Resident Evil:Dawn of the Heroes

di GregMiller
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Attacco alla base! ***
Capitolo 3: *** Trionfo! ***
Capitolo 4: *** Relax ( Take It Easy! ) ***
Capitolo 5: *** Night Party ***
Capitolo 6: *** Amore a prima (s)vista! ***
Capitolo 7: *** I complessi di Greg ***
Capitolo 8: *** Una nuova missione ***
Capitolo 9: *** Consulenza Speciale ***
Capitolo 10: *** Un Briefing particolare ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Stanco e parzialmente ferito, mi sedetti su un gradino delle scale per riposare e riprendermi dopo il duro ed efferato combattimento durato quasi un eternità: fu la prima volta  che affrontai un avversario facente parte della serie “ Duri a Morire”; nemmeno l’attore Bruce Willis, protagonista principale di quest’ultima saga cinematografica , sarebbe riuscito ad eguagliare la stessa fatica appena compiuta dal sottoscritto e dal mio superiore: il colonnello Redfield. Mentre osservavo l’orizzonte che lentamente dava spazio ai colori dell’alba, udì dietro di me il rumore di alcuni passi attutiti dal terreno ricoperto da cemento armato: Rivas, il mio fidato collega di lavoro e fedele amico si sedette vicino a me, poggiò una mano sulla mia spalla sinistra per reggersi ed fungergli da sponda per poi sedersi accanto a me. A prima vista non sembrava ferito: l’uniforme da combattimento era sporca di fuliggine e pece, dovuto all’intenso scontro a fuoco precedente all’ingresso della base;  lacerata in più punti ma non sembrava che il duello contro il misterioso nemico gli avesse causato particolari danni fisici, se non piccoli danni superficiali. Nonostante tenesse quasi costantemente il volto coperto dal suo fidato passamontagna con il ghigno scheletrico, potevo percepire la sua stanchezza: i suoi lenti ma ampi respiri nasali mi suggerivano che il combattimento precedente non era stato per niente facile. Anche questa volta, l’anonimo bastardo era fuggito nuovamente ed il fatto che Rivas era riuscito a cavarsela senza ferite, mi suggeriva che fosse quasi vicino nel metterlo al tappeto, con la speranza di legarlo dalla testa ai piedi per poi interrogarlo alla fine di tutto questo casino. Mentre ero assorto in quei piccoli pensieri, notai il colonnello girare nervosamente per lo spiazzo ancora pieno di detriti e cadaveri nemici: avevamo fatto una carneficina ed ancora stentavo a crederci che solamente in tre eravamo stati in grado di fare una cosa del genere. Era vero che comunque sia io che il mio compagno eravamo stati addestrati duramente ( ed in maniera quasi brutale ma necessaria ) per prepararci a situazioni di questo tipo ma comunque rimanevamo ancora troppo giovani con solamente due anni d’esperienza come servizio ed ancor di meno in situazioni reali di combattimento. Tuttavia, nonostante queste innumerevoli avversità, avevamo come pregio il fatto d’essere molto reattivi ma soprattutto molto fortunati, la cui dea omonima ci aveva coperto le chiappe in situazioni veramente critiche o quasi. Continuai ad osservare da lontano il mio superiore che nervosamente continuava a girare per lo spiazzo con due dita premute sull’auricolare posto sull’orecchio: quasi sicuramente non si trattava nulla di positivo. Infatti lo vidi avanzare velocemente verso il sottoscritto con passo veloce e nervoso: “Alzatevi! Tutt’e due! Muovete il culo!“ Abbaiò il comandante Redfield, prendendomi per un braccio e sollevandomi violentemente da terra, seguito poi da Rivas senza batter ciglio; la situazione sarebbe dovuta essere molto brusca, dal momento che tale giudizio mi fu suggerito dall’azione appena compiuta dal mio comandante. “Altre noie?“ azzardai una domanda mentre seguivo affiancato con passo svelto il mio superiore: avevo paura che la banalità della domanda avrebbe generato un violento strillo ed insulto in piena faccia,dal momento che la risposta era abbastanza intuibile. “Prova a fare due più due e vincerai un bel montepremi! “ rispose il colonnello con una lieve punta di sarcasmo mentre lo vidi agitare le braccia verso un piccolo puntino nero nel cielo crepuscolare che lentamente diventava sempre più grande; si trattava di un Pave Low e data la velocità con cui si stava avvicinando, avremmo dovuto sbrigarci a salire una volta atterrato. Tutti queste piccole ma allo stesso tempo significative azioni mi fecero arrivare ad un conclusione improvvisata: l’uccisione di Lord Kuarl poteva essere solo la punta dell’iceberg, solo una pedina di un gioco ancora molto più vasto rispetto a prima…

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Capitolo 2
*** Attacco alla base! ***


Attacco alla base!

Saliti sul Pave Low, decollammo velocemente verso la nostra prossima destinazione: La base in cui avevamo stabilito il comando per le operazioni BSAA sul suolo europeo era pesantemente sott’attacco. Quest’ultima era localizzata a Roma, in Italia e tale decisione di collocamento fu presa dal comando supremo basandosi su criteri altamente fattibili e concreti: dal momento che sin dall’antichità fu una penisola d’importanza strategica per molti popoli, sia per motivi culturali che per quelli economici e militari, rappresentava anche nel momento attuale una zona di grande rilevanza tattica, dal momento che poteva fungere anche come “terra di passaggio” per collegarsi con gli altri territori in sua prossimità; ad esempio paesi altamente sviluppati come l’Inghilterra, la Francia e soprattutto la Germania, punto di riferimento e fulcro trainante dell’economia Europea. La strategia d’attacco della Rebellion allo scoppio del conflitto fu molto strana, dal momento che non attaccarono subito l’Italia, bensì i paesi a nord di essa; tuttavia ben presto,la tattica utilizzata da quest’ultimi fu chiara e solo apparentemente stupida: occuparsi prima delle nazioni più potenti per dedicarsi senza intoppi ad altri obbiettivi successivi. Quando poi i terroristi attaccarono l’Italia, pensavo che quest’ultima cedesse e si arrendesse quasi seduta stante; invece fu quasi del tutto il contrario. Era anche vero che oltre ad aver resistito grazie ad una moderata quantità di fortuna, la nostra divisione riuscì ad arrivare appena in tempo, quando la Rebellion iniziò ad attaccare Roma, la capitale della penisola. Nonostante i suoi numerosi problemi dal punto di vista economico e politico ( di cui potevo fare una lunga e noiosa lista grazie a tutte le notizie lette e seguite nei telegiornali ) era riuscita ad opporre un efficace  resistenza contro un nemico ben armato ed equipaggiato, superiore di molto rispetto a quest’ultimi, lasciando letteralmente sgomentati tutti gli altri paesi, inclusa la stessa BSAA. Ora, come se l’assalto precedente non fosse già stato di per sé abbastanza distruttivo, la Rebellion ne aveva lanciato disperatamente un altro: chissà dove riusciva a trovare la forza ma soprattutto l’energia di ricompiere un assalto del genere; era vero che comunque i loro soldati erano imbottiti fino al midollo di Virus C ed uno solo poteva valere dieci j’avo ma questo non significava che fossero invincibili ed infatti ne avevo avuto io stesso la prova, combattendoli sul campo di battaglia; all’inizio potevano sembrare mostruosi in tutto e per tutto  ma grazie alle tecniche apprese durante le sessioni d’addestramento ma soprattutto grazie all’esperienza ed all’abilità dei miei superiori, diventava parzialmente banale affrontarli. Questo non significava che in situazioni del genere il pericolo veniva sottovalutato anzi, cercavamo in tutti i modi di incoraggiare gl’altri ( specialmente le reclute ) a non tirarsi indietro di fronte a queste situazioni ma soprattutto impegnarsi al massimo. Mentre riflettevo di fronte a quei problemi, sentì un potente boato scuotere violentemente l’elicottero, facendomi perdere l’equilibrio dal sedile, cadendo rovinosamente per terra, seguito dal mio superiore e colleghi. Ciò ci suggeriva che in breve tempo eravamo riusciti a raggiungere velocemente la nostra destinazione, con alta probabilità che l’attacco era già cominciato e che probabilmente i terroristi avevano individuato il nostro uccellino volante. Cercai di rialzarmi lentamente dal pavimento, barcollando verso il finestrino laterale per esaminare meglio al situazione: proiettili, strisce di sangue, crateri ancora fumanti,accompagnati appassionatamente da cadaveri dei j’avo e diverse BOW giacevano sul terreno in uno spettacolo raccapricciante. Nonostante ciò, i terroristi e le armi bio-organiche continuavano ostinatamente ad attaccare le difese della base, come se la morte non gli spaventasse per nulla, un esercito di assatanati ed ostinati bastardi che avrebbero fatto di tutto pur di sottomettere gli innocenti sotto il loro dominio. Avrebbero utilizzato tutte le risorse disponibili, fino all’ultimo uomo, fino all’ultima goccia di sangue rimasta nei loro putridi corpi. Ebbi anche modo di vedere le diverse fiammate delle armi che partivano dai bastioni della base; utilizzavano tutto ciò che era in loro possesso per respingere quell’assedio interminabile: dalle mitragliatrici fisse fino ai più piccoli oggetti che potevano causare danni ed alimentare il fuoco di soppressione. Dopo un paio di minuti quasi interminabili e dopo essere stati generosamente partecipi di incredibili e spettacolari manovre evasive da parte del nostro pilota; arrivammo finalmente all’interno della base: la lettera della zona d’atterraggio era ben visibile sotto i nostri occhi ed i nostri compagni a terra correvano come formiche impazzite; alcuni che rimpiazzavano i feriti o i morti alle mura, altri che invece s’improvvisavano corrieri e facevano staffette per aggiornare gli ufficiali a capo della base, altri ancora che si erano già messi sull’attenti ed attendevano il nostro atterraggio. L’elicottero non atterrò del tutto, ma la distanza dal suolo fu sufficientemente vicina da permetterci di scendere senza intoppi. Una volta a terra, dopo aver rapidamente risposto ai saluti dei nostri commilitoni e colleghi, ci dirigemmo verso il luogo del combattimento, precisamente al bastione dell’ingresso principale, dove la presenza ostile era più fitta ed i terroristi tentavano ostinatamente di sfondare quel settore. Appena ci videro sulle passerelle metalliche, i soldati si rincuorarono, notando soprattutto il colonnello: dall’espressione d’orrore, di desolazione e di sfiducia che avevano dipinto sul loro volto un secondo prima, si trasformò rapidamente in un espressione di speranza e sicurezza, come se fosse lo stendardo della vittoria, un dio della guerra che avrebbe sollevato il nostro morale da terra,la carta vincente che ci avrebbe permesso d’ottenere l’esito a nostro favore in maniera assicurata senza troppi problemi. “Rapporto sulla situazione?” disse rapidamente il colonnello al primo soldato che vide, accucciato dietro il muro per coprirsi dagli spari, seguito da me e da Rivas. “ Il nemico sta attaccando su più fronti ma quello in cui si sta concentrando maggiormente è il settore principale! Ad un primo impatto però,sembra che l’assalto non sia ostico come pensavamo, nonostante i ripetuti ed ostinati attacchi!” Grazie al cazzo! Avrei voluto rispondergli, dal momento che la maggior parte  delle missioni dietro le linee nemiche  (e anche suicide in un certo senso,data la mia scarsa esperienza) le avevano portate a termine il sottoscritto ed il suo fidato braccio destro: tutti gli obiettivi che avevamo neutralizzato e fatto saltare in aria come fuochi d’artificio evidentemente avevano inflitto un duro colpo sul fronte della Rebellion, in tutto e per tutto. In parole povere, le missioni impossibili che avevamo portato a termine,avevano dato i loro frutti ma ciò non significava che dovevamo prendere sottogamba l’affare in questione: anche se avevano subìto perdite sia come risorse che come soldati e BOW, un solo uomo oppure anche la più piccola particella infettata da virus C poteva provocare ed innescare una reazione a catena dalle conseguenze inimmaginabili; quindi eliminati definitivamente, dal più grande al più piccolo, dalla A alla Z. “ Gli eroi sono entrati in azione? “ Il soldato lo fissò per un paio di secondi per poi rispondergli, sorridendo lentamente “Certamente signore! Sono stati i primi a mettersi all’opera appena hanno cominciato ad attaccare!” Sapevo di chi stavano parlando: non avevano bisogno di presentazioni, i loro nomi si potevano contare sulle dita della mano, coloro che furono i primi e sfortunati protagonisti nell’affrontare minacce del genere, quelli che si erano impegnati al massimo nel salvare il mondo da minacce bio terroristiche e da pazzi psicopatici affinché fossimo qui a combatterli ancora una volta al nostro fianco:la moglie del mio comandante, Keith e Quinton… potevamo elencarli tutti a memoria, quasi contarli sulle dita della mia mano per quante volte ne avevamo sentito parlare ed incontrare. Durante e dopo l’atterraggio purtroppo non riuscì ad individuarne qualcuno, ma difficilmente rimanevano fermi e statici in un punto fisso quando c’erano situazioni del genere; forse avrei avuto modo d’incontrarli dopo questo trambusto. Dopo aver udito la risposta,il comandante accennò un leggero sorriso ed annuì, quindi si rivolse verso Rivas ed il sottoscritto: “Bene ragazzi! Sapete cosa fare! Non ci sono regole, se non un ordine ben preciso: prendeteli a calci in culo con qualsiasi mezzo disponibile e necessario!” Disse scandendo lentamente le ultime parole. Senza pensarci due volte, ci alzammo velocemente in piedi e ci dirigemmo verso i luoghi ed i punti più delicati, con la speranza d’incontrare qualcuno degli “ eroi “ e che soprattutto non ci fossero altre sgradevoli sorprese… 

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Capitolo 3
*** Trionfo! ***


Trionfo!

La battaglia non durò molto e terminò un schiacciante vittoria da parte nostra, un vero e proprio trionfo frutto non solo nostro, ma anche dei pilastri della BSAA, coloro che ci guidavano e ci addestravano ad affrontare minacce del genere, finchè la minima particella infetta dal virus C non fosse stata debellata completamente. Durante la difesa della base, nel mio via vai di alternanza delle postazioni di difesa, ebbi modo di vedere gli eroi e miei superiori all’opera, con manovre e tecniche di comando che ci permisero di schiacciare la loro invasione, grazie anche all’esperienza accumulata nelle loro precedenti missioni, il quale la trasmettevano ad ognuno di noi, giorno dopo giorno, durante gli addestramenti. I loro consigli e tattiche  erano sacri ed erano uno dei tanti fattori di successo nelle nostre operazioni contro la Rebellion e grazie a ciò, avevamo ottenuto un alto tasso di vittorie nelle missioni, soprattutto in quelle suicide (o quasi) in cui sia io che Nick avevamo partecipato. Dopo quel giorno, il comando generale della BSAA, decise di organizzare una serata per festeggiare i nostri recenti risultati,  anche sotto la pressione dei nostri superiori, il quale tenevano che i propri soldati, oltre a svolgere il proprio lavoro, avessero la possibilità di socializzare e divertirsi nel tempo libero: infatti la serata prevedeva spazi, momenti ed eventi tipici giovanili e ricreativi per darci la possibilità di passare il tempo e staccare la spina dalle attività lavorative senza troppi problemi: per esempio, la classica serata con  discoteca e dj, aperitivi e drink al bar… tutto ciò gentilmente concesso e permesso dai paesi membri della BSAA. Infatti, grazie a quest’ultimi, non solo eravamo riusciti ad ottenere un equipaggiamento ed una preparazione adeguati per fronteggiare la Rebellion, ma decisero anche di fornire qualche piccolo “extra” visti i risultati ottenuti, che fornivano vantaggio di benessere e sicurezza da entrambe le parti. Così,il comandante supremo della BSAA O’Brian, con l’aggiuntivo appoggio del consiglio d’amministrazione, dei vari comandanti delle varie succursali mondiali ( ed in particolar modo con la testardaggine e l’insistenza del mio superiore Redfield, nonché promotore di quest’attività ) decise di destinare questa piccola parte di reddito per fornirci luoghi, servizi e diverse attività d’intrattenimento.
 
 
 

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Capitolo 4
*** Relax ( Take It Easy! ) ***


Relax ( Take It Easy! )

Nelle ore successive di quel giorno, ebbi il permesso da parte del colonnello per avere il resto della giornata come momento libero ma soprattutto di riposo, inclusa anche quella successiva, dal momento che proprio quel giorno si sarebbe svolta la festa in tarda serata. Quindi, ne approfittai per andare nell’infermeria del campo per farmi controllare le ferite subìte nello scontro precedente contro Lord Kuarl oppure soprannominato “ Ex Piers “ dal sottoscritto, dal momento che si trattava proprio di un mio ex superiore, nonché ex compagno di guerra del colonnello Redfield che aveva deciso di passare ed unirsi alle forze del male a causa di un abbandono involontario sul campo di battaglia: un’azione apparentemente banale che segnò profondamente quest’ultimo,tanto da scatenare un attacco di un intero esercito contro il suo stesso compagno,considerandolo come un atto d’infamia e codardia quando in realtà lui stesso aveva spinto affinché quest’ultimo si salvasse. La diagnosi del medico fu rapida e precisa: avevo subìto diverse fratture in varie parti del corpo ma fortunatamente non gravi, frutto degl’incessanti allenamenti mattinieri svolti ed organizzati proprio dal colonnello che avevano irrobustito e potenziato il mio corpo dagl’urti e dai danni fisici, con specifici esercizi di combattimento. Come ultima cosa, prima d’uscire dalla stanza, mi consigliò di compiere allenamenti non troppo pesanti ed esagerati ed eseguire in maniera completamente rilassata lo stretching sulle parti coinvolte durante gli esercizi ma soprattutto di riposarmi sia fisicamente che psicologicamente appena avrei avuto un momento di tempo libero. Poiché fortunatamente per i prossimi due giorni  avrei avuto poco o nulla da fare, mi diressi ai bagni. Quindi, dopo una sollevante e rinfrescante doccia mi diressi verso il mio alloggio: era una piccola stanzetta di circa ottanta metri quadrati, situata all’interno di una costruzione di moderate dimensioni ed edificata secondo gli schemi e le architetture militari, molto simile ai bungalow dei campeggi all’aria aperta, organizzate a schiera e con l’ingresso che si affacciava verso la piazza principale della base, dove vi era un’asta alta quattro metri su cui sventolava la bandiera della BSAA e dove solitamente ci riunivamo per situazioni oppure eventi importanti. La mia stanza, ovviamente, la condividevo con il mio caro amico Nick ed al suo interno vi erano tutti i mobili e le stanze tipiche di un normalissimo appartamento: appena si entrava dalla porta d’ingresso, si potevano scorgere due brande poste sul lato destro della stanza a circa un metro di distanza ciascuna mentre sul lato sinistro vi era una scrivania fatta in legno parquet pregiato, tipico dell’Ikea, con sopra una lampadina da lettura ed un generoso televisore Philips da quaranta pollici. Di fianco alla scrivania a sinistra, vi era una finestra rettangolare con tendine bianche opache. In parole povere, la stanza fungeva sia da soggiorno che da camera da letto. Proseguendo dritto, si arrivava al bagno dove vi era un gabinetto, uno piccolo specchio con lavandino, una finestra ed una piccola vasca da bagno, nel caso avessimo voluto lavarci per conto nostro. Come ultima stanza, ma non meno importante, era quella del guardaroba, posta a destra dalla stanza del bagno: al suo interno vi erano dei piccoli armadi e cassetti dove avevamo sistemato tutti i nostri averi ed abiti borghesi che avremmo avuto modo d’indossare nel tempo libero, per stare più comodi. Tuttavia, mancava la sala da cucina ma non sarebbe stato un problema, dal momento che la mensa della base distava a pochi chilometri dai nostri alloggi, con un sorprendente servizio attivo ed a turni ventiquattrore ore su ventiquattro: a seconda della fascia oraria, vi erano a diposizioni diverse tipologie di cibi. Non potevamo, di certo, aspirare ad alimenti pregiati e da ricchi come le bistecche di manzo e le aragoste, ma di sicuro era meglio della mensa dei miei vecchi anni di liceo. Appena entrato, vidi Nick spaparanzato ed in mutande sul suo letto, disteso con le braccia dietro la testa ad ascoltare l’heavy metal con le sue fidate Phoenix: si poteva udire il leggero ma ben percepibile suono assatanato delle chitarre che uscivano dai piccoli cuscinetti delle sue cuffie, prova evidente che amava spaccarsi i timpani, come faceva solitamente; era incredibile come riuscisse ad avere l’udito intatto ascoltando tutto quel casino. Per la prima volta però, da quando lo salvai dai narcotrafficanti in Colombia, lo vidi senza maschera, dal momento che era appesa ad un angolo del letto. Nonostante le diverse cicatrici che sfortunatamente gli rigavano ancora il volto, l’operato dei chirurghi medici sembrò aver dato i suoi frutti: a parte due cicatrici verticali sulla parte superiore ed inferiore degl’occhi, sembravano intatti ed a mantenere il loro colore nocciola originario. La mascella rimaneva grossa e squadrata senza abrasioni o altri danni, cosi come il naso rotondo ed un po’ schiacciato, anch’esso intatto,dal momento che in quella sezione non si potevano evidenziare “modifiche” particolari da parte dei colombiani. I suoi capelli erano simili ai miei: mori a doppio taglio, alzati leggermente sul davanti col pettine e mantenuti tali con un filetto di gel. In parole povere, era sano come un pesce ed evidentemente si nascondeva per fare scena oppure per timidezza, con la seconda ipotesi più plausibile rispetto alla prima, anche se non avevo prove sufficienti ma mi facevo guidare dal mio istinto. Varcato la soglia dell’alloggio e dopo aver ricambiato il saluto di Nick, portai la mia sporca e lurida uniforme in bagno, distendendola e poggiandola a bordo vasca: avrei avuto modo di lavarla il giorno successivo dato che non avrei avuto roba sul fuoco per il momento, salvo emergenze impreviste che speravo con tutto me stesso che non si sarebbero verificate. Dopo aver un abbigliamento più comodo, formato da una maglietta a maniche corte nera, un paio di pantaloncini grigi e calzini bianchi, mi buttai a peso morto sul letto a pancia in sotto: ero veramente distrutto e non desideravo altro che una bella dormita. Passai quindi il resto della giornata a riposarmi, finché non arrivò il momento di coricarmi.  
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Night Party ***


Night Party

Mi svegliai il giorno successivo alle nove; un orario abbastanza fattibile dal momento che,anche se avrei avuto il resto della giornata senza impegni, avrei comunque dovuto impiegare una piccola parte del tempo per i miei consueti allenamenti quotidiani, sia con esercizi fisici che con armi da fuoco al poligono di tiro, per evitare di perdere il ritmo lavorativo senza esagerare. Successivamente,verso l’una, andai con Nick alla mensa per mettere qualche panino sotto i denti, unito ad una bella bibita rinfrescante. La mia scelta cadde su una baguette calda e croccante,farcita con prosciutto crudo e provola, annessa ad una Sprite in lattina; Nick invece optò per un sandwich con cotoletta, peperoni ed una coca cola tradizionale in lattina; alla faccia della golosità. Ogni volta che mangiavamo insieme, vedere Nick che ordinava porzioni del genere mi faceva quasi ridere: sembrava un concorrente del reality “ Man Vs. Food “, un tipo di programma che vedevamo spesso in Tv in cui uomini e donne di tutte le età,razze e stazza fisica, si cimentavano in sfide alimentari assurde ed incredibili: panini con hamburger grandi quanto una piccola scatola di cartone e condito con tutte le salse possibili, Hot dog che occupavano tutto lo spazio e la superficie d’un tavolo… cose del tutto o quasi surreali. La cosa più sorprendente però, nonostante tutto, era che continuasse ad avere fame, come se la sua porzione non fosse stata già di per se abbondante. Finito il pranzo, ci dirigemmo verso i nostri alloggi per passare le ultime ore antecedenti alla festa che si sarebbe tenuta quella sera, riposandoci e facendo un pò di tutto. Non avremmo avuto l’obbligo d’indossare l’uniforme anzi, ci era stato ordinato proprio di vestirci il più comodamente possibile. Optai quindi per un abbigliamento semplice ed elegante allo stesso tempo: camicia bianca Kelvin Klein, Blue jeans, Adidas Stan Smith Bianche e come ultimo tocco ma non meno importante, una piccola goccia di gel sulla parte anteriore dei miei corti capelli mori tagliati a spazzola, in modo che mi fossero rimasti alzati davanti la fronte. Nick invece, imitò il mio stesso stile o quasi: camicia nera, jeans ed air max nere, affiancata dal suddetto simbolo color arancione. Durante il tempo libero, avevamo avuto modo di visitare diversi negozi di vario genere,nel quartiere vicino alla nostra base. Potevamo tranquillamente raggiungerlo sia con un pulmino apposito che partiva e tornava in orari specifici oppure con semplici auto munite di colori e targa di riconoscimento, nel caso avessimo avuto un emergenza per cui avremmo dovuto correre come il vento. In queste situazioni, ne approfittavamo anche per far compere, acquisendo di tutto e di più ma senza esagerare: dagl’oggetti per passare il tempo come DVD di film, videogames o altri oggetti per abbellire il nostro alloggio fino a cose più utili come il vestiario da utilizzare nel tempo libero quali camicie, felpe di marche note ed altri capi d’abbigliamento non troppo costosi. Come se non fossimo già di per sé abbastanza “ viziati “, la BSAA ci ricompensava con una busta paga per i servizi resi ed il lavoro svolto al suo interno, sventolandoli direttamente sotto i nostri nasi e da utilizzare come volevamo. Tuttavia, poiché già avevamo a disposizione diversi beni e servizi gentilmente concessi dall’organizzazione, non potevamo sperare d’ottenere verdoni di valore alto ma per il resto, sufficienti per passare il resto del fine settimana senza problemi ed in totale tranquillità. Se avessimo provveduto autonomamente noi stessi a mantenerci, non avremmo potuto neanche permetterci un piatto di minestra ma dal momento che tutte le spese erano proprio a carico di quest’ultima, non avevamo nulla per cui preoccuparci, anche se paradossalmente sembrava che vivessimo a scrocco sulle loro spalle.  La maggior parte dei bagagli però, cosi come tutti gli altri miei compagni d’arme,l’avevo portata direttamente da casa tramite una piccola sacca mimetica come ad esempio abiti per il tempo libero, pigiami e tutto ciò che mi sarebbe potuto tornare utile. Dopo esserci dati un’ultima sistemata prima d’uscire, ci dirigemmo verso la mensa della base che solamente per quella sera svolgeva la duplice funzione di ristorante e bar al tempo stesso.

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Capitolo 6
*** Amore a prima (s)vista! ***


Amore a prima (s)vista!


La festa si sarebbe svolta all’interno del padiglione che ospitava la mensa. Quando raggiungemmo l’ingresso, notai che furono messi alcuni tavolini e sedie all’esterno d’esso, molto probabilmente a disposizione per coloro che preferivano ritirarsi per un po’ dalla confusione interna e dal quasi sicuro frastuono della musica emessa dagli altoparlanti che quasi certamente, avrebbe accompagnato il resto della serata,sparata ovviamente a tutto volume. Il padiglione non era poi così grosso come si pensava, la cui visione esterna infatti,era in netto contrasto con quella interna., tradendo quindi il giudizio al primo impatto. L’ambiente interno comunque, rimaneva di grandi dimensioni ma non molto esagerate: in fondo alla sala, in un piccolo angolo sul lato destro dell’edificio, vi era il bancone dove solitamente durante le ore dei pasti, prendevamo la roba da mangiare e da bere. Solo per quella serata però, il personale addetto ci avrebbe concesso il lusso di gustare e bere alcolici ma senza esagerare; avremmo comunque avuto la possibilità di scatenarci e fare baldoria fino alla fine ma mantenendoci entro i limiti, senza esagerare. Al lato del bancone, vi era un lungo tavolo con piatti di vari tipi ed assortimenti, raggruppati per portata: dagli antipasti semplici come taglieri d’affettati misti ed altri pasti marittimi fino ai secondi piatti, con abbondanti e succulente porzioni; il dolce, molto probabilmente, sarebbe arrivato dopo ma di fronte a tutto quel bel di Dio, difficilmente avremmo avuto spazio sufficiente per gustare i dolciumi. Più che una serata per ragazzi, pareva una serata per VIP, con pietanze accessibili ai ceti più abbienti; troppo esagerato per i miei gusti, dal momento quella serata, pareva un circolo per ricchi. Poiché tutto ciò ci era stato gentilmente concesso dai nostri superiori e soprattutto ci era stato ordinato proprio da quest’ultimi di divertirci, non avremmo avuto il diritto di replicare: “A caval donato non si guarda in bocca!”
 
 
Ci dirigemmo verso il buffet, dove si era già formata la fila per mangiare ed in cui vi erano anche gli chef ed i camerieri posti dietro il lungo tavolo che servivano le portate ai partecipanti. Appena prendemmo i piatti di carta, bicchieri e tutto ciò che ci sarebbe servito, ci accodammo alla fila, dove incontrammo proprio dinnanzi a noi due, McCalebb e Brown, i nostri due colleghi con cui avevamo preso parte all’operazione a Wayrip, in Cina. Dopo aver preso un po’ di vivande, ci dirigemmo verso un tavolino posto al lato opposto del buffet: piccolo, nero e circolare, circondato da quattro sedie. Quindi, iniziammo tranquillamente a mangiare, discutendo su ciò che avevamo fatto durante la settimana di lavoro ed anche di vari argomenti. Durante la cena, ne approfittammo per onorare un altro commilitone non presente con noi, caduto in azione durante l’operazione in Cina; Ramirez, membro della nostra squadra ed ucciso brutalmente per mano di un J’avo mutato durante quest’ultima operazione,fu commemorato tramite un brindisi ed una moderata sorsata delle nostre birre. Durante la bevuta, ebbi modo di vedere tutto il resto della sala: era in continuo movimento ed alimentata da un costante e forte parlottio tipico dei luoghi affollati. In fondo ad essa, vi era una sorta di nicchia su cui si muovevano alcune persone che trafficavano con una console: DJ e beatmakers.  Attorno a loro, vi erano diverse luci con tonalità primarie e secondarie molto forti che illuminavano quel piccolo angolino della sala, un vero e proprio spazio discoteca, il cui suggerimento mi fu dato da un continuo ritmo musicale house, mixato a varie canzoni di tutti i generi, il cui audio partiva da potenti casse ed altoparlanti posti ai lati della “ cabina” dei DJ, affiancato da altre casse più piccoline. Dopo la cena infatti, ne approfittammo per fare un piccolo saltino in quella zona, notando anche che vi erano divani e poltrone in pelle nera. Al centro, vi era una moderata pista da ballo, in cui vedevamo i nostri colleghi scatenarsi a ritmo di musica ballando in qualsiasi modo: muovendo solamente il corpo a ritmo di musica , facendo schioccare le dita fino a coloro che ballavano in gruppo, abbracciandosi tra loro e cingendosi le spalle con le braccia, muovendosi contemporaneamente, facendoli entrare in modalità “ after alcool “. Altri invece, preferirono rilassarsi e godersi il resto della serata seduti sui mobili, gustandosi le bevande ed i salatini presi al buffet, appoggiandoli su un piccolo tavolino posto davanti ad essi. Di fronte a quei pensieri però, mi stava per sfuggire un’ultima caratteristica non meno importante: a partecipare alla serata, vi erano anche i membri femminili della BSAA e della US SOCOM, quest’ultima più numerosa come reclutamenti di questo sesso ed infatti, il mio sguardo si muoveva velocemente per guardare coloro che avevano già attaccato bottone con le tipe, ballandoci insieme ed accompagnandole a prendere qualche drink al bar, con la speranza di ottenere qualcosa in cambio che poteva essere una semplice tresca, in cui si potevano vedere diversi miei colleghi limonare e slinguazzare con le tipe in vari punti della sala oppure una più lunga e duratura storia d’amore. Brown e McCalebb sia avvicinarono alla pista da ballo, facendoci cenno con la mano di avvicinarci; lentamente e timidamente, Nick ed io li seguimmo: nonostante il divertimento a cui eravamo sottoposti, non sapevamo come muoverci e ciò ci metteva leggermente a disagio, tanto da improvvisare dei piccoli movimenti sul posto, muovendo a tempo i piedi e schioccando le dita: strano ma semplice, in grado di non fare figure penose con stili da breakdance non adatti alla nostra situazione. Mentre ballavamo, il mio sguardo si incrociò e venne attirato da quello di una ragazza che come il sottoscritto, si muoveva timidamente a ritmo di musica insieme al suo presunto gruppetto di colleghe, anche se a prima vista, pareva nasconderlo data l’espressione del volto: i suoi lineamenti facciali  lasciavano pregiudicare ad un atteggiamento serio e deciso. Da come si atteggiava e dalle poche parole che riuscivo a comprendere sotto l’assordante frastuono musicale, sorrideva timidamente, molto probabilmente perché  come il sottoscritto non si sentiva a suo agio ma nonostante ciò, le sue compagne le facevano coraggio a non abbattersi di fronte a quella situazione, invogliandola a divertirsi senza presunte preoccupazioni. A differenza di tutte le altre ragazze che avevo incrociato, questa aveva un aspetto un po’ più originale e raro;  a prima vista mascolina per intenderci: i suoi capelli erano tagliati corti a spazzola con una leggera frangetta sulla fronte, la cui lunghezza arrivava appena ai padiglioni auricolari  mentre il colore non riuscivo a identificarlo a causa delle forti tonalità di luci che accompagnavano l’atmosfera; stesso discorso si poteva fare anche per gli occhi:grandezza media con taglio sottile ma nonostante ciò, riuscì comunque ad ipotizzare che si trattavano di un colore scuro, dal momento che erano in netto contrasto con la luce presente nell’area, senza però sapere il colore preciso. La forma del viso era rotonda, accompagnata da zigomi alti, un naso ovale, mento quadrato leggermente rotondo ai bordi e labbra carnose che nascondevano un largo ed abbagliante sorriso che ebbi modo di notare sfortunatamente solo per pochi secondi durante il dialogo; forse uno dei più belli e rari sorrisi che avevo visto dopo quello della moglie del mio superiore. Doveva essere abbastanza alta, forse qualche centimetro più bassa rispetto al sottoscritto, fisico magro ed atletico che si adattava molto bene alle forme del suo abbigliamento: una maglietta a maniche corte della Abercrombie & Fitch che accentuava le floride e rotonde curve della ragazza, leggins neri e Converse All Stars a suola alta. Non male come ragazza;di fisico era messa anche più che bene tanto da sembrare quasi una modella. Mentre la mia mente lavorava alacremente e fantasticava di fronte a quei pensieri, sollevò  lo sguardo verso il sottoscritto, causandomi un momento di disorientamento dovuto alla timidezza ed alla goffaggine nel comportarmi di fronte a ciò,tanto da distogliere velocemente lo sguardo da quest’ultima; atteggiamenti dovuti ai miei scarsi ed (in maggior misura) nulli rapporti con l’altro sesso che ancora non mi avevano dato la giusta esperienza nell'affrontare e comportarmi in maniera adeguata di fronte a quelle situazioni, facendomi compiere talvolta diverse figure di merda in tutti i sensi…
 

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Capitolo 7
*** I complessi di Greg ***


I complessi di Greg

Non avevo mai avuto buoni rapporti con le ragazze ed i motivi erano molteplici; potevo farci una lista talmente lunga che sarei stato in grado d’avvolgere completamente tutta la caserma, con un ipotetico papiro su cui avrei dovuto elencare una serie di atteggiamenti, esperienze negative e soprattutto una marea di complessi che fino a quel momento avevano alimentato il mio cervello con pellicole fittizie e pateticamente surreali; era  anche vero che comunque a causa di ciò partivo sempre prevenuto ma non potevo farci nulla: vedevo dappertutto stronzi, gente che si vantava del proprio atteggiamento di merda, che se la cantava e se la suonava con storie fuori dal comune per poi essere apprezzate in ambito sentimentale nonostante il tutto ed anche se si trattava di una cosa palesemente oggettiva e reale, non avrei potuto cambiare gli standard attuali che ormai puntavano solo alla bellezza fisica ed alle “Prestazioni”  (intese in tutti i sensi e soprattutto quella in ambito sessuale ). Anche se poi le persone dicevano che non guardavano solamente l’aspetto esteriore, era comunque sott’inteso che l’attrazione fisica veniva considerata al primo posto davanti a tutto ed a tutti ed ironicamente parlando, in una maniera anti sgamo veramente efficace; avrei voluto complimentarmi e stringere la mano alla marea di coglioni che la pensavano in questa maniera. Perfino i libri che leggevo alimentavano questo fattore, come se non fosse già di per sé abbastanza stressante.  Infatti, il soggetto in questione era il romanzo di fantascienza “Doom” che avevo avuto modo di leggere durante il tempo libero, composta da una quadrilogia completa da cui furono tratti ben quattro videogiochi omonimi. Brevemente parlando, i protagonisti erano due giovani soldati di sesso opposto dello USMC, il corpo dei marines degli Stati Uniti. Insieme, avevano il compito di difendere la Terra da un’ipotetica invasione aliena, il cui ingresso era accessibile tramite alcuni portali che collegavano i vari mondi, attivati involontariamente da alcuni minatori ed operai che lavoravano su Marte, fittizia colonia spaziale umana. Durante lo svolgimento della storia e dei fatti, l’ambientazione si era spostata dalle fredde ed aride lune in orbita marziana alla Terra, precisamente a Salt Lake City dove si formò un curioso gruppo di resistenza umana guidata dalla  “Chiesa dei Santi degl’ Ultimi Giorni “, meglio noti come mormoni. Durante ciò, i protagonisti conobbero un tale chiamato Albert Gallantin: un ex cecchino dell’esercito convertito alla fede del mormonismo per non aver avuto una giustificazione valida nell’uccisione di un obiettivo apparentemente innocuo durante una missione, forse un potenziale pericolo più altri atteggiamenti e fatti misteriosi che al momento non ricordavo. La cosa che però mi aveva mandato in bestia però fu proprio la storia d’amore del romanzo che tra l’altro non era neanche quella che mi aspettavo: dopo neanche tre ore che lo conosceva, la ragazza rimase attratta dalle risposte e dalle storie ottenute dal mormone dovute alle sue domande ed alla sua curiosità fino ad innamorarsi, lasciando il povero protagonista principale da solo che assurdamente conosceva da più tempo ma come più volte sottolineato nel libro da lui stesso, erano solamente amici intimi e basta anche se a mio avviso abbozzava in una maniera spaventosa, mascherata da un atteggiamento tollerante e per nulla geloso. Era vero comunque che la morale enunciava che gli opposti si attraggono ma questa cosa non la potevo sopportare e molto spesso mi trovavo coinvolto in situazioni del genere; il protagonista maschile e la sua partner di lavoro era l’uno opposto dell’altro, soprattutto quando discutevano sulla religione, dal momento che lui aveva studiato come il sottoscritto dai gesuiti mentre lei era completamente atea anche se nel romanzo aveva confessato a quest’ultimo che suo fratello aveva abbracciato la fede del mormonismo. Tuttavia, la scelta non ricadde su di lui bensì sul protagonista più misterioso e di sicuro più anziano, cosa che mi fece salire il nazismo dal momento che non sopportavo quando una ragazza giovane si metteva con un uomo maturo mentre per il caso contrario, il rancore non si presentava allo stesso modo ed era del tutto assente; veramente strano ma neanche io stesso riuscivo a pormi delle domande e neanche a darmi una risposta da solo. Nonostante questa marea di complessi comunque, potevo vantare di aver avuto ben due relazioni durante gli anni di liceo ma terminati ovviamente in maniera tragica e schifosa. La prima durò all’incirca un anno e mezzo con la figliastra di un rapper amatoriale dal momento che la madre della mia ex si risposò una seconda con quest’ultimo, da cui ebbero anche un figlio, nonché fratellino acquisito. Tra i numerosi particolari che mi colpirono molto su questa ragazza fu proprio sua madre che l’aveva avuta per “errore” a sedici anni durante un rapporto sessuale non protetto, stando alle sue confessioni durante gli anni di relazione. Un’altra particolarità che lasciò il segno fu proprio la sua l’instabilità mentale: dal momento che all’epoca era una giovane ragazza e mamma di trent’anni, non si comportava come tale, tant’è vero che ruppe il rapporto anche con il suo secondo marito a causa dell’adulterio di quest’ultimo: Di fronte a ciò, la pazza madre, decise di sfogarsi in maniera poco ortodossa,deprimendosi fino al midollo e concedendosi lussi di qualsiasi tipo che talvolta sfociavano in piccoli ma rumorosi movimenti a letto con qualche amico o sconosciuto incontrato per caso durante le uscite con gli amici, giusto per scaricare la sua frustrazione su qualcuno. Ovviamente la figlia non stette a guardare ma dal momento che la madre si comportava così, anziché intraprendere la via più saggia e tranquilla con il sottoscritto, decise di diventare tale e quale a lei; senza dirmi nulla e tenendomi all’oscuro di tutto, iniziò a troieggare sui siti d’incontri, pubblicando sue foto in pose sexy fino ad uscire e mettermi più volte le corna con un ragazzo romeno: tale madre, tale figlia. Dopo aver reagito in maniera sovrumana ma non violenta a questa follia, decisi di prendere un periodo di pausa finché non decisi di ricominciare con un’altra tipa, conosciuta casualmente ad una festa di un mio vecchio compagno di scuola. All’inizio le cose sembravano prendere la piega giusta, dal momento che avevamo gli stessi interessi e le stesse passioni, finché non scoprì che la tale relazione che adoravo fino a quel momento era  in realtà un’arma a doppio taglio: la sua possessività talmente testarda che mi impediva anche di passare il tempo libero con i miei gruppi d’amici e vivere la mia vita sociale. Se non facevo come diceva lei, mi ricattava ogni volta con la rottura del fidanzamento, accusandomi addirittura di ferirla quando le spiegavo che non c’era nessun motivo per essere troppo gelosi, mostrandole perfino le mie conversazioni sul cellulare. Si faceva talmente tanti complessi che addirittura mi impediva di consultarmi con i miei compagni femminili a scout, durante le riunioni e le uscite con i bambini più piccoli di cui mi dovevo occupare ed insegnare a quest’ultimi diverse attività. Poiché anche io avevo un limite di sopportazione per quanto riguardava la gelosia, decisi a malincuore di non parlarle più e di lasciarla definitivamente, guadagnandomi anche chiamate e messaggi su whatsapp con atteggiamento isterico e disperato da parte sua: non potevo certo mandare a puttane le mie uniche relazioni sociali che avevo a causa dei miei numerosi difetti e di certo non ponendo lei al centro del mondo e tra l’altro gli andò pure fin troppo bene, dal momento che ancora non conoscevo Rivas: se m’avesse impedito di divertirmi e passare il tempo libero con lui non l’avrei fatta tornare viva a casa e dio solo sapeva cosa le avrei fatto: non poteva privarmi del mio unico amico poiché era raro soprattutto per me trovare persone del genere con cui divertirti fino alla morte. Già non avevo una vita abbastanza movimentata e moderatamente divertente a causa dei miei numerosi difetti ma la prevenzione partiva con la paura di combinare le stesse e rare cazzate che avevo fatto ai tempi scolastici ma se mi fossi rovinato anche per una relazione amorosa, sarebbe stato il colmo. Accumulando una sfiga dietro l’altra a catena, mi chiedevo se fossi l’unico idiota ad avere complessi e problemi del genere…
 

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Capitolo 8
*** Una nuova missione ***


Una nuova missione

Alcuni giorni dopo la festa notturna, il colonnello Redfield venne informato dall’Alto Comando della BSAA che Lunedì mattina, alla buon’ora, avrebbe avuto un’ importante visita da parte di Leon Kennedy, funzionario nonché uno dei pilastri fondamentali della US SOCOM, omologa a quest’ultima ma leggermente differente, poiché lavorava in ambito dello spionaggio, consulenza ed intelligence; senza d’essa, molte missioni ed operazioni organizzate dalla BSAA sarebbero fallite ancor prima di cominciare. Così come il colonnello, anche il signor Kennedy aveva iniziato ad affrontare minacce del genere in età giovanile. Era poco più che ventenne quando si trovò per la prima volta faccia a faccia con i morti viventi, precisamente nella città di Raccoon City durante la sua prima sfortunatissima giornata di lavoro come poliziotto all’interno della caserma stessa, dove gli zombie si erano già insediati al suo interno da molto tempo, ciondolando per i corridoi della struttura,divorando ed uccidendo chiunque fosse ancora sano e vivo in tutti i sensi; se non si era uguali a loro, automaticamente si diventava la loro portata principale ed un solo morso poteva essere letale per dare inizio al lento processo di trasformazione,a meno che il malcapitato non ricevesse o cercasse cure mediche rapide ed adeguate. Nei casi peggiori invece, gli sfortunati venivano feriti,divorati e spolpati come una bistecca fino all’ultimo, subendo una fine crudele ed infamante allo stesso tempo. Durante l’epidemia di Raccoon City, il funzionario Kennedy ebbe modo di conoscere diverse persone, tra i quali Marvin Branagh, colui che sarebbe dovuto essere il suo capo ufficio, infettato ed ucciso dallo stesso Kennedy; aveva eroicamente resistito all’assalto degl’infetti fino all’ultimo, stando ai numerosi rapporti trovati in giro per il dipartimento. Inoltre vi furono anche la sorella del colonnello Redfield, Claire ( con cui si diceva che per un periodo di tempo si fossero frequentati anche se si trattavano di fatti metropolitani ) e per ultima ma non meno importante, la misteriosa Ada Wong con cui attualmente aveva una relazione.
Kennedy si presentò davanti la porta d’ingresso della stanza del colonnello. Pur essendo prossimo alla quarantina, si manteneva in forma: l’aspetto fisico gli donava un’apparenza giovanile, sia come corporatura che come vestiario, nonostante fosse vicino alla quarantina; il più delle volte, attirava non pochi sguardi da parte delle dipendenti al servizio della US SOCOM che molto spesso, scambiavano timidi pareri tra loro e tipici risolini da ragazze timide ed innamorate. Molto spesso, veniva paragonato ad un modello, come se la carriera da funzionario d’intelligence non fosse per lui, anche se possedeva tutto ciò per essere un James Bond americano: fascino, seduzione e carisma. Aveva i capelli biondo cenere con una leggera sfumatura castana lunghi, alzati leggermente sulla fronte, simile ad una messa in piega. Il taglio degl’occhi era molto pronunciato, accompagnato da due occhi color zaffiro il cui sguardo faceva sicuramente impazzire le giovani ragazze che incontrava. Indossava un abito formale semplice e non troppo vistoso: una semplice camicia bianca, blue jeans ed un paio di hogan color nocciola. Bussò leggermente sulla porta, dando due rapidi colpetti con al nocca del medio ed attendendo la risposta. “Avanti” disse il colonnello,con tono deciso ed autoritario. “ Permette l’ingresso ad una vecchia conoscenza? “ Disse ironicamente Kennedy, facendo capolino con la testa da dietro la porta, abbozzando un timido sorriso. “ Leon! Prego accomodati!” rispose Redfield alzandosi dalla sedia, invitandolo ad entrare tramite un cenno della mano. Dopo rapidi saluti, si sedettero alla scrivania: “ Quanto tempo sarà passato dall’ultima volta che si siamo visti?” “ Se non vado errato, dall’operazione contro la Neo Umbrella a Wairyp, in Cina, dove sei stato recentemente con la tua squadra” ribatté Kennedy alla domanda, socchiudendo leggermente gli occhi ed allargando la bocca in una leggera smorfia d’imbarazzo, per timore di dire una sciocchezza. “Hai ragione! Gradisci qualcosa?“ “No grazie! Ho mangiato un cornetto rapidamente sull’aereo prima di venire qui” Declinò in maniera garbata Kennedy con un cenno della mano. “ Piuttosto, passiamo subito a questioni più urgenti” “ Di cosa si tratta?” Ribatté il colonnello, aggrottando le sopracciglia e strofinandosi lentamente il mento con il pollice e l’indice: la questione appena enunciata lo incuriosiva ma lo rendeva nervoso al tempo stesso. Quasi sicuramente non si trattava di una notizia positiva per quanto concerneva il fronte. Era vero comunque che la situazione per ora era stabile, grazie alle numerose operazioni guidate dal colonnello e dall’impegno profuso dalle truppe ma non bisognava per nulla abbassare la guardia; il pericolo scorreva sul filo del rasoio e si nascondeva dietro l’angolo; finché l’esistenza del nemico non fosse stata cancellata definitivamente dalla faccia della Terra, non ci si poteva rilassare neanche per un nanosecondo. “ Recentemente, i servizi segreti della US SOCOM hanno individuato una piccola zona innocua solo all’apparenza ma che probabilmente non lascia presagire nulla di buono.” Disse Kennedy, arrivando subito al punto senza troppi giri di parole; gli piaceva essere ironico entro i limiti ma quando c’era da dire qualcosa di veramente importante su cui l’ironia stava a zero, preferiva essere schietto e diretto. “ Che zona, di preciso?” Ribatté Redfield sempre più interessato. “ Ho qui un bellissimo fascicolo per soddisfare tutte le tue domande!” Rispose prontamente il biondo, tirando fuori dalla sua borsa di lavoro un’abbondante cartella su cui sicuramente vi erano citate ed elencate tutte le risposte cha avrebbe voluto sapere il suo vecchio amico. Una volta preso, il colonnello venne subito attirato dall’enorme titolo scritto in grassetto, con caratteri neri: “Operation Resurrection”. Ancora più incuriosito dopo la lettura del titolo, prese a sfogliare lentamente le pagine, annuendo e serrando le labbra in una smorfia di comprensione. “ Suppongo che la consegna nelle mie mani di tale documento implichi il coinvolgimento di alcuni miei soldati,esatto?” Disse il Colonnello, alzando lentamente lo sguardo verso il suo interlocutore, senza alterare per nulla il suo sereno timbro vocale mantenuto fino a quel momento. Kennedy, in risposta annuì lentamente, abbozzando un timido sorriso.                    “ Esattamente! Dal momento che voi possedete gli uomini adatti per questa missione, gradirei che mi facessi sapere al più presto come avete intenzione d’organizzarvi”. Appena udite quelle parole, l’espressione serena del comandante si trasformò in una maschera d’orrore ed ansia: sapeva a chi stava alludendo ed affidare a quest’ultimi una missione veramente rischiosa, forse più pericolosa delle precedenti, equivaleva ad un suicidio. “Te lo puoi scordare, Leon! Non hanno ancora l’esperienza adeguata ad affrontare operazioni del genere!” Sbottò improvvisamente il colonnello, sbattendo un pugno sul tavolo e facendo tremare gli oggetti al di sopra d’esso. “ Mi dispiace Chris ma non posso discutere gli ordini. Non sappiamo a chi altro affidare quest’operazione e stando ai rapporti ottenuti e condivisi dalla BSAA, possiedi le persone giuste per questo tipo d’operazione, più altri due membri aggiunti e selezionati dal mio gruppo.” Rispose Kennedy, continuando a mantenere un comportamento tranquillo nonostante la sfuriata del suo vecchio collega di lavoro. “Addirittura componenti nuovi!? Ma il comando è totalmente impazzito? Lo capisce che se facessimo anche un minuscolo errore, la situazione sarà quasi totalmente ribaltata a nostro sfavore? Non è pignoleria ma semplicemente che in soli tre anni abbiamo subito ed accusato pesanti perdite dai nostri schieramenti, non mi sembra il caso di impiegare uomini inesperti per operazioni delicate, da cui dipende il destino della guerra e del mondo” Riabbatté furiosamente il colonnello, spostando rumorosamente la sedia ed alzandosi di scatto. “ Chris! Io non posso fare nulla ok? Anche se adesso mi hanno promosso a funzionario devo comunque obbedire agl’ordini dei miei superiori. Anche io sono in disaccordo su alcune cose che organizzano in maniera veramente assurda ma ho solo il compito di coordinare al meglio i metodi di intelligence e rielaborare le informazioni nella maniera più dettagliata possibile, proprio appunto per aiutare i tuoi uomini a non subire ingenti perdite!” Ribatté prontamente Kennedy, sottolineando con enfasi le ultime parole: poteva capire il dolore del suo vecchio compagno. In tutto questo tempo, non aveva mai visto un uomo d’azione che dopo svariati anni di esperienze nella lotta al bio terrorismo si preoccupasse così tanto per i propri uomini; ciò però non significava che trattava con i guanti quest’ultimi né che aveva preferiti particolari ma sapeva dividere molto bene i momenti per adeguare il suo comportamento: da quelli in cui abbaiava e sbraitava contro i suoi stessi uomini durante le sessioni d’allenamento per dare la possibilità di sviluppare un atteggiamento ferreo e privo di frivolezza fino ai momenti in cui rideva e scherzava assieme a loro. Secondo i feedback all’interno della BSAA, la maggior parte dei soldati pareva soddisfatta ad avere un superiore del genere ma soprattutto era raro trovarne uno disposto ad avere un dialogo ed ascoltare i problemi di quest’ultimi; ufficiali come lui rappresentavano la nuova generazione di comando, unificando serietà e fiducia in un'unica figura. Il colonnello prese a fissarlo per un momento, per poi terminare il contatto con una leggera ed ampia strofinata degl’occhi, dovuto al continuo stress ed alla costante concentrazione accumulata fino a quel momento; nonostante avesse avuto alcuni giorni per riposarsi, non era bastato per farlo riprendere del tutto da quegl’innumerevoli pensieri che scorrevano velocemente nella sua mente, come macchine da corsa. Non avrebbe potuto controbattere ma ciò non significava che non si fidava delle potenzialità dei suoi giovani uomini ma semplicemente non li riteneva adatti a compiere una delicatissima missione tant’è vero che le altre precedenti compiute felicemente parevano delle barzellette. Nonostante la serietà e l’urgenza della situazione, il colonnello era riuscito a trovare il lato umoristico della questione: se prima era lui stesso ad insistere affinché i suoi pochi ma coraggiosi uomini affrontassero questioni del genere ed il comando era titubante, adesso le parti erano inverse, dando come risultato il sott’inteso paradosso della situazione. “Vedrò cosa posso fare ma non ti assicuro nulla” rispose a Kennedy, rassegnandosi alla risposta ormai certa, con la vana speranza che le persone selezionate potessero cambiare. “D’accordo! Se ci dovessero essere dei problemi oppure altre questioni poco chiare, fammele sapere la più presto!” Ribatté quest’ultimo, alzandosi dalla sedia e stringendo la mano al comandante per poi congedarsi: quel giorno, avrebbe dovuto sbrigare parecchie faccende una volta ritornato alla sede centrale della US SOCOM. Dopo circa dieci minuti dal congedo di quest’ultimo, il colonnello sedeva ancora interdetto ed accasciato di fronte alla scrivania. Perché non mandano me al fronte? Perché non lo capiscono che nonostante non sia più tanto giovane, possiedo ancora i mezzi ma soprattutto l’esperienza per affrontare minacce del genere? Ho più di quarant’anni ma sono ancora in grado di muovermi come se ne avessi venti di meno! Disse tra sé il colonnello come se fosse stato un bambino frustrato ed iniziando pigramente a leggere il dossier dall’inizio per capire meglio il contenuto e ciò che i suoi giovani uomini avrebbero affrontato nelle prossime ore…
 

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Capitolo 9
*** Consulenza Speciale ***


Consulenza Speciale

Nella tarda mattinata di quel giorno, dopo aver letto in maniera disordinata ma allo stesso tempo abbastanza approfondita il dossier, il colonnello decise di fare una visita alla psicanalista della BSAA, chiamata affettuosamente “ Nonna BSAA “ per via della sua età non troppo avanzata ma soprattutto per il suo carattere affettuoso e rassicurante, capace di risolvere la maggior parte dei problemi che affliggevano i giovani soldati, dandogli anche sostegno morale ed una sorta di “benedizione laica”, tradotta come un in bocca al lupo per coloro che quotidianamente combattevano al fronte. Una sua consulenza non sarebbe stata per niente una cattiva idea, dal momento che conosceva personalmente le attitudini ed i comportamenti interiori di ogni soldato all’interno della base mantenendo il riserbo più assoluto e divulgando informazioni particolari solamente in casi d’estrema necessità, giusto per non tradire il suo segreto professionale se non per cause di forza maggiore. Una volta arrivato, bussò ed ottenuto il consenso ad entrare, varcò la soglia. La stanza della dottoressa Janice Maxine aveva una forma cubica, piccola ma deliziosamente confortevole e comodissima, capace di far sentire a proprio agio anche l’animo più irrequieto che esistesse o quasi. Il motivo di tale giudizio era data dagli elementi che componevano tale stanza: un lettino posto sul lato sinistro dello studio, coperto da un lenzuolo color blu marino tipico dei fondali marini con alcune linee che formavano alcuni fiori con andamenti circolari; se il paziente invece preferiva esporre i suoi problemi seduto ed in maniera diretta, l’alternativa era una piccola poltrona posta davanti la scrivania in mogano dell’anziana dottoressa su cui era posizionato un cuscino del medesimo colore del letto che ricopriva generosamente sia la base che lo schienale della poltrona, donando un confort simile a quello del lettino. La dottoressa Maxine aveva proprio l’aspetto tipico di una nonna sotto tutti i punti di vista ma ciò non significava che fosse rimbambita o costantemente indulgente secondo i pregiudizi tradizionali delle anziane signore; a volte sapeva essere abbastanza diretta e molto severa, giusto per spronare tutte quelle persone timide ed introverse che avevano paure di diverse tipologie per poi farle superare sia tramite i suoi consigli derivati dalla sua lunga e vasta esperienza lavorativa unita a quella di vita che tramite un lungo e faticoso processo di studio psicologico del paziente, con l’obiettivo di donargli più fiducia e vincere le loro timide perplessità e paure. Pur avendo superato la sessantina, l’anziana donna si manteneva bene sia dal punto di vista fisico che mentale, svolgendo il suo lavoro in maniera seria e con impegno, senza prendere nulla sottogamba; spesso i pazienti, ufficiali ed i suoi colleghi di lavoro parlavano molto bene di quest’ultima, paragonandola anche in maniera un po’ troppo esagerata all’attrice Judi Dench, famosa per i suoi ruoli in alcuni film della famosa spia James Bond come capo di quest’ultimo. Aveva dei capelli sottili e tagliati corti, di colore castano rosso che portava pettinati a frangetta sulla fronte. Il viso era magro, piccolino e coperto di rughe sottili e non troppo marcate, accompagnate da due vispi occhi color nocciola coperti da un sottile paio d’occhiali dalla montatura dorata. Indossava un piccolo maglione di lana grigio con sotto una maglietta a maniche lunghe verde, accompagnata da una gonna grigia ed piccole scarpe nere senza lacci. “Buonasera, dottoressa!” Esclamò il colonnello, sedendosi sulla sedia vicino alla scrivania in legno barocco della dottoressa, proprio di fronte a lei, intenta a compilare diverse scartoffie e moduli. “Buonasera, signor colonnello” rispose la dottoressa senza alzare lo sguardo per poi farlo dopo aver completato le sue faccende burocratiche; rimise quindi apposto le carte appena compilate, mettendosi in posizione d’ascolto. “Cosa posso fare per lei?” Proseguì l’anziana dottoressa con tono pacato e paziente: era incredibile come riuscisse a mantenere la calma anche in momenti di crisi estreme. “ Arrivo subito al punto: si tratta di un operazione in cui è coinvolto uno dei miei soldati, nonché colui che a portato a termine recenti e difficili compiti assegnatogli oltre le linee nemiche. Ho saputo che si trattava di uno dei suoi pazienti abituali e avevo pensato che avere una sua piccola consulenza non sarebbe stata di certo una cattiva idea.” Ribatté il colonnello, porgendo alla dottoressa il dossier che aveva ricevuto e letto rapidamente un paio d’ore prima. Mantenendo la stessa grazia e concentrazione di prima, si sistemò gli occhiali e prese a sfogliare il documento top secret, annuendo di tanto in tanto davanti ad un ufficiale ansioso e tremolante che attendeva impazientemente una risposta soddisfacente, anche se a prima vista non manifestava tali comportamenti; frutto d’anni passati a sventare minacce biologiche di ogni tipologia che avevano come filo conduttore sempre lo stesso nemico, le stesse cose. Il fatto che riuscisse a mantenere i nervi saldi in momenti del genere non era solo l’esperienza accumulata sul campo quanto la monotonia delle situazione che affrontava ormai da anni, come se fosse una classica routine quotidiana a cui aveva fatto l’abitudine. Più che un’ ufficiale, pareva un giovane studente universitario in attesa dell’esito di un esame, il cui scrutinio interminabile faceva innervosire progressivamente il suo status psicologico, in un clima ascendente d’ansia mischiata con la paura ma con un leggero barlume d’ottimismo, pensando che dopo quel difficile esame avrebbe goduto un meritato momento di riposo. Dopo aver esaminato per cinque minuti buoni il dossier, la dottoressa si alzò lentamente dalla scrivania, camminando lentamente con le mani intrecciate dietro la schiena verso la finestra che dominava gran parte del cortile principale della caserma: lo studio, infatti, era situato al quarto piano d’un edificio dedicato ai servizi sanitari e di consulenza; in parole povere, studi medici specializzati in una moltitudine di settori che offrivano un buon servizio a tutti gli impiegati della caserma. “Non mi sorprende che un giovane come Gregory sia coinvolto in tali missioni. Ho sentito parlare del sua alto tasso di successi nelle pericolose e delicatissime operazioni che gli avete affidato e grazio a ciò, avete ottenuto un vantaggio strategico.” Parlò lentamente l’anziana dottoressa, dando la schiena al colonnello ancora seduto. “Ma ciò che non capisco è questo: perché dopo tali risultati mi sta chiedendo un parere? Posso capire se ha dubbi per quanto concerne il suo fattore psicologico ma non le bastano i fatti conseguiti per sapere se lei stesso lo ritiene idoneo o meno? “ Non si tratta di un operazione come le altre, dottoressa ma di un qualcosa di molto più complicato da cui dipende il destino della guerra: in confronto, le altre erano solamente una passeggiata. Questa è più lunga e non prevede un semplice sabotaggio oppure una consueta demolizione di qualcosa ma un moltitudine d’obiettivi che richiedono una preparazione tattica ed un esperienza adeguata!” Ribatté nervosamente il colonnello, strofinandosi lentamente una mano sulla faccia.  “Conosco il giovane Miller meglio di chiunque altro qua dentro e secondo me, nonostante sia ancora inesperto è sveglio. Non dico che sia eccellente come lei ed il resto degli eroi che hanno salvato il mondo appena due anni prima ma bisogna lasciare spazio ai nuovi arrivati. Greg, come ogni cristiano novellino qua dentro, ha i suoi difetti ed ho potuto notare alcuni suoi momenti di stupidità, fattore che non mi ha preoccupato minimamente poiché si trattano di semplici e normali distrazioni.” Rispose la dottoressa dopo circa un paio di secondi che parevano interminabili, continuando a fissare il paesaggio fuori dalla sua finestra senza cambiare d’una virgola la sua compostezza. “Ma le vorrei anche rispondere con una contro domanda: se a soli vent’anni voi stessi lo avete nominato sergente e gli avete affidato incarichi brevi ma di grande rilevanza, oltretutto affiancandolo anche al suo migliore amico, non siete in grado voi stessi di stabilire un giudizio per quanto riguarda la sua idoneità su tale incarico? Se la US SOCOM lo ha fatto, un motivo ben preciso ci dovrebbe essere o sbaglio?” Riprese la dottoressa, voltandosi lentamente verso il colonnello. Appena udite quelle parole, l’ufficiale si sporse in avanti con sguardo incredulo, come se gli avessero dato un pugno forte nello stomaco, storcendo la bocca in una smorfia d’incomprensione. “Non si tratta solo dell’operazione in se ma anche dei due nuovi ospiti che si dovrà portare a presso: un ragazzino nerd ed hacker di 14 anni ed una ragazza della stessa US SOCOM di cui non so praticamente nulla! Quest’operazione è una cosa seria e se fallisse, saremmo nuovamente punto a capo e gli sforzi fatti fino adesso equivarrebbero ad un contenitore pieno di letame!” Ribatté prontamente il colonnello, alzandosi lentamente dalla sedia ed avvicinandosi alla dottoressa; la situazione stava cominciando a seccarlo e temeva che tutto ciò che avesse detto fino a quel momento alla dottoressa fosse semplicemente fiato sprecato. In quella breve ma concisa risposta, la dottoressa non si scompose e continuò a guardare la zona sottostante, attraversata da piccoli puntini neri, come graziose formiche laboriose all’interno di un formicaio. “Non metto in dubbio le sue perplessità ed il suo nervosismo colonnello e soprattutto non m’intendo molto di strategia militare in maniera approfondita ma le faccio notare una cosa: in tempi di guerra, si è rischiato il tutto e per tutto pur di vincere e schiacciare definitivamente il nemico e lo abbiamo visto tramite i due precedenti sanguinosi conflitti mondiali. E se le dicessi che invece tale operazione possa essere pericolosa ma allo stesso tempo giovare al nostro giovane paziente ed eroe?” Proseguì la dottoressa, rivolgendo lentamente lo sguardo all’ufficiale della BSAA mentre scandiva attentamente quelle parole, alzando un sopracciglio. In quel momento, per il colonnello sembrava che tutto fosse appositamente pilotato contro di lui, giusto per aumentare le sue ansie di fronte a tale situazione: si trattava di una cosa maledettamente seria ma dal momento che non erano disponibili altre eventuali alternative, si doveva puntare il tutto su una manovra rischiosa. In parole povere, Greg ed il suo giovane amico avrebbero dovuto fare da babysitter ad un altrettanto giovane hacker necessario per forzare i sistemi informatici della struttura in cui si sarebbero dovuti infiltrare e collaborare con una giovane ragazza della US SOCOM di cui non aveva sentito parlare, se non qualche piccola informazione letta nei dossier. “ Lasciamo che il nostro piccolo giovanotto faccia esperienza, assistito dal suo unico e caro amico e dai suoi nuovi compagni, soprattutto quello femminile!” Terminò la dottoressa, riportando lentamente lo sguardo sull’ambiente fuori la finestra: era consapevole del fatto che Gregory era un tipo molto timido, riservato e talvolta introverso ma non aveva problemi a creare solide amicizie all’interno della caserma nel tempo libero ma per quanto riguardava i suoi complessi con l’altro sesso, era totalmente incapace…
 

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Capitolo 10
*** Un Briefing particolare ***


Un briefing particolare

Come di consueto, ogni volta che vi era una situazione delicata su cui discutere, venni convocato insieme al mio amico Rivas nell’ufficio del comandante Redfield; quel giorno c’eravamo svegliati alla solita ora per intraprendere il nostro lavoro quotidiano: esercizi fisici all’aria aperta, palestra e poligono,unito qualche volta a semplici ma noiosissimi lavori burocratici, giusto per far sviluppare la nostra versatilità non solo in ambito fisico ma anche in quello mentale. Sin dai tempi del liceo, tra le mie attività future preferite che avevo in mente e che desideravo concretizzare, vi era quella di gestire una semplice palestra dove si sarebbero potute svolgere un po’ tutte le tipologie di lezioni, seguendo lo stesso modello di quella che frequentavo dopo la scuola. Odiavo tantissimo svegliarmi presto, soprattutto durante gli anni scolastici ma stranamente, adesso che stavo lavorando all’interno della BSAA rispettando un codice disciplinare molto rigoroso, la questione non m’infastidiva più di tanto anzi, più che un fattore abituale, probabilmente, si trattava di un misto tra piacere e dovere ed infatti, poiché uno dei miei tanti desideri era quello di praticare esercizio fisico e gestire un attività concernente ciò, la questione non mi lasciava per niente deluso o quasi, tranne per quando dovevo sbrigare le faccende burocratiche quali rapporti o statistiche i quali, per scriverle e consegnarle, possedevamo fortunatamente diversi computer su cui lavorarci; la tecnologia moderna fortunatamente serviva a qualcosa e fortunatamente non sempre veniva prodotta sottoforma di cazzatine o robe inutili! Verso le undici, fummo ricevuti nell’ufficio del comandante: sedeva dietro la sua scrivania con il pollice e l’indice della mano sinistra tra il mento e la bocca mentre con l’altra tamburellava nervosamente sul tavolo, simbolo che ciò che era in procinto di dire era molto delicato. Nonostante fossi entrato nella BSAA da ormai circa due anni, avevo sviluppato un intuito per certi aspetti ma non così preciso da fornire un giudizio definitivo nella mia mente, stesso discorso per il colonnello che conosceva molto bene l’atteggiamento dei suoi polli tra cui il sottoscritto ed il suo partner. “ Voleva vederci, signore?” Dissi timidamente una volta entrato, rimanendo ritto in piedi assieme a Rivas davanti alla scrivania. “ Sedetevi pure ragazzi!” Fece cenno con la mano l’ufficiale, assumendo una posa più rilassata, accavallando una gamba sopra l’altra: non so perché ma quell’apparente sbalzo d’umore improvviso, sempre se si potesse definire tale, mi metteva un po’ d’ansia. “Innanzitutto, volevo farvi i miei complimenti per gli sforzi compiuti fino ad oggi che ci hanno permesso di mantenere stabile il conflitto sul suolo europeo, soprattutto la difesa della base ha tradito le loro aspettative.”  Riprese il nostro comandante una volta seduti con tono tranquillo, poggiando lentamente le mani sulla scrivania mentre pronunciava quelle parole: più che un soldato, sembrava Al Pacino nel film “ Scarface” in procinto di giustiziarci tramite il classico regolamento di conti in stile mafioso. Sul tavolo, vi era un dossier rilegato con una copertina  color nocciola; recitava una scritta rossa al centro:il classico Top Secret da film mentre la di sopra di esso vi era il simbolo della BSAA unito a quello della US SOCOM, unito ad altre scritte e piccole frasi che rimandavano agli uffici governativi del nostro paese. Quindi senza perdere ulteriore tempo, il nostro superiore mi fece cenno di dargli brevemente un’occhiata,sfogliandolo lentamente assieme a Rivas che scrutava le sottili ma ben visibili righe sul foglio interno, accompagnando quei minuti di silenzio con il respiro apparentemente sereno ma nervoso, attutito dall’effetto del suo passamontagna. Unito alle informazioni generali e principali, vi erano alcune foto tenute ferme da alcune graffette ai bordi della pagine. A loro volta le immagini, ritraevano luoghi ed una persona ripresa da varie angolazioni, sicuramente per semplificare la comprensione del testo. All’inizio della pagina, vi era una sorta di prefazione con le causali della scelta ricaduta su noi due ma la cosa che destò la mia attenzione furono altri due nomi: uno concerneva il nome di un’agente femminile che al momento non conoscevo ma era esplicitamente scritto che era in servizio alla US SOCOM e pertanto non mi suscitò nessuna sorpresa ma appena lessi il secondo nome rimasi sgomentato. Scambiai un’occhiata incredula con Rivas, per poi rivolgere uno sguardo beffardo ed incredulo verso il mio superiore. “Ma è uno scherzo vero? “ Ripresi subito dopo, scoppiando quasi a ridere per l’assurdità che avevo appena letto. Il comandante, di rimando, scosse lentamente la testa con sguardo impassibile. “Al contrario carissimi sottufficiali: il quarto membro che avete appena letto sul dossier è stato selezionato dopo un’accurata analisi dell’operazione Dead Island ovvero, la vostra operazione… “Ma sono diventati matti!? Ma non si rendono conto che oltre ad assegnare una delicatissima missione ad un paio di giovani con pochissima esperienza sul campo di battaglia affiancati solo da una fortissima dose di continue botte di culo,  ci hanno affidato un ragazzino di soli quattordici anni?” Sbottai improvvisamente, alzandomi di scatto dalla sedia, spingendola con forza indietro tanto da farla grattare malamente sul pavimento, provocando un rumore pesante e fastidioso; in quei pochi secondi, si era alzato anche il mio partner, forse spaventato oppure imbarazzato dalla reazione che avevo appena avuto, facendo guizzare lo sguardo sia sul sottoscritto che sul nostro superiore. “ Gregory non possiamo fare un cazzo ok? E cerca d’abbassare i toni poiché ti ricordo che stai parlando con un tuo superiore!” Ribatté prontamente il nostro superiore, alzandosi di scatto anche lui. Purtroppo, se tali informazioni lette sul dossier era confermate anche da quest’ultimo, dovevo ammettere a malincuore che ciò era reale in tutto e per tutto. Infatti, avremmo dovuto portare con noi nel luogo designato un ragazzino di soli quattordici anni che si diceva fosse un hacker con abilità particolari, anche se tutto ciò puzzava di bruciato: era così bravo da superare perfino gli hacker della US SOCOM? Oppure possedeva veramente abilità particolari tanto da guadagnarsi la nostra osservazione? In tal caso, non avremmo potuto discutere anzi, neanche ci dovevamo azzardare a farlo ma ciò stava cominciando a darmi sui nervi  non per quanto concerneva il fatto che venivo scelto per compiere tali “imprese “ ma pareva che il comando organizzasse le cose veramente a caso e tale situazione, per quanto apparentemente sembrasse sotto controllo, non si poteva prendere sottogamba. Continuai a fissare il mio comandante con sguardo rabbioso a denti stretti mentre Rivas continuava ad alternare rapidamente lo sguardo fra me ed il colonnello.  “Abbassare i toni? Questa è una situazione seria e non sono d’accordo sul fatto che si organizzino delle strategie a cazzo! Mi fa piacere che il comando abbia notato i nostri risultati e l’alto tasso di successo sul fronte ma non siamo ancora pronti a portare a termine incarichi del genere né ritengo che la preparazione di quest’ultima sia ben organizzata!” Sibilai di rimando al colonnello come un cane rabbioso che ringhia, alzando lentamente il fascicolo davanti ai suoi occhi; in tutto ciò avevo parlato anche a nome del mio compagno che quasi sicuramente condivideva il mio stesso punto di vista, dal momento che pur essendo silenzioso, non aveva fatto cenni di dissenso particolari. Non potevamo fare nulla, se non accettare i parametri che ci erano stati imposti e rassegnarci attivamente alla difficoltà elevata del nostro prossimo compito. Quindi, dopo aver pronunciato quelle parole, il colonnello rimase a fissarmi, come se quelle ultime frasi lo avessero messo con le spalle al muro. “ Va bene, sergente! Non siete d’accordo? Allora andatevi a lamentarvi direttamente con le alte sfere di entrambe le organizzazioni e vi assicuro che con una giustificazione del genere non troverete sbocchi alternativi in merito, tranne nell’essere puniti per aver violato gli ordini.” Terminò seccamente il comandante, pronunciando la sua metaforica sentenza definitiva. Stare testardamente a discutere sarebbe stato controproducente e per ora dovevo battere in ritirata. Quindi, dopo quella breve ma animata discussione, riprendemmo la nostra calma originaria ed in momenti come questi, la calma doveva essere la protagonista principale nell’affrontare tali problemi. “ Io vi ho fatto una premessa ed un piccolo riassunto su ciò che dovreste affrontare ma dal momento che non possiamo perdere ulteriore tempo, tutto il resto è spiegato la dentro. Potete andare!” Terminò il colonnello una volta seduto, indicando leggermente col dito; la discussione lo aveva leggermente fatto innervosire e stancare ulteriormente, dovuto allo stress accumulato fino a quel momento nel dirigere, organizzare ed addirittura combattere ancora una volta al fronte il quale, dopo solo pochi mesi d’inattività, dimostrava ancora d’essere in grado di combattere. Una volta congedati, uscimmo dal suo ufficio con il sottoscritto che masticava ancora amaro nella bocca, dovuto sia alla discussione appena avuta che a ciò che avrei dovuto affrontare nelle prossime ventiquattro’ ore, forse le più terribili passate in vent’anni di vita. Poco prima d’uscire, il comandante mi richiamò, bloccandomi nell’esatto momento in cui stavo per girare la maniglia. “ Miller? Non t’azzardare mai più a mancarmi di rispetto.” Sibilò, per poi chiudere definitivamente il dibattito.  “D’accordo, signore” Risposi, per poi uscire dall’ufficio....
 
 
 
 

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