qualcosa si è rotto…

Fabi e io forse stavamo giocando a pallone e io o lei abbiamo rotto una finestra…

Forse dovremo andare via prima che qualcuno ci veda…

Sento sul viso delle manine molto gracili…

Le manine se ne vanno dai miei occhi…

Sono in una biblioteca…

Non era un incubo…

La rossa come il vino ci sorride…

“Beh, non vedo perché anche voi dobbiate restare qui” si volta…fa qualche passo…

“DIANA! GAIA! VENITE IMMEDIATAMENTE QUI!” simm’ morti…

Dentolina vola verso la finestra…non mi importa…

“Prendete le mie mani! ORA!” non mi interessa…la prof…non si meritava una cosa così…

“Gianni! Vieni!” lassa stà Ceci…tanto simm’ morti…Ceci c’ha le lacrime agli occhi…non voglio che muoia però…

“GIANNI!!!”…SONO SVEGLIO! Prendo la mano di Dentolina e così fa anche Ceci. Ci trascina verso la finestra. Maronn’!

“Dentolina!!!” Ceci urla. Mi sta sfondando i timpani. Apro gli occhi… ma…?!

“Maronn’ Santissima!!! Stiamo volando!” Maronn’ che bello! Guardo la fata. Non si sta divertendo…sta scendendo velocemente. Siamo troppo pesanti! Cadiamo a terra in un lampo. Sono caduto sulle ginocchia. Mi bruciano!

“Andiamo! Non c’è più tempo!” alzo lo sguardo…c’è del sangue per terra…c’è una donna cinque o sei metri da noi…l’ha vista anche Ceci…devo svegliarmi! Giannì! Movi chelle gambe! Alzo Ceci. Dentolina comincia a volare verso la strada. Trascino Ceci prendendola per le mani. Piange…non c’è tempo!

“Andiamo Ceci!” guarda ancora il cadavere. Povera piccerella…svoltiamo un vicolo. Il gigante di fuoco è davanti a noi. Non riesco a vedere bene la fata.

“Maledetti! E noi ci eravamo fidati di voi!”…mò so cavoli! Svoltiamo un altro vicolo. Il gigante non riesce più a vederci. Prendo la testa di Ceci e la metto al cuore. Se urla sono cavoli…

“Dove sei! Pensavo che potevamo sposarci e vivere insieme!” Maronn’. Gaia è praticamente di fronte a noi. Dentolina ci fa segno di seguirla. Continuiamo per il vicolo. Il gigante di fuoco non riesce ancora a vederci. Il vicolo è finito. Il gigante ora ci vede. Ci sono solo negozi. Le porte sono tutte sbarrate. Non possiamo nasconderci…! Ceci non ce la fa più a correre.

“Dove siete finiti?! La pagherete cara!” la voce è vicinissima…guardo Dentolina. Si guarda intorno spaesata. Siamo nell’occhio del gigante.

“Aspetta! Voglio vederti un ultima volta!” Dentolina ha puntato gli occhi verso qualcosa. Seguo il suo sguardo. Un tombino…erm…a questo punto…Gianni! Non fare lo schizzinoso! Dentolina si catapulta verso il tombino e anch’io. Lo prendiamo. Maronn’ Santissima! Credo che pesa il triplo di me!

“Sono vicini, lo sento!” avanti fatina! Possiamo farcela! Si è spostato…si! Ce la faremo! È aperto! Santa Maria! T’ho voluto assai bene!

“Non andare via!” oh…no…no… c’ha visti…simm’ rovinati…ci faranno la bara…Dentolina e Ceci non si sono accorte di niente. Cominciano a scendere. Gli occhi gialli del demone mi fissano…ti prego no…si volta e va verso il vicolo.

“Diana! Li ho visti per di qua!” forse posso ancora andarmene! Comincio a scendere per il tombino. C’è una scala attaccata. Prendo il tombino e cerco di muoverlo…è inutile…tanto c’hanno pigliati…

Non vengono…

Non sento più una mosca…

Non capisco…

Non importa.

Continuo a muovere il tombino.

Ce l’ho fatta!

Il gigante di fuoco non ci vede più.

 

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Capitolo 7
*** Yoshi-chan ***


Diavoli…!

“Lassù! È lassù! Sopra quell’albero!” dannazione…! Mi hanno trovata praticamente subito…! Ezio, spero che mi perdonerai…in verità dubito che questi lupi sappiano arrampicarsi sugli alberi. Se le cose si mettono male allora sono dei licantropi, e se sono dei licantropi allora sapranno anche arrampicarsi sugli alberi. Sono molto più grandi di un lupo normale…probabilmente saranno pericolosi come i cani di Penumbra…

Perfetto…sanno anche arrampicarsi sugli alberi…poco male, sono molto più lenti che a terra però. Non sarà difficile.

Salto sopra un ramo di un altro albero. Corro e imito le mosse di Connor Kenway. Non sta andando molto male dopotutto, non sono riusciti nemmeno a raggiungere l’altezza dell’altro albero su cui mi sono arrampicata.

Un altro ramo…terzo albero. Mi sto avvicinando sempre di più al suolo. Non va per niente bene. Mi volto un attimo. Ci sono una decina di occhi ambrati a quindici metri da me. Atterro sopra una roccia molto alta. Diavoli…devo trovare un altro albero…! Oppure…posso provare a circondarli come facevo con i pazienti di Outlast…

Rallento un attimo il passo, devo anche recuperare fiato. Meno male che mi ero allenata nelle corse con i gemelli…altrimenti…

Eccoli.

“Ferma, biondina!” addirittura biondina, eh…? Continuano a ridere. Animali…tra poco smetteranno di ridere.

“Non ce la fai più, principessina…? Guardatela la piccolina!” anche i licantropi ce l’hanno con la mia altezza…beh, sappiate che l’Armadio dice di peggio. Ho ancora molto fiato nei polmoni. Sarà facile, ma è meglio non sottovalutare il nemico, dopotutto sono in maggioranza numerica, hanno gia qualche bonus in più. Continuo a correre più lentamente.

“Lei è mia! Non ci provate!”

“Levati! La prendo prima io!” i miei piedi toccano terra. Cominciano a farmi male i piedi. Non dovevo mettere delle Convers rosse e bianche. Sento i piedi andare in fiamme. Anche i jeans blu super stretti non mi aiutano per niente…almeno la maglia nera e bianca a maniche corte non da problemi di mimetizzazione…ma la camicia aperta rossa e bianca rovina il tutto. Sono vicino ad un gigantesco tronco d’albero.

“Vieni da Fabrizio, piccola…vieni da me…!” ma guarda, che colpo di fortuna! Si sono ritrasformati in umani. Il tizio che mi ha parlato è molto alto, capelli scuri, baffetti ed è vestito da rocchettaro. Stessa storia per i suoi amici.

Sono a due metri da me. Hanno sempre quel tono e sguardo malizioso.

“Sei in trappola, biondina…” ha in mano un coltello. Ma per favore…guardo il coltello. Alzo un sopracciglio. Ho visto di peggio…ho visto DECISAMENTE di peggio. Alzo lo sguardo verso il rocchettaro. I suoi amici hanno formato dietro di lui un semicerchio. Patetico…

“Credimi, a Silent Hill ho visto di peggio…” non credo che il tizio abbia realmente capito cosa sia Silent Hill. Ride come il padre di Aya di Mad Father…mi tornano in mente brutti game over di quel videogioco…

È a pochi metri da me. Mi guarda dall’alto in basso, come quel dannato armadio di Farut. In verità non è la prima volta che qualcuno sia molto più alto di me.

“La principessina vuole fare la coraggiosa…vediamo se posso migliorare il tuo caratterino…” i suoi amici ridono peggio di prima. Non mi importa di loro.

Fabrizio alza il braccio. Esattamente come immaginavo.

Lancia il coltello verso di me.

La lama brilla alla luce dell’alba.

Mi sposto di pochi centimetri.

La lama si conficca di poco sulla corteggia dell’albero.

Ho gli occhi ancora fissi su di lui.

Ha gli occhi spalancati, lo stesso per i suoi amici.

Non batto una ciglia. Non mi voglio nemmeno voltare. Voglio imitare uno dei miei personaggi. Per una buona volta posso farlo nella realtà. Alzo la mano all’altezza della testa alla mia destra. Sento tra le mani l’impugnatura di pelle della lama. Con un gesto riesco a staccarlo. Lo alzo verso la luce. C’è del liquido rosso sopra…gocciala per terra.

“Potevi almeno pulirlo prima di usarlo su di un’altra persona, non credi? Immagino che sia stata una ragazza giusto…? Magari una simile a me, no…? Su, racconta” che bello offendere il proprio inseguitore…lo sognavo in ogni videogioco. Fabrizio mi guarda come se avesse davanti una strega. Finalmente si è ripreso. Sembra felice di quello che ho detto.

“Ma guarda un po’! È anche intelligente la piccolina! Quella di prima era proprio uguale a te lo sai…? Delle vere gemelle. Solo che era più alta ed era vestita in modo diverso. E non aveva nemmeno i tuoi capelli ondulati, era liscia. Ma era proprio tua sorella!” continua a ridere. Comincia a stufarmi questo psicopatico.

Mi metto in posizione per lanciare.

Allora…siamo a due metri di distanza…un tiro facile.

Bisogna prendere il coltello per la lama per questa distanza.

Lancio.

Vedo la lama del coltello conficcarsi nella gamba destra.

Urla come un indemoniato.

Cade sulle ginocchia.

Urla ancora.

Vedo a pochi centimetri da me una pigna. Ho un’idea. Posso imitare il capo di Saints Row.

Prendo la pigna. L’idiota è ancora in ginocchio con la testa abbassata.

Faccio due passi in avanti.

Gli do un pesante calcio al di sotto del mento con la punta delle scarpe.

Delle gocce di saliva volano all’indietro.

Si spalanca. Forse dev’essere saltato anche qualche dente. Sono molto appuntiti.

Mi rigiro la pigna tra le mani.

Gliela ficco in bocca. È sbigottito. Meglio dare il colpo di grazia.

Gli do un altro calcio, ma questa volta alla gola.

Cade all’indietro. Beh…sarebbe stato meglio se fosse stata una vera bomba…i suoi amici lo raggiungono. Non ho fretta. In verità ce l’ho, tra poco saranno arrabbiatissimi come delle bestie.

Raggiungo la roccia. Riesco a saltare sul ramo dell’albero. Ora sarà molto difficile la fuga. I rami sono molto più in alto di me, dovrò usare anche le braccia. Secondo albero. Il ramo è molto in alto. Salto e riesco a prenderlo per un pelo. Niente braccia molli…ce la faccio…! Meno male che peso solo quaranta chili…!

Si, eccoci…meglio non usare la stessa strada, potrebbero raggiungermi più in fretta e di questo passo ce la faranno. Meglio trovare dei rami bassi o della stessa altezza di questo ramo.

Sulla mia sinistra c’è un altro albero più basso. Lo percorro.

Guardo dietro di me. Questa volta sono solo in due e non sembrano aver voglia di scherzare questa volta. Sono anche più veloci di prima però.

Credo di aver esagerato…

Un altro albero. La corteccia mi taglia un po’ di pelle. Delle foglie cadono dai rami e mi finiscono tra i capelli. Non è il momento.

Un altro albero…

A quanto pare non ci sono solo questi pazzi in questa foresta…

C’è una casetta di legno.

A pochi passi vedo un fiume non molto largo. Si e no cinque metri, ma sembra piuttosto profondo. Mi volto di poco e vedo che i licantropi sono circa cinque metri da me.

Diavoli…! Devo muovermi! Sento il fiato ghiacciato dei licantropi sulle mie braccia…!

Sono a due metri da terra. Devo scendere ancora un po’.

Un lieve dolore alla gamba…mi ha azzannata…!

Inghiotto l’urlo.

Comincio a dimenarmi. Meno male che i jeans hanno dei rivoli verso le caviglie. Hanno parato di molto il morso. Non molla. Come vuole…

Mi guardo in giro. Intanto il suo amico è decisamente più indietro di noi. Devo muovermi prima che completi lui l’opera.

Riesco a spezzare un rametto sopra la mia testa.

Lo impugno come un pugnale.

Guardo i suoi occhi ambrati. Bene, signorino…vediamo se un ramo nell’occhio riuscirà a farti stare meglio…

Molla subito la presa. Comincia ad ugulare. Il suo amico è nell’albero affianco.

Scendo dall’albero. Corro verso la casetta. Sono molto vicina e sotto i miei piedi sento delle pietre lisce, un probabile sentiero. La porta si spalanca.

C’è un uomo molto alto e robusto.

Vedo la sagoma di un fucile.

Mi getto a terra.

Mi paro la testa.

“Fermo! Non sono un uomo lupo!”

Sento uno sparo…

Ti prego…ti prego…

Mi giro.

Il licantropo è a terra.

“Vattene da casa mia! Sparite uomini lupo!!!” si rialza. Spara un altro colpo. Era vicinissimo a lui. Zoppica. Prima di andarsene mi ha guardato in cagnesco. Li rivedrò presto. È poco ma sicuro. Vedo un ombra sopra di me. Alzo lo sguardo. È un uomo piuttosto anziano. Appena mi guarda in viso la sua espressione cambia. Prima era arrabbiato, quasi furioso. Ora sembra sul punto di piangere. Mi prende per i fianchi.

“…?” mi sta abbracciando…non capisco…

“MARIANNINA! PICCOLA MIA! SEI ARRIVATA FINALMENTE!” la sua voce mi taglia i timpani facendomi quasi diventare sorda. L’abbraccio è molto forte, tanto da farmi smettere di respirare per un po’. Sento la sua giacca marrone in stile scozzese appiccicata al mio viso. Mi cade il cappello dalla testa. L’uomo mi lascia e prende in mano il mio compagno. Ci soffia sopra un po’ e lo pulisce dai piccoli granelli di terra e dopo qualche secondo me lo restituisce con un gigantesco sorriso.

“…scusi…?” noto che ha uno strano aspetto, molto simile a quello dei licantropi. Ha una pelle bianco-grigia, occhi ambrati ma molto più lucenti di quelli che ho visto prima. Ha dei capelli castani con qualche accenno di grigio ed è vestito da contadino siciliano.

“Oh, non ti ricordi di me, certo, eri solo uno scricciolo di quattro anni quando mi hai visto l’ultima volta. Io sono tuo nonno, il caro e vecchio Gennarino! Ti ricordi che ti prendevo sempre in braccio? E ti leggevo le favole? E…e…oh! Non sai quanto ti ho aspettato!” detto questo mi abbraccia di nuovo, ma questa volta molto più forte di prima. Forse se li dico che non sono questa Mariannina mi caccerà via. Forse i licantropi saranno là fuori e sono certa che non saranno felici di vedermi. Gennarino mi lascia andare.

“Oddio…nonno…! Non mi ricordo, ma la mamma mi raccontava sempre di te! Nonno! Ma non dovevi aspettarmi…! Da quanto tempo aspetti?” mi è sfuggito di bocca. Ormai devo continuare a recitare, se devo entrare in quella casetta.

“Piccolina…saranno ormai ottant’anni! Sono felicissimo che tu sia qui! Entra, entra!” mi trascina, quasi letteralmente, verso l’ingresso della casetta. La porta si apre. Mi ritrovo in un soggiorno-cucina. Mi ricorda molto una di quelle casette della vecchia Italia. Non riesco a vedere molto, sono più concentrata verso Gennarino che intanto si è seduto su una gigantesca poltrona. Mi fa cenno di sedermi. Prendo posto su un’altra poltrona. Mi sorride felicissimo.

“Quando sei arrivata? C’è qualcuno con te? Ti piace la foresta?” mi tempesta di domande che non riesco a rispondere per via della sua lingua veloce. Mi sto preoccupando. Devo fare in modo che non chieda della vita di Mariannina. Forse devo fare io qualche domanda.

“Un secondo nonno! Voglio sapere prima io cosa succede qui. Dove siamo?” Sembra essersi svegliato da un bel sogno.

“MA CERTO! Scusa piccola…in questo momento ci troviamo nell’altra vita. Siamo nel Regno dell’Incubo, più precisamente nella Foresta Nera…lo so…non è molto bello da sapere…è stata dura anche per me…” sono perplessa. Sta dicendo che io e i ragazzi siamo morti…mmm…non credo che sia possibile. Forse è meglio assicurarsi prima di strapparmi i capelli dalla rabbia. Cosa possa chiederli…

“Non credo che noi siamo morti. Ho notato che “voi” avete degli insoliti occhi ambrati e la pelle grigiastra. Per caso non c’entra nulla in tutto ciò…?” alza la testa di scatto. È sbalordito. Mi guarda come se mi fossi trasformata in un elfo. Passano dieci silenziosi secondi.

“MIRACOLO!” alza le mani al cielo come per invocare qualcuno dal cielo. Spalanco gli occhi dalla velocità con cui si alza dalla poltrona.

“MIA NIPOTE È ANCORA VIVA!” lo immaginavo. Anche gli altri, spero, stiano bene. Prima però devo concentrarmi su Gennarino.

“Nonno, non so come sono finita qui, ma ho degli amici qui che si sono persi insieme a me e non so dove siamo finiti e sono molto preoccupata…” faccio falsa una faccia preoccupata, credo che abbia capito la situazione. Si alza di scatto.

“Vado subito! Mariannina, tu resta qui. È meglio che tu non esca fuori, quei ragazzacci non si avvicineranno a casa mia” prende in fretta il fucile e esce fuori correndo. Io corro verso la finestra. Si volta e mi saluta. Faccio lo stesso sorridendo. Lo vedo allontanarsi dietro gli alberi. È andato. Devo cercare informazioni su questa Mariannina per prima cosa. Ci vorrà un po’ di tempo…

 

 

 

 

 

 

 

 

Saranno una ventina di minuti che giro in questa casa. Non ho trovato niente che possa collegarsi a Gennarino o alla sua famiglia. Sono decisamente nei guai. A questo punto, se continuerò a non trovare niente, dovrò assecondarlo cercando di non fargli chiedere qualcosa di pericoloso. Sono in questa specie di biblioteca.

Questo libro è strano.

Ha la copertina color ghiaccio, le pagine sono…sono delle pergamene. Tante pergamene legate insieme da dei fili di vari colori. Apro le prime pagine…parlano di una certa Macula Sanguinea. Comincio a leggere.

mmm…

…?

…?!

...!

…!!!

…interessante…il demonio in persona è qui…ed è una lei addirittura…interessante…molto interessante…

C’è una cartina in questo libro. Credo sia di tutto il territorio. Quindi questo regno è circondato interamente dalla Foresta Nera, dopodichè al centro si trova una specie di cittadina. Non ci sono laghi ma c’è solo un lunghissimo fiume che taglia tutta la cartina e passa in mezzo alla cittadina. Credo sia il fiume che si trova di fronte casa. Quel puntino rosso dev’essere la casetta.

È decisamente molto lontana dal paese…all’estremo est della cartina…calcolando le distanze, credo che ci vorrà un intero giorno o anche di più per arrivare lì. Probabilmente anche i ragazzi sono laggiù, l’Armadio incluso. Nuovo obbiettivo: arrivare al paese il prima possibile.

BANG!!!

Uno sparo in lontananza. Gennarino.

Come posso andare al paese senza incontrare i licantropi…? Potrei navigare il fiume…forse con una barchetta o qualcosa di simile. Probabilmente i licantropi non possono nuotare. Devo trovare una barchetta. Forse qua dentro c’è qualcosa. Poi devo controllare.

BANG!!!

Lo sparo era molto vicino questa volta. Credo che lui sia di ritorno. Rimetto il libro a posto e vado alla finestra. Gennarino è di ritorno. C’è qualcuno con lui…non riesco a vederlo un faccia…ha dei jeans neri, scarpe verdi e nere fosforescenti, una felpa senza cappuccio verde elettrico e sopra un gilet nero aperto.

Apro la porta. Gennarino ha sempre il suo sorriso. Porta il ragazzo dentro. Lo vedo per una frazione di secondo. Yoshi. Mi guarda. Sembra non crederci. Sorride. Lo guardo severa e gli faccio segno di fare silenzio.

“Allora, è uno dei tuoi amici? Non sembra morto, così l’ho portato con me. È lui?” gli sorrido.

“Si è lui! Nonno, lui si chiama Yoshiki. Yoshi, lui è mio nonno” non sembra aver capito cosa stia succedendo. Gli faccio un veloce occhiolino. Gennarino, per fortuna, non lo nota.

“Vado a cercarne gli altri. Non uscite di casa!” prende di nuovo il fucile e se ne va di nuovo. Siamo solo io e Yoshi. Appena Gennarino se ne va il mio sorriso sparisce. Per qualche secondo ci guardiamo negli occhi.

“Non sapevo che ti chiamassi Mariannina” mi fa un sorriso divertito, non ho voglia di ridere. Almeno ora siamo in due, così possiamo compiere l’obbiettivo facilmente. Lo guardo severamente.

“Yoshi, dobbiamo parlare” il suo sorriso scompare in fretta. Sospiro. Non avrei dovuto essere così severa. Lo conduco nella biblioteca. Li faccio vedere il libro. Non sembra capire. Gli mostro le pagine più interessanti.

“Ci crederesti che Farut ci ha portato veramente nel Regno dell’Incubo…?” mi guarda confuso. Comincia a leggere.

 

 

 

 

 

 

 

“Hai ragione Fabi, possiamo trovare gli altri andando verso il paese!” la cosa sorprendente è che ha preso tutta la faccenda molto alla leggera. Forse per via della religione…lasciamo stare.

“Comunque, dobbiamo trovare una barchetta o qualcosa di simile per viaggiare sul fiume…ti ho detto che ci sono degli uomini lupo qui nella foresta che hanno cattive intenzioni?” Yoshi annuisce.

“Li abbiamo visti io e il vecchio. Mi volevano uccidere e lui è riuscito a salvarmi in tempo. Però una cosa Fabi, perché ti chiama Mariannina? È tuo nonno?” non ci credo…non l’ha ancora capito…fa un po’ ridere la situazione.

“Non so chi sia questa Mariannina, ho solo preso l’occasione al volo per diventarlo, sai per entrare nella casetta…” sembra aver capito tutto. Ha sempre il suo sorriso, è sempre stato un tipo molto allegro. Vorrei essere felice come lui.

“Fabi, secondo te quando possiamo andare al paese?” bella domanda.

“Più in là vedremo…forse la notte…ma non è questo il vero problema. Andiamo a vedere se c’è qualcosa per navigare il fiume. Allora, tu resta qui, io vado fuori” mi guarda come se gli avessi detto che voglio tagliarmi le vene.

“Ma…fuori ci sono i lupi! E il vecchio ci ha de…”

“Yoshi, ho controllato ogni centimetro quadrato di questo posto, e poi se dovessi nascondere una barchetta la metterei fuori” Yoshi non sembra convinto. Mi guarda intensamente negli occhi. i suoi occhi si incrocino con i miei. Comincio a sentirmi…ho una strana sensazione. Parte dal cuore…credo che lui non voglia farmi uscire. I suoi occhi scuri mi guardano supplichevoli. Ho già capito il messaggio. Lo guardo severamente. Mi dispiace, devo andare. Capisce subito il messaggio. Si rattristisce. Mi pento anche di aver fatto questo. Dovrei essere più gentile.

“Puoi fare il palo se vuoi. Tu resti alla finestra e mi avvisi se vedi qualche lupo e io correrò subito dentro casa” fa un mezzo sorriso. I suoi occhi brillano della luce del sole. Il sole cambia colore ai suoi occhi. sono diventati di un arancione brillante con delle chiare sfumature di giallo. Ho ancora quella sensazione…me la scaccio via con una scrollata di spalle. Lui si volta e comincia a frugare dentro un cassetto.

“Non mi fido però…forse c’è qualche arma qui. Sai usare un fucile?” si gira verso di me. Ha in mano un altro fucile, uguale a quello di Gennarino. Nell’altra mano ha dei proiettili. Guardando dietro di lui vedo un intero cassetto pieno di cartucce.

“Beh…l’ho fatto in un videogioco…può valere…?” si mette a ridere. La sua risata è cristallina, molto leggera che sembra che il vento se la possa portare via. Prendo in mano il fucile e dopo qualche secondo trovo il luogo dove mettere i proiettili. Metto dentro una cartuccia da sei colpi.

“Forse devi fare qualche tiro di prova prima” ha ragione, questo non è un videogioco dopotutto. Yoshi va alla finestra, la apre e mi indica un albero.

“Prova a prendere quell’albero laggiù” mi avvicino alla finestra. Mi vengono in mente i soldati americani nei giochi sparatutto, forse posso imitarli. Mi metto in posizione facendo finta che la finestra e il muro siano un fortino. Prendo la mira e…

BANG!!!

Il fucile mi sfugge dalle mani. Il suono era troppo acuto. Mi sembrava di sentire il rombo dentro le mani. Yoshi fa qualche passo indietro. Il fucile si trova sul pavimento della cucina. Voglio riprovarci. Dopo qualche tentativo, e tre cartucce dopo, riesco a prenderci la mano, non sento quasi più il rombo e il suono acuto. Anche Yoshi sembra più sicuro adesso. L’albero ha perso gran parte di corteccia. Ho una buona mira anche nella realtà dopotutto.

“Credo che possa andare” mi avvio verso la porta.

“Fabi, guarda!” vado a vedere. Yoshi indica un lungo pezzo di legno che galleggia sul letto del fiume. Corro fuori. Sento la terra sotto le scarpe.

Una canoa.

La prendo appena in tempo.

Viaggiava veloce e spedita meglio di un’anatra. È di legno bianco ed è lunga circa tre metri. Una meraviglia di canoa.

Riesco a portarla a riva. È molto più pesante di quello che sembra…e se…ci fosse qualcosa…o qualcuno…

Appena raggiungo la riva do una veloce sbirciata all’interno. Si, c’è qualcuno. Ho visto della pelle grigio-bianca di una mano. Meglio essere veloci. Prendo, senza far rumore, il fucile. Prendo qualche lento respiro d’aria. È il momento giusto. Salto dentro la canoa e punto il fucile verso…

“Fabi, che succede?!” sono rimasta con gli occhi fissi sulla ragazza morta per un bel po’ di tempo. È la prima volta che vedo qualcuno di morto…voglio dire uno vero…forse non è morta…spingo sotto al suo mento la canna del fucile. Non si muove. Riprovo di nuovo. Niente. Non si muove…ha gli occhi spalancati. Mi somiglia…ha i capelli biondo-scuri, gli occhi verdi ma più lucenti dei miei e senza un ombra di marroncino o macchie azzurre, dev’essere più alta di me…la sua espressione mi fa voltare lo sguardo…purissimo terrore. Le iridi spalancate sembrano guardare il suo assassino ormai scomparso. La bocca è semi-aperta con dei rivoli di saliva che le colano fin da sotto il mento.

Ora mi accorgo che ha un coltello conficcato nel petto. Il manico è in pelle e dalle dimensioni credo che la lama abbia trafitto un polmone o addirittura il cuore. Forse dovrei toccarla…il coltello...insomma…può essere utile…

Mi trema un po’ la mano, non per paura, ma per dispiacere. Spero che l’anima di questa ragazza non vorrà uccidermi per averle tolto l’arma del suo assassino. Riesco a toccare il manico…spero che non finisca che la ragazza si risvegli con un pensiero omicida. Prendo il manico. Una sferzata veloce e poi basta. Apro gli occhi, spero di non trovarmi di fronte ad una “lei” arrabbiatissima.

Niente. Si è solo spostata leggermente per via dello strattone che le ho dato. Nel punto dove ho estratto il coltello comincia ad uscire delle cascate di sangue nero carico di ossigeno. Credo che l’abbiano uccisa di recente. Il sangue, anche quello esterno, è ancora fresco. Non riesco a guardarla in faccia. È troppo. In verità non capisco di cosa dovrei disgustarmi. Ho visto cadaveri del genere miliardi e miliardi di volte, in ogni partita. Eppure…mi sembra quasi che sia io il suo assassino.

Mi sento quasi colpevole di qualcosa.

Non dovevo sottovalutare tutta questa faccenda.

“Fabi, che cos’è…?” questa volta la voce di Yoshi diventa un sussurro curioso. Non deve vederla. Rimarrà traumatizzato a vita. Non voglio che diventi come me.

Mi volto verso di lui.

“…voltati…” non sembra che abbia capito.

“…perché…?” mi guarda con la testa leggermente china verso sinistra e i suoi occhi a mandorla esprimono curiosità da tutti i pori.

“…è meglio non guardare…fidati…” lo guardo negli occhi. La luce dell’alba, ormai quasi in alto in cielo, accende i suoi occhi. Mi ricordano il fuoco di un caminetto. Mi guardano insistenti, vogliono sapere cosa c’è dentro questo pezzo di legno bianco.

“…fidati…” non credo che dirà di si. Nessuno in otto anni ha mai detto di si a me, a parte Leo e Gianni. Vorrà vedere questa cosa disgustosa, senza contare che io l’avevo avvertito. Lo guardo negli occhi, sembra che mi sorridano. Anche la bocca piano piano comincia a sorridermi.

“…si, Fabi-chan…” si volta e ritorna dentro casa. È il giapponese più strano che io abbia mai incontrato. Sarà perché noi due viviamo in mondi diversi…non importa.

Guardo la ragazza. I suoi occhi fissano il cielo spalancati dal terrore. La dovrò portare in spalla. Mi tolgo la camicia e il fucile e li butto nella canoa. Non so proprio come portarla e soprattutto DOVE portarla. Potrei trasportarla sopra le spalle. Sarà qualcosa di disgustoso…

La prendo per i fianchi. Il corpo è congelato. Sento la pelle morta tra le mie mani. Mi sta salendo qualcosa per la gola, sento che tra poco tutte le patatine e la coca cola se ne usciranno dalla mia bocca come cascate. È troppo pesante per me, ho le braccia troppo deboli, le vedo tremare davanti ai miei occhi, non credo che ce la farò a portarla via. La sollevo di poco e la poggio per terra. Alzo gli occhi da dietro le spalle per controllare se Yoshi sta guardando. Non c’è per fortuna.

Guardo verso il retro della casa. Se la nascondo là dietro sia Yoshi che Gennarino non vedranno nulla. La alzo leggermente per i piedi e comincio a trascinarla.

Sento il corpo dietro di me che trascina la terra e le foglie secche. Nella mia bocca sento il sapore delle patatine mischiate con un accenno di nacios e ketchup nel tubo dello stomaco. Sono arrivata dietro la casa, c’è una specie di capanno coperto da un velo bianco. La pioggia l’ha quasi distrutto del tutto. L’importante è solo che la copra.

Trascino la ragazza sotto la coperta. Le copro le gambe, i piedi e il viso. Non riesco a guardarla in faccia. Non ce la faccio. Ho finito, corro verso un albero a pochi metri da me e vomito via tutto lo schifo che ho mangiato poche ore fa. Tossisco i residui di patatine, ho tolto tutto lo schifo dal mio stomaco, ma non tutto dalla mia mente. Ho ancora lo sguardo di quella ragazza in testa. Mi sembra quasi di vedere al posto dei suoi capelli i riccioli di Leo e di Ceci. Mi sale un altro conato.

 

 

 

 

 

 

 

 

Gennarino ci ha messo a dormire nella stessa camera. Yoshi si è addormentato da circa un’ora.

Non riesco a togliermela dalla testa. Mi giro e rigiro nel letto. Devo dimenticarmela. Ma non ci riesco. I suoi smeraldi fissi verso il cielo occupano tutta la mia testa. Non riesco a pensare che questa sia la realtà. Sento il coltello sotto al mio cuscino, non riesco nemmeno a dimenticarmi di quella lama ma allo stesso tempo non riesco a buttarlo via. Mi servirà in futuro, un arma da scontro ravvicinato serve sempre. Devo fare qualcosa per dimenticare o togliermelo dalla testa. Alzo il busto, mi viene in mente qualcosa…

 

How can you see me into my eyes

Like open doors

Leading you down into my core

Where I’ve become so nubs

Without a soul

My spirit’s sleeping somewhere cold

Until you find it there and lead it back home….

 

Frozen inside without your touch,

Without your love, darling

Only you are the life among the dead….

 

Bring…me…to…life…

 

 

Un lieve applauso. Volto gli occhi. Yoshi.

“…mi piace come canti…!” mi sorride. Anche all’oscurità lo noto.

“…perché ti sei svegliato…?”

“…non te ne sei accorta, ma hai alzato la voce quando sei arrivata a metà del pezzo…” accidenti…mi dispiace…

“…non riesci a dormire…?”

“…si…” non riesco a negarlo. Ma in realtà non vedo perché dovrei, sarà il mio compagno di avventura, quindi dovrà capire cosa passa per il mio cervello leggermente malato.

Si alza dal letto e raggiunge la finestra. Mi sorride ancora. Mi fa cenno di seguirlo. Credo che voglia chiacchierare…non ho mai molto da dire con le altre persone…lo raggiungo e mi siedo per terra come lui. Il suo sorriso scompare all’improvviso.

“Perché ti senti così?” come…?

“Così in che senso…?” i suoi occhi sono fissi sui miei. Mi sembra di avere diecimila occhi su di me.

“Non sei felice, vero…? Perché…?” io…mi sembra che una grossa verità mi sia stata gettata in faccia.

“Non capisco di cosa stai parlando…sono felice…” non credo di aver detto una cosa vera. Devo essere per forza felice, insomma, ho un padre, un fratello, un cugino e degli zii che mi vogliono bene, cosa posso volere di più? Eppure…mi sembra che Yoshi mi abbia detto qualcosa di effettivamente vero. Ora che ci penso, in effetti, dopo essere fuggita dal collegio mi sono sempre sentita…vuota…

Non voglio però che qualcuno lo noti. Sarebbe orribile se Gianni o Leo se ne accorgessero, e adesso mi ritrovo davanti ad una delle persone che, in teoria, non avrebbero dovuto saperlo. Spero che capirà il perché io non voglia dirgli tutta la verità.

“Sai, quando sarò grande e avrò un po’ di soldi per me, vorrei fare qualcosa per i miei occhi” cambiò subito l’argomento. Credo che l’abbia fatto apposta. Comincia a toccare le “rughe” dell’occhio destro.

“Vedi, non mi sono mai piaciute queste. Vorrei, insomma, togliermele. Così posso essere un po’ simile a voi e anche perché non mi sono mai piaciute per la verità…” e così continua a parlare del perché anche tutti gli altri suoi compatrioti odino avere gli occhi a mandorla e sul perché loro hanno gli occhi con le “rughe” e noi invece “spalancati”. Ritorna subito il suo sorriso.

Mi sembra di avere un bambino piccolo davanti a me. Mi sembra di avere un piccolo Leo di fronte a me. Il vuoto dentro di me sembra essersi un po’ riempito. Ho sempre creduto che la mia sensazione di vuoto fosse una gigantesca macchia bianca che per riempirla servono tantissimi pennelli di tantissimi colori. Yoshi mi sembra che sia il colore arancione, come le fiammelle nei suoi occhi. E lui sta riuscendo a “cancellare” piano piano il colore bianco. Comincia a piacermi questa chiacchierata anche se effettivamente io sto soltanto ascoltando.

“Tu vorresti cambiare qualcosa di te?” ad un certo punto arriva a questo punto della chiacchierata. Ci penso un po’.

“Non mi viene niente. Voglio dire, nonostante io sia bassa, con dei capelli di due colori diversi, naturali ovviamente, e con la pelle bianca pallida non vorrei cambiare niente di me. Forse…gli occhi. Se andassimo indietro nel tempo di…otto o nove anni circa, vedresti che avevano un colore più verde che marroncino” non sembra essere d'accordo con me.

“Sarà come dici, ma a me piacciono” lo aveva detto in uno strano tono di voce. Qualcosa di molto dolce…ma non mi sembra che a io interessi a Yoshi. Lui non è un rubacuori come Al, o almeno così mi sembra. Ci guardiamo ancora negli occhi. Io non sono d'accordo che lui debba togliere le “rughe” dai suoi occhi. Non riuscirei proprio ad immaginarmelo con degli occhi diversi.

“Anch’io non riesco ad immaginarmi con degli occhi diversi, ma di sicuro sarebbero migliori di questi” sembra che mi abbia letto nel pensiero. Non mi sarei aspettata. Mi viene in mente qualcosa da chiedere.

“Una cosa però. Di pomeriggio mi avevi chiamata Fabi-chan, cosa vuol dire “chan”?” sembra felice che io gli abbia chiesto questo.

“In Giappone usiamo, oltre al nome e cognome certo, delle…aggiunte. Ad esempio “sama” come Tanaka-sama, non si usa tra gli amici ma nelle situazioni più formali. “Kun” si usa per le persone, ma solo per i maschi, più piccoli di te. “San” si usa molto spesso e in ogni occasione, a parte nelle riunioni formali. Invece “chan”…per persone o amici che noi chiamiamo…”migliori”amici” non vedo alcun tipo di imbarazzo nella sua voce. Io allora sarei una dei “migliori” amici di Yoshi. Non me lo aspettavo. Decisamente non me lo aspettavo. La macchia bianca sembra che si stia decorando di moltissime sfumature di arancione. Mi sembra anche piuttosto assurdo, ci conosciamo da poco più di due settimane, non ha senso fidarsi di una persona così in fretta. Non credo che abbia detto seriamente.

“Come mi vorresti chiamare Fabi?” mi guarda speranzoso. Per me lui è un amico come i gemelli, come Mino, come Ceci…no…forse Ceci no…non lego velocemente con delle persone che conosco da poco, mi sono fidata di troppe persone troppo in fretta e non mi hanno fatto altro che male, quindi perché dovrebbe cambiare con lui? Ma questo non posso dirglielo, non vorrei offenderlo. Ma devo sempre dire qualcosa.

Continua a sorridermi. Ad un certo punto mi prende per le mani. Non capisco cosa voglia fare. Mi accorgo che le sue sono più grandi delle mie e con qualche accenno di giallo. Mi sento un po’ perplessa. Alzo lo sguardo verso di lui, voglio avere delle spiegazioni. I suoi occhi sono ancora lucidi, sorridono verso di me due fiammelle arancioni. Mi sento ancora di più perplessa…non sembra che voglia fare qualcosa di insolito o sbagliato, mi ha semplicemente preso per le mani, non è niente di strano. Eppure sento che c’è qualcosa che non va in tutto questo, forse sto facendo qualcosa di sbagliato…o forse è lui che sta facendo qualcosa di sbagliato. Ci rifletto su un po’…non accade niente…e non capisco la mia sensazione di disagio…

Sento un rumore di finestre rotte. Qualcuno ha distrutto una finestra del soggiorno. Resto in allerta e senza fare rumore comincio ad indossare la maglia e la camicia, stavo già dormendo con i pantaloni. Prendo il coltello da sotto il cuscino e lo impugno nella mano destra. Mi avvicino furtivamente alla porta. Sento dei lievi passi e anche qualche veloce respiro.

Credo che sia Fabrizio. Mi avvicino alla porta, prendo il manico con la sinistra. Non so se ce la farò a cavarmela senza alcun graffio questa volta. Sento molti rumori di zampe di animale da dietro la porta. Guardo la lama del coltello, sarà di una ventina di centimetri circa. Ruoto leggermente il manico della porta.

“MA CHE STA SUCCEDENDO?!” Gennarino si è svegliato. Sarà il bersaglio principale purtroppo.

Sento un ululato non molto lontano da me. Non voglio che Gennarino, forse l’unica persona gentile di questo regno, vada via così. Ha aspettato per troppo tempo sua nipote, non è giusto che questa volta sia lui ad andarsene. Forse i morti possono morire di nuovo. Per la prima volta mi sento una truffatrice. Mi sono spacciata per sua nipote, in questo momento defunta, sono entrata in casa sua, ho girovagato tra le sue cose, ho rubato anche un libro e ho continuato a fingere avendo paura che mi avrebbe cacciato fuori in una foresta pericolosa. Anche se credo che Gennarino mi avrebbe fatto entrare lo stesso, nonostante io in verità non sono Mariannina.

Spalanco la porta. Mi ritrovo davanti ad una scena da videogioco horror. Gennarino per terra e con in mano un fucile in una ricerca disperata di una cartuccia funzionante, dall’altra parte del corridoio due licantropi che, appena spalanco la porta, mi vedono e cercano di prendermi.

Chiudo subito la porta. Devo trovare qualcosa per sbarrarla. Mi giro attorno. A parte i due letti non c’è nient’altro. Sento che graffiano la porta e ci sbattono contro diverse volte. Non reggerò a lungo…

Dei graffi tagliano il legno anche dalla mai parte. Non dovevo imitare i miei personaggi…non dovevo sottovalutarli in questo modo…non dovevo mettere in pericolo altre persone…

Yoshi mi raggiunge e cerca insieme a me di bloccare i licantropi. Anche in due non credo che ce la faremo. Questa volta tagliano un pezzo di porta verso la destra della mia testa. In una frazione di secondo vedo due paia di occhi ambrati che mi fissano in cagnesco. Sento il loro alito pieno di sangue e carne umana nelle loro fauci, mi rendo conto che avrei dovuto aspettarmi una reazione del genere da parte loro.

BANG!!!

Lo sparo era molto vicino a Yoshi questa volta. Gli occhi ambrati spariscono dall’apertura nella porta. Non credo che io possa farcela. Cadiamo entrambi all’indietro. La porta si spalanca. Vedo l’occhio ambrato del lupo fisso su di me. L’altro occhio è chiuso, come se non ce l’avesse nemmeno. Vedo una lunga lingua leccarsi le fauci color luna. Non so come difendermi. Il lupo salta su di me. Chiudo gli occhi.

…gli riapro…Yoshi…perché…? Il lupo continua ad azzannargli la spalla. Vedo una pozza di sangue formarsi ai loro piedi. Il suo viso è ricoperto di sangue. Mi sale una rabbia incontrollabile. Prendo il coltello che mi è caduto poco più in là. Mi alzo. Mi butto sul lupo.

Lo stendo per terra con la pancia in su. Gli stringo forte la gola. Non doveva osare farlo. Yoshi si è parato e ha preso i suoi denti al mio posto. Non lo dimenticherò mai. Il lupo comincia a graffiarmi le braccia, ma non sento quasi niente anche se vedo che i tagli non sono poi delle sciocchezze. Alzo il coltello. La rabbia continua a salirmi fin sopra al cervello. La macchia comincia a ritornare bianca, non voglio che ritorni come era prima.

Pugnalo il lupo nel suo secondo occhio. Continuo a pugnalarlo. Continuo. Ma la rabbia non sembra volersene andare. L’iride velocemente sembra che sparisca e al suo posto si forma una specie di zuppa rossa e con dei residui bianchi che fuoriescono un po’. La rabbia si frena quando sento che il lupo non si agita più.

Mi alzo. Lo guardo…si…è andato…

“Aaa…aa…” Yoshi! Lo raggiungo. Non vedo più la pelle del suo viso, c’è solo un ammasso di liquido rosso e nero che lo ricopre. Non riesco a guardarlo negli occhi, credo che stia per piangere.

“Yoshi…! Resisti! Non andartene! Io…ecco…cerco qualcosa che possa fermare il sangue…! Qui…dev’esserci qualcosa…ecco…” non è vero. Non c’è niente che possa aiutarlo. Sto mentendo anche a me stessa. Sento la sua mano prendere la mia. Anch’essa è ricoperta di sangue. Vedo nei suoi occhi molta sofferenza, non credo di riuscire a reggere a questo sguardo…

“Devi…andare…” quasi non mi accorgo che alle mie spalle ci sono gli spari di Gennarino e dei licantropi che cercano di sbranarlo. Credo che Yoshi dica sul serio.

“Prima ti curo, poi andiamo via insieme” sono completamente spaesata. Non doveva finire così. Doveva succedere che ce ne andavamo insieme al paese con la canoa e poi trovare gli altri. La verità è che mi sono sopravvalutata. Non sono uno dei miei personaggi, non sono una reporter amante dell’orrore, non sono un’esploratrice, non sono un soldato armato di M16, sono una quattordicenne senza abilità pratiche. E per tutta la giornata non me ne ero resa conto.

“Me la…caverò…tu devi andare…subito…”

“Non lascio un compagno a terra, mai” mi sorride. Non vedo più l’arancione nei suoi occhi, sono neri. Ciò che effettivamente erano fin dall’inizio, eppure io per un breve periodo avrei giurato di vedere due fiaccole in quelle iridi.

Chiude gli occhi. No…non andare via…Ha ancora il suo sorriso. Non ha smesso di sorridere nemmeno di fronte alla morte.

“Yoshi…svegliati…” mi tremano le mani. Lo scuoto di poco. Non apre gli occhi. Dietro di me sento finalmente la vera guerra che stava accadendo da tutto quel tempo…non mi importa di loro, devo andare via.

Prendo il coltello sporco di sangue. Posso uscire dalla finestra. Apro la finestra e guardo fuori. C’è il capanno semi-distrutto dove ho nascosto Mariannina. Ma prima...

Mi avvicino a Yoshi. Sembra che stia dormendo. Tra poco dormirà per sempre…mi chino su di lui. Mi dispiace di avergli fatto questo. È tutta colpa mia…non accadrà di nuovo…devo cercare Leo, Gianni e gli altri. Gli do un bacio sulla fronte. Sento il suo sangue sulle mie labbra, ma non lo assaggio.

“Addio…Yoshi-chan…” mi sfilo il cappello…spero che nell’altra vita con questo si ricorderà di me…corro verso la finestra e raggiungo l’altro lato del capanno…aspetta.

Guardo il corpo semi-nascosto sotto il lenzuolo bianco. Gennarino deve scoprire la verità, anche se dolorosa e con grande ritardo…sono ufficialmente un mostro…prendo ancora per le gambe Mariannina e la metto dentro casa, in bella vista. Bene, posso andare.

Prendo la canoa e il remo e comincio a navigare per il fiume.

 

 

 

 

 

 

Non sono riuscita a dormire per tutto questo tempo. Sento tutta la stanchezza dentro di me. Mi rendo conto che effettivamente non ho dormito per due notti. Tra poco sarà l’alba, ho anche fame. Vorrei mettere qualcosa sotto i denti. Sono sdraiata dentro la canoa da quando persi di vista la casetta e ora sono sola in balia della corrente.

Non mi sento al sicuro. Sento come se migliaia di occhi volessero uccidermi a prima vista. Non oso nemmeno alzare il busto, se lo farò qualcuno di poco simpatico mi vedrà di sicuro. Appena arriverò troverò un bel posto dove dormire e…puff! Addio stanchezza. Non riesco nemmeno a dimenticarmi di Yoshi. Mi sento un assassina, anzi lo sono. L’ho lascito morire…sono stata una codarda…l’ho abbandonato quando doveva aver bisogno di cure…

La canoa si ferma all’improvviso.

“…?”

Alzo il busto…ah…mi sono impigliata in qualche pianta acquatica…

Scendo…non sarà facile…ci sono delle specie di alghe verdi scure che hanno bloccato la parte anteriore della canoa.

Comincio a spingerla via. Tra poco si libera…ecco fatto…sto per ritornare a sdraiarmici dentro…

“…!” qualcuno mi blocca le braccia. È molto forte. Provo a liberarmi, la canoa comincia ad allontanarsi.

“…credevi che non ce l’avrei fatta a riprenderti, principessina…? Non credo di avertelo mai detto, ma sono un uomo molto paziente e quando desidero qualcosa mano a mano la otterrò…” Fabrizio…maledetto…la canoa è ormai andata, alle prese con le correnti più forti.

Sento qualcosa di strano tra i capelli. Una specie di venticello tra le mie onde bionde scure. Mi annusa i capelli…e sento il suo naso percorrermi la testa fino all’orecchio destro.

“…ma che cosa stai facendo…?!” la sua mano percorre il mio collo.

“Immaginavo un coltello conficcato in questa bellissima pelle bianca…” do un veloce strattone e riesco a liberarmi dalla sua presa.

“So bene che cosa immaginavi, uomo lupo…” per colpa sua Yoshi non è con me…la pagherà cara per aver ucciso il mio amico…

“Non mi aspettavo che una piccoletta come te potesse fare una cosa del genere a me e ai miei amici…” indica la sua gamba, ora noto che ha una fasciatura. Mi sta salendo ancora quella rabbia, ma si calma subito. Sono in trappola, me ne rendo conto. Do una veloce sbirciata agli alberi. Sono molto diversi a quelli di prima, sono molto più alti e non credo che riusciranno a reggere i miei quaranta chili.

“…e immagino che capirai che non ti lascerò andare…” lo guardo con odio…quanto vorrei avere con me il fucile di Gennarino…avrei voluto portarmelo con me.

“Senti, facciamo un gioco, ma si, a nascondino. Io chiuderò gli occhi e conterò fino a venti, e poi vedremo chi di noi due si divertirà di più…” fa un sorriso degno di un lupo. Ho sempre il coltello con me, potrei usarlo…no, non mi sono esercitata a sufficienza. Per il momento devo trovare un luogo dove nascondermi da lui.

Si gira e va verso un albero…

“Uno…due…” guardo il fiume. I lupi sono come i cani, seguono le tracce con il loro fiuto, quindi se perdo il mio odore e vado dall’altra parte ci sono poche probabilità che lui mi prenda.

Corro verso il fiume, la corrente non è molto forte e riesco a raggiungere l’altra sponda.

“Sei…sette…” non lo sento più. Non so dove andare, non so più cosa fare. Vorrei che gli alberi fossero più bassi e robusti, avrei potuto vedere se ero vicina ad un’altra casetta. Continuo a correre dritto. Forse avrei dovuto nuotare nel fiume e cercare di riprendere la canoa e provare a raggiungere la città senza farmi vedere da lui. In effetti sarebbe stato molto più facile.

Non so più dove sono. Gli alti alberi sembrano che vogliano raggiungere il cielo. Sono neri di molte forme diverse. Non devo aver paura…devo farmi un patto: mai più paura, mai più debolezza, solo e soltanto coraggio e anche una buona dose di logica, saggezza e prudenza, niente di più.

Mi brontola la pancia…diavoli…

“…piccolina…!...dove sei…?” controllo se ho ancora il coltello nella tasca destra dei jeans. Dove posso andare…?!

“…il lupo si sta avvicinando…” se le cose si mettono male dovrò affrontarlo di persona. Non credo che da sola ce la potrò fare. Con l’altro suo amico ho avuto fortuna perché era impegnato in altre faccende, invece Fabrizio credo sia il più forte dei cinque.

“…!” un mucchio di foglie…! Mai negare di avere una buona stella! Volto un attimo la testa, credo di aver visto qualcosa…

Un ombra…? No…un uomo…uguale a Fabrizio…mi ha vista…mi fissa con i suoi occhi che sembrano essere un misto di argento e oro. Mi fissa stanco e incuriosito. Faccio altrettanto.

“…bambina…dove sei…?” Fabrizio è molto vicino. Guardo l’uomo negli occhi. Anche lui si era voltato per cercare di scoprire chi fosse quella voce. Ci guardiamo negli occhi, la sua espressione cambia, mi guarda severo e perplesso. Alzo l’indice d’avanti alla bocca. Non cambia espressione. I suoi occhi sembrano che vogliano divorarmi col pensiero. Elimino quello sguardo in fretta. Mi butto dentro il mucchio di foglie. Non vedo altro che nero.

Sento un rumore di passi.

“Hey, tu! Hai visto una ragazzina girare da queste parti?”

“Dovresti moderare il tono, giovanotto…” sento una voce piuttosto infastidita. Qualcuno sospira.

“Ma l’hai vista?! È urgente!” per qualche secondo non sento niente.

“Non ricordo di aver visto ragazzine girare inavvertitamente in questo punto della foresta, dovresti cercare più in là, di solito i delinquenti si trovano laggiù, credo che ti troveresti bene” niente male…sento un ringhio e dopo qualche secondo sento il silenzio più totale. Non mi fido però.

Continuo ad aspettare. Ad un certo punto sento qualcosa toccarmi lievemente la testa. Faccio uscire fuori la testa dal mucchio di foglie. Il cielo si è chiarito molto, sento le foglie attaccate ai miei vestiti bagnati, l’uomo vestito di nero mi guarda con uno sguardo piuttosto severo, ma non troppo.

“Immagino che a questo punto dovresti darmi delle spiegazioni, ragazzina”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di L0g1

Eccomi qua!!! Sono finalmente ritornata! Spero che il capitolo e anche quello di prima (nonostante le stupidaggini che ho scritto) vi siano piaciuti! Sono ansiosa di leggere qualche recensione!

P.s  per via degli impegni scolastici potrebbero volerci due o tre mesi prima di pubblicare i prossimi capitoli, chiedo scusa per la futura attesa.

L0g1

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Capitolo 8
*** Voci... ***


“Ma l’hai vista?! È urgente!” rifletté per pochi secondi. In effetti avrebbe potuto dirgli dov’era quella piccola oppure indicarglielo in modo di non farla scappare. Ma alla fine pensò che sarebbe stato più interessante capire cosa ci facesse una VERA mortale in quel luogo, che neanche lui sapeva esattamente come abbia fatto ad arrivare.

“Non ricordo di aver visto ragazzine girare inavvertitamente in questo punto della foresta, dovresti cercare più in là, di solito i delinquenti si trovano laggiù, credo che ti troveresti bene” il ragazzo lo detestò già dal suo atteggiamento. Trovò quindi un’altra buona ragione per scegliere la vita della piccola invece del divertimento del giovane.

Il ragazzo se né andò sbuffando prendendo la forma di un grosso lupo. Non era particolarmente sorpreso di questa forma, ne aveva viste molte di queste creature simili a lui con questa particolare abilità.

Si sistemò la veste nera e dopo aver controllato che quel ragazzaccio se ne fosse andato si avvicinò al mucchio di foglie dove si era nascosta la ragazzina pensando che dopotutto era vero che quella barriera invisibile funzionava. Girò la mano tra le foglie in cerca di qualcosa che potesse collegarsi a lei. Non ci volle molto per toccare qualcosa di molto morbido e bollente. Non avendo toccato per molto tempo qualcosa di caldo gli parve quasi strano il potente contrasto che aveva la sua pelle con i suoi capelli.

Appena fece questo, la testa emerse dal mucchio e anche metà del busto.

“Immagino che a questo punto dovresti darmi delle spiegazioni, ragazzina” la sua voce era piuttosto severa, ma la piccola non sembrò essere disturbata da questo.

Non gli diede una risposta. Semplicemente lo fissava, senza timore, senza gioia o gratitudine. Quell'atteggiamento cominciò ad infastidire l’uomo. Alzò un sopracciglio, lievemente irritato.

“Gradirei una risposta…” aveva degli occhi…non strani…non bizzarri o insoliti…particolari. Sembrarono una specie di misto di diversi colori.

Nessuna risposta. A quanto pare non è una tipa molto loquace…così pensò. Il suo sguardo era completamente impassibile, come se essere inseguita da un lupo sia un nonnulla. Non riuscì a capire quel suo atteggiamento. Lui alzò un sopracciglio. Non capì cosa volesse dimostrare.

Qualcosa cambiò. Una specie di brontolio che provenì senza dubbio dalla pancia della ragazzina. La sua testa si spostò di lato, evitando il suo sguardo. Le sue sopracciglia si erano leggermente incurvate. All’uomo sfuggì una leggera risata. Effettivamente era qualcosa di molto buffo.

Decise di uscire del tutto dal mucchio, alcune foglie si erano attaccate ai vestiti. Con potenti pacche sulle spalle riuscì a levarsele di dosso facilmente, notò alcune cose insolite. Prima di tutto i vestiti erano sicuramente bagnati, lo capì vedendo delle gocce d’acqua cadere dalla camicia con le maniche che si fermarono a due quarti dalle braccia. Su quest’ultime vide dei graffi, probabilmente piuttosto profondi, dove uscirono delle gocce di liquido color cremisi.

Aveva già abbozzato qualche idea su cosa poteva essere successo a quella ragazzina apparentemente muta.

“Cerco di indovinare…hai voluto fare un giro in questa foresta e hai incontrato quel ragazzaccio, che voleva fare chissà cosa con te, dopodichè tu saresti inciampata nel fiume e hai cercato un luogo dove nasconderti” accadeva spesso di sentire tra i mortali di qualche bambino troppo curioso che voleva fare qualche giretto nella “sua” foresta. Spesso, soprattutto durante i Secoli Bui, per aumentare le credenze su di lui, attirava i bambini verso casa sua, poi si poteva dire che il pranzo era servito.

La ragazzina, dopo aver tolto un’ultima foglia che si era nascosta tra i capelli, gli rivolse lo sguardo. Aveva ancora quegli occhi indecifrabili che sembrarono trapassare il corpo dell’uomo lasciandogli una sensazione insolita, credendo che lei avesse qualche problema di socializzazione.

“…non è del tutto esatto…” gli suonò molto strana la sua voce. Non era ancora del tutto maturata, infatti si sentì qualche accenno di una vecchia nota fanciullesca, ma che veniva immediatamente mascherata dal tono di voce molto severo e neutro.

“Beh, allora parli. Credevo di trovarmi di fronte ad una muta” sperò che l’avesse almeno offesa un po’. Ammetteva lui stesso che suonava molto crudele da dire, ma in un certo senso a lui piaceva sperimentare la pazienza altrui, soprattutto se parlava di qualcosa che all’interlocutore potesse essere offensivo oppure particolarmente toccante. Non aveva mai adorato tanto discutere dell’invisibilità di Frost la prima volta che lo vide insieme ai Guardiani. Uno sguardo assolutamente…indimenticabile.

Ma l’espressione della ragazzina non sembrò esser cambiata minimamente. Pensò che probabilmente la piccola volesse nascondere una specie di dignità che, in qualche modo, non dovesse essere scalfita. Guardandola attentamente negli occhi vide che in realtà non stava nascondendo assolutamente nulla. Una ragazzina molto particolare.

“Beh, allora si dev’essere sbagliato. Immagino che qualcun altro qui dovrebbe moderare il tono oltre al ragazzaccio di prima” lo disse con una disinvoltura che fece irritare l’uomo. Nonostante la provocazione decise di non mostrare la sua irritazione per non farla compiacere, anche se non sembrò trovare quel che disse particolarmente spiritoso.

Ancora quel brontolio. La ragazzina distolse ancora una volta lo sguardo, ma questa volta senza inarcare le sopracciglia. L’uomo ridacchiò ancora una volta.

“Sei affamata immagino…” iniziò a dire in mezzo a delle lievi risate che distrussero alcune delle vocali che pronunciò.

“Immaginate bene…” lo disse con una certa tristezza. L’uomo notò che sbatteva le ciglia molto più di quanto, in genere, bisognerebbe sbatterle. Cominciò a guardare la ragazzina con una certa serietà, smettendo di ridere.

“Sei stanca…?” la piccola inarcò le sopracciglia, come se chiedesse all’uomo come li fosse venuto in mente di fare una domanda del genere. Anche se in realtà all’uomo non sembrò di aver detto qualcosa di insolito e cominciò a fissarla come se in verità fosse lei la “cosa sbagliata”, cosa che l’uomo cominciò a pensare per davvero.

“Effettivamente si…” anche questa risposta, nonostante l’enorme semplicità, suonò molto insolita. Probabilmente per il tono di voce, oppure per il suo sguardo eternamente inespressivo, oppure perché…non lo capì nemmeno lui…quella ragazzina sembrava che non possedesse alcun sentimento. Trovò il tutto molto interessante.

“Sa come raggiungere la cittadina e quanto manca per arrivare?” venne fuori questa domanda, anch’essa piuttosto insolita. Ma la disse con una certa importanza.

“Forse…come mai vorresti saperlo…?” pensò che probabilmente poi sarebbe stata presa dall’impazienza e avrebbe cercato in diversi modi di rubargli quelle informazioni apparentemente importanti. Niente di tutto ciò.

Dopo diversi secondi di attesa, la ragazzina si voltò e cominciò a camminare verso una direzione ignota. L’uomo non potè credere che potesse prendere questo tipo di soluzione. Cominciò a crescergli un pizzico di curiosità, per questo decise di seguirla in modo discreto.

Dopo qualche minuto di cammino vide il fiume che, come aveva constatato lui stesso, attraversava tutta l’isola. La ragazzina non sembrò interessata a quel fiume, perché cominciò a controllare il muschio degli alberi.

Stava cercando di capire dove fosse il nord. Poco dopo vide che fece uscire dalla camicia un libro anch’esso particolare. Si tramutò in ombra e apparse pochi centimetri dietro di lei per capire cosa guardasse con tanta avidità in quel libro. La piccola alzò lievemente lo sguardo dietro di lei e lo vide. Ma non sembrò particolarmente sorpresa che qualcuno decisamente più alto di lei la guardasse da dietro le spalle. Comunque lasciò che l’uomo guardasse la pagina che sembrò particolarmente interessante.

Era una mappa dell’intera isola. L’uomo era molto sorpreso di non averne vista una simile in tutto il territorio.

“Dove l’hai preso?” notò che la ragazzina strinse con più forza il libro. Deve aver toccato un nervo scoperto…interessante.

Non gli rispose. Cominciò a muovere il pollice verso un punto rosso più ad est della cartina verso il possibile luogo dove si trovarono (tre pollici), dopodichè misurò ancora una volta le distanze dal punto in cui si trovarono fino al paese (tre pollici e mezzo).

Lei sospirò. Era alta all’incirca la metà di lui, anche di meno in verità. Eppure non sembrò spaventata da questo che, invece, cominciò ad irritare ancor di più l’uomo che non sopportava che qualcuno non dovesse aver paura di lui e potesse sbeffeggiarlo con le parole, cosa che teoricamente dovrebbe fare lui.

La piccola chiuse di scatto il libro e si girò verso l’uomo. Il suo sguardo iniziò a scoprire un cenno di stanchezza.

“Credo che dovremo separarci ormai” l’uomo non comprese cosa intendesse dire la ragazzina.

“Cosa intendi dire?”

“Io devo raggiungere la cittadina, voi immagino che non vogliate seguirmi e…credo che dovremo separarci ormai…” si rese conto che lei pronunciò la frase più lunga che, fino ad ora, l’uomo abbia mai sentito. Notò che sentì nella sua voce qualcosa di molto famigliare…

“…comunque, la ringrazio per prima. Arrivederci” e così si avviò verso l’altra parte del fiume. Stava cominciando a sparire dalla visuale dell’uomo finché ques’ultimo si chiese cosa avesse di tanto importante da fare in quella cittadina. Probabilmente per mettersi nei guai, ma non credette che fosse quello il vero motivo. Poi però si rese effettivamente conto che non sapeva nemmeno il suo nome, cosa che cominciò a recargli fastidio.

Si tramutò in ombra e la seguì.

 

 

 

 

 

Non fece altro che camminare ininterrottamente e il vecchio re cominciò a chiedersi se quello che stava facendo fosse qualcosa che dovrebbe fare.

Insomma, stava inseguendo da chissà quanto tempo una ragazzina e stava perdendo del tempo prezioso mentre invece avrebbe dovuto scoprire di più sul luogo in cui si trovava. Non capì chi fosse quella donna, Macula Sanguinea, che si era mostrata dentro casa sua dove lui era imprigionato per non sa quanto tempo. Non sapeva cosa volesse. La prima volta che l’aveva incontrata sembrava piuttosto irritata dalla sua presenza, li disse che per colpa sua stava perdendo la “sua guerra”. Disse che non era più utile a lei e lo trascinò in questo luogo pieno di altri umani o fantasmi che sembravano rivelarsi morti addirittura diversi decenni fa.

La ragazzina si fermò di fronte ad un’altura di circa venti metri. La esaminò con gli occhi girandogli attorno per un po’. Intanto nella testa dell’uomo si parò avanti una piccola scommessa: se la piccola sarebbe stata in grado di superare quell’ostacolo l’avrebbe seguita nel suo cammino, invece, al contrario, avrebbe usato il teletrasporto per cercare di nuovo quella donna e chiarire la situazione.

Non aveva tempo per pensare a cosa avrebbe fatto in quel mentre perché dovette nascondersi di nuovo tra le ombre degli alberi. La ragazzina fece dietro front e cominciò a camminare nella direzione opposta.

Pazienza, non ce l’avrebbe fatta comunque.

Stava per teletrasportarsi lontano dalla foresta finché i suoi occhi puntarono sulla piccola che, dopo pochi passi, si fermò. L’uomo non capì cosa avesse intenzione di fare, finché non cominciò a correre a grande velocità verso l’altura. La velocità era tale che sembrò che stesse camminando per un paio di metri sulla parete di roccia fermandosi, dopodichè, verso i tre metri che poi cominciò a scalare con una naturale scioltezza pari a quella di una gatta. L’uomo rimase molto sbigottito dalle sue capacità. Riuscì velocemente a trovare tutti gli spuntoni necessari per superare quel gigante di pietra sostenendo, talvolta, anche il suo stesso peso con le magrissime braccia.

Dopo meno di un minuto non la vide più.

A quanto pare il destino aveva deciso una nuova strada da prendere per l’uomo.

Si teletrasportò al di sopra dell’altura e vide la ragazzina continuare a camminare controllando di tanto in tanto nel libro la strada che dovesse prendere.

Continuò così per una decina di minuti. Continuò a percorrere un sentiero invisibile per diverso tempo e la curiosità dell’uomo mano a mano divenì sempre più grande. Quando era opportuno riusciva ad esser paziente, soprattutto in tempi di guerra, ma stranamente avvertì dentro di lui una sensazione che sembrava che si stesse divorando di lui stesso. Partì dal cervello e finì alle sue nocche e, a quanto pare, sembrò sul punto di continuare a crescere ancora.

Tutto ciò era molto insolito. Non avrebbe dovuto sentirsi così, era qualcosa di terribilmente scontato, perché preoccuparsene così tanto…? Se la ragazzina fosse collegata ai Guardiani o ad un modo per tornare a casa sua allora avrebbe capito, ma quel fastidio cominciò a ronzare pesantemente nel suo cervello divenendo sempre più pressante e fastidioso.

La ragazzina cadde in ginocchio.

Non capì subito il motivo. Cominciò a sentire quel brontolio che parve più forte di come l’avesse sentito poco fa. Lei iniziò a toccarsi la fronte. Si sdraiò sotto un albero che si trovò nei paraggi, si tolse la camicia e se la distese sul corpo come se fosse una coperta. Dopo un quarto d’ora l’uomo constatò che la piccola si fosse addormentata.

Uscì dal suo nascondiglio nelle ombre. Non seppe cosa fare, avrebbe dovuto aspettare il suo risveglio a quanto pare…la sua curiosità continuò a crescere. Volle come minimo sapere il suo nome, dannazione…! Cominciò a frustarlo il fatto di non aver capito quasi niente di questa piccoletta né di come abbia fatto a venire anche lei fin laggiù. Era qualcosa di molto irritante.

Non si accorse nemmeno che il sole aveva raggiunto un punto abbastanza alto nel cielo e da dove si trovavano lo si vedeva con una vista che avrebbe attirato lo sguardo di chiunque, ma l’uomo non si interessò al paesaggio. I capelli della ragazzina, che poco fa aveva giurato che fossero castani, brillarono come se fossero d’un oro macchiato.

Gli sembrò di vedere, in quel colore, un intero campo di grano, di cui le spighe, ormai mature, si mossero al vento e brillarono di luce propria. Involontariamente socchiuse la bocca e la testa cadde leggermente verso il lato sinistro. La piccola, invece, fino a quando aveva iniziato a dormire, sembrò che fosse disturbata da qualcosa ma l’uomo non pensò che fosse stato lui. In effetti sarebbe stato interessante vedere la reazione di lei se avesse insinuato sul suo capo un purosangue nero. Ma l’uomo non ne aveva alcuna intenzione. Primo perché era in grado soltanto di corrompere la sabbia dorata e sul suo capo non ne vedeva alcuna, secondo perché…non ne aveva idea nemmeno lui…

Non ci pensò molto perché ormai, quasi come se fosse controllato da qualcuno, si appoggiò vicino a lei e la sua mano accarezzò meravigliato quel campo di spighe.

In quel mentre si accorse che la ragazza non aveva fatto quasi niente per medicare i graffi sulle braccia, questo lo lasciò un po’ perplesso. Si accorse anche di quanto effettivamente fosse magra. Le sue braccia, nonostante fossero in realtà abbastanza forti, erano come degli spilli agli occhi del vecchio re, stessa verità anche per le gambe.

Avrebbe detto che si trovasse di fronte ad una sottile spiga di grano. Rise un po’ per questo paragone. In effetti, i capelli, le braccia e le gambe sottili e la figura molto piccola ed esile di lei, davano proprio l’idea di una spiga di grano maturata al sole.

Inavvertitamente aveva sfiorato la sua camicia, più precisamente la tasca della sua camicia, e aveva sentito qualcosa di duro all’interno, cosa che incuriosì ancor di più l’uomo che svuotò tutto il contenuto nel palmo della sua mano destra.

C’era una specie di ciondolo, abbastanza grande, a forma di cerchio di cui era possibile dividere in due parti uguali. Aveva già visto in Oriente quel simbolo, se non sbagliava Scintoista. Di sicuro era un'altra di quelle sciocchezze di cui gli umani amavano raccontare ai propri bambini. C’era anche un bigliettino all’interno. Era scritto con una calligrafia abbastanza incerta, ma facilmente leggibile, nonostante i diversi errori ortografici in lingua italiana.

“Scusa, non so ancora scrivere bene.

E per te! Tu dai una parte al uomo che pensi potrebbe essere importante per te e altro parte tienila tu. Decidi tu quale tenere per te, io credo giallo perché è un colore molto potente. Sei importante non dimenticarlo mai!

La felicità verrà anche da te, forse dovrai aspettare ancora un po’ di tempo ma sono certo che un giorno potrai dire a te stessa che sei finalmente in pace.

Sii forte!

Ti voglio bene Fabi(questa parte non riuscì a leggere bene).

Yoshi-chan.”

 

Non aveva capito molto bene cosa c’era scritto nelle ultime parole. Sicuramente il nome della piccola che l’uomo desiderò tanto conoscere. Ma aveva scritto Fabi…a…? Fabia…? Non ne era del tutto sicuro.

“…se volevate seguirmi bastava avvertirmi…” non si era nemmeno accorto che la ragazzina si fosse svegliata con uno piccolo cenno d’irritazione nei suoi occhi che si spostarono subito sul bigliettino e sul ciondolo.

“Dove l’avete preso?” chiese questo con disinvoltura mista a perplessità.

“Non c’è bisogno che mi dai il “voi”, sono anziano ma non fino a questo punto…e poi…non sapevi che lo avevi nella tasca della tua camicia per tutto questo tempo…? Sei anche ceca allora...” non sembrò minimamente interessata a lui. Appena prese in mano il foglietto cominciò a leggerlo, prima interessata, poi stupita e alla fine…come se qualcosa l’avesse toccata nel profondo di lei. Si rigirò tra le mani, diverse volte, il ciondolo. Dopodichè indossò entrambe le parti, sia quella gialla che quella blu.

Ma al re caduto interessò soltanto il suo sguardo, che sembrò aver trovato colore e sentimenti. Lo stesso nervo scoperto è stato colpito ancora…così pensò.

“Ti chiami Fabia?” la ragazzina, che per quel breve asso di tempo parve aver dimenticato la presenza dell’uomo, gli rivolse il solito sguardo impassibile.

“...si...insomma...puoi chiamarmi Fabia se vuoi...” l’uomo si era soffermato maggiormente all’inizio della seconda frase.

Lo guardò ancora, impassibile. Senza alcuna emozione. Quegli occhi gli sentì dentro il suo corpo e sembrò che provasse un qualcos’altro che l’uomo non riuscì ad identificare. Quello sguardo cominciò seriamente a…spaventarlo…? No, no…l’Uomo Nero non può provare paura, può soltanto trasmetterla agli spiriti e soprattutto ai mortali. Pensò che dovrebbe essere qualcos’altro che non riuscì ad identificare. I due occhi non batterono ciglia. Probabilmente avrebbe dovuto scoprirlo, ma anche su questo non ne era del tutto certo. Due battiti di ciglia.

“Non ti sei presentato presunto “anziano” o come hai detto tu” per la prima volta la piccola li rivolse uno stanco, ma pur sempre, un sorriso. Alla luce del sole l’uomo vide, finalmente, l’effetto che avevano i suoi occhi. Il verde, che con la luce sembrò essere il colore predominante, parve essersi mischiato col marrone. Alla base dell’iride, inoltre, vedeva delle piccole chiazze azzurre che sembrarono quasi invisibili senza una buona illuminazione.

“Pitch, Pitch Black” parve abbastanza perplessa quando pronunciò il suo nome.

“…cosa svolgi di professione…?” questo fece ridere di gusto l’uomo, che non potè credere che li avesse chiesto una cosa del genere. Con una mano sul volto rispose.

“…vuoi sapere troppo, piccola...!” e continuò così per molto senza badare molto a Fabia che, probabilmente offesa dalle parole dell’uomo, si alzò da terra e s’incamminò lontano da lui. Pitch si accorse, dopo poco tempo, della sua assenza e cominciò a teletrasportarsi poco a poco vicino a lei per continuare a beffarsi della ragazzina. Anche se notò che non era questo che la infastidiva.

Il suo passo, a poco a poco, aumentò sempre di più velocità fino a doverla inseguire come se fosse una delle sue vecchie vittime dei suoi anni d’oro. L’uomo pensò che probabilmente c’era qualcun altro che li stava inseguendo e, voltandosi, constatò che fu effettivamente così.

Era lo stesso ragazzaccio.

Stava annusando il terreno dove, fino a poco fa, la ragazzina stava dormendo. Con la coda dell’occhio, il vecchio re vide Fabia che stava cominciando ad arrampicarsi su per una collina con grande velocità.

Il lupo, non riuscendo a vedere Pitch dato che si era nascosto all’interno delle ombre, cercò, col suo naso, una traccia che potesse usare.

Fabia fece fatica ad arrampicarsi per la collina e talvolta vide che si resse alle poche piante per cercare di sbilanciare il peso. Non ci riuscì. La piantina non durò a lungo e il peso della piccola la fece cadere rovinosamente a terra finendo a valle e facendosi individuare dal lupo.

“Eccoti qua! Ti ho cercata dappertutto!” il lupo, a pochi metri da lei, ritornò alla sua forma originale. Fabia si rialzò di scatto, anche tra di loro c’era una notevole disparità d’altezza.

“Scusa…ma a questo punto non dovresti stancarti di ronzarmi sempre attorno…? Sei peggio di una vespa…” sentiva in lei una pesante nota di rabbia mentre cercava le distanze dal ragazzaccio.

“Era ora che la piantassi di scapparmi. Ora fa la brava e fatti prendere, bimba...non farmi arrabbiare...” lo disse con un tono falso che all’uomo, e anche alla ragazzina, non piacque minimamente.

“Fatti una croce e cercane un'altra…non ci sono solo io come intrattenimento…” era molto stanca, lo capì immediatamente. Non avrebbe dovuto svegliarla…pensò.

“Non ne voglio un'altra, voglio te! Chi altra sarebbe più intelligente…?! Chi altra avrebbe fatto questo a me e agli altri…?!” lo disse con molta rabbia che all’uomo sembrò totalmente infondata…senza sapere che, in verità, anche lui stava facendo la stessa cosa.

“…chi altra sarebbe più interessante delle altre…?! Chi altra vorrei tanto uccidere…?!” le ultime frasi fecero uno strano effetto al re, che pensò che avrebbe dovuto dare un aiuto a Fabia prima che sarebbe accaduto qualcosa di irrimediabile. Ma il suo vecchio io ebbe la meglio. Perché avrebbe dovuto scomodarsi tanto per una ragazzina? Così decise di darle solo un occhio per controllare.

“E tu credi che io sia tutto questo…? Io…? Quasi non ci credo...quasi non ci credo...!” nella sua bocca esplose una risata che non possedeva assolutamente nulla di nervoso o di stanco. Sia Pitch che il ragazzaccio spalancarono gli occhi, solo che il secondo stava bollendo nella sua stessa ira.

“Perché ridi?! Cosa ti diverte piccola?!” la risata lievemente crudele si spense lentamente. A quel punto l’uomo vide nei suoi occhi una luce molta insolita. La ragazzina divenne d’un tratto estremamente seria e per un attimo il vecchio re volle scoccare una freccia di sabbia d’incubo nel petto del giovane.

“Mi disgusti, Fabrizio, mi disgusti…passi la tua eternità ad uccidere inutilmente delle innocenti…tra i tanti che ho visto tu sei il più patetico…vorrei tanto saperne il motivo di tutto questi omicidi...ma immagino che tu non mi ascolti nemmeno, quindi passo al dunque: se desideri la mia carne dovrai iniziare a sudare sangue…!” detto questo si mise in posizione per combattere. Lui, invece, scoppiò in una vivace e tetra risata.

“Come vostra altezza desidera!” disse facendo un patetico inchino.

Fabia scosse la testa irritata. Le sue palpebre sbatterono molto più del normale e anche il petto si sollevò e abbassò velocemente. Ma l’uomo non sentì in lei nemmeno un accenno di paura.

Il ragazzo si tramutò in lupo e cominciò a scagliarsi verso di lei. Fabia schivò, buttandosi sul fianco sinistro e alzandosi immediatamente.

Il lupo ritornò alla sua forma umana e prese un pugnale mai visto in precedenza facendolo scagliare sulla piccola che, velocemente, schivò diverse volte. Continuò così per un tempo che sembrò infinito, ma l’uomo notò che mano a mano Fabia sembrò essere sempre più stanca e affaticata e Pitch, vedendo questo, non seppe decidersi se darle una mano o continuare a guardare l’incontro.

Al contrario il ragazzo, ogni volta che la piccola schivava i suoi attacchi, sembrò usare un po’ più forza e, alla fine, riuscì a colpirla con un pesante pugno allo stomaco.

La ragazzina traballò all’indietro reggendosi in piedi a fatica. Il ragazzo sembrò assaggiare col pensiero la sua sofferenza.

Sorrideva…

Sorrideva come…

Pitch sentì dentro di sé un potente colpo alla testa e si girò velocemente per controllare se qualcuno fosse dietro di lui e avesse provocato il colpo.

Nessuno.

Sentì le ginocchia cedere sotto il suo peso.

Il colpo era partito dal suo stesso cervello e non sembrò che volesse smettere. E senza che se ne accorgesse uscì dalle ombre a una decina di metri dai due giovani.

Qualcosa pulsò nella sua testa. Ad un certo punto sentì dentro di sé un potente calore, come se stesse bruciando vivo e lui, nella sua testa, stava gridando…non riuscì ad incastrare le sillabe per formare le parole che urlava…anche se era totalmente sicuro che stesse gridando dei nomi…

Alzò di scatto la testa. Il ragazzaccio aveva preso Fabia per il collo e la sbattè contro un albero. Probabilmente la stretta doveva essere molto salda perché la piccola prese la sua mano per cercare di aprire il pugno che stringeva il collo…invano. Alzando le braccia l’uomo vide che i graffi su di esse si erano aperti ancor di più e uscirono dei piccoli fiumi color cremisi.

Pitch cercò un appoggio per reggere la schiena, ma non trovò nulla per sostenersi e cadde sulle ginocchia. Vide che dalla sua fronte caddero dei rivoli di sudore pari al sangue che uscì dalle braccia di Fabia.

“…stai calma e ti farò meno male…” Fabia si stava agitando e il ragazzaccio rafforzò ancor di più la presa. Lui alzò il pugnale verso i tagli sulle braccia di lei. Mise la lama in una ferita e la affondò di poco nella carne provocando la rabbia più crescente di Fabia. Di fronte a lei passò la lingua sulla lama del pugnale assaggiando il sangue di lei.

“…non immagini quanto sia delizioso…ma credo che sarebbe migliore con un po’ di carne…” Prima che il ragazzo potesse passare il pugnale sopra l’orecchio di lei, Fabia diede un potente e inaspettato calcio verso la mano che venne disarmata lasciando il suo proprietario decisamente incredulo. La piccola diede un altro calcio, ma questa volta al volto del ragazzo. Caddero insieme all’indietro. Il ragazzaccio si dimenò pesantemente e, con la coda dell’occhio, l’uomo vide che Fabia aveva afferrato il pugnale del ragazzo e stava quasi per pugnalare il suo petto. Ma lui, velocemente, capovolse le posizioni.

Questa volta era lei che cercava di non essere pugnalata.

La situazione era piuttosto incerta. La lama era a pochi centimetri dalla gola della ragazzina. Le sue mani, abbracciate a quelle di lui, lottavano per non farle affondare nella carne. Ancora quel sorriso…

Ancora quelle voci…Gridarono qualcosa di incomprensibile. Non riuscì a fermarle. Le gambe di Pitch, che sembrarono essere controllate da qualcun altro, si diressero verso i due. Il vecchio re creò una spada e, senza la minima preoccupazione di pentimento, trapassò la spalla del ragazzaccio che librò nell’aria un urlo che probabilmente si sarebbe sentito anche dall’altra parte dell’isola.

Fabia diede un potente calcio che la fece liberare dalla presa. Il suo petto, i suoi polmoni e la sua bocca chiesero aria.

Pitch la prese per le spalle e, velocemente, chiamò a sé un Incubo che portò su di sé il suo re e la piccola.

L’Incubo partì a forte velocità schivando agilmente gli alberi e dirigendosi verso il confine della foresta. Pitch controllò la ragazzina che teneva stretta per non farla scivolare. La sua testa era piegata verso il basso senza mostrare il viso. Le braccia, che sembrarono un ammasso di carne in decomposizione, grondarono di sangue che macchiarono lievemente la tunica dell’uomo. Sentì che Fabia emetteva dei profondi respiri. La sua gola era rossa, ma non riuscì a vedere niente di più per via dei lunghi capelli di lei.

Doveva raggiungere la cittadina e trovare qualcosa per poterla medicare.

Pitch controllava ogni secondo le condizioni della piccola come se volesse assicurarsi che non lasciasse la vita proprio tra le sue braccia, dimenticando che per tutto quel tempo non aveva mai sentito in lei nemmeno una goccia di paura o terrore…

Le voci si erano fermate…

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Monsieur Sandy ***


 

 “…mezzogiorno…dannazione…!” aprì l’occhio destro per capire cosa stesse succedendo. Amava dormire, infatti quando divenne quello che divenne non riuscì ad immaginare un’eternità senza poter dormire. Ma nonostante questo non si dispiacque quando le due voci iniziarono a litigare facendolo svegliare dal suo pisolino.

“…congratulazioni…! Hai fatto svegliare anche Sandy! E ora mi dici come facciamo ad uscire con tutta quella gente fuori…?!” era Mino. Il ragazzo che non riusciva a credere che lui potesse volare senza un’apparecchiatura elettronica o altro.

“Ma noi possiamo uscire! Abbiamo trovato quei vestiti, che vuoi di più?! Non troverebbero ragione per prenderci!” Farut, senza dubbio. Non facevano altro che litigare ogni volta che erano insieme. Questo lo faceva ridere perché sembravano proprio Calmoniglio e Jack. Peccato però che dovette sempre separarli perché Farut, in confronto al coniglio, era molto più prepotente e impulsivo.

“Se Sandy esce fuori sarà preso, e se verrà preso forse non lo rivedremo mai più! Te lo devo rispiegare?! Ah, giusto, ora ricordo…tu sei ignorante…! Solo le elementari hai fatto…ignorante!” Oh, no…non avrebbe dovuto dirlo…Farut, appena sentì la parola “ignorante” mostrò i suoi denti e prese Mino per il colletto del pigiama inchiodandolo al muro. Sandy fu veloce. Diede una potente frustata conle sue fruste dorate alle mani dell’afgano. Entrambi sobbalzarono per la sorpresa.

“SANDY!” nonostante lo sguardo furioso di Farut, l’omino non cambiò espressione rimanendo serio e con le braccia incrociate sul petto.

“D'accordo, la smettiamo…” per fortuna…Sandy sperò che non litigassero più, anche se sembrò una cosa impossibile…

“Allora, che facciamo genio…?” chiese l’afgano al moro con tono provocatorio. Era quasi sempre lui a cominciare gli scontri. Mino rigirò gli occhi visibilmente irritato da quello che disse.

“Bisogna trovare qualcosa da mangiare. Il cibo sta finendo. Quindi uno di noi deve uscire, comprare da mangiare al mercato e venire qui. Vi sta bene? Però Sandy tu devi per forza restare qui” l’omino dorato annuì comprensivo. Aveva ragione, l’ultima volta ce l’aveva fatta a scappare per un pelo ed era meglio non abusare del potere della fortuna. Farut si sedette su una sedia.

“Vacci tu” disse in tono un po’ arrogante.

“Perché proprio io?! Esisti anche tu qua dentro!” Sandy intanto nascose dietro la schiena le sue fruste. Non si sa mai.

“È un lavoro di donna. Io non mi muovo” l’omino, da quando trovò i due ragazzi, notò che Farut aveva sempre un modo di pensare che li fece ricordare molto i Secoli Bui. Pensava sempre che ci fossero dei “doveri” che distinguevano gli uomini dalle donne e viceversa. Mino sollevò un sopracciglio incrociando le braccia sul petto.

“Non fare il maschilista e prendi una moneta: faremo testa o croce” l’afgano prese dal cassetto del comodino il sacchetto di monete d’oro e d’argento che avevano trovato in soffitta. Sandy pensò che quel sacchetto non sarebbe rimasto pieno molto a lungo…

“Testa” disse Farut. Mino annuì. La moneta d’oro ruotò in aria per un numero incalcolabile di volte. Cadde sulla mano destra del ragazzo che poi la rigirò sul suo braccio sinistro. L’immagine sulla moneta raffigurava un uomo girato di lato con una corona d’alloro in testa ma il suo volto sembrò sfigurato e c’erano, lungo la circonferenza del soldo, delle scritte “Mortem Oppeteret”.

“Croce. Vai tu” disse con un pizzico d’impazienza. Mino lanciò un’occhiata all’omino. Sandy gli rivolse un sorriso speranzoso. Sperò che potesse accettare l’incarico senza iniziare un nuovo conflitto. Mino capì cosa stesse pensando il suo amico e gli rivolse un veloce sorriso che subito cambiò in un’espressione quasi minacciosa verso Farut.

“Mi metto il vestito e vado…” disse questo uscendo fuori dalla stanza sbattendo la porta dietro di sé. Farut lanciò uno sguardo annoiato all’omino. Sandy era quasi orgoglioso di loro due. Forse non era impossibile fargli smettere di combattere fra loro.

“Allora, che cosa faremo noi due?” disse poggiando il gomito sulla sedia.

Sandy mostrò sulla sua testa un punto interrogativo.

“Nemmeno tu sai cosa fare? Possiamo mettere in ordine questo posto…insomma ci sono le ragnatele e la polvere. E poi…” e continuò ad elencare i motivi per cui dovrebbero dare una spazzata alla casetta e sul perché dovrebbero farlo loro dato che non c’era una donna con loro che potesse farlo eccetera…Sandy pensò che probabilmente tutti questi suoi pensieri fossero riguardanti la condizione dell’Afganistan. Ricordò che non era affatto facile creare dei sogni per i bambini in quel luogo, soprattutto per le bambine. Non riuscì a ricordare quanto tempo fa lui e North si fossero avventurati all’interno della dimora dell’Uomo Nero. Sicuramente doveva essere stato molto tempo fa…chissà dov’era North…e anche gli altri...la porta si spalancò.

Mino entrò nella stanza con l’abito che aveva deciso di indossare il giorno prima. Portò un frac nero aperto a lunghe code con dei bottoni che sembravano essere fatti d’oro. Sotto aveva un panciotto marrone e i pantaloni neri erano stretti e aveva degli stivali anch’essi neri e lunghi sotto al ginocchio. Le mani intanto stavano cercando un modo per indossare lo jabot bianco. Farut non riuscì a trattenere una potente e forte risata.

“Cosa c’è di tanto buffo?!” Farut non smise di ridere e cominciò a martellare con il pugno la sedia creando una specie di terremoto.

“Non ci posso credere! Come hai fatto a scegliere una cosa del genere?” e continuò a ridere. Sandy si avvicinò a Mino e, a mezz’aria, gli aggiustò lo jabot. In verità era stato lui a scegliere il vestito. Anche l’omino aveva dato un’occhiata all’enorme soffitta e non riuscì a dimenticare l’anno in cui Napoleone divenne imperatore della Francia. Quel vestito gli ricordò molte feste con nobili e dame e Mino, forse per far compiacere l’amico, aveva deciso di indossarlo.

Sandy finì, in mezzo alle risate di Farut. Mino si ammirò allo specchio facendo diverse pose eleganti. All’afgano sembrò piuttosto perplesso e accavallò le gambe in modo da stare più comodo sulla sedia.

“Mi ricordi uno di quei ricchi sfondati. Li avevo visti in un film, non mi ricordo quale…Mohammed mi ha detto che era un film storico…o qualcosa del genere…” Mino non sembrò ascoltarlo. Si guardò felice allo specchio, quel vestito parve piacere anche a lui. Prese dalla tasca del frac dei guanti di stoffa e provò ad indossarli…troppo piccoli. Farut sembrò illuminarsi.

“Ah, si! C’erano due uomini vestiti così che si prendevano a schiaffi con quei guanti! Io e Soraya siamo morti dal ridere!” e cominciò a ridacchiare tra sé e sé. Sandy notò che la sua risata sembrò essersi rattristata. Anche Mino la notò ma sembrò che non volesse dargli fastidio. Dallo specchio vide il riflesso di Sandy che sembrò pensieroso. Ad un certo punto l’omino sollevò l’indice in aria come se avesse avuto una buona idea e formò, con la sua sabbia, un cilindro e un bastone. Mino capì la sua idea.

“Ho visto un cilindro e un bastone in soffitta. Possono essere utili, vado a prenderli!” e se ne andò dalla stanza. Farut e Mino cominciarono ad aspettare il loro amico.

Un lampo nero.

Sandy giurò di averlo visto fuori dalla finestra e si avvicinò ad essa cercando di non farsi vedere da qualcuno che avrebbe potuto essere fuori.

“Hai visto qualcosa…?” Farut si avvicinò alla finestra.

Sandy non riuscì a vedere molto, nonostante fossero al secondo piano così decise di uscire fuori dalla finestra.

“…ma dove vai…?!” gli sussurrò il suo amico che lo vide uscire. L’omino si guardò attorno facendo una veloce occhiata sotto di loro e scese di un piano fino a toccare terra.

Aveva visto qualcosa, ne era più che certo. I suoi occhi non l’avevano mai tradito.

Qualcosa di nero…

Con la coda dell’occhio vide qualcosa che si diresse nel retro della casa. Sandy lo seguì subito ma si fermò un attimo, dovette essere certo che non fossero gli stessi spiriti che volevano catturarlo. Si nascose dietro il muro della casa. Diede una veloce sbirciata. I suoi occhi si spalancarono.

Pitch Black.

Pensò che avrebbe dovuto capire cosa volesse. Aveva un fagotto di sabbia nera, una specie di coperta che teneva stretta al petto con entrambe le braccia. Qualcosa doveva nascondersi dentro di essa, senza alcun dubbio. Cercò di forzare la porta sul retro. L’omino non perse tempo.

Uscì dal suo nascondiglio e colpì, con le sue fruste di sabbia, la schiena dell’uomo facendolo cadere in ginocchio insieme al fagotto. Immediatamente, sempre con le fruste, circondò il bacino del nemico e lo sbattè pesantemente contro un albero abbastanza distante da loro. Scattò velocemente verso la porta. Non doveva permettersi di fare del male ai suoi amici. Il suo occhio venne attratto da qualcosa di bianco e rosso.

Un braccio.

Un braccio sanguinante fuoriuscì dal fagotto.

Si mosse lievemente.

Il fagotto sembrò prendere vita.

Non si accorse che l’Uomo Nero si era avvicinato dolorante a lui con in mano una spada di sabbia nera e uno sguardo minaccioso.

“…non ti avvicinare…” sibilò. L’altra sua mano si posò sul bacino e quella che reggeva la spada tremò, sicuramente non di paura.

Ad un certo punto la sua testa di alzò lentamente verso l’alto. Vide i suoi occhi brillare di una strana luce e si formò sul suo viso uno sguardo enigmatico che Sandy non riuscì a decifrare. Seguì il suo sguardo. C’era Farut affacciato alla finestra e i suoi occhi sembrarono sul punto di uscire dalle orbite.

“…ti sei rifugiato in questa casa…” disse continuando a guardare l’afgano. L’omino si girò di scatto verso l’uomo. Era pronto a tutto. Se voleva i suoi amici avrebbe dovuto lottare contro di lui.

Pitch Black era sparito.

Non c’era più…

Sentì un forte respiro provenire dal fagotto che si alzò e abbassò velocemente.

Sandy fece un profondo respiro e toccò la sabbia nera che lentamente si convertì in quella dorata.

A poco a poco vide una giacca rossa e bianca a scacchi e due braccia grondanti di sangue come due fiumi in piena. Sandy si gettò sul volto della bambina che stava respirando a fatica. Il suo collo era rosso, come se fosse stata strangolata di recente. Dovevano medicarla e alla svelta.

 

 

 

 

 

“Fabì, Fabì…! Su…! Puoi aprire gli occhi...è tutto finito…è tutto finito…” aprì lievemente gli occhi. Aveva la bocca serrata per il dolore, nonostante durante la cura non avesse urlato nemmeno una volta. Mino rimise sul tavolino l’alcool e i tamponi. La sua mano tremò.

“Come ti senti?” alzò il busto a fatica. Mino sembrò che stesse sul punto di svenire, nonostante sia stato veramente molto bravo come medico improvvisato. Lei diede un’occhiata alle bende che coprirono le sue braccia magre. I ragazzi aspettarono che potesse accadere qualcosa.

“Allora…?” chiese Farut impazientemente sbattendo il piede per terra. La bambina alzò gli occhi con sguardo impassibile, come se avesse dimenticato tutto il dolore che aveva provato durante la cura.

“Ho fame” Farut sbuffò rumorosamente. Mino lo rimproverò con lo sguardo, Sandy non riuscì a staccare gli occhi da lei. Aveva un’aria piuttosto triste e sembrò che solo l’omino dorato l’avesse notato.

“Vado a prenderti del pane e formaggio, ok?” chiese gentilmente. Lei ricambiò annuendo con un debole sorriso. Mino se ne andò di corsa con passo nervoso. Farut, appena si assicurò che non ci fosse l’altro ragazzo, prese bruscamente per le spalle la bambina e, a mezz’aria, chiese, anzi urlò con i denti di fuori.

“Chi era quell’uomo?! Rispondimi!” gli occhi del Guardiano dei Sogni si spalancarono, ma al contrario la ragazzina non sembrò minimamente intimorita dal ragazzo, anzi, parve piuttosto disturbata dal modo di fare dell’afgano.

“…mettimi giù…” disse con un sussurro vagamente truce. Farut la ignorò cominciando ad avvicinare il suo viso a quello di lei.

“Perché era con te?! Cosa vuole?! RISPONDIMI!” Sandy si mise in mezzo a loro bloccando Farut e facendo risistemare la bambina sul divano rimettendo cautamente la coperta sopra di lei. A quanto pare il ragazzo non piace nemmeno a lei…La bambina puntò gli occhi su di lui. I suoi occhi stanchi lo squadrarono da capo a piedi. Sandy le sorrise, lei fissò il suo volto come se cercasse di capire cosa fosse ma non sembrò particolarmente stupita.

“…chi sei…?” l’omino formò sulla sua testa il nome “Sandy”. Le sorrise ancora. Lei sussurrò lentamente quel piccolo ammasso di lettere convertendo la “a” in “e”. Li rivolse un sorriso molto stanco e triste. Sandy pensò che doveva esserle accaduto qualcosa di orribile se si trovò in quelle condizioni. Provò molta pena per lei. Avrebbe voluto darle uno dei suoi sogni migliori se non fosse stato che Mino ritornò con un due fette di pane e formaggio. Lei non le mangiò, le divorò. Infilò in bocca metà fetta di pane cominciando a masticarlo con forza.

“Hey, calmati! Altrimenti ti ingozzi!” Mino si stava preoccupando ma la bambina lo ignorò finendo le due fette. Alzò di nuovo la testa e squadrò il ragazzo diventando piuttosto perplessa. Sembrava aver guadagnato almeno un po’ di energia.

“…perché ti sei vestito in stile impero…?” Mino non sembrò aver capito molto quello che aveva detto. Dopo qualche secondo s’illuminò.

“Oh…ora ti spiego. A due chilometri da qui c’è un paesino…”

“…lo so che c’è un paese qui…perché ti sei vestito così…?” lo interruppe bruscamente. Mino continuò.

“La prima volta che siamo andati in paese tutti i cittadini ci squadravano e…come posso dire…volevano ucciderci…ma solo dopo che avevamo conosciuto Sandy…” fece un sorriso imbarazzato. La bambina non cambiò espressione rimanendo sempre seria e inespressiva.

“Insomma...più avanti trovammo questa casetta abbandonata…è piuttosto grande, vedi? E abbiamo trovato diversi tipi di vestiti che potremo usare per andare in paese senza farci notare. Ora però devo andare laggiù per comprare da mangiare, credo che tu ti senta abbastanza bene...grazie al Cielo…Ah, si! Sandy, fai in modo che loro due non inizino una nuova rivoluzione” l’omino annuì fiero facendo un saluto da cadetto, invece Farut sembrò essersi offeso. Mino si mise il cilindro, prese il bastone e il sacchetto di monete.

“Ma se è lei che mi fa arrabbiare!!!” il ragazzo ignorò il suo amico e uscì fuori dalla casa.

Farut guardò la bambina con sguardo poco rassicurante. Sandy deglutì. La ragazzina era sempre inespressiva.

“…Ebbene…?” Farut sembrò perdere completamente la pazienza. Si voltò di scatto e diede un potente pugno al muro…si fece male, ma fece finta di nulla e se ne andò sbuffando parole incomprensibili, probabilmente in pashtu. Sandy si girò verso la bambina con un sorriso imbarazzato, ma lei sembrò non badare a ciò che accadde poco fa. L’omino, come suo solito, era veramente molto curioso di sapere di più sulla bambina. Sei un po’ simile ai due ragazzi? O sei totalmente diversa? Cosa ti è accaduto? Perché Pitch Black era con te? Come hai…

“…come hai fatto a comporre queste figure …?” Sandy sorrise. Formò con la sua sabbia un grande ammasso di lettere che fece girare intorno al corpicino della piccolina. Lei, appena vide le lettere fluttuare verso di lei, si raddrizzò e guardò sospettosa una L che si stava avvicinando lentamente verso le sue mani. Lei prese la lettera e passò sopra di essa l’indice con circospezione e provò addirittura a sfiorarla col naso…si grattò la narice starnutendo diverse volte. Questa reazione fece ridere silenziosamente Sandy che, appena ebbe la sua attenzione, indicò la bambina. Lei non capì cosa intendesse dire lo spirito.

“…come mi chiamo…?” l’omino di sabbia annuì sorridendo. La piccola guardò le lettere che intanto si fermarono e fluttuarono poco più in basso delle loro teste. La bambina prese una A…sotto al divano trovò una B…una F dietro la sua testa…una I vicino alla coperta…la L di prima…un’altra A…una O seminascosta vicino a Sandy.

FABIOLA.

“Così mi chiamo” che bel nome…l’omino ricordò il significato. Era un nome molto usato in epoca romana dalla nobile famiglia dei Fabi e, infatti, Fabiola significa “piccola Fabia”. Sembra che stia meglio, per fortuna…

“Posso…?” chiese indicandolo. Sandy annuì avvicinandosi a lei mettendosi di lato. Fabiola cominciò a toccargli i vestiti passando le piccole dita sulla sabbia dorata regalando le risate silenziose dell’omino perché la bambina li provocò molto solletico facendolo agitare un po’.

“Ho visto della sabbia simile alla tua, ma era nera…” Sandy fermò le sue risate. Parlerà sicuramente della sabbia d’incubo di Pitch…ma perché era con lei…? Le avrà provocato le lacerazioni sulle braccia…? No, impossibile…conosceva Pitch da più di cinquecento anni e sapeva molto bene che non era nello stile dell’Uomo Nero provocare violente lacerazioni o mutilare le sue vittime prima di ucciderle…e poi perché la stava trasportando con sé…?

Sandy guardò con determinazione Fabiola e sulla sua testa si formò la sagoma dell’Uomo Nero con accanto un punto interrogativo. La piccolina guardò la sagoma con uno sguardo leggermente corrucciato. Non era possibile che non avesse capito quello che stava cercando di dire l’omino di sabbia altrimenti avrebbe usato un’espressione diversa oppure li avrebbe chiesto cosa intendesse dire. Aspettò pazientemente una risposta. Niente. Non sembrò aver voglia parlare…però era una reazione veramente molto insolita…

“Allora, hai finito di dare fastidio?” Farut. Era sulla soglia della cucina con sguardo arrogante come se desiderasse che accadesse qualcosa di orribile alla bambina. La testa di lei si girò lentamente verso di lui con sguardo lievemente irritato.

“الملك العظيم! عظيم الرب! ما تركت لنا النفوس الفقيرة في مملكتك حتى نتمكن من الاستمتاع في كل مجدها! في اسم ربك، وأنا أطلب منك أن تدخل أرضكم” sia l’omino che il ragazzo guardarono Fabiola con sguardi interrogativi.

“COSA…?!” disse allungando la “a” e alzando la voce come se avesse paura che qualcuno non potesse sentirlo.

“الملك العظيم! عظيم الرب! ما تركت لنا النفوس الفقيرة في مملكتك حتى نتمكن من الاستمتاع في كل مجدها! في اسم ربك، وأنا أطلب منك أن تدخل أرضكم…” Sandy riconobbe la lingua: arabo, senza dubbio. Farut invece sembrò essere ancora più confuso. La bambina lo notò subito.

“Non vedo perché dovresti avere quella faccia, dopotutto hai detto tu stesso queste parole” disse con tono secco. Il ragazzo la guardò come se lo avesse insultato.

“Quando? Non so nemmeno cosa hai detto!” la piccolina alzò un sopracciglio più annoiata che perplessa.

“Durante il rito, hai detto queste parole e hai pugnalato una bambolina…non è la tua lingua…?” Farut socchiuse la bocca e la guardò come se avesse parlato in una lingua sconosciuta.

“Forse hai sbagliato a pronunciare le parole…o forse non è pashtu” Sandy intervenne facendo diverse forme con la sabbia.

“Infatti, questo è arabo. Io non lo conosco” Fabiola guardò Farut come se avesse appena detto una battuta squallida.

“Oh…allora come avresti pronunciato queste parole di fronte ad una decina di ragazzi di cui c’era anche Mino…?” Farut si arrabbiò ancora di più.

“STAI DICENDO CHE IO DICO BUGIE?!” disse alzando di molto il tono di voce. Sandy deglutì ancora una volta. Fabiola era ancora inespressiva ma per un attimo l’omino sembrò vedere nei suoi occhi un insolito luccichio.

“Io dico quello che è successo. Come ti è venuto in mente di fare una cosa del genere?! A momenti un licantropo mi sbranava…qualcun altro di noi potrebbe perdere la vita! E ora tu mi dici che non hai fatto niente di quello che ho detto?!” urlò queste parole con i denti chiusi alzandosi in piedi sul divano. Sandy rimase sbalordito dal cambiamento improvviso della bambina. Non capì molto bene cosa avesse fatto l’afgano, ma un pezzetto di frase gli rimase attaccato al cervello come un’immagine di una persona ferita…qualcun altro di noi…qualcun altro…

“ZITTA, DISGRAZIATA!!!” non si accorse subito che Farut iniziò a rincorrere Fabiola per tutto il piano terreno fino a che lei uscì fuori di corsa sparendo in mezzo ai campi di grano di fronte alla casetta di campagna. Sandy riuscì a vedere soltanto il lieve tremare delle spighe…ma non la vide per via della grande somiglianza del colore dei suoi capelli e della sua pelle con le spighe tremanti sotto al sole…

“E NON TORNARE PIÙ!” disse sbattendo la porta dietro di sé respirando affannosamente. Sandy volò dietro di lui, aprì la porta e seguì la direzione presa dalla piccolina.

“Sandy, lasciala morire!” l’omino di sabbia ignorò il suo amico e, confondendosi con il sole e le paurose spighe, sorpassò il campo di grano e cominciò a cercare la bambina.

Si trovò in mezzo a degli alberi di mele che cercarono di dare ombra al Guardiano spingendosi verso l’alto abbracciandosi l’uno con l’altro. Sandy si avventurò nel fitto del piccolo bosco ma sembrò che la piccola fosse sparita completamente. Sembrò che il tempo non si decidesse di scorrere. Non parve nemmeno che la piccola abbia lasciato qualche traccia…non riuscì a credere che fosse stata così veloce…

Si alzò a diversi metri d’altezza credendo che probabilmente sarebbe stato più facile cercarla dall’alto, anche se i meli non sembrarono voler dare una mano a Sandy oscurando il paesaggio terreno. Era quasi totalmente impossibile vedere qualcosa muoversi in mezzo a quell’intreccio di foglie e mele. Sospirando ritornò a mezz’aria guardando ancora verso il basso sperando di poter vedere una bambina…

Avvicinandosi ai tre metri d’altezza sentì qualcosa di insolito per essere in un campo di meli.

Seguì quelle strane voci…

No…era solo una voce…

Una voce molto dolce e calma…

Poteva sentire delle parole.

 

Guardami…

Non vorrei sembrare…o una buona…

Ma lo so…

 

L’omino pensò alle ninfe. Le rare volte che andava nei boschi greci riusciva a sentire le loro voci in lontananza. Erano bellissime le melodie che uscivano dalle loro bocche…ma era soltanto l’unica cosa buona che caratterizzava quelle, apparenti, dolci fanciulle.

Ma a lui le donne non sono mai interessate molto…

 

 

Dimmi…dimmi chi è

L’ombra che…riflette me…

Non è come la vorrei

Perché non so…

 

Chi sono e chi sarò…

Lo so io…lo so io…

 

La vide. Era sopra una quercia non molto alta. Sdraiata a pancia in su sopra ad un ramo particolarmente più largo degli altri. Si nascose dietro ad un melo per vedere come si sentiva.

I suoi occhi esprimevano qualcosa di indecifrabile anche per lui. Sembrarono un misto di ogni sentimento umano, tranne che di rabbia. Ma l’omino di sabbia respirò un’aria carica di…preoccupazione…Vide le sue braccia dondolare accompagnate dal leggero venticello che fece ballare anche i suoi capelli. La fasciatura del braccio destro si stava leggermente srotolando. Vide i suoi occhi…si rese conto quanto fosse stanca…chissà da quanto tempo non ha dormito.

 

E il riflesso che vedrò mi assomiglierà…!

Quando il mio riflesso avrò…

Sarà uguale a me…

 

A Sandy la sua voce li fece venir voglia di sorridere. Quelle presuntuose e permalose ninfe avrebbero dovuto vendere metà del loro corpo per avere solo un decimo della voce che stava ascoltando l’omino del sonno. Involontariamente si assopì al suono di quelle parole e iniziò a farsi trasportare dal vento imitando una foglia autunnale che veniva sollevata dalla brezza autunnale. Si accorse a poco a poco che si ritrovò sotto la quercia.

La benda bianca cadde con un lieve tonfo a pochi metri da lui. Prese la fasciatura vedendo sopra di essa delle macchioline di sangue e si avvicinò di fronte alla bambina galleggiando in aria e ignorando il fatto che lei non sembrò minimamente sorpresa del volo di Sandy e nemmeno della sua presenza. L’omino le riallacciò la benda.

“Devi essere molto leggero per poter volare” Sandy ci pensò un po’ su, dopodichè alzò le spalle non sapendo dare una risposta.

“Scusa se te lo chiedo…mmm…come hai conosciuto Mino e Farut?” sulla testa dell’omino si formò l’immagine di una chiesa che dopo un po’ mutò in figure simili a lui e ai due ragazzi che scappavano da un prete molto alto. Gli occhi di lei brillarono della stessa luce di qualche tempo fa quando mostrò la figura di sabbia del prete.

“Dove si trova quella chiesa?” chiese insieme allo stesso luccichio sinistro. Sandy provò ad ignorare quello sguardo e vide che da sotto la maglietta bianca e nera della bambina sbucò fuori un libro piuttosto insolito.

“Non chiedermi dove l’ho preso. Dov’è quella chiesa?” chiese con determinazione. Sandy non capì quella sua sveltezza e, dopo aver cercato attentamente sulla mappa, indicò l’estremo nord ovest della cartina della città dov’era segnalata con un punto rosso. La ragazzina cominciò a fare dei profondi respiri, nonostante il suo sguardo rimase sempre lo stesso, ma il suo corpo comunicò all’omino uno stato di rabbia e nervosismo piuttosto evidente.

Lei girò le pagine fino ad avere un’immagine della stessa chiesa che l’omino aveva visto il giorno prima. Fabiola puntò gli occhi su di lui.

“È questa…?” la sua voce sembrò esser fatta di vetro, materiale molto duro ma capace di frantumarsi alla minima caduta. Sandy annuì preoccupato. Lei continuò a respirare profondamente abbassando lo sguardo verso l’immagine scura e lugubre. Per un attimo l’omino pensò che stesse per piangere…ma cambiò idea vedendo il suo viso.

Rabbia.

I suoi canini sporgevano all’infuori come quegli di un cane rabbioso. I suoi occhi non riuscì nemmeno a guardargli. Le sue mani strinsero con forza il libro tremando notevolmente.

Con troppa forza...

Sandy non aveva mai visto in una persona gli occhi brillare di rabbia in quel modo. L’omino si spaventò per davvero quando ebbe l’impressione che negli occhi verdastri della ragazzina brillassero due fiamme ardenti. Sandy non riuscì a pensare bene…nemmeno Farut o Mino avevano avuto quelle fiamme.

Il Guardiano dei Sogni prese le mani della piccola.

Le fiamme sostituirono un nuovo scintillio appena videro le mani bianco-gialle dell’omino. Non si accorsero che il libro cadde a terra facendo un potente tonfo per via del grande peso. Gli occhi della piccolina si spostarono dalle manine di Sandy ai suoi occhi. Aveva un’espressione smarrita…L’omino del sonno le sorrise, un gesto quasi involontario.

“…perché fai questo, Yoshi…?” Yoshi…? Sandy non capì perché lo chiamò così, ma una parte della sua testa sembrò urlargli la soluzione all’enigma. Il suo viso deve aver avuto un certo effetto su di lei perché cominciò a guardarsi attorno totalmente smarrita come se si fosse svegliata in un altro luogo da dove si fosse addormentata. Non sembrò turbata, semplicemente…smarrita. Sandy lasciò le sue mani.

Guardò il cielo che intanto si era inscurito e il vento cominciò a soffiare molto più forte di poco fa.

“…credi che Farut mi farà entrare in casa…?” disse guardando le nuvole che vennero tirate contro voglia dal vento. Sandy pensò a quello che accadde quando vide la pagina di quel libro. Cominciò a pensare con molta più attenzione a cosa le fosse accaduto…e pensò anche a Pitch Black…pensò a quando disse che fu quasi sbranata da un licantropo…

Mise una mano sulla spalla di lei che, con la coda dell’occhio,vide poggiarsi docilmente poco più lontano del suo collo.

Sandy fluttuò fino a pochi centimetri da terra e fece segno alla ragazza di seguirlo. Lei si aggrappò al tronco della quercia e scivolò lungo di esso fino a toccare il terriccio. Lui prese di nuovo la sua mano e, alla sua altezza, la tirò leggermente portandola verso la casetta alla fine del campo di meli e del campo di grano, ignorando la sua espressione turbata.

Sandy bussò alla porta. All’ingresso venne Farut che, appena vide la ragazzina, sbattè la porta in faccia ad entrambi. Non tornò indietro neanche dopo che Sandy bussò una seconda volta.

“Dovremo entrare da dietro” così fecero. Entrarono nella vecchia cucina un po’ polverosa con i mobili in legno chiaro e le sedie e il tavolo scuri. Trovarono Mino veramente molto preoccupato che, appena li vide, si gettò su di loro con la faccia più bianca che Sandy abbia mai visto in lui.

“Per fortuna! Che infarto che mi avete fatto prendere! Ma cos’è successo? Farut è furioso come un toro, mi pare che c’entri tu, Fabi.”

“Buttala fuori!” si sentì chiaramente la voce dell’afgano dalla stanza accanto. Mino rigirò gli occhi con aria scocciata e si voltò di nuovo verso i due.

“…andate ovunque tranne in cantina, è diventato una furia…” sussurrò il moro.

“…com’è andata…?” chiese sottovoce Fabiola. Mino sorrise felice.

“…non ci potevo credere che se l’erano bevuta! Non mi hanno nemmeno guardato in faccia…!...ah, si! Fabì, devi scegliere qualcosa da metterti quando andrai in paese….so che non sei ricercata come noi ma sai com’è…non si sa mai...” Fabiola guardò il ragazzo con sguardo interrogativo.

“…perché siete ricercati…?” Mino sospirò prendendo gli occhiali e pulendogli con un fazzoletto di seta bianca.

“…non saprei…credo che sia Sandy il loro problema…appena ci hanno visti insieme hanno voluto prendere i fucili…” la ragazzina lanciò uno sguardo insolito all’omino. Lui sorrise alzando le spalle. Lei si rigirò verso il ragazzo.

“…cos’ha fatto…?” anche Mino lanciò uno sguardo a Sandy. Il Guardiano si sentì molto in imbarazzo, ma li sorrise ugualmente.

“…non lo so…non vuole nemmeno dircelo…”

“GELSOMINO! BUTTALA FUORI!” si sentì un’orribile urlo da sotto il livello della casa. Sandy e Mino sussultarono.

“…vai ovunque tranne là sotto…anzi…vai in soffitta…!...ti divertirai…!” sussurrò con un sorriso rimettendosi gli occhiali.

Sandy fece cenno di seguirlo e insieme attraversarono il corridoio, salirono le scale e la scaletta nascosta sul soffitto fino a raggiungere la soffitta.

Era un gigantesco stanzino con tre file di appendiabiti. Fabiola girò tra i vestiti piuttosto sorpresa, anche l’omino cominciò a cercare un vestito per lei. Dopo chissà quanto tempo Sandy si girò verso di lei per vedere come stava procedendo la ricerca. La vide di spalle con in braccio la manica di un vestito.

“A me non piacciono le gonne…ma questo vestito mi ricorda le feste in maschera che facevamo io e mio cugino…credo sia della mia misura…” si girò mostrando l’abito. Sandy riconobbe un vestito regionale…campano se non si sbagliò. All’omino piacque molto e scese al piano di sotto quando Fabiola desiderò provarlo.

 

 

 

 

“Eccomi!” fu la prima parola allegra che Sandy abbia mai sentito da lei. Si girò…il viso dell’omino si illuminò quando la piccolina scese dalla scaletta.

Il vestito regionale aveva una gonna rossa e leggera, per nulla gonfia o ingombrante che si fermò alle sue caviglie dove vide da sotto delle calze bianche e aveva ai piedi delle scarpette nere. La parte di sopra aveva un corpetto azzurro decorato con decorazioni semplici e gialle e la scollatura venne coperta con della seta bianca. Anche le lunghe maniche gonfie erano ugualmente di seta bianca che si fermarono ai polsi grazie a dei nastri verdi. Aveva lasciato i capelli sciolti ma aveva usato come cerchietto uno spesso nastro nero che tenne ferma solo la frangia e le estremità si confusero tra i suoi capelli.

“Mi ricordo che da piccola avevo indossato un vestito come questo. Mi pare che fosse Carnevale…tutti in classe mia e in quella di mio cugino si erano messi d’accordo di indossare dei vestiti regionali come questo…e…e…c’erano gli Arlecchini…e i Pulcinella…la zia aveva cucito per noi due dei vestiti simili…ci siamo divertiti moltissimo…!” e cominciò a sorridere…Sandy era felice che Mino abbia avuto quell’idea. Deve fare qualcosa…idea…!

Sandy si avvicinò a lei e fece un elegante inchino porgendole la mano. Lei continuò a sorridere capendo le intenzioni dell’omino e fece un profondo inchino anche lei.

“Accetto la sua mano, monsieur Sandy” detto questo prese la sua destra e anche la sinistra. Iniziarono a ballare come due bambini. Fabiola mosse i piedi un po’ a caso, ma non sembrò impacciata e nemmeno imbarazzata, invece Sandy non potè far altro che fluttuare sul posto muovendo un po’ i piedi…mai visto delle persone tanto felici…Gli occhi di lei sembrarono aver preso vita. Non vide più due solchi marroncini, ma due bellissime gemme smeraldine che sembrarono aver voglia di…vivere. Si trovò davanti alla vita…sarebbe bellissimo che questa felicità rimanesse scolpita ancora per molto tempo su questo dolce visino. Piccola dolce bambina…sii felice ancora per molto…ti prego…non appassire rosa bianca…non temere…ci sono qui io…ti farò sorridere…non essere ancora triste…scoprirò cosa ti rende triste e lo porterò via da te…

“Monsieur Sandy! Volete tenere soltanto per sé questa bellissima fanciulla?!” si girarono. Mino si era rimesso il frac e il cilindro. Lui scattò subito in avanti rubando la bambina dalle mani dell’omino. Entrambi fecero un lento valzer nonostante la grande differenza di altezza. Sandy mise le mani sopra ai fianchi e, fingendo di essersi offeso, si mise in mezzo a loro due e riprese la fanciulla con cui stava ballando. Continuarono così per poco fino a quando decisero di prendersi tutti e tre per mano e di fare un cerchio ballando tutti insieme…le candele illuminarono il largo corridoio facendo credere ai tre che fossero in una reggia con dei lampadari di diamanti sul soffitto…Monsieur Sandy ammirò le meravigliose stelle di quella sera che fecero da diamanti ai lampadari della reggia…il sole dipinse per poco tempo quel cielo che cominciò a scurirsi cercando di lasciare il posto alla luna…i tre nobili vollero continuare a ballare…

“Ma cos’è questo concerto?!” sei occhi si girarono verso Farut. Era più fuori di sé di prima.

“Ma avete bevuto?! Maledetta…ti ho detto di andartene da questa casa, e ora ti ritrovo ancora qui?! Sparisci!” detto questo si avvicinò pesantemente verso la ragazzina che fece diversi passi indietro per non venire presa. Tutta la felicità di pochi secondi prima sfumò completamente, lo stesso per il viso di lei che si ritrasformò in quella maschera severa e impassibile.

“Questa non è casa tua. Posso stare qui dentro quanto voglio, se lo voglio. Poi, non vedo perché dovresti essere arrabbiato per così poco…” lui la interruppe mettendo la mano sinistra a pugno.

“Questa è bella! Perché dovrei essere arrabbiato per così poco?! Ma hai la minima idea di cosa abbiamo visto poco lontano da qui?! Quelle bestie possono venire anche qui se lo vogliono e voi fate anche un teatrino?! Vattene fuori!” disse buttandosi verso di lei con aria minacciosa. Lei schivò le sue mani e cominciò a correre verso la scaletta. Lui, prima che la bambina raggiungesse la soffitta, la prese per il piede e la trascinò giù a forza.

“Mi hai stancato…” urlò tra i denti afferrandola per le spalle. Fabiola si liberò dalla stretta e scappò fuori da una finestra finendo sopra al tetto.

“Torna subito qui!” disse l’afgano uscendo anche lui dalla finestra e cominciando ad inseguirla. Mino e Sandy avevano le mascelle spalancate. Erano vicini al camino, Fabiola, in poco tempo, raggiunse la finestrella rotonda che portava alla soffitta e si buttò dentro chiudendola per bene lasciando Farut fuori. Lui cominciò a martellare il vetro.

“Fammi entrare!!!” lei raggiunse subito l’omino e il moro e insieme videro l’afgano che sembrò rendersi conto solo in quel momento di trovarsi sopra ad un tetto ed iniziò a tremare con aria spaventata guardandosi attorno con occhi spalancati e i denti che lottarono a vicerda.

“Aiuto…” disse aggrappandosi al camino chiudendo gli occhi per non guardare di sotto. Al Guardiano dei Sogni quasi non potè credere a ciò che stava guardando, invece il moro e la bionda scossero la testa.

“Eccoci di nuovo…un’altra volta…” sussurrò Mino. Questo fece formare un grosso punto di domanda dentro e fuori la testa di Sandy e chiese cosa intendesse dire. Il moro li fece segno di parlare un’altra volta e non si accorsero che Fabiola, intanto, aveva aiutato l’afgano a ritornare dentro casa.

 

 

 

 

Farut, dopo il salvataggio, accettò, anche se con qualche brontolio, di far entrare nella squadra la ragazzina. Dopo un po’, mentre Farut e Fabi, come la chiamarono i ragazzi, stavano scegliendo qualche pigiama da far indossare alla piccolina, Sandy richiese la stessa domanda di un’ora fa.

“Ah, te lo ricordi…?” chiese Mino abbastanza stanco mentre stava riponendo gli occhiali dentro il cassetto. L’omino annuì. Probabilmente qualcos’altro era accaduto se Farut si era comportato in quel modo e Sandy, ovviamente, volle sapere perché l’afgano odiasse così tanto la bambina.

“Ok…ti devo solo dire che se Farut scopre che te l’ho detto mi trasformerà in una polpetta” Sandy li sorrise mettendosi una mano sul cuore e l’altra alzata annuendo solennemente.

“Va bene, apri bene le orecchie, ci sarà da divertirsi!” l’omino si sedette sul letto vicino al moro.

“Allora, sai che ti ho detto del collage a New York e di tutto il resto, no? Beh, il terzo giorno siamo andati a fare un pic-nic in un parco…non mi ricordo come si chiamava. C’erano tantissime persone: francesi, spagnoli, tedeschi e tanti altri e tra questi c’erano i due famosi bricconi, i gemelli Sanz” qui Mino rigirò gli occhi un po’ imbarazzato. Il Guardiano aspettò pazientemente che lui continuasse la storia.

“Insomma…insieme a tutte quelle persone c’eravamo anche noi, Farut ed io, che stavamo mangiando una di quelle schifezze americane…per un po’ di tempo tutto andò bene…ma poi il cellulare di Farut squillò e…mi pare che fosse accaduto qualcosa di brutto a suo zio o ai suoi fratelli perché dopo la telefonata cominciò a diventare piuttosto nervoso…” Sandy vide che le dita di Mino stavano cominciando a litigare fra di loro.

“Poi arrivarono i gemelli spagnoli che stavano attirando l’attenzione di tutti perché avevano fatto uno dei loro scherzi e la loro vittima stava cominciando a vomitare per tutto il prato…credimi era una cosa disgustosa…” Mino si mise una mano davanti alla bocca come se stesse vedendo la scena in quel preciso istante.

“Ma poi accadde che Farut si arrabbiò in particolar modo con la gemella, Carmen, e cominciò a dire molte cose piuttosto maschiliste…credo che tu non le voglia sentire, giusto…?” Sandy annuì…voleva sapere il seguito della storia, sapeva di essere vicino alla soluzione. Sul viso di Mino apparve un sorriso molto allegro.

“Ad un certo punto, prima che scoppiasse una rivoluzione perché l’altro gemello voleva picchiarlo…cadde dell’acqua su Farut!” Mino sollevò le braccia al cielo come se volesse sottolineare meglio l’accaduto.

“Quando alzai la testa vidi Fabi con una bottiglietta d’acqua in mano sopra ad un albero. Farut l’aveva minacciata di scendere e lei, in risposta, li buttò in faccia la bottiglia. Da qui iniziò una specie di inseguimento sopra l’albero…!” e cominciò ad imitare con le mani la grande velocità della ragazzina e la goffa salita dell’afgano.

“Prima che Farut la prendesse, lei saltò sopra ad un altro albero e scese giù. Poi lui non sapeva più come scendere perché si era ricordato che soffriva di vertigini! Ed erano arrivati anche i pompieri! Non sai che risate hanno fatto tutti!” entrambi risero di gusto per l’episodio. Ora si spiegò tutto: Fabi aveva fatto fare una figuraccia davanti a tutto il mondo a Farut perché aveva tormentato due ragazzi poco maturi. Era tutto chiaro.

“Ancora a festeggiare, eh…?” Farut. Entrambi smisero di ridere guardando l’afgano con molta serietà.

“Cosa c’è da ridere? Dai, avanti, fate ridere pure a me!” disse con falsa felicità cominciando a martellare la porta con la sinistra. Mino e Sandy si guardarono come se non capissero cosa stesse dicendo l’altro.

“No, niente…la stanchezza, sai com’è…fa fare delle stupidaggini…” disse il moro sbadigliando. Sandy, per convincere il ragazzo, fece apparire sulla sua testa una figura simile a lui che stava dormendo in un gigantesco letto. Farut, non molto convinto, alzò le spalle e se ne andò chiudendo la porta dietro di sé.

Appena i passi lungo il corridoio sparirono, Mino e Sandy si guardarono negli occhi. Dopo un paio di secondi ricominciarono a ridere ricordando il comico episodio.

 

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Capitolo 10
*** Un mostro in cucina ***


 

Stavano tutti dormendo…forse.

O almeno era certo che Mino dormisse…aveva appena posato sulla sua testa un inventore che aveva inventato un nuovo macchinario.

Però prima di andare da Farut volle vedere Fabiola.

Entrò nella piccola cameretta azzurra da bambina…solo che non aveva mai visto una cameretta così in ordine quando solcava i cieli delle città. Le tende, anch’esse azzurre, oscurarono la stanzetta restando in una silenziosa penombra. Riuscì a vederla. Non era un dolce sonno come aveva immaginato: incurvò molto spesso le sopracciglia, come se qualcosa la disturbasse molto. Forse questo accade quando non si ha per molto tempo nessun tipo di sogno o incubo…meglio non perdere tempo…

…cosa potrebbe fare…?

…ma certo…!

Potrebbe vedere i suoi ricordi di quando era bambina…! Perché no?

Si concentrò e formò con la sua sabbia una lunga striscia che, piano piano, si posò sulla testa della piccola. L’espressione turbata si spense e le palpebre si rilassarono.

Sulla sua testa apparve una bambina di circa sei o sette anni…era lei sicuramente. La piccola stava cominciando a camminare verso una direzione ignota.

Sandy incrociò le gambe e mise i gomiti sulle cosce.

La piccola Fabiola raggiunse una specie di bosco e continuò a camminare ma guardandosi attorno come se cercasse qualcuno. Ad un certo punto guardò di fronte a sé e sembrò essere molto felice. La bambina cominciò a camminare in punta di piedi continuando a guardarsi attorno con circospezione.

Sandy si avvicinò ancora di più al sogno.

Ad un certo punto apparve un’altra bambina che stava seduta per terra con la schiena poggiata ad un grosso albero con in mano un cappellino. Quella stava cucendo sul cappello, con ago e bottone, quello che sembrarono delle piume. La piccola Fabiola si gettò su di lei che si alzò di scatto spaventata.

Sandy sorrise per i gesti infantili.

Ma appena la bambina vide Fabiola sembrò essere impazzita dalla gioia e raggiunse l’amica abbracciandola saltellando sul posto, ma nascondendo dietro di sé il cappellino. Appena l’abbraccio si sciolse, Fabiola indicò il braccio semi-nascosto dell’altra. Lei fece un cenno e l’amica chiuse i suoi occhi con le mani. Mentre la piccola Fabiola non vedeva niente, la bambina prese il cappellino e lo mise sulla testa dell’altra. Appena ebbe finito, fece aprire gli occhi dell’amica. La piccola Fabiola prese il cappellino, saltò felice appena lo prese in mano e corse ad abbracciare la bambina.

Sandy si prese le mani e le poggiò al cuore.

Sentì un sospiro.

Abbassò la testa di scatto verso l’addormentata.

Non potè crederci…non voleva farle questo.

Un altro sospiro…

Stava piangendo…

Un pianto senza lacrime…

Sandy era molto dispiaciuto…forse deve aver fatto ricordare una piccola amica che non c’era più…alzò gli occhi verso il sogno. Ora le due bambine avevano incontrato altri bambini, sia maschi che femmine…e si tennero per mano formando un cerchio e ballando tutti insieme…

Fabiola strinse il cuscino con più forza.

Sandy riprese il sogno fino all’ultimo granello e uscì fuori dalla stanza velocemente. Si sarebbe svegliata, senza dubbio…accadeva sempre così quando ritirava i suoi sogni. Si nascose in fondo al corridoio, dentro lo stanzino delle scope.

Non voleva fare quello…non voleva provocarle altro dolore…gli dispiaceva così tanto…non volle…

Dallo spiraglio vide Fabiola uscire dalla stanzetta…aveva uno sguardo tristissimo…quello sguardo fece sentire ancora di più in pena il Guardiano. Lei abbassò la testa sedendosi per terra nascondendo il viso tra le braccia…che cosa aveva fatto…forse sarebbe meglio andare da lei e tranquillizzarla…si, forse sarebbe meglio…

Fabiola alzò la testa di scatto girandosi intorno con aria circospetta.

Sandy chiuse la porta per non farsi vedere…cos’era accaduto…?

Sentì i piccoli e silenziosi passi di lei andare verso le scale. Sandy riaprì la porta e seguì la piccola che non si accorse di lui vista la grande distanza tra di loro. Fabiola, quando dovette scendere le scale, si accucciò ad ogni gradino annullando ogni singolo rumore che produssero i suoi piedi. L’omino vide che sbirciò il salotto dove sembrò non trovare nessuno, perché al quarto gradino si alzò e camminò con naturalezza fino alla fine della scalinata. Sandy la seguì fino al punto dove lei si accucciò.

Vide che lei si girò con circospezione per tutto il soggiorno come se cercasse qualcuno controllando addirittura dietro i due divani. Sospirò scoraggiata e si girò verso la cucina.

Appena si girò il suo corpo ebbe una specie di spasmo e la sua bocca si contrasse. Non riuscì a vedere il resto del suo viso per niente illuminato. Si girò verso la cucina. Ebbe la stessa reazione di Fabiola.

L’Uomo Nero era seduto composto ed elegante a capo tavola leggendo il libro color ghiaccio che vide tra le mani della ragazzina quel pomeriggio. Sfogliò le pagine con naturalezza, come se non si fosse accorto della piccola.

No…non avvicinarti a lui…no…no…lei andò dall’altro capo della tavola. La finestra aperta mostrò le stelle che illuminarono la figura autoritaria della piccola. La vestaglia bianca che le arrivava poco più sotto delle ginocchia sembrò che volesse trasformarla in un fantasma. Le fitte decorazioni arricchirono il corpicino minuto e sottile che si confuse con la pelle bianca, e i capelli in quel mentre sembrarono essersi inscuriti diventando marroncini, quasi neri.

Appena si fermò davanti alla sedia l’uomo alzò gli occhi dal libro mostrando due sfere ambrate, come quelle di un lupo che vide dopo molti giorni un piccolo agnello indifeso e senza protezione.

“Buonasera…come mai sveglia a quest’ora?” chiese divertito. Sandy potè vedere la scena perfettamente dato che i due personaggi si mostrarono di lato. Fabiola, in confronto allo sguardo divertito dell’uomo, aveva degli occhi che mostrarono destrezza, per nulla perplessi.

“Strano…mi sembrava che mi avessi chiamato…era la tua voce…” Pitch poggiò il libro sul tavolo guardando la sua piccola preda con falsa perplessità.

“Io…? Come avrei potuto…? Non possiedo quegli affarini tecnologici…o come gli chiamate voi…” gli occhi di Fabiola si erano dipinti di verde.

“Sei proprio un anziano se non riconosci il termine di quei “affarini tecnologici” o come gli chiami tu…” Pitch mostrò un sorriso che agli occhi dell’omino sembrò forzato.

“Smettila di giocare con me…ho già una sciagura a chissà quanti chilometri da qui e non voglio che tu ti aggiunga alla mia felice collezione…” la piccola sembrò essersi stancata di vederlo. Pitch si alzò dalla sedia non facendo il minimo rumore. Sandy, che per tutto quel tempo era all’erta da ogni possibile attacco dell’uomo, ebbe timore che potesse fare qualcosa di avventato e si alzò dagli scalini per raggiungere la ragazzina.

Delle mani lo fermarono.

Si girò.

Farut.

Il ragazzo li fece cenno di fare silenzio e di stare calmo. Sandy non capì se l’afgano aveva compreso la gravità della situazione e provò ancora una volta ad alzarsi ma Farut era troppo forte e lo bloccò sullo scalino.

“Cosa ti fa pensare che io stia giocando con te?” l’omino si girò e vide l’Uomo Nero dietro la sedia del capo tavola che scrutò la bambina con interesse.

“Forse il fatto che tu stia rigirando il discorso senza sapere il perché tu ti stia proteggendo?” Pitch sembrò disgustato dall’ultima affermazione di Fabiola, come se avesse quella parola in bocca e sentisse il sapore amaro.

“Cosa ti fa pensare che io mi stia “proteggendo”? E soprattutto da cosa?” tutti i presenti, tranne l’interessata, vollero sapere il seguito delle parole dei lei. Questa volta fu la piccola a divorare con gli occhi l’uomo.

“Da me forse?” Pitch rise. Rise talmente forte che l’omino si meravigliò che Mino non si fosse svegliato. Continuò a ridere piegando la testa verso il tavolo.

“…o magari da quello che potrei dirti?” le risate si tranquillizzarono. Sei occhi erano fissi su quelli di Pitch che, intanto, avevano ricominciato a guardare gli smeraldi di lei con una strana luce.

“E cosa dovresti dirmi di tanto importante da farti temere così tanto da me?” disse incrociando le mani dietro la schiena. Fabiola ridusse i suoi occhi in due fessure.

“Che può darsi che io sappia che io mi ritrovi davanti all’Uomo Nero in persona?” Sandy sentì che Farut era sul punto di alzarsi e di andare dai due. Questa volta fu l’omino a fermarlo. Gli occhi sigillati di Pitch puntarono sul libro e lo presero in mano mostrando la copertina alla proprietaria.

“Non avrai per caso…”

“Puoi restare fisso su quel libro fino a Capodanno se vuoi ma non c’è scritto assolutamente niente su di te là dentro” l’uomo non aveva parole.

“E allora chi…?”

“Una piccola amica…che sapeva il tuo nome...” sembrò essersi rattristata quando disse quelle prime parole. Pitch rimise sul tavolo il libro senza staccare lo sguardo dalla piccola.

“E cos’altro ti avrebbe detto la tua piccola amica?” disse con un profondo interesse negli occhi. Fabiola cominciò ad elencare sulle punte delle dita.

“Sei capace di creare delle armi…puoi teletrasportarti da un luogo ad un altro passando per le ombre…puoi nasconderti dentro le ombre…puoi chiamare le tue…vittime…facendoti sentire solo dagli interessati…la tua reale età è di duemila anni, non come ci aveva detto l’afgano che sicuramente hai visto…crei dei cavalli fatti di sabbia nera che, come io abbia capito, in verità si trattano di incubi…il tuo rivale è Sandman, il tuo perfetto contrario anche in fatto di poteri, infatti lui controlla i sogni…devo andare avanti…” Farut fece girare Sandy e chiese con lo sguardo: è tutto vero? Sandy annuì con decisione. L’afgano chiese ancora con gli occhi: perché non ce l’hai detto prima?

“Sa un po’ troppe cose la tua amica…dove sarebbe? Una visita non le farebbe molto male…” l’uomo intanto si era avvicinato un po’ alla piccola arrivando a metà del tavolo.

“Non le daresti fastidio comunque…” si indurì ancora di più. La tentazione di raggiungerla era molto forte.

“Perché mai? Non sarebbe un male vedere…”

“Taci…!” questo lo disse con la rabbia tra i denti volgendo lo sguardo verso le stelle. Sembrarono due ombre che venivano toccate dalla luce crescente di quei piccoli pianeti così distanti da noi…

“E sarebbe solo questo quello che ti rende così…” non ultimò in tempo la frase che lei girò di scatto la testa verso di lui mostrando degli occhi marroncini molto duri e severi.

“Quel ragazzo lupo dovrebbe invidiarti in fatto di pedinamenti notturni…perché vi interesso così tanto?” l’uomo fece un altro passo silenzioso verso la ragazzina. Si guardarono negli occhi con sguardi severi ma che mano a mano sembrarono addolcirsi…soprattutto quello dell’uomo. E se stia ritornando…? È passato così tanto tempo che non ci avrebbe mai giurato…

Gli occhi dell’uomo, insieme a quegli della bambina, erano l’unica cosa che si videro in quella fitta oscurità. Gli occhi del lupo erano diventati qualcos’altro che Sandy riuscì a riconoscere. Era incredulo…era passato troppo tempo…com’era possibile…? E soprattutto perché ora…? Perché con questa piccola rosa bianca e non con lui? Non sono nemmeno molto simili fra di loro…non seppe come, ma forse poteva ritornare come prima…forse…!

“…non me lo dirai…giusto…?” erano a poco meno di un metro di distanza. L’Uomo Nero scosse lievemente la testa sospirando.

“…oh, Fabia…” si guardarono ancora negli occhi ma questa volta con stanchezza. Per molto tempo non accadde niente e Farut sembrò innervosirsi molto. Fabiola scosse la testa abbassandola.

“…perché l’avevi fermato…?...non ha senso quello che hai fatto…” ancora silenzio.

“…anch’io credo che non abbia senso…non lo riesco a capire nemmeno io, piccola…” disse distogliendo lo sguardo da lei guardando fuori dalla finestra, lei lo imitò ma sedendosi a capo tavola vicino a lui. Guardarono il paesaggio notturno dando le spalle all’omino e all’afgano. Dopo molto tempo si sentì un sospiro dall’Uomo Nero e si sentì una lieve e fredda risata in sottofondo.

“…è assurdo…perché sto parlando in questo modo…?” disse continuando a scuotere la testa con insistenza. Fabiola non mosse un muscolo.

“…forse ti ricordo qualcuno che conoscevi quando eri ancora in vita…in genere accade questo ai fantasmi…forse anche a te…” dopo pochi secondi Pitch girò lentamente la testa verso la bambina. La veste bianca creò un potente spacco di luce in confronto alla veste nera dell’uomo, come se le stelle volessero volontariamente inquadrare Fabiola.

“…sarebbe impossibile…” la ragazzina girò la testa verso di lui. I suoi occhi ritornarono calmi e verdi.

“…perché no…?” l’uomo mostrò un sorriso mozzato scuotendo la testa.

“…non sono mai stato in vita, Fabia…” questo fece inorridire l’omino. Sentì un freddo gelo nel suo cuore…si stava creando un violento temporale dentro di sé…

“…scusa…?” nessuno dei due distolse lo sguardo dall’altro. Il cuore di Sandy cominciò a fargli male…

“…sono nato dal nulla…non ricordo di essere mai stato un mortale…e non ho mai avuto prove che io sia mai stato…” vide la sua destra iniziare a martellare con le dita il tavolo di fianco a sé con molta calma, non trovando la parola giusta. Nell’omino la violenta tempesta stava peggiorando inghiottendo e spezzando in due il cuore del poveretto che volle tanto girarsi e volare via…lontano da chiunque…ma la voce dura e pungente della ragazzina li fece cambiare idea. Anche perché le parole che pronunciò vennero piantate in mezzo alla tempesta, come una scialuppa di salvataggio.

“Quello che hai detto è a dir poco impossibile” disse alzandosi dalla sedia buttandola dietro di sé provocando un rumore pungente. L’uomo la guardò con sguardo interrogativo. La scialuppa prese l’omino portandolo al di fuori della tempesta.

“…cosa vorresti dire…?” chiese inarcando le sopracciglia. La veste di Fabiola, oltre ad illuminarsi a contatto con le stelle, provocò una potente luce sui capelli ricamandogli di un giallo scuro. Solo in quel mentre l’omino si accorse che al collo la ragazza portò due pietre colorate che splenderono come i suoi occhi, ma il primo colore che vide fu il giallo.

“Guardati attorno, cosa vedi?” chiunque avrebbe capito che l’uomo fosse profondamente perplesso.

“Questa volta sei tu che stai giocando con me…” lei lo interruppe.

“Non cambiare argomento” disse con decisione tanto che l’Uomo Nero dovette accontentarla. Con un annoiato sospiro indicò la sedia dietro di lei. La piccola si girò e si sedette sopra.

“Allora…questa sedia, nata probabilmente negli anni ’90, è stata inventata da un certo…” detto questo strizzò gli occhi leggendo dietro l’oggetto il nome del proprietario. C’era troppa oscurità…

“…Carl…il resto lo leggerò quando mi sarò trasformata in una civetta” nonostante il tono di voce fosse neutro, l’uomo ridacchiò mettendosi una mano sulla fronte.

“…ebbene questa sedia è stata inventata principalmente con l’intento di sedersi sopra…” detto questo si sedette sulla sedia. La scialuppa portò l’omino verso un’isoletta molto calma e pacifica, con sabbia di un oro scuro. Aveva capito cosa intendesse fare la ragazzina. Ma l’uomo non sembrò aver compreso cosa volesse dimostrargli e cominciò a fare un sorriso divertito interrompendola.

“…è una bella spiegazione ma…perché mi vuoi far ragionare  su questo…?” Fabiola si alzò dalla sedia. Il suo portamento serio e pacato fece ricordare all’omino una sacerdotessa di Apollo…oppure di Diana…Indubbiamente era così.

“Ti credevo più intelligente…quello che sto cercando di dirti è che tu hai detto proprio una cosa del tutto assurda. Ogni persona, animale o cosa non è stata creata per gioco o divertimento, anzi, serve proprio ad un specifico compito che deve intraprendere in questo mondo…voglio dire nel nostro mondo…” mano a mano si era avvicinata ancora di più all’uomo, tanto che lo stesso dovette indietreggiare diverse volte arrivando fino all’altro capo della tavola. Lei a quel punto si fermò guardando negli occhi l’Uomo Nero facendogli segno di sedersi. Pitch prese la sedia e, senza staccare gli occhi da lei, si sedette silenziosamente.

“Sai che sei la prima ad essere contenta della mia esistenza?” disse mentre la piccola raggiunse l’altro capo di tavola prendendo la sedia sbattuta poco fa e rimettendola a posto.

“Ne sono onorata, cavaliere. Anche se “contenta” è una parola grossa” disse sedendosi e usando un tono ironico ma con lo stesso viso di marmo. L’uomo usò la stessa risata fredda.

“Cavaliere? Per te io sarei un cavaliere?” chiese ridacchiando ma in modo più sciolto. Fabiola rilassò le braccia.

“Certo. Sai cavalcare…usare armi…combattere con le spade…io ti vedrei con un’armatura…anzi, Pitch Black: dux popolorum Romanorum est…mmm…non è il tuo nome di battesimo immagino…dubito che nell’anno zero esistesse un nome del genere…” certo, piccola mia…infatti un tempo non si chiamò così…

“E secondo te cosa potrei fare di tanto utile?” con sorpresa di tutti Fabiola rispose subito.

“Cosa fai tu, in compito di Uomo Nero?” Pitch sembrò contento che la bambina glielo avesse chiesto. Si alzò da tavola e camminò fino a toccare le spalle di lei. Lei mosse solo la testa per guardarlo. A Sandy salì su per la schiena un freddo brivido che s’impossessò anche di Farut. Le dita dell’uomo artigliarono le spalle della ragazzina. Fabiola a quel contatto freddo inarcò le sopracciglia e guardò dritto verso di sé. Pitch avvicinò la sua bocca al suo orecchio destro.

“…non pensare che io possa dare meraviglia, speranza o sogni ai bambini…preferisco che io sia temuto per quello che sia il mio elemento…” smise di stringere le sue spalle e davanti agli occhi dell’omino e di Farut sparì. Sandy sentì che l’afgano dietro di lui stava tremando insistentemente. Fabiola si accorse solo dopo qualche secondo che l’uomo sparì ma non sembrò minimamente spaventata o perplessa, non si guardò nemmeno in giro per capire dove fosse. Una voce rimbombò nella stanza.

“…io porto strazio…dolore…disperazione…ma principalmente paura…non immagini come regnavo beato durante i Secoli Bui…l’epoca che voi chiamate Medioevo…quegli si che erano bei tempi…non immagini quanto potere avevo…!” Fabiola, mentre lui parlava spedito, si era alzata dalla sedia e raggiunse il punto centrale tra il soggiorno e la cucina, mostrandosi di lato ai due spettatori che temerono che potesse vedergli.

“E immagino che a questo punto erano arrivati dei valorosi guerrieri a fermarti e il tuo regno crollò sotto ai tuoi piedi, o sbaglio…? Immagino che c’entri Sandman e ho sentito che c’era qualcun altro con lui, o sbaglio ancora una volta…?” per molto tempo non si sentì nulla. Anche Sandy era profondamente sorpreso e sentì che Farut aveva gli occhi fissi sulla bambina. Pensò che alla fine avrebbe dovuto spiegare a lui tutta la situazione …Fabiola cominciò a camminare in tondo gesticolando.

“Immagina che il mondo in sé sia una bilancia. Da un lato si trova il Bene in generale e dall’altro il Male. Per fare in modo che il mondo possa reggersi con i propri piedi e la propria testa, entrambe le parti della bilancia devono essere della stessa altezza. Perfettamente…non deve né padroneggiare il Bene e nemmeno il Male. Ma se tu, che sei il Male, aumenti il peso del tuo potere, il mondo sprofonderà e verrà distrutto. Infatti in epoca medioevale c’erano molti disagi sui mortali e sono più che certa anche tra gli spiriti come te…” sembrò che parlasse con sé stessa dato che l’Uomo Nero non parlò o si mostrò a lei. Come se si nascondesse…in effetti…forse Fabiola gli ricorda qualcosa che ha dimenticato…forse…

“…ma allo stesso tempo tu e quello che fai necessitano per reggere la bilancia. Tu sei stato fermato per motivi più che giusti, ma non è detto che il Bene debba trionfare ogni volta. La bilancia non potrebbe reggere solo quel peso. Infatti il mondo non è stato creato per reggere da solo questa forza…e quindi non dovresti riprovare a riavere quel tuo bel trono dorato…non sta bene…è troppo comodo…” disse aggiungendo una nota aggressiva alla parola “comodo”. In quel mentre Pitch apparve dietro la piccola che guardò le mani con cui formò le due parti della bilancia dando lo sguardo alle scale, dove si trovarono i due spettatori. L’uomo si avvicinò cautamente a lei. Sandy vide i suoi occhi…aveva visto spesso quella severità ma…Farut lo trattenne ancora, anche quando Pitch la girò rudemente verso di lui piantando i suoi occhi da lupo verso il povero agnellino.

“…sarà anche comodo per te…ma non puoi immaginare il peso che può avere la solitudine quando soltanto le leggende sanno della tua esistenza…non puoi immaginare quanto possa pesare sapere che nemmeno un mortale sappia della tua esistenza…tu non lo sai…sei troppo piccola…non sai quanto sia straziante quando tutti…!”

“…quando tutti ti guardano come se desiderassero la tua morte…come se fossi un disgustoso parassita di cui la morte sarà un beneficio…? Credi che io non lo sappia soltanto perché hai duemila anni in più sulle spalle?!” Sandy e Farut spalancarono gli occhi. L’Uomo Nero rimase con la bocca semi-aperta e gli occhi seri si trasformarono in perplessi. La voce di Fabiola sembrò quasi brutta alle orecchie di Sandy. La bambina distolse lo sguardo in fretta. I piedi scalzi e bianchi camminarono fino alla cucina fermandosi stancamente fino ai ripiani di legno.

L’uomo cambiò espressione mentre guardò quella piccola rosa allontanarsi da lui. Un’espressione mai vista in lui…tanto che l’omino aveva creduto che non potesse più provare preoccupazione.

La piccola sospirò…non riuscì ad arrivare fin lassù…l’uomo si avvicinò a lei e prese al suo posto la bottiglia di vetro che interessò la ragazzina e la posò sul tavolo allontanando il libro. Lei intanto aveva frugato all’interno dei cassetti più bassi e tirò fuori due bicchieri. Lei si sedette e svuotò la bottiglia riempiendo a metà entrambi i bicchieri.

“Vuoi un po’ d’acqua?” le palpebre dell’uomo sbatterono molte volte prima di assimilare il messaggio…o almeno così parve ai due spettatori.

“…” intanto la piccola aveva bevuto e posò il bicchiere delicatamente sul tavolo. I capelli non fecero vedere il viso nemmeno all’uomo oscurandolo totalmente. Dalle due parti regnarono due atmosfere del tutto diverse: Fabiola mostrò molta tristezza, ma senza lacrime o rabbia…invece Pitch mostrò un lieve imbarazzo che nemmeno lui riuscì a riempire.

“…in conclusione credo che dovremo capire chi eri prima di diventare…questo…” l’Uomo Nero sembrò trovare un modo per riempire l’imbarazzante momento.

“Oh…dovremo…? Casomai dovrai o almeno ci proverai visto che io non perdo tempo in faccende inutili” anche la ragazzina sembrò aver trovato qualcosa con cui riempire la tristezza.

“Oh…quindi capire chi eri e da dove sei spuntato fuori è inutile per te?” il suo viso si posò su quello dell’altro. I capelli d’oro nero brillarono ancora una volta insieme ai due smeraldini occhi.

“Se ti dicessi che ho impiegato dei secoli, anzi un millennio, vorresti rinunciare?” lei si alzò dalla sedia dove poco fa era seduto addirittura l’Uomo Nero e mostrò un inaspettato sorriso divertito ma con la stessa nota di serietà.

“Ne dubito. Se sono riuscita a trovare in una casetta in mezzo al nulla questo libro, allora non vorrei immaginare cosa accadrebbe se trovassi una vera biblioteca” disse incrociando le braccia davanti al petto e indicando il libro che si trovò sull’altro lato del tavolo.

“Probabilmente ti aiuterei…ma ho altre cose ben più importanti da sbrigare…” disse mentre cominciò ad allontanarsi da lei.

“Per esempio?” questo fece bloccare sul posto l’uomo che si rigirò verso di lei.

“Sapere chi sia Macula Sanguinea e perché mi ha portato qui insieme ai Guardiani” sorprendentemente la piccola non sembrò minimamente perplessa o incuriosita dal nome che l’uomo pronunciò. Sandy e Farut non riuscirono a capire.

“…quindi nemmeno tu sai il perchè…” disse più a sé stessa che all’uomo.

“Credevo che tu lo sapessi…continuo a credere che tu sappia un po’ troppo…” disse con l’accenno di un sorriso.

“In verità credo di sapere troppo poco…non so se Farut abbia pianificato questo piano allo scopo di qualcosa…ma non ho nemmeno visto la cittadina, quindi credo che dovrei andarci prima o dopo…” disse ritornando seria e incrociando le braccia sul petto. Ma i suoi occhi erano sempre verdi e i capelli sempre lucenti. L’omino però sentì che l’accento di Fabiola era piuttosto insolito per un’italiana. Infatti gli era parso di sentire al posto di “dopo” un “duopo”. Qualcosa di simile all’accento di North…

“Come preferisci…ma non aspettarti un mio aiuto, solo perché un ragazzaccio aveva intenzione…” lo interruppe ancora una volta.

“Non mi pare di aver chiesto un tuo aiuto…mi basta soltanto capire se tu sapevi qualcosa in più di me, ma a quanto pare mi sono sbagliata…” disse con un tono quasi deluso. Questa volta però l’uomo mostrò uno sguardo contrariato.

“Non credere che la situazione sarà così per molto. Avevo anch’io intenzione di andare in città…potrebbe esserci qualcosa di utile da scoprire dopotutto” la bambina annuì.

“Sono d'accordo…però mi dovrai fare un favore” l’Uomo Nero rimase in silenzio, come se non avesse compreso le parole.

“E da quanto tempo io dovrei fare dei favori agli altri? Soprattutto ad un ragazzina?” Fabiola lo ignorò.

“Ci sono altri ragazzi che del nostro gruppo che erano con noi fino a pochi giorni fa, ma non ho la minima idea di dove siano e né se siano vivi. Tu sei molto più veloce di me e puoi trovarli facilmente…o almeno spero, quindi…?” disse lasciando in sospeso la parola. Pitch non sbatté ciglia. Ma mano a mano si formò un sorriso molto conosciuto all’omino. Il solito sorriso pieno di crudeltà.

“Cosa ti fa pensare che io debba aiutarti?” disse inclinando leggermente la testa. Le braccia della ragazzina si scomposero e cominciarono a dondolare lungo il corpo magro.

“Posso essere utile anch’io, nonostante non abbia le vostre capacità. Posso anch’io scoprire cosa voglia da noi Macula Sanguinea e trovare gli altri Guardiani…a proposito…non mi pare che tu sia più forte di loro- non interrompermi- insomma…hai inoltre un grosso svantaggio numerico. Sei solo contro cinque persone e non sarà difficile trovarli. Immagino che vorrebbero darti una bella lezione, dopo tutto quello che hai fatto non metto in dubbio…” Pitch sembrò aver perso la poca pazienza che aveva in corpo. Il suo viso era in collera. Scattò verso la piccola con uno sguardo che avrebbe potuto terrorizzare un bambino.

“…non farmi perdere la pazienza…” Fabiola alzò il tono di voce.

“E tu non far perdere la mia di pazienza. Posso farti tanto bene quanto male…non fraintendermi, non voglio farti creare dei problemi…ma se tu continuerai a usare questo tono allora non mi lascerai alcuna scelta. Uomo avvisato…sai come si dice. E poi non mi sembra di averti chiesto di darmi la luna…” disse usando uno sguardo di ghiaccio che congelò la collera dell’uomo. Lui sospirò e andò a sedersi a capo tavola. Lo stesso fece anche Fabiola.

“…descrivimeli, così potrò avvertirti se li trovo…” disse facendo un sospiro, ma più per la stanchezza che per le insidie che la piccola aveva creato contro di lui. A Sandy questa situazione fece quasi ridere, ma non fu la stessa cosa anche per l’amico affianco a lui.

“Li riconoscerai senza dubbio per il colore di pelle e per gli occhi. Il primo ragazzo ha i capelli ricci e scuri, lo stesso per gli occhi, piuttosto alto e magro…probabilmente sarà con un’altra ragazza molto simile a lui, sia per l’aspetto che per l’altezza. Poi ci sono due gemelli di origine spagnola, un maschio e una femmina, più bassi dei due che ti ho parlato, entrambi con la pelle e i capelli scuri, la ragazza però ha sempre con lei degli orecchini di forma particolare e d’oro, invece il ragazzo una collana anch’essa particolare e d’oro. Poi una donna di mezz’età, non molto alta, capelli corti e neri, piuttosto brutta e con la lingua lunga…devo ripeterlo?” l’uomo sembrò aver preso la cosa molto più seriamente non interrompendola nemmeno una volta, ma prima di rispondere guardò molto più attentamente la ragazzina.

“No, non ne ho bisogno” disse alzandosi dalla sedia con l’ovvio motivo di andare via. Fabiola lo fermò in tempo. Si alzò dalla sedia e, inaspettatamente, gli prese la mano. L’uomo si bloccò sul posto.

“C’è un’altra cosa…” Pitch sembrò essersi paralizzato appena la bambina prese la sua mano. Non si girò, ma nemmeno ritirò la mano.

“Ci sono anche due bambini con noi...- ascoltami- vorrei che cercassi prima loro” disse aspettando una risposta dall’uomo. Non rispose, ma si girò verso di lei con uno sguardo enigmatico che l’omino non riuscì a comprendere. Nel girarsi le due mani si staccarono.

“Il primo è un maschietto, è biondo, ha due occhi azzurri ed è alto la metà di me e…mi assomiglia un po’ di viso…” disse addolcendo moltissimo la voce…Sandy ebbe molta compassione. Capì di chi stava parlando…glielo aveva detto Mino…L’uomo mostrò uno sguardo interessato.

“La seconda è una femminuccia, di origine giapponese, ha la stessa altezza del bambino e probabilmente sono insieme…ha un vestitino rosa con dettagli bianchi…delle calze nere…e ha anche un cerchietto rosa…e delle scarpette nere…” la voce della ragazzina divenne simile ad un sussurro. L’uomo attese, sempre con lo stesso sguardo.

“…c’è dell’altro…?” disse incoraggiandola con lo sguardo. Fabiola fece un profondo respiro e rispose con un tono serio.

“Dimenticavo di dirti che il bambino ha una maglietta a maniche corte verde, jeans blu scuri e scarpe da ginnastica bianche…” l’uomo ispezionò ancora con lo sguardo gli occhi della piccola, come se cercasse all’interno qualcosa. Passò così un minuto.

“...vedrò di trovarli…” disse appoggiandosi alla sedia con lo stesso sguardo enigmatico.

Fabiola abbassò la testa in sua direzione, come se volesse salutarlo, e si avviò verso le scale. Lo sguardo stanco della ragazzina si volse verso i due spettatori. Sandy chiese molte cose con la sua sabbia cambiando in meno di un secondo forma e dimensione. Nessuna risposta. Nessuno sguardo che l’omino si sarebbe aspettato. Semplicemente passò in mezzo a loro due. Probabilmente sapeva della loro presenza fin dall’inizio…per un attimo nella mente del Guardiano parve questo interrogativo.

Appena la ragazzina sparì dalla visuale, Sandy vide, ma solo di sfuggita, lo sguardo di Farut. Era un misto di terrore e rabbia. L’afgano si alzò e corse verso la cucina dove comprese che l’uomo se ne era andato.

Mentre il ragazzo corse fuori col probabile intento di cercarlo, l’omino andò in cucina. Il suo sguardo cadde sui due bicchieri che Fabiola aveva preso.

Entrambi erano vuoti.

 

 

 

 

 

 

Angolo di L0g1

Allora…Buon Natale (ormai passato…)!!! E felice anno nuovo!

Vi volevo fare questa sorpresa di Capodanno con altre tre nuovi capitoli! Ammettetelo…nessun altro vi aveva mai trattato così bene, eh…?

Aspetto le vostre recensioni!

L0g1

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Capitolo 11
*** Festa ***


“Ah…comunque…grazie per aver voluto accompagnarmi…” dice senza guardarmi in faccia.

“Non c’è di che. Ma, tanto per sapere, perché vuoi andare in città?” guarda ancora di fronte a sé senza battere ciglia.

“…curiosità…beh…in verità volevo andarci per sapere dove sono gli altri…” si volta. Non riesco a vedere i suoi occhi.

“Se è per questo sarà un’ardua impresa” abbassa gli occhi.

“…perché…? È molto grande la città?” mi viene voglia di ridere.

“Grande è una parola decisamente microscopica, Fabì, anzi, direi proprio che per trovare Giovanni e i ragazzi avremo bisogno di un’intera squadra di ricerca!” mi fissa per pochi secondi, senza rispondere. Ritorna a guardare il paesaggio con aria distrutta. Credo di aver esagerato…

“Erm…non che sia impossibile, ovviamente! Dico solo che sarà molto difficile, ma sono certo che li troveremo tutti sani è salvi!” non dice niente. Sono preoccupato. Passa molto tempo. Le sorrido.

“Fabì, nulla è impossibile” è pensierosa.

“Già…nulla è impossibile…” cala il silenzio…mi sento in imbarazzo. Ad un certo punto volta la testa all’indietro. Guarda il paesaggio di campagna dietro di noi.

“Secondo te Farut e Sandy stanno ancora dormendo?” rigiro gli occhi.

“Conoscendo quell’orso, starà ancora ronfando come una bestia…invece Sandy…boh…!” dico alzando le spalle.

“Perché ti sei alzata così presto? Problemi di insonnia?”

“No, no…volevo lavarmi i capelli. Mi hai detto che c’era acqua corrente e così ne ho approfittato” dice rigirandosi con un dito una ciocca di capelli.

“Hai fatto bene…Ma sembri piuttosto assonnata. Gli incubi non tardano ad arrivare nemmeno a te, eh?” alza le spalle. Non credo che abbia capito la battuta…

“No” dice, neutra. Mi da una certa ansia parlare con lei. Sempre.

“Sai…sono piuttosto nervoso…ho paura che i cittadini mi riconoscano e mi ammazzassero…Si, lo so…forse mi hanno già dimenticato…ma vedi…ho ancora quell’ansia e…” mi interrompe.

“Ma…chi è esattamente Sandy?” mi guarda con noncuranza. Ci rifletto un po’.

“Credimi, Fabì, non ne ho la minima idea” ci pensò un po’ su. Sandy è l’essere più strano che io abbia mai visto in vita mia, e di tipi strani ne ho visti molti, Farut compreso.

“Ma…hai qualche…ipotesi…?” scuoto la testa.

“Tutta questa situazione mi sta mettendo in crisi…forse Sandy è un alieno” un alieno? Ma che cosa ho detto?! Mi guarda scettica.

“Non credo…” fiuuu…almeno Fabi non ride mai...Che figura da babbeo che ho fatto…

“Tu invece hai qualche ipotesi? O forse lo sai già?” sto scherzando, ovviamente, ma sembra che abbia preso la cosa con serietà. Mi lancia uno strano sguardo. Uno sguardo…inquietante…

“…diciamo di si…o almeno credo di si…” veramente…?

“…e vorresti…dirmi chi è…?” credo che stia scherzando, ma non ne sono del tutto sicuro.

“No…non ancora…sei troppo maturo…” momento finito. Tutto a brandelli. Fine. The end. Non l’ho capita…Passa un bel po’ di tempo.

“Credi nelle leggende…?” uh…?

“Come “leggende”?” le sue labbra si assottigliano.

“…Babbo Natale…Il Topino dei Dentini o la Fatina…Il Coniglietto di Pasqua…” la guardo scettico. Credo di aver capito a che punto vuole parare.

“Ah…quindi secondo te Sandy sarebbe una leggenda?”

“Non ho detto questo…e non mi hai risposto…” rigiro gli occhi. detesto parlare di queste cose.

“Fabi…no” non voglio dire di più.

“…perché…?” rispondo subito.

“La scienza parla chiaramente, Fabiola. Tutto gira sulle possibilità. Ad esempio, Babbo Natale girerebbe intorno al mondo in una sola notte portando con sé, dentro una slitta, i regali da dare ad ogni bambino che abita sul nostro pianeta. Tutto ciò è assurdo. Una slitta, prima di tutto, non è capace di volare, soprattutto con delle renne. Sarebbe assurdo anche portare con sé dei regali da dare ad OGNI bambino esistente in una sola notte. Il numero dei pargoli è troppo alto e la slitta è troppo piccola, a meno che sia una sorta di galeone volante, ma ne dubito. Questo è scientificamente impossibile”

“Nulla è impossibile…” ma perché dobbiamo parlare di queste stupidaggini? Ora che ci penso…perché stiamo parlando di Babbo Natale?

“…ma…perché stiamo parlando di questo…?” credo che abbiamo fatto all’incirca un chilometro e mezzo. Sento già i piedi lamentarsi…è proprio faticoso salire queste colline in mezzo alla campagna, o almeno per me. Fabi alza le spalle.

“Dunque, ce l’hai fatta finalmente, eh…?” dice abbozzando un sorriso.

“A fare cosa?”

“Hai finito il liceo, no? Sono finiti gli anni di prigione per te, un po’ ti invidio…” mi guarda allegra. Sospiro.

“Non dovresti, Fabì. Credimi, è meglio stare a scuola. Ora per me sarà un casino il lavoro. Con questa crisi non so se riuscirò a lavorare appena tornerò a Napoli…” dico pulendomi gli occhiali sporchi di polvere. Questo vestito è piuttosto scomodo per camminare.

“Allora com’è la maturità? Difficile come dicono tutti?” questa domanda me l’hanno fatta in cinquecento e qualcos’altro. Sorrido.

“Dipende da come ti prepari. Io ad esempio sapevo la tesina a memoria, non sto scherzando e non lo dico per vantarmi, e infatti ho avuto 110 e lode. Immagina com’erano i miei genitori vedendolo sulla bacheca della scuola!” ricordo che mia madre aveva urlato per tutto il palazzo e aveva svegliato tutti i vecchietti del pian terreno. Tutti le facevano le congratulazioni, come se fosse stata lei ad avere quel punteggio. Già…il primo in famiglia ad entrare nel liceo scientifico, e il primo ad uscire con i voti più alti…il primo ad aver finito il liceo…

Non mi sono accorto che Fabi mi aveva preso la mano. Strofina la testa contro il mio braccio facendomi traballare. Mi fa ridere: sembra una gattina! Alzo lo sguardo, do dei colpetti a Fabi.

“Non ti voglio vedere triste…” le sorrido. Quando vuole è molto dolce, in verità. Anche se di solito lo è con suo fratello e suo cugino. Alzo lo sguardo, le do dei colpetti sulla testa.

“Hey, gattina! Siamo arrivati!” lei alza la testa staccandosi dal mio braccio. Eccoci qui: la grande città.

 

 

 

 

 

 

Siamo di fronte alle porte. Ci sono ancora quei due soldati di guardia. Ho una certa fifa camminare fra di loro. In verità non ci guardano nemmeno, anzi forse non ci notano. Questa volta si sono portati due sedie e, l’uno di fronte all’altro, giocano a…morra cinese…? Non importa. Li sorpassiamo senza farci notare. Per un attimo mi sembrò di vedere delle lance, ma non ne sono molto sicuro. Fabi guarda dietro di noi, dove ci sono i due soldati.

“Non dovrebbero farci un controllo?”

“Come?” non credo di aver sentito bene.

“Sembrano due micheletti…insomma…due soldati spagnoli all’inizio del ‘600, quando l’Italia era schiava della Spagna. Secondo la norma dovrebbero farci un controllo, visto che proveniamo dalla campagna” ora che ci penso ha ragione…secondo la legge, che c’era all’epoca, dovrebbero farci un controllo per sapere se non abbiamo lettere contro il governo o…che ne so…invece, ora che lo noto, sembra che a loro non  importi. L’occhio di Fabi è molto più sveglio del mio.

“Allora facciamo così: dimmi cosa vedi e cosa noti di strano, visto che fai il liceo classico…” può essere un gioco simpatico. Lei annuisce e si guarda intorno. Stiamo sorpassando un vicolo non molto stretto. Se alzo la testa vedo diversi panni stesi, anche Fabi li nota.

“Quei vestiti sono strani…” alzo ancora lo sguardo. Vedo una maglietta rosa a pois, una canottiera da uomo bianca e altri vestiti che non vedo bene.

“Non sono della nostra epoca. Sembrano i vestiti dell’Italia degli anni del secondo dopoguerra…anni ’60 circa…” accidenti è vero…e io come cavolo non l’ho notato? Forse appartengono a qualche vecchietta…no, i vestiti sono giovanili, non credo. Strano…

Continuando a camminare arriviamo nella piazza. Ci sediamo sulla vecchia fontana tutta distrutta e piena di muschio. Che schifo…Fabi continua a guardarsi intorno. Dopo un po’ punta gli occhi verso tre uomini che parlottano vicino ad un vicolo. Comincia a passare molta gente che conversa tra di loro oppure delle donne con del bucato in mano. Fabi ha ancora gli occhi su quegli uomini.

“Anche loro hanno qualcosa di strano, sono di tre epoche totalmente diverse tra di loro. Il primo, quello col cappello, viene dal tardo ‘800, nobile molto probabilmente. Il secondo, quello alla sua destra, credo che provenga dagli anni ’80 o giù di lì, anche lui apparentemente di buona condizione economica. Il terzo, eccolo, è un po’ nascosto, senza dubbio proviene dagli antichi coloni americani del tardo ‘700. Non ti sembra strano?”

“Si…molto strano…” intanto si erano sedute, un po’ lontano da noi, due bambine. Anche loro hanno qualcosa che non va, i loro vestiti sono distrutti, ma non credo che provengano “dal nostro tempo”. Non capisco perché queste persone si travestano in questo modo. Forse siamo in una città simile a quella degli Amish…non so proprio che pensare…

“Veramente, no” non era la voce di Fabi. Lei si è girata verso le due bambine. Una di loro, la castana, ha l’aria piuttosto annoiata.

“…?”

“Da quanto tempo siete qui? Siete nuovi?” sto per chiedere di cosa diavolo sta parlando, ma Fabi mi stringe la mano. Troppo forte.

“Questo è il nostro terzo giorno…forse quarto, non ricordo bene…Comunque, perché queste persone non sono strane?” Fabi, incredibilmente, le sorride. L’altra bambina, una biondina con occhi azzurri, sembra essersi interessata al discorso.

“…anche per Gianni è il suo terzo giorno e una notte…” dice con aria da sognatrice. Gianni…? Apro la bocca per chiederle se è il “nostro” Gianni, ma Fabi mi stringe ancora più forte la mano. Mi fa un male…

“Come…?” la bruna fa un soffio, seccata.

“Si è innamorata di un tipo che dovevamo uccidere…” sto per chiederle in che senso intendesse dire “uccidere”. Fabi mi strige ancora una volta la mano. Credo di aver capito: vuole che io stia zitto. Meglio accontentarla, voglio sapere a che punto vuole arrivare.

“E immagino che sia un ragazzo piuttosto carino se si è innamorata in questo modo…” dice in tono malizioso. La bruna vuole controbattere, ma la bionda parla prima di lei.

“Certo! È alto, bruno, con i ricci e…e…e tanto bello…!!!”

“…e tanto cristiano…” la bruna si è intromessa. L’altra la guarda malissimo.

“ E come lo sai che è cristiano?!”

“Perché aveva una croce al collo!”

“Te lo sei inventata!”

“Non è vero! Era d’oro con un catenina d’argento, tonta!” e continuano a litigare e tirarsi insulti. Non ricordo se Gianni avesse una croce d’oro, forse l’aveva portata, ma non me n’ero accorto. Fabi mi tira per un braccio.

“…è lui…”

“…come possiamo farle cantare…?”

“…sai fingerti un sempliciotto…?...provaci, il resto faccio io…” può andare come piano. Comincio a guardarmi in giro senza grande interesse. È meglio se lascio la mano a Fabi, credo che possa fare qualcosa senza farmi scoprire e senza farle prendere qualche coltello. Le due hanno finito di bisticciare. Spero che non mi riconoscano…

“Comunque, chi siete?” non le vedo in faccia, ma sento la loro voce imbronciata. Fabi prende la parola.

“Sono Elisa e lui è Amedeo” sotto sotto ha detto la verità, ha solo usato il mio secondo nome Amedeo Gelsomino Celato. Forse l’ha usato per precauzione…beh…vediamo cosa farà. Eppure…lei ha usato un nuovo nome per se stessa…

“Io sono Diana e lei è Gaia…non sembrate nuovi…siete vestiti come tutti gli altri in questo Regno…” ci fissa perplessa.

“Venendo qui abbiamo rovinato i vestiti, così non avevamo nient’altro da metterci che questi. Ce li ha regalato una signora dall’altra parte della città” poi indica una direzione per mostrare il luogo dove c’è la “signora”. Diana soffia ancora.

“Non mi sorprende…di buoni qui ce ne sono più di quello che credete. Gli unici che fanno un buon lavoro sono i soldati…o poliziotti…o…ma che ne so ora come si fanno chiamare?! Insomma, tutti quelli che hanno le spade o le pistole o fucili…quello che sono, cioè…sono i soldati. Noi gli chiamiamo soldati, ma chiamateli come volete, sono sempre loro, cioè!” non sta andando male come interrogatorio. Comincio a sbadigliare facendo finta di annoiarmi. Intanto la città comincia ad animarsi: le persone cominciano ad affollare le strade e i vicoli e stanno venendo anche dei bambini e nostri coetanei. Hanno tutti degli abiti diversi gli uni dagli altri, ma non riesco a memorizzarli in fretta perché camminano troppo velocemente. Mi chiedo cosa stanno facendo Farut e Sandy…

“Ma…credevo che questo fosse…beh…lo sapete…” no, non lo so. Che sta cercando di dire? Mi interesso molto di più al discorso.

“Si ma…come dire…la padrona ha portato qui anche i “buoni” e credimi, sono tanti…”

“Troppi…” aggiunge Diana.

“Si, troppi…ma sono dei tonti anche loro, se ci sono i soldati diventano bianchi dalla paura” e qui ridacchiano in coro. Non ci sto capendo nulla…mi sfugge qualcosa…più tardi lo chiederò a Fabi. Cominciano stranamente a sorridere.

“Ora che ci penso, avete fatto il giro della città?” chiede la mora.

“Non del tutto. È gigantesco questo posto!” almeno una cosa vera l’ha detta…

“Si, è vero. Ci vorranno diversi giorni per vederla tutta, ma ci proveremo. Seguiteci!” dice alzandosi dal posto. Gaia la guarda stranita.

“Ma dovremo andare, Diana…” la mora le stringe la mano.

“No! Voglio dire…loro sono nuovi, devono conoscere il posto. Cioè…penseremo più tardi agli spiriti e a quel ragazzo…” quest’ultima frase l’ha detta fra i denti. Ho un flashback della chiacchierata avuta con Fabi prima di arrivare in città. Ma chi diavolo sono questi spiriti? Lo chiederò più tardi. Cominciamo ad avviarci per le strade con Gaia e Diana che si stringono la mano con forza e con Fabi che le segue. Ci sto capendo ben poco…strano…di solito non mi sento così confuso…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“E quello è l’ospedale. Beh, si, è murato da qualche tempo…ma è possibile curarsi ugualmente per ogni emergenza” sono molto più confuso di prima…sento la mia testa stare sul punto di esplodere se quelle due continuassero a parlare…

“Curarsi…? Credevo che…” Gaia la guarda divertita.

“Si, è vero, molti credono che dopo essere arrivati qui non possono più ammalarsi o morire, ma non è vero. È grazie alla barriera invisibile che ha messo la padrona, vuoi sapere cos’è?” sembra che Fabi sia diventata simpatica alle due tipe. Secondo me ci stanno prendendo in giro, ma da come parlano lo sto dubitando…Comincio a sentire un certo brontolio nel mio stomaco. Fabi annuisce.

“Allora…molto…molto tempo fa, la padrona ha piantato nel cielo una barriera invisibile per fare in modo che tutti noi possiamo avere una vita normale, dopotutto, come mangiare, dormire, respirare e altro… Per qualche settimana si era rotta perché uno spirito aveva fatto delle tempeste di neve e le nuvole impedivano alla barriera di funzionare. Con quella possiamo anche vedere gli spiriti che dobbiamo catturare e possiamo anche avere una pelle normale e degli occhi normali” ormai non mi chiedo più nulla. Immagino già che dovrò bombardare Fabi di domande alla fine di tutto questo casino.

“Ma perché…è interessata tanto a quelli spiriti? E poi quanti sono con esattezza?”

“Erm…quelli che dobbiamo prendere sono cinque. Uno l’abbiamo già preso…ma in realtà ci sono molti altri spiriti che la padrona ha portato qui. Poi…non so cosa vuole fare con loro…non lo sappiamo, ma dobbiamo ubbidire, ricordalo!” quest’ultima parola Gaia l’ha detta con autorità. Non capisco nemmeno chi cacchio è questa padrona. Poi dovrò farle denuncia per schiavitù infantile.

“Aspetta…” Fabì si china vicino a Gaia. La biondina la guarda curiosa. La mia amica le prende gli occhiali e cerca di pulirgli con una parte di gonna. Alla fine guarda le lenti con perplessità.

“Una lente è rotta. Dovresti comprarne degli altri, rischi di perdere la vista così…” le da indietro gli occhiali verde-acqua. Diana soffia.

“Lo abbiamo fatto, ma quel deficiente del dottore voleva darle degli occhiali già rotti e così abbiamo rinunciato, anche perchè gli altri dottori hanno detto che non ci sono degli occhiali come i suoi” Gaia sospira triste. Credo che i suoi occhiali sono come i miei. Faccio cenno a Fabi per sapere che tipo di occhiali ha bisogno. Mi capisce subito.

“Sono tanto difficili da trovare degli occhiali decenti?! E com’è possibile?!” Diana si fa avanti.

“Infatti non riesco a capire: Gaia non riesce a vedere da lontano e neanche tanto bene da vicino, ma a casa non era difficile trovare degli occhiali giusti. Che tonti che sono questi dottori! Pensa un po’: una volta un tizio che vive nella Piazza della Campana voleva comprare una gamba finta perché era venuto qui senza una gamba e allora voleva…” non le ascolto più. Gaia sembra scocciata, ha gli stessi problemi di vista che ho io. Per un attimo mi fissa attentamente. Ho una fifa blu…e se mi avesse riconosciuto…? E se mi avesse visto con Sandy e Farut in città…? Oh, Cielo…si avvicina…e ora che cacchio faccio…?! Ma cosa sta fac…

“Mi piacciono i tuoi occhiali!”

“…uh…?” si avvicina ancora di più.

“Posso vederli?” d’istinto le do gli occhiali neri che porta subito agli occhi.

“Oh…Mi piacciono tantissimo! Diana, come mi stanno?” Diana si volta…credo che sia scocciata…non riesco a vedere bene…

“Dove gli hai trovati?”

“Sono di Amedeo. Come mi stanno? Riesco a vederti meglio con questi!”

“Mmm…si…non sei male…Elisa, possiamo avere questi occhiali?”

“No, mi spiace, sono suoi, non posso darveli” le sento lamentarsi. Mi restituiscono, finalmente, gli occhiali. Ora le vedo imbronciate e anche un po’ deluse. Comincio ad aver fame…Un tizio fa traballare Diana in avanti e continua a camminare come se niente fosse.

“Hey, stai attento!” il tizio è vestito di nero, con un grosso cappello che gli copre il viso e una sciarpa grigia che gli nasconde ancora di più la bocca e il naso. Il tizio si gira.

I suoi occhi sono rossi…

Hanno qualcosa di cattivo quegli occhi…

Vedo che ha una frusta con sé e un pugnale non molto nascosto…

La paura sparisce quando scompare in un vicolo…

“…non l’ho visto solo io, vero…?”

“…no…forse era un tizio in costume…?”

“Potrebbe essere, ce ne sono altri come lui, guardate” ci voltiamo dove dice Fabi. Ha ragione: le strade si stanno riempiendo di tizi vestiti in modo…gotico…

La gente “normale” è intimorita di fronte a loro. Ci sono degli uomini vestiti da scheletri, vampiri, mostri che non conosco e qualche strega. Tutti sembrano dirigersi in un punto preciso, a quanto pare. Fabi mi precede. Ferma uno tizio con una zucca in testa e con l’aria piuttosto stanca.

“Scusi, è una festa?” quello sembra aver preso vita, parla con uno strano accento.

“Oh, si…tra poco c’è una festa in maschera e verso notte ci sarà uno spettacolo col fuoco, vuoi venire? Puoi portare i tuoi amici” dice con allegria e se ne và. Fabi ritorna da noi.

“Una festa? Non sapevo che ce ne fosse una!” dice Diana con felicità avviandosi per la strada. Gaia esita e si avvicina a Fabi.

“…Elisa…posso dirti un segreto…non riesco più a trattenerlo e non posso dirlo a Diana, se no si arrabbia…posso…?” Fabi si abbassa alla sua altezza, annuisce e sorride.

“…ti ricordi quando parlavo di quel ragazzo che mi piace…?...beh…so dov’è…!...ma non voglio che lo sappia nessuno, perché tutti ora lo stanno cercando…” Fabi le posa un braccio sulla spalla continuando a sorridere.

“…è dentro le fogne, sotto la città, credo che sia al sicuro…!...era con un’altra ragazza mora e alta e ad uno spirito che dobbiamo catturare…!” dice questo velocemente. Alla fine ansima tantissimo e cerca di riprendere fiato. Diana ritorna.

“Gaia, non vuoi venire? C’è una festa, muoviti! Volete venire con noi?” Fabi scuote la testa.

“Forse più tardi. Vogliamo andare ancora un po’ in giro” dice guardando il sole tramontare.

“Come volete, a dopo!”

“…a dopo!” dice Gaia come se volesse dire a Fabi: mi raccomando, bocca cucita! E se ne vanno. Metto una mano sulla sua spalla.

“Perché non vuoi andare alla festa?” sembra essersi rattristata, forse le piaceva veramente stare con quelle bambine.

“…puoi andarci se vuoi, ma io non credo di farcela…” è davvero molto triste…un po’ mi fa pena… Sciolgo il suo “cerchietto” e uso il nastro per farle un codino. Mi guarda annoiata.

“Fabì…andiamo, dai! Ci divertiamo un po’ e poi torniamo a casa, ok?” ho voglia di dimenticare tutto quello che sta succedendo; questo mondo strano, i ragazzi, il rito, tutto e voglio farlo andando ad una festa.

“…e Farut e Sandy…?” rigiro gli occhi.

“Mandali a fanculo, Fabì. Andiamo, anche tu hai bisogno di svagare!” dico prendendola per il braccio e incitandola a venire con me. Non voglio stare solo, non vorrei tornare a casa di notte e al buio. Lei mi segue, anche se con poca voglia.

Le strade si stanno popolando in fretta di questa gente “strana” travestita in modo molto horror e realista, in verità. Alcuni di loro si stanno arrampicando sopra i lampioni per mettere delle lanterne a forma di zucca, di tanti tipi e dimensioni, e anche diversi striscioni con ragnatele e topi. Delle streghe stanno aprendo anche delle bancarelle e cercano di vendere degli strani dolci, ma dall’aria allettante. Tocco il sacchetto di monete che ho con me, posso sempre comprare qualcosa. Fabi sembra essere piuttosto stanca. Ci avviciniamo ad una bancarella.

“Buon Hal…erm…Buona sera, ragazzi. Volete qualche panino alla bava di lumaca? O degli scarafaggi?” dice la vecchia indicandomi i cibi.

“Due di questi, per favore” indico dei  giganteschi biscotti abbastanza normali, solo che sono verdi con scaglie azzurre…strano…

“Questi? Bene, sono due monete di bronzo” tiro fuori le due monete.

“È stato un piacere!” dice tutta felice. Ci allontaniamo dalle bancarelle e ci sediamo su una panchina. La gente “normale” sembra aver preso coraggio e comincia a guardare le novità con interesse. Fabi rigira tra le mani quello strano biscotto.

“…mangialo tu…” sospiro. Mi sa che non le piace l’aspetto. La guardo con più attenzione; sembra sul punto di strapparsi i capelli dalla frustrazione. Che rottura, però…

Fuera de mi camino!!!” sento un urlo che mi fa gelare il sangue. Una ragazza sta urlando come una pazza. Tutti si voltano verso la voce.

Ayùdame! Me quiero matar!!!” spunta fuori da un vicolo semi-buio una ragazza vestita in nero, con una maglietta molto scollata e una giacca di pelle borchiata. Si butta sulla folla impietrita creando la fine del mondo in terra. Tutte le persone sia “normali” che “strane” o cadono a terra per quel tornado femminile o urlano insulti su di lei.

Putain! Je vais te chercher!” arriva dallo stesso vicolo un tizio molto robusto e con la mano negli occhi che rincorre la tizia. Quella ci passa vicino…ma che…?

“MINI!” urla Fabi. Cielo, è vero! È Carmen! Lei si volta continuando a correre, ci vede.

“FABI!” davanti a lei c’è un tizio “normale”, biondo, con una cassa piena di dolci. Carmen si scontra su di lui e le caramelle e le cioccolate volano per aria.

Hva er det som skjer?!” dice cadendo col sedere a terra. La ragazza continua a correre inciampando nelle persone che urlano impazzite. L’uomo zoppica il più velocemente possibile verso di lei.

Viens ici, putain espagnol!” anche quel tizio ora è vicino a noi. Fabi mi ruba i due biscotti e li butta in testa al tizio che si volta più incazzato che mai. Fabi si getta su di lui…

…oh…le ha dato un pugno in faccia tanto potente da farlo cadere all’indietro…e chi lo avrebbe mai detto…! Quello inciampa sopra la bancarella di prima e la strega comincia a picchiarlo con una scopa.

Huyamos! Antes de que sea…” non termina la frase che viene…

…mi sale la paura alle stelle…

Fabi mi prende per il braccio e mi trascina in uno slalom tra la gante,  inseguendo Mini.

“FERMATI, RAGAZZINA!” il prete di due metri ci insegue. Se mi riconosce sono guai…

Ci intrufoliamo in un vicolo buio, cercando di non inciampare fra i bambini. Ormai non serve più che Fabi mi trascini, sono una scheggia tra le persone.

“Mini, sui tetti!” Carmen si volta verso Fabi.

Què?!”

“Sulla scala, presto!” non riesco più a vederle, sono troppo veloci. Mi volto, il prete è poco lontano da me. Sento quasi il suo fiato sul collo quando mi volto. Mi vede…spalanca gli occhi…

“TU?!” mi volto per vedere le ragazze. Sono sparite…

Oh Cristo…Oh mio Santissimo…

Eccole…

Sono sopra i tetti, aspettano solo me.

Fabi è l’ultima a salire per la scala.

“Mino! Di qua! Svelto!” cerco di salire la scala. Queste maledette scarpe non mi fanno salire…! Non riesco a salire…! Non ce la faccio…! Sono a metà scala.

Vamos, idiota! Madre de Dios!!!” la voce di Carmen è tanto stridula da farmi tappare le orecchie…sento che il prete mi ha preso un piede. Sono fottut…

“Avanti cadi!” il prete fa dondolare la scala. Come faccio…?! Come…?!

Cado…

Sbatto la testa per terra…

Non sento più aria in gola…

Mi gira la testa…

Sento qualcuno chiamarmi…

Buio…

 

 

 

 

 

 

 

 

Apro gli occhi.

Non vedo bene…mi hanno tolto gli occhiali

Ricordo Fabi e Carmen…mi fa male tutto…mi gira la testa…la stanza gira su se stessa…qualcuno è sdraiato per terra vicino a me…non capisco chi sia, ma sembra che soffra anche lui…cerco di alzarmi…non ce la faccio…sono legato ai piedi e alle mani…provo a dire qualcosa…non ci riesco…sento un fazzoletto sulla mia bocca…

“Credete veramente che varrà qualcosa questo qui?” sento un uomo con un accento francese.

“Guarda meglio la sua faccia” qualcuno mi fa girare…non riesco ad aprire gli occhi…la luce mi fa male…

“Non mi piace per niente…”

“Nemmeno a me. È troppo grande e non è nemmeno tanto bello” vedo dei vestiti impilati ai lati della stanza.

“Non importa, monsieur. Avete visto invece quanto oro e argento ha addosso!”

“Con quelli possiamo dire che vale moltissimo, monsieur! E anche quei boutons! Credo che siano fatti d’oro! Gli ho mandati a Jean-Paul insieme ai soldi, saremo ricchi!” mi fa male la testa…dov’è Fabì…?

“Niente male…e il coniglio, lo portiamo subito a Sanguinea?”

“Credo di si, sarebbe stato meglio avere anche quella, fille espagnole…”

“A proposito…che cos’è successo? Credevo che la tenevi sott’occhio!”

Monsieur… quella putain mi ha buttato della sabbia negli occhi e mi ha dato un calcio nelle…”

“Capisco…capisco…non ha importanza ora, con questo coniglio si che potremo essere ricchi!”

“Dite bene monsieur! La padrona sarà très satisfait! Ci ricoprirà d’oro e magia! Anche per questo traditore!” mi fa ancora male la testa…il tizio vicino a me respira affannosamente…Fabi…aiuto…che qualcuno mi salvi…

“Permes…erm…” una vocina si sente in lontananza…sento lo scricchiolio di una porta…

“Come hai fatto a trovare questo lieu?!”

“…ma…ma…ma…io…mi sono persa…e…e…e…sto cercando la mia mamma…e…non la trovo…e…e…” sento qualcuno camminare verso la porta e chinarsi…sento una mano accarezzare dei capelli.

Calme, enfant…non c’è niente di cui avere paura! Una fille non dovrebbe andare in giro da sola di notte…Non ti devi più preoccupare pourquoi…” sento l’uomo fermarsi…

“Grazie signore, anzi… Merci, monsier…”…sento un respiro piano e affannato…

“Shsshhh…stai calmo…tanto ho capito tutto…Muori, animale!” sento qualcuno che non riesce a respirare…

Crack

…nessun urlo…qualcuno geme…il secondo uomo si alza dalla sedia…

“Ma come…?! Ferma!!!”…qualcuno cade per terra…un urlo…

“NON TI RIALZARE, BESTIA! NON MERITI DI AVERE QUESTA VESTE! GLI SCARAFAGGI COME TE DEVONO MARCIRE ALL’INFERNO PER TUTTI I BAMBINI CHE HAI ROVINATO, MALEDETTO!!!”…la voce è arrabbiatissima…sento un coltello affondare nella carne del signore…ancora…ancora…ancora…ancora…non finisce più…mi fa malissimo la testa…non riesco a vedere nulla…

…non sento più niente…sento solo il respiro affannato di qualcuno...dei passi piccoli e leggeri si avvicinano a me e al mio compagno…si fermano vicino a lui…

“…tu devi essere il Coniglietto di Pasqua…Sta tranquillo…andrà tutto bene…”…vedo la figura muoversi verso di lui…rialza il suo busto…vedo che taglia il fazzoletto e le corde…

“…non sono un fantasma come loro…io…sono dalla vostra parte…immagino che voialtri vogliate uscire da questo posto illesi, giusto…?...anch’io voglio la stessa cosa…e penso che insieme potremo…”…sento una voce fuori…

“Mary…Mary…! Babe, where are you? Mary! Mary…where are you…?”…sento la porta spalancarsi…non si sente più nulla…vedo una figura coi capelli bianchi…o biondo cenere…non vedo bene…ed è molto più alto di Fabi…

Fabi si butta verso la figura…lui le da un calcio nello stomaco…non so come abbia fatto…ma lei è volata dall’altra parte della stanza…ho sentito del legno scricchiolare quando è sbattuta sul muro…i vestiti sulle grucce cadono addosso a lei…non riesce ad alzarsi…la figura la prende per i capelli…

“Very well…what I’m seeing now…? A little, courage, girl…Ah…What a pleasure visit…”…le accarezza le guance e il collo…

“…và all’inferno…”

“Focosa la bambina…il sangue meridionale non mi è mai piaciuto…però non sembri italiana…per niente…Allora…come possiamo divertirci insieme…?...uh…Ti piace questo…?”…il suo accento è strano…preme sulla pancia di Fabi…sento qualcosa bruciare…qualcuno geme…

“Jack…Jackie…aspetta…lei è…è…amica…”…il mio compagno cerca di alzarsi da terra…sento ancora gemere…

“…ah…”…lascia la sua pancia…la prende in braccio e la fa sdraiare sopra un letto che non ho notato prima…Fabi si contorce su se stessa…sento puzza di bruciato…qualcuno entra…

“Jackie…do you want…?...Oh…”

“Mary…Call North and…you know…”

“Oh…I understand…well…and the boy…?”

“Too…and get the Giant Leeches for the blood…and…for the corpses…”

“That’s right…”…disse sospirando…se ne va…

…mi gira la testa…

…sento che tra poco esploderò…

…buio…

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di L0g1

Si, si…lo so cosa state pensando: Che scemo che è Mino, si, lo so…lo odio anch’io…*mette il broncio come Fifi*

Sono felice di essere ritornata! E no, non ho intenzione di terminare questa storia per nulla al mondo! *tutte le persone si arrabbiano e brontolano*

Comunque mi piacerebbe avere un po’ di tifo, però…

P.s    Si, quello è Jack…già…è Jack…cioè…si chiama Jack…ehehehe…

Alla prossima e vorrei tanto delle recensioni!

L0g1

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Capitolo 12
*** Sopravvissuti ***


“Vossignoria, si sente bene? Riesce ad alzarsi?” non so come abbia fatto, ma prima giuro che avevo sentito la mia schiena spaccarsi in due. Ora, invece, riesco anche ad alzarmi dal lettuccio. Il mio piccolo medico si fa avanti, anche se con timidezza. A parte nel libro di favole russe di mia madre e nei videogiochi, non ho mai visto una personcina così particolare.

È una sorta di folletto, immagino, alto la metà di me. È vestito con una sorta di camice da infermiere troppo largo per lui, infatti vedo che le sue mani fanno fatica ad uscire dalle maniche. Il suo viso è ovale e marroncino chiaro, molto chiaro. I suoi occhi sono grandi e rotondi, ma credo che ci sia solo l’iride in quei occhi scuri, sembrano gli occhi di un topolino, ora che ci penso. Ha in testa uno strambo cappello lungo e a punta, tutto rosso, che cade all’indietro.

“…chi sei…?” lui intanto pulisce una ciotola con dello strano liquido verdastro all’interno. Credo che l’abbia usata su di me.

“Un folletto della foresta di Schwarzwald, in Germania. In italiano, se ricordo bene, viene nominata Foresta Nera” sono ancora in quella specie di camerino da palcoscenico, ma i cadaveri e il sangue sono spariti e anche Mino e il coniglio gigante.

“…il ragazzo e lo spirito che erano qui, dove gli hai portati…?” alza il muso verso di me. Non ha un naso, ma due buchini che, immagino, siano delle narici.

“Non si deve preoccupare per loro, vossignoria. Nikolaj in questo momento, probabilmente, avrà finito di medicarli” un possibile compatriota di mia madre è qui? Interessante...

“…quanti siete…?” ripone le bende dentro un comodino che non avevo visto prima.

“Non molti, in questo momento. Ma spesso vengono qui altri spiriti ad aiutarci portando risorse e cibo. Poco fa, infatti, sono giunti dal Territorio di Halloween Jack O’Lantern con la maggior parte dei suoi collaboratori” Jack…Jack…Jackie…ah…

“…immagino che sia lo stesso Jack O’Lantern che mi ha fatto volare dall’altra parte di questa stanza, erro…?” esita per un momento.

“No, non erra. Non lo prenda in odio il signor Lantern, è sempre stato un giovine (in verità non è molto giovine…) eccessivamente impaziente, anche nel discutere. Mi ha incaricato di consegnarle questo, immagino per scusarsi” fa uscire dalla manica una lettera un po’ sgualcita.

“Se permettete ho altre faccende a cui metter occhio. Non v’è bisogno che v’insegni la strada, non è difficile trovare l’ufficio di Kolja (parlo sempre di Nikolaj, signora mia). Probabilmente avrà bisogno di un nuovo vestito, il suo è stato bruciato, purtroppo…Spero che si senta meglio” detto questo se ne và. Per un po’ ascolto i suoi passettini inciampare negli scalini.

Prendo la lettera di quel dannato aggressore. È bianca, un po’ giallastra e con uno strano timbro che dovrebbe rappresentare una zucca. Non sono sorpresa…

 

Mi dispiace per questo piccolo incidente, spero che la prossima volta potrò essere un tantino più gentile con te.

Non so come sia potuto accadere.

Mi spiace anche per aver distrutto il vestito.

Jackie

 

P.s  ora non vorrai cercarmi per tutta l’isola e appendermi a testa in giù ad un albero per questo, vero?

 

Chi lo sa, Jackie… Con questa pessima lettera di scuse, ti consiglierei di prenotarti una bara e un funerale decente…

 

 

 

 

 

 

In effetti non è stato difficile trovare l’infermeria. C’erano cartelli piazzati ovunque e i corridoi sono facili da ricordare, almeno per me che sono abituata ai labirinti impossibili di città e foreste. Mi sento molto bene, strano… Non so se esistano le erbe magiche, ma quella che ha usato quel folletto credo che lo sia per davvero.

Apro la porta. C’è Mino e…Carmen…?...ma perché diavolo è qui…?

Lei si volta, tutta arrossata. Sorride…

“FABI!!! Estàs bien? “ si butta verso di me per abbracciarmi. La respingo.

“Avevo detto…che se non tornavo in dieci-quindici minuti, dovevi fare dietro front e scappare!” mi guarda per un attimo sbigottita, ma ritorna la solita Mini con il suo ghigno.

“E lasciarti sola con quei idioti? Non credo proprio pequena!” ci rinuncio...Carmen Sanz sarà sempre Carmen Sanz...non serve a niente ragionare con una come lei...dopotutto...un rametto storto non si può mica raddrizzare...

Mi avvicino verso Mino. È messo piuttosto male: è pallidissimo, ha le occhiaie dalla paura e trema un continuo. I suoi vestiti sono stati distrutti o, come nel caso dei bottoni e del sacchetto di monete, rubati. È rimasto solo con il panciotto e i pantaloni un po’ malandati. Senza scarpe né calzini. I suoi occhi fissano il vuoto, sembra che non mi abbia notato.

“Stai bene?” comincia a fissarmi attentamente, mi siedo vicino a lui, sul lettino. Mi guarda malissimo. Non posso fare a meno di guardarlo a mia volta. I suoi occhi sembrano più piccoli senza gli occhiali.

Digrina i denti...

...

...alza una mano...

...

...la fermo in tempo...

...

...la lascio andare...

“Hey! Estàs loco?!” a momenti mi dava uno schiaffo, ma non troppo forte.

“MA TI SEI RINCRETINITA?! HAI IDEA DI COSA HAI FATTO?!”

Por què? Che ha fatto...?” non immaginavo che si ricordasse dell’accaduto, dopotutto era in stato confusionale.

“...Gelsomino...abbassa la voce...non siamo mica a casa nostra...”

“QUESTO NON È UNO STRAMALEDETTISSIMO VIDEOGIOCO! POTEVANO AMMAZZARTI! Ecco, ti hanno ammazzato la pancia. Ecco! Ecco!” dice, indicando la mia pancia, dove quella sottospecie di carbonella mi ha bruciato il corpetto del vestito, ormai rovinato.

“...una benda sullo stomaco e una piccola scottatura non significano niente...”

“NON SIGNIFICANO NIENTE?! FABIOLA! NON TI PENTI?” so di cosa parla e anche di chi parla.

“Shshsshsh...! Abbassa la voce…!” Mini cerca di farlo stare zitto. È completamente inutile…

“Mino, erano delle bestie all’interno di corpi umani...è un bene se siamo morti” vuole dire altro, ma sembra non farcela.

...alza ancora la mano...

...lo lascio fare...

...

...questo era potente...mi ha fatto rigirare la testa tanto era forte...

“Mino!” Carmen cerca di prendermi e portarmi lontano da lui. Le faccio cenno di fermarsi. Deve ancora finire di parlare. Se deve sfogarsi tanto meglio se lo fa ora.

“...dillo di nuovo e ti faccio diventare rossa...” non mi pento. Padre Luigi era un assassino, nel suo senso...e anche il suo assistente era un assassino...lui portava i bambini da lui...quelli senza madre, di solito...il prete invece gli rovinava...Non mi pento. Non mi pento. Dovevo affondare il coltello più lentamente, invece.

“Non mi pento” un’altra frustata in faccia. Non posso fare a meno di guardare per terra.

“Mino!”

“Oh, sta zitta tu!” mi strattona per i capelli. Mi costringe a guardarlo in faccia. Il suo viso si è colorato di rosso. Occhi, bocca, mani sono da animale. Mi mostra i denti. Non voglio guardarlo in faccia...mi fanno male i suoi occhi...

“GUARDAMI!” lo guardo. Non ho paura, ma non mi piacciono per niente i suoi occhi. Non so che espressione ho in viso, ma si calma, anche se poco.

“Ti sto rimproverando perchè hai giocato in questo modo con la tua vita! Sei solo fortunata, se tu sei ancora qui!” questo è vero però... Lascia i miei capelli...non ho niente da dire... Passa un bel pò di tempo. Mino sospira.

“Vieni qui...” mi abbraccia. Non mi piace questo abbraccio...mi sento tesissima...il mio corpo crede ancora che mi possa picchiare…e dire che quel piccolo episodio dovrà essere soltanto il primo di tanti altri...devo imparare di nuovo a combattere...mi serve assolutamente...

Sento la porta cigolare dietro di me.

“Va...va tutto bene...?” entra dentro un gigantesco coniglio che zoppica. Mini sembra essersi ripresa dalla sfuriata di cui, sicuramente, non ha capito niente.

“CALM!” si butta verso la porta. Il coniglio inorridisce. L’abbraccio tra me e Mino si scioglie.

“Mini, no!!!” troppo tardi. Mini si butta, letteralmente, su di lui. Il coniglio cade all’indietro e sbatte la zucca per terra. Mini, intanto, continua ad abbracciarlo.

“MINI!” è arrabbiatissimo, ma lei lo ignora. Lo abbraccia manco fosse un pupazzetto di pezza. Credo che lo soffoca.

“Levati da me!” la spinge via con un calcio, per niente forte. Mini rotola all’indietro. Il coniglio non riesce a rialzarsi.

“Scusa! Ora ti aiuto. Ecco...una zampa...un’altra ancora...no no no no...Fermo...!” non l’ascolta. Si alza di scatto e sbatte la testa contro il ripiano sopra di lui. Inoltre gli cadono addosso, soprattutto sulla testa, tanti libri, probabilmente di medicina, e tutti sanno quanto sono pesanti i libri di medicina.

Il coniglio è furioso. Credo che se fossimo in un cartone animato gli uscirebbe del fumo dalle orecchie. Mini non lo nota.

“Mi sei mancato mucho, mi conejito!!!” lo stritola. A momenti lei si mette a piangere.

“...ahhahha...” si accorge di quello che sta facendo e lo molla subito.

“Scusa!” il coniglio riprende fiato.

“...perchè sei qui...?! Dovevi scappare lontano da loro!” sembra essersi offesa.

“E ti lasciavo da solo contro di loro?! Senza armi?! Certo che no!” alza la testa con superiorità. Fa sempre così quando si offende.

“A proposito...dov’è il mio bumerang?!” si setaccia nervosamente la schiena e il petto peloso. Mini esita.

“...està aquì...” fa uscire dalla giacca di pelle un gigantesco bumerang. È la prima volta che ne vedo uno, dal vivo. Il coniglio socchiude gli occhi.

“Dove l’hai preso...?” chiede con tono poco raccomandabile. Mini fa un sorrisetto, anch’esso poco efficace.

“...l’ho...preso in prestito...” credo che il coniglio abbia un tic all’occhio, che sparisce subito con un sospiro.

“Mini...” disse schiaffandosi il muso con la zampa.

“Ma mi sei mancato moltissimo! Credevo di non rivederti mai più!” e si butta di nuovo su di lui, questa volta mettendosi a piangere per davvero. Meglio che lo aiuti o andremo troppo per le lunghe.

“...non dovete credere di essere il primo ad essere stato abbracciato da Carmen Sanz in questo modo...” quando avevo fatto fare quella scalata sull’albero a Farut, Mini mi aveva abbracciato nello stesso modo. So bene quanto può essere soffocante.

“Ah, tu sei...” abbassa le orecchie. Mini si stacca da lui, mi guarda interrogativa e con gli occhi rossastri.

“...si...sono io...Maria Fabiola Santarcangelo, è un piacere Coniglio di Pasqua” dico tendendo la mano verso di lui. Esita, ma la stringe poco dopo. La sua zampa, meglio chiamarla così d’ora in avanti, è molto soffice e calda...tra poco anch’io avrò voglia di accarezzarlo.

“…erm…Dammi del “tu” e chiamami Calmoniglio…” guarda la mia mano di sottecchi come se fosse una tagliola. Credo che il mio salvataggio non gli sia piaciuto. È molto nervoso. Ritira subito dopo la zampa con nervosismo. È davvero molto alto per essere un coniglio, lo immaginavo un po’ più basso.

Sento dei passi pesantissimi e veloci per il corridoio.

La porta si spalanca poco dopo.

Esce fuori un omone gigantesco, più alto del coniglio. Ha la barba lunghissima e bianca, anche per i capelli, le guance paffute e un po’ rosse, gli occhi azzurri e le sopracciglia nere con un pizzico di bianco. Se non è russo, allora non so proprio da dove dovrebbe venire. Assomiglia moltissimo al fratello di mia madre, Ivan, solo che lui non è così robusto e non ha questa passione per il rosso.

“CALMONIGLIO!” dice questo con felicità e l’abbraccia…si, è proprio russo.

“…ahhahaah…” si sente un CRAC poco raccomandabile dalle ossa del roditore gigante. L’omone lo molla sbigottito. Mi faccio avanti, cerco di fare un sorriso.

спасибо за помощь моих друзей” mi fissa per un po’ sbattendo ripetutamente le palpebre. Spero che io non abbia sbagliato lingua…

нет проблем!” mi sorride, non so il perché ma ho anch’io voglia di sorridere.

 

 

 

 

Questo posto è un teatro.

Un gigantesco teatro abbandonato.

E Nikolaj è il capo di tutto questo ambaradam.

Siamo nel suo ufficio. Non è una stanza molto grande ma nemmeno troppo piccola, di giusto tipo. C’è una scrivania, strapiena di fogli e lettere, una sedia un po’ cigolante, delle librerie piene di libri polverosi e due sedie. Mi siedo su una di quelle, lui invece sull’altra di fronte a me. Non c’è molta luce, solo tre candele. Si sentono dei fuochi d’artificio in lontananza. C’è una piccola finestrella da cui si vedono i botti di mille colori. Ricordo cosa mi aveva detto il folletto.

“…la festa allora non serve solo a fare soldi, no…?” chiedo in russo. Sembra che l’omone abbia preso simpatia per me, mi parla sempre nella lingua di mia madre, anche ora.

“Si, questo è anche un modo che abbiamo per comunicare fra di noi senza essere presi dalle guardie. Ci abbiamo pensato per molto tempo io e Jackie!” dice con un certo orgoglio. Effettivamente è abbastanza ingegnoso come piano, non troppo ma col giusto effetto. Quindi, in teoria, io avrei parlato con degli spiriti che si fingevano travestiti per una festa e, come ho visto dalle due bambine, non sembra che abbia attirato dei sospetti alla gente in città. Ci sono delle cose che non capisco… Mi giro verso di lui.

“Ma perché vogliono…catturarci…?” crede che io sia uno spirito come lui. L’ho notato quasi subito. Anche gli altri suoi simili immagino che pensano allo stesso modo, non so cosa credono invece di Mino e Mini, ma la cosa non mi preoccupa. Si fa serio, ma sento in lui molta tensione per la domanda.

“Non lo sappiamo nemmeno noi. Non sappiamo nemmeno per quale motivo siamo qui. Sappiamo solo che chi viene catturato sparisce nel nulla. Non so il perché ma Macula Sanguinea vuole noi Guardiani” conosce già quella donna, forse sono più avanti in confronto a me.

“E cosa mi sai dire di quei ragazzi? Cosa vuole lei da dei mortali?” si liscia la barba pensieroso. Non riesce a nascondere la tensione dentro di lui. A quanto pare ne ha passate più di quante ne ho passate io e anche gli altri spiriti.

“Credo che abbia qualcosa in mente anche per loro, suppongo. Sai perché sono qui?” gli racconto parte della verità e parte no. Gli dico che sono uno spirito reincarnato da poche settimane, gli dico il mio nome, quello vero, e da dove vengo, e del rito e che stavo seguendo per caso, di quei ragazzi e come sono finita qui e perché ho intenzione di proteggerli.

“Credi che sia giusto fare questo?” annuisco.

“Si, credo sia la cosa giusta da fare” mi guarda serio per un bel po’. Questo silenzio è nauseante.

“Credi che c’entri qualcosa Pitch Black?” strabuzza gli occhi e mi guarda perplesso.

“Ma…come fai a conoscerlo se sei uno spirito da poco?” ho previsto che me l’avrebbe chiesto. Raccontare storie è sempre stata una cosa normale per me. Ma dette solo in fin di bene, non bisogna mai dimenticare chi sei veramente e cosa pensi in realtà.

“Lo conoscevo già da molti anni, per così dire, e so anche cosa vi ha fatto. Tu cosa ne pensi? È una possibilità?” si riprende subito. I suoi piedi si muovono ritmicamente e le sue iridi si muovono in a scatti, cercando per terra qualcosa su cui soffermarsi, invano.

“Probabilmente no…forse si…beh, stiamo parlando di Pitch Black, è imprevedibile!” non sa niente nemmeno lui…la mia speranza è andata a farsi benedire… Sospiro.

“Almeno hai qualche spiegazione a tutto questo?” lo dico con troppa rabbia, questa situazione mi sfinisce, oltre che ho una fame del diavolo e ho anche voglia di dormire… Sembra dispiaciuto. Non riesce più a trattenere il suo nervosismo. Lo noto troppo tardi.

“Scusa, Fabiola, ma non abbiamo la minima idea né dove ci troviamo e né del perché siamo qui. Non possiamo fare altro che rimanere in questo teatro. Le lettere non sono nemmeno un buon metodo per mandare dei messaggi. Se usciamo, anche solo per pochi minuti, ci catturano e finiamo chissà dove. Inoltre la barriera invisibile sulle nostre teste dimezza i nostri poteri, la nostra velocità, la nostra magia e ogni abitante di quest’isola riesce a vederci, adulti inclusi. Non possiamo fare nulla. Non so nemmeno se gli altri Guardiani stanno bene…” quest’ultima affermazione la dice con tristezza e frustrazione. Si guarda le ginocchia per molto, troppo tempo. Anch’io mi sento stressata. Mi trovo in un luogo che non conosco, con gente che non conosco e, soprattutto, contro la mia volontà. Anch’io voglio rivedere mio fratello sano e salvo, e mio cugino e tutti gli altri ragazzi… Mi dispiace di essermi arrabbiata con Nikolaj, non è colpa sua dopotutto…posso sempre rimediare. Poggio la mia mano sulla sua. È uno scricciolo in confronto. Si…glielo dico…dopotutto…devo fare anch’io una buona azione una volta ogni tanto.

“…Sandy sta per Sandman…?” alza gli occhi di scatto. Gli sorrido.

“Si è rifugiato in una casetta in campagna insieme a me e…” mi interrompe alzandosi di scatto dalla sedia. I suoi occhi stanno per uscire dalle orbite. Si mette in ginocchio di fronte a me e mi prende per le mani.

“Come sta? Sta bene? Non gli è accaduto niente?” mi chiede a mitraglietta. Sorrido ancora.

“In ottima salute, una sera mi ha anche chiesto di ballare” e a momenti si commoveva tanto era felice, ovviamente non glielo dico. Si rimette in piedi, sembra che si sia tolto un grande masso dal cuore. Gli luccicano gli occhi…non riuscirà a trattenere tutta quella felicità da solo. Mi avvicino a lui e lo abbraccio.

Sa di biscotti alla cannella e menta e anche di legno. Il suo pancione è morbidissimo, posso affondarci la testa.

“Non è ancora finita, Kolja…” credo che d’ora in avanti lo chiamerò così. È brav’uomo, non merita di soffrire. Troverò gli altri Guardiani per lui e insieme andremo via da questo posto. Mi abbraccia anche lui, ma con più forza. È diverso dall’abbraccio di Gennarino, i suoi soffocavano, è anche diverso dall’abbraccio di Mino, il suo è asciutto, senza consistenza, quasi invisibile, inesistente. Con questo, invece, mi sento asfissiare nella cannella…è una bella sensazione…vorrei che anche mamma mi desse questi abbracci…

“Devo scrivergli qualcosa…subito! Fabi, io gli scrivo una lettera, si? E tu puoi mandarla da Sandy? Puoi?” dice cercando freneticamente in quel mare di fogli uno bianco. Credo che anche lui, d’ora in avanti, mi chiamerà così.

“Certamente” è ancora più felice di prima. Trova un foglio e una penna d’oca con dell’inchiostro.

“Allora…allora…allora…cosa scrivo? Cosa scrivo?” si martella il mento con le dita.

“Troverai le parole giuste” alza la testa dal foglio. Fissa il mio vestito e anche la benda, ormai l’hanno vista tutti.

“Prima devi trovare un vestito buono! Non puoi uscire così!” corre verso la porta ed esce. Mi fa cenno di seguirlo e andiamo verso i numerosi corridoi. Dopo poco tempo ci troviamo in un altro spogliatoio, molto più grande del primo che avevo visto.

“Astrea! Sai già tutto, trova un vestito per questa bambina! Portala da me appena hai finito” e se ne va sbattendo la porta. Davanti allo specchio c’è una ragazza. Ora che ci penso, non è proprio una ragazza.

Credo sia una fata, molto particolare. Ha i capelli lunghissimi, quasi fino al bacino, come i miei. Sono blu, anzi, azzurri con riflessi bianchi e luminosi come la pelle e il vestito. Sembra fluttuare ad ogni movimento che fa. Si avvicina a me, i suoi piedi non toccano terra, eppure le sue ali di pizzo non si muovono.

“Allora cosa ti vuoi mettere?” sembra che abbia saputo già tutto da chissà chi. Lasciamo stare…

“…non so…” in genere io e i vestiti non andiamo d'accordo. Non sono mai comodi e nove volte su dieci mi sembra di avere ai piedi dei blocchi di cemento. Fosse per me camminerei senza scarpe. Qui ci saranno almeno una ventina di abiti, tutti da femmina

“Beh, fai un giro e poi ti aiuto a metterti qualcosa” dice piazzandosi davanti allo specchio e prendendo una spazzola. Scuoto la testa. Si comporta come Mini… Vado un po’ in giro curiosando.

Sono tutti abiti da donna…disgustosi…almeno per me… Beh, se le cose si mettono male allora dovrò accontentarmi di uno di questi, anche se ora la gonna comincia a darmi seriamente fastidio. Forse trovo qualcosa all’ultimo secon…

…ma che…?

…no no no…

…quello…insomma…ho visto male…

Prendo il vestito in mano. È uno di quelli. Ma…era solo un videogioco…impossibile…

“Non vorrai provare quello straccio…?” non capisco come possa definirlo straccio. È incredibile, invece. Forse non è quello che sto pensando. Forse, visto sulla gruccia, è diverso che visto addosso.

“…si…”

“Ma è l’unico che ho scartato apposta…”

“…come si mette…?” soffia seccata. Comincio a togliermi il mio vestito regionale.

 

 

“Toglitelo è orrendo…però a te non sta male” mi sta da sogno, invece. È uno di quelli. Non so come sia possibile…a provarlo c’è anche una cintura con il simbolo. Ma per quale stramaledetto motivo non c’è qui Gianni?!

“Prendo questo. Puoi farmi una treccia? Una tipica russa?” mi piacciono le trecce russe che mi fa mamma. Spero che anche lei sappia farla e spero che riuscirò a ricordarmi come farla da sola.

“Un attimo” dopo un po’ me la fa…una treccia a spina di pesce che parte dall’inizio della testa. Non riesco a staccarmi dallo specchio. È comodissimo e anche morbido. La seta e la pelle non sono appiccicosi come i soliti vestiti che indosso. Non è né troppo freddo e né troppo caldo. Il cappuccio è spettacolare… il colore nero e rosso mi sta bene…non ci posso credere che lo sto indossando…non posso crederci che sarà mio. Devo calmarmi. Devo calmarmi subito.

“Fabi, ho finito la lettera!” per poco non svengo. Ero troppo concentrata sul vestito. Non devo rifarlo mai più.

“Ti ha fatto indossare un vestito da assassina?!” mi guarda perplesso. Ma come diavolo fa a conoscerli anche lui?! Avevo previsto ogni cosa…ogni stramaledetta cosa, tranne questo. Non immaginavo che gli spiriti fossero talmente umani da vedere dei videogiochi.

“Veramente mi ha costretta lei…” zitta, Mini 2. Questo me lo tengo a vita…sto esagerando…per fortuna che non si vede la mia agitazione…

Kolja mi passa la lettera. È pesantissima, manco fosse una busta.

“Fabi! Dove hai trovato quel vestito?! Sembri una serial killer! Ti si addice molto!” esce fuori Mini e Mino. L’ultimo mi guarda perplesso, appena lo guardo in viso il mio corpo s’irrigidisce, probabilmente ricorda ciò che è successo poco prima. Probabilmente Kolja gli ha portati qui o sono venuti qui da soli. Non importa… Le guance di Mino sono un po’ rosa, credo che si senta meglio.

“L’ho già visto questo…non mi ricordo dove…” questa, invece, me l’aspettavo. È un videogioco molto famoso, dopotutto.

“Non è difficile, provaci!” non ci arriva. Lo aiuto.

“Assassin’s Creed. È un vestito da assassina e neanch’io posso crederci che è mio e non riesco nemmeno a capire perché sia qui e soprattutto come” nessuno riesce a capirmi. Mino ad un certo punto s’illumina dicendo un lunghissimo, ah! Gli sorrido. Dopo un po’ anche Mini comincia a capire, ma il suo sorriso svanisce quasi subito.

“Ma…è un videogioco vero?! Allora esistono i serial killer incappucciati?! Eso es genial!!! Mi giro verso lo specchio.

È un vestito molto aderente, ma per niente ingombrante, mi ci è voluto un po’ per mettermelo. Ovviamente indosso dei pantaloni in pelle; il busto è stretto fino al bacino dove sembra che l’abito si apra in diverse direzioni come se fosse una gonna, ovviamente non lo è. Ho dei guanti senza polpastrelli, per niente appiccicosi, lo stesso per la stoffa un po’ gonfia che avvolge le braccia; poi dalla mano fino a metà braccio c’è della pelle che aderisce moltissimo, ma non sento dolore; infatti copre le bende e quasi non le sento addosso. Per il resto è un abito da assassina nero con dettagli rossi. E con un gran bel cappuccio.

“Ma…i soldi…?” mi si spegne il sorriso. Anche quello degli altri è scuro.

“Prima…quelli hanno detto che gli avevano presi…con i bottoni e tutto quello che avevo addosso…” dice più a sé stesso che a me.

Como farai a tornare indietro? E tu come puoi andare con Fabi conciato così?” sospiro. Mino è preoccupato. La sua espressione diventa tetra.

“Mino, tu detto che sei bravo con macchinari” Mino alza la testa interessato, sempre con sguardo tetro. Non sembra molto sicuro di sé in questo momento.

“Ho molti lavoretti da fare e non riesco a fare tutti, puoi lavorare qui e poi tornare a casa dopo. Ti darò soldi per cibo e altro. Stasera puoi dormire qui!” anche Mini si mette in mezzo. Guardo un attimo Kolja. Ho impressione che abbia pensato a questo già molto tempo prima.

“Non ti offendere, Fabi, ma voglio restare anch’io qui con il mio conejito

“…non mi chiamare CONIGLIETTO!” si sente nel corridoio, ormai si comprende chi sia il proprietario della voce.

“HO DETTO CONEJITO, NON CONIGLIETTO!” urla anche lei con un ghigno sinistro in bocca. Tipico…

“MINI!!!” non faccio a meno di sorridere alla risata maligna della ragazza latina. Sono d'accordo. Penso a Sandy e a Farut…chissà cosa diavolo stanno facendo laggiù…e chissà che cosa pensano che ci sia successo…Farut sarà furioso con me…poco ma sicuro…

“Allora siamo d'accordo. Mino, però domani voglio che tu torni a casa, e il prima possibile: Farut sicuramente mi vorrà morta dopo questa escursione” Mino scuote la testa.

“Non finchè ci sarò io, Fabì! Torna a casa tranquilla…pensi…di sapere come tornare indietro?” anche a questo avevo pensato. Credo di sapere come andare. Se viaggio sui tetti nessuno mi vedrà e saprò come tornare alla casetta. Inoltre la festa terrà occupata la maggior parte dei cittadini e potrò muovermi tranquilla, ma non credo che ce la farò…a momenti svengo dalla stanchezza…ho dormito per poco troppo tempo in questi giorni. Kolja sembra leggermi nel pensiero. Di sicuro vorrà che la lettera raggiunga il destinatario.

“Fabi, vieni, seguimi”

 

 

 

 

 

“Lei è Yaja, è molto più di una mula, credimi!” mi dice in russo. Dopo aver salutato i ragazzi, Kolja mi ha portato in questa piccola stalla. Davanti a me c’è una mula che mi fissa in modo strano come per dire: e questa qui da dove viene?

“…grazie…ma io non so cavalcare…” non solo: detesto i cavalli. Una volta, quando ero piccola, la mia famiglia e quella di Gianni vivevano in campagna. Mi piaceva stare lì, era un posto molto calmo e tranquillo. Una volta mio zio, Mario, padre di Gianni, ha voluto che io andassi sopra ad un cavallo insieme a lui. Per un po’ è andata bene, ma poi il cavallo si era imbizzarrito e avevo sbattuto pesantemente la testa. Sono dovuta andare in ospedale per quel ronzino…il sangue scorreva a fiumi.

“Non c’è bisogno! Lei è molto intelligente, te ne renderai conto!” avevo sempre paura dei cavalli da quel giorno, ma ora non più. I cavalli, ora lo so, non pestano gli zoccoli sugli esseri umani e se s’imbizzarriscono c’è sempre un motivo; infatti quella volta il cavallo si era spaventato per colpa di un cane.

“Vai su! Ti aiuto” mette una coperta violacea sopra la groppa del quadrupede come se fosse una sella. Mi issa su. La mula mi fissa per un momento un po’ perplessa.

“Allora, dov’è la tua casa?”

“Fuori l’entrata principale. Poi sempre dritto per mezz’ora, nella campagna”

“Allora, hai sentito, Yaja? Portala a casa!” dice felice. La mula sbuffa. Non credo proprio che una vera mula si comporterebbe così. Ho avuto a che fare con gli animali di cortile, quadrupedi compresi, e questa qui è assai strana.

Saluto Kolja, ormai lontano dalla visuale e la mula mi porta verso la giusta direzione, non molto velocemente. Siamo usciti dal vicolo buio e fetido dov’era l’uscita della stalla. Non avrei mai immaginato che Babbo Natale fosse russo.

Penso un po’ a tutto quello che è successo oggi. Che diavolo…anche loro sono qui…non mi sorprendo per niente, anzi, fosse il contrario sarebbe una sorpresa. Si sente in lontananza la folla che urla per i fuochi. Per il resto la città è completamente buia e senza alcun’anima viva, non c’è nemmeno un lampione che funziona, le uniche luci sono le stelle e la luna piena. È un po’ malinconico come paesaggio. Mi calo il cappuccio. È molto profondo e l’interno è rosso fuoco, non c’è bisogno di dire che l’adoro. Mi guardo i guanti senza polpastri che ho addosso. Non posso pensarci che un videogioco possa corrispondere alla realtà. Capisco che alcuni videogiochi sono ispirati a fatti realmente accaduti, ma Assassin’s Creed è un racconto immaginario. Capisco che i Templari sono realmente esistiti, ma questa è un’esagerazione, se vista da questo punto di vista. Forse gli Assassini sono realmente esistiti e questo vestito ne è la prova come il simbolo che ho sulla cintura…o forse no…o forse è qualcosa che non scoprirò mai…

Mi brontola la pancia. Due fette di pane non possono saziare lo stomaco, nemmeno per un giorno. Siamo vicini alla porta d’entrata che abbiamo visto io e Mino. La sorpassiamo lentamente, ma non troppo.

Ну, если вы голодны, ешьте!” trasalgo. Non ho capito da dove veniva la voce, ma di sicuro si riferiva a me. Mi giro lentamente un po’ ovunque.

Nessuno.

Forse veniva dall’alto…

Я говорю вам, барышня!” no…veniva dal basso… guardo la mula, lei guarda me corrucciata. Credo di aver capito.

“…ah…” tendo le orecchie al massimo, la mula su cui sono seduta credo che abbia voglia di parlare.

“Ho detto: se hai fame, allora mangia!” mi dice spazientita. Mi aspettavo di tutto…forse anche questo in verità…mi rimetto subito.

“Dove trovo da mangiare, allora?” assottiglia gli occhi. è abbastanza buffo da vedere, in verità. La tipa mi parla in russo come Kolja.

“Nella sacca, no? C’è anche dell’acqua se vuoi…Ma vedi di non farmi traballare, ho una certa età io!” sbatto le palpebre più volte, è abbastanza insolita come scena. Mi chino un po’ verso il fianco dell’animale. In effetti c’è una borsa e sembra strapiena. Forse per la stanchezza non l’ho notata. La prendo senza far sbilanciare la mula. La apro.

Il profumo di dolci mi invade le narici. La mio tallone d’Achille è in questa borsa. Ce ne sono di tutti i tipi e di ogni grandezza e colore. La mia lingua non può fare a meno di sfiorarsi le labbra. Ne agguanto uno e lo ficco in bocca, quasi senza masticare. Ho una fame bestia. Ne mangio un altro, con più calma. Poi un altro. Un altro ancora.

“Senti tu, al posto di fare la mangiona altezzosa ed egoista, potresti anche offrirmi qualcosa!” finisco il dolce al cioccolato e ne passo uno a Yaja. Sbuffa.

“Ma che diavolo è questa schifezza?!” quando parla non muove la bocca, come se parlasse con me tramite pensiero.

“Un bombolone al cioccolato con granella al cocco” sono un’esperta in questo campo. Mia zia, Pinuccia, madre di Gianni, sa cucinare i dolci che sono la fine del mondo, altro che 2012. Vorrei lasciare due dolci per Sandy e Farut…anche loro meritano qualcosa di buono da mangiare. La mula mi guarda supplichevole e abbastanza stupita.

“C’è solo questo? Dolci…? Non c’è qualche carota o mela…?” setaccio la borsa. A parte i dolci e una lettera non c’è nient’altro. Ci sono anche i miei coltelli all’interno. Gli aggiungo alla cintura dell’abito.

“No, solo dolci e questa” finisco io il bombolone. Yaja solleva lo sguardo verso la lettera.

“Beh, che aspetti, leggi!”

La apro.

 

 

Sono sempre io, il tizio coi capelli bianchi e gli occhi neri.

Spero che ti piacciano, gli ho fatti io.

Buon appetito!

Jackie

 

P.s  Scusa ancora per il vestito e per il “volo”

P.p.s  Lo sai che sei molto carina?  J

 

 

Strappo la lettera in tanti piccoli pezzettini e li butto per aria con teatralità. Non posso crederci che mi abbia fatto anche uno smile…

Jackie…spero che il prete sia pronto per la cerimonia…

“Ebbene, chi era?”

“Jack O’Lantern…ha fatto lui i dolci…”

“Non mi sorprendo, gli abitanti di Halloween sono secondi dopo di lui a fare i dolci per i bambini…è stato anche un cioccolatiere in vita quel giovane uomo…mestiere da pochi soldi per l’epoca” dice rigirando gli occhi.

Riconosco gli alberi di mele vicino alla nostra casetta. Siamo stati velocissimi: poco più di cinque minuti. Yaja guarda le mele affamata.

“Guarda lassù, quello si che è cibo. Altro che dolcetti di quella squallida città!” dice alzando il muso.

“Te ne prendo qualcuna?”

“Puoi arrivare lassù?”

“Ovviamente” scendo dalla mula e mi arrampico sull’albero. Mi sento una vera assassina, l’abito è adattissimo al mio hobby preferito e non mi dà alcun fastidio. Scendo con tre mele, le più rosse e succose. Zì Pinuccia da piccola mi ha insegnato come si scelgono i frutti migliori da prendere sugli alberi. Non è mai stata una cosa tanto difficile da fare. Yaja sembra soddisfatta. Gli mastica felice. E poi ero io la mangiona…gli divora in poco tempo. Appena finisce salto in groppa a lei e procediamo per il boschetto. Sembra molto più tetro di notte. Le stelle non riescono a filtrare tra i rami e a malapena vedo qualcosa, ma riusciamo ad uscire in fretta. Vedo la casetta. Le luci sono spente.

“È quella?” le dico di si e ci avviciniamo abbastanza velocemente.

“Senti un po’, ragazzina, le prossime volte portami alcune di quelle mele. Dopotutto anch’io devo mangiare!” scendo dalla mula.

“Si, mi sembra giusto. Per ora ti porto nella stalla, va bene?” poco prima di partire con Mino, avevo visto una stalla dietro alla casetta e credo sia un buon posto per mettere Yaja. Sbuffa impaziente. La porto dentro e chiudo la porticina. Appena le tolgo la copertina viola si addormenta, in piedi. Anch’io vorrei dormire. Vedo qualcosa luccicare legato a Yaja insieme alla borsa. Mi avvicino.

Una spada.

Una spada che di solito vedo nei film di samurai. E una lettera. La apro. Diavoli…è in russo…

“…Yaja…una cortesia…” agita il muso per svegliarsi.

“Beh, che c’è?! non si può più dormire in pace?!” mi guarda arrabbiatissima.

“…me la puoi leggere…?...non riesco a capire…” mi fissa spazientita.

“Cosa? Non sai più leggere?”

“…è in russo, però…” mi guarda sbigottita. Esita per un momento.

“Cosa cosa cosa?! Non sai leggere una lingua che sai parlare?! Che stai parlando con me?!” mia madre non ha mai avuto il tempo di insegnarmi a leggere e scrivere in russo, e, no, non lo trovo per niente imbarazzante.

“…no…”

“Oh, bene! E allora che cosa sai fare, signorina?” questo però è un po’ troppo. Raddrizzo il busto, abbastanza offesa, in verità.

“Se fosse la mia lingua madre capirei” se avesse delle sopracciglia ne alzerebbe una.

“Ah si? E quale lingua sai allora?”

“L’italiano, prima di tutto. Poi l’inglese, un po’ di francese, latino e un po’ di greco antico” mi guarda come si guarda una snob. In effetti sto andando un po’ troppo oltre.

“Va bene, fammi sentire qualcosa d’italiano, visto che sei italiana…però la tua faccia non ha molto d’italiano…” ci penso un po’ su… Mi viene in mente Giacomo Leopardi.

 

D’in su la vetta della torre antica,

passero solitario, alla campagna

cantando via finchè non more il giorno;

ed erra l’armonia per questa valle.

Primavera d’intorno

Brilla nell’aria, e per i campi esulta,

sì ch’a mirarla intenerisce il core.

Odi greggi belar…

 

“Basta, basta! È sufficiente…per stasera”

“E la lettera?” sbuffa più forte delle volte prima.

“Apri le orecchie, piccola analfabeta:

 

Sono Kolja (usare un diminuitivo…quell’uomo non lo capirò mai…),credo che ti serva qualcosa con cui proteggerti oltre ai coltelli (vorrei vederla io una bambina non troppo bambina proteggersi con dei coltelli…). Non so di chi appartenga questa spada, ma penso che sia adatta a te! (fai male a crederci…)

Buona fortuna, Fabi! (non credo che le serva, Nicholas…)

Nikolaj (ma che razza di firma è mai questa?!)

 

Soddisfatta? Ora sparisci, o ti faccio diventare io un passero solitario!”prendo la spada e la borsa con le due lettere e i due dolcetti e la metto a mo di marsupio, dietro al sedere. Sparisco in fretta. Questa mula è più divertente di quello che sembra.

Mentre entro in casa indosso, dietro la schiena, la fodera con la spada all’interno. È tutto buio e scuro qua dentro. Mi giro un po’ attorno e salgo le scale. Mi sento inquieta…è accaduto qualcosa qua dentro. Sfodero i coltelli e cammino silenziosamente per il corridoio arrivando alla mia stanzetta. La porta è semi-aperta.

Spio un po’ all’interno. C’è qualcuno.

Sandy.

Entro dentro. La porta scricchiola.

Sandy è affacciato alla finestra, non riesco a vederlo in volto. Appena ha sentito lo scricchiolio della porta si è voltato come una scheggia. Il suo viso è pietrificato. Hanno qualcosa di sbagliato i suoi occhi, in genere sempre calmi. Mi sento molto tesa…come se fossi di fronte ad un estraneo…in verità lui è un estraneo…sono io che mi sono affezionata troppo a lui… Le sue iridi si muovo velocemente verso le mie mani armate, sempre con lo stesso sguardo. Ho capito. Sono io l’estranea per lui. Ho un cappuccio in testa, un abito da assassina che, forse, non conosce ma che comunque rappresenta una minaccia per lui. Sono armata, mentre invece lui no. E non mi riconosce, vestita così.

Cerco di dire qualcosa per tranquillizzarlo, ma non ci riesco.

Sandy mi butta addosso una palla gialla che mi si schianta sulla testa, ma senza farmi nulla.

…uh…?

…perché…

…ho tanto…

…sonno…?

…faccio dei passi indietro…ho sonno…ho tanto sonno…

…sbatto la schiena per terra…

…i coltelli cadono lontani da me…

…Sandy mi fluttua vicino…

…mi prende i coltelli…

…li butta lontano dalle mie mani…

…non…

…devo…

…assolutamente…

…dormire…

…buio…

…qualcuno mi chiama…

…la conosco questa voce…

 

 

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Capitolo 13
*** Malattia ***


…Fabi…

…Fabi…

“Fabi! Fabi!” sono sdraiata sull’erba foltissima, non ancora tagliata e piena di rugiada trasparente.

“…che c’è Leo…?” chiedo annoiata. È una giornata molto pigra per me. Comincia a parlarmi in russo. Ha il fiatone per la corsa.

“Ho trovato un’amica! È molto carina e dolce! È simpatica e…” lo interrompo.

“Come un’amica?” chiedo in italiano. Leo ultimamente non riesce a farsi degli amici. È più o meno nella mia situazione: viene preso in giro per il suo caratterino, nel suo caso troppo “infantile”. Sarà, ma in questi tempi i suoi coetanei sembrano più adulti che bambini.

“Si si si! E conosce anche Manny! Non è strano?” Manny è l’amico immaginario di Leo. Immagino che, visto il periodo, abbia deciso di crearsi un amico con cui parlare. Spesso lo vedo chiacchierare “da solo”, infatti. Le invenzioni della mente…

“Aspetta, aspetta, andiamo per ordine: come si chiama e da dove viene?”

“Te la faccio conoscere! È qui!” scompare dietro il college e riappare in pochi secondi con una bambina asiatica, alta quanto lui.

“Lei si chiama Nikito Haiba. È di Tokyo, ma proprio Tokyo Tokyo! Niki, lei è Fabi, la mia sorellona” immagino che Leo intenda dire che la bambina abita al centro della capitale. Lei mi fa un sorrisino e mi saluta con un inchino. Chissà dove l’ha trovata una tipetta così… il secondo giorno…

“Beh, non c’era bisogno di queste formalità, ma è un piacere conoscere la mia futura cognata” Leo sbiadisce.

“Eh…?” alzo un sopracciglio.

“Come, mi presenti con tanto sfarzo una ragazzina (molto carina, eh eh…) e poi mi fai questa faccia da pesce pescato? Ora sono io che non capisco” pianta i piedi per terra. La ragazzina si mette a ridere. Forse un po’ di italiano lo sa, dopotutto…

“No! Non sarà la cognata di nessuno! È mia amica!”

“Dicono tutti così…all’inizio…”

“Non è vero!”

“Ah si? Sicuro…?”

“Certo che si!” e mette le braccia incrociate con un viso infuocato. La bambina si gira e gli tocca una guancia rossa, sempre con un sorrisino dolce.

“Uh…va bene, hai vinto. Ma secondo me, un giorno, forse fra dieci o undici anni, ti presenterai tutto galante a nostro padre e gli chiederai se è possibile che un italo-russo, però d’aspetto più russo che italo, possa sposare una giapponese…”

“No!”

“Allora Paolo Santarcangelo, nostro padre, dirà, anche se un po’ preoccupato, che dipende dal tipo di donna che questo “italo-russo” sceglierà. Poi tu gli presenterai una certa Nikito Haiba…” la bambina sta morendo dalle risate. Leo sta diventando un gamberetto biondo.

“Smettila!”

“…magari a cena a casa nostra…”

“Fabi…!”

“…poi nostro padre si renderà conto che è una cosa fuori dal normale e si chiederà che tipo di bambini usciranno fuori da tutto questo casino di etnie, e ti dirà di no…anche se, effettivamente, la ragazza giapponese non è proprio una di malaffare, anzi, molto carina e simpatica…”

“Zitta!”

“…allora, dopo un bel po’ di tempo, Paolo Santarcangelo dirà di si a suo figlio e si proporrà di pagare il matrimonio e il futuro battesimo del nipote…”

“Niki, addosso!” si buttano su di me e mi inchiodano sull’erba bagnata.

Anche se…

…secondo me accadrà una cosa del genere…

Cominciano a farmi il solletico.

Non resisto e comincio a ridere.

“Fabi!”

“Fabi…!”

Fabi…

Fabiola…

 

 

 

 

 

“Fabiola jan! Svegliati!” mi alzo di scatto.

“Ma allora sta bene! Sta bene! Sandy, hai visto? Sta bene!” dice una voce molto eccitata. Sento uno strano rumore che si ripete molto velocemente. Giro la testa di scatto.

Sandy e Farut.

Ah…

Era solo un sogno…

Peccato…

Mi gira un po’ la testa, sono ancora stanca, anche se dormire mi ha fatto bene. Sono sopra al “mio” letto azzurro, ancora vestita da assassina. Sulla scrivania vedo la spada, la borsa e la cintura con i coltelli. Farut e Sandy si girano verso di me, il primo si avvicina con passo pesante. Ottimo…due schiaffi in faccia da due persone e nella stessa serata…perfetto…beh, tanto meglio che lo lascio fare...dopotutto è stata una mia ide…

…?

“Credevo che ti avevano ammazzata…! Io…Sandy…non sapevamo cosa fare…! E Mino…?! Dov’è…?! Dov’è quell’idiota…?!” sento i suoi capelli lunghi e crespi sul viso. Non immaginavo una reazione così. Credevo che Mino avrebbe avuto una faccia del genere dopo averlo ritrovato dopo il suo rapimento e, invece, Farut mi avrebbe dato i ceffoni in faccia appena tornata a casa…

“Aspetta, un attimo, calmo, calmo…lasciami un attimo. Va bene così. Bene” scendo dal letto e mi tolgo il cappuccio. Sandy sembra una corda di violino tanto è teso. Si tortura le mani in continuazione. Mi avvicino a lui. Farut dietro di me non si è calmato per niente e continua a farmi delle domande che non riesco a sentire. Mi chino alla sua altezza, anche se non mi ci vuole molto. Gli passo una mano nei capelli e mi rendo conto che non sono fatti di sabbia come pensavo. Sandy si tranquillizza, anche se mi guarda tra lo sbigottito e l’impacciato.

“Stai bene?” lentamente prende la mia mano, quella tra i suoi capelli, e la lascia annuendo velocemente con un sorriso nervoso. È imbarazzato. Sembra che voglia dire qualcos’altro, ma esita. Farut dietro di me continua ancora a farmi domande e a raccontarmi cose, ma non riesco a capirle. Parla troppo velocemente.

“…e poi è venuto il demone in casa e…” mi alzo da terra e mi giro verso di lui.

“COME?!” continua a parlare senza ascoltarmi. Lo prendo per una mano.

“Aspetta, vieni con me e mi spieghi cos’è successo qua dentro e intanto io ti racconto cos’è successo oggi, va bene?” non sento né vedo la risposta.

Siamo tornati in cucina. Sul tavolo c’è solo una bottiglia, il genere che Zì Pinuccia usa per metterci dentro le lenticchie. Lo faccio sedere e prendo qualcosa da bere. È finita l’acqua, rimane soltanto una bottiglietta di birra. Ma chi diavolo l’ha presa…?

“Fabiola, non posso berla quella roba” uh…?

“…oh…scusa…” ah, gia. L’avevo quasi dimenticato… I musulmani non possono bere alcolici. Beh…un po’ d’acqua del rubinetto non fa male a nessuno. Nel lavabo ho visto un grosso secchio pieno d’acqua. Beve velocemente e a momenti rompe il bicchiere tanto è agitato. Dopo che ha finito mi squadra da capo a piedi.

“Ma cos’è questa mascherata?” gli racconto tutto quello che è successo oggi, tralasciando la morte del prete e dell’assistente. Mi limito a dire che sono fuggiti con i soldi. Lui è sbiancato quando avevo detto che Mino era stato rapito ed è ritornato calmo quando gli ho detto che sta bene insieme a Carmen. Si è calmato moltissimo anche quando gli ho raccontato di Kolja e che ha intenzione di aiutarci con i soldi.

“Visto? Dio c’è anche per noi poveretti”

“…”

“Non fare quella faccia, non è stata colpa di nessuno” non stavo pensando a niente in verità. Spesso non si riesce ad interpretare bene ciò che pensano gli altri.

“A voi cos’è successo?” Non vedo Sandy, credo che sia ancora al piano di sopra. Intanto mi sono tolta il vestito. Ora sono solo in canottiera a maniche corte, pantaloni in pelle del vestito da assassina e con la treccia a spina di pesce.

“Ho avuto una fifa blu che non puoi capire!” faccio segno di raccontare.

“Ci siamo svegliati tardissimo: il sole stava calando. Sandy mi ha svegliato e mi ha fatto vedere che eravate spariti. Allora io sono uscito nel boschetto a cercarvi, ma nulla. Poi però ho visto della gentaglia che girovagava nel frutteto ma io…io…io…io…NON MI TOCCARE!” gli avevo preso di nuovo la mano per tranquillizzarlo, ma sembra che non gli sia piaciuto il mio gesto. Farut è ritornato Farut…

“Beh, che volevano? Ladri? Malfattori? O semplici contadini?” apre la bocca per dire qualcosa, ma si blocca subito. Ci riprova. Niente. Prova a gesticolare, forse per articolare il discorso. Non gli esce niente di bocca.

“Ebbene?” pianta i pugni sul tavolo. Mi sta salendo il dubbio quest’attesa: dei ladri potrebbero essere e potrebbero aver preso qualcosa, anche se non c’è molto; delle semplici persone che si sono perse nel bosco è probabile: salendo sul tetto ho notato che è terribilmente folta e scura la foresta, infatti anche sulla mappa vi è disegnata la stessa identica cosa; chi altri potrebbero essere?

E se…?

“Ebbene?” rigiro gli occhi e batto anch’io i pugni sul tavolo.

“Farut, diavoli, chi erano e cos’è successo?” neanche i bambini si comportano così…! Ma è meglio non dirlo: non mi farà capire nulla poi. Fa un’espressione del tipo: mannaggia…come posso spiegarlo…?

“Dio…non mi puoi credere…neanch’io ci credo…!” e ridacchia con nervosismo. Lo fisso intensamente. Si mette le mani in viso e schiaccia la schiena sulla sedia. Comincio a scocciarmi.

“Se non mi dici niente, lo chiedo a Sandy: anche se non ha una voce, può sempre spiegarmi cos’è successo…” e mi alzo dalla sedia per avviarmi sulle scale. Sento dietro di me i passi pesantissimi di Farut e una grossa mano mi blocca la spalla destra.

“No! Vieni, aspetta, siediti” mi trascina letteralmente e mi fa sedere. È piuttosto nervoso. Si siede accanto a me con discrezione e comincia a sussurrarmi.

“…Sandy non sa nulla…si preoccuperebbe per niente…giurami che non gli dirai nulla di quello che sto per dirti…” lo guardo con più attenzione. È vestito in modo molto semplice: una maglietta grigia e un paio di pantaloncini da pallacanestro neri con strisce laterali rosse. Pessimo abbigliamento per un’uscita nei boschi…

“…non faccio giuramenti…” si agita e batte il pugno sul tavolo.

“…va bene, va bene…me lo prometti…?...posso fidarmi…?” annuisco. Non vedo cosa dovrebbe esserci di tanto grandioso per avere tutta questa discrezione, ma…sentiamo un po’.

“…erano lupi…” sbatto le palpebre. Grandioso…

“…che tipo…?” allarga le braccia lungo il tavolo.

“…grandi quanto questo tavolo e larghi così…!...ti giuro che è vero…” ti credo Farut…anche se stai abbondando un po’ il discorso con le dimensioni di quei lupi. Se Fabrizio era con loro, allora c’è da preoccuparsi: gli ho visto poche volte, ma credo che i suoi “seguaci” siano intelligenti quanto degli scarafaggi.

“…ti credo…vai avanti…che hai fatto…?...te la sei data a gambe…?” se si era avvicinato troppo a loro, allora avranno sentito il suo odore e di sicuro lo avranno seguito fino alla casa. Se Farut è ancora vivo allora la mia ipotesi è giusta: quei ritardati attaccano solo le ragazze, forse ci sono delle distinzioni che cercano di rispettare: come prendere delle tipe bionde che castane o more o rosse.

“…ovvio che sono scappato dentro…!...ma quelli non erano lupi normali…insomma…una volta erano lupi e dopo erano ragazzi come me...!” continua a gesticolare nervosamente.

“…certo, dei licantropi…vai avanti…”

“…è vero, Fabiola…!...ti giuro che erano prima dei lupi e poi si sono trasformati da così a così in ragazzi…!...è vero…!”

“…infatti non ho detto di non crederti…che è successo poi…?”

“…avevo detto a Sandy di nascondersi in soffitta ed è stato così…poi quei tipi hanno bussato…non so cosa volevano…chiedevano se vivessero delle donne qui…”

“…e tu gli hai detto di si…” mi guarda sdegnato.

“…ma sei cretina…?!...ovvio che no…!...gli ho detto che vivevo solo io e due miei fratelli più piccoli, cioè Mino e Sandy…”

“…e poi…?”

“…e poi hanno voluto entrare e non potevo non accontentarli, ma non gli ho fatto salire le scale…”

“…aspetta, Farut…quanti erano…?”

“…in due, soltanto…ma credo che non avrei potuto prenderli a pugni o buttarli fuori…”

“…hai fatto bene…non avresti potuto…” avrebbe potuto, invece. Grande e grosso com’è avrebbe potuto. Ma bisogna avere una certa calma per affrontare qualcuno: anche se sei il miglior attore del teatro, se ti fai intimorire dal pubblico, allora poi far credere di essere il peggiore.

“…e poi…?...volevano solo sapere che c’erano delle donne…?”

“…credo di si…hanno girato un po’ ovunque…le solite stupidaggini: quant’è bella questa casetta; niente male la cucina; questa poltrona l’avete scelta voi?...e così via…poi però dovevano andarsene…”

“…sono usciti normalmente…?”

“…no…si sono scusati del disturbo e mi hanno dato quello…” dice indicando la bottiglia per lenticchie che ho visto prima. La guardo con più attenzione: all’interno dev’esserci qualcosa simile a polvere bianca…

“…ma non sarà mica…?”

“…Dio, Fabiola, non lo so…!...hanno detto di metterlo nel cibo, che è una spezia molto rara e altre cretinate simili…secondo me è veleno o qualcosa di simile…non lo so proprio…” un po’ di intelligenza ce l’ha il ragazzo. Forse non è così stupido, dopotutto…

“…e poi sono andati via…?”

“…si…ma gli ho visti ridere tra di loro…sono certo che sia la cenere di una pianta velenosa, non c’è dubbio…!” molto probabile. Potrebbe anche essere qualcos’altro, oppure no, ma una cosa è certa: quella roba bisogna buttarla via. Ma prima…

“…Farut…com’erano fatti quei tipi…?”

“…che c’entra ora com’erano fatti…?”

“…se gli rivedo devo sapere come comportarmi…”

“…certo…uno era secco secco, ma non molto alto, e l’altro robusto e con una brutta faccia…!”

“…che avevano addosso…?”

“…aspè…ah, si…!...Il secco secco era vestito come quei tipi americani in moto dei vecchi film a colori e zoppicava un po’…l’altro più o meno lo stesso e aveva una benda su un occhio e con l’altro non credo che vedeva bene…” i due tipi che ho mutilato… Per fortuna Fabrizio non era con loro; credo che lui sia la mente di quella gang di cani. Il boss della Camorra dei lupi, insomma. Ora è tutto chiaro. Non so se bisogna preoccuparsi o meno per questa breve visita. Probabilmente ero arrivata alla casetta quando i due tizi stavano uscendo e Sandy mi aveva scambiata per un nemico che si era intrufolato di nascosto e per questo mi aveva addormentata. Questo dimostra anche che Sandy è l’Omino dei Sogni e che Mino e Farut non sanno niente di lui. Forse gli rivedrò quei due, insieme al resto della squadra. Non so se vorranno perdere tempo con una bambina che hanno cercato di ammazzare per tre volte, ma secondo me non è improbabile che si faranno rivedere, e forse dovrò avere un faccia a faccia con il Mini Boss del gioco.

Mi ero ripromessa di non vagare troppo intensamente con la testa… ho trasgredito la mia regola…

Alzo la testa verso Farut.

I suoi occhi sono sbarrati, la bocca semiaperta e guarda verso l’altro capo della tavola.

…Sandy…

…ha il barattolo in mano…

…lo ha aperto…

…ci ha messo una manina dentro e avvicina al naso la polvere bianca…

“…Sandy…ascoltami…mettilo giù…” cerco di fare le cose con calma, se si spaventa allora…

“SANDY! COSA FAI?!” Farut ha fatto prendere un colpo anche me. Sandy spalanca gli occhi e lascia cadere a terra la bottiglia. Si sente un suono di vetri spezzati per terra. Io e il ragazzo ci alziamo e cerco di avvicinarmi ma mi blocco quasi subito.

La polvere bianca sembra aver preso vita e incomincia a fluttuare per aria…vicino a Sandy.

“Fabi, stai lontana!” Farut non mi fa vedere la scena: il suo braccio mi impedisce di avvicinarmi e di capire bene cosa succede.

Quella cosa diventa una nube e circonda completamente l’omino. Sandy guarda verso di noi molto confuso e sbigottito. La polvere piano piano sembra avvicinarsi a lui e si posa su tutta la pelle e la sabbia. Farut abbassa il braccio spaventato e incuriosito. Quella cosa, dopo essersi deposta sul suo corpo, sembra sparire piano piano, senza lasciare traccia. Sandy ci guarda confuso. Tutto qui…? Passa un minuto buono. Non credo che sia finita… Farut, invece, si rilassa. C’è qualcosa che non và. La polvere dovrebbe fare qualcosa, ne sono certa. È troppo strano. Forse l’effetto è temporaneo?

“Stai bene?” Farut dice questo con nervosismo. Sandy sembra completamente smarrito. Non mi piace quello sguardo. Forse…

“Farut, stai lontano” dico decisa: accadrà qualcosa di brutto, succede sempre così nei videogiochi.

“Fabiola, va tutto bene. Non lo vedi?” si, lo vedo. L’omino mi guarda incuriosito e mi sorride. Non mi piace quello sguardo.

“Farut…ti ho detto di non avvicinarti!” prendo il braccio dell’afgano sordo e lo sbatto dietro di me. Mi paro davanti facendo diversi passi all’indietro lentamente. Sento il corpo da gigante di lui che sbatte contro il bancone della cucina.

“Ma che hai?! Tu e la tua testa malata! Devi essere sempre la più strana tra tutte le donne tu?! Ma la finisci con questa mano?!” sto arretrando troppo velocemente: ho raggiunto il bancone. Sandy mi guarda con meraviglia e cerca di avvicinarsi a noi. Quello sguardo ingenuo è anormale sul suo viso. Ho un flash: avevo deciso di salvare il padre di Aya e lui stava riprendendo i sensi; poi la bambina aveva capito che lui voleva trasformarla in una bambola e cercava di avvicinarsi a lei per prenderla; lo sguardo di Sandy è come quello di lui…una meraviglia infantile, quasi ingenua, ma falsa, solo purissima follia…

Spingo Farut verso il lato inverso del tavolo, l’omino è di fronte a me. I suoi occhi mi guardano felici…troppo felici…

Sorvola la tavola e arriva alla mia altezza…troppo velocemente…

Con le mani cerco qualcosa che potrei usare come arma…niente… Ora ricordo: Sandy mi aveva tolto la cintura con i coltelli e la spada…sono completamente disarmata…non avrei dovuto togliermi il vestito: era abbastanza morbido e resistente da farmi da giubbotto antiproiettili. Avevo visto cosa aveva fatto a Pitch quando sono arrivata nella casetta: l’aveva letteralmente sbattuto con un albero con delle fruste; le userà ancora, sono la sua arma migliore, credo, anche se, con la sabbia, potrebbe modellare altre armi a caso e io sono impreparata al riguardo. Sandy ha visto le mie mani. Scuote la testa verso di me e mi sorride come per dire: anche se avrai qualche arma, non hai possibilità contro di me… Lo so benissimo…

Non sono certa, ma credo che quella polvere gli abbia fatto perdere la memoria; oppure gli deve aver fatto perdere la ragione; oppure ancora, deve essere un misto di entrambi i casi. Non si avvicina di più. Non lancia nemmeno uno sguardo verso Farut: gli interesso solo io. Con la coda dell’occhio vedo l’uscita posteriore, forse Farut potrebbe usarla… Lui vede anche i miei occhi che scrutano l’unica uscita disponibile in questo momento. Mi sorride divertito. Credo che Farut abbia capito.

“Sandy, non ci riconosci…?” non lo degna di uno sguardo. Ha occhi soltanto per me. Sarò la sua dannatissima preda. Non voglio esserlo. Vuole sfidarmi; lo vedo dai suoi occhi, diventati cattivi, il suo sorriso divertito, le sue mani che si posano sul mento, come per valutarmi. Sento già l’odore del mio sangue… pazienza…

“Queste mani hanno tagliato la gola ad un uomo e hanno fatto altro e di peggio…non ti conviene sfidarmi…ma sei hai cuore, fatti avanti…ma lascia questo ragazzo, che vada via, lontano da questa casa…” alza per la prima volta gli occhi verso Farut. Lo guardo quasi con odio, come se desiderasse che sparisse all’istante. Dietro di me sento un sussulto. Sandy è diventato stranamente pallido, vedo anche delle occhiaie grigie e la sabbia sembra aver perso quasi tutta la sua luce, lo stesso per i suoi occhi. Le iridi si posano ancora una volta su di me, mi sorride ancora e annuisce. Sento le spalle scoperte appena mi volto verso Farut.

“…Farut…ricordi che sono venuta qui con una mula…?...Sali in groppa a lei, dille di andare al teatro di Kolja e presentati là dicendo che ti ha mandato lo spirito Maria Fabiola Santarcangelo, ok…?...spiega la situazione in fretta e dì di portare qui un medico…ma veloce…più veloce che puoi…” gli trema il labbro in continuazione, soprattutto quando dà sbirciate dietro di me.

“…ma…come devo dire alla mula di andare laggiù…?”

“…diglielo e basta…!...è più di quello che sembra…Farut, vai…vai e fa veloce…” se impiegherà troppo tempo a chiamare qualcuno, potrei anche morire. Non ho ancora trovato Leo: non posso permettermi una cosa del genere. Spero di finire meno malandata di quello che credo. Farut, guardando dietro di me con tremore, se ne va di corsa. Non mi muovo. Sento i suoi passi pesanti scalciare sulla terra e sparire silenziosi. Mi volto verso Lui.

Non c’è.

Guardo di fronte a me confusa. Non sarà scappato da Farut, spero. No, no. Sento i suoi occhi su di me…gli stessi occhi di Fabrizio, gli stessi occhi dei licantropi. Conosco quella sensazione. Mi muovo verso il salotto con discrezione. Può essere ovunque, anche sopra di me, dopotutto può sempre volare, ma non voglio guardare su: se lo faccio mi attaccherebbe. Meglio non rischiare.

Mi siedo sul divano, vicino al vestito che mi ero tolta. Non posso più rimettermelo: troppo tempo, troppo tardi. Il mio giubbotto di salvataggio è fuori portata. Aspetto che accada qualcosa, intanto guardo fisso di fronte a me. Quella polvere dev’essere un’altra diavoleria magica inventata da chissà chi. Non ho tempo nemmeno di pensare: devo intrattenere questo spirito indemoniato e, possibilmente, senza finire al camposanto.

Sento degli zoccoli correre veloci in lontananza. Chiudo le palpebre. Non ho più scuse per salvare la pelle: anche Farut è andato.

Sento delle dita sottili accarezzarmi la schiena. Sono molto gentili e prudenti…fossero le mani di Gianni… Le dita vanno sempre più in alto e si fermano ad accarezzare il collo. Più o meno credo di aver capito; è lo stesso metodo dei lupi: prima si divertono con le ragazze poi, dopo essersi annoiati, le uccidono e passano alla prossima. Quasi mi piace come metodo. Le dita vanno sempre più in alto e si fermano ai capelli. È una trappola molto rilassante e piacevole, di sicuro è un modo molto dolce per morire…mi piace…

Ma è pur sempre una trappola.

Le dita giocano con le mie ciocche: ne prendono una, la buttano lontano, ne prendono un’altra e la ributtano all’indietro e riprendono così per un po’.

Da dietro riesco ad afferrare la sua mano. Lui non si muove, ma nemmeno ci prova.

“…tutto qui…?...dopo più di duemila anni, hai imparato solo questo…?” non si muove. Lo poggio sulla schiena sopra al divano. Sembra piacevolmente sorpreso. Mi sento molto più piccola di lui. Gli blocco anche l’altra mano e gli accarezzo la testa. Accarezzare la testa a qualcuno lo trovo disgustoso: è come accarezzare un animale. Per me questo non è Sandy, è la sua banalissima imitazione cattiva e perversa; non lo considero nemmeno una persona. Gli tiro i capelli verso il lato sinistro e avvicino la testa al suo orecchio destro.

“…ma quanto siamo crudeli oggi…hai fatto spaventare a morte un povero ragazzo…sei proprio un bambino cattivo, lo sai…?” cerca di liberare una mano, ma non glielo permetto. Vedo con la coda dell’occhio delle figure che si formano con la sabbia. Non è difficile capire cosa dice Sandy. Forse per me è un po’ più facile degli altri. Riesco a capire in fretta cosa intende dire: allora dovresti punirmi…

“…certo che si…” allora…quale potrebbe essere il suo punto debole…? Ho constatato che il viso e sue le mani non sono fatte di sabbia, ma allora l’Omino dei Sogni non è fatto interamente di rena dorata… Poggio la sua testa sulle mie ginocchia e comincio ad accarezzargli le guance: sembra rilassarsi e chiude le palpebre. Non è difficile capire che appena si sarà scocciato mi farà del male e poi sparirà chissà dove. Se potessi annullare l’effetto dei danni delle armi di sabbia, allora potrei contrastarlo anche a mani nude; se invece usassi i coltelli o la spada gli fare del male inutilmente, ma allo stesso tempo devo impedirgli di salire al piano di sopra.

Mi guarda malizioso e modella altre figure: Tutto qui…? Non puoi fare di meglio…?

Comincia a giocherellare con i due ciondoli di Yoshi che ho al collo. Non li ho mai lasciati: sono sempre stati con me. Mi devono ricordare che ho delle anime sulle mie spalle e che non devo tentare il suicidio per dimenticare ciò che gli è accaduto.

“…perché, cosa ti aspetti che faccia…?” sembra assonnato. Si rimette in piedi sul divano e fa sdraiare me sta volta. Devo inventarmi qualcosa e in fretta. Si stende sulla mia pancia. È leggerissimo e sembra più grande di me. Mi prende la testa per i capelli e cerca di avvicinarmi al suo viso. Allora…la sabbia dei sogni a cosa potrebbe essere debole…? Mmm…perché non gioco più a Pokèmon…? Com’erano i tipi e le mosse di tipo terra? A cosa erano sensibili i Pokèmon di quel genere?

La sua testa è troppo vicino alla mia. Il suo sorriso ingenuo mi disgusta. Mi manca l’aria. Una sola mossa o parola sbagliata e faccio un sonoro e deludente Game Over, forse anche con la musichetta triste in finale. Ora sono io a prendere la sua testa e ad allontanarla lentamente dalle mie labbra. Troppo vicino. Per un attimo Lui sembra deluso, ma poi gli spunta un sorriso di cattiveria e comincia a ridacchiare silenziosamente. Quando ha finito mi riguarda negli occhi un po’ malinconico e mi prende la testa fra le mani. Il tipo acqua è superefficace contro il tipo terra. Se lo bagnassi non riuscirebbe ad evocare la sua sabbia, credo, spero, immagino.

Mi scosta una ciocca di capelli dagli occhi e mi guarda, sempre con lo stesso sorriso un po’ malato in volto. Per non farlo scappare, arrabbiare o altro dovrei trovare una grossa quantità d’acqua e buttargliela addosso velocemente. Perfetto…dove posso trovare qualcosa tipo un idrante o un secchio? Le sue labbra sfiorano il mio orecchio e sento i suoi denti che ne mordicchiano il lobo. Mi fa un po’ male e la situazione mi disgusta. Per un po’ di tempo mi ero dimenticata di saper respirare e ora sento il mio cuore pulsare per la mancanza di ossigeno.

Vedo qualcosa di grigio dietro le sue spalle che sporge dal lavabo…

Come diavolo ho fatto a dimenticarlo?!

“Ok, può bastare per ora” e mi alzo dal divano. Facendo ciò lo faccio cadere all’indietro e atterrare lentamente per terra come un palloncino sgonfio. Quanto tempo può essere passato? Poco più di cinque minuti, forse. Io sono tornata a casa senza molta velocità sulla groppa di Yaja in questo tempo. Immagino che, dal rumore degli zoccoli, Farut abbia spronato la mula e allora deve aver raggiunto già da tempo il teatro. Però c’è un contrattempo: chi vorrebbe credere alle parole di un tizio alto e robusto come un lanzichenecco e a quest’ora della notte? Ci vorrà il proprio tempo, ma credo che Yaja farà ragionare chiunque sia alla porta.

Raggiungo la cucina e mi avvicino ai banconi. Faccio finta di voler aprire un cassetto. Lui mi blocca la mano e me la stringe con molta forza. Di sicuro è molto più forte di quello che sembra. Sulla sua testa appare un coltello con sopra una X lampeggiante. Continua a sorridermi cattivo con l’indice  che dondola piano. Lo guardo perplessa.

“Non ho idea di cosa tu stia dicendo: in questa casa non ho mai visto un coltello” il suo sorriso si allarga: è anche la sua occasione per liberarsi di una tipa difficile come me. Butta gli occhi sui cassonetti e ne apre uno. Trova dentro delle forchette e dei cucchiai in legno, ma niente coltelli.

Sento il manico del secchio con la sinistra.

“Te l’ho detto: non ho mai visto un coltello in questa casa. Diavoli…! La testa…” mi premo la fronte con la mano. Lo vedo avvicinarsi cautamente. Mi guarda neutro.

“Mi puoi fare un favore…? Mi tocchi la fronte…? Ho la febbre…?” non muta lo sguardo, ma mi sfiora la testa, prima con insicurezza poi con perplessità. Sta per dire qualcosa. Vedo un termometro con l’indicatore sul 39versimo grado.

Gli avvolgo il braccio lungo la schiena e lo tiro verso di me. Protesta con moltissimi punti esclamativi ed interrogativi, ma lo ignoro. Il secchio è molto pesante ma, per fortuna, è in ferro e posso anche tirarlo sopra la mia testa e versare l’acqua sulle nostre teste.

Siamo tutti e due zuppi.

Lui non fluttua più in aria e cade a terra rovinosamente.

“Ecco…questa è la tua punizione…” faccio cadere il secchio a terra che rotola lontano con pesanti tonfi che si ripetono anche mentre rotola.

Lui cade in ginocchio. La sua sabbia sembra essersi appesantita, ma non si stacca dal corpo. Trema e batte i denti. Si accascia a terra. I suoi capelli sono sempre nella stessa posizione; sono solo un po’ smossi. Ora col diavolo che si rimetterà a sorridere. Prova a muoversi, si dimena e riprova ad alzarsi, ma non ci riesce e dubito che ci riuscirà anche se ci mette tutta la buona forza di volontà. Lo sorpasso con un paio di passi e cerco nel cassonetto del bancone da cucina degli stracci per asciugarmi. Mi sento un pulcino bagnato.

L’omino continua a dimenarsi forsennatamente. Riesce a prendere la mia caviglia e mi guarda supplichevole respirando con difficoltà. La sua stretta è decisamente più debole rispetto alla prima che mi ha fatto. Nel cassetto ci sono degli stracci da cucina impilati uno sull’altro. Ne prendo uno. La stretta alla caviglia diventa leggermente più solida, ma piuttosto patetica, appena avevo fatto uscire lo straccio bianco e blu. Ho capito: vuole asciugarsi e guadagnare un po’ di vita.

...prendo lo straccio e glielo metto ad un palmo dal naso.

Mi sorride sofferente e cerca di allungare una mano per prenderlo.

…riprendo quel pezzo di stoffa e me lo metto sulle spalle.

Il suo sorriso sfuma in dolore.

È un classico. Si trova in ogni videogioco, libro, film e anche nella vita reale: il falso dolore. Il cattivo del videogioco, in un momento di svantaggio, finge di essere molto sofferente e il buono, impietosito, lo aiuta e allora la sconfitta avviene a quello che è stato troppo compassionevole. È un classico tra i classici.

La presa alla caviglia diventa molto più salda, ma ugualmente disperata. Non lo guardo in faccia: così è molto più facile ignorarlo. Mi asciugo quasi del tutto. Mi tocco la fronte. Aveva ragione: ho la febbre, eppure non la sento. Non sento la testa galleggiare per aria, non sento il mal di testa infernale, non sento il mio corpo terribilmente pesante, eppure ho la febbre. Beh, pazienza…

Sento le sue mani che mi bloccano entrambe le caviglie con molta più disperazione. Mi arrabbio.

“Oh, senti, toccami di nuovo e giuro che ti calpesto la testa con questo piede!” quasi senza volerlo, gli ho dato un calcio sulla guancia e ora rotola verso l’altro capo della tavola lasciando della sabbia bagnata dietro di sè. Ora è di nuovo sulla pozza d’acqua. Non si muove, ma non credo che sia morto. Se gli avessi dato un calcio dietro alla testa, allora si che c’era da preoccuparsi. Quante volte sono morte delle persone sbattendo la testa? Una volta avevo sentito di una donna che era morta cadendo dal marciapiede. Era successo perché, cadendo all’indietro, aveva sfondato il cervelletto e così addio, cara signora… Ma quanto tempo è passato che non viene nessuno? Inoltre la festa, che è sicuramente ancora in corso, distrae i cittadini e non vi è pericolo di essere attaccati, ma allora cosa…?

TUM TUM TUM TUM

Qualcuno bussa alla porta. Spero che non sia qualche brutta sorpresa.

Apro.

Sono due folletti. Il più basso è il piccolo medico che mi aveva curato, ma questa volta è vestito con una tunica verde di seta che copre anche i piedi. Mi sorride imbarazzato.

“Signora, sono il folletto che vi ha medicato, spero che non sia accaduto nulla di grave…” l’altro folletto, il più anziano, lo interrompe con uno sguardo torvo e severo. Il piccoletto abbassa il volto.

“Perdona mio figlio, ha sempre avuto un cuore umile” li faccio entrare. L’altro folletto è poco più alto di lui (arriva all’incirca al mio ombellico, cappello incluso); le caratteristiche fisiche sono simili, a parte l’abbigliamento: mentre il più piccolo è vestito di seta, questo sembra avere attaccate come per magia delle foglie grandi e rosse che formano sulla sua testa anche un cappello, uguale a quello del piccolo medico; ha una lunga barba bianca con dei baffi e indossa dei piccoli occhiali color oro.

L’anziano guarda Sandy, ancora immobile nella pozza d’acqua.

“Ma che cosa diavolo è accaduto?” mi urla. Non era così che pensavo di iniziare il discorso…

“Il ragazzo che vi ho mandato non ha spiegato nulla?”

“Era molto confuso e spaventato, signora. Penso che non abbia mai visto degli spiriti in vita sua! Non ha risposto con adeguata precisione alle nostre domande” ridacchia nervosamente. L’anziano gli lancia ancora lo stesso sguardo scuro.

“Adalwin, smettila di impasticciare con le parole e aiutami!” il piccoletto si affretta e insieme trascinano Lui fuori dalla pozza d’acqua. Mentre lo portavano sul tappeto del salotto, Lui mi ha lanciato un’occhiata di puro odio ma piuttosto ridicola a vedersi. Piacere di conoscerti, nuovo Sandy…

Il più anziano si siede per terra a gambe incrociate, invece Adalwin si avvicina all’omino e gli tasta la fronte e la guancia rossa con estrema precisione e cura.

“Come hai ben capito, lui è mio figlio Adalwin e io sono Aloys, l’anziano di Schwarzwald . Raccontami cos’è accaduto, in tal modo capirò come curare il Guardiano” gli spiego della polvere bianca e di come abbia cercato di attaccarmi (col diavolo che racconto del suo patetico tentativo di violentarmi…).

“…ho dovuto per forza bagnarlo con un quel secchio e poi…” mi stupisce l’espressione dell’anziano: orrore puro, invece il piccoletto non si smuove di un millimetro, continuando a controllare le condizioni di Lui.

“Cosa avresti fatto?!” Adalwin sembra più sorpreso di me. Ho un dubbio che avevo avuto anche prima.

“…l’acqua è dannosa per lui…?”

“Molto più che dannosa! Potrebbe costargli la vita! Quanto tempo è stato in questo stato?”

“…meno di cinque minuti…”

“Sono anche troppi! Adalwin, danni tutte le erbe e sparisci fuori!” il piccoletto si alza di scatto, lascia una sorta di scatola di legno a terra, mi prende per la mano e usciamo fuori.

È mortale…? Diavoli…diavoli… Era troppo rischioso, come ho fatto a non pensarci? Avrei dovuto almeno metterlo per ipotesi! E se non sopravvivrà…? Cosa diavolo farò…? Un’altra anima sulle spalle…che disgrazia…che disgrazia…

“Non si preoccupi eccessivamente, signora. L’anziano del nostro villaggio è molto…eccessivo…insomma, non credo che sia così grave come vuol far credere mio padre…” non lo penso nemmeno…anche se…

“…cos’era quella polvere bianca…?” diventa serio all’improvviso.

“Morte Bianca. È un fiore rarissimo che per molto tempo credevamo estinto nella nostra foresta e, infatti, non riusciamo a comprendere il motivo della sua esistenza in quest’isola. I sintomi sono disastrosi e difficili da curare; possiamo semplicemente dire che è come un veleno che agisce immediatamente causando aumenti eccessivi di ira, stordimenti oppure, peggio ancora, causa istinti omicidi, anche verso i propri conoscenti. In poche parole, la mente del paziente diventa schiava di quel fiore e alla fine, quasi sempre, porta all’esaurimento di coscienza e, molto spesso, al suicidio. In pochi mesi ne abbiamo visti molti di questi fiori, spesso tramutati in polvere o nascosti nei cibi. Crediamo che sia un metodo utilizzato da Macula Sanguinea per aumentare il numero di servitori e, così, anche di cacciatori di spiriti e degli stessi spiriti tramutati in assassini; e se si è un mago o uno stregone molto potente, allora vi è possibilità di scegliere i sintomi che si vuol dare alle proprie vittime…erm…perdonatemi…ho difficoltà a tenere a freno la lingua quest’oggi…” non so che faccia ho, ma credo che sia orribile. Ho una sola speranza…spero che esista la mia speranza…la chiederò…

“…siete in grado di curarla…?” lo vedo deglutire. Che brutto colore è il bianco… io ne so qualcosa…

“Certamente!” non credo che dica la verità. Gli cade il capo appena mi guarda in viso.

“…in parte…”

“Non ho tempo per dei giochi di parole. Se il Guardiano dei Sogni morirà…” sarò la prima a raggiungerlo nell’altro mondo; se esiste un altro mondo migliore di questo…

“Intendo dire questo, signora: mio padre è un uomo molto saggio, conosce ogni malattia e possiede con sé altrettante cure tramandate in generazione in generazione. Diverse volte è riuscito a fermare la Morte Bianca e molti sono guariti, ma devo ammettere che tanti altri non sono sopravvissuti…anche nostri conoscenti…” sembra imbarazzato più che mai; probabilmente se fosse umano arrossirebbe dalla punta delle orecchie fino a terra. Vedo che ha anche una lunga coda marroncina chiara con all’estremità un folto ciuffo di peli scuri e un campanellino dorato attaccato. Mi pare di aver visto la stessa coda anche ad Aloys, ma senza quell’ornamento. Quindi la sua guarigione è probabile…

“Mettiamo il caso che ormai non sia più possibile fermare la pianta; esistono altre cure?” alza la testa con la coda che si muove freneticamente sul terreno.

“Io…non saprei…mio padre deve ancora insegnarmi molto, ma credo che esista un secondo rimedio” questo lo dice con sicurezza. C’è ancora speranza. Mi sento meglio.

“Che fine ha fatto il ragazzo che vi ho mandato?” gli spunta un sorrisino che nasconde quasi subito.

“Non so se conosciate la cordialità di Nikolaj. Il Guardiano, vedendo il ragazzo impacciato e nervoso, ha deciso di ospitarlo insieme agli altri umani. Non trovate che sia insolito? A vostro parere com’è stato possibile che dei mortali siano giunti fin qui?” ho la mente piena di informazioni. Non avrei mai giurato che la mia anima sarebbe stata divisa a metà tra la mia famiglia e Sandy. Ora bisogna soltanto sperare che sia possibile fermare quella macchia bianca che sta uccidendo anche l’omino.

“Adalwin!” la voce dell’anziano proviene dal secondo piano. Entriamo dentro e saliamo le scale, fino alla “mia” stanza. La prima cosa che vedo è Sandy, ma quello vero: è steso addormentato sul letto, sembra molto sofferente. Quasi non noto Aloys.

“Spero che non avrai intenzione di fargli un altro bagno: è stata una faticaccia asciugare tutta quella sabbia!” non immaginavo che facesse sul serio quando l’avevo inzuppato d’acqua. Credevo che stesse recitando, che poi avrebbe fatto qualcosa di orribile e allora sarei anche morta. Non mi aspettavo che soffrisse per un po’ d’acqua.

“…è in guarigione…?” si liscia la barba, pronto per un lungo discorso.

“Non so come spiegarlo… La Morte Bianca, questa volta, era molto particolare e, si, credo che si sia fermata nel suo corpo, ma non ne sono del tutto certo… Ma non fare quella faccia scura: potrebbe anche guarire, ma sarà un procedimento molto lungo e, in tutta sincerità, anche snervante…”

“…mi state dicendo che la sua vita sarà dettata dal Fato…? Vuol dire che non si sa se vivrà?” comincia a pulirsi gli occhiali con un fazzoletto sgualcito che non ho visto prima.

“In poche parole si, non saprei dirti nemmeno quante sono le sue possibilità di sopravvivenza, ma è il Guardiano più forte dei cinque; molto probabilmente ce la farà” questo non lo dice né con gioia né con dolore. Questo folletto è un’incompetente…

“Per il momento dovrete provate ad aspettare almeno per tre mesi o anche meno e se pensiate che stia peggiorando, mandateci un messaggio e io sarò qui in breve!” credo che Adalwin sarebbe un ottimo saggio. Ha ancora molto da imparare, ma credo che anche come medico sia competente.

“Vi ringrazio…perdonate il disturbo…”

“Non vi è alcun disturbo. Probabilmente avrà delle perdite di memoria, ma non saranno nulla di grave. Ah, si! I due ragazzi rimarranno nel nostro teatro anche per domani, spero che…erm…” mi fa male guardare Sandy in quello stato. Sono certa che è molto forte, ma…

“Arrivederci…” senza quasi accorgermene i due chiudono la porta e se ne vanno dalla casa. Mi metto in ginocchio vicino al letto. La sua guancia destra ha un taglio ed è rossa, proprio dove l’ho colpito… Gli accarezzo quel punto maledetto. Sembra che gli faccia molto male. Io non ho proprio la testa sulle spalle. E se questo fosse accaduto a Leo o a Gianni? Allora cosa avrei fatto? Non lo so… Apre gli occhi sbattendo un paio di volte le palpebre. Mi guarda tra l’assonnato e il dolente. Non so se si ricordi cosa gli ho fatto e spero di no, ma allora non avrei niente da dirgli a mia discolpa.

“…non avresti dovuto prendere quel barattolo…” mi guarda colpevole. Tu non c’entri niente, sono io la pazza fra noi due…

“…ti senti bene…?” annuisce un po’ stanco. Sospira malinconico e guarda verso la scrivania indicando i coltelli e la spada.

“…me li ha dati un certo Kolja detto Nikolaj o Nicholas e chiamato dai bambini Babbo Natale…” mi guarda perplesso e meravigliato. Prova ad alzarsi.

“Aspetta. Vado a prendere io la borsa, ok? Stai fermo o chissà cosa accadrà” mi ubbidisce anche se sembra terribilmente impaziente. Prendo la borsa e la apro, in quel momento mi ricordo del dolce e della lettera.

“Mangia questo, gli ha fatti un certo Jackie detto Jack O’Lantern” non dico che i dolci li ha fatti per me. Prende incuriosito il gigantesco muffin giallo e arancione, lo assaggia e sembra felice. Mi piacerebbe sapere chi era prima di diventare uno spirito. Probabilmente una brava persona.

“Guarda che cos’ho. È da parte di Babbo Natale!” dico abbastanza allegra,  

anche se non lo sono per niente. Lui fa apparire velocemente una candela     che emana luce propria. Apre un po’ impacciato la busta.

Come immaginavo: è tutta un fascicolo di lettere impiastricciate di inchiostro. Ne legge un po’ e sembra voler volare per tutta la stanza tanto è felice. Mi prende per un braccio e mi trascina verso di sè. Il suo abbraccio dura molto poco. Tasta la mia schiena e la mia pancia. Si stacca da me e mi guarda perplesso. Lo lascio alzare la canottiera e vede le bende sopra la scottatura. Con lo sguardo mi chiede cosa sono, non gli faccio intendere niente. Mi guarda con più attenzione il viso. Dopo un po’ mi tocca l’orecchio destro, quello che mi mordicchiava con tanta passione… Mi sta salendo un conato di vomito.

Gli do un pugno sul braccio. Forse era stato troppo potente, perché se lo massaggia e mi guarda confuso e un po’ spaventato. Si ritira nell’angolo del letto e mi guarda cercando delle spiegazioni. Sospiro. Mi alzo dal letto e vado ad aprire la porta per andarmene. Dietro di me lo vedo gesticolare per attirare la mia attenzione. Con la coda dell’occhio vedo delle figure un po’ impiastricciate: Io ti voglio bene.

“…stai dicendo una cosa sbagliata, Sandy…” e, senza nemmeno guardarlo, esco dalla stanza. Vado in salotto, ormai tetro e scuro. Mi sdraio su un altro divano.

Spero di riuscire a dormire almeno per ventiquattrore ore…

 

 

 

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Capitolo 14
*** Nero ***


Mama, cosa sono?” mama si voltò e ci fece vedere, dentro un portagioie, un paio di orecchini e una collana.
“Diavoletti, venite qui!” anche Al si avvicinò alla mama. Anche lui era curioso. Lei prese in braccio Al, lo mise sulle sue ginocchia e gli fece indossare la collana. Poi toccò a me. Mi mise i due orecchini intrecciati e mi posò a terra. Eravamo felici del regalo.
“Wow!”
“Bello!”
“Vi piacciono, amori? Questi erano miei e di mio fratello. Erano anche della mia mamma e del mio nonno e del mio bisnonno e della mia trisnonna. Ora però sono vostri. Quando sarete grandi dovrete darli ai vostri figli e loro faranno la stessa cosa che ho fatto con voi, capito? Non dovete dargli a nessuno. È il nostro segreto!” ci piacevano tanto, soprattutto perché erano della mamma e della nonna e anche perché ci piacevano i segreti.
“Non dobbiamo dirlo nemmeno a papa?” chiese Al con un pollice in bocca.
“Nemmeno a lui. Non sa tenere i segreti”
“Chi non sa tenere i segreti?” ci girammo. Al si tolse il dito dalla bocca: papa.
“Qualcuno non sa tenere i segreti? Non so di cosa parli. Avete detto qualcosa voi due?” ci fece un occhiolino. Avevamo sorriso anche noi, complici.
“No! Nessuno segreto!” credo che papa stava recitando, perché iniziò a ridere. Il che è strano, sia prima che dopo che la mamma morisse.
“Va bene. Devo aver sentito male. Rachele, sai dove sono le carte che avevo stamattina? Sono molto importanti. Non le trovo, mi aiuti?” avevo deglutito. Sin da pequena avevo questa strana abitudine di rubacchiare le cose degli altri. Anche il boomerang di Calm l’ho preso per questa estupida abitudine… Mama ci guardò divertita. In confronto a papa era sempre stata divertente. Credo che abbiamo preso da lei. Papa se n’era andato nel suo ufficio e io sussurrai a mama:
“Mappa del tesoro dimenticato. Scatola dei giocattoli” avevamo questo modo di parlare: così nessuno capiva mai cosa stavamo dicendo.
“Un secondo, Pedro!” prima di seguirlo, ci aveva fatto segno di correre via. Papa sarebbe stato furioso fino al mattino dopo. Siamo scappati in giardino. C’erano altri bambini laggiù. Spesso giocavamo con i bimbi dei palazzi vicini. Quella volta c’era un grosso gruppo di ocho-nueve piccoletti. C’era anche il grande capo. Un gran pezzo di…
“Hey, Sanz! Portate le chiappe qui!” era il più grande di tutti nel giardino: tredici anni e un cervello grande quanto la sua pancia. Ah, si, era anche anoressico. Con le gambe alte come spilli e un collo lungo come una giraffa.
“Hey, Jirafa!” tutti lo chiamavamo così per il suo collo. Oggi col cavolo che lo chiami giraffa, altrimenti finisci all’ospedale con un coltello nel sedere. Il tipo si avvicinò con aria da strafottente.
“Sapete che giorno è oggi?”
“Erm…”
“Sabato! Oggi è il tuo turno” disse puntando il dito contro Al.
“No!”
“E invece si. Devi farlo anche tu!”
“Ma la mama…”
“Cosa?”
“…ecco…niente…” abbassò la testa sconfitto. Ogni sabato dovevamo fare la stessa stupidaggine grazie alla quale finivamo sempre con la testa contro il muro e con una bella sculacciata da papa.
“Bravi. Anzi, oggi sarò generoso con te: faccio partecipare anche tua sorella. Così non sarai solo e non avrai paura” Al annuì lentamente.
“Ma io non voglio!” non volevo prendermi anch’io le sue colpe. Qualsiasi cosa avesse in mente Jirafa.
“Oh, ma davvero? Vuoi finire nella fossa della tortura?”
“…no…” la fossa della tortura è un’altra cretinata inventata da Jirafa: è un grosso buco di un metro e mezzo scavato da lui, dove mette i bimbetti che non gli ubbidiscono. Si trovava in un punto dove il giardinetto si buttava nel verde e dove nessun adulto poteva ficcarci il naso. Il marmocchio che entrava dentro ci restava per tre ore o più, mentre urlava e strillava di farlo uscire, poi veniva riportato a casa e tante care cose.
“Ottimo. Oggi dovrete fare questo” si avvicinò a noi e ci sussurrò nell’orecchio cosa dovevamo fare. Tutti gli altri piccoletti si allontanarono: anche chi sentiva finiva nella fossa della tortura. Feci una faccia disgustata, lo stesso anche Al.
“Che schifo!” urlammo insieme.
“Beh, che vi aspettavate? Champagne, rose e belle bionde? Ecco qui il necessario”
Dopo un paio di litigi, pestoni, calci e morsi (da parte di Al), ci siamo arresi e siamo andati nella scalinata principale del giardinetto, dove di solito gli adulti passavano per andare verso il mercatino per comprare da mangiare. Ci siamo sdraiati lì, al sole, e ci siamo spalmati tonnellate di ketchup addosso. Abbiamo buttato i barattoli lontano e ci siamo messi a gridare.
Era sempre così con Jirafa: scherzi. Scherzi, scherzi e scherzi, quasi sempre di cattivo gusto e sempre alle persone più buone o per quelle che non c’entrano niente. Ogni settimana sceglieva chi doveva avere la sfortuna di partecipare. E ogni volta finiva con una punizione da parte dei genitori, dei pestaggi dai fratelli più grandi oppure una nota sul diario se passava accidentalmente un tuo maestro.
Il piano era facile: restare lì, facendo finta di essere brutalmente mutilati (avevamo fatto in modo che le braccia e le gambe non si vedessero) e aspettare la vittima. Facilissimo. Ecco perché io e Al non facciamo mai scherzi del genere. O almeno credo…
Madre de Dios! Al! Mini!” avevamo alzato gli occhi: mama. Era pallida, gli occhi spalancati, la mascella aperta e le mani davanti alla bocca. Eravamo sorpresi: perché era lì? Forse per comprare da mangiare? Certo, aveva una busta con dei peperoni sopra, quella che usava per andare a fare la spesa, ma perché era passata di lì in quel momento? Proprio in quel momento?
La prima cosa che avevo pensato, e che probabilmente aveva pensato anche Al, era la punizione. A mama piacciono gli scherzi, ma non quelli di cattivo gusto. Certo, sarebbe stato peggio se fosse passato papa: lui odia ogni tipo di scherzo. Ma almeno non saremmo stati dispiaciuti. Dopotutto, lui non è mai felice.
Avevamo lanciato uno sguardo verso Jirafa e la sua combriccola nascosta dietro ai palazzi. Malditi idioti. Ci guardavano mezzi storditi e mezzi paurosi, manco fosse capitata a loro una cosa del genere!
Eppure mama non disse nulla di più. I suoi occhi si erano come paralizzati sul ketchup e non si schiodavano da nient’altro. Poi divenne bianca, sia in viso che sugli occhi. La busta con i peperoni cadde a terra, asciutta, senza suono. Le gambe la fecero cadere in avanti, sulle scale. Ruzzolò fino alla fine della scalinata. La testa l’aveva sbattuta per ogni scalino e dal terzo in poi erano tutti macchiati di sangue. Il sangue della mia mama.
Avevamo urlato.
Non dovevamo fare lo scherzo del ketchup.
Chiedevamo aiuto.
Tutti erano andati via: avevano troppa paura della punizione.
Anche papa era arrivato.
Si era buttato in ginocchio vicino a mama.
Què he hecho?!”
“N-noi…i-io…”
Què he hecho?!”
Papa…non volevamo!”
“Bastardi, levatevi!” ci ha dato un pugno e siamo ruzzolati anche noi per la scalinata. Io sono caduta con la testa sulla busta con i peperoni. Ho pianto moltissimo. Anche Al. Non avevamo capito niente, ma forse era meglio così. Anche se poi ci avevano spiegato cosa significa ‘morte’ e cosa significa ‘bastardi’. È così: siamo dei bastardi. Noi due.
Questo mondo non fa per noi.
Questo mondo è troppo scuro e orribile per noi.
Ma questo cosa mai dovrebbe importare agli adulti?
Loro hanno creato questo mondo, perché distruggere ciò che è stato costruito per così tanto tempo? Perché distruggere qualcosa di così orribile, agli occhi di noi bambini o adolescenti, sbagliato?
Perché chiedere ad un adulto di divertirsi un po’?
Perché chiedere ad un ceco di giocare a nascondino?
 
 
 
 
 
 
 
“Whuao!” a momenti cadevo dalla mula. È ancora notte fonda. Mi sono addormentata? Per quanto tempo? E dove?
“…Mini, togli gli artigli dalla mia pancia…” Abbasso la testa: a momenti strappavo la pancia a Fabi. Diablos! Proprio su Fabi dovevo addormentarmi? Non sembra per niente felice di questo: mi guarda sempre cupa e un po’ arrabbiata.
Excusame! Non volevo…ecco…fare…” è meglio se tengo la bocca chiusa: sto dicendo un sacco di cretinate. Intanto aggiusto il vestito di Fabi. Mi piace tantissimo. Sembra una Alice nel Paese delle Meraviglie in versione angelo e con la treccia bionda. È dolcissima. Anche lo scialle la fa sembrare una bambina. Inoltre più che scialle sembra una copertina, tanto è grande.
“Per quanto ho dormito?” lei si rigira e guarda avanti. Mi giro anch’io e mi guardo attorno. Non vedo più la città, credo che l’abbiamo superata da un po’ di tempo. Ora siamo in una specie di bosco. Non si vede niente e ho un po’ paura, per essere sincera. Peccato che io non possa abbracciare qualcuno…
“Per tutto il giorno e quasi tutta la notte” dice alzando le spalle con nonchalance. Sono sorpresa. Ho dormito per così tanto tempo?
“Davvero?”
“…davvero…”
“E ho dormito su di te per così tanto tempo?”
“…” lo prendo per un si. Beh, in confronto a Fabi, io sono molto più grande e lei invece è così piccina. Credo che le abbia fatto male oppure credo di averle schiacciato le ossa per…venti ore…?
“Erm…ti è dispiaciuto?” si gira di nuovo verso di me. Forse non ha dormito. Ma è ovvio che non ha dormito. Altrimenti come diavolo saremmo arrivate fin qui da sole? Sicuramente la mula non conosce la strada e di sicuro non è così intelligente. Non risponde. Mi guarda ancora un po’ cupa.
“Per quanto tempo dormi di solito?” e questo cosa diablo c’entra?
“Mi addormento verso le tre o le quattro” mi guarda male. Ma lei non è mica la mia mama. Quindi non dovrebbe importarle molto.
“E quanto mangi di solito?” vuole farmi anche da dietologa?
“Cosa c’entra tutto questo?” sospira scoraggiata. Con Fabi non riesco mai a dire qualcosa. Credo che siamo troppo diverse noi due. Non riesco mai a capirla. Non so come faccia Gianni, ma io non riesco proprio a leggere cosa le passa per la testa. Chissà perché ho voluto venire con lei… Ah, già, mi stavo annoiando…
“Sei diventata un tacchino”
“Eh…?”
“Oppure un porcellino”
Què?”
“Kolja ti sta rimpinzando troppo di cibo. Credo che stia esagerando a prendersi cura di te” io sarei ingrassata?! E questa dove diablo è uscita fuori?! Questa non mi piace per niente.
“Invece tu sembri un insetto: sei così magra che ti potrei schiacciare come una formica!” ecco l’ho detto! Anche se, un po’ è vero. Mi preoccupa un po’ Fabi. È troppo magra. Anche prima di venire in questo mondo, isola, città…insomma, già prima era molto magra. Ora sembra quasi anoressica. Mi preoccupa un po’. Beh, io non sono sua madre: che pensi lei a ciò che mangia. Forse al ritorno devo dirlo a Sandy, sempre che mi possa ascoltare (forse è sordo muto, non lo so, non ho mai parlato con lui).
Sento una risata. Non credo sia di Fabi. In effetti, non l’ho mai sentita ridere. Ma non credo che venga da lei.
“L’hai sentito?” la risata continua. Ma non è che viene dalla mula…?
“Cosa?” no, dai. Una mula che ride. Sto impazzendo anch’io.
“No, niente. Sai, ora che mi ci fai pensare, ho una fame da lupi! Hai portato qualcosa di buono?” ritorna a guardare di fronte a sé.
“Veramente niente”
Niente?!”
“Niente”
“Ma…ma…nemmeno per te? Non hai portato nulla per te?” alza le spalle. Non ci credo. Appena ritorno da questa scampagnata dico a Sandy di farle mangiare almeno un pentolone di minestra al giorno. Non può fare così. Ora che ci penso…dove stiamo andando?
“Ma dove dobbiamo andare? In un paesino di campagna?” sospira. Si rigira.
“Veramente non volevo che venissi con me. Sarebbe stato meglio se saresti stata con Kolja e Calmoniglio. Loro due ti avrebbero trattata meglio” non ho capito.
“E perché non volevi che venissi con te? Ti sto antipatica?” questa la devo sentire per forza: almeno saprò cosa pensa di me, sempre se risponderà.
“Non ho detto questo. Volevo soltanto andare a prendere un regalo per te e poi portartelo dopo due giorni. Semplicissimo” un regalo? Fabi voleva farmi un regalo? Non esiste né in cielo né in terra che Fabi voglia fare un regalo a qualcuno. Specialmente a me, che non sono nemmeno sua amica. Cioè, non amica amica…
“Siamo arrivati” la mula continua a camminare. Riesco a vedere un paesino di fronte a noi. È un po’ bruttino, però. Ma che dobbiamo fare qui? Fabi scende. Faccio anch’io come lei. Si butta lo scialle sulla testa che le cade anche sulle spalle nude e su tutta la schiena. Ora non vedo nemmeno il suo viso. Sta per avviarsi senza di me. Io la guardo mentre si allontana.
“Vuoi venire o no? O devo chiamare anche la carrozza?” corro verso di lei e cominciamo a camminare per il paesino. È sporco e buio. Non c’è quasi nessuno per strada. Qualche volta vedo dei tizi con delle vanghe e altri attrezzi in mano. Credo che siano contadini. Finiamo di girare per il paese dopo un quarto d’ora circa. Fabi, però continua a camminare. Continua a girare a vuoto e io la seguo. Non so dove voglia andare a parare con questi giri, anche se sembra che stia cercando qualcosa. Gira gli occhi ovunque. Guarda in ogni vicolo e in ogni strada, ma la cosa che sta cercando è introvabile. Mi stufo dopo un po’. Credo che sia passata quasi mezz’ora. Forse è per questo che non voleva che venissi con lei.
Vedo una donna per strada. È un po’ più strana degli altri: sembra che sia concentrata. Guarda dritta di fronte a sé con le gambe aperte. Poi…fa pipì per strada. Rimango scioccata. Ma che…?
“Anche nei paesi meno sviluppati si fa così: le donne non portano le mutande” credo che Fabi abbia visto la mia espressione sbalordita, ecco perché mi ha risposto.
“Ma…non si vergogna che gli altri la vedano? È…disgustoso! Ma perché non porta le mutande?” lei alza le spalle. La tizia se n’è andata. Continuiamo a camminare per un’altra strada.
“No, è una donna medioevale. All’epoca portare le mutande era considerato una sfacciataggine. Più o meno come portare il rossetto nell’antica Grecia equivaleva ad essere una prostituta” non ci posso credere. Ma non penso nemmeno che se l’abbia inventate tutte queste cose.
“Sarà, ma secondo me non è normale” continua a camminare anche se comincia a rallentare il passo.
“Normale? Scusa, Carmen, ma per te ‘normale’ cosa significa?” Què?
“Normale è…qualcosa che vedi spesso e che…beh…ogni persona trova comune e quindi normale” non so come definirla per bene questa parola. Per me normale è normale. Punto e basta.
“Per te è normale che due persone per strada si bacino sulle guance per salutarsi?”
“Ecco…dipende. Si conoscono questi due?”
“No”
“Allora non è normale”
“Sai una cosa? In Italia lo è. Infatti molto spesso, soprattutto al Sud d’Italia, si usa come saluto il bacio alle guance, anche tra uomini” questo è interessante. Ma dove vorrà arrivare con questo discorso?
“Vedi, Mini, come hai detto tu, la normalità sarebbe una condizione abituale, qualcosa che segua le regole, per così dire. Ma mettiamo per esempio un paese. Se in questo paesino ogni persona commetterebbe un abuso contro dei bambini e nessuno direbbe niente, credi che diventerebbe normalità?”
“No, un abuso è sempre un abuso. Non può diventare normale!”
“Certo. Ma mettiamo il fatto che questi abusi accadano sempre, per un anno o di più, e nessuno direbbe niente. In questo caso diventerebbe normale. Anche le stesse vittime crederebbero che ciò che gli accada sia una cosa normale che si spera che passi in fretta. Ovviamente non è così, ma questo genere di cose accadono spesso, soprattutto se vivi dentro una piccola società dove esistono certe regole facilmente modificabili. Modificare le regole è molto semplice: basta avere degli stupidi, ovvero la maggior parte del gruppo, che ti ascoltino e che abbia intenzione di cambiare la loro condizione di vita o qualcosa nella loro società. Anche nella Germania Nazista è accaduta la stessa cosa e anche in questo mondo, per via di tutti questi ignoranti cittadini, è ormai diventato comune uccidere, violentare oppure importunare una ragazza con un coniglio. Ed è anche per questo che nessuno abbia deciso di protestare: perché, se qualcuno lo facesse, quella stessa persona finirebbe in un mare di guai anche perché il pezzo più grosso di società andrebbe contro quella persona e lui diventerebbe lo zimbello del gruppo. Nessuno vorrebbe uscire fuori dalla società e diventare un’asociale, giusto?” mi aveva lanciato uno sguardo insolito sia all’inizio che alla fine del discorso. Beh, questo spiega il perché nessuno per strada non abbia voluto aiutarmi quando quel tizio francese stava cercando di uccidermi. Però… La interrompo.
“Senti, questo è…molto interessante… Ma cosa c’entra con la tizia senza le mutandine?” credo di aver detto una cosa stupida, perché lei ora mi guarda un po’ arrabbiata. Sbuffa.
“Voglio dire che quello che hai visto è normale per quella tizia, perché lo fanno tutti in questo buco di paese” dice con un po’ di frustrazione nella voce. Bueno, ora ho capito. Però lei è ancora arrabbiata. Sbuffa ancora.
“Ok, non c’è bisogno di arrabbiarsi! Non tutti sono intelligenti come te…” lei mi guarda attentamente. Mi lancia un sorrisino un po’ scuro.
“Si…forse hai ragione…” rigira la testa di fronte a sé. Ora che ci penso…credo di essermi auto-offesa…Si, credo proprio di si… Rimango un po’ indietro. Mi sento offesa. Mi brontola la pancia. Fabi la sente. Intanto il suo sorriso è scomparso magicamente, così com’è arrivato.
“Sei fortunata: c’è una locanda qui” appena ho sentito la parola ‘locanda’, mi si sono drizzate le orecchie. Ho fame. Ho tantissima fame! Entriamo dentro.
Il posto è più pulito di come pensavo. I banconi di legno, le sedie, il pavimento, sembra tutto nuovo e comprato da poco oppure restaurato il giorno prima. C’è molta gente qui, ma quasi tutti uomini. Mi dà un po’ d’inquietudine questa cosa… Fabi si allontana da me e si siede ad un tavolo piccolo con due sedie. La seguo e mi siedo di fronte a lei. Appena ho appoggiato le chiappe sulla sedia è spuntato dal nulla un tizio un po’ basso e robusto che si piazza sul nostro tavolo con una grazia da dimenticare.
“Hey, voi due: non vogliamo contadine qua dentro”  què? Contadine? Ma a chi ha dato delle contadine?
“Alzate i tacchi e sparite da qui. O forse devo prendervi per i capelli?” fa una faccia brutta. Sembra quella di papa: vuole solo fare paura e non alzare le mani.
“Ci sono problemi?” Fabi lancia i suoi occhi freddi verso il tizio. Lui non cede, anche se ha preso un colpo quando ha visto la sua faccia.
“Non voglio trovare poveracci che, alla fine, dopo aver mangiato, dicono di non avere un centesimo per poter pagare la cena. Vi prego, signorine, faccio questo per la vostra serenità. Non è bene far sapere di non avere una moneta per pagarsi da mangiare…” ha esagerato. Secondo me questo vuole ritrovarsi con un segno rosso in faccia. La vicenda sta attirando le persone vicino al nostro tavolo. Perfecto…siamo la commedia del locale…che figura… Fabi alza un sopracciglio.
“Cortese da parte vostra pensare alla serenità di un paio di ragazze ma, prima di giudicare dai costumi, vi consiglio dichiarare alle interessate la somma riguardante la cena. In fondo, non credo che i vostri bocconcini le fate pagare a peso d’oro…” il tizio è morto. Rimane con un occhio un po’ più aperto dell’altro, la mascella spalancata e i capelli dritti. Mi sfugge una risata: Fabi vs Tizio Brutto. Fabi Wins! Il tizio fa calmare le mie risate con un colpo sul tavolo. Le persone qui vicino cominciano a ridere. C’è un vecchio alla mia destra che sembra sul punto di affogare nella sua stessa birra. Il tizio afferra Fabi per il braccio.
“Porta la gonnella fuori da qui, signori…” non fa in tempo a finire la frase che Fabi si libera dalla morsa e, non ho visto bene come, fa sbattere la testaccia del tipo contro il tavolo e lo immobilizza con un braccio dietro la schiena. Gli uomini qua vicino smettono di ridere e guardano interessati la vicenda. Al vecchietto sfugge uno ‘uh-uh!’.
“Altrimenti cosa, esattamente? Mi uccidi? Mi torturi? Cosa?” Fabi lo libera alla presa e lo sbatte vicino al vecchietto vicino a me. Il vecchio sobbalza. Il tizio è rosso dalla rabbia. Pensandoci bene, forse avrei dovuto iniziare da stasera la dieta…ora che mi guardo bene, in effetti, sono un po’ più rotonda di un mese prima.
“Giuro che ti faccio ammazzare, ingrata di una donna!” credo che sia arrabbiato da morire. Forse è meglio andarcene prima che qualcuno si faccia male per davvero…
“Ma sta zitto, Ambrogio! Lasciale mangiare qualcosa, soprattutto a questa che ha fermato le tue mani: è magra come una spiga secca. Pago io per loro due, anche per non farti lanciare bestemmie. Bada che abbiamo pagato per non sentire prediche questa sera” ha parlato il vecchio. Ora che lo guardo meglio, ha le guance un po’ rosse e, non beve, ingoia la birra a grandi sorsate. In confronto a tutti gli altri, credo che mi stia simpatico. Il tizio lo guarda, fissa per un po’ Fabi e gira i tacchi. Ringrazio con lo sguardo il vecchio.
“…la prossima chiamo le guardie…” mormora alla mia…erm…amica? Fabi fa finta di non aver sentito e lo guarda storto. Lei fa scendere il cappuccio. Anch’io faccio lo stesso col mio mantello. Ho trovato quest’abito in un piccolo spogliatoio e mi piace da morire! È semplice ma i ricami in oro sono articolati e interessanti, come i miei orecchini: è rosso, lungo fino a terra, con ricami d’oro, scollato, le maniche lunghe e con un mantello bordoeux con cappuccio. Fabi mi aveva detto che era un abito poco sfarzoso medioevale. Non fa niente: è pur sempre bellissimo.
“Allora, cosa vi porto?” spunta fuori una tipa molto robusta. Credo che sia la cameriera. Il vecchietto si fa avanti, dopo aver tirato un altro sorso di birra.
“No, Beatrice; ordino io per loro, visto che pago io…” bueno…non ci darà niente da mettere sotto i denti…perfecto…visto che paga lui… Tracanna un altro sorso.
“Allora, per la piccola una bella porzione di polpette con pinoli. Badate, però: un intero piatto; credo che non mangi da mesi. All’altra in rosso dacci un po’ di stufato; quello che fate voi coi funghi, intendete? Deve mangiare di meno; sono certo che questa stia mescolando troppi cibi nello stomaco” involontariamente mostro uno sguardo scioccato e un po’ offeso. Non ci credo. Anche lui si mette in testa che sono grassa! Ma perché tutto a me?! Fabi ha la faccia un po’ corrucciata. Credo che anche per lei essere definita anoressica, non sia stato un piacere. Ma meglio essere sottopeso che soprappeso. La donna sparisce dietro ad una porta e il vecchio, tutto contento per la sua buona azione, se ne ritorna al suo tavolo. Mi giro verso Fabi.
“Beh, ci è andata bene” abbozzo un sorriso. In effetti poteva andarci molto peggio. Potevano sbatterci fuori a calci, per esempio. Fabi è pensierosa. Credo sia qualcosa muy importante. E non credo che pensi alle parole del vecchio.
“Cosa c’è?” chiedo con tutta la voce dolce che posso. Non riesco ad essere gentile, ora che lei ha fatto girare tutta questa gentaccia che, se si guarda con più attenzione, ci stanno fissando un po’ male.
“Penso al tuo regalo, credevo che fosse qui” ancora con questo regalo? Sta andando un po’ troppo avanti con questa balla. Intanto la donna, con una velocità incredibile, ha portato qui i piatti e dell’acqua. Il vecchio si rigira con un grosso sorriso.
“Buon appetito, signorine!” Fabi ricambia con un cenno. Io no: sto fissando il mio piatto. Anche se lo stufato sembra buono, è in una ciotola troppo piccola. È un po’ più grande del mio pugno. Almeno è piena fino all’orlo… Fabi, invece, ha un piatto gigantesco con almeno una decina di polpettine. Mi sento male solo a guardarlo… Cominciamo a mangiare. Finisco quella sorta di zuppa in meno di un minuto. Intanto è arrivato sul palco un tizio vestito in bianco e con una maschera inespressiva, anche quella bianca. Tutti si girano verso di lui. Io devo ancora rendermi conto di quello che non sto mangiando. Fabi riesce a terminare una polpetta e mezza. Alza la testa.
“Mini, finiscile tu. Sembri morire di fame” non me lo faccio ripetere due volte: prendo il piatto e, senza troppa fretta, finisco tutte le polpette, anche la mezza mangiata di Fabi. Si sente musica di violino in sottofondo. Non l’avevo notato.
“Amico mio, senti qua. Questo è bravo”
“Gia, infatti, secondo me dovrebbe suonare in un posto migliore…”
“Sei matto? Meglio avere questo ragazzo nella nostra locanda! Immagina se andasse via”
“Gia, questa brodaglia non saprebbe di zuppa…”
Alzo la testa. La musica, in effetti, è molto bella. Non mi piace questo genere, ma, non so il perché, mi sembra terribilmente famigliare, tanto da piacermi. La melodia è dolce e ritmica. Sembra un misto di jazz con il violino, non so nemmeno come spiegarlo. Tutti gli uomini sono incantati di fronte a quel ragazzo vestito di bianco. Non si sente più nulla, nemmeno ci guardano. Tutti gli occhi sono puntati su quel tizio mascherato concentrato sul suo violino. Non so il perché, ma comincio a fissarlo anch’io, incantata. Mi piace la sua musica. Lui è giusto. Il suo violino è giusto. La sua musica è giusta.
Quasi non mi sono accorta che Fabi si era alzata dalla sedia e, come se le fosse stato impiantato un incantesimo, comincia ad avvicinarsi al palchetto.
“…Fabi, torna qui…!...ma che fai…?!” non mi ascolta. Mi sto preoccupando: non vorrà farci cacciare fuori? Ma non riesco nemmeno ad alzarmi dalla sedia. Se vuole essere buttata fuori a calci, che se ne vada solo lei. Rimane immobile di fronte, ma proprio di fronte, al tizio mascherato che, senza accorgersi di Fabi, continua a suonare. Qui finisce male… Ad un certo punto il ragazzo si accorge di lei e, anche se continua a suonare, la fissa interessato. Passa un po’ di tempo. Anche Fabi lo guarda intensamente.
“…ma che ci fa quella madonnina là vicino…?” diablos!
“…lo chiedi a me?...stai a guardare…” ecco, se ne sono accorti. Ora anche tutti gli altri uomini cominciano a fissare loro due che, come se fossero due piccioncini, si guardano negli occhi. Il musicista rallenta la musica, ma non credo che sia nel copione. Tutti lo notano. Vedo, poco lontano da me, il tizio brutto di prima e la donna che chiacchierano sottovoce indicando Fabi e il ragazzo con occhi di fuoco. Ok, è meglio fermare questa commedia romantica. Si, ma allo stesso tempo, non so come fare e cosa fare. La musica si ferma del tutto. Continuano a fissarsi. Tutti guardano quei due innamorati. Fabi fa uno sguardo seccato.
“Come? Ci siamo visti per due settimane e già dopo un mese non mi riconosci più?” il ragazzo fa cadere il violino per terra e si toglie la maschera.
Pequenia!”
Madre de Dios, Al!” questa volta sono stata io ad urlare.
Mi Dios, Mini!” Non m’importa se questi idioti mi guardano come se fossi rincretinita, non fa niente: è Al, Alejandro Sanz, di fronte a me. Corro verso di lui.
“Mini!” mi escono le lacrime dagli occhi.
“Al!” mi butto su di lui. Questa volta piango a fiumi. Lui mi prende al volo. È bello sentire la sua pelle sopra la mia. Mi è mancato tantissimo. Lui mi è mancato tantissimo.
“Mi sei mancato tantissimo!”
“Mini, non piangere o piango pure io!” in realtà sento gia la sua voce secca dall’emozione. Sento anch’io le sue lacrime sul mio collo.
“Non te ne andare mai più!”
“Non lo farò più, Mini, non sai cos’è successo…io…” lancio un urlo: qualcuno mi ha preso per le spalle e mi sta allontanando da lui. Vedo che anche qualcun altro sta portando via Al.
“Questo è troppo! Fuori da questo locale o chiamo le guardie!” Fabi fa un passo sopra al palco. Il tizio brutto dietro di me mi spinge su di lei e per poco non le cadevo sopra.
“Riprenditi questa sciagurata e ora fuori!” mi alzo indignata. Come mi ha chiamata quel bruto?! Mi sale la rabbia. Se non mi ridà Al, lo prendo a calci nei gioielli di famiglia, giuro! Anche Al sembra dello stesso parere. Si agita furioso con le lacrime di prima agli occhi.
Permìtame, animal!” si agita così tanto che, alla fine, riesce a liberarsi dal tizio dietro di lui con un calcio sul piede. Appena si libera mi raggiunge e si para di fronte a me mettendomi una mano d’avanti per impedirmi di raggiungerlo. E in effetti sono sul punto di assalirlo, quel maldito idiota. Tutti gli altri uomini fanno da spettatori: sono incuriositi per ciò che sta succedendo. Fabi schiocca la lingua, annoiata.
“Possiamo finirla con questi attacchi d’ira? Non credo che abbiano fatto chissà quale maleficio…” il tizio è furioso. Guardo per un attimo Al. Ha qualcosa di strano sul viso: ha un occhio rosso e un livido poco visibile sulla guancia destra. Mi sale ancora di più la collera.
“Non lo avrai mica picchiato?!” il tizio non mi degna di uno sguardo. Lo prendo automaticamente per un si.
Maldito…!” non finisco la frase che Fabi mi fa cenno di stare zitta. Non mi faccio comandare da lei. Sto per ricominciare ad insultarlo, ma anche Al mi fa lo stesso cenno. Mi guarda preoccupato. Mi calmo un po’. Ma non ho ancora finito con lui. Nemmeno io posso picchiare mio fratello.
“Prima di tutto, per quale motivo questo ragazzo vi sta facendo da musicista?” il tizio risponde subito.
“Stava girovagando a vuoto con una bambina da queste parti. Chiedeva dei soldi e l’ho accontentato. Però non potevo dargli da mangiare senza qualcosa in cambio. Gli ho fatto suonare il violino ed eccolo qui, nella mia locanda… La peggiore canaglia dell’isola!” Al fa una faccia sdegnata.
“Veramente ti ho fatto gratis tutto il lavoro. Non mi davi mezzo spicciolo nemmeno per comprare un vestito per Perla!” Perla?
“Ti pagavo benissimo. Dopotutto, ad un negro non devo dare molto…”
“A chi hai dato del negro?!” sono ancor più arrabbiata. Questo qui deve morire. Deve morire… Fabi incrocia le mani dietro la schiena. Il suo sguardo s’incupisce ancora di più.
“…colonie americane…inizio ‘700…emigrato italiano…” la sento sussurrare queste cose a nessuno in particolare. Credo stia pensando.
“Cosa?”
“A voi non piace il nero, mi pare” quello fa un fischio.
“A chi non piace…”
“E vi siete trovato un meticcio per strada e, ovviamente, lo avete accolto in casa vostra; visto che questa locanda la utilizzate anche come casa, data la vostra condizione… Mi sorprende la vostra intelligenza…” quello sembra sdegnato più di me. Meglio così. Brava, Fabi, così impara ad insultare noi Sanz.
“Hai deciso di fare la serpe in questo mondo? Scusa, ragazzina, ma se tu non hai momentaneamente dei soldi, chi chiami? Ovviamente coloro che ne chiedono pochi!” Al perde la pazienza.
“Io non chiedevo pochi soldi! Non volevi neanche lasciarmi dormire qua dentro, pezzente!” quello alza la testa con superiorità.
“Quindi ritorniamo alla questione del colore nero. È certo che voi lo detestate?” quello fa cenno di si a Fabi. Lo odio. Lo odio. Fabi annuisce tra sé e sé.
“Perfetto. Allora pulisciti le mani” dice con voce da serpente. Il tizio sembra confuso. Io e Al ci sgonfiamo, non del tutto, dalla rabbia e guardiamo Fabi con perplessità. Cosa intende dire?
“Cosa?”
“Le vostre mani sono sudice di nero, credo fuliggine, e avete appena affermato di detestare il nero. Non vedo perché dovreste averlo anche sulle mani” tutti gli uomini lanciano sguardi divertiti verso il tizio e verso i vicini di tavolo.
“Questo non c’entra niente”
“C’entra, eccome. Quindi posso facilmente ammettere che voi abbiate mentito”
“Cosa?!”
“Esattamente. Mi pare ovvio, non trovate?” poi si gira verso il ‘pubblico’. Il tizio è rosso dalla rabbia e dall’umiliazione, ma è allo stesso tempo scioccato da ciò che sta accadendo e sembra sul punto di voler strangolare Fabi. Non so cosa stia pensando Al, ma io mi sto godendo tutto ciò che sta accadendo.
“Gentili signori” disse alzando la voce “ora sapete per certo cosa sta accadendo dietro a questo sipario, qua dietro il palcoscenico. Ogni giorno, da probabilmente un mese, questo giovane ragazzo di quindici anni sta subendo maltrattamenti da parte del suo dirigente, qui vicino a me. È una vergogna per tutti noi, soprattutto per questo suddetto uomo. Chissà quali altri crimini ha commesso ad altri ragazzi o bambini, prima che facesse la sua comparsa in questo mondo. Chissà quante vite innocenti furono distrutte per un delitto che non riguarda questi poveri cristiani: la pelle nera…”
“Oh, ma sta zitta!” il tizio è, non rosso, nero dalla rabbia. Tiè, eccoti l’umiliazione. Sono felicissima per quello che sta dicendo Fabi, anche se non sembra molto contenta: è sempre indifferente e cupa. Il tizio se ne va dietro ad una porta. Gli uomini che ci fanno da pubblico sembrano divertirsi un mondo, mentre altri, quelli più in fondo alla locanda, sembrano interessati alla vicenda. Il tizio ritorna e mostra, buttando le mani di fronte al viso della mia amica, il suo grande sacrificio.
“Sei soddisfatta?”
“Non del tutto. Vedo ancora del nero in giro…proprio sopra la tua testa” ed è così: i capelli di questa bestia sono neri più delle mani sporche che Fabi gli ha costretto di lavare. Il tizio sembra confuso. Dopo aversi preso una ciocca di capelli e dopo averla messa di fronte all’occhio destro, capì.
“I miei capelli? Tu sei pazza, ragazzina!” Fabi lo guarda annoiata. Dietro di lei si sentono le voci degli altri uomini che, vista la comicità in questa scena, hanno deciso di vedere a che punto è intenzionata ad arrivare questa piccola furfante.
“Ambrogio, non rimangiarti la parola, bisogna togliere ogni traccia di nero!”
“Si, Ambrogio, vedo tanto nero!”
“Codardo, cosa sono un ciuffo di pelliccia sulla testa?”
“Mica ti cade la corona dal capo…”
“Che uomo meschino…”
“Spero che mio figlio non diventi come te” e giù le risate. Il tizio è quasi sul punto di suicidarsi, secondo me. Guardo un attimo Al: è felicissimo, si gode la scena più di me. Chissà quante volte ha desiderato questo momento!
“Beatrice, tagliami i capelli” dice girandosi verso la donna nascosta in un angolino vicino al palco. Quella, spaventata per la faccia di lui, indietreggia.
“Io…n-non…”
“Va bene, faccio da me!” detto questo prende un coltello da cucina dalle mani della donna e, in malo modo, comincia a rasarsi la testa. Fa un lavoro indecente: spesso taglia anche brandelli di pelle e anche…carne. Mi copro gli occhi, fa troppo schifo. Al si mette una mano sulla bocca. Fabi continua a fissare l’uomo con sguardo inespressivo, ma di fuoco. Sembra che i suoi occhi brillino di luce propria. Vedo un colore insolito: un misto di marrone e verde con delle macchie azzurrine. Non posso fare meno di notarlo.
Gli uomini, non vedendo bene il lavoro schifoso sulla testa del tizio, cominciano ad esultare e ad applaudire facendo fischi e alzando le mani. Fabi fissa Al per un secondo e gli fa cenno di guardare. Guardo anch’io con lui. Appena mi sono girata ho socchiuso le palpebre e mi sono messa le mani d’avanti alla faccia: la testa di lui, oltre ad essere rasata a zero, è anche ricoperta di sangue che scorre come acqua sul suo viso. Non so se essere disgustata oppure felice. Certo, sono felice che lui abbia scontato la pena ma, allo stesso tempo, non so se sia il caso di dire a Fabi di finirla. Gli uomini dietro di noi scoppiano a ridere. Il tizio ha la testa a penzoloni, cercando di nascondere il suo viso. Si mette in ginocchio e butta lontano il coltello insanguinato. Credo che gli giri la testa.
“…c’è dell’altro…?”
“Certamente” dice e comincia ad avvicinarsi lentamente a lui. Sembra molto più grande Fabi in questo momento. Gli prende la testa rasata e rossa con una mano e, con l’altra, gli indica un punto preciso del viso.
“Voglio che tu tolga questo nero dai tuoi occhi” io e Al ci guardiamo. Non abbiamo capito. Gli uomini dietro di noi alle prima file tacciono, gli altri, che non hanno sentito o hanno sentito male, stanno sgomitando per chiedere cosa ha chiesto Fabi. Il tizio spalanca gli occhi. È terrorizzato. Stiamo andando troppo oltre: credo di aver capito cosa vuole Fabi.
“…Fabi, basta…giriamo i tacchi e andiamo via…” chiede Al con un sussurro. Anch’io le faccio cenno verso la porta di entrata. Credo che abbiamo esagerato… Fabi si gira verso di noi lentamente. Ha sempre il suo solito sguardo, ma con qualcosa di diverso negli occhi, ma non so cos’è. Lei si rigira di nuovo verso il tizio pieno di sangue. Si sta formando una pozzanghera ai suoi piedi. Mi metto una mano d’avanti alla bocca, disgustata. Credo di aver visto dei brandelli di carne vicino ai suoi piedi.
“Ringrazia il ragazzo per non averti cavato gli occhi” dice e molla la testa del tizio che quasi la sbatte per terra. La mano sinistra di Fabi è bagnata di sangue, ma lei sembra non accorgersene. Comincia ad avviarsi verso l’uscita e anche noi la seguiamo, cercando di ignorare gli sguardi perplessi e delusi degli uomini. Vicino all’uscita vedo il vecchio di prima, ma senza rosso in faccia e senza boccale di birra che, in confronto agli altri, ci guarda quasi orgoglioso.
“Per me sei sempre comunque un negro…” Al si ferma. Si gira verso quel cane sul palco e lo fulmina con lo sguardo. Anch’io e Fabi ci fermiamo, ma io, in confronto a lei, mi volto.
“Cosa hai detto?” siamo tutti e due arrabbiati. Questa volta lo trituro io stessa. Infatti mi sto avviando verso il palco per dargli un sonoro e rumoroso calcio in faccia. Una mano molto forte mi pianta al terreno. Fabi mi supera e si avvia verso il tizio. Arriva al palco e lo raggiunge. Ad un certo punto fa un veloce scatto in avanti arrivandogli proprio in faccia e…quando ha preso quel coltello?
L’uomo cerca di prendere Fabi e si rialza, ma ormai è fatta. Lei gli conficca il coltellaccio nell’occhio. Mi paro gli occhi: è troppo disgustoso, anche se se lo merita. Al fa lo stesso. Non posso fare a meno di sbirciare. Tutti sono impietriti. Fabi riprende il coltello. Il tizio tira un grido molto acuto. Dopo averlo estratto macchiandosi il grembiule di sangue, Fabi conficca di nuovo la lama in un altro occhio che poi tira fuori di nuovo ma con più lentezza. Per finire gli dà un calcio poco potente al centro del petto che lo fa ruzzolare dietro le quinte. C’è sangue ovunque. Anche sulle braccia di Fabi, sulle maniche del vestito e sul palco. Si sentono piccoli gridi di dolore da là dietro. La donna Beatrice guarda la scena mormorando qualcosa come: oh, mio Dio…dove siamo capitati, dove siamo capitati…? Dovrei essere triste o infuriata con Fabi, ma non ci riesco. Penso che se lo meritava. Ma non mi spunta nessun sorriso come al solito. Lo stesso per Al: se lo meritava, ma non è qualcosa di cui ridere. Fabi, con uno straccio strappato dalle mani dell’impietrita Beatrice, mentre ripulisce il coltello, alza la voce.
“Bene, signori, credo che questa sia una buona lezione per tutti noi: anche se l’aspetto inganna, sotto la nostra pelle, dopotutto, siamo tutti uguali. Che lo teniate in mente. Tutto considerato, non siamo mica gentaglia medioevale che appicca gente ad un rogo soltanto perché credevano che fossero improbabili streghe, o sbaglio?” il vecchio ride di gusto e applaude felicissimo. Tutti gli altri sono pietrificati di fronte a Fabi e, forse, hanno anche paura di lei. Detto questo, Fabi rimette il coltello nella tasca del grembiule, scende dal palco e, con una insolita eleganza che non avevo mai notato in lei, si avvia verso l’uscita. Noi la seguiamo anche fuori dalla porta. Nonostante non ci vediamo da quasi un mese, non riesco a dire niente di bello ad Al, lo stesso per lui. Non riesco neanche a guardare Fabi dopo quello che è successo.
“…perfetto…vi ho anche traumatizzati…” Al alza lo sguardo.
“Fabì, secondo me hai fatto una cosa giusta. Non perché sono io, ma per quelle cose razziste. Dovrebbero farlo a tutti quelli che maltrattano le persone solo perché hanno la pelle diversa dalla loro” su questo anch’io annuisco. È giusto: siamo tutti uguali, non ci sono differenze fra di noi, neanche per il colore della pelle.
“Farò finta di crederti. Solo di una cosa mi pento”
“E di cosa?”
“Di aver sporcato il vestito” fermiamo i piedi e ci guardiamo negli occhi.


…io ed Al scoppiamo a ridere. Fabi fa un mezzo sorriso.
“Sono seria: sono disgustosa e piena di sangue!” è vero. Il suo vestito è quasi del tutto bianco, tranne per qualche macchiolina di sangue, ma il grembiule è bagnato di rosso. Al si avvicina a lei e, tra le risate, inizia a parlare.
Ven comigo. Andiamo vicino al fiume, ti aiuto a lavarti un po’”
 
 
 
 
 
Siamo vicini ad una baracca fatta di legno e lenzuola. Al è un po’ più avanti di me che aiuta Fabi a lavarsi le mani e le braccia nel fiume poco lontano da me. Io sono incredula. Cos’è questo posto? C’è anche un gigantesco materasso matrimoniale con toppe rosse e blu e un lenzuolo che sembra essere la cosa più pulita di questo postaccio.
“Ma, Al, tu vivi qui?” non lo vedo in faccia, ma so che è imbarazzato.
“Si, Mini…lo so: è una schifezza” i suoi capelli sono cresciuti molto in questo mese. Prima li aveva rasati a zero ai lati e con un corto ciuffo al centro della testa. Ora, invece, sono molto lunghi. Nel frattempo si era cambiato i vestiti: tolto il costume bianco, si è messo un paio di pantaloni di pelle scura, strane scarpe nere, un surcotto verde scuro (così Fabi lo ha chiamato) lungo fino al ginocchio e con maniche lunghe, però sembra di una taglia più grande e un mantello molto lungo e nero che Fabi ha chiamato ‘tabarro’. Beh, almeno quel mantello lo protegge dal freddo…
“Come ci sei finito qui?” Fabi si asciuga le mani sbattendole per aria: non c’è un asciugamano; anche se si è lavata le mani, il grembiule è sempre sporco. Al si mette a sedere sul materasso e ci fa cenno di seguirlo. Ci sediamo.
“È una historia muuuyyy lunga”
 
 
 
 
“…e così siamo scappati dall’ospedale. Poi, senza farci vedere, ci siamo buttati nella foresta. Poi abbiamo trovato questo posto. Noi due stavamo morendo di fame e sete e nessuno voleva aiutarci, tranne lui. Abbiamo accettato di suonare e ballare in quella baracca. Poi però, la settimana scorsa, mi sono stufato e mi ha trasformato la faccia così. Fin de la historia” sono un po’ perplessa da tutto quello che è successo e, soprattutto, mi sento male ad aver mandato Al da solo a cercare un kit dell’infermiere che in realtà non esisteva. Mi faccio ancora più schifo, soprattutto perché Al ha affrontato tutte queste cose da solo. Senza di me.
“Bene, possiamo iniziare le domande. Quella bambina, dov’è andata a cacciarsi?” chiede Fabi.
“Me lo sto chiedendo anch’io. Stasera quel cornudo l’ha minacciata e se n’è andata via piangendo”
Què? L’ha minacciata?” Al annuisce con convinzione. Sembra un po’ stanco.
“Già. Secondo lui non ballava bene”
“Ah…” restiamo in silenzio per un bel po’ di tempo. Al sospira. Esce anche a me un sospiro.
“Beh, io non ci torno più laggiù. Ho chiuso con queste cose” Fabi poggia gli occhi su di lui.
“Non sapevo che suonassi il violino” spunta sia a me che ad Al un sorriso. Ci lanciamo uno sguardo complice.
“Non solo quello, Fabi. Anche la chitarra, la batteria, il pianoforte, il flauto…” ho perso il conto di quanti strumenti sa suonare Al.
“So suonare qualsiasi strumento che mi metti in mano. Anche quelli più strani” dice con una nota d’orgoglio.
“Mi ricordo quella volta che siamo andati in Scozia…” Al si accende.
“Ah, si! Ero piccolo, però. Ma sono riuscito a suonare la cornamusa. Il tizio con la gonna, il proprietario dello strumento, aveva chiesto ai miei se fossi un bambino genio o uno scozzese!” scoppia una risata generale mia e di Al. Sono belli questi ricordi, ci serviva proprio uno di quelli. Fabi, invece, è sempre impassibile, ma un po’ più serena.
“Quindi hai l’orecchio musicale…è un dono rarissimo, lo sai? Potresti avere già un lavoro in tasca” Al scuote la testa.
“Non credo: papa non me lo permetterà mai. Vorrebbe che diventassi avvocato come lui, oppure un medico come mama…” annuisco a mia volta. Ragionare con papa sui lavori che faremo da grande è impossibile: ha già un piano per noi e non ha intenzione di distruggerlo. Anche se a me non interessano i suoi piani futuristici.
“E tu, quindi, ti fai frenare da tuo padre?” chiede con tono perplesso, falso ovviamente.
“Ma no! Mica mi faccio dire cosa voglio o non voglio fare. Ma, dimenticando tutto questo, non è facile sfondare nel mondo della musica” anche questo è vero. Ritorna il silenzio, anche se breve, ritorna.
“Comunque, a voi cos’è successo? Come avete fatto ad avere queste figate?” chiede indicando i nostri vestiti “questi sfondano di brutto, altro che questo sputo di stracci!” Fabi inizia a raccontare.
 
 
 
 
“…quindi puoi venire con noi e stare con i Guardiani al teatro. Ti piace l’idea?”
“Se mi piace? La amo!” non ci credo: ha preso tutta la notizia con piacere, inclusa quella di Calm e di Kolja. Non si è sorpreso per niente. C’è qualcosa che non va…
“Ma tu sapevi già tutto?” lui annuisce velocemente. Me l’aspettavo.
“Si, Perla mi ha raccontato tutto tipo…il mese scorso. Però non volevo crederle e avevo fatto finta di fidarmi. Credevo che stesse scherzando, cioè, è una bambina! Anche se più avanti, ho pensato che: dai, siamo in un posto portati qua da uno strano incantesimo, all’Inferno (che di Inferno non ha nulla), ho visto dei bambini che si trasformavano in fantasmi, diablos! Ormai non mi sorprende più nulla! E poi, chi mi dice che non sia vero che qua ci siano anche Babbo Natale e il Coniglio di Pasqua? E poi, penso ancora: e perché Perla non deve avere ragione? Sarà anche una bambina, ma ne sa più di me!” da come ha parlato di questa Perla, sembra una bambina molto paurosa e timida che non parla mai e che si spaventa per nulla. Non può eguagliarmi. Non può sostituirmi.
“Sentite, andiamo a cercarla. Non riesco a lasciarla qua da sola al buio. Non voglio che passi un altro mese da sola. Può venire con noi, al teatro?” chiede speranzoso a Fabi. Sembra quasi un bambino che chiede un dolce alla madre. Lei lo guarda con sufficienza.
“…dipende…”
Perfecto! Andiamo a cercarla!” dice, interrompendo Fabi e cominciando a camminare verso la mula che, non so proprio come, ci ha seguiti. Lo seguo anch’io a tutto gas. Fabi ci raggiunge con un po’ di ritardo. Mi siedo sulla mula. Al sembra indeciso. Fabi ci raggiunge.
Què succede?” chiedo ad Al.
“Non so…l’asino mi guarda male…” la mula fa uno sbuffo tanto inatteso quanto potente che becca proprio in faccia mio fratello. Scoppio a ridere e anche Al, dopo aversi tolto lo sputo di mula addosso.
“Ma che ha fatto?”
“Credo che si sia offesa. Non le piace farsi chiamare ‘asino’, credo che preferisca mula, oppure Yaja…” lo dice con una serietà quasi sconvolgente. Mi rimetto a ridere. Bello scherzo, Fabi.
“Non male come battuta, Fabi! Va bene, d’ora in avanti ti chiamerò Yaja!” detto questo dà una pacca sulla testa alla mula che, visto che si è offesa di nuovo, agita la testa e la sbatte contro la mano di Al. Mio fratello si rimette a ridere e gli sale sopra.
“A quanto pare dovrò andare a piedi…” mormora Fabi e, prendendo una ciocca di pelo della mula, la guida per andare avanti. Dopo un po’ Fabi apre la bocca.
“Dove credi sia andata?”
“Credo per il bosco: va spesso laggiù, forse poi capiamo dov’è andata di preciso”
“Uh…? Nel bosco? Una bambina che va in un bosco? Da sola? Spesso?” dico io. Al alza le spalle e annuisce, un po’ impacciato. Prendiamo la strada per il bosco e arriviamo laggiù in breve tempo. Dopo aver girovagato e preso un sentiero dopo l’altro siamo arrivati a questo punto: la strada si divide e forma due vie, entrambe buie ed inquietanti. In mezzo c’è un cartello: a destra c’è scritto “Island Capital” e a sinistra “Neglected Castle”. Quest’ultimo cartello sembra stia sul punto di cadere dal palo.
“Non m’ispirano nessuna delle due…” mormoro abbattuta. Trovare quella bambina sarà muy complicato. I miei occhi si spostano verso la sinistra. C’è qualcosa per terra, ma non riesco a vedere cosa. Al si catapulta giù e va a recuperare quella cosa. Ce la mostra: una collanina con una perla color confetto. Al ritorna sulla mula.
“Andiamo per di là” dice sicuro, indicando la sinistra.
Què significa?” mi mostra la collanina tenendola in mano come se fosse fragilissima.
“Questa è di Perla, credo che l’abbia persa mentre andava verso il castello. Dobbiamo andare laggiù” Quasi non mi sono accorta che Fabi aveva fatto ripartire la mula verso il Castello…non lo so. Che cacchio vuol dire Neglected? Forse è il nome del castello?
“Fa un po’ ridere: una bambina di nome Perla che porta una collanina con una perla. È divertente!” mi sorride. Mi piace il suo sorriso. È molto simile al mio soltanto che è molto meglio, secondo me.
“Già, ed è per questo che si chiama Perla” rimango un po’ perplessa.
“Cosa vuol dire: ‘è per questo che si chiama’?”
“Si, lei mi aveva detto che prima aveva un altro nome, ma poi ha dovuto cambiarlo per…non lo so… e così, benvenuta, Perla” rimango basita.
“Ha cambiato nome?” lui alza le spalle con nonchalance.
“Così ha detto. Un po’ non la capisco: dice cose strane, qualche volta si nasconde da me, le fa paura il sole, si nasconde sotto gli ombrelli neri…non è del tutto normale” vedo con la coda dell’occhio Fabi che si rigira lentamente. Rimango in silenzio. Quando si gira di nuovo ricomincio a parlare.
“…non dire più la parola normale
“…por chè…?” mi spunta un altro sorriso. Indico con gli occhi Fabi.
“…mi aveva fatto la ramanzina su cos’è normale ed è meglio se non ce la rifà di nuovo…”
“Vi sento, Sanz” sobbalziamo. Come diablos ha fatto a sentirci? A noi non piace che qualcuno ci chiami per cognome: è troppo…formale, distinto, non amichevole e da adulti.
Excusame!” gridiamo in coro.
“…niente male…” sussurra dopo un po’ tra sé. Alziamo automaticamente lo sguardo. A momenti avevo un colpo. Il castello è di fronte a noi.
Non sembra il castello incantato che di solito vedo nei film della Disney con Cenerentola and company. È…inquietante. Credo che Dracula abbia avuto una cosa simile a questa. Spunta sopra ad una collina, ma è talmente grande da sembrare la stessa collina. In lontananza non sembra nemmeno un castello: non è ‘unito’ come tutti i castelli che ho sempre visto; ci sono delle torri lungo la strada sparate lontane l’uno dall’altra, una più alta di quella di prima, ma collegate a sé con due piani di mattoni di roccia che, pian piano, raggiungono il vero e proprio castello ovvero la parte più in lontananza, cioè quel che sembra per davvero un castello. Man a mano che ci avviciniamo, noto che non è possibile superare quelle torri: da una parte c’è lo strapiombo con sotto l’acqua del fiume e dall’altra parte un intero campo di rovi alti quanto gli stessi piani di roccia che collegano le torri l’un all’altra. Ma anche se non ci fossero questi due problemi, non credo che si possa passare direttamente verso il “centro”. Dobbiamo per forza entrare dentro.
“Credo che dovremo entrare per la prima torre” dice Fabi, prendendo e mettendo dietro la schiena la spada. Deglutisco. Credo che ci vorrà un po’ per arrivare fin laggiù… E tutto per una nina persa nel bosco. Chi può dirlo se è laggiù? Forse non è passata nemmeno da questa parte.
“Controlliamo solo questa torre poi, se non c’è nessuno, usciamo e andiamo da qualche altra parte” dice Fabi guardando con attenzione il castello. Mi ha letta nel pensiero. Entriamo dentro lasciando la mula fuori. Saliamo le scale e ci ritroviamo in una gigantesca hall. È molto più bello che da fuori: tutto è lussuoso, ma non quel lusso che vedo nelle case dei vip in tv, ma in quel lusso antico che vedo nei film dell’Ottocento. Faccio dei passi avanti. Mi piace tantissimo. Ci sono due lampadari con le candele che spero che sia oro quello che vedo. Poi ci sono delle sedie molto grandi e delle panche gigantesche anch’esse in oro. E la libreria che tocca il soffitto ed è grande quanto una parete…
“Sanz!” mi fermo. Perché Fabi mi guarda in quel modo? Cos’ho fatto di sbagliato?
Què?” avevo preso un colpo: lei mi ha praticamente urlato addosso.
“Vieni qui. Prendimi la mano. Anche tu, Al” il modo in cui lo dice è molto diverso dallo sguardo indifferente di sempre. Sembra qualcosa di importante. Prendo la sua mano e anche Al fa lo stesso. Siamo confusi.
“Seguitemi. Ma non toccate il tappeto” guardiamo sotto di noi. Solo ora mi sono accorta che per terra c’è un tappeto grande quasi quanto la stanza. Ora stiamo camminando in fila indiana, senza toccare il tappeto rosso e rovinato. Arriviamo, camminando ai bordi della hall, dall’altra parte della stanza, dove c’è una grande porta ma non è lussuosa e bella come il resto della stanza.
“Tenete aperta la porta. Non chiudetela per nessuna ragione” lo dice con un tono talmente serioso che ubbidiamo.
“Bene. Ora potete vedere cosa succede quando non mi ascoltate. Che questo v’insegni ad ubbidirmi senza fare domande d’ora in avanti” ma che diablo dice? Ci fa segno di guardarla. Prende il bordo del tappeto rosso e lo scuote un po’.
Ai lati della stanza si formano degli spilli appuntiti di circa un metro di lunghezza. Con grande velocità la stanza sembra chiudersi su sé stessa. Fabi, prima che quella macchina distruttrice la triturasse, si tuffa su di noi e ci sbatte dentro la stanza. Sento il mio cuore battere a mille, solo ora mi sono accorta per davvero cos’è accaduto. Fabi sbatte la porta dietro di noi. Da dietro di essa si sente un potente tonfo, come se dei grossi massi si fossero scontrati l’un l’altro. Mi tremano le mani. Cosa diablo ci stava per accadere? Cosa sarebbe potuto accadere se non fosse stata con noi Fabi? Anche Al trema molto. Ci giriamo in sincronia tutti e due verso di lei. Fissiamo il muro dietro di noi: la porta è scomparsa. Anche Fabi lo nota, ma non sembra per niente sorpresa.
“C-come ha-ai f-fatto a-a cap-pirlo?!” chiede Al.
“Semplice: ogni oggetto nella stanza era di materiale prezioso, solo il tappeto era una carcassa morta” scuoto la testa scioccata. Non è possibile che l’abbia capito solo lei. Non è possibile.
“M-ma p-perché q-questo a-a n-noi?” lei alza le spalle.
“Probabilmente qualcuno vuole che la propria dimora non sia attaccata o visitata da nessuno. Questa trappola era piuttosto prevedibile, però” dice ricoprendosi la testa con lo scialle. Non è possibile. Potevamo morire!
“P-potevamo m-mor-rire!” si gira verso di noi, annoiata.
“Guarda, Alejandro, non ci sarei mai arrivata senza il tuo aiuto…” e sospira. Ancora non ci credo.
“Ma ora, come torniamo indietro?” chiedo spaventata. Non voglio morire. Non voglio… Volevo solo aiutare Al a cercare quella maldita Perla.
“Non ne sono sicura, ma credo che dovremo continuare” spalanchiamo gli occhi.
“Dobbiamo andare avanti?!” chiediamo insieme.
“Si”
“Ma come faremo?! Se ci sono trappole come queste, allora siamo già morti!” lei alza un sopracciglio.
“No, ragazzi miei, se non mi seguite ed ubbidite, allora siete morti. Ho notato che non riuscite a capire quale sia la differenza tra una trappola ed un tappeto. Credo che dovrò dirigere io il gruppo per una volta. Quindi, se vi ordino di scappare, dovrete scappare; se vi ordino di seguirmi, dovrete seguirmi; solo se vi ordino di morire, allora potrete morire” siamo sbigottiti. Forse è meglio lasciare il comando a Fabi. Se morirà, sarà colpa sua. Ma cosa cacchio sto pensando…? Se muore, allora siamo morti anche noi!
“Ma…perché tutto questo…?” sospira amareggiata.
“Non ve l’ho già spiegato? Qualcuno non gradisce la nostra compagnia in questo castello e ha deciso di utilizzare il metodo più semplice per buttarci via: uccidendoci. Ma ora seguitemi, credo che ci metteremo un po’ di tempo per arrivare fin al centro di questo posto…”

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Capitolo 15
*** Dopo un mese... ***


Addio agosto, mio caro amico…

Benvenuto settembre con la tua brezza autunnale…

È passato un mese ormai.

Non è accaduto niente di interessante e la cosa mi innervosisce e mi preoccupa ogni giorno che passa.

Non ho trovato ancora nessuno degli altri ragazzi: nemmeno Gianni o Leo.

Scendo dall’albero con quattro mele in mano e una in bocca. Yaja ha ragione: queste mele sono molto buone; ne vuole ogni giorno e ogni volta che posso le do una cesta piena.

In un mese l’estate è volata via e anche in fretta. Non fa più caldo come prima: ora ci sono delle belle brezze tra gli alberi e le foglie di melo sono cambiate velocemente di colore diventando brune e un po’ secche. Anche il campo di grano credo sia maturo ormai, ora che lo noto. Trovo Yaja nel solito posto: dietro la casa nella stalla. Ormai è diventata di famiglia. Eppure solo io riesco a parlare con lei. Me l’aveva spiegato una volta.

“Quando parli con me non noti niente di strano? Io non uso la bocca per parlare, come in genere si fa. Io, in questo momento, sto parlando con te grazie ad un incantesimo. Non fare quella faccia stranita: non ti farà niente, io uso lo stesso metodo anche con Nicholas e con gli altri folletti e con quell’ingrata (penso che stesse parlando di Astrea, la ninfa che mi ha regalato il costume da assassina)… No, no, io non parlo con gli altri umani. Sai com’è…non mi piace che qualche mortale voglia conversare con me, ecco…” poi ho scoperto che mentre “parlo” con Yaja se vi è qualcun altro nelle vicinanza, a meno che la mula lo desideri, quella persona non può ascoltare le nostre parole. Molto interessante…

“Ah, eccoti qui! Ce ne hai messo di tempo!” mi sgrida in russo.

“’Giorno, Yaja…” fa sempre l’offesa con me, ma non credo che lo faccia per cattiveria. Le mostro le mele e se le mangia senza tanti complimenti. Appena finisce tre mele mi guarda per bene e con molta attenzione.

“Come diavolo hai fatto a salire sopra gli alberi con questo vestito? Credevo che le gonne non ti piacessero… Sempre vestita da uomo…”

“Infatti. Non vedi cos’ho sotto?”

“Eh…?” guarda le mie ginocchia mentre mostro un po’ la gonna.

“Ma che furbetta! Ti sei messa un paio di pantaloni, eh?”

“Si chiamano leggings…”

“Sono la stessa cosa” e continua a mangiare imperterrita.

Mi viene in mente Sandy. Ho messo questo vestito per lui. Lo avevo visto girovagare in soffitta e guardare questo vestitino con un po’ di tristezza negli occhi.

È un semplice vestitino lungo fino al ginocchio; tutto bianco, bordi neri, maniche lunghe che scendono senza coprire le spalle, grembiule e degli stivaletti bassi, marroncini e comodi. Avevo messo i leggings perché non mi trovavo molto bene, anche se è abbastanza pratico come vestito: probabilmente doveva essere stato di qualche contadina. Sandy, appena aveva visto la mia testa sbucare da sotto il pavimento, mi aveva chiesto con lo sguardo di mettermelo. Feci finta di non vederlo e chiusi la botola.

Da quando era accaduto il fatto della Morte Bianca, una parte di me si rifiuta di avvicinarsi a lui.

Penso sia perché quella parte, la più suscettibile e prudente, non abbia intenzione di fidarsi. Non posso fare a meno di ubbidirle.

Credo che ora Sandy si ricordi un pezzetto di ciò che è accaduto; forse fino al momento in cui io gli avevo rovesciato addosso il secchio.

È mortificato.

Cerca spesso di attirare la mia attenzione.

Io non riesco ad accostarmi a lui. Semplicemente lo ignoro.

Che gran vigliaccheria la mia…lo so…

Ha continuato per settimane a convincermi che lui non è pericoloso.

Non ci è riuscito.

Tengo sempre nelle tasche i coltelli e nascondo per bene in camera mia la spada e la borsa. Ho capito che i due coltelli sono dei Bowie e sono molto facili da usare. Molto spesso mi esercito quando sono nel melo, anche con la spada.

“Fabiiiii! Ti sei addormentataaaaa?” Yaja mi sveglia. Quando penso intensamente mi isolo da ogni cosa.

“Scusa, dicevi?”

“Niente, niente. Sembri piuttosto addormentata oggi. Dovresti uscire un po’ piuttosto che nasconderti dentro casa”

“Buona idea. A più tardi” esco fuori dalla stalla dirigendomi verso il melo. La mula ha mentito: sa bene che in verità non rientro mai a casa, per via di Sandy. Anche questa è una vigliaccheria da parte mia.

Sono a due passi dal melo.

Credo che si senta abbandonato da chiunque. Sempre per i fatti suoi, senza nessuno con cui parlare. Quindi immagino che cerchi una compagnia e l’unica qui dentro sono io (salvo Yaja che non vuole parlare nemmeno con l’omino). Mi cerca spesso, un po’ ovunque. Credo che non sia abituato alla solitudine come lo sono io. Lo vedo, soprattutto in questo periodo, incredibilmente triste.

Inizialmente veniva in camera mia per cercare di fare pace con me (se non sono fuori sono nella stanzetta da sola a scribacchiare), ma appena prova a prendermi una mano per tenerla stretta oppure una spalla per capire se sono sveglia o no, ho una sorta di spasmo e vado via, facendo finta che non sia nella stanza.

Poi ha cominciato a dimagrire: la sua sabbia lo rendeva, si grassoccio, ma non rotondo e pasciuto come prima. Questo lato della malattia mi preoccupa molto, ma voglio aspettare ancora un altro mese prima di chiedere ad Adalwin se sia una cosa grave o meno. Insieme a ciò si è aggiunta la tristezza. Non lo vedo più felice e sorridente come l’avevo visto la prima volta. Fa incubi ogni notte, non dorme bene e forse non vorrebbe più provare ad addormentarsi. È molto rattristato, soprattutto perché io non ricambio le sue parole.

Verso la fine del mese ha cominciato a rinunciare. Non prova più a farmi visita in camera mia o solo ad attirare la mia attenzione. Semplicemente viene da me quando bisogna preparare la cena per i due “uomini di casa”. Tsk…

Però devo ammetterlo, si danno molto da fare. Anche Farut ha deciso di dare una mano a Kolja e anche lui ora lavora e “porta i soldi a casa”, manco fosse il capofamiglia… Entrambi si alzano molto presto la mattina (prima che io e Sandy ci svegliamo) e tornano verso le dieci di sera. Farut sembra abbastanza tranquillo e sereno, non come Mino. Durante il suo rapimento, quei due cani, oltre ai soldi e all’oro, gli avevano anche rubato gli occhiali: un paio di lenti spesse, nere e attenzione…

“Erano di Gucci, Fabì. Mannaggia la miseria! E ora come cacchio vedo? Erano l’unica cosa di valore che avevo con me…” spesso dice questo a me quando ripensa a quegli occhiali, credo che siano costati molto alla sua famiglia. Kolja aveva notato che il ragazzo faceva fatica a distinguere un cacciavite da una chiave inglese senza quel paio di vetri sugli occhi, e aveva deciso che Mino poteva usare i suoi occhiali quando lavorava. Peccato però una cosa: erano solo occhiali da lettura. Il ragazzo ha difficoltà a vedere una persona anche ad un palmo dal suo naso. Credo sia un altro motivo per cui non ha capito che Kolja, in verità, è Babbo Natale e che sta lavorando per degli spiriti secolari (se non millenari).

Ma non sono le uniche persone che fanno visita alla Casetta, come tutti l’hanno amichevolmente chiamata. Viene anche Carmen Sanz.

Yuppy…

Mini è terribile, viziata, modaiola e ne fa spesso delle grosse, anche senza suo fratello. Non sembra essere molto preoccupata per lui.

“Noi siamo Sanz, Fabi. Vogliamo tuffarci da un aereo con un paracadute? Bueno! Lo facciamo! Vogliamo buttarci dalle Cascate del Niagara? Muy bueno! Lo facciamo! Vogliamo rincontrarci dopo esserci separati? Simple!” anche se da un po’ di tempo il suo sorriso sta scemando in una smorfia un po’ nervosa. Insomma, combina (quasi) molti più guai da sola che in compagnia di Al. Molto spesso, infatti, la usano come messaggera per Kolja e Sandy ed è per questo che mi fa spesso visita e mi racconta tutte le sue marachelle. Anche se, in verità, è un pretesto per tenerla lontano da Calmoniglio, dopo che Kolja si sia stufato di ridere per i suoi scherzi, ovvio.

“Mini! Infili di nuovo il peperoncino nelle mie carote?! Ti strappo i capelli se lo rifai di nuovo!” tutto questo sotto lo sguardo divertito di Kolja e le risate isteriche di Mini. Anche se morirebbe dalla voglia di giocare un brutto scherzo anche lui alla pazza. Ma non è così facile.

Tratamos de nuevo, eh…? Sei molto all’antica, conejito… Il secchio sopra la porta ormai è passato da quarant’anni…” non c’è da dire che fece in modo che fosse lo stesso coniglio ad avere in testa lo stesso secchio con le carote che penzolavano dalla sua zucca pelosa.

Anche lei ha notato che fra io e Sandy c’è qualcosa che non và. Ovviamente nessuno, a parte me e lui, sa cos’è accaduto veramente. Quando c’è lei in casa, resta in un angolino silenzioso e fissa il vuoto con malinconia.

“Fabi… Non vedi com’è sòlo e triste? Povero tesoro… Parla con lui. Credo che poi starà molto meglio” si, Mini… Ma non riesco proprio ad avvicinarmi a lui.

Non mi ero accorta che stavo scagliando da un po’ di tempo i due Bowie contro le mele marce sugli alti rami del melo. Le centro quasi tutte.

Viene quasi tutte le notti a controllare che io ci sia in camera. Forse…per paura che io possa andarmene e lasciarlo da solo? Inizialmente apriva leggermente la porta e si accertava che io fossi addormentata e poi se ne andava. Talvolta mi trovava con gli occhi aperti e mi sorrideva imbarazzato per poi sparire velocemente. Ma quando ha cominciato a dimagrire e ad avere incubi, ha iniziato ad avere paura per davvero e non si limitava a controllare che stessi dormendo. Entrava in camera e si appoggiava al bordo del letto per osservarmi e…basta. Non mi da fastidio. Non mi ha dato fastidio nemmeno quando ha cominciato a dormire vicino a me. Sopra le coperte, aggrappandosi disperatamente alle mie gambe e cercando un modo per utilizzarle come cuscini. Credo che il battito del mio cuore lo tranquillizzi molto. Ho letto che se un bambino piange, allora bisogna abbracciarlo e calmarlo, facendo in modo che senta il battito del cuore della madre e così si calmerà. Credo che funzioni anche con lui, così come con Leo (avevo già provato questo esperimento con il mio fratellino. Riuscito). E poi se ne andava, prima che mi svegliassi del tutto.

Credo che non abbia rinunciato a cercarmi.

Quegli incubi mi fanno creare dei sospetti.

Talvolta ci fa visita anche Pitch. In segreto, però. Quando sono da sola. Anche se credo che non vorrebbe nemmeno vedermi, ma solo sgattaiolare in casa.

In genere si limita a rubare il libro che mi sono portata dietro dall’abitazione di Gennarino. Non mi da fastidio nemmeno lui, anzi, credo che il fatto che io lo scopra lo rende a disagio.

“Senza offesa, ma a sei abbastanza scarso a giocare a nascondino” ed è vero. Ingannerebbe facilmente altre persone, ma io sono molto abituata agli attacchi a sorpresa di fantasmi o di spettri che spengono la luce delle stanze appena ti avventuri in una di esse. Pitch è una frana a nascondersi, o almeno dal mio punto di vista.

“Come…?”

“Sei pessimo…un pessimo attacco a sorpresa…e un pessimo furto…”

“Non volevo mica disturbare il vostro raccolto di mele, principessa…”

“Non volevo mica offenderla, cavaliere…” rigira spesso gli occhi o sbuffa quando lo chiamo così. Si offende anche quando gli rispondo. Brontola spesso tra sé dicendo che io ho sempre la risposta pronta e mi chiama sempre dei nomignoli che a me più che fastidiosi sembrano ridicoli. Una volta gli avevo chiesto degli incubi che creava. Volevo sapere se era lui che formava gli incubi per Sandy. È stato abbastanza difficile iniziare il discorso, ma poi…

 

 

 

 

 

 

“Non dire sciocchezze, piccola. Gli incubi sono stati creati per tormentare il sonno degli esseri umani e non quella palla di sabbia che abita nella Casetta. E, per quanto lo desideri, non potrei spaventare Sandman nel sonno. Inoltre, in questo momento, non posso creare Incubi senza infettare la sua sabbia: questo accade quando uno spirito non possiede molti credenti. Qualcos’altro sta interferendo nel suo pisolino” spero che mi abbia detto la verità e credo che l’abbia fatto.

Lo ammetto: mi stavo annoiando e anche Pitch sembrava dello stesso parere. Continuava a leggiucchiare qualche rigo, senza tanto interesse. Si stava decisamente annoiando. Girava in continuazione le pagine. Chissà cosa stava cercando…credevo di saperlo...ma non volevo dirgli che non ci sono molte informazioni su Macula Sanguinea in quel libro, non c’è nemmeno un’immagine di lei. Sospirai. Non si voleva arrendere. Iniziai a gattonare vicino a dov’era seduto lui. Non si era accorto di niente. Cominciai a fare la prima cosa infantile e un po’ strana, da parte mia, che mi veniva in mente. Iniziai a passare le dita fra i suoi capelli. Erano morbidi, molto folti e appuntiti e, non so come, rimanevano sempre nella stessa posizione, senza scombussolarsi o comprimersi un po’. Pitch girò lentamente la testa verso di me e mostrò uno sguardo perplesso e un po’ irritato.

“Cosa stai facendo…?” dissi la prima cosa senza senso che avevo in mente.

“Controllo se hai i pidocchi” risposi con naturalezza come per dire: che c’è di tanto strano cercare i pidocchi sulla testa di uno spirito di duemila anni?

“Ah, quindi…cosa?” per un po’ sembrava aver preso in considerazione l’idea, ma poi…

“Mmm…” cercai invano i dannatissimi pidocchi. Si, mi stavo annoiando, e, si, stavo facendo la stupida.

“Fabia, levati. Subito” stava perdendo la pazienza. Non ci sa fare con i bambini.

“Perchè?” rigirò gli occhi, sempre fissi sulle pagine del libro.

“Perché mi dai fastidio. Alzati. Ora” non gli diedi retta. Levai le mani dai capelli, ma poi, non so nemmeno io il perché, iniziai ad annusare i suoi capelli. Sapevano di Foresta Nera. Sentivo l’odore degli alberi e delle foglie bagnate tra quelle ciocche nere. Credo proprio che ha passato tutto il suo tempo in quella dannatissima foresta. Non mantiene né le promesse e nemmeno i patti.

“Fabia…”

“Non dirmi che in tutto questo tempo sei stato laggiù, in quel bosco, al buio e da solo…” lasciò che posassi la mia guancia sui suoi capelli. Però sentii i suoi denti contorcersi tra di loro.

“E se fosse così? Cosa ti aspettavi da me?”

“Che facessi il compito che ti ho assegnato, fantino…” si mise a ridacchiare. Come pensavo: non ha preso sul serio le mie parole quella notte…

“Non ho la minima idea di cosa tu stia parlando”

“…lo sai bene…” stavo tornando un po’ in me. Quell’uomo sembra un bambino, talvolta. Ma io non ho chiesto aiuto ad un lattante; devo già preoccuparmi di tanti bambini smarriti e di certo non voglio che anche lui decida di aggiungersi nel gruppo. Fece finta di pensare.

“Ah, si! Ora ricordo. Non fare la mocciosa, sto cercando quegli umani. Dopotutto, anch’io devo impegnare il tempo in qualche modo. E sarà un piacere fare qualcosa a quei due bambini di cui mi hai parlato” vidi di traverso i suoi occhi fissi sui miei e il suo ghigno provocatorio. Staccai lentamente la mia testa dalla sua. Le sue provocazioni non funzionano con me e dubito che possa fare del male a Leo e a Niki. Quei bambini sono molto più coraggiosi di quello che sembra. E di sicuro una falsa ombra non può fargli paura. Il sorriso di Pitch scemò dopo aver pensato questo. Credo che abbia letto ciò nei miei occhi.

“Ma davvero? Ma se tu non saresti in grado nemmeno di fare del male a me…” dissi questo, non per offenderlo, ma perché era la verità che leggevo nei suoi occhi: non credo che quell’uomo sappia soltanto provocare, ma non credo nemmeno che possa fare del male a dei bambini. Mi alzai da terra.

“Oh, tu credi così?” si alzò anche lui. Sembrava un gigante in confronto a me. Mi oscurava la vista del sole con i suoi occhi da fiera. Alzò un sopracciglio. Velocemente gli presi un braccio e gli tirai un calcio dietro le cosce. Sbattè a terra contro le radici del melo. Mi acquattai vicino a lui e sussurrai vicini alla sua testa.

“Si, credo di si” provò ad alzarsi, ma cadde di nuovo per terra, sulle ginocchia. Si massaggiò le cosce.

“Fabia, questa me la paghi!” si rimise in piedi, ma con fatica e con la testa a penzoloni. Non se l’aspettava. Provai a dargli un pugno.

Scomparve.

Il mio pugno sbattè contro l’albero di melo. Non mi feci male: me l’aspettavo e non gli avevo tirato un pugno molto potente, non come il calcio dietro le cosce di prima. Mi girai un po’ ovunque. Non c’era.

“Pensala come vuoi, ma nasconderti fra le ombre e usare sabbia d’incubo contro un avversario che non è in grado di usare la magia è codardia pura” ricomparve di fronte a me. Uno sguardo severo comparve sul suo volto.

“Sappi che non combatto contro delle bambine…”

“Sappi che non sono esattamente una bambina…” mi misi in posizione per attaccare. Credo che avesse capito che stavo scherzando. Tirò un ghigno non molto storto, anzi, più divertito.

“Oh, ma davvero? Dimostralo” un millesimo di secondo dopo un Bowie di venti centimetri e con l’impugnatura di cuoio si conficcò pochi centimetri vicino al suo viso, contro un melo. Black si girò lentamente verso l’albero, notò il coltello e si rigirò verso di me, stranito.

“E questo cosa dovrebbe significare?” presi il secondo coltello dalla tasca dei pantaloncini.

“Che i bambini non sanno giocare con le armi” mi buttai su di lui. Questa volta se l’aspettava. Provò a disarmarmi, ma non ci riuscì. Feci finta di volerlo pugnalare al braccio, ma mi fermò in tempo e questa volta riuscì a togliermi l’arma. Il coltello finì tra le sue dita. Cominciò a tentennare la testa con disappunto.

“Non va bene; stai sbagliando tutto” non ero molto perplessa.

“Cosa sto sbagliando?” si rigirò e prese anche l’altro coltello conficcato nel melo.

“Impugni i coltelli in modo esatto, anche come gli lanci e la precisione non è errata; l’unico problema è il modo in cui li utilizzi. Non per fare l’adulto noioso, ma tu sei piuttosto piccina e le tue dimensioni non potrebbero far altro che ostacolarti in combattimento se continui in questo modo” disse quest’ultima frase avvicinando il pollice e l’indice in modo che ci fosse un piccolissimo spazio fra i due.

“Quindi…combatto come se fossi della tua stessa altezza, mentre invece non funziona questo metodo, giusto?” pensavo che la mia altezza non fosse motivo di un problema, ma Pitch annuì definito.

“Esatto. Vieni un po’ più vicino, ti faccio vedere come si fa”

Dopo tre ore circa, era riuscito ad insegnarmi come si compete con un uomo alto quanto lui, uno di media altezza e uno della mia stessa taglia, anche se quest’ultima è stata molto più facile da imparare, visto che già sapevo come farlo (grazie, Ezio Auditore).

“Va meglio. Basta così, non male per oggi” disse mentre si stendeva per terra e chiudeva gli occhi. Sembrava molto affaticato. Ormai il tramonto stava per cadere dietro le montagne. Andai a gattoni vicino a lui. Notai che aveva un taglio sul dorso della mano. D’istinto misi un dito in bocca e cominciai a spalmare la saliva sulla ferita. Mi accorsi troppo tardi di quello che stavo combinando.

“Fabia, cosa stai facendo?!” mi urlò disgustato, mentre ripuliva il dorso della mano sulla veste, con troppa forza però.

“…scusa…” mi guardò nauseato e con un po’ di ribrezzo.

“Oggi hai qualcosa che non và. Dovresti farti controllare da un medico”

“Non ci sono medici qui”

“Oh, ma davvero? Credevo che quegli stolti folletti fossero dei medici” disse, continuando a strofinare via la saliva. Pitch deve aver visto tutta la scena con Adalwin e Aloys. Spero che non abbia visto anche cos’era accaduto prima.

“Quando li hai visti?” digrignò i denti. Sembrò essersi arrabbiato.

“Ero vicino alla Casetta e avevo visto quelle sottospecie di nani da giardino che entravano in casa tua e curavano il povero e dolce Sandman. Nulla di più, nulla di meno” mi ha disgustato ancora di più le parole con cui ha definito Sandy. Ma almeno non ha visto nulla e dubito che mi abbia fatto visita anche prima.

“Ma perché diavolo lo hai fatto?!”

“Cosa?” mi mostrò la mano, diventata un po’ rossa.

“Questo!” gli risposi subito.

“Quando ci si taglia bisogna disinfettare immediatamente la ferita, altrimenti s’infetta e devi andare tu dal dottore” mi sorprende il modo quasi innocente che avevo usato per spiegarglielo. Pitch sembrò essersi calmato un po’, però esitò molto e questo mi sembrò veramente molto insolito.

“E perché proprio con la tua bava, lumachina?” chiese furioso.

“Perché la saliva è il migliore disinfettante al mondo e non ho altro in questo momento, nemmeno dello Spirito…voglio dire dell’alcool” il suo sguardo arrabbiato si calmò molto, incredibilmente. In quel momento si rese conto che si era fatto male alla mano. Ma non sembrava per niente dispiaciuto. Era ancora arrabbiato.

“Benissimo…almeno la prossima volta potresti avvertirmi prima di infettare ancor di più la ferita! E comunque, non posso sanguinare e nemmeno ammalarmi, quindi avresti potuto risparmiarti lo sputo sulla mia mano” quest’ultima affermazione la disse con rabbia. Rimasi perplesso.

“Gli spiriti non possono sanguinare?” si riprese, non del tutto, ma almeno non era ancora arrabbiato. Anzi, sembrò quasi grato per questo cambio di argomento.

“Esatto, lumachina. Ma non dovresti essere sorpresa, dopotutto siamo creature immortali e…aspetta…in verità questo non è detto” ciò m’interessò ancora di più. Mi avvicinai ancora un po’ a Pitch.

“Non tutti gli spiriti sono immortali?” lui mi guardò un po’ sorpreso, ma abbastanza sereno, insolitamente. Il mio cervello si era magicamente aperto ad ogni informazione che Pitch diceva e il risultato era a dir poco interessante.

“Quindi esistono tre tipi di spiriti: gli Spiriti Minori, gli Spiriti Maggiori e i Guardiani. Gli spiriti minori, in confronto agli altri tipi, sono mortali, ma la loro esistenza è ugualmente più lunga di quella degli umani, come le fate e i folletti, no? E loro, in confronto agli altri spiriti, possono sanguinare, ma il loro sangue è quasi sempre di colore nero; gli Spiriti Maggiori, immortali, dovrebbero essere gli spiriti più famosi che vi siano al mondo, come Jack O’Lantern, giusto? E un tempo lo erano anche i Guardiani; e infine i Guardiani sono gli spiriti scelti per proteggere i bambini da chiunque li minacci, incluso te, vero?”

“Esattamente. Sembri piuttosto perplessa” mi fissò divertito. Dovevo avere uno sguardo molto perso.

“Solo che non immaginavo che gli spiriti siano divisi in gerarchie. È tutto piuttosto insolito” già, gli spiriti sono molto più umani di quanto immaginassi. Pitch mi ha detto che la maggior parte degli spiriti sono stati degli esseri umani in precedenza alla loro nuova vita e ciò rafforza la mia idea che molto probabilmente anche Pitch sia stato un umano.

“Eppure è così, piccola. Ora però mi hai stufato con i tuoi ragionamenti piuttosto ovvi” così si alzò e cominciò ad allontanarsi.

“Dove vai?”

“A cercare quei ragazzi, mi sembra logico” e se né andò.

 

 

 

 

 

 

Ottimo…un altro flashback.

Pitch ritornò molto spesso, quasi ogni giorno. Non so il perché ma ha continuato ad insegnarmi, anche con le spade. Talvolta crea delle armi con la sabbia e facciamo finta di combattere tra di noi. Ogni volta inventa sempre delle scuse per entrare in questo argomento e ogni volta vedo nel suo sguardo, anche se rapido, che spera che io dica: si, Pitch, vorrei che m’insegnassi come si combatte con l’arco o con una katana. Credo che si senta bene con me. E anch’io credo che mi senta bene con qualcuno…

Continuo a lanciare i due Bowie sui rami più alti. Prima che arrivi voglio esercitarmi ancora un po’.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si stava decisamente annoiando.

Era da un mese che non accadeva qualcosa di interessante e la cosa lo stressava non poco ogni giorno che passava.

Forse fare visita a Fabia non sarebbe male, dopotutto.

Si, forse anche controllare cosa faceva, sarebbe qualcosa decisamente più interessante da fare. Guardò per un attimo il cielo. L’Uomo nella Luna non governava quella sera il firmamento ed era anche troppo tardi per andare dalla bambina. Forse domani…

Si girò per rivolgere lo sguardo ad un Incubo che, insolitamente, si era fermato a guardare in lontananza la silenziosa riva del fiume. Era al nord-ovest dell’isola e il fiume in quel punto si ingrossava in maniera impressionante allargandosi anche per un miglio. L’Incubo scalciava sulla terra bagnata e nitriva insistente. Anche Pitch allungò lo sguardo. Non vedeva niente di interessante: c’era un piccolo villaggio di altri falsi mortali; lo notava dalle piccole luci in lontananza. Vi erano molti di questi piccoli paesi poco o molto lontani dalla città, ma la maggior parte erano delle patetiche schiere di casette buttate un po’ ovunque sopra un campo incolto. Tutto ciò era troppo famigliare ai Secoli Bui…

L’Incubo continuava a raschiare gli zoccoli con impazienza, indicando col muso l’altra sponda. Sospirò impaziente.

“Ebbene? Cosa succede?” l’Incubo nitrì nervoso e continuò ad agitarsi e a pestare gli zoccoli. Probabilmente doveva aver visto dall’altra parte del fiume qualcosa d’insolito. Incitò l’Incubo ad andarsene e, grazie alle ombre notturne, si teletrasportò poco lontano dal villaggio. Girò per molto tempo tra le vie, eppure non vedeva niente e nemmeno un falso umano in giro a quell’ora.

Casualmente girò per una strada che portava ad una grande locanda. Si sentì della musica di violino. Si avvicinò alla finestra, ma non entrò. Pensò che se si fosse avventurato in mezzo a così tanti fantasmi, probabilmente l’avrebbero visto e, anche se avrebbe potuto creare una rapida fuga tra le ombre, non voleva agitare l’atmosfera. Quasi gli mancava la sua invisibilità.

La musica di violino era terribilmente veloce e sembrava continuare a correre ancora per molto. Dalla finestra Pitch vide che quel luogo era affollato; i posti ai tavoli erano occupati quasi tutti da uomini che mangiavano oppure dialogavano fra loro e chi, invece, applaudiva o fischiava per la musica.

Gli occhi di Pitch si spostavano verso il fondo e vide colui che creava quel frastuono. Un giovane meticcio era sopra ad un rialzo, grazie al quale ogni persona riusciva a vederlo. Stava in piedi a suonare e, vicino a lui, c’era una bambina vestita di celeste che ballava a ritmo di musica. La musica continuava ad aumentare di velocità finchè, alla fine, si fermò, non dando più fiato alle corde. In quell’attimo la bambina cadde a terra e venne presa, appena in tempo, in braccio, dallo stesso violinista.

La folla era entusiasta. Molti applaudirono e cominciarono a lanciare sul rialzo tantissime monete di bronzo e, talvolta, ne vedeva alcuna d’argento. I due fecero un inchino e la bambina riuscì a prendere tutte quei denari. Entrambi fuggirono dietro il sipario. Pitch era interessato ai due artisti e pensò di andare nel retro e sgattaiolare dentro e così fu.

Riuscì ad entrare dietro le quinte e vide i due, ma questa volta in compagnia di un altro uomo, forse il proprietario della locanda.

“Quanto avete ricavato? Mostratemi i soldi” la piccola diede tutte le monete che aveva con sé. L’uomo le girò, le rigirò, le mise fra i denti per controllare se fossero autentiche e girò i tacchi.

“Hey, ma noi? Non meritiamo anche noi qualcosa?” sentì nella voce del ragazzo un pesante accento latino. L’uomo si girò verso di loro, sprezzante.

“Mi sembra giusto. Tieni” gli lanciò una moneta che il meticcio prese al volo. Era di bronzo.

“Tutto qui?” l’uomo si girò completamente.

“Certo”

“Non credo proprio! Sgancia i soldi!” si avventò su di lui. Venne respinto con un pugno alla guancia e cadde a terra rumorosamente. La bambina lo aiutò a rialzarsi.

“È quello che vi meritate per il vostro impegno. E ora sparite. Non vi voglio fra i piedi stanotte” se ne andò annoiato e con un grosso sacchetto di monete in mano.

“Senza noi due questa fogna chiuderebbe, retrasado!” i due artisti uscirono dalle quinte pieni di sconforto. Pitch li seguì per strada. La bambina si girò verso il suo compagno che si massaggiava la guancia, molto inquieta.

“Lo so, lo so, pequena. Non guardarmi così. L’ultima volta me le ha suonate di brutto, ma mi da fastidio che non possiamo avere qualche moneta da parte. Non volevi comprare un altro vestito?” la piccola si guardò. Il vestito celeste che aveva sembrava piuttosto piccolo per lei ed era anche un po’ sporco e con dei piccoli rammendi dietro la schiena; inoltre camminava completamente scalza. Sembrò vergognarsi per il suo abbigliamento. Il meticcio le abbozzò un sorriso.

Tranquila, sai che sono un genio, no? Troveremo un po’ di soldi da soli. Aspetta…cos’hai qui?” il giovane mise una mano fra i capelli rossastri della piccola che lo guardava curioso. Ad un certo punto lui fece spuntare due monete d’argento dai capelli. La piccola era incantata.

“Ta dah! Visto che porti fortuna? Domani andiamo a comprarci un bel vestito per te e anche qualcosa per toglierti questi lividi dalle gambe. Ancora non riesco a crederci che quegli idioti ti abbiano preso a manganellate!” la bambina, vedendo la reazione furiosa dello spagnolo, gli prese la mano e la strinse con forza. Lui sospirò.

“Hai ragione: non devo arrabbiarmi. Andiamo via, nina. Domani si sistemerà tutto” detto questo la prese in braccio e cominciarono ad avviarsi per la strada. Pitch li seguì ancora. Andarono al di fuori del villaggio e, mano a mano che camminava, riuscì ad osservare meglio il giovane.

Non era molto alto, ma nemmeno basso in realtà, di sicuro era più alto di Fabia; la pelle era scura, ma non molto; i capelli, anch’essi scuri, erano piuttosto lunghi, ma ai lati della testa sembravano più corti, segno che in precedenza dovevano essere stati tagliati alla radice . Ad un certo punto si trovò a fissare il suo collo e lì vide qualcosa di insolito: una collana molto particolare e dall’aria piuttosto costosa.

Poi ci sono due gemelli di origine spagnola, un maschio e una femmina, più bassi dei due che ti ho parlato, entrambi con la pelle e i capelli scuri, la ragazza però ha sempre con lei degli orecchini di forma particolare e d’oro, invece il ragazzo una collana anch’essa particolare e d’oro.”

Si congelò sul posto. Le parole di Fabia lo colpirono fulminee. E se fosse uno dei ragazzi che doveva cercare…?

Controllò con più attenzione la collana dello spagnolo. Era di sicuro molto particolare: l’oro giallo s’intrecciava con quello bianco e insieme completavano una complessa danza fino a ricongiungersi e a creare altri sofisticati ghirigori. Di sicuro era opera di mani esperte.

I due continuarono a camminare, senza fermarsi, senza accorgersi che Pitch era sempre stato con loro. Senza accorgersi che Pitch si era fermato a riflettere.

Sicuramente era lui, però non ricordava di aver sentito Fabia nominare una bambina dai capelli rossi, a parte la giapponese che doveva cercare; ma quella piccola non era sicuramente di origine asiatica e di sicuro una bambina giapponese non possiede dei riccioli ribelli. Molto probabilmente era lui. L’altra gemella era stata trovata da Fabia e l’aveva vista grazie alle sue continue visite, anche senza avere la cordialità di mostrarsi in sua presenza. Erano identici. Stessi occhi grandi e furbi, stesse labbra sottili, stesso naso dritto e sottile, stesso viso ovale e magro. Era di sicuro il suo gemello.

Chiamò a sé un Incubo. Lo cavalcò e lo spronò verso la casa di Fabia.

 

 

 

 

 

 

 

Era tardissimo. All’incirca le tre del mattino. O forse le quattro? Fabia di sicuro dormiva.

Prima andò nelle altre stanze da letto e con piacere notò che non c’era nessuno. Probabilmente i due ragazzi erano da quell’uomo misterioso di nome Kolja che Fabia talvolta accennava. Sandman non c’era. Si avviò nella stanza della bambina e si sorprese di vedere lì l’omino. Era seduto sul bordo del letto. Le stava accarezzando il viso con profonda angoscia negli occhi. Non se l’aspettava.

Notò diversi cambiamenti in lui: era molto più magro di come lo ricordava, la sua sabbia era decisamente meno splendente ed era infinitamente infelice. La cosa non fece altro che farlo sorridere. Aveva sentito della Morte Bianca e dei due folletti quando era andato da Fabia ed aveva assistito alla medicazione dell’omino. Era anche soddisfatto che i rapporti tra lui e la ragazzina si erano del tutto distrutti. Non capì bene cos’era accaduto, ma era ugualmente felice che Fabia non era intenzionata ad avere alcun dialogo con lui. Eppure il piccoletto la cercava sempre. Il suo sguardo la osservava pieno di speranza, le sue dita si contorcevano agitate, sentiva il suo respiro fermarsi appena la vedeva. Non lo ha mai odiato tanto come quei giorni.

Sembrava anche notevolmente indebolito. Di sicuro dormiva molto meno di come era abituato, quando non era malato. Sembrava cedere al sonno, ma tentò di tenere gli occhi aperti. Non riuscì molto nell’intento. Provò e riprovò e, dopo aver combattuto per un po’, si coricò con la testa poggiata sui suoi capelli. Pitch perse la pazienza.

Entrò nella stanza e, nascosto fra le ombre, fece raschiare le sue dita sul legno della scrivania, producendo un suono stridulo e acuto. Sandman si alzò di scatto. Scese dal letto guardandosi attorno sospettoso e un po’ intontito. Una misteriosa folata di vento fece cadere dal tavolo diversi fogli bianchi. L’omino si avvicinò ad essi, nervoso. Li prese in mano e vide su di essi della sabbia nera.

Un nitrito lo distrasse dalle sue osservazioni. Si voltò. Spalancò gli occhi.

Un Incubo grande quanto un cane stava annusando i capelli della bambina e talvolta cercava di tirarne qualche ciocca provocandone i suoi gemiti di dolore. Sandman s’infuriò; quasi gli mancava il suo sguardo combattivo. Con la sua sabbia riuscì a fare un veloce scatto in avanti e raggiunse l’Incubo che, non avendo notato l’omino di sabbia, rimase completamente sbigottito. Nonostante fosse malato, era ancora in grado di difendere sé stesso e gli altri. L’Incubo riuscì a sfuggire appena in tempo da Sandman e corse fuori dalla finestra, spaventato.

Sandy lo rincorse fino all’apertura, ma poi si fermò per verificare che se ne fosse andato e tirò un sospiro di sollievo.

“Cos’è successo?” Fabia si era svegliata poco dopo che l’Incubo l’aveva afferrata per i capelli e aveva osservato la scena abbastanza dubbiosa.

Sandman fece un cenno negativo con la destra e le sorrise. La bambina si alzò dal letto e lo raggiunse, mostrando lo stesso vestito che aveva addosso anche quella lontana notte di un mese fa. La notte del patto…

“Stai bene?” chiese seriamente. L’omino annuì velocemente. Per diversi secondi si guardarono negli occhi. Fabia divorava le sue iridi come fossero caramelle e Sandman non riuscì a far altro che cedere al suo sguardo enigmatico e apatico, troppo pesante per lui e per chiunque in verità. Lentamente sorrise di nuovo. Se il suo sangue scorresse ancora nelle sue vene sarebbe sicuramente arrossito. Il suo sorriso era nervoso e turbato. Si era reso conto di essere entrato senza permesso nella stanza della piccola. Le iridi insensibili di Fabia lo seguirono anche mentre usciva fuori e cercava di chiudere la porta, senza incontrare il suo sguardo. La pelle della bambina sembrava insolitamente più chiara e bianca. A Pitch la pelle di Fabia non piaceva. Non era bianca come la pelle bianca delle donne russe o polacche; era bianca come la pelle di un infermo. Era…sbagliata.

Improvvisamente si sentì nel corridoio una debole caduta. Fabia riprese vita all’improvviso, aprì la porta e trovò il corpo di Sandman accasciato a terra con la pancia e la testa rivolte sul pavimento. Probabilmente era stata quest’ultima a provocare quel tonfo.

La bambina si mise in ginocchio vicino a lui, gli tastò la fronte, anch’essa colorata di un altro tipo di bianco, lo poggiò di lato e gli aprì la mascella serrata dove uscì qualche goccia di saliva. Dopo avergli svuotato la bocca, aiutandosi anche con le dita, lo poggiò con la schiena a terra e, con l’orecchio vicino al naso, controllò se respirasse.

“Fabia, lui è uno spirito; non ha bisogno di respirare” la sentì emettere un sospiro. Pitch le era apparso in piedi dietro di lei. Non avvertiva nella bambina nessun tipo di paura.

“Non sei preoccupata per lui?” intanto aveva rialzato la testa da quella di Sandman. Schioccò la lingua.

“Ti pare il momento opportuno per fare questo tipo di domande? Ad ogni modo, si, sono preoccupata per lui”

“Non si direbbe”

“Ovviamente. Per fare le cose per bene bisogna essere sempre calmi” disse con naturalezza mentre solleticava i palmi dell’omino. Il piccoletto si mosse un po’ per il solletico.

“Direi che è cosciente. Non credo che bisogna preoccuparsi troppo” disse ancora apatica. Ormai Pitch aveva messo per inteso che era assolutamente impossibile spaventare o vedere spaventata Fabia. Nemmeno per pochi secondi. Ma non credeva che non avesse paura di nulla; non lo credeva affatto. Molto probabilmente bisognava attendere l’occasione giusta e allora sarebbe crollata sotto un peso che, per il momento, era ignoto.

“Ma non hai paura di nulla?” si era inginocchiato vicino a lei. La bambina fissava, ancora col suo sguardo di ghiaccio, l’omino disteso di fronte a lei.

“Non saprei dirti. Per il momento non ho trovato nessuna situazione che non sono riuscita a gestire. Ah, comunque, Pitch, hai qualcosa fra i capelli”

“Com…?” non aveva fatto in tempo a dire “come” che lei le aveva conficcato le nocche nella tempia sinistra. La potenza e l’inaspettato attacco erano tali che l’uomo, inizialmente, non comprese cosa lei avesse fatto. Pitch era ancora più furente. Mise la mano sulla tempia.

“Questo è per aver dato fastidio a me e a Sandy stanotte e anche per averci svegliati” disse schiettamente. Pitch, ancora stordito per il colpo, non riuscì a dire nulla e quando provò a comunicarle quanto avrebbe desiderato la sua morte, il dolore rimbombò ancor di più ma in tutto il cranio.

“…scusa…” lei gli prese la testa fra le mani con il possibile intento di avvicinarla a sè, ma lui la respinse e, finalmente, riuscì a dire qualcosa di concreto.

“Giù quelle sudice manacce!” ringhiò tra i denti. Lui le prese rudemente il polso e osservò con attenzione quelle mani, anch’esse sbagliate. Le mani di una bambina (o ragazzina, quel che è!) dovrebbero essere gracili, delicate e innocue; quelle di Fabia assolutamente non lo erano. In apparenza sembravano piccole e minute, ma, appena irrigidiva per un istante i muscoli, era possibile vedere le ossa flettersi, quasi come se cercassero di uscire dalla carne; le vene, più verdi che blu, uscivano anch’esse dalle mani e le garantivano un aspetto decisamente diverso da ciò che si definiva “fragile”; inoltre sia mani che braccia, appena flettevano i muscoli, divenivano robuste e scheletriche.

“Cos’hanno queste mani che non vanno? Perché sono sbagliate? Perché sei sbagliata, Fabia?!” non si accorse di averle urlato. Lei lo guardò appena e si alzò, sovrastandolo di poco in altezza. La luce negli occhi di Fabia cancellò l’impassibile viso di prima. Soppresse pure la collera di Pitch. Anche i suoi occhi in quel momento divennero sbagliati. Uno strano velo d’oscurità coprì parte del suo viso, ma non le sue iridi, diventate un misto di marrone e azzurro. Il ghigno furioso di Pitch  morì tra le sue labbra. Quella scena era sbagliata. Lui che era in ginocchio vicino a lei era sbagliato. Lei che lo guardava in quel modo era sbagliato.

“E perché tu non sei come gli altri spiriti? E perché vuoi la morte di Sandman? Perché sei sbagliato anche tu, Pitch?” i suoi occhi non si scomposero minimamente. Il braccio sinistro di lei stava lievemente tremando. Gettò un rapido sguardo su di esso: uno dei coltelli che usavano per esercitarsi era stretto saldamente con la punta girata verso di lui. Ebbe un dubbio che piano piano stava crescendo a dismisura. In quel silenzio, grazie al suo finissimo udito, sentì il battito cardiaco di Fabia: pulsava violentemente, ma non di paura, né d’inquietudine. Il dubbio crebbe.

“Fabia, non vorrai mica uccidermi…?” chiese in un sussurro spiritoso e con un sorriso che non avrebbe convinto nemmeno il più sciocco degli elfi. In risposta la testa della bambina si piegò di lato. Il luccichio nei suoi occhi divenne più sinistro. Nessun Guardiano l’aveva mai guardato in quel modo, nemmeno gli altri spiriti avevano mai rivolto a lui un viso del genere; avevano sempre uno sguardo sprezzante, a volte disgustato, ma non aveva mai visto quegli occhi che lo fissavano in quel modo. Il respiro della ragazzina stava accelerando.

“Fabia, calmati…va tutto bene…non è successo nulla…” provò ad alzarsi, il più lentamente possibile, ma lei glielo impediva brandendo quel coltello a pochi millimetri dal suo collo. Quasi credette che il cuore pulsante che sentiva fosse il suo. Era incredibilmente debole in quel momento. Nonostante ogni cittadino di quell’isola maledetta lo vedesse, nessuno effettivamente credeva in lui. Era nient’altro che uno strano uomo vestito di nero che si aggirava vicino alla Foresta Nera. L’unica cosa che gli veniva in mente da fare in quel momento era di fuggire fra le ombre e di scomparire lontano da quella bambina errata, ma non riusciva a fare a meno di guardarla negli occhi e di pensare che, se l’avesse ferito, era perché lui glielo aveva insegnato. Lui le aveva insegnato come uccidere con quei coltelli.

“…quando tutti ti guardano come se desiderassero la tua morte…come se fossi un disgustoso parassita di cui la morte sarà un beneficio…? Credi che io non lo sappia soltanto perché hai duemila anni in più sulle spalle?!”la notte del patto fece ricordare ciò all’uomo. Gli fece richiamare alla mente che anche quella tarda serata lei aveva avuto questi occhi ostili e scuri. Era questa la vera Fabia? Era questa la sua vera natura che cercava di celare? Oppure era una sua faccia nascosta che, ad un certo punto, deve per forza venir fuori? Eppure, la bambina che vedeva all'incirca ogni giorno da quasi un mese non era questa che vedeva di fronte a lui.

Ad un certo punto le pupille di Fabia di dilatarono e divennero completamente bianche. In pochi secondi cadde all’indietro e il suo gran ammasso di ossa, che dovrebbe costituire il suo corpo, produsse un potente tonfo, molto più rumoroso della caduta di Sandman. Pitch sbattè ripetutamente le palpebre, accorgendosi di averle tenute serrate troppo a lungo. Si rialzò di scatto. Aveva difficoltà a comprendere cosa fosse accaduto e non ebbe nemmeno il tempo di pensare che Fabia si stava già risvegliando. Pitch si pentì di non averle tolto di mano il coltello.

“Cos’è successo? Pitch…?” lo guardò come se si fosse trasformato in un lupo, ovvero neutra, apatica. Si rialzò con fatica e gettò via il coltello dalla sua mano; Pitch fu immensamente grato di ciò. Lei gettò uno sguardo verso Sandman, ancora svenuto da ben dieci minuti o forse più.

“Sono svenuta?” Pitch si sentì paralizzato e probabilmente deve aver avuto uno sguardo decisamente insolito, altrimenti Fabia non avrebbe alzato un sopracciglio attendendo impaziente una risposta.

“Fabia, cos’è accaduto prima che tu svenissi…?” la sua espressione era radicalmente cambiata: da impassibile e fredda era divenuta qualcosa di decisamente più umano, ma allo stesso tempo non riuscì a capire cosa significassero quegli occhi indagatori.

“Tu ci hai svegliati e Sandy è svenuto. Perché? Poi cos’è successo?” Pitch rimase in silenzio per diversi secondi. Non ricordava ciò che era accaduto? Com’era possibile? Non aveva mai visto nulla del genere e quasi si meravigliò di sé stesso riguardo ciò.

Il malato che avevano lasciato sul pavimento contrasse il viso in un’espressione tormentata. Fabia si gettò sul suo fianco e accarezzò con attenzione le sue guance. Pitch non la perse di vista e un piccolo ed innocente lampo di inquietudine si accese dentro l’uomo.

“Non mi hai risposto” disse neutra.

“Ho delle buone notizie da darti. Ho trovato uno di quei ragazzi” buttò in mezzo al discorso quell’argomento cercando di sembrare l’Uomo Nero che era sempre stato. Probabilmente vi riuscì, visto che Fabia sembrò interessata.

“Davvero? Chi?”

“Il gemello spagnolo con la collana d’oro. Era anche in compagnia di una bambina, ma non era nella lista che mi hai scritto” disse ironico, ma non molto. Cominciò a prendere in mano la situazione anche se aveva il bruttissimo presentimento che, se avesse sbagliato una sola parola, la bambina avrebbe sfoderato ancora una volta quegli occhi. Quello sguardo lo inquietava troppo.

“Molto bene. Prendo la mappa, così mi mostri dove andare” ritornò nella cameretta e prese di nuovo il libro prendendo la pagina dedicata alla cartina dell’isola. Si inginocchiò vicino all’omino e mise il libro sulla sua pancia. Probabilmente aveva mostrato uno sguardo incerto, perché la bimba rispose subito alla sua domanda silenziosa.

“La sabbia dei Sogni è molto efficace come lume serale. Dove hai visto quell’imbecille?” per l’uomo quel gesto sembrò piuttosto egoistico, ma le mostrò il luogo: nord-ovest, nel piccolo borgo vicino al fiume, poche miglia dal Castello Abbandonato.

“Ci vorranno circa tre giorni e due notti a piedi”

“E a cavallo?” mise per inteso che si riferisse alla mula che aveva nella stalla.

“Un giorno e una notte, circa” lei annuì lentamente. Non gli chiese se avesse potuto accompagnarla laggiù in poche ore. Non seppe il perché, ma non glielo chiese e lui non glielo fece notare. Riportò il libro al suo posto.

“Resta qua fuori. Non entrare” chiuse la porta cigolante. Sandman era ancora per terra svenuto, ma questa volta con un’espressione serena sul volto. Quelle piccole carezze lo avevano realmente rilassato? Quelle mani sbagliate erano capaci anche di ingannare il più temuto fra i Guardiani? Oppure era lui stesso che aveva visto male l’accaduto? No, quest’ultima domanda gli suonò totalmente illogica. Ma non riusciva ancora a ragionare moderatamente: perché era irritata a tal punto da volerlo uccidere? Nemmeno quella donna che era apparsa nel suo covo l’aveva guardato in quel modo. Stava sdrammatizzando troppo per uno sguardo?

Fabia uscì con il vestito bianco che aveva visto il giorno precedente, ma questa volta si era fatta una treccia molto lunga. Prese in braccio Sandman e lo sdraiò lentamente nel suo letto, gli tirò le coperte e gli diede un bacio sulla fronte. Anche quel gesto sembrò totalmente sbagliato agli occhi dell’uomo e per un attimo si chiese se avesse dovuto guardarsi le spalle da lei, ma, poi pensò, che se sarebbe riaccaduto oppure se fosse accaduto altro, allora avrebbe usato le maniere forti. Non si accorse che Fabia aveva preso un foglio e poi, dopo averci scritto qualcosa, lo poggiò sul comodino vicino al letto. Prese i due coltelli e la spada e fece per andarsene dalla stanza.

“Non vorrai partire ora?” lei si fermo, senza voltarsi.

“Si. Non si può mai sapere cosa accadrà; il ragazzo potrebbe anche spostarsi e cambiare luogo, dopotutto. È meglio andare da lui il prima possibile. Ah, già… Quando tornerò non voglio trovare l’Omino del Sonno morto oppure mutilato o altro. Quindi, cerca di sopportare la sua presenza, intesi?” lo disse in modo sinistro. Pitch non si accorse di aver assottigliato le palpebre.

“Intesi” lei si girò completamente.

“Stasera sei piuttosto pallido; forse dovresti farti controllare da un medico” detto questo svanì dalla vista. Dopo che i suoi passi silenziosi si furono dileguati, Pitch rivolse lo sguardo verso il suo rivale, ancora addormentato. Il suo sguardo era tranquillo, troppo tranquillo.

“Non so se sei del tutto al sicuro in questa casa, da solo con lei” in risposta l’omino si mosse lievemente, girandosi sul lato destro.

Pitch sospirò e svanì. Lontano da Sandman. Lontano dalla Casetta. Lontano da chiunque.

 

 

 

 

 

 

“Va bene, va bene… chi è il prossimo?”

“Mmm… aspetta…” nel teatro della città, gli spiriti, ormai rintanati come topi da diversi mesi, si annoiavano giornalmente. Non c’era molto da fare, a parte pulire il teatro oppure girovagare a vuoto per i giganteschi o minuscoli spogliatoi oppure indossare per noia gli abiti da palcoscenico presenti. Su quest’ultima Mini si divertiva sempre un mondo. Insomma, in conclusione, la noia era di casa nel teatro. Talvolta qualcuno, soprattutto North, inventava dei giochi da fare e in quel momento i due Guardiani, della Meraviglia e della Speranza, i quali avevano il turno di guardia nel lato sud, avevano preso carta e penna e avevano fatto una tabella con sopra scritti i nomi di diverse persone. Queste persone erano degli spiriti “misteriosi”. Definiti misteriosi perché nessuno conosceva il ruolo che avevano al mondo (il loro mondo di origine, ovviamente). Talvolta aggiungevano nella lista anche i tre umani che ospitavano e, dopo aver scritto che Mini sarebbe stata perfetta come ninfa viziata, vanitosa e vigliacca, erano passati agli spiriti veri e propri. North, dopo aver bucato, senza guardare, un foglio, con sopra scritto ogni spirito misterioso, lo guardò. I suoi occhi brillarono.

“Ah! Piccola Fabi! Allora, Calmoniglio, secondo te cos’è?” il coniglio si fece scuro in volto. Rispose immediatamente.

“Strega” North non alzò gli occhi, ancora molto pensieroso.

“Mmm…non sono sicuro…eh? Hai detto strega? Perché?” Calmoniglio rigirò gli occhi. North è sempre stato troppo ingenuo, proprio come Jack.

Ormai tutti sapevano cos’era accaduto allo Spirito del Ghiaccio e tutti, lui compreso, speravano che ciò che aveva sentito fosse falso.

“Non hai visto i suoi occhi?” North era perplesso.

“Come occhi? Cos’hanno di strano occhi?”

“Ma non gli hai visti? Sembrano non avere alcun sentimento!” North sembrò essersi offeso, come se quelle accuse fossero state dirette a lui. Ogni strega, dopo la trasformazione, cambiava delle caratteristiche fisiche, come il colore dei capelli o degli occhi. I capelli di lei e i suoi occhi avevano dei colori piuttosto insoliti per essere di un altro tipo di spirito. Dopotutto, lui ha visto, nel corso della sua seconda vita, tantissime tipologie di spiriti e sapeva molto a riguardo.

“Fabi è bambina molto profonda. Molto diversa da come tu credi. Lei sa più cose di me! È molto intelligente e sveglia e…”

“Infatti, una megera deve essere sveglia e intelligente. Altrimenti come potrebbe ingannare e stregare le persone?”

“Calmoniglio!” North sembrava esasperato. Quel tipo di conversazione l’avevano quasi tutti i giorni. Due o tre volte alla settimana quella piccola strega veniva nel teatro per “controllare i ragazzi” (ciò era molto sospetto). In genere, oltre che visitare gli umani, parlava spesso con North in russo (probabilmente per non far sentire cosa dicevano) e stava spesso in sua compagnia. Apparentemente sembravano andare d'accordo. Calmoniglio non la perdeva mai d’occhio, sia quando entrava nel teatro, sia quando stava nell’ufficio di North. Sembra non aver gettato su nessuno alcun incantesimo per il momento, e forse stava cercando di avere la fiducia di North per avere qualcosa in cambio. Tipico di una strega.

“Nicholas, vieni un attimo” Aloys fece sbucare la testa dallo spiraglio della porta.

“Aspetta qui, Calmoniglio, poi parlare ancora” North se ne andò dalla stanza sbattendo la porta dietro di sé.

Molto probabilmente vuole i tre umani e anche gli altri che si sono smarriti per l’isola. Tutti sanno che le streghe più piccole, per avere magia, sacrificano le anime degli esseri umani. Oppure le più grandi e potenti ne necessitano per cibarsi. Calmoniglio rabbrividì. E se fosse una strega potente? E se volesse mangiare Mini? Il coniglio deglutì e non si accorse che North era di nuovo entrato nello spogliatoio e, dopo aver trovato un pesante scialle bianco latte senza frange, se né andò di nuovo.

E se non fossero gli umani ad interessarla? E se, peggio ancora, fosse dalla parte di questa famosa Macula Sanguinea? Il coniglio si alzò di scatto sulle zampe posteriori. In effetti poteva essere possibile o, molto peggio ancora, potesse essere dalla parte di Pitch Black? E se tutto questo fosse un trucco per fargli restare su quest’isola per sempre? così che Pitch Black possa far ritornare il mondo in un baratro buio e senza luce com’erano i Secoli Bui?

“Calmoniglio, sembra che tu visto fantasma!” North era rientrato nella stanza e lo osservava tra lo sbigottito e lo scherzoso.

“Non è niente, North. Sto bene. Stavo pensando a molte cose…” North sembrava essersi rasserenato un po’. Probabilmente allontanarsi da quel discorso era stato un sollievo per lui. Quanto sei ingenuo, North…

“Comunque, prima eri entrato tu qui?”

“Si, volevo prendere scialle bianco per Fabi. Fuori fa molto freddo, sai?” il coniglio raddrizzò le orecchie.

Lei è qui? A quest’ora?” chiese sottovoce, per non essere sentito nel caso fosse nei paraggi.

“Era qui. Ora lei andata via. Smettila di sussurrare! Non stiamo mica parlando di pazza!” North è molto più ingenuo di quello che sembrava…

“Per fortuna…! Beh, che cosa voleva?” chiese sgarbatamente. L’omaccione di fronte a lui ignorò il tono usato dal coniglio.

“Voleva che dicessi ad Adalwin o ad Aloys di stare con Sandy per due- tre giorni, perché lei deve andare a fare controllo fuori città” Calmoniglio era anche molto preoccupato per Sandy, forse il più a rischio di tutti i Guardiani di fronte a quella strega. La cosa peggiore era che abitava insieme a lei. Il coniglio non aveva la minima idea di cosa avrebbe potuto fare al Guardiano dei Sogni, ma aveva molta più fiducia in lui e sapeva che Sandy non sarebbe caduto in alcun tranello. Non che non avesse fede anche negli altri Guardiani, ma riteneva Sandman molto più saggio e cauto di North o Jack. Aveva anche il bruttissimo dubbio che fosse stata lei stessa ad farlo ammalare…

“Ah, comunque, Mini ha voluto andare con lei” disse in punto in bianco l’uomo. Calmoniglio drizzò al massimo le orecchie.

“Cosa?!”

“Stasera Mini non ne voleva sapere di dormire e si annoiava, allora ha voluto seguire Fabi e quindi…”

“COSA?!”

“Calmoniglio, abbassa voce! Possono sentirci fuori!”

“North, che cosa hai fatto?!” si mise sulle quattro zampe e cominciò a correre verso la stalla dove di solito si poteva entrare nel teatro. Non trovò nessuno. Fiutò l’aria come un segugio. Bruttissime immagini si pararono davanti nella sua testa: la strega che buttava i resti di Mini dentro un calderone, la strega che squartava la pancia di Mini, la strega che… Oh, no no… Sentiva l’odore di Yaja, un profumo intenso di fiori, il profumo di Mini, e l’odoraccio di arance della strega. Forse poteva fermarla. Forse poteva fare in tempo!

“Calmoniglio! Fai piano!” disse sottovoce, mentre gli tappava la bocca e lo trascinava di peso, ignorando il coniglio che cercava di convincerlo a mollarlo. Dopo aver chiuso a chiave la porta della stalla dietro di loro, North lo guardò come se fosse matto.

“Ma cosa fai? Sei impazzito?” il coniglio si prese le orecchie e le tirò forte. Ormai aveva capito che ragionare con North era totalmente inutile e anche farlo spostare era utile quanto discutere con un koala.

“North, accidenti a te!” l’omone cambiò subito sguardo, vedendo la furia negli occhi del coniglio pasquale.

“Cosa…?” questo era troppo. Come faceva lui, Guardiano della Meraviglia, a non avvertire il pericolo che si celava negli occhi malati di quella strega? Come faceva a non comprendere la gravità della situazione? Come faceva a dire cosa…?

“North, io ti ammazzo!” ora per colpa sua quella viziata, chiacchierona, rompiscatole e combinaguai di Mini si troverà da sola contro una megera che neanche sapeva le vere intenzioni.

North intanto, capendo di trovarsi nei guai e sapendo che le pochissime volte che Calmoniglio si arrabbiava per davvero diventava una macchina annienta uomini, quindi fece l’unica cosa che gli veniva in mente in quel momento di cui non capiva il perché fosse entrato in mezzo. Il Guardiano della Meraviglia girò i tacchi e scappò verso l’interno dell’anfiteatro. Il coniglio pasquale lo seguì a ruota, dimenando un bastone trovato nella stalla come se fosse uno dei suoi fidati boomerang.

“Torna qui, pagliaccio natalizio!”

 

 

 

 

 

 

 

Oookey, sono tornata!

Allora, che ne pensate?

Noioso? Ingarbugliato? Strano? Fuori dal comune?

Vi prego di recensire!

Se non capite qualcosa, vi potrò spiegare tutto!

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Capitolo 16
*** Figli adottivi ***


Quella giornata di settembre era giunta con un gran freddo nel castello. Non c’era niente da dire: Joe stava chiacchierando, come al solito, con il vecchio Jimmy; Molly stava importunando gli altri, come al solito; Lucy stava cucendo, come al solito; Jackie si godeva la sua seconda vita, come al solito; Mary…era Mary, come al solito; e i piccoli erano i benvenuti in quel postaccio, come lo definivano tutti. Niente da dire.
Era la settimana inversa e Jackie doveva badare a Leo per sette giorni. Il giovane uomo era seduto in una posa poco professionale sul divano (a testa in giù e con le gambe che cercavano in tutti i modi di toccare l’altissimo soffitto) e il piccolo, dritto come una lisca di pesce, era seduto sullo scrittoio ad ammirare con lo sguardo il calamaio e l’inchiostro, come giusto che sia per un bambino del ventunesimo secolo abituato alle penne sottili di plastica con l’inchiostro già all’interno.
“Posso toccarli?” chiese pieno di speranza e con un sorriso amichevole. L’uomo acconsentì con lo sguardo. Il piccolo, felice, aprì il barattolo d’inchiostro e, con molta delicatezza, immerse all’interno la stilografica e cominciò a scribacchiare delle parole sulla carta, impiastricciandola di nero per via della poca pratica.
“Cosa fai, scricciolo?” chiese l’uomo. Da quando avevano trovato i due bambini nel castello, avevano quasi tutti preso abitudine di parlare in italiano. Questo per non farli confondere, visto che il biondo lo sapeva parlare e la giapponesina lo stava imparando dal suo piccolo amico.
“Scrivo una lettera per Fabi, così mi scriverà e saprà dove sono” l’uomo accennò ad un sorriso. Molto spesso il piccolo parlava della sua famiglia e, più di tutti, di sua sorella e di suo cugino. Doveva aver molta nostalgia di casa. Povero piccolo… L’uomo si alzò e si avvicinò al biondino. Era una vera e propria lettera con tanto di “Cara Fabi”.
“Ti manca moltissimo la tua sorellina, ometto?” chiese inginocchiandosi vicino alla sedia. Il bimbo continuò a scrivere.
“No, prima lo ero perché era molto lontana da me. Ma ora non più. Arriverà qui presto, io lo so” disse convinto. Jackie non riuscì a reprimere una risata.
“E come lo sai?” Leo si voltò verso di lui, accorgendosi solo in quel momento che il giovane uomo era in ginocchio.
“Lo sento qui e anche qui” disse indicando due luoghi precisi di sé stesso. Jackie ridacchiò.
“Nella tua testa e nel tuo cuoricino?” Leo lo guardò serio.
“Non sto scherzando. Verrà qui fra poco. Tu però le farai del male, ma poi farai pace con lei. Ma ci vorrà un po’ di tempo per questo…” il giovane uomo rimase dubbioso. Conosceva quel bimbo da più di un mese, abbastanza bene da capire cosa gli passava per la testa. Era un tipetto molto calmo e posato. Non era assolutamente come lui da bambino. Il genere di marmocchio che, sicuramente, sua madre avrebbe preferito in confronto al demonio che aveva per figlio.
“E chi ti dice tutte queste cose?” lui fece un sorriso rattristato, troppo da adulto per essere un suo sorriso.
“Se te lo dicessi, non mi vorresti più parlare…” disse abbassando lo sguardo. Jackie non sapeva cosa dire, non sembrava una bugia: Leo non aveva mai detto bugie. Forse aveva sentito i pettegolezzi tra Joe e Jimmy, oppure le idiozie di Molly, oppure le parole tristi di Lucy. Il bimbo si era rattristato d’un colpo. Si alzò da terra, si accorse che stava per mettersi a piangere.
“Quando…quando verrà…non farle troppo male…va bene…?”
“Leo, piccolo, cos’hai?” lo prese in braccio, si sedette sulla sedia e lo coccolò. Il piccolo aveva iniziato a piangere. Jackie passò la sua mano tra i suoi capelli e portò il suo piccolo viso al suo petto. I singhiozzi non cessarono. Pensò che ciò fosse per via della lontananza dalla sua famiglia. Capì come si sentiva: quando suo padre andò via di casa, si sentì tradito, addolorato. Pianse molto, ma nessuno volle confortarlo, nemmeno sua madre: anche lei doveva essere confortata. Gli baciò la testa piena di ricci. Continuò a cullarlo. Dopo molto tempo smise di gemere. Si accoccolò al suo petto e rimase immobile. Si era addormentato.
Diversi minuti dopo averlo constatato del tutto, il giovane uomo, preso in braccio il piccolo, si avviò vicino al letto e vi si infilò dentro col piccolo, non badando ai vestiti che avevano addosso. Con delicatezza tolse gli abiti al piccolo e anche a sé stesso, lasciando a sé soltanto i pantaloni e rimanendo a petto scoperto. Avvicinò il bambino a sé. Il piccolo si mosse un po’, ma rimase addormentato. Cominciò ad accarezzargli i ricci biondi, quasi senza accorgersene.
 
 
 
 
Avevano trovato quel castello per puro miracolo: degli strani esseri neri e informi avevano cercato di catturarli e portarli da una certa ‘padrona’. Non avevano idea sul perché di tutto ciò, ma una cosa era certa: dovevano trovare un nascondiglio e in fretta. Per fortuna che durante la fuga sono riusciti a trovare quell’enorme rifugio, grazie al quale più di duecento spiriti, in maggioranza Minori, hanno trovato un posto per riposarsi e riprendersi dallo shock degli attacchi.
Jackie, più per decisione della popolazione che per lui, decise di mettere le mani su quel castello e di esplorarlo da cima a fondo per controllare che non ci fossero altre trappole o mostri neri ad aspettarli. Joe, Jimmy e Mary avevano deciso di fare lo stesso insieme ad altri volontari. Più erano meglio era.
L’ala destra era completamente sgombra da ogni pericolo e, per precauzione, Will O’Wisp aveva mandato dei fuochi fatui per proteggere  le spalle di tutti nel caso fosse accaduto un attacco a sorpresa.
L’ala sinistra e la zona centrale erano sgombre. Joe e Jimmy facevano largo tra la folla per decidere dove sistemare gli spiriti superstiti. Nei sotterrai andarono Jackie e Mary. Era molto buio e, nonostante entrambi fosse Spiriti Oscuri, ovvero in grado di vedere perfettamente al buio, Jackie fece bruciare nella sua mano un fuoco infernale che ricopriva completamente la sua mano dandole l’impressione di star bruciando.
“…non sono mai riuscita a capire perché i seicenteschi vivessero in castelli. Questo posto è sudicio…” disse la donna sfiorando con il piede un secchio, rivelandosi pieno di grossi ragni neri. Nessuno dei due badò molto a quella vista.
“Non ti facevo così raffinata. Beh, non posso dire di più da un’inglese” disse, non per offendere, ma per farla sorridere. Dopo un mese aveva capito che era impossibile far apparire un viso raggiante a Mary. Lei, a quanto pare, aveva capito ciò che voleva il giovane ma rimase impassibile.
“Tu non sei tanto spiritoso e io non sono tanto eccentrica. Speravo di evitare tutto questo fuggire e nascondersi, così come volevo evitare il tuo discorso sulla mia pettinatura” Jackie sorrise. Tempo fa, prima che giungessero in quel mondo, Jackie aveva mostrato un giornalino del 2013 con varie pettinature di donna in cerca di una che potesse andar bene a Mary. Lei non apprezzò il suo gesto.
“Era solo un giornalino… Ti offendi per poco”
“Si dia il caso che non sia tu colui che dovrebbe guardare i miei capelli. Potevi evitare di farmi vedere quell’orrido giornaletto” il giovane uomo trattenne una risata.
“Veramente dovresti sfogliarlo: quelle ‘scellerate’ conciano bene i propri capelli, non li tenevano serrati in una palla di pelo, come quella che hai in testa” Mary rigirò gli occhi.
“Si dia il caso che quella ‘palla di pelo’ la utilizzava ogni donna dabbene a Londra. Non esibivano i propri capelli come turbanti o li dipingevano come stoffe”
“Ma avevi compiuto ventidue anni! In Irlanda non ho mai visto una donna così giovane indossare le vesti di una trentenne!” lei pareva offesa.
“Si dia il caso, mio caro cioccolatiere dublinese, che in Irlanda, con tutto il dovuto rispetto, viveva e vive gente infame, priva di ogni buon senso come…” esitò molto.
“Come me per caso?” Mary continuò a guardare di fronte a sé con passo fermo e veloce. Aveva sempre avuto dei modi troppo eleganti, per niente simili ai suoi. Era troppo posata, ordinata, col naso sempre più in alto degli altri, occhi severi e sguardo in grado di mietere chiunque sia d’intralcio di fronte a sé. Per questo piaceva a Jackie.
“Esattamente. Soltanto meno attraenti” disse con disinteresse. Probabilmente l’aveva detto soltanto per sopprimere tutto ciò che aveva appena detto riguardo alla sua terra e alla sua gente. Jackie l’aveva capito, ma voleva ugualmente fingere di aver sentito in un altro modo.
“Io sarei attraente? Io? Il cioccolatiere irlandese più scaltro di tutta Dublino? Detto questo da Mary Ann Stewart in persona! Sono proprio un uomo fortunato!”
“Dì di nuovo quel nome e giuro che…!” si stava rabbuiando. La ignorò. Sapeva perfettamente che detestava il suo nome.
“Questo quindi vuol dire che avevo ragione” disse interrompendola. Mary sospirò.
“Ovvero?” chiese senza interesse.
“Che vuoi rivalutare la mia offerta, ovviamente!” la giovane donna mostrò uno sguardo disperato. Avevano parlato e discusso tante volte della sua offerta. Tutte invano, purtroppo.
“Jackson… Vi chiedo di dimenticare…” gli aveva dato del ‘voi’, brutto segno.
“Cosa?”
“Non sono intenzionata a sposarvi. Perdonatemi, ma non sono attratta da nessuna offerta del genere in questo momento”
“E ciò che mi avevate detto prima? Parole all’aria?”
“Erano banali osservazioni di donna, Jackson. Siete un buon giovane, pieno di vita e forza. Siete abbastanza ragionevole da dimenticarmi e di guardare in faccia la nostra situazione”
“Soltanto perché siamo divenuti creature immortali, non significa che la nostra vita sia completamente finita oppure non c’è nessun altra scelta che abbandonarsi completamente al compito chiesto dall’Uomo nella Luna; possediamo ancora un’esistenza e, anche se eterna, non sono intenzionato ad aspettare o a rimuginarvi sopra” fermò la sua camminata forzata parandosi di fronte a lei. S’inginocchiò e le prese le mani.
“Bloody Mary, ve lo richiedo, sarà anche la centesima volta ma, volete sposarmi?”
“Jackie…siete un uomo troppo ostinato…mi spezzate il cuore solo a vedervi in questo stato per me! Alzatevi e dimenticatemi” detto ciò riprese la sua camminata, spezzando le sue mani tra quelle di Jackie e lo lasciò in ginocchio in quel corridoio. Come aveva già detto in precedenza, quel giovane era un uomo troppo ostinato; infatti continuò a seguirla, anche dopo aver buttato via le sue speranze, un’altra volta.
“Spiegatemi almeno il perché!” lei accelerò il passo.
Non rispose. Sentì i suoi passi affrettarsi insieme ai suoi.
“Non sono abbastanza per voi? Mi manca qualcosa per piacervi?”
Non rispose. Superarono il corridoio. Lei cominciò a correre, non molto velocemente, per le scure scale. Dietro di lei, Jackie si era fermato sul bordo della scalinata. Mary aveva cominciato a rallentare e a scendere per gli scalini di pietra.
“Mary Ann!” cominciò a desiderare di farlo tacere in eterno. Si voltò, cercando di sembrare più fredda possibile.
“Non pronunciate di nuovo quel nome! Siete abbastanza maturo per comprendere che io non desideri un uomo! Jackson, io sono Bloody Mary, la Strega nello Specchio; chiunque pronunci il mio nome al chiaro di luna per tre volte, io appaio a colui che mi ha chiamato e mieto la sua misera anima portandola alla morte. Voi, invece, siete Jack O’Lantern; proteggete i bambini dagli spiriti maligni i giorni della Festa dei Morti, di Halloween e di Ognissanti; e preparate, insieme ai vostri amici, dolci per gli infanti da mangiare la notte di Halloween. Siamo troppo diversi l’uno dall’altro, Jackson. Anche senza aver cura dei nostri scopi al mondo, noi due siamo troppo diversi. Ci tortureremo a vicenda per le nostre disuguaglianze!” lui tirò su, inaspettatamente, un sorriso. Troppo sincero, sicuramente autentico.
“Mary, Mary, proprio per questo ti voglio in sposa! Tu non sei me e io non sono te. Non voglio una donna che sia uguale a me o che solo mi somigli. Proprio non riesci a capire?” lei cercò con tutta la sua beneamata forza di volontà per non raggiungerlo e marcare sul suo viso una mano rossastra. Si voltò e continuò a camminare per raggiungere il piano inferiore.
“Sei troppo ostinato, Jackson…” disse, esitando per continuare “E poi…volevo avvertirvi che io, in verità…perdonatemi se comincio a raccontarvi solo oggi che…” trattenne a stenti un grido. Il suo piede si era impuntato e aveva cominciato a perdere l’equilibrio, fino a inciampare. Se non fosse stato Jackie a prenderla in tempo, grazie all’aiuto della sua velocità, probabilmente sarebbe precipitata giù dalle scale. Le mani di Jackie trattenevano con forza la sua schiena e il suo collo. Riaprì gli occhi, dopo essersi accorta di non essere caduta.
“Tutto bene?” se non fosse stato quel giovane a prenderla, avrebbe preso il Libro e gli avrebbe insegnato a non toccarla nemmeno con il dito mignolo.
“Mi rimetta in piedi” il giovane uomo non riuscì a trattenere una dolce risata. La riportò con i piedi per terra. Lei cercò di togliersi di dosso il profumo di cioccolata sulle vesti.
“Ma su cosa sei inciampata?” non ebbe il tempo necessario per finire la frase che si sentì dei deboli lamenti per la rampa di scale.
Immediatamente Mary evocò il Libro. Non fece in tempo ad invocare un incantesimo che Jackie la fermò parando di fronte a sé un braccio.
“…sono mortali…”
“Cosa?” lui si avvicinò a quella vocina singhiozzante.
Conosceva l’abilità di Jackie: grazie ai suoi occhi riusciva a vedere le anime, sia mortali che immortali e classificarle in diverse categorie. Non aveva spiegato a nessuno come aveva esito a fare ciò, ma era in grado di identificare un umano in mezzo a milioni di spiriti in pochi secondi. Era di sicuro un’abilità trasmessagli dall’Uomo nella Luna.
Notando con più attenzione erano due figure abbracciate tra di loro. Sembravano aver freddo e si stringevano cercando di eliminare il gelo dalle loro pelli. Quei sotterranei erano un ambiente troppo gelido per due piccoli bambini. Il giovane uomo si fermò di fronte a loro. Sicuramente non riuscivano a vederli, non per l’invisibilità che li avvolgeva ai non credenti, ma per via dell’oscurità che soltanto due Spiriti Oscuri potevano scrutare attraverso. Jackie s’inginocchiò vicino al primo bambino, quello che piangeva.
Anche la donna si avvicinò. Con i suoi stivali aveva colpito la sua testa. Probabilmente con molta violenza, dato che si era formato un grosso taglio che partiva dalla fronte e finiva al bordo sinistro della testa. Cominciavano a fluire delle righe rosse da quella ferita. La bambina non smetteva di produrre brevi singhiozzi. Jackie si tolse la giacca e la avvolse attorno alla piccola che aveva cominciato a scrutare con curiosità l’ambiente vicino a sé, sentendo la presenza di qualcuno.
Jackie prese in braccio la bambina. La piccola, al contatto con lo spirito, si parò il viso e il petto con le mani, chiaramente spaventata. Il giovane, accorgendosi di ciò, poggiò la testa della bimba contro il suo collo. Sentì le sue lacrime scendergli verso il petto e a quel punto si accorse del taglio sulla fronte.
“Dobbiamo portarli con noi” disse serio. Mary, non ancora abituata alla vista dei due fagottini, lo osservò indignata.
“E cosa dovremo fare di loro? Come mai dei mortali si trovano in questo castello?”
“Non lo so, ma è meglio curarli e dargli da mangiare” Mary sospirò.
“Sempre se non divoreranno tutte le nostre scorte… Sai che sulle nostre teste vi è una barriera magica: per colpa di quella, oltre al diminuendo dei nostri poteri, siamo costretti a cibarci come degli esseri umani. Non abbiamo molto da dargli, inoltre” Jackie, ignorando la donna, aveva cominciato a cullare la bambina; ma lei, non badando ai vezzeggiamenti del giovane, aveva ricominciato a piangere con più forza. Gli echi dei suoi lamenti perforarono le orecchie di Mary e il suo sangue che si congiungeva con le lacrime, la disgustava.
“Niki…Niki…” entrambi calarono gli occhi verso il secondo bambino. Si era alzato su entrambi i piedi e cercava, a tastoni sulle scale, la sua amica.
“Prendilo in braccio” disse Jackie, quasi come un ordine. La donna, a malincuore, caricò il bimbo accorgendosi, con sollievo, di essere più leggero di come si aspettava. Jackie, intanto, aveva cominciato a salire le scale e fece cenno di seguirlo. Mary lo inseguì.
L’asiatica venne medicata da una giovane fata dei boschi che, senza molte sorprese, conosceva Jackie da una trentina d’anni e durante il combattimento aveva deciso di seguirlo con i suoi compaesani. Non c’era da meravigliarsi: Jackie conosceva chiunque. La fatina, inoltre, fece un controllo all’altro bambino: non era ferito, era solo rattristato e confuso. Jackie la ringraziò e lei prese il volo fuori dalla stanza. Presto tutti gli altri spiriti avrebbero saputo dei due bambini.
“Sei certo che siano mortali?” chiese Mary sedendosi vicino al suo collega.
“La loro anima è azzurra, senza oscuramenti e senza chiazze cremisi, segno che siano molto giovani e senza peccati. Si, sono mortali” disse allontanandosi per cercare del cibo per i due piccoli ospiti. Mary non si fidava delle sue parole.
“Ne sei certo? Per quanto riguarda, potrebbero essere due delle creature che abbiamo visto in questo mondo. Dopotutto, ognuno di noi possiede un’anima” Jackie continuò a cercare dentro ad una credenza.
“Certo, ma ogni anima cambia spessore e colore per ogni mortale o spirito. Noi spiriti, ad esempio, possediamo un’anima toccata da una forza superiore, ovvero l’Uomo nella Luna. È violacea, di diverse tonalità e spessori, ma facilmente riconoscibile. Quella dei mortali, come ho già detto, è facilmente mutabile, quasi mai pura. Inoltre è di colore azzurro, talvolta macchiata di rosso. Invece le anime che ho visto in quelle creature sono molto particolari: sono macchiate di peccato e anch’esse toccate da una forza superiore, che purtroppo non conosciamo. Sono nere e cupe. Sono anime di coloro che non hanno via di scampo e sono quasi impossibili da mutare. Le anime di quei bambini sono pure, com’è giusto che sia in due creature di pochi anni che non hanno mai conosciuto il male” Mary annuì sommessamente. Jackie trovò delle scorte e le offrì ai bambini. L’asiatica fece fatica a tenere gli occhi aperti, ma riuscì a focalizzare il piatto di fronte a sé, anche se aveva sbattuto violentemente la testa e si trovava con una grossa benda sul taglio. L’altro bambino invece guardò il piatto con sguardo suscettibile, quasi come se temesse un veleno all’interno del cibo. Il giovane uomo sorrise ad entrambi. La bambina cominciò a mangiare, anche se con fatica. Venne imitata dall’altro.
“Come vi chiamate?” entrambi alzarono lo sguardo, chiaramente confusi dalla domanda. Probabilmente non parlavano in inglese o forse non riuscivano a comprendere al meglio per colpa dell’accento irlandese.
“Da dove venite?” anche questa domanda venne accolta dal silenzio. Jackie sembrò aver avuto un’idea. Si avvicinò ad uno scaffale e tirò fuori un piccolo mappamondo color caffè. S’inginocchiò di fronte a loro e mostrò ai bambini l’oggetto. Entrambi osservarono con interesse lo strano tesoro. Jackie indicò su di esso l’Irlanda.
“Questa è casa mia” disse indicandosi in seguito “Dov’è la vostra casa?” chiese accennando ad entrambi i piccoli. Il secondo bambino, quello biondo, sembrò aver compreso e indicò un piccolo Paese un po’ più a Sud dell’Irlanda. Mary si avvicinò curiosa.
“Parli italiano?” chiese nella stessa lingua citata. Il biondo annuì lentamente, iniziando a guardare negli occhi Jackie, chiaramente incuriosito dal colore delle sue idridi.
“Come state?” entrambi sobbalzarono, guardandosi dubbiosi. Il giovane e la donna si guardarono a loro volta.
“Ha chiesto come state, rispondete!” disse Mary con un moto d’impazienza.
“Bene!” esclamò l’asiatica, pronunciando male la parola accennando ad un ‘bane!’. Il biondo annuì serioso.
“Bene, signore…” soltanto Jackie si accorse della voce triste del bimbo.
“Allora parlate! Iniziamo con cose essenziali: come vi chiamate? Cosa ci fate qui? Come siete arrivati qui? E, soprattutto, perché due mortali come voi si trovano in un castello? E…”
“Mary, Mary, non siamo ad un interrogatorio. Lasciali parlare” disse facendole segno di calmarsi. La scoperta dei due bambini avevano reso entrambi molto tesi. Più di tutti la donna. Ma Jackie era molto interessato ai due.
“Io sono Leonardo Santarcangelo e lei è Nikito Haiba” disse, indicando con lo stesso sguardo serioso, prima sé stesso e poi la sua amichetta.
“Cosa ci fate qui?” chiese Jackie, interrompendo Mary in procinto di iniziare di nuovo l’investigazione. Di soppiatto il biondino aveva preso con una mano quella un po’ gialla della bimba. Jackie lo notò.
“Non lo sappiamo. Eravamo ad una festa e poi si è aperto un portale che ci ha portati qui” disse con parole e sguardo troppo maturi per un bambino così piccolo.
“Come un portale?” lui scrollò le spalle e rimase in attesa. Ad un certo punto alzò di nuovo lo sguardo verso Jackie e per la prima volta gli sorrise.
“Tu sei Jackson O’Nielse, ma tutti ti chiamano Jack O’Lantern” non era una domanda ma un’affermazione. Jackie sbattè ripetutamente le palpebre, confuso dalle parole del bambino. Il giovane uomo si alzò da terra.
“Come sai il mio nome?” chiese alzandosi da terra.
“Come sai il suo nome?” richiese con agitazione Mary. Il biondo allargò il sorriso.
“Non è importante. Dovevate aiutarci a trovare la strada di casa” disse con naturalezza “Tu, invece, sei Mary Ann Stewart, detta Bloody Mary o Mary Worth o Hell Mary oppure…”
“Tu non sei un umano. Jackie, queste sono due spie, ne sono certa. Si sono nascosti dentro i corpi di due bambini per chissà quale ragione. O sbaglio, marmocchio?” il piccolo, al posto di offendersi, cominciò a ridere.
“Ci aveva detto che saresti stata un po’ cattiva all’inizio” Mary, offesa dalle beffe del piccolo, non aprì più bocca. Jackie, invece, fece un passo avanti.
“Chi vi ha detto questo?” il bimbo sembrava essere sul punto di rispondere, ma l’asiatica lo fermò premendo con più forza la mano sulla sua. Il bimbo non la guardò, ma comprese il messaggio. Jackie vide tutto ciò e cominciò a massaggiarsi il mento. Quella situazione lo divertiva.
“Voi due mi nascondete qualcosa…”
“Tutti hanno i propri segreti, Jack” quella frase sembrava quasi minacciosa, Jackie notò anche questo.
“Hai ragione. Ma sai in che situazione ti trovi? Io sono uno spirito, tu invece sei un bambino. Potresti dirmi perché siamo in questo posto e come ritornare a casa, oppure, in caso contrario, potrei appiccare qualche incendio” disse ciò facendo riapparire sulla propria mano la fiamma infernale con un sorriso per niente amichevole. Mary era quasi fiera di lui. Ma i due infanti non sembravano per nulla sorpresi di ciò. Questo fece deglutire la donna.
Non puoi farmi del male” disse con sicurezza il biondo. Jackie alzò un sopracciglio e fece avvicinare pericolosamente la fiamma di fronte al viso del piccolo.
“Davvero? E cosa me lo impedisce?” un’ombra oscurò il volto del bambino, chiaramente insultato dai modi del giovane uomo.
“Il tuo dovere verso il tuo creatore” con un gesto secco l’uomo fece scomparire la fiamma sulla sua mano. Gli occhi di Mary uscivano dalle orbite. L’asiatica guardò furiosa il proprio amichetto. Finché si sentì un violento bussare alla porta. Senza che nessuno acconsentisse ad aprire, la porta venne spalancata da un vecchio stregone sui sessant’anni d’età che fece capolino in quella stanza con un ondeggiare intuitivo del suo corpo.
“Jackie…! Birra…! C’è birra a volontà…!” l’ondeggiare divenne sempre più pericolante man a mano che il vecchio si avvicinava ai quattro. Lo stregone si avvicinò al tavolo, prese una sedia, con la stessa camminata, vi si sedette e tracannò un altro sorso del bicchiere di latta che aveva in mano. Non era decisamente il momento migliore per entrare in scena.
“Joe…sei ubriaco…?” chiese la donna con voce vibrante dall’impazienza e con un leggero tocco di disgusto. Odiava chiunque avesse in mano una bottiglia di liquore, soprattutto se era qualcuno che conosceva.
“No, solo un po’ brillo!” rispose seccato l’altro.
“Joe…sei arrivato nel momento meno opportuno…” disse sibilando ciò tra i denti. In risposta, Joe fece un forte sbuffo e fece tuonare il bicchiere sbattendolo sul tavolo. La birra, o almeno ciò che ne rimaneva, uscì dalla latta.
“Smettila, ci sono dei bambini…”
“Eh…?!” il vecchio notò solo in quel momento la presenza dei due nuovi arrivati. Li fissò per pochi secondi, il tempo giusto per constatare che non fossero sui conoscenti.
“E voi chi diavolo siete?” disse tracannando un altro sorso. Mary rigirò gli occhi. Jackie non sapeva se fingere di essere mortificato, oppure di ridere liberamente. Joe era fatto così: da quando lo conosceva (ovvero da tutta la sua seconda vita), lui si lasciava sempre andare; soprattutto quando era nervoso, arrabbiato, felice, triste, insomma...quasi sempre. Non c’era da meravigliarsi se fosse di Dublino.
“Noi siamo Leo e Niki. Piacere, signore” disse il biondo con un insolito sorriso smagliante e con una mano tesa. Insolitamente aveva compreso ciò che aveva detto il vecchio, nonostante parlasse in inglese e aveva anche risposto nella stessa lingua. Entrambi gli spiriti erano troppo concentrati sullo stregone per preoccuparsi di questi particolari, visto che intanto Joe aveva avvicinato il muso al piccolo rilevando di non aver mai visto un tipetto del genere.
“Questi dove si erano persi, Jackie…? Erano in mezzo al bosco o che altro…?” disse sbiascicando le parole e tentando di rimettersi in piedi. Purtroppo dovette fare affidamento ad entrambi gli spiriti per riuscire a mettere i piedi per terra. Mary, nervosa per tutto ciò che stava accadendo, prese la bottiglia e la gettò contro uno specchio. Il vetro non si frantumò a contatto con la latta, anzi, l’oggetto lo attraversò finendo all’interno dello specchio. Entrambi non notarono che i due piccoli non erano minimamente sorpresi di ciò. Joe si lanciò sullo specchio urlando parole incomprensibili. Toccando il vetro capì di non poter riavere più il suo tesoro. Rialzò lo sguardo verso Mary, indignato.
“Donna, cosa diavolo hai intenzione di fare…?!” disse sbiascicando ancora le parola, ma con rabbia.
“Jackie, d’ora in avanti devi tenerlo d’occhio. Cosa potrebbe succedergli se ci attaccano o…?”
“Tu sei pazza, donna! Jackie, figliolo, diglielo che è pazza! Anzi, anche tu sei pazzo solo a parlarle! Siete più pazzi di quella matta di Molly!” e continuò a maledire e maledire…finché Mary decise di fare la cosa peggiore che si potesse fare: arrabbiarsi e rispondergli. E continuarono per molto tempo, ignorando Jackie che si era avvicinato al biondo visto che lo stava chiamando con una mano.
“…una volta un amico di papà aveva bevuto troppo e non ne voleva sapere di smetterla…allora mamma gli ha dato della birra, perché lui beveva quello, ma con molta acqua…dato che era confuso credeva che fosse la stessa cosa e, pian piano, si era calmato ed era ritornato come prima…” disse assicurando tutto ciò con un sorridente occhiolino. Jackie decise di ascoltarlo: prese un boccale che si trovava sul tavolo, lo riempì a metà di birra e l’altra metà di acqua e lo porse a Joe, ignorando Mary che lo guardava sconcertata. Joe lo tracannò tutto con due fiati. Schioccò la lingua per sentirne il sapore. Fece una faccia perplessa.
“Ma cos’è questa roba…?”
“Quello che bevevi” Joe scrutò con più attenzione il contenuto nel boccale.
“Figliolo, ma ne sei sicuro? Che a me sembra un rum buttato nelle fogne” Jackie annuì.
“E allora dammene dell’altro!” il giovane gli diede un altro boccale, offerto, questa volta, dalla bambina. Il vecchio lo tracannò con un altro sorso. Fece lo stesso gesto con la lingua, ancora più perplesso.
“Ne vuoi dell’altro?”
“No. Non ne vale la pena. Tienilo per te, se ti piace il genere. Però nella cantina di questo postaccio sembrava più buono!” disse posando, con più delicatezza, i due boccali. Guardò attentamente negli occhi Jackie e Mary, dopo che lei ebbe capito ciò che aveva fatto il giovane.
“Però non capisco una cosa: una fatina di…un bosco, ma che ne so, sta spargendo la voce che tu e questa pazza avete trovato due mortali e che li ha curati lei. Ma cos’è questa storia? E poi, dove sono questi due?”
 
 
 
 
Ci vollero tre giorni, dieci ore e quarantuno minuti per convincere Mary che i due bambini erano innocui. E altri due giorni per fare amicizia con Leo. Tra i due era il suo preferito: non dava fastidio, era curioso ma senza recare danni a nessuno, era ordinato, posato, gentile, e…forse Mary si rispecchiava molto in lui.
Niki invece era il perfetto contrario: ficcava il naso dappertutto, non ascoltava mai i consigli, nemmeno se li comprendeva, non sapevano mai dove fosse, creava dei danni talvolta, ma niente di serio. Era semplicemente curiosa, come Jackie.
Dopo che gli altri spiriti ebbero la conferma di avere dei clandestini nel castello, si volle decidere chi potesse averne cura, visto che entrambi avevano bisogno almeno di una persona che gli sorvegliasse. Dopo aver riempito di domande i due bimbi, ovviamente. Non vi erano molte mani alzate: la maggior parte degli spiriti erano custodi della natura, o delle credenze o, peggio ancora, degli adulti e nessuno di loro era intenzionato a fare da balia a due parassiti. Dopo tre giorni, ogni spirito sgomitava per avere i due piccoli.
Le mani alzate erano di: Joe, Lucy, Molly, Jackie e, sorprendentemente, anche Mary. Si era subito scartato Joe: era un brutto esempio, lui stesso lo ammise. Aveva il bruttissimo vizio di bere birra e altri tipi di alcolici. In seguito prese l’abitudine di travestirsi da umano e di girovagare nei paesi vicini, soprattutto se vi erano delle taverne o delle locande. Era meglio non affidare a lui i due piccoli: chissà se avrebbero preso la sua stessa brutta strada…
Lucy venne messa in discussione. In apparenza sembrava una buona madre: era cordiale, sorrideva sempre, quando le riusciva, e desiderava tanto prendersi cura dei piccoli. L’unica cosa che faceva esplodere dei dibattiti era il suo stato di spirito: sarebbe riuscita un’inquietante bambola, con occhi di bottone e con moltissime cuciture per di più sulla bocca (motivi di grossi dibattiti inoltre era il suo mutismo) a far capire ai due che non avrebbe fatto a loro del male? Sorprendentemente, i piccoli fecero amicizia con lei e le venne affidata la custodia. Il problema emerse il terzo giorno. Lucy si stava spegnendo giornata dopo giornata: detestava trovarsi in quel mondo, voleva tornare nella sua calda villetta ai confini del suo bosco e non desiderava influenzare i piccoli con la sua tristezza. Per questo vennero rivalutati altri spiriti.
Molly? Scartata immediatamente, anche se lei giurava su quel poco di onore che le rimaneva che poteva prendere in custodia i piccoli. Non era decisamente la persona giusta a cui affidare due creature così piccole e indifese. Una giovane vampiressa non poteva essere in grado di trattenere i canini di fronte a due mortali, privi di protezione, col sangue rosso e bollente e sotto la sua custodia. Se fosse stata vegetariana non lo avrebbero permesso ugualmente: era una persona senza alcun controllo che preferiva vivere nei boschi, da sola, senza nessun contatto con il mondo circostante. Ma non era questo il problema principale: Molly Lolly di Londra era carnivora. Anche se non avesse avuto una personalità simile, allora il punto cruciale veniva fissato proprio su questo piccolo grande particolare. I vampiri carnivori non erano controllabili. Se avvertivano del sangue umano nelle vicinanze, il loro istinto gridava prima del loro cervello. Potevano sterminare la loro stessa famiglia, se avevano sete. Oltretutto i vampiri, sia carnivori che vegetariani, si trovavano di fronte ad un grosso dilemma in quel brutto periodo: il cibo. Nessuno sapeva se il sangue dei servitori di quella famosa padrona fosse commestibile, nel caso dei carnivori; nessuno sapeva se cacciare selvaggina fuori dal castello fosse prudente o meno, nel caso dei vegetariani.
Insomma, Molly, dopo vari dibattiti, decise di rinunciare.
Molti votarono per Jackie. Era uno spirito dell’infanzia, conosceva molto bene i bambini e conosceva ogni spirito sia nuovo che anziano, aveva molti amici. Era naturale che tutti lo trovassero degno di un ruolo simile. E poi, tutti sapevano del suo piccolo sogno…
Tanti altri credettero che fosse necessaria anche una figura femminile per completare il terzetto in modo che si potesse creare qualcosa di simile ad una famiglia per i due piccoli. Per questo venne votata anche Mary. Nonostante non fosse uno spirito dell’infanzia, anzi, delle credenze, tutti erano d'accordo sul fatto che fosse una buona madre, anche se severa. Per questo venne scelta.
Alla fine si trovarono a fare i due genitori adottivi di Leo e Niki.
 
 
 
 
 
Riaprì gli occhi.
In un mese gli erano sfuggiti molti piccoli particolari sui due piccoli, ma per via di tutto ciò che accadde in seguito, aveva gliene aveva dato poca importanza.
Leo dormiva profondamente con la testa poggiata al suo cuore. Fuori dalla finestra il giorno stava per iniziare a fare capolino da dietro le montagne. Il cielo si stava schiarendo e il sole non avrebbe tardato a mostrarsi.
Tramite lettere aveva chiesto ad altri spiriti nelle vicinanze se avessero mai incontrato o sentito parlare di mortali presenti in quella gigantesca isola.
Nessuno.
Nessuno aveva mai visto degli esseri umani ‘reali’ da tempo.
Lui e North avevano anche trovato lo stratagemma della festa in maschera per incontrarsi faccia a faccia e discutere su ciò che avevano scoperto. Nessuno sapeva nulla. Aveva evitato di accennare a dei mortali presenti sull’isola: meglio non creare false speranze ad un animo inquieto come North. Meglio non fargli credere ad una aspettativa che probabilmente era inesistente. Anche se entrambi i bambini insistevano che dovevano essere cercati altri come loro due.
Qualcuno entrò senza bussare. Jackie si girò con calma.
Vide un mantello nero decorato finemente di viola emergere dalla figura, dei guanti bianchi, un cilindro nero con uno stemma viola chiaro dalla forma di una fiamma ed un bastone da passeggio nero col manico, non d’argento, violetto. Entrò un giovane uomo piuttosto alto, ma meno di Jackie, dai capelli di un vivace e insolito viola chiaro, occhi eloquenti e azzurri, sguardo severo.
La figura mosse titubante la testa all’interno della stanza chiaramente in cerca di qualcuno. Jackie mostrò un sorriso di sghembo, falso naturalmente.
“…Will O’Wisp…” lentamente il giovane alla porta si voltò e vide Jack O’Lantern disteso a petto nudo vicino al suo protetto che in apparenza dormiva beato. Entrò nella stanza e chiuse lentamente la porta.
“…Non ti hanno insegnato a bussare…?” disse incrociando i suoi occhi color carbone ardente con i cieli coperti dell’altro.
“…Perdonami per l’intrusione, ma è una questione urgente…” disse facendogli segno di raggiungerlo. Jackie ubbidì, si alzò con cautela per non far svegliare il bambino e si avvicinò a Will che intanto si era rifugiato dall’altra parte della stanza. Non badò al petto scoperto dell’amico: era abituato ad atteggiamenti insoliti da parte sua. Inoltre, si stava coricando per dormire…
“Dimmi pure” l’altro si tolse il cilindro, rivelando che i suoi capelli violacei erano folti e ondeggianti.
“Avrai già indovinato: intrusi, come al solito. Uno dei miei fuochi fatui ne ha individuato tre che si stanno avvicinando lentamente alla quarta torre. Presto saranno qui, se continueranno di questo passo” disse serioso. Jackie rimase perplesso.
“Alla quarta torre?” l’altro annuì convinto. Jackie si grattò i capelli, ancor più perplesso.
“Di già? È la prima volta che qualcuno raggiunge la quarta torre…” Will accennò ad un sorriso.
“Esatto. Hanno ‘battuto il record’, come si vuol dire”
Da quando si erano rifugiati nel castello, gli spiriti non hanno avuto pace. Hanno ricevuto attacchi dai fantasmi, spesso con pericoli di cedimento. Hanno perso molti amici per colpa loro e della loro padrona. Venivano catturati e nessuno sapeva se tornavano indietro, se venissero torturati, oppure uccisi o peggio. Nessuno sapeva niente. Per questo Jackie trovò una soluzione efficace: prima di raggiungere il centro del castello, vi erano delle torri di guardia postate in modo da doverle attraversare per forza. Jackie fece riempire quelle torri, grazie anche alla collaborazione di altri spiriti, di trappole mortali. In un giorno passavano da lì tre o quattro pattuglie di pochi fantasmi. Nessuno aveva mai raggiunto la seconda torre.
“Gli hai visti di persona?” l’altro annuì serioso.
“Sono sempre molto giovani, credo che ne mandino appositamente per provare compassione per loro, ma questa volta non si tratta di bambini, o almeno due di loro no. I primi due avranno circa diciassette anni, entrambi scuri di pelle, non sono certo della provenienza. Un maschio e una femmina. L’ultima è una bambina, ma non mostra il viso facilmente. Ha una mantella che le copre il volto e gran parte del corpo”  Jackie aveva annuito per tutto il tempo. Aveva ancora un’enorme interrogativo: come avranno fatto a raggiungere la quarta torre?
“Sono feriti per caso? Li hai visti durante le prove?” l’altro annuì ancora una volta.
“Ho visto come superavano le torri: hanno deciso di puntare, non sulla forza o sulla velocità, ma sulla logica. Ho notato che la più piccola sembra gestire la comitiva e pare che superi le prove notando le trappole ancor prima di aver gettato un occhio sulla stanza. Credo che sia motivo di preoccupazione. Gli altri due non credo siano un problema. Come ho già detto, immagino che la piccola spedizione venga guidata dalla bambina vestita di bianco” specificò al meglio Will. Jack sospirò.
“Sei veramente certo che sia preoccupante?” l’altro esitò qualche secondo prima di rispondere.
“In conclusione si, Jackie: hanno iniziato le prove dopo la mezzanotte e sono giunti fin alla quarta torre a quest’ora, senza feriti e desiderosi di procedere verso il castello. Non so cosa ne pensi, ma credo che sia preoccupante…” Jackie lo interruppe.
“Aspetta un secondo… Quando hai detto che hanno iniziato?” Will, dopo aver rovistato nel taschino del suo completo, ne fece uscire fuori un orologio da taschino d’argento.
“Alle due del mattino sono entrati all’interno della prima torre e ora che sono le quattro, hanno varcato la quarta. Probabilmente sono già alla quinta, sai cosa significa?” Jackie annuì.
“Certo: dopo la quinta torre giungeranno nel giardino del castello e poi qui…” Jackie pensò velocemente. Will sembrava essere preoccupato, cosa molto insolita da parte sua. Lo conosceva molto bene, come gli altri spiriti. Lo aveva trovato la mattina dopo che era stato reincarnato mentre girovagava con la testa bassa per i bassi fondi di Londra, cercando, inutilmente, di attirare l’attenzione dei passanti per capire cosa gli stesse accadendo; finché Jackie si fece vedere da Will e gli spiegò cosa gli era successo. Più avanti scoprirono più informazioni sul suo compito e sul perché l’Uomo nella Luna lo avesse scelto.
“Dovrò vedergli meglio questi tre avventurieri. Poi Mary mi dovr…”
La porta si spalancò.
“Avevi detto che se ci fossero stati dei problemi, allora mi avresti aiutata! Beh, ora voglio la tua collaborazione! Adesso! Non voglio scuse, deve essere punita!” Jackie si voltò annoiato, intuendo già chi fosse. Will, invece, sobbalzò per la sorpresa, cercando di sembrare il più serio possibile di fronte ai dilemmi di Mary. Guardandola con più attenzione, si poteva constatare che fosse qualcosa di serio, questa volta.
“Signorina…buonase…giorno…” disse Will, cercando ancora una volta di non sembrare meravigliato. Jackie trattenne sia il sorriso che la risata.
“Ma perché oggi hanno tutti dimenticato come si bussa?” disse cercando di sembrare offeso. Mary lo ignorò. Osservando con più attenzione, si poteva notare che c’era anche Niki con lei, presa malamente per una manina e con uno sguardo a metà tra lo sdegnato e a metà tra il confuso. La piccola guardava Jackie, prima supplichevole, poi meravigliata.
“Questa volta devi punirla, dopotutto sei tu il…!” le uscì un grido strozzato quando si accorse del petto nudo di Jackie. Lei si coprì gli occhi con una mano e, imbarazzata ma ancora furiosa, si voltò dalla parte inversa. Alla vista del petto asciutto e muscoloso dell’irlandese, un fischio d’ammirazione uscì dalla bocca di Niki con una linguetta penzolante seguito da un ‘mmm!’. Un ceffone le raggiunse la testa. Uno schiocco secco con un lamento indignato vibrarono nell’aria insieme ad un: ‘Sfacciata!’.
“Non picchiarla! Non ha fatto nulla di male!” si affrettò a dire.
“Io alla sua età non buttavo gli occhi sui giovani svestiti! È il minimo che le spetta!” Jackie rigirò gli occhi.
“Non ha fatto nulla di male…”
“E quel fischio di prima, come lo definisci?”
“Ha ottimi gusti, a mio parere. Modestamente…” Will si rimise in testa il cilindro, con l’intento di salutare Jackie e di sparire prima dello scoppio di una possibile guerra.
Modestamente! Perfetto! Rimettiti qualcosa, prima che dia anche a te uno scapaccione!” Jackie fece cenno a Will di raggiungerlo in seguito. Lui si avviò verso l’uscita, ma prima di girare la maniglia, decise di rimanere ugualmente. La piccola cercava di incrociare lo sguardo di Jackie, sia per implorarlo di aiutarla, sia per controllare se quei muscoli fossero veri. Mary vide i tentativi di ribellione della bambina e le sferrò un altro manrovescio.
“Lasciala e chiariamo la situazione, senza ceffoni” Mary ubbidì e si voltò, dopo aver constatato che il giovane si era rimesso la giacca, con l’aiuto di Will. La bimba, impaurita e con le lacrime agli occhi, raggiunse Jackie che la prese in braccio prontamente.
“Va bene, Mary, cos’ha combinato di tanto grave questa volta?” chiese l’irlandese con un sospiro. La storia si ripeteva quasi tutti i giorni: Niki faceva dei pasticci, ma non erano poi tanto gravi, almeno secondo il punto di vista di Jackie che stava seriamente credendo di impazzire quando Mary venne a lamentarsi con lui perché la piccola aveva ‘volontariamente’ distrutto un barattolo di marmellata di lumache, cucinato da un troll e conservato in ‘segreto’, che stava tentando di afferrare dalla mensola della cucina.
“…Guarda…” disse, quietata un po’. Si tolse lo scialle invernale e cominciò a tirare i fili del cappello da passeggio. Alla fine dell’azione, Will abbassò lo sguardo imbarazzato e Jackie alzò un sopracciglio fingendo di essere perplesso.
“Beh, non male come nuova pettinatura. Non credevo che avresti sfogliato il mio giornalino” disse con un leggero orgoglio. Mary, se fosse stata ancora viva, sarebbe diventata paonazza.
Questo è il problema! Guarda che cosa ha combinato! Dovresti punirla, come farebbe un padre ragionevole!” i suoi occhi erano incorniciati dalla rabbia. Jackie era sinceramente distrutto: la piccola Niki, come comprese più tardi, mentre Mary si stava riposando, aveva arruffato delle forbici dalle cianfrusaglie di qualche gnomo e aveva deciso di sperimentare una nuova pettinatura molto più apprezzabile, secondo l’irlandese. Era un classico caschetto tagliato fino agli zigomi. Secondo Jackie, quei nuovi capelli le incorniciavano meglio il viso e rendeva visibile i riflessi blu tenebre dei suoi capelli, in apparenza neri ma, in realtà, color notte. Jackie le si avvicinò con la bimba in braccio e ispezionò al meglio i capelli insolitamente perfetti.
“Secondo me ha fatto un buon lavoro. Hey, zuccherino, secondo me nostra figlia dovrebbe fare la parrucchiera!” un ceffone colpì la guancia del giovane uomo, sentendo uno schiocco nell’aria. Il volto di Jackie si volse dal lato inverso. Mary l’aveva colpito, non solo per come l’aveva nominata, ma soprattutto per la sua incomprensione. Era giusto dire che erano troppo diversi… Jackie si massaggiò la guancia confuso.
“Perché mi hai picchiato?”
“Perché sei il solito incompetente! Non so proprio come tu abbia fatto ad avere più voti per avere questa peste. O, giusto, perché tu conosci ogni miserabile di questo mondo e ognuno, ovviamente, ha voluto votare a te!” gli urlò in faccia in preda all’ira.
“…che succede…?” nessuno se n’era accorto, ma il trambusto creato da Mary aveva svegliato il piccolo Leo. Mary si volse, ancora in preda alla rabbia, verso il biondo. Lui sobbalzò per il viso di sua ‘madre’.
“Leo, vestiti e vieni con me” ordinò. Il bimbo, anche se confuso, cominciò a cercare i suoi pantaloni. Jackie aveva ancora la mano sulla guancia.
“Dove vuoi andare con il mio ragazzo?”
“Visto che anch’io sono stata votata e abbia deciso di prendermi cura di uno dei bambini, mi sembra logico che Leo venga con me e che tu prenda con te solo Niki” Jackie era ancora più confuso.
“Ma…vuoi prenderti cura solo di lui?”
“Esatto”
“Ma è ridicolo, Mary! Facciamo ridere agli elfi!” disse esasperato e con una gran voglia di accasciarsi al pavimento.
“No, Jackson, è l’ideale per entrambi. Tu ti prendi cura della peste e io di Leo, senza turni o con cambi giorno per giorno. Mi sembra più che perfetto” Leo, nonostante non avesse ancora finito di vestirsi, venne afferrato malamente dalla donna e trascinato verso l’uscita, momentaneamente bloccata da Will.
“Signorina…addi…arrivederci…” disse facendole segno di saluto alzando il cilindro e spostandosi. Lei sospirò, con dell’ira sugli occhi. Il bambino venne trascinato per tutto il corridoio. Jackie rimase nella stanza, ancora più confuso da ciò che era appena accaduto. Alla fine sospirò stancamente.
“Decisamente, non sei fortunato con le donne…” l’irlandese rise per affermazione dello spirito.
“Già, siamo entrambi sfortunati in questo campo…” Will annuì sommessamente. Jackie sapeva che in vita ha amato molto una ragazza che fu uccisa brutalmente. Era stato un brutto colpo per lui scoprire di aver fatto la stessa fine della sua amata. Non sapeva e voleva sapere i particolari.
“Comunque, la signorina aveva ragione sopra ad un punto”
“Ovvero?” Will si avvicinò, indicando il suo petto.
“Tua figlia dovrebbe contenere la curiosità verso il sesso opposto” Jackie abbassò lo sguardo. Niki, non notata e degnata di uno sguardo da nessuno in particolare, aveva deciso di approfondire le ricerche sullo spettacolo paratosi prima e nella confusione aveva sbottonato tre bottoni della camicia di Jackie, scoprendo la carne biancastra e infilando furtivamente una mano. La bimba si accorse di essere osservata. Alzò gli occhi verso il padre e fece un sorriso innocente. Sia Jackie che Will non riuscirono a trattenere le risate.
“Ha preso tutto da suo padre!”
 
 
 
 
 
Dopo aver mandato a dormire sia Niki che Leo, Will convocò entrambi i genitori. Mary non guardò in volto Jackie. Fece vedere, con l’aiuto di Mary, di fronte ad uno specchio, i tre avventurieri. Bastò una semplice occhiata per l’irlandese.
“Due spagnoli e una possibile russa. Non male come terzetto…” i tre si trovavano nella quinta torre, l’ultima per giungere al castello. I due spagnoli, probabilmente annoiati dal girare attorno a quella stanza, si sedettero per terra e aspettarono la terza per sapere come procedere nella stanza successiva. Era un altro indovinello piuttosto complesso, i tre spiriti avevano soprannominato quella stanza la ‘stanza dei bugiardi’. Questo per via dei quadri appesi al muro, raffigurati tutti delle dame con insolite maschere gotiche e di colori diversi, che spiegavano ognuno di loro la propria idea su come procedere verso la stanza successiva. La più piccola del gruppo, a differenza degli altri, stava leggendo sulle targhe dei quadri le parole di ognuno di loro.
“Chi ha costruito questa stanza?”
“Io” rispose Mary. Jackie, con lo sguardo sempre puntato sul vetro, fece una faccia perplessa.
“Perché proprio un indovinello? Non sarebbe stato meglio una trappola che agiva appena mettevano piede nella stanza?” Mary sospirò seccata.
“Conosci l’imposizione che dobbiamo avere noi streghe verso gli umani e gli spiriti: se dobbiamo utilizzare delle trappole in casa nostra, dobbiamo per forza dare un suggerimento all’intruso il quale deve almeno provare a sorpassare la trappola e non essere ucciso direttamente. Dovresti saperlo” disse con rabbia. Era ancora furiosa per l’accaduto di prima. Dopo quello che aveva fatto Niki, aveva deciso di indossare un copricapo invernale che le copriva la testa e i capelli.
La bambina aveva appena finito di leggere ogni targa e stava girando intorno ai quadri scrutandoli con attenzione, mentre gli altri due sembravano seriamente decisi di addormentarsi.
“Avevi ragione, Will, il capo fra di loro è lei” il giovane annuì, osservando attentamente la bimba bianca.
“Signorina Mary, in questo caso, come potrebbero i tre superare questa stanza? Quale dama mascherata racconta la verità?” con gli occhi fissi sullo specchio, Mary sorrise malignamente.
“Nessuna di loro” Will alzò un sopracciglio, leggermente rabbuiato.
 “Ma…l’imposizione…?” Mary annuì soddisfatta.
“Vi è l’imposizione, ma nascosta: è vero che nessuno dei quadri racconta la verità, ma se agirete con calma e con attenzione noterete che uno di loro, la lady vestita di rosso, possiede una pellicola trasparente e difficilmente notabile. Dietro a quella pellicola, dopo averla tolta, vi si trova un foglio trasparente, anch’esso difficilmente notabile, che se appoggiato di fronte ad un lume, sarebbe possibile vedere le indicazioni per sbloccare la stanza accanto per procedere verso il castello. Quelle parole sono in latino, lingua complessa e difficilmente traducibile ed è improbabile che qualcuno di questi stolti fantasmi ne conosca solo una parola. Vi è l’imposizione, ma nascosta…” Will non smosse un muscolo di fronte alla spiegazione della strega. Jackie aveva osservato attentamente tutti e tre i ragazzi: molto giovani, questo si, ma non sembravano comportarsi come tali. Probabilmente dovevano avere più anni di come dimostrava il loro aspetto. La bimba, dopo aver girato di nuovo di fronte ai quadri colorati si fermò di fronte al possente quadro con la dama vestita di rosso. Dopo diversi secondi di attesa, la bimba, inaspettatamente, poggiò due dita nel quadro e lentamente cominciò a tirare via la pellicola trasparente. Will e Mary avvicinarono i volti verso lo specchio, lo stesso per i due spagnoli, avvicinati alla bambina bianca.
La pellicola venne smossa del tutto. La bambina fece segno di cercare tra la carta, cosa che fecero subito gli altri due. Mary cominciò a sospirare nervosamente. Il ragazzo spagnolo fece segno alla piccola: aveva trovato un foglio insolitamente meno luminoso del resto della carta. L’altra esaminò con più attenzione il foglio girando e rigirando il contenuto fra le mani. Dopodichè si avvicinò alla finestra, dove il sole splendeva dietro le colline e fece un altro segno allo spagnolo. Quello dissuase con un cenno del capo la sua richiesta, qualunque fosse: i tre spiriti non potevano udire le parole degli avventurieri.
Si fece avanti l’altra ragazza e, anche se con difficoltà di muscoli, portò la bimba sopra le sue spalle e lei vide il messaggio scritto sul foglio grazie alla luce dell’alba. Mary si mise una mano sulla bocca, terrorizzata. La bimba bianca lesse il messaggio. Dopo un tempo piuttosto breve fece cenno ai due di seguirla, cosa che fecero. Si avviarono nella seconda stanza dove il pavimento era costellato di segni e scritte insolite. La bimba, dopo aver gettato un paio di occhiate ai segni, cominciò a fare i suoi primi passi verso le piastrelle, constando che fossero quelle scelte giustamente. Dopo essere arrivata alla quarta casella, fece di nuovo cenno ai due di seguirla. Loro, seppur titubanti, fecero ciò che gli ordinò e insieme raggiunsero la porta d’uscita. Mary aveva gli occhi serrati con un’espressione di rabbia in viso.
“Come diavolo hanno fatto a finire il percorso?!” Will abbassò lo sguardo, serioso, sussurrando fra sé e sé.
“Sono giunti fino a qui…il castello non possiede più altre trappole o trabocchetti per fermarli…” Mary, se fosse stata ancor più in preda all’ira, si sarebbe strappata i pochi capelli che aveva in testa.
“Com’è stato possibile?!”
“Mary, non è la fine del mondo. Ci inventeremo qualcosa”
“Cosa, Jackie?! Chissà cosa potranno fare, anche se in tre! Ti ricordi cos’è successo l’ultima volta?! Era avvenuto uno spargimento di sangue!” Jackie schioccò le dita, trovata un’idea dopo aver udito la parola ‘sangue’.
“Credo di sapere cosa fare” Mary smise di sfogare la sua ira e Will rialzò lo sguardo.
“Se dividessimo quei due spagnoli dalla bambina, potremo guadagnare un po’ di tempo facendoli sperdere per le zone più buie del castello. Mentre invece la bianca dovrà affrontare la bestia peggiore che possediamo e non credo che il suo cervello possa salvarla dal pasticcio che le porterò!” Mary era, soltanto per quel giorno, rassicurata dalle parole di Jackie.
“Perfetto! Chi? Molly?”
Jackie scosse la testa, con un moto di orgoglio e di suspence che desiderava provocare.
“Lucy?”
Jackie scosse la testa.
“Jimmy? Incute terrore addirittura agli altri Spiriti Oscuri!”
Jackie scosse la testa.
“Oh, no. La bestia peggiore che conosca!”
“Ovvero?” Jackie prese le spalle di Mary.
“Bloody Mary!” Mary, dopo aver scemato il suo sorriso e dopo aver realizzato ciò che disse l’irlandese, centrò con la destra il volto di Jackie facendogli rivoltare la faccia per la seconda volta quel giorno. Il giovane si massaggiò la guancia, chiaramente seccato da quei ceffoni.
“Ahi…”
“Vorresti trascinarmi insieme a quei fantasmi in una felice passeggiata per il castello?! Jack O’Lantern ti giuro che questa volta…” vennero interrotte sia le sue parole che il terzo manrovescio di quel giorno.
“Mary, siamo sinceri, abbiamo bisogno di una strega che conosca perfettamente il mestiere per svolgere questo lavoro!” Mary si liberò della presa e delle mani del giovane uomo.
“Perché io? Ci sono centinaia di spiriti in tutto il castello!”
“La Magia Bianca è l’arte del beneficio, la Magia Nera è l’arte dell’imbroglio. Infatti ho bisogno di una strega che possa complicare la vita a quella bambina in modo che dimentichi presto di ritornare in questo castello, in modo definitivo intendo…” Mary sospirò e si passò una mano sopra gli occhi, massaggiandosi i nervi.
“Signorina Mary…se desidera, potrei impedire ai tre di raggiungere il castello io stesso…”
“NO!” questa volta furono entrambi ad esclamare ciò. Non volevano che qualcuno fosse coinvolto in quella faccenda puntigliosa, soprattutto Will. Tempo addietro, durante un attacco da parte dei fantasmi, era rimasto gravemente ferito ad una gamba. I suoi fidati servitori, i fuochi fatui, erano andati in agitazione per tutto il castello. Mary si convinse ed annuì, anche se con moto di rabbia.
“Molto bene…come pensi di fare, mio signore?” Jackie volle abbracciarla. Peccato che non potesse farlo…
“Per prima cosa: Will, vorrei che durante l’operazione ogni spirito del castello si nasconda dai tre. Sii breve: non specificare ciò che sta succedendo, meglio non allarmare troppo nessuno. Ora và, più veloce che puoi!” Will annuì serioso e uscì dalla stanza, con poca fretta. Non era necessaria la fretta per lui: aveva sempre i suoi servitori, più veloci di qualunque altro spirito.
“Bene Mary…questo è il piano…”
 

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Capitolo 17
*** Bloody Mary ***


 “…e fu così che i tre malcapitati giunsero fin all’entrata del castello ove ben altri demoni furon intenzionati a squoiar le carni loro e bruciarli al rogo dell’Inferno…”
“Fabi, por favor, basta!” mi sono ufficialmente rotto: da quando siamo usciti dalle cinque torri, Fabi ha cominciato a parlare in questo modo e lo juro, mi sta facendo un botto di paura! Oltre al fatto che quando lei parla non puoi fare a meno di ascoltarla.
Siamo arrivati dentro il vero e proprio castello ed è tutto un po’ più inquietante di come avevo visto alla prima torre: quasi tutto è fatto di pietra, i mobili sono di legno che secondo me sta per crollare, ci sono ragnatele ovunque e se non fosse per il sole che entra dalle finestre, qui non si vedrebbe un cacchio. Fabi si guarda attorno, noi due aspettiamo che dica qualcosa. Lei fa dei passi avanti e, dopo aver controllato ancora con gli occhi, fa altri passi avanti.
“Sembra che non ci sia nessuna trappola. Credo che non ne vedremo in giro” sia io che Mini tiriamo un sospiro di sollievo, manco fossimo stati noi a fare tutto il lavoraccio per uscire dalle torri…
Credo che ci troviamo in una sorta di ingresso con più di tappeto rosso, malcriado, per terra e con un lungo corridoio di fronte a noi. Fabi comincia a muoversi di là e noi la seguiamo a ruota. Mi sento male: Fabi ha fatto tutto questo macello da sola e noi, probabilmente, anzi, sicuramente, non siamo stati per niente di aiuto. Poi dovrò dire a Perla di smetterla di andare tra i boschi.
Todo bien?” annuisco a Mini, anche lei capisce che c’è qualcosa che non va in me. Sto ancora pensando a quanto abbiamo rischiato quando eravamo arrivati alla prima torre e sia io che Mini stavamo calpestando il tappeto rosso… Mi hermana mi stringe la mano, quasi non me ne accorgo. Sulle pareti del corridoio ci sono molti quadri strani con strani esseri dipinti e extrano paisaje. Questo posto non mi piace per niente.
Sento qualcuno tossire alla mia destra. Non è Mini: lei è alla mia sinistra; non è Fabi: lei è di fronte a me. Mi giro. C’è un quadro molto grande con una sorta di fatina dipinta. È in piedi con un ombrello viola, sorride a noi.
“L’hai sentito?” non mi ero accorto che Mini si era fermata vicino a me. L’ha sentito pure lei, lo capisco dal suo sguardo. Ci avviciniamo al quadro. C’è qualcosa di strano, ma non so cosa… D’istinto poggio un dito sopra al quadro, casualment sul piede scalzo della fatina. Il piede è caldo e sento la vena della carne premere sul mio dito. Lancio un grido e corro verso Fabi che, accorta dopo un po’ che ci eravamo fermati, si era avvicinata a noi.
“Fabi! Il…il quadro…la fata è calda!” Fabi alza lo sguardo sopra di me e guarda anche lei la fatina. Alza un sopracciglio e mi guarda con uno sguardo strano, come se volesse dirmi qualcosa di importante, ma non so cosa. Mini sobbalza dietro di me.
“Fabi, lo hai visto?”
“Cosa?”
“La fata! È sparita dal quadro! Si è volatizzata!” lei lancia un altro sguardo al quadro. Ci guarda apatica come sempre.
“Quello veramente sarebbe un paesaggio astratto…” siamo schioccati: non ha visto niente? Pochi secondi fa la fata se n’era andata dal quadro e aveva lasciato dietro di sé un paisaje vuoto e trasparente. Non capisco niente.
“Fabi, anch’io l’ho visto: prima c’era una fata nello specchio e dopo se n’era andata e ora non si vede più niente! Ma non ci credi?” ci guarda perplessa. Non ci crede. Si gira e comincia a camminare.
“Secondo me guardate troppi cartoni animati. Forza, andiamo avanti” siamo schioccati. Dopo tutto quello che ci è capitato non crede a quello che abbiamo visto? Sospiriamo e ci leggiamo nello sguardo: parlare con Fabi è totalmente inùtil… La raggiungiamo dopo un po’. La guardo negli occhi mentre concentra lo sguardo di fronte a sé: ha una faccia molto strana, quasi arrabbiata.
Si ferma. Guardo anch’io: c’è un manichino bianco senza testa di fronte a noi. Il suo collo sembra scheggiato, come se l’avessero decapitato. È vestito con solo un abitino verde, ci blocca la strada per andare avanti verso la porta. Fabi inclina la testa di lato e comincia a ronzare attorno al coso. D’istinto mi tocco il collo, quel manichino mi fa impresiòn. Anche Mini fa lo stesso e la sento deglutire.
“Sembra molto pesante…” dice Fabi, secca. Mi viene un’idea.
“Mini, togliamolo di mezzo!” lei mi capisce e ci lanciamo uno sguardo complice. Lei si mette alla destra del manichino e io alla sinistra. Comincio a tirarlo e lei a spingerlo. Ci mettiamo tutta la nostra forza, ma non succede niente.
“Al, riproviamo” annuisco e riproviamo, ma a parti inverse. Quella cosa dev’essere fatto di ferro: non si sposta di un millimetro! Smettiamo, ansimanti, di spingere e di tirare: quel coso non ha intenzione di farci passare. Mi fanno mal le mani, è una fortuna che non abbia una scheggia nelle dita.
“Fabì, di qua non si passa. Credo sia mejor andare da un’altra parte” dice Mini e si volta insieme a me verso l’altra parte del corridoio. Sono d'accordo anch’io. Finchè c’è quel coso non si può fare niente, a meno che non spunti fuori Godzilla ad aiutarci… Fabi non si muove, me ne accorgo dopo un po’. Guarda quel manichino con lo stesso sguardo strano che aveva puntato allo specchio-fata.
Fabi, vamos!” dopo qualche secondo ci segue. Siamo noi a capo del gruppo, finalmente! Ritorniamo all’ingresso. Il corridoio non era l’unica strada da fare: ce ne sono altre che non ricordo di aver visto prima.
“Allora, quale scegliamo?” io e Mini indichiamo la stessa porta, quella meno buia e meno inquietante. Fabi sembra più nervosa del solito. Non si gira, ma butta gli occhi ovunque e questo è molto strano da una chica come lei.
“Possiamo andare laggiù?” chiediamo a Fabi. Lei sembra totalmente indifferente a ciò che stiamo dicendo, ma ci annuisce distrattamente. Non so che ha, ma comincio ad innervosirmi anch’io se continua così. Mini gira la maniglia e apre la porta. Il corridoio è più buio del salone d'ingresso, ma riesco ugualmente a vedere qualcosa…
“Ah!” qualcuno è sbucato all’improvviso dal corridoio e si è buttato addosso a Mini. Sia mi hermana che la persona su cui si è schiantata sopra sono caduti all’indietro, Mini cerca di alzarsi anche se troppo goffamente, infatti ci mette troppo a raggiungerci e a nascondersi dietro di me. Io invece, per lo spavento, mi sono nascosto dietro Fabi e, quasi senza accorgermene, le sto artigliando le spalle. Fabi si libera di me con un calcio che mi fa quasi perdere l’equilibrio.
“…Vigliacchi…” sussurra a noi, credo, forse non ho sentito bene. Intanto la figura si è alzata e si aggiusta il vestito e il cappellino che intanto era caduto vicino a lei. È una chica dai capelli corti e neri. Ha un vestito blu scuro che le arriva fino alle caviglie ed è pieno di dettagli, mi ricorda molto i pochi film dell’Ottocento che vedevo con Mini. Ha anche uno di quei cappellini che le donne usavano quando faceva freddo, insomma, uno di quel genere.
Senorita, estàs bien?” chiede Mini, anche se con impazienza e con un sorriso che dimostra il contrario. Mi spunta un ghigno: Mini quando si offende, si offende e non credo che la sorpresa di prima le sia piaciuta.
Si tranquillizza quando la guarda con più attenzione. Quella ci fissa sbattendo tante volte le ciglia, credo che si sia fatta male o non capisca cosa abbia detto mi hermana.
“Signorina, stai bene?” sbatte ancora di più le palpebre. È molto buio e non riesco quasi a vederla in viso. Annuisce in un modo…refinado e poggia le mani di fronte a sé. Credo di aver capito chi sia.
Lo entiendo! Sei anche tu nella nostra situaciòn e cerchi di uscire da questo castello, no? E ti sei persa come noi tre e non sai cosa fare, come noi!” quella ci fissa interessata, credo che abbia capito cosa stiamo dicendo e annuisce ancora. Mini si tranquillizza e tira con me un sospiro di sollievo. Sorridiamo entrambi: per fortuna che non ci siamo solo noi qui dentro!
“Beh, si… Io volevo solo dare un’occhiata in giro, ma non sapevo che c’era un vero e proprio labirinto in questo castello e così…” abbassa lo sguardo. L’oscurità non mi fa vedere il suo viso.
Cuàl es tu nombre?” cambia il suo sguardo in severo, non credo che ci abbia capito.
“Come ti chiami?” raddrizza la testa.
“Mary”
“Bene, Mary, benvenuta nella compagnia! Io sono Mini, lui è il mio gemello Al e questa piccolina è Fabi” anche se è buio, vedo che sorride. Beh, le fa un viso un po’ inquietante, ma almeno capisco che è una tipa apposto.
“Piacere di conoscervi” dice facendo un veloce cenno con la testa. Sia io che Mini rimaniamo un po’ intontiti: è troppo…formales, per adulti. Questo è un po’ strano, non credo che Mary abbia più di ventitre anni, quindi perché fare così tanto teatro? Bah! Le avranno insegnato così i genitori o qualcosa del genere…
Es un placet
“Anche per me è un piacere”
“…”
Fabi non dice nulla. Sia io che Mini ci giriamo verso di lei, un po’ arrabbiati.
“Fabi, dì qualcosa di carino!”
“…” sia io che Mini facciamo una faccia furiosa: ma què…? Vuole farci fare un’altra delle sue figuracce per la sua testolina un po’ storta? Fabi guarda Mary con un’espressione strana: sembra la stressa espressione strana che ho visto sia con la fata nel quadro sia col manichino, ma questa volta sembra un po’ più cupa e interessata. Sembra che voglia dare un morso alla chica per sapere che sapore abbia. Deglutisco e mi giro verso Mary. Lei invece sembra essere schifata, forse offesa. Ma che dico? Certo che è offesa, mi offenderei pure io!
“Erm…non pensare alla piccola: non è che parli molto…” sembra capire al 100% ciò che dico e rialza la testa con la solita eleganza che ho visto nel saluto che ci ha fatto. Non so, ma credo che sia un po’ snob…
“Senti Mary, stavo pensando che forse sarebbe meglio se venissi con noi” mostra una faccia un po’ perplessa.
“Si, dato che siamo sulla stessa barca, non vedo perché non dovremmo aiutarci a vicenda. Siamo anche noi in un grosso pasticcio ed è meglio se ne usciamo da qui tutti insieme!” anche Mini sembra essere d’accordo con me. Fabi…lasciamo perdere…ha sempre lo stesso sguardo…solo con una strana luce negli occhi.
“Che ne pensi?”
“Sono d’accordo. Cosa avete intenzione di fare?” mi ha prosciugato l’entusiasmo. Già, in effetti, cosa possiamo fare? Mi giro verso Mini, in imbarazzo. Anche lei ricambia con lo stesso sguardo.
“Erm…non lo sappiamo. L’idea sarebbe quella di muoversi qui attorno e cercare un’uscita. Ma non l’abbiamo ancora trovata…” mi sento soffocare. Effettivamente non abbiamo un piano e nemmeno sappiamo o abbiamo la minima idea su cosa fare e la cosa è…vergonzosa. Mary sembra leggermi nel pensiero.
“Se dobbiamo controllare in giro, io sono già giunta da questo corridoio e non ho visto niente d’interessante. Voi avete visto altre strade?”
“Si, dove siamo andati noi c’erano tre porte: questa qui, una bloccata e un’altra libera. Andiamo ed esploriamo!” Mary annuisce con più forza. Sembra avere fretta. Forse vuole uscire da questo posto il più velocemente possibile e, sinceramente, l’appoggio. Ritornando indietro sia io che Mini fulminiamo Fabi per essere stata maleducata. Lei, in risposta, alza le spalle. Non la capirò mai. Mary ci segue e Fabi va dietro di lei. Ritorniamo nel salone d'ingresso e andiamo verso l’unica porta rimasta.
C’è un altro grande corridoio ma illuminato dal sole dell’alba. Riesco a vedere meglio Mary: è una bella chica, ma non del mio genere. È piuttosto alta, ha le mani poggiate di fronte a sé sempre con quell’atteggiamento da reginetta di prima, viso piccolo, occhi…rossi?
Excusame, ma perché hai gli occhi rossi?” anche Mini aveva notato questa cosa strana e l’aveva chiesta al posto mio. Non è la parte bianca dell’occhio ad essere rossa, non è come gli altri occhi stanchi o stressati con le vene rosse che escono fuori, ma è proprio il centro ad essere colorato con un rojo terribilmente acceso. Mi ricorda il sangue di quel cornudo di Ambrogio. Mary rimane sorpresa dalla domanda e non so il perché. Credo che sia un ‘fantasma’ come tutti gli abitanti di questo posto e penso che era una tipa con un botto di soldi quando era ancora viva.
“Questi? Beh, ecco…è un difetto…di famiglia…si…” dice poco convinta e cercando di aggiustare il cappellino che, in realtà, non si è mosso o sfasciato. Questa non me la dice buona…
Seguro? Ne sei certa?” chiedo. Lei sembra essersi innervosita per questa mancanza di fiducia.
“Ovviamente, intendi dire che non ti fidi della mia parola?”
“No, no…non capivo…lascia stare…” questa qui sembra essere sul punto di iniziare una rivoluzione. Solo perché gli ho chiesto qualcosa. Questi fantasmi sono proprio scemi…
“Mary…è un nome…grazioso…” sia io che Mini fissiamo Fabi che, non so proprio il perché, ha cominciato a parlare. Ha uno sguardo orribile: ora che è buio vedo la sua pelle molto più bianca di come la ricordavo, si vedono dei segni scuri sotto gli occhi, segno di una che non ha dormito o di quando la pelle tira molto sulla carne. Ha un sorriso muerto: i lati della bocca si flettono piano, difficili da notare, non sembra nemmeno un sorriso se non fosse per gli occhi che puntano peligrosamente interessati verso Mary. Non so nemmeno il perché ho guardato le sue mani. Le ossa sporgono. È molto più magra di come la ricordavo, fa quasi…paura.
“Ti ringrazio…” il suo sguardo sparisce subito, quasi credo che non l’abbia visto per davvero, se non fosse per la mano di Mini che mi preme e mi fa capire quanto sia preoccupata. I lati della bocca di Fabi si allargano un po’ di più e i suoi occhi sembrano più sereni, ma la pelle è sempre troppo bianca.
“Una piccola curiosità personale, come saresti arrivata in questo castello? Nel bel mezzo del bosco per giunta!” anche Mary capisce che Fabi ha qualcosa di strano e pericoloso negli occhi.
“Per il lato inverso. Credevo che avrei trovato un altro luogo per entrare e avevo ragione” uno spicchio di fuoco brucia negli occhi di Fabi. Deglutisco.
“Capisco… Quindi sarebbe per il lato inverso, sud… Per quale motivo una bella donna come te girovagherebbe in un bosco, nel bel mezzo del nulla? Siamo in una zona di contadini e i tuoi abiti dicono il contrario ai costumi di questo luogo” Mary sembra essere nervosa. Non so se per gli occhi di Fabi o per la domanda.
“Io… cercavo spiriti… da catturare s’intende…” non credo che dica la verità. Quando ero a suonare nella locanda, spesso parlavo con gli uomini e mi raccontavano di questi cacciatori di spiriti scelti da questa padrona, ma nessuno sa a che servono questi spiriti.
Continuano a parlare per molto tempo, manco fossero petto e camicia. Io e Mini ci guardiamo negli occhi. Non servono parole: cosa cacchio sta cercando di fare Fabi? Quegli occhi erano un segnale di peligro. Non so che ha intenzione di fare, ma la vedo molto grigia… Il corridoio sembra infinito e forse non terminerà mai, secondo me. Stringo la mano a Mini e lei ricambia. Forse sarebbe meglio svegliare Fabi e chiederle se per caso siamo finiti in un’altra trappola o no. Mi tranquillizzo quando vedo una porta in fondo, vicino ad una luz. Què suerte!
Apro la porta.
Una biblioteca. Una biblioteca piccola piccola quanto la mia camera a Barcellona. Cioè: un lunghissimo corridoio senza luci per arrivare a esto?!
Què significa esto?
“Ma che significa?”
“Non lo so, Sanz, ma credo che dovremo dare un’occhiata in questi libri”
Ci giriamo scombussolati verso Fabi, intenta a tenere d’occhio Mary.
Què?!”
“Avete capito benissimo”
“Ma è una palla!”
“Che linguaggio volgare!” ci urla Mary, abbastanza furiosa. Comincia a rompermi pure lei. Fabi fa un passo avanti verso una libreria, prende un libro e comincia a sfogliarlo.
“Smettetela di fare i bambini e cominciate a guardarvi attorno. Sono anche in italiano e alcuni in spagnolo, per fortuna” Mini non è d'accordo, come me.
Pero por chè?!” Fabi chiude di scatto il libro e fa un sospiro arrabbiato. Si gira e ci fulmina, quasi letteralmente. Mini deglutisce e si avvicina a me camminando all’indietro. Ok, si è imbestialita.
“Iniziate a cercare tra i libri, Sanz” sottolinea il nostro cognome come se fosse una parolaccia o abbia detto qualcosa di brutto. Io e Mini ci guardiamo negli occhi: non la faremo più arrabbiare, mai più. Mi ricordo cos’ha fatto ad Ambrogio e mi viene da pensare: potrà fare la stessa cosa anche a noi? Guardo la spada che ha dietro la schiena. Potrebbe accoltellarci se si arrabbiasse per davvero?
“Non incominciate a compiangervi: vi aiuto anch’io se vi è gradito. Voi due potreste iniziare da laggiù e noi, invece, da questa parte” Mary non si è accorta di niente. Meglio così. Faccio segno a Mini di andare nell’angolo delle librerie dove la raggiungo subito dopo. Cominciamo a cercare tra i libri un qualcosa che dovrebbe aiutarci a fare qualcosa che non abbiamo ancora capito.
 
 
 
 
 
Dopo aver trovato e letto a metà un libretto sui diversi autori spagnoli meglio conosciuti, mi stufo del tutto. Faccio un luuuuungo sospiro e mi sgranchisco le gambe. Mini attira la mia attenzione. Mi fa segno di stare zitto e mi fa vedere cosa ha trovato: un grosso librone in spagnolo. Leggo il titolo: Leyendas de todo el mundo, Leggende da tutto il mondo. Mi fa segno di avvicinare l’orecchio.
“…Teniamolo per noi…Se Fabi lo trova non ce lo farà tenere…”
Guardo dietro di me. Mary sta guardando in un libro e sembra chiedere delle cose a Fabi, ma lei sembra più interessata alla mora che al libro che tiene in mano la chica. È molto inquietante
“…Què es…?” sorride. Ha un sorriso molto simile al mio, ma più grazioso a mio parere.
“…Un libro su todo le leyendas che ho visto nel teatro di North e tante altre…è fantastico…!...Posso farti vedere Astrea, Adalwin e Calm…!” sembra contenta da impazzire. L’idea mi piace.
“Sanz” sobbalziamo nel sentire la voce di Fabi “avete trovato qualcosa?” Mini nasconde dietro il suo mantello rojo il librone. Peligro cesado.
“Niente di che, voi?”
“Niente. Sembra che dovremo proseguire, a questo punto” spalanco la bocca: dopo tipo mezz’ora di ricerca di un qualcosa che non so finisce il tutto con un: sembra che dovremo proseguire…?! Questa non la mando giù, ma allo stesso tempo non voglio farla arrabbiare de nuevo, quindi sto zitto e sospiro. Anche Mini fa lo stesso.
“Dove andiamo allora? Non ci sono porte” Fabi alza un sopracciglio, apatica. Indica con lo sguardo dietro di noi. Ci giriamo: una porta. Oh… Non l’avevo visto prima. Anzi, per la verità, non avevo fatto molto caso a tutta la stanza e non avevo guardato molti detalles. Mi rigiro e faccio una faccia da cretino per la figuraccia. Io e Mini ci avviciniamo a loro.
Criiii…
Mi giro verso sinistra: non avevo notato nemmeno quel quadro strano. Ha una rosa rossa con tante spine col paesaje scuro in fondo. Ha fatto un rumore strano non appena mi sono messo davanti con mi hermana. Mi giro verso Fabi e Mary: anche loro osservano il quadro, interessata. Fabi sembra la più attenta tra le due.
Crooo…!
Prendo un colpo. La rosa sembra muoversi dentro al quadro e sembra che esca fuori. Non ho il tempo di guardare nessuno, nemmeno per chiedere qualcosa, che quella cosa anormal si getta su di me con dei tentacoli verde scuro spinosi e svelti. Spalanco gli occhi. Sento i piedi bloccarsi al pavimento. Alla mia destra vedo un movimento: Fabi mi ha spinto verso il lato di Mini. Cado all’indietro. Mi rialzo velocemente. Mini è sconvolta, ha gli occhi bloccati di fronte a sé. La pianta ha bloccato, con le sue spine e i suoi tentacoli, la via e dall’altra parte si trovano Fabi e Mary.
“Sanz!” questo ci risveglia dal panico e ci avviciniamo alla pianta.
Ha completamente bloccato la strada. Guardo in alto: non si può nemmeno scavalcarla. Poggio una mano sui tentacoll. La tiro indietro subito: mi sono punto, getto un urlo.
“Cosa diavolo è successo?” Fabi deve aver sentito il mio grido. Mini mi ha raggiunto e mi sta controllando la mano. Mi fa segno che non è niente: è solo un graffietto.
“Niente, Fabi. Mi sono solo punto la mano”
Esta cosa cos’è?!”
“Prima di tutto, fai calmare tua sorella, mi toglie la concentrazione il suo chiocciare”
Mini è sdegnata e rimane a bocca aperta per poi fare un broncio. Mi viene da ridere, nonostante tutto. Passa un po’ di tempo. Sento Fabi fare uno schiocco con la lingua.
“Credo che non possa fare nulla. Vedete qualche buco da voi, qualche apertura?”
Cerchiamo da ogni lato dei tentacoli giganteschi e spinosi. Io cerco a destra, Mini a sinistra. Mi hermana, dopo qualche secondo, si mette in ginocchio emozionata.
“Fabi, c’è un buco. È grande quanto il mio pugno, non credo che potremo usarlo per raggiungerti”
Mi avvicino anch’io al buco che ha visto Mini e constato anch’io che è piccolissimo e vedo delle spine molto lunghe là dentro. Non credo nemmeno che possa metterci una mano. Dopo un po’ vedo un frammento di viso di Fabi. Mi sfugge un sospiro di sollievo.
“Continuo a credere che non possiamo fare nulla a questo punto” Vedo che si rialza in piedi con lentezza.
“Sentite voi due, dal nostro lato di stanza vedo una porta e dal vostro lato lo stesso, mi pare. Quindi credo che dovremo prendere delle strade diverse a questo punto, se vogliamo proseguire” queste parole mi hanno pugnalato al cuore. Anche Mini fa la mia stessa faccia.
“Non esiste! Non ci separiamo!” sento Mary sospirare. Esta qui comincia seriamente a darmi rogna con questa sua snobbità.
“Pensate attentamente: se non possiamo più congiungerci, allora non possiamo far altro di prendere strade diverse e sperare di rincontrarci!” no, no, no. Non esiste. Non esiste. Se ci separiamo finiamo nei guai (sicuramente io e Mini), e se ci saranno ancora delle trappole? Come potremo evitarle? E poi, chi ci dice che ci rincontreremo? E se ci perdiamo? E se succede un guaio a Mini e io non so come ripararlo, com’era accaduto all’ospedale? E se…? No, no, non esiste. Non existe!
“No! Forse c’è un altro modo per ritornare insieme! Forse si può staccare qualche tentacolo”
Detto questo prendo un ramo gigante. Non riesco nemmeno a stringerlo: punge terribilmente. Mi guardo la mano. È piena di puntini rossi e da questi esce sangue. Il mio sangue.
“No, Al, questo è vero: non possiamo far altro che separarci, per il momento. Io vi sconsiglierei di restare ad aspettarci qui. Chissà che vi succederebbe restando in un solo luogo” Perfecto! Anche Fabi è d'accordo?! Oh, no…
“Ma…ma se ci perdiamo?!”
“Trovate da soli una strada di fuga” dice come se fosse la cosa più semplice dell’universo. Certo che!…no.
“Ma…ma se qualcuno vuole farci del male?!” sento un rumore di metallo che cade per terra ai miei piedi. Guardo giù: il coltello di Fabi. Di nuovo quel rumore. Ho capito: Fabi ci sta lanciando i due coltelli dal buco che abbiamo trovato. Io e Mini prendiamo i due coltelli. Sono molto lunghi e anche belli puliti, nonostante siano già stati usati poco fa. Io e mi hermana ci guardiamo negli occhi: esto què diablo significa?
“Badate a non rovinarli: mi ci è voluto un po’ per togliere il sangue del tuo gorilla furioso, Al…” non ho il tempo di alzare la testa che sento il tonfo di una porta che si chiude.


…uh…?
“Hey, ma…non ci avete mica abbandonati qui?!”
Silenzio.
“Fabi…por favor…”
Ancora niente. Io e Mini ci giriamo di scatto verso le nostre due testa.
Oh, mierda…
Involontariamente abbiamo detto la stessa, identica, estupida cosa.
 
 
 
 
 
 
 
Dopo maledizioni verso i malditi tentacoli, sfuriate, quasi pianti di mi hermana e dopo aver avuto la conferma decisiva che, si, Fabi è stata una gran…lasciamo stare…a lasciarci da soli, ci siamo decisi di continuare da soli.
Al buio.
Stramaledettamente incapaci di capire dove diablo siamo.
Mini si sta preoccupando quanto me: senza Fabi, siamo come senza un super scudo, cioè muertos. Siamo in un lungo e, per fortuna, illuminato con torce rossastre, corridoio. Io e Mini ci rifiutiamo di guardare nelle porte: ci sono solo stanze non molto grandi con un letto sfatto e librerie e…cose simili. C’erano oggetti dei più strani: amuleti, bracciali che non ho mai visto (ho dovuto trattenere Mini, altrimenti gli prendeva tutti, manco fossimo a Pokèmon), anche delle conchiglie e strane brodaglie cucinate da poco. Esto mi fa pensare solo ad una cosa: c’è qualcuno qua dentro.
“Credo che ci siamo persi ufficialmente…”
“Già…”
Non ci sono dubbi: siamo fritti…
“Beh, che facciamo? Consoliamoci un po’!” Ci penso un po’ su. Trovato!
“Guardiamo un po’ nel libro, traduciamolo dallo spagnolo all’italiano!” Io e Mini, molto spesso, ci divertiamo a tradurre i libri e delle frasi dallo spagnolo all’italiano e viceversa. Nessuno sapeva mai per certo che lingua stavamo parlando. Mini sembra super felice di questo, prende il libro nascosto dietro al mantello e cominciamo a vedere le prime pagine: c’è un indice molto lungo. Lo leggiamo un po’, ci sono tantissimi spiriti di ogni luogo geografico. La cosa mi interessa molto.
“Allora… mi ispirano le ‘fate’, tu?”
“Anch’io, forse troviamo anche Astrea!” veramente volevo andare nel capitolo delle fate perché volevo vederne una e capire se sono belle o no, insomma, possono anche essere brutte, chi può dirlo? Questa domanda me la facevo anche da pequeno e ho sempre creduto che fossero belle e piccole. Sfogliamo il libro verso il capitolo sulle fate. Questo libro sembra fatto molto bene: ci sono le figure e non sembra nemmeno troppo vecchio. Quasi tutte le tipe nelle immagini sono muy sexy. Mini comincia a leggere.
“La fata è una creatura leggendaria, presente nelle fiabe o nei miti di origine principalmente italiana e francese ma…”
“Vai avanti: questo lo sapevo anch’io”
Continua a leggiucchiare qualche rigo per conto suo. Io non riesco a leggere bene: è Mini che tiene il libro in mano e sembra che abbia trovato qualcosa d’interessantissimissimo. La sua faccia dice tutto.
Què, què?
Excusame, Al, excusame mucho…” dice fingendo di essere dispiaciuta per qualcosa. Continua a leggere.
“…ogni fata indossa un abito di un solo colore che rispecchia la sua personalità. Inoltre portano gonne lunghissime per coprire eventuali deformità come una parte del corpo bovina o caprina, come code, zoccoli ed alcune persino la testa…”
QUÈ?!” riprendo il libro in mano, con molta poca grazia e rileggo almeno trenta volte quella parte. Non ci posso assolutamente credere. Quando vedrò una fata vera allora controllerò prima se abbia qualche ‘eventuale deformità’, nel caso volessi mettermi con qualcuna di loro. Eppure sembravano così belle…
“…oltre alla vanità e all’egocentrismo che le distingue, sono fortemente permalose ed irascibili, un solo torto può scatenare la loro ira ed il loro dispetto può trasformarle in furie e spingerle a fare maledizioni…”
“Pro memoria: mai diventare il fidanzato di una fata, qualunque essa sia” Entrambi ridiamo. Sono certo che Mini abbia letto questo riquadro per un altro motivo. Lei non vorrebbe mai che io mi innamorassi per davvero di qualcuno. Credo che non le farebbe piacere perché l’abbandonerei o qualcosa del genere. In effetti…nonostante sia stato con molte tipe (di molti paesi europei e non), non ho mai sentito qualcosa che mi facesse attrarre a qualcuno. È un po’ strano, ma è così. meglio per Mini.
“Non fa niente. Guardiamo le streghe!” Anche questo l’ha fatto apposta. Sfogliamo l’indice, troviamo le pagine e ci andiamo. Anche qui ci sono i disegni. Vedo di striscio una befana e una tipa molto carina, ma col naso come se qualcuno le avesse dato un pugno.
“La strega è una figura più o meno mitica presente nella cultura di tanti paesi, popoli antichi e moderni…blabla… Secondo le credenze popolari è una persona ritenuta dedita all’esercizio della stregoneria che possano essere sia benigni che malvagi…blabla…il suo omologo maschile è lo stregone… Questo già lo sapevo! Non c’è niente di nuovo” dice scoraggiata e con un sospiro.
Què c’è poi?”
“Un altro indice con altri nomi di strega. Baba Yaga…Borda…” E continua a parlare e ad elencare nomi. Quasi non ci accorgiamo che i nostri piedi si muovono da soli e continuano a camminare per il corridoio. Ho quasi dimenticato di tutto: Perla, il bosco, Fabi, i tentacoli, Mary…   
“…Bloody Mary…uh…?”
“Bloody Mary?” riguarda con più attenzione il nome.
“Bloody Mary!” sono perplesso.
“Bloody…Mary?!” sono ancora più confuso. Quindi esiste una Mary strega…
“Leggi un po’” ubbidisce.
“Bloody Mary è una strega tipica del folklore del mondo occidentale…”
“Mai sentita…”
“Fammi leggere! Si dice appaia in uno specchio quando il suo nome viene invocato più volte con diverse modalità e che miete le proprie vittime che disturbano il suo riposo nella terza dimensione negli specchi. Mmm… il resto l’hanno strappato ma… Madre de Dios!!!” mi urla nell’orecchio. Per lo spavento ho fatto un balzo all’indietro.
Què què què?!” mi mostra un’immagine della strega. È una tipa coi capelli lunghi legati in una crocchia, un vestito lungo blu scuro, atteggiamento da snob, occhi rossi…uh?
La ririguardo con molta più attenzione. Non ci credo. Non ci credo…
“Al, è Mary. La nostra Mary” dice con uno sguardo scuro.
Passano diversi secondi. Un minuto. Un altro minuto. Il tempo si è fermato. Noi non ci muoviamo. L’immagine di Mary ci guarda con superiorità come per dirci:         Bene bene… Si vede che qualcuno morirà quest’oggi…
“Mini…secondo te Fabi sta bene…?” chiedo innocentemente. Lei ha ancora la testa fissa sull’immagine.
“Io…ecco io…io…veramente…” sento la gola secca, come se non bevessi da giorni. A Mini trema il labbro. Credo che stia per piangere. Anch’io vorrei, ma non ci riesco in nessuno modo. Mi sento crudele, cattivo. Come papa ci dice che siamo veramente.
 
“Sanz, cosa diavolo state facendo?”
“Ci sediamo”
“Siete utili quanto un termosifone nel Sahara…”
“Ma noi non sappiamo fare questa cosa! E se sbagliamo?”
“Potreste almeno guardarmi e imparare…”
 
 
“Non l’abbiamo aiutata a fare nulla per arrivare fin qui…” Fabi non era una mia amica, ma avrei voluto almeno ringraziarla per bene quando aveva dato la lezione ad Ambrogio. Madre de Dios… e io che avevo anche paura che ci facesse lo stesso trattamento.
“Cosa facciamo ora?” questa domanda mi stava per uscire di bocca, ma Mini mi ha preceduto. È vero, ora che non c’è Fabi, cosa facciamo? Che cosa ci accadrà ora? Ci perderemo per sempre in questo castello stregato? Oppure troveremo da soli un’uscita? Mi fa male la testa per tutte queste domande senza risposta. Mi bruciano anche gli occhi, ma non credo che piangerò.
“Io mi rifiuto di credere che sia ancora troppo tardi, Fabi è forte e…e noi la troveremo (forse anche meno malmenata del previsto…) e torneremo a casa!” mi esce un discorso senza né capo né coda. Come diablo riusciamo a trovarla in questo labirinto? E, soprattutto, sarà ancora viva?
“Credi che la vorrà cucinare o qualcosa del genere?” deglutisco: già immagino un calderone strapieno di robaccia verde e con tanti pezzetti di Fabi in mezzo a quel garbuglio. Mi sono sempre rifiutato sul fatto che le streghe mangiassero i bambini, ma ora stiamo parlando di una cierta strega e quindi non so proprio cosa pensare…
“Beh, ecco…non lo so, ma non credo che…WUHAAA!” sono caduto dentro un buco. Non so come abbia fatto a rompere un pezzo di piedra, ma sta di fatto che, mentre mi stavo avvicinando verso Mini, sono caduto dentro e ho sbattuto il fianco destro e un gamba. Sento male, muy mal
Al, estàs bien?!” la sua voce sembra provenire da tutte le parti. È buio e non vedo un granchè, inoltre la testa di Mini blocca la poca luce che c’è in questo buco.
“Mini, dammi una mano!”
“Come scendo?”
“Buttati giù!”
Si butta giù e cade vicino a me, in ginocchio. Le escono delle lacrime e respira con affanno. Provo a rialzarmi, alla fine non mi sono fatto troppo male: solo una strusciata sul fianco. Credo che esca del sangue da lì, infatti sento quel posto troppo sensibile. Anche Mini si rialza e si asciuga le làgrimas. Sulle sue ginocchia ci sono dei graffi.
“Ce la fai a camminare?” annuisce convintissima.
Mi giro un po’ attorno. Non è un simple buco. È un quadrato con una porta in uno dei suoi lati. Mi giro verso Mini, anche lei fa lo stesso. Forse abbiamo trovato qualche pasadizo secreto o qualcosa di simile. Mi avvicino e apro la porta. Un altro corridoio. Sbuffo: questi corredores cominciano a rompermi. Però a questo ne vedo il fondo. Ci sono diverse porte su ogni lato, non riesco a contarle: è troppo buio…
“…ma cosa volevi fare?...La pazza che imita gli uomini?...Ciò che hai fatto è orribile, te l’avevo detto che sarebbe finita male!...” dalla prima porta esce della luce dallo spiraglio. Avevo sentito la voce di una chica arrabbiata. Io e Mini ci avviciniamo curiosi.
“…Diamante, per favore, non è il momento, riportami com’ero prima!...” Perla. Sento la sua voce di bambina da dietro la porta. Guardo dentro lo spiraglio. Non vedo molto, ma riesco a vederla insieme ad un’altra chica coi capelli rosso-castano, molto lunghi, lisci, girata di spalle. Vicino a loro c’è un gigantesco pentolone. Da lì esce uno strano gas blu-azzurro. C’è un’accecante luce giallastra. Mini avvicina l’orecchio alla porta.
“Va bene, ma credimi: Sua Eccellenza s’alternerà molto dopo averti veduta di nuovo” Perla annuisce poco interessata. Si toglie il vestito rattoppato e…scivola nel calderone. Mi avvicino ancora di più alla serratura, se fosse possibile. La tizia coi capelli rosso-castano sembra essere impaciente. Martella il braccio con le dita. Ad un certo punto si alza e si avvicina al calderone. Credo che abbia dato un colpetto alla testa di Perla. Vedo dei capelli rosso fiamma uscire dal calderone e…


Madre…de…Dios…mi divina
“...Al, què succede...?...Al, stai sbavando…!” cerca di farmi voltare. Le faccio segno di stare ferma. Anche se con rabbia mi lascia fare.
Dal calderone non è riemersa più la Perla che conosco. Non c’è più la nina che avevo visto ogni santo giorno da quando sono arrivato qui. C’è una sorta di dea uscita dal calderone. Sembra in tutto e per tutto Perla, soltanto con almeno quattordici o quindici anni. Il calderone sembra essere piuttosto profondo perché è ritornata su a metà corpo, il resto è magia pura.
È nuda.
Completamente nuda, così come la sua mama l’ha fatta e, chiunque sia, dovrei farle i complimenti non appena l’avrò conosciuta per quel corpo. È la prima volta che vedo una chica desnuda, per davvero, per la primissima volta in tutta la mia vita. Sento la fronte colare. Sento che tra poco sprofonderò nel pavimento e diventerò qualcosa simile a gelatina vivente e frizzante. Il suo seno è piccolo, ma giusto alla forma…
…Al, Madre de Dios, que està sucediendo…?!
Mi ha strattonato lontano di pochi millimetri dalla serratura. Allontano ancora Mini, voglio godermi tutto di lei. E chi diablo se l’aspettava una cosa del genere? La sua pelle è come una perla bianca, forse è per questo che si è fatta chiamare così. È argentea con del rosa sulle guance. Si muove un po’, verso la chica arrabbiata. Mi metto le mani sulla bocca per non urlare. Mini ha ragione: sto sbavando e tra poco avrò un’emorragia, me lo sento. Mentre si muoveva, il seno si era mosso un po’… sto sbavando come un cane affamato di…
“Di grazia, chi siete voi e cosa andate fissando?” era una voce di uomo.
Mi giro verso destra, con le mani d’avanti alla bocca e credo che io sia anche tutto rojo in faccia. Sbatto le palpebre almeno cinque volte. Lui alza un sopracciglio con una certa snobbità. Mi esce una risatina da babbeo, proprio come quando papa ci beccava a fare delle cretinate. Mi rimetto in piedi e involontariamente faccio un sorriso da idiota. Credo che anche Mini abbia la stessa faccia. Indietreggiamo, credo che voglia passare, spero che Perla si sia messa qualcosa. Non si muove di un millimetro. Mi fissa come se mi volesse menare da un secondo all’altro.
“Non v’ho mai veduto di codeste parti”
“Eh…?” questo parla male l’italiano, anzi, muy mal. Guarda in cielo, sempre con la sua aria da excèntrico. Ripunta gli occhi su di me.
“Dico: non vi ho mai visto da queste parti, finora” va meglio. Sono ancora un po’ scosso da tutto quello che è accaduto e senza volerlo esito, senza un valido perché. Insomma, què devo nascondere?
“Beh, ecco…stiamo cercando…Bloody Mary e Fabi…” ci fissa come un assassino che aspetta un errore dalle vittime. Credo che ne abbiamo fatto uno. A un certo punto sembra aver capito qualcosa e si incupisce ancora di più. No entendìa.
“Capisco…quindi presuppongo che siate Cacciatori di spiriti, coloro che dovrebbero disseminare l’angoscia ogni ove e flagello tra noi?” mano a mano che parla ci fa arretrare di un passo. Què diablos quieres de nosotros? Tocco con la schiena la pietra grigia. Ci ha fregato. Sopra di noi c’è il buco dove siamo entrati e la poca luce fa illuminare le rughe del loco.
“Senti, noi non vogliamo guai. Facciamo così, amigo: io esco da questo buco con mia sorella e la ragazza coi capelli rossi e ricci e tutti saranno felici e contenti come in Cenerentola e Biancaneve, ok?” mi guarda perplesso: sembra che non creda alle sue orecchie. Pero què…? Si massaggia gli occhi e sospira.
“I costumi non valorizzano la vostra origine, mi pare…”
“Ok…” dice Mini allungando la ‘k’ “bello mio, allora, ci accontenti? Ce ne possiamo andare?” dice con un sorriso teso. Credo che stia facendo la stessa faccia, por chè esto ci guarda scioccato.
“Voi state convinti che io, Tolomeo Fernandez de la Hynoyosa sovrano del Regno delle due Sicilie, lasci veramente due Cacciatori di spiriti a vagabondare e a diffonder mali tra i miei sudditi e colleghi? E inoltre, per di più…”
Amigo, ti faccio i complimenti per il nome e anche per chi te lo ha dato, ma noi non ci capiamo proprio. Non siamo Cacciatori di spiriti. Beh, si, gli ho sentiti nominare qualche volta, ma credimi: non lo siamo. Siamo finiti qui per sbaglio, perché stavamo cercando una nina (anche se ora è una chica…) che si era persa nel bosco, ma poi siamo stati rinchiusi qui e non sappiamo più come uscirne. Anzi, senti un po’: aiutaci pure, così ce ne andiamo più in fretta e saremo tutti felici come sempre!” sto allargando il sorriso meno convincente che io abbia mai fatto, ma questo non sembra che voglia collaborare: ci guarda increduli, come se lo prendessimo in giro. Forse lo crede veramente…
“Sappiate che l’unico motivo per cui vi lascio ancora in vita è perché trovo il vostro ridicolo lessico moderno insolitamente divertente” ci metto un po’ per assimilare tutto e…uh…?
Què?!” guardo Mini negli occhi: seriamente, què dijiste antes?Mi esce fuori una risatina nervosa.
“È…uno scherzo?” scuote la testa, serio.
“Temo di no” credo che dica per davvero. Sia io che Mini continuiamo ad avere questa faccia da idioti sorridenti.
“Ok…allora noi ce ne andiamo… Al, c’è una scala o…un trampolino…?”
“Temo proprio che dovrei fare velocemente, in modo da non fare uscire troppe urla dalle vostre gole…”
No importa, Mini, fai una scaletta con le dita: io salgo su e poi ti tiro lassù anch’io”
“No, no…prima tu fai la scala”
“Mini, por favor…”
“Insisto!”
“Mini…” continuiamo ad avere queste brutte facce tese e se Mini è per davvero il mio specchio, allora ho uno sguardo horribles.
“Voi due!” il tizio ha lanciato un urlo. Ci giriamo verso di lui. Come pensavo: è arrabbiatissimo. Perché non l’abbiamo ascoltato o forse…no, sento la mia testa vuota.
“Faremo in codesta maniera: prima prenderò tra le mani il tuo collo…” guarda Mini. Non so come, ma i suoi denti stanno lentamente crescendo. Si stanno affilando ed escono da sotto le labbra. Ho paura…Dov’è Fabi? “…e dopo aver concluso il primo piatto con te, passerò al tuo, presumo, fratello e alla fine…” Mini batte i denti, io sto tremando e ci rannicchiamo senza volerlo verso il pavimento. Ci esce dell’aria dalla bocca. Ayuda
“…visto che mi avete alleviato il cuore con le vostre battute, mi sembra lecito ripagarvi com’è giustizia: farò in modo che non sentiate nulla” parla come se stesse descrivendo il modo in cui si costruisce una navicella spaziale. Alguien nos ayude… Comincia a piegarsi vicino a noi, soprattutto vicino a Mini. Ora ho capito.
Ah! UN MALDITO VAMPIRO!!!” urlo indicandolo. Il tizio sembra essersi spaventato e arretra stringendosi le orecchie. Mi sono uscite fuori delle note acute e stridule e credo che siano state penetranti. Sento una porta che si apre e si rinchiude.
Voi! Cosa date facendo?!”
Perla. La mia Perla.
“…Estamos a salvo…” dice Mini battendo i denti. È sbucata fuori la Perla che ho visto quando è uscita dal calderone. Ha un vestito azzurro che sembra costare dieci volte più di me. E io valgo anche un bel po’!
Voi?! Come utilizzate il linguaggio, cagna!” meglio che se la prenda con Perla che con noi...se non fosse un vampiro gli frantumerei il cranio con un pugno per come l’ha chiamata.
“Non è un nemico! Anche lui si ritrova in questo mondo per errore!”
“E come lo sapete?!”
“Questo giovine è mio amico!” l’ha detto senza esitazione e Perla non parla a vanvera quando dice quella parola. Il tizio sembra non crederle. Madre de Dios, credile…
“Possedete prove concrete di ciò che afferma codesta fanciulla?” non ho capito una mazza.
“Vuole sapere se è vero quello che ho detto e se hai…qualcosa che glielo confermi…” mi spiega paziente. Non mi sono mai accorto che la sua voce è così dolce. Mi viene un’idea.
S-si, es cierto! G-gua-guarda qu-qui!” prendo dalla cintura la collana di Perla. Lei sembra sorpresa di vederla. Il tizio la prende in mano. I suoi denti stanno ritornando velocemente com’erano prima. Fiuuu…! La gira è la rigira fra le mani. Annuisce fra sé e sé.
“Ammetto di aver avuto torto. Spero che accettiate il mio perdono per ciò che è accaduto” dice, ma non sembra per niente dispiaciuto. Spero di non rivederlo più esto aquì. Perla ci aiuta a rialzarci.
“Un momento, prima devo prendere una scala per tornare al primo piano. Tutti devono sapere che ci sono altri mortali in questo mondo!” dice mentre se ne và alla ricerca di una scala. Dopo aver sentito la parola ‘mortale’, il tizio ci ha lanciato uno sguardo perplesso. Ricambiamo con un sorriso da idioti.
 
 
 
 
 
 
Espera…quindi tu…sei un vampiro?”
“Esatto…ma non ne vado fiera…”
“Ah…e quindi tu, in realtà, avresti questo aspetto, ma prima non ce l’avevi por chè quei delinquentes, che ti avevano picchiata la prima volta, ti avevano trasformata in una bambina per acchiapparti meglio?”
“Esatto ancora una volta”
“E…ora…por chè tutti ci guardano così…?” ogni volta che butto un occhio da qualche parte, vedo solo spiriti di tanti tipi e non solo belle fatine, ma anche altri generi che, juro, non ho mai visto prima. Oltre che sono dei veri chiacchieroni: sento voci ovunque e mi tamponano la testa in una maniera incredibile. Non che ci fissano male, anzi, sembrano felici di sapere che non siamo pericolosi, ma è un po’ imbarazzante avere tutti questi occhi che ti fissano come se fossi un animaletto dello zoo.
“Sono lieti di sapere che non siate dei Cacciatori di spiriti e che vi siano anche altri mortali oltre ai due bambini trovati tempo addietro…”
Què?! Ci sono dei bambini come noi?! Per caso sono un maschio e una femmina e si chiamano Leo e Niki?”
Tutti gli spiriti smettono di parlare e ci guardano meravigliati. Non so perché l’abbiano fatto, ma mi sento nervoso. Non riesco a distinguere bene chi sia chi: ci sono troppi occhi e troppe facce strane. Non capisco perché ci fissano come se avessimo detto l’Ave Maria al contrario. Vedo qualcuno uscire dalla massa. Lo riconosco: è il vecchio della locanda. Ci fissa felicissimo, sembra che sia stracontento di vederci.
“Hey, io vi conosco! Siete i due che c’erano alla locanda ieri sera!” alla parola ‘locanda’, alcuni spiriti hanno cominciato a fulminare il vecchio con lo sguardo. Solo ora noto che ha un boccale di birra in mano. Si gira attorno notando tutte quelle facce brutte.
“Beh, che c’è, gentaccia? Di nuovo con questa storia che non posso uscire da questo postaccio perché è troppo pericoloso? Ritornate nelle vostre tane e morite laggiù, cagnacci rabbiosi! E adesso fatemi passare, questi qui devono venire con me! Ah, comunque ragazzi, io sono Joe, il Vecchio Joe!” si sentono delle lamentele, ma non molte. Alla fine il vecchio passa in mezzo alla folla, zoppicando, e ci tira per un braccio. Dopo diverse svolte e risvolte, siamo arrivati in cima ad una torre. È parecchio alto da quassù: quasi quasi ho le vertigini!
Il cielo è bianco, non si capisce se pioverà o no. Sotto di noi si vedono diverse bancarelle colorate, come se fosse un allegro mercatino. Da sotto gli spiriti si muovono eccitati e in varie direzioni. Credo che ormai tutto il castello sappia che ci siamo anche noi qui.
“Allora, bel panorama, eh? Beh, sarà anche bello, ma io lo trovo troppo noioso. Preferivo stare nel Regno di Halloween, almeno lì c’era la birra!” fissiamo sbalorditi di sotto. Alcuni spiriti addirittura si muovono volando e altri sono o piccolissimi o altissimi, altri grossi e strani e altri ancora sembrano degli esseri umani come noi. Non ho mai visto tanta gente con così tanti colori.
“Sentite voi due, prima di portarvi da Jackie e farvi delle domande, dove diavolo è finita la vostra amica biancastra?” alzo la testa verso il vecchio. Ora mi ricordo di Fabi.
“Senti, non lo so, credo sia con Mary e…”
“Mary? Quella pazza?! Ma che diavolo credeva di fare Jackie?! Voi due: credo che quella lì creda ancora che la vostra amica sia un Cacciatore, così chiamiamo coloro che vogliono catturarci, e credo che stiano ancora girando a vuoto per il castello. Ah, ecco Jimmy! Vecchio mio, eccoti finalmente!”
Ci giriamo. Non l’avevo notato, ma c’è un tizio con un lungo mantello nero dall’altra parte della torre che guarda sotto di lui. Ci avviciniamo insieme a Joe. Anche se l’ha chiamato ‘vecchio’ non lo sembra per niente: avrà al massimo trentacinque anni o giù di lì. Ha un cappello che gli copre la testa e quasi tutta la testa, l’unica cosa che vedo è po’ di barba nera. Sembra felice di quello che sta guardando là sotto.
“Jimmy, eccoti qua! Ti devo chiedere una cosa…” e continuano a parlare allontanandosi da noi. Io gli ignoro. Sono concentrato su quello che ha visto il tizio col cappello. Stava fissando i piedi di una torre: vedo due spiriti grigi scuri, non vedo muy bien cosa sono, che trasportano malamente una persona piuttosto piccola in confronto a loro e se ne vanno dentro la torre.
“Cosa?! Che ha combinato quella pazza?! Peccato… Era la mia preferita!” alzo la testa insieme a Mini che stava guardando insieme a me la strana scena.
Que succede?” chiediamo in coro. La faccia del vecchio sembra pensierosa. Si avvicina a noi, senza zoppicare. Con una mano mi tocca la spalla sinistra e con l’altra la spalla destra di Mini. Sembra che stia per dire qualcosa di grosso.
“Ora rispondetemi velocemente: quanti anni avete?”
“Tutt’e due quindici, siamo gemelli” Joe deglutisce.
“Capisco… Credo che siate abbastanza grandi per capirlo…ecco… La vostra amichetta…come si chiamava?” chiamava…? Perché lo dice al passato…? Oh, no…
“Fabiola…”
“…Cristo, anche il nome era carino…” dice fra sé e sé “Sentite, per farla breve, non credo che ce l’abbia fatta” scuotiamo la testa insieme. Non capiamo.
Què…?” sembra aver perso la pazienza.
“Accidenti, non rendetemi difficile il compito! Insomma, la vostra amichetta è…dai, Mary doveva per forza impicciarsi in queste cose?! Insomma, come vi stavo dicendo…”
“È morta” non me ne ero accorto, ma Jimmy si è fatto avanti e ci ha detto questo. Guardo Mini, le brillano gli occhi e se le brillano gli occhi, allora sta accadendo esto anche a me.
“Jimmy! Potevi essere più delicato! Hai appena sputato in faccia alla loro infanzia!” le escono le lacrime agli occhi, anche a me. Ci abbracciamo e cominciamo seriamente a piangere. Buttiamo per aria un sacco di urla.
 
“Què he hecho?!”
“N-noi…i-io…”
“Què he hecho?!”
 
Què he hecho?!” continuiamo a piangere. Mini affonda la testa nel mio collo, io nei suoi capelli. Cosa dirò a Leo, quando vorrà sapere di sua hermana? Cosa dirò a quel mezzo gay di Gianni? ‘Oh, mi dispiace Gianni, ma tua cugina è morta perché non le siamo stati abbastanza vicino per proteggerla da una strega cattiva!’. Mi bruciano gli occhi.
“Sentite ragazzini, non fateci un lamento funebre: non è stata colpa vostra” Mini si allontana dal mia collo. È un po’ roja in faccia e cerca di cacciare all’indietro le lacrime.
“Hai…hai ragione…non…non è…non è colpa nostra…”
“Infatti, ragazzi…”
“È colpa di Mary!” esce una furia dalla gola di Mini. Anche se un po’ stordito, riesco a capire ciò che dice.
“Ma che…?”
“Per tutta questa storia dei ‘Cacciatori’ e che noi eravamo ‘pericolosi’ e tutte quelle mierde, l’avete ammazzata!”
Mini è furiosa, Joe sembra confuso, forse per la birra, Jimmy sembra non importare ciò che ha detto mi hermana. Penso ad una cosa. Mini aveva ragione: non è colpa nostra, è colpa loro. Loro l’hanno uccisa, loro volevano fare questa roba e loro… Voglio vederla. Anzi, voglio sapere cosa le hanno fatto. Voglio vedere se le hanno fatto del male o forse le hanno dato una forte botta in testa e l’hanno ammazzata velocemente.
“…Voglio vederla…”
“Eh…?”
“Voglio vederla! Voglio vedere il suo corpo! Voglio vedere cosa le avete fatto!!!” anche Mini si unisce al mio coro. Credo che Joe si stia spaccando i timpani, perché si preme le orecchie con entrambe le mani.
“State zitti! Va bene, mocciosi, vi porto da un corpo morto, basta che state zitti! (diavoli, Leo e Niki, anche se più piccoli, non fanno questi capricci!)” detto questo finiamo di urlare e di piangere e Joe acconsente con la testa di portarci da Fabi o da ciò che ne rimane. Siamo soddisfatti. Il vecchio si avvicina a Jimmy.
“Jimmy, andiamo nei sotterranei, prima che questi due ricomincino a piagnucolare!”

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Capitolo 18
*** Morta ***


Jackie stava riposando sul divano, nella sua tipica posizione a testa in giù e nel frattempo ficcava in bocca dei cioccolatini, questa volta non fatti fa lui, ma dai bambini. Ricordava che nel pomeriggio aveva voluto insegnare ai piccoli come si facevano i dolci. Entrambi si erano divertiti e avevano capito, anche se al secondo tentativo, come si facevano i cioccolatini al cacao nero e fondente. Niki ha voluto regalargli i migliori che aveva fatto. Decisamente: adorava quei due mostriciattoli. Qualcuno bussò. Non si scomodò nemmeno di alzarsi o di migliorare la sua postura.
“Avanti” entrò Will, con un sorriso serioso, tipico di lui.
“Questa volta hai bussato. Era ora!” Will rise sommessamente ed entrò nella stanza chiudendo la porta dietro di sé.
“Però tu sei ancora seduto a testa in giù! Non hai intenzione di cambiare nemmeno un po’?” Jackie scosse, sorridente, la testa.
“Nemmeno un po’” Will si avvicinò a lui.
Jackie sapeva che l’altro nutriva per lui un affetto quasi fraterno. Gli era eternamente grato di essersi preso cura di lui da quando si era perso per le strade di Londra fino a quel giorno. Sapeva che Jackie era gentile e prudente verso chiunque, ma non poteva fare a meno che nutrire una profonda simpatia verso di lui. In effetti, nessuno non riusciva ad avere l’amicizia dello Spirito di Halloween. Will O’Wisp si sedette vicino a lui sul divano e incurvò la testa verso il basso per guardare negli occhi colui che quasi considerava un fratello maggiore.
“Fammi indovinare: vuoi dirmi qualcosa di importante?” Will esitò prima di aprir bocca.
“Mary non dovrebbe essere già tornata?” Jackie incurvò le sopracciglie, si rimise a testa in su.
“Non è ancora tornata?” Will scosse negativamente il capo.
“A mio parere dovresti controllare dove sia” Jackie lo guardò scocciato, prese un cuscino e, dopo essersi sdraiato di nuovo sul divano, lo mise sotto la sua testa.
“Non ha bisogno del mio aiuto: è una donna forte e credo che stia bene. È solo un breve ritardo, tutto qui” Will lo fissò per pochi secondi. Jackie notò la sua preoccupazione.
“Jackie… Ma sei certo di amare per davvero Mary? Oppure è solo un tuo capriccio?” il giovane uomo lo fissò accidioso.
“Cosa stai dicendo, Will?” il suo tono rude quasi preoccupò il ragazzo dai capelli viola.
“Mi chiedevo… se qualcun altro oltre a te fosse interessato a Mary Ann, cosa faresti?” Jackie mostrò uno sguardo di disappunto.
“Che vuoi dire?”
“Era… solo una curiosità…”
“Beh, credo che chiarirei le cose con ‘quell’altra persona’, prima con le parole poi, se diventasse insistente, beh… Credo che userei altri sistemi…” disse l’ultima frase irrigidendo un pugno. Jackie in realtà a prima vista sarebbe parso un giovane uomo non molto forte. Era alto, magro, era muscoloso, si, ma non troppo. Preferiva parlare piuttosto che usare i muscoli (metodo quasi sempre efficace) e non aveva mai alzato un pugno su qualcuno. Per questo Will rimase sorpreso nel sentire ciò e una certa ansia lo avvolse.
“Capisco… Ma se fosse Mary Ann a scegliere un altro uomo oltre a te, cosa faresti?” l’altro rimase con la bocca socchiusa, indeciso se prendere parola. Dopo diversi secondi di attesa, parlò.
“Io… non saprei… credo che… beh… potrei fare una pazzia, credo. Mi sentirei talmente male da volermi autodistruggere. Mi è già capitato una volta e non la dimenticherò mai” guardò Will, era pallido e i suoi occhi erano spalancati in un’espressione vuota “Ma non ti devi preoccupare: nessun’altro è pazzo quanto me da volere una donna come Mary Ann Stewart! Credo che non accadrà mai una cosa del genere” disse allegro, nonostante Will non sembrasse convinto minimamente da ciò che disse.
“Non la vorrai per caso solo per quel sogno?” Jackie scosse la testa.
“No, la volevo anche prima che feci quel sogno”
“Hai sognato anche stanotte?”
“Già… e la notte prima… e la notte prima ancora…”
“Sono anni che fai quel sogno, è sempre lo stesso?”
“Si. Mi ricordo che nel sogno c’ero io che conducevo di fronte ad uno specchio una donna o una ragazza. Lei si siedette vicino allo specchio, che non ritrae la sua immagine, mi porse una spazzola e, senza alcun cenno o parola, cominciai a spazzolarle i capelli. Mi sentivo rilassato quando lo feci. Quando finii, la figura femminile mi parlò per la prima volta”
“Cosa ti disse?”
“Non lo so, non me lo ricordo, così come non ricordo l’aspetto della ragazza o della donna a cui stavo passando la spazzola i capelli. Ma ricordo che dopo aver pronunciato quelle parole, mi sentì sorpreso e infelice. Non so il perché…” Will si avvicinò ancora di più a Jackie.
“Non sarà mica un messaggio di Sandman?” Jackie corrugò la fronte.
“No, gliel’avevo già parlato ancle prima di venire su quest’isola: aveva detto che, si, era la sua sabbia a donarmi questo sogno, ma era probabilmente un sogno premonitore e mi disse che quella donna o ragazza che vedevo nel sogno sarebbe stata molto importante per me” Will lo fissò intensamente.
“Beh, dubito che sia Mary, visto i suoi nuovi capelli corti. Non riuscirai mai a spazzolarle i capelli, come nel sogno!” Jackie rise di gusto.
“Hai ragione, che rimanga tra noi: ho detto io a Niki di tagliarle i capelli…” Will rimase sconcertato.
“Tu?!”
“Oh, yes!” disse annuendo più volte. A Will scappò un sorrisetto.
“Cosa dirà quando lo scoprirà?”
“Come minimo vorrà uccidermi, quindi è meglio non farne parola con nessun altro, intesi? Altrimenti sarai un uomo morto prima del prossimo tramonto…” l’ultima frase la disse alzando il busto verso l’altro e facendo uno sguardo minaccioso. Subito dopo sul suo viso comparve un sorrisetto, seguito da quello di Will. Jackie era morto a ventisei anni, Will a ventidue. Le loro date di morte erano a quasi trent’anni di differenza. Will cominciò a ridere di gusto. Nonostante avesse l’aspetto di un ventenne, quando rideva il suo volto diveniva simile a quello di un bambino, lo stesso anche quando sorrideva. Non smisero subito di ridere.
“Allora, che ore sono?” Will passò la mano nella tasca interna del suo completo e tirò fuori il suo orologio da taschino.
“Quasi le dieci del mattino. Mary non è ancora tornata…” Jackie mise una mano dietro le spalle del ragazzo e cominciò a punzecchiare la sua pancia con le stesse dita.
“Forse hai ragione, dovrei preoccuparmi per lei. Beh, ci vediamo, vado a cercarla. Ah, si, quei cioccolatini sono miei e di nessun altro, capito?” detto questo si alzò, scompigliò amichevolmente i capelli violetti del ragazzo e uscì a cercare la donna.
Non seppe che Will, dopo che se ne fu andato la persona che desiderava tanto che fosse stato suo fratello maggiore, mise la testa fra le mani premendo debolemente le dita sugli occhi. Per fortuna ricordò la frase che diceva sempre suo padre: Solo le donne possono permettersi di piangere. Gli uomini invece non hanno questa fortuna, nonostante il Signore ci abbia donato le lacrime. Ricordati di queste parole, William.
 
 
 
 
 
 “È  una gradevole vista”
Giunsero sopra ad una torre dopo una decina di minuti di mutismo. Dopo aver salito tante scale, insieme ai lamenti della donna, e arrivarono fin lì. Mary si sporse e guardò sotto di sé. Si decise di togliersi quel ridicolo cappellino e i suoi capelli vennero spettinati da una leggera brezza autunnale. La bambina era dietro di lei, l’ultima ad aver salito le scale.
“Credo che siamo capitate sopra ad una torre. Probabilmente abbiamo sbagliato strada. Cosa ne pensi?” Sporse lo sguardo per controllare se qualche spirito avesse deciso di uscire allo scoperto troppo in fretta.
“Penso che in verità non è del tutto esatta la tua affermazione” alzò il busto. Sentì una certa inquietudine, sperò che non avesse capito, forse in parte.
“Come?”
La bambina posizionò la punta della spada contro la sua schiena. Sentì le ossa della colonna vertebrale attraverso il metallo dell’arma. Ebbe un sobbalzo e guardò dietro le spalle.
“Ma che cos…?!”
“Guarda di fronte a te. All'istante” ubbidì. Aveva compreso. L’aveva sottovalutata. Will aveva ragione: quella ragazzina non era così stupida come credeva. Aveva dovuto ascoltarlo. La punta di ferro si allontanò leggermente dalla schiena, ma sentì ancora il suo freddo metallo scendere lungo la spina dorsale.
“Perfetto. Poggia le mani sulla pietra” ubbidì anche a questo comando. Era molto più prudente capire cosa volesse farle.
“Molto bene. Ti consiglio di non muoverti, ragazzina” la sdegnò il modo in cui la interpellò. Guardò sotto di lei: non c’era nessuno, per fortuna. Il cielo era una gigantesca coperta completamente bianca. Quel colore cominciò ad infastidirla. Non sentì più la lama sulla sua schiena. Cominciò ad innervosirsi per il lungo silenzio. Ebbe un sobbalzo: la bambina le stava tastando il corpo, sotto al seno, con una certa lentezza nei movimenti. Si morse il labbro per non maledirla. Le mani andarono fin sotto al bacino e seguirono le curve della gonna. Lasciò un sospiro di sollievo.
“Silenzio” sentì l’aria mancarle. La voce di quella bambina sembrava troppo dura, troppo vile per provenire da una creatura così piccola, eppure giungeva senza dubbio dalla sua gola. Sentì le sue mani afferrare qualcosa. Deglutì. Sapeva cosa aveva preso.
“Nascondere oggetti fra le pieghe delle gonne è un’arte troppo adoperata per non conoscerla” sentì le sue piccole dita divertirsi con il vetro della boccetta.
“Dimmi un po’: cosa sarebbe questo liquido?” passò la lingua fra le sue labbra. Le sentiva terribilmente secche in quel momento.
“Per…per…è un profumo” disse cercando di essere più convincente possibile, fallendo. Ha sempre avuto una certa incompetenza nel mentire, cosa abbastanza insolita da parte di una strega.
“Che bello…un profumo…” la sentì sospirare, non di scoraggiamento, ma con un umorismo crudele, utilizzato anche nelle parole. Era più che certa che stava sorridendo “Ma che bella bambina… un profumo… Nascosto tra le pieghe di un vestito, ovviamente. E, ovviamente, per una felice scampagnata tra i boschi” rise. Una risata secca e squarciata. Chiuse per pochi secondi le palpebre. Non sapeva quando agire e come evocare il Libro in modo discreto. La risata cessò, un sollievo per le sue orecchie.
“Ma è chiaro! Come ho potuto non pensare ad una cosa del genere? Immagino che dovrei credere alle tue parole. Immagino che questo profumo servisse a qualcosa di specifico. Ma ricostruiamo bene gli avvenimenti: una bella ragazza di…quanti anni hai?”
“…Ventidue…” nonostante i due secoli trascorsi da spirito, lei si è sempre sentita una ventenne e se a quest’età era morta, allora anche nella sua seconda esistenza avrebbe avuto la stessa età. Voleva capire che cosa voleva dire la piccola carogna.
“Una ragazza, molto bella, di ventidue anni, una dolce e affascinante bellezza inglese, immagino. Che carina…” trattenne il fiato quando sentì la pericolosa lama di ferro attraversarle la schiena giungendo vicino al collo, sollevandole i capelli e accarezzandole la nuca.
“E questa ragazza si trova, di notte, ad attraversare un bosco. Chissà per cosa…?”
“Te…te l’ho detto…gli spiriti…devo catturarne altri…”
“Certo certo… Quindi sarebbe il tuo primo lavoro, imposto dalla tua padrona, giusto, fantasma?” Fantasma…?  “E probabilmente il tuo secondo lavoro, quello tra i boschi, sarebbe quello di fare compagnia agli uomini di alto rango durante le belle notti d’autunno e d’estate?” capì ciò che intendeva. Spalancò la bocca, umiliata nel profondo. Si voltò. Come immaginava: aveva un sorriso ingenuo e al tempo stesso disumano.
“Non affermare che io…!” si fece seria in punto in bianco. La lama premette contro la pelle del collo. Sicuramente non sgorgava sangue, ma si sarebbe visto soltanto della carne cruda e rossastra.
“E come vorresti spiegare la presenza di questo profumo? Dì la verità: bisogna piacere al proprio amante, durante la passata notte di luna piena, e perché non provare per quella sera un dolce profumo di rose per farsi amare ancor di più? E perché non del profumo preferito del proprio compagno?” strinse tra i pugni la gonna, quasi sul punto di strapparla. Era la conversazione più umiliante a cui abbia mai partecipato. E il peggio era che fosse una bambina ad avvilirla in quel modo. Senza volerlo aprì la bocca.
“Era un insulso veleno per eliminarvi!” troppo tardi si accorse di aver detto troppo.
Aveva intenzione di farla girare ancora per molto in quel posto, in modo che potesse affamarsi. Dopodichè, l’avrebbe condotta verso una sala da pranzo, piena di alimenti di ogni genere. Avrebbe chiesto quale cibo avrebbe voluto la bambina e così, mentre gliel’avrebbe consegnato, avrebbe aggiunto qualche goccia di liquido trasparente all’interno del pasto. Era semplicissimo: il veleno avrebbe agito dopo pochi secondi, era una fine anche molto tragica, dato che il corpo si sarebbe contratto in cerca del liquido da gettare fuori e, dopo alcuni strazianti secondi, la bambina avrebbe esaltato il suo ultimo respiro, incosciente di ciò che le fosse accaduto. Poi avrebbe serbato lo stesso trattamento per i due gemelli spagnoli. Non si aspettava tutto ciò. Non si aspettava che fosse lei stessa a rivelarle il piano.
La disgraziata la fissò per quelli che per qualsiasi altra creatura fossero pochi secondi, ma per lei due infiniti millenni.
“Ne sei certa? Questa sarebbe anche un’ottima giustificazione per non ammettere un peccato che avresti commesso anche in vita” sentì le sue stesse dita affondare nella carne. Inaspettatamente la bambina le porse la boccetta di vetro.
“Bevi. Così capiremo cos’è” sbattè ripetutamente le palpebre. L’aveva fregata, se si vuol affermare modernamente ciò che pensò Mary. Non la prese in mano.
“Ma…è…è…no…” quest’ultima parola lo disse con sicurezza. Non aveva intenzione di provare il veleno che lei stessa aveva preparato. La canaglia la fissò per altri secondi, mise la boccetta all’interno della borsa che aveva dietro il bacino. Annuì fra sé e sé.
“Capisco… Beh, ragazzina, credo che non ci rivedremo mai più. Sei un grosso ostacolo e, francamente, aspettavo con ansia un’occasione per eliminarti” disse con una naturalezza quasi innaturale e giocherellando con la spada, distrattamente.
“Come, prego?” la ignorò.
“C’è una modesta altezza di dieci metri qui. Non sarà difficile buttarti giù da questa torre”
Assottigliò gli occhi, questa volta avrebbe agito lei per prima. Tese le mani di fronte a sé per evocare il Libro. Questa sarebbe stata l’occasione giusta per tagliarle la gola e farla tacere.
In meno di un battito di ciglia, o almeno così sembrò alla donna, la bambina sfoderò la spada e le incise profondamente i palmi di entrambi le mani. Il dolore era assordante. Rimise le mani a pugno: tenere i palmi aperti significherebbe altro dolore.
“Addio, Mary” non ebbe il tempo di alzare il capo che la disgraziata le dette un calcio del tutto inaspettato, sia per la forza che per la velocità. Inciampò nella sua stessa gonna nel tentativo di bilanciarsi nel rimanere in piedi. Sentì le vertigini quando si rese conto di cadere nel vuoto. Cercò di prendere la fredda pietra della torre e vi riuscì. Annaspò per la sorpresa e per i dolori ai palmi spalancati delle mani. Si sorprese ancor di più quando vide la stessa ragazzina che l’aveva spinta dal bordo della torre, con lo sguardo apatico e anche un po’ crudele. Che umiliazione… Lei, Bloody Mary, battuta da un mortale, anzi, non era nemmeno una mortale, ma un fantasma. Uno sciocco fantasma bambina vestita di bianco. Che umiliazione… La spada vibrò vicino alle sue dita. Colpì il dorso della mano sinistra con molta forza e Mary non riuscì a far altro che ritirarla. Guardò di nuovo negli occhi la bambina: la osservava come un gatto che fissa la sua preda. La lama si alzò ancora una volta. Non sapeva cosa fare. Non poteva evocare il Libro: aveva bisogno di entrambe le palme delle mani e in quel momento non riusciva a pensare nemmeno alla formula da pronunciare. Era davvero una brutta situazione. La lama tagliò anche l’altra mano. Lasciò la presa e cadde nel vuoto. Sentì un capogiro e chiuse le palpebre, meglio non vedere la faccia soddisfatta di quella delinquente.
Qualcosa fermò la sua caduta. Qualcosa che la prese per le gambe e sotto la schiena. Alzò lo sguardo. Due occhi profondi e neri la fissavano preoccupati con fiammelle rosse incastrati nelle iridi. Le salì ancor di più l’indignazione.
“Jackie! Ma cosa diamine…?!” posò un suo indice con delicatezza sulle labbra. La mise a terra e la condusse lontano dal campo visivo della bambina, intenta a vedere la scena.
“Ma che carini… Hai portato qui anche il tuo fidanzato…” la sentì da lontano. Provò ad aprire le mani per evocare il Libro, nulla. Il dolore era troppo acuto per essere ignorato. Si accorse solo dopo dello sguardo di Jackie: era arrabbiato, oh, si, se era arrabbiato. Cosa che non accadeva mai a lui e se accadeva era meglio stargli lontano: poteva diventare un fuoco incontrollabile quell’uomo. Lui avvicinò le labbra al suo orecchio.
“…Non saprà nemmeno chi sia stato…Non mi vedrà nemmeno in faccia…” le sussurrò velocemente, prima di iniziare ad arrampicarsi per la torre. Lo seguì con gli occhi per poco. Cominciò a correre dall’altro lato del castello, dove aveva visto una porta che conduceva verso la torre dov’era caduta. Prima di varcare la porta guardò dietro di sé. Jackie continuava a salire la torre e la bambina cercava con lo sguardo uno di loro.
Prese i bordi della gonna e, con molta velocità, cominciò a correre, probabilmente per cinque minuti, forse dieci. La bambina sarebbe comunque morta in pochi minuti.
Con le mani doloranti, la gonna leggermente rialzata e una scalinata stretta e buia, cominciò la salita verso la seconda torre, quella più vicina. Pensava a Jackie, non perché dubitava della sua forza, ma sul perché fosse giunto in suo soccorso. Probabilmente era preoccupato per lei e avrà voluto seguirla in silenzio per controllare che tutto fosse andato per il verso giusto. Sentì l’umiliazione scorrerle nelle vene all’idea che lo stesso Re di Halloween abbia visto il fallimento della sua missione, ma allo stesso tempo era grata di ciò. Però sapeva che era sbagliato: avrebbe dovuto dirglielo prima o dopo. Sarebbe stato doloroso per entrambi ma avrebbe dovuto…
“…come…osato…fare…mia…donna…!” Jackie. Senza dubbio era lui. Furioso, per giunta. La cosa la terrorizzava nel profondo.
Superò le scale. Continuò per il buio corridoio. Voleva la rivincita per ciò che aveva fatto a lei quella piccola stupida. Stupida per essere stata così tanto avventata, stupida per aver creduto di superare uno spirito, stupida per essersi messa contro di lei, Bloody Mary, la Strega negli Specchi. Arrivò infine alla torre. Dovette soltanto ripercorrere un’altra scalinata e dopo sarebbe giunta. Cominciò a percorrere i primi scalini. Ignorò i suoni di battaglia e riuscì a vedere in tempo ciò che stava accadendo.
La bambina sembrava stremata, ma i fendenti che lanciava verso Jackie erano molto veloci e calibrati, pareva come se conoscesse da sempre come uccidere. Jackie era velocissimo e aveva ragione: probabilmente non sapeva nemmeno cos’era e spintonava la bambina salendo e scendendo per la torre e il tetto di legno. Era decisamente troppo rapido per essere preso da un fendente. Vide appena in tempo qualcosa che le fece gelare il cuore: la clandestina, vedendo la velocità dei movimenti del suo avversario, riuscì ad anticiparlo e, mentre l’altro era preso in contropiede, afferrò con entrambe le mani la spada e affondò la lama nel fianco del Re di Halloween. Con occhi spalancati, lo sguardo di Mary si oscurò.
Il capo di Jackie, per il dolore, si abbassò ringhiante dalla sofferenza. La lama fuoriusciva da dietro il suo corpo mostrando il sangue rosso e secco che mai sarebbe uscito dalle ferite. Mary appoggiò la schiena contro la fredda pietra, cercando di non cadere. La bambina riprese la spada strappandola dal fianco di Jackie e provò ad alzarla sopra di sé per colpirlo alla testa. Mary sentì un groppo alla gola, soprattutto perché vide che l’uomo era dolorante e non sembrava aver scorto ciò che gli stava accadendo.
“Attento!”
Jackie la sentì e parò il colpo prendendo con una mano il polso della piccola, mentre con l’altra le strappava di mano il metallo della spada. Di fronte agli occhi della canaglia, Jackie bruciò la lama e la gettò, fumante, ai piedi dell’avversaria. Lei, incuriosita, prese il manico dell’arma e, come se fosse stata di pasta da pane, la lama si spezzò crollando in avanti, lasciando tra le sue mani solo un manico con pochi millimetri, fumanti e bruciati di ferro. La bambina, annoiata, gettò di lato il manico senza lama.
“Non fa niente: posso ucciderti anche a mani nude e poi passerò alla tua donna”
Jackie l’afferrò per il collo, come se fosse stato un cucciolo, e, senza pensare, la gettò con molta forza dalla torre. Mary salì gli ultimi scalini, rilassata, e si affacciò appena in tempo. La bimba aveva fatto un lungo e veloce volo, tale da farla sbattere contro la parete di pietra di fronte alla torre e cadere di sasso su dei panni stesi di chissà chi e poi su una bancarella verde provocando un gran boato di casse distrutte.
Cadde sulla spalla rotolando un po’ in avanti e fermandosi sulla schiena.
Non si mosse più.
Aveva gli occhi leggermente aperti e la bocca altrettanto socchiusa.
La gamba destra era in una posizione del tutto innaturale.
Vide Jackie muovere il braccio verso la bancarella. Aveva capito cosa voleva fare. Lo fermò con cautela: era ancora arrabbiato.
“Lascia stare, non ne vale la pena. È pur sempre morta e questo mi basta. Non c’è bisogno di bruciarla” Jackie abbassò il braccio dove stavano iniziando a brillare delle fiammelle rosse.
“Ti ha comunque mortificata e questo non lo accetto, anche se morta” la bimba continuava a fissarli dall’alto con espressione muta.
“Meglio non distruggere ancor di più il lavoro di Lucy”
“Perché?”
“Era la sua bancarella…” Jackie sospirò.
“Mi spiace…”
“Questo lo dovrai dire a lei quando la rivedremo. Ora vieni, sei ferito” non aveva nient’altro da dire. Esprimere gratitudine non era nelle sue usanze e il giovane uomo lo sapeva da tempo. Non avevano nemmeno nulla di cui congratularsi: uccidere non è mai stato un bel lavoro da intraprendere e probabilmente Jackie si sarebbe sentito come un cane nel sentire un complimento del genere. Oltretutto aveva ucciso un bambino, una persona che avrebbe dovuto proteggere. Cominciarono a scendere le scale, silenziosamente. Guardò velocemente il fianco di lui: il ragazzo teneva la mano premuta sulla ferita e non era possibile vedere molto, ma si capiva che un affondo del genere doveva essere medicato in fretta.
Giunsero nella stanza di Mary, sempre con silenzio, dall’altro capo del castello.
“Siediti e togliti i vestiti” l’uomo ubbidì. Intanto Mary, dopo essersi arrotolata le maniche, cominciò a medicarlo con alcune delle poche erbe magiche rimaste e avvolgendo attorno alla ferita una robusta benda. Durante tutto il procedimento Jackie rimase con gli occhi fissi sulle mani di Mary che agirono velocemente e senza recargli altri danni o dolori. Aveva una grande voglia di ringraziarla: non era da lei nemmeno medicare qualcuno. Dopodichè Mary mise le stesse erbe sulle sue mani doloranti.
“Sei brava”
“Una delle molte cose che ho imparato quando divenni una strega” rispose seccata. Jackie sorrise ugualmente. La procedura finì, l’uomo cominciò ad abbottonarsi la giacca.
“Perché l’ultima volta che ero a petto nudo ti eri irritata così tanto e, invece, ora non mi fai la stessa predica di poche ore fa?” Mary rigirò gli occhi. Si accomodò sul letto vicino a lui.
“Semplice: perché la prima volta non era una questione urgente, mentre invece ora sei stato trapassato da una spada e la questione è decisamente differente” Jackie allargò il sorriso, chiaramente divertito da ciò che aveva detto la donna.
“Si, forse hai ragione. Ma avresti dovuto bussare, stavo per andare a dormine” Mary mostrò un sorrisetto, fasullo.
“Oh, scusa tanto dormiglione… Io ora devo andare, ci sono altri due fantasmi da… eliminare” non aveva intenzione di dire quella parola: Jackie non si era ancora ripreso da ciò che aveva fatto ed era meglio non girare il coltello nella piaga. Anche l’altro si destò.
“Mmm… Ora che ci penso, dove diavolo si saranno cacciati quei due?”
“Probabilmente staranno ancora girovagando nelle stanze private del lato ovest. Dubito che due ottusi come loro potrebbero avere un’illuminazione e fuggire via. Non sarà difficile trovarli: ho i miei metodi” Jackie fece un falso sguardo perplesso.
“Fammi indovinare: hai mandato qualcuno che potesse servirti come spia?” Mary annuì soddisfatta.
“Quindi vorrai chiedere alle tue spie dove si trovano?”
“Ovviamente…” per un attimo lo guardò intensamente negli occhi. Non ricordava che fossero così vicini, probabilmente si era avvicinato di più quando lo stava curando. Lui stesso le rivolgeva lo sguardo. I suoi occhi sembravano desiderare qualcosa. Calò un silenzio inaspettato. Dalla fronte di Mary scese una goccia di sudore che le percorse il viso fino alla guancia. Jackie lentamente gliela raccolse strofinando lentamente il pollice in quel punto. I suoi movimenti sembravano terribilmente gentili, per nulla simili all’omicidio compiuto diversi minuti prima. Mary si sentì agitata. Jackie socchiuse gli occhi mentre avvicinava il viso alle sue labbra. Mary si riscosse e si allontanò bruscamente da lui, spezzando il gentile contatto.
“Vado a cercarli: chissà cosa potranno fare in mia assenza. Oh, non girare bruscamente il busto quando hai quella benda. Quella ferita potrebbe riaprirsi” disse senza guardarlo negli occhi e uscì dalla stanza, con apparente fretta. Durante il tragitto verso i corridoi principali, Mary si toccò le labbra. Non poteva ancora credere che volesse baciarla. Si sentì colpevole, ma non voleva nemmeno accettare una cosa simile, se fosse accaduto. Passò un corridoio.
“…Smett…zitti…maled…!” si girò nel luogo dove sentì quella che in apparenza doveva essere la voce di Joe. In lontananza, alla fine del corridoio, lo vide: era con Jimmy e sembrava intento a far lite con qualcuno, ma non riusciva a vedere chi fosse, dopotutto, chiunque sia, era nascosto dietro alle mura di pietra. Quando vide chi fosse il secondo bisticciatore, il suo labbro tremò leggermente, sia per la rabbia che per la confusione. I due ragazzi spagnoli si voltarono verso di lei.
“Come hai potuto?!” detto ciò, si lanciarono in una sfrenata corsa verso di lei. In tempo schivò i pugni del ragazzo e i calci della ragazza. Evocò il libro velocemente, sfogliò le pagine con la stessa velocità ed evocò una prigione invisibile. I due spagnoli cominciarono a sbattere, furiosi, contro delle mura invisibili che solamente lei poteva vedere.
“Ma che fate, voi due idioti!?” Joe la raggiunse. I ragazzi sembravano aver intenzione di sbranarla viva, come due vampiri affamati.
“Ma cosa sta succedendo, Joe?! Perché sono qui?! E per quale…?!”
“Mary, sono umani, come Leo e Niki e stavi per fare fuori pure loro” disse semplicemente Joe, seguito con un cenno positivo da parte di Jimmy. Mary era sbigottita.
“Ma come è potuto…?!”
“Senti, donna, se credi che dicano sciocchezze, hai sbagliato: gli ho fatto dei tagli sulle mani e il loro sangue è rosso” Mary lanciò un’occhiata ai due gemelli: avevano incrociato le braccia di fronte a sé e la fissavano imbronciati.
“Ebbene? Anche i fantasmi hanno il sangue rosso come il vino!”
“Ma il loro sangue è ghiacciato e coagulato, quello degli umani è bollente e fluisce come un fiume in piena quando vengono feriti. Tu lo sai meglio di me” Mary si massaggiò i nervi, confusa e allo stesso tempo incredula riguardo a ciò che stava sentendo.
“Hai ammazzato Fabi, idiota!”
“Non ti perdoniamo!”
“Ma la finite voi due?! State parlando con una signora!”
“Ma che me ne frega?! Ha ucciso la mia amica! Facci uscire!!!” Mary si voltò verso i due e gli fissò sconcertata.
“Prima di tutto dovete moderare il linguaggio, dopodichè potete uscire!” i due, non volendola ascoltare, cominciarono a sbattere i pugni contro la barriera infrangibile. Mary sbuffò, spazientita.
“Mary… Che fine ha fatto la ragazzina bianca?”
Il viso corrucciato di Mary mutò lentamente. Nella sua testa vedeva diverse scene in sequenze riguardo l’omicidio compiuto, non da lei.
“…Cosa dico a Jackie…?”
“Eh…?”
“Jackie l’ha uccisa…” Joe inizialmente fece una faccia confusa, ma poi, dopo aver compreso appieno, abbassò il capo e fece rigirare i denti lentamente, chiaramente in imbarazzo. E ora chi avrebbe detto ciò a Jackie…? Lui era uno Spirito dell’Infanzia, il suo dovere era quello di proteggere i bambini e di tutelarli. Chi avrebbe spiegato che lui stesso ha ucciso una creatura che, in teoria, avrebbe dovuto proteggere? Non si accorsero che, intanto, i gemelli spagnoli stavano sussurrando qualcosa fra di loro, ignorando i tre.
“Veramente Fabi era uno spirito!” Mary, Joe e Jimmy si voltarono verso i due gemelli, che tendevano le mani verso la barriera invisibile. “Ma che bravi! Avete anche ucciso un vostro amigo!” Mary gli fece tacere con un gesto della mano.
“Volete dire che abbiamo ucciso un nostro alleato?” i due annuirono convinti. I tre spiriti si guardarono negli occhi (a parte Jimmy, per via del suo cappello). Non sapevano se essere sollevati di ciò oppure se preoccuparsi ulteriormente.
Vennero interrotti da una luce violacea apparsa di fianco a loro. La luce era una sorta di fiammella luminescente con due punti gialli separati l’un all’altro come se fossero un paio di occhi. Muoveva due spire di fuoco nella loro direzione come se volesse comunicargli qualcosa di urgente e per enfatizzare ancor di più l’azione cominciò a produrre qualcosa di simile a sospiri nervosi. I due gemelli guardarono interessati.
Què è?” li ignorarono.
“Un Fuoco Fatuo? Perché è venuto da noi?”
Il giocherello cominciò a mutare la forma degli occhi trasformando la sua espressione in qualcosa di triste e frettoloso. Qualsiasi urgenza fosse bisognava per forza intervenire. I tre spiriti seguirono il fuoco fatuo, ignorando i due gemelli che pretendevano di essere liberati dalla stregoneria. Il Fuoco Fatuo aveva iniziato ad incamminarsi lungo il corridoio principale. Man a mano che cominciarono ad avvicinarsi all’obbiettivo, Mary e Joe sentirono le membra appesantirsi. La loro paura crebbe quando la fiammella violacea si fermò e sparì vicino ad una figura che guardava con occhi sbigottiti l’interno della stanza dei bambini, con la testa poggiata allo stipite della porta, quasi come se fosse incapace di reggersi in piedi senza quel sostegno. Mary si avvicinò.
“Qui dormono Leo e Niki…” disse Joe a bassa voce.
“Jackie, cosa succede?” lui non si voltò.
“…giuro che era morta…”
Mary mosse l’occhio verso la stanza.
Quando vide ciò che era all’interno della stanza, per poco Mary non si mise ad urlare e Joe ad indietreggiare per la sorpresa.
 
 
 
 
 
Non li vedo bene: sono troppo in alto.
Pensandoci bene, credo che fossero molto più di dieci stramaledettissimi metri. Forse quindici o venti…
Vedo le loro figure sparire dalla mia vista. Anche quella strana creatura velocissima scompare insieme a Mary. Non l’ho visto in faccia: non ne ho avuto l’opportunità. Credo che per loro io sia un problema in meno.
Sento il mio corpo paralizzato.
Credo che potrei muovermi ma non voglio nemmeno provarci. Se tentassi di muovere una parte del corpo, anche solo un dito, anche il resto della carne seguirà lo stesso movimento e sembrerei un animaletto che aveva finto di essere morto, ma che poi verrà ucciso per davvero dal suo cacciatore. Per il momento continuo ad avere lo sguardo fisso di fronte a me. Sento dei rivoli di saliva colare dalla bocca semi aperta. Mi fa male la gamba.
Sento dei rumore pesanti di passi.
Aspetto in silenzio, senza muovermi. Nemmeno le mie iridi si muovono. I passi si fermano vicino a me. Qualcosa, anzi, due cose, forse braccia, mi afferrano per le spalle e per il bacino e mi posizionano sopra una possibile spalla. Non sento nessuna parte del corpo sanguinare. Chiunque sia (si, credo che siano delle persone), mi ha posizionato con la faccia a terra e la pancia sopra la spalla coperta di metallo. Seguo ciò che vedono i miei occhi: vedo dei piedi muoversi sulla terra e talvolta spingere dei sassolini che vi sono d’ostacolo sul cammino. Anche i piedi e le gambe sono coperte di metallo, forse ferro.
I piedi cominciano a camminare sulla pietra. Non vi è più illuminazione della luce del poco sole che c’era. Credo che siamo entrati all’interno del castello. I piedi iniziano a scendere per delle scale, molte scale. Trattengo il respiro. Non voglio essere considerata viva e il mio corpo sobbalza per ogni gradino.
Le scale, per la fortuna dei miei polmoni, smettono di esistere. Continuiamo a percorrere un possibile corridoio. Non c’è nessuna luce qui, quasi non vedo nulla, tranne che i piedi grigi. Ci fermiamo. Trattengo il respiro. Sento la toppa di una serratura scattare per tre volte. Sta aprendo una porta. Entriamo all’interno della stanza. Il mio naso smette di desiderare aria: c’è uno strano tanfo che non riesco a spiegare da dove proviene e, soprattutto, di cosa sia. I piedi si fermano ancora. Le due braccia mi cingono la pancia e il bacino e con uno strattone mi gettano a terra. Per fortuna che ho irrigidito leggermente il corpo, altrimenti avrei sbattuto la testa. Non riesco a vedere nulla: è troppo buio, ma credo di aver già intuito qualcosa. Sono sbattuta su di una parete in posizione abbastanza eretta, se non fosse per il petto leggermente inclinato a destra.
Ora so cos’erano le due persone che mi hanno portato qui, pian piano i miei occhi si sono abituati all’oscurità: cavalieri, anzi, armature di cavalieri di ferro, gigantesche e possenti di almeno trecento chili per una. Si voltano, se ne vanno. Sento la porta chiudersi affianco a me e la toppa girare per tre volte. Mi hanno chiusa dentro.
Continuo a non muovermi: voglio essere sicura che non ci sia pericolo. Intanto i miei occhi si sono abituati totalmente all’oscurità. Riesco a vedere cosa c’è in questo quadrato di stanza. Non mi sorprendo molto a vedere ciò: l’avevo già intuito dal tanfo e dalle corde appese che talvolta sento muoversi per qualche sinistro spiffero. Eppure i miei occhi rimangono sbalorditi da ciò che vedono.
Corpi.
Tanti cadaveri di, presumo, fantasmi. Non spalanco gli occhi poiché sono tutti bambini. Chi ammassato negli angoli della stanza, chi, senza arti, appesi per il collo come degli impiccati a numerosissime corde e tra questi vi sono i più malandati. Provo a muovere gli occhi, ormai abituati allo scenario di carni morte, verso la mia sinistra. Un braccio piccolo e cencioso, sia di sangue che si sudiciume, è appoggiato vicino alla mia gamba. Sento il disgusto giungermi in ogni parte del corpo. Muovo gli occhi verso destra. Vedo la porta sigillata a due o tre metri da me. La puzza di putrefazione mi fa rigirare lo stomaco.
Sento uno squittio. Anzi tre. Rigiro gli occhi di fronte a me. Non mi sorprendo nemmeno di ciò: topi. Grandi quanto dei gattini e grassi come maiali. Sicuramente qui dentro banchettano come dei re. Uno di loro si avvicina, anche se un po’ timoroso, accanto al mio piede, quello destro, il malandato. Il roditore sembra prendere coraggio e annusa interessato lo stivale. Muovo lievemente il braccio destro in cerca di qualcosa. Anche gli altri ratti sembrano aver trovato in me un ottimo pranzetto e mi guardano interessati. Sfioro un bastone o una mazza, insomma, un oggetto in legno. Il topo, disinteressato alla pelle dello stivale, si avvicina alla gamba. L’annusa interessato. Sento sulla mia pelle i suoi baffi sporchi di sangue umano.
Velocemente sbatto sulla sua testa il bastone. Non se l’aspettava: muore sul colpo, di lui c’è solo un mucchietto di carne. Gli altri ratti scappano spaventati. Credo di averlo colpito con molta forza poiché il suo sangue è schizzato in grandi quantità. Almeno quel disgustoso coso non mi ha toccato…
Sento un brivido percorrermi la schiena. Conosco quella sensazione e so chi sta per arrivare. Ho imparato da tempo a capire come giungeva da me e come riconoscere la sua presenza, anche se invisibile ai miei occhi.
Un’ombra si stacca dalle altre e forma la figura di un uomo girato di spalle. La figura si gira attorno, disgustata e si volta verso di me. Non mi muovo. Si avvicina silenziosamente, scaccia via i resti del ratto con una pedata e si china di fronte a me, con un ginocchio alzato.
“Se non fosse per il mio udito e se non sapessi delle tue doti da attrice, direi che tu sia morta” mi sfugge un sorriso, avevo proprio bisogno del suo aiuto.
“Ciao, Pitch. È una bella giornata di buio quest’oggi, eh?” si siede vicino a me. I suoi occhi brillano di un oro più splendente del solito, tale da sembrare due lanterne gialle. Sembra abbastanza nervoso.
“Meravigliosa. Il paesaggio lo è di meno…” dice guardando di fronte a sé, pieno di repulsione per i cadaveri impiccati.
“Perché sei qui?”
“Questo dovrei chiederlo a te, ma ti rispondo: ho sentito una grandissima carica di paura da queste parti e ho pensato di scoprire di chi fosse e magari di ampliarla ulteriormente”
“Sono io?” vedo il suo viso avvicinarsi al mio, scrutandomi con attenzione e con prudenza. Me l’ha spiegato: non riesce a sentire alcuna paura da me e non riesce nemmeno a provocarne una. Dice che è negativo, ma io non ne sono certa.
“Naturalmente no, ma credo che sia il tuo amico affianco a te” alla mia sinistra sento un sobbalzo. Mi volto lentamente. Oltre al braccio vi è anche un corpo. C’è un bambino moro, cencioso, ferito gravemente e tremante.
“Come ti chiami?” borbotta qualcosa. Non riesce a parlare bene, ma sento ugualmente qualcosa, mi sembra insolito il modo con cui si è fidato di noi.
“…Se-Se…Ser…Serg…” provo ad indovinare.
“Sergio, per caso?” annuisce tremante. Credo che sia stato colpito alle spalle: da lì esce una pozza di sangue. Non credo ci sia molto da fare.
“Aiu…aiut…”
“Aiuto? Non so come aiutarti, anch’io ho bisogno di aiuto” dico semplicemente con serietà, inadatta ad un bambino. Bisogna essere realistici: in suo corpo avrà già gettato via quasi un litro di sangue e un essere umano può sopravvivere soltanto se non superi questa soglia. Pitch è rimasto in silenzio a guardare il bambino che lentamente sta morendo di fronte ai nostri occhi.
“Non credo che riesca a parlare più di così. È molto debole e ha molta paura” dice Pitch senza sarcasmo. Ciò è strano. Il piccolo Sergio continua a tremare.
“Ai-aiu…aiut…”
“Perché sei finito qui? Volevi catturare degli spiriti per Macula Sanguinea?” Gli chiedo con tono severo. Gli escono le lacrime dagli occhi. Gli deve fare molto male quella ferita. Annuisce.
“Quindi sei andato dentro la prima torre e hai pestato il tappeto rosso, così sei stato ferito alle spalle e ora sei qui… in questo postaccio insieme ad una pazza e all’Uomo Nero…” geme. Le lacrime escono a fiumi, senza freni.
“M-ma…mam…mamm…”
“Mamma… Ti manca la mamma?” sento la mia voce addolcirsi. Piange molto più di prima.
“Sergio, io sono tua amica. Mi chiamo Fabi e voglio che tu dorma. Va bene? Hai sonno?” trema e annuisce. Deve avere al massimo sei anni e suoi vestiti sporchi di sangue sembrano simili ad un pigiama. Sul suo petto vedo un simbolo: una stella. Sospiro, ho capito da dove proviene. Mi tolgo lo scialle dalle spalle, lo piego molte volte e lo avvicino al mio fianco, come se fosse un cuscino. Lentamente e senza recargli danno, poggio la testa di Sergio sul cuscino inventato sul momento. Pitch fissa la scena vicino a me in silenzio.
“Sergio, chiudi gli occhi” comincio ad accarezzargli le guance e i capelli. Un altro motivo per cui non mi piace essere accarezzata ai capelli: mi rilassa troppo, mi toglie la concentrazione e dimentico ogni cosa. Per oggi farò un’eccezione “Non siamo più al buio, ora splende il sole. Siamo in campagna, non si sente nessuna automobile e nessun carro vicino a noi. Ci siete solo tu e la mamma. Lei ha un bel vestito celeste, i suoi occhi brillano per la luce del sole, è felice di vederti. Riesci a vederla, Sergio?” annuisce debolmente, gli spunta un sorrisino “La mamma ti chiama: Amore, la cena è pronta! Tu però non vuoi andartene da lì, l’aria è fresca e l’erba è troppo morbida per voler andare via. La mamma si siede vicino a te, il suo vestito le sta troppo bene, ti chiede perché non vuoi cenare. La guardi negli occhi, è troppo bella oggi, le dici che ti piacerebbe stare sull’erba con te. Lei si sdraia con te, ti abbraccia, ti dice: Ti voglio bene, Sergio e ti da un bacio grande grande…” gli do un bacio sotto l’occhio. Ha un sorriso sul suo viso.
“Fabia, non sento più né la sua paura, né il suo cuore” non me n’ero accorta, ma Pitch si era alzato, o teletrasportato, di fronte a me e mi guarda con un certo fascino, come se avesse appena realizzato qualcosa di importante. Guardo Sergio per un attimo, gli tolgo lo scialle bianco, ora diventato quasi grigio per lo sporco, da sotto la testa. Non mi hanno mai mancato così tanto Leo e Gianni. Pitch lentamente copre il suo corpicino con un mantello fatto di sabbia nera. Che tristezza…
“Stai bene, Fabia?” chiede gentilmente. Mai successo.
“Non so… credo di no” vedo in Sergio mio fratello, non capisco bene il perché.
“Fisicamente o psicologicamente?” impiego qualche secondo per rispondere.
“Psicologicamente mi sento distrutta, fisicamente invece ho una caviglia malandata e forse l’osso si è rotto, non ne sono certa” posa gli occhi ambrati sulla mia gamba destra, quella su cui ho poggiato tutto il peso quando sono caduta. Si china, mi toglie lo stivale e mi tasta la caviglia. Sento un muscolo strappato, digrino i denti, tiro all’indietro la testa per non urlare.
“Non si è rotto l’osso. Si è solo slogata la caviglia” si alza lentamente in piedi. I suoi occhi sfiorano i miei.
“Torno subito”
La sua figura viene risucchiata all’interno delle ombre. Aspettando chiudo gli occhi: non voglio vedere né i cadaveri dei bambini impiccati, né Sergio. Non voglio più credere che questo bambino cencioso possa somigliare a mio fratello. Pitch ritorna, nel luogo dov’è sparito, di fronte a me. Si china di nuovo. Ha in mano un fascio di bende. Lentamente comincia a legarle attorno alla caviglia storta.
“Fabia, sii sincera, cosa ci fai qui?” il suo tono di voce calmo è gentile è in un incredibile contrasto alla voce sarcastica e un po’ crudele che ha usato sempre con me.
“Per un errore sono qui. Ho trovato il gemello spagnolo, ma lui mi aveva detto che c’era anche un’altra bambina che si era unita alla nostra combriccola. L’abbiamo cercata e siamo arrivati fin qui, io mi sono separata dai gemelli e ora devo trovarli prima che qualcuno abbia intenzione di avvelenarli” le sue mani sono prudenti e cortesi, non mi fa male né sento muovere il piede. Questa cosa è abbastanza sospetta. Annuisce fra sé e sé. Non so se abbia capito che io abbia detto la verità. Si comporta in modo strano, da quando ci siamo visti l’ultima volta, a casa, quando ha fatto quel brutto scherzo a Sandy mentre dormivo.
“Una curiosità, come hai intenzione di uscire?” schiocco la lingua.
“Se ci fosse abbastanza luce, potrei scassinare la porta oppure, in alternativa, cercare tra i cadaveri qualcosa che possa aiutarmi, oppure…” alza velocemente la testa, la benda si è fissata sulla caviglia. Sembra arrabbiato, eppure non capisco per cosa.
“Non te lo permetto”
“Di fare cosa?”
“Di mettere le mani fra questi corpi morti” lo fisso intensamente.
“Per quale motivo?” sembra arrabbiato. Non capisco.
“Devo anche spiegarti il motivo…!?”
“Temo di si, non capisco” aggrotta le sopracciglie in un’espressione severa e un po’ irata. Distoglie lo sguardo da me. Abbassa la testa con disagio quando vede dall’altra parte della stanza altri cadaveri di bambini e parti del corpo mozzate e lasciate a marcire o in balia dalla fame dei topi. Si alza in piedi, faccio lo stesso utilizzando la gamba sinistra, quella sana. Ci guardiamo negli occhi, io perché voglio leggere qualcosa di nascosto, lui perché non ha alcun altro luogo migliore dove poggiare lo sguardo.
“Cosa succede, Pitch?” gli spunta un sorriso sarcastico.
“Cosa succede? Perché? Cosa dovrebbe accadere?”
“Sii sincero: ti turba qualcosa di me stessa?” sbatte le palpebre più volte, non si aspettava che indovinassi al primo tentativo.
“Per questo stai fingendo di essere gentile?” chiedo apatica. Lui assottiglia leggermente gli occhi con disprezzo e il suo sguardo severo lo sento sulla schiena, come se qualcuno facesse percorrere sulla mia colonna vertebrale una lama tagliente.
“Ti sbagli”
“Allora perché ti comporti diversamente con me?” sa di cosa sto parlando. Chiude le palpebre per alcuni secondi e distoglie stancamente lo sguardo da me.
“Per due ragioni: la prima è perché, dopo questa sceneggiata del bambino, ho capito una cosa fondamentale, che non posso assolutamente dimenticare” passano alcuni secondi di silenzio.
“Ovvero?”
“Che, dopotutto, tu non sei solo una macchina per uccidere” sposto leggermente il capo di lato, sempre con un’espressione vuota in viso. Ah, Pitch Black, credeva che fossi un’arma per annientare povere vite innocenti e non. Non aveva capito nulla.
“E la seconda ragione?” volta la testa verso di me. Si avvicina, mi cinge le spalle con le sue braccia. Non mi ha mai toccato o si era mai avvicinato così tanto a me, se non per mostrarmi una buona posizione per tenere in mano un coltello o una balestra.
“La seconda ragione è che sto impazzendo a stare con una tipa come te” dice sarcastico. Pitch Black ha deciso di fare il ritorno fra noi mortali. Yuppy…
“Ah, si, ho una sorpresa per te”
“Un’altra? Non solo il ragazzo spagnolo?”
“Assolutamente no” dice mentre mi accarezza il naso con l’indice. “Qualcosa di ancora più prezioso e più interessante” con la coda dell’occhio vedo la sua mano che mi sfiora il restro della testa. Con uno strattone avvicina il mio capo ancor di più alla sua pancia e non sembra volermi lasciare.
“Non muoverti, stiamo per fare un lungo viaggio”
Lo vedo per pochi secondi: il nostro corpo viene risucchiato nelle ombre. È buio. Molto buio. Non vedo niente. Chiudo gli occhi. Mi bruciano le iridi se le tengo spalancate. Pitch mi stringe con più forza. Pensandoci meglio, lui non è un tipo per gli abbracci. Ora capisco perché mi aveva circondato le spalle. Non riesco a respirare. Pitch se ne accorge. Comincio ad abbracciarlo forte. Non voglio che mi molli in queste ombre. Da sotto le palpebre vedo della luce. Pitch mi lascia andare. Cado all’indietro. Respiro affannosamente.
“Siamo arrivati, Fabia” riapro gli occhi. Pitch è di fronte a me e mi guarda con sufficienza. Mi metto una mano sul cuore, mi brucia per la mancanza di ossigeno. Pitch rigira, scocciato, gli occhi. Mi porge la destra. Mi rialzo senza il suo aiuto, non mi piace essere aiutata.
“Dove siamo?”
“In un punto del Castello. La tua sorpresa è laggiù” dice, indicando il fondo della stanza. Vedo un grosso letto, coperto con molte lenzuola pesanti. Ora che ci penso, qui dentro fa freddo. Anche dall’altro lato della stanza c’è un altro letto. Chiudo lentamente le palpebre.
“Non vedo niente, Pitch. È solo un letto, vuoto per giunta”
“No…” mi interrompe, facendomi segno di fare silenzio “…Guarda con attenzione…” mi avvicino barcollante al letto, ignorando un secondo aiuto di Pitch. In effetti c’è qualcuno nascosto sotto le lenzuola. L’Uomo Nero, con molta lentezza, prende il bordo delle lenzuola e comincia a tirarle. Vedo dei ricci biondi come il sole e un viso di bambino. I miei occhi si rilassano. Sento il mio cuore sbattere contro la cassa toracica.
“…Vedi?...Lui ha il tuo viso…” dice l’uomo reggendomi per le spalle, come se avessi bisogno di aiuto. Mi metto in ginocchio.
È Leonardo.
Perdo un battito quando lo vedo sbattere le palpebre. Mi guarda. Sorride dolcemente.
“Sapevo che saresti venuta da me” rialza il busto. Gli prendo tra le mani il viso. Gli bacio la fronte. Le mie mani tremano. Leo mi accarezza le guance.
“Fabi, non piangere” non riesco a ritirare le lacrime. Mi viene voglia di sorridere, lo faccio. Continuo ad abbracciarlo e a baciarlo. Non l’ho mai amato così tanto. È vero ciò che si dice: Non ti rendi conto di ciò che hai, fino a quando non lo perdi. È vero. Questo mese, senza sapere che fine abbia fatto il mio tesoro più prezioso, è stato una tortura. Leo mi abbraccia. So che ha visto Pitch. Come credevo: non si è spaventato. Gli accarezzo i ricci, sembrano molto più folti.
“Grazie per averla portata qui” riapro gli occhi. Mi allontano da Leo. Lo guardo negli occhi, lui guarda Pitch. Mi giro verso l’uomo.
“Vi conoscete?” chiedo interessata, ma non troppo. Pitch annuisce distrattamente.
“Da poche ore. Immagino sia tuo fratello, o mi sbaglio?” ridacchio.
“Non ti sbagli. Mi somiglia secondo te?” annuisce distaccato.
“Moltissimo. Sia fisicamente che caratterialemente. A proposito di quest’ultima: non ho mai conosciuto un bambino così arrogante in tutta la mia carriera di Uomo Nero…” Leo dietro di me ride.
“Già. Invece io non ho mai conosciuto un uomo così permaloso come te!” mi scappa una risata, vengo imitata da Pitch.
“Visto? Ha anche lui la risposta pronta” ci mettiamo a ridere tutti e tre. Smettiamo subito.
Qualcuno ha aperto la porta.
Pitch è scomparso nelle ombre appena in tempo.
Un giovane uomo ci fissa con un ombra nel volto, come se non potesse credere a ciò che sta vedendo. È vestito elegantemente: giacca bianca, pantaloni di pelle marrone, un’altra giacca ottocentesca marrone lunga da lietro, scarpe in pelle nera. È alto, poco muscoloso. Ha i capelli di un biondo così fine da essere bianchi, anche la sua pelle è di un bianco quasi innaturale. Ciò che fa da contrasto sono i suoi occhi: sono neri come il carbone, con delle piccole fiaccole rosse, quasi invisibili. Mi fissa incredulo. È la figura veloce che era con Mary. Appoggia frettolosamente la testa contro il legno della porta. Non riesce a credere che io sia ancora viva. Sento dei passi lungo il corridoio. Non riesco a credere che io sia in trappola, proprio ora che ho ritrovato mio fratello.
“Jackie, cosa succede?”
“…giuro che era morta…”
Mary.
Sobbalzo lievemente. Sento il cuore, ancora pieno di emozioni, battere fortemente. Mi fa male la testa. Il giovane uomo gira gli occhi vicino a me. Vede Leo. Comincia ad avere una faccia normale. Leo si mette in piedi e mi para con le braccia, come se stessero sul punto di accoltellarmi.
“Jackie, lei è Fabi, ti ho già parlato di lei” quello si avvicina a mio fratello e lo guarda negli occhi. Il resto non riesco a vederlo, poiché abbasso la testa sulla coperta. Mi gira la testa. Sento delle voci in lontananza. Ho fame. Tanta fame. E mi gira la testa per via di tutto ciò che sta succedendo. Qualcuno mi afferra per le spalle.
“Bimba, stai bene?”
“Fabi, cos’hai?”
Mi gira la testa.
Svengo.
 
 
 

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Capitolo 19
*** Mai più solo ***


“Insomma, in conclusione, ci siamo presi in giro da soli!” aveva detto il vecchio che avevamo visto alla locanda. Ha detto che si chiama ‘Joe’. È un tizio un po’ buffo e goffo. Anche se sono caduta da una torre di dodici metri (ho chiesto tempo fa quanti metri erano) e ho dormito per due giorni da quando ero svenuta, non sono riuscita a stare ferma in quel lettino dove mi hanno rinchiusa ed ero uscita fuori con mio fratello. Non faceva altro che indicare spiriti e dire il loro nome. Chi rideva per la sua memoria e chi gli dava dello sfacciato. I vestiti con cui sono arrivata fin lì, senza uno stivale e con lo scialle, erano sporchi e lacerati in alcuni punti. Me li avevano tolti quando ero svenuta e li hanno affidati ad una certa Lucy. A malapena mi avevano dato del cibo, ho notato che hanno pochi viveri e a stento riescono a distribuirne per gli altri spiriti. Sono troppi di numero, intorno alle due centinaia di spiriti. Oltre al mancato cibo, non hanno nemmeno dei vestiti adatti per ognuno di loro. Gli creano in propri, vendendoli in mercatini come gli altri oggetti, usando lo scambio. Non c’era nient’altro che potessi indossare che un gigantesco maglione di lana marrone, sicuramente per un adulto, che mi scende quasi fino alle ginocchia, un paio di pantaloni scuri talmente grandi da far sprofondare le scarpe. Ho lasciato sciogliere i capelli che affondano dentro al maglione facendogli sembrare corti e ho coperto il collo con una sciarpa rossa. Le maniche del maglione inghiottono in continuazione le mie mani e devo per forza tirarle su e rotolarle su sé stesse. Anche ora lo sto facendo. Ora che sono con Yaga, sulla sua groppa, sulla via di casa. È passata una settimana da quando sono giunta in quel Castello e due di quelli li ho passati a dormire dopo essere svenuta.
I Sanz avevano sparso la voce che io sono uno spirito e credo che ormai lo credano tutti, visto anche tutto ciò che ho fatto per arrivare fin lì. I due gemelli, dopo diversi si e no, avevano deciso di seguirmi fino al teatro per far conoscere ad Al tutti i suoi abitanti. Il ragazzo era quello che diceva più no per via della bambina ‘trasformata’ in ragazza vampiressa.
“Perla, pequena, secondo me dovresti venire con me, oppure io dovrei restare qui con te. Non me la sento di lasciarti da sola, sai…”
“Stai tranquillo, andrà tutto bene, vorrei rimanere qui con le mie sorelle. Tu va con la tua, io starò bene” ho assistito alla scena. Non ho mai visto Alejandro Sanz così preoccupato per qualcuno che non sia sua sorella. Carmen, per tutto il saluto, aveva rivolto ai due un’occhiata seria. Sento puzza di gelosia tra lei e la ragazza vampiressa. Si era intromessa quando si erano abbracciati.
“Al, dobbiamo andare: a Fabi non piace aspettare!” detto questo lo tirò per un braccio, lo aveva trascinato di peso e lo aveva portato vicino a me e a Yaja. Questi vestiti mi fanno sembrare un ragazzino. La prima volta che la mula mi aveva visto non mi aveva riconosciuto e si rifiutava di farmi salire in groppa. Quando mi ero tolta la sciarpa e mi ero abbassato il colletto del maglione, allora ha fatto quasi un salto per la sorpresa.
“Ma allora sei tu! Non sai che preoccupazione mi hai fatto dare! Credevo che ti avessero massacrata e appesa come trofeo da chissà quale parte di questo postaccio! Giuro che se mi farai ancora uno scherzo del genere, ti faccio mettere in un pentolone e ti faccio divorare da un orco!” dopo un po’, e dopo aver saputo da altri ciò che mi era successo, si era calmata. Giusto un pochino. I gemelli avevano scoperto che Yaja parlava e da quel momento hanno un po’ di paura a salirle in groppa, infatti ora i due stanno camminando vicino a noi. È stato un’incidente: la mula aveva perso la pazienza dopo che Al le aveva messo in testa un cappellino da signora. A quel punto si era infuriata e aveva iniziato a dire parole poco carine ai due. Ai Sanz uscivano gli occhi fuori dalle orbite.
“Ma… Fa-Fa-Fab… l-l-la… le-lei… parla!”
“Oh, e non solo questo: posso canticchiare, posso lanciare incantesimi, posso trasformarvi in vermi di terra…”
Fabi!!! Ayuda me!!!” detto questo si erano nascosti dietro di me, spaventati al massimo da ciò che avevano visto e sentito. Entrambi non hanno più voluto salire in groppa a Yaja senza essere fulminati da un’occhiata da strega cattiva dell’est.
“…Molto bene, ora la smetteranno una volta per tutte…” sussurrò fra sé e sé in russo con soddisfazione. Io ho lasciato che la cosa andasse avanti.
Avevo passato i giorni con mio fratello e la sua amica. Credo che mi mancassero quei giorni: i giorni in cui eravamo tutti insieme e che giocavamo fino a tardi. Per cinque giorni sono stata con lui. Non mi sono mai sentita così bene. Mi ha fatto giurare che sarei ritornata da lui e da Niki. Jack O’Lantern e Mary non avevano intenzione di staccarsi da loro. Jackie era tristemente d'accordo sul fatto che potevo portarli via, visto che, come diceva lui, io sono la sua sorella maggiore e lui non ha alcun diritto di strapparmi via un membro della mia famiglia. Mary era il perfetto contrario: voleva Leo, aveva accettato il fatto che volessi portare via Niki, ma mio fratello assolutamente no. Mi ha minacciato di maledirmi se gli avessi tolto il suo figlio adottivo. Le avevo fatto notare che una strega non poteva avere figli, visto che, dopo qualche giorno, avrebbe finito per mangiarli dalla fame. Si era arrabbiata. Jackie aveva cercato di fermarci visto che anch’io ero sul punto di darle un pugno. Quella donna è irritante. Leo e Niki erano riapparsi alla nostra vista e ci avevano offerto un patto: loro due sarebbero rimasti nel Castello insieme a Jackie e a Mary, mentre io sarei tornata a casa e talvolta potevo fargli visita, magari per i fine settimana. Ero indecisa. Ma poi ho visto gli sguardi speranzosi di quei due spiriti: gli volevano bene, come dei veri genitori. Vedevo che badavano a loro: Mary si accertava che stessero bene e Jackie giocava spesso con loro. Credo che quell’uomo desiderasse dei figli. Sentivo che erano in buone mani, per questo accettai.
Siamo arrivati al paesino dove avevo trovato Al. Devono essere le nove del mattino o forse le dieci. Fa freddo: delle nubi scure coprono il cielo e a mio parere incomincerà a piovere. I Sanz sono avvolti nei loro mantelli pesanti, hanno anche loro visto il cielo nuvoloso.
“Secondo voi pioverà?” Al mette una mano fuori dal mantello. Delle gocce d’acqua gli bagnano le dita.
“Sta già cominciando a piovere” rimette il braccio dentro il mantello. “Cerchiamo un riparo, poi continuiamo a camminare” scendo da Yaja e corro dietro ai due gemelli. Al ha trovato un riparo sotto il tetto di una casa. Che ironia: è la stessa locanda dove lo abbiamo trovato. Sembra chiusa. Guardo attraverso i vetri. Non c’è né una luce né qualcuno. Questo è abbastanza strano. Sembra che abbiano lasciato questo postaccio da poco.
“Scusate, potrei…?” mi volto, c’è un ragazzino bagnato come un pulcino per la pioggia. Credo che voglia rifuggiarsi anche lui sotto il tetto. Gli faccio spazio. Si butta vicino a me. Si sfrega le mani, ha dei guanti vecchi, grigi e senza dita.
“Grazie mille, non sono abituato a questo genere di clima…” Mini si volta interessata.
“Oh, por chè? Da dove vieni?” smette di sfregarsi le mani.
“Da Malaga, Spagna” i Sanz sembrano scoppiare di felicità.
“Anche noi! Noi siamo di Barcellona, mi amigo!” anche il ragazzino sembra scoppiare dalla gioia.
Iniziano a parlare velocemente in spagnolo. Non capisco molto. Non ho mai studiato spagnolo e inoltre lo parlano in modo così svelto che non riesco a comprendere nemmeno le poche parole conosco. Ma dal tono di voce sembra che parlino di stupidaggini. Mini comincia a parlare da sola con il ragazzino. È la mia occasione. Faccio avvicinare Al a me.
“…Chiedili che fine ha fatto Ambrogio e perché la sua locanda è vuota…” gli dico sottovoce. Il gemello annuisce e interrompe la chiacchierata dei due. Comincia a parlare seriamente, indicando la porta della locanda dietro di noi. L’altro in risposta comincia a raccontare con gesti delle mani, ma senza che io li capisca. È un ragazzino di circa dodici anni, abbastanza povero, ottocentesco. Mi sono quasi annoiata con questi ottocenteschi. Al sembra stupito riguardo a ciò che sta dicendo e anche Mini fa domande molto veloci. Stanno parlando da circa mezz’ora, il tempo comincia a rischiararsi. Il ragazzino fa un segno di saluto con il suo cappello e scappa via, verso il Castello. Credo che non lo rivedremo più. I due gemelli non sanno nulla: non hanno notato né dove sta andando il ragazzino né hanno visto la stanza piena di cadaveri. Appena quello se ne va, i due gemelli cominciano a ridacchiare fra di loro. Riprendo Yaja e chiedo con lo sguardo cos’è successo. Al sembra felice di parlare.
“Sai cos’è successo, pequena? Ambrogio, senza di me, è andato in verde e lo hanno cacciato via por chè non pagava l’affitto di questa baracca”
 
 
 
 
 
 
“Siamo arrivati, ragazzi. Al, questo è il teatro” di fronte a questo colosso, Al sbianca. È buio e tira vento. Io vado avanti e, dopo aver portato Yaja dentro la stalla, busso. Alla porta vedo un grande e lucente occhio azzurro che ci fissa indagatore.
“Chi bussa?”
“L’Uomo nella Luna” gli spiriti del teatro avevano inventato questa formula per identificare i fantasmi e gli spiriti che volevano entrare dentro. Non so cosa significhi questo nome, ma non credo che sia inventato. L’occhio sparisce e la porta si apre lentamente. Entro prima io, seguita da Mini, felicissima, e Al, un po’ impaurito da questa segretezza. Appena chiusa la porta, appare a noi un gigantesco omone russo.
“Siete tornate!” si getta su di noi e abbraccia me e Mini. Al è confuso e fissa Kolja con curiosità.
Por chè? Avevi dei dubbi?”
“Si! Sono otto giorni che io non vedere voi! Ero molto preoccupato!” era preoccupato, lo si capisce. Ma è troppo emozionato per arrabbiarsi o per essere triste. Quest’uomo sembra un bambino. Finalmente nota l’altro gemello rimasto in disparte.
“Ma tu uguale a Mini!”
Papà Noel?!” annuisce felicissimo. Credo che significhi Babbo Natale in spagnolo. Al sembra molto emozionato e non riesce a dire una parola. Diventa anche un po’ rosso in viso. Racconto a Kolja la maggior parte delle cose che sono successe, tralasciando la camera piena di cadaveri e Pitch Black e dico di aver trovato altri due bambini. I due Sanz enfatizzano tutto ciò che ho fatto, come se avessero visto di persona come sono caduta dalla torre. Kolja, a fine narrazione, mi ha guardato con qualcosa di simile alla gratitudine. Non so nemmeno di cosa deve essermi grato. È eccitatissimo e saltella da un piede all’altro in cerca di equilibrio.
“Vado a chiamare Calmoniglio. Deve conoscerti, Al!” Mini lo ferma in tempo.
“No! Fabi, vai tu a cercare Calm. Noi gli faremo una… sorpresa, ecco! Hai capito?” quando fa quell’occhiolino e quella faccia speranzosa, significa solo una cosa: scherzi. Annuisco e cammino, il più lentamente possibile, verso l’interno del teatro in cerca del coniglio. Ho sentito le risatine di Kolja quando i due gemelli stavano spiegando la loro idea. Cammino lungo i corridoi privi di luci. I corridoi di questo posto sono piuttosto stretti e soffocanti, come se si chiudessero su sé stessi. Mi manca l’aria non appena ricordo la stanza della prima torre. Due esserini piuttosto bassi mi passano accanto con circospezione: Adalwin e Aloys. Non sembrano riconoscermi. Sento il tintinnare nervoso della campanella di Adalwin.
“Ma tu chi diavolo sei?” mi tolgo la sciarpa e abbasso il colletto del maglione.
“Lei è tornata! Non ne avevo dubbi!” Adalwin sembra molto felice, Aloys, invece, mi guarda con un po’ di scaltrezza.
“Ah, sei tornata… Beh, dov’eri andata a cacciarti?” ignoro la sua accortezza. Indosso di nuovo la sciarpa.
“Ve lo racconterà Nicholas. Sono di fretta. Dov’è il Coniglio Pasquale?” mi fanno un cenno verso il corridoio. Gli saluto con lo sguardo e proseguo verso il corridoio. Vedo passarmi vicino un paio di ali di velluto. Astrea si ferma solo dopo che la mia mano le abbia sfiorate. Sono morbide e calde, sembrano fatte di stoffa. Lei sembra indispettita.
“Ma cosa…?! Come osi toccarmi le ali, ragazzaccio!” mi volto. Nemmeno lei mi ha riconosciuto. Si avvicina irritata, a pochi centimetri dal mio naso e fluttuando per aria.
“Allora, cos’hai da dire a tua discolpa? Sentiamo un po’!” continua a non riconoscermi e a scambiarmi per un ragazzino. Non so il perché, ma voglio restare al suo gioco.
“Non capisco, signorina…” dico con una voce un po’ più maschile.
“E cosa non dovresti capire, ragazzaccio!?” mi viene un’idea. Non so il perché, ma mi piace farla arrabbiare. È strano, perché di solito a me non piace far infuriare di proposito la gente. Mi alzo sulle punte dei piedi e le do un bacio veloce sulla bocca. Poi torno al mio posto, tranquillo. Lei invece salta come una molla e si asciuga col dorso della mano la bocca, anche se non ho sputato nemmeno una goccia di saliva.
“Stupido idiota!” faccio un’aria stupita.
“Lei mi sorprende, signorina…” è ancora più arrabbiata.
“Ti sorpr… Ma senti! Per chi mi hai presa?! Adesso vieni, dì un po’, perché mi hai baciata?” faccio un po’ l’offeso.
“Non avevo cattive intenzioni, non volevo farle del male. Credevo… che vi sarebbe piaciuto…ecco…” noto che tra le mani ha un fuso e sembra sul punto di lanciarmelo addosso.
“Piccolo pezzo di idiota! Perché mai avrebbe dovuto farmi piacere?”
“Ecco… beh… non lo so… è che… me l’hanno detto… tutte…”
“Te l’hanno detto tutte?! E chi?! Le altre fate?! Chi?!” sta per dare di matta: i suoi occhi mandano lampi e saette, le tremano le dita come se volesse graffiarmi.
“Beh, signorina… Hanno detto tutte così”
“Forza, parla. Quali tutte?! Ti consiglio di aprire bocca, altrimenti ci sarà un’idiota in meno sulla faccia della terra! Ma guarda, anche gli elfi cominciano a seccarmi!” è quasi strano il fatto che mi abbia scambiato per un elfo. Faccio una faccia afflitta. Incrocio le mani con perplessità e nervosismo.
“Mi dispiace davvero tanto, signorina… Giuro che non me l’aspettavo. Mi hanno detto di farlo, tutte, e hanno aggiunto che le sarebbe piaciuto. Mi ricresce, signorina… non lo farò mai più, parola d’onore” si sta sbollendo.
“Spero bene che non lo farai mai più”
“Oh, certamente, signorina! Mai mai più! A meno che non me lo chiediate…”
“Io?! Ah, non ho mai sentito una cosa più stupida in tutta la mia vita! Avrai gli anni di Gorgia prima che io chieda una cosa del genere a te o a un maleducato come te!” l’ho notato da un po’ di tempo: Calmoniglio ha sentito le nostre urla e, quasi all’inizio della chiacchierata, si è avvicinato di soppiatto e ora ci fissa incuriosito.
“Beh, questa è proprio una sorpresa. Non ci capisco più niente. Dicevano che a lei sarebbe piaciuto di sicuro e…” mi giro verso Calmoniglio. Alza le orecchie al cielo appena mi volto. Neanche lui mi ha riconosciuto. “…insomma… Voi non credete, signore, che a lei sia piaciuto il mio bacio?” il coniglio riabbassa le orecchie appena incrocia gli occhi con Astrea.
“Ecco… no… io… io… non credo… no…” la fata mi punta ancora quegli occhi infuocati addosso. È meglio finirla qui.
“Non riesco proprio a capirci niente…” mi abbasso il colletto e mi tolgo la sciarpa rossa. “Eppure credevo che appena mi avresti visto avresti detto: ‘Fabiola Santarcangelo…’” mi riconosce. Le si accendono gli occhi.
“Fabi!” mi abbraccia e affonda la testa nella mia spalla. Anche la sua pelle è molto morbida e soffice. Sarebbe bello accarezzarle per bene le guance… sotto il chiaro di luna… soltanto noi due… si, sarebbe proprio bello…
“Piccola stupida pazza! Mi hai fatto prendere un colpo! Hai idea di quanto tempo ti abbiamo aspettata? Pensavamo che saresti tornata dopo due o tre giorni, invece…! Fabi, ti prego, non fare più una pazzia del genere! Chissà che gentaglia c’è là fuori!” tra poco si mette a piangere. Non so il perché ma, nonostante gli scherzetti che le faccio, si è affezionata molto a me. Dice che ho dei bei capelli e degli occhi molto rari. Aveva aggiunto una cosa che mi ha reso perplessa quel giorno: ‘L’Uomo nella Luna ti ha plasmata come una principessa!’. Chissà sarà quest’uomo…?
“Scusate se interrompo le vostre smancerie, ragazze, ma dov’è Mini?” il coniglio mi si è avvicinato con fare minaccioso e con degli occhi scrutatori. Anche dopo un mese, non è cambiato nulla nel suo atteggiamento: s’innervosisce di fronte a me, con lo sguardo mi dice di stargli lontano e sono certa che appena mi giro mostra uno sguardo corrucciato. Non si fida di me. E io non mi fido di lui, né voglio averci a che fare. Anche Astrea si stacca da me.
“Infatti: dov’è Mini?” indico il corridoio e gli apro la strada. Astrea mi segue subito, il coniglio è un po’ più cauto. Apro la porta e faccio entrare i due. Kolja si avvicina subito a Calmoniglio.
“Calmoniglio, Mini è tornata!” il coniglio sembra molto più rassicurato. Si volta: c’è una Carmen incappucciata, con un vestito nero e coi capelli che le escono dal cappuccio. Lo saluta con un cenno della mano.
“Mini, stai bene!” il coniglio si avvicina rincuorato. Lancio un occhiolino ad Astrea. Ha inteso. Mi annuisce e assiste alla scena. Dall’armadio si sentono dei boati, come se qualcuno stesse cercando di uscire. Calmoniglio attira a sé la spagnola, con l’intento di proteggerla. Dall’armadio esce un’altra Carmen Sanz, furiosa, con un vestito rosso e con un cappuccio  nero in testa. Il coniglio è sconvolto.
“Non è vero! Sono io Carmen Sanz!” dice con voce arrabbiatissima, uscendo dall’armadio. Entrambe le Mini si guardano negli occhi.
“Ma cosa dici?! Sono io Carmen Sanz!”
Estupida! Sono io Carmen Sanz!” sembra che vogliano prendersi a botte.
“No! Sono io Carmen Sanz!”
“No, sono io!”
“Non è vero! Sono io!”
“Sono io!”
Soy me!
Soy me!!!
Il coniglio sembra sul punto di svenire. La mascella gli trema e le orecchie sono abbassate. Entrambe le ragazze si voltano verso di lui.
“Allora, Calm, chi è la vera Carmen Sanz?” il coniglio deglutisce. Astrea vicino a me ride.
“Allora, chi è?” Astrea appoggia il viso sulla mia spalla per non far sentire le sue risate. Le sfioro i capelli, continuo a credere che sarebbe bello averla tutta per me… Ma sarebbe un desiderio troppo lussurioso. Il coniglio sembra essere molto confuso e schoccato.
“Io… io… beh…”
“Allora?!” dicono in coro. Sembra sul punto di perdere conoscenza. La fata vicino a me comincia ad abbracciarmi. Sta morendo dalle risate. E io dalla malizia, se continuasse a stringermi in questo modo. Tutto finisce con la gigantesca risata di Kolja. Sembra un’allarme antincendio. Calmoniglio lo fissa confuso. Anche le due Carmen ridono. Una di loro, la prima che è apparsa al coniglio, si toglie il cappuccio e si strappa i capelli con una sferzata. Era una parrucca. Si toglie anche il vestito e il mantello, scoprendo un ragazzo latino quasi identico a Mini. Calminiglio è il più confuso fra tutti.
“Ma… ch-chi…?!” i due si avvicinano tra di loro. Mini fa un passo avanti.
“Calm lui è Al. Calm, Al. Al, Calm” dice contentissima. La mascella del coniglio continua a tremare.
“È il mio fratellone!” la mandibola di Calmoniglio cade da qualche parte sul pavimento.
“Ce ne sono due!?”
Oh, si!!!
“Due uguali!?” entrambi annuiscono. Il coniglio guarda Kolja, ubriaco dalle risate, poi Astrea che mi abbraccia, me, intenta a nascondere la mano che accarezza i capelli della fata, e ritorna a fissare i due gemelli spagnoli.
Si volta, si posiziona a quattro zampe e inizia a scappare via per i lunghi corridoi del teatro, iniziando ad urlare parole incomprensibili. I due Sanz, indignati, lo seguono.
“Avevi ragione, Mini: esto conejito è fantastico!”
Conejito, devo strapazzarti di coccole!”
“Ma dov’è?!” dicono, infine, in coro. Kolja si asciuga le lacrime e si avvicina a noi. Astrea si stacca da me. Peccato… Dopo che l’omone abbia finito di ridere, mi guarda serio.
“Fabi, meglio se tu torni da Sandy: Farut e Mino sono qui a dormire e hanno lasciato lui solo” irrigidisco le sopracciglie.
“Come da solo? Non può stare da solo!” sospiro “Non fa niente, vado subito da lui” Kolja mi blocca e mi abbraccia ancora un po’. È molto felice. E lo sono anch’io. Astrea mi guarda da dietro le spalle dell’omone russo. Sembra molto carina vestita con quest’abito celeste. Appena incrocia gli occhi con i miei, arrossisce e si volta dal verso opposto. Credo che le piaccio. Chi l’avrebbe mai detto…! È vero: devo andare subito da Sandy, chissà cosa potrebbe capitargli in mia assenza…
“Ora vado, altrimenti Sandy finirà in qualche pasticcio!” mi stacco da Kolja, lo saluto ancora e vado. Prima di uscire dalla porta, ho sfiorato di nuovo le ali di Astrea. Si era irrigidita ed era arrossita ancora di più, ma senza guardarmi in volto. Si, è sicuro, le piaccio. Raggiungo la stalla, faccio liberare Yaja, le salgo in groppa e partiamo. È sempre la solita città: buia, senza luce e senza speranza. Questa volta però c’è qualcuno in giro, per passeggiare o per chiacchierare con altri. Alcuni brindano dentro le taberne. Riesco a sentire qualcosa…
“Ve lo giuro! Man a mano che passano i giorni, le notti s’accorciano ancor di più e i gioni si allungano!” sento moltissime risate, sia di uomini che di donne.
“Allora questa, sicuramente, non è una delle notti più corte!” altre risate. Qualcuno sbatte un bicchiere di vetro sul tavolo, lo sento. Lo ripetono ancora e ancora, la stessa frase, con risate e sbeffeggiamenti.
“…Lasciatemi in pace…!”
“Stai tranquillo! Questa la racconto solo alla mia donna, che è proprio bella!” sono saltate altre risate. Yaja sotto di me sbuffa in russo.
“…Stupidi insetti…” non sento più le loro parole, si riconoscono solo risate.
“Beh, almeno qualcuno qui si diverte…” si volta verso di me, mi guarda quasi con rimprovero.
“Sai, dopo averti conosciuto, mi sono sempre aspettata di tutto da te, ma quello che ho visto è decisamente oltre le mie aspettative!” mi fissa con lo stesso sguardo. Siamo in campagna, ci siamo solo noi due. Le sorrido.
“Cosa vuoi dire?”
“Voglio dire che non mi sarei mai aspettata un comportamento del genere da te!” faccio una faccia perplessa.
“Cosa?”
“Ti piacciono le fate, o sbaglio?” sbuffo una risata, vera come il sole.
“E tu questo dove l’avresti notato?” fa una faccia da saggia anziana.
“Oh, io ho occhi e orecchie dappertutto! Tu, piuttosto, come mai questa furboneria? Credimi, non mi aspettavo da te una cosa del genere” mi guarda quasi disgustata. Ho spesso pensato che Yaja provenga dal cinquecento o anche dagli anni più indietro. Ha un’atteggiamento e una mentalità troppo chiusa per essere contemporanea o dell’ottocento o del seicento in poi. Non riesco a frenare un’altra risata. Lei mi guarda male. La smetto. Prendo un bel respiro e comincio a pensare a cosa dire.
“Yaja, come adolescente, mi sono spesso domandata a quale ‘sponda’, come si vuol dire, appartenessi. Ebbene, sono giunta alla seguente conclusione: ricordi il vecchio esempio che se si usa per indicare gli omosessuali e gli eterosessuali?” sbatte le palpebre con sguardo interrogativo, mi aspettavo che non lo sapesse “Per gli omosessuali di solito si usa dire che appartengano alla sponda di sinistra e gli eterosessuali quella di destra”
“E tu in quale sponda saresti?” mi faccio pensierosa.
“Probabilmente sono nel mezzo” mi guarda tra il confuso e lo scioccato.
“Ti spiego: non faccio molte differenze. Se si ama qualcuno, non deve essere dettato necessariamente dal sesso opposto. Diverse volte mi è capitato di provare qualche emozione particolare per gli uomini, così come per le donne. Ma devo dire che favorisco i primi, non perché sia la scelta ‘ideale’, ma perché gli apprezzo di più. La donna è viziata e crudele, soprattutto fra i medesimi sessi. O almeno dal mio punto di vista. Anche se sono nella via di mezzo, preferirei essere sposa di un uomo piuttosto che di una donna” il mio discorso le ha fatto apparire una faccia un po’ confusa. Non credo che spiegarle di nuovo il mio concetto possa renderla meno sconvolta di com’è.
“E il comportamento che avevi con quella stupida, come lo spieghi?” chiede con tono un po’ arrabbiato.
“Un capriccio” mi fissa furiosa. Metto le mani di fronte a me, come se volessi difendermi “Tranquilla: è un desiderio che non ho intenzione di soddisfare. Parola d’onore. Mi piaceva solo viziarla un po’, tutto qui” Oh, non sai quanto vorrei accarezzare i capelli di quella ‘stupida’ in questo momento… Si calma. Comincia a guardare di fronte a sé. Siamo nel campo di mele, siamo quasi a casa. Yaja sembra più rilassata di prima.
“Va bene, ho capito. Ma sappi una cosa: una fata, anche se sembra carina e dolce, sotto i suoi abiti è un’orribile creatura intrattabile e piena di malvagità, più di una strega. Quindi, se hai intenzione di soddisfare il tuo ‘capriccio’, ricordati: se mentirai o altro a quella stupida o a qualsiasi altra della sua razza, finirai a vivere una vita miserabile e piena di delusioni” vuole farmi paura. Non metto in dubbio che voglia avvisarmi e credo che ciò che ha detto sia vero, ma sembra che l’abbia detto più per spaventarmi che per informarmi. Annuisco più volte.
“Non ti preoccupare” sembra soddisfatta.
“Brava la mia bambina” d’un tratto si ferma, guarda sotto di sé con nervosismo. Di fronte a noi c’è la casetta. Rivederla dopo tutti questi giorni non mi provoca nulla nell’animo: sono felice di essere ritornata qui, ma non entusiasta. Yaja continua a fissare il terreno. Guardo anch’io. Non riesco a vedere bene. Scendo dalla mula. Vedo ciò che sta guardando. Il mio sguardo diventa apatico.
Orme.
Orme di un grosso animale.
“Fabi, stai vicino a me. Credo che ci siano dei lupi da queste parti” mi dice la sua voce nella mia testa. Continuamo a camminare. Resto vicino a Yaja, trattenendo con la mano la sua criniera grigia e un po’ grezza. Le orme aumentano di numero. Puntano tutte verso la casa. Le seguiamo. Non sarei sorpresa di vedere un tizio della gang di Fabrizio girare inavvertitamente da queste parti. Dopotutto, se vedi una casa, perché non controllare all’interno? La porta è spalancata. Le orme continuano anche dopo la soglia, sporcando il pavimento di erba e fango fresco. Diventano magicamente delle orme di grosse scarpe. Per fortuna non c’è sangue. Yaja entra prima di me. Si posiziona in mezzo alla stanza, apre le orecchie, le alza e ascolta. Dopo qualche decina di secondi le abbassa di nuovo.
“Non c’è nessuno qui, Fabi. Bambina, guarda se c’è Sandman, sono preoccupata…” non me lo faccio ripetere due volte. Corro su per le scale. Potrebbe anche essersi nascosto dentro qualche armadio o in soffitta, non è detto che l’abbiano preso.
“Sandman! Sandy, pericolo scampato!” aspetto qualche secondo prima di constatare che non sento nulla, né della sabbia, né dei passetti appena accennati. Corro in avanti, cerco di abbassare la scaletta nascosta della soffitta. Non ci riesco, sono troppo bassa. Rinuncio in fretta ed esco dalla finestra per saltare sul tetto e raggiungere la finestrella socchiusa della soffitta. La apro lentamente. In apparenza sembra che non ci sia nessuno. I vestiti formano un gran numero di fantasmi grazie alla mia immaginazione.
“Sandy, sono Fabiola, sono tornata! Esci fuori! Non c’è pericolo! Sandman!” aspetto ancora un po’. Non c’è nessuno. Sandman è scomparso. Dopo un’ultima sbirciata, chiudo la finestrella e scavalco di nuovo la finestra del corridoio. Lo cerco nelle altre stanze: in quella di Farut, quella di Mino, la mia, la stanzetta di Sandy. Il secondo piano è completamente vuoto. Ci sono impronte ovunque e di varie dimensione e diametro. Probabilmente devono essere entrati più di uno. Mi sento agitata, non per la paura, per la rabbia. Hanno rubato ciò che è mio. Scendo al piano di sotto. Yaja batte gli zoccoli vicino a me.
“Non c’è nemmeno qui. Credo che lo abbiamo perso, Fabi…” non riesco a muovere le iridi, non so il perché. È come se i miei occhi fossero stati per troppo tempo sbarrati. Ora sono paralizzati e non riesco a muoverli. Distolgo lo sguardo da Yaja, non so nemmeno il perché. Sto pensando sul da fare. Guardo per terra: oltre ad orme di fango, si trova anche della sabbia incastonata nelle impronte che illumina lievemente il pavimento.
“Credo che sia andato via per sempre, Fabi… Accidenti a loro. Se gli incontro per la via, giuro che li trasformo in maiali…! Uh… Fabi, dove vai?” non ho nemmeno aspettato che Yaja terminasse il suo discorso, che sono salita al piano di sopra, nella mia stanzetta. Spalanco l’armadio. Nessuno può aprirlo, tranne che me. Quando io e Pitch ci alleniamo, spesso usiamo delle armi che lui ha arruffato a chissà chi e in chissà quale luogo dell’isola per insegnarmi come si usano. Ci sono tutte le armi che io abbia usato in un mese di esercitazioni. Solo ora mi accorgo di quanto è pieno questa scatola di legno, più tardi lo ripulirò per bene. Ci sono: spade, moschetti, fucili con cartucce, pistole antiche, archi con frecce, maceti, persino accette e coltellini di varie dimensioni. Solo una di loro è quella che mi interessa maggiormente. La prendo in mano, prendo anche i suoi dardi. Metto il tutto sulla scrivania. Accendo la luce della lampadina di fianco. Esco fuori dalla stanzetta, prendo una piantina che si trova nel corridoio e la porto dentro, sulla scrivania, con vaso e terra. Yaja, silenziosamente entra nella stanza insieme a me.
Poggio tutto il materiale sulla scrivania. Prendo la mia borsa nera che ho portato anche nell’ultimo viaggio. La svuoto. Prendo in mano la bottiglietta di vetro che Mary voleva farmi bere. Apro un cassetto della scrivania. Recupero un contagocce, pulito. Prendo una piccola quantità di gocce di liquido e lo spalmo sul busto della pianta. Aspetto diversi secondi, fino a contarne venti. Non accade nulla, la pianta è sempre verde e sana. Prendo uno dei miei coltelli che i gemelli mi hanno restituito. Reco un taglietto alla pianta, dove in seguito spalmo il liquido trasparente. Dopo pochi secondi i fiori blu, insime al busto, marciscono di fronte ai nostri occhi, accartocciandosi su sé stessi e mutando il colore da verde a un marrone scuro, segno di morte. Come immaginavo, gli effetti del veleno giungono solo se il liquido viene ingerito o se viene spalmiato su di una ferita, anche lieve.
Svuoto il contagocce nella bottiglietta. Prendo uno dei dardi sottilissimi della cerbottana e immergo la punta di ognuno nel veleno di Mary. Lo pongo con cautela in un fazzoletto in modo da non toccarlo. Inizio a rimettere tutto a posto. Porterò con me la cerbottana e i suoi dardi, è certo.
“Scusami, cosa stai facendo? Perché io non ho capito niente di ciò che stai architettando” rimetto a posto la pianta, più tardi penserò a sostituirla.
“Le orme sul pavimento sono umide. Ciò vuol dire che chiunque sia entrato qui dentro ci è entrato da poco. Non è tardi: possiamo ancora riprenderci l’Omino dei Sogni e tornare qui sani e salvi” Yaja sembra piuttosto perplessa.
“Perfetto. Sappi però che non sono in vena di uccidere qualcuno stasera…”
“Non c’è problema: lo farò io. Mi basta solo che tu mi accompagni fin da loro. Ma prima devo capire cos’altro devo portare con me” dico guardando con sguardo osservatore l’armadio pieno di armi per scegliere la migliore da usare. Meglio qualcosa di non troppo preciso per far sentire molto più dolore, oppure qualcosa di piccolo e immediato…?
“Senti, bambina, non per toglierti l’entusiasmo… ma dove credi che siano andati?” sento nella mia bocca i denti sfregarsi tra di loro. Non si può mai sapere con certezza dove siano andati. Forse lo hanno portato nel loro nascondiglio. Già, ma dove sarà questo nascondiglio? Forse devo guardare meglio le tracce e cercare di immaginare dove siano andati ed intercettarli il prima possibile. Forse…
Fisso per un secondo Yaja. Ha uno sguardo strano. È come se vedesse di fronte a sé qualcosa di divino. Porgo lo sguardo alla stessa cosa che sta fissando. Sento le mie sopracciglie e i miei occhi socchiudersi per la perplessità. Vedo una sorta di raggio argentato che si posiziona sul campo di grano, fuori dalla finestra. Rimango ancora più perplessa quando il raggio comincia a muoversi verso di noi, fino a illuminare me, completamente. Non capisco. Yaja mi fissa pietrificata. Guardo attraverso la luce. Vedo la luna, non so cosa significhi. Il raggio si muove ancora. Esce fuori. Mi sporgo dalla finestra del corridoio e fisso quel raggio che, questa volta, indica un sentiero nella foresta. Vedo in lontananza delle orme di un carro. Il raggio, lentamente, svanisce di fronte ai nostri occhi.
“Dobbiamo andare laggiù… Lì hanno portato Sandman…” sussurra la mula. Rimango molto perplessa.
“Anche la luna è uno spirito?” Yaja scuote la testa, pietrificata.
“Molto di più, figlia mia. Molto di più…” fa un accenno di sorriso. La guardo con perplessità.
“Che cosa credi che ci abbia detto?”
“Vuole dire di andare per il bosco, ad ovest e salvare Sandman” non so dove abbia letto tutte queste cose da un raggio staccato, anche casualmente, da un satellite. Non capisco molte cose.
“Come fai a saperlo?”
Lui ci dà sempre un aiuto quando ci troviamo in difficoltà. Dobbiamo astenerci al suo comando. Non fare domande ora, bambina, più tardi ti spiegherò tutto. Ora dobbiamo andare e in fretta!” detto questo comincia a trottare verso l’uscita. Con una gigantesca pozza di domande in testa, la seguo.
 
 
 
 
“Devo andare via per qualche giorno, non starò via per molto.
Avvisa Farut e Mino di questo biglietto.
Fabiola”
 
C’era solo questo nel foglietto lasciato da lei. Il fatto di averlo lasciato solo e senza molte informazioni sul luogo dove dovesse andare, lo aveva reso terribilmente triste.
Si era rifuggiato sopra il tetto della casetta, lontano da chiunque, anche se solo. Molto solo. Aveva portato con sé una coperta, sia per nascondere la luminescenza della sua sabbia, sia perché, dopo diverse settimane, aveva iniziato ad avere freddo. Sentiva dei brividi lungo la schiena. Si strinse la coperta a sé.
Non si era mai sentito così solo in tutta la sua esistenza. Era peggio di essere invisibile agli occhi di chiunque: questa volta era visto, ma completamente ignorato e isolato. I due ragazzi che abitavano con lui sembravano dei fantasmi senza forma. Poche volte parlavano con lui e altrettante poche erano le volte che veniva ascoltato o compreso. Entrambi era invisibili sia a lui che alla bambina. La mattina scomparivano e la sera tornavano mentre dormivano. Voleva qualcosa in più da loro ma non sapeva bene cosa.
Tirò un lungo sospiro, chiudendo le palpebre. Il paesaggio notturno della foresta era tetro e misterioso, inadatto a qualunque umano. Si domandò come facevano Mino e Farut a percorrere la stessa strada ogni sera. E si domandò per quale motivo Fabiola si rifuggiasse in un luogo così minaccioso e senza paura. Forse perché era il suo elemento, la voce della foresta. O forse era lei stessa a chiamare la foresta. O forse per allontanarsi da lui e non incrociarlo in nessun luogo.
Si alzò in piedi e cominciò a camminare sulle tegole piene di foglie. Faceva fatica a volare. Si sentiva terribilmente pesante ad ogni passo che faceva e se iniziava a correre, dopo qualche secondo, sentiva il fiato mancare. La sua sabbia gli impediva gran parte dei movimenti per via della sua mole. Ciò che era peggio era che lasciava dei granelli dietro di lui, durante le sue passeggiate per la casa. Questo comportamento anormale della sua sabbia lo rendeva irrequieto. Ogni giorno, senza quei semplici granelli, sentiva di perdere qualcosa, come dei pezzi di carne che, lentamente, si staccavano dal suo corpo. Ma allo stesso tempo sentiva che quella tonnellate di sabbia ammucchiata su di lui gli impediva di fare qualsiasi movimento. Anche se doveva percorrere una decina di metri, il capogiro si faceva sentire, puntuale. Talvolta credeva che avrebbe potuto grattare via gran parte di quella sabbia in modo da facilitare i movimenti o, almeno, per non renderli così faticosi. Poi però si bloccava e pensava alla stupida pazzia che aveva in mente.
Sentiva un giramento di testa. Si fermò e si massaggiò con una mano la tempia. Passò il capogiro. Si sedette, con fatica. Anche sedersi era faticoso.
La solitudine lo aveva attanagliato come un serpente che si aggrovigliava attorno al suo corpo. Non voleva dare la colpa a Fabiola per ciò, anche se effettivamente era lei la responsabile. O, almeno, una dei tanti colpevoli. Con una scrollata di spalle si tolse di mente quell’idea.
Non voleva darle colpa per la sua solitudine. Era per colpa sua se aveva innavertitamente aperto quel barattolo pieno di polvere bianca. E per colpa sua aveva tentato di far del male a lei. Si strinse ancor di più nella coperta. Ricordava quasi ogni cosa che le aveva fatto. Si voleva strappare i denti per ciò che aveva fatto. Sicuramente era molto spaventata e per questo che gli aveva rovesciato addosso quel secchio pieno d’acqua. Fino a quel momento non ricordava più nulla. Probabilmente i due folletti devono essere arrivati in quell’attimo e lo avevano medicato. Non lo ricordava. Non ricordava nemmeno come si era fatto quella piccola cicatrice sulla guancia. Forse se l’era recato da solo cadendo dopo essere stato bagnato, ma non trovava questa teoria molto sicura.
Alzò lo sguardo sopra di sé. Una luna piena si stagliava nel cielo. Chissà cosa stava facendo Manny lassù…? Forse era preoccupato per loro, spiriti e mortali, per tutto ciò che stava accadendo? O forse stava pensando ad un modo per aiutali? Domande senza risposte. Un vento freddo gli sferzò il viso e il petto. Si alzò per cercare di scacciare via quel vento dispettoso. Non si accorse di aver poggiato tutto il suo peso sopra ad una foglia. La foglia lo fece scivolare in avanti. Non riuscì a prendere in tempo qualcosa per bilanciarsi. Cadde. La sabbia sul suo corpo lo rese più pesante e la caduta venne in fretta. Cadde di lato, avvolto nella coperta bianca. Gli doleva il braccio, il fianco e la tempia sinistra. Non riuscì a muoversi. Voleva aiuto. Non riuscì nemmeno a chiamarne alcuno. Sentiva la gola secca e gli occhi umidi.
Fabiola lo odiava. Sicuramente. Non credeva di volere il suo perdono, ma avrebbe preferito un’occhiata di disprezzo invece di occhi falsamente cieci. Cercò di alzarsi con un braccio, quello dolorante. Cadde sbattendo la fronte sui scalini d’entrata. I singhiozzi presero possesso del suo corpo. Odiava quella prigione che era quella casa in mezzo al nulla. Voleva fuggire, ma allo stesso tempo non voleva far accendere preoccupazioni, se non ai tre ragazzi, almeno non voleva rendersi scomparso agli occhi di North e di Calmoniglio che sicuramente erano in ansia per lui. E poi, se fosse fuggito, dove sarebbe andato? Le sue condizioni erano misere, non sarebbe riuscito nemmeno a raggiungere in un giorno la foresta. E, soprattutto, non vi era alcun rifugio sicuro su quell’isola.
Riuscì ad alzarsi, sentì un capogiro. Si rimise in piedi e si concentrò per trovare un equilibrio nel suo cervello. Lo trovò. Il capogiro svanì. Sentì un briciolo di soddisfazione in ciò. Era stanco anche di sembrare così terribilmente debole e bisognoso.
Guardò la foresta di fronte a sé. Fabiola vi entrava la mattina presto e se ne ritornava per la cena. Era curioso di sapere cosa avesse di tanto interessante quel bosco. Vi usciva da esso, non felice, ma molto più rilassata e serena di come vi entrava. Gli venne la malsana idea di risolvere quel mistero, di scoprire la bellezza di quel luogo in apparenza morto e minaccioso. I suoi passi vollero proseguire, ma il suo cuore pensò di no, non sarebbe andato laggiù. Anche se… dov’era Fabiola?
Perché non tornava da lui? Perché non tornava in quella casa? Forse era fuggita via per sempre. Forse era solo una vana speranza la lettera che gli aveva lasciato. Forse lo odiava molto più di quanto credeva. Quell’ipotesi divenne quasi certezza. La sua gola si seccò e i singhiozzi accelerarono. Cercò di non far sgorgare le lacrime. Non aveva più la percezione del tempo come una volta. Le lancette che erano sempre precise nel suo cervello, dopo quell’episodio del barattolo, sentiva come se si fossero fermate e che talvolta tornassero indietro o accelerassero in avanti. Sarebbe stata anche la sua percezione dei giorni molto difettosa in quel periodo, eppure non gli sembravano che fossero passati pochi giorni. Riuscì a percepire sette giornate passate, ma non riusciva a calcolare quante ore potessero essere passate dopo quella settimana.
Cominciò ad avere paura per lei. Forse le era accaduto qualcosa d’irrimediabile e lui non era vicino a lei. Forse quel bosco dove si era rifuggiata non era così sicuro come credeva. Fissò ancora quel paesaggio tetro e buio di fronte a sé. Non volle pensare a nulla. Nulla. Non volle credere a nulla e nemmeno pensare a nulla. Eppure non riuscì a farne a meno. Nonostante gli occhi falsamente cieci della bambina, non riusciva a darle alcuna colpa. Sentiva come se in quei giorni, anche se non interagendo apertamente, si fosse abituato molto alla sua presenza, anche se muta. Voleva che ritornasse da lui. Voleva almeno sapere se stava bene… Alzò gli occhi di fronte a sé.
Lontano da lui, molto lontano, vi erano dei movimenti.
Lupi.
Il suo corpo ebbe un movimento improvviso. Le sue mani si arrampicarono disperatamente alla coperta bianca. Ricordava di avergli già visti, tempo fa, ma quella volta c’era Farut con lui.
Ora però era da solo.
E i lupi si stavano avvicinando alla casetta.
Con le mani bloccate, così come gli occhi, cominciò ad indietreggiare, fino ad arrivare all’uscio di casa. I lupi si dirigevano proprio verso di lui, ma non lo avevano ancora scorto, era troppo lontano. Lentamente, cercando di non far rumore, chiuse la porta d’entrata e la sigillò con un lucchetto. Si voltò. Cercò di essere più veloce possibile e di raggiungere il secondo piano. Le sue mani si aggrapparono, disperate, alle basi dei corrimani. Spinse il suo peso per ogni gradino. Cercò d’ignorare le emicranie e spinse con tutte le sue forze la sua mole e la sua sabbia fino a raggiungere la vetta.
Fino a quell’istante non sentì alcun suono. Credette che se ne fossero andati, oppure avessero cambiato idea e avessero deciso di cambiare direzione.
“Allora, è questa la betola dell’altra volta?” le tende erano tirate, non vi era alcuna luce, eppure Sandman vide le loro sagome attraverso di esse. Non riuscì a credere che tutto ciò gli stesse accadendo proprio quel giorno. Quel giorno i cui era così terribilmente debole. Si strinse la coperta fin sopra la testa, cercando di non mostrare la lumiscenza della sua sabbia. Fece dei passetti lungo il corridoio del secondo piano.
“Si, l’ultima volta sono passato di qui. C’era una sorta di giocatore di pallacanestro turco, abbastanza teso” sentì l’aria mancare nei suoi polmoni. A metà strada, si fermò e prese dei profondi respiri. Mentre faceva ciò, alzò lo sguardo sopra di sé, vedendo la scaletta nascosta.
 
“Sandy, ora ascoltami: se qualcuno dovesse venire qui quando non ci siamo e volesse entrare, tu non farti vedere, lascia sempre le tende tirate. Se invece entrassero con la forza, usa la scaletta e sali in soffitta. La scala è nascosta e anche se la vedessero, soltanto io e Farut possiamo farla scendere: è molto in alto. Ma sono certo che tu possa arrivare fin lassù con un balzo, vero?”
 
Mentì al giovane, annuendo. Non era così semplice come voleva far credere. Faceva fatica anche solo a fare pochi passi, volare era fuori discussione. Sentì bussare per tre volte. Ognuno di quei boati erano dei coltelli impiantati nella sua carne. Con tutta la forza di volontà che possedeva, cominciò a correre, fino a raggiungere la scaletta. Cercò di riprendere fiato, guardando in alto verso la propria via d'uscita.
“C’è nessuno?! Siamo del Governo! Ci apra, signore!” fece tre respiri profondi, molto profondi. I capogiri sparirono. Si concentrò. Fece un balzo. Si staccò solo di pochi centimetri dal suolo. Prese un altro respiro profondo. Riprovò. Circa cinque centimetri.
“Beh, non c’è nessuno. Che facciamo? Andiamo via?”
“Stai scherzando?! Dopo tutte queste ore di viaggio?! Tu sei pazzo, Marcello…” Andate via… Andate via…
“E allora che si fa?”
“Frantumiamo la porta e entriamo dentro, ovvio!” qualcosa dentro di lui, probabilmente il cuore, fece un balzo fino a raggiungere la sua gola col probabile intento di fuggire via dal suo corpo incapace di fare un salto. Fece un altro balzo, protendendo un braccio verso la scaletta. Ancora pochi centimetri. Non poteva riuscirci. Era troppo debole. Ma allora… cosa avrebbe fatto…?
Sentì delle percosse sul legno della porta d’ingresso. Doveva riuscirci, doveva. Fece un altro balzo. Cinque centimetri circa, quasi dieci. Forse poteva riuscirci… Un altro balzo. Dieci centimetri, sicuri. Gli mancò il fiato. Si mise una mano sul cuore. Aveva un capogiro. Per pochi secondi vide la scaletta sopra di lui ondeggiare e girare su sé stessa, come se deridesse i tentativi di raggiungerla del povero omino. Chiuse gli occhi e, nonostante il mondo intorno a lui continuasse a girare, fece un altro balzo. Non riuscì a tenere l’equilibrio e cadde sulla schiena, senza alcun suono questa volta. Aprì gli occhi, vide la scaletta sopra di sé. Continuava ad ondeggiare derisoriamente. L’omino chiuse gli occhi e si concentrò cercando un equilibrio. Lo trovò. Si alzò, con tutta la velocità che poteva e si rimise in piedi. In quel momento, dal primo piano, si sentì un colpo molto più potente degli altri, seguito dal cigolio sinistro di una porta. Gli mancò il fiato, erano entrati in casa. E lui era ancora lì, senza sapere cosa fare per raggiungere l’unico punto sicuro di tutta la casa.
“Ti ci è voluto tanto per aprire una stupida porta?”
“Fai silenzio, tanto sei stato solo a guardare! Marcello, ora guarda e impara: dovremo fare un rapido controllo qui dentro” Oh, no…
Cosa fare ora…? Cosa avrebbe potuto fare…? Guardò di nuovo la scaletta sopra di sé. Rinunciò a raggiungerla: era troppo debole. Se fosse stato più forte ci sarebbe riuscito… Sentì dei passi percorrere con poca fretta le scale. Fece la prima cosa che gli venne in mente. Si girò verso destra ed entrò nella stanza, la stanza di Farut. Chiuse, senza far rumore, la porta dietro di sé. Si guardò attorno, con affanno. Non riuscì proprio a comprendere la sua debolezza e la sua incapacità in quel momento. Non era il momento di lasciarsi andare alle pene. Cercò con gli occhi un nascondiglio. I passi pesanti continuarono e puntarono vicino a lui. Per un momento gli sentì dietro di lui, dietro la porta. Si buttò, con la coperta in spalla, nell’armadio del suo amico. Si chiuse dentro, appena in tempo. Era dentro un vecchio armadio di legno, con delle passerelle sconnesse dove riusciva a vedere cosa vi era all’esterno. Si coprì completamente nel panno bianco, in quel momento ricordò la pelle bianca di Fabiola sotto i raggi di luna nelle notti d’estate. Si chiese perché in quel momento stava pensando a lei. Forse perché sentiva che era la fine…?
I passi spalancarono la porta con un forte boato. Cercò di non tremare nel suo nascondiglio. Quella calda coperta divenne il suo unico sostegno. I passi, imperterriti, marciarono nella stanza, fecero abbassare il loro padrone per guardare sotto al letto. Stavano cercando qualcuno. Continuarono a marciare, indifferenti, per tutta la stanza. Sentì ogni suo muscolo accartocciarsi su sé stesso per il terrore di essere scoperto. Il suo terrore si ampliò quando i passi si fermarono esattamente di fronte all’armadio. Di fronte a lui, al suo nascondiglio. Non riuscì a far altro che restare immobile, muto, ad aspettare che se ne andassero lontani da lui. I passi, dopo millenni di attesa, si mossero verso sinistra, verso l’uscio.
Credeva che ciò fosse quasi impossibile. Sarebbe scoppiato dalla felicità in quel momento. Ma accadde. Come se fossero mossi da un ordine invisibile, le porte dell’armadio di spalancarono. Sandy non riuscì a muoversi per il terrore. Una testa brutta, senza un occhio e con una benda, apparve alla sua sinistra, con un sorriso. L’omino sobbalzò.
“Boo!” fece un altro sobbalzo dall’orrore della situazione. L’avevano preso. Non voleva accettarlo. La faccia rise, una brutta risata derisoria. Sandman era impietrito. Si voltò verso sinistra.
“Ragazzi! Guardate chi sta giocando a nascondino dentro gli armadi!” non riusciva e non voleva accettarlo. Non voleva essere preso in quel modo, debole e incapace di ogni azione. Fece uno scatto, che nemmeno lui riusciva a credere di aver fatto, verso destra. Lo prese in fretta, fermandolo con un braccio forte e rigido, strattonandolo per i capelli. Soffocò un muto grido per la sorpresa e il dolore. Si dimenò come meglio potè. Ma i suoi tentativi di libertà erano futili: l’uomo lo trattenne con entrambe le braccia e lo sollevò di fronte a sé, con una facilità che fece disperare l’omino. Da quell’altezza vide di fronte a sé altre due facce: una sciupata di un altro uomo, un’altra, molto più innocente, di un ragazzino dagli occhi curiosi. Fu lui a parlare.
“Ma questo cos’è?” chiese dubbioso. Entrambi rimasero pietrificati. Doveva avere l’età di Fabiola, forse anche più piccolo.
“Bah! Non importa. È uno spirito di sicuro, questo è importante. Ora andiamo” disse, trasportandolo e scansando i due all’uscio. Percorsero tutto il corridoio, con molta più velocità di quanto Sandman fosse riuscito a fare.
“Aspetta! Dove lo portiamo?” il suo carceriere fissò annoiato il ragazzino.
“Ma sei nato ieri, Marcello?! Da Macula Sanguinea, che domande sono!” Sandman, sentito il nome, s’irrigidì. Il ragazzino, Marcello, si grattò la nuca, con perplessità.
“Va bene… Che fine farà?” chiese, guardando, non il suo aguzzino, ma lui, nei suoi occhi, con molta più umanità e preoccupazione di quanto si sarebbe aspettato. Intervenne il secondo uomo, dietro di lui.
“Non ti preoccupare, Lei troverà un altro posto bellissimo per lui” si sentì molto più teso di quanto non lo era stato prima di udire quel nome. Si ricordò di quella notte, quella in cui Fabiola e Pitch si sono incontrati. Ricordò di aver sentito quel nome, ricordò anche ciò che North, tramite lettere, gli aveva rivelato riguardo a quel nome e al suo significato. Un significato orribile, tragico e angoscioso. Per la paura, il terrore e molti altri fattori, associò quel nome alla morte. Macula Sanguinea e coloro che in quel momento erano i suoi aguzzini, erano la morte. E lui non voleva raggiungerla in quel modo.
“Si, ma… Lei cosa ne farà di lui?” l’uomo zoppicando vicino al più piccolo, rispose sgarbatamente.
“Ma cosa importa!? Spellato vivo, mangiato da qualche cane, trasformato in un bersaglio, o usato come giocattolo per la notte, che importa!? So solo che chiederò di far guarire questa stupida gamba, quando ci chiederà la ricompensa!” non voleva sentire altro. Col panico che galoppava dentro di lui, cominciò ad agitarsi, lanciando gride mute e terrorizzate.
“Ma che…!?” riuscì a liberarsi, con suo grande sollievo. Cominciò a correre per le scale, con la coperta bianca che volava sulla sua schiena. Vide di fronte ai suoi occhi la porta in grado di farlo uscire e portarlo all’assoluta libertà. Non sapeva cosa avrebbe fatto dopo aver varcato quella soglia, ma sapeva soltanto che doveva raggiungerla e librarsi in aria, il più lontano possibile da ogni pericolo. Nella corsa non si accorse di essere stato preso per un braccio e strattonato all’indietro, in faccia ad un volto irato e sciapato. Annaspò dal terrore.
“Lurido gnomo!” non ebbe il tempo di ascoltare il seguito che ricominciò a dimenarsi per liberare il suo braccio. In quel momento, non seppe mai in quale angolo del cervello uscì fuori questo pensiero, volle ardentemente tagliarsi quell’arto che ostacolava la sua libertà. Si dimenò ancora più furiosamente quando vide un altro volto, con una benda all’occhio, avvicinarsi minacciosamente a lui.
“Stai fermo, microbo!” detto ciò gli diede un pugno in testa. Forse fu per il fatto che fosse un colpo ben assestato oppure per via delle sue condizioni di salute, ma svenne. Dopo aver toccato terreno e dopo aver visto per pochi attimi la porta della sua libertà serrarsi da un’altra figura. Sentì il boato della chiusura, poco prima di aver perso totalmente i sensi.
 
 
 
 
Aprì gli occhi. Non vide nulla, solo un malinconico buio. Per un attimo credette di essere ritornato a casa, con Fabiola che dormiva profondamente e con lui che dormiva profondamente vicino a lei. Forse tutto ciò che stava passando era stato solo un sogno. Si accorse del contrario quando alzò lo sguardo e vide un uomo con una benda che, con passo moderato, lo stava lentamente raggiungendo; eppure, nonostante i suoi sforzi, non riusciva a raggiungerlo. Aveva un fucile adagiamente posato sulla sua spalla. Accorto della sua presenza, l’uomo gli sorrise sgarbatamente.
“Ben svegliato, microbo! Dormito bene?” chiese ironicamente. La battuta venne seguita da una risata rozza e tetra, che proveniva dietro di lui. Si voltò lentamente. Si rese conto di trovarsi all’interno di un carro, scoperto, in compagnia degli stessi che l’avevano rapito; di cui l’uomo con la benda che si trovava a fare da retroguardia seguendo dietro di loro il carretto, il secondo che aveva riso che dirigeva il carro percorrendo la foresta buia e malinconica e il ragazzino che, seduto poco lontano da lui, guardava il paesaggio con un pentimento negli occhi. Sentì un gran dolore al capo. Ebbe l’istinto di toccare il punto dolorante, ma si accorse di non riuscirci. Guardò le sue mani, vide che erano legate con della corda sottile, in modo di non farlo liberare con facilità. Non gli avevano legato i piedi, probamente sapevano che non ce n’era bisogno, visto la sua scarsa velocità. Cercò di trovare una via di fuga. Pensò di rotolare giù dal carro, in modo da poter fuggire. Era impossibile: l’uomo di retroguardia, l’avrebbe preso velocemente e anche se non fosse, dove sarebbe andato e dove avrebbe trovato la via per tornare a casa? Non aveva mai provato ad uscire dalla casetta dopo la sua malattia e, inoltre, sentiva la testa incredibilmente pesante e inutile.
Aveva capito una cosa fondamentale: l’avevano catturato e, questa volta, non avrebbe trovato nessun modo per scappare e per salvarsi dalla morte.
Questo pensiero lo fece impietosire. Sentì gli occhi appannarsi e i singhiozzi percorrere la sua gola. Il carretto lo stava portando alla sua morte, senza molta fretta. Non trovò nulla per cui non abbandonarsi alle lacrime. Non aveva nulla per cui piangere, ma allo stesso tempo sentiva di aver fallito in una banale impresa che, se non avesse avuto quella malattia, l’avrebbe superata molto facilmente. Questi pensieri mossero la sua testa verso il suo grembo. Riuscì a non cacciare nemmeno una lacrima, ma le sentiva nei suoi occhi, in cerca di un modo per fuoriuscire. Alzò la testa sopra di sé. L’Uomo nella Luna lo fissava.
Lo prego in silenzio, di salvarlo, di fare qualcosa in modo che potesse fuggire. Cercò di pronunciare delle parole, anche se mute. Ricordò tutte le avventure che aveva vissuto insieme ai suoi colleghi e amici, per i bambini e per il mondo: I Secoli Bui, L’incontro con i Guardiani, l’ultima battaglia combattuta contro Pitch Black e ora questo. Questa battaglia già persa dal principio. Sarebbe perito per la seconda volta, ma almeno l’ultima battaglia l’aveva combattuta con tutte le proprie forze, era morto, si, ma era ugualemente fiero di aver protetto i suoi amici. Questa battaglia l’aveva già persa con molta facilità, senza riuscire a combattere. Chiese alla Luna una salvezza, qualcosa che potesse raggiungerlo e ridonargli la forza. Qualcosa che potesse liberarlo.
Non vide nessuna reazione dall’alto. Abbassò la testa, afflitto, con le lacrime pericolosamente esposte. Sentì una calda coperta bianca coprirgli le spalle ghiacciate, percosse da brividi e singhiozzi. Alzò lentamente lo sguardo. Il ragazzino gli copriva con tremore il corpo. Lo fissò meravigliato. Marcello ricambiò con un sorriso tremolante, come se avesse paura di lui, spirito stanco e sofferente.
“V-va tutt-tutto bene. Qu-questo ti terrà a-al caldo” nonostante tutto ciò che stava accadendo, rimase stupito dall’umanità d’animo del ragazzino. Quasi credette che ciò che stava guardando fosse un’allucinazione. Si rese conto del contrario quando comprese che la coperta che aveva sulle spalle era reale e che era la stessa che aveva utilizzato per proteggersi dal freddo quando era nella casetta. Marcello si avvicinò, gattonando, a lui. Si era reso conto che l’omino non era pericoloso.
“Co-cosa sei?” lo guardò con compassione, sapendo di non poter rispondere alla domanda. Con tutte le sue forze, cercò di alzare gli angoli della sua bocca. Il ragazzino rimase in attesa di una risposta, chiaramente impaziente di sapere che tipologia di essere soprannaturale era lo strano omino che si trovava di fronte a lui. L’omino rispose indicando e toccandosi la gola.
“Erm… non puoi parlare?” Sandman fece segno negativo col capo. Marcello mostrò uno sguardo rassegnato.
“I-io…ecco… te l’avevo chiesto perché… sei buffo!” disse, cercando di giustificarsi. Ciò fece sorridere l’omino. I modi e gli atteggiamenti infantili del ragazzino erano quasi comici e il suo imbarazzo era ingenuamente fanciullesco. Lo guardò meglio: in confronto all’abbigliamento degli altri due, il ragazzino aveva un modesto abito che gli ricordava vagamente i Secoli Bui. Era molto diverso dai due uomini, perché si trovava con loro? Questa domanda non la fece mai e il ragazzino era ancora in profondo imbarazzo.
“Marcello! Non infastidirmi la preda e fai qualcosa di utile qui!” Marcello sobbalzò, quasi lieto di poter allontanarsi dall’imbarazzo creato da lui stesso e, senza guardarlo, si allontanò. Ciò lo rese ancora più triste. La sua possibile compagnia era andata via, lasciandolo ancora una volta nella solitudine. Abbassò la testa, coprendosi con la coperta.
“Cosa succede?”
“C’è quest’asino che mi sbarra la strada, levalo di torno! Ah, si, e fai in fretta: non c’è tempo da perdere!” guardò attraverso la coperta. Il ragazzino scese dal carro, fermo ormai, e cercò di spostare il quadrupede tirandolo per il muso e poi incitandolo ad andarsene. Fu tutto inutile. La pazienza dell’uomo traboccò, scese anche lui dal carro e cominciò ad aiutare Marcello nella sua impresa. L’Omino dei Sogni osservò meglio l’animale notando che aveva con sé, sulla groppa, una coperta viola: sembrava Yaja, la mula di Fabiola. Cosa ci faceva in quella foresta?
“Eh…?” spostò lo sguardo. L’uomo con la benda aveva iniziato a tastarsi con dubbio il collo nudo. Dopo qualche secondo tirò qualcosa di simile ad una scheggia di legno, intagliata in modo che potesse essere lunga e piccola. L’uomo guardò con perplessità il pezzetto di legno. Ad un tratto il suo occhio malato si spalancò, mostrando un pupilla rossa e insana. Sandman sobbalzò per la sorpresa. L’uomo cominciò a colpire il pugno contro il suo petto annaspando in cerca di aria, come se avesse difficoltà a respirare. Cercò, invano, anche di chiedere aiuto. Continuò ad agitare i suoi polmoni fino a quando si accartocciò su sé stesso come un pezzetto di carta. Cadde a terra, con l’occhio fuori dall’orbita e la bocca grondante di saliva. Si sentì il potente frastuono del suo fucile cadere a terra. Sandman rimase impietrito di fronte alla sua morte. Gli altri due non si accorsero di nulla, troppo impegnati a spostare la mula.
Sentì un lievissimo e impercettibile fruscio sopra di sé. Alzò lo sguardo, notando che le foglie si muovevano in maniera quasi innaturale. Da un ramo cadde una figura quasi animalesca che scese vicino al corpo morto dell’uomo. La figura ispezionò silenziosamente il corpo, rimosse dalla sua mano il dardo lanciato. Non ebbe il tempo di capire dove l’avesse poggiato che la figura, con una sciarpa rossa attorcigliata al collo e a gran parte del viso, prese il fucile, controllò che fosse carico e cominciò ad incamminarsi verso i due di fronte al carro. La naturalezza compiuta in queste azioni, furono talmente controllate da essere sconvolgenti agli occhi dell’omino. Non lo degnò di uno sguardo. Non seppe nemmeno a cosa pensare, che la figura raggiunse con un andamento naturale l’uomo e il ragazzino, entrambi intenti nello sforzo per accorgersi di tutto ciò.
“Amico, dammi una mano: quest’asino non vuole muoversi” l’uomo non fece in tempo a voltarsi che la figura aveva puntato il fucile alla sua testa. Premette il grilletto. L’eco dello sparo si fece udire fin all’interno della scatola cranica dell’omino. Spalancò gli occhi, con puro orrore. Il retro del capo dell’uomo saltò in aria, distruggendo l’osso e macchiando di sangue il volto e i vestiti del povero e sconcertato Marcello. Il corpo cadde in avanti, con occhi sbarrati e un buco nel capo.
“N-no…! T-ti pre-prego…!” disse cominciando a piangere e mostrando le tremanti mani di fronte a sé, con l’intento di proteggersi. La figura in risposta, ricaricò il fucile e mise la canna sulla fronte del ragazzino. Ciò fece riscuotere l’omino.
 
“Il nostro compito è di proteggere tutti i bambini del mondo e di difenderli”
 
Sandman fece un veloce scatto verso la figura, verso il fucile. Abbassò in tempo l’arma, prima di udire un altro sparo nell’immobile foresta. Sandy mostrò il suo corpo di fronte a quello del bambino, cercando di proteggerlo. Marcello dietro di lui pianse e si mise in ginocchio, spaventato. La figura spostò il capo di lato, come se non comprendesse il motivo per cui lui stesse facendo ciò. Sandman, in risposta, mostrò lo sguardo più sicuro che riuscì a mostrare. La figura, dopo pochi secondi, cominciò ad avvicinarsi. Nella sua mano vide la lama brillante di un coltello. Prese un profondo respiro, per darsi coraggio. La figura si chinò vicino a lui, gli prese le mani legate con molta fermezza e tagliò con uno schiocco la corda. Sandman guardò confuso lo strano gesto, massaggiandosi i polsi. Inaspettatamente la figura cominciò a spogliarsi della sciarpa. Quando l’operazione fu conclusa, l’omino abbassò le braccia, sentendo il suo cuore, fermo da secoli, smuoversi.
Fabiola.
Si sentì meravigliato. La ragazzina lo fissava con occhi inespressivi, con un guizzo pericoloso. Sandman le sorrise, fece dei segni con la sua sabbia, sperando che la bambina comprendesse: Lascialo andare, non ha fatto nulla di male. Lei, in risposta, si alzò in piedi, lanciò uno sguardo a Marcello e annuì all’omino. Tirò un sospiro di sollievo. Le si avvicinò. Le sorrise più apertamente. Lei gli rispose sempre col suo sguardo insensibile. Ciò fece morire la sua felicità. Ricordò anche perché si comportasse in quel modo. Fabiola alzò lo sguardo verso Marcello. Quando i suoi occhi si posarono su quegli del ragazzino, lui sobbalzò, in preda alle lacrime.
Tu!” lui spalancò gli occhi “Vedi questo disgustoso macello? Vedi questi corpi? In questa foresta non ne voglio vedere nemmeno uno. Pulisci questo schifo e vai via e in fretta” queste parole dure e inespressive terrorizzarono ancor di più il ragazzino che non riuscì ad alzarsi da terra. La bambina, non volendo aspettare ancora, gli puntò addosso il fucile e sparò un proiettile poco vicino al ragazzino. Questo gesto fece riscuotere e terrorizzare ancor di più Marcello che corse verso l’uomo sanguinante. Con fatica e con disgusto, lo prese per le braccia, se lo tirò sulle spalle e lo posò sul carro, macchiandosi ancor di più gli abiti. Lo stesso fece con l’altro corpo. Sandman rimase sbalordito dalla crudeltà di Fabiola che, durante tutta l’operazione, rimase a fissare il ragazzino poggiandosi sul fucile e impedì l’omino di aiutarlo a sollevare i corpi. Alla fine Marcello si sedette sul carro, volendo partire e andarsene il più velocemente possibile. Fabiola lo fermò, artigliandogli la spalla. Il ragazzino la guardò, completamente terrorizzato.
“Un’altra cosa: dì al loro capo, so chi è, che se vedo di nuovo un altro dei suoi ‘amici’ a fare una gita da queste parti e magari anche per rapire o uccidere qualcuno, gli ammazzo seduta stante e allora ci saranno delle belle pelli di lupo nel mio soffiorno, non ha importanza di chi saranno, intesi?” Marcello annuì più volte, con le lacrime agli occhi. L’aggressività nelle sue parole lasciò di stucco Sandman.
“E adesso vattene, non voglio più vedere nemmeno te. Non far sapere a nessun’altro di questa storia” disse alla fine, gettando le redini dei cavalli al ragazzino. Marcello partì subito, con grande velocità.
Il carro scomparve nella foresta. Fabiola si voltò verso Sandman. Vide il suo sguardo schoccato. Lei abbassò lentamente il capo, sospirando malinconica. Si avviò verso la mula. Sandman la fermò facendo apparire il suo nome in piccole lettere di sabbia dorata. La bambina si voltò. Sandy, con tutta la velocità che riuscì ad utilizzare, le corse incontro, fece un balzo e l’abbracciò.
Dopo pochi secondi realizzò cosa stava facendo. Si aspettò che lo spingesse all’indietro oppure che rimanesse pietrificata sul posto. Per questo si sorprese quando lei cominciò a ricambiare l’abbraccio, molto più stretto e possessivo del suo. Mi sei mancata moltissimo…
“…Anche tu…” si meravigliò di questa risposta. Sentì il suo corpo percosso da brividi, anche dopo che finì l’abbraccio, non capì se fosse per il freddo o per altro. Solo in quel momento si accorse di aver lasciato la coperta bianca sul carro di Marcello. Fabiola lo guardò per pochi secondi. Si sfilò la sciarpa e il maglione. Lentamente glieli fece indossare entrambi.
“Ecco qui, prendi” per un attimo gli sembrò di vedere molto più verde nei suoi occhi “Sono calde abbastanza?” lentamente e con un po’ di confusione, si tastò il gigantesco maglione e la lunga sciarpa. Erano incredibilmente caldi e morbidi. Fabiola gli prese fermamente la mano, come se non volesse lasciarlo andare, e lo adagiò su Yaja. Anche lei fece lo stesso.
“Yaja, andiamo a casa”
Casa…
Il suo corpo venne percosso da singhiozzi senza lacrime. Le era grato. Le era grato di averlo salvato dalla morte. Le era grato del suo coraggio. Sentì il suo cuore aprirsi a lei. Non voleva lasciarla mai più. Non voleva che andasse via, come l’ultima volta. Voleva stare insieme con lei.
Non voleva essere mai più solo…
 
 
 
 
 
 
Si svegliò.
Aprì le palpebre. Le sbattè più volte per capire dove si trovasse. Era nella stanza di Fabiola. Nel suo letto. Avvolto nelle coperte. Da solo. Era confuso. Ma… era stato tutto un sogno…? Appena drizzò il busto ricordò molti più particolari di ciò che era accaduto, o almeno ciò che credeva che fosse accaduto. Era mattina, forse le otto o le nove. Non riuscì a credere che potesse essere stato un sogno o un incubo. Era stato tutto così incredibilmente reale. Non poteva essere un sogno. Rimase perplesso nel sentire delle voci dentro casa, che provenivano senza dubbio dalla cucina.
Si mise in piedi, si sentì molto riposato e più forte. Camminò senza fatica o capogiri verso le scale, le voci diventarono più famigliari.
“...ogni volta dovete tirarvi insulti per delle stupidaggini? Ma con i vostri fratelli litigate sempre così tanto?” Fabiola. Avanzò ancora per le scale.
“Prima di tutto, io sono figlio unico. Secondo di tutto: con questo ritardato non si può dire niente che già attacca con le mazzate!” Mino. Avanzò ancora.
“Bravo, genio! Ti sei espresso magnificamente quest’oggi! Ora, Fabi, spostati che devo prenderlo a pugni!” Farut. Scese completamente le scale. Nella cucina si trovarono tutti e tre ragazzi: Fabiola era seduta a capotavola, spalmava della marmellata su una fetta di pane e sembrava piuttosto seccata dai due che, in confronto a lei, erano in piedi e pronti per altri insulti. Fabiola si accorse dell’omino. Sandman sentì un capogiro quando i suoi occhi incrociarono con quelli verdastri della bambina.
“Smettetela di fare baccano. Scommetto che Sandy si sia svegliato proprio per colpa vostra” entrambi smisero di alzare le mani e si girarono, imbarazzati, verso di lui. Dopo poco tempo arrossirono entrambi. Sandman li fissò allibito da tutto ciò che stava accadendo. Perché erano lì? Non dovevano andare al teatro per lavorare? Farut e Mino si sedettero, impacciati. Se non avesse avuto tutte quelle domande, avrebbe riso del loro comportamento. Andò anche lui a sedersi, vicino a Fabiola. L’unico rumore in quel momento era il vetro del suo bicchiere che veniva riempito con del latte. Sandman si voltò verso di lei. Cosa sta succedendo?
“Perché? Cosa dovrebbe accadere?” rispose lei, quasi meravigliata per la sua domanda. Voltò lo sguardo verso i due ragazzi. Lo fissarono confusi, non riuscendo a comprendere ciò che stava dicendo con la sua sabbia. Perché Mino e Farut sono qui?
“Hanno chiesto un giorno libero e hanno voluto restare qui. Però ve lo concedo: state lavorando molto, non vi fermate mai” quest’ultima frase la rivolse ai due, senza molto entusiasmo. Farut brontolò qualcosa, Mino annuì distrattamente, troppo concentrato a mangiare. Voleva chiedere altro, ma non voleva dire nulla in presenza dei due ragazzi, non voleva fargli preoccupare. Mino alzò la testa. Si accorse solo in quel momento che aveva gli occhi un po’ rossi e stanchi.
“Beh, ora che siamo qui, cosa facciamo?” Farut si pulì la bocca con il dorso della mano.
“Possiamo esplorare la foresta tutti insieme, per esempio” disse Fabiola.
“Ma che dobbiamo fare laggiù? Fa un po’ paura quel posto…” replicò Mino.
“Se lo conoscessi attentamente no: poco lontano da qui il fiume s’ingrossa, possiamo pescare e prendere dei pesci”
“Da piccolo pescavo con mio padre… Non sarebbe male riprovarci…” disse fra sé e sé Farut. Sandman sbattè le palpebre diverse volte. Era sul punto di credere che ciò che stava accadendo non fosse reale, ma frutto della sua immaginazione.
“Se ci andate anche voi, per me va bene. Ma non so come si pesca…”
“Ti insegno io. Ci sono delle canne da pesca in soffitta, ci servono solo le esche…” gli sembrò irreale che Farut parlasse quasi amichevolmente a Mino.
“Non c’è problema, le trovo io” i due fissarono straniti la bambina.
“E come farai a trovare dei vermi?”
“Cercando nei posti giusti gli troverai…”
“Che schifo!”
“Solo a te fa schifo, Mino”
“Ti perdono soltanto perché oggi mi voglio svagare. Comunque, Fabì, ieri sera sei tornata presto a casa? È andato tutto bene?” Fabiola gli rivolse lo sguardo, fattosi un po’ cupo.
“Si, tutto a posto. Non è accaduto nulla” dopo qualche secondo, lei fece un occhiolino complice e sorridente all’omino. Due cose lo sorpresero: la prima era che l’occhiolino stava a significare il contrario di ciò che aveva detto Fabiola e ciò voleva dire che quel che aveva vissuto non era stato solo un sogno, che la bambina lo aveva salvato per davvero e che sono tornati insieme a casa; la seconda era che gli sorrise. Non l’aveva mai vista sorridere in un mese, mai. L’ultima volta fu quando ballarono insieme a Mino con quegli abiti appena indossati. Il suo cuore cominciò a volare. Lo sentiva incredibilmente leggero. Sorrise anche lui. Sentiva di essere stato perdonato da Fabiola. Si sentiva molto felice. Si commosse per questi pensieri.
“Ottimo, perché… oh…”
“Guarda, Mino, la tua voce fastidiosa ha fatto piangere Sandy. Complimenti imbranato!”
“Ma che ho fatto?”
“Lascia stare. Sandy, vuoi venire anche tu con noi?” le chiese Fabiola, asciugandogli con dolcezza le lacrime e sorridendogli ancor di più.
Non aveva annuito così tante volte in vita sua.

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Capitolo 20
*** Volantino ***


“Molto bene… Dimmi, Fabrizio, qual è il tuo problema?” sentì deglutire dall’altra parte della porta.
“Io… Signora, vorrei chiederle un favore” un attimo di esitazione.
“Di che si tratta?” un altro deglutire.
“Vorrei… vorrei avere un aiuto… Se voi potreste, se potreste, affidarmi una persona capace che possa aiutarmi col mio problema…” sentì il rumore di un libro chiudersi senza molta fretta.
“Raccontami dal principio: dimmi, cos’è accaduto?” un respiro profondo si udì dietro la porta.
“Come sapete, mi avete affidato l’incarico di catturare gli spiriti di cui avete bisogno. Ma ultimamente ho diversi problemi a riguardo…”
“Che tipo di problemi?” esitazione.
“Due dei miei uomini sono stati uccisi. Oltre al fatto che ne sto perdendo altri oppure ritornano dalle missioni mutilati…” udì dei passi farsi sempre più vicini alla porta, alla sua porta.
“Non capisco…”
“Vede: inizialmente le cose andavano per il verso giusto e non avevo alcun problema, anzi, le catture stavano aumentando sempre più. Ma… poi due dei miei uomini sono stati mutilati gravemente per via di un piccolo incidente… Dopo un mese avevo deciso di mandarli, insieme ad una scorta, a perlustrare una zona della foresta poco conosciuta. Ma quando erano tornati... beh… ho trovato solo i loro cadaveri e l’unico sopravvissuto era la scorta e il suo carro” la narrazione fu interrotta volontariamente. Probabilmente la donna deve aver dato l’ordine di proseguire, visto che sentì il giovane uomo continuare il racconto.
“Il ragazzino era traumatizzato e balbettava. Dopo qualche ora era riuscito a spiegarmi cos’era accaduto: avevano trovato una casetta vuota, con solo uno spirito all’interno, probabilmente malato di Morte Bianca. L’avevano catturato, ma durante il trasporto c’è stato un attacco…”
“Cosa vuoi dire?”
“Sono stati uccisi entrambi i miei uomini, velocemente, da un ragazzino mascherato. Marcello, la mia scorta, è stato lasciato libero per mandare un messaggio dall’assassino. Un messaggio per me”
“Quale sarebbe il messaggio?”
“Che, se avesse visto qualche altro mio uomo in quel punto della foresta, allora lo avrebbe ucciso seduta stante. Ha aggiunto che, allora, ci sarebbero state delle pellicce di lupo nel suo soggiorno…” un'altra esitazione. Era avido di sapere, voleva sapere. Per questo fu grato alla donna di aver parlato.
“Credi che quel ragazzino mascherato fosse uno spirito?”
“Non ne ho idea, signora. Poteva essere uno spirito, così come poteva essere un altro dei vostri servitori che tentava di avere una ricompensa da voi al posto nostro”
“Mmm… Che aspetto aveva lo spirito catturato in precedenza?”
“Era molto basso, malaticcio, fatto di… sabbia. Così me l’aveva descritto Marcello” sbattè diverse volte le palpebre, sorpreso. Sandman.
“Poi cos’è accaduto?”
“Ho ignorato la minaccia e… ho continuato a inviare uomini per togliere di mezzo quel ragazzino. I primi due sono tornati mutilati: uno senza le  dita della mano destra e senza una mano, due erano feriti gravemente alla testa e… avevano le gambe tagliate, infatti sono morti durante il ritorno. Per tre settimane ho continuato così e non c’è stato nessun miglioramento, anzi, tornavano più mutilati gravemente che morti e su uno dei miei uomini ho trovato una scritta incisa sulla sua schiena dallo stesso ragazzino: ‘Non tornate mai più’. Questa cosa mi ha inquietato… Non so cosa fare…”
“Beh, nessuno mi ha mai consegnato uno spirito con un’aspetto simile a quello che mi hai descritto. Quindi, probabilmente, il ragazzino mascherato sarebbe un altro spirito oppure un traditore” quest’ultima parola lo fece rabbrividire.
“Traditori, signora?”
“Come?”
“Ci sono dei traditori fra di noi? Se volete che gli distruggiamo, allora…”
“No, non ce ne alcun bisogno. Sono così terribilmente deboli e patetici da non essere pericolosi. E poi… moriranno da soli, forse per cause naturali” si appoggiò meglio alla porta, per ascoltare meglio.
“Insomma, signora, questa è la situazione. Cosa mi consigliate?”
“Innanzi tutto, abbandona l’idea di perlustrare quella zona” un passo malfermo si puntò sul pavimento.
“Si-signora?”
“Ti spiego: se continuerai a mandare altri uomini in quel punto della foresta, il ragazzino potrebbe spazientirsi e inizierebbe ad uccidere più che lasciarne dei mutilati. Inoltre, si tratta solo di un ragazzino e di uno spirito malato che probabilemente morirà, quindi non penso che sia necessario sprecare altri uomini per un bottino così misero” deglutì, rabbrividendo. Sandman stava morendo.
“Va bene… Ma ho comunque bisogno di qualcuno che possa aiutarmi a catturare altri spiriti e, magari, anche a dare una lezione a quel ragazzino mascherato. Mi sono rimasti pochi uomini al momento e molti non sono in grado di alzare un gomito” poggiò le mani sulla porta, con l’orecchio posato su di essa. Ci furono diversi minuti di silenzio, passi e sospiri.
“Credo di sapere chi possa aiutarti, Fabrizio de Rosa” probabilmente al ragazzo dietro alla porta brillavano gli occhi. Dopo qualche secondo sentì i passi della donna avvicinarsi alla sua porta. Tolse le mani e le orecchie da essa. La porta venne spalancata da Macula Sanguinea, la quale gli sorrise dolcemente. Lo prese fermamente per le spalle e lo portò vicino al suo suddito. Quest’ultimo lo guardò perplesso.
“Ma lui è…”
“Esattamente. Per questo ti sarà utile. S’infiltrerà fra gli spiriti, senza essere notato, e farà in modo che tu possa compiere il tuo dovere” al giovane uomo brillavano scintille negli occhi, ma a lui mordeva il cuore per il futuro tradimento. Il ragazzo, Fabrizio, gli si avvicinò. Non gli piaceva per niente: aveva una faccia da arrogante e il suo fiato puzzava di fumo. Fece finta di non vedere e sentire nulla di tutto ciò. Gli portò le mani sulle spalle, scuotendolo con forza.
“Allora, come ti chiami?”
Deglutì per il tono forte di voce e rispose.
Fabrizio sembrò interessato alla sua nuova merce.
 
 
 
 
 
 
 
Gli sembrò quasi impossibile che un altro mese fosse passato.
Anche Fabia aveva detto la stessa cosa. È come se il tempo avesse deciso di accelerare, aveva detto lei.
Passeggiò fra i boschi, solo, in compagnia di sé stesso, come al solito. Anche prima di giungere in quel luogo, talvolta preferiva starsene per conto suo e godersi con gli occhi i paesaggi notturni (anche poiché non c’era mai nessuno con lui…). Anche se in verità non c’era molto da vedere: i cosiddetti ‘paesaggi’ erano delle monotone schiere di alberi morti e senza foglie, per via del mese di novembre alle porte. Talvolta, ma raramente, si avvicinava al fiume che scorreva vicino al mare, proprio ciò che stava facendo in quel momento.
La foresta era svanita all’improvviso. Di fronte a lui si parava l’infinito mare grigio e tempestoso, come il cielo d’autunno. Le onde percuotevano la sabbia di colore giallo spento. Quel colore gli venne in mente Sandman. Decise di allontanarsi dal bagnasciuga per non immergere nell’acqua ancor di più i piedi. Cominciò a camminare per la spiaggia, in cerca di nulla, guardando le onde furiose che si scontravano a vicenda.
Fabia era cambiata.
Dopo aver trovato il bambino dai capelli color oro, sembrava essere molto più serena ed allegra. Ciò non mutava gli allenamenti con lui o il suo modo di parlare e neanche il suo atteggiamento, ma era ugualmente una faccenda che lo faceva riflettere molto. Durante il mese precedente, prima di trovare suo fratello, era sempre insensibile a qualsiasi cosa, una carcassa morta, una marionetta senza fili. Ma il mese seguente, era come se fosse rifiorita. Aveva sempre un portamento controllato con occhi inanimati, ma quelle iridi sembravano spruzzare di sole e luce da tutti i pori mutando il suo sguardo in qualcosa mai visto in lei. La riconosceva, eppure le sembrava incredibilmente diversa.
Sembrava molto felice.
Sembrava felice di vederlo ogni qual volta che si incontravano. Le loro visite si erano ridotte solo per la mattina presto fino a mezzogiorno, ma non sentiva molto la sua mancanza come aveva creduto. Sentirla solo rivolgergli la parola era più che sufficiente per lui. E non parole aggressive o terrorizzate come era solito udire, ma parole serene, spesso sarcastiche, ma vivaci e frizzanti.
Sorrideva molto più di prima e quell’allegria la trasmetteva anche a lui.
Sembrava essere ritornata bambina. Non sapeva il perché, ma era felice ed orgoglioso di sé stesso.
I cambiamenti avvenivano durante la notte, quando arrivavano loro. In quel periodo, insolitamente, la Casetta era stata assediata da lupi e fantasmi. Fabia non sembrava sorpresa di vederli. Ogni qual volta che qualcuno di loro si avvicinava nel perimetro della casa, avvisava Fabia e la metteva alla prova. Dopo tanti allenamenti con vari tipi di armi, tecniche corpo a corpo e nascondigli al buio, aveva deciso che fosse stato meglio ‘provare sul campo’ tutto ciò che Fabia aveva imparato da lui. Poteva essere più che soddisfatto. La bambina era molto veloce e concentrata, ma non su un solo bersaglio, ma sull’ambiente circostante; imparava molto in fretta, anche solo guardando per una volta un’azione; era brava a nascondersi e ad agire di sorpresa e senza sbalzi di umore nel caso accadesse qualche cambiamento improvviso nelle azioni. Era pericolosamente perfetta.
Notava, inoltre, che non provava piacere in ciò che faceva. Concentrazione, equilibrio e grande impegno, si, ma non contentezza. Era come se fosse un dovere per lei e non qualcosa su cui ridere o gioire.
Questa certezza lo rendeva molto tranquillo. Aveva seriamente creduto che Fabia non potesse provare sentimenti. Ma dopo molti avvenimenti e dopo averla studiata per altre settimane, si era reso conto che ciò che aveva letto in lei fosse sbagliato. Stava cominciando a sperare che quella notte, in cui aveva importunato Sandman, l’avesse immaginata. Sperava che quegli occhi di ghiaccio lucenti per il desiderio di sangue, fossero stati solo frutto della sua immaginazione. Eppure, era certo che avesse visto un barlume di rabbia mista a gioia quando Fabia gli aveva puntato addosso il coltello.
Fermò i suoi passi.
Era giunto vicino ad un porto, dove vi era un capanno sul punto di essere spazzato via dal vento. Si nascose nell’ombra ed esplorò quel luogo. C’era qualcuno: un uomo anziano intento a russare su una sedia. Probabilmente era solo un poveraccio che fino a pochi minuti fa stava leggendo un insolito volantino, giallo per l’età. Come vide il foglio, gli crebbe curiosità. Sul capo dell’uomo aveva gettato della sabbia nera. In fretta l’incubo cominciò a maturare e ad agitare il vecchietto. In quelle settimane, grazie a piccole burle ai bambini e a qualche scia di sabbia dorata infettata, era riuscito a rafforzarsi, anche se leggermente. Infatti riuscì a creare autonomamente, e senza ausilio di rena dei sogni, un incubo.
Prese il volantino e cominciò a leggere. I caratteri cubitali erano pericolosamente ingigantiti nella prima parte del foglio. Lesse il seguito.
I suoi occhi man a mano diminuirono di spessore fino a quando si toccò la fronte con un leggero stordimento causato da ciò che aveva appena letto.
Questa proprio non ci voleva…
Doveva per forza mostrarlo a Fabia, avrebbe dovuto sapere tutto ciò che sarebbe accaduto. Ma ricordò tutte le giornate passate con lui, quando aveva cominciato a rinascere della luce dentro di sé. Sarebbe ritornata com’era prima, morta e infelice.
Un urlo di paura fece destare questi veloci pensieri. Si diede del bambino: Fabia non era importante per lui, perché preoccuparsi del suo stato d’animo e di salute? Si ripetè questa formula per cinque o sei volte, fino a quando si convinse del tutto riguardo a ciò che stava pensando. Annuì più volte a sé stesso per affermare con certezza riguardo al suo pensiero. Il vecchietto era percosso da violenti attacchi di panico, tanti da farlo precipitare dalla sedia e facendolo cadere in acqua. Pitch rise per quel ridicolo fantasma e ritornò nell’ombra per raggiungere la bambina.
Anche se… non era del tutto certo riguardo a ciò che aveva pensato.
 
 
 
 
 
Di fronte ai suoi occhi si parò d’avanti la Casetta.
Pitch uscì dalle ombre, per accertarsi che nessun lupo o fantasma fosse nei paraggi, e rientrò nell’oscurità. Controllò nelle stanze: entrambi i giovani non c’erano, nemmeno nelle altre stanze. Controllò in quella di Fabia.
Stava dormendo profondamente, per via delle molte notti insonni, insieme all’Omino dei Sogni, addormentato di fianco a lei. Lui l’abbracciava teneramente. Ciò che lo disturbò molto era Sandman: era come una pulce sulla pelliccia di un cane. Non la mollava nemmeno per pochi secondi. Quando Fabia tornava nella Casetta dopo aver finito di allenarsi con lui, c’era sempre lui a distruggere tutta la serenità che assorbiva dalla bambina.
Inizialmente, il primo mese, aveva pensato che Fabia lo detestasse, che lo ritenesse un peso. Ciò lo faceva sorridere malignamente. Ma da quando Fabia aveva cominciato a cambiare, sembrava aver iniziato ad apprezzare Sandman fino a… volersi bene in qualche modo. Lei sorrideva più all’Omino dei Sogni che a lui. Talvolta giocavano insieme. Si divertivano insieme. Si raccontavano storie. Trascorrevano più tempo insieme che con lui, l’Uomo Nero. Lo odiava. Moltissimo. Sembrava che per Fabia Sandman fosse più importante di lui.
Ma era un uomo razionale: lui non era importante per Fabia, quindi non aveva motivo di essere invidioso per quella palla di sabbia malata e morente. Ma lo disprezzava per le attenzioni che la bambina prestava a lui. Non lo aveva mai detestato così tanto. Non riusciva a comprendere il motivo per cui Fabia avesse cambiato così rapidamente idea su di lui. Non riusciva a comprenderlo e non voleva pensarci. Semplicemente accettava la cosa, anche se lo infastidiva molto, soprattutto in quel momento. Vedere Sandman abbracciare nel sonno Fabia, la sua Fabia, lo innervosiva e disgustava.
Ricordò il volantino. Uscì dalle ombre e si avvicinò a Fabia con destrezza. Ignorò Sandman che abbracciava la schiena di lei e posò con delicatezza la sinistra sulla mente della bambina. Dormiva serenamente, ma doveva mostrare quel messaggio e per farlo doveva entrare nella sua mente e formare un incubo su di lei. Si concentrò ed entrò nel sogno, corrompendolo con la sua essenza. Entrò nel subconscio di Fabia.
Vi era un paesaggio notturno, in una foresta senza luce e perfetta per far terrorizzare un infante. Cominciò a cercare, camminando all’interno dell’ambiente astratto del suo sogno. Il cielo era buio pesto, costellato da astri insolitamente vicini alla foresta, tale da individuarne di giganteschi e di minute con diverse tipologie di colore, dai più accesi ai più docili. Pareva che il blu e il giallo fossero i colori predominanti. Non sembrava la mente di Fabia, quella che aveva sempre conosciuto. Camminando dopo poco tempo vide uno spazio bianco, senza alberi, illuminato. Al centro vi era Fabia, girata di spalle, seduta su una sedia, leggermente inclinata in avanti, come se fosse concentrata su ciò che aveva di fronte.
Le si avvicinò di soppiatto, fino a raggiungere le sue spalle. Riuscì a vedere di fronte alla bambina un tavolino scacchistico. Le prese le spalle.
“Boo!” dopo qualche secondo di realizzazione da parte della piccola, voltò all’indietro la testa, con uno sguardo sorridente.
“Oh, che paura che ho avuto!” disse con una voce molto più infantile, fingendo di tremare. Nemmeno nei sogni riusciva a terrorizzarla. Ridacchiò per i suoi occhi illuminati da un’allegria puerile.
“Buonasera, Fabia” riportò la testa di fronte a sé, concentrata sugli scacchi.
“’Sera, Pitch” solo in quel momento si accorse della lunghezza dei suoi capelli: le arrivavano sino al bacino. Decisamente troppo lunghi. Le afferrò malamente la chioma biondo scura. Si accorse solo ora di quanto fossero morbidi e ondulati. Forse era un’allucinazione del sogno…
“Mai pensato di tagliarti i capelli? Sono troppo lunghi, ti darebbero fastidio” lasciò la presa.
“Si, ma se devo tagliarli, sarebbe meglio se ci fosse qualcuno capace di fare un lavoro decente con questa giungla”
Oh, davvero? E perché non lo chiedi a Sandman? Avrebbe voluto risponderle in quel modo, sarcasticamente. Ma non lo fece. Avrebbe voluto anche strapparle il capo con quel mare tempestoso che aveva sulla testa, giusto per farle capire di ignorare l’omino come faceva un tempo. Ma non lo fece. Allungò il collo.
“Cosa stai facendo?” lei prese in mano un pedone, girandoselo tra le mani, giocherellando con quel pezzo di legno. Notò che il tavolo scacchistico non aveva i classici colori, nero e bianco, come di solito vedeva nelle scacchiere, ma blu e giallo. Fabia stava esaminando una torre gialla. I suoi movimenti curiosi erano amorevolmente innocenti e infantili.
“Ho trovato questa scacchiera. Mi sono fermata perché mi è piaciuta molto” disse, anche qui, puerilmente “Vuoi giocare? Facciamo una partita!” disse, come se avesse confermato la sua proposta. Rimase biasito. Non aveva mai giocato a scacchi con nessuno.
“Va bene…” si sedette di fronte a Fabia. Aveva i pezzi blu scuri. Si sentì in imbarazzo, senza saperne il motivo. Fabia lo studiava, insolitamente allegra.
“Sai come si gioca?” annuì distrattamente, sfiorandosi all’altezza del cuore, dove aveva riposto il volantino maledetto. Sapeva come si giocasse a quel gioco strategico. Guardando interessato gli altri mortali intenti a quelle strategie di battaglia, riuscì ad apprendere i movimenti dei pedoni e anche a improvvisare nella sua mente qualche strategia. Ma nessuno gli aveva mai proposto di giocare.
“Visto che non ci sono né i bianchi né i neri, chi farà la prima mossa?” chiese, perplesso. La bambina fece dondolare, elettrizzata, i piedi facendo oscillare lievemente la sedia dove si era accucciata.
“Immaginando che il bianco sia un colore accecante e pieno di luce, così come il giallo, credo che debba iniziare io” alzò un sopracciglio, sorridendo inconsapevolmente.
“Come? Ma che ragionamento è mai questo? Potrei anche iniziare io, visto che non siamo certi se il blu possa considerarsi simile al colore bianco o viceversa” Fabia sospirò annoiata.
“Ma fai silenzio, tu. Questo è il mio sogno e io decido cosa fare qui dentro, intesi?” disse minacciosa, ma con un sorriso celato nell’animo. Giorno dopo giorno, aveva compreso come reagiva la bambina e riusciva anche ad immaginare i sentimenti e gli stati d’animo che possedeva. E, nonostante l’atteggiamento minaccioso e un pedone puntato contro il suo naso, comprese che Fabia avesse intenzione di burlarsi di lui. Però rimase dubbioso.
“Ma… tu sai che questo luogo è un sogno?” rimise il pedone al suo posto.
“Pitch, siamo in una foresta fatta di alberi di liquirizia, in un paesaggio astrale, con dei pianeti e soli insolitamente vicini a noi e questi sono colmi di colori irregolari per dei corpi celesti. Insomma, Black, se questo non è un sogno, allora presumo che siamo nel Paese delle Meraviglie. E poi, ricordo di essermi addormentata poco fa” annuì durante tutta la spiegazione, interessato all’intuito di Fabia. Pensò che, effettivamente, non aveva motivi di lamentarsi soltanto per iniziare una partita a scacchi. Le fece segno di iniziare. Mosse un pedone. Gli rivolse lo sguardo, interessato alla sua mossa. Anche lui mosse un pezzo degli scacchi. Dopo molto tempo (il tempo e lo spazio non sono calcolabili nei sogni) si trovarono in una situazione d’incertezza da entrambi i lati della scacchiera. L'uno e l'altra erano concentrati e curiosi della futura mossa del proprio avversario. Ambedue nolenti ad abbandonare la partita. Pitch notò quanto fossero insolitamente simili riguardo a questo punto di vista. Eppure, aveva sempre creduto che nessuno avesse un modo di essere simile al suo. Fabia alzò lo sguardo su di lui, con un sorriso scuro mai visto sul suo volto. Ebbe un veloce ricordo della Fabia del mese scorso. Non la prese in considerazione e mosse un cavallo.
“Beh, sono un paio di giorni che non ti vedo, Pitch. Come mai ti presenti di notte e non di giorno e in uno dei miei sogni più stupidi e non nella foresta?” cercò di allargare un sorriso, rendendo il suo volto teso. La bambina mosse un altro pedone.
“Dovrei avere una ragione per incontrarti? O forse ti aspettavi che ti inviassi un invito?” lei sospirò una risata. L’uomo mosse la regina.
“Comunque, ultimamente quei lupi non si mostrano in giro. Per fortuna…” un alfiere giallo si mosse.
“Non dovresti abbassare la guardia. Ricorda: se il nemico si nasconde ed è più forte di te, lo fa perché vuole far uscire un asso nella sua manica”
“Si, me l’hai già detto. Molte volte e…” un cavallo nero uccise un pedone.
“E te lo ripeterò ancora, se la tua pessima memoria me lo costringerà” mentì. Fabia aveva una memoria impressionante e ‘fotografica’, come dicevano i mortali. La torre gialla fece qualche passo sulla scacchiera uccidendo un alfiere blu.
“Ma vedi, non sono qui per parlare di lupi, anche se lo trovo insolita questa situazione” un altro alfiere blu si mosse ed uccise la torre gialla. Fabia sospirò, divertita. Prese in mano un pedone, con l’intento di posizionarlo da qualche parte sulla scacchiera.
“Sai… non parliamo altro che di armi e di strategie” iniziò a dire con una nota di tristezza “Pitch, stavo pensando, che forse noi due dovremo… beh, insomma… fare una pausa da queste cose e forse anche conoscerci un po’… meglio…” la interruppe bruscamente, temendo ciò che avrebbe detto. Sentì il volantino bruciare vicino al suo cuore. Udì il tonfo sordo del pedone che uccideva il suo avversario blu.
“Fabia, descrivimelo di nuovo” lei alzò lo sguardo, divenuto d’un tratto cinico. Esitò, guardandolo negli occhi. Temeva che il suo vecchio fantasma sarebbe riemerso.
“Chi?” sentì una goccia di sudore scivolargli lungo la guancia e colare fino al mento.
Quel ragazzo” Fabia non mutò il suo sguardo quasi sinistro. Pitch sentì la mascella terribilmente pesante. Lei si toccò un attimo i capelli, poggiandosi più saldamente sullo schienale della sedia. Sembrava terribilemente concentrata e probabilmente, anzi, sicuramente, aveva intuito qualcosa.
“Non ricordi il suo aspetto?” distrattamente mosse la regina blu. Dopo qualche secondo anche lei alzò il suo re.
“Lui… è importante per te?” la forza esercitata nel poggiare il pezzo giallo fu così secca e forte da far tremare la scacchiera. La sua mano era dura come il marmo, il suo sguardo era vuoto e apatico. Vide il suo fantasma riemergere. Cominciò a temerlo.
“Sentimentalmente… si” osò chiedere.
“Quanto… all’incirca?” si sentì terribilmente in difficoltà a causa di queste domande. Fabia lo guardò negli occhi, lui fece credere di non averla scrutata. Mosse la sua regina blu.
“All’incirca… quanto una sorella potrebbe amare il suo fratello maggiore” deglutì silenziosamente. Osò ancora.
“È… un altro dei tuoi fratelli?” lei mosse un pezzo della scacchiera, uccise la sua regina.
“Mio cugino, ma lo considero come un fratello per… molti punti di vista” lo sguardo dell’uomo s’incupì, addolorato per la futura sorte del ragazzo. Aveva pietà per Fabia. Mosse il suo re, poco concentrato sul gioco. Fabia sembrava aver capito, anche se in parte. Lo sguardo della bambina era bianco e inflessibile. Mosse anche lei una torre, senza forza, senza alcun fragore o scroscio.
“Sii sincero, rispondimi” l’Uomo Nero alzò lo sguardo dalla scacchiera, dopo aver mosso di nuovo il re blu. Entrambi avevano uno sguardo impenetrabile, soprattutto quello di Fabia, rassegnato.
“È morto?” chiese con un filo di voce, come se sforzasse le parole di farle uscire dalla bocca, anche se aveva il solito sguardo che portava sempre il mese passato. Il volantino incastrato nel suo petto sembrò ardere più di mille soli. Scosse la testa leggermente, negando più volte, autorevolmente. Fabia sembrò rilassarsi, ma aveva uno sguardo sempre più ombroso.
“…?” chiese con gli occhi, bianca in volto. Lentamente tolse dalla sua tunica il volantino, arso dalle fiamme della sua coscienza. Glielo porse. Lei lo afferrò lentamente, come se non avesse voluto leggere il verdetto finale di quel povero ragazzo. Dopo qualche secondo, i suoi occhi sembravano rischiararsi leggermente. L’uomo si massaggiò la tempia.
“Credimi, Fabia, lo avessi saputo prima… te lo avrei detto immediatamente…” lei lo ignorò, puntando gli occhi verso la scritta in grassetto, che copriva gran parte del foglio. Si sentì colpevole di un reato incancellabile. Si alzò, a malincuore, dalla sedia. La raggiunse. La prese per le spalle. Pensò a qualcosa di consolabile da dire. Non gli venne in mente nulla, la sua voce non era adatta per questo genere di discorsi.
“Fabia… mi dispiace tanto…”
“È fantastico…” disse una vocina sussurrante dalla sua gola.
“Cosa?” si riscosse quando si rese conto del significato delle sue parole.
“Per fortuna…” la testa della bambina si gettò all’indietro, incontrando i suoi occhi perplessi e increduli.
“Pitch, maledizione, mi hai fatto venire un attacco di crepacuore…” il suo volto si paralizzò.
“Credevo che lo avessero ammazzato o… tsk! Invece, si può sempre fare qualcosa. E l’informazione basilare è che so dove si trova” il vecchio fantasma dentro di lei sembrò improvvisamente scomparso. Pitch aveva un’espressione di pietra.
“Ma non hai letto niente di ciò che c’era scritto?!” disse, strappandole il volantino e facendoglielo volteggiare di fronte al suo naso.
“Fra due giorni morirà comunque!” lei gli strappò a sua volta il foglietto di carta.
“Ovviamente, se non farò qualcosa io stessa” si alzò in piedi. L’uomo era sconcertato per la stupidità della sua allieva.
“Fabia, non vorrai mica andare a riprendertelo?” lei annuì, autorevolmente, senza alcun pensiero. Era arrabbiato, molto. Solo lei riusciva a farlo andare fuori di testa.
“Ma sei stupida? Ci sarà un’intera città di fantasmi a vedere la morte di quel ragazzo! Nel tentativo di trarlo in salvo dal sonno eterno, tu stessa morirai!” E io non potrò salvarti, bambina arrogante.
“Se usi un buon stratagemma, allora lo salverò senza bisogno né di magia né di miracoli. Mi basta solo avere qualche aiuto e una mano in più” sembrava essere convinta di voler andare a morire. Per un ragazzo. Per un’insignificante ragazzo. Non voleva permetterglielo. Non voleva. Eppure, ricordò, che potere aveva lui su di lei? Era suo padre? Suo fratello? Il suo educatore? Il suo tutore? Una qualsiasi figura autorevole per lei? No, lui era l’Uomo Nero. Non era niente per lei. Eppure, non voleva che andasse a morire. Le artigliò le spalle. La guardò minaccioso. Sapeva che non funzionava su di lei, ma lo fece ugualmente.
“Non te lo permetto!”
“Di fare cosa?”
“Di andare a morire per… un… un ragazzo!” lei a sua volta rese rovente lo sguardo.
“Pitch, tu non puoi dirmi cosa devo o non devo fare” disse marcando ogni singola parola, con aggressività celata nel suo sguardo di ghiaccio.
“Lo so, ma se vuoi fare una stupidaggine, è mio dovere impedirtelo” la bambina addolcì lo sguardo, inclinando leggermente la testa.
“Potresti sempre aiutarmi” sbuffò.
“Già dalle prime volte che ti ho incontrata ti ho detto che non ti avrei mai aiutata in combattimento…”
“No, Black, portami nel Territorio di Halloween, nel Castello Abbandonato” la disprezzò per la sua sfrontatezza.
“Devo… cosa?” lei sospirò.
“Pitch, so di averti chiesto molto e so di non averti ripagato con niente, ma questa volta devi portarmi laggiù. Io giungerei in quel luogo troppo tardi, stanca e mezza morta di fame, mentre con te arriverei al Castello in poche ore. Bisogna fare più in fretta possibile! Ho solo due giorni, Pitch. Due giorni” anche se non sembrava dal suo sguardo, la bambina lo stava implorando. Lui abbandonò le sue spalle e accennò una serie di segni negativi col capo. Lei gli prese la mano e la portò al proprio collo. La sua mano era calda e morbida in confronto alla sua. Sentì un senso di fastidio, soprattutto quando la bambina aveva cominciato a sfiorare la sua sinistra gentilmente. Sentì il battito del suo cuoricino. Troppo lento per i suoi gusti. Troppo piccolo e insignificante per lei.
“Cosa vuoi in cambio, Pitch?”
Voglio la tua sicurezza, stupida ingrata! Cosa si deve fare per dirti di no? Devo implorarti anche in ginocchio, assetata di morte? Ma non disse nulla di tutto ciò.
“Sandman non vorrà niente di questo…”
“Glielo spiegherò, con calma. Capirà. Mi lascerà scegliere” scosse con ripetizione la testa, non credendo a nulla di ciò che disse. Sandman non potrebbe lasciar andare una bambina a morire per nulla. Aveva detto una menzogna, senza dubbio.
“Stupida, lui è un Guardiano dell’Infanzia. Non può…”
“Sa che sono forte. Sa che posso farcela. Sa che non è qualcosa da lasciare nelle mani del Fato. Ha fiducia in me, Pitch. Perché tu no?” strappò la sua mano dal collo di lei, facendo sobbalzare il corpo troppo chiaro. Fosse stata sua figlia, l’avrebbe bastonata.
Perchè tu sei una bambina, Fabia. Una bambina! Potresti anche essere uno spirito come vuoi far credere agli altri stolti, ma tu rimani sempre e solo una bambina, Fabia. La mia bambina! Smettila di fare l’arrogante e inizia a pensare: se morirai, cosa ne sarà del bambino dai capelli dorati? Di Sandman? Di quei due ragazzi? E di me…? Non pensi a me, stupida ingrata?!  Non disse nulla di tutto ciò. Ma, lentamente, annuì.
“Va bene… ti porterò laggiù. Ma sappi che alla tua morte, non mi metterò a piangere sulla tua tomba. Se avrai una lapide” anche lei annuì a sua volta, fra sé e sé. Lui avanzò di qualche passo.
“Vieni, devo terrorizzarti in qualche modo per farti svegliare e sono a corto di idee…” lei lo seguì per poco.
“Ho capito, ma sai che non sarà facile per te, no?” sbuffò.
“Non è mai stato facile spaventarti…”
“Ovviamente… Oh, una cosa, Pitch” lui si voltò. Fabia era vicino alla scacchiera.
“Cosa c’è?” lei prese una regina gialla e, velocemente, uccise il re blu.
“Scacco matto”
 
 
 
 
Ok, my boys! (è da un po’ di tempo che non scrivo qualcosa di bello qui XD). Sono accadute molte cose sotto gli occhi attenti di Fabiola, eh? Si, lo so… questo è il capitolo più corto che io abbia mai scritto in questa fic… ma ho le mie ragioni per fare ciò!
Bene, volevo solo dirti che dopo questo capitolo lascerò la mano a Gianni e vedremo cos’è accaduto a lui, a Cecilia e a Dentolina.
Sono certa che a voi manchi quella fata un po’ pazza, giusto? ;)
Ok, smetto di rompere.
Alla prossima!
L0g1

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Capitolo 21
*** Condanna a morte ***


Riapro gli occhi.

Mi ero addormentato. Anche se ho dormito per poco tempo, mi sento un po’ meglio. Non posso ancora credere che sia accaduto…

La donna volpe vicino a me e a Yoshi ci parla, non capisco cosa dice. Il mio amico vicino a me annuisce.

“Dice che, ora che sei pulito, poi indossare i tuoi vestiti, sono puliti anche questi” traduce, porgendomi i vestiti che ho sempre indossato per tutto questo tempo. Aspetto che se ne vada, poi mi tolgo di dosso le coperte e mi vesto con i pantaloni marroni, la giacca bianca, le scarpe verdi. Non indosso la felpa e il giubbotto: fa molto caldo in questa caverna.

“Yoshi, poi la ringrazi per tutto?” Yoshi annuisce, con un sorriso.

Dopo aver saputo che Dentolina è stata catturata, Yoshi ci ha portati in questo posto, dove vivono i clan dei kami giapponesi e dove lui ha vissuto per diverse settimane. È una gigantesca fortezza scavata nella montagna. Per via delle sorgenti naturali, questo posto è molto più caldo delle città. Sembra essere dentro una stufa, ma è piacevole. Preferisco il caldo al freddo, sinceramente.

Qualcuno bussa e dopo un po’ entra. Ceci. Anche lei pulita, pettinata e con i suoi vecchi vestiti: i leggins neri, la gonna di jeans, la maglia viola scuro. Anche lei non ha indossato il giubbotto. Ha un’aria stanchissima, so il perché. Yoshi le fa segno di sedersi. Lo fa, vicino a me.

Arrivati qui, Yoshi ha spiegato velocemente la situazione ai kami di guardia. Sono tantissimi, anzi, tantissime. Sono tantissime donne con code di vari animali e orecchie lunghe. Alcune hanno degli occhi di colori accesi e dei segni sulle guance. Vedendo il mio amico in mezzo a questi spiriti, ripensandoci, non è poi tanto anormale.

Dopo aver constatato di trovarsi di fronte a dei mortali, i kami ci hanno detto di lavarci, sistemarci i vestiti e il resto. Sono stati molto buoni con noi, nonostante non ci conosciamo per niente. Mi sento molto meglio ora, adesso anche Ceci è profumata.

“Adesso, cosa possiamo fare?” chiede Ceci.

“Non ne ho idea. Ma, di preciso, cos’è successo?” sa di cosa parlo, sa che non accetterò un altro silenzio. Prende un profondo respiro.

“Dentolina era preoccupata per te, non tornavi da tanto tempo e pensavamo che ti fosse accaduto qualcosa. Stavamo pensando di uscire a cercarti, ma una donna molto alta e con un giubbotto rosso entrò dentro casa, senza preavviso. Era spaventata, ma appena ha visto Dentolina, l’ha presa e mi ha dato un pugno in testa. Per un po’ di tempo ho perso i sensi. Era accaduto così in fretta che non sono riuscita nemmeno ad alzare un dito per aiutarla. Appena mi sono svegliata di nuovo, mi sono resa conto di quello che era accaduto. Mi sono nascosta perché credevo che potessero arrivare altri come lei e poi siete arrivati voi” non piange, sembra quasi arrabbiata, forse con se stessa per non aver saputo difendere Dentolina. Yoshi mi fissa deciso, anche lui ha capito chi era quella donna.

“Forse avrei dovuto morderla per davvero…” mormora fra sé e sé. Sono quasi d'accordo con lui. Sono anch’io arrabbiato sia con me stesso per non essere tornato subito nella casa, sia con quella donna vestita di rosso.

Restiamo seduti per molto tempo, senza dirci niente. Nessuno di noi ha qualcosa da dire. Ceci è distrutta emotivamente, Yoshi ripensa sempre al grave errore che aveva fatto. Le piume del cappello si muovono leggiadramente. Dobbiamo andare a riprendere la mia Gioia, per forza. Non voglio immaginare nemmeno cosa le faranno e cosa le stanno già facendo. Sento di poter uccidere qualcuno se non faccio qualcosa.

“Gianni, sei tutto rosso. Stai bene?” sembra quasi una presa in giro quella di Yoshi. È ovvio che non mi sento bene.

“Dobbiamo trovare Dentolina e salvarla” dico tutto d’un fiato.

“E come facciamo? Non sappiamo nemmeno dove sia” dice Ceci, ancor più distrutta di prima. Forse stava pensando anche lei a un modo per trovare la nostra fata. Dentolina e Ceci, per tutto questo tempo, sono diventate grandi amiche. A guardarle sembravano madre e figlia. Gioia ci ha preso come dei figli e non voleva mai che qualcosa ci mancasse o che stessimo male. Una volta l’ho sentita sussurrare fra sé e sé che il suo desiderio si era avverato. Quale non lo so. Forse di avere dei figli? Comunque sia, dobbiamo trovarla.

“Sapete, ultimamente Hakurei-sama stava facendo delle ricerche riguardo i possibili luoghi dove i Fantasmi trasportano gli spiriti catturati. Credo che potrei chiederle dove crede che sia la Fata dei Denti” dice Yoshi, con un sorriso pieno di speranza. Scatto in piedi, anche Ceci fa lo stesso.

“Allora andiamo da lei!”

“Ok, ok, andiamo” dice alzandosi e dirigendosi verso un corridoio.

Questa caverna sarebbe completamente buia se non fosse per delle lanterne fatte di carta sparse un po’ ovunque. Probabilmente l’intera montagna possiede queste grotte scavate nella roccia e collegate fra loro con lunghissimi corridoi. Si fa fatica a respirare man a mano che saliamo in cima. Raggiungiamo un'altra gigantesca caverna un po’ più grande delle altre e con una gigantesca pozza termale.

“Hakurei-sama!” urla Yoshi creando un eco quasi fastidioso. Dietro ad una roccia esce fuori un altro kami. In confronto agli altri, che ho notato solo a mala pena per via della mia rabbia, questa mi stupisce.

Vedo solo bianco in questa figura. È una donna di almeno trent’anni, pelle bianca, capelli lunghi e argentei legati in un’acconciatura insolita, kimono bianco. Ha uno sguardo severo. Nasconde le mani nelle lunghe maniche del vestito. Yoshi fa un inchino veramente troppo profondo. Qui io e Ceci andiamo nel panico: dobbiamo inchinarci anche noi? L’idea non mi alletta per niente, ma lo faccio. Anche la mia amica fa lo stesso, impacciata. Yoshi ritorna dritto, lo facciamo anche noi.

Lei inizia a parlare. Ha qualcosa di terribile la sua voce, sembra che tagli l’aria con un semplice saluto. Non capisco le sue parole, eppure noto che ci fissa. Mi provoca un’insolita sensazione quegli occhi. Yoshi, invece, ha un atteggiamento spensierato, come al solito. Chiacchierano per un po’. Ad un certo punto lei si gira verso di me. Deglutisco. Yoshi fa lo stesso.

“Non è totalmente d'accordo sul fatto di dover andare nel luogo dove crede che ci siano degli spiriti catturati, ma vuole sapere perché vuoi siete così determinati a trovare la Fata dei Denti” deglutisco ancora. I suoi occhi sono di uno zaffiro incredibilmente magnetico. Nessun essere umano potrebbe avere degli occhi del genere.

“Perché, per tutte queste settimane, io, Dentolina e Ceci ci siamo ripromessi di stare sempre uniti, in qualunque situazione ci troviamo” Yoshi traduce in giapponese tutto quello che dico. Lei scuote la testa, insoddisfatta. Dice qualcosa.

“La tua risposta non la soddisfa. Chiede che cosa ti spinge a lottare per cercare una fata che, probabilmente, potrebbe essere anche morta” questa risposta mi disgusta.

“Dentolina è stata una madre per noi. Si è presa cura di noi, ci ha sempre aiutato a fuggire dai Cacciatori e spesso ha lottato per noi. Voglio cercarla e portarla dagli altri Guardiani per pagare il debito che ho con lei” Yoshi traduce. Lei ha ancora il suo sguardo severo. Non la convinco. Parla ancora. Yoshi pare un po’ pensieroso.

“Non ritiene ciò un valido motivo per sacrificare la vita di tre mortali. Crede che tu la rivoglia indietro per scopi personali” mi si torce lo stomaco.

“Certo che no! Non ho mica percorso chilometri e chilometri solo per una persona che non merita nulla. Lei è la fata più buona di tutto il creato e merita di essere salvata!” sto quasi urlando. Yoshi abbassa le orecchie di lupo e traduce. Noto che questa volpe ha nove code bianche. Hakurei-sama scuote la testa, non è d'accordo. Mi arrabbio. Se non mi dice dove potrebbe essere Dentolina, non so proprio cosa fare.

“Voglio salvarla perché…”

“…le vogliamo bene” mi interrompe Ceci. Sono sorpreso: Ceci non ha mai questo tono di voce. Ha uno sguardo sereno. Yoshi traduce. La volpe bianca mostra un’espressione indifferente a Ceci. Parla ancora, ma il suo tono di voce è un sussurro.

“Ti chiede se sei certa di aver detto una cosa giusta” Ceci annuisce.

“Si, lei è la mamma migliore che io abbia mai avuto” dice fermamente. Yoshi traduce. Hakurei-sama sembra soddisfatta di questa risposta. Annuisce a noi due. La risposta l’ha soddisfatta. Parla ancora. Yoshi sembra scoppiare dalla felicità.

“Ha detto di si, andremo nel luogo dove presume che imprigionano gli spiriti” sia io che Ceci tiriamo un sospiro di sollievo. Mi viene in mente una cosa fondamentale: presume che laggiù ci sia Dentolina, ma potrebbe anche non essere così.

Si volta e inizia a percorrere un corridoio. Yoshi la segue subito. Andiamo dietro di lui. Lei parla ancora.

“Dice di indossare i vostri giacconi: usciremo subito fuori e farà molto freddo” sia io che la mia amica avevamo legato alla vita i due piumoni. Gli indossiamo. Pian piano la temperatura si abbassa. Oltre le spalle della donna vedo una forte luce bianca. Usciamo fuori, il vento mi taglia le guance. Mi metto il cappuccio. Rimango sorpreso nel vedere la donna trasformarsi di fronte a noi in una gigantesca volpe. Dovrò abituarmici. Ci fa un segno con la testa. Non capisco. Continua a fare lo stesso segno. Sono perplesso.

“Vuole che le saliate in groppa: sarà un viaggio abbastanza lungo”

“Cosa…?!” vuole che le saliamo sulla schiena tipo come se fosse un cavallo? Ma fa sul serio…? Non potrei mai farlo.

“Si, che c’è di male?”

“C’è che è una cosa da animali…”

“Ma Gianni, lei è un animale! Anche se magico, è pur sempre un animale. Salta su!” mi intima Yoshi, saltellando allegramente. Sono spiazzato, ma è meglio non farla arrabbiare, soprattutto ora che ci ha consentito di andare in un posto che, teoricamente, sarebbe pericoloso.

“Ok…” lei si accuccia vicino a noi. Mordendomi il labbro, salgo su. Ceci mi segue timorosa. Stese le zampe, fa una sorta di guaito.

“Dice di tenervi forte!” dice Yoshi, correndo a quattro zampe.

A Ceci sfugge un urletto, Hakurei-sama sta correndo a quattro zampe con noi in groppa. Mi tengo forte facendo sprofondare il viso nel pelo bianco. Non stiamo correndo: stiamo saltando e anche piuttosto velocemente, direi. Ho quasi paura di guardare oltre il pelo della volpe. Ceci si abbraccia a me. Trema molto. Non è abituata a certe cose così… fantasy horror. In una frazione di secondo vedo Yoshi correre come un lupacchiotto vicino a noi. Ci sorride. Io non ci riesco proprio. Lo sento ridere di gusto, divertito dalla nostra reazione. Non so quanto tempo passa prima di fermarci definitivamente. Non mi fido, potrebbe ripartire ancora.

“Ragazzi… scendete… siamo arri… vati…” dice Yoshi, stanco e col fiatone. Ceci scende immediatamente. Io ci metto un po’ di tempo in più. Mi sembra di aver preso trenta volte l’aereo in una sola volta. Poteva farne a meno Hakurei-sama di questi balzi e scatti alla Sonic the Hedgehog. Ci impiego ancora più tempo per realizzare di essere sopra ad una collina piena di neve in mezzo al bosco. Sotto di noi vedo qualcosa. Vicino a me la volpe ritorna alle sue vere sembianze e scambia delle parole con Yoshi.

“Quello è il luogo dove diversi Cacciatori si recano alla fine di alcune catture. Non si sa di preciso che fine facciano, si sa solo che finiscono qui. E, aggiungo, che questo posto fa venire i brividi!” esclama Yoshi. Ha ragione.

Sotto di noi vedo quello che, senza alcun dubbio, è un hotel per sciatori. La scritta sopra di esso è danneggiata, ma vedo quattro stelle vicino al cartello. Sembra rovinato per via della tempesta di neve ma, in generale, è in buono stato. C’è un lunghissimo muro e un’entrata dove, se vedo bene, ci sono due persone a fare la guardia. Hanno dei fucili in braccio.

“Come possiamo entrare là dentro?”

“Di sicuro non possiamo bussare e chiedere se c’è una fata, Gianni” dice Yoshi, scherzando. Nessuno di noi ride.

“Riguardo a te, Yoshi, vuoi venire con noi oppure…?” scuote la testa.

“No, non voglio fare il fifone e non voglio che vi accada qualcosa di brutto. Voglio proteggervi; se qualcuno si avvicina troppo, lo mordo, giuro! E poi, voglio conoscere Dentolina!” dice eccitato. Da una parte non voglio che venga con noi: chissà cosa potrebbe succedere. Ma dall’altra non voglio che ci separiamo di nuovo. Ma se lui lo desidera, sapendo tutto ciò che troveremo laggiù, allora non vedo perché non possa unirsi alla compagnia insieme a noi.

“Allora andiamo. Avviciniamoci di più, così vediamo cosa fare” sia Ceci che Yoshi annuiscono. Con un cenno il mio amico saluta Hakurei-sama e lo stesso facciamo anche noi. Ci allontaniamo dalla collina. Mi sento un po’ male. L’ho visto per pochissimi attimi, poco dopo esserci allontanati.

La volpe bianca, col capo chino e gli occhi chiusi, piangeva in silenzio.

 

 

 

 

Ci troviamo vicino all’entrata dell’hotel.

Le due guardie parlottano fra di loro e scherzano. Io non mi diverto per niente. Non sappiamo cosa fare. Quelle mura, probabilmente costruite da poco, sono molto alte e ricoperte di filo spinato. Ho visto un cartello poco prima: Warning! con un simbolo simile ad un fulmine. Credo che il filo sia elettrico. Se ci sono degli spiriti là dentro, allora non vedo perché non dovrebbero fortificare il posto in modo che qualcuno non decida di scappare.

“Che possiamo fare?” sussurra Ceci, dietro ad un albero vicino al mio.

“Non ne ho idea. Dobbiamo inventarci qualcosa. Qualcuno ha un’idea?” Ceci non risponde. Sento un sussurro dietro di me, Yoshi.

“Io ci sto pensando da un po’ e credo di avere un’idea. Ma prima analizziamo la situazione. Allora, abbiamo due tizi a fare la guardia con dei fucili e per entrare dobbiamo per forza mostragli qualcosa che gli interessino, no? Altrimenti non fanno nulla o ci mandano al diavolo oppure sparano, vero?”

“Si, è vero”

“Bene, possiamo fare finta che voi mi avete catturato e che volete portarmi in gabbia. Che ne pensate?” sia io che Ceci scuotiamo la testa, io con disprezzo, lei disgustata.

“No, Yoshi. Non sappiamo nemmeno con certezza che loro abbiano degli spiriti là dentro e non sappiamo nemmeno se vorranno ascoltarci. Potrebbero anche prenderti e sparare me e Ceci. Potrebbero essere in pochi e ricordare chi hanno dentro quell’hotel e potrebbero sapere che noi non siamo come loro. Non bisogna giocare qui, bisogna fare in modo di entrare senza essere visti”

“Si, e poi, senza un giaccone o qualcosa di rosso, non credo che ci darebbero retta” Yoshi annuisce a Ceci, sconfortato.

Pensandoci bene, sarebbe un bel piano. Potremmo cercare qualche giaccone rosso o altro, metterci il cappuncio in testa e usare Yoshi come spirito catturato. No, è una cattiva idea, una cattivissima idea. Se ci scoprono sono guai e guai vuol dire fucili e proiettili. La bufera di neve non ci fa vedere quasi nulla e dubito che anche loro vedano qualcosa, anche se siamo a dieci metri di distanza. La neve mi da fastidio agli occhi e mi si gelano le guance. Non vedo l’ora di andare via da qui.

“Ragazzi, quello cos’è?” chiede Ceci, avvicinandosi a me.

“Cosa?”

“Quello laggiù” più che laggiù direi ‘quaggiù’. Credo sia un carretto guidato da un tizio. Strizzo gli occhi per vedere meglio. Il carretto è coperto da un telo nero, sembra contenere qualcosa, credo oggetti. Il carretto cammina imperterrito, incurante di noi. Si ferma esattamente di fronte all’entrata. Sento delle parole mormorate dai tre. Mi viene un lampo di idea.

“Entriamo sotto il telo del carro, subito!” quasi urlo.

“Cosa?”

“Se noi andiamo là sotto, non si accorgeranno di noi ed entreremo là dentro inosservati” Yoshi sembra felice da questa idea, Ceci è terrorizzata.

“Ma… se…”

“Possiamo farlo! Come delle spie in missione!”

“Adesso, andiamo!” dico, correndo con Yoshi vicino al carretto. Non si accorgono di noi, non ci vedono nemmeno grazie a questa neve. Yoshi sale per primo e si getta sotto il telo, io faccio lo stesso. Ceci ci guarda imploranti e resta ferma. Ha paura. Il tizio parlotta con le guardie.

“Si, è tutto nella lista. Questo spirito, invece?”

“Tranquilli, è inoffensivo. Aveva solo bisogno di un paio di frustate. Ora è un bel e dolce agnellino” Ceci, tremante, s’infila sotto al telo, vicino a me. Le prendo la mano. Si calma un po’.

“Va bene, entra pure” non vedo nulla sotto questa coperta.

Il carretto si muove lentamente per un po’ di tempo. Yoshi è elettrizzato da morire. La sua coda si muove ossessivamente, manco stesse sulle montagne russe. Ceci ha il cuore che batte forte. Io… non lo so. Sento di essere ancora arrabbiato con me stesso per poter pensare ad altro. Anzi, non voglio nemmeno pensare di essere furioso. La prima cosa da pensare è  Dentolina. Il carretto si ferma d’un tratto. Ceci ha la tremarella. Alzo un po’ il telo, per vedere cosa c’è fuori. Abbiamo superato il cancello, ora bello e lontano. Non sento nient’altro che dei passi che si avvicinano… Il telo si scoperchia quasi immediatamente. La neve mi sferza il viso e devo per forza riparare il volto con le mani. Non capisco cosa stia succedendo che qualcuno mi strapazza per i capelli.

“Ecco qui cosa abbiamo in pentola!” urla qualcuno al mio orecchio. Ci hanno trovato, subito. Non ci credo! Ceci urla. Yoshi è scioccato.

“State zitti, voi due. Prima di tutto, voglio sapere, per Atena, cosa ci fate nel mio carro!” non ci penso troppo su. Sono terribilmente vicino dal trovare Dentolina e non posso credere che un deficiente con la barba da capretta m’impedisca di fare qualcosa. Gli do’ una gomitata nella pancia. Quello si dimena manco lo avessi mutilato. Solo ora mi accorgo che è alto quasi due terzi di me. Yoshi ringhia e mostra i suoi dentoni da lupo. Si alza in piedi sul carro e ringhia ancor più minacciosamente. Ceci si rannicchia, impaurita.

“As-aspettate…!” Yoshi si getta sul tizio. Sta per morderlo e, forse, anche sbranarlo vivo. Un secondo tizio interviene. Da’ un potente pugno a Yoshi e lo scaraventa lontano dal carro. Il mio amico ruzzola e si alza a quattro zampe. Spero che non abbia nulla di grave. Mi sento confuso e preoccupato. Preoccupato perché non ricordo di aver visto quel tizio che ha sbattuto Yoshi con una forza sovrannaturale. Confuso perché, ora che ci penso bene, questo qui è lo spirito che è stato catturato da colui che guidava il carretto e ha aiutato il suo Cacciatore. Non riesco a capire. Lo aiuta addirittura a ritornare in piedi. Yoshi corre verso di lui a quattro zampe.

“No, Yoshi, fermo!” il mio amico ritorna, appena in tempo, sulle due zampe e fissa i due, stranito. Anche lui ha capito che c’è qualcosa che non va’. Scendo dal carro.

“Ma voi due chi siete?” noto che il secondo è poco più alto di me, muscolosissimo, quasi come se fosse uno che fa box. Prende una spada dal carro dov’era seduto e la punta addosso a me e a Yoshi.

Voi chi siete?!” è scuro di pelle, i capelli sono color fuoco, credo che sia poco più grande di me in età e mi fissa in modo strano. Come se fosse interessato più a me. Punta i suoi occhi verso i miei, incuriosito. Avvicina la spada corta alla mia testa. La tempesta mi taglia le guance. D’istinto appiattisco la schiena al carro. La punta della spada è letteralmente poggiata sulla mia fronte e percorre lentamente il mio viso fino ai capelli. Qui si ferma. Con un forte movimento fa ricadere il mio cappuccio all’indietro. I suoi occhi azzurri mi squadrano da capo a piedi. Cerco di essere più calmo possibile, anche perché, stranamente, mi sento calmissimo. Sento che se puntasse quella spada contro Yoshi o Ceci, potrei spezzargli le dita con un colpo secco. Ma non c’è bisogno di pensare a loro: questo qui è interessato a me.

La lama scende ancora verso il mio viso fermandosi verso la mia guancia. Con un movimento veloce fa un taglio proprio lì. Stranamente non sento quasi alcun dolore, sarà per il freddo? Il pazzo coi capelli rossi, con mio grande stupore, si infila la punta della lama in bocca, con il mio sangue sopra. Yoshi mi lancia un’occhiata stranita, faccio lo stesso. Dopo aver fatto ‘l’assaggio’, sputa subito quello che aveva in bocca.

“Ma è bollente!” eh…? C’ha ritt’? Il suo collega (immagino che lo sia) si avvicina noncurante del mio sbigottimento e fa una strisciata col dito sul mio taglio. Si mette in bocca il sangue e lo gusta, ma, a differenza del pazzo, deglutisce. Noto che la sua pelle è stranissima: di un grigio scuro, come se fosse sporca, eppure non lo è. È gobbo, ha un giaccone rosso e sembra scomparire completamente dentro di esso.

“Hai ragione! Sono mortali, ancora vivi!” esclama, con voce profonda. Sembrano perplessi quasi quanto noi. Yoshi deglutisce e abbassa le orecchie. Ceci ci raggiunge, lentamente. I due si girano verso di noi.

“Perché vi siete intrufolati nel carro?” non so se dire qualcosa o no. Una cosa è certa, anche loro hanno qualcosa di diverso dai Fantasmi che abbiamo visto fino ad ora. Mi viene un’illuminazione all’ultimo secondo.

“Erm…”

“Voi due siete degli spiriti, giusto?” non battono ciglio, come se avessero immaginato sin dall’inizio che qualcuno gli avrebbe scoperti.

“Giusto! Avete usato il nostro piano per primi! Fingevate di essere uno spirito catturato e un Cacciatore con la giubba rossa! Ora è tutto chiaro!” esclama Yoshi, capendo anche lui tutto. I due si accorgono delle sue orecchie, del suo abbigliamento giapponese e della sua coda incontrollabile per l’emozione. Ceci si rilassa e tira un sospiro di sollievo. Il tizio coi capelli rossi alza un sopracciglio. Appena vedo i suoi vestiti penso all’Antica Greca, immediatamente, come se avessi fatto un balzo improvviso indietro nel tempo, quando andavo ancora a scuola, al liceo classico, insieme a Fabi.

“Ve lo ripeto, chi siete?” chiede minaccioso il tizio con la pelle grigia. Penso che possiamo fidarci.

“Io sono Giovanni, lui è Yoshi e lei è Cecilia. Voi?” si guardano negli occhi, indecisi anche loro se fidarsi.

“Mi chiamo Apollonio e questo è Neottolemo” l’ultimo nome…! Ho avuto un altro flashback nel passato. Ho già sentito questo nome, ne sono certo. Mannaggia al mio cervello un po’ arrugginito.

“Piacere di conoscervi Apollonio e Neo… Neotto… Erm…” ho difficoltà a pronunciare il nome. Ricordo che anche la prima volta che ho sentito la leggenda non sono riuscito a pronunciarlo…! Quello scuote la testa, rammaricato, ma non offeso.

“Chiamami Pirro, Giovanni” ha detto il mio nome in modo strano, come se avesse un buon sapore. M’inquieta un po’ questa cosa. Mi fissa anche in modo inquietante: quella sorta di sorriso che ha sembra troppo incantato per essere vero. Pirro si lega la spada alla cinghia che ha attorno alla vita. Per caso ho guardato in basso e ho visto i piedi di Apollonio coperti da un paio di jeans. Non sono piedi ma zoccoli. Questo cosa mi fa un po’ impressione. Se ne accorge. Si è sbottonato il giubbotto rosso e si toglie i pantaloni. Non è gobbo come credevo si è soltanto incurvato per far aderire il suo corpo pieno di peli grigio scuri e il suo viso umano con la barbetta caprina, come le sue corna. Senza volerlo faccio una faccia perplessa e un po’ schifata. Si accorge anche di questo. Mi fissa saccente.

“Che ti prende, mai visto un satiro prima d’ora?” dice con un bel po’ di calma. Non sono per niente sorpreso del suo tono di voce e nemmeno degli occhi luccicanti di Yoshi. So cosa sono i satiri e perché mi fanno così schifo. Le sue gambe sono anch’esse caprine.

“Erm… dal vivo no, in effetti”

“Che fico!” esclama Yoshi, più emozionato di un lupacchiotto che ha appena scoperto una creatura sconosciuta da cacciare. Apollonio lo fa zittire con un’occhiataccia.

“Allora, dato che ci siamo presentati, posso sapere per quale motivo tre ragazzini si mettono a giocare nel carretto che ho sabotato per venire fin qui?” chiede tutto d’un fiato e senza battere ciglio. Pirro sospira.

“Per liberare una persona”

“Oh, che bello…” viene interrotto dalla mano di Pirro.

“Di chi si tratta?”

“La Fata dei Dentini, Dentolina” rimangono sbalorditi.

“Com’è successo? Com’è stata catturata?” chiedono insieme, stranamente interessati.

“La storia è lunga, ma crediamo che l’abbiano portata qui e la stiamo cercando” dice Yoshi. Le piume del suo cappello vorticano velocemente.

“Quindi un altro Guardiano è stato catturato…” sussurrano fra loro. Un altro…?

“Cosa? Un altro è stato preso?” si voltano ancora verso di noi.

“Anche noi stiamo cercando di far evadere degli spiriti e fra questi vi è un Guardiano. Conoscete Jack Frost?” ho un flashback. Le due bambine, Gaia e Diana, parlavano a proposito di uno spirito catturato, Jack Frost. Dentolina è innamorata di lui. Bisogna liberarlo. Per la mia Gioia.

“Si, anche lui è qui?”

“Molto probabilmente si. Sentite, non so perché voi vogliate aiutare degli spiriti, ma sarebbe meglio per noi cercare insieme. Credo che ormai abbiamo capito che possiamo fidarci gli uni degli altri e che abbiamo lo stesso obbiettivo. Meglio cinque che due” afferma Pirro. Apollonio volta lentamente lo sguardo verso di lui, non capendo. Io invece ho capito e penso che una mano in più possa essere utile.

“Io sono d'accordo” anche Yoshi e Ceci annuiscono.

“Dove credete che siano gli spiriti?” dico, ricordandomi di avere un graffietto sulla guancia, massaggiandomelo un po’.

“Non ne siamo sicuri, ma potremo sapere dove siano una volta entrati. Dopotutto, ci sono delle guardie anche all’interno. Quindi, seguendole, potremo capire dove sono” sono d'accordo.

“Si, ma cosa possiamo fare all’interno? Come hai detto, ci sono delle persone là dentro che ci fisseranno e noteranno delle cose strane!” dice Yoshi ed è vero. Ho un lampo d’idea.

“Possiamo fare il vostro stesso trucco, soltanto nell’Hotel. Io e Cecilia fingeremo di dover andare ad imprigionare degli spiriti, cioè voi tre, visto che sembrate degli spiriti al cento per cento. Chiunque sia all’interno, ci porterà nelle prigioni e lì facciamo liberare i Guardiani”

“Si, credo che sia un buon piano” dice Pirro. Apollonio sembra non credere alle sue orecchie. Il ragazzo dai capelli rossi si avvicina al carro, tira il telo e mostra un bel po’ di cibo e oggetti. Fra questi vi sono dei giubbotti rossi, adatti per me e Ceci.

“Indossate questi” ubbidiamo “Credo che possiamo andare”

“Ceci, fai la cattiva, mi raccomando!” dice Yoshi, mostrando i dentoni. Ceci annuisce, anche se cerca di nascondere metà viso nel giubbotto. È terrorizzata da quando siamo entrati qui, credo che sia per questo che non parla. Immagino che sia meglio andare.

“Bene, entriamo. Mi raccomando, voi due: d’ora in poi dobbiamo odiarci a morte” annuiamo, non molto sicuri di poter odiare qualcuno che nemmeno conosciamo.

 

 

 

 

 

 

Sono già stato in un hotel simile. Ero molto piccolo, quando Fabi era ancora nella culla ed era parzialmente felice. Non era un gran bel posto, sembrava bello nella cartina, ma dal vivo era quasi brutto a vedersi. Il legno scuro un po’ sbiadito col tempo, gli scalini pieni di ragnatele, la polvere che si alza e si abbassa ogni qualvolta mettiamo i piedi sul terreno… Non è stata una bella vacanza, decisamente, ma almeno avevo visto per la prima volta la neve e il freddo. Già all’epoca gli odiavo.

“…te lo ripeto: è ridicolo che Sanguinea assuma pure dei ragazzini per questi lavori. Non so ma… mi fa quasi impressione vedere quei mocciosetti con dei fucili in mano…” di fronte a noi sbucano due tizi, entrambi col giubbotto rosso sangue.

“Pensala come vuoi, ma non si possono cambiare certe cose… Ah, parli del diavolo!” esclama l’altro, vedendoci “Devono essere nuovi, non gli ho mai visti. Siete nuovi, ragazzi?” io e Ceci annuiamo. Lei trema, lo noto dal fucile che ondeggia tra le sue mani. Non riesco a far altro che essere calmo, nonostante rischiamo grosso. Non riesco nemmeno ad essere negativo: andrà tutto bene, basta solo essere spontanei.

“Bene, sapete dove andare?” faccio un segno negativo con la testa. L’altro indica una scala che scende verso il basso, verso il buio.

“Scendete fino all’ultimo piano, il resto lo farà il Caposquadra: vi saprà dire cosa fare”

“Grazie…” dice Ceci, con una voce molto ferma. Anche lei è più convincente di me.

“Di niente. E non girare fuori senza guanti: ci credo che tremi dal freddo!” ho avuto quasi paura che ci beccasse. Apollonio ci ha detto di odiarci, non faccio fatica a spingerlo forte col fucile per dirgli dove andare. Non si fa niente, per fortuna. Era già preparato a queste cose. Superiamo qualche gradino.

“Te l’avevo detto: mi fanno impressione e non credo che faccia nemmeno bene a loro…” sento sussurrare dietro di me. Non sa nemmeno quanto ha ragione.

Ci sono molte più scale di quel che credevo. Man a mano che scendiamo, la luce diminuisce sempre più. Arriviamo ad un punto in cui quasi non riconosco Yoshi, Neottolemo e Apollonio di fronte a me. Ci rendiamo conto che non c’è nessuno.

“È stato più facile di quel che credevo”

“Già, Apollonio, chissà cosa sarebbe accaduto se fossimo entrati solo noi due…”

“Di sicuro avrebbero notato facilmente i miei zoccoli” dice, secco. Mi sale la curiosità.

“Voi, quindi, state cercando Jack Frost…”

“Esatto”

“Come avete saputo che è stato catturato?” continuamo a camminare.

“Nella capitale di quest’isola si sono rifuggiati degli spiriti, tra cui il Guardiano della Meraviglia e il Guardiano della Speranza” North, Babbo Natale, e Calmoniglio, il Coniglio di Pasqua, come mi aveva spiegato Dentolina “Sono riusciti a contattarci, dicendoci di aver saputo della cattura di Jack Frost e ci avevano domandato di aiutarlo a fuggire”

“Noi, ovviamente, abbiamo accettato. Abbiamo cercato in ogni luogo di quest’isola e siamo giunti fin qui. Non c’è un edificio simile a questo nel raggio di chilometri ed ogni Cacciatore, con uno o più spiriti, si raduna qui. Abbiamo pensato che questo sia una sorta di punto di raccolta, in modo da depositare qui i prigionieri per essere poi portati a Sanguinea” conclude Apollonio. Ci ragiono un po’. In effetti è probabile come spiegazione. Però ho un dubbio.

“Come avete fatto a capire che noi siamo ancora vivi? Soltanto con un graffietto?” prende la parola Apollonio.

“Insieme al ritrovamento di Jack Frost, i Guardiani ci hanno spiegato che Sanguinea, tramite uno dei suoi portali, è riuscita a trasportare su quest’isola anche dei mortali, senza un motivo preciso. Ci hanno spiegato di averne trovato altri sette e che, in teoria, dovrebbero essercene altri quattro. Immagino che voi due siate mortali: il vostro sangue, in confronto a quello dei Fantasmi, è di un rosso acceso e bollente. E non credo che voi possiate prendere a pugni qualcuno…” conclute, ridacchiando. Pirro gli scocca un’occhiata seccata. Pro memoria: devo ricordare assolutamente chi è. Forse ha partecipato a qualche impresa importante… la ricerca del Vello D’Oro forse… Mmm, no, non credo… La Guerra di Troia? Probabile…

“In realtà ci sarei anch’io tra il gruppo di mortali…” dice Yoshi, grattando la sua testa folta e nera. I due si voltano, lentamente.

“Come?”

“Sono anch’io un mortale” Yoshi è imbarazzato, molto. Apollonio sembra essere diventato di pietra. Quasi quasi ci credo: grigio scuro com’è, potrebbe anche essere scambiato per uno dei Bronzi di Riace. No, certo che no: almeno quelle due statue hanno un corpo umano.

“Si, è così. Era con noi quando ci hanno portati qui” dico io, meno rosso di Yoshi. Apollonio continua a simulare una statua di pietra, Pirro fa più o meno la stessa cosa, anche se potrebbe somigliare più al Doriforo, con il suo fisico scolpito.

“Ma… ha avuto un sortilegio o…?”

“Si, più o meno si. Ma ora sta tornando normale e probabilmente fra qualche mese non avrà più la coda e… il resto” conclude Ceci. Le abbiamo spiegato quel che è successo al nostro amico. Ha avuto un po’ di fatica a crederlo possibile, ma per lei la cosa fondamentale era che Yoshi fosse ancora vivo. I due smettono di fare l’imitazione della pietra e ritornano a guardare di fronte a noi: le scale sono finite, ora c’è un lungo corridoio ancora più buio.

 “Voi! Non vi ho mai visto qui!” una squillante voce femminile e anziana mi fa prendere un colpo al cuore. Nel buio vedo qualcuno: credo sia il Caposquadra di cui hanno parlato quei due al piano di sopra.

“Si, signora, siamo nuovi. Dovevamo portare qui degli spiriti e così abbiamo fatto” dice Ceci, tutto d’un fiato. Mente decisamente meglio di me, ma, dopotutto, chi non mente meglio di me? La figura ha i pugni serrati sui fianchi.

“Ottimo, andate dritto, troverete delle stanze, dentro ci sono degli uomini che prenderanno questi tre, il resto lo faranno loro” dice, velocemente, forse troppo. Io, Ceci e i ragazzi continuamo a camminare nel corridoio buio. La figura si scosta al nostro passaggio.

“Niente male come cattura, bambinelli” mi si blocca il fiato, tutto d’un colpo. Faccio finta di non aver sentito nulla. Mi volto leggermente, quel poco per vedere un sorriso tirato e una faccia conosciuta. Mi batte forte il cuore. Tutta la calma che ho accumulato per entrare qui dentro scompare subito, immediatamente. Ricordo di poter respirare dopo che la figura si volta e noi siamo abbastanza lontani da essa. Io e Ceci ci guardiamo negli occhi, terrorizzati.

“Gianni… era caduta dal terzo piano… Era… lei…”

“Ceci, era lei, la prof Forlì, ed è risorta. Come non lo so, forse è stata Sanguinea a farla rinascere, forse per servirla come voleva lei”

“Di cosa diavolo state blaterando?” sussurra minaccioso Apollonio. Yoshi ha sentito tutto con le sue gigantesche orecchie. Ci fissa bianco come un cencio.

“Non ci ha visti, non sa chi siamo, non credo che ci abbia riconosciuti. Io sono cambiato moltissimo in questi giorni, non credo che mi avrebbe riconosciuto ugualmente. Gianni, forse potevi essere visto, ma non credo che abbia badato molto a te. Ceci, ha sentito la tua voce, non so se sappia chi tu sia” spiega, con volto serio. Deglutisco. Ci ho pensato un po’.

 

“Vede, in questo regno le cose funzionano così: chi in vita è stato particolarmente disubbidiente verso la giustizia viene premiato ad essere tra i migliori Fearling di tutto il regno. Credo che… lei sia particolarmente dotata ad avere questa posizione…”

 

Ricordo benissimo le parole: la rossa come il vino voleva la prof per la sua codardia e, alla fine, è diventata una sua servitrice. Maledetta…

Il corridoio s’illumina per via di una lampadina appesa al soffitto. Noto che parte del muro alla mia destra è stato sostituito da del vetro. Guardiamo attraverso. Credo che un tempo doveva essere la piscina dell’hotel, ora all’interno, nell’acqua sporca, ci sguazzano dentro degli strani animali. Non so cosa possano essere.

Ai lati della piscina ci sono delle enormi gabbie di ferro nero. So cosa vi sono all’intero: fate, spiriti con orecchie a punta, grossi ammassi di pietra con occhi neri e profondi, bestie pelose che si abbattono sulle sbarre nel tentativo di distruggerle. Pirro si è avvicinato ancor di più al vetro, incredulo.

“Saranno centinaia…!”

“Se non migliaia, ragazzo. Guarda laggiù, ve ne sono ancora molti altri raggruppati in fondo alla sala” parlano fra di loro, tetri.

“Ma cosa ne faranno di loro?” chiede Yoshi, a nessuno in particolare.

Non ci vuole molto per rispondere: non gli ho notati subito, ma vi sono due guardie con giubbe rosse, le più forzute che io abbia mai visto.

Indossano dei paraorecchi e si avvicinano alla vasca. Da essa emerge una strana creatura che urla in faccia all’uomo. La guardia afferra la creatura e la tira con violenza fuori dalla vasca. Sembra un pesce, eppure sembra un umano: una sirena.

La sirena si dimena, senza acqua, come un pesce. Entrambi la afferrano e la portano fin sopra ad una scalinata. Non ho notato il gigantesco calderone di metallo. La gettano all’interno. Non capisco cosa succede: il vetro è insonorizzato. Passa un po’ di tempo pieno di attesa. I due uomini, nel frattempo, indossano una tuta bianca e nera con guanti. Uno di loro afferra ciò che rimane della sirena: è morta, le squame le si sfaldano, come un pesce lasciato per giorni sotto al sole. Non è un cambiamento naturale. Non capisco. Yoshi trema vicino a me, toccandosi le orecchie.

Uno di loro prende la sirena e, malamente, la gettano sotto ad un lenzuolo dove fuoriescono, oltre a delle pinne, anche dei piedi e delle zampe. Mi gira la testa. L’altra guardia pigia un pulsante sopra ad un computer e dal calderone fuoriesce una sfera verdastra grande quanto una pallina da tennis che viene presa subito dall’altro uomo.

“Quella è la magia che ci ha donato l’Uomo nella Luna… e loro la tengono per sé… ce la strappano dai corpi e così ci fanno morire…” sussurra Pirro, sconvolto. Non m’interessa chi sia l’Uomo nella Luna o chi altri siano morti per questa follia. Strappano l’essenza degli spiriti, la loro anima, la usano per sé, per avere più poteri e alcuni di loro vengono consegnati a Sanguinea. Mi sta per salire un conato di vomito se non me ne vado da qui.

“Troviamo Dentolina, Jack Frost e ce ne andiamo da qui. Subito” dico, con molto più panico di quanto volevo usare e continuo il percorso di fronte a noi. A Yoshi tremano i denti.

“Ma io non ho magia… non gli servirei a nulla…” mormora, terrorizzato. Ceci nota la sua angoscia. Ho paura per Dentolina: e se le è successo la stessa cosa? E se è già morta? Che cosa faremo poi? Di fronte a noi si para una porta in ferro, sparrata, pesante. Ma non ha lucchetti o password per poter passare. Sono talmente deboli per loro gli spiriti? Sono così insignificanti da non aver bisogno altro che di una porta per tenergli incarcerati?

All’interno è completamente buio, non vedo un palmo dal naso. Yoshi annusa rumorosamente l’aria.

“Sento odore di magia” sono perplesso.

“La magia non ha odore” dico, secco, e anche un po’ infastidito. Voglio andarmene da qui, ma prima voglio sapere se la mia Gioia sta’ bene.

“Invece si” afferma, facendo dei passi nella stanza “Sento un freddo qui… C’è magia d’Inverno qui e anche magia fatata” potrebbe essere una stupidaggine quella che sta’ dicendo, ma mi riempe il cuore di speranza. Non vedo niente in questa stanza, eppure vedo dei movimenti negli angoli, molto famigliari.

“Dentolina!” qualcuno si muove là in fondo.

“Gianni…?” non c’è bisogno di dire nient’altro. Mi manca il fiato, anche per Ceci è lo stesso. La fata esce fuori dall’oscurità. Ha gli occhi lucidi. Si butta su di noi. La abbracciamo. È andata tutto bene. Tutto bene…

“Siete dei pazzi! Adesso anche voi siete in pericolo!”

“Scusa, Dentolina, scusa. Dovevo difenderti…!”

“No, Ceci, non è stata colpa tua” Ceci è scoppiata in lacrime, Gioia riesce a trattenersi, anche se le fremono le ali dall’emozione. Si volta verso di me, cerca di essere arrabbiata, ma sembra emozionata.

“Non dovevi venire qui, non dovevi portare Cecilia con te. Gianni, cos’hai intenzione di fare?” mi sembra di essere preso in giro.

“Ma di salvarti, è ovvio! Mica lasciavo qui mia madre!” sembra incredula, più per come l’ho definita.

“Guardiana, sai dove si trova il tuo collega Jack Frost?” ci interrompe Apollonio, con rispetto, verso Dentolina. E dire che ci ha schifato di brutto fino a questo momento… Dal buio emerge una figura. Avvicinandosi alla luce mi sembra di rivedere il personaggio del mio incubo: il Guardiano dell’Inverno. È esattamente come lo ricordavo, niente è fuori posto. Solo che è molto triste, abbattuto, ha la schiena piegata verso di noi, si para gli occhi, come se la luce gli facesse un gran male. Dentolina lo aiuta ad uscire dall’oscurità. Ha gli occhi bassi.

“Ti ringrazio per averci cercato e per aver protetto questi ragazzi, Neottolemo” lo conosce?! Lui china la testa, con rispetto.

“Loro hanno cercato te, Guardiana, e sono riusciti nell’intento” Gioia si volta e ci guarda con gratitudine. Il ragazzo vicino a lei si regge spaventato al suo bastone. Il suo comportamento è totalmente diverso da come mi aspettavo. È letteralmente impaurito.

“È stato qui per molti mesi, da solo. Non riesce ancora ad abituasi alla luce, perdonate il suo silenzio: è molto spaventato” Apollonio scuote la testa, in segno di rinnego.

“Andiamocene da questo posto: fra poco scopriranno che c’è qualcuno che manca all’appello” questo ci basta per farci procedere verso il corridoio. Ceci cammina insieme a Dentolina, scusandosi ancora. Yoshi si avvicina alla fata, interessato e curioso. Apollonio e Pirro camminano di fronte a noi. Jack Frost, con la sua camminata barcollante, quasi inciampa. Lo afferro prima che gli accada qualcosa. È come nel sogno: non si stacca dal suo bastone. Vorrei sapere perché l’ho sognato. Ma ora non c’è tempo.

“Stai bene?” appena l’ho preso per le spalle, ha trattenuto il respiro, come se avesse paura che io gli facessi del male. Chissà cosa gli è successo…

“Grazie… signore…” signore? Non sarò più grande di lui, ma sicuramente è mio coetaneo, o almeno, era mio coetaneo.

“Andiamo via da qui, vieni, che ce la faremo!” cerco di essere il più convincente possibile, eppure non sembra molto felice di ciò. È ancora molto impaurito e la luce gli fa ancora male agli occhi. Dentolina ha ragione riguardo ai capelli, non aveva esagerato con le similitudini: sono veramente bianchi come la neve, quasi argentei. Ci credo che ha perso la testa per la neve dopo aver conosciuto questo qui. Comincio a sentire del freddo: credo sia lui a provocarlo. Non riesco più a sfiorargli le spalle: sono troppo fredde. Ci troviamo di fronte alla vetrata di prima. Stranamente le due guardie non ci sono, ma gli spiriti sono ancora lì, incatenati. Restiamo lì, fermi, a guardare il triste spettacolo.

“Dobbiamo liberargli, non possono restare qui” Pirro mi ha letto nel pensiero. Tutti annuiscono, stranamente in una cosa siamo tutti d’accordo. È proprio vero: “Di fronte all’ingiustizia, il cuore umano grida”.

“Non c’è veramente nessuno?” sussurra Ceci.

“Sembra di no. Muoviamoci” se da fuori non si sentiva nulla, da dentro c’è un gran fracasso di lingue che non conosco e che dubito che conoscerò mai. Non ci faccio molto caso, ci buttiamo tutti vicino alla vasca con le sirene. Gran parte degli spiriti si sono accorti della nostra presenza, ci temono e ci fissano curiosi e speranzosi. Apollonio indica un punto preciso della piscina.

“Quella sembra una porta che, se aperta, potrebbe far uscire tutte le creature. Se l’aprissimo, potremo fare qualcosa” corre verso quella ‘porta’ e prova a calciarla. Il fragore di metallo fa impallidire le fatine all’interno delle gabbie. Pirro cerca di distruggere le celle, nulla. Yoshi, intanto, si è avvicinato al computer che usavano i due uomini di prima. Le scritte sono in inglese, non le capisco.

“Qui ci sono delle istruzioni…” comincia a cliccare un po’ di pulsanti.

“Mmm… Ecco! Possiamo aprirle!” clicca su di una casella rossa. A quel punto si udisce un altro fragore di metallo: le porte e le celle si aprono come per magia. Gli spiriti all’interno sono increduli, ma escono fuori, chi dalle finestre, chi dal fiume creato aprendo la vasca delle sirene. È il completo caos, ma è meglio così. Mi sento molto felice. Noto che la vasca è quasi totalmente svuotata, ma c’è qualcuno all’interno, che non riesce a raggiungere gli altri. Corro per aiutare quella sirena.

“Gianni, dobbiamo andarcene!” ignoro Yoshi e scendo nella vasca. I miei piedi toccano l’acqua. Senza alcun avvertimento, afferro la donna pesce per le braccia e la faccio scivolare fino a raggiungere l’uscita. Esita.

“Và dalle tue amiche, aspettano solo te!” non mi ascolta. Fissa il mio petto, più precisamente la croce che ho. Mi chino su di lei, forse non parliamo la stessa lingua.

“Devi andare: non c’è più tempo!” fissa ancora la croce. È incredibile come la Disney e altri film abbiano storpiato in questo modo la vera sembianza di queste creature, di cui ne si conosce il vero aspetto solo grazie ai miti greci e latini che studio. Non sono bellissime fanciulle, ma la trasformazione di un mostro simile ad un essere umano in un pesce. Questa sirena però è diversa: i suoi occhi, come le squame delle sue sorelle, sono verdastri, ma lucenti di meraviglia. Sono bellissimi. Soffia sulla croce. Quello meravigliato ora sono io: l’oro sopra di essa si trasforma in polvere e lascia soltanto un’insolito metallo argentato, simile a platino. Sono stupito: quindi non era una vera croce d’oro? Cerco una risposta, ma la sirena se n’è già andata. Di fronte a me si trova la libertà, il freddo della montagna mi taglia il viso. Tutti aspettano solo me.

Sento uno sparo. Qualcosa colpisce il mio braccio. Qualsiasi cosa fosse è stata velocissima, mi morde e brucia, molto. Mi fa sbilanciare in avanti.

“Eccoti qui, Giovanni! E io credevo che fossi morto e risorto come me” con la neve nel viso ringhio. La Forlì. Mi ha sparato al braccio, non riesco più a muoverlo e non voglio: da esso esce molto sangue, non finisce più. Cerco di strisciare via, per la discesa, almeno poi potrò scappare. La vipera m’impedisce di muovermi con la scarpa sulla spina dorsale.

“Certo che hai fatto un grosso pasticcio, Santarcangelo: ora cosa ne facciamo di un traditore come te?” mi dimeno, mi fa male, non riesco più a guardare il mio braccio sanguinante. Sento un ringhio, un’ululato stridente. Yoshi. Uno sparo. Alzo il viso dalla neve, non lo ha preso. Il mio amico si è posizionato a quattro zampe e carica verso la prof. Riesce a farla cadere all’indietro. Mi rialzo in fretta, anche se il braccio mi brucia molto. È ricoperto di sangue. Dentolina e gli altri sono piuttosto lontani da noi. Cercano di raggiungerci. Guardo dietro la Forlì: ha chiamato i rinforzi, tanti rinforzi. Stanno venendo sia uomini che donne a dozzine. Mi volto verso Gioia e Ceci. Non voglio perderle ancora.

“Scappate! Andate via, veloci!” Pirro diventa bianco.

“Gianni!” non riesco a voltarmi in tempo: la prof mi ha raggiunto, una scarica elettrica mi percuote da capo a piedi. Tremo molto. Yoshi è a terra, con della schiuma alla bocca, trema anche lui. Mi accascio a terra. Il cappello di Yoshi vola via e finisce in mano a Ceci, incredula.

Dentolina è presa da Apollonio che la trascina via, mentre cerca di raggiungermi. Pirro prende in braccio Ceci e la porta via, lontano…

 

 

 

 

 

 

“Gianni… Gianni…?” come alla fine un incubo, riapro gli occhi di scatto. Sento l’aria che rientra velocemente nei polmoni, come se per molto tempo non c’è stata. Mi gira la testa, non credo che riuscirei a rialzalmi. Yoshi è sdraiato accanto a me, con aria distrutta e della bava alla bocca.

“Dove… siamo?” la mia voce sembra secca e arida, disidratata.

“Non lo so, ci hanno rinchiuso qui dopo averci catturato” mi guardo attorno. Sembra una cella poco illuminata di circa cinque metri quadri. Appena ho alzato il capo, il mondo si è subito rivoltato nel mio cervello, come un calzino. Mi straio di nuovo, mi manca il fiato.

“Cos’è successo?” Yoshi sembra un po’ più lucido di me.

“Non lo so: ci hanno portato qui dopo che la tua sensei ci ha elettrizzato con un oggetto” dev’essere veramente stanco, tanto da sfuggirgli una parola giapponese.

“Stai bene?” inclina la testa, come se non capisse cosa io stia dicendo.

“Guarda…” lentamente le sue mani si spostano sulla pancia e, con fatica, cerca di levarsi la parte superiore del suo kimono. Non l’ho focalizzato immediatamente per via dell’oscurità, ma ora capisco cos’è.

“Oh, Signore… Ti ha fatto questo?” annuisce, distrutto. Ha una grossa chiazza blu-viola poco più sopra dell’ombellico. All’interno della chiazza vedo cinque segni rossi. Poggio la mia mano in modo tale che le mie dita coprano completamente i punti rossi. È il segno di una mano. La mano della prof, anzi, di Antonella Forlì, non la chiamerò più prof, non se lo merita. Yoshi sembra sul punto di addormentarsi da un momento all’altro. Anch’io sono molto stanco, sto per crollare anch’io.

“Appoggia la testa qui, starai meglio” lentamente trascina la testa sulla mia spalla. La sua pelle è diventata incredibilmente bianca, deve avergli fatto molto male.

“Dormi, Yoshi, dormi…” non se lo fa ripetere due volte. Appena poggia la fronte sulla mia spalla, sprofonda nel sonno. Mi ricorda molto Fabi, prima che andasse nel collegio: è troppo innocente, troppo indifeso. Gli sfioro la testa con le dita. Mi si rigira lo stomaco per lo sconforto: non l’ho mai visto così triste. La mia spalla è avvolta da un panno color latte.Chiudo anch’io gli occhi e mi addormento. Per una frazione di secondo vedo un oggetto insolito per terra, accanto a noi, bagnato da qualcosa e noto che la manica del kimono di Yoshi è stata strappata con violenza. Non riesco a concentrarmi su questi particolari.

Anch’io ho molto sonno.

 

 

 

 

 

 

Mi sveglio di colpo. È come se una mazza mi si fosse conficcata nella pancia. Mi dimeno dal dolore, quel punto mi brucia ancora molto, dove la prof mi ha fulminato. Sento i lamenti di Yoshi vicino a me.

“Sveglia, belli addormentati! Dobbiamo andare ad una festa!” per poco non prendevo un altro colpo al cuore sentendo la Forlì. Né io né Yoshi riusciamo ad alzarci, troppo stanchi e indolenziti. Due braccia decisamente più robuste delle mie mi afferrano per le spalle, come se mi volessero spremere. La ferita all spalla urla dal dolore. Un altro uomo vestito di nero afferra Yoshi, più rudemente di me. Ci trascinano di peso fuori dalla stanza. A malapena riesco ad aprire gli occhi. I due aprono una porta, manco la volessero mandare giù.

Siamo fuori.

Il cielo è nuvoloso, molto, forse pioverà. I due ci fanno inginocchiare e, con delle corde, ci legano le mani di fronte a noi. Con un calcio alle ginocchia ci fanno alzare. Non so dove ci portano, ma siamo in città, nella stessa città nella quale eravamo all’inizio del viaggio. Ci spingono in mezzo alla strada, ci fanno marciare nonostante non riusciamo a camminare bene. La poca gente in strada guarda la scena con interesse.

Alzo lo sguardo di fronte a noi, vedo un ponte in lontananza. Non capisco nulla non appena guardo cosa vi è sopra di esso. Saranno una cinquantina di persone radinate come formiche là sopra, accalcate l’un all’altro. In mezzo a quel formicaio in fermento, vi è un rialzo in legno e sopra di esso delle funi per impiccagione.

Mi sembra di aver ricevuto uno schiaffo in faccia. Il mio cervello si risveglia insieme ad un tuono proveniente dal cielo. Yoshi, vicino a me, guardo ipnotizzato le corde. Mi volto, la prof ha un tamburo e sta iniziando a suonarlo con un ritornello ripetitivo e disturbante.

“Cosa significa tutto questo…?” in verità, so già cosa significa, ma lo trovo troppo ridicolo da essere vero. La prof non smette di suonare. La gente intorno a noi è più interessata che mai.

“Ti ho detto che ci sarebbe stata una festa e voi siete gli invitati! Siete molto fortunati, però: sarete i primi ad essere impiccati per tradimento. Non è emozionante?” dice, allegra. Yoshi sembra sul punto di piangere. Non l’ho mai visto piangere. È sempre felice, sorridente. Sembra quasi anormale quell’espressione di terrore in volto. È talmente anormale un’espressione triste in confronto a questa condanna a morte ingiustificata? Siamo in mezzo alla gente. Al suono del tamburo tutti si scansano. Ci fissano come se non capissero che guaio abbiamo fatto per finire fin qui. Non c’è alcuna via di fuga: i due uomini ci prenderebbero subito, siamo stanchi, indolenziti e Yoshi, il più forte di noi due, è percosso da tremiti di panico. Ha gli occhi bassi e lucidi.

Ci spingono fin sopra il rialzo, di fronte alle funi, pronte per appendere dei colli. Le persone in basso mormorano e si scambiano sguardi di incertezza. Forse non sanno veramente perché siamo qui.

“Fratelli, sorelle, cittadini! Siamo qui riuniti per la condanna di questi due giovani per tradimento verso la nostra sovrana!” ogni persona tace, d’un colpo “Giorni fa ho scoperto un piano talmente vile, talmente atroce, che con disprezzo devo parlarvene per spiegare il motivo per cui questi due ragazzi si trovano su questo patibolo” non devi spiegare nulla, serpe, perché non c’è nulla da spiegare.

“Questo giovane e questo spirito, hanno tentato di progettare un’assassinio verso la nostra benamata sovrana, Macula Sanguinea!” si sta’ inventando una storia falsa per metterci in croce con più facilità. È tutto ovvio…

“Quale malvagità o perversione posseggano questi due, non so dirvi. Fosse soltanto lo spirito, sarebbe comprensibile: la sua natura gli impone di essere crudele verso di noi” stronza… “Ma questo giovane…? Quale sarebbe la sua causa per cui combatte? Quale sarebbe la motivazione per cui abbia tentato questo sacrilegio? Ho tentato di essere comprensiva, l’ho supplicato, ho tentato di sapere il suo perché! Ma tutto ciò che ho ricevuto è una bocca sigillata e uno sputo in un occhio” te lo do’ io lo sputo. Però… credo che non possa liberarmi… forse è finita per davvero…

“Se lui stesso non vuole parlare, se lui stesso non vuole cercare alcun perdono, cosa voleva farci comprendere, signori? Voleva farci cadere nelle mani del nemico!” i due uomini ci stringono al collo le funi. Yoshi respira affannosamente. Ha paura. Io no. Mi sono rassegnato.

“Quindi siamo costretti dalla giustizia a condannarli a morte” la prof si volta verso di noi, con uno sguardo docile. Non appena volta completamente le spalle verso i cittadini, ci sorride perfida.

“Possa avere la nostra sovrana pietà di voi…” non riesco a stare zitto di fronte a tutto ciò. Sono sempre stato giusto, troppo buono per tutti, troppo pepe per Fabi. Ma almeno prima di morire voglia dire qualcosa.

“Non ne avrà, così come Dio non avrà pietà di te, stronza...” le sussurro, non appena si avvicina ancor di più.

“Lo vedremo, Giovanni Santarcangelo, così come vedrò cosa farne di Cecilia, non appena l’avrò trovata…” mi si blocca il fiato. Da’ il segnale ai due uomini di issare le corde. Dimeno le braccia. Non deve mettere le mani su di lei. Mai.

Un fulmine si getta sull’asta che tiene le nostre corde. Si sciolgono. In contemporanea un boato si avverte sotto i nostri piedi. Non so come sia possibile, ma il ponte si sgretola sotto i nostri occhi, inghiottendo le persone di fronte a noi. Mi sembra di guardare la scena al rallentatore, meravigliato. Inciampo all’indietro con Yoshi, in acqua, nel fiume. Sta’ accadendo tutto troppo in fretta. Non capisco molto, il mio cervello fa’ fatica a comprendere l’inferno che sta’ avvenendo.

Non ho il tempo di dimenarmi che delle mani afferrano sia me che il mio amico e ci trascinano all’indietro con velocità impressionante, portandoci lontano dalle persone che stanno annegando e morendo sotto le pietre del ponte.

 

 

 

 

Salve a tutti!

Sono tornata, finalmente (per la felicità di pochi)!

Ma, purtroppo, il liceo classico non mi fa fare molte delle cose che io vorrei fare e così…

Comunque, sono qui per fare un annuncio importante: il prossimo, probabilmente, sarà l’ultimo capitolo di questa fanfiction. I dettagli gli spiegherò nel prossimo capitolo ma, per il momento, volevo dare questa notizia per ringraziare di cuore tutti coloro che hanno recensito, messo nelle preferite, nelle seguite e nelle ricordate questa storia.

Vi ringrazio di cuore, ragazzi. Mi avete aiutato moltissimo per finire questa storia.

L0g1

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Capitolo 22
*** Un vecchio amico ***


“Va un po’ meglio?” le chiedo, dopo averla coperta con una copertina imbottita. Le sue piume sembrano prendere vita: si muovono e si smuovono come le penne di un uccellino. Ho trovato questa coperta per non far prendere freddo alle sue ali ghiacciate. Mi sorride un po’ imbarazzata.
“Si, non ho più freddo” annuisce più volte.
“Se vuoi vado a prenderne un’altra…”
“No, non serve. Grazie, Gianni. Non preoccuparti per me” la guardo ancora, è un po’ tesa. Non credo di aver detto qualcosa di male…
“Cerca di dormire, abbiamo camminato molto” dico, cercando di chiudere la porta. Mi sorride dolcemente.
“Gianni, non preoccuparti troppo per noi. È una buona cosa che tu… che tu sia in pensiero per me e per Cecilia. Ma non ti devi affaticare troppo, per favore” dice, cercando di coprire Ceci con un’altra copertina, vicino a lei. Ceci dorme. È crollata subito, dopo aver viaggiato per così tanto tempo. Non so mentire, non posso prometterle di non preoccuparmi per loro. Mi raggiunge.
“Cerca di dormire, sei stanchissima”
“Dormi anche tu: sei esausto, hai bisogno di riposare” poggia una mano sulla mia guancia. Non posso nemmeno prometterle questo, non so mentire a nessuno, nemmeno a lei, una fata, una fatina molto perspicace. Abbassa la mano. Mi guarda preoccupata. Sospiro e chiudo la porta dietro di me. Sospiro ancora e comincio a camminare per il breve corridoio. Questo posto sta cadendo a pezzi. Raggiungo quello che un tempo remoto doveva essere un salotto, piccolo. Guardo fuori dalla finestra: continua a nevicare senza sosta. I vetri delle finestre sono rotti o scheggiati. Odio stare in questo posto. Non c’è nessuno fuori e non credo che qualcuno abbia intenzione di fare una passeggiata con un tempo del genere. Crollo sul divano. Sono stanchissimo, ma non riesco a dormire: non voglio che qualcuno entri.
Abbiamo viaggiato per un tempo infinito. Non so nemmeno quante settimane siano passate. So solo che è passato moltissimo tempo. Da quando abbiamo incontrato quella rossa come il vino, non abbiamo fatto altro che viaggiare dalle fogne fino a sud. Fino ai piedi di una strana montagna dal picco bianco. Stabilimmo di scalare il picco: avevamo paura che qualcuno potesse vederci, oppure potesse prendere Dentolina. Siamo arrivati, dopo tante notti senza chiudere occhio, fino a questa città fantasma. È assurdo che una città del genere esista: ci troviamo in una montagna perennemente abbattuta da pericolose tempeste di neve. Inoltre mi sembra abbastanza strano che non ci sia nessuno. Forse l’hanno abbandonata da tempo: tutti i luoghi sono distrutti e pieni di neve. Non ho dormito per due giorni.
Mi sdraio in una posizione migliore sul divano. Forse le ragazze hanno ragione sul fatto che ho bisogno di riposare. Fabi mi aveva detto che il cervello umano è in grado di essere in totale funzione, senza dormire, soltanto per tre giorni, se si supera quella quota, il cervello inizia a spegnersi in automatico e la persona andrebbe in coma. Voglio crederci, ma allo stesso tempo non riesco a pensare ad altro che ci troviamo in un regno dove chiunque incontri voglia ucciderti soltanto perché accompagni una fata.
Viaggiando, abbiamo capito che non c’entrano solo i Guardiani in questa storia, ma anche altri spiriti. Gli abbiamo visti in molti, durante il nostro viaggio. Molti di loro ci hanno dato una mano per continuare a proseguire, altri gli abbiamo visti mentre fuggivano dai Fantasmi (ormai chiamerò così
chiunque abiti in questo postaccio). È dura per tutti qui. Nessuno sa che fine farà se verrà catturato da quei pazzi. Non lo so nemmeno io e non vorrei che la mia Gioia andasse nelle loro mani.
Ci eravamo rifuggiati qui dentro, in questa casetta. È molto piccola, una sorta di casetta montanara per una persona, ma abbastanza per noi. Viaggiando abbiamo trovato anche dei vestiti invernali che io e Ceci abbiamo indossato sopra i nostri. Mi sento terribilmente sporco. Non mi lavo da tempo. Talvolta riesco a lavarmi la faccia con un po’ di neve sciolta e ho trovato delle gomme da masticare per migliorare l’alito, ma, a parte questo, io e Ceci siamo sudici. Per me è un casino, soprattutto perché mi stanno crescendo i capelli. Proprio nel momento sbagliato… Anche a Ceci stanno crescendo: le arrivano lungo il collo. È incredibile come siano cresciuti così tanto. Forse è passato più tempo di quel che credevo. Mi sono anche esercitato a non parlare in napoletano. Sta funzionando, anche se talvolta mi scappa qualcosa dalla bocca. Fabi sarebbe fiera di me.
Chissà dove sia. Chissà dove siano gli altri. Chissà che fine abbiano fatto…
Chiudo gli occhi. Ho sonno, molto sonno…
 
 
 
 
 
Gli riapro lentamente. Ci rinuncio: non riesco a dormire, per niente. Sono troppo stressato.
C’è qualcosa che non va.
Non sono sulla poltrona dove mi ero addormentato, ma sopra ad un letto, imbottito di coperte calde. Ora che ci penso… da dove provengono queste coperte? Nella casa non ci sono coperte. Mi alzo in piedi, confuso. Non sono più nella casetta abbandonata e semi distrutta dove ci siamo rifuggiati, ma in un posto molto più… accogliente. Il legno non è grigio e marcio, ma sembra prendere vita con questo ardente arancione. Non ci capisco niente. Ma… dove sono le ragazze?
“Gioia, Ceci!” appena ho urlato, è sbucato della luce sotto la porta di questa stanzetta. Ho un brutto presentimento. Mi avvicino alla maniglia, la abbasso con più grazia possibile per non far sentire alcun rumore. Dallo spiraglio vedo dei libri verdi ammassati in una libreria.
Oh, Maronn…
Ho visto passare lei. La rossa come il vino. Mi sale l’adrenalina alle stelle. Per sbaglio sono sobbalzato. Si è girata verso il mio spiraglio di porta. Chiude il libro e lo lascia fluttuare per aria. Lentamente inizia ad applaudire.
“Complimenti. Sei arrivato fino a questo punto!” sbatto la porta. Comincio a tendere la maniglia per non farla entrare: qualcosa sta tirando con molta forza, molta più forza della mia. Ci provo con tutta la forza che ho nelle braccia per non farla entare. Pianto anche un piede a terra e un altro vicino al legno della porta. Cedo. La maniglia mi strattona e mi fa inciampare all’interno della biblioteca dove ero fuggito. Mi rialzo velocemente. La rossa non si era mossa di un centimetro, credo che per aprire la porta abbia usato un suo potere magico. Mi tremano le gambe. Sono praticamente di fronte a lei. Si massaggia il mento. Non so come, ma il suo braccio sinistro si è trasformato in qualcosa di atroce: è rosso, senza pelle, troppo grande per il suo corpo snello, artigli neri che accarezzano la pelle del viso.
“Dimmi, ragazzo, dove sono i due di cui ho bisogno?” non rispondo. Mi tremano le gambe. Ho troppa paura che mi faccia del male. Mi giro e comincio a correre. Ho fatto un passo di troppo, credo. Non so come sia possibile, ma sto sprofondando all’interno del pavimento come se fossi nelle sabbie mobili. Sento un vento ghiacciato che mi taglia il volto. Mi paro il volto con un braccio e osservo l’ambiente circostante. La biblioteca sta mutando in un paesaggio invernale. Non sto più sprofondando nel pavimento in legno arancione, ma in un laghetto ghiacciato.
Non so come ci sono finito qui, ma devo uscirne fuori. L’acqua ghiacciata mi congela i piedi fino al petto. Per fortuna non è la prima volta che nuoto d’inverno. Mi lascio abbandonare nell’acqua che mi bagna anche i capelli. Muovo i piedi per darmi spinta. Metà busto esce fuori dall’acqua e afferro del ghiaccio. Lentamente cerco di strisciare fuori dall’acqua. Ci riesco. Continuo a strisciare sul ghiaccio. Sono riuscito a far uscire il bacino, mancano solo le gambe.
Qualcosa mi colpisce alla spalla. Era un colpo talmente potente da farmi uscire completamente dall’acqua e da farmi scivolare sul ghiaccio. Continuo a scivolare, ma il ghiaccio si rompe di nuovo, cado di nuovo nel laghetto. Riemergo dall’acqua, ansimante. Le mie unghie trattengono a stenti il ghiaccio. C’è una figura in piedi vicino al luogo dov’ero sprofondato prima. Solo ora mi accorgo che sta nevicando. La figura ha un lungo bastone dalla punta ricurva, forse grazie a quello mi ha colpito. È incappucciato, non lo vedo bene in viso. Non so chi sia, ma non credo che voglia aiutarmi. Si avvicina lentamente. Cerco di farmi forza con le gambe per uscire dal mio nuovo buco. Ha una felpa blu elettrica coperta di ghiaccio alle spalle.
La figura si ferma di fronte a me. Piega le gambe e mi guarda a pochi centimetri dal naso. Sembra arrabbiato: le sue folte sopracciglia sono piegate minacciosamente e i suoi occhi competono con i miei per l’aggressività. Il vento fa abbassare il cappuccio: i suoi capelli sono bianchi quanto la neve che mi sferza il viso. Mostra i denti, bianchi come il ghiaccio che mi sta facendo tremare le braccia dal freddo.
“Dove sono i due che Lei sta cercando?” credo che abbia la mia età o giù di lì. I miei denti battono per il freddo. Non so il perché, ma quando si è avvicinato la tempesta sembra essere diventata ancor più violenta. Mi viene in mente quella sera in cui abbiamo incontrato Gioia, quando eravamo entrati nella biblioteca. Gioia stava sfogliando dei libri, uno di questi aveva come immagine un ragazzo come questo che ho di fronte a me. Le mie braccia stanno per cedere.
“Prima aiutami ad uscire!” mi guarda come se fossi uno sputo. Mi prende per il giubbotto grigio e mi strattona vicino a lui. I suoi occhi sono di un letale azzurro.
“Dove sono!?”
“Prima fammi uscire, poi ti rispondo!” digrina i denti, arrabbiato. Mi spinge all’indietro. Prima di cadere nel lago l’ho afferraro per il piede. Solo ora mi accorgo che è scalzo. Non so come faccia a non avere freddo. Invece di restare fermo, l’ho fatto inciampare e cadere insieme a me. Non ho paura dell’acqua, nemmeno se è ghiacciata. Ma non credo che sarà lo stesso per lui. Nuoto da quando avevo tre anni, mi esercito quasi tutti i giorni e molti dicono che dovrei partecipare alle gare invece che fare il giornalista come vorrei io. Spesso ci fanno fare delle prove in alto mare per vedere quanto tempo resistiamo prima di stancarci. Il mio record è di quattro ore e ventitrè minuti in alto mare. Però poi non sono più riuscito a muovermi per tutta la gionata. Fabi dice che sembro un delfino. È uno dei pochi complimenti che mi fa.
Lo afferro più saldamente e comincio a trascinarlo più in basso. Sembra che non gli piaccia l’acqua: si dimena forsennatamente e cerca di forzare la mia presa. Sono più forte io di lui. Dopo aver toccato terreno, lo lascio andare e comincio a nuotare fino alla superfice. Non si aspettava che fossi così veloce: si era portato dietro anche il bastone e ha tentato di afferrarmi con quell’arnese uncinato, ma non mi ha afferrato in tempo. Grazie ad una buona spinta, riesco ad uscire fuori velocemente. Mi hanno insegnato che quando ci troviamo in un laghetto e il ghiaccio è sul punto di cedere, bisogna stendersi sulla pancia e spingere il corpo verso la riva.
Sto per farlo, ma getto un occhio nel buco: il ragazzo ha raggiunto la superfice, ma non riesce ad uscire. È nel panico. Credo che non sappia nuotare: si agita, talvolta sprofonda nell’acqua e comincia ad urlare. Mi sale un po’ di pena. Fabi ha ragione: sono proprio un pepe… Infatti sto per fare una cosa stupida…
“Getta il bastone! Non ti aiuterà ad uscire da lì, anzi, ti farà annegare più velocemente!” ed è così: non so perché sia così ossessionato da quel pezzo di legno, ma non lo molla nemmeno per un secondo e lo ostacola molto. Mi risponde gettandomi dell’acqua in faccia. Non mi vuole ascoltare. Afferro appena in tempo il suo bastone, glielo strappo di mano e glielo porgo.
“Prendi la punta!” lo fa. Si calma. Lo tiro fuori dall’acqua con più forza possibile. Rimango sorpreso. Appena è uscito fuori, si riprende con forza il bastone e me lo punta al collo, manco fosse un mitra. Sto cominciando a pensare che quel coso di legno sia magico: delle scintille, non so se sono elettriche, escono e si ricongiungono al bastone. Indietreggio schoccato.
“Dove sono i due?!” sento la gola secca. Questo qui mi vuole fare del male.
“Non… Non… Non ‘o sacc’!” e te pareva… Mi escono anche delle parole in napoletano. Il ragazzo sembra essere diventato più scorbutico: punta il bastone verso il mio petto e credo che gli interessi colpirmi al cuore. Non so cosa accadrà quando lo farà. Morirò sul colpo?
“Dove sono?!” digrina i denti. Scuoto la testa, ho paura.
“Lasciami andare! Non so nemmeno di cosa stai parlando!” si arrabbia. Raddrizza il bastone e sbatte l’estremità sul ghiaccio. Delle scintille azzurre escono fuori e ricoprono tutto ciò che incontrano sotto i nostri piedi. Allo stesso tempo si alza un vento ghiacciato. Credo di aver capito: lui fa tutta questa neve e questo vento.
“I due di cui Lei ha bisogno, dove sono? Rispondimi!” è arrabbiatissimo.
“Chi? Chi sono?” non so di cosa sta parlando. Mi viene in mente la prima volta che ho visto la rossa come il vino. Aveva detto qualcosa di simile, ma non ricordo bene le parole. Aveva bisogno di due di noi, per avere tutto. Mi pare che avesse detto questo.
Il ragazzo sbatte con più rabbia il bastone contro il ghiaccio. Questa volta non esce da esso nessuna scintilla. Il ghiaccio si spacca sotto i miei piedi. Cado dentro l’acqua, ma non ho paura di essa. L’acqua mi ricopre completamente. Apro gli occhi, vedo il ragazzo sporgersi dal buco. Lentamente cado verso le profondità del lago. Il ragazzo punta il bastone verso il buco dove sono caduto. Non so come abbia fatto, ma il ghiaccio ricresce ad una velocità impressionante fino a ricoprire tutto lo squarcio.
Nuoto con più velocità possibile verso il luogo dove avrebbe dovuto esserci una cavità. Tocco il ghiaccio. Sbatto il pugno diverse volte sopra di esso. È spesso, molto spesso. Mi ha rinchiuso dentro. Vuole che io muoia. Il ragazzo se ne va, fluttuando, lontano da me. Non posso crederci che lo abbia fatto, dopo averlo salvato per giunta.
Rinuncio all’idea di poter rompere il ghiaccio. Mi viene in mente un’idea: all’inizio ero caduto in un altro buco. Sono bravo anche a trattenere il respiro. Comincio a nuotare verso la crepa. I vestiti pesanti mi impediscono i movimenti veloci, ma riesco ugualmente a raggiungere la libertà. Cerco di darmi la spinta per saltare fuori.
Perdo molto ossigeno, per la sorpresa ho aperto la bocca. Qualcosa mi sta trascinando velocemente giù, verso il fondo nero e buio del lago. Guardo in basso. C’è qualcosa simile ad un braccio rosso e forzuto. La rossa come il vino. Cerco di dimenarmi. Scalcio. Do più forza alle gambe. Niente. Mi trascina giù. Non riesco a fare nulla. Non riesco a credere che io muoia nel mio elemento. Guardo in alto: la luce del sole mi abbandona e io sprofondo ancora più in basso.
Non voglio morire affogato. Non voglio morire e basta. Non voglio che Ceci e Gioia mi credano sperduto. Non voglio morire. Volevo fare così tante cose. Volevo diventare giornalista, magari sposarmi, avere una figlia. Mi sono ucciso da solo, perché ho salvato la vita ad un altro. Mi allontano ancora di più dalla luce. Sparisce del tutto. Cado nel panico. Mi dimeno e scalcio, ma nulla. È tutto buio e non c’è possibilità di uscirne vivo. La mano mi lascia andare. Non riesco a muovere nell’acqua il mio corpo. È come se qualcosa mi tenesse fermo, nonostante non senta nessun braccio che mi trattiene.
I vestiti mi appesantiscono ancora di più. Non riesco proprio a muovermi. Qualsiasi cosa sia, è molto forte e forse è un incantesimo o qualche tipo di magia nera. Di fronte a me compaiono un paio di giganteschi occhi color ghiaccio. Non so cosa aspettarmi, rimango immobile a guardargli, non so cos’altro fare. Poco lontano dagli occhi, spunta una bocca con denti taglienti, due file di denti, sporchi di rosso, che si avvicinano silenziosamente a me. Gli occhi mutano forma: i bordi si alzano verso l’alto, come la pupilla e come la bocca.
Il sorriso si ferma di fronte a me. La bocca si apre lentamente. Mi manca il respiro. Si avventa su di me, sul mio collo. Provo ad urlare, ma l’acqua mi riempe i polmoni e lo stomaco. Attorno a me fluttua del liquido rosso. Non è la rossa come il vino, non so cosa sia, ma mi vuole morto, anzi vuole mangiarmi. I suoi denti affondano ancora di più nella mia carne. Altro liquido rosso si alza nell’acqua. La creatura strappa qualcosa dal mio collo. Appena rialza lo sguardo su di me, vedo che mastica qualcosa simile ad una gomma rossa e sanguinante. La paura corre in tutto il mio corpo. Di fronte ai miei occhi, ingoia quel pezzo di carne. Sono terrorizzato. Apre ancora la bocca.
“Dove sono i due?” sussurra, nonostante siamo in acqua. Non so nemmeno io come abbia fatto a sentire la sua voce. Ho voglia di piangere. Non so di chi stia parlando. Non so cosa vuole da me. Non so cosa rispondergli per farlo smettere. Mi fa male il collo, sento di aver perso qualcos’altro oltre alla carne. Vorrei piangere, ma non ci riesco per la paura.
“Non so di cosa tu stia parlando! Lasciami!” giuro di non aver mai avuto così tanta disperazione. La mia voce esce fuori con molte bollicine e il mio stesso sangue mi macchia i denti. La creatura, in risposta, mi azzanna ancora il collo, ma nel lato inverso, quello ancora pieno di carne. Mi esce dai polmoni un altro urlo, più lungo e disperato. Mi escono delle lacrime dagli occhi, il dolore è troppo forte e io non riesco a muovermi, è come se qualche incantesimo tenesse il mio corpo bloccato.
Fabiola! Aiuto!” la creatura si ferma, senza strapparmi altra carne. Non so perché io abbia urlato il nome di mia cugina, forse per paura o forse perché qualcosa dentro di me sa di essere spacciato. La creatura mi spinge lontano da essa. Velocemente cado all’indietro, senza fermarmi. È come se l’acqua attorno a me avesse preso il posto dell’aria. Non riesco a capire cosa sia quella cosa, ma mi ha spinto nell’oscurità. Le ombre sotto di me prendono vita. Su di loro si formano dei volti, degli occhi e dei denti bianchi, sorridenti. Sembra che ridano di me, della mia paura.
Si avventano su di me, tutti loro. Urlo ancora.
FABIOLA!
D’istinto prendo in mano la croce che ho al collo. La strappo dal collo e con disperazione la mostro alle ombre. Non so come sia possibile, ma la mia croce s’illumina di una luce bianca che si riflette con l’oro del crocifisso. Quelle mostrano una faccia spaventata, anzi, terrorizzata. Si allontanano velocemente, sbattendo le une contro le altre. La luce della mia croce s’illumina molto più di prima e mi acceca. Ma non mi da fastidio. Mi sento più al sicuro. Vedo ogni cosa di bianco. Non c’è più l’oscurità. Per fortuna che l’ho portato con me, in questo viaggio.
 
 
 
 
 
 
Apro gli occhi. Sono nel salotto della casetta. È stato solo un sogno… Non ricordo molto…
Sono ancora in questa casetta distrutta dalla tempesta di neve. Cerco di alzare il busto, ma qualcosa di delicato mi ferma.
“No, no, Gianni… Torna a dormire…” la mia Gioia. È la sua voce e quelle sono le sue piume disordinate. Lentamente le sue braccia mi fanno stendere sulla poltrona. Mi dimeno e riesco a sfuggire alle sue mani: mi sento scomodo. Guardo fuori dalla finestra. La tempesta si è calmata, ma continua a nevicare ugualmente. È quasi buio là fuori, il cielo è arancione scuro quasi nero. Involontariamente guardo sotto di me: Dentolina mi ha coperto con la stessa copertina che le ho dato la notte prima.
“Stavi tremando dal freddo. Tu hai più bisogno di me di una coperta” dice a me. Non ho mai avuto freddo. Mi giro verso di lei: è ai piedi della poltrona, seduta elegantemente sul pavimento sporco, poggia le mani sulla poltrona. Le faccio spazio. Dopo qualche secondo comprende, si alza in piedi e si siede accanto a me. Copro le nostre gambe con la coperta, anche lei ne ha bisogno quanto me. Ha uno sguardo distrutto. Sembra molto abbattuta, come se non riuscisse a fare qualcosa di cui dovrebbe esserne capace. È molto più piccola di come credessi. Sarà alta quanto mia cugina. Ultimamente non vola quasi mai. Non so il perché, probabilmente perché fa fatica a rimanere in aria. Non riesce nemmeno a sorridere come faceva le prime volte che ci siamo visti. Incrocia i suoi occhi rosa con i miei marroncini.
“Hai lo sguardo perso. C’è qualcosa che non va? Pensi a qualcuno?” scuoto la testa.
“Penso a molte cose e a niente, Gioia. Sono solo triste, tutto qui” si avvicina ancor di più a me. Cerco di tenere le mani lontano dalle sue ali. Ho paura di toccarle, di spezzarle e di romperle. Sembrano molto fragili eppure in realtà sono il perfetto contrario. So che se tocchi le ali di una farfalla si spezzano e pian piano l’insetto muore. Anche se Dentolina è decisamente più grande di una farfalla, ho sempre questa piccola paura.
“Stai pensando a qualcuno fuori da questo regno?” scuoto ancora la testa.
“No, penso solo agli altri che ho lasciato dentro questo regno. Penso a Fabiola, a Leo e… anche agli altri…” mi guarda interessata. I colori delle sue piume sono sbiaditi e senza luce, come i suoi occhi.
“Chi è Fabiola? La tua fidanzata?” dice con un sorriso sincero. Accenno anch’io ad un sorriso. Non riesco a fare a meno di abbassare la testa quando parlo con lei. È pur sempre una fata di cinquecento anni più grande di me e con molta più esperienza del mondo.
“No, ma sono certo che a lei farebbe piacere…” sussurro fra me e me, con tristezza.
“Come hai detto?”
“No, è la mia cuginetta. Sono in pensiero per lei. Insomma, non so nemmeno per quanto tempo siamo qui, non so se stia bene o… non ci voglio pensare…” dico guardandomi le mani. Lei mi cinge le spalle. Sento un brivido quando lo fa.
“Le vuoi molto bene?” mi rabbuio. Questa domanda me la faccio tutti i giorni. Tutti i santi giorni e non riesco a dare una risposta concreta.
“Non ‘o sacc’ manco io…”
“Come?”
“Si, ma… Beh, non so se io voglio molto più bene a lei o lei a me… Ecco… è complicato…” dico mordendomi un dito. Queste cose non si dicono alle altre persone.
“Capisco… è molto protettiva nei tuoi confronti, ma tu non vorresti questo, giusto?” spalanco gli occhi con perplessità. Sempre con gli occhi abbassati, le rivolgo lo sguardo.
“Hai tirato ad indovinare o…?” scuote la testa dolcemente. Questo gesto lo faceva sempre mammà
“Anch’io conosco qualcuno che vuole tanto bene ad una certa persona, è molto protettivo nei suoi confronti, ma non sa se le voglia più bene o viceversa…” sospira scoraggiata. Non so il perché, ma ho l’impressione che stia parlando di sé stessa e di qualcun altro. Credo che sia innamorata. Sorrido più apertamente.
“Chi è il fortunato?” chiedo con complicità. Alza la testa di scatto e arrossisce. Agg’ fatt’ tombola!
“Gianni!” arrossisce ancora di più.
“È uno spirito o un umano? Voglio dire… beh… di sicuro uno spirito s’innamora di uno spirito e non di un umano… Cioè di un mortale, voglio dire! Non intendo che tu non sia un umano, ma che sia più giusto che un colibrì s’innamori di un altro colibrì. Voglio dire!, non che tu non possa innamorarti anche di un essere umano…” ma che cosa sto dicendo…? Sto facendo la figura del razzista. Alzo un po’ gli occhi. Si è arrabbiata e anche molto.
“Prima di tutto, io posso innamorarmi di chiunque, anche di te se possibile. Secondo, non ho mai detto nulla del genere” dice arrabbiandosi di più.
“…e terzo, potresti anche tu innamorarti di tua cugina, se vogliamo essere nell’argomento” conclude in questo modo. Spalanco gli occhi. Sotto di me le mie mani tremano. Sento il cuore sbattere forsennatamente nel mio petto. Questa frase mi ha colpito dritto al cuore. Fa malissimo sentirla dopo tanto tempo.
 
“E perché mai, Giovanni? Secondo te non esiste l’amore fra cugini? Ah! Il tuo volto parla chiaro: credivi che non fosse possibile! Ora credi in questo, Gianni? Guarda come mi hai conciata! Guarda cos’ha fatto la tua essenza su di me e dimmi: quello che provo per te, non è amore?”
 
Quella cupa risata è sempre stata stampata dentro di me. Preme ancora nella mia testa. Sento ancora la nausea che avevo all’epoca. È passato molto tempo, eppure è come se fosse accaduto proprio ora.
“Oh, Gianni, sei pallido! Ti senti bene?” respiro profondamente.
“Comunque, lui è uno spirito, si chiama Jack e non è un ‘colibrì’ come me. Ecco tutto” dice con solennità. Jack… Jack… Questo nome l’ho già sentito…
“Come fa di nome?”
“Che vuoi dire?”
“Come si chiama? Il cognome, voglio dire…” sembra rischiararsi un po’.
“Jack Frost. Anche lui è un Guardiano come me. Dev’essere diventato uno spirito alla tua età. Sai, non so il perché, ma mi ricordi molto lui” giro la testa di lato, non capendo. Mi sorride imbarazzata “Sai perché questo è strano? Non… non gli somigli per niente, sia d’aspetto che caratterialmente! Non capisco perché mi ricordi tanto Jack” ora ricordo. È lo spirito dell’inverno, che porta la neve e il freddo alla fine dell’autunno. Dentolina mi ha raccontato, anche se brevemente, dei Guardiani. Ricordo anche la prima notte che siamo venuti in questo regno. Dentolina è la Fata del Dentino, North è Babbo Natale (non mi sarei mai aspettato un nome del genere!), Calmoniglio è il Coniglietto di Pasqua (la mia Gioia dice sempre di chiamarlo ‘coniglio’, non so il perché), Sandman è l’Omino del Sonno e Jack Frost lo spirito dell’inverno. In tutto cinque Guardiani per circa duemiliardi di bambini in tutto il mondo che si dividono per altrettanti spiriti e creature fantastiche. Ormai non mi sorprende più nulla.
“Perché? Com’è lui? Descrivimelo un po”
“Erm… in cosa devo descriverlo?”
“Inizia dall’aspetto, ma niente femminate! Non voglio smancerie!” le dico con falso tono di rimprovero. Rigira gli occhi con un sorriso.
“D’accordo. Allora…”
Dietro di noi la porta si apre e sbuca fuori Ceci, molto assonnata e curiosa. Si strofina debolmente un occhio per cercare di farlo svegliare.
“Vi sento fino alla stanza da letto. Di cosa state parlando?” l’occhio si riapre. Le sue pupille brillano d’incanto. Dentolina arrossisce ancora di più. La fata mostra un’espressione dispiaciuta.
“Scusa, tesoro. Ti abbiamo svegliata…” lei scuote la testa con energia. Sorride più apertamente facendo oscillare i suoi ricci. Ceci sta migliorando un po’ col carattere: non è più spaventata e paurosa, ma sta diventando un po’ più coraggiosa e felice, inoltre non piange più molto spesso e la sua voce non è più debole e imbarazzata, ma un po’ più potente e stabile, anche se non troppo. In un certo senso stare qui con noi e in questo regno le fa raffinare il carattere. E, cosa più importante, non tiene più le mani sul cuore, come se volesse difendersi da qualcuno, ma dritte di fronte ai suoi fianchi, anche se spesso le tiene giunte o serrate come dei pugni e unite, come ora. La sua pelle sta diventando di un rosa sempre più chiaro e le sue guance sono tinte con un po’ di rosso che spicca subito.
“No, mi ero svegliata già un po’ di tempo prima. Chi non somiglia a Gianni?” si affretta a dire. La fata arrossisce come un peperone. Mi scappa una risata, sempre a testa bassa.
“Dentolina è innamorata di uno e non ce l’ha mai detto!” la fata è sul punto di scoppiare in una nuvola di fumo. Più la guardo, più mi viene voglia di ridere. Ceci sembra scoppiare di felicità, a suo modo. Quando Ceci è molto felice mette le mani sulle guance, le brillano gli occhi, sorride leggermente, ma sembra che abbia un grande sorriso, le guance diventano rotonde e rosse come mele e incrocia le gambe come se avesse voglia di saltare come una molla. Ha un qualcosa di dolce il suo modo di sorridere.
“Ma è meraviglioso! Chi è?” Dentolina sta per esplodere.
“Un certo Jack Frost, Guardiano, Spirito dell’Inverno e… e che altro? Racconta, fata, racconta!” Ceci intanto ha rubato il posto a Dentolina e lei ora è schiacciata fra noi due. Mi è difficile tenere le mani lontano dalle sue ali, così le ho dato più spazio sedendomi sul manico della poltrona. Le sue piume s’irrigidiscono.
“Se la smettete con questi sguardi maliziosi potrei descrivervi anche Babbo Natale e il Coniglio di Pasqua…”
“Ma… Jack Frost? Com’è fatto? È così diverso da Gianni?” chiede innocentemente Ceci. La mia Gioia sospira.
“Si, è molto diverso da Gianni… moltissimo. Infatti non capisco perché mi ricordi così tanto Jack. È assurdo!” dice rivolgendosi a me. Mi sto incuriosendo.
“Allora ce lo descrivi o no? Quanto è diverso da me?”
“Va bene. Allora, prima di tutto, non ha i tuoi ricci ribelli e castani, ha i capelli lisci, corti e bianchi e…”
“Bianchi?!” Dentolina mi guarda confusa.
“Si, cosa c’è che non va?” devo avere una faccia perplessa al massimo, altrimenti non mi spiego il suo viso divertito.
Maronn’! Ma tu hai detto che era diventato spirito alla mia età!”
“E cosa c’entrano i capelli bianchi?”
“Beh, se ha i capelli bianchi allora è vecchio! Aspè… Uddio… Ti sei innamurat’ di un vecchietto?!” se i miei capelli avessero vita, cosa che spesso ho teorizzato, allora si sarebbero arricciati ancora di più e se ne sarebbero scappati via dalla mia testa urlando forsennatamente. Quasi mi immagino la scena. Gioia sbatte le palpebre, non capendo cosa cacchio ho detto. Dopo un po’ capisce ciò che intendo dire. Anche Ceci dietro di lei è confusa. La fata rigira gli occhi.
“Gianni, solo perché sono bianchi non significa che Jack sia vecchio. Semplicemente sono talmente biondi da essere bianchi come la neve” mi si accende una lampadina nel cervello. Esclamo un lunghissimo ‘ah!’.
“Ma allora sono biondi platinati e non bianchi! Ecco perché non avevo capito! La prossima volta specifica, che altre cose non le voglio pensare” Ceci sorride, avendo capito pure lei. Dentolina rigira gli occhi, seccata.
“Allora, se non mi interrompete di nuovo, posso continuare” ci accucciamo nei nostri posti, interessati.
“Anche la sua pelle è bianca come la neve, non come la tua, Gianni, olivastra, tipica del meridione. I suoi occhi sono azzurri come il cielo, diversamente da i tuoi marroncini come due nocciole. È un tipo ribelle, allegro e gli piace molto divertirsi, tu invece sei un bravo ragazzo, buono e gentile. Sarebbe bello se anche Jack fosse cavalleresco e premuroso come te…” dice rivolgendo gli occhi verso l’alto con uno sguardo sognante. Le sue ali si muovono leggermente, quasi come se volesse spiccare il volo. Le similitudini mi hanno reso molto in imbarazzo. Il finale ancora di più. Ceci mette le mani d’avanti alla bocca, sul punto di ridere. Purtroppo questa abitudine non l’ha persa. Vorrei farla uscire dal paese dei Jack bianchi come la neve prima che ci affondi definitivamente.
“Effettivamente non mi somiglia per niente…”
“Hai ragione. Scommetto che indossa sempre una maglia colorata con della neve, da come l’hai descritto” Dentolina è ancora nel mondo dei sogni. Aspetta… una maglia colorata? Ho un flashback del mio sogno. Un ragazzo che sta affondando in un lago, io lo salvo, ma lui mi getta di nuovo in acqua e mi impedisce di ritornare in superfice ghiacciando il buco dove sono caduto. Aveva una felpa blu elettrica, occhi azzurri arrabbiati e un bastone. Ricordo anche di averlo visto nel libro con la sua immagine. Ma non capisco, perché l’ho sognato? Forse non è nemmeno la stessa persona, meglio indagare.
“Gioia, ma questo Jack aveva una felpa blu col cappuccio e coperta di ghiaccio?”
“Si, esatto” dice risvegliandosi dal suo dolce sogno.
“E aveva un bastone con la punta incurvata?”
“Si…”
“E… riesce a ghiacciare qualsiasi cosa? Tipo… una fossa o un buco dove c’era già del ghiaccio?” mi fissa perplessa.
“Come sai tutte queste cose? L’hai già visto in passato?” beh, dire che l’ho visto in un sogno e che aveva intenzione di uccidermi mi sembra troppo da dire ad una fata.
“Beh…”
“Si” interviene Ceci “Ora che mi ci fai pensare… Ricordate quando siamo andati nella biblioteca della scuola? Dentolina, tu hai preso dei libri e in uno di questi c’era l’immagine di quel ragazzo” sono stato salvato in tempo. Non voglio crearle altri pensieri, è già troppo pensare a noi due, figuriamoci se devo riempirle la testa anche di un sogno stupido. Dentolina si influenza molto: se noi siamo tristi lo è anche lei, se qualcuno di noi si sente male anche lei si sente male, se Ceci piange lo fa anche lei. Meglio non crearle altri pensieri. Questa cosa vorrei risolverla da solo.
“In uno di quei libri vi era anche la mia immagine, la mia data di nascita, le informazioni riguardanti i miei genitori e… molte altre notizie riguardanti la mia infanzia fino alla mia trasformazione di Guardiana e oltre. Perché sapeva così tante cose su di me? E perché trascriverle in un libro?” anche questo è molto strano. In diversi momenti mi ero spesso chiesto cosa volesse quella donna e perché ci avesse portato in questo posto. Non mi ero mai chiesto cosa volesse dagli spiriti.
“Pensiamo un po’: a cosa servono i libri?”
“Per leggere…” risponde Ceci.
“Per leggere cosa?” Dentolina s’illumina.
“Informazioni… Informazioni su di noi! Ecco a cosa le servivano! In quella biblioteca vi erano informazioni anche riguardo ad altri spiriti come me e i Guardiani. Ora capisco: lei probabilmente ci aveva osservato per secoli in modo che in futuro, cioè ora, potesse attirarci in questo regno e catturarci!” dice aumentando il tono di voce, eccitata di aver trovato una soluzione riguardo a questo problema. Le sue ali e le sue piume si muovono in continuazione.
“Ma dopo avervi catturati, dove vi vorrà portare e soprattutto cosa avrà intenzione di fare con voi? Uccidervi…?” chiede Ceci, tremante. Gioia si mette a pensare.
“Questo lo scopriremo più tardi. Forse anche oggi…” quest’ultima frase l’ha detta sottovoce, ma l’ho sentita ugualmente. Non vorrei scoprirlo oggi… Forse non sarà necessario ucciderli, forse rinchiuderli da qualche parte sarebbe più che sufficiente. Si, ma se così fosse, dove potrebbe rinchiuderli? In una sorta di prigione? O in un lager, come quello dei Nazisti? Passa un po’ di tempo. C’è un po’ di tensione fra di noi. Sento la pancia vuota. Non ricordo nemmeno quand’è stata l’ultima volta che ho fatto una buona cena. Sento la lingua secca e screpolata. Non abbiamo nulla da mangiare. Mi volto verso le ragazze. Anche loro hanno una faccia sciupata. Credo che io possa uscire per trovare qualcosa da mettere sotto i denti. Spesso, quando ci troviamo in città deserte, io di notte vado in qualche palazzo per cercare qualcosa da mangiare e da bere. Di solito le ragazze fanno la guardia quando non ci sono.
Piccerelle, è notte fonda. Vado fuori, non abbiamo più da mangiare” entrambe annuiscono, ma con poca sicurezza. Ogni volta che esco è una condanna: hanno paura che io non torni più indietro e lo dimostrano col loro sguardo. Ma allo stesso tempo nessuno di noi vuole morire di fame.
“Buona fortuna, Gianni” dice Gioia. Ceci ha lo sguardo basso. Prendo lo zaino che avevamo trovato alle falde della montagna, vuoto. Mi aggiusto i vestiti e mi avvio verso la porta. Mi volto un’ultima volta. Dentolina mi fa cenno di andare, Ceci ha un’aria distrutta. Forse è solo stanca…
“Tornerò presto” chiudo la porta dietro di me e mi avvio verso le strade. Mi sento abbastanza insicuro. Avanzando sempre più in alto, verso il picco della montagna, ho notato che i soldati e i poliziotti che controllavano i paesini diminuivano sempre più, così come aumentava la ferocia della tempesta di neve. I fiocchi di ghiaccio sono pungenti, tagliano i miei occhi come coltelli, tanto da bruciare e farmi lacrimare.
Corro da una casa all’altra, cercando una che possa avere qualcosa da mettere sotto i denti e che possa ripararmi dal freddo. C’è una casetta piccola e poco danneggiata. La cosa m’inquieta un po’. Se è poco danneggiata, allora è quasi sicuro che qualcuno ci sia all’interno. Ha un giardino coperto di neve con un recinto danneggiato. Guardo un attimo in alto. Dalle finestre non esce nessuna luce e dal cammino nemmeno un po’ di fumo. Non mi sento tranquillo.
Avanzo lentamente per il giardino. La neve mi punge le mani. Vorrei avere dei guanti e anche degli abiti caldi e puliti. Mi avvicino allo spioncino della porta. Mi metto in ginocchio e guardo attraverso. È tutto buio dentro, ma non c’è nessuno e non sento nessun movimento. Apro lentamente la porta. Si sente uno scricchiolio sinistro. È molto buio, vorrei avere una torcia. Questo silenzio mi uccide. Avanzo in quello che un tempo doveva essere un salotto. Non sento alcun rumore, per fortuna. La stanza è molto piccola, come la casa in sé. Ma perché non c’è nessuno? Dove possono essere andati tutti? In un paesino dovrebbero esserci delle persone e non delle case abbandonate e deserte!
Apro la porta in fondo. Non credo che ci sia qualcuno qui dentro. Una cucina. Alleluia! In una cucina c’è sempre del cibo. Mi butto sul frigorifero. Cerco di aprirlo, ma sembra serrato. Brutto segno. Vuol dire che non è stato aperto da tempo. Ci riprovo. Niente è serrato. La terza di solito è quella buona. Ci riprovo. Uso così tanta forza da far muovere il frigorifero, ma almeno si apre. Mi tappo il naso e la bocca con la mano. Appena l’ho aperto, mi ha investito della puzza di muffa e polvere. Non c’è corrente elettrica, infatti il frigo è anch’esso buio. All’interno ci sono delle scatolette vuote e del formaggio, sicuramente scaduto da tempo. Non c’è nient’altro. Richiudo il frigo, scoraggiato. Dovrò cercare ancora…
Crack.
Dal piano di sopra ho sentito il rumore di un vetro rotto. Era quasi impercettibile, eppure mi è sembrato così terribilmente vicino. Non posso fare a meno di sobbalzare. Forse c’è qualcuno qui dentro. Affianco alla cucina c’è una scala di legno, in buone condizioni. Dalle finestre rotte entra della neve. Rabbrividisco. Odio l’inverno e il freddo. Preferisco l’estate, quando fa caldo e posso andare a nuotare. Il freddo mi taglia sempre la pelle e mi fa avere la pelle d'oca. Oltretutto, mi ammalo facilmente e ho spesso la febbre o il raffreddore. Anche ora starnutisco spesso. È una sensazione che ho sempre detestato. Mi metto le mani in tasca per cercare di riscaldarle. Forse è meglio andarsene prima di finire nei guai, potrebbe sempre esserci qualcuno qui.
Mi sistemo lo zaino per bene sulle spalle e comincio a camminare lentamente verso la porta aperta. Se c’è qualcuno per davvero, allora è meglio se non mi faccio sentire. Appena sento la neve sulla mia pelle e tra i miei capelli, corro velocemente lontano dalla casetta. Talvolta ho incontrato delle persone e sono stato visto dentro le case o negli appartamenti. Alcuni erano nelle mie stesse condizioni e mi hanno aiutato a cercare del cibo. Altri erano armati e mi avevano minacciato di andare via o mi sarei ritrovato un coltello in mezzo alla testa. Altri ancora, oltre ad essere armati, avevano cattive intenzioni e voglia di sparare a qualcosa, anche solo per divertimento. Non mi sono mai fatto vedere da loro e appena mi sono sembrati abbastanza lontani, me ne sono andato di corsa. Ora che ci penso, il rumore di vetri rotti era troppo leggero per essere stato un vetro rotto dall’esterno. Poteva anche essere stato il vento ad aver fatto cadere un bicchiere o un vaso di vetro. Non credo che sia stato qualcuno oltre a me in quella casa. Non credo che sia il caso di tornare dalle ragazze: senza cibo non torno indietro. Ho freddo e sento la pancia brontolare. Guardo di fronte a me. I miei occhi s’illuminano.
Un vecchio edificio grigio e vicino ad esso una scritta: Supermarket.
Cerco di non pensare al freddo e alla fame. Mi avvicino di più all’edificio, anche questo non molto grande. Non posso fare a meno di sussultare: le porte automatiche sono state aperte con forza. Chiunque sia stato doveva essere molto forte. Le porte sono state praticamente prese a calci tanto che i vetri sono stati distrutti. Spero che chiunque sia entrato sia andato via da tempo.
Entro nel supermercato. Mi ritrovo in una stanzetta con delle scale elettriche piene di polvere e un bancone. Su di esso c’è quello che un tempo doveva essere un vecchio computer e una targa su di esso: Receptionist: Sheila Byron. Una reception in un supermercato mi sembra abbastanza strano. Su questa montagna ho trovato solo dei paesini e delle città con nomi inglesi (o americani). Anche le persone qui parlano in inglese. Io per comunicare con loro, visto che io l’inglese lo so come un cane, ho utilizzato il linguaggio internazionale traducibile in ogni lingua esistente al mondo: quello dei gesti. Oltre questa stanzetta c’è una porta in buone condizioni. Questo è strano.
Mi avvicino di soppiatto e mi inginocchio vicino allo spioncino per guardare attraverso. Sento dei rumori dall’altra parte.
Ai dont vuant tu urt ju, boy. Riali!” inglese…?
Dallo spioncino vedo due figure. La prima, quella più vicino alla porta, è una donna piuttosto muscolosa e robusta, vestita pesantemente e con un fucile dietro le spalle. Il suo giubbotto invernale è rosso come il sangue. Una guardia, un servitore della rossa come il vino. Ho incontrato molti di quei soldati durante il nostro viaggio. Sono di molte epoche diverse e con molti tipi di armi, servono a fare in modo che non ci siano disordini nel regno anche se non fanno molto. Hanno tutti un indumento rosso come il sangue e sono tutti dei delinquenti.
La seconda figura è piuttosto piccola, potrebbe essere poco più grande di Fabi. È anche molto magra, ma non ossuta. Ha un abbigliamento molto insolito. Sembra una sorta di kimono maschile giapponese di cui la parte superione è di un bianco così puro da essere accecante e la parte inferiore è di un vivo arancione. Questi colori così allegri sono in grandissimo contrasto con l’ambiente nero e grigio di questo paesino innevato. La figura sembra essere in allerta dopo aver visto la donna. Ha un comportamento simile a quello di un animale. La sua schiena è curva, come se la spina dorsale facesse fatica a restare dritta. Ha una maschera bianca a forma di muso di volpe con dettagli neri e rossi. Ai piedi ha dei calzini anch’essi bianchissimi e qualcosa di simile a delle ciabatte di legno. Ho un gran numero di flashback di tradizioni giapponesi nella mia testa. Rimango sbalordito quando vedo qualcosa muoversi dietro di lui: una coda non troppo lunga, grigio scura, quasi nera, e arruffata. D’istinto guardo al di sopra della sua testa: ci sono delle orecchie nere come i suoi capelli.
La donna cerca di avvicinarsi alla figura. Quest’ultima cerca di scappare, ma un colpo di fucile la fa fermare. Sobbalzo sentendo quel rumore. Ho fatto muovere un po’ la porta. Per fortuna la donna non si è accorta di nulla. Questa si avvicina all’altro, che sembra sul punto di fuggire via a quattro zampe. Lo afferra per un braccio.
Comon! Stei vuit mi. Dont go avuei!” non riesco a capire cosa dice. L’altro si libera della presa. È indeciso se scappare oppure se stare attendo ad un nuovo sparo. La donna, allo stesso tempo, è indecisa se colpirlo oppure se cercare di afferrarlo di nuovo. Il giapponese si appoggia sulle quattro zampe. I manici ampi delle braccia coprono completamente le bianche mani. Lentamente si avvicina alla donna che, intimorita, indietreggia. Dalla gola della creatura esce fuori un ringhio simile a quello di un cane. La guardia si fa coraggio tenendo con determinazione l’arma. Il cane-ragazzo scatta innavertitamente in avanti facendo un grande balzo verso di lei. La donna punta di nuovo il fucile e spara.
Da dietro la maschera si sente un altro urlo animalesco, di dolore. L’ha colpito di striscio alla spalla. Credo che per paura non l’abbia preso in pieno. Vedo sgorgare delle strisce di sangue rossastro dalla spalla scoperta.Non voglio che uccida quello spirito. Mi sento in dovere di proteggerlo piuttosto che stare qui a guardare come un codardo. Ma allo stesso tempo cosa posso fare? Gettarmi su di lei e fermarla? Impossibile. Pure io, un pepe, posso capire che è una cosa totalmente impossibile: lei è alta, muscolosa, forte e soprattutto armata. Anche se mi gettassi addosso a lei di sorpresa, potrebbe sempre prendere il fucile e puntarmelo alla testa. E niente e nessuno le impedirà di premere il grilletto.
La guardia è terrorizzata. Il fucile trema tra le sue mani. Non credo che si aspettasse di trovarsi di fronte ad un cane rabbioso. Il ragazzo-cane non si arrende: la aggira in un cerchio mortale così velocemente da non far capire nulla nemmeno a me. Non vedo quasi nulla, si sono spostati di lato e dallo spiraglio non vedo un granchè. Mi sto innervosendo e preoccupando.
Mi alzo in piedi, con fatica. Lentamente raggiungo le scale mobili e le percorro. Voglio vedere meglio e per farlo devo andare dall’altra parte. Anche se sto percorrendo il piano di sopra, sento chiaramente i ringhi di quel cane spirito e le imprecazioni di paura della donna. Sento un altro sparo. Fermo la mia camminata. Mi rilasso quando sento un ululato e un urlo femminile di terrore.
Sorri, sorri! Ai vuil never do dat! Plis, dont kil mi!
Corro per il secondo piano, non credo che mi sentiranno. Secondo me quella è talmente terrorizzata da non riuscire nemmeno a prendere la mira. Giro lo sguardo velocemente attorno a me. Credo di trovarmi in una sorta di zona libri, niente che io possa portare con me. Oltretutto, hanno rubato tutti i romanzi e i libri per ragazzi. Raggiungo le seconde scale mobili. Sento qualcuno abbaiare. È uno strano verso: sembra a metà tra l’urlo di un umano e quello di una bestia feroce. Raggiunte le scale mobili mi accuccio ad ogni scalino, per non farmi vedere. Da questo punto vedo la scena perfettamente.
Ecco perché non sentivo più gli spari: la donna cerca in continuazione di premere il grilletto, ma non esce nemmeno una pallottola. Ha finito le cartucce di proiettili. Il ragazzo-cane se n’è accorto. Le salta addosso e le strappa con una gomitata il fucile. Quella si mette ad urlare per la vicinanza con la bestia. Se alzassero la testa di poco mi vedrebbero. Ma credo che siano troppo concentrati sul combattimento. Scivolo sui gradini e raggiungo uno scaffale molto alto, abbastanza da non farmi vedere da loro. Ignoro le urla di dolore della donna e vado nella direzione opposta alla loro. Raggiungo altri scaffali. Sono pieni di cibo. Faccio scendere lo zaino dalle mie spalle, lo apro e cerco qualcosa di buono. Passo fra le mani delle salsicce. Non so come, ma sono in buono stato. Le metto in borsa. Anche gli altri alimenti sono in buono stato, anzi, ottimo. Metto tutto nella borsa. Mai visto così tanto cibo in un’esplorazione. Non capisco: ma se non c’è nessuno, com’è possibile che ci siano così tanti viveri e in buono stato per giunta? Farò più tardi questa domanda alle ragazze.
Lungo il corridoio sento degli ululati. Qualcuno sta piangendo. Mi avvio verso i frigoriferi. Incredibile: c’è elettricità. C’è del latte all’interno di bottiglie di vetro. Le afferro, sapendo già che sono in buono stato, e le metto in borsa. L’ho riempita tutta. Le ragazze saranno felicissime. Con questo cibo potrei accendere un forellino e preparare qualcosa di buono e soprattutto caldo. Ho già l’acquolina in bocca. Anche se ho fame vorrei mangiare insieme le ragazze. La borsa è strapiena.
Do un’occhiata al corridoio. Non vedo tracce di sangue. Quello spirito vuole solo che quella donna se ne vada. Le salta ancora addosso, ma lei schiva, apre la porta dietro di sé e scappa a gambe levate. Il ragazzo-lupo non la insegue. Si rimette sulle due zampe e si avvia… verso la mia direzione. Mi vede. Le sue orecchie si drizzano sorprese. Ringhia. Deglutisco. Inizia a correre velocemente a due zampe, poi si posiziona su quattro. Non riesco nemmeno a pensare che mi raggiunge e mi salta addosso. Mi immobilizza le braccia. Solo ora noto che ha degli artigli neri e affilati. Mi ringhia in faccia. Chiudo gli occhi. Non riesco a muovermi, è troppo forte. Non sento più alcun ringhio. Riapro gli occhi. Vedo solo una maschera di volpe e, attraverso, degli occhi a mandorla, di un arancio acceso, come due fiaccole.
Il ragazzo-cane non mi guarda più come una bestia, ma con molta più umanità e curiosità. Abbassa la testa sul mio volto. Ha dei capelli folti, neri e arruffati. È terribilmente vicino. È leggerissimo, ma molto forte. Mi annusa. Rimango sorpreso. Mi fiuta il viso, il collo e scende fino al petto. Qui si ferma. Prende la zip del giaccone, l’abbassa. Mi scopre parzialmente. Inizia a slacciare i bottoni della mia giacca, un tempo bianca. Mi percorrono dei brividi di freddo. Mi accorgo che sul collo e sulla spalla scoperta ci sono delle cicatrici di morsi. La sua coda si alza in alto, ha trovato qualcosa. Prende in mano la mia croce. Le sue mani sono insolitamente calde. Non so il perché, ma non riesco ad aver paura. La ispeziona fra le dita. I suoi abiti sono leggeri e morbidi. Non so come riesca a non avere freddo.
Si sposta dal mio corpo, ma resta vicino a me sulle quattro zampe.
“Gianni…” rimango sorpreso. È la prima parola umana che abbia mai sentito dalla sua bocca. Mi sorprende che la conosca. Alzo il busto e mi rimetto in fretta in piedi. Lui non mi imita.
“Chi… chi sei?” si mette in piedi a pochi centimetri di me. Concordo riguardo a ciò che ho detto prima: è poco più alto di Fabi. La sua testa sfiora la parte inferiore del mio collo. Si toglie la maschera. È un asiatico come tanti, solo che i suoi occhi sono arancioni. Mi fissa come se non credesse ai suoi occhi. Faccio uno sguardo insicuro.
“Dove ti ho già visto?” non risponde alla mia domanda, ma mi guarda speranzoso.
“Ti... ti dovrei riconoscere?” le sue orecchie di lupo si abbassano, deluse.
“Non credo, sono cambiato molto dall’ultima volta che ci siamo visti… Ma credimi, anche se non sembra, ogni cinese, giapponese o coreano, ha qualcosa che lo rende diverso dai suoi compatrioti” mi s’illumina il cervello.
 
“Sarà strano a dirsi, ma dopo averti conosciuto, mi sembri molto diverso dagli altri giapponesi, anche fisicamente”
“Questo perché ognuno di noi è diverso”
“Eh?”
“Sai, Gianni, guardandola all’esterno una persona sembrerà uguale a tante altre, ma se la osservi con più attenzione noterai molte differenze fra essa e gli altri suoi connazionali”
 
“Yoshi…” annuisce. Ora lo riconosco. Sorride. Ciò che lo distingue da tutti i suoi amici è il suo sorriso: sembra avere delle pietre incastrate fra i denti, brillano come diamanti e ti trasmette tanta allegria come ora. Ho voglia di saltare in aria.
“Yoshi!” lo afferro per le spalle e lo abbraccio. Dondolo un po’ per la felicità. Lui fa lo stesso.
Non ce puozz’ crede! Stai bene e sei vivo!”
“Certo che sono vivo! Ma…” si stacca bruscamente da me. Mi fiuta velocemente. Fa una faccia divertita e si tappa il naso.
“Ma tu puzzi!” sono così emozionato che non riesco nemmeno a vergognarmi. Le cicatrici sul suo collo sembrano prendere vita ritraendosi e respingendosi per ogni respiro e sospiro.
“Ma che cosa ti è successo? Hai dei morsi sul collo! E… hai una coda…!” è assurdo ciò che sto vedendo. Quella si muove, eccitata, incurante del mio sguardo traumatizzato.
“Ma come è possibile questo?!” Yoshi si mette una mano dietro la testa e se la gratta con imbarazzo. Mi vengono in mente solo ora che ha delle orecchie sulla testa e non in mezzo alla testa, dove teoricamente dovrebbero stare. Anche queste si muovono. Mi avvicino e le tocco. Yoshi mi lascia fare, anche se fa delle facce infastidite. Gli tocco anche i capelli e il luogo dove teoricamente dovrebbero esserci le orecchie. Tocco e ritocco. Non ci sono nemmeno dei buchi, solo un ammasso di capelli disordinati. Mi allontano da lui. Ho voglia di urlare.
“Ma cosa ti è successo?! Sei diventato un…”
“Un lupo?” risponde imbarazzato. Se fossimo in un anime o in un manga, a quest’ora avrebbe il viso coperto di goccioline blu e bianche. Annuisco, non capendo nulla.
“Ma cosa ti è successo?! Sei cambiato! E anche molto!”
“Beh… Questo è un effetto collaterale…”
“Effetto collaterale!? Macchè?! T’hanno jettato rind’a ‘na gabbia e t’hann’ fatto degli esperimenti?!” diventa rosso, capendo che sono molto più terrorizzato di quel che credeva.
“Ma no, che dici!? È solo che…”
“Allora, ti hanno fatto del male? Ti hanno messo in un canile? È così!?”sembra assai nervoso, non lo sto aiutando per niente. Non posso farci niente: sono sempre stato così, penso soltanto a delle cose e già per me sono reali. Per questo non sono stato molto sorpreso quando ho visto per la prima volta Dentolina.
“T’hanno portato in un laboratorio? T’hanno fatto degli esperimenti? Ed è per questo che sei un animale? È così!? Ti hanno fatto male, si? No? Cosa ti è successo?! Oh, Maronn’ mia…!
“Stai zitto!” ad un certo punto è schizzato sulle punte e mi ora mi punta un dito artigliato sulla bocca. Più che arrabbiato sembra a disagio. Credo che si senta male nel avermi colto così di sorpresa. Sospira sollevato, dopo aver avuto il mio silenzio. Mi sforzo con tutto me stesso nel stare zitto, ma non ci riesco. Tentenno appena vedo la coda, mi tremano i denti quando guardo i suoi occhi accecanti e deglutisco quando osservo le sue orecchie. Non ho paura di lui, certo, ma vorrei sapere cosa gli è successo e perché è diventato un ragazzo-lupo.
“Ok, ora sei più o meno calmo. Resta così!” mi ordina. Annuisco con nervosismo. Si siede per terra, a gambe incrociate. Faccio lo stesso. Mi prudono le mani per l’agitazione.
“Vuoi sapere cosa mi è successo?”
“Certo che si! Raccontami tutto!”
“Ok, ma devi promettermi che starai zitto per tutto il tempo. Sai che quando racconto qualcosa non riesco più a fermarmi. Quindi… Stai zitto! Mi rendi nervoso!” sto zitto. Ha un aspetto decisamente poco minaccioso, quasi tenero. Yoshi non è mai stato un tipo stressato o nervoso, nemmeno il suo aspetto lo fa dimostrare. Ha uno sguardo e dei modi così docili da essere quasi graziosi. Dimostra meno anni di quanti ne ha: sembra avere poco più di dodici anni in confronto ai suoi quindici.
“Allora, aspettati di tutto: questa storia inizia dal principio, da quando siamo giunti su quest’isola” faccio una faccia perplessa.
Aspè, stamm’ ingopp’ ‘n’isol?!
“Zitto!” annuisco ancora, lo faccio parlare.
“Allora… All’inizio, quando mi ero svegliato, mi sono ritrovato in una foresta. Dei lupi mi volevano sbranare, ma dopo essere stato trovato e salvato da un vecchio, lui mi ha portato in una casetta e in questa casetta ho trovato Fabi che…” scatto in avanti.
“Hai trovato Fabi?! Stava bene?!” mi guarda furioso, per quanto possa fare il suo viso da bambino. Annuisco ancora. Mi gratto le mani per la tensione.
“Allora… Lei stava bene, aveva ordinato al vecchio di trovarmi perché si fingeva sua nipote per trovare gli altri e infatti ha trovato me!”
“Certo… lei è brava a mentire…” sussurro fra me e me. Per fortuna Yoshi non se ne accorge. Quando lui racconta qualcosa, lo fa in modo buffo usando un tono che ho sentito solo nelle leggende epiche. Fa quasi ridere, soprattutto perché si agita sul posto, ondeggia e gesticola.
“Avevamo pensato di raggiungere la città e cercarvi grazie ad una canoa che trovata nel fiume vicino casa. Il vecchio ci aveva ospitato per la notte e lì accadde l’imprevisto… La casa venne assediata dai lupi e sfondarono la porta dove eravamo noi due” trattengo il respiro “Uno di loro stava per uccidere Fabi, ma ha morso me. Dopo che le ho detto di scappare, se né andata lasciandomi questo” ficca le mani dentro il suo kimono ed estrae un cappello da esploratore con delle lunghe piume colorate. È il cappello preferito di Fabi. Se lo mette in testa.
“Sono stato salvato di nuovo dal vecchio. Mi ha curato come poteva, anche se ora ho delle cicatrici…” indica i morsi che avevo già visto. Sono molto ampi e profondi. Rabbrividisco “Il vecchio poi trovò un cadavere di una ragazza simile a Fabi e lui credeva che fosse, appunto, lei. Io sapevo che non lo era, ma non glielo dissi. Gli dissi che volevo andare via perché mi faceva troppo male restare lì insieme a lui e con il cadavere della mia amica in quella casa. Lui mi lasciò andare, mi preparò del cibo da portare con me e andai via. Per molti giorni viaggiai nella foresta, dirigendomi, senza saperlo, verso questa montagna. Gianni, mi sentivo male ogni giorno che passava. Ero malato… di una malattia orribile. I morsi che mi ha dato quel lupo hanno infettato la mia carne. Non ero più un umano, ma un lupo” Un uomo lupo…
“Ogni notte mi crescevano dei lunghi peli neri che mi ricoprivano quasi totalmente. Il peggio era che mi trasformavo in un lupo. Sentivo un male terribile ogni volta, soprattutto perché quando accadeva non capivo più nulla. Potevo distruggere un’intero villaggio e solo al mattino dopo me ne accorgevo… Credo che tu abbia visto le città di questa montagna… Forse hai capito perché sono deserte… Le guardie sono venute qui il mese scorso per bruciare i cadaveri…” fa un profondo respiro. Oddio… povero Yoshi… Non è colpa tua, piccolo… Io e Fabi vediamo e giochiamo a molti horror. Abbiamo anche visto molti licantropi e uomini lupo. Ogni volta che si trasformano è una tortura psicologica. Il peggio è che il morso è una vera e propria malattia che ti corrode all’interno del corpo e non esistono molti metodi per ritornare umano.
“Ma ero riuscito a guarire, anche se non totalmente” alzo la testa. Mi sorride.
“Una sera senza luna mi sono imbattuto in un kitsune. Era proprio come dice la tradizione: una donna dalle fattezze di una volpe. Mi ha portato in un posto segreto dove c’erano anche altri suoi simili. Mi hanno immerso in una fonte speciale e sono diventato uno spirito come loro!” dice, eccitato. Sono rimasto a bocca aperta.
“Ogni sera mi hanno fatto lo stesso bagno nella stessa fonte. Man a mano comiciavo a cambiare e a controllare il mio potere. Oltre all’aspetto sono diventato più veloce e più agile. È fortissimo, credimi! Beh, inizialmente la fonte doveva curarmi, ma… quello che vedi sono gli effetti collaterali… Ma non ti preoccupare, dicono che dopo un certo periodo di tempo perderò la coda, le orecchie e il pelo. Quando accadrà ritornerò di nuovo umano e riavrò anche le orecchie. Mi dispiacerà molto per i miei nuovi occhi… ma andrà tutto bene! Ho finito, puoi parlare” solo ora si accorge della mia espressione totalmente scioccata. Non so nemmeno da dove cominciare. Beh, forse è meglio non incominciare da nulla. Yoshi è diventato un uomo lupo, è stato guarito da delle donne volpi ed è diventato uno di loro. Mi gira la testa.
“Beh… Tutto qui…?” fa un’espressione sbalordita.
“Come sarebbe ‘tutto qui’?! Sono diventato un kami e tu dici ‘tutto qui’?!”
“Ecco… anche a me è accaduta una cosa incredibile… Meglio raccontarti tutto. Ma questa volta sarai tu a stare zitto” annuisce con convinzione. Faccio un respiro profondo.
“Credo che sia meglio iniziare dal principio”
 
 
 
 
 
 
 
“…e così sono giunto fin qui con Ceci e la Fata del Dentino, Dentolina. Beh, ora ho finito” credo che io abbia avuto la sua faccia quando aveva finito di raccontare la ‘sua’ storia. E credo che io abbia la sua espressione imbarazzata di quando aveva finito di raccontare. Resta in silenzio per un bel po’.
“Che fico!” dice, tutto felice. Ma questo è scemo?!
“No! Non è ‘che fico’! È un ‘che disgrazia’ o ‘che sciagura’! Ho incontrato il demonio, ha cercato di ammazzarci, ho saputo che la Fata del Dentino e gli altri spiriti esistono e tu dici ‘che fico’?!” alza le spalle con un sorrisone. Per lui tutto quello che è strano è incredibile e trova sempre una ragione per far brillare gli occhi di felicità. Bah, talvolta non lo capisco proprio.
“Beh, comunque, posso conoscerla?” chiede elettrizzato. La sua coda si agita e sbatte contro il pavimento. Mi vengono ancora i brividi per ciò che gli è successo. Devo abituarmi a questo suo cambiamento.
“Chi?”
“Come ‘chi’? La Fata del Dentino, ovvio!” si agita sul posto. Non riesco ad arrabbiarmi con lui, è troppo felice.
“Certo che si! Ceci è preoccupatissima per gli altri e anche per te. Vorrà di sicuro sapere cosa ti è successo” detto questo mi alzo e comincio a camminare fuori da questo supermercato. Yoshi si alza, ma si blocca.
“Aspetta! E lo zaino?” sospiro, mi ero dimenticato del cibo. Torno indietro e rimetto lo zaino sulle spalle. Cominciamo a camminare lontano da questo posto. Usciamo fuori. La tempesta di neve si è calmata quasi del tutto. È quasi l’alba. Questa cosa mi preoccupa.
“Perché hai quella faccia?”
“Perché avevo promesso alle ragazze di tornare presto. Ma ora è l’alba e non so cosa stiano pensando” prendo un bel respiro. Mi cola un po’ il naso. Il mio amico annuisce.
“Com’è fatta? È bella come le fate nei libri? È diversa da come me la immaginavo?” mi volto perplesso verso di lui.
“E come la immaginavi?”
“Come una donna alta, coi capelli lunghi, un vestito bianco o celeste, con delle piccole ali… Insomma, qualcosa del genere” si aspetta la mia risposta, felicemente teso. Mi sfugge un sorriso, non ha indovinato proprio nulla.
“Sbagliato, Yoshi. Prima di tutto è molto bassa: potrebbe essere alta quanto Fabi o anche meno. Poi non ha dei capelli, ma delle piume” la sua espressione muta in sorpresa “Sai, più che umana, sembra a metà tra un gigantesco colibrì variopinto e una donna venticinquenne. Ah, si, è coperta solo di piume, quindi non ha bisogno di un vestito. Le ali, si, ce le ha, e si muovono molto velocemente, ma sono piuttosto grandi” la sua bocca si spalanca. Mi tremano i denti per il freddo e anche perché attraverso la sua bocca ho visto dei grossi canini. Beh, si, Yoshi ha sempre avuto dei canini piuttosto pronunciati, ma sembrano un po’ più grandi di come ricordassi.
“Wow…”
“Già, wow… Sai che ci sono anche altri spiriti come lei e che esistono i Guardiani?”
“Si, so che ce ne sono moltissimi, che vengono catturati da una certa Macula Sanguinea e che alcuni di loro sono nascosti in vecchi villaggi e questi vivono insieme” sono sopreso. Questo non glielo avevo detto.
“E questo come lo sai?” addento ancora la salsiccia.
“Me l’hanno detto Hakurei-sama”
“Chi?” mi accorgo che il mio amico ha portato con sé la maschera, ma non la indossa, preferisce il cappello di Fabi.
“Kimiko Hakurei, è la più anziana del clan. È lei che mi ha curato e ha fermato la mia malattia. Dopo ciò che mi è successo, e dopo aver capito che io sono un essere umano ancora vivo, avevano deciso di farmi unire nel clan. Mi ero proposto di cercare qualcosa da mangiare, per questo mi hai trovato nel supermercato”
“Oh…” guardo il suo collo scoperto e le sue cicatrici. Sono un po’ violacee. Siamo vicini alla casetta dove ci eravamo rifuggiati. Dei fiocchi di neve cadono dal cielo. Mannaggia… ci mancava anche che nevicasse. La temperatura comincia ad abbassarsi.
“Ma non hai freddo? Io sto congelando e mi battono i denti!” scuote la testa con molta energia, anche questo è un comportamento molto infantile.
“No, da quando sono diventato un kami non sento più il freddo. Hakurei-sama dice che quando ritornerò nella mia forma definitiva di umano allora ricomincerò a sentire il freddo” ho un po’ d’invidia…
“Beato te: io mi ammalo quasi sempre e starnutisco almeno venti volte ogni starnuto” manco a farlo apposta inizio a starnutire ripetutamente. Yoshi comincia a contare i miei starnuti. Ne conta sette di seguito.
“Che forte! Quant’è stato il tuo record?” rabbrividisco per il freddo.
“Non c’è molto da scherzare…”
“Scusa…” dice, abbastanza dispiaciuto. Continuiamo a camminare. Per fortuna non nevica eccessivamente. Ad un certo punto vedo Yoshi avvicinarsi troppo a me fino ad abbracciarmi da dietro. Ma che…? Sono costretto a fermarmi.
“Ma che fai?”
“Ti riscaldo: sei un frizer” dice con naturalezza e con un sorrisino. In effetti la sua temperatura corporea è molto strana: nonostante il clima gelido, la sua pelle è molto calda, quasi bollente. Questo è un po’ strano, ma accettabile. Continua ad abbracciarmi e a riscaldarmi. La cosa sta diventando imbarazzante.
“Su, ora basta. Dobbiamo andare. Vuoi vedere la Fatina del Dentino?” si stacca subito da me. Quasi mi dispiace, non solo perché mi riscaldava, ma anche perché sembra che a lui servisse un abbraccio.
“Si! Andiamo, Gianni, corri!” detto questo si mette a correre velocemente prima a due poi a quattro zampe. Non mi va di essere battuto da un ragazzo-lupo. Comincio a corrergli dietro. Gli tengo quasi testa. Involontariamente stiamo andando nella direzione giusta. Yoshi sembra sorpreso di vedermi correre così forte, anche se con uno zaino di una tonnellata sulle spalle. Ma non c’è molto da stupirsi: nuotando oltre al fisico, ho sviluppato anche le gambe. Grazie a questo, inoltre, sono diventato magro e muscoloso. Yoshi sbaglia strada.
“Yoshi, di qua!” mi sente, mi corre dietro. Si rimette a due zampe dopo aver visto il cappello volargli sopra la testa. Non so perché sia così affezionato a quel coso. Che glielo abbia dato Fabi? Raggiungiamo la casetta.
“Di qua, Yoshi, siamo arrivati!”
“Evviva!” dice urlandomi e rallentando il passo. Salgo sugli scalini di pietra crepata e apro la porta velocemente.
“Gioia, Ceci, sono torn…” mi muore in gola la frase. Avanzo di pochi passi nel piccolo soggiorno, quasi avendo paura di mettere un passo là dentro. I mobili sono sottosopra, come se qualcuno gli avesse preso e scaraventati dall’altra parte della stanza. Mi trema il labbro e la mano che metto sulla bocca per non urlare. Yoshi si ferma sugli scalini, vedendo bene la scena. Percorro il corridoio ed entro nella stanza da letto. Non c’è nessuno. Mi batte forte il cuore. Non ho il coraggio nemmeno di urlare un nome. Vado avanti ed indietro per il corridoio. Mi gira la testa.
Fermo i miei passi. Sento qualcuno piangere. Mi volto verso quella direzione. C’è lo sgabuzzino pieno di cianfrusaglie. Lo apro. Sia lodato…!
“Ceci!” in lontananza vedo Yoshi fiutare l’aria attorno a sé nel salottino. È inquieto e confuso. Ceci si aggrappa a me. L’abbraccio. Piange, le escono le lacrime agli occhi. Forse è là dentro da molto tempo. Ha il viso arrossato.  
Piccerè, che è successo?” continua a piangere. Sento il suo cuore sbattere contro il mio petto.
“Dov’è Dentolina?” dopo aver detto questo nome cerca di calmarsi.
“L’ha… l’ha… l’ha… l’ha…” continua a balbettare come un disco rotto. Quando piange ed è molto impaurita fa sempre così: non riesce a dire più di una parola e singhiozza molto. Ho una gran paura. Yoshi resta fermo in mezzo al salotto, anche lui impaurito.
“L’hanno presa, vero?” non volevo pronunciare questa frase, ma ho dovuto. Annuisce e continua a piangere. Mi metto una mano d’avanti alla bocca, soffocando un urlo di panico e dolore. Lotto con tutto me stesso per non far uscire le lacrime dagli occhi.
 
 
 

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Capitolo 23
*** Angelo o demone? ***


Vecchietta L0g1: Una sera, tanto tanto tempo fa, quando ero ancora una ragazzina, decisi di scrivere una fanfiction di nome “The World of Nightmare”… *attacco di tosse*
Ah, si lo so! Ci ho messi centinaia e miliaia di anni per scrivere questo temutissimo, ultimo capitolo. Ma, finalmente, è qui!
Cari lettori, detto questo ci vediamo di sotto!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Apro gli occhi lentamente. Pitch mi ha svegliata in un modo decisamente troppo stupido: non ha più fantasia, questo è certo. Quando torneremo a casa, dovrò necessariamente fargli vedere alcuni dei videogiochi horror che preferisco. Per il bene della sua carriera.
Sandman non c’è. Non mi sorprendo: si sveglia sempre prima di me, forse rimane sveglio anche in piena notte ad aspettare il sole. Credo di sapere il perchè, ma prima devo trovare le parole giuste per dirgli tutto ciò che ho in mente. Crede che io non lo sappia, che dorma vicino a me, nello stesso letto. Si sveglia presto, prima di me, per non farmi sospettare nulla. Ma non ha calcolato alcune cose: io, sia di giorno che di notte, sono come un gufo, vigile. Apro il pugno: il volantino è spiegazzato, ma ancora intatto. Forse dovrei mostrarglielo e spiegargli man a mano cosa ho intenzione di fare. Scendo dal letto e, lentamente, mi dirigo verso le scale.
In cucina, seduto a tavola, c’è Sandy. Appena poggio piede a terra, mi vede e mi saluta con calore. Questo non mi aiuta per niente.
“Buongiorno, dormito bene? Niente incubi?” scuote la testa. Per fortuna, niente incubi. La malattia ne provoca molti, soprattutto in questo periodo, il motivo non lo so. Un paio di volte gli ho chiesto cosa sogna di tanto orribile da farlo svegliare sudato in piena notte. La prima volta che gliel’ho domandato, era troppo agitato per rispondermi. La seconda volta ha formato con la sabbia due vascelli che si scontravano a vicenda. Il più grande e minaccioso ha fatto affondare l’altro più piccolo ed elegante. Non so perché questo per lui sia stato un incubo.
Mi siedo accanto a lui. Sulla tavola vi sono due scodelle piene di latte con cereali. Mino dimentica sempre che a me non piacciono molto, ma, a quanto pare, Sandy non è dello stesso parere. Mentre mastica mi osserva attentamente, nota la mia stanchezza. Sarà anche malato, dimagrito, pallido ed esausto, ma comprende sempre quando qualcosa non va in me. Non so, ma questo sesto senso mi piace.
Stai bene? Hai avuto un incubo?” riesco a decifrare. Forse è meglio se mi calmi un po’. Non so proprio da dove potrei cominciare il discorso e la sua gentilezza mi blocca la lingua.
“In effetti si. Ma non so perché mi sia svegliata: era l’incubo più stupido che abbia mai fatto” dico, pensando a Pitch e al suo stupido modo di svegliarmi. L’omino rigira gli occhi con un sorriso ironico, si è abituato alle mie stranezze.
Ti va di raccontarmene?
“Va bene. Ero in un luogo buio, con degli astri di vari colori e forme e… alberi di liquirizia. Se non che, dopo aver camminato per un po’, vedo uno spazio completamente bianco e, al centro del luogo, una scacchiera. Dopo averci giocato un po’, spunta fuori un bisbetico e permaloso cavaliere nero e lo invito a giocare…” sento una mano afferrarmi la gamba e graffiarmi lentamente la carne fino a giungere al tallone. Sandy non si accorge di niente, meglio così “…dopo aver vinto e parlato un po’, il cavaliere ed io ci alziamo dalle sedie e camminiamo insieme. Non ricordo cosa gli ho detto, ma sicuramente l’ho insultato. Allora quel tipo, arrabbiato, mi afferra per i capelli e, con un’insolita forza fisica, abbastanza curiosa per un gracile come lui...” la mano si è spostata sull’altra gamba. Non so se abbia un coltello, ma graffia con molta più forza, tanto da sentire del sangue scivolare giù per il polpaccio “…mi scaraventa verso un albero. Poi il cavaliere, come per magia, fa apparire una lama e me la conficca in mezzo agli occhi. La cosa ridicola è che, alla fine, il soldato mi ha addirittura riso in faccia. E mi sono svegliata” noto lo sguardo perplesso di Sandman, credevo che si fosse abituato a me.
“Ti avevo avvertito che era l’incubo più stupido che abbia mai fatto!” simula qualcosa simile ad una risata muta. Ora mi chiedo: come inizio il discorso? Mangio un po’, in silenzio. Come posso fare? Di sicuro ciò che dirò lo deluderà. Certo, mi era grato, quella volta, di averlo salvato, ma… non riesce a credere che io sappia fare una cosa del genere. Quando siamo andati a pescare, mi aveva chiesto perchè avevo ucciso quelle persone. Non era arrabbiato, ma sorpreso e contrariato. Non avrei mai voluto che lo scoprisse. È una parte di me che detesto e disgusto perfino io. Gli risposi che non avrebbe dovuto preoccuparsi: gli avevo detto che l’avevo fatto soltanto per salvarlo, e poi cos’altro avrei potuto inventarmi per trarlo in salvo? Si era rilassato molto, aveva capito che dicevo la verità, ma poi mi chiese se, per essere stata così calma, lo avessi mai fatto prima d’ora. Gli risposi immediatamente di no. Non lo convinsi per niente. Sono felice che questo piccolo grande particolare non abbia cambiato quasi nulla delle nostre giornate insieme, non tocchiamo mai quest’argomento. Ma questa volta non si può fare altrimenti. Smetto di mangiare a metà, lui ha quasi finito i cereali.
“Sandy, ti devo dire una cosa importante” dico, giocherellando col cucchiaio, cercando di essere più disinvolta possibile. Cerco anche di non guardarlo in faccia: fa male dirgli qualcosa del genere. Forse se giocassi con le parole…
“Ricordi che talvolta ti parlavo dei ragazzi nel nostro gruppo, quelli ancora dispersi? Fra questi vi è mio cugino, ovviamente gli voglio molto bene… E ho scoperto dove si trova…” rialzo gli occhi porgendo il volantino che mi ha dato Pitch. Sandman lo legge, interessato: “Condanna a morte”, il resto è una descrizione fisica di Gianni e dello spirito che lo accompagna. Non scrive il perché della sua condanna a morte e neanche chi l’ha condannato a morte. Sandy rialza gli occhi dal foglio, incredulo.
Ma com’è potuto accadere?
“Sinceramente non lo so. Non hanno scritto nulla a riguardo, ma non posso starmene qui mentre viene condannato a morte ingiustamente. Riesci a capire ciò che sto dicendo?” dopo qualche secondo annuisce. No, non ha capito bene. Forse è meglio approfittarne.
“M’inventerò qualcosa per riuscire a liberarlo in tempo” è perplesso, ma, dopo poco tempo, la sua espressione cambia. Questa volta, capisce. Mi guarda intensamente per diversi secondi. Sto sudando e m’innervosisco, il suo viso muta in un’espressione severa. Non è per niente adatto a lui questo viso. Non so proprio come io faccia ad essere così pressante con persone come lui. Sono una gran delusione come amica… sempre se lui mi definisca un’amica. Sembra rifletterci molto. Alla fine sospira, sconsolato.
Se credi che tu possa fare la cosa giusta, allora puoi andare” sono sorpresa, per niente sollevata. Non ha senso: perché dovrebbe lasciarmi andare? Io non lo avrei fatto se mio fratello me l’avesse chiesto. Quindi… perché? Queste domande ora sono inutili.
“Grazie per aver capito… Quando tornerò te lo farò conoscere: è il ragazzo più buono del mondo” non sembra per niente interessato all’idea. Sa che qualcuno morirà, sa che ucciderò qualcuno. L’idea non gli piace per niente, ma, non so il perché, mi lascia andare. Anch’io non mi sento bene. Percorro le scale e raggiungo camera mia. Chiudo la porta lentamente. Apro il baule, visto che l’armadio è completamente riempito di armi, ormai lo uso per i vestiti. Non so se indossare quell’abito che mi ha dato Astrea la prima volta che sono giunta al teatro per salvare Mino e il Coniglio di Pasqua. Non posso passargli accanto come se nulla fosse con questo addosso. Lo poggio sul letto, intanto recupero i due Bowie, la borsa nera, una pistola, per sicurezza la porto con me. Rinchiudo l’armadio. Se le cose andranno bene, non dovrò nemmeno toccare le armi.
Osservo per un po’ quell’abito. Quello è perfetto per non farmi notare, per non far vedere il mio viso, per farmi sembrare un ragazzino, in estremis. La cosa è diversa: ho bisogno di quest’abito e Sandman non può impedirmelo, per sua sfortuna. Lo indosso, aggancio la borsa alla cintura gettandoci all’interno il libro che ho preso nella casa di Gennarino. Penso un po’ prima di uscire. Riapro l’armadio e prendo una spada leggera: non si sa mai. Cerco di essere più veloce possibile a raggiungere la porta d’entrata. A malapena la sfioro. Sandman è rimasto lì a giocare con il cucchiaio immergendolo nel latte. Dopo questa, come minimo, mi darò una calmata con le armi. I due ciondoli di Yoshi escono fuori dall’abito tintinnando fra loro. Sfilo la metà blu scura. Mi avvicino alle sue spalle e, lentamente, glielo faccio indossare. Con le dita sfiora la pietra scura, con lo sguardo mi chiede cosa sia.
“Un mio amico me li aveva regalati” in contemporanea gli mostro anche la metà gialla, quella che tengo al collo “Sono molto importanti per me, vorrei che una metà la tenessi tu. Quando tornerò i due ciondoli si ricongiungeranno, come noi due, e staremo di nuovo insieme” questa non l’avevo pianificata. Mi è uscita dalle labbra come un fiume in piena. Non avevo intenzione nemmeno di donare a Sandman uno dei due ciondoli di Yoshi. Yoshi mi ha detto di darne una metà a colui che ritenevo degno di essere il mio compagno, ho capito cosa intendeva. L’ho fatto d’istinto. E mi sto comportando come una bambina, di nuovo.
Grazie” dice, girando e rigirando il ciondolo tra le dita. La pietra brilla al sole.
“Abbine cura: è molto importante per me” annuisce distrattamente. Passano un paio di secondi in silenzio. Non ho riparato totalmente le mie parole, ma almeno ho scongelato un po’ l’aria tesa. Sandman si alza sulla sedia, sembra un po’ più alto di me. Mi abbraccia, triste. Questo non me l’aspettavo. Quanto può far male sapere che una persona che conosci rischierà la vita? Spero di non saperlo mai. Ricambio l’abbraccio.
“Tornerò fra pochi giorni. Andrà tutto bene, Sandman” non è quello che lo preoccupa, sa che ce la farò. Per qualche strana ragione, non dà ascolto al suo cuore e non mi blocca, nemmeno quando varco la porta, nemmeno quando mi allontano dalla Casetta. Mi aspettavo di vederlo dietro di me per trattenermi o per convincermi di non andare. Sento un’insolito vuoto. Avrei voluto che mi fermasse. Raggiungo di corsa il bosco, dove Pitch mi aspetta.
“Eccoti qui, quanto tempo ci hai messo?”
“Andiamo, Pitch, prima però dovremo fermarci al teatro: devo avvisare qualcuno che Sandman è solo” annuisce superficialmente. Monta sopra ad un destriero di sabbia nera. Mi fissa per qualche secondo, quella bestia scura. Salto dietro a Pitch. Non ho il tempo di aggrapparmi all’uomo che questo stupido ronzino impenna e mi fa cadere all’indietro. Black, capito cos’è accaduto, ride. L’ha fatto apposta, ne sono certa.
“Diavoli…!” mi sfugge di bocca, ritornando in piedi. Cadendo, l’elsa della spada mi aveva colpito alle costole.
“Beh, Fabia, dopo aver torturato ogni giorno i miei Incubi, non  i sorprendo se questi non abbiano intenzione di avere più fiducia in te. Ah, si, hai ragione sono proprio un cavaliere bisbetico e permaloso! ” spiega, continuando la risata isterica. Ogni volta che ci allenavamo, Pitch usava i suoi Incubi come bersagli per me trasformandoli in uomini e animali. In effetti, molto spesso non gli ho trattati bene. Pensandoci bene, mai. Amore reciproco, tutto qui. Pitch quieta la bestia e m’invita a salire. Salto di nuovo dietro a lui e, questa volta, mi stringo forte a Black, dovessi morire. Non ho mai cavalcato o Pitch mi ha mai fatto cavalcare un Incubo. Solo una volta, quando non ero cosciente, ricordo solo l’altissima velocità. E se cadessi?
“Tranquilla, Fabia: accelererò lentamente, in modo che non avrai da patire troppo” non passa nemmeno un secondo che partiamo a velocità folle. In breve siamo in cielo. Non voglio cadere, assolutamente no.
“Fabia, non stringere troppo: mi stai soffocando!” dice, ridendo. L’ha fatto di proposito, maledetto Black! Ti faccio vedere io quanto sono forte, stupido fantino… L’uomo ha uno spasmo.
“Fabia, smettila!” dice, colpendomi pesantemente ai polsi. Te lo scordi che mollo la presa. Pochi secondi dopo, il destriero scende dal cielo e tocca terra. Lascio i fianchi di Black. Devo averlo stretto molto forte: si stringe al bacino e respira profondamente, non so se per rabbia o perché non aveva davvero più fiato. Credevo che ci fossimo fermati perché Pitch voleva farmi smettere, invece siamo arrivati nella stalla del teatro. Un ceffone mi fa cadere di nuovo da cavallo. Black è proprio permaloso…
“La prossima volta farò ancora più lentamente, va bene?” dice, scendendo da cavallo. Non dico niente riguardo il ceffone: è totalmente inutile. Da quando prendo lezioni da lui, Pitch ha preso la strana abitudine di maltrattarmi con sberle, prese per i capelli e, quando faccio una cosa veramente molto ‘stupida’, calci. Dice che, in questo modo, dimentico il dolore quando mi ferisco. Di sicuro l’ha detto solo per giustificare i suoi maltrattamenti usati unicamente per il suo malsano divertimento o per vendetta personale. Glielo concedo soltanto perché parlo male di lui indirettamente agli altri, perché ciò che ha detto non è del tutto falso e, soprattutto, perché mi vendico abbastanza spesso.
“Va bene. Ora devo trovare Farut o Mino e gli dico di Sandy. Tu resta qui” ferma il mio passo afferrandomi per i capelli e strattonandomi all’indietro. Ha cominciato a tirarmi i capelli non appena ha scoperto il mio odio verso le carezze alla testa. Che sia dannato in eterno. Oh, vero, è già dannato in eterno.
“Veramente pensavo di venire con te” mi volto, perplessa “Non mi hai mai detto chi abita qui e non vedo l’ora di scoprirlo” lo fisso come se avessi di fronte a me un idiota senza speranza, cosa abbastanza vera. Cioè, non è mai entrato dentro senza che io ci fossi?
“D’accordo: vorresti bussare alla porta e dire: toc toc, c’è qualcuno in casa? oppure ti nasconderai tra le ombre come un topolino impaurito?” chiedo, apatica. Finge di non cogliere l’ironia della mia battuta.
“Pensavo di celarmi in questa ombra” risponde, indicando un’ombra in particolare: la mia. Per me non fa differenza. Scrollo le spalle ed entro dentro il teatro. Mentre mi avvio per i corridoi, ho una strana sensazione: come se qualcuno mi stesse continuamente osservando. Fisso la mia ombra: leggermente più scura delle altre, ma l’anomalia più visibile è che ha la forma di Pitch Black e non la mia. Non c’è nessuno nei dintorni, oltre a lui.
“Sei tu a creare questa sensazione?” chiedo, sussurrando. Guai se qualcuno pensasse che io parlo con le ombre. Per quanto ho capito, Pitch Black, da gran parte degli spiriti, è considerato come un portatore di caos e morti. Non c’è da meravigliarsi, visto il suo atteggiamento e l’inutile guerra che ha creato in epoca medioevale e anche quell’altra formata… l’anno passato? O forse di più?
“Quale sensazione?” chiede l’ombra, sinceramente curiosa. Probabilmente l’ho udita solamente io.
“Ho un blocco alla gola, come se mi mancasse l’aria, come se qualcuno mi osservasse incessantemente” continuo a sussurrare. Sinceramente non vorrei che qualcuno ascoltasse ciò che sto dicendo, ad un’ombra, per di più! Io e l’ombra ci blocchiamo, guardandoci. Pitch sporge il suo viso dalla semioscurità. Mi guarda interessato.
“Stai dicendo sul serio?”
“Black, ho una grande inquietudine da quando sei nella mia ombra. Devi essere per forza tu” il volto di Pitch svanisce e lascia in pace la mia ombra, nascondendosi all’interno di un’altra poco lontana da me.
“Hai la stessa sensazione?”
“No, è passata” vedo la forma di Pitch Black mentre si tasta il mento, pensando.
“Molto interessante… Ciò spiega molto…”
“Non lo hai mai saputo in duemila anni?” chiedo, rigirando gli occhi.
“Beh, Fabia, sicuramente non chiedo alle mie vittime che sensazione hanno quando mi celo all’interno delle loro ombre!” dice, spazientito. Sento qualcuno in lontananza fischiettare un motivetto allegro. Voglio farmi un paio di risate: so chi è, solo lui riesce ad essere felice, nonostante siamo in  un postaccio e con il pericolo alle calcagna.
“Black, nasconditi nella mia ombra: avrai una bella sorpresa…” l’uomo, nonostante non abbia capito, ubbidisce, miracolosamente. Il fischiettio si propaga in tutto il corridoio fino a vedere il proprietario di quella voce allegra, seguito subito dopo da un gigantesco coniglio. L’omone natalizio mi nota, mi saluta e comincia a parlarmi in russo, l’altro mi ignora.
“Fabi, bentornata!”
“Ciao, Kolja. Scusa, sono di fretta. Dove sono Mino e Farut?” sembra molto felice, chissà il perché…
“Sul palcoscenico a provare delle nuove invenzioni” afferma, orgoglioso per qualcosa che non so.
“Invenzioni?” annuisce.
“Mino è un genio! Ha costruito di tutto in questi giorni. Gli ho insegnato qualcosa sui meccanismi dei giocattoli e…voilà! Crea un trenino a vapore con i vecchi scarti. Ogni giono gli insegno qualcosa di nuovo e dopo un po’ crea delle cose con i residui del teatro. Quel ragazzo è un genio!” ripete, orgoglioso. Ora ho capito, Kolja ha fatto da insegnante a Mino riguardo la meccanica. Black non è l’unico maestro, a quanto pare. A proposito di Black… chissà come mai è rimasto immobile come un salame… Chissà…
“Perfetto, vado subito da loro! Grazie, Kolja”
“Ciao, Fabiola” dice ritornando a fischiettare, seguito da Calmoniglio che, prima di seguirlo, mi ha lanciato uno sguardo corrucciato. Poco mi importa di lui. Corro verso il palcoscenico. Una mano mi strattona per i capelli. Ma quando imparerà a non toccarmi la testa?
Questo avresti dovuto dirmelo. Spiega praticamente ogni cosa! Ecco dove si trovavano!” fingo di fare l’offesa.
“Ma, Black, non me l’hai mai chiesto, prima di tutto. E poi, per quale motivo avrei dovuto raccontarti una cosa del genere?” fa apparire un bastone e me lo mena in testa. Mi sfugge un gemito. Questo faceva male. Poi devo trovare un modo per vendicarmi.
“Sii più rispettosa, scimmietta. Ora sbrigati a trovare quei due giganti, dopodichè ci dirigeremo al Castello” ubbidisco, massaggiandomi la testa. Raggiungo il palcoscenico. Noto che in mezzo ad esso vi è una vecchia libreria avvolta di muffa. Strano, non c’è nessuno.
“Fabi, attenta!” non riesco a voltarmi in tempo, che un titano decisamente più grande di me mi afferra per le spalle e insieme spariamo dietro le quinte. Mi agito e mi dimeno, fino a liberarmi. È Farut, imbarazzato e furioso più di me. Dietro la tenda, fuori, sento un ‘No…!’ acuto e deluso. Il gigante color bronzo strattona il tendone rosso fino a spalancare totalmente l’anfiteatro. Vedo Mino vicino alla libreria ammuffita, con un’aria decisamente scontenta. Farut si avvicina a lui, sudato e arrabbiato.
“Bravo, genio, stavi per ammazzare Fabiola jan!” il genio alza la testa, assottigliando le palpebre. Mino è sempre stato, per quel poco che conosco, un ragazzo molto riflessivo. Si arrabbia abbastanza facilmente, ma non alza mai le mani. Ma da quando conosce Farut, il suo carattere sta mutando velocemente.
Ammazzare? Ma se nemmeno funzionano, questi cosi inutili!” Farut mostra il petto, come un tacchino sul punto di prendere a beccate qualcuno. Se non finissero sempre per uccidersi di botte, sarebbero quasi divertenti.
“Allora buttali, così farai felice anche me e non avremo dei problemi, se esplodessero! Lo sapevo che era una cattiva idea!” il viso di Mino si sta dipingendo di rosso.
“Ma se tu…!” meglio interrompergli, prima che si prendano a pugni, cosa che accade all’incirca… sempre.
“Salve a tutti e due. Allora, cosa sta succedendo?” chiedo, comunque interessata. Mino sospira.
“Fabi, credo che hai presente le bombe, no?” annuisco “Bene… ho provato a farne qualcuna, ma, come vedi, non hanno funzionato… Eppure la miscela è la stessa che ho studiato!” dice, indicando la libreria intatta. Noto che al secondo ripiano vi è un aggeggio strano, rotondo e grigio. Una mina. Mino ha creato una bomba…?
“Incredibile…!” sono veramente sorpresa. Che fosse intelligente, lo sapevo, ma fino a questo punto, sembra quasi inquietante.
“Beh, lo sarebbe se avesse funzionato. Ma come vedi…”
“È pur sempre incredibile”
“È pur sempre pericoloso” m’interrompe Farut. Che Mino perda la pazienza con lui, lo trovo legittimo.
“Devi buttarlo subito! E se esplodesse?”
“Ma se ne ho fatte altre venti!” Farut si schiaffa una mano in fronte, sinceramente sconvolto. Meglio entrare di nuovo nel discorso, questo silenzio è disturbante.
“Mino, ma quelli sono occhiali?” mi rivolge un sorriso sincero. È da un po’ che l’ho notato: il ragazzo ha un paio di occhiali tenuti al loro posto grazie ad una sorta di scura cinghia elastica. Col dito fa tintinnare il vetro.
“Già, non sono nuovi ma è pur sempre qualcosa. Ora riesco a vedere da lontano, un po’ meno da vicino, ma, ripeto, è qualcosa. Gli abbiamo trovati ad un vecchio mercatino. Il proprietario voleva buttargli perché si erano rotti, ma gli ho presi, gratis, e gli ho riparati con questa cinghia. Sai, pensavo che mi sarei dimenticato delle vostre facce se non gli avessi trovati!” questa volta è lui ad essere orgoglioso. Sono sinceramente felice per lui. Lo capisco molto, anch’io indosso gli occhiali: ho l’occhio destro difettoso, con quello non vedo da vicino. L’oculista aveva detto che non era un grado molto elevato e che l’occhio sarebbe ritornato in sesto anche in un anno, ma con l’ausilio di occhiali. Gli usavo per leggere e studiare ma, visto che non gli ho più, devo arrangiarmi. Non è un grande problema: mi basta chiudere l’occhio e leggo abbastanza bene oppure, semplicemente, allontano il libro o scrivo con il braccio teso. Non sono ai livelli di semi cecità di Mino. Comunque, quelle bombe m’interessano, ma di sicuro nessuno dei due mi darà l’autorizzazione per usarle. Saranno difettose, ma mi potrebbero essere utili.
“Mino, devo andare al Castello per alcune faccende e Sandy ora è da solo. Potresti andare da lui, per sicurezza?” lui annuisce, felice di stare lontano da un Farut particolarmente lagnoso. Velocemente ci saluta e corre fuori, salutando Kolja che stava passando da quelle parti. Mi pare di aver sentito un ‘Mino, ho detto te mille volte di non correre per scale!’ Ci siamo solo io e Farut. Sto per voltarmi ed andarmene, ma Farut mi blocca per una spalla.
“Dì la verità, stai andando a trovare un altro dei nostri?” mi volto, tranquilla. Non c’è bisogno di nascondere nulla.
“Si, forse so dov’è Gianni. Anzi, so dov’è. Se le cose andranno bene, e sarà così, domani sarà fra noi” lui annuisce fra sé e sé.
“Mmm… Te l’ha detto lui?” Lui… chi?
“…?”
Lui, l’Uomo Nero, o come cacchio si chiama!” nonostante ricordi che Farut abbia visto la nostra ‘chiaccherata’ e nonostante ciò che pensi a riguardo m’interessi ben poco, sento come se il mondo avesse deciso di crollarmi addosso, giusto per farmi un dispetto. Negare è assolutamente ridicolo: sarebbe come affermare ad un gorilla che le banane sono velenose, e Farut è abbastanza simile ad una scimmia. Ma, sinceramente, sono rimasta senza parole, letteralmente. Farut sospira. Anche a lui sono cresciuti molto i capelli. Già prima di catapultarci in questo posto toccavano le spalle, ora sono addirittura più lunghi. Sembra un metallaro vestito con tuta e maglia a maniche lunghe.
“Lo prenderò per un si. Volevo solo sapere se trovavi i ragazzi grazie al tuo cervello o grazie a quello di Lui. Ora non fare commedia negando tutto: tanto ho sentito ogni cosa, quella notte” conclude, senza fare un’espressione comprensibile.
“…Farut… Devo andare. Saluta Kolja da parte mia” dico, passiva, ma scossa interiormente. Non me l’aspettavo. Probabilmente lo conosco ben poco.
“Sappi che, il giorno dopo quella notte, avrei voluto buttarti fuori a calci da casa. Se saresti morta di fame era poco importante, tanto avevi quell’uomo con te, ti avrebbe aiutato lui, pesavo. Ma tu non c’eri, eri con Mino, eri scappata via” deglutisco.
“Però Sandy mi aveva detto di darti una seconda possibilità. Non so perché, ma credeva in te, molto” penso di sentirmi male “Non ti ho creduto per niente, ma almeno la gente che c’era alla festa sta tornando e… beh… ho pensato che sarebbe stato meglio lasciarti fare e… basta. Anche se non sono del tutto d’accordo riguardo questo andare via per diversi giorni e poi ritornare con delle cicatrici… ne sei piena sulle braccia, manco fossero ragnatele, poi anche quella sorta di scottatura sull’ombellico, e sono certo che ne hai altre… E poi, non mi fido di quell’uomo. Sei piccolissima: potrebbe anche stufarsi di te e abbandonarti da qualche parte o peggio” in quel ‘peggio’ sento più di quel che ci sia in apparenza. Involontariamente guardo l’ombra che ospita Pitch. Perché è muto? Perché non si muove? Perché fissa in quel modo Farut? “Ma stai facendo un buon lavoro, nonostante tutto. Quindi… va bene, meglio così, ho pensato. Tanto mancano solo tuo cugino, la mora e il giapponese. Per il resto è ok, basta che non si approfitti di te quell’uomo” anche in questa frase sento più di quanto dovrebbe esserci. Vedo l’ombra di Pitch uscire dalla mia e scappare via. Non so cosa possa aver pensato. Che Pitch si approfitti di qualcuno, lo trovo probabile. Ma carnalmente, non penso. Non credo proprio che si potrebbe approfittare in quel senso di una ragazzina, che sia solo per farle paura o per un motivo più grande “Beh, è tutto, volevo solo dirti questo. Niente di che…” non è bravo con le parole, su questo non ci sono dubbi. Non capisco se voglia dire altro, ma devo andare.
“Capisco… grazie”
“Di nulla. Ora devo andare, North s’innervosisce se non vede me o Mino” si avvia, ma poi si ferma “Tappo, un’ultima cosa: buona fortuna. Torna tutta intera, questa volta. Poi, quando torni, devi raccontarmi ogni cosa: da quella scema di Carmen non avevo capito niente di quel fatto del Castello, né dall’altro pervertito di suo fratello” sembra aver trovato un’altra cosa da aggiungere “Ah, si, un’ultima cosa: ora che Mino ha degli occhiali, credo che gli dirò la verità, sugli spiriti e il resto. Quindi, se domani lo troverai abbastanza sconvolto, non esserne troppo scioccata” gli sorrido tristemente. Non so nemmeno se avrei voluto che mi trattenesse. È come se volesse che io vada a morire. È quasi impossibile che il destino m’impedisca di stare calma e ferma, come una mia qualsiasi coetanea.
 
 
“Secondo me, qualche spirito particolarmente pazzo ti deve per forza proteggere: Fabia, onestamente, è impossibile che una mortale abbia così tanta fortuna in un luogo come questo!”
 
 
Spesso Pitch mi ripete questa cantilena quando mi vede in azione. Non faccio mai molto caso a quest’affermazione. Da che mondo è mondo, ho sempre avuto molta fortuna. Credo che sia qualcosa di naturale, a questo punto. Che mi protegga qualcuno è ridicolo e, anche se fosse, per quale motivo? Nessuno, ovviamente. È semplice fortuna, nulla di più, nulla di meno. Raggiungo le stalle in tempo record, prima di andarci, però, sono andata in uno degli spoiatoi per prendere delle cose... Pitch ritorna ad avere una forma corporea e fa apparire un altro Incubo. Saliamo entrambi, in silenzio.
Pitch ha deciso di non farmi arrabbiare: non va troppo veloce, ma nemmeno molto lentamente, finalmente… Sorvoliamo la città dall’alto. Ho la stessa sensazione di quando sono sull’aereo: man a mano che raggiungiamo il cielo, le mie orecchie si appannano, ma stranamente il vento, che in teoria dovrebbe essere turbolento, è docile.
“Strano, nonostante siamo in alta quota, il vento e il rumore che produce si sentono a malapena” rifletto per un momento “Vengono respinti quasi interamente dalla sabbia dell’Incubo!” sembra felice di averglielo fatto notare.
“Ottima osservazione, Fabia. Vuoi sapere dov’è il segreto? Nella sua consistenza. Normalmente la mia sabbia, allo stesso modo di quella di Sandman, al contatto è soffice. Ma se subisce una forte pressione, essa s’indurisce. In questo modo non cede quando combatto e nemmeno quando sono a diversi chilometri da terra, sferzato dal vento. Se ti aspettavi qualcosa di magico, ti sbagli di grosso, piccola” in verità immaginavo qualcosa molto terra terra e semplice, come appunto ho indovinato. Sotto gli zoccoli del destriero, vedo il ponte dove domani verrà portato Gianni. Si stanno già preparando: due uomini, che sembrano più dei puntini vestiti di nero, stanno costruendo una piattaforma e legando delle corde, esattamente come previsto.
“Riguardo a ciò che mi hai raccontato nel tuo sogno: è vero? Hai veramente intenzione di salvare quel ragazzo in modo che venga preso per morto? E hai intenzione di fare tutto ciò durante il processo?” annuisco, lui lo nota.
“Ma mi chiedo, perché aspettare domani per fare tutto ciò? Non sarebbe meglio agire immediatamente, trovare il luogo dove l’hanno rinchiuso e liberarlo? Non sarebbe molto più semplice e meno rischioso?” ovviamente il cervello di Pitch è andato a quel paese anche ora. Oltre al fatto che ha una faccia poco convincente. E dire che è decisamente più grande e, probabilmente, più intelligente di me.
“Pensaci un po’ su: se lo liberassi ora, ogni guardia di questa città lo cercherà. Forse andranno a cercarlo in un luogo abbandonato come il teatro e troverebbero molti altri spiriti oltre a lui, e tutto ciò che ho fatto sarebbe vano. Ma, anche se non lo trovassero, credi che riuscirebbe a nascondersi tanto a lungo e in completa libertà? E, soprattutto, non ho idea dove l’hanno portato. Potrebbe essere qui in città, ma dove? Vicino al centro, oppure in periferia? In qualche casa o prigione? No, Pitch, non ho intenzione di avere sotto il mio stesso tetto un ragazzo fuggitivo” si volta, abbastanza perplesso. Ha capito ogni parola, ma con Black c’è sempre un ‘ma’.
“Ma…” ecco, appunto “…cosa hai intenzione di fare?” involontariamente sorrido. Mi piace dargli suspence, specialmente quando non ha idea di cosa ho in mente, ovvero raramente, soprattutto in questo periodo. Dev’essersi abituato anche lui a me.
“Black, se tutto ciò che hai visto in questi mesi, tutto ciò che ho fatto, fosse stato ‘incredibile’, ciò che ho in mente, allora, sarà ‘assurdo’. Sto per fare la cosa più grande che io abbia mai fatto in tutta la mia vita e ho anche una certa probabilità di non riuscire nell’intento. Ma, stai tranquillo: non moverò un dito al riguardo”
“Immagino…” afferma, cupo. Avrò detto qualcosa di sbagliato? La città sparisce sotto la sabbia del destriero. Dopo un po’, Black scuote la testa, ancor più accigliato. Sto seriamente iniziando a preoccuparmi: non si sa mai con l’Uomo Nero.
“Cosa c’è?”
“Non ci posso credere che Sandman ti abbia lasciata andare…” mormora a bassa voce, sufficiente per sentire con chiarezza ciò che ha affermato.
“Forse perché si fida di me?”
“No, perché sa che, nonostante ti voglia bene, non può obbligarti a fare ciò che non desideri. Per quanto ho compreso, a lui ha interessato, principalmente, che il suo bel fiorellino bianco sta andando a tagliare la gola ad un paio di persone, come minimo” conclude, secco. Avevo compreso anch’io la tristezza di Sandman. Quella chiacchierata durante la pesca era andata piuttosto male. Aveva capito subito che non era la prima volta che facevo una cosa del genere. Sapesse quante persone sono morte grazie a me…
“E a te cos’ha interessato, principalmente?” dico con tono indifferente. Può darmi botte in testa e farmi cadere da cavallo, ma ora sta superando quel poco di limite che ho.
“Che tu stai andando a suicidarti, questo è ciò che mi interessa principalmente!” perfetto… Ci mancava soltanto che s’interessasse della mia umilissima presenza. Ora dovrei sentirmi in colpa per qualcosa? Restiamo in silenzio per molto tempo, troppo tempo. Abbiamo superato la città e ora sorvogliamo la foresta. Fra poco arriveremo a destinazione. Sento il suo petto fare un profondo respiro.
“Quindi… è ufficiale, il tuo vero nome è Fabiola. Avresti dovuto dirmi anche questo…” dice, con un tono duro, mai sentito da lui. Ci mancava solo questa.
“Pensavo che lo avresti immaginato. Insomma, il nome Fabia è molto raro e molti mi chiamano col mio nome completo”
“Anche Fabiola è un nome molto raro, soprattutto in Italia…” sembra piuttosto arrabbiato. Si, è decisamente arrabbiato. Non so cosa si aspettasse da me: se vorremo essere pari, nemmeno io so moltissimo di lui, dalla sua prima guerra nei Secoli Bui in poi dal verso opposto, intendo. Per pareggiare i conti e per rinfrescargli la memoria, dovrò seriamente trovare un modo per scoprire il suo passato. Sarà interessante e divertente, spero.
“Beh, tecnicamente, il mio nome completo sarebbe Maria Fabiola Santarcangelo” dico, indifferente. Trattengo il fiato e mi aggrappo con molta più forza a Pitch: il cavallo ha impennato senza motivo. Nitrisce, infastidito, forse Black deve aver fatto una manovra brusca e deve aver fatto irritare il quadrupede. Siamo sospesi a mezz’aria, ad un centinaio di metri da terra. Il cavalluccio non è intenzionato a proseguire e l’Uomo Nero non è intenzionato a fare qualcosa per far cavalcare ancora questo coso. Lentamente si volta. Non so se preoccuparmi o meno, ma ora ha uno sguardo paralizzato. Non capisco se è arrabbiato o altro.
“Maria…” si volta ancora. Sprona l’Incubo a continuare a galoppare.
“Maria…” mi sto preoccupando. Per sicurezza sfioro la pistola. Annuisco.
“Maria…!” forse è meglio continuare a stringerlo: se continua a respirare così affannosamente, rischierei di cadere giù. L’idea però non sembra una delle peggiori: siamo in mezzo alla foresta, tra gli alberi, potrei anche saltare sopra ad un ramo e correre via, in caso di manovra brusca da parte del tizio a cui sono appiccicata. Continua a fare respiri irregolari e a… singhiozzare? Non so se prendere la revolver in mano o continuare a stringermi a lui. I suoi singhiozzi si sono intensificati fino a scoppiare. Si, Black è scoppiato, a ridere.
“Maria! Maria!” non si accorge della mia perplessità.
“Si, Maria. Non vedo cosa ci sia di tanto buffo” sinceramente non capisco la sua scoppiettante ilarità. Quante persone ci sono col nome Maria? Un bel po’, in giro per l’Italia. E non trovo nemmeno che sia un nome particolarmente ridicolo. C’è di peggio, insomma.
“Maria! Come la Vergine Maria, la madre di Cristo! Quale nome più inadatto per te!” se non fossimo a circa cinquanta metri da terra e se non fossi sopra ad uno dei suoi demoni neri, gli avrei sparato. Per davvero. Tanto le pallottole non feriscono gli Spiriti Oscuri come lui, meglio per me.
“Cosa vorresti insinuare?” cerca di calmarsi, ma è fuori di sé.
“Intendevo dire che sei stata paragonata alla persona che, secondo il cristianesimo, sarebbe una tra le più pure del creato. Perché mai i tuoi genitori avrebbero sprecato un nome tanto virtuoso per te?”
“Colpa mia se mia nonna si chiamava Maria? Colpa mia se nella mia famiglia è usanza dare ai figli come secondo nome quello dei genitori?”
“Gira il discorso come vuoi, ma quel che hai detto è esilarante!” e ricomincia a ridere. Siamo a venti metri da terra ad una velocità non tanto forte. Tanto vale provarci, mi ha fatto arrabbiare. Prendo la pistola e gliela punto alla schiena. Quando ride in quel modo non lo sopporto.
“Non farmi arrabbiare troppo, Black, sai meglio di me che posso diventare pericolosa. E non pensare che tu abbia una sorta di mantello protettivo solamente perché sei mio maestro!” quest’ultima affermazione, al posto di farlo arrabbiare, riesce a farlo calmare, leggermente.
“Va bene, va bene, Maria” marca troppo quel nome. Non mi piace essere chiamata con quel nome. In passato venivo chiamata in quel modo, era come una presa in giro. Se Pitch scopre che detesto anche quel nome, e se ci prenderà gusto a chiamarmi in quel modo, non so nemmeno cosa gli farei. Il destriero si ferma sopra a delle rocce. Mi accorgo solo in quel momento di essere sopra ad una torre del Castello. Siamo stati velocissimi. Forse dovrei chiedere più spesso passaggio a Black, almeno si rende utile. Scendiamo insieme.
“Ora che lo sai, vorresti chiamarmi Fabiola?” scuote la testa, ancora divertito per il nome Maria.
“Le abitudini sono dure a morire. E poi, preferisco di gran lunga Fabia, come nome” mi scrollo la sabbia nera addosso e rimetto la pistola al suo posto, nella cintura.
“Perché?”
“Fabiola è troppo principesco come nome. Mi fa ricordare una bambina piena di fiocchetti, perline e merletti. No, Fabia, anche se più grezzo, è un nome decisamente adatto a te. Inoltre, ti rende più adulta e matura, mentre invece Fabiola è un nome da mocciosa” ti sentisse Sandman… sarebbe in completo disaccordo con te… Una volta, prima di aver scoperto tutto di me, mi aveva detto che non aveva mai visto un nome più azzeccato per una persona. Aveva detto che Fabiola è un nome che ispira forza e grandezza, nobile e regale. Cosa darei per vederli insieme, parlare insieme, sarebbe molto interessante: sono praticamente due completi opposti, sia di fisico che caratterialmente!
“Fa come vuoi… Però il tuo Incubo ha un non so che di strano” dico, mettendo una mano sotto i capelli, fingendo di avere un formicolio fastidioso. Lui mi guarda perplesso. Non ha ancora imparato la lezione.
“Cosa?”
“Il suo fianco è un po’ giallo, o è forse una mia impressione?” avvicinandomi, il cavallo mi ha ignorata. Anche lui ha dimenticato quanto posso essere pericolosa per lui. Faccio per sfiorargli quel punto ‘giallo’ e, come per magia, il suo fianco s’illumina per davvero d’oro. Il destriero s’imbizzarrisce e cerca di scrollarsi di dosso quella sabbia, come se stia per essere mangiato vivo da essa. Poco dopo la sabbia dorata lo inghiotte totalmente, trasformando il cavallo nero in quel che sembra una fenice splendente. La creatura vola via, verso gli altri spiriti sotto di noi. Black sta per esplodere, ma non dalle risate.
“Piccola disgraziata, come diavolo hai fatto!?”
“Da quando Sandman vive con me, accade che della sabbia mi si appiccichi addosso, quasi sempre ai miei capelli. Ne ho presa un po’ e ne ho spalmiata sul tuo cavalluccio” rispondo, scrollando la giungla che ho in testa. Ne esce fuori una gran quantità di sabbia, tanta da riempire un bicchiere. Ne prendo un po’, riempiendo un sacchetto che ho nella cintura. Potrebbe servirmi, chi lo sa.
“Sei disgustosa…” commenta aspramente, osservando furioso il suo ex destriero mentre gioca ad acchiapparello con dei bambini con orecchie a punta e abiti da cacciatori, probabili elfi.
“E adesso come dovrei fare a riprenderlo con tutta questa gentaccia?!” mi volto per scendere le scale.
“Problemi tuoi…” inizio a correre lontano da Pitch, prima che decida di prendermi, imprigionarmi in qualche posto buio e di costringermi a fare incubi in eterno, come talvolta mi minaccia.
 
 
 
 
 
 
Tecnicamente ho un piano abbastanza grezzo, i dettagli non gli ho ancora lavorati. Mi bastano delle persone capaci che facciano il lavoro al posto mio: da sola non posso farcela e mi serve qualcuno che conosca la magia o che abbia dei muscoli forti. Non conosco quasi nessuno di questi spiriti, nonostante ciò che ho fatto per arrivare sin da loro. Leo è stato molto più fortunato: con gli spiriti sembra avere molto più successo che con i suoi coetanei. Ricordo pochi nomi di quelli che Leo mi ha detto, altrettanto per i volti. Ho bisogno di qualcuno che mi possa aiutare. Credo che Leo possa darmi una mano.
Mi trovo al centro del Castello. Sembra un mercato di paese. Vi sono bancarelle, spiriti ovunque che riempiono gli angoli più insoliti di questo spazio aperto, ma niente che possa collegarsi ad un bambino umano. Forse è meglio chiedere a qualcuno. Getto gli occhi un po’ ovunque. Riconosco la bambola, Lucy, mi pare, che mi ha ricucito i vestiti.
“Signorina, buongiorno” lei mi risponde salutandomi con un gesto della mano.
“Sa dove si trova Leonardo?” nella sua bancarella verde vi sono stoffe e vestiti. Fa tenerezza… Lei cerca di parlarmi a gesti. Non gli capisco. Oltre ad essere muta, non so come non faccia ad essere anche ceca: avendo solo dei bottoni al posto di bulbi oculari, non dovrebbe essere un problema? A quanto pare no, nota il mio smarrimento. I suoi capelli, più pezzi di stoffa nera che capelli, si agitano al vento simulando una persona che dorme.
“Sta ancora dormendo? Pensa che dormirà ancora per molto?” in risposta, alza in contemporanea spalle e mani al cielo, scuotendo la testa.
“Non lo sa? Oh… Allora mi dica: se dovessi chiedere aiuto a qualcuno, chi mi consiglierebbe?” sembra essere decisa della risposta: cerca freneticamente nelle tasche del suo vestito rattoppato di mille colori e mostra un bottone nero con una stampa arancione di una zucca sorridente.
“Ah… Qualcun altro che non sia Jack O’Lantern?” lei sembra ridere timidamente, scuotendo la testa negativamente.
“Capisco… Dove potrei trovarlo?” indica il bottone, agita le mani allegramente, accosta le dita ai suoi bottoni scuri avvicinando gli indici e i pollici come per simulare degli occhi stretti e lunghi e, infine, indica una torre, quella dove Jackie mi ha fatto fare il secondo volo.
“Mmm… Quindi il nostro caro Jackie starebbe giocando con Nikito in quella torre?” annuisce, felice di essere stata compresa immediatamente. Sospiro, non mi va di rivedere quel tizio.
“Vi ringrazio, signorina. Buona fortuna con le vendite” dico, salutandola. Risponde al mio saluto. Perfetto… ci mancava solo rivedere dell’idiota irlandese… Dietro di me batte le mani, per attirare la mia attenzione. Appena mi volto, vedo fra le sue mani un vestito bianco. Lo riconosco: è il vestito che ho usato per giungere fin qui, con i Sanz. Me lo porge con gli stivaletti e lo scialle. Sembrano splendere di luce propria, tanto sono puliti. Mi sorride, indicando i punti rattoppati che io, francamente, non avevo nemmeno notato. Sono stupita.
“Vi ringrazio” dico, adagiando nella borsa il vestito. Mentre mi volto, mi saluta nuovamente. Chissà perché vengono chiamati Spiriti Oscuri, se di oscuro, alcuni di loro, non hanno nulla?
Raggiungo la torre. È decisamente più alta di come me la ricordavo. Fa niente. Comincio a percorrere i gradini. Anche se più alta, almeno è molto più illuminata di quella volta che sono entrata qui. Sento dei mormorii. Non credo che sia una mia impressione: man a mano che raggiungo le scalinate più alte, riesco a comprendere delle parole. Ecco, si, ora sono chiarissime. Sembrano due persone che urlano assieme una filastrocca.
“Felice tu sarai se vincer tu vorrai, uno due e tre!” lo ripetono un’altra volta e un’altra ancora.
“Questa volta sono io a salire. Ora ti prendo!” Jackie, lo si riconosce facilmente. Guardo in alto: ai piani più alti vedo Niki. Ride felicemente.
“Felice tu sarai se vincer tu vorrai, uno due e tre!” Niki ha ripetuto una frase completa in italiano? Non male, era ora. Mentre dicevano ciò, agitavano i pugni e insieme mostrano due simboli diversi: Niki una carta e Jackie un sasso. Morra cinese su per le scale? Mai visto, ma sembra divertente.
“Su su! Ho vinto! Ho vinto!”
“Bravissima! Ora ti mangio!” Niki ride e prova a liberarsi dalla stretta dello spirito di Halloween. Sembra quasi una barzelletta: uno Spirito Oscuro che gioca con una bambina. Non fa ridere per niente, ma è quasi sospetto. Le risate di Niki fanno eco ovunque. No, non è sospetto per niente, pensandoci bene.
“Mmm… Buona questa bambina giapponese! Ne prenderò un altro po’!” salendo le scale l’ho visto fingere di addentare la piccola. Non so se fare la mia apparizione o…
“Cosa… diavolo… stai… facendo?!” oh, Mary. Vengo abbastanza spesso in questo castello a far visita ai bambini e di solito, mentre giocano con Jackie, capita che spunti fuori questa strega a rovinare tutto. Non so nemmeno se il concetto di ‘giocare’ rientri nel suo vocabolario.
“Sto facendo un assaggio di Oriente. Vuoi un po’?” guardando dalla tromba delle scale, riesco a vedere quel poco che c’è da vedere. Jackie porge la piccola che, nel frattempo, ride per quel che sta succedendo. Mary si avvicina minacciosamente al giovane uomo. La piccola smette di ridere.
“Jackie, sai che ho fatto delle scoperte?” non ha niente di rassicurante la sua voce, come se Mary possa essere rassicurante.
“Come i troll preparano la loro marmellata di lumache? Grazie per averlo scoperto per me, in effetti sono molto saporite. Chissà come…?”
“No! Altre scoperte…” sembra sul punto di dargli un ceffone.
“Ad esempio?”
“Ad esempio il motivo per cui questa piccola peste mi ha rovinato i capelli e, soprattutto, da chi è stata ordinata di fare un tale scempio”
Quindi Mary aveva un’altra pettinatura… ecco una delle cose poco interessanti che aggiungerò alla mia lista.
Rovinato? Ma se stai benissimo!”
“Non deviare il discorso!” questo si che era un urlo “Ora desidererei, come minimo, il tuo perdono!” ecco chi ha fatto lo scempio… Ora ne prenderà di santa ragione, non c’è bisogno di un veggente per capirlo.
“Perdono? Per aver migliorato il tuo aspetto? Fai sul serio, pasticcino, oppure bluffi?” sento uno schiocco di frusta molto più potente di quel che immaginavo. Vedo Jackie ondeggiare sul posto. Decisamente: è stato un colpo secco, in confronto agli altri.
“Perfetto! Allora dovrai sentire il pentimento in altri modi!” esclama, spazientita. Vedo dei movimenti di gonna lassù.
“Ma… Ma… Ma che fai con Niki?!”
“Già che ci sono, porto via tua figlia, fino a quando non sarai assolto completamente” lo afferma con un tono di voce talmente ferma ed indifferente che potrei credere di aver sentito male. Jackie sembra incredulo.
“Ma… dove la porterai?!”
“Nel mio Regno, mi sembra ovvio. Anche lei ha bisogno di una punizione” non so quale sia il suo Regno, o quel che è, ma il sovrano di Halloween sembra pietrificato.
“Mary…” sembra nervoso, ma cerca di essere serio “Non puoi punire Niki per qualcosa di cui le ho ordinato io…”
“E perché mai? Solo per averti ascoltato, dovrebbe essere punita” si avventa sulla bambina e la trascina via, ignorando le sue urla.
“Oh, sta’ zitta tu!” anche Jackie si avventa sulla piccola.
“Mary… Mary… Troviamo un’altra soluzione, ma che riguardi solo noi due, va bene?” quella si volta, interezzata.
“Quindi…?”
“Quindi… ti faccio un’offerta: lascia Niki e in cambio, potrai fare di me tutto quel che vuoi… per… per un mese…” questa soluzione sembra interessarla molto.
“Curiosa soluzione… Ma anche lei dev’essere punita. Com’è giusto che sia! Dopotutto, è la piccola che aveva in mano le forbici!”
“Allora...!” la interrompe, più agitato che mai “Ne possiamo parlare più tardi…?”
“Ad esempio?” gli urla.
“…domani. Hai la mia parola: starò qui, su questa torre, domani mattina. Parola d’onore di Signore di Halloween” sembra fare un’inchino, non vedo bene.
“Molto bene, nel frattempo potrò immaginare cosa farne di voi due” Niki scappa dalla strega e raggiunge Jackie. Mary se ne va.
“Certamente, Mary…” fa un sospiro di sollievo. Credo sia il momento di uscire fuori dall’ombra, ora che la megera è svanita dalla circolazione.
“…sai che non ti capisco? Non vedo cosa trovi di tanto attraente in una donna come lei…” raggiungo in fretta la vetta della torre. L’ho notato da tempo, anzi, credo che l’abbiano notato chiunque qui: Jack O’Lantern ama Bloody Mary, un amore ridicolo e non corrisposto. Il cielo è nuvoloso, non so se pioverà. Niki sembra felicemente sorpresa di vedermi: molla i pantaloni di Jackie, mi raggiunge di corsa e mi abbraccia.
“Ciao, Niki” si separa da me.
“Ciao!” sono sorpresa: di solito non dice nemmeno una parola.
“Gliel’ho insegnato io: non è così stupida come dice Mary. Se le viene ripetuto un paio di volte una parola, se la ricorda per settimane! Bentornata nel Castello” dice, salutandomi. Niki se ne va, scendendo le scale. Jackie le ha fatto segno di andare via. Non capisco. Mi fa segno di seguirlo. Mi avvicino a lui, al bordo della torre. Là sotto, gli spiriti non diminuiscono di numero, anzi, aumentano sempre più. Sembra un formicaio di mille colori. Jackie cerca qualcosa nel suo cappotto.
“Allora, perché una bella bambina come te si troverebbe qui, conciata in questo modo? Non credo sia per Leo… giusto?” sarà un bizzarro personaggio, ma le poche volte che parlo con lui noto che ha un buon occhio e orecchio riguardo ogni argomento.
“Giusto. Sto per compiere un’altra impresa, ma ho bisogno di qualcuno che mi possa aiutare. E, mi pare, che tu conosca molti più immortali di tanti altri qui presenti” trova ciò che cercava: un sigaro. Non sapevo che fumasse. Lo aggiungerò alla lista delle cose che m’interessano. Nota il mio sguardo. Ridacchia.
“Tranquilla: i bambini, probabilmente, non lo sanno. Meglio così: non si rovineranno i polmoni” inizia a schioccare le dita. Da esse escono delle scintille. Al terzo tentativo, sul suo pollice, brucia una fiamma color sangue. L’avvicina al sigaro per accenderlo. Soffia fuori una nuvola di fumo. Nota ancora una volta il mio sguardo interessato. Sapevo che fosse molto più forte e veloce di quel che sembra, ma che usasse delle fiamme, non mi era entrato nemmeno nell’anticamera del cervello.
“Non hai mai visto nulla del genere?”
“Mai, Jackie” sembra prenderci gusto. Con la sinistra tiene fermo il sigaro, con il destro graffia la pietra della torre. Dalle crepe che ha creato, spuntano fiammelle rosso rubino. Questo è insolito.
“Ma la pietra non brucia…” esclamo, notando che le fiammelle non muoiono per via della mancanza di combustibile. Con uno schiocco di dita, Jackie le fa spegnere.
“Mi sembra normale che tu sia sorpresa: non molti immortali lo sanno, quindi non vedo perché dovrebbe saperlo anche una mortale come te” sarà insolito come queste parole mi abbiano gelato. Una folata di vento fa volare le nuvolette di fumo di Jackie in faccia a me. Profumano di menta, non so come. Nota anche questo mio sguardo. Sembra divertito. È incredibile come riesca a far apparire un sorriso come un ghigno inquietante.
“Hai sentito bene, bambina. Non negarlo, ti prego…” afferma, con aria distaccata, continuando a fumare.
“Non so di cosa tu stia parlando” non mi crede. Avrei potuto dire di meglio, in effetti.
“Va bene, facciamo finta che io abbia sbagliato. Allora non ti dispiacerebbe farmi vedere come sei magicamente sopravvissuta cadendo da questa torre?” mi lancia un’occhiata di sfida con un chè di terrificante. Sembra godersi ogni mia espressione neutra. Ecco perché non voglio parlare con lui: avrà anche un secolo o due più di me, ma si comporta pur sempre da idiota. È il personaggio timburtoniano peggiore che io abbia mai incontrato. Dubito che potrebbe sostituire Johnny Depp nella parte di Sweeney Todd… No, nessun personaggio timburtoniano ha questo fascino maligno. Detesto ammetterlo ma è così: Jack O’Lantern, anche se irritante, è pur sempre molto attraente, nonostante abbia un retrogusto inquietante che da un lato ti fa tremare, ma dall’altro ti attrae come il miele con le api. È una trappola perfida. Probabilmente da vivo era un bel giovane, ma poi, diventato spirito, ha assunto questa forma oscura.
Alzo un sopracciglio. C’è molta gente sotto: potrei cadere sopra uno di loro e salvarmi magicamente, come l’ultima volta. Soltanto che, la scorsa volta, sono caduta sopra dei panni stesi e una bancarella. Mi sono presa anche una lunga cicatrice. Devo aver sbattuto contro qualcosa di lungo e appuntito perché non riesco proprio a capacitarmi della sua esistenza stampata sulla mia pelle. È la più grande che abbia mai avuto: parte dalla spalla sinistra e finisce giù, sul fianco destro. È la cosa più brutta che abbia mai visto in questo posto, dopo gli Incubi, ma quegli nemmeno possono contare. Per fortuna dopo due settimane dal rosa rossastro è diventata biancastra, come le altre. Chissà se, tornata a casa, riuscirò mai a toglierle. Faccio dei passi in avanti e cado giù. Non faccio in tempo a sentire le vertigini da caduta libera, che qualcosa mi afferra. Alzo lo sguardo: Jackie si è pericolosamente sbilanciato in avanti, afferrandomi per il braccio. Si trattiene dal cadere anche lui incastrando le gambe alla pietra. Sospira sconsolato.
“Credo di aver sottovalutato la tua pazzia” cerca di non far cadere il sigaro incastrato fra i denti. Sembra che si sia allarmato molto. Mi riporta su con la sua innaturale forza. Non ho il tempo di dire nulla che mi afferra il volto dolcemente, esaminandolo minuzioso. Passa il pollice sulla mia guancia. Questa cosa m’inquieta. Muove il dito bruscamente facendo un taglietto. Sobbalzo. Sento il sangue uscire fuori dalla ferita.
“Nemmeno le mie fiamme sono così rosse” deve aver fatto un taglio abbastanza profondo, perché una striscia di sangue percorre il mio viso fino a gocciolare per terra. Mi porge un fazzoletto completamente bianco. Lo afferro, delusa.
“Da quanto tempo lo sai…?” tampono la ferita col fazzoletto.
“Da quando sei arrivata qui, più o meno” soffia altro fumo. Questa volta che ha un’aria seria, pare molto più bello. Forse avrei dovuto invertire la domanda: perché Mary non vuole un giovane uomo come lui? Sarà per il suo carattere poco maturo?
“E come l’hai capito?” mi lancia uno sguardo beffeggiatore.
“Grazie ai miei occhi, bambina” nota il mio sguardo perplesso “Pensi davvero che io gli abbia avuti sempre così, neri e cupi? Sai, durante le notti di Ognissanti, Halloween e della Festa dei Morti, le anime di coloro che non hanno accesso né al Paradiso né all’Inferno (il Purgatorio è il nostro stesso mondo), riescono ad avere una piccola quantità di potere, grazie al quale assumono la forma di spiriti e mortali, probabilmente per sperare di restare sulla Terra fra i vivi e di prenderne il posto. Come lo ricevano questo potere è un mistero, ma probabilmente è per via della posizione della luna che fa questo scherzetto. Sono piuttosto bravi a mutare forma. Il mio compito, a parte organizzare Halloween, è quello di proteggere i bambini da quegli spiriti e di impedirgli di fare qualche pazzia fino a quando scadranno i tre giorni e questi non avranno pù potere. I miei occhi servono per riconoscere le loro anime, ma anche quelle di altri immortali e mortali. Inizialmente la rabbia mi ha reso ceco, ma ora non ci sono dubbi, bambina. Stai tranquilla: oltre a me, non lo sa nessun’altro. Ma non credo che rimarrà un segreto per molto tempo, non per colpa mia, ovviamente. Ma, sai, questo castello è come un paese: tutti sanno tutto e tutto viene saputo da tutti” non so, ma il suo sorriso mi agita. Vorrei che non mi stesse così vicino. Ovviamente fa il perfetto contrario. Per un attimo vengo pietrificata dai suoi occhi. Chissà perché sono talmente neri da sembrare inchiostro con deboli e rare luci rossastre che sembrano pezzi di stella. Mi rianimo sentendo il fazzoletto sulla mia guancia. Jackie sta continuando il lavoro al posto mio.
“È già guarita… Troppo in fretta. È po’ bizzarro, ma utile” non prendo nemmeno in considerazione ciò che ha detto, quasi non ricordo il perché sono qui con lui. Riprende il fazzoletto, con modi così fini da non accorgermene subito.
“Forse dovremo parlare di più noi due” questa frase mi disturba. Non ho tempo per una chiacchierata. Ma forse è meglio accontentarlo: spero che mi aiuterà poi.
“E di cosa?” per fortuna decide di allontanarsi un po’ da me, vicino al bordo della torre. Mi fa segno di avvicinarmi a lui e io, a malincuore, ubbidisco.
“Hai presente gli angeli e i demoni?” sono perplessa riguardo l’argomento. Annuisco, curiosa.
“Ok, ma dimentica le ali, la coda, le falci e le aureole. I veri angeli e demoni sono sia umani che spiriti. Pochi ne hanno visti e chi ne incontra difficilmente si rende conto di quel che sono realmente. Tranne che io e qualche raro immotale” aspira dal sigaro. Non capisco se vuole farmi perdere tempo o se vuole giocare con me. Per ora è  meglio assecondarlo.
“Cosa intendi dire?”
“Ti sei resa conto di quante tipologie di spiriti esistano. Noi tutti serviamo per dare un certo ordine al mondo degli umani. Ma, talvolta, il nostro lavoro non è sufficiente. Siamo solo delle mani esterne, ma è essenziale anche qualche aiuto interno. Forse è meglio se parto dai demoni. La signora che governa qui gli crea, anzi, dà loro una certa quantità di magia. In genere assume questi personaggi alla nascita, ma senza che ne siano a conoscenza. Al contrario di ciò che ho detto, il loro compito serve esclusivamente a dare disordine nel mondo: terroristi che vorrebbero una svolta nel mondo, assassini introvabili, dittatori particolarmente ambiziosi. Questa cerchia di persone sono in grado di distruggere l’armonia che gli spiriti hanno creato con fatica per decenni, secoli e, talvolta, anche millenni” con un certo disagio ascolto ciò che dice. Non ho molto tempo e nemmeno voglia di ascoltarlo.
“Ma la magia che possiedono in cosa consiste?” aspira ancora dal sigaro.
“Non è qualcosa di simile a quel che possediamo noi: è una quantità di magia troppo scarsa. È come un up-grade: ti consente di avere maggiore resistenza di un normale umano, una certa abilità fisica, come ad esempio forza e velocità…” lancia un’occhiata veloce alle mie gambe “…hanno una rigenerazione veloce…” i suoi occhi sfiorano il graffio che mi aveva fatto “…una gran quantità di fortuna che solo noi spiriti possediamo e sono anche delle calamite sia per umani che per immortali, nonostante alcuni di loro non siano eloquenti…” mi guarda intensamente negli occhi, soffiando del fumo “…ma ciò non lo trovo insolito: con un’aurea empia e burrascosa come la loro è ovvio che abbiano un’attrazione abbastanza forte, ma questa loro abilità dipende da persona a persona, non è detto che riesca sempre” credo di aver inteso dove vorrebbe arrivare e la cosa mi innervosisce.
“E gli angeli…?”
“Gli angeli sono simili ai demoni, anche se il loro destino è diverso. Loro ci aiutano a dare l’ordine che il mondo, talvolta, necessita. La magia che possiedono è quasi totalmente simile a quella dei demoni, ma benigna: hanno un’aurea deliziosa…” aspira altro fumo. Sembra rendersi conto solo ora che il sigaro sta per finire. Per tutto il tempo ha fissato il mercato sotto di noi “L’Uomo nella Luna dona a loro questa magia, generalmente dopo uno spiacevole incidente: auto sfasciate, cadute accidentali, anche qualche ladro entrato in casa con una pistola… Spesso ne escono fuori con una particolare cicatrice, voglia o dei segni bizzarri, a volte anche negli occhi…” da un po’ di tempo mi sta scandagliando le iridi da vicino, troppo vicino. Indietreggio, abbastanza nervosa. Quando fa così, lo ammetto, è inquietante.
“…cosa fai?”
“Non posso più guardarti negli occhi? Ah, che strano! La tua iride, nonostante l’incrocio del verde e del marrone, alla base ha anche delle chiazze color luna. Particolare, ma grazioso, come la loro padroncina” sbatto la schiena contro la pietra che segnala il bordo della torre. Jackie si accorge di qualcosa, modifica la sua espressione in una più docile, anche se, a mio parere, non ha cambiato molto. I suoi occhi hanno un chè di malizioso e soffocante. Mi sento un moscerino in sua presenza, soprattutto perché mi prende, senza preavviso, per le mani e, con una dolcezza signorile, mi tira indietro.
“Perdonami. Troppo assillante, eh? Forse è per questo che Mary fa fatica a dirmi di si”
“Jack O’Lantern…” lo interrompo “…dubito che io sia un angelo o un demone, soprattutto perché non ricordo alcuna trasformazione o incidente mortale” allarga il suo sorriso.
“Te l’ho detto, bambina: L’Uomo nella Luna e Sanguinea non si presentano alle loro creazione, non ne sono nemmeno coscienti. Semplicemente, durante la loro normalissima vita da umani, capita che s’immischino in qualcosa che modifichi la loro vita e anche degli altri” lascia le mie mani. Sono un po’ scossa. Cerco di sorridere, nonostante il suo di sorriso batte il mio in fatto di divertimento. Probabilmente sono più nervosa del solito. E poi, non so nemmeno per cosa!
“Non hai nemmeno le prove, Jackie…” dà un’occhiata veloce al sigaro, quasi del tutto consumato.
“Fabiola, francamente, quante possibilità ci sono che una gracile bambina come te sia riuscita a tenermi testa? Nonostante l’agilità, certo”
“Tsk… Quando si ha la rabbia nel cuore, si diventa sordi e ciechi. Eri talmente infuriato che, probabilmente, non ti eri nemmeno reso conto di quanti sbagli facevi nel cercare di colpirmi, qua sopra” soffia sul sigaro che, incredibilmente, va a fuoco e sparisce col vento diventando cenere.
“Forse… Ma hai fatto una bella caduta da quassù, mi pare. Tecnicamente avresti dovuto morire, oppure ferirti gravemente” è cocciuto, ma sicuro di quel che dice.
“Ti ricordo che sono svenuta per lo sforzo e che ho dormito per due giorni, visto che non riuscivo a muovermi quasi per niente” già, e durante quel periodo Mary cercava di avvelenarmi. Due volte, per essere precisi. Ma smise quando cercai di usare come assaggiatori Leo e Niki. Aveva preso il piatto e gettato contro uno specchio che ha letteralmente divorato piatto e cibo. Dopodichè si è spaccato il vetro, dopo pochi secondi. La donna se n’era andata dalla stanza, come se niente fosse. Credo che mi odi molto più di quel che credo.
“Si, ma qualche giorno dopo eri scattante come se non ti fosse accaduto nulla” su questo ha ragione. Sto per ribattere con qualcosa. Me lo impedisce con una mano alzata. Da inquieta, sto diventando arrabbiata.
“Devo imparare a chiudere la bocca, me lo dimentico sempre” puoi dirlo forte “Oh, beh… Mi puoi ricordare perché sei qui e perché vuoi il mio aiuto?” nonostante un lieve tic al naso e degli occhi socchiusi per l’umiliazione per non aver vinto con le parole, gli racconto di Gianni e dello spirito che, tecnicamente, domani dovrebbero essere appesi per il collo. La faccenda sembra interessargli molto, soprattutto quando mi ha chiesto l’età di mio cugino. Alla risposta, si massaggia le palpebre, con un atteggiamento di sofferenza.
“Sarà il cuore debole o il mio compito, ma detesto vedere o sentire di un bambino che viene trattato in questo modo”
“‘Bambino’ è un termine improprio: il ragazzo ha sedici anni” scuote la testa, sedendosi su di una roccia della torre.
“Bimba, a mio parere si è bambini dai quindici fino ai diciotto anni. Superati questi, si è ragazzi. Il resto è troppo per venir spiegato” ok… Annuisco imbarazzata. E quindi io, tecnicamente, secondo lui, dovrei essere una mocciosa? Forse ‘bimba’ è più che sufficiente. Più avanti, forse, li chiederò altro a riguardo. Si volta bruscamente verso gli spiriti sotto di noi. Le sue gambe ondeggiano. Ho quasi paura che cada giù.
“Allora, spero che tu abbia già un piano per salvargli. Ti darò tutto l’aiuto che vuoi, o almeno ciò che posso: con questa barriera che abbiamo in testa, anche i miei poteri sono diminuiti molto” rivelargli tutto sarebbe troppo noioso. E poi, non so nemmeno se fare dei cambiamenti nel piano o se arricchire di particolari.
“Non dovrai fare nulla: non pretendo nulla da te. Vorrei solo che mi aiuti a trovare delle persone ancora in grado di usare le proprie abilità” annuisce, interessato.
“Di chi hai bisogno?”
“Prima di tutto di qualcuno che possa aggiustare e anche modificare in meglio oggetti esplosivi, come delle bombe e, nel caso, anche di crearle” sembra ancora più interessato di prima. Faccio uscire fuori dalla borsa le piccole mine di Mino. Aveva detto di buttarle, ma Gelsomino non butta mai nulla di suo. Lui ‘nasconde’, ma non butta via. Sempre se il suo concetto di ‘nascondere’ sia valido. Tanto per intendere, erano in mezzo a due vestiti nella sua stanza nel teatro. Jackie sembra sul punto di darmi una brutta notizia.
“Beh, io conosco un satiro che s’intende di aggeggi esplosivi. Il problema è che non so se sia ancora vivo o no. Oh, guarda qua: dei nuovi arrivati! Sembrano pagani” guardo giù con lui. Sono appena arrivati nella piazza degli sconosciuti vestiti con chitone e tunica. Non gli riconosco bene, ma ne conto cinque. “Sono più che certo che abiteranno qui e se abiteranno qui ci sarà una ribellione per le stanze e il cibo” lo ignoro. C’è un tizio tozzo coi capelli rossi, ciò che sembra una fata variopinta, un satiro, una ragazza vestita col tradizionale chitone bianco e un tipo incappucciato di blu. Jackie si sporge bruscamente, con occhi incuriositi. I quattro entrano nel castello. Jackie, per fortuna, ritorna al suo posto.
“Erano antichi greci?” lui annuisce sommessamente.
“Tra quelli c’era il satiro di cui ti ho parlato, si fortunata! Si chiama Apollonio, è un genio in queste cose” sono perplessa.
“In quale universo parallelo un greco, tralasciando che è satiro, mescola la sua conoscenza e sapienza con una non-greca e, soprattutto, moderna?” Jackie ride. Faccio il liceo classico da due anni, credo di conoscere i greci abbastanza da dire che siano, tralasciando tutto ciò che hanno fatto con la poesia e la filosofia, il fulcro del razzismo, maschilismo e altro di cui non voglio pensare ora. Mi sembra strano che un satiro, creatura di solito solitaria e avvezza al divertimento, è facile intuire di che tipo, possa conoscere qualcosa di diverso da ciò che lo caratterizza.
“Credimi, tutti mi hanno detto la stessa cosa. Ma, sai, Apollonio è un tipo molto particolare, tanto da essere stato bandito dalla sua comunità in Grecia. Per dirla breve, si era appassionato di marchingegni, ma i suoi compagni non erano d’accordo, gli ordinarono di non portare quelle cose nel loro bosco, lui si è rifiutato e lo hanno cacciato via. Ma è una brava persona, credimi, bisogna solo conoscerlo bene. È il greco meno greco che io abbia mai conosciuto” è sceso dalla pietra e credo sia sul punto di buttarsi giù. All’ultimo si volta verso di me.
“Vieni qui, piccola, andremo insieme da loro, così parliamo di ciò che hai in mente” lancio un’occhiata al mercato sotto di noi.
“Preferisco le scale”
“Vieni qui, angioletto…” inavvertitamente poggia una mano dietro la mia schiena e una sotto le cosce. Non mi dimeno: siamo vicino al bordo e non voglio spaccarmi la testa cadendo giù. Mi tiene in braccio come una principessa. La situazione già la detesto e mi sento scomoda.
“Che cosa stai facendo…?” mi è uscito molto più acido di quel che volevo.
“Tranquilla, bimba, non ti accorgerai nemmeno di cadere” questo è pazzo! Si volta dal lato inverso e indietreggia verso il bordo. Mi stringe così tanto da non sentire né vedere nulla, tanto da sentire la sua pelle bollente contro la mia ghiacciata.
“Non voglio andare giù…!”
“Siamo arrivati, non è stata una tragedia, vero?” sorride divertito per la mia espressione, probabilmente scioccata. È stata una caduta talmente veloce da non aver sentito nemmeno le vertigini, ma ho sentito chiaramente il mio corpo venire sbattuto contro la terra. Mi dimeno tanto da cadere. Mi rialzo velocemente. Barcollo un po’, vedo le mie gambe tremare. Mi volto verso Jackie. Sembra divertito da quel che mi è successo. Nessuno ci nota, forse sono abituati a cose peggiori. Sono tanto arrabbiata da dargli un pugno, dritto allo stomaco. Non se l’aspettava. Fa una faccia paonazza, trattenendosi la pancia.
“Sei un pazzo!”
“Ti ho pur sempre fatto risparmiare cinque minuti di scale!” finge di fare l’offeso, più divertito che arrabbiato. Non molti lo sanno, ma l’antica regola che parla di quanto la donna sia tanto scaltra da avere l’istinto di dare uno schiaffo innocente invece di un pugno ben assestato, per me non è valida. Se le altre ragazze tirano ceffoni, io tiro mazzate, tanto forti da farti cadere a terra. Fortunato Jackie ad essere uno spirito e di non soffrire il dolore come lo soffriamo noi.
“Piuttosto, dov’è il satiro? Sei certo che vorrebbe ascoltarmi? Sono una ragazzina, dopotutto” si massaggia la pancia.
“Mica fai box?” lo fulmino “Ok, andiamo. Ma non so se riuscirai a convincerlo. Forse è meglio se alzi il cappuccio: magari riusciamo a fare qualcosa di buono” ubbidisco. Siamo entrati nel Castello. Jackie mi dirige verso delle sale spoglie e vuote “È vero che qui molti sono scocciati e distrutti da questo posto e vorrebbero fare rivoluzioni dalla mattina alla sera, ma ricordiamo che è un greco e tu non lo sei, peggio, sei una bambina e, a parte l’età che maschereremo con un falso stato di spirito, i greci non apprezzano pareri femminili. Cercherò di convincerlo, ma non sarà semplice” altrochè se lo so… La vedo difficile.
“…cosa vuol dire che è una pazzia?!”
“Stai zitto, ragazzo, ho i nervi a fuor di pelle: abbiamo viaggiato per due notti di seguito, ti ricordo”
“Ma i ragazzi?! Li lasceremo nelle loro mani?!”
“Stai zitto e fammi pensare!” siamo entrati in un’altra sala altrettanto spoglia, cupa e buia. A malapena distinguo Jackie che fa da guida. I quattro si sono radunati tra poltrone e divanetti, discutendo animamente, in particolar modo il rosso e il satiro. Vedo la fata variopinta nascondere il viso fra le mani, non so se è esasperazione o sofferenza. Jackie, vicino a me, con una malizia inquietante, avvicina l’indice alle labbra. L’irlandese si avvicina di soppiatto dietro la fata e le poggia le mani sugli occhi.
“Bene bene… Guardate chi è tornata, la mia avversaria preferita. Ah, sempre impegnata coi soliti denti, eh, Thootie?” lei si scrolla di dosso le mani e inizia a fluttuare per aria. La sua somiglianza con quella di un colibrì è impressionante. Per un attimo i due greci tacciono, interessati. Jackie ammicca alla fata. Lei sembra incredula, quasi timorosa.
“Jack? Jack O’Lantern?” lui s’inchina, più beffardo che rispettoso.
“Ancora vivo e vegeto, Thoothiana” i due greci sembrano riconoscerlo, in particolare il satiro si mette d’avanti.
“Ma che ci fai tu qui?” chiede, perplesso.
“Gestisco il Castello Abbandonato e importuno Bloody Mary, niente di chè… Immagino che sia stato un viaggio molto lungo” chiede, questa volta serioso. Il rosso si aggiusta l’himation, il mantello dei greci, stropicciato per essersi seduto.
“Abbiamo viaggiato con le sirene per tre giorni e tre notti, senza nemmeno un briciolo di tregua” alza la voce, arrabbiato. Il suo sguardo azzurro è penetrante “Le donne sono meno stanche e stremate di me! Nemmeno nella Guerra avvenuta a Troia ho dovuto marciare così tanto!” la Guerra di Troia? Aspetta… Probabilmente gli eroi greci esistono e si sono tramutati in spiriti? Questo si che è un’informazione interessante.
“Oltretutto abbiamo perso due giovani e avranno una morte crudele se non interveniamo!” il satiro chiude lentamente gli occhi, come se avesse sentito la stessa storia tanto da essere stufo di risentirla ancora una volta. Fisso Jackie. Nota il mio sguardo.
“Signore mio, cos’è successo?” il rosso sembra avere un’ira negli occhi. Spero che non sia lo stesso Achille: non mi va di essere considerata una piccola amazzone e non voglio nemmeno conoscere un personaggio che io, francamente, detesto. Ma non credo che sia il piè veloce: è troppo giovane e non mi pare che Achille avesse questi folti capelli rossi. Ricordo che Menelao fosse rosso di capelli, ma non credo che sia lui. Dev’essere qualcun altro che ora non mi viene in mente.
“Non credo che tu lo sappia, ma una decina di mortali, veri mortali, per un errore o per qualche piano che non conosciamo, sono stati portati qui attraverso un portale di Macula Sanguinea. Vi erano due giovani con noi, ma sono stati catturati dai Fantasmi” Jackie mi lancia uno sguardo che io intendo “Abbiamo saputo che domani, al centro della capitale, verranno impiccati sotto false accuse, per aver seguito la strada giusta, la nostra. Pensavo di liberarli, prima dello scadere del tempo, ma non ho nessuno che possa aiutare un vecchio compagno di guerra” Apollonio scuote la testa, coi nervi a fuor di pelle, irritato. La fata ha uno sguardo vuoto. Jackie mi lancia un occhiolino malizioso. Con un gesto fluido e veloce, mi abbassa il cappuccio. Le mie onde cadono in avanti, giusto per darmi fastidio ancor di più.
“Veramente, è cambiato molto in questi mesi, tanto che penso che dobbiate fare lo stesso anche voi con le vostre abitudini, se vogliate con tutta la buona volontà salvare questi due giovani” la fata lo guarda amareggiata.
“Jackie, non sono dell’umore per i giochi di parole”
“Nemmeno io lo so, soprattutto dopo essere diventato padre di due bambini” i suoi occhi viola lo fissano vuoti, dal basso verso l’alto. Jackie non è male come oratore: gli ha stesi subito, ma non è difficile imbrogliare un greco, soprattutto se ha partecipato alla Guerra di Troia. Inizia a raccontare di tutto ciò che è accaduto, della barriera sulle nostre teste, di noi ragazzi e di Leo e Niki. Probabilmente aggiungerà altro… Qualcuno alle mie spalle batte un dito sulla mia spalla.
“Fabi…?” mi volto, perplessa. È la ragazza col chitone che li accompagna. Dietro di lei vedo il ragazzo albino, questa volta col cappuccio abbassato. La ragazza mi guarda tra lo speranzoso e il vago.
“Sei davvero tu…?” è come se un velo invisibile fosse caduto dal volto della ragazza. Per sicurezza guardo le sue braccia: sul sinistro ci sono vari tipi di braccialetti. La riconosco. Si avvicina, sicura, molto più di quanto abbia visto in lei in due settimane.
“Sei viva…” lentamente mi cinge le spalle, tirandomi a sé, cosa mai vista in lei “Gianni era molto in pensiero…” si stacca da me. Sono perplessa. Mi avvicino a lei e, senza sbattiti di ciglia o arrossamenti delle guance, le tasto il volto.
“Cecilia de Rosa… Ceci, stai bene?” annuisce assottigliando le palpebre e cercando di non far tremare il labbro. Ora la riconosco. Prima non l’ho riconosciuta, probabilmente per il suo comportamento molto più deciso. È cambiata molto, non solo nei movimenti. Il chitone che indossa sembra troppo grande per lei. Con la coda dell’occhio vedo la fata staccarsi dal gruppo. Gli altri tre non l’hanno notata, meno che Jackie che le ha sorriso infine.
“Ceci, va tutto bene?” la mora come l’ebano, in preda ai singhiozzi, mi abbraccia, molto forte. Non riesco a far altro che stare ferma e immobile.
“Gianni è… è… è… è…!” sospiro. So che quando Ceci piange, non riesce a far altro che balbettare.
“Lo so, Ceci, Gianni domani sarà giustiziato se non si farà qualcosa per impedirlo” l’allontano da me, non mi piacciono gli abbracci di Ceci: sono molto… umidi “Tranquilla, lo porterò a casa per te, sano più di un pesce” arrossisce vistosamente, tanto da impedirle di continuare a singhiozzare. Cecilia pensa che io non lo sappia, crede che io non lo immagini nemmeno, ma io noto ogni cosa, anche i suoi rossori quando è nei suoi paraggi, i suoi sguardi speranzosi e tanto altro che mi fa pensare solo ad una cotta… Già, purtroppo, credo che sia amore vero… La fata ripassa gli occhi su di me, guardando la mia spada, interessata.
“Chi sei?” non so bene il perché, ma m’inchino, in segno di rispetto, ma un inchino maschile che se Black mi vedesse ora mi taglierebbe le orecchie e mi costringerebbe a mangiarle: a lui non piace il mio lato maschile.
“Probabilmente la risposta ai vostri problemi” ritorno dritta “Sono Maria Fabiola Santarcangelo, pronta per salvare i due giovani, visto che anche questo, come per voi, è il mio obbiettivo” la fata strabuzza gli occhi. Il ragazzo albino mostra timidamente i suoi occhi azzurri. Sembra abbastanza scosso.
“Fabiola Santarcangelo…?” chino di nuovo la testa. 
“Si, signora. Fabiola Santarcangelo” le sue labbra mormorano qualcosa d’indistinto. Solo ora mi accorgo che Jackie e i due greci si sono interessati al nostro dialogo. Ad un certo punto i suoi occhi si spalancano, come se si fosse resa conto di una cosa importante.
“Oh, Cielo…” si avvicina, forse troppo, al mio viso. I suoi occhi violacei fanno una gara di sguardi coi miei verdastri. Dopo diversi secondi d’attesa, il suo sguardo ritorna cupo.
“Non assomigli molto a Gianni, ma credo che tu sia sua cugina” si è fermato il mondo e tutti gli astri del cosmo. D’istinto apro la bocca.
“Posso chiederle il vostro nome?” l’aria, anche se pesante, la preferisco a quella tesa di prima. La fata inclina leggermente la testa e sorride con occhi stanchi.
“Sono Dentolina, Guardiana della Memoria, Fata dei Dentini” il mondo è tornato a girare, l’aria è ancora più pesante. Non riesco a battere le palpebre “Gianni mi ha parlato solo una volta di te, ma non avevo torto sul fatto che anche tu, come tuo lui, fossi bella” mi gira la testa, il mio cuore sbatte violentemente contro la cassa toracica più e più volte. Non riesco a mutare espressione. L’aria è ancor più pesante.
“Mi spiace per quel che è accaduto a tuo cugino. Mi rendo conto che avrei potuto… fare di più” la interrompo: mi si sta accartocciando il cuore soltanto nel vedere i suoi occhi dispiaciuti. Sembra mortificata, per un motivo stupido.
“Non vedo il motivo per dispiacersi, signora. Come ho già detto prima, sono la soluzione ai vostri problemi” non faccio in tempo a vedere la sua espressione che mi volto verso i due greci “Spero di aver sentito bene: volete salvare il giovane a ogni costo possibile” il satiro non riesce ad esprimere un suo probabile disappunto che il rosso si fa avanti.
“Ovviamente! Dobbiamo andare subito in città per trovarlo e liberarlo, prima di domani!”
“Ragazzo, cuciti la bocca!” Apollonio, se fosse un po’ più arrabbiato, si strapperebbe la barba “Non è possibile irrompere in città: come spiriti siamo riconoscibili a dir poco! E non ho intenzione di seguire un altro piano stupido e…!” lo interrompo prima di dire altro. Quando i greci cercano di ragionare e non ci riescono si arrabbiano, quando si arrabbiano diventano furiosi e quando diventano furiosi prendono le spade e si ammazzano a vicenda, poco è importante se si tratta di un nemico o di un tuo fratello. I due mi fissano oltraggiati. Non sono abituati ad essere interrotti da una donna, anzi, da una ragazzina quattordicenne.
“Vi prego di prestare attenzione, so già come liberare i due, ma ho bisogno di silenzio e sguardi fissi su questa mappa” detto questo, tiro fuori il libro e lo apro dove si trova la mappa di tutta l’isola. Anche Jackie è interessato. Spiego abbastanza dettagliatamente ciò che ho in mente. Dopo qualche minuto di spiegazioni, il rosso sembra sul punto di esplodere, positivamente.
“È perfetto! Non è nemmeno molto difficile, quasi quanto entrare dentro le mura Stige” trattengo un sospiro di sollievo: quasi non ci posso credere che un greco abbia voluto anche solo ascoltarmi. Se ha fatto il paragone con le mura di Troia, allora dev’essere stato uno dei cinque che è stato sorteggiato per entrare nella città dentro il cavallo.
“Sono sorpresa soltanto di sapere che questo Regno è un’isola. Come possiamo essere certi che non sia rischioso? E poi, Fabiola, non credi che… insomma, sia troppo per te?” riprendo il libro.
“Se intendete ciò che io dovrei fare nel piano, vi assicuro che io sono meno in pericolo di chiunque parteciperà, soprattutto perchè coordinerò le azioni di tutti. Se intendete altro… Sappiate che l’età non è l’esperienza” non distinguo bene la sua espressione. Sembra sbalordita, non so se negativamente o positivamente.
“Ma questo… dovevamo farlo noi… Non tu, bambina…” sembra che la cosa la faccia stare male.
“Dentolina, pensaci un po’ su: non è male come idea e non è nemmeno troppo rischioso come sembra, serve solo qualcuno che sia ancora molto veloce e che voglia farlo. A me piacerebbe partecipare, ma non so se…” la fata la interrompe con un tono di voce severo e irritato.
“Non dirlo nemmeno per scherzo, Cecilia” vedo con la coda dell’occhio lo sguardo remissivo della mora, per queste parole.
“Spero che qualcuno possa aiutarmi”
“Sono fra i primi ad accettare, sono Neottolemo. Farò ciò che mi chiederai, Fabiola” anche questo è ridicolo a dir poco: un greco qualunque non avrebbe nemmeno sognato di dire una cosa del genere. C’è di sicuro qualcosa dietro tutto ciò.
“Tu sei Apollonio, ne capisci di esplosivi, mi hanno detto” Jackie sogghigna tetralmente, comincio a detestarlo. Il satiro annuisce, teso. Gli mostro le bombe di Mino, tutte e venti. Le esamina velocemente. Fa un foro ai lati e la miscela cade nella sua mano.
“Non è male come preparato, ma inatatta per la situazione: credo che dovrò aumentare la dose, se vuoi il risultato che ci hai detto, ovvio” nessuno oltre a me l’ha visto, ma probabilmente ha accettato perché Neottolemo gli ha lanciato uno sguardo truce. Ci mancava solo questa… Un greco contro un altro greco, peggio di così… Meglio parlare subito. Me l’ha spiegato Pitch: se voglio avere una buona attenzione su un gruppo e voglio che eseguano i miei ordini, non devi lasciarli riflettere nemmeno per un secondo, devi fare in modo che credano di fare la cosa giusta. Ma non li sto ingannando: se le cose andranno come da piano, nessuno si farà male e non è nemmeno un piano utilizzato per un doppio scopo.
“Perfetto. Ora ci servirebbe soltanto qualcuno in grado di nuotare e di restare in acqua, anche per molte ore”
“Chi meglio delle sirene che ci hanno accompagnato?” risponde Neottolemo “Sono vicino al fiume e la loro Regina ci conosce. Possono stare sott’acqua anche per giorni interi. Spero che accetterà” Jackie mette un dito in mezzo a noi.
“Scusate la curiosità, ma vorrei sapere dove alloggeranno i due ragazzi, dopo essere caduti in acqua e pescati” Dentolina accenna un sorriso per la battuta.
“Nel teatro insieme ai Guardiani e gli altri ragazzi” alla fata si drizzano le piume. Ad un certo punto vedo Jackie alzare la testa e i suoi occhi s’illuminano gioiosi. Neottolemo e Apollonio sobbalzano per questo movimento improvviso.
“Sentite, e se venissi anch’io per assistere al salvataggio insieme agli altri due bambini?” nessuno fiata.
“Non vedo perché dovresti portare con te Leonardo e Nikito, ma, se vi nascondete nel posto indicato, direi di si. Dopotutto, né tu né i bambini somigliate molto a spiriti. Però i tuoi occhi…” anche i suoi denti brillano, lucenti. Dentolina è ancora scossa, Ceci è meravigliata.
“Tranquilla, porterò degli occhiali da sole o m’inventerò qualcos’altro” mi rivolgo ad Apollonio.
“Le mine saranno pronte ed esploderanno quando lo vorremo?” annuisce.
“Entro stasera saranno pronte ed esploderanno, tranquilla, ma devo iniziare subito…”
“E fallo ora! Vai!” grida il rosso. Per poco ho pensato che avrebbero cominciato una nuova Guerra di Troia, ma per fortuna il satiro mi strappa di mano le venti bombe e se ne va. Ceci e Dentolina sono sorprese, non credo solo dal comportamento di Neottolemo.
“Neottolemo, so che tu sei bravo ad usare l’arco, credi di farcela?” annuisce deciso. In verità, se guardiamo solo le leggende greche, Neottolemo si ‘classifica’ al terzo posto tra i migliori arcieri: il primo è Odisseo, il secondo è Filottete.
“Bene, ci mancano le Sirene…” il figlio di Achille già corre verso l’uscita. Potrebbe essere il nuovo piè veloce, in effetti… Qualcosa mi blocca il braccio. Lancio un’occhiata dietro: l’albino mi ha bloccato con il suo lungo bastone. Lo guardo intensamente. Abbassa subito lo sguardo.
“…Fai sul serio?” inclino la testa, non capendo. Sembra spaventato da qualcosa, non so cosa. Da me forse? “…Ti chiami davvero Fabiola?” dopo un po’ annuisco. Non capisco bene cosa vuole dirmi. Sembra sussurrare il mio nome un paio di volte, come se cercasse di ricordarlo. Ora non ho il tempo per pensare a lui. Mi viene in mente un’ultima cosa.
“Jackie, cambio di programma: tu dovrai portare Dentolina e Cecilia nel teatro, dagli altri Guardiani” non sembra aver capito bene “Sarebbe meglio se anche la Guardiana si riunisse agli altri, immagino che vogliate rivedere i vostri colleghi” dico, rivolta alla fata. Lei annuisce, più forte di prima.
“Jackie, fammi questo favore, portali tutti e tre dagli altri, visto che tu conosci la città. Meglio questa notte, quando nessuno da fastidio” sembra pensieroso.
“Se per questo, allora mando Leo e Niki ad accompagnarli: sanno la strada e sono più capaci di me con le mappe” non ho niente da obbiettare. A mio parere ha un’idea sotto: i suoi occhi brillano di entusiasmo.
E io credevo che sarebbe stato difficile trovare aiuto.
 
 
 
 
 
Era passato un giorno, un giorno, prima di incontrare Jackie su quella torre per colpa di quella piccola peste asiatica. Ora era mattino, esattamente in orario, come sempre.
Si stava dirigendo verso la stessa torre del giorno addietro, come deciso da Jackie. Sospirò, pensando a quel che era sembrata il giorno prima. Devo essere sembrata un mostro, pensò. Forse non avrebbe dovuto perdere la pazienza in quel modo. Forse avrebbe dovuto chiudere la bocca sull’argomento e fare finta di non aver sentito una delle sue tante spie negli specchi che le riferiva il motivo del suo strambo taglio di capelli.
Dopotutto, pensandoci bene, non era la fine del mondo. Era solo un taglio che, se ricordava bene, molte figlie delle sue vicine di casa avevano quando erano bambine. Niente di incredibilmente tragico, ripensandoci. E poi, quelle bambine erano ricche quanto lei e suo padre, quindi niente da temere o da vergognarsi. Il taglio, riguardandosi in uno specchio di passaggio, era fatto anche meglio del previsto e, soprattutto, a fin di bene, non per insultarla o per renderla ridicola, no, solo per toglierle dalla testa un mucchio di cotone che era prima la sua acconciatura. E, francamente, si stava annoiando anche lei di quella pettinatura.
Jackie ha fatto un ottimo lavoro, pensò, riflettendosi ancora. Ma, dopotutto, lui l’ha sempre aiutata, in ogni cosa. La primissima volta che l’ha aiutata, non l’ha nemmeno ringraziato a dovere…
Suo padre era un medico, uno dei migliori a Londra. Illustre, raffinato, patriota, fedele alla Regina più di chiunque altro. E questo uomo pieno di valori l’aveva uccisa, facendo credere a tutta Londra che Mary Ann Stewart era morta di tifo, a ventidue anni. Il perché lo sapeva, ma erano molti i perché della sua azione, allineati perfettamente come tasselli del domino, ma ve n’era uno fra tutti.
Annie Stewart uccise alla sua nascita: la madre morì di parto, l’unica persona che Vincent Stewart amava al mondo. Non avrebbe voluto allevare quella vipera dall’aspetto fastidiosamente simile a quello della moglie defunta, ma doveva, per la sua reputazione.
Riuscì a sopportarla per ventidue anni, ma un nuovo tassello si compose in quella scala di domino e Vincent Stewart lo spinse, facendo crollare i pezzi neri e bianchi.
S’innamorò di un ragazzo. Un ragazzo come tanti, virtuoso e gentile. Ma per Vincent quello era la goccia che fece traboccare il vaso: il ragazzo era figlio di un becchino, tra gli ultimi gradini sulla scala della ricchezza. Vincent lo scoprì. Vincent moriva dentro. Vincent non poteva più sopportare di perdere anche la sua reputazione medica.
Così, Vincent Stewart uccise Annie Stewart.
Di fronte agli occhi tremanti della figlia, mentre le ignettava il sonnifero che lei, all’epoca pensava che fosse veleno. La ragazza si risvegliò all’interno di uno spazio chiuso. Non riusciva ad uscire. Non riusciva a muoversi. Gridava, colpiva il legno nella speranza che qualcuno la venisse a salvare. Nessuno venne. Per ore, forse giorni, rimase a piangere e ad odiare il suo assassino che l’aveva rinchiusa in quel luogo nero e cupo. In quello spazio chiuso, Annie Stewart morì di stenti, ma con le lacrime di ira agli occhi, volendo vendetta.
La ragazza si risvegliò. Una luce bianca e forte la liberò dalla sua prigione. Riuscì a vedere il suo salvatore: la luna. Le disse solo una cosa: Bloody Mary. Non capì il significato di quelle parole. Non riuscì a chiedere altro che la luna già scomparve dietro le nuvole.
In poco tempo ricordò ogni cosa. Si guardò attorno. Era in un cimitero. Un dubbio le vorticò in testa. Si voltò e il dubbio divenne realtà. Dietro di sé vi era una lapide, con un nome inciso: Mary Ann Stewart. Guardò sotto di sé, notò di essere esattamente sopra la tomba. La sua tomba. Gridò di rabbia per minuti che sembravano ore: Vincent Stewart, forse per non creare sospetti o forse per farla soffrire prima di morire, le aveva dato un sonnifero ed Annie Stewart si era risvegliata, ma dentro la sua tomba, a morire di fame e sete.
Le urla cessarono quando udì un’altra voce oltre la sua, non disperata, ma calma, diversa, mai udita. Quella voce l’aveva sbeffeggiata, ma non era importante. Credeva di essere diventata un fantasma, un essere senza forma, bianco e neutro. Inizialmente credette che anche lui lo fosse, ma osservandolo attentamente, pensò che fosse impossibile.
“Il demonio si nasconde sotto mentite spoglie, spesso ci ingannano grazie alla bellezza” dice un passo della Bibbia. Quel giovane che vedeva la attirava e, allo stesso tempo, le intimava terrore. Era più alto di lei, vestito elegantemente, pelle bianco lattea, capelli del medesimo colore e occhi che soltanto un demone avrebbe potuto avere. Perché Annie lo credeva veramente: quello era un demone e si era presentato a lei per avere qualcosa in cambio, forse per un patto.
Il demone era gentile, si presentò col nome Jackie. Le chiese cosa desiderava, lei rispose: vendetta contro Vincent Stewart, gli disse che avrebbe dato la sua anima se l’avrebbe aiutata. Jackie la guardava, come per confrontarla. Lui rispose che non voleva anime, ma avrebbe dovuto darle altro. Chiese di averla per un anno. Col sorriso tetro e malizioso di Jackie, Annie capì. Era stata educata duramente, disprezzando i ceti inferiori, specialmodo le prostitute dei viottoli bui di Whitechapel. Ma ormai non le importava molto del dopo, ma di quel che avrebbe potuto fare al suo assassino con l’alleanza di un demone. Accettò il patto.
Jackie sapeva molte cose, tante che Annie non le credeva vere fino a quando non le vedeva lei stessa. Jackie era spesso pressante e spesso le ricordava di rispettare il patto ed Annie sempre gli dava la sua completa fiducia. Scoprirono che poteva entrare negli specchi e apparire a coloro che si riflettevano attraverso. Viaggiava in quel mondo parallelo che era diventata in seguito la sua casa. Scoprì di riuscire a modellare quel luogo a suo piacimento e di far diventare lei stessa l’incubo peggiore di Vincent Stewart.
In pochi giorni, Vincent Stewart si convinse di essere pazzo: il fantasma della figlia le appariva negli specchi, lo terrorizzava, lo trasportava all’interno di un luogo che non conosceva e che desiderava ardentemente ogni notte di fuggire da esso.
La gente di Londra capiva solo che il medico era sconvolto dalla morte della figlia. Ma dopo tre mesi, si convinsero anche loro che Vincent Stewart fosse pazzo. Mary era soddisfatta del suo lavoro, tanto da accorgersi a malapena che le occhiate maliziose di Jackie si erano, insolitamente, fermate.
Il medico migliore di tutta Londra venne portato a Bedlam, il manicomio più temuto di tutta Londra. Venne chiuso in una stanza, con una camicia di forza, senza finestre né specchi. Vincent era felice: il fantasma non avrebbe più tormentato le sue notti. Si sbagliava.
Una notte, la prima dopo settimane di pace, Vincent Stewart vide di nuovo il fantasma della figlia. Il cuore del dottore non riuscì più a sopportare tutto questo e scoppiò. Il cadavere di Vincent Stewart venne ritrovato un’ora dopo, dopo che le infermiere riuscirono ad aprire la porta, insolitamente, sbarrata. Venne trovata una scritta dello stesso dottore: Bloody Mary, la Strega negli Specchi. Così si diffuse la leggenda di Bloody Mary, ironicamente creata dal suo stesso assassino.
Annie cambiò il suo nome in Mary e ne comprese il significato.
Non aveva mai riso così tanto in tutta la sua vita, mai. Mai stata tanto felice. Smise di ridere quando il demone le sussurrò: “Non hai dimenticato qualcosa?”. La felicità divenne terrore.
Il demone la portò via dalla sua città, lontano dal suo paese, scoprendo troppo tardi di essere scappata in Irlanda. Era spaventata da quel che sarebbe accaduto fra di loro. Non aveva mai baciato un ragazzo se non il figlio del becchino, ma mai lui l’aveva toccata e mai aveva desiderato altro da lei.
La portò in una città che non conosceva, troppo cupa e con persone troppo mostruose per essere umane. La ragazza chiamò quel luogo ‘Inferno’. La portò in una casa elegante quasi più della sua, grande e scura.
Era notte fonda quando giunsero in quel luogo, in una camera da letto. Il demone iniziò a spogliarsi dicendo: “Oggi è il cinque febbraio, il patto inizia da stasera: dovrai dormire con me” e lei degluì nell’udire tutto ciò.
Le ordinò di svestirsi e le diede una camicia da notte. Ciò la confuse, soprattutto quando anche Jackie si vestì per dormire. La adagiò sopra al letto con lui sdraiato vicino. Tremava per la paura, ma non ne aveva affatto bisogno: il demone, tralasciando il modo con cui la stringeva a sé e qualche carezza durante il sonno, non l’aveva toccata. Ciò la rese ancora più perplessa soprattutto quando i giorni si susseguivano e Jackie non faceva altro che obbligarla a ballare con lei, passeggiare in sua compagnia, visitare il suo paese con lui come guida, pettinarle i capelli e tanto altro. La cosa più atroce, sempre se la si poteva definire in quel modo, che faceva era ordinarle di dormire ogni notte con lui, ma senza toccare e nemmeno guardare la sua intimità. Era troppo gentile per essere vero. I giorni passarono, così come la primavera divenne estate.
Un giorno Mary capì il comportamento strano di Jackie. Implicitamente, una sera, glielo chiese. Jackie capì e le sussurrò: “Non voglio la tua carne, voglio il tuo cuore”. Non comprese la frase se non il mattino dopo, quando si svegliò prima del giovane e questo, credendola ancora addormentata, prima di alzarsi per vestirsi, le baciò la tempia con tanto amore da essere tutto terribilmente ovvio: un demone si era innamorato di lei.
Si rese conto che non fosse infatuazione: se lo fosse stato, dopo tutti quei mesi, Jackie avrebbe rinunciato, ma lui era sempre gentile e lei non capiva il perché. Non era considerata una ragazza molto bella, ma nemmeno brutta: era una classica bellezza inglese, niente di più, niente di diverso, una macchiolina in mezzo a tante altre a Londra. Di carattere era un disastro: nessuno voleva la sua lingua acida e il suo portamento troppo raffinato. Ricordava perfettamente che Vincent Stewart desiderava renderla in sposa, probabilmente per eliminare quella vipera che si trovava in casa sua. Ogni pretendende rifiutava la proposta subito dopo averle parlato, ma a lei poco importava, il matrimonio per lei era considerato una perdita di tempo inutile. Quindi non capiva: Jackie cosa aveva visto in lei di tanto speciale?
Spesso, in quel periodo, Jackie andava via di notte. Ciò la insospettì, fino a quando decise di seguirlo, fino a giungere in quella cittadina insolita in cui vivevano. Insolita, non solo per via dell’atmosfera e delle strade cupe, ma perché avesse vita soltanto di notte, mentre di giorno i cittadini si rinchiudevano, come se fossero spaventati dal sole.
Pensò che, finalmente, il demone avesse capito di aver fatto uno sbaglio a stare dietro a lei e che avesse deciso di conoscere altre donne, si sbagliò. Trovò Jackie mentre inviava informazioni e ordini ai cittadini, come un capo fa con i suoi dipendenti e a controllare e istruire i suddetti nel preparare ciò che sembravano in tutto e per tutto dei dolci. Mary non capì.
La sera dopo tutto era come sempre, come la sera dopo ancora e quella di seguito e in poi. Jackie era sempre più indaffarato, finchè non giunsero i primi di autunno.
Mary lo trovò di nuovo un’altra notte e gli chiese il motivo di tutto ciò. Lui le raccontò la verità, su ogni cosa, anche sulla sua identità. Mary era fuori di sé, per la prima volta dopo mesi. Gli chiese il motivo per cui le aveva mentito sulla sua vera identità. In tutta risposta lui rise, letteralmente: “Non ti ho mentito: sono Jack O’Lantern, lo spirito o demone di Halloween!”. Era talmente arrabbiata che gli tirò un ceffone, il primo mai dato a Jackie e di sicuro non sarebbe stato l’ultimo.
Durante i tre giorni in cui lo spirito sparì in giro per il mondo, Mary riflettè seriamente sulla sua nuova vita. E ora, cosa avrebbe fatto? Non aveva uno scopo, non aveva un obbiettivo, non aveva nulla. Non si era mai sentita così povera in vita sua.
Jackie tornò, la trovò nella sua stanza a pensare. Jackie si sdraiò, felice, sul letto. Le disse di stendersi vicino a lui. Lei non ubbidì anche dopo che lo spirito le aveva ricordato del patto. Dopo qualche secondo, lui si alzò e si sedette vicino a lei. Con la sua felicità, le diede un piatto pieno di dolci. Lei ne assaggiò uno. Si stupì nel scoprire quanto fosse buono. Tante emozioni si ammucchiarono nel suo cuore in quel momento, tanto da farla piangere. Jackie, nonostante tutto, la abbracciò e la consolò in modo così dolce e gentile da farla addormentare.
Si svegliò qualche ora dopo, ancora con i pensieri della sera prima. Jackie la ascoltò e capì ogni cosa. Le fece una grande proposta: “Sai, Mary, potremo vivere una vita noi due. Magari non come la immagini, magari non come la desidero, ma potrebbe bastarci” troppo tardi si rese conto che era una proposta di matrimonio. Non sapeva cosa dire e per fortuna la voce di una vecchia strega risvegliò Jackie, chiedendogli di aiutarla per un’emergenza. Ma fu necessario il suo sguardo per far capire allo spirito che non avrebbe accettato.
Jackie per molti giorni divenne triste e Mary non sapeva cosa fare per renderlo felice come lo era sempre stato da quando si conoscevano. Il sei
febbraio il patto si sciolse, ma Mary non sapeva che fine avrebbe fatto da sola. Jackie le fece un’altra proposta che lei accettò: esserle assistente nella gestione della città e nel preparare i dolci di Halloween.
Così andò la sua vita e Jackie non si era ancora rassegnato alle sue continue negazioni. Sentiva che Jackie non avrebbe potuto essere suo marito. Niente da obbiettare sul suo aspetto fisico, nemmeno del suo carattere, non troppo snervante, spesso cortese e autorevole. Era lei il problema: avrebbe dovuto dimenticare il figlio del becchino, sapeva che era stupido pensare a lui, sapeva benissimo che lui era di sicuro morto e lei non poteva più riaverlo indietro, lo sapeva perfettamente, ma non riusciva a toglierselo dalla testa. Non poteva dimenticarlo, non poteva dimenticare come l’aveva amato e come avevano cercato un modo per sposarsi, per vivere lontani, solo loro due, prima che il padre lo avesse scoperto e la uccidesse.
Era ancora nel suo cuore e nemmeno Jackie riusciva a levarglielo dalla testa. E, soprattutto, non riusciva a provare gli stessi sentimenti che aveva provato con quel ragazzo. Non riusciva a vedere Jackie al posto del figlio del becchino e dubitava profondamente che sarebbe mai accaduto.
Con una scrollata di spalle non pensò più a quei ricordi. Si rese conto di essere sulla torre e di aver camminato tanto senza nemmeno accorgersene. Jackie, a parte al lavoro, non era mai stato un tipo puntuale, ma nemmeno troppo ritardatario, quindi si sedette su una roccia e aspettò. Sapeva bene cosa fare: chiedere scusa alla piccola Niki, a Jackie e dire che quella faccenda l’aveva già dimenticata e che non era dispiaciuta per i capelli. Tutto qui, niente di più, e tutto sarebbe ritornato come prima.
Con qualche secondo di ritardo si accorse della presenza di Jackie, sorridente e raggiante, forse troppo “Buongiorno, Mary”. Notò che indossava degli abiti molto moderni: pantaloni da tuta grigi, maglia a maniche lunghe del medesimo colore, scarpe sportive e vecchie. Non badò molto a questi particolari.
Lei si alzò, decisa su cosa fare “Jackie, eccoti! Buongiorno anche a te…” le parole si smorzarono notando un particolare disturbante: c’era solo lui. Dov’era Niki? Le venne un dubbio.
“Jackie, dov’è Niki?” lui fece uno sguardo simile al tipo ‘ah, sapevo che l’avrebbe chiesto!’.
“Oh, probabilmente in città con Leo e i suoi amici” le ci volle un paio di secondi per comprendere al meglio le parole. Sbattè le palpebre più volte, sperando che fosse uno scherzo o che avesse udito male.
“In città?”
“Esatto” rispose, col suo sorriso infantile e gioviale che Mary aveva sempre odiato, soprattutto perché lo adoperava nei momenti sbagliati.
“Quindi mi hai mentito…?” chiese, con la rabbia sul punto di traboccare.
“Mentito? Io ho detto che sarei venuto io, ed eccomi qui!” un lieve fastidio alle palpebre la costrinse a sfiorarsi gli occhi. Ci riflettè sopra per qualche minuto, prima di decidere di dire qualcosa.
“Jackie… io…” Jackie si avvicinò, questa volta molto più prudentemente e senza il suo sorriso.
“…uh?”
“…Ti ODIO!” disse tutto d’un fiato. Questa volta lo lego, eludo i suoi poteri per un mese e lo rinchiudo nei sotterranei insieme ai cadaveri!, pensò Mary, mentre apriva il libro e dava sfogo alla sua magia nera. Poi però si rese conto che Jackie stava scappando da lei, buttandosi giù dalla torre. Lei cominciò ad inseguirlo, facendo il suo esempio, ignorando gli sguardi terrorizzati o orripilati degli spiriti che cercavano di evitarli per sopravvivere agli attacchi dei pezzi di specchi di Mary.
“Jackie, ti ucciderò!” lo spirito di Halloween, continuando a correre per i corridoi, si rese conto di avere più di un nemico. Mary era molto lenta, allora decise di far correre qualcun altro oltre a lei: molte copie di immagini riflesse di spiriti uscivano fuori dagli specchi e dai vetri inseguendo con le stesse abilità dei loro originali il povero giovane uomo.
Per poco Jackie non venne acciuffato da un gigantesco golem d’acciaio, subito dopo si gettò fuori dalla finestra, raggiungendo con un gigantesco balzo la quinta torre dalle mille trappole.
Voltandosi vide Mary imprecare qualcosa che, fortunatamente, le sue orecchie non udirono. Questa volta l’aveva fatta franca e in grande stile! Posizionò le mani ad imbuto sulla bocca e cominciò ad urlare.
“Scusami, Mary!” in tutta risposta, la strega gli lanciò un gigantesco frammento di specchio grigio che si conficcò nella pietra neanche fosse una stalagmite di ghiaccio. Jackie la evitò in tempo e ricominciò a saltare su per le torri e a fregare nelle sue tasche per trovare gli occhiali da sole: sperava di essere ancora in tempo per il grande salvataggio.
“…Jackie! Se ti fai rivedere, ti giuro che ti rinchiudo nelle segrete…!”
…e sperò che North avesse potuto avere un’ospite in più per qualche giorno… o settimana… o forse anche per un mese o due, se necessario.
 
 
 
 
 
I tornadi erano in tempesta, più del solito in quel punto del cosmo, troppo furiosi per la sua nave.
Aveva fra le mani il timone, cercando inutilmente di cambiare la rotta per una corrente più docile. Girò con tutte le sue forze, cercando un appoggio più stabile. Un vortice particolarmente feroce colpì la sua povera nave e lo fece quasi cadere nel vuoto.
Era la tempesta peggiore mai vista. Le stesse stelle sembravano temerla nascondendosi da essa e vibrando di eccitazione.
Si rialzò in piedi, tentando di raggiungere di nuovo il timone, ma un’altra onda d’urto lo fece cadere di nuovo a terra. Quello, sicuramente, non era un vortice. Alzando gli occhi vide un altro vascello, imponente, sgraziato e ridente della sua piccola nave. La sciarpa si liberò del suo collo e la vide volare via, in qualche punto dello spazio nero.
Non vide chi guidava quel galeone, ma era sbattuto contro il rostro della sua imbarcazione. Incredibilmente, quel mostro nero continuò incurante il suo tragitto andando avanti a spaccare in due la sua nave.
Si rialzò in piedi a fatica, prima di cadere un’altra volta. Il vascello nero stava cominciando a bombardarlo con dei cannoni. Vide come il legno della sua nave prendeva fuoco, veniva percosso e sibilava dal dolore, lo stesso che provava lui stesso. La sua giubba blu sbatteva contro il vento, cercando un modo per liberarsi di lui e di fuggire via, come la sciarpa bianca e rossa.
Un altro colpo di cannone e questo fu l’ultimo: Sanderson cadde e precipitò giù nel buio, mentre la sua fedelissima nave, il Ciclone Blu, veniva trasformato in un mucchio di legna per il fuoco. Chiuse gli occhi sbarrando i denti per la disperazione. Aveva perso il suo amato veliero, un’altra volta.
Spalancò gli occhi e con uno scatto improvviso si alzò in piedi, ignorando il dolore alle gambe. Per qualche secondo ispezionò con gli occhi l’ambiente. Inizialmente credette che fosse nella sua stanza nel Ciclone Blu: anch’essa era piccola con un letto stretto gettato di lato. Dopo qualche minuto si rese conto di essere nella sua stanzetta della Casetta.
Era stato solo un’incubo.
Si gettò le mani agli occhi, avendo ancora in mente il brutto sogno. Non ne capiva proprio il significato: la sua prima morte era avvenuta troppo tempo addietro, in un luogo che a malapena riusciva a descrivere e a ricordare, perché sognava queste cose? E, soprattutto, perché veniva trascinato così profondamente nella disperazione per un ricordo sfocato e ormai dimenticato?
Rimase in quella posizione per molto tempo, le sensazioni che provava erano troppo vive per riuscire a ragionare correttamente. Aveva ancora la paura in gola per quel che gli era accaduto.
Ancora non completamente in sé, si rimise in piedi ed uscì fuori dalla stanza. Udì il lieve respirare di Mino e il sonoro russare di Farut. Di fronte a sé vide la stanza aperta di Fabiola, ma il letto era vuoto. Gli venne un’attacco di panico, ma subito dopo ricordò la conversazione del giorno prima con la bambina e si tranquillizzò, ma non molto. Fluttuò al piano di sotto e si sdraiò su uno dei divani del salotto.
Aveva molto sonno, ma non riusciva a dormire, sia per l’incubo sia per i vari pensieri accumulati dopo aver visto la camera vuota di Fabiola. Ripensandoci, sarebbe stato meglio impedirle di uscire di casa o forse solo dirle di no oppure che non fosse d’accordo col suo piano. Si girò e rigirò per tutta la notte su quell’argomento finchè non giunse l’alba e il sole cominciò a battere sui suoi occhi. Era esausto e molto preoccupato.
Fabiola che aveva in mente di fare? Buttarsi a capofitto nella folla e provare a liberare il cugino? O aveva un piano ancora più complesso? Credeva in lei, lo voleva con tutto il suo cuore. In quel mese divenne la sua scialuppa di salvataggio in mezzo a quel mare grigio. La malattia la sentiva decisamente più docile. Non credeva che Fabiola potesse essere così dolce dopo tutte quei giorni di silenzi. Spesso si chiedeva se fosse vero affetto oppure avesse un secondo scopo tutto ciò. Non era riuscito ad avere una risposta completa dal cambiamento radicale della bambina.
Quella notte, dopo il suo rapimento era sia felice per essere stato salvato e per essere stato perdonato da lei, ma, lo ammetteva, questa incertezza lo terrorizzava. Non aveva idea di cosa fare in sua presenza. Non aveva idea se fosse buona, oppure no, oppure entrambi.
Aveva scoperto che Fabiola fosse una perfetta attrice. Il giorno dopo il suo rapimento, durante la pesca insieme ai ragazzi, l’aveva presa e portata un po’ più lontano dai due e le aveva chiesto al riguardo. Sandman era bravo a capire chi mentisse, ma forse stava diventando un’incapace anche in quello. Alla prima domanda era più che certo che avesse detto la verità, ne era certo. Alla seconda, comprese che fosse una bugia soltando dopo, quando notò li sguardi agitati e tesi che Fabiola talvolta gli lanciava.
In quel mentre ebbe paura. Quanto era vera Fabiola? E quanto era falsa? Nei giorni seguenti continuò ad essere sé stesso, ma sapeva che la bambina avesse compreso ogni cosa. Non sapeva nemmeno lui quanto la cosa l’avesse spaventato nei primi giorni. Sapere è pur sempre motivo per uccidere. Se l’avesse detto agli altri ragazzi del suo gruppo, l’avrebbe ammazzato? Questa incertezza lo terrorizzava a dir poco. Dopo aver visto, il primo giorno che si ritrovò in quel Regno, dei bambini che cercavano di sparargli, l’idea che anche Fabiola lo potesse fare non gli sembrava così tanto incredibile. Soprattutto dopo aver visto la tranquillità con cui sparava col fucile.
Però gli sembrava assai insolito che potesse avere così tanta coordinazione. Era pur sempre una quattordicenne, dopotutto. Si ricordò della sera in cui vide Pitch Black presentarsi a lei. Non aveva idea di come si fossero conosciuti e non sapeva nemmeno perché fosse ferita la prima volta che l’aveva vista nella Casetta. Probabilmente Pitch stava rispettando i patti e stava riuscendo a trovare i ragazzi della festa e probabilmente Fabiola s’incontrava con l’Uomo Nero. Questa cosa lo terrorizzava ancor di più. Non poteva dire di conoscere la mente della bambina molto in profondità. Non poteva capire se Pitch Black avesse potuto corromperla per poterlo consegnare nelle sue mani. Erano tempi difficili per chiunque su quell’isola, ma Pitch era Pitch, imprevedibile. Quella sarebbe stata un’ottima occasione per ucciderlo.
Tutte queste incertezze e domande senza risposte da più di un mese lo stavano assalendo. Anche se Fabiola non l’aveva nemmeno sfiorato, man a mano che i giorni passavano, non erano spariti i dubbi. Si erano affievoliti, ma non dissolti. Stava quasi scartando l’idea di una corruzione da parte di Pitch Black, ma un doppio gioco di Fabiola era pur sempre un’opzione probabile. Lo ammetteva: spesso e volentieri preferiva non essere troppo vicino a lei.
L’unico momento, forse, era quando la bambina fosse totalmente innocente, quando dormiva. È incredibile come un’essere umano, anche se malvagio, potesse sembrare sereno e innocuo mentre era cullato dai sogni. Tutte le armature posizionate, anche per anni, durante il sonno venivano spezzate dai sogni. Ecco perché era considerato il Guardiano più forte fra i cinque, ecco perché il suo potere è immenso, anzi, era immenso. Sperava sempre che Fabiola non lo vedesse dormire vicino a lei, non sapeva cosa avrebbe pensato e cosa avrebbe fatto.
Aveva scoperto che non faceva incubi quando dormiva insieme a lei. Inizialmente credette che fosse un caso, spesso gli incubi aggrediscono coloro che dormono con nervosismo e paura, ma ben presto si accorse che non era così. Così come si accorse di cose assai insolite. Talvolta degli Incubi venivano durante la notte, probabilmente affamati. Non sempre riusciva a scacciarli via. Quando entravano nel subconscio di Fabiola, questi, dopo meno di un minuto, si autodistruggevano, non provocando alcuna emozione negativa né positiva alla bambina. Fece un altro esperimento dandole un sogno, senza toccare il suo passato. Ebbe un effetto insolito: il sogno, man a mano si affievoliva fino a che Sandman stesso ne perdeva il controllo e fuggiva via dal subconscio di Fabiola.
Non aveva mai visto una cosa simile in nessun altro bambino. Ma tutto ciò era poco importante: il sole continuava ad avanzare verso il cielo e Fabiola forse avrebbe fatto una pazzia. Lui stesso non poteva credere di non aver fatto nulla per non averla fermata. Ma era molto scosso dal fatto che la bambina le avesse detto in modo così diretto, dopo un mese di silenzio, che probabilmente qualcuno sarebbe morto quel giorno. Che qualcuno sarebbe morto per mano sua.
Cominciò a rifletterci seriamente: ma cosa aveva intenzione di fare Fabiola per salvare quel ragazzo? Non gli aveva accennato quasi nulla del suo piano, sempre se aveva un piano. Forse non sapeva ciò che stava dicendo. Non riusciva bene a capire quando mentiva e quando diceva la verità. Allora gli venne un po’ di paura: Fabiola aveva idea di cosa aveva intenzione di fare? O forse voleva lasciare tutto o la maggior parte delle cose al Fato e rischiare? Non poteva permettere un’assurdità da parte di Fabiola. Non riusciva nemmeno ad immaginarla nel salvare quel ragazzo. E in che modo, poi? E lui era stato talmente stupido da farla andare via. Abbassò lo sguardo verso la collana a forma di goccia blu che aveva al collo. Gli sembrava anche ridicolo il modo in cui l’aveva convinto a stare zitto.
E lui cosa poteva fare per impedirle un passo falso? Forse poteva controllarla o aiutarla in qualche modo. Ma in che modo? E come sarebbe riuscito a capire dove fosse? Si alzò dal divano, meno assonnato di prima. Si avvicinò al tavolo e riprese fra le mani il volantino con la descrizione del ragazzo. Lesse attentamente fino alla parte del luogo dove sarebbe avvenuta l’impiccagione. Sembrava il centro città quel ponte, non ne poteva essere sicuro. Di sicuro Fabiola sarebbe stata nei paraggi di quel vecchio ponte, avrebbe dovuto solo cercarla.
Per un attimo ripensò a quel che aveva pensato. Uno spirito malato in mezzo a tanti Cacciatori era come un topo in mezzo ad un branco di gatti. Se doveva cercare Fabiola e fermarla, allora avrebbe dovuto fare una gran pazzia lui stesso. L’idea di passare tutto il giorno in quella casa, pregando per Fabiola che ritornasse sana e salva e che non le sarebbe accaduto nulla di male, lo terrorizzava. Soprattutto il pensiero futuro che, se la bambina fosse stata ferita o, peggio, uccisa, avesse potuto fare qualcosa per aiutarla.
Fabiola aveva indossato un abito anonimo per quella missione suicida, forse avrebbe potuto fare anche lui qualcosa. Salì, fluttuando da un gradino all’altro, le scale. L’idea di aprire la porta della soffitta non lo sfiorò nemmeno. Andò nella stanza di Fabiola. Ripensò ai vestiti che indossava quando lo aveva salvato. Sicuramente li aveva conservati in camera sua, Fabiola aveva la strana paranoia di non buttare nulla né di rimettere al loro legittimo posto (in questo caso la soffitta) oggetti ricevuti in regalo o per altre ragioni. Era una strana mania, così come lo era la sua piccola paranoia dell’avere sempre ogni cosa sotto controllo e detestava molto se qualcuno toccava i suoi oggetti o non metteva in ordine le sue cose. Ma ora non era importante.
Senza pensare, aprì l’armadio, sperando di trovare dei vestiti che avrebbe potuto indossare. Per un paio di secondi non si rese conto di quel che stava vedendo, troppo preso dal piano che aveva in mente, ma poi comprese che ciò che stava vedendo non fossero vestiti ma armi. D’istinto richiuse le portiere e schiacciò la sua schiena contro di esse.
Per un attimo la sua mente fu vuota, non aveva la minima idea di cosa pensare. Perché quelle armi erano nell’armadio di Fabiola? Come c’erano finite là dentro? Perché erano lì? Anzi, forse l’ultima domanda aveva anche una risposta. Non osò riaprire le porte, troppo spaventato. Ma non era molto preso da quel che aveva visto in quel momento. Dentro di sé, lo ammetteva, se l’aspettava qualcosa del genere. Vide nel lato della stanza il baule. Si lanciò su di esso e, per fortuna, vide là dentro dei vestiti. Se prima il suo piano era una pazzia, ora era diventata la cosa giusta da fare.
Era vero: quelle persone erano dei Fantasmi, erano morti, erano persone malvagie in vita, il peggio del peggio selezionato per vivere in quel luogo, ma erano pur sempre persone, adulti e bambini e Fabiola non poteva uccidere alle sue spalle. Trovò il maglione, la sciarpa e il cappello usati da Fabiola, abbastanza grandi da stare addosso a lui. Non volle nemmeno provare i pantaloni: il maglione era sufficientemente grande da avvolgerlo del tutto.
Indossò tutti gli indumenti e rubò anche un mantello nero che se lo avvolse completamente. Probabilmente al ritorno Fabiola lo avrebbe mandato all'altro mondo per il disordine che aveva fatto nel baule. Pensò brevemente di lasciare un messaggio ai due ragazzi. Scartò subito l’idea: lo avrebbero trovato e portato con la forza nella Casetta. Sarebbe scomparso per un po’, ma ne sarebbe valsa la pena. Uscì fuori fluttuando verso il recinto della casa. Aveva scoperto che fluttuando sprecava meno energie che camminando. Per fortuna la mula di Fabiola era ancora lì, sveglia e, stranamente, sorpresa di vederlo.
Non pensò nemmeno di controllare se i ragazzi stavano dormendo o no: erano sempre abbastanza stanchi per addormentarsi immediatamente fino al mattino dopo. Aprì il recinto. Non sapeva come fare per muoverla, quindi la prese per il muso e, accarezzandola, la accompagnò lentamente fuori dal recinto. Non ne sapeva molto di animali da cortile. Lui è sempre stato un marinaio, sia d’acqua dolce, salata o dei venti del cosmo, invalicabili per molti. Non aveva avuto esperienza con gli animali di terra e dubitava di esserne minimamente capace. Però la mula gli stava ubbidendo, quindi era un passo avanti, però non sapeva come farla dirigere verso la città. Fabiola non faceva altro che saltarle in groppa e la mula, incredibilmente, le ubbidiva. Non sapeva bene come faceva.
Quindi le saltò in groppa e fin lì tutto andò nei piani, ma poi? Cosa poteva fare per dire alla mula dove andare?
“Sandman, dove vuoi andare?” sobbalzò. La mula aveva voltato la testa verso di lui e sentiva chiaramente la sua voce anziana e rauca ronzare nella sua testa e non poteva assolutamente essere frutto della sua immaginazione. Non sapeva cosa rispondere e quella continuava a fissarlo paziente.
“In città, allora?” dopo qualche secondo annuì, timoroso. La mula cominciò a trottare verso i campi di mele, abbastanza veloce. Il silenzio fra i due era assordante, soprattutto per via di così tante scoperte tutte in una volta: prima la sparizione di Fabiola il giorno prima, l’armadio pieno di armi e ora ci mancava solo una mula parlante, cosa che non aveva sinceramente mai visto prima d’ora. Superati i campi di mele, Sandman si stancò di quel silenzio e picchiettò leggermente sul capo della bestia per farla voltare.
“Chi sei tu?” chiese con un punto interrogativo. Quella lo fissò intensamente.
“Mi riconosci?” questa domanda gli fece girare la testa. Che fosse uno spirito intrappolato in un corpo da mula? Probabile. Scosse la testa, non riuscendo ad associare nessuna delle sue conoscenze all’animale con cui stava… parlando. Quella sembrava rendersi conto di quel che aveva chiesto.
“Ah, ma ti capisco: in questo corpo non riesco nemmeno io a riconoscermi e ho anche una voce ridicola… Ma questo te lo richiederò una prossima volta, forse quando tutta questa faccenda finirà e io ritornerò alla mia vera forma. Ora parliamo di cose serie: dove vuoi che ti porti di preciso e, soprattutto, cosa sta succedendo? Fabi è nei guai?” pensò che le sue supposizioni fossero esatte e che non aveva nulla di cui preoccuparsi e, anche se era abbastanza confuso dalla domanda posta prima, raccontò ogni cosa che gli era accaduto e che Fabiola gli aveva detto. La mula ascoltò con incredibile pazienza, senza inciampare durante la via.
“Non so tu, Sandman, ma credo che tu abbia torto: Fabi non è cattiva, credimi, fa queste cose, secondo me, perché è costretta. Non credo che accoltellerebbe una persona passeggiando per strada nel nostro mondo, né credo che sia pazza, forse ha qualche problema o ne ha avuti molti quando era bambina, ma non è folle. E credo anche che quel che stia facendo non sia una cosa stupida. Sono stata insieme a lei abbastanza tempo per capire che, anche se piccola, è decisamente più intelligente rispetto agli altri ragazzi del suo gruppo. È in gamba e capace. Non so cosa c’entri Pitch Black con lei, ma credo che sia tutto un caso e che tu non debba preoccuparti. Che Fabi, talvolta, sia bugiarda è vero, ma non è falsa. Se non tenesse a te, mica sprecherebbe tanto tempo in tua compagnia! È una ragazzina molto franca: se non provasse qualcosa di buono per te, allora ti avrebbe lasciato stare e tanti saluti. Vuoi tornare indietro o proseguire?” che la mula le avesse fatto un’osservazione del genere su Fabiola, proprio non se l’aspettava. Ma non voleva avere dubbi sul futuro della bambina, né voleva rimpiangerla se per caso le sarebbe accaduto qualcosa di grave. Credeva in lei, ma non riusciva ad essere tranquillo in quel momento e non rusciva a pensare di avere un dubbio del genere mentre era nella Casetta ad aspettare notizie di lei.
Non voleva perderla. Quindi scosse la testa alla mula e indicò le porte della città in avvicinamento. Avrebbe fatto una delle idiozie più grandi della sua vita, ma almeno le avrebbe fatto per il bene di qualcuno, sempre se Fabiola avrebbe accettato la sua presenza durante la missione.
 
 
 
 
 
 
Questa settimana Fabia non dormirà.
Questo fu il primo pensiero di Pitch Black dopo aver trovato, catturato e trasformato in Incubo purosangue la fenice d’oro. Dopo tutto il giorno e tutta la notte. Era completamente esausto e Fabia, dopo aver visto il suo piano in azione, l’avrebbe pagata cara. Sapeva che la forza di un sogno era pari al credo della persona che lo aveva creato e quella stupida fenice era il colmo.
Si rimise in piedi, si scrollò via con potenti scosse tutta la terra che era finita sulle sue vesti e ricontrollò dettagliatamente se l’Incubo non avesse nemmeno una traccia di sabbia dorata. Niente. Era tutto perfettamente nero, proprio come doveva essere.
Aveva i nervi a fior di pelle per tutte quelle ore di assalti a vuoto e catture andate all’aria e aveva voglia di sfogarsi con qualcuno. Era ovvio con chi. Avrebbe dovuto solo trovarla, ma non era un problema per lui: gli esseri umani avevano miliardi di sensazioni di forme diverse l’una dall’altra da persona a persona, riusciva a riconoscere le emozioni di Fabia e per lui era un gioco da ragazzi ritrovarla anche in mezzo a centinaia di persone.
Quindi, ritirò il suo premio tra la sabbia nera, divenne ombra e si recò in città. Non gli ci volle molto per mimetizzarsi tra la folla e comparire vicino al ponte, già allestito e pieno di gente in attesa dell’impiccagione. Per un attimo rimembrò i Secoli Bui. Quelli si che erano bei tempi…
Cercò per qualche minuto le emozioni di Fabia e le trovò, probabilmente nel luogo meno probabile dove una ragazzina avrebbe dovuto essere. Si teletrasportò nelle ombre sul terzo piano di un edificio. Esattamente sopra il tetto. Tipico di Fabia. La trovò sdraiata a pancia in giù con le gambe che facevano avanti e indietro, la testa poggiata sulle braccia e il cappuccio in testa. Sembrava piuttosto felice. Ma lo sarebbe stata per poco, dopo il piano. Il nero non le sta per niente bene, pensò, vedendo i suoi abiti. La picchiettò con l’indice.
“Sappi che, se per caso vedrai degli Incubi in camera tua a morderti le dita, è per via del tuo piccolo scherzo” il fatto che la bambina li detestasse non lo sorprendeva minimamente: chi amava li Incubi? Ma il fatto che lei li odiasse perché fossero cavalli e non creature demoniache lo sorprendeva. Più scopriva la mente di Fabia, più credeva che non l’avrebbe mai compresa. Quella alzò la testa, serena.
“Ah, Pitch! Sei arrivato giusto in tempo per il grande piano, sempre se sia alla tua altezza. Ah, siediti, non so cosa pensino i pagani di te, ma sarebbe meglio non farti vedere da loro: aspettano il mio segnale e mi stanno guardando” disse a lui, sedendosi correttamente, ma a gambe incrociate, come un ragazzo, questa cosa la odiò. Sapeva perfettamente che l’aspetto di Fabia ingannava molto, che fosse molto piccola di età e che quindi poteva permettersi certe cose, ma odiava quando aveva un atteggiamento troppo maschile, cosa che impersonava spesso. Anche solo quella postura era disturbante per lui. Fabia lo sapeva e, naturalmente, le importava ben poco del suo parere. Intanto lei stava visionato il cielo “…uh. Tra poco si metterà a piovere. Meglio di così non potrebbe andare! E se ci saranno dei fulmini, anche meglio!” nel frattempo si era mimetizzato nella sua ombra e osservava ciò che stava accadendo. Sul ponte, a prima vista, pensò che a guardare il futuro spettacolo sarebbero stati solo una cinquantina di persone, ma notò che, anche se sul ponte non c’era molta gente, pur sempre tra strade, nelle finestre e addirittura sui tetti, c’erano altri Fantasmi impazienti di guardare. Potevano essere anche più di due centinaia e ne stavano arrivando ben altri dalle strade e i viottoli, interessati da ciò che sarebbe accaduto. A malapena si accorse che Fabia aveva tirato fuori un binocolo e osservava altrettanto estasiata le persone sul ponte.
“Sai, ho sempre voluto fare un grande piano. Tipo… che ne so… Lara Croft di Tomb Raider, oppure Ezio Auditore di Assassin’s Creed! Mi vedo bene nei panni di Lara Croft, solo che dovrei cambiare colore dei capelli e accorciarli un po’ e… mi servirebbe anche un elastico” disse tutto ciò fra sé e sé, pettinandosi la chioma con le dita. Non aveva idea chi fossero le persone che aveva nominato, ma poco gli importava. Piuttosto era molto più interessato a quello che aveva organizzato. Fabia aveva la sua stessa abitudine di fare gran parte delle apparizioni o piani strategici in grande stile. Dopodichè avrebbe proceduto a rovinarle la settimana come meglio poteva.
“Mi interessa ben poco il tuo entusiasmo. Piuttosto, cosa hai intenzione di fare? Cosa hai progettato?” nel frattempo altra gente era giunta nei pressi del ponte e si stava ammucchiando nelle strade vicine. Fabia gli porse il binocolo, con il suo solito sorriso sfacciato di quando era entusiasta. Lui lo prese, non sapendo che farne di quell’aggeggio. Ad un certo punto sentì in lontananza un ritornello fastidioso col tamburo.
“Ecco: fra poco inizierà tutto” gli strappò di mano il binocolo (ma che problemi ha?!), si alzò di scatto, badando a pestargli una mano (Fabia, la pagherai cara!), e puntò verso una stradina poco lontana. Decise di lasciar perdere li insulti (solo per oggi, Fabia…) e guardò nella stessa direzione dove guardava Fabia. Dopo qualche secondo di attesa e di silenzio, parlò.
“Pitch, conosco la donna che suona il tamburo” disse apatica. Non ebbe il tempo di innervosirsi per questo suo cambio di espressione che ricominciò “Oh, beh, sarà più divertente il piano, a questo punto” il corteo col tamburello si avvicinò sempre più e Fabia abbassò il binocolo.
“Cosa?” lei gli lanciò di nuovo l’aggeggio e gli indicò un punto ben preciso dove guardare.
“Guarda sotto al ponte, non noti qualcosa in più?” osservò quel punto col binocolo, importandosi ben poco di rimanere nascosto. Non vedeva nulla di insolito nelle travi di legno.
“Le assi principali del ponte, Pitch. Guarda meglio” e guardò, curioso. A malapena riusciva a vedere un particolare poco importante: riusciva a contare una decina di… strani affarini di metallo. Non li aveva notati prima credendo che fossero dei bulloni o qualcosa incastrato là sotto.
“Quelle sono mine, Pitch: esplosivi. Un pagano le ha costruite insieme ad un detonatore che farà scattare grazie ad un mio segnale. Ho posizionato le bombe tra le tre travi principali. Sarebbe bastato soltanto ricoprire la prima asse centrale, ma non si sa mai. Di sicuro non tutti coloro che sono lassù sapranno nuotare o sopravvivere ad un crollo. Qualcuno sarà schiacciato sotto i massi e il legno. Inoltre l’eslosione non sarà notata, visto che l’attenzione di tutti sarà sui due prigionieri. Uh… Gianni sembra più robusto del solito o forse è una mia impressione? Che brutta faccia che ha… Sembra deluso, proprio” non lo sorprese minimamente la sua totale mancanza di compassione verso i Fantasmi. Dopotutto, lui stesso glielo aveva inculcato. Non bisogna avere la minima compassione dei nemici, devi detestarli, in modo da eliminarli facilmente uno ad uno. Era la prima cosa necessaria da imparare ed insegnare e, anche se con Fabia non era totalmente sicuro di avercela fatta (ma perché è più filosofica dei suoi coetanei…?), aveva pur sempre fatto passi da gigante con lei. Le aveva insegnato quasi ogni cosa che sapeva e, grazie anche alla sua capacità avanzatissima di apprendimento, aveva imparato a difendersi e ad attaccare velocemente, sempre se i suoi standard riuscivano a concedergliele. Era pur sempre molto piccola e, anche se agile, non poteva fare l’impossibile. Era molto forte, più della media, ma avere un’avversario di fronte a sé era abbastanza problematico. Le aveva insegnato ad attaccare di sorpresa, metodo più adatto per lei. Meglio con delle armi piccole come i coltelli, di cui sembrava avere abilità. Come alieva non era male. Era riuscita anche a mutilare quel vecchio nella locanda (si, l’aveva seguita quella volta) con assoluta precisione e sveltezza da non fargli capire quel che gli stava accadendo. Ah, se avesse l’immortalità! Le chiederei, anzi, obbligherei subito di avere un’alleanza. Potrei facilmente sopportarla e sarebbe una perfetta assassina, spesso pensava. Ma non si poteva avere tutto dalla vita…
“Pitch, mi ascolti?” intanto, notò, il corteo era appena giunto a destinazione e la gente sul ponte apriva una strada di fronte ai due malcapitati.
“Pensavo che la missione fosse quella di salvare il ragazzo, non di ucciderlo. Non vedo perché dovresti rischiare in questo modo” disse, guardando con più attenzione il ragazzo. Non assomiglia per niente a Fabia.
“Il crollo del ponte è un diversivo. So che questo ponte è particolarmente detestato per il fatto che sia molto vecchio. Perché l’abbiano usato per l’impiccagione, non ne ho la minima idea. Userò questa cosa a mio vantaggio: farò credere che il ponte sia caduto per la gran quantità di persone addossate ad esso”
“Ma così tutti cadranno in acqua! E molti moriranno annegati o schiacciati dalle macerie, l’hai detto tu stessa!”
“Infatti, io voglio che cadano in acqua e che qualcuno muoia” intanto la donna che suonava il tamburo aveva appena iniziato a fare un discorso di cui non riusciva a distinguere nemmeno una parola, sia per la distanza sia per l’interesse principale per le parole di Fabia.
“Pensaci un po’ su: se il pubblico cadrà in acqua, allora lo faranno anche i due prigionieri. Qualche cadavere sparirà trascinato dalla corrente, alcuni saranno ritrovati ma a malapena riconoscibili, altri rimarranno sepolti sotto le macerie. In questo modo, se i due ragazzi non saranno ritrovati, allora si crederà nella loro morte, anche perché i due sono legati e totalmente immobilizzati. Chi potrebbe nuotare e fuggire in quelle condizioni?” ad un certo punto si ricordò delle parole di Fabia a Sandman. Voleva che i due sarebbero stati considerati morti. Ecco cosa aveva in mente!
“Ma come si libereranno dalle funi e come fuggiranno in acqua?” il discorso sembrava lungo e monotono e fu grato che fosse interessato ad altro in quel momento.
“In acqua ci sono delle Sirene” sussurrò vicino a lui, come se fosse un segreto importante “Sono riuscita ad avere la loro partecipazione. Prenderanno i ragazzi in acqua e li porteranno velocemente via, lontano dalla città. Non credo che ci sia da preoccuparsi per la loro salute: mio cugino è un’esperto nuotatore, l’altro è uno spirito, quindi non gli servirà respirare, inoltre so che le Sirene li tratteranno bene. La loro regina era piuttosto presa dalla missione, il perché non lo so. Per quanto riguarda le corde, ho incontrato il terzo arciere migliore mai esistito nell’Antica Grecia e gli ho chiesto di nascondersi in uno degli appartamenti laggiù e di scoccare una freccia alla corda che avranno al collo. Questo è il mio piano, Pitch Black. Il tuo sguardo interessato mi dice che ho fatto, anzi, farò un buon lavoro” non si aspettava di peggio da lei, in effetti. Ma non glielo avrebbe mai detto, mai. Era piuttosto orgoglioso di questo piano, anche se i suoi insegnamenti non erano serviti per arricchire il cervello di Fabia. Un tuono trapassò il cielo. Forse anche il tempo atmosferico avrebbe contribuito a seppellire le tracce di una fuga. E lui che temeva una sorta di piano suicida poco studiato! Ma non era il tipo che si complimentava con lei. Piuttosto, era meglio cercare il pelo nell’uovo.
“E questi soggetti avrebbero accettato le idee di una bambina? Non hai pensato a quel che accadrebbe a loro, in seguito?” lei si mise in piedi, probabilmente il momento era quasi arrivato.
“Hanno detto che fuggiranno nelle fogne, come hanno spesso fatto quando viaggiavano per, voglio dire, sotto la città. Non ho obbiettato nulla. Ammettilo, Black, questo piano è perfetto!” ora il suo entusiasmo era un tantino oltre la media per i suoi gusti. Beh, glielo concedeva solo fino a quella notte. Avrebbe voluto trovare un solo piccolo errore, ma anche un contrattempo era più che sufficiente. Revisionò mentalmente il piano di Fabia e, lo ammetteva ora, era ben studiato nei particolari. Ma notò qualcosa di insolito in secondo piano. Non ne fu certo fino a quando non prese per le mani il binocolo e lo vide per bene: la mula di Fabia, con qualcuno in groppa. Ma chi…? Quel… tizio... dopo aver collocato la mula in una stradina vicina, aveva cominciato lentamente ad infilarsi nella folla. Ma, nonostante la statura, era piuttosto visibile. Non fu certo della sua identità fino a quando non lo vide voltarsi lentamente e mostrare un frammento di viso. Pitch, involontariamente, sorrise.
“Veramente, Fabia, il tuo piano è fallibile, se guardiamo questo imprevisto” detto ciò, porse il binocolo a Fabia e le indicò il punto in cui vi era il problema. Fabia, dopo qualche secondo con l’aggeggio in mano, lo tolse dagli occhi con un’espressione fredda. Aveva realizzato ogni cosa. In quel momento gli venne in mente una piccola grande curiosità.
“Fabia, sai che fra poco il piano avrà inizio…” disse, con voce falsamente mielata. Vide Sandman avanzare tra la folla sul ponte. Se prima vi era una minuscola possibilità che l’Omino dei Sogni cambiasse idea e tornasse indietro, ora era improbabile “…sono proprio curioso di sapere chi dei due si salverà, piccola: tuo cugino o Sandman?” lei non staccava lo sguardo dall’omino di sabbia che cercava di mimetizzarsi fra la folla. La donna che stava dirigendo il discorso fece segno agli uomini di legare le corde ai colli dei due ragazzi. Fabia era impassibile.
“…?”
“Non capisci? Non ricordi il tuo grande piano?” la sbeffeggiò “Se farai il segnale di far partire la missione, il ponte esploderà, tuo cugino si salverà, ma Sandman, probabilmente, annegherà. Ti ricordo che è malato e non credo che in mezzo a tutta quella gente avrà soccorso” Fabia era ancora impassibile “Oppure potresti non inviare il segnale, facendo in modo che il ponte non esploda, Sandman non rischi la vita, ma tuo cugino verrà impiccato e morirà” spesso immaginava che Fabia fosse fatta di porcellana: tralasciando l’insolito colore di pelle, un’essere umano non avrebbe potuto tenere gli occhi immobili e insensibili per così tanto tempo e con un volto così scuro!
Finchè accadde. Udì tra il palato e la lingua un retrogusto amaro e sabbioso. Apparve all’improvviso e quel sapore orrendo non cessava di crescere fino a quando non avanzò e si scontrò con la gola. Istintivamente sbattè il palmo della mano contro la bocca. Cosa fosse era ovvio: la paura di qualcuno. Con gli occhi non vide nessuno che potesse collegarsi al terrore che stava assaggiando e che, incredibilmente, voleva che la smettesse di provare: troppo amara e salata, come avere della sabbia e dell’acqua di mare in bocca. Ad un certo punto abbassò gli occhi di fianco a sé. Fabia non aveva mutato espressione, eppure quello sguardo apatico gli parve molto diverso dal solito. Intese. Cercando di dimenticare il sapore disgustoso, ridacchiando, si chinò vicino alla bambina che, ovviamente, continuava a fissare quel punto preciso del ponte. La prese per le spalle e la scrollò.
“Fabia, Fabia, ma cos’hai? Ti capisco: non hai mai avuto l’occasione di fare una scelta molto più grande di te e ne sei spaventata” lei non sbattè nemmeno le palpebre “Fabia, ti do un aiuto. Ora pensa insieme a me: tuo cugino, lo vedo da qui, è un ragazzo forte, con una vita di fronte a sé e ne ha tutto il diritto di viverla, non trovi? Invece Sandman, anche se vivrà per l’eternità, è pur sempre malato, forse non sopravvivrà alla malattia e non credo che…”
“…sei un’egoista” disse lei, con voce vacua, ma decisa.
“C-cosa…?” chiese lui, sinceramente confuso. Fabia non l’aveva mai insultato, non così direttamente, non per un motivo che non comprendeva.
“Pensi solo ad uccidere Sandman e i Guardiani, ti importa poco di…” chiuse la frase in quel modo. Ma Pitch udì solo la prima parte di frase. Sbuffando si rimise in piedi.
“E cosa ti aspettavi, piccola? Sono pur sempre l’Uomo Nero, questo è il mio obbiettivo!” lei rimase impassibile “E poi, comunque, ti ho fatto un breve riassunto della realtà dei fatti. Non esiste la scelta ‘giusta’ e la scelta ‘sbagliata’. Esiste solo quale sia la scelta migliore! In questo caso la scelta migliore è tuo cugino, Fabia. Oltretutto, tu cosa c’entri con Sandman? Sandman che cosa c’entra con te? Fabia, ascoltami, quel ragazzo è tuo cugino. Fa parte della tua famiglia, tu gli vuoi bene e stai praticamente facendo un attentato per salvarlo. E Sandman cosa ha fatto per te e cosa farebbe mai per te appena ce ne saremo andati da questo posto? Ti dimenticherà subito, Fabia. Sei solo una fra i tanti bambini di questo mondo e nessun spirito esistente potrebbe ricordarne tutti. Anzi, tu non sei più una bambina, se non ora, fra un anno o due diventerai una donna e tu non sarai più fra i suoi ricordi” l’impassibilità di Fabia cominciava ad innervosirlo. Sul palco dei giustiziati, notò che la donna che prima aveva il tamburo con sé stava sussurrando qualcosa al cugino della bambina. Sandman si era posto circa al centro del ponte, vicino al palco.
“Beh, dovrai comunque scegliere, Fabia: il tempo stringe. Tuo cugino o Sandman?” la donna con la giubba da sergente rosso sangue guardò entrambi gli uomini e fece segno di alzare le corde. Fabia fece scattare la testa verso i suoi occhi.
“Entrambi!” detto questo fece un segno con la mano che, senza alcun dubbio, a prima vista sembrava un segno di saluto ad un amico lontano. In quel momento accaddero in contemporanea tre cose.
La prima: una sorta di fulmine (che poi comprese di essere una freccia) colpì le corde dei due ragazzi, distruggendole. La seconda: le travi di sostegno del ponte ceddero e il ponte stava velocemente crollando. La terza: Fabia gli aveva lanciato in grembo il binocolo e, di corsa, stava correndo di fronte a sé, sui tetti, verso il ponte. No, stava correndo verso il fiume, dov’era caduto Sandman e dove le rapide erano più forti per via della pioggia che stava iniziando a cadere dal cielo. Pitch, realizzando ciò, strabuzzò li occhi e il fiato gli mancò. Ricordò un giorno soleggiato, vicino ad una foce del fiume, dove lui e Fabia si stavano allenando.
 
 
“Fabia, cosa diavolo stai facendo? Attraversa il fiume!”
“Non posso”
“Ma perché? Perché sei arrabbiata, piccola? Non dirmi che hai paura dell’acqua?”
“…no”
“Aspetta… Fabia, tu sai nuotare, vero?”
“…”
 
Si mise una mano fra i capelli, sinceramente scosso. Le correnti del fiume erano decisamente troppo forti anche per coloro che erano in grado di nuotare, inoltre l’acqua era piena di detriti di ponte che avrebbero potuto colpire Fabia e, se non stordirla, ucciderla. Ebbe un attacco di panico, soprattutto quando la vide saltare dal tetto di una casa particolarmente inclinata verso il fiume. Sparì dalla sua visuale.
Oh, no.
Le persone stavano velocemente scendendo dai tetti e coloro che si trovavano vicini alla strada erano in preda al panico. Si udivano urla, schiamazzi e grida di aiuto. Pitch si tramutò in ombra e si sporse verso il tetto, avendo la conferma che Fabia fosse sparita in acqua. Per qualche secondo rimase lì ad osservare il punto in cui era scomparsa, mentre alcune persone stavano chiamando le guardie color rosso sangue per avere aiuto.
Pitch continuava a fissare quel punto dell’acqua.
Perfetto! E adesso come farò a farle scontare la pena per la fenice, se morirà?!, pensò Pitch.
 
 
 
 
 
 
Ancor prima di riprendere completamente i sensi, vomitò tutta l’acqua che aveva nei polmoni. Sputò e tossi, finchè il suo corpo non gli ordinò di smetterla.
Mosse le braccia, stanche ed esauste. Non aveva ben capito né ricordava cos’era accaduto. Ricordava solo l’acqua e… forse era morto. Era un’opzione plausibile, soprattutto perché l’acqua, sin da quando era malato, era diventato il suo veleno. Ora ricordava: il ponte era crollato e lui era caduto nel fiume.
Spalancò le palpebre. Era in un bosco, sulla riva. Non era morto. Quasi si dispiacque per ciò. Richiuse immediatamente gli occhi, diventati pesanti. La pioggia gli martellava le orecchie e gli impediva di pensare. Il fiume era arrabbiato e pressante, tanto che, con le sue onde, lo spingeva e lo urtava, indispettito dalla sua presenza.
Avvertì con le mani qualcosa di viscido che si muoveva sul suo maglione. Sobbalzò, spalancando gli occhi. Erano alghe. Che s’intrecciavano su tutto il suo corpo e lo stringevano forte, tanto da impedire alla sua sabbia di mischiarsi con l’acqua dolce che tentava di rigettare quel cumulo di sporcizia fuori dal fiume.
Si calmò. Com’era possibile che quel ammasso di alghe lo avesse avvolto in quel bozzolo verde? Era assai insolito, soprattutto perché alghe di quel genere, lo sapeva per esperienza, sorgevano nelle acque salate. Era certo che fossero di quel tipo. Inoltre, era impossibile che lo avessero avvolto in quella maniera protettiva, tanto da coprirgli addirittura i capelli e il viso. Si ricordò di Yaja. Durante il viaggio avevano parlato anche della sua malattia e di come si era sentito male al contatto con l’acqua e dell’insolita cicatrice sulla guancia.
Non volle pensarci. Nonostante il presunto intervento della mula, comunque dell’acqua era entrata nella sua sabbia e, oltre a sentire piccoli aghi trapassarlo, udiva grandissimo dolore alle spalle. Decise di uscire totalmente dall’acqua. Iniziò a trascinarsi con le braccia. Era incredibilmente pesante. Aveva il fiato corto. Trattenne il respiro fino a quando non fu certo di essere uscito completamente dall’acqua. Le alghe lo lasciarono andare e il bozzolo dove aveva viaggiato sparì in acqua.
Cadevano proiettili dal cielo. Gli fecero male, ma erano incuranti di lui, continuando a balzare sulla sua sabbia. Cacciò via un gemito di dolore. Quelle gocce erano letteralmente proiettili. Non volle più che scendessero sul suo collo e all’interno del maglione. Il cappello e il mantello erano spariti.
Si trascinò ancora un po’, fino a raggiungere i piedi di un sentiero. Non calcolò che un albero lì vicino, racconta l’acqua dalle foglie, avesse poi lanciato una piccola cascata sui suoi capelli, rendendo ancora più atroce la sua sofferenza. Appena spostò il suo capo da un’altra parte, fece sprofondare la testa nei suoi pugni e le lacrime abbandonarono i suoi occhi. Quel dolore alle spalle era diventato ancora più assillante. Era incredibile vistala situazione, ma bruciava. Lo ustionava dall’interno e non lo abbandonava. Cercò di muovere le spalle, ma il dolore, anziché cessare, aumentava a dismisura.
Non uscivano nemmeno dei gemiti dalla sua bocca. Non sapeva cosa fosse quel dolore, ma era impassibile e voleva ucciderlo. Divenne sordo di un orecchio, sentiva dentro di sé un frastuono insopportabile. Era impazzito. Era più pazzo di Fabiola. Che cosa aveva in mente? Non era più forte. Era ancora un ostacolo e non un aiuto. Che cosa voleva dimostrare? Di poter fare ancora il suo compito efficientemente, nonostante lo sua inutilità? Perché era uscito di senno in quel modo? Cosa stava cercando di fare?!
Si sdraiò sulla schiena, ma il dolore si ampliò ancora di più. Le lacrime uscirono con più velocità. Non pensò nemmeno a quel che era successo sul ponte, non voleva pensare ad un altro suo fallimento. Voleva soltanto che, qualsiasi cosa avesse alla spalla sinistra, potesse, per tutti gli Dei, smettere. Per tutto il tempo aveva sbarrato le palpebre. Era buio: palpebre aperte o meno, non aveva importanza. In lontananza sentì un tuono. Per un attimo il cielo si colorò di giallo. Si concentrò su quei suoni nel cielo, tentando di distrarsi. La spalla faceva ancora male, ma sembrò passare piano piano. Continuò a fare dei respiri profondi. Il dolore stava passando velocemente. Santi Dei, vi ringrazio!, pensò, continuando a piangere. Dal dolore sordo, divenne però pungente, ma era comunque molto più sopportabile del bruciore di prima.
Qualcosa cadde a pochi centimetri sopra la sua testa. Spalancò gli occhi per la sorpresa. Le lacrime gli impedivano di vedere chiaramente, ma a prima vista vi era qualcuno che lo osservava, ansimante. Chiunque fosse, respirava con affanno. Dai lunghi capelli uscivano grosse gocce d’acqua che gli inondavano il viso. Il respiro affannato di Fabiola si mischiava col suo. Entrambi tremavano dal freddo.
“...Eccoti…!” non ricordava di aver mai sentito la sua voce così inclinata. Si accorse che i suoi capelli stavano gocciolando su di lui e tentava boccheggiante di lavargli il viso. Aveva molte cose da dirle, ma nessuna sembrava essere molto importante in quel momento.
Stai bene?” era la cosa più stupida che gli fosse venuta in mente, ma comunque la più adatta. Il boccheggiare di Fabiola divenne meno potente. Ad un certo punto la bambina afferrò in una morsa la sua testa, come per impedirgli di muoversi. Le sua labbra morsero esasperati la piccola cicatrice che aveva alla guancia. Poi passarono a baciarlo in un punto di confine fra le sue labbra e la guancia. Troppo vicino alle labbra. La sua testa si alzò di scatto e sbattè il corpo di fianco al suo. Non ebbe il tempo di pensare a ciò che era accaduto che udì dei singhiozzi vicino a lui. Ricordò che Fabiola non piangeva mai. Per lei era simile ad una vergogna. Il suo sguardo si posò sul suo ciondolo, lasciato dalla bambina. Era ancora lì, al suo collo.
Tentò di rimettersi in piedi e ci riuscì. Dall’alto in basso guardò in volto la bambina, o quel che riusciva a vedere. Si vergognava delle sue lacrime: si copriva il volto con il braccio, ma riusciva a vedere chiaramente il pianto.
“Tu vuoi uccidermi! Non ho mai avuto così tanta paura…! Sandman!” urlò quando iniziò ad abbracciarla e a baciarle la fronte e le guance a sua volta. Tu vuoi uccidermi! Io non ho mai avuto così tanta paura, Fabiola!, voleva gridarle, ma non ebbe né il coraggio né la forza per farlo. Esplose in lacrime anche lui. Non aveva mai pianto così tanto in vita sua, nemmeno durante le sue missioni nello spazio cosmico, nemmeno durante i Secoli Bui, nemmeno quando, durante l’ultima guerra, fu trasformato in sabbia nera. Non aveva mai pianto così tanto per una persona. Non aveva mai avuto un legame come quello che stava cucendo con Fabiola. Ma era normale: lui non è mai stato un tipo per le amicizie strette. Né Sanderson lo era stato né Sandman lo è.
Per quanto tempo rimasero abbracciati e a piangere, non lo seppe mai. Qualcuno gli fermò. Quel qualcuno lo fece cadere sulla schiena e lo stesso qualcuno si accanì su Fabiola, soffocandola con un fazzoletto. La stringeva così forte che temeva che le avrebbe spezzato il collo. Fabiola, dopo varie ribellioni, non si mosse più. Quel qualcuno si lanciò poi su di lui, premendogli lo stesso fazzoletto sul naso. Aveva un’odore pungente, il suo naso bruciava e la testa girava. Perse i sensi e ci fu il buio.
 
 
 
 
 
 
Sentiva i nervi gridare ancor prima di svegliarsi totalmente.
“Si, esatto… Ci sono due spiriti qui… Si… Subito!... Esatto, ho bisogno che li prendiate e portate al Centro… Alla periferia della capitale… Si, e venite subito!... Si, va bene, usate la macchina, ma venite subito!... Ecco, finalmente!...” la donna con la giubba rossa chiuse la chiamata. Con gli occhi vagò attorno. Non capiva bene dove fosse: poteva essere una villa, ma non ne era del tutto sicuro. Senza alcun dubbio erano in una sorta di studio con librerie, sedie e una scrivania ordinata. Si sentiva molto confuso.
“Un telefono, dei cellulari e una macchina? In quest’isola non ho mai visto qualcosa di più moderno” non si era reso conto che Fabiola fosse di fianco a lui. Era legata. Non erano corde, ma manette di acciaio. Aveva dei lacci di cuoio che le serravano le braccia dietro la schiena, anche per le gambe. Sembrava facesse fatica a respirare per colpa di tutte quelle precauzioni e Sandman per ciò deglutì. Anche lui non era da meno, ma solo le sue mani erano bloccate e non aveva tutti i lacci che aveva la bambina. La donna si voltò verso Fabiola.
“Certo, non tutti se lo possono permettere: soltanto chi lo merita può avere tutte queste comodità. Beh, Santarcangelo, non sai quanto sia tentata nel volerti infliggere ciò che ti meriti” Fabiola sembrava stanca quasi quanto lui stesso. Per un breve attimo si chiese se loro due si conoscessero.
“Non ricordo di avervi mai fatto del male…” rispose, seccata. La donna si avvicinò ancor di più. Sandman rabbrividì. Era arrabbiata. Si chiese quanti frammenti di conversazione fra le due si era perso.
“Hai vuoti di memoria, Fabiola? Mi hai recando la più grande umiliazione della mia vita. Come minimo, per le convenzioni sociali di questo Regno, dovrei recarti qualche mutilazione o uccidere qualcuno a te di molto caro. Potrei cominciare da lui, per esempio. Eravate quasi carini voi due abbracciati sotto la pioggia” disse, notando la sua presenza e fulminandolo con lo sguardo. Ebbe un brivido di terrore quando la donna iniziò a squadrarlo da capo a piedi “Oltre che essere un coso, te la fai anche con i nani. Non mi aspettavo di meglio da te, Santarcangelo” lo disturbò il modo in cui sottolineava in continuazione il suo nome o cognome, con leggere ma disturbanti pause da una parola all’altra. Fabiola era adirata. Aveva imparato molto velocemente li stati d’animo della bambina. Non li si notava dai volti quasi completamente impassibili. Notò la sua grande rabbia per via di un lieve scatto alla narice sinistra. Era molto arrabbiata, ma non lo dimostrava.
“Per prima cosa: ciò che riguarda quel che pensi di noi due non mi importa quasi per niente, oltre che è tutto falso. Secondo: sarà anche un coso, ma è un coso con dei sentimenti. E per ultimo: per lo meno ha un’età superiore alla mia, Forlì. Sinceramente mi sono stufata di questa incarcerazione, Forlì. Quindi, mi faccia un piacere: mi liberi e restituisca la mia borsa e la spada, così vi potrò sfidare, uccidere e fuggire via di qui” disse, tutto d’un fiato, apatica come solo Fabiola potrebbe fare. La donna ebbe uno scatto all’occhio sinistro. Sandman volle con tutto il cuore che la bambina avesse potuto stare zitta. Potrebbe farle del male, pensò.
“Zitta, puttanella!” Sandman sobbalzò per il tono di voce “Sin dall’inizio, queste per me erano faccende private! E tu le hai rese pubbliche di fronte a tutta Napoli! Sei un demone del cazzo, Fabiola!” nonostante la voce alta e rapace, Fabiola, con degli occhi dolci come il miele, inclinò la testa di lato e sorrise, talmente tanto amabilmente da sembrare un riso maligno.
“Certo, perché a voi piacciono, li angeli” disse, con voce altrettanto mielata. Un calcio secco la prese allo stomaco. Inorridì quando la donna cominciò a pestarla, ignorandolo completamente. Il Fantasma continuò a calciarla, di fronte ai suoi occhi. Vide sul tappeto del sangue. Fabiola stava sputando delle macchioline rosse. Continuava a colpirla, imperterrita, mentre i suoi stivali si macchiavano di rosso. Sentiva i vestiti della bambina strapparsi. Si risvegliò appena vide che la donna stava maneggiando un coltello. Sandy cercò di strisciare vicino a Fabiola per tentare di difenderla. La donna, in preda all’ira e distratta da lui, gli diede un pugno sul capo e cadde all’indietro. Non seppe per quanto tempo perse i sensi, ma, riaperti gli occhi, la donna si era allontanata dalla bambina e aveva cominciato a scatenare la sua ira sul telefono. Fabiola era sanguinante, soprattutto in bocca. L’aveva conciata malissimo e lui non aveva fatto niente per impedirlo. Gattonò vicino a lei.
Un occhio era socchiuso. La gamba inclinata male. Il naso gocciolante di rosso. Bava e liquido purpureo alla bocca. Schiena abbandonata all’indietro. Vari tagli di coltello sull’abito e sul viso di cui uno particolarmente profondo lungo la fronte. Macchie di sangue grandi quanto un pollice spiccavano sul pavimento chiaro.
Perdonami” supplicò. Era tutta colpa sua. Aveva fatto lui quella stupidaggine. Era lui il pazzo. Fabiola, sorprendentemente, cominciò a ridere. Faceva fatica: più che una risata sembrava un’attacco di tosse. Anche i denti erano affogati nel rosso. Riusciva addirittura a vedere la canotta bianca sotto l’abito strappato.
“Sandy, francamente, è meglio che si accanisca su di me che su di te” disse, cercando di imitare i suoi soliti sorrisi. A Sandman venne la malsana idea di strapparsi i capelli per la disperazione.
“E poi, è vero: le ho praticamente rovinato la vita a Napoli” notò il suo sguardo interrogativo. Fabiola lanciò un’occhiata alla donna che sbraitava al telefono, prima di continuare “Lei è… no, era la mia professoressa di inglese” rimase più che stupito “Non riuscirei a raccontarti la storia nei particolari: è troppo complicata. Ti basti sapere che io avevo appena iniziato il liceo, ma visto che alle medie ho avuto l’opportunità di imparare ogni materia per un anno in più, mi sono trovata a tredici anni nel quinto ginnasio del liceo classico. Però notavo delle cose strane nella mia prof: dei voti troppo alti per alcuni ragazzi, sempre maschi, degli sguardi d’intesa tra lei e gli studenti e tanto altro ancora. Si mormorava in giro che ci fossero delle raccomandazioni, quindi la faccenda l’avevano tutti archiviata. Però un giorno, non ti dico le dinamiche, ho trovato la professoressa mentre stava avendo una relazione a tutto tondo con alcuni dei suoi alievi preferiti e che in teoria avrebbero dovuto avere cinque in inglese. Io che ero lì, avevo scattato foto e fatto video. Non dissi nulla per molti mesi: i ragazzi volevano voti alti e avrebbero fatto di tutto per averli e la prof non voleva una vita noiosa. Non valeva la pena intervenire. Però la cosa ha cominciato a non andarmi giù quando questa prostituta aveva cominciato ad ammiccare un po’ troppo spesso a mio cugino…” avrebbe anche continuato con la sua storia, ma la donna dietro di loro prese uno scrigno di legno e lo lanciò alla tempia di Fabiola. Un tonfo secco si udì alla testa della bambina che cadde all’indietro macchiando di piccole gocce scure il muro dietro di loro. Sandman strisciò e si parò di fronte alla bambina, per proteggerla. L’Omino dei Sogni strabuzzò gli occhi vedendo un rivolo di sangue fluire dalla tempia di Fabiola.
“Non ti ho dato il permesso di spifferare i miei affari privati anche agli spiriti, Santarcangelo
“Non credevo che per una vecchia fosse lecito tentare di approfittarsi di un ragazzo di sedici anni senza avere il consenso dello stesso, Forlì” quest’ultima affermazione sembrò toccare nel profondo la donna. Sandman pregava con gli occhi la bambina di tacere. La ucciderà, se continuerà a parlare!, pensava meccanicamente.
“Scusa, è una mia colpa se tuo cugino è un bel ragazzo?” questa dichiarazione sembrò far uscire di senno Fabiola. I suoi occhi mandavano scintille di ira.
“Se narcotizzate, legate e provate a violentare il ragazzo, sì, che è una colpa!” tra mani della donna c’era il telefono e Sandy ebbe la gran paura che quell’arnese di ottone sarebbe stato gettato anch’esso sulla fronte di Fabiola.
“Hai reso pubbliche quei video e quelle foto per tutta Napoli! Mi hanno sporto denuncia minimo dieci famiglie! È stato un miracolo che il Ministero mi abbia concesso questo ultimo viaggio per l’America! Fortuna che in Italia la giustizia, giustamente, è corrotta. Mettendo per ipotesi l’idea che noi non fossimo stati portati su quest’isola, non mi avrebbero comunque rinchiuso in prigione” per un attimo Fabiola abbassò il capo. Si udirono dei singhiozzi. Non ebbero il tempo di comprendere se fosse in lacrime che la bambina gettò la testa all’indietro e, con una risata allegra e strafottente, continuò a parlare.
“Ma prof! Voi non avete capito niente! Io vi voglio umiliare, la prigione è poco importante. Voglio che nessuno vi guardi più in faccia per la vergogna, voglio che diventiate lo zimbello di tutta Napoli, voglio che nessuno vi desideri più, Forlì. Lo sa tutta Italia che nessuno va in prigione. Seriamente, professoressa, mi liberi e mi dia la borsa: non sa quanta voglia ho di spararle in fronte” la donna sembrò desiderare di evaporare nell’azoto. Coi denti in fuori si avvicinò alla figura decisamente poco minacciosa di Fabiola. Sandman stava già iniziando a parare il colpo al suo posto che il telefono squillò con insistenza. La donna ignorò completamente i due e si diresse con passo pesante verso l’arnese infernale, lasciando sotto le suole delle macchie rosse, sangue di Fabiola. Sandman era terrorizzato, per la bambina.
Perché continui a parlarle?! Ti farai solo del male!” Fabiola, per la prima volta durante tutto quel tempo, lo guardò seriamente. Il sangue le fluiva ancora, senza smettere di imperlarle di rubini la bocca e la fronte.
“Sandman, devo dirtelo per il tuo bene: non so cosa ci accadrà e non credo che ce la faremo. Credo che questa volta sia finita per davvero. Abbiamo fatto Game Over, Sandman...” ritornò lo sguardo apatico. Per un attimo il mondo attorno a Sandman divenne muto. Cominciò a scuotere la testa, terrorizzato. Poi, però guardò Fabiola e vide qualcosa che, sinceramente, non aveva mai visto in lei.
Tu hai paura” Fabiola vide il messaggio. Non mutò espressione.
“Non per me, Sandy, ma per te” il suo cuore, nascosto sotto tutta quella sabbia fece un rimbalzo per lo sconforto. A Fabiola importava ben poco di sé stessa, per questo non aveva mai avuto paura di morire. Era una consapevolezza che lo rendeva vuoto, anziché pieno di terrore. Per molto tempo entrambi rimasero in silenzio. Ad un certo punto Fabiola lo guardò, per davvero, e non con occhi spenti.
“Sandy, potresti, per favore, avvicinarti ancora di più?” si rese conto per davvero solo in quel momento di essere sulle sue ginocchia e per li standart di Sandman, quella era anche un’avvicinanza troppo ristretta. Ma fece come chiese e si avvicinò fino a rimanere seduto in grembo alla piccola.
“Chiudi li occhi” ad un certo punto avvertì una certa tensione per quella vicinanza. Sentì un brivido di nervosismo all’interno della sua sabbia.
“Per favore, Sandy…” ricordò che non riusciva mai a capire cosa desiderasse la bambina. Non riusciva mai a comprenderla pienamente. Sentiva sempre di essere ad un passo dalla soluzione, ma qualcosa all’interno di lui glielo impediva sempre. Ubbidì anche a quest’ordine. Aveva paura e non capiva il perché. Dal buio delle sue palpebre, sentiva chiaramente il singhiozzante respiro di Fabiola e il suo profumo di arance tra i suoi capelli, molto vicino. Troppo vicino. Per un attimo la consapevolezza di quel che voleva fare lo travolse e gli fece aprire di scatto gli occhi.
Un boato percosse tutta l’abitazione, distruggendo la grande vetrata di fronte la scrivania e facendo vacillare il pavimento. Tutti e tre si voltarono verso il fragore che proveniva fuori. La donna, scioccata, corse verso il vetro spaccato e vide quel che i suoi due ostaggi non potevano nemmeno immaginare. La macchina con cui i suoi due inferiori dovevano trasportare e portare via i due prigionieri si era schiantata e distrutta completamente contro il muro della sua abitazione. Con la coda dell’occhio vide delle braccia e delle gambe scomposte fuoriuscire dal veicolo. Era in preda alla confusione.
Dal folto del bosco, come se nulla fosse, apparve un giovane. Quello, camminando con lentezza e ignorando totalmente la macchina sfasciata, si avvicinò sempre più alla finestra dove risiedeva la più che sconvolta Forlì. Quello sorrise. Si accorse solo in quel momento che aveva smesso di piovere.
“Buonasera, signora” disse, educatamente e con un inchino. La donna rimase ancor più che sbalordita per il fatto che indossasse occhiali da sole nonostante stesse piovendo e fosse ormai buio.
“Cosa c’è?!” urlò con uno strepitio nella voce. Nella macchina vicino al giovane uomo cominciò ad uscire fumo, finchè ci fu un’esplosione che illuminò tutta la villa. La donna si accasciò a terra per lo spavento, ma l’altro, incredibilmente vicino alle fiamme, sembrava non averne timore, come se non si fosse nemmeno accorto della loro presenza.
“Mi perdoni per l’orario,” disse cortesemente, ignorando il tremore della donna “ma sto cercando una bambina e uno spirito color oro” la donna, dimenticando di mascherare il suo nervosismo, strabuzzò gli occhi. Lentamente si volse verso i due prigionieri legati sul pavimento. Intanto il giovane proseguì, provocando la più che giustificata paura nella donna.
“La bambina è bionda, pelle lattea e occhi chiari. Sembra un angioletto, ma in realtà è un vero terremoto” continuò a parlare, sempre sorridendo. Ad un certo punto smise di parlare e, come se notasse soltanto in quel momento una bizzarria nella sua interlocutrice, cominciò ad osservare i movimenti terrorizzati della signora. Il suo sorriso si allargò. La donna non riusciva a capire come riuscisse a rendere un sorriso da innocente a maligno.
“Capisco…” disse fra sé e sé. Iniziò a correre velocemente verso di lei, fino a raggiungerla aggrappato alla finestra. La signora, sconvolta nel profondo, corse vicino ai due prigionieri, accurandosi di prendere la pistola dal tavolo. Ma siamo al secondo piano! Saremo a minimo sei metri da terra!, pensò. Il giovane, sempre con un’inchino, entrò nello studio.
“Perdonate la sgarbatezza, signora, ma dovete restituirmi la bambina e lo spirito” la Forlì impugnava la pistola come un bambino che cercava di impugnare una spada. Aveva il terrore che le scorreva nelle vene. Cercò di darsi sicurezza, nonostante l’arma nelle sue mani tremava insieme al suo corpo.
“Ah, sei solo un gentiluomo che si traveste da moderno. Pensavo di peggio, immaginando le compagnie che frequenta Fabiola”
“Ma se a malapena lo conosco…” ovviamente la bambina voleva mettere tra le righe la sua voce. Ma ora a Sandman non importava: si sentiva al sicuro ora che il Signore di Halloween aveva deciso di aiutarli. Ovviamente lo conosceva. Dopotutto, chi non conosce Jackie? Il giovane uomo sembrò essersi offeso.
“Ma io credevo che fossimo amici…” Jackie fece qualche passo in avanti, mentre la professoressa arretrava sempre più. La bambina lo guardò aspra commentando con un ‘tsk’. Jackie divenne triste, falsamente.
“Perché ogni volta che ti incontro sei sempre incredibilmente arrabbiata oppure orribilmente triste?”
“Non so dirti. Sarà l’uomo con cui dialogo…” sinceramente, se non fosse stato legato ed imprigionato in una villa che non conosceva, Sandman si sarebbe messo a ridere. La professoressa sembrò risvegliarsi da un’incubo.
“Aspetta! Tu vuoi questo diavoletto, no? Allora facciamo un accordo! Ecco… perché…?” Jackie non ebbe neppure il tempo di trattenere il respiro, e nemmeno di rilasciarlo, che la donna premette un pulsante totalmente invisibile sul muro. Ad un certo punto cadde qualcosa dall’alto soffitto, una rete probabilmente, che avvolse il giovane uomo. A contatto con il corpo, la rete brillò di giallo, facendo avere spasmi violenti a Jackie, fino a farlo cadere all’indietro.
“Jack…!” smorzò l’urlo Fabiola, più che perplessa da ciò che era accaduto in, massimo, tre secondi. La professoressa non si sentì totalmente al sicuro, ma poi, vedendo il corpo esanime, involontariamente, scoppiò in una risata nervosa.
“Per… per fortuna avevo catturato quello spirito dei lampi… il telefono e la rete funzionano grazie a… a quel piccoletto che avevo ammazzato” diceva più a sé stessa che ai due prigionieri. La donna prese ad accanirsi vicino alla bambina.
“Sai, Santarcangelo, ho cambiato idea: potrei vendere qualche tuo organo. Non avrò magia, ma due sacchi di monete d’oro le avrò di sicuro” la strattonò malamente per i capelli e non molti, Sandman escluso, sapevano che la piccola detestasse essere toccata ai capelli “Potrei fare un prezzo speciale per li occhi e i capelli…”
“Credevo che per uno Spirito Maggiore una rete elettrica fosse una sciocchezza” disse con tutta calma, la bambina, facendo tremare la signora di paura e perplessità.
“Già… è vero” rispose il corpo esanime che, lentamente si stava rimettendo in piedi. Alla professoressa sfuggì un urlo e si rimise in piedi il più velocemente possibile. Man a mano che Jackie ritornava in piedi, gran parte delle ossa scricchiolarono e ritornarono al proprio posto originale. Sandman non ne era particolarmente sorpreso, così come Fabiola. Jackie, completamente alzato, cominciò a far scricchiolare l’osso del collo, indolenzito. Indispettito dagli occhiali, li buttò via, facendo scoprire un cielo completamente scuro con delle rare stelle rosse a contornarlo. Tutto ciò non fece altro che provocare altra angoscia alla professoressa.
“Ahi, che male… Non mi sono fatto niente ma… Umm, quanto sangue, Fabi, ti hanno ridotta piuttosto male” Fabiola lo ignorò.
“Come hai saputo che eravamo qui?” chiese, più irritata che altro.
“Durante la tua super missione, ero vicino al tuo tetto, ma non ti eri accorta di me” alla bambina sembrava che la cosa interessasse ben poco.
Puoi aiutarci?” Jackie sorrise, ignorando la donna che, nel frattempo, stava cercando di urlargli contro di non avvicinarsi troppo. Ovviamente lo spirito di Halloween non la badò e continuò a camminare finemente fino a raggiungere i due prigionieri.
“Basta!” urlò la donna in preda alla paura. Non si accorsero in tempo che avesse una pistola e che l’avesse puntata a Fabiola. Se doveva morire per colpa di uno spirito, allora prima avrebbe ucciso quella piccola puttanella. Così, sparò. Sandman spalancò gli occhi per il boato. La professoressa riaprì gli occhi pieni di soddisfazione. Ma tutta la felicità venne a mancare quando vide la testa della bambina voltarsi verso di lei con un cipiglio irritato. Ma com’è…?! Le avevo sparato!, pensò in preda al panico.
“Mi perdoni di nuovo, signora” a malapena si accorse che il giovane uomo, ancor più che sorridente, le fosse ad un palmo dal naso “Credo che questo sia vostro” disse, mostrando garbatamente fra l’indice e il pollice un proiettile. Senza che la professoressa potesse rendersi conto di quel che era accaduto, Jackie le prese la mano e nel palmo le diede il proiettile per poi richiuderlo “Lasciate che ve lo restituisca” come un eco lontano udì queste parole, troppo scossa, troppo incredula. Aveva paura. Senza rendersene conto, lo spirito, continuando con gentilezza e con sorrisi, le aveva allontanato la pistola. La donna guardò il proiettile bollente nel suo palmo tremante. Intanto Jackie aveva preso in braccio i due ostaggi.
“E comunque, quella era la mia pistola” aggiunse Fabiola, mentre lo spirito di Halloween li fece sedere sulla scrivania. Volle un’ultima chance, la trovò.
“Aspetta, parliamone!” disse, rivolgendosi al giovane che intanto stava valutando le cinghie di cuoio e le manette d’acciaio “Sii la mia guardia del corpo! Non dovrai nasconderti più, potrai avere tutto l’alcool e le donne che vuoi, dirò che in realtà tu sei un ragazzo che…” s’interrompe quando udì uno strappo secco provenire dalle cinghie della ragazzina. Si paralizzò quando vide che il giovane stava, con calma assordante, letteralmente, spaccando in due il cuoio e l’acciaio. Fatto ciò passò all’omino.
“Mi dispiace, signora. Ma tutte quelle cose non mi servono e, se volessi, le otterrei da solo, senza bisogno di contratti” disse, liberando anche l’omino. Finito il lavoro, Fabiola raccattò tutti gli oggetti che la signora aveva chiuso in un cassetto della scrivania. Però si sguardò bene, prima di indossarli.
“Tsk… Mi ha letteralmente distrutto il vestito”
“Tranquilla, ce ne sono ben altri” rispose, paziente e pacato Jackie, mentre la bambina si spogliava dell’abito nero rimanendo in canottiera bianca e in pantaloni di pelle.
“Peccato che fosse il mio preferito… Sembravo Shao Jun…” disse, sospirando.
“Ah, quell’assassina cinese. Si, sembravi proprio lei, ma non si può avere tutto, Fabi. Mi dispiace. Ti mancava, però, solo quell’amuleto con il simbolo” Fabiola si voltò verso lo spirito, più esitante che mai.
“Tu conosci Assassin’s Creed!?” Jackie, in tutta risposta, alzò le spalle. La prof divenne più arrabbiata che tremolante.
Santarcangelo, non crederai davvero che ti lasci andare in questo modo?!” disse, rimettendosi in piedi e cercando di riprendere la pistola. Non contò il fatto che Fabiola fosse decisamente più veloce di lei. La bambina puntava alla tempia la donna. Sandman vide chiaramente il dito di Fabiola indeciso se premere il grilletto o no. La donna guardava incredula la sua ex alieva. Ad un certo punto, Fabiola abbassò l’arma.
“Jackie, porta Sandy fuori” dopo qualche secondo, lo spirito acconsentì e, ignorando li sguardi increduli di Sandman, lo portò fuori dalla villa. Sandman, in braccio al giovane uomo, rimase in attesa, fino a quando non udirono entrambi uno sparo riecheggiare per tutta la villa. Sandman, che fino a quel momento aveva trattenuto il fiato, rimase tristemente sorpreso di rivedere sbucare dalla porta Fabiola. Vide delle lingue di fuoco intensificarsi dietro la ragazzina. Probabilmente Fabiola aveva fatto prendere fuoco la villa. Per quest’osservazione, venne avvolto dalla tristezza. Barcollando, la bambina si diresse verso i due. Jackie e Sandy rimasero in attesa di qualche reazione che non venne mai.
“Andiamo a casa?” chiese gentilmente Jackie, porgendo una mano alla ragazzina. Lei, esitante, si fece prendere in braccio e, a grande velocità, il Signore di Halloween cominciò a correre per il bosco.
Per tutto il tragitto nessuno aprì bocca, anche se avevano tutti molte domande da fare, specialmente Sandman che, nonostante avesse fatto una stupidaggine per impedire a Fabiola di uccidere, alla fine, aveva ugualmente fallito.
Ma era felice: Fabiola, anche se con tagli e sangue, stava bene. Quella era la cosa più importante. I suoi pensieri vennero a mancare appena udì le parole del giovane.
“Ah, una cosa, Fabi: credi che North mi possa ospitare per… qualcosa di simile ad un mese?” Fabiola, in quel momento, non sapeva se ridere o piangere. Nel dubbio, sospirò.
 
 
 
 
 
 
La mia testa sta andando su e giù. È come viaggiare alla velocità della luce sul monte Everest e poi catapultarsi nei fondali marini. Fondali marini… Si, a me piace l’acqua… Allora perché sento come se non mi piacesse più così tanto? Bah, non lo so. Ma una cosa è certa: il sali e scendi dentro la mia testa si è fermato da qualche secondo e ora credo di capirci qualcosa in più in quel che sta succedendo. Prima di tutto sento qualcosa di strano, come un breve sussurrare. Apro di più le orecchie al mondo esterno. Credo di riconoscere un ‘Zakky zac’ o qualcosa del genere.
“Finito, Niki?” riconosco, ma a stenti.
“Si, si, Liio-chan” Liio-chan? Liio… Leo… Leo! Spalanco gli occhi. Ho la visuale appannata, ma riconosco due figure accucciate ai miei fianchi. Da quando ho aperto gli occhi sto avvertendo tanti veloci movimenti attorno a me. Cerco di sedermi, ci riesco. La testa non gira più e mi sento molto più lucido. Chiudo e riapro gli occhi molte volte finchè non ci capisco qualcosa di quel che vedo. Sono in una stanza, su un letto, un vero letto. Non ci capisco molto.
“Gianni!” mi volto, non avevo riconosciuto la voce fino a quando non l’ho visto. Sono troppo confuso per sorprendermi di vedere Leo che mi salta addosso e mi abbraccia. Si, è lui. Vedo Niki che salta anche lei sul letto e mi abbraccia quasi più forte del suo amico. Fra un po’ scoppio a piangere, tanto sono felice. Li abbraccio anch’io più felice di loro.
“Mmm…” sento un gemito. Ci fermiamo e guardiano affianco a me. C’è un letto, con sopra, addormentato, Yoshi. Ora che ci penso, cosa sta succedendo? Leo mi anticipa.
“Ti dovevano giustiziare, Gianni. Ma Fabi è riuscita a salvarti, come non lo so, ma ci è riuscita! Poi ti hanno portato qui con Yoshi e adesso siamo tutti insieme!” dice, eccitato più che mai. Non ci ho capito un granchè, ma ho capito che ora siamo al sicuro.
Aspè, ma chi sta qua?”
“Liio-chan, Yoshi-san, Fabi-san, Ceci, Al, Mini, Mino, Farut, Gianni-san, Niki-san. Tutti tutti!” urla estasiata Niki, importandosi ben poco che vicino a lei c’è un lupacchiotto che sta dormendo, probabilmente, con incubi ed altro. Leo le fa segno di stare zitta ed indica Yoshi. Niki capisce e fissa ancora di più Yoshi, perplessa.
“Gianni-san…” dice perplessa, indicando Yoshi, poi fa delle orecchie con le dita sopra la sua testa e poi indica la coda del mio amico. Capisco quel che sta cercando di chiedermi. Anche lei nota che c’è qualcosa che non va in Yoshi.
“È una storia molto lunga, ragazzi, e non credo che Niki ci capirebbe un granchè, ma, sì, Yoshi-san sta bene” Niki sembra aver capito ciò che sto dicendo e sembra essersi sollevata.
Sento un boato da dietro la porta che poi viene aperta da Niki, curiosa. Dietro c’era Al, Alejandro Sanz, che ci stava sbirciando, ma che poi, incredibilmente è inciampato. Sono a bocca spalancata, sorpreso di vederlo. Sinceramente, avevo dato per scontato che lui non lo avrei visto mai più. Mi riprendo quando lo spagnolo si rialza.
Hola, Gianni gay!” tutto finito. Momento magico andato a quel paese da quell’ultima parola. Non so bene il perché, ma i due gemelli, sin da quando ci siamo conosciuti, hanno messo per inteso che io sarei gay. Ripeto, il perché non lo so. Ma ora poco m’importa, perché sono felice di essere ancora vivo e non con una corda al collo. Al si avvicina fino a balzare sul letto. Senza badare di non spaccarmi le gambe sotto le coperte. Ma per oggi non voglio sbattere la testa contro la sua.
“Al, sei vivo!” sembra essersi offeso. I suoi capelli sono cresciuti come erbacce, tanto che li ha pure legati con un piccolo codino. Mi accorgo che fa caldo non appena vedo che il busto di Al è completamente scoperto, se non fosse per quella stupida giacca di pelle di cui ha una sorta di relazione amorosa. In effetti, non ha torto di levarsi la maglia: sento un caldo incredibile qui.
Es cierto què estoy vivo! Casomai quello che avrebbe dovuto crepare per primo eri tu!” questa la digerisco per metà. Io e Al (in verità, anche sua sorella) non siamo mai andati proprio tanto d’accordo. Tanto da non prenderci a cazzotti, sì, ma non tanto da dargli la mia vita in mano o cose del genere. Ma per oggi voglio ignorarlo. Sinceramente sono troppo felice di sentirmi, finalmente, al sicuro.
“Stai bene? Mini come sta?” scende dal letto, per la felicità delle mie gambe.
Ella esta bien, soprattutto da quando ha conosciuto Calm!” Calm…? E questo chi è? Leo mi precede subito.
“Gianni, non ci crederai mai, ma qui ci sono i Cinque Grandi! Ci sono i Guardiani dell’Infanzia, tutti qui!” Dentolina me ne ha parlato. Sono tutti qui? Oh, Maronn’, spero di non vederli proprio subito subito, perché non sono conciato tanto bene per vedere delle persone. Piuttosto, ma Ceci e la mia Gioia dove sono?
“Ci credo, Leo. Ma Ceci e Gi-Dentolina dove sono?” mi sono fermato appena in tempo. Non so se a Gioia piaccia che la chiami in questo modo di fronte a tutti o se se ne vergogna. Meglio che glielo chieda più tardi, non vorrei fare uno sbaglio o imbarazzarla.
“Sono appena uscite, se ce la fai, le trovi subito” dice Al che, nel frattempo, ha preso il mio posto sul letto facendomi cadere giù. Per fortuna nessuno ride. Per fortuna tutti, me incluso, sono abituati ad Al. Per fortuna, di Al, io non ho voglia di arrabbiarmi. Quindi, mi rialzo e, con Leo e Niki dietro, esco fuori da questa stanza che, in tutta franchezza, stava diventando una prigione calda, perfetta invece per Al che si è messo addirittura a dormire.
“Ah, Gianni, ti piaccioni i tuoi nuovi capelli?” dice Leo, tenendo per mano Niki. Mi prende una fifa bestiale. Mi tocco la testa e la sento meno cespugliosa. Ho un po’ di paura.
“Leo, che hai fatto…?” in tutta risposta, mio cugino mi porta vicino ad uno specchio e lì ci rimango.
“Ah, pensavo chissà che…” Niki sembra offesa e mi da un leggero pugno allo stomaco. Me li hanno soltanto tagliuzzati un po’, molto corti, ma meglio del nido di calabroni che avevo prima. Di sicuro sono più guardabile adesso. Stanno accadendo troppe cose e non riesco a registrarle per bene tutte.
“L’ha fatto Niki, solo per te!” Niki fa degli inchini, immaginando un pubblico.
“Ma comunque non dovevate mettere le forbici fra i miei capelli!” rispondo io, abbastanza arrabbiato. I due mi ignorano e mi tirano via. Ci penserò più tardi a loro. L’importante è che i capelli siano salvi. E poi, se avessero fatto un macello, li avrei rasati quasi a zero, in estremis. Forse.
È da un po’ che camminiamo. È da un po’ che Leo e Niki mi stanno facendo vedere tutto il teatro da cima a fondo, in cerca dei ragazzi e dei Guardiani. Prima avevamo incontrato, anzi, scontrato un tizio dagli occhi strani, cupi come quelli di un demone. Non ci ho parlato un granchè, si era subito catapultato sui bambini chiedendoli se avessero oscurato con delle lenzuola degli specchi. Forse avevo sentito male, ma quando Leo gli aveva detto che era tutto ok, allora si era calmato come se cinque secondi prima era in pericolo di vita.
Apro un’altra porta. Questo posto è peggio di un labirinto, non so come facciano a vivere qui degli spiriti e i ragazzi.
“Sandman può dire ciò che vuole, ma mi sento umiliato!”
“Padre, non è così grave…”
“Ma come ha fatto a nascondercelo fino ad oggi?! North, poi devi dirle qualcosa, sei tu il capo qui!” appena entro mi ritrovo in una sorta di studio con un’omone tutto in rosso, due folletti, ciò che sembra al cento per cento un coniglio gigante, in grado di parlare e una fatina completamente celeste. Non ci notano.
“Calmoniglio, non ha mica detto noi che lei è alleata di Pitch Black”
“Ma è comunque una grande umiliazione, io non la voglio più guardare in faccia!” detto questo il folletto, quello con la barba, esce fuori, spintonandoci per raggiungere la porta, seguito dal folletto più giovane con una strana campanella gigante attaccata alla coda. Sembra che stiano litigando. Forse è meglio andare via. Il gigante e il coniglio mi notano. Il vecchio sembra imbarazzato.
“Oh, tu deve essere Gianni! Dentolina parlato te di noi” cerca di sorridere, ma non ci riesce. Una vocina mi ronza per la testa e mi urla: ‘Hey, Gianni, non ti ricordano qualcuno?’. Altrochè se mi ricordano qualcuno.
“Chiedo scusa, ce ne andiamo” vorrei evaporare e scappare via. Non ci dicono di restare e io chiudo la porta.
“Ma poi, perché ci ha mentito? Non capisco!”
“Lei detto che non voleva che qualcuno impedisse a lei di trovare ragazzi e rischiare vita, visto che lei bambina e noi avremo fermato lei” sento comunque le loro voci dietro la porta.
“Ma vada lo stesso a morire! Non ci posso ancora credere che abbia mentito a tutti noi!”
“Veramente, Calmoniglio, io sapevo che fosse umana…” un attimo di silenzio.
“C-cosa!? Da… da quanto tem-…?!”
“Da settimana dopo che noi conosciuto lei…” un altro attimo di silenzio.
“North, abbiamo chiuso noi due…” prima che possa aprire la porta, io strattono i bambini e ce ne scappiamo per i corridoi.
Corriamo e camminiamo per un po’. Ho il fiatone, non mi sono ancora ripreso per bene dalla dormita e da tutto quello che è successo. Mi fermo in tempo. Per poco non inciampavo addosso a qualcuno. Sento un fruscio di ali più che familiare.
“Gianni!”
“Ceci, Gioia!” e le abbraccio e loro abbracciano me e siamo tutti felici. Me ne frego degli strani vestiti di Ceci e me ne frego delle piume che mi pizzicano il naso. Sono felice e basta.
“…Gioia?” chiede una voce. Smettiamo di abbracciarci e guardiamo tutti Jack Frost che si avvicina lentamente, come se si stesse trascinando dietro un morto. Dentolina non sembra arrabbiata o innervosita da come l’ho chiamata.
“Beh, Dentolina è un nome poco adatto per una fatina  frizzante come me!” qui sono io che arrossisco. E da quando in qua mi ruba le battute?!
“Ti sta bene se ti chiamo così?” chiedo, piano. Lei sembra ancor più felice.
“Gianni, come mi chiami è una faccenda fra te e me e se agli altri non piace, che si abituino!” dice, con fierezza. Beh, sono contento: non dovrò sempre trattenermi nel chiamarla Gioia. Giuro che mi gira la testa per tutte le cose che stanno accadendo. Ceci si fa avanti.
“Gianni, dovresti cercare Fabi: è da due ore che non riusciamo a farla stare ferma. Sandman è in cucina che cerca di farla stare calma” dice quest’ultima cosa mettendosi le mani d’avanti alla bocca e ridacchiando. Non so chi sia questo Sandy, ma quando Fabi pensa a me è sempre nervosa, quindi se questo tizio la sta tenendo buona, allora sta passando tempi bui, poi lo ringrazierò.
“Fabi sta bene?” Gioia sospira.
“Non l’ho vista bene, ma ha molte bende” oh, no “Non ho ben capito cosa le sia successo, ma sta benissimo. Oh, Gianni, non sai quanto sono felice di aver rivisto i Guardiani!” dice, svolazzando per aria. Jack si mette in mezzo, ad occhi bassi.
“Si, ma Sandy è malato…” Gioia non sembra ascoltarlo.
“Oh, si riprenderà subito! Piuttosto, Jack, andiamo da Calmoniglio?” per la prima volta vedo un pizzico di felicità nel ragazzo pieno di brina. Tira su un sorriso sincero. Tiene forte il bastone a sé.
“Certo! Il Canguro non mi ha ancora visto!” e così se ne vanno, Leo e Niki inclusi, perché loro non hanno mai visto la Fata dei Dentini e, soprattutto, non l’hanno mai vista in questa versione. Mi sta scorrendo tutto di fronte a me come un fiume in piena. Fra poco esplodo dalla felicità. Continuo a perdermi per i corridoi, finchè trovo un’altra porta. Appena entro mi ritrovo in quello che sembra il palcoscenico con il sipario e quant’altro. Credo che avendo come punto di riferimento questo posto potrei trovare la cucina e così Fabi.
“…ma dove le hai messe?!”
“Cosa?” chiudo la porta dietro di me e avanzo vicino al palco.
“Le bombe che ho fatto!”
“E lo chiedi a me?!”
“Certo, le hai rubate!”
“Non è vero! Le hai perse, genio!” trovo i due che litigano dietro il tendone rosso.
“Mino e Farut!” l’occhialuto mi vede.
“Gianni, sei ritornato in vita!” dice, abbracciandomi e dandomi qualche pacca sulla spalla. Da un lato sono contento di vedere Mino, ma dall’altro vorrei che Farut sparisse dalla circolazione. Mica l’ho dimenticato quello che ci ha fatto e mica lo perdono, eh. Per fortuna l’armadio capisce e se ne va dietro ad una porta mormorando un ‘Me ne vado da North’. Ci sciogliamo dall’abbraccio.
“Sono proprio felice di vederti, Mino. Ma dov’è Fabi? Come sta?” sembra che si sia fatto da solo gli occhiali, o forse è una mia impressione?
“Non avere un’infarto, ma quando è tornata qui con Sandy aveva un bel po’ di tagli e lividi. Abbiamo dovuto riempirla di bende, ma scoppia di salute più di te. Ha fatto qualcosa di simile alla fine del mondo per aiutarti. Prendi quella porta, poi vai dritto, scendi giù per le scale e sei in cucina da lei. Sandy ha dovuto inchiodarla lì per non farla andare ancora avanti e indietro da te all’infermeria. Ora scusami, ma anch’io ho da fare: il gigante mi ha rubato una ventina di oggetti che, tecnicamente, non avrebbe dovuto toccare” non me lo faccio ripetere due volte. Faccio la strada che mi ha detto di fare Mino. Più che felice sono nervoso, non so il perché. Con li altri era estasiato, invece con Fabi ho addirittura paura di vederla. Non l’ho ancora rivista che già sento delle urla.
“Sai, Fabi, non riesco proprio a capirti: sei sparita per quasi tutto un dìa, un bel tipo ti riporta qui piena di sangre, hanno finito di curarti da nemmeno cinque minuti e tu, al posto di dormire, vieni en la cocina per robar le torte! E il peggio è che tu non ingrassi mai!”
“Veramente sono stata rinchiusa qui per farti un favore” quasi il mio cuore fa un balzo fin sulla luna per aver sentito il suo accento dell’est.
“Cioè?” e non sento quasi niente nel sentire lo spagnolo di Mini.
“Ti impedisco di ingrassare ancor di più”
“Ma io non sono grassa!”
“Mmm… Diversamente magra va bene per te?”
“Smettila de insutarme!”
“In realtà ti sto solo inlustrando la realtà. Quella la mangi?” sono di fronte alla porta e mi sento come se dovessi ripresentarmi a scuola per l’esame di terza media. Lo ripeto: sono più nervoso che felice e non so che cosa potrei fare di fronte a lei. Per un po’ si sente il silenzio dietro la porta, interrotto da una sorta di trillo, non so bene come definirlo. E con un ‘Ok, Sandy, giusto perché sei qui con me…’. Decido di entrare.
La cucina è piccola e piuttosto malandata, ma può sempre considerarsi una cucina, anche se economica, giusto per infilare nel frigorifero quel che vuoi mangiare il giorno dopo. Per primo vedo Carmen che, come ha giustamente detto Fabi, è ingrassata. È un po’ più rotondetta, ma niente di orribile. Se la smettesse di abbuffarsi allora ce la farà a diventare una ragazza magra e prosperosa come prima. È per questo che tutti la prendono per una diciottenne insieme al fratello. Neanche il tempo per Mini di dirmi di smetterla di fissarla che giro lo sguardo verso Fabi.
È cambiata parecchio. Al contrario di Mini, è diventata ancora più magra, anzi, ossuta. Mi fissa interessata e io insieme a lei. Vedo con la coda dell’occhio una sorta di… non so cosa sia in realtà, ma una cosa è certa: è fatto tutto d’oro. Mi sento la testa fluttuare come un palloncino. Fabi è piena di bende, soprattutto una sulla fronte. È seduta su una sedia, a gambe incrociate, come fa sempre. Ad un certo punto fa scendere le gambe dalla sedia e sospira.
“Senti, vuoi continuare a fissarmi come un’ebete, oppure ti decidi ad abbracciarmi?” e mica me lo faccio ripetere. Faccio uno scatto, la prendo per i fianchi e la abbraccio a mezz’aria. Me ne frega se mi urla che le faccio male. Sono scosso per averla vista piena di bende, ma sono comunque felice. Dopo un po’ anche Mini, vedendo di essere ignorata, e lei odia essere ignorata, si butta su di noi e ci abbraccia. Faccio scendere Fabi e con un braccio attira a sé questo strano tizio pieno d’oro, prende in braccio anche lui e lo abbraccia insieme a noi, fregandosene di quanto sia nervoso, anche se dopo un po’ si scioglie anche lui e si aggrappa a mia cugina. Non sono mai stato così felice di rivedere qualcuno.
 
 
 
Tutti loro ignorarono l’ombra scura che, pazientemente e abbastanza corrucciata, stava guardando la scena. Nessuno si accorse dei suoi sospiri nervosi e delle sue occhiate lanciate al cielo.
E dire che tutta questa felicità l’ho creata io… Mai che qualcuno mi ringrazi!’.
 
 
 
 
 
 
Angolo di L0g1
Sono felicissima, ragazzi, di aver finito la mia primissima long! Non sono brava con i saluti né con i ringraziamenti. Ma tenterò…
Ringrazio di tutto cuore coloro che hanno messo nelle preferite questa storia: Bloody Mordred, FeniceAzzurra e Orma_
Nelle ricordate: FeniceAzzurra
E nelle seguite: Arya Rossa, _Dracarys_, Fairyceltica, Orma_, Yuuki64.
Grazie a tutti voi sono riuscita a finire la prima parte di questa pazza avventura nei meandri del Regno di Macula Sanguinea. Non temete: non è finita, ci sarà una seconda storia. Le avventure di questi dieci ragazzi non sono ancora giunte al termine e non sono ancora stanca di raccontarle.
Ancora vi ringrazio di cuore per avermi sostenuta tutti voi, sia che siate recensori, sia che abbiate soltanto letto la storia.
Grazie di tutto cuore <3.
L0g1
 
 

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