Not all monsters do monstrous things

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lydia - They're all going to die ***
Capitolo 2: *** Stiles/Lydia - I thought you were really dead! ***
Capitolo 3: *** Allison/Lydia - You're my new best friend ***
Capitolo 4: *** Allison/Isaac - Another werewolf ***
Capitolo 5: *** Peter/Malia - Just because you're my father doesn't mean I have to call you dad ***
Capitolo 6: *** Stiles/Nogitsune - I'm not like you ***
Capitolo 7: *** Scott/Liam - Alpha and Beta ***
Capitolo 8: *** Theo/Malia - Coyotes ***
Capitolo 9: *** Stiles/Malia - I like you a lot ***
Capitolo 10: *** Un po' tutti - Crack pairing ***
Capitolo 11: *** Parrish/Lydia - Focus on me ***
Capitolo 12: *** Stiles/Sheriff Stilinski - I can't lose you ***
Capitolo 13: *** Scott/Allison - Eternity ***



Capitolo 1
*** Lydia - They're all going to die ***


Lydia - They're all going to die

One shot su Lydia scritta e concepita prima dell'uscita della 5x08, perciò la storia è totalmente una mia invenzione che potrebbe rivelarsi non solo falsa ma anche incoerente. Tenetelo a mente ed eliminate tutti i fatti accaduti dopo quella puntata. Sconsiglio la lettura a chiunque non abbia visto almeno l'inizio della quinta stagione.
So che potrebbe sembrare confusionario, soprattutto in alcune parti (come quando Lydia parla in prima persona senza preavviso, virgolette o un testo speciale), ma l'ho fatto apposta per rendere il racconto più realistico. Buona lettura.


Pensieri di una banshee - 785 parole.

"Voi non potete tenermi rinchiusa qui, io non sono pazza!" le grida sono accompagnate da disperati pugni contro il muro, forse più fini al dolore che a romperlo per evadere. Gli occhi infossati e circondati da profonde occhiaie sono lucidi, bagnati da lacrime di rabbia. I capelli color rame le finiscono davanti al viso, arrivandole fin dentro la bocca e appiccicandosi alla pelle sudata del collo. "Fatemi uscire!"
Poi silenzio. Lei si accascia per terra e nessuno è lì presente per commentare, o anche solo per fare qualche battutina. "Stiles", sussurra, con lo sguardo perso nel vuoto. E il pensiero rivolto a lui non è casuale: d'altronde anche lui c'è stato, lì. Forse non nella stessa cella, ma sicuramente sotto lo stesso tetto.
La circondano quattro muri, di cui uno interamente in vetro. Come animali dello zoo, aveva pensato la prima volta che aveva visto celle del genere, quando non era una ancora una paziente. Gli altri tre probabilmente una volta erano stati bianchi, anni prima, ma adesso sono grigi, sporchi, pieni di incisioni fatte con fili di ferro di fortuna o addirittura con le unghie - mi vogliono uccidere, c'era scritto sul muro affianco a lei, qualche metro più in alto, moriremo tutti -, macchiati da solo Dio sa cosa - è del sangue, quello? - e con l'intonaco che viene giù in alcuni punti. Nella parte inferiore, è ricoperto di piccole e squallide piastrelle color bianco sporco - magari stanno coprendo qualcos'altro. Il pavimento è di cemento, duro e freddo, e Lydia potrebbe giurare che sotto di lei giacciano dei cadaveri che le chiedono costantemente aiuto; non sente solo delle voci, sente delle urla. Nella parte destra della stanza c'è il suo piccolo letto, col materasso vecchio e scomodo e le lenzuola sgualcite, mentre a sinistra si trova un lavandino con uno specchio che minaccia di cadere. Lei non si è ancora mai guardata, in quello specchio: non vuole vedere come loro la stanno riducendo.
Comincia a dondolarsi avanti e indietro, con le braccia che circondano le ginocchia. "Come una vera pazza" bisbiglia, divertita. Ed è davvero divertente, perché lei non è pazza. Lei non è pazza. Sono loro quelli pazzi, sono loro. Non lei.
"Io non sono pazza" ripete, continuando a dondolare, come fosse su un'altalena, magari come quella che aveva in giardino da piccola, tutta viola con i seggiolini rosa. Le piaceva tanto, quell'altalena.
Lydia!
Ignora la voce. Sa che solo lei può sentirla, anche se non è pazza. "Io non sono pazza" ripete ancora "sono una banshee."
Moriranno.
Chi morirà?
Tutti.
A me non interessa se loro muoiono. Sono pazzi. Tutti pazzi.
I tuoi amici.
Si, mi mancano i miei amici. Specialmente Allison, ma lei è morta, io l'ho vista. L'hanno uccisa.
Tutti gli altri.
Mi mancano anche loro. Stiles... Lui di più.
Morirà anche lui.
No, Stiles no, - comincia a dondolare più velocemente - Scott lo sta proteggendo. Me l'ha promesso.
Anche Scott.
E Kira? Malia? Liam?
Tutti. Moriranno tutti.
Scatta in piedi, le mani che tremano.
No, no. Loro non moriranno. Tu mi stai prendendo in giro, vuoi farmi impazzire anche tu, sei come loro! I miei amici sono salvi, sono vivi. E io non sono pazza. No, - scuote la testa - non sono pazza.
L'hai detto tu, sei una banshee. Di solito le banshee non riescono a sapere chi morirà prima che accada?
No, tu non sei reale. Loro non moriranno. Loro non possono morire tutti.
Pensaci, Lydia. Quante volte hai sentito che qualcuno sarebbe morto e poi non è successo?
Nessuna.
Moriranno tutti.
No, io li salverò. Uscirò da questo posto perché capiranno che non sono pazza e li salverò tutti.
I tuoi amici. Stanno tutti per morire.
"No!" urla, con tutto il fiato che ha in corpo e forse anche di più "non moriranno!"
Ricomincia a prendere a pugni il muro, questa volta dal lato del vetro. "Fatemi uscire! Io devo avvisarli! Devo salvarli! I miei amici!"
In lontananza, due inservienti corrono verso la sua cella. Lei continua a gridare e a cercare di distruggere il muro.
"Sta ancora ripetendo che i suoi amici moriranno" dice uno dei due, aprendo la porta con un badge "è la quarta volta in tre giorni."
Si avvicinano a lei. L'altro sta brandendo una siringa in mano. "Cosa vuoi farci, è pazza."
Mentre il primo la immobilizza, ancora tremante e in preda a un probabile attacco di panico - come quella volta in cui era stato male Stiles e lei l'aveva baciato -, l'altro ficca l'ago nel suo braccio e inietta il liquido trasparente.
"Io non sono pazza" riesce a sussurrare, mentre lotta con tutte le sue forze per tenere gli occhi aperti "io non sono pazza. Io non sono pazza. Io non sono pazza... Io non sono..."

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Capitolo 2
*** Stiles/Lydia - I thought you were really dead! ***


Stiles/Lydia - I thought you were really dead!

Racconto breve sulla coppia Stydia, fine della prima parte della terza stagione. Mi sono basata in parte sulle reali battute dell'episodio, basta guardare il momento in cui loro si "risvegliano", ma ad un certo punto ho inventato tutto io, perciò non preoccupatevene troppo: tutto ciò che ho tolto o modificato dal reale copione è stato fatto per rendere questo racconto una storia incentrata su Stiles e Lydia.

La morte non accade a te, ma a chi ti sta intorno - 990 parole.
Sei ore.
"Quanto tempo è passato?"
Isaac sbuffa di nuovo, lanciando un'occhiata all'orologio appeso alla parete. "Cinque minuti dall'ultima volta che me l'hai chiesto."
Lydia continua a torturarsi le mani in grembo. "Sei ore" bisbiglia. "Non dovrebbero già essere svegli?"
"Lydia, loro non stanno schiacciando un pisolino" è ancora il ragazzo a parlare "sono morti. Momentaneamente, ma sono pur sempre morti."
Lydia trema. Morti. "Isaac, così non la aiuti di certo" interviene Deaton, la voce incredibilmente calma.
"Non è l'unica a essere preoccupata!" urla "in questa stanza ci sono anche io, preoccupato per la ragazza che mi piace, mentre una stupidissima banshee continua a comportarsi come se fosse il centro dell'universo. Non lo sei!"
Lydia è così fragile al momento che alcune lacrime le bagnano le guance. "Quella ragazza è anche la mia migliore amica!"
Isaac sorride crudelmente. "Tu sei più preoccupata per Stiles, che per lei. Lo sanno tutti."
La ragazza si blocca improvvisamente. "N-no, non è vero..." balbetta.
"Oh, si. L'unica cosa che ancora non capiamo è perché ti comporti così, visto che lui ti muore dietro" ottima scelta di parole, complimenti "da anni e tu non l'hai mai considerato" le sputa addosso, ferendola.
"Tu non sai niente di questa storia" taglia corto, non volendo aprire un discorso troppo complicato.
Isaac si appoggia al muro dietro di lui, incrociando le braccia. "So più di quanto tu creda."

Dieci ore.
"Doc, sono passate dieci ore" Isaac rompe così il silenzio carico di paura che si era creato da qualche ora "non dovrebbero essere già tornati?"
"Non è una scienza esatta" spiega "spero solo che si sbrighino, non abbiamo ancora molto tempo."
"Pensi che ce la faranno?" domanda l'unica ragazza con voce sottile, fragile, mentre gli altri notano i suoi occhi lucidi.
"Sono abbastanza forti per farcela."
"Questa non è una risposta" si intromette Isaac "ce la faranno, si o no?"
"Dipende tutto da loro."

Dodici ore.
"Ehi, Stiles. Sono Lydia" sussura, chinata sul suo corpo "Isaac e Deaton sono andati a prendere qualcosa da mangiare. Io sono rimasta, non voglio che tu ti svegli e non mi trovi qui."
Una lacrima cade nell'acqua. "Sembro un'idiota."
Si asciuga il viso con una mano, cercando di non singhiozzare. "Sono passate dodici ore. Sono tante, lo sai? Forse per te no, ma per me sì. Dodici ore passate a sperare che tu non muoia... che voi non moriate" si corregge.
"Ascolta Stiles, torna qui. Non abbiamo tanto tempo, noi stiamo per morire dalla preoccupazione. Io soprattutto, ma forse è solo perché sono una ragazza" sorride, mentre una seconda lacrima sfugge al suo controllo.
Poi una terza, una quarta e anche una quinta. Perde il conto.
Comincia, suo malgrado, a singhiozzare debolmente. "Solo... Non lasciarmi."

Quattordici ore.
Silenzio. Principalmente silenzio, sospiri e lacrime. Nient'altro.

Sedici ore.
Lydia sta cominciando per la terza volta a piangere, mentre Isaac è seduto contro il muro ad occhi chiusi - senza dormire - e Deaton scarabocchia qualcosa su un foglio. Il silenzio fa ancora da padrone, finché non sentono il rumore di corpi che riemergono velocemente dall'acqua, prendendo veloci e profonde boccate d'ossigeno.
Tutti scattano verso i tre ragazzi. "Allora?" domanda Deaton.
"L'ho visto, so dove si trova" comincia Scott.
"Ci siamo passati, è il tronco di un albero gigante" aggiunge Stiles "ora non è più gigante, è stato tagliato; però è ancora grosso, molto grosso."
"La notte in cui cercavamo il cadavere" spiega il primo.
"Quella in cui sei stato morso da Peter" continua l'altro.
Allison si intromette nella conversazione dei due: "io ero in macchina con mia madre, abbiamo quasi investito qualcuno."
Scott si gira a guardarla, sbalordito. "Ero io... Stavate per investirmi?"
La ragazza non riesce a fare altro che un verso sconvolto, strabuzzando gli occhi.
"Lo possiamo trovare" prosegue il lupo mannaro. Lydia, Isaac e Deaton li fissano in silenzio.
"Che c'è?" chiede Allison.
"Siete stati via per molto tempo" dice Isaac.
"Che intendi per molto tempo?" è Stiles, questa volta.
"Sedici ore" annuncia Lydia, finora rimasta in silenzio, con la voce rotta dalla paura.
Stiles la guarda, preoccupato. "Tra qualche ora ci sarà l'eclissi lunare" dichiara Deaton "dovete sbrigarvi."
Il giovane Stilinski lo ignora. "Lydia... Tutto bene?"
Lei lo fulmina con lo sguardo. "No! Come potrebbe andare tutto bene?" sta gridando.
"Lydia..." interviene Deaton.
"Non fiatate!" urla lei ancora "sto parlando con lui."
Tutti ammutoliscono e si fanno indietro, fingendo di interessarsi ad altro, mentre Stiles si avvicina a lei.
Appoggia dolcemente le mani sulle sue spalle. "Cosa c'è che non va?" domanda, il tono della voce volutamente basso, così da farsi sentire solo da lei. Tanto ci sono due licantropi nella stanza, pensa.
Lei si allontana da lui bruscamente. "C'è che tu sei rimasto morto per sedici ore! Sedici ore in cui non ho fatto altro che piangere, disperarmi e pregarti di tornare qui. Tu... tu non sai cosa ho provato... è stato orribile."
Stiles continua a fissarla, confuso. "Lydia, adesso sono qui, non c'è nessun problema..."
"Si invece!" strilla ancora, fregandosene del fatto che gli altri possano sentirli "io... Io ho pensato che tu fossi veramente morto! Non sapevo cosa avrei fatto, senza di te. Me lo hai detto anche tu, e finalmente l'ho capito: la morte non accade a te, ma a chi ti sta intorno" sta piangendo ancora, adesso "e per me è stato devastante."
Il ragazzo la guarda ancora, sorpreso e sul punto di piangere anche lui. Si è ricordata cosa le ho detto l'anno scorso.
Si avvicina ancora a lei, ignorando le sue mani che tentano di allontanarlo e la abbraccia. La abbraccia con tutta la forza che riesce a trovare, per cercare di farle capire che lui è lì, con lei, e non la lascerà.
"Tranquilla, adesso sono qui. Io sto bene, tu stai bene. Stiamo tutti bene. Andrà tutto bene" la rassicura, accarezzandole la schiena.
Dopo poco cede all'abbraccio, continuando a piangere sulla maglietta già bagnata di lui. "Ho pensato fossi veramente morto, Stiles. Ho pensato fossi veramente morto."

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Capitolo 3
*** Allison/Lydia - You're my new best friend ***


Allison/Lydia - You're my new best friend

Storia decisamente breve - più un dialogo che altro - incentrata sulle due migliori amiche per eccellenza. Ci troviamo tra la fine della prima parte della terza stagione l'inizio della seconda. Devo dire che è una cosa tremendamente malinconica, soprattutto alla fine, ma volevo scrivere qualcosa su loro due. Ci ho provato.

Staranno tutti bene - 411 parole.
"Mi manca la mia auto."
"Quella contro cui si è schiantato un cervo?" sghignazza Allison.
L'amica le lancia un'occhiataccia, anche se lei probabilmente non se ne accorge mentre guida. "Si, esatto. Proprio quella."
"I tuoi hanno già detto che te ne compreranno un'altra, o sbaglio?"
Lydia appoggia la testa al finestrino, guardando i boschi che le circondano. "Lo so, ma se succedesse la stessa cosa? Insomma, se stavolta a rompere il parabrezza fosse... che ne so, un bue?"
Allison ride di gusto. "Sei paranoica."
"Oppure una balena, non si sa mai" la ignora la bionda.
"Una balena?" domanda sconcertata "sei seria?"
"Siamo a Beacon Hills, nulla è escluso; nemmeno le balene mannare."
"Le balene mannare non esistono, Lydia" si impunta l'altra.
"Disse la cacciatrice di licantropi."
"Touchè" sorride.

"Allison?" dice Lydia, dopo qualche minuto di silenzio.
"Si?"
"Pensi che le cose saranno sempre così strane per noi?" domanda di punto in bianco. La cacciatrice apre la bocca come per dire qualcosa, ma si blocca, senza sapere che rispondere.
"Intendo" spiega "qualche giorno fa ho scoperto di essere una creatura con un nome assurdo in grado di prevedere la morte di qualcuno, un branco intero di Alpha è arrivato in città minacciando di uccidere ogni persona che gli capitasse a tiro, la nostra professoressa di letteratura si è rivelata un druido malefico che stava per sacrificare anche tuo padre e tu sei morta per sedici ore con Scott e Stiles. Non mi sembrano cose da tutti i giorni."
"Perché non lo sono" risponde "ma non abbiamo scelta, credo."
Lydia riflette per un secondo. "Adesso che avete riattivato il Nemeton, arriveranno creature più strane?"
"Sicuramente" replica subito.
"Più pericolose?"
"Potenzialmente."
"Pensi che qualcuno morirà?" chiede, spiazzando totalmente l'amica, che si ritrova a boccheggiare.
"Spero di no" sussurra "e se dovesse accadere qualcosa, tu riuscirai a sentirlo e ci salveremo."
Lydia non si sente troppo rassicurata da quella frase. "E se non riuscissi a salvare nessuno?"
"Beh, abbiamo un bel po' di amici licantropi per un motivo" scherza. Lydia non ride.
"Promettimi che starai attenta" la voce ferma e decisa.
"Quando?"
"Sempre."
Allison distoglie lo sguardo dalla strada per puntarlo nei suoi occhi. "Lo prometto" dice "so difendermi."
"Lo so" sul suo volto si dipinge un fragile sorriso "ma non voglio perderti. Sei la mia migliore amica."
La mora riesce a vedere distintamente una lacrima scivolarle sulla guancia delicata e con una mano le asciuga il viso. "Stai tranquilla, staranno tutti bene. Staremo tutti bene."

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Capitolo 4
*** Allison/Isaac - Another werewolf ***


Allison/Isaac - Another werewolf

Innanzitutto sappiate che Scallison è una delle mie coppie preferite e che, nonostante abbia amato alla follia Crystal Reed e Daniel Sharman insieme, penso che all'interno della serie quella tra Allison e Isaac fosse più attrazione fisica, almeno da parte di lei.
Questo è il massimo che sono riuscita a scrivere e ho cercato di limitare al minimo i riferimenti a Scott. Spero che apprezziate comunque.

Cielo contro ghiaccio - 1029 parole.
Da quando Allison aveva scelto di chiudere con Scott si sentiva tremendamente sola, nonostante la presenza costante di Lydia e di suo padre. Pensava di aver preso la decisione giusta - o almeno lo sperava con tutto il cuore -, ma ormai in molti, conoscendola, avevano capito che la cacciatrice non tornava dal suo licantropo in lacrime e in cerca di conforto solo per orgoglio. Quello stesso orgoglio che le aveva provocato parecchie rogne in più occasioni, ma sapeva fin troppo bene di non poter cambiare.
Aveva cercato di evitarlo, ignorarlo, fingere che lui non fosse mai esistito nella sua vita per molto tempo, ma vivevano in una città che non permetteva questo genere di capricci: se non avessero collaborato e avessero scelto di non lavorare di squadra, sarebbero morti. Se non loro, altri a cui tenevano.
Quindi il puro istinto di sopravvivenza aveva vinto le cicatrici che aveva lasciato il loro amore e lei gli aveva chiesto se potevano vedersi, anche se parlare faccia a faccia dopo mesi di separazione sarebbe stato imbarazzante e strano.

Allison aveva capito che non riusciva più a stare lontana dal loro mondo perché lei, in quanto cacciatrice, ne faceva parte, anche se in un modo strano. Era abituata a passare il pomeriggio insieme a quel branco allargato che comprendeva questa moltitudine disorganizzata di persone, che fossero esseri sovrannaturali o non. Erano i suoi unici amici e si fidava di loro, chi più, chi meno. Però mai, mai nella vita si sarebbe aspettata di provare qualcosa per un altro licantropo.

Pioveva, nel giorno in cui si accorse che c'era qualcosa che andava ben oltre l'amicizia tra lei e Isaac.
Da tempo lui riusciva a farla sentire bene, a farla distrarre dai mille problemi che si presentavano. E nonostante lei si sentisse in colpa - perché lui era pur sempre uno degli amici più stretti di Scott - non riusciva a fare altrimenti: era così dannatamente bello, con quei gelidi occhi color ghiaccio, la pelle chiara e vellutata, i ricci biondi morbidi e profumati e le labbra soffici e rosa. Sebbene fosse un'attrazione prevalentemente fisica piuttosto che emotiva, non poteva negare di essersi affezionata a lui; forse giusto un po'.
Era come una droga, ne voleva sempre di più. Le frecciatine e le battutine che si lanciavano a vicenda non facevano altro che renderlo ancora più desiderabile agli occhi della ragazza.
Così quel giorno, quando capì che provava dei sentimenti per lui, cedette finalmente ai suoi disperati tentativi di conquistarla.

"Non ho più voglia di studiare" mugolò, chiudendo delicatamente il libro che stava leggendo in silenzio da mezz'ora e abbandonandolo sul letto.
A poca distanza di lei, disteso sulla pancia, Isaac le rivolse uno sguardo confuso. Aveva una mano poggiata sotto al mento e le dita gli sfioravano appena le labbra. Quanto vorrei spostargliele, quelle dita, e baciarlo, pensò tra sé e sé osservandolo. "Ma domani abbiamo il compito in classe..." protestò debolmente.
Allison si aprì in un mezzo sorriso e si stese lentamente accanto a lui, tenendosi sollevata con i gomiti; i loro visi erano incredibilmente vicini. "Lo so, ma adesso sono stufa. E anche tu" affermò con un filo di voce, guardandolo nella maniera più seducente e convincente che riuscisse ad immaginare "giusto?"
Lui annuì appena, ipnotizzato, gli occhi persi nell'espressione della ragazza che non riusciva a decifrare.

È bellissima oggi, pensò; come sempre, d'altronde. I capelli castani di lunghezza media, tagliati da poco, sfioravano appena il materasso e le accarezzavano dolcemente i lati del viso; gli occhi chiari brillavano di una luce strana che lui non aveva mai visto, e, inspiegabilmente, sentì che gli piaceva; gli angoli delle labbra carnose erano ancora sollevati, nello spettro del sorriso di poco prima.
Tutto in lei gli pareva perfetto, in quel momento.

"E cosa vorresti fare?" domandò allora, sorridendole con un pizzico di malizia e facendosi impercettibilmente più vicino.
"Hai qualche idea?" gli diede corda lei, più che intenzionata a non concludere subito quel giochino fatto di sguardi, sorrisi e allusioni velate.
"Forse" rispose immediatamente lui.
"Dimmi tutto" la ragazza allargò le braccia, invitandolo a continuare.
Lui rise. "Ci sarebbe questa cosa" disse, osservandole la bocca e mordendosi il labbro inferiore, facendole capire chiaramente le sue intenzioni "non so se potrebbe piacerti, però."
Non era insicuro, stava solo giocando e lei lo sapeva benissimo. Cambiò immediatamente idea, forse perché troppo impaziente, e decise di porre fine a quel teatrino per passare ad altro. "Tentar non nuoce" sussurrò all'orecchio del ragazzo, solleticandolo con il suo fiato.

Lui non se lo fece ripetere due volte. Una mano calda si appoggiò immediatamente sulla guancia della ragazza, facendola girare verso Isaac, che la attirò a sé con un sorriso stampato in volto. La baciò senza indugi, mentre la ragazza infilava entrambe le mani tra i soffici boccoli del lupo e cominciava a giocarci. Sorrise sulle sue labbra.
Decise di mettersi a sedere lentamente, trascinando Allison con sé. Lei, qualche secondo dopo, si sedette sulle sue gambe. Isaac le avvolse la vita con le braccia e continuò a baciarla con tutta la passione che aveva in corpo.
Avevano entrambi immaginato molte volte quel bacio e nessuno dei due aveva intenzione di restarne deluso.

Quando finalmente si separarono per riprendere fiato, ancora abbracciati, si guardarono negli occhi - cielo contro ghiaccio - per pochi istanti e si sorrisero a vicenda, contenti.
La cacciatrice percepì però una morsa che le avvolgeva lo stomaco, quando nella sua mente balenò il ricordo degli occhi color cioccolato di Scott. Scacciò quel immagine dalla sua mente e ricominciò a baciare il ragazzo.
Poi, senza che potesse impedirlo, si immaginò che in quel momento, al posto di Isaac, ci fosse lui a baciarle il collo. Sentì le sue labbra carnose lasciarle scie umide sulla pelle e, quando ritornarono sulle sue labbra, riuscì ad assaporare sulla punta della lingua il loro indistinguibile accenno di menta fresca e avvertì il profumo dello shampoo di Scott. Vaniglia.
Riaprì velocemente gli occhi, scosse la testa e provò a dimenticare quei pochi pensieri, continuando a baciare quello che per lei era l'altro licantropo.

Poi udì alcune parole nella sua mente e la voce era proprio quella di Scott: hai lui ora, fattelo bastare.
Mi basterà, non preoccuparti.

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Capitolo 5
*** Peter/Malia - Just because you're my father doesn't mean I have to call you dad ***


Peter/Malia - Just because you're my father doesn't mean I have to call you dad

Per una volta ho scelto di scrivere un racconto un po' "diverso" dal solito e quindi mi sono cimentata in questa storia su Peter e Malia - vale a dire padre e figlia. Non ha una collocazione temporale precisa, quindi non in una determinata puntata piuttosto che in un'altra, ma è ambientata in un momento qualsiasi dopo l'episodio in cui Malia scopre la verità. Non è molto lungo ma in fondo mi piace. Ho altre cose da dire, perciò leggete in fondo alla storia. Buona lettura.

Come due gocce d'acqua - 615 parole.
"Dov'è Derek?" domandò con arroganza Malia qualche secondo dopo essere entrata nel loft, visibilmente tesa da quello che trovò davanti a sé. Sperava tanto che lui non ci fosse.
Maledizione a chi ti ha riportato in vita, pensò, mentre nella sua mente prendeva forma l'immagine di Lydia.

"Buongiorno anche a te, cara." Peter era come al solito appoggiato al tavolo posto vicino alla finestra e, mentre alzava lo sguardo verso la coyote, chiuse il giornale che stava leggendo - leoni di montagna uccidono altre tre persone a Beacon Hills, era scritto a lettere cubitali in prima pagina. "Dormito bene?"

La ragazza sbuffò verso di lui, poi fece un cenno con la testa al giornale abbandonato sul tavolo, ignorando la sua stupida domanda. "Merito tuo?"
Suo padre allargò le braccia avvicinandosi lentamente a lei, mentre un sorriso fiero e orgoglioso si faceva spazio sul suo volto.
"Qualcuno dovrà pur sporcarsi le mani, qui in mezzo" dichiarò. "Non tutti possiamo essere buoni e altruisti come Scott, figliola" marcò l'ultima parola con un tono sarcastico e arrogante.
"Ma non possiamo neanche essere crudeli come te, papà" rispose, con lo stesso tono del lupo che adesso la stava guardando sorpreso.
"Sei proprio mia figlia" commentò divertito, incrociando le braccia sul petto.
Malia sentì la rabbia crescere velocemente dentro di lei, i battiti accelerare. Cercò di trattenersi, ma i suoi occhi cominciarono lo stesso a brillare dello stesso blu di quelli di suo padre. Arretrò di qualche passo.
"Io non sono tua figlia" sibilò a denti stretti, chiudendo le mani a pugno e cercando dentro di sé un po' di autocontrollo "io sono Malia Tate"
Peter scosse la testa. "Sei una Hale più di quanto tu possa credere" nella sua voce si sentiva sempre quel pizzico di cattiveria che, secondo lei, si portava dietro dalla nascita.

Prese dei respiri profondi e le sue iridi ritornarono del solito castano.
"Sono venuta qui per Derek" cambiò discorso, ritornando quasi totalmente calma e fissando Peter dritto negli occhi "ma se non c'è, non vedo che motivo io abbia di restare qui."
Detto questo, si voltò e camminò di gran carriera verso la porta.

Peter la raggiunse velocemente e le afferrò un polso, facendola voltare.
Questa volta, Malia non fece alcuno sforzo per trattenersi e gli mostrò i canini affilati e letali, in un'espressione di pura ira.
"Calmati, tesoro" scherzò lui, allentando la presa sul suo braccio. "Volevo solo dirti che non credo sia giusto non salutare tuo padre."
La ragazza tornò normale. "Ciao, Peter" borbottò gelida e con fretta, impaziente di lasciare quella stanza.
"Cos'è, adesso non mi chiami più papà?" rise, cercando di farla innervosire. Funzionò.

Lei si liberò con violenza della mano che le circondava il polso e lo guardò con tutto l'odio che riuscisse a trovare. "Solo perché sei mio padre non significa che io debba chiamarti papà."

Quindi si girò nuovamente e si avviò verso l'uscita mentre, dietro di lei, suo padre non faceva altro che sorridere chiedendosi come non fosse stato in grado di capire sin da subito tutta la verità: era così evidente. Il modo in cui camminava, la risposte taglienti, l'impulsività, la difficoltà che trovava nell'inserirsi in un qualsiasi gruppo, l'odio che aveva dentro; tutto in lei urlava "sono la figlia di Peter Hale!"

L'unica differenza era che lei negava la sua natura. Fingeva con i suoi amici - e soprattutto con quel ragazzino idiota che era Stiles - di essere come loro: buona, dolce e determinata a lottare per la giusta causa. Ma la realtà era ben diversa: ogni cosa che faceva, secondo lei, doveva portarle un qualche beneficio, altrimenti era inutile. E suo padre lo sapeva benissimo, perché loro due erano uguali.
Come due gocce d'acqua.


Rieccomi!
Normalmente non mi piace scrivere alla fine del capitolo nelle one shot che pubblico perché mi piace che "l'ultima parola" sia data direttamente alla storia. Però devo fare un'eccezione.
Come ho già detto alcune volte, sono in vacanza fino al 5 di settembre e perciò fatico parecchio ad aggiornare ed anche a scrivere. Il prossimo capitolo, quindi, lo pubblicherò all'incirca tra una settimana e sarà su Scott/Liam o su Stiles/Nogitsune (diciamo più o meno come il primo capitolo dedicato a Lydia): devo decidere!
Non lo nego, sono alquanto indietro con entrambi ma nel giro di qualche giorno potrei finirne uno, a patto che io scelga quale pubblicare per primo.
Se avete qualche preferenza, fatemelo sapere in un commento, per piacere.
Sparisco prima di dilungarmi troppo.
Ringrazio chiunque abbia letto, come sempre, e vi saluto. Ci sentiamo tra una settimana!

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Capitolo 6
*** Stiles/Nogitsune - I'm not like you ***


Stiles/Nogitsune - I'm not like you

Ho deciso di pubblicare con anticipo perché ho già scritto il prossimo capitolo (Scott/Liam) che pubblicherò, come al solito, quando avrò finito il seguente. A tal proposito, non riesco a decidermi. Consigliatemi voi i prossimi personaggi che volete vedere, per favore.
Buona lettura.

Non riesco a dormire senza il mio cuscino - 1015
Dopo quella assurda conversazione sul suicidio appena avvenuto e sul manicomio stesso, Oliver cadde in un sonno profondo nel giro di pochi minuti. Era coricato a pancia in su e aveva cominciato praticamente subito a russare, in una maniera talmente fastidiosa e irregolare che non permetteva a Stiles nemmeno di riflettere. Quando si concentrava, dopo tanta fatica, su un argomento - che spaziava da cosa diavolo ho fatto? a perché sono qui dentro?, passando per sono davvero pazzo? -, ecco che arrivava il suo compagno di stanza a rompere quel filo di pensieri con uno dei suoi tanto respiri rumorosi e irritanti.
Ebbe qualche volta la tentazione di tiragli un cuscino o una scarpa addosso per farlo tacere, ma non era ancora tanto crudele da farlo per davvero.
O forse sì.
Forse lo era davvero; forse era davvero pazzo, per di più, e forse in quel momento lo stava solo nascondendo - agli altri, certo, ma soprattutto a sé stesso. Forse era tutta un'enorme bugia. Forse sarebbe rimasto a Eichen House per sempre.
Non sei matto.
Sentì chiaramente la solita voce lamentosa e gracchiante sussurrare queste parole vicino a lui, come se lui - quell'essere - si trovasse giusto dietro al ragazzo e avesse alitato quella frase a pochi centimetri dal suo orecchio. Rabbrividì. Si voltò di scatto. Nulla. Nulla, se non contiamo il letto disfatto e la finestra chiusa alle sue spalle. Sospirò, cercando invano di rilassare i nervi.
Oliver russava ancora.
Decise che se l'era solo immaginata, quella voce, perché dopo l'iniezione di Deaton il nogitsune non poteva essere più in lui, e tentò di ricordarsi a che punto era arrivato.
Credevi di essere pazzo.
Era la stessa esatta voce. Bassa, appena bisbigliata, si fece di nuovo sentire.
Stiles si girò ancora. Niente.
"È nella mia testa..." sussurrò il più piano possibile, portandosi entrambe le mani alle tempie e massaggiandole. "Me lo sto solo immaginando. Non è tornato. Non è reale."
Una risata fredda riecheggiò dolorosamente nella mente del ragazzo, raggelandogli il sangue nelle vene.
Oh, caro Stiles. Non sono mai andato via.
Deglutì, terrorizzato.
Tutti ce l'hanno, nessuno può perderla. Cos'è?
"L-l'ombra" balbettò, perplesso. Aveva già risposto a quell'indovinello, perché farlo ancora? Il mostro sembrò leggergli nel pensiero - e probabilmente ne era davvero in grado.
Non ci sei ancora arrivato, Stiles?
Lui scosse appena la testa, in una maniera quasi impercettibile, ma fu più che certo che bastasse come risposta.
Un'altra risata.
Io sono la tua ombra, disse. Non puoi perdermi.
Nonostante l'unica finestra fosse chiusa e la porta di metallo fosse completamente sigillata, Stiles poteva giurare di aver sentito una ventata di aria fredda, gelida e secca, che gli fece venire brividi in tutto il corpo.
Fissò la semioscurità davanti a lui per pochi secondi, respirando affannosamente e con il battito cardiaco che pian piano aumentava e rimbombava nelle sue orecchie, come un tamburo. Il rumore era assordante. Si coprì le orecchie con le mani, con forza, e si piegò in avanti fino a sfiorare le ginocchia con il naso. Senza spostarsi troppo da quella posizione, tentò di voltarsi verso Oliver. Dormiva beatamente - russando esattamente come prima - e la sua espressione era tranquilla.
"Come fa a non sentire nulla?..." ma mentre sussurrava a sé stesso queste parole, il frastuono cessò così come era iniziato. Lentamente, un po' titubante, scostò le mani dalle sue orecchie e le lasciò penzolare al suo fianco.
È solo nella tua testa. Forse sei davvero pazzo.
Ancora. Stiles non si sforzò nemmeno di soffocare, in qualche modo, quella voce e aspettò che continuasse.
Meglio per me.
"Che intendi dire?" bisbigliò, confuso più che mai.
Sarà più facile prendere possesso di te, se non riuscirai nemmeno più a riconoscere il vero Stiles.
Era ancora sconcertato da quello che il nogitsune gli stava dicendo, ma non riuscì a rispondere. La gola era secca, la lingua ferma, le labbra incollate tra loro. Uno strano formicolio gli attraversò la schiena.
Sarà più facile farti capire che sei esattamente come me.
Si passò una mano sulla fronte, cercando di schiarirsi appena le idee, e solo allora si accorse che la sua pelle era imperlata di sudore. Sentì immediatamente caldo e per un secondo sperò che ritornasse quell'aria gelida di poco prima.
Poi si rese conto di quello che aveva appena sentito.
"Non lo sono" rispose soltanto, lo sguardo perso.
Chi è stato a portare quella bomba alla stazione di polizia? Chi è responsabile della freccia nello stomaco del coach? Chi ha fatto del male al suo migliore amico solo per assorbirne il dolore, eh?
"Tu!" urlò quasi, rendendosi poi conto che erano più o meno le sei del mattino. Guardò per l'ennesima volta Oliver, che oltre a un respiro più rumoroso del solito non ebbe particolari reazioni. Stiles ne fu contento: gli inservienti di Eichen House erano l'ultima cosa che gli serviva, al momento.
No, Stiles. Sei stato tu.
La voce era diventata improvvisamente persuasiva e decisa, anche se un po' melodiosa. Per quanto potesse esserlo il gracchiare di quell'essere bendato.
Giusto mentre lo pensava, se lo ritrovò a un metro scarso dal viso, forse ottanta centimetri. Guardò a destra e a sinistra, cercando di capire da dove fosse entrato, ma niente: era apparso dal nulla.
Siamo uguali, Stiles.
Allungò una mano verso il ragazzo, che la spinse via violentemente. "Io non sono come te."
La rabbia e l'odio si erano impadroniti dei suoi occhi. Il mostro sembrò notarlo.
Rise ancora, sprezzante.
Io non ne sarei così sicuro.
Stiles non fece in tempo ad assimilare quella frase che una nebbia avvolse l'essere e lui, semplicemente, scomparve. Non perse tempo a guardarsi in giro, sapeva che era inutile. Si fissò soltanto le mani che tremavano leggermente, col sudore che colava dalla fronte e gli pizzicava gli occhi.

"Sei stato sveglio tutta la notte?" Oliver ormai si era svegliato e quelle erano state le prime parole che aveva pronunciato. Stiles si strofinò le mani tra loro, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e il busto spinto in avanti, e sospirò, pensieroso.
Una strana luce fece capolino nei suoi occhi.
"Si, non riesco a dormire senza il mio cuscino" mentì.

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Capitolo 7
*** Scott/Liam - Alpha and Beta ***


Scott/Liam - Alpha and Beta

Questo racconto è totalmente inventato e con ogni probabilità incoerente con molte parti dell'ultimo episodio, ma io speravo con tutto il cuore che andasse così. Ditemi che non sono l'unica.
Buona lettura.

Avrei potuto salvarla - 832 parole.
"Scott, promettimi che farai qualsiasi cosa per salvarla."
"Lo prometto."


Il problema delle promesse, però, è mantenerle. E Scott lo sapeva benissimo che restare fedeli a quel giuramento sarebbe stato pressoché impossibile, nonostante lui fosse un Vero Alpha e tutto il resto. Continuava a pensare a una qualche soluzione, ma la sua mente ritornava sempre sullo stesso esatto pensiero: non sono riuscito a salvare il mio primo amore, come posso salvare quello di qualcun'altro?

"Se lei fosse un vero lupo, potremmo salvarla. Devi morderla."
"No."
"Che vuol dire 'no'?"
"È troppo debole. La ucciderà."


La prima cosa che Scott pensò quando vide in lontananza Liam che stringeva tra le braccia il corpo senza vita di Hayden fu che in fondo loro si assomigliavano molto; o almeno, i loro primi amori lo facevano. La cosa gli fece male, schifosamente male. Come un coltello al centro del petto. Così tanto che non riuscii ad avvicinarsi ancora e scelse di appoggiarsi ad un muro aspettando il fatidico momento: quello in cui lui e Liam, soli, avrebbero dovuto parlare.
La sua testa si scontrò con il cemento freddo, mentre chiudeva gli occhi e tentava di attutire il frastuono dei suoi pensieri.

"Questo non può essere l'unico modo per salvarla."
"Ha salvato me."
"Era diverso, lo sai. Stavi cadendo da un cornicione."
"Avevi promesso. Avevi detto che avresti fatto qualsiasi cosa."


Nonostante avesse appena rischiato di morire, ebbe la forza di pensare ad Allison e le gambe gli tremarono appena, mentre qualche minuto dopo si avvicinava al Beta, ora solo. Il corpo di Hayden era già sparito. Liam era seduto per terra con le braccia che gli circondavano le ginocchia, i vestiti logori e i capelli spettinati facevano da cornice alle numerose lacrime che solcavano le sue guance. Scott faticò molto a nascondere le sue, di lacrime, e alla fine scelse di rinunciare.

"Ha sedici anni ed è innamorato. Il primo amore. Ti ricordi com'era?"
"Si, credimi. Me lo ricordo."


Sapeva di non poterlo consolare; era impossibile. Era perfettamente cosciente del fatto che, in quel momento, Liam fosse tremendamente incazzato con il mondo e volesse soltanto uccidere i responsabili o, in alternativa, piangere a dirotto per dei giorni interi, cercando di affogare il dolore. Ci era passato, lo sapeva. Se lo ricordava fin troppo bene - e avrebbe voluto dimenticarselo -, ma non sapeva comunque cosa fare in quella situazione.
Decise semplicemente di sedercisi accanto, senza dire una parola e aspettando che fosse il ragazzo ad aprirsi con lui. Non lo guardò, non fece smorfie, non si mosse; attese. E nemmeno per molto, a dirla tutta.
"Com'è stato?" chiese, la voce rotta dalle lacrime e gli occhi fissi sulle sue scarpe. "Quando è capitato a te."
L'Alpha sospirò mentre ricominciava a sentire quel orribile peso sullo stomaco. Attendeva quella domanda. "Devastante" rispose. "E lo è ancora. Lo sarà sempre, credo."
"Tu...ti sentivi in colpa?" domandò, rivolgendogli uno sguardo veloce e abbassando il tono di voce, quasi come a non volerlo ferire.
Scott sorrise amaramente. "Mi sento in colpa tutt'ora" disse. "Avrei potuto salvarla."
Liam scosse la testa, le lacrime ricominciarono a scendere. "No, non potevi" affermò. "Sei un Alpha, non Dio."
"Forse. Non ancora" scherzò, nonostante il groppo in gola, cercando di smorzare la tensione. Liam rise appena.
"Ti manca ancora?" chiese. Scott si aspettava anche quella domanda. Chiuse gli occhi, cercando di trattenere ulteriori lacrime.
"Ogni giorno."
"E come fai a vivere?"
Il fatto che Liam si stesse rivolgendo a lui per sapere cosa fare da una parte lo riempì di orgoglio, ma dall'altra lo fece desiderare di essere da un'altra parte. Non aveva bisogno di ricordare Allison.
"Non l'ho ancora capito" rispose, sincero. "Credevo che sarei morto, quel giorno, sai?"
Evitò di dire che, nei primi mesi, aveva sperato un paio di volte di essere morto con la cacciatrice, perché il ricordo di lei era insopportabile: a Liam non serviva saperlo.
"E come mai sei ancora qui?"
"Ho capito che al modo ci sono altre persone che hanno bisogno di me" disse, ed era vero. Il suo branco aveva bisogno di lui. Stiles, Lydia, Malia. Liam stesso, poco tempo dopo. I suoi amici. O, perlomeno, quelli che volta lo erano.
"Starò bene?"
"Sì" mentì, sforzandosi incredibilmente di tenere sotto controllo il battito cardiaco.
"Stai dicendo che la dimenticherò?"
"No" disse "sto dicendo che lo accetterai. Io ci sto ancora lavorando, ma ce la faremo."
Non stava mentendo, stavolta. Non era una bugia e non era nemmeno una verità; era una speranza. Speranza che, un giorno, le cose si sarebbero sistemate e sarebbero andate bene per tutti.
Osservò le mani del più giovane strette a pugno e appoggiate sul pavimento e i loro occhi si incrociarono. Quelli di Liam erano un lago di lacrime e non erano mai stati così arrossati. Il cuore di Scott si strinse nel vedere il ragazzo in quelle condizioni. Era una di quelle cose che sperava non avrebbe mai affrontato.
"Insieme?" chiese lui, speranzoso. Aveva bisogno di aiuto.
Scott annuii. "Insieme."

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Capitolo 8
*** Theo/Malia - Coyotes ***


Theo/Malia - Coyotes

Storia totalmente irreale, fuori di testa e malata. Ho sfogato tutto il masochismo che c'era dentro di me in queste poche righe.
Siete pure liberi di insultarmi. Ci vediamo alla fine del capitolo.
Buona lettura.

Neve - 1063 parole
Era fredda. Quasi gelida.
Le vene delle mani erano lievemente blu. Erano più visibili, adesso, sotto la pelle bianca candida, quasi trasparente. A vederla così, tutta vestita di bianco e tremendamente pallida, qualcuno avrebbe potuto anche scambiarla per un angelo. Però le unghie erano sporche di sangue, rosse scure, con alcune scie ormai secche che arrivavano fino al palmo della mano. Erano l'unica cosa che, ironicamente, pareva fuori posto, in quel momento.

"Dove credi di andare?" cinque dita si strinsero attorno al sottile polso della ragazza, costringendola a voltarsi.
Guardò Theo negli occhi. "Lo sai benissimo."
Lui sospirò, disperato. Lasciò andare la presa e si appoggiò al muro, chiudendo gli occhi. Lei non se ne andò e aspettò in silenzio che lui parlasse.
"È una pazzia" disse poi, incrociando la braccia al petto.
"Lo so" si sentì dire in risposta. Un altro sospiro lasciò le sue labbra, mentre manteneva gli occhi ben chiusi.
"Potresti morire."
Per qualche istante ci fu silenzio. "So anche questo."
A quel punto spalancò gli occhi, inarcando appena un sopracciglio. "E non te ne frega niente?"
Lei fece spallucce, ma il ragazzo sapeva che in fondo anche lei aveva paura. "No. E a te?"
Si morse un labbro. "Diamine, certo che si", pensò, ma si guardò bene dal dire quelle parole. Restò semplicemente in silenzio, contemplando la bellezza della ragazza davanti a lui.
"Non puoi andare da sola" disse poi, eludendo la domanda, dopo qualche istante di silenzio.
Lei, in tutta risposta, appoggiò una mano sul fianco e lo guardò dritto negli occhi. "Vieni con me allora."


Ma lei era fredda. Tanto fredda.
I capelli erano leggermente spettinati, come suo solito, ma sembravano più scuri. Theo pensò che fosse a causa del contrasto con il bianco, perché dubitava che la ragazza li avesse tinti. Non lo avrebbe mai saputo, però.
I vestiti erano appena sgualciti, ma ancora in ordine. Non una macchia, non un difetto.

"Non mi capacito ancora di come tu abbia fatto a convincermi" sussurrò Theo, accendendo la macchina e appoggiando le mani sul volante. Lei, sghignazzando, lo colpì scherzosamente sulla spalla con un pugno.
"A dir la verità, sei stato tu a insistere per venire" rispose, guardandolo.
Lui non si girò e non rise. "Non potevo rischiare che morissi."
Malia ammutolì, girandosi a guardare l'asfalto davanti a loro.
"E io non volevo rischiare che morissi anche tu" bisbigliò, sperando subito dopo che lui non avesse sentito.
Lui però capì perfettamente le sue parole e la guardò. "Io non morirò" disse, e lei non riuscì a stabilire se fosse serio o no. "Io sono qui per proteggerti."


Però lei restava fredda. Fredda come i suoi occhi blu.
Gli parve quasi una presa in giro. Tutto quanto era schifosamente irreale, così tanto da fargli venire la nausea.
Si sentiva come se si trovasse in un sogno, ma dentro di sé sapeva di essere sveglio. Purtroppo.

"Ci stiamo impiegando troppo tempo."
Theo sollevò lo sguardo dal volante e la fissò mentre tamburellava con le unghie sul cruscotto.
"Malia, siamo in viaggio solo da tre giorn-"
"È troppo tempo" lo interruppe lei. "La Lupa del Deserto potrebbe già aver trovato i miei amici."
"Meglio loro che te, no?" disse Theo, profondamente sconvolto dal pensiero di Malia rapita da sua madre. Dovette sforzarsi per non rabbrividire.
"Che diavolo stai dicendo?" chiese la coyote, alzando notevolmente il volume della voce.
Lui le rivolse un'altra veloce occhiata, prima di stringersi le spalle e rispondere tranquillamente. "Ho detto che è meglio che trovi loro piuttosto che te. Perché ti ucciderebbe."
"Cosa credi? Che con loro avrà misericordia e li lascerà vivere?" gridò, gli occhi blu e il cuore a mille.
"No, io..." tentò di dire lui, confuso.
"Tu davvero non hai capito con chi abbiamo a che fare, Theo" dichiarò, scuotendo la testa.
Lui la guardò con cattiveria, piccato da quelle parole. "Mi sembra che sia tu, tra di noi, quella che non lo ha capito."
"Che stai dicendo?" domandò ancora, alzando nuovamente il tono della voce. Lui non fu da meno. "Dico che stai andando incontro a morte certa, Malia! Non importa per quanto tempo la cercheremo, sarà lei a trovare noi" urlò, mente una vena del suo collo si gonfiava. "E ci ucciderà!"
Lei restò in silenzio, osservandolo con gli occhi leggermente socchiusi, riversando in quello sguardo tutto l'odio di questo mondo.
"Ferma la macchina" disse soltanto, la voce bassa e decisa.
Lui strabuzzò gli occhi. "Che cavolo...?"
"Ho detto ferma la macchina" ripeté lei, ferma.
Theo capì che voleva andarsene e sbrigarsela da sola. Morire, anche, da sola. "Malia, aspetta..."
"Ferma questa dannatissima macchina Theo, o giuro che mi butto giù!" strillò, mandando all'aria i suoi sforzi per restare impassibile.
Se ne sarebbe pentito amaramente e lo sapeva, ma frenò e aprì lo sportello della ragazza, che prontamente scese e si allontanò di gran carriera da lui, in mezzo alla neve. Col senno di poi, aveva appena commesso l'errore più grande di tutta la sua vita.


Si appoggiò con una mano ad un albero di fianco a lui e cercò di trattenere i conati di vomito, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime e tutto cominciava a girare vorticosamente. E in quel momento si sentì la persona più stupida e ingenua sulla faccia della terra.

Erano passati due giorni da quando Malia aveva scelto di proseguire da sola.
Non era passato istante in cui Theo, vagando per i boschi in cui pensava si potesse trovare la ragazza, non avesse sperato di incontrala. Ma dovette ricredersi.
Quando la vide da lontano, sentì il cuore battere più forte. I suoi capelli scuri spiccavano in mezzo alla neve candita e il profumo del suo shampoo al miele si sentiva anche da quella distanza. Respirò a pieni polmoni e sorrise. Era inconfondibile.
Mentre correva verso di lei, però, ebbe come la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato, ma scacciò subito quel pensiero dalla sua mente. Malia era lì, a pochi metri da lui. Era felice.
Correva, correva e correva, chiamando a gran voce il suo nome. Quando però vide che lei non reagiva in alcun modo, rallentò fino a fermarsi, mentre capiva qual era il dettaglio che tanto lo disturbava: Malia era distesa a terra.


Perché lei sarà pur stata pallida e fredda, lì, tra le sue braccia, coperta dalle sue lacrime, ma era anche morta. E non c'era più nulla da fare.

Spazio autrice
Mi sto odiando da sola, non preoccupatevi.
È la cosa più triste che io abbia mai scritto e preferirei non parlarne ma più.
Come - forse - sapete, non scrivo mai alla fine del capitolo in questo genere di storie, ma stavolta dovevo. Ho davvero un sacco di cose da dire: - Mi volevo scusare con tutti per non aver aggiornato ultimamente (vale a dire prima dello scorso capitolo), ma come ho spiegato più volte ho avuto vari problemi con i compiti e la scuola.
- Vorrei ringraziare tantissimo le ragazze che hanno aggiunto la storia alle preferite/ricordate/seguite. Ne sono contentissima!
- Ultimo non meno importante, grazie infinite a tutte le persone che continuano a leggere e recensire questa storia nonostante tutto!

Un bacione.

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Capitolo 9
*** Stiles/Malia - I like you a lot ***


Stiles/Malia - I like you a lot

Penso che molti di voi sappiano che, normalmente, nelle mie storie Stiles è follemente innamorato di Lydia, ma alcune ragazze mi hanno chiesto una Stalia e perciò eccola qui!
Non è una delle mie storie migliori, ma non è male, secondo me. Spero vi piaccia.
Buona lettura.

Non riesco a farne a meno - 737 parole
Da giorni ormai Stiles non riusciva più a trovare pace. Dalla mattina alla sera doveva indagare sul Benefattore e, soprattutto, assicurarsi che nessuno dei suoi amici paranormali si facesse uccidere da qualche fanatico inquietante; di notte, invece, la sua mente si divertita a torturarlo.

Non sognava più del Nogitsune, che con i suoi indovinelli e i suoi giochetti lo faceva diventare pazzo, di Eichen House, che ancora lo spaventava, o della morte di qualcuno vicino a lui, come suo padre; no: sognava di Malia.
O meglio, forse erano più a metà tra allucinazioni e incubi, perché ogni volta che apriva gli occhi la vedeva stesa accanto a lui sul letto, addormentata e con un'espressione rilassata e tranquilla dipinta sul viso, mentre respirava lentamente.
Poi però, da un momento all'altro, molto spesso quando lui cercava di accarezzarle una guancia, spariva. E nel momento in cui la sua mano cadeva sul materasso vuoto con un tonfo sordo lui si rassegnava alla realtà: se n'era andata; chissà per quanto tempo.

Una settimana abbondante di incubi del genere lo aveva portato a non crederci neanche più, quando se la immaginava vicino a lui, e a continuare a dormire come se nulla fosse. O almeno provarci.

Quella notte, però, non riusciva a dormire. Aveva chiuso la finestra e faceva caldo nella sua stanza; la pelle del suo collo era umida a appiccicosa e il suo amato cuscino sembrava marmo, tanto era scomodo. Non era riuscito a chiudere occhio nemmeno per dieci minuti.
Le aveva provate tutte, ma niente. Non voleva saperne di addormentarsi.
Si rigirò nel letto e si girò verso destra. Poi verso sinistra. Poi si mise con la schiena rivolta verso il letto. Stava per ricominciare tutto da capo quando, aprendo appena gli occhi, scorse qualcosa.
Malia, pensò subito. E aveva ragione.
Sbatté le palpebre più volte, sicuro di sbagliarsi. Ma no; lei era lì.

"Quindi sto dormendo" sussurrò Stiles, con lo sguardo fisso sulla ragazza. Però successe una cosa che non era mai accaduta nei sogni che lo tormentavano ultimamente: lei aprì gli occhi e lo guardò. Aveva le mani appoggiate sotto al viso in corrispondenza della guancia e sorrideva, con serenità. Il ragazzo, invece, era confuso come mai prima.

"Malia?" bisbigliò. "Sei davvero tu?" "E chi dovrei essere, altrimenti?" rispose, il tono di voce non troppo basso.
Stiles sospirò e si passò una mano sul viso, strofinandosi gli occhi. "Sto sognando ancora."
La ragazza ridacchiò. "Perché, mi sogni spesso?"
Lui la guardò attraverso uno spazio tra le dita e non poté fare a meno di pensare che era bellissima mentre sorrideva. Era quasi certo che non fosse realmente lei, ma per qualche assurdo e inspiegabile motivo decise di portare avanti quella specia di conversazione.
"Tutte le santissime notti" biascicò. "Senza tregua."
"Ne parli come se fosse una cosa negativa" replicò lei, fingendosi offesa.
"Lo è, perché non è mai reale."
Malia non rispose e abbassò lo sguardo sui suoi piedi. Stiles non si sentiva assolutamente a disagio, perché sapeva che era tutto nella sua mente. Ancora una volta.
"Forse è perché mi manchi" disse, più a se stesso che a lei. "Fin troppo."
"Anche tu mi manchi" bisbigliò subito dopo, con dolcezza.

Stiles alzò lo sguardo e la scrutò in silenzio. "Io ti piaccio ancora?" chiese poi, timidamente. "Intendo, alla vera Malia."
La ragazza rise e non badò alle sue ultime parole. "Io ti amo, Stiles." Il fiato gli si mozzò in gola.

"Ti amo un sacco. E anche se abbiamo litigato non significa che io ti odi; anche se mi hai fatto soffrire; anche se hai tradito la mia fiducia; anche se, cercando di proteggermi, hai fatto lo stronzo" sorrise "io ti amo ancora, anche se forse è sbagliato e dovrei dimenticarti."
Stiles stava per balbettare qualcosa, quando lei continuò. "Semplicemente non riesco a farne a meno."

Poi si avvicinò a lui e gli diede un leggerissimo bacio, quasi a fior di labbra. Riuscì a percepire il sapore delle sue caramelle preferite e l'odore del suo shampoo, in quei pochi istanti, ed ebbe la sensazione che fosse davvero lei. Anzi, sapeva che era davvero lei.

Quando riaprì gli occhi, però, il letto era vuoto.
Ma la forma della sua testa era impressa sul cuscino e il suo profumo era ancora nell'aria, portato fino a lui dalla leggera brezza che entrava dalla finestra, ora spalancata.
"Ti amo anch'io, Malia" sussurrò.

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Capitolo 10
*** Un po' tutti - Crack pairing ***


Un po' tutti - Crack pairing

Questo sarà un capitolo un po' diverso dagli altri perché comprenderà più drabble. È un'iniziativa - se così si può definire - che ho proposto su wattpad e alcuni lettori mi hanno consigliato alcune coppie altamente improbabili (argomento appunto del capitolo); ne ho scelte tre. Non ho altro da dire, buona lettura.

Malia/Isaac
Dimenticare - 348 parole.
"L'avevamo messo in chiaro da subito, Isaac" taglia corto la ragazza, tentando di riallacciarsi il reggiseno. "Cosa c'era di difficile da capire?"
"Lo so Malia, ma le cose sono cambiate" risponde lui, sollevandosi sui gomiti mentre la osserva vestirsi. Lei lo fulmina con lo sguardo. "Non è cambiato proprio nulla."
"Io volevo soltanto dimenticare Stiles e tu dovevi smettere di pensare a Allison" continua. "Non c'è nulla che riguardi l'amore, in questo."
Isaac sospira, stropicciandosi gli occhi con una mano e alzandosi dal letto come lei qualche minuto prima. "Sapevi che sarebbe finita così" le punta un dito contro, come a darle la colpa. "Sapevi che uno di noi due si sarebbe fatto male di nuovo."
Man mano che lui si fa più vicino, Malia indietreggia. "Beh, grazie a Dio non sono io quella che ha infranto l'accordo" dice con sarcasmo, allargando le braccia. Si mette poi a cercare la sua maglietta in giro per la stanza, imprecando; vuole andarsene il prima possibile.
"Malia" la chiama, non ricevendo però una risposta. Le afferra quindi il polso con una mano e la attira a sé, ritrovandosela attaccata al petto nudo e con le labbra a una decina di centimetri dalle sue.
"Guardami negli occhi e dimmi che in questo mese passato a fare quello che tu consideri "solo sesso" non hai provato assolutamente nulla." La sua voce è ferma, decisa, ma lascia comunque trasparire la paura.
Lei lo guarda, in silenzio, incapace anche solo di respirare. Deglutisce, nervosa. "Non ho provato nulla."
Si tira poi indietro, afferrando la maglia rossa che ha appena visto ai piedi del letto e infilandosela velocemente.
"Stai mentendo" replica Isaac. "Ho sentito come batteva il tuo cuore." Se gli sguardi potessero uccidere, il ragazzo sarebbe già morto da tempo. Malia gli regala un'ennesima occhiataccia prima di farsi strada verso la porta, dandogli le spalle.
"Rassegnati, Isaac" dice soltanto.
Impugna quindi la maniglia, pronta ad uscire, ma resta immobile. Non si volta, poi, ascoltando le ultime parole del lupo, mentre una lacrima le solca la guancia. "Tu hai solo paura che io sia come lui."


Jackson/Isaac
Debolezze - 302 parole.
Tutto era finalmente silenzioso ed erano rimasti soli, in mezzo a quel vicolo sperduto.
Isaac si guardò distrattamente le nocche e vide che erano sporche di sangue; si domandò se fosse il suo.
"Cosa ci fai tu qui?" chiese arrogantemente il ragazzo accasciato a terra, guardandolo dal basso e interrompendo i suoi pensieri.
Chiuse la mano a pugno e la infilò nella tasca della giacca, con un sorrisetto dipinto sul viso. "Mi aspettavo almeno un grazie" scherzò.
L'altro non rispose mentre, dolorante, cercò di alzarsi. Il riccio fece subito per aiutarlo, ma Jackson lo allontanò sprezzante con un braccio. Poi si appoggiò al muro, ormai senza forze. "Me la sarei cavata anche da solo."
"Lo vedo" rispose beffardo Isaac, osservandolo attentamente in ogni suo minimo movimento. Il biondo volse lentamente il capo nella sua direzione, squadrandolo. Ma dopo poco, inspiegabilmente, sorrise, nonostante quella espressione potesse essere anche scambiata per una smorfia di dolore.
"Ma guardami" disse, retorico. "Non sono neanche più in grado di badare a me stesso."
"Chiedere aiuto non significa essere deboli."
Jackson non replicò, poco convinto. "Non mi hai ancora detto perché sei qui" ricordò, cambiando discorso. L'altro lupo si strinse nelle spalle. "Volevo cambiare aria."
Sorrise, e al ragazzo accanto a lui venne quasi spontaneo imitarlo. "Immagino tu non abbia un posto dove stare."
Isaac annuì, intuendo dove volesse andare a parare l'amico. "Mi stai invitando a casa tua?"
Rise appena, reggendosi l'addome leggermente ferito. "Solo per qualche giorno" dichiarò. "Non farti strane idee."
Gli fece poi segno di avvicinarsi e Isaac obbedì silenzioso. Mise un braccio intorno al suo collo e l'altro appoggiò una mano sul suo fianco ancora dolorante, per poi sorreggerlo mentre si incamminavano per le fredde vie di Londra.
"Tranquillo" borbottò il nuovo arrivato, con la voce alterata dallo sforzo. "Dubito resteranno semplici idee."


Derek/Malia
Questione di parentela - 294 parole.
"Non potrai evitarmi per sempre."
Le parole della ragazza ruppero il silenzio che regnava nel parcheggio della scuola. A Derek parvero come pugnali conficcati nello stomaco e una smorfia di dolore gli si dipinse sul viso.
"Non ti sto evitando" mentì, girandosi.
La vide avvicinarsi a lui pian piano, con calma.
Come lui fosse la sua preda.
"Non sono più una bambina Derek, posso capire certe cose" disse a bassa voce, ormai a pochi metri da lui.
L'uomo strinse le mani a pugno e la guardò severo. "Allora puoi anche capire che io e te siamo cugini, Malia" dichiarò, cercando di apparire calmo. "E che tutto questo è sbagliato."
Lei si fermò e lo squadrò da capo a piedi, con un sopracciglio alzato. "E dimmi, che colpa avrei io in questo?"
Derek aprì la bocca, rendendosi però poi conto che non aveva la più pallida idea di cosa dire. Alcuni suoni strozzati uscirono dalle sue labbra, più simili a versi.
Era in trappola.
Malia rise, amareggiata. "Come immaginavo."
"Non è colpa tua" mormorò poi il lupo, guardandola. "Il punto è che io non riesco a starti vicino e a fingere che tra di noi non sia successo nulla."
La ragazza, animata da quelle parole, andò di fronte a lui e si mise in punta di piedi, intrecciando il suo sguardo. "Perché dovremmo fingere?" domandò con voce suadente, allacciando le mani dietro al suo collo.
Derek boccheggiò, spiazzato da quel gesto. Non la respinse, però.
Aveva perso.
"Cosa penseranno gli altri?" domandò poi, mordendosi il labbro inferiore.
"Ci interessa davvero?" chiese Malia di rimando, sussurrando le parole sulle sue labbra.
Derek sostenne ancora il contatto visivo con la cugina e poi, finalmente, sorrise, circondandole la vita con le mani.
Si arrese.
"No, non ci interessa."

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Capitolo 11
*** Parrish/Lydia - Focus on me ***


Parrish/Lydia - Focus on me

Ce l'ho fatta, finalmente. Mi scuso tantissimo con tutti, ma come sapete non è un gran periodo per me. Devo essere sincera: questa storia non mi fa impazzire. In parte perché la Marrish non è una delle coppie che trovo più "credibili" o "fattibili", ma anche perché l'ho scritta di getto mentre ero a casa con la febbre. Vi chiedo quindi di perdonarmi e, per piacere, di scrivere nei commenti cosa vi piacerebbe leggere nel prossimo capitolo. Buona lettura, ad ogni modo.

Buio pesto - 693 parole
Grida. Singhiozzi. Vetri che si rompono.

"Lydia, stai bene?"

Denti che sbattono. Oggetti che cadono. Il rumore secco di un pugno che incontra una guancia.

"Lydia? Lydia?"
Parrish le afferra le braccia e cerca di immobilizzarla, fissando i suoi occhi vuoti e lucidi che lo osservano ma sembrano non vederlo neanche. Lei si ribella; tenta di riportare le mani all'altezza delle orecchie per tapparsele, in preda alla disperazione più totale.
"Cosa succede?" urla, con l'intenzione di farsi sentire chiaramente dalla ragazza. Lei lo guarda terrorizzata, mentre le sue labbra si aprono appena, come cercando di dire qualcosa; resta zitta, però.
Jordan avvicina il viso al suo, a qualche centimetro di distanza. "Cosa senti?" domanda, il tono di voce un po' più basso di prima. Lydia resta in silenzio per un istante. "Dolore" dice poi, in un sussurro.
Il poliziotto resta spiazzato. Si allontana impercettibilmente da lei, allentando la presa sui suoi avambracci. Giusto quando sta pensando che la crisi sia ormai acqua passata, lei si irrigidisce e comincia a tremare. Con uno scatto si tappa ancora le orecchie, forse inutilmente. Si allontana da lui, andando a sbattere con la schiena contro un albero. Si accascia poi lì sotto, infilando la testa tra le ginocchia.
Parrish fa qualche passo incerto verso la ragazza, quasi spaventato. Una volta raggiunta, si inginocchia davanti a lei e le prende la mano, accarezzandola. Lydia alza lo sguardo verso di lui, sorprendentemente calma. "Dimmi cosa succede" le bisbiglia poi, dolcemente.
Lei osserva le loro mani e stringe con più forza quella dell'uomo. Poi prende un respiro profondo.
"È tutto buio" comincia, la voce rotta. "Buio pesto, ma in qualche modo riesco a distinguere qualche dettaglio. Ci sono delle finestre rotte e vetri sparsi ovunque sul pavimento; in mezzo alla stanza ci sono delle sedie e forse anche un tavolo in mille pezzi; si muore di freddo; i muri sono di cemento grigio, gelido, e in alcuni punti sono più scuri."
Singhiozza. "Sporchi di sangue" balbetta, rabbrividendo.
"Vedi altro?" chiede Parrish, dopo qualche secondo di silenzio.
Lei scuote la testa. "È tutto così confuso... Io non riesco a capire."
Si avvicina ancora a lei. La sua mano lascia quella di Lydia e si posiziona sulla sua guancia. La ragazza si agita. Parrish le afferra il viso tra le mani. "Ehi, ehi" attira la sua attenzione. "Guardami."
I suoi occhi verdi incontrano quelli azzurri di lui.
"Non ci riesco" mugola, sull'orlo delle lacrime.
"Concentrati su di me" sussurra, mentre le accarezza una guancia. Lydia chiude gli occhi.
Questa volta riesce a vedere altro. Vede dei vestiti sgualciti, strappati e in parte bruciati a pochi metri da un corpo steso a terra, troppo lontano da lei per riuscire a riconoscerlo. Ascolta le parole di Jordan e si concentra di più, riuscendo ad avvicinarsi a quello che le sembra essere un uomo. È quasi irriconoscibile: la pelle bruciata, varie ferite sanguinanti lungo il corpo, dei denti rotti. Riesce però ad intravedere i suoi occhi senza vita spaventosamente spalancati, e si sente mancare l'aria.
Va nel panico. Il cuore batte sempre più forte man mano che si avvicina e spera che non si tratti davvero di ciò che le suggerisce l'intuito. Prega in silenzio che si stia sbagliando. Comincia a sentire caldo. Anzi, sta proprio sudando. Sente un vuoto farsi spazio nel petto. Vuole scappare, correre. Vuole urlare; Dio, quanto vorrebbe urlare.
Apre di scatto gli occhi, sconvolta, e la prima cosa che vede davanti a sé sono le labbra di Parrish. Agisce d'impulso.
Lo bacia violentemente, con rabbia e con fretta; con paura, direi. Porta le mani dietro alla sua testa, impedendogli quasi di muoversi. Cosa che lui non ha la minima intenzione di fare, tra l'altro. Le accarezza la schiena e si bea del momento che così tanto bramava da mesi; cerca di imprimere ogni singolo dettaglio nella sua memoria, dalla morbidezza delle sue labbra al profumo dei suoi capelli. Non si accorge, però, delle lacrime che le scendono copiosamente sulle guance, mentre nella sua testa si dipinge l'immagine che tanto voleva evitare: il corpo senza vita di Jordan.
E cerca con ogni fibra del suo corpo di non mettersi ad urlare.

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Capitolo 12
*** Stiles/Sheriff Stilinski - I can't lose you ***


Stiles/Sheriff Stilinski - I can't lose you

Non si piangono i vivi - 529 parole
Corri. Corri.
L'unica cosa a cui Stiles riesce a pensare è correre. Null'altro importa più in questo momento. Niente può distrarlo; niente lo farà.
Non ti fermare. Non ti fermare.
Il suo cuore batte all'impazzata, l'adrenalina lo anima da capo a piedi. Gli manca il fiato, a momenti, ma cerca di non pensarci: non può permettersi di perdere tempo.
Più veloce. Più veloce.
Il tempo scorre, e sta scadendo. Stiles lo sa bene. Conosce il suo nemico, lo teme più di qualsiasi altra cosa; sa che se non arrivasse in tempo potrebbe perdere tutto quello che ha, tutto quello che gli resta.
Non c'è più tempo. Non c'è più tempo.
Sente gli occhi inumidirsi, le lacrime minacciare di scendere. Le ricaccia indietro, perché non c'è motivo di piangere: suo padre starà bene, lui lo salverà. È solo questione di tempo. Non si piangono i vivi.

Svolta l'angolo e lo vede. Lì, steso a terra, imbrattato del suo stesso sangue. In fin di vita, ma vivo. Balenano nella sua mente le parole "per ora", ma le ignora: non è vero.
Si getta su di lui, gli stringe la mano. Non gli importa del sangue, non gli importa di nulla. Senza neanche che se ne accorga, una lacrima scorre sulla sua guancia e bagna la camicia di suo padre.
"Stiles..." cerca di dire lui, con un filo di voce. Il ragazzo aumenta la stretta sulla sua mano. "Sono qui, papà" lo rassicura, con voce tremante. "Sono arrivato."
Versi di dolore lasciano le labbra dello sceriffo e per non mettersi ad urlare Stiles è costretto a mordersi il labbro inferiore, fino a farsi quasi male. Ma non se ne accorge nemmeno.
"Stai bene?" chiede in un sussurro quasi incomprensibile. Stiles ride amaramente, mentre con la mano libera si asciuga la seconda lacrima che è sfuggita al suo controllo. "Tu sei in una pozza di sangue e mi chiedi come sto io."
Lo sceriffo abbozza un sorriso, per quanto sia possibile. "Sono pur sempre tuo padre."
Stiles sorride ancora. Un nodo gli si forma in gola e nel petto percepisce un vuoto che gli pare quasi tangibile.
Sono istanti di silenzio carichi di tensione, di paura; impregnati di angoscia, di amore; fatti dell'amore di un padre e dell'affetto di un figlio.
"Non posso perderti, papà" dice, abbandonandosi finalmente alle lacrime e con la voce rotta dal pianto. "Io... io non posso perdere anche te."
"Non mi perderai" risponde soltanto lui, socchiudendo gli occhi. Suo figlio si china su di lui, bagnandolo con le sue lacrime. Con uno sforzo disumano lo sceriffo riesce a poggiargli una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione.
"Ehi, Stiles" lo richiama. "Non piangere." Il ragazzo tira su con il naso. "O piangerò anche io."
Stiles, confuso dalla situazione, riflette sulle sue parole, le assimila e cerca di comprenderle fino in fondo anche se con una certa fatica.
Poi capisce che ha ragione. Ha tremendamente e schifosamente ragione.
Si tira su e con la manica della maglietta sporca di sangue si sporca il viso e si asciuga le lacrime, che non vogliono saperne di fermarsi.
Non si piangono i vivi, si ripete. Non si piangono i vivi.

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Capitolo 13
*** Scott/Allison - Eternity ***


Scott/Allison - Eternity

Sì, so che avevo detto che il capitolo Scallison sarebbe stato il prossimo. Ma, andiamo, è una delle mie otp preferite e, cercando idee per il capitolo dedicato a Scott, mi è venuta in mente questa os malinconica come non mai ma a parer mio interessante; se realizzata bene, ovviamente. Spero di averlo fatto.
Sappiate che l'ho scritta ascoltando Echo di Jason Walker. C'entra poco, effettivamente, perché non mi sono affatto concentrata sul testo, ma se volete un accompagnamento musicale, quel ritmo è davvero perfetto.
Buona lettura.

Tu puoi ancora salvarli - 1072 parole
Da quindici minuti nel suo petto regnava il silenzio; il cuore non dava più segni di vita. Aveva sentito chiaramente i battiti farsi sempre più lenti, sempre più irregolari, finché non avevano semplicemente smesso di esserci. In un istante, come una fiamma che si spegne.
Aveva percepito perfettamente l'energia abbandonare il suo corpo, gli occhi chiudersi, il respiro mozzarsi. Lentamente, stavolta. Quasi come se non volessero fargli del male. Invece lo sentiva, il dolore. Non era fisico, certo, ma era più reale di qualsiasi altra cosa. Si sentiva un incapace, un pessimo amico, un pessimo leader. Aveva fallito. Aveva messo in pericolo tutti coloro che amava, dal primo all'ultimo.
Aveva giurato di proteggerli; l'aveva promesso. Stiles, Malia, Kira, Lydia, Liam, Allison.
Allison.
Aveva sorriso al solo sentirne il nome, se era possibile che un morto sorridesse.
Era stato un sorriso amaro, però, condito da lacrime e angoscia. Lei era stata il suo primo fallimento. L'aveva amata - Dio, quanto l'aveva amata - e non solo aveva lasciato che lei rischiasse la sua vita ogni santissimo giorno, ma l'aveva anche lasciata morire.
Ogni volta che chiudeva gli occhi la vedeva ancora, quella scena. Loro due, soli - o, almeno, quella era stata la sensazione -, circondati solo di morte e parole non dette; seduti a terra, lei nelle sue braccia, in fin di vita; le labbra screpolate socchiuse, le mani tremanti, il rossore sulle guance che man mano svaniva; il suo corpo che diventava più freddo di secondo in secondo.
Scott la stava guardando, soffrendo più di lei. La stava stringendo per l'ultima volta e lo sapeva, nonostante stesse pregando qualunque santo affinché riuscisse a salvarsi la vita. La stava guardando con occhi pieni d'amore, la stava bagnando con le sue lacrime. Ma, dopo tutto quello che avevano passato, l'aveva sentita comunque scivolare via dalle sue mani sempre più in fretta.

"I-io non riesco... ad assorbire il tuo dolore" aveva detto.
Allison, lentamente, aveva sorriso. "Perché non sento dolore."
"No..." Scott stava scuotendo impercettibilmente la testa, con voce tremante.
"Va tutto bene."
"No, Allison..."
"Va tutto bene, va tutto bene, va tutto bene" stava ripetendo con un filo di voce, mentre le lacrime stavano rigando le guance di Scott. "È perfetto. Sono tra le braccia del mio primo amore. La prima persona che io abbia mai amato. La persona che amerò sempre. Io ti a-io ti amo, Scott. Scott McCall."
L'aveva stretta con più vigore. "No, ti prego, non... Allison, no, ti prego..."
"Tu... devi dirlo a mio padre. Devi dirlo a mio padre. Devi... digli che-" e poi la vita la stava già abbandonando, senza farle del male. Ma aveva fatto male a lui; aveva fatto male a tutti. Faceva ancora male a tutti.

"Sai, non mi hai detto per l'ultima volta ti amo, prima che morissi."
Scott si era voltato. Allison era davanti a lui, bella come non mai, perfetta come sempre. "Sei reale?"
Si era stretta nelle spalle. "Forse, chi lo sa."
"Dove siamo?" aveva continuato lui, senza staccarle gli occhi di dosso. Lei si era avvicinata e si era seduta di fronte a lui, a poca distanza. "Credo che non siamo da nessuna parte."
Scott si era corrucciato. "Come è possibile?"
Allison si era guardata intorno, poi gli aveva sorriso. "E come è possibile che tu stia parlando con una morta?"
"Beh, sono morto" aveva risposto subito lui, senza pensarci. La cacciatrice lo stava fissando, pensierosa. "Può darsi di sì, può darsi di no."
"Non mi hai risposto, comunque" aveva aggiunto. Cogliendo lo sguardo assente del ragazzo, aveva ripetuto le sue parole: "Non mi hai detto che mi amavi, quando ci siamo detti addio."
"Speravo non fosse un addio" aveva detto semplicemente lui.
"Non è stata colpa tua" lo aveva rassicurato. "Se sono morta."
Lui si era preso la testa fra le mani. "Potevo proteggerti."
"C'erano Isaac e Kira con me. Non potevi sapere che sarebbe finita così."
"Sarei dovuto restare con te comunque" aveva ribadito, sicuro. "Sarei dovuto restare con la ragazza che amavo."
Lei stava sorridendo. "Un po' in ritardo, ma apprezzo lo sforzo."
Lui aveva continuato ad osservarla, rapito. L'aveva sognata tante volte da quando era morta, ma mai nitidamente come in quel momento. Sembrava fosse davvero davanti a lui.
"Moriranno tutti per colpa mia?" le aveva chiesto, mostrandosi insicuro. "Moriranno perché io non sono riuscito a proteggerli?"
Rivolgendogli un sorriso dolce e rassicurante, lei aveva preso la sua mano e gli aveva accarezzato una guancia. "Tu puoi ancora salvarli, Scott."
Aveva scosso la testa la testa, intrecciando le sue dita con quelle della ragazza. "E come? Sono morto."
Era il turno di Allison di scuotere la testa. "Sei ancora in tempo" aveva dichiarato. "Puoi ancora scegliere."
L'aveva guardata ancora confuso. "Tra cosa?"
Lei si era messa in piedi, nel frattempo, sistemandosi il vestito rosso. Lui la stava imitando. "Beh, puoi restare qui, con me, e permettermi di passare il resto della nostra eternità a cercare di convincerti che hai fatto tutto quello che potevi fare" aveva cominciato, sorridendo. "Ma non ci crederai mai."
Poi aveva fatto una pausa. "Oppure puoi tornare indietro" aveva continuato. "Puoi rimboccarti le maniche e fare il culo a chi ti ha messo in questa situazione; puoi salvare i nostri amici - il tuo branco - e la tua famiglia; puoi rendermi la ragazza innamorata più felice e orgogliosa al mondo."
Una lacrima aveva fatto capolino sul viso di entrambi i ragazzi; ognuno di loro aveva asciugato la guancia dell'altro, lentamente. "Io sono più per la seconda opzione" aveva sussurrato scherzosamente Allison, mentre altre lacrime stavano scendendo.
"Ma così non ti rivedrò."
"Andiamo, Scott, sei un licantropo e tutto quello che vuoi, ma prima o poi arriverà anche il tuo momento" aveva risposto lei, continuando ad accarezzarlo. "E io sarò qui ad aspettarti, qualunque cosa accada."
Scott stava ricominciando a piangere, suo malgrado. "Non hai idea di quanto tu possa mancarmi."
Lei aveva annuito. "Lo so, Scott, lo so. Ma è la cosa giusta da fare."
Lui si era portato la mano alla guancia, dove aveva afferrato quella della ragazza. Poi si era allontanato, senza voltarsi, di qualche passo, mentre le dita di lei man mano si stavano separando dalle sue.
"Puoi dirmelo, questa volta" aveva detto Allison, tentando di mascherare la voce rotta dal pianto. "Non sappiamo quanto tempo passerà prima che ci rivedremo."
"Ti amo" aveva affermato subito lui. "Ti amo, Allison Argent. E ti amerò sempre."
Aveva sorriso ancora. "A presto, Scott."

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