Love quest

di Serpentina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Entangled ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Ellis's list ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: Lezione di galateo ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: Serendipità, il sale della vita ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: Chi dice sorella, dice danno ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: Meet Mrs. Ellis ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7: In cage ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8: L'ora della resa ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9: The belle of the ball ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10: Look forward ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11: The season of the bitch ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12: I nodi vengono al pettine ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13: Escogito, ergo sum ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Chi già conosce le mie storie forse resterà deluso nel non ritrovare Faith&co, ma ho deciso che era meglio cambiare aria per un po’. Spero che questa storiella, nel mio stile romantico (nel senso di romantico + comico) vi piaccia.
 

Prologo
(Ten) Million dollar baby

Chi per caso viene in possesso di un’ingente somma di denaro diventa o molto felice o molto infelice.
Proverbio cinese

Si dice che chi sa fare, fa, e chi non sa fare… insegna.
Ewan Ellis era un’eccezione. Per lui insegnare era come respirare: non disdegnava il lavoro sul campo (anzi, avrebbe tanto voluto dedicare più tempo alle sue ricerche), ma riteneva fosse inutile affaticarsi a scoprire qualcosa, se poi non era utile al prossimo o il suddetto prossimo non ne capiva il senso. Facile intuire, quindi, quanta passione mettesse nelle sue lezioni di botanica, che cercava, ogniqualvolta fosse possibile, di tenere nelle serre; gli piaceva mostrare agli studenti l’argomento che spiegava, nella speranza che osservare dal vivo ciò che avrebbero studiato li avrebbe aiutati nell’apprendimento. Non era un caso che il suo corso fosse tra i preferiti degli alunni della Boston University (in particolare dalle ragazze, fatto, questo, che i maligni attribuivano al bell’aspetto del giovane assistente).
–Questo ciclo di lezioni, come sapete, è dedicato al per me meraviglioso mondo delle piante carnivore. Dopo Nepenthes e Sarracenia, tocca alle Droseraceae. Le piante del genere Drosera appartengono a tale famiglia e sono accomunate dalla presenza di foglie ricoperte di tentacoli vivacemente colorati, che presentano gocce di una sostanza collosa secreta da apposite ghiandole, presenti nelle foglie, in grado di attirare gli insetti e farli rimanere intrappolati e, in un secondo tempo, di secernere succhi simili alla tripsina - un enzima digestivo presente anche nell’apparato digerente animale - grazie ai quali digeriscono gli insetti. Per favorire quest'ultima fase, la foglia nella quale è intrappolato l'insetto tende ad arricciarsi, avvolgendolo, in un arco di tempo che può variare fino alle 14 ore- disse, solleticando amorevolmente una pianticella apparentemente innocua. Accortosi della mancanza di interesse della platea, si schiarì rumorosamente la voce e sbottò –Capisco che si avvicina l’ora di pranzo, ma gradirei un minimo di attenzione, e, se proprio non volete seguire, perlomeno fate silenzio!
–Scusi, prof- pigolò una ragazza minuta col naso macchiato d’inchiostro. –Eravamo, ecco… presi da una notizia parecchio sconvolgente.
–Un efferato omicidio? L’ennesimo vip arrestato per droga?
–No!- rispose John Wang, il migliore del corso. –Hanno individuato il vincitore del primo premio della lotteria dello Stato: ha acquistato il biglietto in un supermercato Seven-eleven di Wattham Street!
–Wattham Street? Oh, cavolo, ma allora è di Boston!- squittì una bionda in prima fila. –Potrebbe essere qualcuno che conosciamo, forse persino il misterioso benefattore, quello che ha donato all’università cinque milioni di dollari in forma anonima!
A quell’affermazione Ewan impallidì e indietreggiò fino a sbattere contro il vetro della serra; sbottonati i primi due bottoni del colletto della camicia, sibilò –Non dite sciocchezze! Finitela con questa storia e pensate a ficcarvi in testa le caratteristiche della Drosera, perché nel programma d’esame non è incluso il misterioso benefattore, ve lo posso assicurare!
–Non è nemmeno un po’ curioso sull’identità dell’uomo del mistero, prof?- celiò John. –Strano, credevo che gli uomini di scienza fossero curiosi per natura!
–La curiosità, per diventare scienza, va disciplinata- replicò Ewan, strappandogli di mano il giornale. –Ordine e metodo, ragazzi. Senza di essi, la creatività non è altro che caos infruttuoso.

 
***

Mentre camminava a passo spedito verso la fermata dell’autobus 57 a Commonwealth Ave, Ewan si strinse nel cappotto, guardandosi le spalle; aveva, infatti, la sensazione di essere seguito.
Stava cercando l’abbonamento ai mezzi nella borsa, quando una mano si posò sulla sua spalla, facendolo sobbalzare. Terrorizzato, estrasse dalla tasca interna del cappotto la sua semiautomatica e si preparò mentalmente e fisicamente a premere il grilletto.
–Whoa, whoa! Vacci piano con quel gingillo, Ellis!- esclamò una voce familiare.
Ewan riaprì gli occhi e ripose l’arma, sorridendo all’amico e collega Albert Gimpsky, come sempre tirato a lucido quasi quanto la sua Mustang Cobra, parcheggiata poco lontano. Quando l’aveva portata per la prima volta fuori dal concessionario l’aveva deriso per giorni, chiedendogli se per caso non soffrisse di crisi di mezza età prematura.
–Cosa ci fai qui, Al? A parte tentare di farmi morire d’infarto?
–Non atteggiarti a regina del dramma, El, non è il tuo ruolo- sbuffò l’altro, aggiustandosi gli occhiali dalla vistosa montatura “azzurro evidenziatore”. Questo vezzo era l’unico modo per tollerare quegli arnesi, secondo lui capaci di imbruttire l’Adone del mito. Avrebbe potuto mettere le lenti a contatto, ma gli davano fastidio, e aveva troppa paura dei medici per sottoporsi all’intervento correttivo con laser. Ergo, non gli restava che sopportare “quell’orrida, scomoda bruttura” e abbagliare chiunque incontrasse con le sue montature appariscenti. –Vengo in pace. Ti offro uno strappo a casa a bordo del mio bolide. Ci stai?
La vista dell’autobus stracolmo fu un motivo sufficiente a fargli accettare l’offerta. Annuì, raggiunse l’automobile e vi montò quasi con frenesia: al termine di una lunga giornata di lavoro, non vedeva l’ora di rilassarsi… andare in giro per locali richiedeva le pile al massimo della carica.
–Allora, che si fa stasera? Perché scommetto tutte le mie piante che hai scelto tu, come al solito!
–Semplicemente perché sono il più esperto di vita notturna- replicò Albert, arricciando le labbra carnose. –Che colpa ne ho se sono l’unico uomo di mondo del gruppo? Comunque, ho prenotato da Johnny D per cena, e dopo, se voi vecchietti non siete stanchi, potremmo fare quattro salti all’Avalon, ho chiesto ad alcune, ehm, amiche di raggiungerci.
Ewan non poté trattenersi dallo sbottare –Porca miseria, Al, avevi promesso di puntare a donne della nostra età!
–Cosa ti fa pensare che queste non lo siano?- ribatté Albert in un tono che lasciava trasparire quanto fosse vero il contrario.
–Quel “ehm” vale più di mille parole- soffiò Ewan, tamburellando le dita sulla borsa di pelle che conteneva tutto il suo universo (professionale). –Proprio non ce la fai a non flirtare con le studentesse? Rischi il posto, cazzo! Un buon posto da assistente! E per cosa?
–Ne parli come se si trattasse di ragazzine, El- sbuffò di rimando Albert, svoltando bruscamente. –Sono maggiorenni, vaccinate e consenzienti. Non faccio niente di male!
–Dillo al rettore quando ti licenzierà!
–Non lo scoprirà nessuno, a meno che tu non mi tradisca, e in quel caso affonderesti con me: come credi reagirebbe il vecchio Brown se sapesse che il misterioso milionario filantropo sei tu?
Ewan batté il pugno contro il cruscotto, digrignando i denti; quella vincita inaspettata gli aveva portato più dolori che gioie. Non era stato egoista: metà l’aveva donata all’università dove aveva studiato e lavorava, e parte della restante metà l’aveva usata per aiutare i propri familiari; non era di famiglia povera, ma i suoi parenti non navigavano nell’oro, qualche soldo in più faceva comodo. Il rimanente l’aveva depositato in banca, in attesa di capire come gestire una somma a sei zeri: investirli? Non investirli? In cosa investire? Dubbi amletici che lo tormentavano notte e giorno, succhiandogli via le energie non assorbite da vita sociale e professionale.
–Vorrei non aver vinto quei soldi. Sono una maledizione- gnaulò, scuotendo mestamente il capo.
–Non dire sciocchezze! Sei tu troppo scemo per capire che magnifica opportunità ti è capitata: hai idea di quanti vantaggi potresti avere, se uscissi dall’anonimato? Brown ti sarebbe debitore a vita, quindi la carriera sarebbe sistemata, potresti comprarti una mega villa con piscina e, ciliegina sulla torta, le donne farebbero la fila per uscire con te!
–Esattamente i motivi per cui ho intenzione di tenerlo segreto, Al- sospirò Ewan, passandosi le dita tra i ricci biondi. –Mi attirerei addosso troppa invidia, per non parlare dei giornalisti. Quanto alle donne, il seduttore da strapazzo sei tu, non io: se proprio devo avere una botta e via, la otterrò grazie al mio fascino, non esibendo un portafogli gonfio di verdoni. Non sono così disperato!
–Allora fingi che i soldi siano miei, così le pollastre me le pappo io!
–Scordatelo! Ci vediamo dopo.
–Passo a prenderti io, ok? Quella carretta resta in garage, o non rimorchierai nemmeno Maga Magò!
Ewan ridacchiò mentre scendeva dall’auto, si abbassò al livello del guidatore e rispose –Maga Magò è simpaticissima, e poi dovresti saperlo, signor uomo di mondo… le racchiette sono le migliori a letto!

 
***

Jodie Carr si assicurò di non essere vista, prima di levarsi le scarpe sul pianerottolo. Nonostante fossero tra le più comode sul mercato, le dolevano i piedi, e non vedeva l’ora di concedersi un lungo pediluvio, assolutamente necessario per resistere una serata intera sugli strumenti di tortura che si era imposta di indossare. La divisa scialba (per usare un eufemismo) che era obbligata a tenere sul lavoro era la scusa perfetta per giustificare lo shopping sfrenato e l’insana passione per vestiti e scarpe con tacchi vertiginosi.
“Però quando esco con le ragazze sono sempre la più elegante, è innegabile”, si disse, imbronciandosi non appena si accorse dei rotolini sui fianchi, visibili nonostante il cappotto. “Se solo riuscissi a buttar giù qualche chiletto…”
Aprì la porta di casa e rimase a bocca aperta trovandosi davanti sua sorella minore in una mise a dir poco provocante: i pantaloncini erano talmente corti che, senza le calze, probabilmente si sarebbe visto il sedere e la canotta (sotto un attillato maglioncino rosso, per fortuna) lasciava quasi nulla all’immaginazione. Riusciva addirittura a scorgere il pizzo del reggiseno.
–Marion! Come ti sei conciata?- ululò, gettando la borsa su una poltrona.
“Dio, quanto la invidio! Tra le due sembro io quella incinta, quando ad aver partorito è lei! Perché mentre distribuivano il fisico perfetto ero nella fila dei cioccolato-dipendenti?”
–Questo finesettimana i bambini staranno da Jorge. Verrà a prenderli tra poco- spiegò l’interpellata mentre si truccava nello specchio all’ingresso.
Jodie si morse la lingua per impedirsi di esprimere i pensieri che le passavano per la testa: non riusciva a credere che, dopo tutto quello che aveva passato per colpa del decerebrato di nome Jorge Reyes, sua sorella spasimasse ancora per lui! Poteva capire l’intramontabile fascino dello stronzo, ma se lo stronzo in questione è il tuo ex marito, che ti ha lasciata per la baby-sitter dei vostri figli, il massimo dei sentimenti che dovresti provare è un ardente desiderio di evirarlo con la motosega!
“Invece no! Quella cretina è ancora innamorata di lui e spera di riconquistarlo sbattendogli in faccia le sue grazie! Sveglia, tesoro: se gli fossero piaciute così tanto non le avrebbe barattate con quelle della baby-sitter!”
–Allora, dato che hai la serata libera, potresti unirti a noi: cena a base di gelato da Toscanini’s Ice Cream, poi all’Avalon a scatenarci- sospirò, sforzandosi di suonare cordiale: non poteva traumatizzare ulteriormente i suoi adorabili nipoti facendosi sorprendere ad ammazzare la loro madre a capocciate nel muro (sebbene lo meritasse), giusto?
–Gelato per cena?- sputò schifata Marion, intenta ad aggiustarsi il reggiseno. –Quanti anni avete, dodici?
–Idea di Sarah. L'hai conosciuta, se non sbaglio.
–Ah, sì. Quella che potrebbe essere guardabile, se non si ostinasse a travestirsi da barbona. Patetica! Non che le altre secchione sfigate del MIT siano da meno, ma Sarah è la più patetica, perché non ha scuse: se non sei brutta hai il dovere morale di valorizzarti!
“Marion ha una strana concezione della morale.”
–Se preferisci rimanere a casa basta dirlo, non c’è bisogno di offendere le mie amiche- rispose Jodie, andò a salutare i piccoli Manuel e Mariposa e si infilò sotto la doccia.
Ma chi glielo aveva fatto fare di prendere con sé quella palla al piede? I bambini li teneva volentieri, erano due tesori, ma sua sorella…
“Perché ho la vocazione della martire? Perché?” ripeté a mente come un mantra mentre si insaponava, sciacquava, asciugava e vestiva. “Perché Marion era in fila per il magnetismo per uomini sbagliati mentre distribuivano il cervello? Perché?” ripeté mentre si truccava e pettinava, dopo aver assistito al tragicomico scambio di battute tra i due ex-coniugi. Soltanto l’amore per i nipoti (oltre alla prospettiva di rinunciare alla sua brillante carriera) la trattenne dal commettere un omicidio (forse duplice).
Controllò per l’ultima volta il proprio aspetto, soffiò un bacio al proprio riflesso, afferrò la borsa e scappò lontano dai problemi, almeno per una sera.

 
***

Non lo avrebbe mai ammesso, ma si stava annoiando. Da morire.
Albert era sparito chissà dove con una bionda ossigenata che aveva chiaramente frequentato il suo corso al solo scopo di rimorchiarlo (si intuiva sentendola parlare: di fisica ne sapeva quanto lui di storia, e lui in storia rimediava soltanto insufficienze), John si destreggiava al bar tra due rosse che parevano uscite dallo stesso stampo (sensazione, questa, che gli dava la quasi totalità delle donne presenti) e Phil ondeggiava sulla pista da ballo scoccando occhiate ammiccanti a qualunque femmina nelle vicinanze. Lui, come da copione, era in un cantuccio col suo drink e non si sarebbe mosso di un millimetro, o almeno così pensava… finché non la vide. Si stava guardando intorno con aria smarrita, mordicchiandosi le labbra mentre giocherellava nervosamente con le frange della pochette e muoveva la testa a ritmo di musica.
Lo sorprese trovarla lì: sapeva che, dopo la laurea, si era trasferita sulla costa pacifica per conseguire il PhD in Neurofarmacologia a Berkeley, e poi in Svezia. Durante gli anni del college si erano incrociati diverse volte in vari corsi, e l’aveva colpito per la sua intelligenza, l’ironia e il sorriso contagioso, ma non erano diventati amici: non ne avevano il tempo, presi com’erano a inseguire i rispettivi sogni.
Ora, però, erano adulti, non aveva ragione di evitarla; anzi, se avesse creduto al destino e simili avrebbe potuto pensare che il fato gli stava lanciando dei segnali. Prese coraggio con un sorso di Jack Daniel's e la raggiunse. Fu sollevato nel constatare che si ricordava di lui: non ebbe neanche bisogno di presentarsi amiche che la circondavano a mo’ di fortino.
–Ewan Ellis! Sei veramente tu?
–In carne e ossa, Jodie. Ciao!
–Ciao!- trillò lei, tirandosi nervosamente giù la gonna dell’abito viola smanicato, accollato ma piuttosto corto, abbastanza da metterla a disagio. –Ragazze, questo è Ewan Ellis, un, ehm, amico dei tempi del college.
–Un amico single, spero- squittì Sarah, barcollando in avanti. Non reggeva l’alcool, ma questo non le impediva di berne quantità sufficienti da sbronzarsi ogni volta. –Sei single, bellezza?
–Sarah! Sarah, tieni le mani a posto!- le intimarono Jane e Ingrid. –Perdonala, in genere è molto timida, ma le basta bere…
–Tranquille, non mi scandalizzo facilmente- assicurò loro Ewan senza distogliere lo sguardo da Jodie, che fu sufficientemente coraggiosa da arpionargli un braccio e trascinarlo dalla parte opposta del locale col pretesto di rivangare il passato.
–Scusa per prima. Sarah è, beh, disperata: come la mia, sua mamma preme perché trovi un uomo e si sistemi, solo che io sono diventata impermeabile alle critiche, lei... no.
–Ripeto: non mi scompongo facilmente. Era chiaro che la tua amica non era del tutto in sé, e mi dispiace soltanto che non riesca a godersi la libertà: è triste affannarci a cercare qualcosa che, se mai arriva, arriva quando meno te lo aspetti. Cambiamo argomento, ti prego. Cosa ci fai qui?
–Cosa può fare a Boston una ragazza dell’Idaho che si diletta di farmacologia? Lavoro! Collaboro con una equipe di medici, chimici e altri farmacologi per studiare gli effetti di alcune sostanze nell’indurre o ridurre gli stati d’ansia. Ti risparmio i dettagli, non voglio farti addormentare in piedi.
–Invece mi interessa. Solo… questo non è il posto adatto per discuterne.
–Concordo, ma sono la guidatrice designata - ruolo ingrato, ma qualcuno deve pur ricoprirlo - non posso abbandonare quelle squinternate, anche se sono tentata- cinguettò Jodie, strizzandogli l’occhio con aria complice. –Di te che mi dici? Ricordo che eri il Willy Wonka del regno vegetale!
–Ero così psicotico? No, dai!- esclamò Ewan, per poi scrollare le spalle. –La passione per le piante è rimasta, quella sì. Insegno botanica alla Boston University - sono soltanto un umile assistente, ma in pratica gestisco tutto il corso - e nei ritagli di tempo mi occupo di ricerca e pubblico articoli su una rivista del settore.
–Sono colpita, Ellis. Dovremmo davvero riallacciare i rapporti- asserì Jodie con un risolino molto poco da lei (forse Sarah non era l’unica ad aver ecceduto con gli alcolici). –Ma, da fervente credente nella serendipità, lascerò che sia il destino, o chi per esso, a decidere se è il caso che ci rivediamo. Boston non è poi così grande, ci sono buone probabilità di imbatterci casualmente l’uno nell’altra.
Scorse Jane agitare una mano, segno che era ora di tornare a casa. Sorrise a Ewan, lo salutò con un bacio sulla guancia (secondo la maniera europea) e uscì dall’Avalon club a testa alta.
 
Nota dell’autrice:
Non ho resistito: anche se tardi, ho pubblicato! Ho scritto di getto e senza controllare, perdonatemi eventuali errori.
Immagino (spero) vi starete chiedendo: perché Boston? Beh, gli USA, onestamente, non erano la mia prima scelta, ma Boston è una città che mi ha sempre affascinata: elegante, raffinata, ricca di cultura… il mio sogno è di visitarla o, magari, viverci per un periodo, quindi quale scelta migliore per la location della storia?A parte alcuni dettagli, infatti, è tutto reale: la toponomastica, il nome e l’ubicazione dei vari locali... tutto. Mi sono documentata, ma se avessi commesso errori, per favore fatemeli notare.
I nomi dei personaggi sono stati difficili da scegliere, e non è improbabile che li cambi, ma, per il momento, mi convincono abbastanza. Lo stesso vale per le loro professioni.
Il breve accenno alla vincita a sei zeri di Ewan non è casuale, verrà approfondito già nel prossimo capitolo. Dieci milioni (o meglio, cinque: la metà li ha donati) di dollari non saranno una maledizione, ma spingeranno Ewan su una strada che non avrebbe mai preso in considerazione... ;-)
Chiudo ringraziando chi è arrivato fin qui a leggere, chi continuerà a farlo e gli eventuali coraggiosi che vorranno recensire. Le critiche costruttive sono bene accette quanto le lodi (servono a migliorare), perciò non siate timidi, non mordo (non attraverso lo schermo del computer, almeno)!
Serpentina
ps: il MIT è il Massachussetts Institute of Technology, un importante centro di ricerca scientifica.

 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: Entangled ***


Bentrovati! ^^
Mi riterrò soddisfatta se, dopo aver letto questo capitolo, correrete a cercare informazioni su Paul Dirac e la sua elegantissima (ebbene sì, l’eleganza esiste anche in fisica) equazione! ;-)
Grazie a Calliope S, elev, sunburn1985 e topoleone, che hanno recensito e seguono la storia, e a Bijouttina, che la preferisce. Buona lettura, e ricordate: (∂ + m)ψ = 0!

 
 
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Entangled

Se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non possono più essere considerati due sistemi distinti, ma in qualche modo divengono un unico sistema. In altri termini: quello che accade a uno di loro continua ad influenzare l’altro, anche se distanti chilometri o anni luce.
Paul Dirac

Jonathan Carmassi ( che lavorava nello sfavillante mondo della televisione ) aveva fiuto per le persone capaci di bucare lo schermo; il suo amico Albert Gimpsky lo era, infatti gli ripeteva, ogniqualvolta si vedessero, che era una fortuna che lui preferisse esercitare il proprio carisma nell’aula di fisica, sarebbe stato un concorrente temibile.
–Siccome piace a tutti uscire prima, senza contare che tra cinque minuti va in onda ‘Big Bang dishes: la scienza in cucina’, condotto dal mio amico Jonathan - vi invito a guardarlo, è veramente interessante - concludo con una breve anticipazione dell’argomento che affronteremo nelle prossime lezioni. Non importa se non afferrate i concetti al volo, mi basta che ci ragioniate sopra. Ne discuteremo domani, ok?- placò il mormorio entusiastico degli studenti (a chi non piace che una lezione finisca in anticipo?) con un teatrale movimento delle mani e proseguì –L’entanglement quantistico, questo sconosciuto. Anche noto come correlazione quantistica, è un fenomeno, privo di analoghi nella fisica classica, per cui - in determinate condizioni - lo stato quantico di un sistema non può essere descritto singolarmente, ma solo come sovrapposizione di più sistemi. Da ciò consegue che la misura di un’osservabile di uno determina istantaneamente il valore anche per gli altri. Naturalmente, dato che risulta possibile, dal punto di vista sperimentale, che tali sistemi siano spazialmente separati, l’entanglement - termine coniato da Schrödinger, per inciso - implica la presenza di correlazioni a distanza (teoricamente senza alcun limite) tra le loro qualità fisiche, determinando il carattere non focale della teoria. Lo so, è dannatamente contorto; ringraziate Mr. Schrödinger e compagnia bella, che hanno speso il loro tempo su questo fenomeno, invece che in bagno con qualche cartolina di donnine sexy! Se può consolarvi, io impiegai un intero semestre per comprenderlo fino in fondo. Vi sfido a battermi! Ci vediamo domani!
Venne placcato sulla porta del suo ufficio da un malmostoso Ewan Ellis, che gli piazzò in mano un giornale, ringhiando –Me la pagherai, Gimpsky!
Intuendo di cosa potesse trattarsi, Albert deglutì a vuoto e lo fece accomodare, prima di scorrere voracemente l’articolo in terza pagina (corredato di foto), leggendo a voce alta il finale.
–“E’ incredibile, oserei dire fantascientifico, che un uomo bello, interessante e - da qualche settimana a questa parte - ricco sfondato, sia ancora single. Un’ottima notizia per quelle di voi che sono ancora sul mercato dell’amore, ovvio, ma fa sorgere il dubbio che il botanico dal volto di un angelo e il fisico di un California Dream Man nasconda qualche oscuro segreto. Se così dovesse essere, state pur certi che lo scoprirò”. Accidenti: Mina Lee ci è andata giù pesante!
–Già- confermò Ewan, picchiettando l’indice sulla pagina in questione. –E di chi è la colpa? Se qualcuno non si fosse lasciato sfuggire che il misterioso benefattore sono io, adesso non sarei nell’occhio del ciclone! Maledizione a te e al commesso del Seven-eleven che mi ha riconosciuto come il cliente che aveva acquistato il biglietto!
Albert ebbe la decenza di mostrarsi imbarazzato e contrito al punto giusto.
–Guarda che l’occhio del ciclone è il punto più statico, dove regna la calma assoluta- lo sguardo assassino dell’amico lo persuase a chiedere perdono. –Ok, torno serio. Ti devo delle scuse: non avrei dovuto usarti come scudo quando Brown ha iniziato a torchiarmi per sapere se è vero che ho, ehm, rapporti con le studentesse; non meritavi di finire sotto i riflettori contro la tua volontà. A mia discolpa posso dire: non avevo previsto che il rettore avrebbe usato la notizia come fonte di pubblicità per l’università, sottoponendoti alla tortura nota come “intervista”. Con quella vampira di Mina Lee, poi! Tu, l’uomo più discreto e, senza offesa, noiosamente tranquillo sulla faccia del pianeta!
–Puoi dirlo forte!- sbottò Ewan, seccato dalle attenzioni quasi morbose di cui era oggetto dall’uscita dell’articolo. –Ma ormai il danno è fatto, e credo che prima o poi sarebbe trapelato comunque; hai soltanto agito da catalizzatore. Inoltre, se vogliamo considerare la situazione da un punto di vista filosofico, sei stato coerente: avevi promesso di affondarmi insieme a te, se le cose si fossero messe male, e l’hai fatto. Sembra paradossale, ma compiendo un gesto contrario all’etica comune sei stato eticamente corretto.
 –Grandioso. Ora sì che la mia giornata ha un senso- rispose l’altro in tono grondante sarcasmo.
–Non c’è niente da ridere: già ero incazzato perché l’ibrido di Passiflora racemosa che sto studiando sta inspiegabilmente avvizzendo, nonostante le mie cure, poi questo… detesto stare al centro dell’attenzione!
–Toc toc. E’ permesso?- gorgheggiò una voce femminile, ponendo fine alla discussione. Da autentico gentiluomo, Albert andò ad aprire la porta a una vecchia conoscenza, la quale si fece largo con grazia nella stanza, si sedette accanto a Ewan e sospirò –Albert, dovresti cortesemente autografare queste carte. Grazie!
–Et voilà! Ogni tuo desiderio è un ordine, Penny!
–A cosa devo tanta gentilezza?
–Alla consapevolezza che tra sei settimane mi libererò di te- sibilò Albert, esibendo un sorriso a trentadue denti.
–Tutta invidia la tua, Gimpsky. Resta pure ad ammuffire in questo antro, io emigro in Svizzera a mangiare cioccolato e collezionare orologi a cucù!
–E lavorare- replicò Albert con una smorfia. –A meno che CERN non sia anche il nome di una ditta produttrice di orologi a cucù di cioccolata!
Penny rispose con un gesto osceno, quindi rivolse la propria attenzione a Ewan, che fino a quel momento si era illuso di passarla liscia.
–Ho letto il giornale, poco fa… condoglianze, cucciolotto.
–C-Condoglianze?- sputò allibito Albert, strabuzzando gli occhi. –Se non te ne fossi accorta è milionario! Se volesse potrebbe mollare questo posto e spassarsela! Condoglianze. Tsk!
–Conoscendolo, scommetto che ha avuto una crisi isterica: è un abitudinario, non concepisce l’imprevisto. Inoltre è un morigerato: per lui i soldi non fanno la felicità. Uno dei motivi per cui l’ho mollato: è privo di ambizione- asserì in tono melodrammatico Penny, gettando indietro la testa.
–Piangere in una limousine è meglio che ridere su una bicicletta arrugginita, specialmente se piove- ribatté Albert.
–Ma sì, continuate pure come se non ci fossi!- sibilò tra i denti Ewan.
–Peccato abbia poco di cui ridere: la Lee ha colto nel segno. Quali scheletri nascondi nell’armadio, eh, Ewan? Perché, dopo di me - e parliamo dei tempi del college, praticamente preistoria - non hai più avuto una fidanzata?
–Non ne sento il bisogno: a scopare scopo, perché complicarmi la vita?- rispose, guadagnandosi un cenno di approvazione da parte di Albert.
–Secondo me, invece, non combini un accidenti di niente, passi le tue giornate su siti a luci rosse con la mano nelle mutande a domandarti perché repelli l’altro sesso- sibilò malevola Penny.
–Pensa quel che ti pare, non mi importa. Non conti più nulla per me- abbaiò Ewan.
–Spero proprio che la Lee scavi nelle tue relazioni passate e mi intervisti- celiò, velenosa, prima di raccattare i documenti e sparire. –Le fornirei un ritratto coi fiocchi del nuovo milionario!

 
***

–Ti supplico, Al, andiamo via- pigolò esasperato Ewan, avvicinandosi ad Albert, che per tutta risposta gli sbolognò la maxi-scorta di carta igienica.
–La pianti con questa litania? E’ snervante!- sbuffò, spingendo distrattamente il carrello nella corsia successiva. A differenza dell’amico - preciso e metodico - che fissava un budget e stilava una lista di cosa comprare, girava alla cieca e acquistava a caso.
–Ti imploro, finiamola qui. Non ce la faccio più! Ho smesso di andare al Seven-eleven per evitare di venire riconosciuto, invece la gente mi fissa lo stesso, bisbiglia… e poco fa, mentre sceglievi la frutta, un gruppo di vecchiette mi ha assalito per congratularsi e lasciarmi i numeri delle nipoti single!
–E’ il prezzo del successo, El: tutti vogliono un pezzettino dell’uomo del momento. Capisco che preferiresti essere sulla bocca di tutti per meriti tuoi, non perché hai avuto la fortuna di vincere alla lotteria, ma è andata così, e, finché non troveranno altro di cui sparlare, sparleranno di te. Al posto tuo mi lamenterei di meno e me la spasserei di più: questo genere di fama non dura a lungo- sbadigliò Albert, indeciso tra due marche di bagnoschiuma. Alla fine, dopo averle analizzate approfonditamente... le prese entrambe, incurante delle proteste di Ewan.
–Meno male- borbottò l’altro, schermendosi con la spesa.
–Dico sul serio, El: devi godertela! E’ imperativo!- sbottò a quel punto il fisico, gettando alla rinfusa nel carrello le bottiglie di beverone energetico. –Trasformarti in eremita recluso soddisferebbe la cattiveria dei maligni - tipo quella bagasciona di Penny - che invidiano la tua botta di culo e sperano ti porti solo infelicità!
Da vero cavaliere senza macchia, il botanico si lanciò in difesa dell’antipatica ex fidanzata.
–Mi ha spezzato il cuore, la odio per principio, ma non ti sembra di essere troppo duro con lei? Bagasciona…
–Non volevo scadere nel turpiloquio- rispose con sussiego Albert. –Sono un uomo di classe, io!
–Sì, ma… bagasciona?
–Quale termine, parolacce escluse, useresti per definire una donna che, ehm, fa sesso con secondi fini? E’ persino peggio di me! E stamani ho notato dei peli sul mento e un accenno di zampe di galline, che schifo. Cosa ci trovavamo in lei?
Ewan boccheggiò –T-Trovavamo? C-Cioè… a-anche t-tu…
–Merda!- barrì Albert, resosi conto della gaffe. –Non avresti dovuto scoprirlo così. Non avresti dovuto scoprirlo, punto! Oh, beh, la frittata è fatta, e comunque è stato dopo che vi eravate lasciati. In realtà ci aveva provato svariate volte anche mentre stava con te, però io e i ragazzi abbiamo sempre rifiutato.
–T-Tu e… i r-ragazzi?
–E’ stato un errore, che giuro non si è ripetuto.… anche se devo ammettere che è stata una delle scopate migliori della mia vita, non tanto per il sesso in sé, quanto perché era una fantasia che diveniva realtà. Eravamo ubriachi fradici…
–E-Eravate? N-Nel s-senso… tu e Penny?- esalò Ewan, sconvolto.
L’espressione dell’altro era pregna di significato: “ non vuoi davvero saperlo, vero?”
–Ehm, ecco…. i-io, Penny e i r… uh, guarda, il detersivo è in supersconto! Cinquanta lavaggi!
–Al, non cambiare discorso. Al!
–Ehi,  cinquanta lavaggi sono tanti!- ribatté lui con nonchalance, allungandosi per raggiungere il ripiano dei fustini. –Ne prendo due. Non ho mai fatto il bucato in vita mia - siano benedette madri e sorelle - ma può sempre tornare utile!
–Sai- sospirò mestamente Ewan - arresosi alla ritrosia dell’amico a rivangare un errore del passato - mentre percorrevano la corsia dei prodotti da forno –Probabilmente me la sono presa tanto perché, nel profondo, sento che ha ragione.
–Mia sorella quando sostiene che, stando a quel che mangiamo, dovremmo pesare duecento chili?
–Penny!- sbraitò il botanico, infervorandosi. –E’ acida peggio di uno yogurt scaduto nel 1930 e si è espressa brutalmente, ma il concetto è giusto: non è normale che non abbia una donna.
–Potresti averne quante ne vuoi, se seguissi i miei consigli.
–Ne ho avute abbastanza di donne di quel genere, Al. Intendevo LA donna! Quella giusta, che non ti vergogni di presentare ai genitori, con cui passeggiare mano nella mano e fare progetti. Una fidanzata, ecco. Com’era.. beh… Penny. Oltretutto, sarebbe pure un ottimo modo per dimostrarle che ho definitivamente voltato pagina, toglierle la soddisfazione di pensare di avermi ancora in pugno e così via… no?
Esterrefatto, ad Albert occorsero alcuni minuti per registrare pienamente la portata di quella dichiarazione (ed elaborare una risposta di senso compiuto che non comprendesse pesanti insulti alla ex storica del suo amico).
–Tu. Sei. Fuori. Di. Testa. Sul serio. Ti sei fumato qualche strana pianta, per caso? Mi rifiuto di pensare che questa assurda idea sia davvero frutto di una mente capace di intendere e volere! Non è normale essere liberi alla nostra età, dici? Desiderare un rapporto stabile soltanto perché te l’ha suggerito un giornale lo è ancora meno!
–Oh, taci! Ho semplicemente realizzato che la mia vita è incompleta. Tutto qui.
–Tutto qui. Una cosina da niente. Uno si sveglia una mattina e all’improvviso si accorge che gli ci vuol la fidanzata!
–Ho spento trentatré candeline e non sto ringiovanendo- asserì Ewan con franchezza. –E’ il momento di provare a costruire qualcosa con qualcuno. Non voglio ritrovarmi a cinquant’anni a sbavare sulle ventenni, o essere scambiato per il nonno di mio figlio!
–La soluzione è semplice: mantieniti in forma (alle ragazze piace l’uomo maturo, se non dimostra i suoi anni) e non riprodurti- ribatté Albert scrollando le spalle. –I marmocchi sono carini e coccolosi soltanto a piccolissime dosi, e se non sono tuoi. Uno dei motivi per cui frequento ragazze più giovani è proprio sottrarmi alle grinfie di arpie smaniose di battere sul tempo l’orologio biologico o, peggio, madri spaiate che cercano un vice-padre per i loro pargoli. Manco morto!
–La tua visione misogina della vita mi atterrisce- mormorò Ellis scuotendo il capo sconsolato: il suo amico era senza speranza! –Fortunatamente, ho un piano.
–Andare a caccia della donna perfetta, chiederle di uscire, conquistarla e vivere per sempre felici e contenti? Non è un piano, è disperazione pura! Resta in disparte e lascia che il destino faccia il suo dovere.
Ewan storse il naso e sputò –Mi sembra di sentir parlare Jodie: serendipità e via dicendo. Roba da femminucce sdolcinate! Mi sorprende che tu ci creda, Al. L’universo è governato da leggi matematiche, se l’amore ne è una componente allora è soggetto a tali leggi. Lineare… logico- ignorò l’espressione da pesce lesso comparsa sul viso del suo interlocutore e aggiunse –Ordine e metodo, questo serve per raggiungere l’obiettivo, sia esso la cima dell’Everest o il cuore di una donna.
–Rimango del mio parere: sei fuori di testa! Uhm, prendiamo tacos e chili, ho voglia di cibo messicano.
Ewan obbedì, poi, stranito dall’improvviso silenzio di Albert, solitamente un gran chiacchierone, si guardò intorno finché non posò lo sguardo su colei che l’aveva ammutolito. Il suo amico aveva buon gusto: nonostante l’assenza di trucco, la coda disordinata e l’abbigliamento di una semplicità che rasentava la sciatteria (salopette di jeans e giacchetto corto di pelle) - nel complesso gli dava l’impressione di trovarsi davanti alla personificazione della “giovane ragazza del Kentucky col reggiseno push-up” cantata dai Red Hot Chili Peppers - era molto carina; come loro spingeva un carrello, lagnandosi della golosità di sua sorella, che l’aveva spedita a fare compere lì perché era l’unico supermercato in zona (“Quindi vive nelle vicinanze. Elementare, Watson!”) ad avere il gelato Häagen-Dazs al gusto di dulce de leche.
Accantonato un pensiero sugli strani gusti della sorella della bella sconosciuta, curvò le labbra in un sorrisetto soddisfatto e chiocciò –Ti darò subito una dimostrazione. Miss “sono bona anche con due straccetti e i capelli indecenti” ti ha stregato, a quanto vedo- Albert avvampò, ma non aprì bocca. –Ora, secondo la serendipità, dovremmo proseguire senza calcolarla e sperare che il destino sia dalla tua parte; invece, secondo me, otterremo un risultato con ordine… e metodo!- sbuffò, e spinse il carrello verso la sconosciuta.
Sconcertato, Albert si tuffò in avanti per acciuffarlo, purtroppo (o per fortuna) invano: un clangore assordante confermò l’avvenuto impatto.
Per non disturbare il flirt si nascose dietro il banco dei surgelati, da dove poteva godere di una visuale completa delle interazioni tra i due. Nella fretta di ergersi a fattore del destino di Albert, tuttavia, non aveva calcolato una variabile: lei. Poco dopo, infatti, la vide scurirsi in volto, spintonarlo e girare sui tacchi.
Il fisico tornò da lui furibondo, reggendo tacos e un barattolo di salsa chili, e ruggì –Sei pazzo? Poteva farsi male!
–Negativo. Solamente i bambini piccoli possono morire investiti da un carrello della spesa non motorizzato, e lei è troppo alta e popputa per essere una bambina.
–Tu… tu… sei impossibile!
–Deduco dalla tua reazione che ha resistito alle avances. Miracolo! Ma non restarci troppo male: puoi sempre consolarti con qualche animale da cortile che razzola nel tuo corso!
–Esattamente quello che farò. Il mare è pieno di fighe e io pesco a strascico: non ho bisogno di lei! Anche se devo ammettere che è davvero meravigliosa; ha due occhi stupendi quanto la carrozzeria e un sorriso incantevole… e sai che in genere non noto nulla al di sopra del collo. Ad ogni modo, uomo di poca fede, è andata meno peggio di come pensi: mi ha detto il suo nome.
–Davvero? Dimmelo, che le mando dei fiori: non ha ceduto al tuo fascino da piacione, è il minimo!
–Si chiama Marion.
–Marion… e basta? Tutto qui? Niente cognome, niente indirizzo…. niente?
–No. E’ da masochisti fare il terzo grado a chi ti rifiuta- borbottò un imbronciato Albert, indicando la cassa con la fila più corta.
–Si vede che non era destino- ridacchiò Ewan, nascondendo il viso mentre disponeva gli acquisti sul nastro della cassa.
–Smettila di prendermi in giro! A differenza tua, caro il mio scetticone, io credo nell’entanglement: i nostri sistemi sono casualmente entrati in collisione, ergo, volenti o nolenti, ci influenzeremo a vicenda, nonostante la distanza. E chissà… potremmo perfino rivederci.
Ewan alzò le mani in segno di resa - stanco di discutere - ed esclamò –Poi sarei io quello fuori di testa!

 
***

Jodie Carr si considerava una nostalgica: nonostante l’indubbia comodità dell’e-book, prediligeva la carta stampata, e non perdeva occasione per farne scorta. Le sessioni di shopping selvaggio includevano, invariabilmente, una tappa in libreria. Sebbene l’Harvard Book Store di Massachussetts Ave fosse il più vicino a casa sua, il preferito era Trident Booksellers & Cafè, situato in Newbury Street.
“Ok, è lontanuccio, ma tornando a piedi smaltisco parte delle calorie dei dolcetti!”, si ripeteva per mettere a tacere i sensi di colpa (che, guarda caso, parlavano con la voce di sua sorella).
Quel luogo carico di vitalità e creatività, sia letteraria che culinaria, la faceva sempre sentire bene accetta, in pace con se stessa e col mondo. Entrando respirava felicità e si concedeva il lusso della lentezza: girovagava tra gli scaffali, accarezzava i volumi, li annusava (impazziva per l’odore dei libri), leggiucchiava i titoli che le parevano più appetibili comodamente seduta in poltrona - magari sbocconcellando un biscotto, una fetta di cheesecake o uno s’more, oppure sorseggiando tè o caffè - infine, rosa dal tarlo dell’indecisione, li acquistava tutti (senza mai pentirsene).
Era la sua coperta di Linus, il rifugio dalle brutture della quotidianità; la più recente, il racconto di Marion sul “dongiovanni dei poveri, figo quanto tronfio” che l’aveva abbordata al supermercato. Lei al supermercato faceva acquisti, sua sorella conquiste. C’est la vie. E il bello è che aveva addirittura avuto la faccia tosta di lamentarsi, addossandole la colpa di quello spiacevole episodio soltanto perché l’aveva obbligata ad andare da Wal-Mart, l’unico nel quartiere a vendere il suo gusto preferito di Häagen-Dazs!
“Sorella insensibile. Come può non capire il ruolo centrale del gelato nella vita di una nubile che ha passato i trenta? E ha osato raccontarlo a nostra madre, la quale ha colto la palla al balzo per suggerirmi, col consueto tatto da elefante, di mettermi a dieta per avere maggiori probabilità di rimediare alla mia zitellaggine!” pensò con acrimonia, torturando un tomo innocente. La rabbia latente rischiò di esplodere quando una mano lesta prese l’ultima copia del libro prescelto.
–Molla l’osso, bello, c’ero prima io!- tuonò, recuperando all’istante l’accento dell’Idaho (che in genere si sforzava di tenere a bada).
–Comincio a pensare che il caso esista davvero, Jodie- rispose il “ladro”, restituendole il maltolto.
–Come sai… Ewan!- trillò lei, stringendo al petto l’oggetto delle sue brame. –Boston è veramente piccola!
–O, semplicemente, abbiamo entrambi ottimi gusti in fatto di librerie. Oppure la serendipità nella quale credi tanto fermamente ha voluto che le nostre strade si incrociassero di nuovo, chi lo sa!
–Colgo del sarcasmo nella tua voce, ma lascerò correre perché sei un attentato agli ormoni, dal vivo come in foto- cinguettò ammiccando.
Ewan arrossì, balbettò sillabe sconnesse, infine, recuperato l’uso della lingua, pigolò –Ma dai, in quella foto sembro strafatto!
–Io e le mie amiche, invece, ti troviamo sexy. Contento?- ignorò il suo evidente imbarazzo e aggiunse –Allora, cosa hai combinato in questo frattempo?
–Niente di che. Lavoro, casa, amici… e ho deciso di fidanzarmi- confessò, vincendo la naturale ritrosia. La sua ex compagna di college dava l’impressione di essere aperta e affidabile, e un parere femminile gli faceva comodo.
–Ewan Ellis va a caccia! In effetti ti ci vedo coperto da una pelle di giaguaro e armato di clava che trasporti a spalla nella tua caverna la povera malcapitata!- ironizzò Jodie. –Hai già cominciato la ricerca?
–No. In realtà fino a stamattina neanche sapevo di aver bisogno di una donna fissa!- disse, pentendosene all’istante: adesso sì che avrebbe fatto la figura dell’idiota! –I-Intendevo d-dire che ci pensavo da tempo, ma solo stamattina ho deciso di, ehm, mettermi seriamente sul mercato. Pensi che sia stupido, vero? O da disperati. Forse lo è…
–No- lo interruppe lei, posandogli una mano sul braccio. –Il fatto che creda nel fato non implica che giudichi le decisioni altrui. Non sei il primo né sarai l’ultimo a buttarti nella mischia, invece di rimanere seduto ad aspettare qualcosa che potrebbe non arrivare mai. E’ comprensibile: hai un buon lavoro e degli amici che ti vogliono bene… manca soltanto la fidanzata all’appello, dopodiché potrai vantarti di avere tutto dalla vita!
–Prima devo trovarla, farla innamorare pazzamente di me, forse sposarla…
–Vacci piano, casanova! Un passo alla volta- scherzò Jodie, deliziando le orecchie di Ewan con la sua risata argentina. Niente di stridulo o sguaiato, un gradevole tintinnio. –Beh, in bocca al lupo per la tua impresa. Ci becchiamo in giro… se sarà destino.
 
Nota dell’autrice:
La caccia è iniziata! Riuscirà nell’impresa il nostro Ewan, o dovrà arrendersi al fatto che non tutto l’universo risponde a leggi matematiche?
Albert, invece, si è letteralmente scontrato con una bellezza resistente al suo charme. Poverino, il suo orgoglio maschile ha subìto un duro colpo! XD
Che ci capiate di fisica o meno, non potete negare l’entanglement: gli intrecci cominciano a intrecciarsi e i sistemi entrati in contatto restano collegati, anche se separati nello spazio. Vedremo poi come si dipaneranno.
Chiudo con delle informazioni di servizio: il CERN di Ginevra è il centro europeo per la ricerca sulla fisica delle particelle, la canzone dei Red Hot cui si riferisce Ewan è “Scar Tissue” (“Push me up, against the wall, young Kentucky girl with a push up bra”), le librerie nominate nell’ultima parte del capitolo esistono veramente e si trovano esattamente in quelle strade, così come la marca di gelato e la catena di supermercati. Gli s’mores, invece, sono dei dolcetti buonissimi (che ho avuto la fortuna di assaggiare) composti da un marshmallow cotto tra due biscotti integrali spalmati con crema di cioccolato.
Buone vacanze a chi si gode le ferie e buon lavoro/studio a chi fatica.
Bacioni!
Serpentina
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: Ellis's list ***


Salve! So di avervi lasciati con vari interrogativi, ma non voglio rovinarvi la sorpresa, mi limito a informarvi che alcuni troveranno risposta in questo capitolo.
Grazie ai lettori silenziosi, a Calliope S e sunburn1985, che hanno recensito, ad America35, che segue la storia, e a Sapphire_, che la preferisce! :-*

 
 
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Ellis’s list

“E' l’ordine a essere una momentanea mancanza del disordine, in un mondo in cui quest’ultimo cresce in maniera misurabile e inesorabile attraverso l’entropia.” 
Piergiorgio Odifreddi


Oscillando sulle note di “Dani California”, quella sera Jodie Carr rientrò a casa animata da nuova determinazione: aveva convinto le sue amiche a formare un gruppo di sostegno per pigre croniche; si sarebbero date appuntamento in una palestra vicino al MIT e avrebbero creato una chat privata per scambiarsi messaggi di incoraggiamento e consigli dietetici.
“E’ la volta buona, me lo sento. Addio, rotolini!”, pensava, mentre saliva i due piani di scale che la separavano dal suo appartamento.
Tolti gli auricolari, la sorprese non udire le acute voci infantili di Manuel e Mari, ancor di più che i suoi timpani venissero feriti da quella sgradita del suo ex cognato.
Era seduto sul divano, accanto alla ex moglie, e (“Orrore!”) teneva una mano sul suo ginocchio e il viso troppo vicino a quello di Marion, rossa in faccia e ridacchiante, peggio di una scolaretta giuliva. Come se questa visione non fosse sufficiente a provocare in Jodie violenti conati di vomito, Jorge si mise pure a carezzarle una guancia, sospirando in quello che secondo lui era un tono caldo e sensuale –Non ci credo che non hai avuto storie, dopo il divorzio. Sei così bella, Marion… se i bostoniani non sono diventati improvvisamente ciechi, dovresti avere la fila fuori dalla porta!
“Ha oltrepassato ogni limite! A me un’arma!”
–N-No, c-cioè… i-io… grazie, sei…
–Lo so: sono un tesoro, ma non potrei non esserlo- con sommo raccapriccio di Jodie, puntò alle labbra della ex moglie. –Sei fantastica, piccola… mi ricordi perché ci siamo lasciati?
–Perché sei uno stronzo- si decise a intervenire in perfetto stile “sorella maggiore” per impedire qualsiasi contatto tra i due. –E, per la cronaca, l’hai lasciata tu per andare a sbavare dietro la minigonna di quella tro… sciacquetta che vi teneva i bambini. Leva le tue luride zampacce da lì e allontanati: questa è casa mia, non ti permetto di fare i tuoi porci comodi!
–Adorabile come sempre, Jodie- rispose lui senza spostarsi di un millimetro.
–Solo con chi se lo merita. Ora fa’ quel che ti ho detto, prendi la giacca e porta il culo fuori di qui.
–J-Jodie, n-noi stavamo solo…
–Tranquilla, piccola, non è colpa tua se hai una sorella isterica- sputò Jorge, la baciò sulla guancia al solo scopo di irritare Jodie e prese la giacca. –Capisco quando non sono gradito, perciò alzo i tacchi.
–Ecco, bravo. E alla svelta!
–Jodie!- la redarguì Marion, alternando nervosamente lo sguardo tra l’ex-marito e la sorella.
–Sì, è il mio nome- celiò lei, velenosa. –Senti, cocco: puoi incantare Marion, ma con me non attacca. Se la tua tro… ragazza ti ha mollato sono problemi tuoi (più che problemi, lo chiamerei karma); sfogati su xvideos, vai a puttane, fai quel che ti pare… ma stai alla larga da lei! Ha già sofferto abbastanza a causa tua!
–Chiudi il becco, arpia!- reagì l’uomo, afferrandola per un braccio. –Se non fosse per te… sei stata tu a rovinare tutto! Non mi hai mai potuto vedere!
–Prova che ci vedo bene- replicò Jodie, prima di ribaltare le posizioni e atterrarlo con una mossa strategica insegnatale da un marine con cui era stata il primo anno di università. –Aspetta… Ho davvero indovinato? La scolaretta ti ha dato il benservito? Oh, gioia e tripudio! Ti ha scaricato per un modello più recente, eh? Forse è meno stupida di quanto pensassi.
–Sasha e io stiamo attraversando una crisi, è vero. E allora?
–Oh, no! Jorge, mi dispiace tanto- pigolò una Marion tra l’affranto e lo speranzoso.
–Oh, sì, fa piangere il cuore sapere che il bastardo traditore sta soffrendo!- abbaiò sarcastica Jodie. –Non sperare di trovare conforto qui, soprattutto non nel letto di mia sorella. E adesso sparisci!- spinse veementemente l’uomo sul pianerottolo, gli gettò in faccia il giubbotto e sbraitò –E la prossima volta citofona, così mando giù i bambini senza interazioni con Marion. A non presto rivederci!
Chiuse la porta con violenza e fulminò con un’occhiataccia Marion, che stava saltellando a mani giunte squittendo –Sono in crisi! Sono in crisi! La speranza divampa!
–La spengo subito- rispose Jodie, dura come poche volte in vita sua. –Il solo fatto che invece di tentare di superare questa fantomatica crisi sia venuto a mendicare una scopata da te la dice lunga su che razza di essere indegno sia. Non aggiungo altro perché, ahimè, è il padre dei tuoi figli, ma se potessi…
–So che per te è inconcepibile, ma lo amo!
–Ne abbiamo già parlato, sorellina: tu non ami lui, ami la perfetta famigliola felice che credevi di avere con lui. E’ diverso- la rimbeccò la maggiore, ringraziando mentalmente Jorge per averle fatto passare la fame.
“Forse liberarmi dei rotolini sarà più facile del previsto!”
–Mi sento ancora legata a lui, è mio marito!
–Non più. Hai firmato le carte, ricordi?
–Forse ho sbagliato. Avrei dovuto lottare per riprendermelo- gnaulò l’altra, facendosi scudo con un cuscino. –Ha commesso un errore, ma…
–Abbiamo discusso anche di questo- ringhiò minacciosa Jodie, domandandosi se avrebbe potuto citare l’ex cognato per manipolazione mentale, plagio o come cavolo si chiamava nel gergo legale. Questi discorsi non erano quelli di una donna nel pieno possesso delle proprie facoltà! –Puoi amarlo quanto ti pare, non basta ad assolverlo dai suoi peccati, che non ho idea di quanti siano, sicuramente non pochi: il fatto che ti abbia lasciata per la tro… scolaretta non significa che non fosse recidivo. In ogni caso, ti ha mancato di rispetto e, per essere proprio cinici, ha rotto il contratto che vi legava violando uno dei termini. Ah, prima che tiri in ballo i bambini: paradossalmente è più presente adesso di quando vivevate sotto lo stesso tetto, e andando con la tata ha mancato di rispetto anche a loro; ha sottratto del tempo che avrebbe potuto usare per fare il padre e ha fatto soffrire la loro mamma. I bambini le avvertono certe cose.
–Jo- esalò Marion, accasciandosi sul divano –Non puoi capire. Le tue relazioni, se così si possono chiamare, non hanno mai superato i dieci giorni, non hai sperimentato quello che viene quando la passione da sola non basta: la tenerezza, certo, ma anche le incomprensioni, i litigi, la lotta contro il noioso tran tran quotidiano… Però, vedi, quando ami veramente una perona, dal profondo del cuore, non ci pensi due volte a estrarre gli artigli, pur di tenertela stretta, perché non sai immaginare la tua vita senza di lei.
–Io, invece, la tua vita senza quel deficiente la immagino benissimo- soffiò Jodie, scrutandola dall’altro del suo metro e settanta (più dodici centimetri di tacco) con le mani sui fianchi. –Sai come la penso, sorellina: quando l’amore lede la dignità, smette di essere amore.
Marion si alzò, la abbracciò e chiocciò –Capisco abbia avuto fregature sufficienti per almeno due vite, ma gli uomini non sono tutti uguali, Jo. Ti auguro di incontrare qualcuno che te lo dimostri.
Jodie si scostò, ostentando un’aria da dura che non le apparteneva, e soffiò –Vabbe’. Ah, prima che me ne dimentichi: non prendere impegni per sabato mattina, si va a sperimentare il corso di cardio fitness della palestra ‘Hard Work’. Non guardarmi così: è un’idea di Sarah, dice che è piena di bei maschioni, cito testuali parole.
–Sbaglio, o la tua amica finta barbona è un tantino assatanata?
–E’ tutta assatanata! Buon per lei: se non ci si sfoga adesso, quando?

 
***

Nonostante non sentisse altro che lamentele da parte di Albert, Ewan gli invidiava la famiglia numerosa: per lui - figlio unico poco propenso alla socialità - una casa affollata, la lotta quotidiana per gli spazi comuni e i confronti verbali o fisici erano un sogno, non una stressante realtà. Certo, crescendo si era fatto degli amici, che considerava come fratelli, ma non era la stessa cosa. Se mai l’impresa fosse riuscita e avesse trovato la donna della sua vita, avrebbe messo al mondo almeno due figli, poco ma sicuro.
Era convinto che un eventuale fratello o sorella l’avrebbe sostenuto, al massimo prendendolo un po’ di giro, non gli avrebbe mai detto…
–Mai sentita un’assurdità più enorme, e io lavoro in televisione, l’assurdo è il mio pane quotidiano!
–Grazie mille, Jonathan- sibilò a denti stretti, oltraggiato.
–Sai se nell’ospedale dove lavori c’è posto nel reparto psichiatrico?- ridacchiò Albert, puntando una patatina fritta ricoperta di ketchup contro Philip “Phil” Gage, che rivolse loro un’occhiata ammonitrice; ormai conosceva bene Ewan, sapeva che - come tutte le persone miti - una volta raggiunto il punto di rottura deflagrava, e chiunque avesse la sfortuna di trovarsi nelle vicinanze rischiava di essere travolto dal fiume in piena di rabbia repressa.
–Secondo me dovreste smetterla di deridere El. Sembrate la volpe della favola: non riuscite a tenervi stretta una donna e lo tormentate per invidia- asserì il giovane medico in un pesante accento del sud, prima di ingollare un sorso di birra.
–Invidia? Dove?- esclamò Albert, spalleggiato da Jonathan. –Hai idea di quante sono passate dal porto di Al?
–E dal mio. E ne sono uscite tutte soddisfatte.
–Se la sono data  a gambe appena svaniti i fumi dell’alcol. Siate onesti: rimorchiate nei locali e non concedete il bis alla scaldaletto di turno perché ad un appuntamento serio non avreste possibilità!
–Sta insinuando che siete buoni solamente orizzontali. Fossi in voi, mi offenderei- bofonchiò Ewan a bocca piena: forse l’avrebbe portato prematuramente all’altro mondo, ma non ce la faceva a rinunciare al cibo spazzatura!
–Offendetevi pure, i fatti mi danno ragione: come si chiama la mia nuova eroina, quella del supermercato?
–Vaffanculo, Phil!- sbottò Albert.
–Nome insolito… è straniera?- replicò divertito Philip.
–Idiota! Sai quante ne trovo di meglio? Sì, era carina… molto carina…
–Sicuro? Hai blaterato mezz’ora sui suoi occhi meravigliosi, e, conoscendoti, per averli notati… il resto non doveva essere granché!- osservò Jonathan, salutò animatamente alcuni fan e aggiunse altra salsa barbecue al suo hot dog.
–“I tuoi occhi luminosi non sono paragonabili a nulla che abbia mai visto”- canticchiò Ewan.
–Lascia i Red Hot Chili Peppers fuori da questa conversazione!- ruggì il fisico, infervorandosi. –Le loro canzoni non sono la risposta a tutti i problemi!
–A quasi tutti- ribatté Ewan, per poi riprendere a canticchiare come niente fosse. –Ricordami di passarti questo pezzo.
–Non potete capire, insensibili!
–Capisco perfettamente: ti sei impuntato su di lei perché ti ha respinto. Infantile, da parte tua- commentò Philip. –Almeno quanto il piano di El.
–Il mio piano non è folle né infantile, perché, al contrario di voi, che brancolate affidandovi al caso, agisco con ordine e metodo- rispose Ewan, tirando fuori dai pantaloni un foglio di carta, che sbatté sul tavolo.
–Che roba è?
–Il primo passo per avventurarsi alla ricerca di qualcosa - qualcuno, in questo caso - è avere le idee chiare su cosa - chi - cercare, perciò, con ordine e metodo…
–Hai stilato una lista?- esalò esterrefatto Jonathan, pizzicandosi le guance per accertarsi di essere sveglio. –Finora pensavo fosse uno scherzo andato per le lunghe, invece… hai sconfinato nella follia!
–Effettivamente…
Ewan latrò, indignato –I garanti del caos, ecco chi siete! Confondere ordine e metodo con la follia…
–Scusa tanto se tutta la faccenda ci sembra folle!- sbuffò Albert. –Ehi, sentite qua: “Caratteristiche della donna ideale. Punto pri…
–Da’ qua, delatore- soffiò Ewan, strappandogli il foglio. –Hai l’intonazione di una cornacchia rauca. Ehm, ehm… “Punto primo: dev’essere innamorata di me, Ewan Lachlan Ellis, non dei miei quattro milioni di dollari.”
–Ora che so il tuo secondo nome la vedo dura, però… mi pare ragionevole.
–“Punto secondo: deve comprendere (o amare) il mio lavoro, e non rimproverarmi se assorbe molto del mio tempo. Punto terzo: dev’essere amabile - ma non sdolcinata - e determinata e sicura di sé - ma non civetta o dispotica - e, soprattutto, non deve avere sbalzi d’umore tipo disturbo bipolare. Non sopporto le scenate.”
–Anche questo mi sembra ragionevole- lo interruppe nuovamente Albert.
–“Punto quarto: deve venerare i Red Hot Chili Peppers almeno quanto me. Punto quinto: deve preferire le partite dei Red Sox a una stupida soap opera o un qualunque volgare programma di intrattenimento.”
–Stai fresco! Dove la trovi una così?
–“Punto sesto: dev’essere una cuoca almeno passabile (sono incapace perfino di cuocere un uovo, se nemmeno lei sa mettere in tavola cibo commestibile moriremo di fame).”
–Questa te l’appoggio in pieno- intervenne Jonathan: avendo radici italiane, era abituato a considerare i pasti ben più di un mero rifornimento di nutrienti per il corpo. Non a caso, conduceva un programma di cucina.
–“Punto settimo: deve apprezzare il piacere di una bevuta in compagnia e, in queste occasioni, preferire una birra o un whiskey a quegli orrendi cocktail colorati e disgustosi. Punto ottavo: non pretendo Einstein in gonnella, ma dev’essere intelligente, brillante e capace di sostenere una conversazione che non mi faccia sbadigliare dalla noia. Punto nono: non pretendo neppure la supermodella, ma un minimo di superficialità maschile ce l’ho, quindi dev’essere bella, o almeno carina. Punto decimo: deve farmi desiderare di passare il resto della vita insieme a lei.”
–Se mai dovessi incontrare una simile creatura… chiedile se ha una sorella!- ridacchiò Philip, e Jonathan si morse il labbro per non scoppiare a ridere: le pretese di Ewan erano veramente eccessive!
–Se riuscirai davvero a conquistare una donna che rispetti tutti i punti della lista- dichiarò solennemente Albert, certo dell’insuccesso dell’amico –Pagherò di tasca mia fedi, abito dello sposo e addio al celibato!
Il botanico raccolse la sfida; rispose, dopo averlo costretto a siglare l’accordo nero su bianco –Comincia a mettere da parte i soldi, Gimpsky, ho gusti dispendiosi!

 
***

Prima il dovere, poi il piacere: dopo una sfiancante sessione di attività fisica, urgeva ritemprare corpo e spirito. Jodie aveva scelto di rinfrancarsi con un peeling facciale e un trattamento con pietre calde, che sperava la liberasse da tossine ed energie negative.
Camminava in placida pace col mondo, tacitando i sensi di colpa derivanti dall’aver sgarrato cedendo alla tentazione di un ricco frappuccino (“Me lo merito: ho sudato come una dannata! E poi quante calorie potrà mai avere? Di sicuro meno di quante ne ho bruciate! Sì, meno di quante ne ho bruciate”) e meditando sull’eventualità di tradire il proprio credo cercando sull’elenco telefonico il numero di Ewan, come le era stato caldamente consigliato da sua sorella e le sue amiche (in particolare Jane). Non ce ne fu bisogno: provvide il caso.
–Wow! Credo di non averti mai vista in tuta, prima d’ora- esclamò il lupus in fabula, con tanto di fischio di apprezzamento. –Di solito sei sempre tutta in tiro!
–Ewan Ellis! Che fai, mi perseguiti?
–Ma come, non credi più nel potere del fato e simili?- replicò, ammiccando. L’insistente tossicchiare al suo fianco gli rammentò la presenza di Albert. –Oh, ehm, giusto: ti presento Al, è un mio amico. Al, lei è…
–Miss Serendipity!- esclamò il fisico, stringendole calorosamente la mano: c’era qualcosa in lei di vagamente familiare, che gli ispirava simpatia. –Ewan mi ha riempito la testa di chiacchiere su di te! Sei la causa del mio perenne mal di testa, sappilo!
–Non riuscirai a farmi sentire in colpa: esistono gli analgesici!- scherzò Jodie. –Voi biologi siete tutti così fighi?Ho decisamente sbagliato carriera!
–Biologo io? Sono terrorizzato dal regno animale e ho fatto morire una pianta grassa che andava innaffiata una volta ogni quindici giorni! Meglio tenermi alla larga dalla materia animata. Sono un fisico.
“E si vede!” pensò Jodie, rivolgendogli una breve occhiata di apprezzamento; sebbene prediligesse la bellezza più dimessa e (un po’) rude di Ewan, non poteva negare che anche Albert fosse una gioia per gli occhi. “Potrebbe andar bene per Marion: la sfido a preferire quel porco traditore a un dio greco del genere, pure intelligente e spiritoso!”
–Oh, wow! Da umile farmacologa mi inchino di fronte a un cervellone del tuo calibro- rispose. –Allora, cosa ci fanno due begli esemplari di maschio in giro a quest’ora tutti soli ? E’ pieno di donnine arrapate che non vedono l’ora di saltarvi addosso, sapete?
Ewan arrossì, mentre Albert scoppiò a ridere: Jodie non era il suo tipo - a parte la "questione taglia", aveva intuito fosse un bel peperino, e lui preferiva di gran lunga le gattine sexy alle gatte da pelare - ma gli piacevano i suoi modi schietti e ironici.
–Esattamente il motivo per cui siamo in giro: cercavamo belle donne, e il destino ci ha messi sulla tua strada. Coincidenza? Io non credo- replicò sornione Albert, testando il suo fascino sulla ragazza. "Dopotutto, ogni lasciata è persa!", pensò. Incredibilmente, e con suo lieve sdegno, Jodie non fece una piega.
–Il caso non è così potente. So dove vuoi andare a parare e sono lusingata, ma no, grazie. Sei tanto carino… non il mio tipo, però- ribatté, esibendo un sorriso irresistibile, dopodiché dirottò la propria attenzione sul botanico. –Come va la tua ricerca?
–Alla grande!- rispose lui, compiaciuto. –L’ibrido di Passiflora che ho messo a punto si è rivelato resistente agli attacchi di Cocciniglia oleosa e Mosca bianca, è fantastico!
–Ne sono molto lieta, ma… mi riferivo alla tua ricerca di una fidanzata. O hai lasciato perdere?
–Oh, quella!- pigolò Ewan, colorandosi di nuovo di un vivace rosso papavero. Alla sua destra, Albert sgranò gli occhi: se le aveva raccontato del piano strampalato, significava che i due erano in confidenza; era suo preciso dovere di amico scoprire esattamente quanto e regolarsi di conseguenza. –No, no, è ancora in corso. Si sta rivelando più difficile del previsto.
–Splendido!- trillò Jodie, scattando in piedi. –Se vuoi, posso aiutarti: una mia amica uscirebbe volentieri con te.
–Quale? La rossa col caschetto e la mandibola pronunciata?
–Ingrid?- Jodie ridacchiò. –Oh, no: è già impegnata… e lesbica.
–Oh!- esalò Ewan, rosso-violaceo. –Ehm… s-scusa, c-cioè, n-non pensavo…
–Tranquillo, non sei stato offensivo. Non lo sapevi!
–Ok. Se non è Ingrid, allora…
“Fa’ che non sia la bionda ubriaca. Fa’ che non sia la bionda ubriaca. Fa’ che non sia la bionda ubriaca!”
–Jane. Era all’Avalon. Sul metro e sessanta, occhi a mandorla…
“Onestamente non la ricordo, ma l’importante è che non sia quella sbronza con le mani lunghe! Uhm, meglio chiedere conferma.”
–Jane… ehm, senza offesa, eh… non è la tipa ubriaca che ci ha provato con me, vero?
–Ti confondi con Sarah, che, tra parentesi, da quella sera non ha più toccato un goccio di etanolo (per gli amici alcol etilico).
Rincuorato, Ewan tirò un sospiro di sollievo.
–Che Jane sia!
 
Nota dell’autrice:
Capitolo di passaggio, eppure fondamentale. La quiete prima della tempesta, diciamo così.
La fortuna sembra girare a favore del bel botanico: senza fatica ha racimolato un appuntamento! Jane si rivelerà essere la donna della sua vita? Chi lo sa! ;-)

Quanto a Marion, don’t worry, si riprenderà dal trauma cerebrale che le impedisce di vedere che razza di cialtrone ha sposato! *spoilerone*
Comunque non sottovalutate il cardio-fitness del gruppo di sostegno per pigre croniche, darà i suoi frutti (non aggiungo altro)!
Baci e abbracci!
Serpentina
Ps: confrontandovi con la lista… siete o non siete candidate a donna ideale di Ewan? Let me know, I’m curious!
Pps: la canzone dei RHCP che canticchia Ewan è “Velvet Glove” (questa).
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3: Lezione di galateo ***


Forse è presto per aggiornare, ma è la mia ultima occasione. Gli esami si avvicinano e devo darci sotto con lo studio. *sigh* Ho preferito farvi fare indigestione di LQ, tanto avrete tempo per digerire!
Grazie a Calliope S (la creatrice del bellissimo banner che potete ammirare qui sotto) e  LittleDreamer90, che hanno recensito, e ad abracadabra e Yellow Daffodil, che seguono la storia.

 

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Lezione di galateo

Fa parte di una buona educazione capire quando sia opportuno essere maleducati.
J. Fuster

–Sei incredibile!
–Vero? Poco fa giacevo sul divano come un’ameba sofferente, stremata dai dolori mestruali, poi la mia adorabile sorellina è andata a comprarmi gli antidolorifici… et voilà, come nuova!- cinguettò gaiamente Jodie, intenta a pareggiare la crema nello stampo circolare con precisione millimetrica: in barba alla lotta ai rotolini e ai buoni propositi al riguardo adorava cucinare, ed era pure brava! Infatti, insieme alle serie televisive, i programmi di cucina erano la sua passione (per non dire ossessione), in particolare ‘Big Bang Dishes’: l’aveva conquistata dalla prima puntata, in cui il conduttore/chef (“un gran bel figliolo” - per dirla come Mrs. Carr - il che non guastava) aveva spiegato la teoria del Big Bang mentre preparava la fagiolata piccante. Cos’avrebbe dato per conoscere di persona Jonathan Carmassi e cucinare al suo fianco!
–Chissà perché, sei sempre in forma quando si tratta di sfornare dolci! E la lotta alle calorie?
–Per tua informazione, le torte non sono destinate a me: una è la prova generale di quella che porterai alla festa di Halloween della scuola di Manuel- indicò uno zuccotto al cioccolato e zucca che stava cuocendo in forno –L’altra è il tiramisù cheesecake di cui va ghiotta la madre di Sarah.
Marion si morse il labbro e tacque: apprezzava le premure che la sorella maggiore riservava ai suoi figli, era una zia fantastica; quanto alla madre di Sarah, non era a conoscenza dei dettagli, ma sapeva che era gravemente malata e viziarla diventava sempre più un lusso ogni giorno che passava.
–Sei veramente incredibile!- sibilò, ringraziando che Jodie tenesse la cucina in ordine: non avrebbe avuto dove sedersi, altrimenti. –E non mi riferisco alle tue doti culinarie… ma all’episodio che mi hai raccontato mentre ti contorcevi sul divano. E’ la volta buona che ti disconosco! Un uomo, che tu stessa hai descritto come l’incarnazione del principe azzurro, ti dice che sta cercando la sua principessa, e tu lo butti tra le braccia di un’altra? Per carità, Jane è carina - se ti piacciono le asiatiche - e simpatica, ma ca.. volo- si contenne perché era apparsa all’improvviso sua figlia di tre anni, desiderava conservasse l’innocenza infantile almeno fino alle elementari. –Un minimo di egoismo no?
–Quando mai sono stata una principessa?- sbottò Jodie. –Ewan è bono, da quel poco che lo conosco sembra pure dolce e gentile nella giusta misura…
–Allora perché ca… volo- si trattenne di nuovo; la piccola Mariposa si era fermata ad ascoltare la discussione. –Non ti sei fatta avanti? Ti aveva servito un’occasione unica su un piatto altro che d’argento, di platino!
–Non mi andava di forzare il destino- pigolò mestamente la maggiore. –Le rare volte in cui ho tentato di portare un rapporto al livello superiore l’ho preso, ehm, in quel posto.
–Sei mia sorella, ti voglio un mondo di bene- chiocciò l’altra, e le soffiò un bacio. –E’ un peccato che il resto del mondo non possa vedere quello che vedo io: una donna magnifica, intelligente, indipendente, con un cuore enorme! Hai tanto amore da dare, è triste che finora nessuno, a parte me e i bambini, ne abbia beneficiato.
–Che posso dirti? Sono sempre stata troppo impegnata a vivere la mia vita per coltivare una relazione stabile. Come dice nostra madre, non ho tempo per le persone- sbuffò Jodie, rabbuiandosi al pensiero della petulante genitrice. –Aspetta che arrivi ai quaranta per cominciare a regalarmi gatti, però!
–Sei ancora in tempo: da’ a Ewan una possibilità!
–Lo ammetto: sembra un principe azzurro - con quel sedere starebbe da dio in calzamaglia - ma troppo spesso dietro la fiaba si nasconde una deludente realtà; meglio andarci caute. A questo servono le cavie, no?
–C-Cavie? Stai dicendo…
–Che ho mandato in avanscoperta Jane perché abbiamo gusti diametralmente opposti in fatto di uomini, quindi, se Ewan dovesse piacerle, non andrebbe bene per me? Sì!
A Marion bastò un’occhiata per smontare il teatrino della sorella maggiore.
–Sei brava in tante cose, Jo; mentire non è tra queste. A me puoi dirlo: hai avuto paura che si tirasse indietro?
L’altra impallidì di colpo, scuotendo la testa mentre decorava il dolce, di fronte agli sguardi interrogativi di sorella e nipote.
–No! Forse. Non lo so! Ho… non trovo le parole giuste per spiegarlo: sentivo che non era la cosa giusta da fare in quel momento, capisci? Se sarà destino…
–Bah!- soffiò Marion, prima di lasciarsi travolgere dalla lussuria che solo leccare la crema al mascarpone da ciotole e cucchiai riusciva a donare. –Tu e la tua fiducia incondizionata nel fato! Un giorno ti pentirai di non esserti impegnata a forgiare da sola il tuo destino!
–E su questa nota epica… la cheesecake va in frigo!- scherzò Jodie, caracollando verso l’elettrodomestico. –A proposito di epicità: sii buona, scaricami l’ultima stagione di Chicago Fire, il ciclo accende la mia brama di maschio. Santo cielo, divento peggio di Sarah!

 
***

–Sono stupito, ma orgoglioso di te: per un momento ho pensato che avresti chiesto a quella Jodie di uscire. Non ci sarebbe stato nulla di male, però… non so per i tuoi, ma per i miei gusti è un po’ fuori misura. Il tipo ultra-maggiorato va bene in video, per attizzarti quando non hai di meglio che "darti una mano" da solo, se capisci cosa intendo; ma dal vivo... avrei troppa paura di morire soffocato dalle tette per funzionare a pieno regime. Tu no?- commentò senza il benché minimo tatto Albert Gimpsky, osservando divertito la reazione dell’amico, il quale, tanto lo sconcerto, lasciò cadere i pantaloni incellofanati che aveva appena ritirato in lavanderia.
–Cos… che razza di domanda!- esalò sconvolto Ewan, rosso in viso, mentre recuperava i capi sparsi ai suoi piedi. Era consapevole del fatto che il decolté di Jodie attirasse parecchio l’attenzione - neppure lui aveva resistito alla tentazione di dargli un’occhiata (approfondita) - ma non gli andava che Albert pensasse a lei come a un pezzo di carne da portarsi a letto! Tuttavia, recuperato l’autocontrollo, decise di ricambiare l’amico con la stessa moneta: ostentando naturalezza, aggiunse –Se proprio ci tieni a saperlo, comunque, non mi farei problemi: avrei la certezza di morire felice!
Ebbe successo: Albert rimase a bocca aperta, scandalizzato… per circa mezzo minuto. Dopodiché ritornò il solito, fastidioso se stesso, e replicò –In effetti, dopo Penny “scapole sporgenti” Lorrimer, un giro su curve pericolose sarebbe un toccasana per te: devi ricordare com’è fatta una donna!
–So benissimo com’è fatta una donna, grazie tante!- replicò freddamente Ewan, i bulbi oculari ridotti a due fessure tra le palpebre quasi completamente chiuse: ora che la caccia alla sua anima gemella aveva avuto ufficialmente inizio, era costantemente teso e scattava per un nonnulla; naturalmente, insinuazioni riguardo la sua virilità non aiutavano.
–E’ inutile negarlo: sei fuori allenamento. Ti servirebbe una ripassatina - in tutti i sensi - per non sfigurare con la tua dolce metà, quando l’avrai trovata, e lei non mi è sembrata una appiccicosa, che pretende di essere richiamata il giorno dopo, non so se mi spiego…
–La pianti di parlare di Jodie in questo modo barbaro e di denigrare la mia, ehm, abilità tra le lenzuola? Perché se la tua fonte è Penny, beh… non mi pare attendibile.
–Rilassati, El! Stavo scherzando!- rispose Albert, assestandogli una poderosa spallata. –Ho solo visto te e la morbida Miss Carr tubare amabilmente e ho pensato…
–Meglio che non pensi, se questi sono i risultati!- sbottò Ewan. –Tubare? Mi sa che sei tu ad essere fuori allenamento, se la conversazione amichevole tra me e Jodie corrisponde alla tua idea di flirt!
–Fuori allenamento io? Il re del flirt? I fertilizzanti devono averti dato alla testa!- abbaiò, indignato, Albert.
–Ex re. La tizia del supermercato ti ha spodestato- gli fece notare l’altro con una punta di malignità.
–Chi? La figa di legno in salopette?- sputò il fisico storcendo il naso. –Per favore! Nemmeno ricordo che faccia ab… oddio, è lei!
–Dove?
–Sta entrando in metropolitana! Presto, seguiamola!- ordinò perentorio Albert, senza curarsi delle proteste di Ewan o dell’incoerenza delle proprie azioni (pochi secondi prima aveva dichiarato di non ricordare che faccia avesse!).
Per sua sfortuna, la bella sconosciuta si perse tra la folla e, nel preciso istante in cui l’ebbero individuata, salì sulla linea arancione, vanificando i loro sforzi.
–Andata! Vabe’, ci abbiamo provato!- esclamò Albert scrollando le spalle. Accanto a lui, Ewan mimò (senza che l’altro se ne accorgesse) il gesto di accoltellarlo, poi si morse la mano: meglio tenere per sé frasi che si sarebbe pentito di aver pronunciato.
–Non abbatterti- lo consolò. –Boston non è New York: diventa cliente fisso del Wal Mart, aumenterai le probabilità di rivederla!
Sorrise nel constatare che gli occhi dell’amico erano stati attraversati da una luce di speranzosa aspettativa, prima che riacquistasse il solito contegno distaccato e sbuffasse –Ti pare che voglia rivederla? L’unica cosa che mi interessa vedere è se Mandy indosserà quel completino che mi fa impazzire. À bientôt, mon ami.
Sebbene avvezzo alle eccentricità del fisico, Ewan non poté trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo.
–Perché parli francese?
–Mi piace, è una lingua sexy- rispose Albert con semplicità. –Almeno quanto Mandy. E’ ancora ignara dell’insufficienza che le ho dato agli ultimi test, perciò meglio che mi sbrighi e me la goda, finché posso. Chissà che faccia farà quando lo scoprirà!
Scioccato - nonostante episodi del genere, con Albert, fossero all’ordine del giorno - il botanico sibilò –A nome dell’umanità: sei uno stronzo!
–Posso permettermelo- ribatté lui con incredibile sfacciataggine. –Sono irresistibile!

 
***

–Sarete felici di sapere che abbiamo finito con le Droseraceae- trillò garrulo Ewan, suscitando l’invidia e l’irritazione della platea: come riusciva ad essere così pimpante di prima mattina, quando la maggior parte di loro, nonostante la quantità di caffeina ingerita, si sentiva più affine a un bradipo che a un essere umano? –Vi presento le Pinguicula- attese che il mormorio di “Che carine!” delle ragazze si fosse placato, quindi proseguì. –Oh, sì, sono davvero belle… ma letali. Le foglie larghe e arrotondate le fanno apparire innocue, poco “carnivore”, invece sono delle trappole perfettamente efficienti. Vedete questa sostanza traslucida? E’ una colla naturale che avviluppa le ali dei malcapitati insetti che hanno la sventura di posarsi sulle sue foglie. I poveretti muoiono di una morte lenta e straziante. Una specie particolare è la Pinguicula gigantea, che si caratterizza per la secrezione della sostanza collosa su entrambe le pagine foliari, non soltanto la superiore, e per la corolla zigomorfa. Dovreste sapere cosa significa, ma vi rinfresco volentieri la memoria: lo zigomorfismo indica la disposizione dei petali secondo una simmetria bilaterale; qualcuno saprebbe farmene un esempio pratico?
–L’orchidea- rispose John Wang.
–Esatto- confermò Ewan, sollevato che le sue parole non si fossero rivelate semplice aria espulsa dalla bocca. –La disposizione raggiata dei petali, invece…
–Si definisce attinomorfica, ed è tipica, ad esempio, delle Rosaceae- concluse lo studente al suo posto.
–Molto bene. Proseguiamo…
Il resto della mattinata scorse tranquillo, sebbene la preoccupazione per l’appuntamento con Jane lo stesse divorando: Jodie, il genio, aveva dimenticato di lasciargli il numero della sua amica. Meno male che la tecnologia era venuta in suo soccorso: Jane stessa, il giorno precedente, gli aveva mandato una e-mail col suo indirizzo e l’ora dell’appuntamento, raccomandandogli puntualità e un abbigliamento adeguato. Lo stile del messaggio gli era parso asettico e dittatoriale, ma si era convinto che la causa fosse l’imbarazzo: probabilmente era in ansia quanto lui.
Non riuscì a consumare il pranzo in santa pace: Albert piombò su di lui come un falco, scacciò i suoi colleghi con un villano “Sciò!”, si sedette senza invito e domandò (pulendo a intervalli regolari le lenti degli appariscenti occhiali dalla montatura gialla) –Allora? L’hai fatto?
–C-Cosa?
–Prepararti psicofisicamente all’incontro. Vuoi accalappiare o no questa Jane? Si chiama Jane, giusto?
–Phailin Jane Guan-Hong, per la precisione- sciorinò pomposamente Ewan, ostentando un’irritante compiacimento da primo della classe. –Madre americana, padre thailandese. Credo usi il secondo nome per, boh, sentirsi più americana, non so. Beh? Perché quella faccia?
–Dimmi che non l’hai fatto!- esalò Albert, afferrandolo per la giacca. –Hai cercato informazioni su di lei in rete? E’ da maniaci! Sei uno stalker!- esclamò il fisico, attirando l’attenzione dei presenti su un imbarazzatissimo Ewan, che rinunciò a finire il suo piatto di maccheroni al formaggio per trascinarlo in un luogo dove avrebbero potuto discutere in privato.
–Sei impazzito? Bella figura mi hai fatto fare!- barrì Ewan, fuori di sé. –E tu saresti mio amico? Un giuda, ecco cosa sei!
–Quante storie! Dovresti ringraziarmi, ti ho reso affascinante agli occhi del gentil sesso: se leggessi i romanzi più in voga tra le femmine, sapresti che il tipo “bello, stronzo e maniaco del controllo” va per la maggiore!- un’occhiata incendiaria dell’amico lo fece sbuffare ed esalare –Va bene: non hai digitato il suo nome in google. Allora come hai ottenuto quelle informazioni? Vi siete sentiti? Avanti, su, racconta: vi siete scambiati messaggi hot? Chat infuocate? Sesso telefonico?
–Sei tu il maniaco, qui! Ti pare che farei cose del genere senza manco esserci uscito una volta?
–Sei proprio all’antica!- sbuffò sprezzante Albert. –Fa niente, passiamo a questioni importanti: verso che ora passo da te?
–Eh?
–No, dico, non vorrai vestirti e profumarti da solo! Senza contare che dovrai rassettare casa… non si sa mai, potresti tornarci in dolce compagnia… a questo proposito: l’intimo è fondamentale. Le donne fingono che non lo sia, ma ti giudicano in base alla mutande. Certo, questo, se sei bello, non è determinante per dartela o meno - niente a che vedere con l’effetto “doccia fredda” che hanno su noi maschietti i mutandoni della nonna - però… meglio che ti assista, per impedirti di fare fiasco.
–Ho trentatré anni, Al, non tre!- protestò Ewan. –Pensa alle tue Mandy da due soldi, che alle Jane di classe ci penso io!
–Stai insinuando che non saprei corteggiare una donna di classe?- ringhiò indignato il fisico.
–Non lo sto insinuando, lo sto dichiarando senza mezzi termini- rincarò il botanico. –E adesso usciamo, o i tuoi discorsi assurdi faranno seccare le piante!

 
***

Si sentiva in gran forma: il completo elegante che aveva scelto (senza l’aiuto, o per meglio dire, l’ingombrante presenza di Albert, ancora arrabbiato con lui) gli cadeva a pennello, il motore del suo macinino - tirato a lucido per l’occasione - cantava che era un piacere ed era perfettamente in orario. Nulla poteva andare storto.
Le ultime parole famose.
Un ingorgo all’incrocio tra Boylston Street e Hammond Pond Parkway lo tenne bloccato per più di mezz’ora; innervosito dal contrattempo, decise di pigiare sull’acceleratore e darsi la carica con ‘By the way’ (considerato il ritardo, gli sarebbe convenuto imitare la guida spericolata del tassista psicopatico del video).
Trovò Jane (Phailin Jane) seduta ad aspettarlo nell’atrio del palazzo dove abitava, labbra e palpebre serrate in un’espressione severa da vecchia governante.
–Il ritardo è ammissibile esclusivamente per le signore ed entro i quindici minuti- sentenziò, senza salutarlo. –E, scusa se te lo faccio notare, ma, secondo il galateo, avresti dovuto regalarmi dei fiori in segno di scuse.
Un po’ deluso, Ewan pigolò un compunto –Ho trovato traffico. E sono un botanico, i fiori mi piacciono vivi.
–Sorvoliamo, è meglio.
–Decisamente- sospirò lui, sperando che l’asprezza della donna fosse dovuta a nervosismo e fame. –Allora, dove si va?
–Al Mantra. Lo conosci?
Eccome se lo conosceva: il ristorante, al numero 52 di Temple Place, era rinomato per gli arredi minimal chic - unico retaggio del suo passato da banca era il bancone di granito riadattato a bar - e l’ottima cucina indo-francese. Apprezzò la scelta - anche se lo indispettì lievemente che fosse stata la sua accompagnatrice a scegliere (“Sono io l’uomo!”) - ed ebbe conferma della classe ed eleganza di Jane.
Cercò di ravvivare l’atmosfera intavolando una conversazione neutra; scoprì che Jane era nata a Bangkok, ma era cresciuta negli Stati Uniti, e aveva incontrato Jodie al MIT, dove lavorava da sei anni al dipartimento di Neuroscienze.
“Direi che i punti otto e nove della lista sono soddisfatti. Terrò le dita incrociate: se dovesse essere quella giusta, dedicherò una statua d’oro a Jodie! Ma che dico, una misera statua? Il frutto delle mie ricerche! Passiflora Jodiensis… suona bene.”
–Adesso sto conducendo uno studio riguardante gli effetti deleteri dell’alcol sullo sviluppo cerebrale. Non su esseri umani, naturalmente.
–Peccato, credo avresti avuto una fila di volontari lunga da qui a Framingham: quando si tratta di ubriacarsi gratis…
Jane lo fulminò con lo sguardo ed Ewan, almeno all’inizio, si limitò ad un attento ascolto, poi, alla menzione delle cavie, perse interesse: detestava i roditori da quando il fratello di un suo compagno delle elementari gli aveva infilato il loro criceto nei pantaloni. Tuttavia, per evitare di essere nuovamente ripreso come un bambino colto a compiere una marachella, si sforzò di dare un contributo intervenendo a intervalli regolari nel monologo di Jane, che però, a quanto pareva, amava il suono della propria voce e mal sopportava di venire interrotta.
Da autentico gentiluomo del Massachusetts, la aiutò a scendere dall’automobile (alla quale lei rivolse una smorfia sdegnosa) e la condusse all’ingresso del locale, aprì la porta e la invitò ad entrare. Ricevette come risposta uno sbuffo e un seccato –Mi sono sbagliata: sei esattamente come gli altri. Non sai che è l’uomo ad entrare per primo?
–Da quando?- boccheggiò Ewan, allibito: come non faceva che ripetergli Albert, era stato educato un po’ vecchia maniera, e uno dei primi insegnamenti ricevuti era stato proprio “prima le donne”.
–Da, vediamo… sempre?- lo rimbeccò lei, assumendo una posa da maestrina che stonava col look impeccabile dalla testa ai piedi. –Il galateo prevede che l’uomo apra la porta ed entri per primo per accertarsi che le condizioni del posto siano ottimali e non vi siano pericoli all’orizzonte.
–Pericoli?- ripeté, esterrefatto, Ewan, domandandosi se non fosse vittima di uno scherzo di cattivo gusto ordito da Jodie. –In quali pericoli potremmo mai imbatterci in uno dei migliori ristoranti di Boston? Una salsa chutney troppo speziata?
Jane roteò gli occhi e mise piede nel ristorante senza replicare, seguita da un perplesso Ewan, non più tanto sicuro della buona riuscita dell’appuntamento.
I commenti sull’arredamento e il menu li tennero impegnati per qualche minuto, allentando la tensione che si era venuta a creare, finché, al momento di ordinare da bere, emerse un’altra divergenza di opinione: Ewan stava per ordinare un whisky, ma Jane lo precedette, ordinando per entrambi una bottiglia di costoso (e, per lui, insulso) Veuve Clicquot del ’62, asserendo che Martini, vino e champagne erano gli unici alcolici degni di essere bevuti, gli altri erano solamente volgari.
“Punto sette non soddisfatto e mezzo stipendio andato in fumo per una fottutissima bottiglia di acqua gialla. Puah! In che razza di guaio mi sono cacciato?”
Ogni ulteriore tentativo di riesumare una conversazione civile fu inutile, specialmente dopo l’appunto di Jane sulla maniera corretta di mangiare: se il cibo necessitava di essere tagliato, lo si doveva fare man mano che si consumava, non tutto in una volta per poi mangiarlo comodamente.
Masticò con ferocia, stando bene attento a tenere la bocca sigillata e a non emettere il minimo rumore, un altro rimprovero e avrebbe abbandonato la tavola, in barba alle regole della buona educazione!
“Galateo di stocazzo! Va bene essere educati, ma qui si esagera! E Al spera che me la porti a casa? Ma anche no! Non ci tengo a sapere se esiste il galateo del sesso!”
La goccia che fece traboccare il botanico non tardò ad arrivare: siccome Jane abitava nelle vicinanze di Fenway Park, lo stadio in cui si svolgevano le partite interne dei Red Sox, Ewan scherzò proponendole uno scambio di casa. La risposta che ricevette lo ghiacciò.
–Ti prego! Non dirmi che segui il baseball: è uno sport così stupido!
–Il baseball. Non. E’. Stupido! Non godersi la vita ossessionandosi con inezie come: se il tovagliolo è steso nel modo giusto, o la distanza dal tavolo è giusta, o se il cibo vada tagliato prima o dopo… questo è stupido!- ruggì esasperato Ewan, quindi gettò il tovagliolo sul tavolo, i soldi del conto e lasciò una furibonda Jane a inveirgli dietro.

 
***

–E poi?- domandò un curiosissimo Albert, talmente affamato di gossip da dimenticare di avercela con lui.
–Me ne sono andato- esalò Ewan, steso sul letto, coprendosi gli occhi con la mano libera. –Sono stato corretto, però: ho lasciato i soldi per la cena e un extra per il taxi. Non sia mai che faccia pagare una donna. Non al primo appuntamento, almeno; ci vuole confidenza per arrischiarsi a proporre un’equa divisione del conto.
–L’uomo paga, recita il galateo- lo punzecchiò Albert, incredulo che esistesse qualcuno così ossessivamente ligio alle buone maniere.
–Fanculo, Al! E’ stato straziante!- ululò Ewan. –E quando ha offeso i Sox… nessuno può offendere i Sox davanti a me impunemente!
–Non ha offeso i Sox, ha criticato lo sport in generale. Non a tutti piace il baseball, El,  non puoi urlargli in faccia per questo. In pubblico, poi! Bella figura hai fatto; sarà tanto se Mina Lee non ci scriverà sopra un articolo!
–Mi sono comportato da cafone, lo ammetto, però lei era… tutta lei, con i suoi orripilanti topi ubriachi, il suo passato da fantina, la sua vasta conoscenza enogastronomica… che palle! Se soltanto ci ripenso, io… mi chiedo come una persona simile possa essere amica di Jodie.
–Io sono amico tuo!- osservò saggiamente Albert, sbadigliando sonoramente.
–Vero anche questo- ridacchiò Ewan. –Secondo te dovrei mandarle una mail di scuse, o dei fiori?
–I fiori fanno tanto funerale- rispose il fisico. –Se proprio, meglio una mail. Oppure nulla: incazzata com’è, qualunque gesto sarebbe inutile. Buonanotte.

 
***

–No, dai, Jane, calmati- latrò Jodie, le cui orecchie stavano soccombendo sotto l’assedio delle strida di Jane. –Ooh, senti: si è comportato da cafone mollandoti lì, è vero, però non posso dargli torto: ti avevo avvisata che tifa per i Red Sox e tu cosa fai? Dici che il baseball è stupido! E meno male che non è venuto fuori l’argomento musica, altrimenti ti avrebbe ammazzata! Come perché? Perché lui stravede per i Red Hot Chili Peppers! Osa ripeterlo e ti ammazzo io. Sai che li adoro.
–Jo, hai idea di che ore sono? Domattina mi alzo all’alba!- si lagnò Marion, messa a tacere da un’occhiataccia.
–Jane, ascoltami: sono desolata per com’è andata, davvero; non sai cosa darei per tornare indietro e impedirmi di proporre questa uscita malriuscita, ma dispiacermi è l’unica cosa che posso fare. Ho agito in buona fede: credevo davvero che tu ed Ewan sareste andati d’accordo; è brillante, dolce, uno degli uomini più beneducati che conosca… Come sarebbe a dire “allora non presentarmi gli altri”? Hai degli standard troppo alti, sfido io che scappano tutti! Parti dal presupposto che i maschi non sono fatti per essere educati; certo, molte mamme e fidanzate ci provano, ma tanto hanno i padri e il concetto “vabbè, sono maschi” pronti a diseducarli, perciò è fatica sprecata. Gli uomini non cambiano, se non in peggio.
–Le tue parole hanno un gusto molto amaro, sorellina. Potresti scrivere un blog: “Perle di saggezza di una zitella moderna”!- commentò Marion, guadagnandosi una cuscinata in faccia.
–No che non sto insinuando che resterai single a vita - anche se non ci sarebbe niente di male: meglio sola che male accompagnata - dico semplicemente che ci sono altre qualità che contano, molto più di saper scegliere il vino o la forchetta da usare. Dai, su, non prendertela: si è chiusa una porta, vedrai che se ne aprirà presto un’altra. Come sarebbe a dire “forse si è già aperto uno spiraglio”? Un tizio seduto al bar ha assistito alla scenata e ti ha offerto da bere? Wow! Vi siete scambiati i numeri e ti ha già chiesto se hai impegni per domani? Doppio Wow! Critico gastronomico per il Beacon Hill Times?  Triplo wow! E tu questo me lo chiami spiraglio? E’ un portone! E brava la mia amica! Sono davvero contenta per te. Buonanotte.
–Sbaglio, o qualcuno qui sta gongolando?- miagolò sorniona Marion, puntando l’indice contro Jodie, che avvampò e glissò la domanda.
–Una gentildonna non gongola- sbottò, per poi riprendere la lettura di ‘Agnes Grey’.

Note dell’autrice:
Povero Ellis, se l’è vista brutta! E voi? Avete mai vissuto un appuntamento da incubo? Spero di no!
Nel prossimo capitolo conoscerete meglio gli amici di Jo ed Ewan e (forse) un nuovo personaggio. Cercherò di contenermi e non inserirne troppi, ma, sapete, adoro le storie corali! ^^
Il ristorante Mantra, il Fenway Park e il Beacon Hill Times esistono veramente; scusate, ma ci tengo si sappia che gli unici parti della mia mente sono i personaggi. Sono perfino andata a spulciare le regole di galateo a tavola per evitare errori! Sono peggio di Jane! XD
Il romanzo ‘Agnes Grey’ è un’opera di Anne Brontë. Onestamente? Credo sia molto sottovalutata, oscurata dalla fama delle sorelle, ed è un vero peccato, perché non ha nulla da invidiare a Charlotte ed Emily. Vi consiglio di leggere i suoi romanzi: non ve ne pentirete (spero)!
Alla prossima!
Serpentina
Ps: il galateo del sesso esiste, ho controllato! ;-)
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4: Serendipità, il sale della vita ***


Ewan si sarà ripreso dal disastroso appuntamento? Rinuncerà al “progetto fidanzata” o troverà il coraggio di ributtarsi nella mischia? E Albert? Rivedrà la bella del supermarket? Lo scoprirete solo leggendo! Consiglio come sottofondo musicale l’album "I'm with you" (dei RHCP, ovviamente). ;-)
Grazie a chiunque mi dedica un po’ del suo tempo leggendo, a Calliope S ed elev, che hanno recensito, e ad AliceViolet, Chizuru, _Mars e variopintadite, che seguono la storia. :-*

 

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Serendipità: il sale della vita

Se l’amore deve essere indimenticabile, fin dal primo istante su di esso devono posarsi le coincidenze, come uccelli sulle spalle di Francesco d’Assisi.
Milan Kundera

–Povero El- disse Philip, in un tono divertito che contrastava con le sue parole. Stava rinfrancando lo spirito, fiaccato da un barboso e apparentemente interminabile turno in ospedale, con il resoconto dettagliato (Albert, in una vita precedente, doveva essere stato una spia o una comare di paese) delle disgrazie di Ewan. –Ecco perché bisogna rifiutare categoricamente gli appuntamenti al buio: si potrebbe incappare in un incubo dal quale non si può uscire perché reale!
–E’ l’idea in sé ad essere folle- asserì il fisico, all’altro capo del telefono. –El è matto se si illude di trovare la donna dei suoi sogni in questo modo. L’amore si basa sul principio di indeterminazione: non si può provarlo e controllarlo contemporaneamente. Quanto più cerchiamo di comprenderlo, tanto più ci allontaniamo da esso; quanto più tentiamo di evitarlo, tanto più ne restiamo invischiati; quanto più ci sforziamo di imbrigliarlo, tanto più ci sfugge. Ewan sta addirittura tentando di insegnare a Cupido il mestiere! Si ritroverà con un pugno di mosche in mano, fidati.
L’amico ribatté –Io, invece, faccio il tifo per lui: sa cosa vuole e punta dritto all’obiettivo. Nella stessa situazione, tu o John vi disperdereste tra mille avventure prive di significato, perdendo di vista l’obiettivo; Ewan no: è concentrato e, sebbene a volte ai limiti del disturbo ossessivo-compulsivo, metodico. Ho talmente tanta fiducia in lui da aver comprato un completo elegante per il suo matrimonio! Ti conviene fare lo stesso e mettere da parte qualche dollaro, perché perderai la scommessa- ignorò i borbottii contrariati di Albert e lo salutò. –Scusa, devo riattaccare, è arrivata una paziente.
Nonostante la stanchezza, la accolse con un sorriso e rispose cortesemente al suo gioviale “buongiorno”. Mrs. Clover era senza dubbio nella rosa dei preferiti; se non avesse avuto il vizio di incensare continuamente la figlia, sarebbe stata la preferita in assoluto: era l’essenza della gioia di vivere, il che, nelle sue condizioni, dava prova di grande forza d’animo. Averla “ricevuta” dal dottor Berger lo aveva colmato di gioia: in campo medico vedersi affidare pazienti complessi all’inizio della carriera equivaleva a vincere una medaglia d’oro in forma umana.
–Sento che mi porta cattive notizie, dottore- sospirò, accettando con gratitudine l’aiuto a sedersi. Non era molto anziana, sulla settantina, ma la vedovanza, la malattia e i farmaci che assumeva per contrastarla avevano accelerato l’invecchiamento. –Avanti, su, mi riveli la causa di questo improvviso peggioramento, magari con qualche parolone tecnico: mi piace acculturarmi.
Philip deglutì, a disagio: la serenità con cui quella donna accoglieva ogni notizia lo sconcertava; era abituato a gioia (raramente), rabbia, disperazione, ma la calma… lo destabilizzava. Alla scuola di medicina insegnavano ad addolcire o rendere amara la pillola, a seconda dei casi, non a rapportarsi con un paziente pienamente padrone di sé.
–Beh, ecco… purtroppo la scintigrafia ha confermato i timori miei e del dottor Berger: la malattia si è estesa ai reni. Entrambi. E’ necessaria una biopsia per stabilire il grado di coinvolgimento dell’organo, ma ho paura che prima o poi si renderà obbligatoria la dialisi. Mi dispiace.
–Le leggo negli occhi che è sincero, dottor Gage. Lo apprezzo molto- chiocciò Mrs. Clover, tradendo per un momento le proprie emozioni; un istante, uno solo, prima di riacquistare il solito contegno dignitoso. –Veniamo a questioni pratiche: quanto mi resta?
“Non c’è paziente che manchi di domandarlo. Mah! Io preferirei vivere nella beata ignoranza e andarmene come sono venuto al mondo: inconsapevolmente.”, pensò Philip, massaggiandosi il mento, coperto da una corta peluria ramata, incerto su cosa dire.
–Sarò diretto: la ridotta funzione renale ci obbliga ad alcuni aggiustamenti della terapia, compromettendone in parte l’efficacia. Ritardare il più possibile la dialisi le costerà qualche acciacco. Se considera anche il cuore malandato…
–Morirò presto o no?
Deciso ad aggirare la domanda scomoda, scosse il capo ed esclamò –Fosse per me, vivrebbe in eterno: di donne come lei ce n’è una su un miliardo, sarebbe un peccato perderla!
–Gentile da parte sua. Credo, però, che mi abbia fraintesa: non mi spaventa il pensiero di morire - neppure mi rallegra, eh, ma ho vissuto intensamente, ho pochi rimpianti - piuttosto quello di lasciare sola mia figlia.
“Eccola che ricomincia! Ne ho le scatole piene di questa figlia fantasma! Se fosse veramente l’angelo che descrive la madre, sarebbe qui al suo fianco, non chissà dove!”
–La fantomatica figlia- si lasciò sfuggire, pentendosene immediatamente.
–Sono stata io a proibirle di accompagnarmi- soffiò fiera Mrs. Clover, raddrizzando la schiena nella misura consentita dall’artrite. –Quella ragazza è una benedizione; un vero angelo, dentro e fuori. Fosse per lei, sarei il centro del suo universo, ma non è giusto che una persona giovane e attiva si dedichi anima e corpo agli altri, trascurando se stessa. Eppure, è esattamente quello che fa! Se non facessi leva sui costi delle cure, si licenzierebbe e veglierebbe su di me notte e giorno. Si rende conto? Butterebbe via anni di sacrifici per stare accanto alla sua vecchia madre!
“Una madre che, quasi certamente, non ha ancora fatto testamento”.
–Ritiro la mia precedente affermazione: sua figlia è un tesoro.
–Assolutamente. Sarebbe un fiore, se solo curasse di più il suo aspetto, è una gran lavoratrice e ha un cervello sopraffino! E’ ingegnere, sa?
“Sarà la ventesima volta che lo ripete! Basta! Nemmeno la conosco e mi sta sulle palle, Miss Perfetto Angelo del Focolare!”
–Ah, sì? Complimenti!
–Grazie. Sono tanto, tanto orgogliosa di lei- pigolò fiera la donna, scostando una ciocca scura e ribelle dal viso con notevole fatica.
–Se è come la dipinge, ne ha tutte le ragioni- celiò il dottor Gage, le consegnò i referti degli esami, un promemoria con le date dei nuovi accertamenti e la congedò.
Mrs. Clover si avviò verso la porta, la aprì, dopodiché si voltò e, curvando le labbra in una sorta di smorfia maliziosa, cinguettò –Forse la prossima volta la porterò con me.

 
***

Che Albert fosse nervoso era facile intuirlo: aveva mandato a quel paese Mandy, osando addirittura sfidarla a spifferare in giro della loro pseudo-relazione, aveva interrotto una fruttuosa sessione di rimorchio, infine aveva colpito con un calcio una ruota della sua adorata Mustang Cobra, che normalmente trattava coi guanti.
–Maledizione! Maledetta Mandy, stupida oca - si illudeva di diventare la mia donna… lei, una ragazzina! - maledetto il traffico cittadino e maledettissimo Phil! Avrebbe dovuto scegliere chirurgia, non quella specializzazione inutile!
–Lascia in pace Phil, poveretto! E calmati. Andrà tutto bene, vedrai- gli assicurò Ewan, dandosi dello stupido per non essere riuscito ad elaborare una frase meno scontata.
L’altro non rispose, si limitò a un sorrisetto nervoso e, una volta nell’atrio del Boston Children’s Hospital, corse da genitori e fratelli. Al vederli stringersi in un grande abbraccio il botanico si sentì di troppo, per cui si sedette poco lontano e accese l’i-Pod, isolandosi.
Ammirava (e invidiava) il profondo legame che univa i Gimpsky: era figlio unico, gli unici parenti che conosceva erano la sorella di suo padre, il di lei marito e i loro due figli, che abitavano a Philadelphia, con i quali trascorreva ogni anno il giorno del Ringraziamento, Natale e Pasqua; sapeva di averne altri, più o meno prossimi,  sparsi tra New England e Ohio, ma non vi era particolarmente affezionato (i rapporti con loro si riducevano alle telefonate di auguri alle feste comandate, non esattamente il modo giusto per cementare l’affetto familiare). La famiglia Gimpsky, invece, era espansiva, chiassosa e numericamente consistente: Albert era il terzo di cinque figli e i suoi fratelli, esclusa l’ultimogenita, avevano in totale otto pargoli. Le riunioni di famiglia si trasformavano inevitabilmente in gazzarra, affollate com’erano.
–Come sta Judy?
–Chi lo sa? Non ci hanno fatto capire nulla: l’hanno presa, visitata e poi via, dritta in sala operatoria!- si lamentò Ivan, il maggiore dei fratelli Gimpsky, stringendo tra le braccia sua moglie. Era comprensibile fosse pallido e teso, dato che in quel momento sotto i ferri si trovava sua figlia.
–Fanculo!- imprecò il fisico. –Se Phil non fosse di turno lo chiamerei. A un medico forse rivelerebbero più dettagli.
Dopo minuti che parevano eterni, stufo dell’immobilità e del silenzio, Albert decise di allentare la tensione gironzolando per i corridoi. Ewan si era offerto di accompagnarlo, poi, però, intuendo il suo desiderio di solitudine, aveva desistito.
Il nervosismo, in aggiunta a uno scarso senso dell’orientamento, lo aveva portato a perdersi; stanco e scocciato, si fermò davanti alla prima porta sotto cui trapelava della luce e bussò. Gli aprì un’infermiera, la quale lo squadrò da capo a piedi, distorse i bei lineamenti in una smorfia disgustata e sbottò –Ancora tu! Non dovevamo non vederci più? Come hai scoperto dove lavoro? Mi pedini? Ti avverto: esiste un provvedimento chiamato ordinanza restrittiva!
–Anche io sono contento di rivederti, Marion- esalò lui, cogliendo l’occasione per rimirarla: nonostante la divisa che la infagottava, era stupenda. –Per rispondere alla tua domanda: non spreco le mie giornate in pedinamenti… e no, non commetterò atti inconsulti pur di sottopormi alle tue amorevoli premure. Primo: non sono così disperato. Secondo: sono troppo cresciuto per l’ospedale pediatrico!
Ottenne un tanto agognato sorriso da Marion, che parve finalmente sciogliersi. Gli offrì del caffè e si scusò per i suoi modi bruschi.
–Ah, non  preoccuparti, immagino sia abituata a respingere avances. Scommetto che persino i pazienti ci provano… io lo farei!
–Non ti arrendi mai, eh?- sbuffò, tra il divertito e l’esasperato.
–In genere non ho bisogno di insistere- ammise senza giri di parole il fisico.
–L’avevo intuito che le donne ti cadono ai piedi- sospirò Marion. –E’ il motivo per cui preferisco starti lontano: ne ho abbastanza di tipi come te.
Albert di solito se ne infischiava dell’opinione ( e dei sentimenti) altrui, anzi, spesso rideva delle critiche che amici e parenti rivolgevano al suo stile di vita. Non quella volta. Fu come ricevere una coltellata in pieno petto, sferrata con l’intento di uccidere lentamente. Però cercò di mascherarlo al meglio.
–Quindi mi reputi un affascinante playboy… è un punto di partenza!- esclamò, con tanto di ammiccante strizzata d’occhio. –La mia proposta è sempre valida, sappilo.
–Quale? Il “giro in macchina” per andare a “osservare le stelle”? Non è una proposta, è la fiera del doppio senso!- replicò lei, riprendendo il lavoro nella speranza che Albert capisse l’antifona e sparisse.
Speranza vana: si piazzò alle sue spalle, le mani poggiate sul tavolo, ai lati delle sue, e mormorò –Una possibilità. Non chiedo altro. Ti autorizzo a picchiarmi, se dovessi comportarmi male!
Non capì cosa avesse detto o fatto di sbagliato. Non ne ebbe il tempo: Marion riarse d’ira, lo scostò violentemente e, trascinandolo per un braccio, lo cacciò sbraitando –Sparisci, o chiamo la sicurezza! E stai alla larga da me!
Allibito, perplesso, Albert rimase impalato di fronte alla porta chiusa della stanza infermiere finché una voce femminile lo destò dallo stato di trance in cui era caduto.
–L’infermiera Carr ha mietuto un’altra vittima, a quanto pare. Peccato, paragonato agli altri sei un bel bocconcino. Se vuoi, posso consolarti io.
Sebbene l’invito giungesse da una donna attraente e col piglio deciso della predatrice, rifiutò recisamente: aveva appena compreso la causa dello scatto di rabbia di Marion (sentendosi un vero idiota), e doveva tornare dai suoi familiari, prima che lo dessero per disperso.
–Mille grazie, ma no, grazie. Al liceo ho fatto indigestione di milf!

 
***

L’aria, all’interno del Lizard Lounge, era irrespirabile. Sempre che ve ne fosse rimasta: la marea di avventori riversatasi nel locale non lasciava spazio nemmeno per le minuscole molecole di ossigeno, azoto e anidride carbonica! Probabilmente respiravano musica. E vapori alcolici. E fumo. Dei quadri e fotografie appesi alle pareti ( rivestite di broccati rosso e oro, colori che rimpicciolivano ulteriormente unambiente di per sé angusto) erano visibili solamente quelli vicini all’attaccatura del soffitto, dal quale pendevano lampadine giallastre simili a lucine natalizie, mentre sui tavolini, dal piano rotondo bianco e l’elaborata colonna centrale nera, in stile bistrot parigino, l’illuminazione era fornita da grandi candele rosse in contenitori di vetro sferici (l’impressione che se ne aveva era di pesci palla rossi di cera in bocce senz’acqua); il resto era oscurato da tendaggi decorativi in velluto bordeaux e dall’accalcarsi della moltitudine accorsa ad ascoltare l’esibizione dal vivo dei Red NOT Chili Peppers, tribute band dei Red HOT Chili Peppers.
–Ricordatemi cosa ci faccio qui- sbuffò Jonathan Carmassi, facendosi largo tra la folla a spintoni. –Manco mi piacciono i Red Hot!
–Se fossi un vero amico, non vorresti essere in nessun altro posto- obiettò distrattamente Philip, assorbito dalla contemplazione di una bionda dal viso angelico che gli sembrava di aver già incontrato. –Dobbiamo festeggiare il successo di El, risultato l’assistente preferito dagli studenti, e il buon esito dell’intervento sulla nipote di Al.
–Se foste veri amici, mi avreste permesso di fare da Virgilio  a questo Dante rifiutato da Beatrice, invece di trascinarlo in un buco pieno di gente strana- replicò Jonathan, omaggiando il sommo poeta della patria d’origine dei suoi nonni.
Inutile esplicitare chi fosse il Dante in questione: tre teste si girarono contemporaneamente verso Albert, che ribatté, stizzito –Se la memoria non mi inganna, Virgilio lascia Dante alle soglie del paradiso.
–Precisamente quel che avevo intenzione di fare con te: guidarti attraverso l’inferno del Top of the Hub, o il purgatorio dell’Avalon, verso il paradiso di una Beatrice meno, ehm, restia a concedere i suoi favori.
–Quando usi un linguaggio forbito sei insopportabile- soffiò Ewan, perfettamente a suo agio: a differenza degli altri tre, che si mettevano in tiro persino per andare a buttare la spazzatura, optava per uno stile comodo e personale, non troppo appariscente, che gli consentisse all’occorrenza di mimetizzarsi.
–Le auguro di trombare senza godere per il resto della vita mentre Al se la spassa suona meglio?
–Più… da te. Comunque, al di là del dispiacere per un amico che ha preso un due di picche, la capisco e condivido; senza offesa, Al, ti voglio bene, ma dai l’impressione di essere, beh, come sei: inaffidabile, farfallone… egoista…
–Grazie, El! Tu sì che sai come tirare su un morale a terra!- sputò contrariato il fisico, diventando pendant con le pareti e la montatura rossa degli occhiali. –Da quando in qua è un crimine avere successo con l’altro sesso?
–E il nostro- ridacchiò Philip, che aveva smesso di fissare la biondina nell’istante in cui si era accorta di essere osservata. –Quel pelato là in fondo ti sta mangiando con gli occhi!
–Ommioddio! Nascondetemi, presto!- gnaulò Albert, barricandosi dietro il più massiccio, Jonathan. Dopo essersi guardato intorno, aggiunse, indicando Ewan –Nascondete anche lui, va!
–Perché?
–Ho intravisto Jodie. Siccome la eviti dall’appuntamento, ho pensato…
–Jodie è qui? Oh, no!- piagnucolò lui, sfogandosi sulla folta chioma riccia. Saltellò da un piede all’altro, poi si rifugiò alle spalle di Philip, che non poteva competere con gli altri due quanto a muscoli, però non era un gracile stecco; lo copriva discretamente bene. –Non può vedermi! Non deve! Mi vergogno come un ladro, tremo al solo pensiero di doverle parlare! Non riuscirei a guardarla in faccia, non ce la farei a reggere il confronto! Non dopo quel disastro!
–Tranquillo… Jane non è qui.

 
***

Il concerto era spettacolare: la band si stava scatenando col fantastico repertorio dei Red Hot, interagiva col pubblico di tanto in tanto - scegliendo a sorpresa ignari spettatori per duetti improvvisati tra il tragicomico e l’esilarante - e avevano eseguito pezzi su richiesta, inclusa “Monarchy of Roses”.
Jodie era pienamente soddisfatta del suo operato: aveva convinto Sarah ad unirsi a loro senza spargimento di sangue, la band aveva accondisceso alla loro richiesta, dal tavolo si godeva di una visuale perfetta della performance e si stava dando alla pazza gioia cantando e ballando. Era molto felice che la sua amica avesse accettato di prendere parte alla serata tra donne: si divideva tra casa e lavoro e faceva praticamente da infermiera alla madre, un po’ di svago non poteva che giovarle.
Stava avanzando a passo di danza verso il bar, per rifornirsi di birra, quando scorse in mezzo al marasma una testa riccia familiare. Non resistette alla tentazione: si appropinquò con passo felpato e, al momento giusto, lo colse di sorpresa. L’espressione sconvolta sul suo volto fu la ciliegina sulla torta di una serata perfetta.
–Il gatto ti ha mangiato la lingua, Ewan? Ho detto: Jane non è qui. Puoi ricominciare a respirare.
–Veramente, è te che voleva evitare- la informò Albert, scrutandola sornione.
Jodie ci rimase un po’ male, ma occultò la delusione dietro un sorriso smagliante e il gaio –Compito facile: ho molto più volume visibile. Per l’amor del cielo, levati dalla faccia quell’espressione da anima in pena! Sì, era parecchio incazzata con te, ma la sua ultima fiamma le ha fatto dimenticare le tue pessime maniere! Contento?
–Issimo!- sospirò Ewan. –E scusami se ti ho evitata.
–Si vergognava- lo canzonò Albert, messo a tacere da una gomitata di Philip. –Era convinto che non volessi più avere nulla a che fare con lui, visto il modo in cui ha trattato la tua amica.
–Cos… credevi che me la fossi presa? Oh, Ewan! Sei incredibile!- esclamò lei tra le risate. –E io che credevo mi stessi ignorando perché mi incolpavi di averti presentato una donna odiosa!
–Jane non è odiosa, è… particolare.
–Particolarmente odiosa- si intromise Albert, facendo infuriare Ewan e ridacchiare Jodie.
–Bisogna saperla prendere, e io non ci sono riuscito. Punto- asserì il botanico, rapito dai riflessi che le luci stroboscopiche creavano sui capelli di Jodie. –Ti conosco, so che eri in buona fede e speravi davvero di aiutarmi a trovare “quella giusta”.
–Non vedo dolce compagnia al tuo fianco. Ti sei arreso?- gli chiese, tradendo aspettativa.
–No. Ho preso una pausa, tutto qui. Ehi, hai seguito il tour “I’m with you” dei RHCP!
Jodie accarezzò la t-shirt autografata e chiocciò –Seguito è una parola grossa. Li ho visti esibirsi a Boston, basta. Un bel concerto, ma dubito paragonabile a quello dello “Stadium Arcadium” tour: si sentiva la mancanza di John Frusciante.
Si lanciarono nella conversazione, discutendo animatamente, da veri fan, finché non si udirono le note di “Factory of Faith”. Allora la prorompente farmacologa si riscosse, tese una mano e trillò –Dai, balliamo!
Con sommo stupore dei presenti, specialmente Ewan, l’invito era indirizzato ad un esterrefatto Albert, il quale, però, accettò con entusiasmo, seguendola davanti al piccolo palco. Tenne per sé cosa si dissero, ma, di qualunque argomento si trattasse, gli restituì il buonumore.
Il botanico fu sorpreso nell’avvertire una punta di fastidio. “Conosco Jodie da più tempo, non è giusto che lui piombi dal nulla e me la porti via!”, pensò, dandosi del cretino l’istante successivo. “Che vado a pensare? Dovrei rallegrarmi della sintonia che si è creata tra di loro, non esserne… esserne… geloso? Possibile mai? La gelosia, l’invidia, sono caos e impulsività, l’esatto opposto del mio credo! Ordine e metodo, Ewan. Ordine e metodo. Non perdere la bussola.”
La comparsa di Ingrid, che insieme alla compagna reggeva Sarah (in evidente stato di ubriachezza), pose fine al fiume di pensieri che si rincorrevano nel suo cervello.
–Possibile che non vi si possa lasciare sole un minuto?- le sgridò Jodie, apprensiva peggio di una chioccia.
–Ringrazia il re degli imbecilli, alias il suo ex storico! E’ tutta colpa sua!
–Cosa c’entra Simon con questo sfacelo?
–E’ apparso dal nulla, col pretesto ufficiale di salutarla e lo scopo ufficioso di sbatterle in faccia il suo recente matrimonio. La notizia l’ha sconvolta, e… la conosci: annega i dispiaceri nella bottiglia.
–Sta troppo male per rimanere qui- sentenziò Philip, esaminandola con occhio clinico. –Potrei riaccompagnarla io, sarei andato via in ogni caso: devo alzarmi presto, doma… stamani.
–Non saprei- pigolò mamma chioccia Jodie, osservandolo titubante: era amico di Ewan, ok, ma poteva fidarsi?
–La vostra amica è in buone mani: il rosso qui presente è un dottore!- intervenne Jonathan, dandogli una vigorosa pacca sulla schiena.
–Un dottore, eh? Allora va bene. E’ tutta tua, amico!- trillò Ingrid, lo sguardo acceso di malizia, e spinse letteralmente Sarah tra le sue braccia.
 
***

Una corsa in taxi può rivelarsi un toccasana per lo scetticismo. Era stata sufficiente a indurre Philip Gage a credere nei miracoli, perché di miracolo si trattava: trovare un taxi libero di venerdì sera era un’impresa, diventava una missione impossibile se accanto a te c’era una donna sbronza fradicia che barcollava e attirava l’attenzione con grida deliranti. Eppure, era riuscito a fermarne uno e a salirci, battendo rivali combattivi ( non era mai stato preso a borsettate, prima).
Dopo una lunga serie di frasi e gesti astrusi - dettati dalla sbornia - finalmente Sarah si addormentò… cadendo con la testa sulle sue gambe. Preda di un profondo imbarazzo, Philip mal sopportò la battuta maliziosa del tassista.
–Ce la fate a trattenervi fino a destinazione, o vi scarico al primo motel sulla strada?
–Simpatico! La simpatia le costerà la mancia- sibilò, scrollandosi di dosso la bella addormentata. –Ehi, tu, bionda: sei ancora abbastanza cosciente da dirmi dove abiti?
–Vuoi il mio indirizzo per appostarti sotto casa mia e fotografarmi mentre mi spoglio, come faceva uno dei casi umani con cui sono stata, vero? Ho denunciato lui e denuncerò anche te, razza di stalker!- biascicò Sarah, sporgendosi verso il medico, che sbuffò spazientito. –L’ex numero tre, se non ricordo male. Simon, invece… era meraviglioso. Dolce, premuroso, divertente… dicevano tutti che eravamo una coppia perfetta! Allora perché è finita? Perché?
–Cos…? Oh, no! Non puoi metterti a frignare proprio adesso! Dammi prima il tuo indirizzo!
–Irving Street 19- pigolò lei con voce lacrimosa, affondò il viso nella sua giacca (sporcandogliela di mascara) e pian piano, blaterando di delusioni amorose e solitudine perpetua, ricadde tra le braccia di Morfeo.
Philip si augurò con tutto il cuore di non rivederla mai più.

Note dell’autrice:
Innanzitutto: Irving Street è reale! Appena ho scoperto che esiste una Irving Street a Boston, non ho resistito alla tentazione di inserirla nella storia!
Forse vi aspettavate altre (dis)avventure galanti di Ewan, e mi spiace di avervi (eventualmente) delusi, ma ho pensato fosse meglio dargli un po’ di tregua. Don’t worry: il nostro beniamino si rimetterà presto sul mercato!
Albert, poverino, ha diverse gatte da pelare: da un lato Marion lo respinge, dall’altro Jodie sembra essere sulla sua lunghezza d’onda. Cambierà sorella? Chissà cosa si sono detti sulla pista da ballo… ;-)
Au revoir!
Serpentina
Ps: la reazione di Albert è quella che, secondo me, qualunque eterosessuale avrebbe nell’apprendere di essere l’oggetto delle attenzioni di una persona del suo stesso sesso. Punto. Fine. Kaput. Non voglio offendere nessuno, chiaro?
Pps: esclusi i protagonisti, preferisco lasciare i personaggi alla vostra immaginazione. Se proprio siete curiosi, sappiate che Sarah per me ha le fattezze di Rosamund Pike (Jane nell’ultima trasposizione di ‘Orgoglio e Pregiudizio’).
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5: Chi dice sorella, dice danno ***


Welcome back! In questo capitolo Ewan sarà più adorabile che mai, perciò preparate gli occhi a cuoricino!
Forse dovrei limitarmi alla sua, di storia, ma non lo farò: sebbene più ridotto, anche i personaggi “di contorno” avranno il loro spazio. Se lo meritano. u_u
Come sempre, grazie a chi legge questa storia (anzi, tutte le mie storie, comprese quelle già concluse. Sono commossa dal seguito di F&F!), a Calliope S, elev e sunburn1985, che hanno recensito, e a Giu_ls e roxi, che la seguono.

 

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Chi dice sorella, dice danno

Come diavolo si fa a riassumere una sorella in tre minuti? E’ il tuo gemello e il tuo opposto. Il tuo compagno costante e il tuo concorrente. La tua migliore amica e la più grande stronza in tutto il mondo. E’ tutto ciò che desideri possa essere e tutto ciò che desideri che non sia.
M. Molly Backes

Svegliarsi in preda ai postumi di una sbornia è simile al risveglio di un animale dal letargo: si riprende lentamente coscienza di sé e del proprio corpo, poi dell’ambiente circostante; si avverte di nuovo la presenza dei muscoli, talvolta formicolii,  testimonianza dell’immobilità prolungata, si avverte il respiro, profondo per favorire l’ossigenazione dei tessuti (c’è addirittura chi giura di aver sentito l’elettricità dei neuroni, che gradualmente tornano a lavorare a pieno regime), gli occhi fremono sotto le palpebre e la salivazione aumenta.
“–Non osare giudicarmi, tizio senza nome!
–Non mi permetterei mai.
–Invece sì! Lo fate tutti. Io non volevo bere! E’ che… vederlo con un’altra… felice… quando io becco solo stronzi… non è giusto! Perché becco soltanto stronzi?
A causa della disidratazione cellulare prodotta dall’etanolo, l’aumentata salivazione non basta a contrastare la sensazione di secchezza orale, e le cellule cerebrali, le più sensibili ai cambiamenti di concentrazione dei fluidi corporei, protestano per la carenza d’acqua col metodo più efficace a loro disposizione: il dolore. In compenso, l’alcol ha provocato vasodilatazione, aumentando il filtrato renale, e la vescica piena reclama di essere svuotata.
“–Sono una stupida. Una stupida romanticona. Non riesco a ficcarmi in questa testa bacata che l’amore vero ormai esiste solo in libri e film. Dovrei averlo imparato, viste le storie merdose che ho collezionato, invece no! Mi ostino a innamorarmi di quelli sbagliati, e sono riuscita a far scappare l’unico uomo con la U maiuscola rimasto su questo pianeta!
–Se può consolarti, anche io sono piuttosto sfigato in amore. Ho imparato a prenderla con filosofia.
–La filosofia è per i filosofi. Ti sembro una filosofa?”
L’ipereccitazione dei recettori uditivi e visivi, con annessa midriasi pupillare, è alla base della foto e fono-fobia tipica di chi si sta riprendendo da una sbronza, così come la scarsa coordinazione muscolare e la lentezza di riflessi.
“Ho avuto altre storie, naturalmente, per non sentire la solitudine. Tutti esseri immondi. L’ultimo faceva veramente senso: un dottore - in effetti ho tutti ex fidanzati dottori... sai, frequento parecchio l’ambiente - allergico al sapone! E pure amante dell’orale, se capisci cosa intendo. Insostenibile! Che schifo! La ragione per cui è sconsigliabile fare certe cose finché non entri in confidenza è proprio perché non puoi sapere se il tipo è lurido o meno e secondo lui, sapendo che non si lavava il gingillo, avrei comunque dovuto avere voglia di… bleah! Solo a pensarci mi viene da vomitare!
–Siamo in due. Passami le chiavi.
–Tu profumi di pulito. Ti lavi anche il pisello?”
Oltre a tutto questo, Sarah sperimentò l'efficacia della sveglia canina: il suo Shikoku Inu, infatti, manifestò il desiderio della consueta passeggiatina con guaiti e colpi di muso, destandola definitivamente. Mezza intontita, Sarah sbadigliò, si stiracchiò e stropicciò le palpebre, accorgendosi con un misto di perplessità e pena di avere addosso i vestiti della sera precedente.
Data la veemenza con cui il cane richiedeva la sua attenzione, procrastinò la doccia a dopo la passeggiata; ritemprata nel corpo e nello spirito, al rientro riuscì a non irritarsi per l’occhiataccia rivolta da sua madre ai pantaloni tartan rossi, la maglina a rete nera e gli stivaletti coi brillantini.
–Buongiorno, tesoruccio. Spero abbia dormito bene... anche se poco- celiò zuccherosa, accarezzando un felicissimo amico a quattro zampe. Sorrise del suo sbigottimento e aggiunse –Stanotte mi sono svegliata con le giunture tutte doloranti. Mentre andavo all’armadietto delle medicine, ho intravisto una figura inequivocabilmente maschile uscire dall’appartamento. Complimenti per la discrezione: non vi ho sentiti entrare, né… beh… darci dentro.
Sarah per poco non si strozzò col latte.
“Oh, porca di una miseriaccia infame! Non l’ho sognato: mi ha portata a letto… letteralmente!”
–Non farti strane idee- si affrettò a chiarire. –Lui - neanche conosco il suo nome - mi ha semplicemente riportata a casa, non è…
–Il bigottismo di voi nuove generazioni mi sorprende sempre- replicò l’anziana donna. –Siamo nel ventunesimo secolo, benedetta figlia, non c'è nulla di male nel dare a un uomo che ti piace una parte di te diversa dal cuore!
–Ma’, se un uomo ti vede al tuo peggio, è altamente improbabile che voglia qualunque parte di te, frattaglie incluse- esalò Sarah, massaggiandosi le tempie. –Comunque ho chiuso con gli uomini... per il momento. Il prossimo dovrà essere quello giusto, ammesso che esista.
Richiamò il cane  e si chiuse in camera a sospirare sull’album di foto con Simon.

 
***

Checché ne dicano gli studenti, gli insegnanti non sono alieni: si stancano come ogni essere umano, e non gradiscono che un imprevisto interferisca con i sacrosanti momenti di pausa.
Albert Gimpsky stava dando in escandescenze: una telefonata improvvisa gli impediva di bere il tè pomeridiano interlezione, abitudine inculcatagli da Ewan.
–Te lo scordi!- ruggì. –Come perché? Perché non sono il tuo autista, Carrie! Parla più piano, cazzo, mi stai sfondando un timpano! Sì, sì, va bene: sono un fratello insensibile che lascia la sua sorellina in mezzo a una strada! Il fatto che il suddetto fratello non corra in aiuto della suddetta sorella perché deve lavorare non conta, eh?
Alla sua destra, Ewan lo osservò accigliato, quindi chiese –Cosa succede?
–Niente. Al solito, Carrie rompe le palle. E’ la sua specialità! Ma dico: con quattro tra cui scegliere, va a chiamare proprio il fratello incasinato?
–Che vuole?- indagò Ewan mentre sorseggiava l’infuso nello studio del fisico. Vi si era recato per comunicargli il programma della serata; ignorando il suggerimento di Albert di pubblicare su un giornale la famosa lista, infatti, dopo tre tragicomici appuntamenti (di cui uno passato a cercare fantasmi insieme ad una cultrice di spiritismo) si era arreso all’evidenza: gli serviva uno chaperon. Aveva quindi acconsentito a lasciare che Jonathan, alias Virgilio, guidasse lui, novello Dante, attraverso i gironi di uno dei locali più singolari di Boston, il Frost Ice Loft.
–Le si è rotta la macchina vicino Hopkinton. Ordina che mi precipiti a raccattarla. Lo farei - Yari o Kay mi sostituirebbero volentieri - se il suo atteggiamento non mi avesse indispettito. Dà per scontato che gli altri siano a sua disposizione, mi manda in bestia! Restare ore in una squallida stazione di servizio con cameriere tettone che attentano alla sua autostima - cito testualmente - le servirà da lezione.
–Carrie è l’ultima di cinque, la piccolina di casa cresciuta nella bambagia; naturale sia venuta su viziata!
–L’undicesima piaga biblica a scoppio ritardato, ecco cos’è!- sbottò il fisico, lagnandosi in chat con Jonathan e Philip delle assurde pretese di Carrie .
–Ehi, guarda- gli fece notare Ewan, sportosi per spiare lo smartphone del fisico. –John ha risposto. La va a ripescare lui, dice.
–Sta scherzando, sicuro- soffiò in tono spiccio Albert. –Ha una riunione di rete, figurati se può perdere tempo appresso a mia so… oh! A quanto pare, può. Meglio così.
–Non ti sembra strano che John salti una riunione importante per correre da Carrie?- chiese Ewan, entrato in “modalità Sherlock”. –E’ soltanto la sorella rompiscatole di un suo amico. Perché scomodarsi?
Albert aggrottò la fronte e si grattò il mento, perplesso, ma poi scacciò le insinuazioni del botanico con un gesto plateale e sbuffò –Sei veramente malpensante! I Carmassi abitano nel villino accanto a quello dei miei, siamo cresciuti insieme! Ha visto Carrie con l’apparecchio e i brufoli! La considera una seconda sorella!- Ewan scrollò le spalle. –Ora piantala di parlare di lei, potrei pensare che ti piace e, in quel caso, dovrei farti terrorismo psicologico come ogni fratello maggiore che si rispetti.
–Anche Ivan faceva terrorismo psicologico alle vostre sorelle, prima che si sposassero?
–Nah! Troppo pappamolla! “Vivi e lascia vivere” è il suo motto. Il peso della responsabilità è ricaduto unicamente sulle mie spalle.
–Meno male, o quelle poverette sarebbero emigrate in Micronesia per assaporare la libertà!
Albert incassò il colpo e rispose prontamente, mettendolo al tappeto.
–Senti… tu che sei suo amico, mi daresti qualche dritta? Ho conosciuto meglio Jo in questo periodo, è speciale. Mi ha invitato a casa sua stasera, ci terrei a fare bella figura- l’espressione che si dipinse sul volto di Ewan fu impagabile; Albert dovette esercitare un notevole autocontrollo per non scoppiare a ridere.
–Deduco che ti è passata la paura di morire soffocato dal suo seno.
–Un rischio che vale la pena correre, non sei d’accordo?
–Quindi stasera non sarai dei nostri. Peccato, anche se sono… felice che tu e Jodie siate così... uniti- esalò l’altro con forzata naturalezza. –Solo, non… ecco… trattarla come le galline che frequenti di solito, perché è di un livello infinitamente superiore. A prima vista non te ne accorgi - non è una sventolona da capogiro - ma poi la sua eleganza innata, la sua ironia, la sua esuberanza ti abbagliano, e ti domandi quanto era spesso il prosciutto che ti copriva gli occhi.
–La tratterò coi guanti- gli assicurò l’amico, per poi decidere di stuzzicarlo. –A meno che non ti piaccia. Ti lascerei campo libero, lo sai; lealtà è il mio secondo nome.
Il piano non andò a buon fine: al posto della reazione attesa, Ewan si limitò a una debole pacca sulla spalla e un flebile –Divertiti- finì il tè e corse via.

 
***

Jodie, da fervente sostenitrice del potere del caso, detestava intromettersi negli affari altrui, ma a volte si rendeva necessario. Per tacitare i rimorsi di coscienza, si ripeteva che il fine giustificava ogni mezzo - a patto che fosse legale - sebbene, pur di raggiungere il fine di liberare sua sorella dalla zavorra chiamata ex marito, sarebbe ricorsa anche a mezzi contrari alla legge.
Sfruttando le sue doti di spia aveva scoperto che, a sua insaputa, quella sera Marion avrebbe incontrato Jorge, accrescendo la sua determinazione a portare a compimento il machiavellico piano.
–Uff! Che fatica organizzare una festa a sorpresa!- esalò. –A proposito: grazie di esserti prestata come manichino di prova per il regalo di compleanno per Sarah; sei l’unica della sua taglia. Ma cos…? Push up? Autoreggenti a vista? Oh, no! No, no, no! Conciata così viene spontaneo chiederti quanto prendi a trombata!
–Cioè sembro una puttana?
–L’hai detto tu, non io- celiò amabile Jodie. –Ti suggerisco di filare a cambiarti. Il finto Burberry, calze decenti e decolté classiche andranno benissimo.
Nonostante le perplessità, Marion obbedì: quando sua sorella si metteva in testa un’idea, la realizzava senza lasciare nulla al caso, ed era curiosa di scoprire in quale macchinazione l’avrebbe coinvolta.
Fece una giravolta e scherzò –Sono adeguata ai suoi standard, milady?
–Splendida. Adoro questo abito!- trillò la maggiore, accarezzando con lo sguardo il cosiddetto finto Burberry (un abitino a mezza coscia con la gonna a pieghe nera e la metà superiore in tartan nei colori di Burberry, appunto, e un fiocco a chiusura del collo). –Peccato non fosse disponibile nella mia taglia. Beh? Non startene impalata, truccati un po’!
–Ho sempre fiducia in te, Jo, però... potrei sapere cosa succede? Prima mi sconsigli di atteggiarmi a vamp per riconquistare Jorge, poi mi fai agghindare… non capisco.
–Non devi capire, devi eseguire- replicò seccata Jodie, salvo poi aggiungere, appena udì il campanello –Oh! Ecco la risposta alla tua domanda.
Non appena sua sorella aprì la porta, a Marion si ghiacciò il sangue nelle vene. Furibonda, serrò le labbra, avanzò verso l’inatteso (e sgradito) ospite e… gli diede uno schiaffo.
–Con che coraggio ti presenti a casa mia? Fuori di qui!- tuonò. –E tu… come hai potuto? Mio marito mi ha cornificata e organizzi un’uscita a tradimento con qualcuno sposato?
L’ultima affermazione stupì gli altri due. Jodie boccheggiò, Albert, invece, impallidì ed esalò –Mai stato sposato in vita mia!
–Ho visto la fede al dito, in ospedale. Non mentire, non mi piace essere presa per il culo.
–Buono a sapersi. Me ne ricorderò, in caso diventassimo intimi!- ridacchiò, fulminato da uno sguardo omicida. –Scusa, tentavo di sdrammatizzare. Sono liberissimo, lo giuro! La fede che portavo… è falsa. Controlla tu stessa.
Marion afferrò al volo l’anello e si rese conto che l’uomo non mentiva: niente frasi romantiche, niente nomi, niente data. Era un insignificante cerchietto dorato.
–Che motivo hai di fingerti sposato?
Per la prima volta da quando aveva messo piede in casa, Albert si sentì a disagio. Avvampò e ammise, gli occhi fissi sul pavimento –Perché, per qualche oscura ragione, gli uomini sposati attirano di più le donne, specialmente… beh… quelle che non cercano storie serie, ossia il genere che frequento di solito.
–Capisco- sibilò la minore delle sorelle Carr, quindi si girò verso la maggiore e latrò –E io dovrei uscire con uno del genere?
Jodie sorrise e cinguettò, sforzandosi di suonare gentile –Vorresti scusarci un attimo?- dopodiché trascinò Marion nella camera da letto che dividevano (l’altra era occupata dai bambini) e abbaiò –Gran sfoggio di buone maniere, complimenti!
–E’ vero, sono stata villana, ma quel bellimbusto non può venire qui e sperare di corrompermi con una misera cena!
–Mai giudicare il libro dalla copertina. Albert ha tantissime doti che…
–Le immagino, le grandi doti di Albert! Visto che ti piace tanto, escici tu!
–E’ te che vuole, ed ero sicura che avresti approvato la mia idea- asserì Jodie. –Hai appuntamento con Jorge. Non negare, io so. Nonostante la tua incomparabile bellezza, sbattergli le tette in faccia finora non è servito, giusto? Cambia strategia: alimenta il suo istinto predatorio facendogli credere di averlo sostituito con un nuovo modello.
–In pratica, dovrei usare Albert come specchietto per le allodole?
–Per l’allocco, in questo caso. Ok, ok, non ti scaldare, smetterò di prendere in giro Jorge (in tua presenza). Quanto ad Albert: in genere è lui a usare le donne, un assaggio della sua medicina gli farà abbassare la cresta- mormorò perfidamente Jodie, fregandosi le mani.
Marion ponderò i pro e contro delle possibili opzioni tra cui scegliere, quindi rispose –In fondo, non ho niente da perdere.
–Ma tutto da guadagnare, sorellina. Tutto da guadagnare.

 
***

Nel mondo del pugilato, Sarah sarebbe stata un punching ball: oltre ad occuparsi della madre, incassava senza batter ciglio i continui rimproveri, inframmezzati a rare lodi.
–E’ assurdo: il giorno del tuo compleanno te ne stai rinchiusa in casa! Sei diventata una suora di clausura e non me ne sono accorta?
–Ho portato dei cupcakes al lavoro e spento le candeline insieme a te. Direi che mi sono festeggiata a sufficienza- rispose la giovane. –La stanchezza e i dolori al petto mi preoccupano, mamma. Non posso lasciarti.
–Si dice che i vecchi tornino bambini, ma non sono ancora regredita al livello di poppante. Posso cavarmela da sola! Hai trentadue anni, benedetta figlia, dovresti essere fuori a divertirti… possibilmente con un uomo.
–Mamma!
–Sono l’unica famiglia che hai, e non sono eterna. Ti serve un compagno! Mi piange il cuore a pensarti sola al mondo.
–Avrei le mie amiche, non sarei sola.
–E’ diverso- obiettò la madre. –Desidero che trovi l’anima gemella, ti sposi e, perché no, mi dai la gioia di un nipotino mentre sono ancora su questa terra. Di certo non ci riuscirai standotene tra queste quattro mura!- la protesta di Sarah venne stroncata sul nascere. –Sei adulta e vaccinata, per carità, non oso mettere becco nelle tue decisioni…
–Ecco, brava, non farlo. Toh! Bussano alla porta. Chi può essere a quest’ora?
Andò ad aprire e venne assordata da un tonante –Buon compleanno!- e lo squillo di una trombetta.
–Pensavi di sfuggirci? Spiacenti di deluderti, bellezza, siamo implacabili!- esclamò Ingrid, facendosi largo nell’appartamento. Essendo un’amante degli animali, si fiondò immediatamente dal cane, che le fece le feste contento.
–‘Sera, Iris!- la salutò entusiasticamente Jodie. –Siamo venute a rapire sua figlia per una notte di baldoria. Abbiamo la sua benedizione?
–Assolutamente sì!- trillò, lieta che la sua “bambina” si godesse un po’ la vita.
Sarah, rassegnata, emise un sospiro e si diresse verso l’attaccapanni, ma venne bloccata da Jane e Paula, la compagna di Ingrid.
–Cenerentola non partecipa al ballo vestita da sguattera. Le tue fate madrine hanno l’occorrente per trasformarti in una principessa da fiaba. Consideralo un regalo di compleanno extra. Quando avremo finito stenterai a riconoscerti!

 
***

–Ewan Ellis, qui io ti lascio. Il mio compito è finito- asserì Jonathan Carmassi, fece un inchino e lasciò l’amico in compagnia di una cineoperatrice. –Se il mio bel faccino risalta in video è merito suo, perciò trattala bene!- si raccomandò prima di sparire, adducendo il pretesto di un misterioso impegno improrogabile.
“Mi ha preso per deficiente? Andiamo! Che razza di impegni può avere alle undici di sera?”
Una volta soli, la conversazione cominciò a languire: esaurite le passioni comuni - Red Sox e RHCP - non rimase molto di cui parlare. Quando Laura (“Oppure Lara? Merda! Devo fare più attenzione ai nomi!”) passò all’argomento cocktail (“Schifoso Purple Rain! Nessuno sano di mente berrebbe un intruglio viola!”) il botanico comprese che avevano raggiunto un punto morto; con ordine e metodo, valutò i pro e i contro di un eventuale tentativo di ravvivare la scintilla accesa da Jonathan.
“Punti uno, quattro, cinque e nove della lista rispettati. Quattro su dieci è un punteggio sufficiente? No. Bocciata! Non mi resta che escogitare un modo per svignarmela con classe.”
Preghiera esaudita: l’attenzione generale venne calamitata da un tafferuglio in uno dei privè (che tanto privati non erano, nascosti solo da una tenda di gocce di ghiaccio); una donna, smunta e truccata pesantemente, stava minacciando di mutilazioni quello che doveva essere il suo fidanzato - colto in flagrante - mentre schiaffeggiava e spintonava l’altra urlandole contro i peggiori improperi.
Riconobbe una delle due, e, vedendola inciampare in un tavolino di ghiaccio, fregandosene di ordine e metodo si lanciò in suo soccorso.
–Jodie! Stai bene?
–Conosci questa troia?- stridette l’arpia tradita.
–Non ti permetto di offenderla!- ruggì Ewan.
–Chi sei, il suo ragazzo? Strano che passi ancora dalle porte. Questa zoccola stava baciando il mio fidanzato! F-I-D-A-N-Z-A-T-O!- sbraitò la sconosciuta, sventolandogli sotto il naso il brillocco (di pessimo gusto) che portava all’anulare sinistro.
Per niente mosso a compassione, il botanico aiutò Jodie ad alzarsi, le cinse la vita e replicò, gelido quanto la temperatura interna del locale –Non sono il suo ragazzo e lei non è una troia. Se c’è una troia, qui, è lui!- puntò l’indice contro il fedifrago, che arrossì, colpevole. –Una sola non ti basta? Allora resta single, stronzo!
La portò al sicuro, nel deposito di mantelle termiche e guanti (indispensabili per resistere al gelo della sala), dove Jodie si concesse un breve pianto liberatorio.
–Grazie. Sei stato mitico! Mi ero sbagliata sul tuo conto: c’è un leone sotto la pelliccia dell’agnellino- sussultò dal dolore (aveva battuto la schiena) e sospirò –Un altro posto da cancellare dalla lista di locali dove divertirsi in santa pace. Ottimo! E per di più ho guastato il compleanno a Sarah.
–Ti credevo con Al- mormorò lui, voltandosi dall’altra parte. –Sta scodinzolando appresso a una gonna più corta della tua?
–Oh, no! L’ho accoppiato con Marion… mia sorella.
Sconvolto, il botanico balbettò –Marion è tua sorella?
Eruppe in una grassa risata e le raccontò dell’episodio del supermercato; Jodie curvò le labbra in un sorriso sibillino e disse –Ancora convinto che Dio non giochi a dadi?

 
***

Sarah si sentiva una regina, la regina delle nevi nella foresta di ghiaccio risuonante di vecchi successi della disco music anni ‘90. Ogni cosa intorno a lei era di ghiaccio: dal bancone del bar ai bicchieri, dai divani ai tavolini, dalle sculture - di cui le più appariscenti erano il mastodontico cigno all’uscita e l’enorme scritta “Frost Ice Loft” - ai ritratti dei presidenti e la postazione del dj (escluse le componenti elettriche, ovviamente). Le sue amiche avevano veramente fatto le cose in grande: il Frost Ice Loft di Boston nulla aveva da invidiare all’omologo di Oslo, che aveva visitato insieme a…
“Possibile che Simon abbia il monopolio dei miei pensieri?”, pensò adirata, e fu tentata di affogare i ricordi nell’alcol; la voce della coscienza, però, la dissuase, così optò per un Blue Samoa. “Meglio un analcolico. L’ultima volta che ho bevuto ho chiesto a uno sconosciuto se si lava le parti intime, stavolta come minimo finirei col fargli fare una visita guidata delle mie!”
Coincidenza delle coincidenze, qualcuno con un forte accento del sud le sussurrò all’orecchio –Occhio, bionda: l’ultima volta che hai bevuto mi hai domandato se mi lavo il pisello, non vorrei finissi col rivelarmi la tua posizione preferita, o cosa indossi sotto il vestito.
Sforzandosi di celare l’imbarazzo, Sarah ribatté –Coordinato di pizzo fucsia; è di tuo gradimento? Ah, grazie per aver dissolto la mia illusione salvifica che quella battuta infelice fosse un incubo!
–Spiacente di disilluderti, è davvero uscita dalla tua boccuccia di rosa- terminò al suo posto Philip, esaminandola da capo a piedi. Era coperta dal collo in giù dalla pesante mantella in dotazione alla clientela, ma il volto, incorniciato superiormente da un paraorecchi bianco e peloso, era visibile in tutto il suo adorabile splendore, aumentato dalle guance rosse per il freddo; notò che si era truccata, niente di troppo appariscente, quel tanto che bastava a mettere in risalto gli occhi. La trovò bellissima. –Per la cronaca: la mia igiene personale non tralascia nessuna parte del corpo… pisello compreso.
–La finisci? E’ umiliante!
–Scusa. Non sentivo chiamare il membro maschile “pisello” dalle elementari, ridere è stata una reazione spontanea- si giustificò, per poi ingollare un sorso del suo cocktail.
–Mettiamoci una pietra sopra, ok? Ah, per tua informazione: non c’è un goccio d’alcol qui dentro!- sbottò Sarah, agitando il bicchiere.
–Adesso non esagerare!- sbuffò lui, e le tolse dalle mani la bevanda. –C’è una via di mezzo tra essere astemi e ubriacarsi. Entrare al Frost e non provare la specialità della casa è peccato mortale, bionda! Due Boston, per favore. Offro io.
Rotto il ghiaccio - in tutti i sensi: Sarah riuscì ad inciampare nei propri piedi, infrangendo il bicchiere - entrambi scoprirono con molto piacere di gradire la reciproca compagnia ( a stento si accorsero che Jodie aveva lasciato il locale insieme a Ewan). Chiacchierarono del più e del meno: il cane di lei, le radici di lui, nativo di Charleston, i rispettivi interessi. L’appetito vien mangiando, e l’attrazione (anche) parlando: non riuscivano a staccarsi gli occhi di dosso, e la distanza che li separava si ridusse progressivamente, fino a che i loro nasi si sfiorarono.
–Sono imperdonabile- miagolò a un certo punto Sarah, incapace di resistere oltre. –Non ti ho ancora ringraziato per avermi riportata a casa sana e salva.
–Figurati! E’ stato un pia…
Lo baciò prima che finisse la frase: ormai le parole erano superflue. Si lasciò sfuggire un mugolio e, forse per la prima volta in vita sua, non considerò spazzatura il consiglio materno di spassarsela.
“Se questo è l’antipasto, non vedo l’ora di assaggiare la portata principale!”
–Insisto.

 
***

La prima azione di Jodie, subito dopo aver chiuso la porta con doppia mandata e catenella, fu togliersi le scarpe. Emesso un gemito di sollievo (i tacchi slanciano la figura, sono femminili, ma i piedi, dopo qualche ora, implorano pietà), lavò i rimasugli di una cena a lume di candela, indossò il pigiama e si infilò nel letto.
Marion la raggiunse in accappatoio, raggiante. Si sedette ai suoi piedi e trillò –Sei un fottuto genio!
–Concordo sulla genialità; sul fronte “fottere”, invece… ahimè, sono carente- replicò Jodie. –E’ talmente tanto che non faccio sesso che ho smesso di depilarmi il pube!
–Il genere di cose che vorresti sapere su tua sorella- ridacchiò la minore, mise il pigiama e si accoccolò nel suo lettino. –Sii un attimino seria, puoi? Ha funzionato! Jorge è geloso pazzo!
–Scherzi?
–E’ arrivato mentre stavo salendo sull’auto di Albert… apro e chiudo parentesi: ha una Mustang! E’ il mio sogno proibito farlo in una Mustang!
–Il genere di cose che vorresti sapere su tua sorella- la punzecchiò Jodie, riuscendo nell’intento di farla arrossire.
–Sei pessima. Come stavo dicendo, ho finto di aver dimenticato del nostro appuntamento e sono andata via, snobbandolo apertamente. Oh, Jo, avrei voluto immortalarlo, la sua espressione… la conferma di quanto rodesse l’ho avuta al ritorno: Albert ha rischiato di mandare a monte il piano perché ero sicura avrebbe provato a baciarmi - un bacio me l’ha dato… sulla mano, però! Uffa! - ma, escluso questo piccolo inconveniente, è filato tutto liscio. Jorge è stato premuroso come non mai e ha sottolineato spesso che sono ancora sua moglie. Ha calcato l’aggettivo possessivo, Jo! Mi considera ancora sua!
–Splendido!- “Anni di lotte femministe buttati nel cesso!” –E Al?
–Si è comportato da vero gentiluomo: l’ho beccato a fissarmi le tette soltanto una volta. Tutto sommato, una bella serata. Domani lo richiamerò: se Jorge deve credere che faccio sul serio, devo fare sul serio, ti pare?

Note dell’autrice:
Tanti auguri a Sarah! Le è andata di lusso: festa e (bel) fusto in un colpo solo! ;-)
Machiavelli dovrebbe prendere lezioni da Jodie: il suo è un doppio gioco coi fiocchi! Illude la sorella di volerla aiutare a riconquistare l’ex marito, invece il vero intento è toglierglielo dalla testa con l’ausilio di Albert, a sua volta illuso di poter avere una possibilità concreta con Marion. Geniale!
Ewan è stato fenomenale, un vero cavaliere dall’armatura imbottita di piume d’oca. So che il cliché della donzella in pericolo è stantio e anti-femminista, ma situazioni simili possono capitare anche nella vita reale, e accettare un aiuto non rende necessariamente damigelle inette. Everybody needs somebody, come cantavano i Blues Brothers.
Informazioni di servizio: Charleston è una città del South Carolina, il Blue Samoa è un cocktail analcolico a base di sciroppo di Blue Curaçao e acqua tonica, invece il Purple Rain ( un Cosmopolitan con Blue Curaçao, che gli conferisce il colore caratteristico, al posto del Cointreau) e il Boston (gin, brandy all’albicocca, succo di limone e granatina) sono alcolici. Se volete fare un salto virtuale al Frost Ice Loft, cliccate qui.
Au revoir!
Serpentina
 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6: Meet Mrs. Ellis ***


Hola! E’ arrivato ottobre, e con lui i primi freddi, i colori caldi dell’autunno… e il nuovo capitolo di LQ. ;-)
Prima, però, devo ringraziare uno ad uno i lettori silenziosi, Calliope S e LittleDreamer90, che hanno recensito, lillay, Marty_0202, e romina_cullen, che hanno inserito LQ tra le seguite/ricordate/preferite. :-*

 

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Meet Mrs. Ellis

Dobbiamo riscoprire la distinzione tra speranza e aspettativa.
Ivan Illich

Andare a letto con qualcuno è molto semplice. Lo incontri, ci parli… gioco di sguardi… discorsi che intrigano… una parola in più, una parola in meno. Spogliarsi è banale, toccarsi è meccanico. Finisci.
Ed è lì che iniziano i problemi.
Rivestirsi e andarsene, o restare e richiedere delle coccole, un bacio, una prosaica sigaretta? Dire qualcosa, o rimanere in silenzio? Guardare l’altro negli occhi, o chiudere i propri per sentirlo e respirarlo meglio?
Sarah non ebbe dubbi: meglio la fuga. Era stata magnificamente con Philip, proprio per questo doveva fuggire prima che si svegliasse e la convincesse a restare; voleva conservare intatti i ricordi di quella notte, senza che la luce del giorno li sbiadisse.
Per sua fortuna, complice anche il sonno pesante di lui, riuscì nell’impresa. Una volta rivestitasi, gli scrisse un biglietto e uscì dalla stanza in punta di piedi. Stava per raggiungere la maniglia della porta d’ingresso, quando si aprì quella dell’altra camera da letto; sussultò e si nascose dietro il divano, imbarazzata come poche volte in vita sua.
Approfittando della posizione strategica, si sporse leggermente per dare un’occhiata: vide un uomo e una donna, in piedi davanti alla porta aperta; lui le carezzava dolcemente una guancia e lei stava appoggiata allo stipite a braccia conserte. Avvampò non appena lo riconobbe (Philip le aveva accennato a un coinquilino, ma non aveva rivelato la sua identità): era un’assidua spettatrice del suo programma scientifico-culinario; lei, invece, le suscitò istantanea ed istintiva antipatia, forse per via dell’espressione perennemente imbronciata (“Te la sei spassata con un pezzo di figo come Jonathan Carmassi e hai quella faccia da funerale? O sei stronza… o sei stronza!”), oppure per via dell’aspetto: non le andavano a genio i tipi emaciati, e la sconosciuta, con i capelli corvini corti e sbarazzini, gli occhioni da cerbiatta bistrati di nero e la carnagione di un pallore al limite del livor mortis, le parve un incrocio tra Peter Pan e Mercoledì Addams.
–Ci vediamo stasera, piccola?
–Sarò impegnata per il resto della settimana. Ho un lavoro serio, io. Ti chiamerò quando avrò tempo- disse in tono annoiato. – Meglio che vada, prima che il “Grande Fratello” possa sospettare come ho trascorso la notte.
“Pure la voce è odiosa! Non dovrei - nemmeno la conosco! - eppure la odio, a pelle!”
–Senti, a proposito del, ehm, “grande fratello”… non sarebbe ora di… sì, insomma… uscire allo scoperto?
–Nutri il masochistico desiderio di essere evirato, Johnny?- ridacchiò perfida. –Peccato, vado pazza per la tua attrezzatura. Ciao ciao!
Sarah, sempre nascosta dietro il divano, sbuffò, maledicendo mentalmente le gattemorte come quella e i poveri fessi che cadevano nella loro rete, dopodiché, assicuratasi di avere via libera, sgattaiolò fuori dall’appartamento.

 
***

Il silenzio che la accolse al rientro a casa la allarmò: sua madre poteva non averla sentita, ma il cane correva sempre a farle le feste. Cosa stava succedendo?
Dei guaiti attirarono la sua attenzione; si fiondò nella stanza di sua madre, dove rimase pietrificata di fronte allo spettacolo agghiacciante che le si parò davanti agli occhi: era stesa a terra, il telefono poco lontano (doveva esserle caduto di mano quando aveva impattato contro il pavimento) e Attila le girava intorno, toccandola con la zampa, per poi guaire disperato.
–Mamma!- gridò, non appena recuperò il sangue freddo. –Mamma! Rispondimi! Mamma!
Angosciata, la girò in posizione supina e compose il numero di emergenza, prima di iniziare le manovre di primo soccorso, sebbene in cuor suo fosse consapevole che ormai non erano più necessarie. Il dolore che la attanagliava andava oltre le lacrime; stette ferma, in stato quasi catatonico, durante la corsa in ambulanza e l’odissea in pronto soccorso, e non batté ciglio quando le comunicarono il ferale verdetto (che aveva intuito nel momento in cui aveva avvertito l’assenza di battito, respiro e riflessi).
Poco più tardi qualcun altro, che già si era svegliato di malumore perché la donna con cui aveva dormito se n’era andata lasciandogli un misero biglietto col suo numero di telefono, ricevette la medesima notizia.
–Se non hai vestiti scuri, Gage, comprali: ci toccherà andare a un funerale… quello di Mrs. Clover.

 
***

Era un sollievo abbandonare qualche volta il campus per concedersi un pranzo come si deve in compagnia degli amici. Solo, Albert avrebbe tanto voluto capire perché lo fissavano.
“Da oggi avrò un rispetto tutto nuovo per gli animali negli zoo!”, pensò il fisico, sorseggiando la sua bibita fingendo che non esistessero.
–Non hai niente da dirci?- inquisì Jonathan, rivolgendogli lo sguardo ammiccante che mandava in visibilio le sue (numerose) ammiratrici.
–Cosa dovrei dire?- chiese di rimando l’interessato, sempre più perplesso.
–Ogni volta che esci con una donna ci racconti com’è a letto. Un porno a voce, praticamente. Dai persino i voti!- rincarò Ewan.
–Perciò spara: che voto dai a Marion? Ormai siete al quarto appuntamento, l’avrai provata!
–Quinto. E Marion è una persona, non un’auto appena uscita dal concessionario!- replicò irato il fisico, imbronciandosi: era davvero questa l’opinione che avevano di lui i suoi amici? –Vi sembrerà strano, ma… non l’ho ancora nemmeno baciata, se non sulla mano.
La sconvolgente notizia venne accolta da tre identiche facce attonite. Si voltarono verso Philip, aspettandosi che contribuisse alla conversazione, invece non aprì bocca. Nonostante le indagini della commissione disciplinare lo avessero assolto da qualunque responsabilità per il decesso della sua paziente, si era autocondannato a un eterno tormento.
Il primo a riprendersi fu Ewan, che esalò –Chi sei tu, e cosa ne hai fatto di Albert Gimpsky?
–Non ha assunto alcolici. E non ha febbre- aggiunse Jonathan, misurandogli la temperatura con la mano (metodica empirica, ma piuttosto efficace).
–Spiritosi!- soffiò l’altro, sdegnato. –Non fraintendetemi: quando Jo mi ha proposto di uscire con sua sorella per risollevarle l’autostima, ho accettato pensando di spassarmela alla faccia di Marion, che non voleva saperne di me. Chi avrebbe mai immaginato che Marion è la sorella di Jo? L’idea iniziale era comunque di farmela; prendermi una rivincita, diciamo.
–Ma? A questo punto arriva sempre un “ma”- asserì saggiamente Philip.
–Ho scoperto un lato di lei che… insomma, ha prevalso il desiderio di rivederla. Ero consapevole che, provandoci subito, mi sarei giocato ogni possibilità, così… ho deciso di aspettare.
–Aspettare cosa?- sbottò Jonathan. –Carpe diem, amico! Hai dimenticato la regola del tre?
–Il numero reale di uomini che ha avuto si ottiene moltiplicando per tre quelli dichiarati?- sbuffò Ewan. –Per l’amor del cielo, John, cresci! Non siamo più al liceo!
–La mia personale regola del tre, El! La regola di Jonathan (o suona meglio regola di Carmassi?): se non ti dà nessuna parte del corpo entro il terzo appuntamento, conviene cambiare aria.
–Per questo cambi ragazze alla frequenza con cui i comuni mortali si cambiano i calzini!- ribatté perfido Albert, sorridendo compiaciuto: zittire Jonathan Carmassi non era impresa da poco.

 
***

–Meriterei una statua, ma mi accontenterò di vantarmi del mio ruolo di cupido nel discorso da testimone scemo che farò al tuo matrimonio!- trillò estatico Albert, sedendosi senza invito nell’ufficio di Ewan, ‘She’s only 18’ dei Red Hot come sottofondo perfetto alla sua determinazione. Infastidito, dopo un minuto o due di silenzio di tomba, spiegò, scocciato –Ho trovato la donna della tua vita! Mi devi un favore enorme!
–Ehm… Al… apprezzo di tutto cuore il tuo impegno…
–Lo so, ma come ho detto prima, mi basta potermene vantare il giorno delle tue nozze.
–Perdonerai il mio scarso entusiasmo, ma… considerato l’esito dell’ultimo appuntamento al buio al quale sono stato, non credo sia una buona idea.
–Ma El, questa non è una qualunque, è amica di mia sorella!
Se lo scopo era tranquillizzare Ewan, fallì miseramente; il botanico impallidì e chiese, preoccupato –Quale sorella?
–Carrie. Perché?
–Perché è una mina vagante e le sue amiche sicuramente delle squinternate! No, grazie!- tuonò deciso Ewan, a braccia conserte.
–Non puoi farmi questo, El! Ho preso un impegno: Carrie è venuta da me blaterando di questa sua amica che ha visto la tua foto sui giornali e smania dalla voglia di conoscerti, e mi ha pregato- Ewan trattenne una risatina: conoscendo la sorella del suo amico, molto più probabilmente l’aveva obbligato –Di farle ottenere un appuntamento con te. Hai idea dei guai che passerei se non esaudissi la richiesta? L’ultima volta che non l’ho accontentata Carrie ha ridotto a brandelli le mie mutande!
Intenerito dall’espressione supplice del fisico (oltre che inquietato dalla vena di sadico egoismo di Caroline Gimpsky), Ewan chinò il capo e sospirò –So già che me ne pentirò, ma accetto di uscire con questa… ha un nome?
–Suppongo di sì, ma ho dimenticato di chiederlo a mia sorella. Però so per certo che la carrozzeria è di prim’ordine: una ex reginetta di bellezza non può essere uno scorfano!
–A me lo scorfano piace, ha un ottimo sapore- ridacchiò Ewan.
–Chi si accontenta gode solo a metà, El. Pensa positivo e buttati!- lo incoraggiò Albert, agitando il pugno. –E’ la volta buona, me lo sento nelle budella! Ne sono talmente sicuro da- si fece consegnare il foglio con su scritti i termini della scommessa –Aggiungere alla posta in gioco la torta nuziale! Tirati a lucido, amico mio, stasera incapperai nella tua futura moglie!

 
***

L’ottimismo di Ewan cominciò a vacillare nel momento esatto in cui Albert (che aveva insistito per occuparsi dell’organizzazione) lo depositò nel North End, all’ingresso del ristorante dove avrebbe cenato con la ex reginetta di bellezza amica di Carrie.
–Io qui non mangio!- sbraitò. –Ci hanno girato una puntata di ‘Kitchen Nightmares’! Vuoi forse avvelenarmi?
–Hanno girato, El. E’ passato. Si spera che Gordon li abbia rimessi in sesto!- replicò gaio il fisico, fece alcuni commenti faceti sull’abbigliamento dell’amico e lo sbatté fuori dalla Mustang.
Entrò nel ristorante e si guardò intorno mentre chiedeva della prenotazione a nome Gimpsky. Notò con sollievo che gli arredi erano gli stessi installati da Gordon Ramsay, e il pensiero che anche il menu, creato appositamente dallo chef inglese, fosse rimasto immodificato lo tranquillizzò un poco.
Un urletto stridulo lo fece sobbalzare, e non fece in tempo a localizzare la fonte, che questa lo stritolò in un abbraccio.
–Non posso crederci! Sei proprio tu! Ewan Ellis in carne ed ossa! Ero convinta che Carrie scherzasse, invece ti conosce davvero! Aspetta che lo racconti alle amiche, moriranno d’invidia!- squittì con voce querula.
–Aiuto… soffoco- esalò Ewan, la voce della ragazza che gli sferzava i timpani alla stessa intensità con cui il vento gelido di dicembre gli aveva sferzato le guance.
–Oh, scusa! Secondo me gli abbracci devono sentirsi, sennò che abbracci sono?- rispose lei, per poi seguire un cameriere fino al tavolo apparecchiato per due.
Libero dalla morsa dei suoi tentacoli (pardon, arti superiori), il botanico poté osservarla; Albert non aveva mentito sulla sua avvenenza: aveva lunghi e lucenti boccoli color caramello, grandi occhi azzurri e floride guance rosee.
–Uhm, non ci siamo ancora presentati, giusto?- disse, stufo dello sguardo adorante di cui era oggetto.
–Non c’è bisogno, so chi sei! Non vedevo l’ora di incontrarti!- cinguettò lei, fremente di eccitazione. –Ho passato tre ore a decidere cosa indossare e due a prepararmi, ci tenevo ad essere bellissima. Ti piaccio?
–Ehm, uhm… s-sì. Peccato non conosca il tuo nome- borbottò, tormentandosi le mani sotto il tavolo; in verità reputava il suo look “da Miss America” eccessivo per una tranquilla cenetta in un ristorante italiano, ma non voleva ferire i suoi sentimenti.
–Oh! Io mi chiamo Loretta. Loretta Hegg.
–Come “uovo”?
–No, sciocchino!- lo redarguì scherzosamente lei, perforandogli i timpani con la sua risata acuta. Gli tornò in mente la risata argentina di Jodie e si rabbuiò. –Hegg! Con la H!
–Hegg. Con la H. Afferrato. Carrie non mi ha detto, ehm, niente di te.
L’ignaro scoprì a sue spese di aver aperto le cateratte del Nilo: il fiume ininterrotto di chiacchiere lo investì in pieno, travolgendolo; per salvarsi, all’ennesima cronaca dettagliata dell’ennesimo concorso di bellezza, mise in pausa il cervello e si limitò ad annuire, fingendo di consultare il menu quando gli scappava da ridere. L’arrivo di una cameriera (l’avrebbe baciata), che gli rivolse un’occhiata pregna di comprensione e compassione, gli parve un intervento divino. Riprese in mano il menu e desiderò con tutto il cuore che Loretta smettesse di ciarlare almeno mentre mangiava.
–Da bere?
–Un whiskey, per favore- rispose d’istinto, nella segreta speranza che l’alcol lo stordisse abbastanza da sopportare l’incessante chiacchiericcio vacuo di Loretta. Era amica della sorella di un suo amico, dopotutto, non poteva trattarla male!
–Io inizierò con un Pussy Cat- celiò, ammiccando nella sua direzione. Ewan per poco non si strozzò con la saliva. –Vuoi assaggiare?- offrì con fare seducente, restando delusa dal suo rifiuto.
–Scusa, non amo i cocktail- si giustificò. –Preferisco del buon whiskey, o una birra.
–Non mi piace la birra- gnaulò Loretta. –E’ amara e fa gonfiare la pancia. Ti levano un sacco di punti ai concorsi se non hai addominali super tonici! Il whiskey, invece, non l’ho mai assaggiato.
–Allora non hai mai vissuto- replicò Ewan, tendendole il bicchiere. –Avanti! Soltanto un sorso.
Loretta annusò il liquido ambrato e ne ingerì una piccola quantità. Sbiancò e storse il naso, tossendo.
–Non mi piace- sputò, contorcendo il viso in buffe espressioni di disgusto. –Troppo forte.
“Punti tre, sette e otto della lista mancati. E’ a un passo dalla bocciatura.”
–I gusti son gusti- concesse, conciliante.
–Beh, ma dovremo avere qualche punto in comune, altrimenti come riusciremo a organizzare le nozze?- celiò Loretta, ignorando l’espressione atterrita di Ewan. –E’ vero che lo sposo fa ben poco, a parte presentarsi e dire “lo voglio”, però vorrai fingere di avere voce in capitolo su qualcosa, no? Sogno il mio matrimonio da fiaba da quando ero piccola e non tollererò intromissioni, perciò avrai vita facile. Ogni mio desiderio sarà un ordine, per te. Ho praticamente progettato tutto: location da sogno - niente di meno del Mandarin Oriental Hotel, per quanto mi riguarda “più spendi, meno spendi” - abito da principessa - un modello assolutamente fenomenale di Monique Louillier - il tema sarà Cenerentola, con decorazioni sfarzose, damigelle vestite di verde e fucsia, come le sorellastre del cartone animato, e una torta di almeno sette piani! Spero che vorrai invitare tanta gente, perché non accetterò meno di trecento ospiti!- misinterpretò l’orrore del botanico e gnaulò –Pensi che non sia abbastanza in grande? Forse hai ragione. Dopotutto, sposerò un uomo ricco. E famoso! Sei finito sui giornali, quindi sei famoso. Non vedo l’ora di mostrarti alle mie amiche: creperanno verdi dall’invidia! Nessuno dei loro mariti potrà competere con te: bono, famoso e milionario! Certo, avrai bisogno di qualcuno che curi i tuoi interessi: lo so perfino io che i soldi vanno investiti, sennò finiscono. Tranquillo, mio fratello è agente di  borsa a Wall Street; hai presente quel film con Di Caprio? Io non tanto, l’ho guardato solo per rifarmi gli occhi con lui - è così figo! - ma dal poco che ho capito parla della vasca di squali dove nuota Joe tutti i santi giorni. Ho anche trovato una villa a Cambridge perfetta come nido d’amore. Secondo te potremo permetterci della servitù? Le faccende domestiche rovinano la pelle! Oh, e poi credo che comincerò a farmi chiamare Lory: Loretta Ellis suona malissimo, Lory Ellis è già meglio!
“Adesso basta!”
–Ehm, Loretta- mormorò tra i denti il botanico, reclutando i neuroni per escogitare una scusa plausibile per filarsela. –Adoro la tua compagnia, ma… ecco… io purtroppo mi alzo presto la mattina, per lavoro, e a quest’ora dovrei già essere a letto…
–Ma sono appena le dieci!
–Che vuoi farci? Non sono un tipo mondano- riprese lui. –Perciò, perdonami, ma… devo salutarti. Buonanotte.
–Quando ci rivediamo? Non puoi chiedere la mia mano prima del terzo appuntamento!
–Ehm… ti chiamo io. Ciao!- esclamò, e corse via senza girarsi indietro, maledicendo Albert e sibilando tra i denti le torture che avrebbe tanto bramato infliggergli. Era in procinto di svoltare su Prince Street, quando si scontrò con una donna. Costernato, balbettò delle scuse, poi, avendola riconosciuta, scoppiò a ridere. –Non posso crederci!
–Nemmeno io! Da chi scappi, fuggitivo?
–Dall’amica della sorella di Al- rispose, avvampando. –E’ completamente fuori di testa e ho paura possa seguirmi- si guardò intorno con circospezione. –Non mi sta seguendo nessuno, vero?
–Sei Ewan Ellis, non Jason Bourne- scherzò Jodie. –Nessuno ti perseguita! Avanti, su, raccontami di questo appuntamento orrorifico davanti a un alcolico. E’ il minimo per ringraziarti per avermi tratta d’impaccio al Frost Ice Loft.
–Non si può declinare un’offerta posta con tanta gentilezza- replicò lui, le cinse la vita (accantonando quasi subito il pensiero che agli occhi altrui potessero sembrare una coppia, stretti in quel modo) e si incamminò al suo fianco. Si bloccò dopo qualche passo e le chiese –Dove si va?
–Al Caffè dello Sport. Marion monopolizza il televisore di casa e io non posso perdermi la partita di stasera, sarà uno scontro al vertice!
–Partita? C’è forse un’amichevole dei Sox? La stagione non è ancora cominciata!
–Dimenticavo che sei fanatico del baseball- ridacchiò lei. –Piace anche a me, sempre meglio di certe telenovele strappalacrime o reality idioti che vede mia sorella, ma tifo per tutt’altro genere di squadra. Forza Celtics!
Non appena Jodie si tolse il cappotto all’interno del caffè, comprese la reale portata della sua passione per i Boston Celtics: era vestita con i loro colori, bianco e verde, e sulla sciarpa era ricamato un lepricano, la loro mascotte. Che fosse una cliente abituale, poi, si intuiva facilmente dalla confidenza con cui si rivolgeva ad altri avventori e al barista.
–‘Sera, Mike. Ricorda la tua promessa: se vinciamo, un giro gratis per tutti!- l’affermazione venne accolta da un coro di fischi e ovazioni. –Questo, invece, te lo pago: due scotch e… tu cosa prendi, Ewan?- rise a crepapelle del suo sconcerto e aggiunse –Rilassati, scherzavo! Davvero mi hai presa per una beona? Due scotch e basta, per adesso.
Si piazzarono in posizione strategica per guardare la partita e sorseggiare in relativa tranquillità i loro drink. Gli sgabelli, a causa della calca, erano vicinissimi, le ginocchia si sfioravano; Ewan si voltò verso Jodie e si stupì nel vederla serena e sorridente: lui aveva il cuore a mille.
–Mi piace, non c’è troppo ghiaccio.
–Preferivi una birra? Scusa se ho scelto per te, ho pensato ti servisse qualcosa di forte, dopo quell’incubo! E’ stato così orribile?
–Tremendo- si lagnò lui, arricciando le labbra. –Era logorroica, aveva una voce terribile, continuava a cianciare del nostro matrimonio principesco e di come le sue amiche l’avrebbero invidiata e suo fratello ci avrebbe resi ricchissimi, tanto da permetterci una villa e del personale di servizio… infine la goccia che ha fatto traboccare il vaso: ha detto che avrebbe assunto il nome di Lory perché sta bene col mio cognome. “Lory Ellis suona meglio di Loretta Ellis”- squittì, imitandone i toni striduli.
–Non ha tutti i torti!- sbuffò Jodie, tradendo una risatina, prima di prendergli una mano e carezzarne il dorso col pollice. –Mi dispiace che la tua ricerca non stia dando i frutti sperati- “Un po’ mi fa piacere, a dire il vero” –Ti auguro che la prossima sia quella giusta. La futura Mrs. Ellis, chiunque essa sia, sarà molto fortunata.
–Perché sposerà un conto in banca a sei zeri?- pigolò mestamente il botanico.
–Perché sposerà te. E potrà amarti per il resto della sua vita.
Arrossirono in sincrono, dopodiché, stringendo saldamente i bicchieri, si concentrarono sulle azioni dei cestisti, portando la conversazione a un livello meno impegnativo.
–No, no, no! Non dategli spazio! Maledetti Lakers! E datevi una svegliata, ragazzi, ci stanno strac… evvai: tiro da tre! Grande, Smart! Dai che rimontiamo!
–Mi sono perso. Chi è in vantaggio?

 
***

Quando, vedendolo uscire, Jonathan lo aveva schernito con un ironico “Dottore che cammina nel miglio verde”, non aveva riso: era una descrizione calzante del suo stato d’animo. Non poteva sottrarsi a questa ordalia - avrebbe dato l’impressione di avere qualcosa da nascondere - ma al tempo stesso tremava alla prospettiva di affrontare i familiari della defunta, guardarli in faccia mentre mormorava condoglianze che temeva non avrebbero accettato: non riusciva a scacciare il tarlo della coscienza, che gli ripeteva che avrebbe potuto fare di più per la paziente, che la sua negligenza l’aveva uccisa. Nemmeno il consolante “Hai agito secondo scienza e coscienza, Gage, non hai nulla da rimproverarti” del suo mentore aveva scalfito la nuvola nera che sostava sopra la sua testa.
Scorse una testa bionda familiare, dalla quale non staccò gli occhi per l’intera durata della cerimonia, chiedendosi perché fosse seduta in prima fila insieme alle amiche mentre il dottor Berger, moderno esteta, mormorava lamentazioni, mischiando i propri bisbigli alla voce mortifera del celebrante in un coro cacofonico.
–Dovrebbe esistere un galateo scritto per i funerali, si eviterebbe di assistere ad oscenità del genere. Innanzitutto: non si piange, è immorale rubare la scena al defunto. Poi è bandita la sciatteria: la dipartita di un nostro simile va salutata con rispetto, e niente mostra maggiore rispetto dell’esaltazione della bellezza terrena. Santo cielo, quanta incuria nel vestire, e che taglio orrendo! Uuh! Persino le doppie punte, che orrore! E quegli occhi rossi e gonfi? Inaccettabili! A saperlo, avrei portato con me un altro paio di occhiali scuri. Ti supplico, Gage, se proprio non resisti alla tentazione di un approccio vai da solo, non reggo una tale mancanza di decoro!
Avvezzo alle stravaganze del suo superiore, Philip annuì e, al termine della funzione, si diresse deciso da Sarah, in lacrime davanti al tumulo.
–Ciao. Per poco non ti riconoscevo con i capelli corti, sai?
–Come parrucchiera faccio pena- rispose lei, accarezzando la chioma scarmigliata e mal tagliata: non c’era una ciocca della stessa lunghezza e le doppie punte abbondavano. –Scusa se ho ignorato chiamate e messaggi, ho, ehm, avuto altro a cui pensare.
–Non preoccuparti, sono abituato ad essere mollato senza spiegazioni- replicò il giovane medico.
–Scusa tanto se non ero dell’umore giusto! Ho perso mia madre, cazzo!
–Tua… madre? Sei… tu… sei la figlia perfetta di Mrs. Clover? C-Condoglianze. Non, uhm… le somigli affatto- boccheggiò Philip, ridendo tra sé e sé degli strani casi della vita.
–Potrei somigliare a mio padre- ribatté Sarah, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto, incurante di spargere il trucco sciolto, così facendo.
–Ho visto una sua foto: non assomigli neanche a lui.
–Quentin e Iris Clover sono i miei genitori, ma non condivido il loro DNA- sibilò la ragazza, indurendosi.
Philip comprese immediatamente cosa intendeva.
–Sei stata adottata.
–Sì. Ora che abbiamo chiarito la mia posizione, potresti gentilmente dirmi come conosci mia madre?
Realizzato di trovarsi al proverbiale punto in cui i nodi vengono al pettine, esalò, desiderando di tutto cuore essere qualcun altro –Sono… ero… il suo medico.
–Fantastico!- ringhiò rabbiosamente Sarah, lo spintonò e corse via, lasciandolo solo, sconsolato e pieno di domande.

Note dell’autrice:
Saretta non ha preso bene la notizia che Philip aveva in cura sua madre. Peccato, erano carinissimi insieme!
Il povero Ewan aveva proprio bisogno della compagnia di Jodie: ne ha passate di tutti i colori! Che razza di gente frequenta Carrie Gimpsky? XD
Il fisico col fisico bestiale, intanto, ha confessato l’inconfessabile: non è andato a letto con Marion! Riuscirà a rimediare, oppure la bella infermiera è off limits per lui?
Al prossimo appuntamento (letteralmente)! ;-)
Serpentina
Ps: il Caffè dello Sport esiste davvero, così come il Mandarin Oriental Hotel, uno degli alberghi più opulenti e costosi di Boston; il Pussy Cat è un cocktail analcolico preparato con succo d’arancia, succo d’ananas, Blue Curaçao analcolico e panna fresca. I Boston Celtics sono una delle trenta squadre NBA (per la precisione Eastern Conference, Atlantic Division), rivali storici dei Los Angeles Lakers (anche se si incontrano soltanto due volte durante il campionato, una a Boston e una a Los Angeles), Marcus Smart è un loro giocatore.
 
 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7: In cage ***


Salve salvino! Avete ancora gli occhi a cuoricino dal capitolo precedente? Spero di sì, vorrebbe dire che ho fatto un buon lavoro! ;-)
Sono felice di notare che, pian piano, Ewan, Jo e tutta l’allegra brigata stanno entrando nei vostri cuori. Non mi sono dimenticata di F&F, tranquilli: prima o poi torneranno in auge! ^^
Grazie mille ai fedeli (e non) lettori silenziosi, a Calliope S, LittleDreamer90 e sunburn1985, che hanno recensito, e ad Angelika_Morgenstern, che ha inserito la storia tra le ricordate. :-*

 
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In cage


L’uomo si trova spesso nell’impossibilità di fare qualcosa, prigioniero di non so quale gabbia orribile, spaventosamente orribile. Non sempre sa riconoscere che cos’è che lo rinchiude, che lo mura vivo, che sembra sotterrarlo, ma sente non so quali sbarre, quali muri…
Vincent van Gogh

–Chiamarla o non chiamarla, questo è il dilemma- sospirò il dottor Berger, destando Philip dalla trance in cui era caduto. Imbarazzato per essere stato colto in atteggiamento tutt’altro che produttivo, il medico si schiarì la voce e tentò di scusarsi, ma l’altro lo fece tacere alzando la mano e aggiunse –Struggiti d’amore quanto vuoi, Gage, purché non incida sul tuo lavoro.
–Io non mi struggo per amore!- protestò, confermando così la teoria di Berger, che ridacchiò divertito.
–Allora perché fissavi il telefono con quell’espressione da cucciolo spaurito? Qualunque sia il suo nome - non ci tengo a saperlo - non ci vuole niente a chiederle di uscire, sai? Il peggio che può succedere è che dica di no.
Per un nanosecondo Philip fu tentato di confessargli che moriva dalla voglia di telefonare a Sarah, non aveva fatto che pensare a lei dal giorno del funerale; la sua reazione, però, aveva freddato ogni entusiasmo: era chiaro che lo odiava per non  aver impedito il decesso di sua madre, oppure perché riteneva non l’avesse curata al meglio delle sue capacità. In ogni caso, ce l’aveva con lui, e di sicuro avrebbe riattaccato senza nemmeno dargli il tempo di un misero “ciao”. Strana la vita: prima mette sulla tua strada la donna perfetta (nella misura in cui un essere umano può essere perfetto), poi te la toglie nel più crudele dei modi. L’orgoglio, tuttavia, prevalse: Philip decise di tenere per sé quei pensieri e rifilò all’uomo che stimava, tanto da essersi trasferito a Boston soltanto per specializzarsi con lui, una bugia stentata.
Berger non la bevve, ma, per rispetto della privacy del suo allievo, lasciò correre. –Non insisto: sei adulto e responsabile delle tue azioni. Credo, però, sia opportuna una… chiamiamola disintossicazione: prenditi il pomeriggio di libertà e goditi il finesettimana lungo. Ci rivediamo martedì.
Se avesse saputo che, al MIT, Sarah controllava il cellulare ogni cinque minuti nella speranza di trovare messaggi o chiamate, quasi certamente Philip avrebbe composto il numero a velocità record. Purtroppo, non lo sapeva.
–Senza offesa, tesoro, ma sei la personificazione del cliché dell’ingegnere geniale quanto imbranato!- sbuffò Ingrid, fasciata in un tailleur scuro, sua divisa ufficiale. In qualità di addetta alle pubbliche relazioni, procacciava sponsor e (soprattutto) fondi e organizzava gli eventi per conto dell’istituto, ragion per cui l’immagine era fondamentale, per lei: sebbene stravedesse per jeans e magliette con scritte irriverenti, si costringeva in capi scomodi, ma professionali, che occultassero i tatuaggi. –Sai, non ti consumi le ditine se, pigiando sullo schermo, cerchi il suo numero in rubrica e premi il tasto di chiamata; magari anche il viva voce, eh? Così raccatto Jo e Jane e ascoltiamo tutte insieme appassionatamente il vostro idillio telefonico!
–Sei un’impicciona della peggior specie. E non capisco di cosa parli- replicò con un sorriso Sarah, impegnata nella valutazione di alcuni parametri di uno dei tanti progetti ai quali si stava dedicando: per reprimere il lutto e la tentazione di contattare Philip si era buttata a capofitto nel lavoro, azzerando quasi la vita sociale, ridotta alle sporadiche puntate al supermercato e un film a casa con le amiche. Invano queste avevano tentato di smuoverla, convinte che prima o poi si sarebbe esaurita: la bionda era irremovibile.
–Ah, certo!- sbottò la rossa. –Se non rischiassi il licenziamento e una condanna per omicidio ti farei capire a forza di botte in testa, giuro!
La saggezza popolare insegna che se si tira troppo la corda, prima o poi si spezza; Sarah perse la pazienza e abbaiò –Possibile che nessuno capisca? Non è bioingegneria avanzata, porca miseria! Mia madre, che riposi in pace, mi amava forse troppo; ha sempre programmato la mia vita secondo ciò che reputava meglio per me. Non le darò la soddisfazione di coronare il suo sogno di piazzarmi col suo medico, anche se attraente, dolce al punto giusto, ottimo amante… argh! Lo sto rifacendo! Basta elencare i suoi pregi!- si schiaffeggiò per riprendersi, aggiustò gli occhiali, scivolati sul naso e concluse –Se gli importasse di me si sarebbe già fatto vivo, invece nada de nada. E’ chiaro che, ottenuto quel che voleva, è salpato alla volta di altri lidi. I maschi della nostra generazione e successive non hanno il concetto dell’attesa: pretendono tutto e subito, e al diavolo le conseguenze (che tanto paghiamo noi donne, per inciso).
–Philip non è così- asserì Ingrid: aveva scambiato con lui due parole al Frost Ice Loft, mentre Sarah piagnucolava sul cocktail versato, e le era sembrato sinceramente interessato alla sua amica.
–Ci crederò quando ne avrò le prove- soffiò l’altra, in un tono che non ammetteva repliche.
Ingrid alzò bandiera bianca e lasciò il campo: meglio un’onorevole ritirata che una vittoria di Pirro. Sarah era adulta ed estremamente cocciuta, non sarebbe stata certo lei a liberarla dalla gabbia delle sue ferree convinzioni.

 
***

–Uh, la la! Ci stiamo imbellettando per Albert!- celiò allegramente Jodie, ammiccando in direzione di Marion, che arrossì e chiuse con violenza la porta del bagno. Come se fosse sufficiente a fermare quel tornado di sua sorella. –“Quando entri in una stanza, ecco cosa vedi: tutti si fermano e ti guardano. Sei sexy e lo sai”- canticchiò, agitando sensualmente i fianchi per stuzzicare ulteriormente Marion e divertire i nipotini.
–Ti avevo pregata  di non nominarlo in casa! Sei pessima!
–Tu, invece… “Sei sexy e lo sai. Sexy e lo sai. Sexy e lo sai”!- rincarò Jodie, per poi scoppiare a ridere.
–Cos’è il sexy, zia?- domandò Mari con tutta l’ingenuità dei suoi tre anni.
–Lo vedrai quando la mamma uscirà dal bagno, tesorino- le rispose nella maniera meno compromettente possibile.
Manuel, invece, focalizzò l’attenzione su un altro punto del dialogo. Incrociò le braccia e chiese, con un’aria severa degna di un membro dell’Inquisizione spagnola –Chi è questo Albert? E’ il tizio che ha parlato papà? Non gli piace.
–Di cui ha parlato papà- lo corresse Marion, prima di realizzare appieno la portata della frase. Se Jorge sperava di usare i bambini come tramite per farle sapere che era geloso e sopprimere sul nascere qualunque cosa ci fosse tra lei e il fisico, aveva fallito miseramente: quel po’ di vanità femminile stuzzicata dalla sua lampante gelosia non poté superare la profonda rabbia suscitata dall’apprendere che aveva coinvolto i loro figli in una questione che riguardava esclusivamente loro due. –Lui cosa? Come ha osato? Questa è violazione della privacy! La decisione di svelarvi o meno che frequento una persona spettava a me! E ha osato dire che non gli piace! Su quali basi non gli piace? Soltanto perché fa lo psicologo, non significa che possa permettersi di giudicare le persone a prima vista! Persone di cui non dovrebbe fregargli nulla, dato che sono io a uscire con Albert. O è arrivato a pedinarci nascosto nel bagagliaio? Da che pulpito osa sputare sentenze? È la mia vita, ca… spiterina, non ha il diritto di intromettersi! Ero sua moglie, non una sua proprietà!
–Disperavo di sentirti pronunciare queste parole- singhiozzò Jodie, asciugandosi finte lacrime agli angoli degli occhi. –Questo è parlare da donna con la D maiuscola!
–Papi non l’ha proprio detto a me- precisò Manuel. –L’ho sentito che lo diceva alla nonna. Diceva che esci con un tipo che non gli piace ed è preoccupato per te. Mi devo preoccupare, mamacita?
–Hai sei anni, Manuelito, vai a scuola- replicò Marion, impegnata nell’applicazione del mascara: un minimo errore e avrebbe rischiato di peggio che sembrare un mezzo panda. –Dovresti essere in grado di pensare con la tua testa. Lascia perdere quello che dice tuo padre, è libero di preoccuparsi quanto vuole: tu cosa pensi?
–Beh… ecco… io penso che non mi devo preoccupare, per ora: non lo so com’è Albert, ma ti vedo felice quando esci e pure quando torni a casa, quindi non può essere tanto male. Allora perché papi non vuole che lo vedi? Non dovrebbe essere contento che hai smesso di piangere e stare male?
Jodie sorrise dell’abilità, tutta infantile, di sollevare verità scomode. Si chiedeva come Marion avrebbe spiegato al figlio l’intricato rapporto con Jorge.
–Vostro padre non mi ama più, ma vuole un bene dell’anima a te e tua sorella, ed ha a cuore il vostro benessere. Ecco il motivo della sua diffidenza: desidera la mia felicità, ma ancora di più la vostra, e teme che un altro uomo possa non volervi bene quanto lui.
–Ma Albert non ci conosce! Non puoi volere bene a qualcuno se non lo conosci!
Ultimati trucco e parrucco, Marion aprì la porta e si mostrò in tutto il suo splendore.
–Ooh! Questo è sexy!- trillò Mari, suscitando l’ilarità degli altri tre.
–Grazie, cucciola- chiocciò, le stampò sulla guancia un bacione carico di affetto e rossetto, poi, mentre la puliva, ricevette uno squillo sul cellulare, segno che Albert era arrivato. –Devo scappare. Ah, che sia chiaro: apprezzo l’entusiasmo, ma prima che qualunque amico di mamma conosca voi, devo essere sicurissima che voglia davvero bene a me. Buonanotte, tesori!

 
***

Le lacrime sono come i pop corn: una tira l’altra. Non appena aveva messo piede in casa, aveva cominciato a piangere senza riuscire a fermarsi. Era andata in cucina e si era versata da bere: detestava la vodka, ma le serviva qualcosa di amaro in bocca che lavasse via l’amarezza degli eventi di quella sera.
Tutto era iniziato nel migliore dei modi: Albert non aveva commentato il suo leggero ritardo (calcolato), l’aveva inondata di complimenti e le aveva regalato quegli sguardi che la facevano letteralmente sciogliere. Non ricordava di essere mai stata guardata in quel modo… forse agli albori della storia con Jorge, durante il brevissimo corteggiamento; non passava inosservata, questo no, però in genere riceveva quelle che Jodie definiva “occhiate da macelleria” (perché facevano sentire una donna un pezzo di carne in vendita). Al contrario, si sentiva accarezzata dallo sguardo del fisico, col quale si era pian piano aperta, superando la sfiducia che un tradimento lascia in eredità. In linea con il suo carattere allegro e scanzonato, l’aveva conquistata con una battuta.
“–Correggimi se sbaglio: hai ventinove anni.
–Non ti hanno insegnato che non si chiede l’età a una signora?
–Non hai spento abbastanza candeline da poterti offendere, spiacente. Ripeto: hai ventinove anni.
–Te l’ha detto Jo?
Lo prenderò per un sì. Quindi hai ventinove anni e il tuo ex marito ti ha piantata per una più giovane.
–Sì.
–Ah-ah. E questa nuova fidanzata dove l’ha pescata, all’asilo? E’ un pedofilo?”
Albert possedeva l’innata capacità di mettere gli altri a proprio agio e farli addirittura ridere dei loro problemi. All’improvviso aveva visto ciò che fino a quel momento considerava un’onta umiliante esattamente per quello che era: un incidente di percorso. Non era la prima e, purtroppo, non sarebbe stata l’ultima a subire l’infedeltà del partner, ma non era un buon motivo per deprimersi: Jorge non l’apprezzava più? Pazienza! Avrebbe trovato qualcuno degno di lei. Anzi, forse l’aveva già trovato.
Messa da parte la ragione si era lasciata dominare dall’istinto, e aveva pagato caro quel po’ di piacere. La realtà era piombata su di lei con ali di falco, artigliandola nella gabbia delle sue responsabilità.
“–Non capisco come faccia. Al suo posto, sarei già scappato a gambe levate. Consiglia a Jodie di fare una ricerca al riguardo, perché metterei la mano sul fuoco che qualcosa nel testosterone rende noi maschi allergici alle responsabilità. C’è chi lo maschera meglio, chi peggio, ma è la realtà. Solo a nominarle viene l’orticaria, guarda!
–Non essere sciocco! La pelle si è arrossata perché ti sei grattato. Smettila di grattarti, o ti procurerai danni seri: le lesioni da grattamento si infettano molto facilmente.
–Agli ordini, infermiera! Posso confessarti una cosa?
–Non siamo in chiesa e io non sono un prete.
–Oh, no! Adesso ho in testa l’immagine di un prete a letto con me, col tuo intimo addosso! Che schifo!
–Hai un’immaginazione disgustosamente fervida, Albert.
–Spero che non mi giudicherai male: ho il vizio di essere sincero, anche quando non è opportuno. Di solito più tengo a qualcuno, più sono franco, ma stasera… sono stato ipocrita con te, Marion: ho deriso il tuo ex marito, quando sono come lui. Solo ragazze giovani, per me. Maggiorenni, ma comunque… sei la prima over venticinque con cui esco da dieci anni a questa parte.
–Oh. Ok. Dovrei, uhm, sentirmi onorata per averti convertito dall’asilo all’ospizio?
–Un po’ sì: se rinuncio senza rimpianti alle matricole con gli ormoni a palla, significa che sei speciale.
–Stai cadendo dalla padella nella brace.
–Oh, andiamo, non vorrai bruciarmi sul rogo! La verità è che ho sempre evitato come la peste di impegnarmi… fino ad ora. Le le donne della tua, ehm, nostra età o pianificano il futuro di entrambi e ti puntano la pistola alla tempia per procreare, oppure hanno già figliato e cercano un aiuto per tirare su i marmocchi. Eppure, stranamente, con te non ho paura. Sento che non avrò di questi problemi.
–No, non ne avrai.”
Ironia della sorte: ora che si era persuasa a dargli una possibilità, aveva scoperto che non poteva, non avrebbe mai potuto. Lui non lo voleva.
–Vorrei non averlo mai incontrato- biascicò, lievemente intontita dall’alcol.
–Perché piangi, mami?
Marion rimase pietrificata, il braccio cristallizzato nell’atto di riempire nuovamente il bicchiere. Con tutta la calma rimastale, rispose –Io e Albert abbiamo visto un film molto romantico, sai, di quelli pieni di baci e frasi zuccherose, e la mamma si è commossa.
–Così tanto?
–Era un film veramente strappalacrime. Tu, piuttosto, cosa ci fai in piedi a quest’ora? I bambini che hanno scuola dovrebbero riposare.
–Ho sete- pigolò lui e, in barba al divieto della madre, bevve direttamente dalla tanica da cinque litri d’acqua. –Hai detto a Albert che vogliamo conoscerlo?
Marion represse a stento un singhiozzo; respirò a pieni polmoni per calmarsi, quindi gnaulò –Me ne sono dimenticata.
–Pazienza- chiocciò Manuel, scrollò le spalle e tornò a letto, dove fu ben lieto di farsi rimboccare le coperte, prima di avvinghiarsi al suo collo. Stretta tra le braccine esili di suo figlio, Marion si ripeté che aveva preso la decisione giusta: se i suoi bambini erano la sua gabbia (dorata), non voleva essere liberata. –Glielo dirai la prossima volta che vi vedete.
–Dormi, che è tardi. Sogni d’oro, piccolo mio.

 
***

Se avesse visto sua figlia in quello stato, Iris avrebbe dato il via a una predica lunga un giorno intero sulla necessità per una donna di curarsi ventiquattrore su ventiquattro. Chissà, forse poteva comunque disapprovarla dal cielo, ma non poteva più sgridarla.
Sarah giaceva prona sul divano, avvolta dal caldo pigiama di pile e una copertina dello stesso materiale, con i capelli (per fortuna una parrucchiera era riuscita a riparare al danno provocato da un paio di forbici, una sbronza e il dolore per la perdita di una persona cara) scarmigliati e un rivoletto di saliva lungo la guancia, una bottiglia di birra vuota sul pavimento e occhiali e computer abbandonati sul tavolino. Attila, fida guardia del corpo a quattro zampe, ronfava beato nella sua comoda cesta, accanto alla porta. Li circondava il caos totale: aveva inizialmente seguito il suggerimento della vicina, nonché amica di sua madre, di sbarazzarsi delle inutili cianfrusaglie che Iris amava collezionare, ma aveva cambiato idea in corso d’opera; semplicemente, aveva trasferito il disordine dalla camera da letto al salotto. La sua stanza, invece, era immacolata, dato che, da quando viveva sola, finiva con l’addormentarsi sul divano mentre guardava la televisione, o si portava avanti col lavoro, o navigava in Rete.
Era ormai notte fonda e non si scomodò a svegliarsi la prima volta che udì il campanello, pensando si trattasse di un’allucinazione onirica. Impiegò parecchio tempo per rendersi conto che il rumore era reale: qualcuno stava bussando insistentemente, alternando il campanello a forti colpi alla porta. Attila scattò sull’attenti e prese ad abbaiare e ringhiare.
“Oh, no! Non di nuovo! Non ora che sono sola!”, pensò, ricordando con apprensione il furto subito tre anni prima, che l’aveva spinta a prendere un cane; la scelta, su consiglio di un amico di Simon, era ricaduta su uno Shikoku Inu, razza giapponese agile, adatta alla vita in appartamento, fedele al padrone fino alla morte, spietata contro qualsiasi minaccia. “Ah, già, che scema: adesso ho Attila! E poi quale ladro suonerebbe il campanello? Meglio che apra, o il rumore e il cane sveglieranno tutti. Mi manca solo una multa per disturbo della quiete pubblica!”
Si trovò di fronte all’ultima persona che avrebbe immaginato. Rimase impalata, imbambolata, maledicendosi per non aver inforcato gli occhiali, almeno avrebbe messo bene a fuoco quello stupido sorrisetto che intravedeva stampato sulla sua faccia.
–Ciao, bionda.
–Con quale coraggio osi farti vedere? Hai idea di che ore sono?- sputò, senza neppure provare a essere gentile. Tra la voglia di prenderlo a pugni e quella di baciarlo prevalse la prima; tuttavia - per ragioni ignote perfino a lei - vederlo incassare i colpi, inerme, stropicciandosi le palpebre tra uno sbadiglio e l’altro, la intenerì. Cambiò immediatamente tono e gli chiese, premurosa –Santo cielo, sei stravolto! Non potevi aspettare?
–Se avessi pensato di poter aspettare, credi che avrei guidato fin qui da New York di notte?
Sarah scrollò le spalle e, una volta che Philip ebbe ottenuto la benedizione di Attila, che gli leccò le mani in segno di affetto, lo invitò ad entrare, scusandosi ripetutamente per il disordine.
–Sono curiosa: cosa c’è di tanto importante da non poter aspettare fino a domattina?
–Ho bisogno di risposte, e anche tu. Subito- asserì lui, deciso, si accomodò senza invito sul divano e le fece segno di sedersi accanto a lui.
Sarah emise un sospiro di rassegnazione e preparò del caffè: avevano davanti una notte molto, molto lunga. Trasalì nell’avvertire una mano gelida risalire lungo la colonna vertebrale fino all’attaccatura dei capelli, fermandosi a giocherellare con alcune ciocche.
–Che stai facendo?
–Scusa- esalò Philip, ritraendosi. –Mi piace il tuo nuovo taglio. Non l’avrei mai detto, perché eri splendida con i capelli lunghi, ma… ti preferisco così.
–Piacere a te non è la mia priorità- ribatté seccamente Sarah, mordendosi poi il labbro, dispiaciuta per quella frase acida. –La buona educazione invece sì, perciò scusami per come ti ho trattato e ti sto trattando adesso.
–Mi sei mancata troppo per lamentarmi. Ora possiamo parlare?
–Non sono in vena- soffiò lei, afferrando la tazza di caffè bollente con entrambe le mani, quasi fosse un talismano. –Fammi una domanda e, se saprai chiedere, forse otterrai la risposta che cerchi.
–Una sola? Dubito basterà.
Philip aveva indovinato: una domanda non fu sufficiente. Superato l’impaccio iniziale, le parole fluirono copiosamente; avevano talmente tanto da dirsi, e altrettanto da ascoltare l’uno dall’altra, che riuscirono ad addormentarsi soltanto alle prime luci dell’alba. Lei lo assolse dalla sua auto-condanna, ripetendogli fino alla nausea che non lo reputava responsabile per la morte della madre, e lui fugò i suoi dubbi, assicurandole che l’aveva avvicinata senza sapere chi fosse, e non per assecondare i piani di Iris (come invece credeva Sarah, ragion per cui l’aveva respinto, al funerale). Il pensiero che la donna fosse riuscita nell’intento di unirli dall’aldilà solleticò l’ilarità di entrambi, che brindarono in suo onore col caffè rimasto.
Il mattino li colse così: abbracciati, con le gambe e le dita delle mani intrecciate.
Li risvegliò la squillante suoneria del cellulare di Philip, il quale, mugolando dal disappunto, pur di non aprire gli occhi cercò a tentoni il telefono. Sbadigliò, con voce impastata di sonno –Pronto?- salvo poi saltare come se avesse preso la scossa; animato da uno strano fervore, esclamò –Davvero? New Orleans? Faccio i bagagli e mi metto subito in viaggio! Grazie mille!
Sarah gli passò un braccio intorno al collo e lo risospinse sul letto, gli stampò un bacio lieve sulle labbra e sibilò –Dì alla tua amichetta della Louisiana che i suoi servigi non sono più richiesti, altrimenti sperimenterai la risonanza magnetica con bobina endorettale. Chiaro?
–Credi abbia un’amante in ogni città, come i marinai? Mi sopravvaluti!- si massaggiò le tempie e mugugnò –Come fai a essere così energica? Abbiamo dormito tre ore!
–Merito delle cinque tazzone di caffè bevute stanotte- cinguettò lei, baciandogli una spalla. –Allora, se non era la tua amante… chi ha disturbato?
Philip si irrigidì per qualche istante, dopodiché esalò –Il… dottor Berger. A New Orleans si tiene un, ehm, congresso, ma il collega che avrebbe dovuto accompagnarlo è malato; lo sostituirò io. Resterò fuori qualche giorno. Mi dispiace, non potrò aiutarti a sgomberare casa come promesso.
Sarah celò la delusione dietro un bacio lungo e passionale, infine sospirò –Sempre meglio di un’amante segreta!- lo osservò sorridente mentre si rivestiva e rispose con entusiasmo al bacio a sorpresa che lui le diede prima di andare.
–Almeno avrò qualcosa di bello a cui pensare nei momenti di noia.
–Te lo dico per esperienza, Phil: non ci si annoia a New Orleans!
–Dipende da cosa ti porta lì. Ti telefono quando arrivo, bionda.

 
***

Se il buongiorno si vede dal mattino, quello era destinato al disastro: era prevista neve, il cielo era grigio, il freddo pungente, la tristezza ancora abbastanza forte da stringerle il cuore in una morsa. Armata della forza d’animo tipica di chi crede nelle proprie scelte, Marion aiutò i figli a prepararsi per la scuola e raggiunse Jodie in cucina. Vide l’amarezza che la affliggeva riflessa nei suoi occhi, e sentì che aveva bisogno di sfogarsi.
–A cosa pensi?- le chiese.
–Avrei preferito “Un dollaro per i tuoi pensieri”, almeno avrei guadagnato qualcosina- replicò ridacchiando Jodie, rimestando nella ciotola colma di latte e fiocchi di mais. –Riflettevo sull’illusione di essere libera, quando invece mi sono chiusa in gabbia.
Marion batté una mano sulla parete color pesca della cucina e rispose, divertita –Non male come gabbia!
–Conosci la gabbia di Faraday?
–Dovrei?- pigolò imbarazzata la minore, intimidita dalla cultura scientifica dell’altra. –Sai che non sono mai stata una cima a scuola, e poi non tutti siamo aspiranti premi Nobel!
–Per fortuna, altrimenti che gusto ci sarebbe? Se vinci sei il vincitore, ma sei un vincente soltanto se batti i migliori- ribatté Jodie. –Comunque, per tua informazione, la gabbia di Faraday è un contenitore di materiale conduttore in grado di isolare l’ambiente interno da campi elettrostatici esterni. In pratica, se stai lì dentro e ti sparano, muori, se ti mandano una scarica col teaser, si riversa su chi sta fuori: la carica elettrostatica attiva, infatti, satura il sistema elettroconduttore, che cerca di scaricare questo enorme potenziale sui corpi più vicini posti al suo esterno. Ti risparmio i principi di funzionamento, hai sempre odiato la fisica.
–Molto interessante- ironizzò Marion, simulando uno sbadiglio. –Qual è il punto?
–Ho rivisto Doug - quel mio ex assurdo che fece la proposta dopo una settimana che ci conoscevamo - e, per un momento, ho sperato che la minestra riscaldata mi avrebbe effettivamente riscaldata. Mi sbagliavo: non provavo nulla per lui allora, men che mai adesso. Solamente ora ho realizzato di non aver mai amato in vita mia, dopo… beh, lo sai. Credevo che sfuggire al dolore fosse il modo migliore per essere felice. Di nuovo, mi sbagliavo: se niente e nessuno può toccarti, se i danni li riporta soltanto chi cerca di penetrare le tue difese, come in una gabbia di Faraday, sarai al riparo dall’infelicità… ma anche dalla felicità. Intrappolato in un limbo di indifferenza.
–Se ti liberassi, però, rischieresti di farti male- asserì Marion. Aveva sempre considerato Jodie un punto di riferimento, una donna combattiva, inossidabile, un esempio irraggiungibile; la sorprese scoprire il suo lato fragile, la tristezza celata dietro il sorriso smagliante e la battuta pronta. Capì che l’atteggiamento ribelle e la spregiudicatezza tenuti in passato erano stati una muta richiesta di aiuto, e si sentì impotente. –Non hai sofferto abbastanza?
–Vale la pena rischiare di turbare il proprio piccolo mondo per essere felici?- sospirò Jodie, girandosi dall’altra parte per nascondere gli occhi lucidi. –Perché io non lo sono. Ma neppure infelice. Non sono niente. E non sarò mai niente.
Non sapendo come consolarla, Marion optò per una strategia diversa, ma ugualmente efficace: il diversivo.
–Sono andata a letto con Albert- disse, e, sorridendo dell’espressione esterrefatta di Jodie, forse per la prima volta da quando erano bambine, aprì il proprio cuore alla sorella.

Note dell’autrice:
Credo che questo capitolo si commenti da solo. Non siete d’accordo?
Spero non vi siano mancati troppo Ewan e i suoi folli appuntamenti, ma tranquilli, torneranno nel prossimo!
Marion è rimasta fregata, e di brutto: Albert aveva iniziato a piacerle sul serio, e scopre che non può soffrire i pargoli! *offre fazzoletti ai Marbert (sì, ho creato folli nomi fangirlosi per le coppie) shippers*
Possono invece esultare i sostenitori della Sarlip (o è meglio Phirah?): sono usciti dalla gabbia! Non si può ancora definire amore folle, il loro, ma hanno compiuto un piccolo, significativo passo.
Jodie sta cominciando a mostrarsi in tutte le sue sfaccettature. Ricordate la frecciatina di Marion sul fatto che non ha mai avuto una relazione duratura? Presto scoprirete perché… ma non sono sicura se vi piacerà…
Chiudo con una notizia di servizio: ho creato una raccolta di missing moments e flashbacks di LQ, Beyond the quest. Passate a dare un’occhiata, dai! Vale la pena anche solo per ammirare il banner, opera di Calliope S! Non potrò mai ringraziarti abbastanza, Cal! <3 <3
Au revoir!
Serpentina
 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8: L'ora della resa ***


Grazie a Calliope S, che ha recensito, e a mich e pepapig, che seguono la storia. :-* Se volete ascoltare la suoneria del cellulare di Ewan, cliccate qui. Buona lettura!
 

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L’ora della resa

Arrendersi non significa sempre essere deboli; a volte significa essere forti abbastanza da lasciar perdere.
Marylin Monroe

Animo romantico e commedie sdolcinate avevano inculcato in Sarah il concetto che l’amore non fosse un sentimento tranquillo: si viene scossi da un terremoto di sensazioni, sotto forma di battito accelerato, desiderio, pseudo-crisi d’astinenza in assenza della persona amata e così via. Era certa, però, che l’inquietudine non rientrasse nello spettro di normali emozioni di un amore ricambiato. Allora perché, da quando era stata a casa di Philip, avvertiva una strana tensione aleggiare nell’aria? Non ne vedeva la ragione: era un banalissimo appartamento da scapolo. Un po’ disordinato, forse (era palese che non gli piacesse lavare i piatti), ma privo di corpi murati nelle pareti, presenze ectoplasmatiche, rumori sinistri e proverbiali scheletri nell’armadio.  Eppure, intuiva che qualcosa non andava. Era rimasta basita quando Philip, l’uomo più mite che conoscesse, le aveva strappato di mano una fotografia, sbraitando che non doveva mai più azzardarsi a toccarla. In seguito si era scusato profusamente, ma l’angoscia trasparita dal suo sguardo, e l’evasività riguardo il suo viaggio a New Orleans l’avevano turbata: cosa le stava nascondendo? E perché?
Rapita da tali misteri, si accorse dell’ingresso teatrale di Ingrid - con in testa un cappello da Babbo Natale che faceva a pugni coi suoi capelli di fiamma - seguita da Jane e Jodie, solamente quando canticchiò eccitata –Gioia e color, Natale è qua!
–Manca una settimana- osservò Jodie, seccata al pensiero di tutti i regali che ancora doveva comprare.
“Perché tutti dicono che basta il pensiero, ma se ti presenti con qualcosa meno di uno smartphone ti ringraziano con un pacco-bomba!”
–Lo so! Non siete anche voi ricolme di spirito di festa?- trillò Ingrid, ricevendo un cenno di assenso soltanto da Jane. –Capisco che abbiamo tutte passato i trenta, però non si è mai troppo grandi per festeggiare degnamente il Natale! Propongo un giro di ricognizione al Faneuil Market - voi impavide, se vorrete, potrete fare un giro sulla pista di pattinaggio, io preferisco rimanere coi piedi saldi sul terreno - coronata da cenetta. Scegliete il posto, a me va bene tutto.
–Ingrid, scusa, non sono dell’umore adatto- rispose Sarah, soffiando via dal volto una ciocca ribelle. –Ho un sacco di lavoro arretrato, il regalo per Phil in arretrato…
–Io te l’ho suggerito, ma tu non vuoi darmi retta!
–Non mi farò trovare sul suo letto coperta di carta da regalo!- ruggì Sarah, colorandosi di rosso vivo.
–Peccato, sono sicura che gli sarebbe piaciuto da morire “scartarti”. Vorrà dire che ti aiuteremo a scegliere un’alternativa quasi altrettanto allettante- replicò Ingrid. –Capisco che sei triste perché sarà il primo Natale senza tua madre, però…
–Credo ci sia dell’altro- asserì Jane. –Problemi con Phil?
–Lo so io cosa c’è!- esclamò trionfante Ingrid, ignorando i tentativi di Jodie di tapparle la bocca. –Sei delusa perché ti aspettavi una calibro quarantacinque, invece hai scoperto che il tuo dottorino sexy nelle mutande ha una nove millimetri!
–Cos… ti pare che ci sia andata a letto?- sbraitò la bionda, infervorandosi. –Ci scambiamo messaggi erotici, ci baciamo, ci palpeggiamo, a volte dormiamo insieme, ma… no. Ufficialmente sono a lutto, ufficiosamente… con Simon bruciai le tappe e sapete com’è andata a finire. Stavolta mi impegnerò affinché fili tutto liscio!
–Spero comunque per te che Phil abbia in dotazione una calibro quarantacinque. Comunque, qual è il problema?
–In realtà non so nemmeno se esiste davvero un problema- ammise Sarah. –Forse sto lavorando troppo di immaginazione. Da qualche giorno Phil è strano. Ora che ci penso, è da quando è tornato da New Orleans che si comporta in modo… odio ripetermi, ma strano è l’unica parola che mi viene in mente per descriverlo.
–So cosa regalarti: un dizionario dei sinonimi!- scherzò Jodie, che si era distaccata dalle amiche per curiosare: nel suo laboratorio regnava un caos ordinato e produttivo, molto diverso dal freddo ordine delle sale di progettazione. –Se non sei serena, parlane con lui. Il dialogo è la base di un rapporto solido. Fossi in te, lo coglierei di sorpresa e lo sottoporrei a un interrogatorio che manco il KGB dei tempi d’oro!
–Magari dopo avergli dato il regalo- suggerì Jane. –La gente è più bendisposta se ha qualcosa tra le mani.
–Il che ci riporta al discorso principale- concluse solennemente Ingrid. –Sarai dei nostri, è fuori discussione!

 
***

–Ironico: io, che avrei il diritto di disperarmi - perché detesto il Natale, per un motivo che conosci bene, e perché sono l’unico del gruppo ad avere una donna, e sai quanto sono puntigliose in fatto di regali - sono calmo e rilassato- commentò Philip Gage, fischiettando tra le bancarelle del Makers’ Market, il mercatino natalizio dell’artigianato. –Non mi sono mai impegnato nello shopping natalizio. Ricordate la mia ex? Detestava tutto ciò che fa paura e io le regalai “Udolpho”! E Cindy, la patita del biologico? Per poco non mi ficcò in gola il buono per un peeling chimico! È più forte di me: siccome odio la festa, fatico a fingermi allegro, col risultato che scelgo i regali con la stessa gioia con cui mi farei cavare un dente. Quest’anno, però, ho avuto un’insperata fortuna: un’ideona! È farina del sacco di Jared, e mi costerà un viaggio e un bel po’ di soldi, ma ne vale la pena.
–Sono felice per te. Ora renditi utile, basta il Grinch qua dietro a distrarmi- sbuffò seccato Jonathan Carmassi, indicando con un cenno Albert. –Quale regalereste a una donna che ti sta a cuore e non è vostra madre?
Gli altri tre esaminarono con occhio critico le opzioni, infine scelsero una semplice catenina dalla quale pendeva un ciondolo, a forma di fiocco di neve, punteggiato di piccoli cristalli che riverberavano alla luce solare.
–Questa. A tua sorella piacerà!- sentenziò Philip.
Jonathan avvampò e rischiò di strozzarsi con la sua stessa saliva, ma venne salvato dall’incombenza di una risposta da Ewan che rimproverò ad Albert la scarsa socievolezza che stava dimostrando.
–Perdonatemi se non sono di compagnia, ho altro per la testa- si scusò il fisico.
Philip, esibendo tutto il suo acume, sbottò –Marion, presumo. Rassegnati: non ti vuole!
–Lo so. Me l’ha detto stamani, per telefono. “Siamo incompatibili”, queste le sue parole, poi ha chiuso le comunicazioni. Rispetto la sua decisione; vorrei sapere su che basi è stata presa, tutto qui. Sembrava stessimo facendo progressi, cosa le ha fatto cambiare idea?
Philip, per evitare che l’umore di Albert li contagiasse, si affrettò a cambiare argomento.
–Ti piace il regalo che ha preso John per sua sorella?
Ewan fu l’unico insospettito dalla reazione dell’amico, che si schermì ed emise una sorta di singulto strozzato quando anche Albert asserì –A Sabrina piacerà. Va matta per la roba luccicosa!- e assunse la stessa sfumatura di rosso alla domanda impertinente –Tocca a te, El: cosa farai trovare sotto l’albero alla tua Jodie?
–Razza di impiccioni! Non è la mia Jodie!- soffiò il botanico, accalorandosi, e accogliendo con sollievo la richiesta di aiuto di Philip; non voleva rivelare di aver già comprato un regalo per lei (piuttosto costoso: di solito stabiliva un budget e non lo sforava di un centesimo, ma, per qualche oscura ragione, appena aveva posato lo sguardo sulla vetrina della gioielleria, non aveva resistito, e ne era uscito con un grazioso pacchettino infiocchettato), temeva il loro giudizio.
–Ehm, lasciamo perdere un attimo i tormenti amorosi di Al e la stupida testardaggine di El- sospirò, in leggero imbarazzo. –Ho bisogno di un consiglio.
–Spara!
–Vorrei tanto passare il Natale con Sarah, ma ho paura che sia troppo presto per portarla a casa, dai miei… secondo voi si spaventerebbe? Con Nicole affrettai i tempi e sapete com’è andata a finire. Stavolta mi impegnerò affinché fili tutto liscio!
–Rispondi a questa domanda- intervenne Ewan, guardandolo dritto negli occhi. –Vuoi portarla a Charleston perché ti fa pena pensarla sola a Natale, oppure perché non riusciresti a festeggiare senza di lei?
–Perché il Natale mi fa schifo, ma riesco a immaginarmi a banchettare, ballare e perdere ai giochi di società con lei al mio fianco- rispose senza esitare. Non era da lui compatire, quello che provava per Sarah faticava a chiamarlo amore, ma sicuramente non era pena. Se avesse rifiutato il suo invito, avrebbe rispettato il suo desiderio di solitudine: non è obbligatorio trascorrere le feste in compagnia, anzi, meglio soli che male accompagnati. Non era uno di quei buonisti da due soldi, disposti a rodersi il fegato banchettando con persone che detestavano, pur di preservare le apparenze.
–Ti sei risposto da solo- ridacchiarono in coro Ewan, Albert e Jonathan, quest’ultimo decisamente compiaciuto, come dimostravano i vistosi movimenti oscillatori che faceva compiere alla busta contenente la collana appena acquistata.
–Grazie mille, ragazzi. Troverò il coraggio di proporglielo, e… dita incrociate!- trillò il medico, incrociando le dita nella speranza di attirare su di sé la buona sorte (superstizioso no, un po’ scaramantico sì!). –Devo scappare, ci vediamo stasera!
–Buon turno in ospedale!
–Ospedale? Quale ospedale?

 
***

La Grande Mela possedeva un fascino magnetico trecentosessantacinque giorni l’anno, ma sotto Natale si arricchiva di un’atmosfera assolutamente irresistibile. Nessun luogo era comparabile alla sua amata New York, e, ogni qual volta vi faceva ritorno, Philip si sentiva pervadere da una punta di nostalgia, che svaniva nel momento esatto in cui realizzava quanto avrebbe perso se non si fosse trasferito a Boston.
Dopo aver disatteso la promessa tante, troppe volte, finalmente varcò la soglia di Austen&Company, la libreria di proprietà di Calliope Thompson in White, moglie del suo vecchio amico Jared.
–Sorpresa!
–Phil!- trillò la donna, abbracciandolo di slancio sotto lo sguardo tra il disgustato e il nauseato di una commessa - barricata dietro la cassa - che esibì la più buffa gamma di smorfie mai vista. –Chi o cosa devo ringraziare  per essere venuto a farmi visita?
–Commissioni da sbrigare.
–Grazie, commissioni, per avermi permesso di rivedere un amico. Mio marito si è reso utile, oppure è stato la solita palla al piede?
–Dovresti essere dalla mia parte, Callie!- sbuffò Jared, fingendosi offeso, ma era un pessimo attore: si sciolse immediatamente in un sorriso dolcissimo e la baciò, prima di accomiatarsi; suo fratello lo aveva precettato come babysitter, e lui non negava mai il proprio aiuto alla famiglia.
–Ora che se n’è andato, dimmi: ti ha davvero dato una mano?
–Tecnicamente, la mano me l’ha data tua cognata- ammise Philip, strizzandole l’occhio con fare complice. –Scherzi a parte, Jared mi ha parato il culo. In senso figurato, tranquilla.
La donna scoppiò a ridere, si assentò il tempo necessario a guidare alcuni clienti smarriti verso il libro giusto, dopodiché, accortasi che l’attenzione di Philip si era diretta altrove, divertita, celiò –Ti presento la mia più fidata collaboratrice, Sylvia.
–Piacere- disse lui, tendendole la mano, e rimase scioccato dalla sua glaciale replica (“Non do la mano. Scusa, ma non mi va di mischiare i miei germi con quelli di chi conosco appena!”) quanto dal suo aspetto pittoresco: indossava un paio di vistosi occhiali da fare invidia alla collezione di Albert, abbinati a jeans strappati - con i buchi bordati di pizzo bianco - un dolcevita rosso e un gilet in pelle traforato; a completare il quadro, una bombetta verde acido, pendant con gli scarponcini Birkenstock.
Calliope, che mal sopportava i silenzi imbarazzati, proruppe subito in un gioviale –Allora? Ti piace il mio angolo di paradiso?
–È stupendo- esalò, guardandosi intorno estasiato; quel posto corrispondeva alla sua idea di libreria: un’oasi di pace, un accogliente rifugio dal grigiore della modernità, dove concedersi una coccola cartacea e immergersi in un pezzo di vita altrui, frutto dell’immaginazione dell’autore. A Philip, oltre che la storia, era sempre piaciuto fantasticare sul processo di scrittura, sul percorso che portava da un accenno di idea a una trama vera e propria, e poi all’opera completa. Chi sosteneva che si vive una volta sola non aveva mai letto un libro. –Rispecchia la tua personalità.
–Spero di vederti spesso, allora- celiò Calliope. –Magari insieme a… Sarah, giusto?
–Noto con piacere che Jared sa mantenere un segreto- ironizzò Philip, lasciandosi sfuggire un sorriso.
–Non con me- ribatté l’altra, mentre osservava con la coda dell’occhio il magico sorriso di Sylvia all’opera: un burbero omaccione - con ogni probabilità un giocatore di football - che aveva dichiarato, poco prima, di voler acquistare il primo tomo passabile e uscire, si era diretto alla cassa reggendone in bilico cinque. –Anche perché sono curiosa come una scimmia e martellante peggio di un picchio, pessima accoppiata. Parole di Jared, eh! Quasi dimenticavo: non penso ci rivedremo prima di gennaio, perciò… prendi ora il nostro regalo!
–Callie, non…
–Zitto!- lo mise a tacere, poi indicò gli scaffali con un ampio movimento della mano. –Guardati intorno e scegline uno. Offre la casa!
Impossibile resistere a una simile offerta, almeno per Philip, che si fiondò a spulciare tra i volumi, in cerca di quello che, come da tradizione, avrebbe letto a letto la mattina di Natale… magari con Sarah nuda tra le braccia. Quel pensiero gli diede una forte scarica di eccitazione, che si tradusse in una vampata di rossore alle guance e la sensazione di trovarsi in una sauna, tanto che, nell’impossibilità di lanciarsi sotto un getto di acqua fredda, dovette sventolarsi con un libro per avere refrigerio. Una telefonata improvvisa abbassò di diversi gradi la sua temperatura corporea e privò il viso di ogni traccia di colore; angosciato, ripose il libro e si congedò da Calliope col frettoloso –Sceglierò il mio regalo un’altra volta, Callie. Devo andare, rischio una denuncia!

 
***

–Phil ci dà buca- annunciò scocciato Albert, infastidito dai brontolii di uno stomaco rimasto a brontolare, vuoto, nella vana attesa dell’amico, nonché dagli acuti striduli di una signora di mezza età, intenta a profanare “Bohemian Rapsody”. –Odio il karaoke!
–Non è vero- lo rimbeccò Jonathan, impegnato nella consultazione del menu. Il Franklin Café non era a buon mercato, ma la sua filosofia proclamava l’obbligo di non risparmiare su ciò che entra nel proprio corpo. –Ti ho visto - e ahimè, sentito - cantare, pardon, steccare un sacco di volte, a casa tua!
–Steccare? Io? Ma se ho la voce di un usignolo!- ribatté oltraggiato il fisico.
La discussione proseguì, salvo una breve pausa - necessaria ad ordinare (per la gioia della cameriera) e poi consumare il pasto - finché Ewan, stufo di sentirli bisticciare, non eruppe in uno stizzito –Chiudete il becco!
Una ragazza - età presunta venticinque-trenta, una cascata di lisci capelli corvini ad accentuare il pallore cutaneo e carnose labbra rosse che attraevano lo sguardo, mettendo in secondo piano i piccoli, anonimi occhi castani - si era avvicendata al microfono e stava intonando, seppur con voce “di gola” da cantante amatoriale, uno dei brani preferiti del botanico.
Rapito da quella visione quasi paradisiaca, non gradì quando Albert disturbò la contemplazione con uno dei suoi commenti inopportuni.
–Gnocca, è gnocca. Poco fa, uscendo dal bagno, le ho sbattuto la porta sul naso e, invece di mandarmi a quel paese, si è scusata; quindi pollici in su per il carattere. Adora i Red Hot. Sei autorizzato a fartela piacere, o comunque fartela: te ne sono piaciute di peggiori!
–Ti contraddico subito: la bellezza è soggettiva. Cosa ti fa credere sia il mio tipo?
–Una così è il tipo di tutti!- esclamò Jonathan.
–Può darsi, ma sul resto continuo a dissentire: il fatto che stia cantando ‘Tell me baby’ non implica sia una fan dei Red Hot. Sono la mia band preferita, eppure come suoneria ho ‘Minority’ dei Green Day!
–Saggia considerazione- asserì Albert, il mento poggiato sui palmi delle mani in una posa meditabonda. –Tuttavia le basi sono obiettivamente buone, conviene buttarsi.
–Dite che potrei provarci? Non sono in tenuta da rimorchio- pigolò Ewan mentre controllava il proprio aspetto sul dorso del cucchiaio. –Come sto?
–Che ti frega?- sbottò Albert, spingendolo lontano dal loro tavolo (ma non prima di avergli ficcato in tasca la famigerata lista). –Vai, prima che cominci a sospettare che in te alberga una femmina vanitosa!
Si diresse con passo malfermo verso il bar, ringraziando tutte le divinità a lui note per aver lasciato vacanti giusto i posti ai lati della bella (tra pochi istanti non più) sconosciuta.
–È libero?- esordì, dandosi mentalmente dell’idiota.
–Prego, siediti- rispose lei, rivelando una voce lievemente acuta, ma non sgradevole (“alla Loretta”, per intendersi). –Ti va di bere qualcosa?
Preso in contropiede da quell’approccio diretto, balbettò –O-Ok. Un w-whisky, per favore.
–Piace molto anche a me, però ti consiglio di provare il Creamy Irish: irish coffee con gelato alla vaniglia al posto della panna. Delizioso!
–Non amo molto gli alcolici cremosi, ma cedo alla tentazione: vado pazzo per il gelato!- rispose Ewan, stupito che la sua interlocutrice non si fosse ancora rivelata un fenomeno da baraccone. –Peccato che a Boston in pochi lo facciano davvero buono.
–Ah, sì?- lo incalzò lei. –Per esempio?
–Toscanini. È senza ombra di dubbio la miglior gelateria della città, lo giurerei perfino sotto tortura!
La sua risata, simile a un latrato, echeggiò per il locale, lasciando Ewan basito: non gli pareva di aver fatto una battuta, cos’aveva da ridere?
–Questa frase da sola basta a garantirti un anno di gelati gratis!
–C-Come, prego?
–Sono Michelle Toscanini- cinguettò la ragazza, stringendogli calorosamente la mano. –La gelateria è di mio padre.
La poca sicurezza conquistata nei minuti seguenti grazie alla gentilezza di Michelle, Ewan la perse nel momento in cui i suoi amici, rallegrati da qualche birretta di troppo, iniziarono ad esternare la loro approvazione. Costernato, pigolò –Posso fingere di non conoscerli?
–Potresti darmi il tuo numero, così la prossima volta ci vedremo senza cori da stadio.
Si stavano scambiando i contatti quando Albert, sopraggiunto per valutare di persona i progressi del suo amico, assestò a Ewan una poderosa pacca sulla schiena, facendo così cadere sul pavimento il foglietto che teneva in tasca. Michelle lo batté sul tempo; lo raccolse e, man mano che scorreva la lista, la sua espressione divenne livida.
–Cosa diavolo è questa? Mi stavi facendo l’audizione per il ruolo di fidanzata ideale?
–No! Stavo semplicemente vedendo se…
–Corrispondo a questa stupida lista?- ululò, prima di lanciargli in faccia quel che rimaneva del Creamy Irish e andarsene. –Dio, sei così patetico! Scordati che esisto, e stai alla larga dalla mia gelateria!
–Focosa, la tipa!
Furibondo, Ewan afferrò il fisico per il colletto della camicia e ringhiò –Maledetto imbecille! Poteva essere la volta buona!
–Evita di sgualcirmi la camicia. Grazie- esalò in un sibilo strozzato Albert, dopodiché si produsse in fischi di apprezzamento. –Ciao, bambolona!
Ewan si voltò e dovette sforzarsi di trattenere la mandibola: Jodie era veramente spettacolare, fasciata in un abito rosso aderente che lasciava scoperta una parte della scollatura sufficiente ad oscurare gli onnipresenti rotolini. Al tavolo, vicino a Jonathan, si erano intanto accomodate Ingrid, la sua compagna Paula e Jane. Non gli sfuggì l’assenza di Sarah; tutto a un tratto, comprese perché Philip li avesse bidonati.
–La mamma non ti ha insegnato che si fischia ai cani, non alle donne? Ad ogni modo, grazie dell’invito, Al, hai dato uno scopo al nostro pigro vagare- gorgheggiò. –Ewan Ellis. Sexy anche col faccino sporco!
–Colpa sua- sibilò, dardeggiando occhiate assassine in direzione di Albert. –La prima tizia normale che incontro da mesi, e lui manda tutto a monte! Era incazzata come una iena, mi ha tirato addosso il suo Creamy Irish.
–Quella cagata col gelato al posto della panna? Roba da ragazzini delle medie!- sputò sprezzante Jodie. –Ho bisogno di scaldarmi. Un irish tradizionale, con poca panna e tanto alcol, è quel che ci vuole. Mi fai compagnia?

 
***

Sarah non capiva i meccanismi del cervello di Philip: lo aveva chiamato, in preda al panico, in cerca di conforto e della razionalità di cui al momento era priva. Mai si sarebbe aspettata che lui la rassicurasse sbrigativamente e le intimasse di restare a casa. Un messaggio, col quale le chiedeva di scendere in strada, accrebbe la sua perplessità. Nella foga di raggiungerlo dimenticò di infilare il cappotto, per cui rabbrividì quando il freddo penetrò la cappa di vestiario e il suo corpo, fin dentro le ossa. Si strinse nelle spalle e sollevò la pesante sciarpa di lana, lavorata a maglia da sua madre, coprendo la parte inferiore del viso. La perplessità si tramutò in ansia quando, senza nemmeno un bacio, le chiese –Hai sporto denuncia?
–No. Ho seguito le tue indicazioni: andrò domattina alla stazione di polizia- soffiò Sarah, seriamente preoccupata. –Phil, cosa sta succedendo?
–Niente, bionda- rispose, serrandola in un abbraccio. –Niente di male. Entriamo in casa, stai gelando!
–Non prima di sapere cos’hai combinato. Perché mi hai impedito di denunciare il furto?
–Ne parliamo al caldo, eh?
–No, ne parliamo adesso!- tuonò Sarah, colpendolo al torace con entrambi i pugni. –Ho capito: non volevi che andassi alla polizia perché sei stato tu! Hai rubato in casa mia!
–Non ho rubato! Ho… preso in prestito alcune cose a tua insaputa.
–È rubare, Philip!
–No, perché ti avrei restituito tutto… a tempo debito. Intuisco che non mi credi, quindi lo farò adesso. Peccato, però: a Natale sarebbe stato più d’atmosfera- consegnò a Sarah uno scatolino ed estrasse dal bagagliaio una borsa. –Ho prelevato da casa tua dei libri e una vecchia collana che apparteneva a tua madre. Se manca altro, non è colpa mia. Ti lamentavi che il meccanismo musicale all’interno del ciondolo era rotto, così l’ho portato a far riparare; quanto ai libri, l’autrice è la sorella del mio amico Jared - mi pare di avertelo nominato - glieli ho fatti autografare. Il piano prevedeva di farti trovare i “doni” impacchettati sotto l’albero, magari quello malandato dei miei zii, e pavoneggiarmi per aver avuto un’idea romantica. Invece è andato tutto a rotoli.
Sarah, con mano tremante, aprì il ciondolo che suo padre aveva regalato a sua madre per il loro primo anniversario, e si commosse nell’udire la melodia metallica; passò un dito sulla fotografia, che li ritraeva raggianti il giorno delle nozze, asciugando le lacrime che vi erano cadute sopra.
–Grazie.
–Per te questo ed altro. Adesso, però, saliamo, o beccherai una polmonite!
–Agli ordini, dottore!- trillò lei, avviandosi su per le scale. –Sia mai che mi perda lo spettacolo dell’albero avvizzito dei tuoi zii!
–Dovresti salvaguardare la tua salute. E l’albero dei miei zii non è avvizzito, solo storto- la redarguì Philip, prima di elaborare la seconda metà della frase. –Sul serio verrai con me?
–Sì- gli assicurò, per poi baciargli la punta del naso. –E se il famoso albero degli zii Gage non è malandato come dici, dovrai pagare pegno!
Il tono allusivo accese la malizia di Philip, che, poggiata in un angolo la borsa carica di libri, la sollevò da terra tenendola per le natiche e le sussurrò all’orecchio –Con vero piacere, bionda.

 
***

Con Jonathan sparito chissà dove a telefonare, e le “fantastiche tre” occupate ad intrattenere gli avventori del Franklin Café sulle note di ‘Eye of the tiger’, Jodie rimase a dare man forte ad Albert nella consolazione dell’afflitto.
–Non abbatterti, Ewan: da qualche parte c’è la donna per te.
–Infatti. Aspetta solo di essere scovata!- rincarò Albert. –Pensa positivo, amico: una pazza che ti tira addosso liquido bollente è meglio perderla che trovarla!
–Mi avrebbe tirato addosso la sua lingerie, se non ti fossi intromesso!- replicò furioso Ewan. Istintivamente, dopo aver pronunciato quelle parole, avvampò e cercò lo sguardo di Jodie, ma lei si mostrò improvvisamente interessata al centrotavola.
–La frittata è fatta- pigolò, a capo chino, con una freddezza insolita per lei. –Inutile recriminare. Andrà meglio la prossima volta.
–No, perché non ci sarà nessuna prossima volta. Getto le armi. Mi arrendo. Sono stufo di appuntamenti ai confini della realtà con donne surreali, e per cosa? Una cazzo di scommessa e lo stupido desiderio di…
–Mettere su famiglia?
–Avere un addio al celibato pazzesco con le spogliarelliste?
–Sentirmi completo- concluse mestamente Ewan. –Un consiglio, Al: rifletti, prima di aprir bocca, perché anche le stronzate hanno conseguenze. Forse è per qualcosa che hai detto che Marion ti ha scaricato, e non posso darle torto!
Gli aveva tirato un colpo basso, ne era consapevole, per cui non lo sorprese vederlo alzarsi, pagare la propria parte di conto e uscire. Lo sorprese molto, invece, e in negativo, la reazione di Jodie, che lo imitò.
–Vai da lui. Lo immaginavo.
–Hai esagerato- fu la sua risposta, pronunciata senza degnarlo di uno sguardo. Raggiunse Albert, lo arpionò per un braccio e mormorò –Non lo pensava davvero.
–Potrei essere arrabbiato, ma non lo sono- asserì lui, osservandola con l’aria di chi la sa lunga. –Non ora che ho intuito perché ce l’ha con me.
–Non ce l’ha con te- ribatté Jodie. –Si è solo lasciato trascinare. Appena devia dal sentiero di ordine e metodo, Ewan combina disastri.
–Credici, se vuoi; la verità è che persino nella sua rabbia ci sono ordine e metodo! Comunque, mi ha fornito l’occasione per darti una cosa lontano da occhi indiscreti.
–È per chi penso io?- sbuffò Jodie, soppesando il pacchetto.
–Sì, se stai pensando a te stessa- rispose Albert, orgoglioso per essere riuscito a strabiliarla. –Lo confesso: in principio era per tua sorella, ma se io non merito una spiegazione per essere stato mollato su due piedi, lei non merita il mio regalo!
–Tifo per voi, sappilo. Purtroppo è impossibile ricondurla alla ragione, quando si impunta- sospirò lei, carezzandogli una guancia. –Spero che questa breve parentesi diventi presto un ricordo sbiadito, per entrambi.
–Non per me- mormorò lui, voltandosi per celarle il suo stato d’animo. –Cercherò Marion in tutte le donne che incontrerò d’ora in poi.
–È andata a cena con Jorge, stasera. Arrenditi, Al.
Ewan, che aveva assistito alla scena attraverso una finestra, represse a fatica il desiderio di spaccare il muso al suo migliore amico, e artigliò con ferocia il divanetto verde scuro quando vide Jodie alzarsi sulle punte per dargli un bacio. Non riusciva a razionalizzare la rabbia viscerale che provava, ma di una cosa era certo: il suo regalo Jodie non l’avrebbe visto neppure col lanternino. Non lo meritava.
Audrey Ellis non avrebbe mai saputo che gli orecchini sfoggiati a teatro il giorno di Capodanno erano destinati ad un’altra.

 
***

La sorprese trovare Marion a letto, rannicchiata, illuminata dalla luce bluastra del laptop: era convinta di sentirla o vederla rientrare all’alba, con i vestiti malmessi e l’aria colpevole.
–Avevi ragione tu- piagnucolò. –Come al solito. Contenta?
–Mi ritieni capace di godere della tua sofferenza?- chiocciò Jodie, si sedette sul bordo del suo letto e le baciò la tempia finché non si fu calmata, come quando erano piccole. –Però sono contenta che finalmente abbia capito che razza di stronzo avevi sposato. E tu che non volevi nemmeno divorziare!
–Peccato ti sia sbagliata proprio su Albert. Mi stavo innamorando di lui, e credo ricambiasse. Come risarcimento, pretendo che passi le feste in famiglia!
Jodie sbiancò e, tale il terrore, scivolò giù dal letto. Riemersa, esclamò –Tornare a Sandpoint? Te lo scordi!

Note dell’autrice:
Jodie cederà? Tornerà nella città natale? Lo scoprirete nel prossimo extra della raccolta ‘Beyond the quest’. Vi anticipo che ci sarà uno special natalizio sulle sorelle Carr. So che siamo a novembre, e spero di non scadere nel ridicolo, ma non vorrei rimandare la pubblicazione di un mese solo per trovarmi con le date.
A proposito di Philip… ancora grazie a Calliope S, che gentilmente mi presta i suoi personaggi (se non l’avete ancora fatto, correte a leggere la sua "Quando meno te l'aspetti", presto!). Spero di aver reso loro onore. ^_^
Ewan sta sbarellando: dove sono finiti ordine e metodo? Se c’è Jodie nei paraggi, vanno in vacanza! XD
Povero Albert. Dalle mie parti si dice “cornuto e mazziato”: Marion lo ha mollato senza spiegazioni. Effettivamente, dargliele sarebbe stato complicato, anzi, impossibile, senza rivelargli l’esistenza di Manuel e Mariposa.
Ma i pargoli saranno davvero troppo “ingombranti” per il fisico più sexy che ci sia?
Au revoir!
Serpentina
 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9: The belle of the ball ***


Innanzitutto, grazie mille per il crescente seguito che sta avendo Love Quest: era partita in sordina, tanto che ero sul punto di cancellarla, invece, con mia grande gioia, Ewan, Jo e gli altri vi stanno conquistando. Non avete idea di quanto questo mi renda felice!
Finora è rimasto in disparte, ma finalmente verrà alla ribalta Jonathan. Spero che anche lui si accaparrerà una fetta di fans (i miei pronostici sono stati sovvertiti: è Albert il più amato dei “Fantastici quattro”! Credevo sarebbe toccata ad Ewan la medaglia d’oro).
Grazie ad elev, che ha recensito, e a barbara71, Lux Lancaster e Miss_Panda, che seguono questa storia. :-*
Indossate l’abito da sera e prendete un Martini, ne vedrete delle belle!

 

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The belle of the ball

Il fascino è molto più pericoloso della semplice bellezza. Mette radici nella mente, per poi conquistare tutto il resto.
Michela Strega

In piedi nell’ingresso-soggiorno dell’appartamento di suo fratello, Sabrina Carmassi - ospite per le ferie invernali (con Philip a Charleston, avevano la casa a disposizione) - stava camminando in cerchio sul tappeto zebrato (di pessimo gusto, ma che lui adorava) con tale enfasi da logorarlo. Di tanto in tanto si fermava, levava le braccia e gli occhi al cielo e borbottava qualcosa sulla mancanza di criterio tipica del sesso maschile.
–Spiegami come funziona il tuo cervello, da sola non ci arrivo. Perché ca… accidenti, tra tutte le donne che ti scalderebbero volentieri il letto e/o il cuore, hai scelto proprio quel ghiacciolo di Carrie Gimpsky? Cosa ci trovi in lei? Oppure sei mentalmente confuso e credi di vivere nell’epoca di Hammurabi, occhio per occhio, dente per dente, tu ti scopi mia sorella e io la tua?
Superata la piena, Jonathan si riprese dallo stordimento causato dal fiume straripante di parole e passò al contrattacco.
–Pensi che mi sia vendicato? Dopo tutti questi anni? Sab, mi conosci: per me la vendetta è un piatto che va servito bollente, altrimenti oltre al disturbo ti becchi pure la beffa di passare dalla parte del torto. “Eh, ma che esagerato, è passato tanto tempo”… no! I conti si regolano subito, dopodiché si perdona.
–Ah, sì? Non ricordo che tu ed Albert abbiate mai “regolato i conti”- ribatté Sabrina, scrutandolo torva dall’alto del suo metro e sessanta (più dodici centimetri di tacco).
–Non l’avrei mai picchiato con te presente!- spiegò lui, a capo chino: inutile usare il famoso sorriso che bucava letteralmente lo schermo con sua sorella, ne era immune.
–Picchiato? Possibile che voi maschi non conosciate maniere incruente di risolvere i problemi?
–Ehi, un occhio nero, un labbro spaccato e due otturazioni saltate non sono un prezzo sufficiente per aver fatto soffrire la mia sorellina adorata. Però Al è un amico, gli feci un po’ di sconto.
Intenerita da quella inaspettata dichiarazione d’amore fraterno, Sabrina si buttò di peso su di lui e lo ricoprì di baci.
–Il mio Johnny! Chi ha bisogno del principe azzurro, quando ho un fratellone come te? Certo, sei un rompiscatole con manie di protagonismo, ma comunque un tesoro!- chiocciò, soffocandolo in un abbraccio eccessivamente affettuoso. –Ora, tralasciando il passato… Albert è un coglione, ma neanche tu scherzi! Sei stato fortunato che nel suo cervellotico cranio due più due faccia tre, altrimenti ti avrebbe scuoiato vivo! Tanto valeva le chiedessi di sposarti davanti a tutti i suoi parenti!
–Sono stufo di questa situazione, Sab. È anormale voler stare con chi ci piace alla luce del sole?- sbottò Jonathan, frustrato; all’inizio la segretezza era eccitante, adesso non più: desiderava gridare i suoi sentimenti al mondo intero.
–Sì, se quella persona è Caroline Gimpsky- rispose lei in tono spiccio, dandogli uno scappellotto.
–Al cuor non si comanda, dovresti saperlo.
–Lo so, ma sta’ attento, ti prego: non sopporterei di vederti soffrire- cinguettò Sabrina, quindi andò ad aprire la porta. Accolse l’ospite con un terrificante sguardo torvo e l’acerrimo –Parli del diavolo… e spunta Belzebù!
–Dov’è? Dov’è il coglione?- sbraitò l’altra, spingendola da parte, per poi sfogare la propria ira su un inerme Jonathan, colto in flagrante mentre si stava barricando nella sua stanza. –Ah, eccoti! Basta nascondersi, decerebrato! Ti sono saltate tutte le rotelle contemporaneamente, per caso? Come ti è venuto in mente di farmi un regalo? COME? C’è mancato tanto così- portò pollice ed indice quasi a toccarsi –Che Al mangiasse la foglia!
–Sarebbe pure ora, non credi? È da un anno che va avanti questa storia! Considera la collana un doppio regalo, per Natale e per il nostro anniversario- soffiò lui, deluso dall’ingratitudine e dalla freddezza di Carrie.
La brunetta storse il naso e le labbra in una smorfia di puro disgusto, poi sibilò –Stammi a sentire, Jonidiota Carmastupido: se Al dovesse venire a sapere di questa nostra “cosa” non ti evirerà, né ti ucciderà… perché avrò provveduto io!- raggiunse la porta e, prima di uscire di scena sbattendola con violenza, aggiunse –Ah, naturalmente questa discussione non intaccherà i nostri programmi per il fine settimana: col cavolo che spendo duecento dollari in intimo sexy e poi lo ficco in un cassetto ad ammuffire! Ti aspetto sabato mattina alle otto in punto. Non tardare e non scordarti i preservativi, sono in pausa dalla pillola.
Ancora sconcertata dalla scenata alla quale aveva appena assistito (nonché irritata per essere stata ignorata, al pari di un complemento d’arredo), Sabrina si sedette accanto a Jonathan, gli cinse le spalle e sospirò –Al cuor non si comanda… tu, però, col tuo avresti dovuto tentare.

 
***

Altro giorno, altra casa, altro piccolo dramma quotidiano.
–Mi raccomando, non dimenticare il mio gelato al dulce de leche!- raccomandò Jodie a sua sorella, ricevendo un cenno di assenso. –Sono già in astinenza!
–Non ti distrarre, zia!- le ordinò imperioso Manuel; con enorme gioia di madre e zia ascoltava di buon grado le storie, non solo prima di dormire, e col tempo avrebbe imparato a leggerle da solo: distingueva le lettere e riusciva a leggere parole intere, però non era ancora in grado di leggere un’intera frase e contemporaneamente comprenderla. –Devo sapere se alla fine l’anello rubato viene restituito al colonnello!
–Il colonnello non uccide nessuno, vero?- gnaulò Mariposa, avvinghiandosi koalescamente al fratello. –È morto morto, vero? Non può fare male alle persone.
Marion, rivolto alla sorella un muto rimprovero per aver spaventato la bambina con un racconto inadatto alla sua tenera età, le fece capire a gesti che al suo ritorno l’avrebbe sgridata per bene, dopodiché uscì, diretta al Wal Mart.
Se avesse saputo in chi si sarebbe imbattuta nel supermercato, avrebbe mandato a fare la spesa Jodie.
All’inizio aveva pensato di soffrire di allucinazioni, poi, quando aveva udito la sua voce (stava parlando con una donna, e inconsciamente Marion sperò fosse una delle sue sorelle), aveva realizzato che era reale ed aveva cercato in ogni modo di evitarlo. Peccato che la famigerata ironia della sorte quel giorno fosse in gran forma: come al loro primo incontro, nella fretta di sfuggirgli imboccò la corsia sbagliata e finì col far scontrare i loro carrelli.
–Ehi, faccia più… Marion?
–C-Ciao, Albert. Piccolo il mondo, eh?
–Claustrofobico- sibilò lui, fulminandola con lo sguardo. –Bene, è stato bello scoprire che sei viva. Adieu!
–Aspetta!- esclamò Marion, afferrandogli un lembo del cappotto. –So di meritare il tuo disprezzo, mi sono comportata malissimo, sono sparita all’improvviso senza una spiegazione, però… ci soffro. Da morire. Non riesco a stare senza di te, perciò vorrei che restassimo amici.
–Dopo che siamo usciti insieme, abbiamo dormito insieme… dopo che abbiamo condiviso così tanto… pretendi che restiamo amici?- ripeté Albert, furente; se avesse potuto, l’avrebbe incenerita emettendo fiamme dalla bocca. –Come osi chiedermi una cosa del genere? Io ti… io non posso!
–Credimi, fa più male a me che a te- pigolò Marion. –Però capisco il tuo desiderio di tagliarmi fuori dalla tua vita, e lo rispetto. Scusami, avrei dovuto salutarti e basta. Meglio che vada, adesso.
–Quello che ti riesce meglio- sbuffò il fisico, per poi fiondarsi a sbarrarle la strada. –Non così in fretta, bellezza: mi devi una spiegazione decente e la otterrò, a costo di strappartela con la forza!
–È meglio se chiudiamo qui. Non hai idea di quello che mi stai chiedendo- gli rispose, accorgendosi di tremare leggermente solamente quando avvertì il tocco calmante delle mani di Albert lungo le braccia.
–“Siamo incompatibili” non è una valida ragione per darti alla macchia, non dopo mille prove del contrario. Se credessi a stronzate tipo le anime gemelle, direi che tu sei la mia. Allora perché hai troncato ogni rapporto con me? La verità, stavolta.
–A volte la verità è peggiore dei dubbi- asserì Marion, voltandosi per non incrociare i suoi occhi: sarebbe stata incapace di mentirgli, e, dato che lo avrebbe perso in ogni caso, tanto valeva custodire il segreto. –Se te la dicessi, spariresti come ho fatto io. Ora devo proprio scappare.
Albert la bloccò per un braccio e la costrinse a guardarlo dritto in volto. –Voglio saperla ugualmente- sibilò. –Me lo merito. Non ti lascerò andare finché non avrai cantato. Avanti, su, urla, chiama la sicurezza, non me ne frega niente!
Il timore di Marion si tramutò in rabbia: cercava la verità? Benissimo! Gliel’avrebbe servita su un piatto d’argento, e che ci si strozzasse!
–E va bene, ma non ti piacerà. Ho due figli- ringhiò, senza muovere un muscolo oltre quelli facciali, nemmeno quando lui, sconvolto dalla notizia, fece cadere la salsa barbecue, che si schiantò sul pavimento in un fragore di vetri rotti. –Non sei disposto ad accollarti tutto il pacchetto, vero?- valse la regola del silenzio-assenso, per cui, rompendo un lungo e denso silenzio, sospirò, prima di andare alla cassa –Lo immaginavo. Stammi bene, Al.

 
***

–Buongiorno a tutti- tuonò il rettore Brown col suo vocione. Fisicamente, somigliava moltissimo all’omonimo Cleveland, l’amico di Peter Griffin, solo senza baffi. Caratterialmente, invece, era un misto tra Gatsby e Horace Slughorn: forse perché celava una vena malinconica, adorava le luci, lo sfarzo, il prestigio (quando aveva scoperto che il misterioso finanziatore era Ewan, aveva bellamente ignorato le sue suppliche del botanico di non lasciar trapelare la notizia e aveva coinvolto la stampa: non avrebbe rinunciato a una ghiottissima opportunità per pubblicizzare l’ateneo soltanto per rispetto della privacy di uno dei docenti); non a caso, da quando era subentrato alla direzione della Boston University, l’annuale Winter Party - che si teneva a gennaio, prima della ripresa dei corsi - era stato trasformato da festicciola informale riservata al personale docente (in contrapposizione all’analogo evento studentesco) in grande soirée, alla quale prendevano parte anche ex alunni famosi. –Permettetemi di ringraziarvi per l’ottimo lavoro svolto questo trimestre con gli studenti… e con l’organizzazione della festa. Senza il vostro aiuto, tutto ciò non sarebbe mai diventato realtà. Fatevi un applauso!- uno scrosciante battere di mani (Albert e Ewan si scambiarono un’occhiata colma di esasperazione) interruppe brevemente il discorso. –Sono lieto di annunciarvi che quest’anno avremo non uno, ben due ex-alunni celebri. I nomi Jhumpa Lahiri e Geena Davis non vi sono ignoti, suppongo- un mormorio concitato accolse la grande notizia –Ebbene, avrete modo di fare la loro conoscenza… di persona!
–Devo ammettere che ha fatto le cose in grande- sussurrò eccitato Ewan. –Non vedo l’ora di incontrare Jhumpa Lahiri!
–Tu sei l’eccezione al detto “tira più un pelo di gnocca che un carro di buoi”!- sbuffò Albert. –No, dico, avrai Geena Davis - ripeto, Geena Davis, mica l’ultima delle cozze - a tua disposizione per una sera, e pensi a questo Lumpa Jari? Ma chi lo conosce!
–Jhumpa Lahiri. È una scrittrice famosissima, Al!
–Io non sapevo nemmeno che esistesse, fa un po’ tu.
–Prima che ti regalassi i suoi libri, non conoscevi neanche Banana Yoshimoto- ridacchiò il botanico. –“Ah, è una persona? Pensavo fosse una marca di dildo giapponese!”
–Sì, beh… tu ignoravi l’esistenza di ‘Dungeons&Dragons’!- replicò seccato il fisico: era molto competitivo, e non gli piaceva fare la figura dell’ignorante.
–Mi auguro che darete il meglio di voi e renderete giustizia alla nostra splendida università. Vi voglio tirati a lucido, chiaro? Dimostriamo all’America che Boston è la città più raffinata. Quanto ad eleganza, non abbiamo rivali! La seduta è aggiornata!
Gli ultimi scampoli del discorso del rettore avevano posto fine alla discussione, e i due si stavano avviando alla porta, quando due manone artigliarono le loro spalle, costringendoli a fermarsi.
–Rettore- pigolarono, sudando freddo (soprattutto Ewan: l’ultima volta che aveva avuto un faccia a faccia con Brown, era finito sui giornali!). –A cosa dobbiamo il piacere di essere trattenuti?
–Non preoccupatevi, sarò conciso- sibilò lui, sogghignando. –Volevo semplicemente avvisarvi che, sebbene non obbligatoria, è consigliabile la presenza di un’accompagnatrice. Per due baldi giovani come voi non sarà un problema, giusto? Ah, naturalmente compagnia degna- il ghigno si fece più ampio –Mi riferisco in particolare a lei, Gimpsky: le galline le lasci a razzolare nell’aia. Mi sono spiegato?
Albert, pietrificato, si limitò ad annuire, poi, quando l’uomo ebbe lasciato l’aula, si esibì in un saluto militare, scandendo –Signorsì, signore! Ogni suo desiderio è un ordine, signore!
Sconcertato dalla capacità dell’amico di scherzare in qualunque situazione, Ewan esalò –Piantala, cretino! Brown era serissimo: non te la caverai con la solita oca raccattata all’ultimo minuto, e neppure con una delle tue sorelle, le conosce tutte. Sei nella merda!
–Ne uscirò. Non importa quanto sprofondi, riesco sempre a cavarmela- rispose Albert, quindi, dopo averlo salutato, prese il cellulare e selezionò un numero a chiamata rapida. –Ehi, so di essere molto probabilmente l’ultima persona che ti saresti aspettata di sentire, ma ti prego di non riattaccare subito: ho bisogno di te.

 
***

Mentre esaminava con occhio critico la propria figura allo specchio, si diede della stupida: cosa le era passato per la testa quando aveva accettato quella follia? Dopo l’episodio del supermercato avrebbe dovuto evitare Albert come la peste, non accompagnarlo ad un evento ufficiale dell’università!
La consapevolezza che sarebbe stata sotto gli occhi di tutti, passata ai raggi X dalle altre dame, acuì l’ansia e la rese maggiormente prona ad individuare ogni minimo difetto nell’abito e nell’acconciatura. Si sentì una ragazzina prima del ballo scolastico, non una donna attraente e padrona di sè.
–Chi me l’ha fatto fare?- piagnucolò, portata sull’orlo dell’isteria da un ciuffetto di capelli incastrato nella montatura elaborata di un orecchino.
–Ooh, finiscila di lagnarti!- sbottò sua sorella, districò la ciocca ribelle e le porse il cofanetto dei trucchi. –Albert ha tanti difetti, non lo nego, ma è una brava persona, non potevi rifiutarti di aiutarlo… altrimenti ti avrei costretta io a calci nel sedere!
–Quanta bontà d’animo, sono commossa!
–Aggiungi il bonus di poterti ammirare tutta in tiro… purtroppo il tran-tran quotidiano ci impedisce di godere della mondanità quanto vorremmo- celiò mentre l’altra si truccava. Approvò la scelta di enfatizzare lo sguardo: madre natura aveva dotato entrambe di uno stupendo paio di occhi di giada, sarebbe stato un peccato mortificarli. –Sei uno splendore. Al poveretto verrà un colpo!
–Poveretto un corno! Dopo tutto ‘sto sbattimento, un colpo è il minimo!
Imbacuccata con cappotto dal collo di (eco)pelliccia, sciarpona, guanti e cappello, andò incontro al suo cavaliere, il quale, da perfetto gentiluomo, la salutò con un baciamano (suscitando le sue risate) e le aprì la portiera dell’automobile.
–Il Castello vi attende, principessa!

 
***

Ewan si trattenne a stento dal contravvenire ad una regola non scritta del bon ton scolando un cocktail (lui, che non li poteva soffrire!): la sala era affollata e l’aria afosa, grazie al camino, un mix soffocante. Purtroppo per lui, il galateo imponeva di attendere che tutti gli invitati fossero presenti, prima di concedersi una bevanda rinfrescante o un gustoso stuzzichino (chissà perché, quel pensiero gli riportò alla mente la disastrosa cena con Jane), per cui, esaurite le chiacchiere con colleghi e conoscenti, si limitò a guardarsi intorno mentre si passava l’indice nel colletto della camicia.
“Dannato smoking! E dannato Brown che ci obbliga ad indossarlo! Mi sento uno dei pinguini in ‘Mary Poppins’!”
Le ospiti vip non erano ancora arrivate e cominciava a scocciarsi: la conversazione monotona, la bocca secca e lo stomaco brontolante stavano esaurendo la sua pazienza; istintivamente, cercò sollievo in giardino, sfidando il clima rigido di gennaio (mosso anche dal desiderio di sfuggire alla ramanzina del rettore per essersi presentato senza dolce compagnia). Una volta all’aperto respirò profondamente, inalando a pieni polmoni l’aria fredda, e ammirò il panorama: il Boston University Castle, oltre ad essere un magnifico edificio in stile Tudor (sebbene fosse stato edificato nel 1915), godeva di una vista spettacolare sul fiume Charles. Rapito dal panorama mozzafiato, non si accorse dell’arrivo di un'altra persona finché questa non gli rivolse la parola.
–Ciao. Sigaretta?
–No, grazie- rifiutò recisamente, mantenendo le distanze: le precedenti esperienze negative lo avevano reso guardingo nei confronti del gentil sesso (non molto gentile, a giudicare da certi esemplari). –Non fumo. Anzi, ero uscito a prendere una boccata d’aria.
La donna, dall’aria inspiegabilmente familiare, ignorò la frecciatina e accese la sigaretta, riempiendo l’aria circostante di fumo amarognolo, infine sorrise maliziosamente.
–Spero non ti dispiaccia- soffiò lei, voltandosi verso il Castello. –Fumo solamente quando sono sotto stress. Una sigaretta ogni tanto non costituisce vizio.
In leggero imbarazzo, Ewan ricambiò il sorriso e la osservò da capo a piedi: era piuttosto bella, con lunghi boccoli castani che emanavano riflessi più chiari alla luce giallastra del lampione, sfavillanti occhi blu e carnosa bocca da baciare. Sembrava una bambola, e lui, dopo Loretta, aveva imparato a diffidare delle bambole, ragion per cui rimase sulla difensiva.
–Il “prototipo del piacere perfetto” secondo Oscar Wilde non ha mai esercitato alcuna attrattiva su di me. Quando sono stressato, scrocchio le dita- rispose Ewan, stupito dal tono normale, addirittura banale, della conversazione ed altrettanto sicuro che, da un momento all’altro, sarebbe accaduto qualcosa di tragicomico.
–Abitudine altrettanto insalubre. Rovina le articolazioni- replicò lei, per poi tendergli la mano in una presentazione formale. –Mi chiamo Norma. Deverill. Immagino che tu non mi conosca. Io, invece, so chi sei: Ewan Ellis, l’assistente preferito dagli studenti.
Il botanico fu lieto che non avesse accennato ai soldi, e si sciolse un pochettino.
–Ora ricordo: ti ho vista qualche volta in università, ma sono felice che ci siamo presentati. So di sbagliare, ma non possiedo la capacità di parlare con chi conosco appena come fossimo vecchi amici. Insegni anche tu?
–Non sarei sulla lista degli invitati, altrimenti- cinguettò Norma, schioccando le labbra color vinaccia. –Storia precolombiana.
–Affascinante! Ammetto, però, di essere terribilmente ignorante in materia- esalò Ewan, tingendosi di rosso. –Forse, se avessi avuto un’insegnante come te, avrei un’idea degli avvenimenti antecedenti la guerra civile.
Norma, avvezza a quel genere di complimenti, finse di esserne colpita; si schermì la parte bassa del volto con la mano e gorgheggiò, civettuola –Che galante! Grazie!- schiacciò il mozzicone in un portacenere da borsa e gli arpionò un braccio. –Muoio dalla voglia di bere qualcosa. Tu no? Rientriamo, dai.
Salirono lungo l’ampia scala in legno - coperta da un tappeto rosso - che conduceva alla sala della festa, delimitata, da un lato, da una fila di colonne (sotto le quali era stato allestito il buffet), dall’altro da una serie di finestre decorate con stucchi avorio. L’arredamento, le pareti color crema, l’illuminazione e l’enorme camino acceso davano l’impressione di fare un salto nello spazio e nel tempo, entrando in un’aristocratica magione inglese.
–Manca soltanto la pioggia- commentò Ewan, ricevendo una risata poco entusiasta da Norma.
–Qual era quel film in cui dicevano “Potrebbe andare peggio. Potrebbe piovere” e all’improvviso vien giù un temporale?
–Frankenstein Junior.
Discorrere con lei, dopo una breve impasse, si rivelò più naturale di quanto pensasse: certo, a volte trovava la sua conversazione noiosa, altre doveva appellarsi a tutta la diplomazia di cui era capace per tenere a freno la lingua, o almeno esprimere la propria opinione in termini pacati, ma era comunque gradevole scambiare quattro chiacchiere con una donna colta e a modo; non aveva fatto dell’ironia sulla sua vincita, non gli aveva gettato in faccia il suo Martini e non aveva blaterato di matrimoni principeschi e di un futuro nel quale si sarebbe chiamata Norma Ellis.
“Una persona normale, finalmente! Grazie a tutti gli dei!”, pensò, sospirando dal sollievo. Tastò il taschino contenente la famigerata lista e la scorse mentalmente: soddisfaceva quasi tutti i punti (non che l’indifferenza per il baseball fosse un problema: l’importante era che tollerasse la sua smodata passione e non la ostacolasse). Eppure…
Mancava qualcosa. La sua ricercata nonna avrebbe sicuramente usato la vetusta espressione “quel certo non so che”, cogliendo nel segno, perché non sapeva assolutamente quale fosse il “che” in questione.
Era impegnato a lambiccarsi senza dare nell’occhio (sarebbe stato complicato spiegare la faccenda a Norma), quando il suo sguardo si posò su qualcuno che mai si sarebbe aspettato di vedere.
–Jodie?
Era favolosa, nella sua semplicità: il vestito blu, dalla linea morbida, che lasciava scoperte le spalle, le donava particolarmente, e i capelli, raccolti in uno studiatamente disordinato chignon laterale, mostravano la curva del collo (si morse il labbro, pervaso dall’inspiegabile voglia di baciarlo). Anche i gioielli erano semplici, ma d’effetto, e brillavano quanto i suoi occhi.
Si girò e, per alcuni istanti, Ewan ebbe difficoltà a respirare: pur senza lustrini, scollature ardite o spacchi vertiginosi, Jodie risultava più sensuale delle signore presenti, inclusa Norma, avvolta da uno sgargiante abito blu elettrico effetto vedo-non vedo.
–Ewan Ellis. Sta diventando un appuntamento fisso, il nostro- ridacchiò. –Noto con piacere che sei in compagnia. Jodie Carr, molto lieta- aggiunse, regalandole un fulgido sorriso.
–Norma Deverill. Piacere mio- sibilò l’altra in un tono che palesava quanto in realtà avrebbe preferito che Jodie si teletrasportasse all’altro capo del mondo.
–Cosa ci fai qui?- esalò infine Ewan, incredulo per essere riuscito a pronunciare una frase intera: era convinto di aver perso il fiato e, stando alla sensazione di peso alla bocca dello stomaco, questo doveva aver invaso il torace. Non si era mai sentito così, e se ne domandò la causa. –Il rettore Brown ti sta corteggiando per qualche cattedra vacante?
–Oh, no! Non sono qui per lavoro e ho appena conosciuto il rettore. Istrionico, ma innocuo (mi ha fissato le tette, però ormai ci ho fatto il callo, non mi imbarazzo più)- pigolò immediatamente, scuotendo il capo con decisione. –No, a dire il vero sono qui con…
–Rifornimento abbeveraggio!- esclamò Albert, facendosi largo tra la piccola folla reggendo due bicchieri da cocktail. –Ti piace il Cuba Libre, vero?
–Gimpsky- ringhiò il botanico, stupendosi di se stesso: non aveva mai chiamato il suo amico per cognome, prima, né, persino nei momenti bui, aveva provato una brama di strozzarlo o spezzargli il collo pari a quella che lo aveva pervaso quando l’aveva visto attirarla a sé e posarle un bacio sulla guancia. Non aveva capito che il mostro dagli occhi verdi lo aveva trasformato nel suo fiero pasto. –Sei il suo accompagnatore, presumo.
–Presumi bene- rispose il fisico, serrando la presa su Jodie. –Brown mi voleva al fianco di una donna di classe e io l’ho accontentato: forse esistono creature più belle, ma nessuna dotata anche di un cervello come il suo. Oh, non arrossire, dolcezza, è la pura verità; sei una perla rara! Ho già ottenuto la benedizione del grande capo, puoi concedermi la tua, El?
–L-La m-mia b-benedizione?
–Sei il mio migliore amico, non potrei frequentare qualcuno che non ti va a genio- chiocciò Albert, dardeggiandolo con strane occhiate. –Uh, la la, sembra siano arrivate le attrazioni della serata! Che ne dici di unirci al comitato di benvenuto, Jo? Se non ricordo male, smaniavi per conoscere Jambo, no, Jaliri… insomma, la scrittrice. Con permesso.
Ewan restò a bocca aperta, imbambolato, a pugni chiusi, finché Norma, palesemente irritata, non sbuffò –Stavi per invitarmi a cena fuori, se non erro.
Leggermente stordito, come chi è appena uscito dalla trance, si girò verso di lei ed balbettò –Eh? Uh? Oh, ehm, s-sì. T-Ti p-piace la cucina italiana?

Note dell’autrice:
Specchio, specchio incorniciato di giallo, chi è la bella del ballo? L’algida Norma (immaginatela come volete. Per me ha le sembianze di Shania Twain) o la florida Jodie?
Se non vi accontentate di immaginare i loro abiti, cliccate qui per il vestito di Jo e qui per quello di Norma.
Ewan non ha preso bene di vederla insieme ad Albert… strano, Marion non ha fatto storie! Albert, dal canto suo, era perfettamente a suo agio, tanto da chiedere la benedizione del suo amico. Vi sconvolge che abbia cambiato sorella così in fretta? Non dovrebbe, non dopo l’incontro-scontro con Marion al supermercato.
E Jonathan? Cosa ne pensate di lui? Rovinerà la sua relazione con Carrie nel tentativo di portarla alla luce? Certo è che la sorellina di Albert è un peperino dal carattere difficile (anche lei immaginatela come vi pare, ma per me è Sophie Ellis-Bextor). Jonathan è un santo!
Alla prossima!
Serpentina
Ps: Jhumpa Lahiri ha veramente frequentato la BU ed è una scrittrice che ho scoperto da poco. Trovai i suoi libri su uno stand al Book Festival e ne presi un paio, da regalare… li ho tenuti entrambi. XD Un consiglio: se non avete altro da fare, procuratevi una copertina, una bevanda calda e “La moglie” o “L’interprete dei malanni”!

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Capitolo 11
*** Capitolo 10: Look forward ***


Tra Ewan, che vuole provare a far funzionare le cose con Norma, Jodie, che sembra presa da Albert, Marion, che cerca di disamorarsi di lui, e il resto della compagnia, ce n’è di “carne” al fuoco in questo capitolo. Buon barbecue e buone feste!
Come sempre, grazie a tutti i lettori, in particolare a Calliope S, LittleDreamer90 e marioasi, che hanno recensito, e a lilly_13 e Minerva McGonagall, che seguono questa storia.

 

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Look forward

Il tempo può avere un parto difficile, ma non abortisce mai.
Felicité-Robert de Lamennais

Philip Gage stringeva il volante come se ne andasse della sua vita, e pigiava sull’acceleratore senza preoccuparsi di eventuali noie con la polizia; fosse stato per lui avrebbe infranto la barriera del suono, pur di raggiungere il più in fretta possibile Yuma. Sentì Sarah sbuffare e smuoversi sul sedile del passeggero, lamentandosi del caldo mentre si tergeva la fronte sudata: si stavano spostando dal clima tipicamente invernale di Charleston a quello desertico dell’Arizona, era normale sudare sotto il maglione, ma non avevano avuto tempo per cambiarsi, né potevano andare in giro nudi. Si accorse, con una rapida occhiata nello specchietto, di non versare in condizioni migliori: erano entrambi stremati dal lungo viaggio senza soste e dal peso di una storia pazzesca che li avrebbe fatti crollare, se non avessero avuto la responsabilità di sostenersi a vicenda a tenerli aggrappati alla sanità mentale. Contagiata dal suo nervosismo, Sarah tamburellò le dita sul cruscotto, le frenetiche giornate precedenti proiettate davanti ai suoi occhi come un film del quale avrebbe preferito non essere protagonista.
“Aveva attribuito l’inspiegabile tensione che la attanagliava all’ansia di fare una buona impressione ai parenti di Philip, mista alla malinconia legata al vuoto lasciato da sua madre; era consapevole che si sarebbe colmato, in futuro, però era il primo anno cominciato senza di lei, la ferita aperta ancora sanguinava. Non riusciva a spiegarsi, però, come mai questa tensione non si fosse allentata, nonostante l’accoglienza calorosa dei Gage, i quali l’avevano fatta sentire di famiglia e avevano dimostrato un’incredibile apertura mentale, consentendole di dividere la camera con Philip.
L’unica nota stonata era l’anziana Mrs. Gage, una vecchina apparentemente tranquilla. Era rimasta stranita dall’unica conversazione vera e propria sostenuta con lei: si era dichiarata felice che suo nipote (per qualche oscura ragione sbagliava spesso nome, chiamandolo Pierce, suscitando curiose reazioni nei presenti; chi teneva in mano qualcosa la faceva cadere, guance rubizze per il caldo e le bevande alcoliche sbiancavano all’istante e ogni traccia di gioia svaniva dalla stanza) avesse trovato una brava ragazza, perché ne aveva passate tante; era felice di avere la sua approvazione, però, allo stesso tempo, era perplessa: analizzando i suoi discorsi, sembrava si riferisse a due persone diverse, il figliol prodigo perduto e il figlio d’oro. La giustificazione fornitale da Philip, ossia che sua nonna aveva qualche rotella fuori posto - soffriva di cleptomania e problemi di memoria - non la convinse, e la mattina del primo di gennaio scoprì perché: stava cercando delle formine (aveva deciso di ringraziare i suoi gentili ospiti preparando loro i deliziosi biscotti di capodanno di sua madre), quando si imbatté in un cartone del latte.
Scuotendo il capo, divertita, ridacchiò –Ehi, Phil, tua nonna è passata al furto di alimenti! Ha preso del latte, scaduto nel… cosa?
La data di scadenza risaliva al 1987, e su un lato campeggiava una fotografia corredata di didascalia: “Pierce Gage. Scomparso il 12/24/1986. Qualsiasi informazione utile sarà ricompensata.”
–Ho capito soltanto mezza frase- bofonchiò Philip, la bocca piena di ciambellone. –Che altro ha combinato mia nonna?
Sarah sussultò e si girò di scatto, agitata come una criminale colta sul luogo del delitto.
–Niente. Assolutamente niente. Io… ehm… stavo… sì, insomma, volevo.... vorrei… cucinare i biscotti di mia madre. La tua non si offenderà, spero! È una tradizione e mi piacerebbe rispettarla anche se lei non c’è più.
Purtroppo per lei, oltre ad essere un bravo medico e un fidanzato premuroso, Philip era anche molto perspicace.
–Per favore, non disonorare la memoria di quella donna straordinaria usandola come diversivo- sibilò. –Cosa nascondi dietro la schiena?- stroncò sul nascere ogni sua debole protesta e latrò, ardente di rabbia –Cosa tieni lì dietro, Sarah?- non le diede modo di rispondere, la aggirò e vide uno dei pochi ricordi di Pierce rimasti intatti. Ignorò qualunque suo tentativo di scusarsi ed esalò –Prima o poi ci saresti arrivata da sola, mia nonna è una gran chiacchierona.
–Pierce era tuo fratello?
–È. Mi rifiuto di crederlo morto- ringhiò Philip, passando l’indice sull’immagine sbiadita dal tempo. –Non ricordo molto di quel giorno, solo che fu l’ultima Vigilia veramente felice per la mia famiglia. Avevo sette anni, lui dieci. La nonna ci aveva accompagnati al centro commerciale, dove avevano allestito un villaggio di Babbo Natale; nella calca ci perdemmo di vista, e… non so che fine abbia fatto. È diventato un tabù: i miei genitori, pur di non affrontare il dolore, hanno cancellato il ricordo di mio fratello, fingono che non sia mai esistito; hanno dato via molte sue cose, chiuso a chiave la sua stanza e tolto le fotografie dalle pareti. Un po’ li capisco, ma non riesco a perdere le speranze.”
–Animo, amore! Qui parla di resti scheletrici, soggetto tra i quindici e i vent’anni- lesse Sarah dal giornale. –Forse è la volta buona!- realizzò un istante dopo la sua gaffe. –Oddio! Che stupida! Ovvio che non sarebbe buono, per niente! Io…
–Tranquilla, ho capito cosa intendi- la rassicurò lui, prima di fermarsi in una desolata stazione di servizio per rifornire il serbatoio. –E hai ragione: non sapere in cosa sperare è peggio della disperazione. Quando passi anni nel dubbio, qualunque certezza, anche se spiacevole, vale oro.
–Strano che tuo cugino ci abbia prestato il pick-up: i tuoi parenti considerano Pierce già defunto, non avrebbe dovuto provare a fermarci?- osservò Sarah, esprimendo un interrogativo che stava mettendo a dura prova i suoi neuroni.
Philip assunse una sfumatura di rosso simile a quella dei suoi capelli e ammise –Al contrario: ha approvato con tutto il cuore ed è stato felicissimo di darci una mano. Pure gli altri approveranno (superato lo shock), dopo che quel pettegolo di Shane avrà spifferato la bugia che gli ho rifilato.
–Ovvero?
–Che la tua venuta a sorpresa era un test per vedere se saresti piaciuta o meno ai miei parenti e… dato che l’hai superato… e che a nessuno dei due piacciono le cerimonie pompose… andiamo a sposarci nel deserto!

 
***

Riadattarsi alla routine dei giorni lavorativi, dopo una lunga vacanza, non è semplice: si viene travolti da una valanga di commissioni, noie burocratiche, compiti da correggere, lezioni a non finire… e non si ha tempo per nient’altro.
Infatti Ewan, causa impegni, aveva visto pochissimo Norma e quasi per niente Albert. Fu, quindi, molto felice di incrociarlo lungo le scale e offrirgli un caffè.
–Allora, come va? I tuoi studenti ti fanno ammattire? I miei sì: sembra che dimenticare completamente il programma del primo trimestre faccia parte della magia del Natale!- sbottò il fisico, aggiustandosi gli occhiali - di uno sgargiante giallo canarino - scivolati sul naso.
–Perlomeno ti hanno concesso di parlare di fisica. I miei, invece, se ne sono altamente “sbattuti” della Dionaea muscipula e mi hanno tempestato di domande sul Winter Party: com’erano le decorazioni, i look degli invitati, le ospiti celebri… se è vero che “i due assistenti più fighi dell’università sono stati accalappiati”…
–Un vero peccato che nel carnet didattico di questa università non sia compreso il corso di “Farsigliaffariproprilogia”- replicò ironico Albert. –E non osare tirar fuori il portafoglio! Tu hai proposto il caffè, ma a cacciare i quattrini sarò io, è fuori discussione!
–No, Al!- tentò di protestare Ewan, prontamente azzittito dall’amico.
–Fai un favore a entrambi: taci!- sbuffò Albert, poi si aprì in un sorriso radioso e salutò animatamente Jodie, appena comparsa nell’atrio con due bicchieroni di Starbucks.
–Rifornimento abbeveraggio!- trillò, usando la stessa espressione di Albert alla festa. –Ewan Ellis! Ti trovo in forma smagliante! Merito di Norma?
–Anche- rispose lui, sibillino, dopodiché, guidato da un impulso irrazionale - caldamente disapprovato dalla corteccia cerebrale, tutta “ordine e metodo” - afferrò un bicchiere di carta e la ringraziò. –È caffè, quello? Grazie mille! Sei un angelo!
Aveva già cominciato a bere quando un ridacchiante Albert gli fece notare –Ehm, El… credo che quello fosse suo.
Realizzata, grazie alle risate dei due, la figura barbina che aveva fatto, Ewan avvampò e pigolò delle scuse, ma Jodie lo mise a tacere con un gesto della mano e lo spiccio –Non preoccuparti: un simile comportamento non è da te, questo significa che hai un disperato bisogno di psicostimolanti! La caffeina ti rimetterà in sesto. Anzi, sapete cosa vi dico? Godetevi il caffè in pace, senza la mia ingombrante - in tutti i sensi - presenza. Al si è tanto lamentato che gli impegni vi hanno impedito di vedervi, in questi giorni, quattro chiacchiere tra maschietti vi faranno senz'altro bene.
Ricevuto un bacio sulla guancia - sotto lo sguardo severo di Ewan, che aveva rischiato di accartocciare il bicchiere, tanta la forza con cui lo aveva stretto - Albert celiò –Il qui presente Ellis ha ragione, dolcezza: sei un angelo. A stasera!
Il botanico provò a trattenersi dal torchiare l’amico, ma non ci riuscì, e, mentre si stavano dirigendo in cortile (all’interno dei locali universitari - eccetto mensa e dormitori, ovvio - era vietato consumare cibo e bevande), lo trascinò nel primo posto appartato disponibile: uno stanzino delle scope. Andò subito al dunque.
–Da quanto va avanti questa storia?
–Quale sto… oh! Intendi me e Jo?- rispose l’altro, impassibile. –Come mai tanto interesse?
–Perché lei è mia!- ruggì Ewan, e un lampo minaccioso gli attraversò lo sguardo. Chiuse gli occhi e respirò profondamente, sia per calmarsi, sia per sopportare meglio il dolore provocatogli dalle unghie conficcate nelle mani. –Amica. Una mia amica.
–Tua?- ribatté Albert, tossicchiando per la polvere che si liberava in quello stanzino angusto e male illuminato ad ogni loro movimento. –Non ti facevo così possessivo!
Dopo essere arrossito fino ad assumere una tonalità quasi violacea, analoga al colore di un buon vino d’annata, ed aver balbettato parole comprensibili forse soltanto ai neonati, Ewan esalò –È mia amica, è un dato di fatto. Tu, piuttosto… da quanto esci con lei?
–Dal ballo- celiò tranquillamente Albert, scrollando le spalle. –Spero vorrai accettare un consiglio: prenditela e tienitela stretta, è la donna per te.
Ewan annuì vigorosamente e asserì –Lo so. Norma è semplicemente meravigliosa- si accigliò quando si accorse che il fisico, ben lungi dal mostrarsi contento per lui, aveva sgranato gli occhi e serrato le labbra, quasi fosse arrabbiato… no, frustrato. Una parte di lui poteva capirlo: la ragione voleva dichiarare conclusa la ricerca, ma una debole voce interiore gli suggeriva di non agire frettolosamente, senza ascoltare il suo cuore. –Incarna alla perfezione la mia lista.
–Impossibile- obiettò Albert, pestando i piedi come un bambino capriccioso. Gliene domandò la ragione e si sentì rispondere –Perché la tua cazzo di lista si fonda su premesse impossibili! È assurda, illogica, irrealizzabile! Potrai trovare una donna bella, intelligente, di buon carattere, che sappia cucinare e che condivida la tua passione per i Red Sox, i Red Hot Chili Peppers e un buon whisky in compagnia… ma il primo punto rimarrà sempre insoddisfatto: non esistono segnali inequivocabili per capire se una persona è quella con cui passare il resto della vita e se è innamorata di te o dei tuoi soldi! Potresti incappare in una donna di poche pretese, ma che magari se ne frega di te, oppure una che ti ama, però ha gusti costosi. Oppure - spero di non mandare in cortocircuito il tuo metodico cervello - fatto ancora più sconvolgente, potresti innamorarti follemente di qualcuno con cui hai poco in comune, ma quel poco sono le basi fondamentali del rapporto- si bloccò, curvò le labbra in una smorfia strana e ripeté le parole di Jodie. –Spesso le persone “sbagliate” si rivelano le più giuste per noi. Non puoi sapere a priori se funzionerà o no. Santo cielo, Ewan, non si riesce a razionalizzare l’intero universo, figurati l’amore!
–Quanta saggezza. Sono colpito- mormorò Ewan, appoggiandosi alla parete, incurante della polvere. –Jodie ti fa decisamente bene.
Albert avrebbe voluto scuoterlo e urlargli di darsi una svegliata, ma scelse una strategia diversa: finì il caffè e rispose –E pensare che all’inizio avevo puntato sua sorella. Che idiota! Beh, meglio che vada, ho lezione tra poco e devo telefonare alla madre di Johnny, ho bisogno della sua ricetta del polpettone: Jo viene a cena da me, stasera, un pasto coi fiocchi forse la convincerà a venire con me dopo cena, non so se mi spiego…
Si aspettava una reazione da parte del botanico, ma non di quell’entità: Ewan lo afferrò per il colletto della camicia e lo sbatté contro il muro, facendolo mugolare di dolore, lo strattonò e ringhiò –Osa sfiorarla anche solo con un dito e...
–Le mie intenzioni vanno ben oltre sfioramenti e dita.
–Tu… tu… non puoi!
–Chi me lo vieta?- ridacchiò il fisico, divertito, più che spaventato, da quello scoppio d’ira. –Tu? Per caso ti piace Jo? Hai soltanto da dirmelo, amico mio, mi farò da parte senza lamentele.
–Io… io… io non… è tutta tua!
–Sicuro? Perché a me questa rabbia sembra causata da una violenta gelosia… e sai bene che c'è soltanto un motivo per essere tanto gelosi di qualcuno...
Ewan, repressa la solita voce interiore che dava ragione ad Albert, tuonò –Non sono geloso! Jodie è mia amica! E anche tu! Mi disgusta il pensiero di voi due che… che…
–Ci saltiamo addosso sul divano? Ci rotoliamo tra le lenzuola? Ci…
–Basta!- ululò Ewan, mollando la presa sull’amico per portarsi le mani tra i capelli. –Fai quel che ti pare, ma risparmiami i dettagli, ti prego.
–Oh, El, se solo accettassi…- pigolò Albert, interrotto dal suono della campanella; perse immediatamente la serietà e aggiunse, scocciato –Din-don! Fine dell’intervallo. Scoprirai il resto della frase si ci beccheremo a pranzo.

 
***

–Sicura di non volerti unire a noi, Marion?- chiese Jodie, indaffarata a rovistare nell’armadio. –Sarà divertente!
–Tu, io e l’uomo che mi ha scaricata appena ha saputo che ho due figli? Un trio ben assortito!- soffiò acida l’interpellata, per poi chinarsi a dare una mano alla sorella.
–Non ti ha scaricata! Sei tu che sei scappata prima che potesse riaversi dallo shock!- obiettò Jodie, prima di estrarre trionfante dall’armadio un abito a fiori che non aveva mai indossato perché stretto. –Aha! Eccolo! Vediamo se la palestra ha posto rimedio ai bagordi delle feste!
–Lo spero per te- rispose Marion, atterrita all’idea di rimettere a posto quel marasma. Possibile che la sua adorata sorella non concepisse che i capi scartati andavano ripiegati e rimessi a posto? –Come spero che la smetterai di tormentarmi: Albert è un capitolo chiuso, dannazione! Perché ti sei fissata con lui?
–Perché, da sorella maggiore, è mio compito assicurarti la felicità, e sento nelle budella che potresti esserlo, accanto a lui. Inoltre mi sento in colpa- ammise Jodie a capo chino. –Ti ho persuasa io a porre fine al tuo matrimonio, il minimo che possa fare è compensare aiutandoti nella ricerca dell’anima gemella.
Marion, inaspettatamente, scoppiò a ridere, cominciò a piegare i vestiti sparsi sul letto ed enunciò un lungo monologo.
–Fino a poco tempo fa, ti avrei dato ragione. Sì, incolpavo te per il divorzio. Poi, riflettendoci, ho capito che avevi dato il colpo di grazia a qualcosa già morto; allora ho addossato la colpa del fallimento a me stessa: forse non ero stata una brava moglie, forse dopo la nascita di Mariposa mi ero trascurata... sicuramente sono stata stupida a non cogliere i segnali; ho dovuto sbattere contro la verità, sorprendendo quei due stronzi insieme, per capire di avere qualcosa in comune con lumache, cervi maschi, alci, renne e così via. Infine, dopo ulteriori riflessioni - e crisi isteriche, pianti rabbiosi e lanci di oggetti - ho realizzato che mi stavo punendo ingiustamente: è di Jorge la colpa. Eccome se lo è! Le crisi si affrontano col dialogo, non infilandosi nelle mutandine della prima che capita! È a causa sua se il nostro matrimonio è marcito, e se desiderare che mi rimpianga amaramente e invidi la mia felicità implica che sono una cattiva persona… beh, lo sono! Sono una vera stronza, ok? E mi sento doppiamente stronza per non riuscire ad odiare Al! Dovrei detestarlo, sperare che sparisca inghiottito da un buco nero, invece no: sono innamorata di lui - ma a questo c’è rimedio (almeno, credo) - e gli sono grata per avermi aperto gli occhi; grazie a lui ho capito che merito di meglio di un fedifrago impenitente, e che questo meglio è più vicino di quanto immagini… solo non è lui, purtroppo. Guardiamo in faccia la realtà, Jo: non posso stare con uno che schifa i bambini!
–Albert non schifa i bambini- ribatté Jodie, schioccando le labbra ricoperte di rossetto rosato. –Penso li tema. Non in sé per sé, chiariamoci… come simbolo di una stabilità che lo terrorizza. Quelli come lui - e me - rifiutano tutto ciò che credono di non meritare- si dimenò sul posto, armeggiando con la cerniera del vestito, alternando imprecazioni a profonde inspirazioni. –Chiuditi, dannata zip! Ho tirato dentro la pancia più che posso, devo farmi la liposuzione perché tu ti chiuda? Oh! Ce l’ho fatta! Mi strizza peggio di un cotechino, ma mi sta!
–Lascia perdere il vestito - che, per inciso, ti sta da schifo - e spiegati: stai forse dicendo che Albert crede di non meritare l'amore?- soffiò Marion.
–Chiamalo intuito femminile, o capacità di analisi psicologica, come ti pare: sono convinta che Al si senta indegno di essere amato... da te. In più, ha paura che tu possa lasciarlo se non dovesse piacere ai bambini.
–Ero finalmente pronta a rimettermi in gioco, mi dispiace che non abbia voluto andare oltre il mio essere madre, ma non posso forzarlo. Adesso basta discutere di un futuro che non si avvererà mai: se eviteremo di riportare a galla l’argomento, presto sarà morto e sepolto.

 
***

L'argomento Albert, divenuto tabù, venne riportato a galla da Manuel all’uscita da scuola. Raggiunta a passo saltellante la fermata dell’autobus, disse alla madre –Puoi venire con Albert, domani?
Allibita, Marion rimase paralizzata; sistemò lo zaino sulla spalla, esortò i piccoli a salire sul mezzo e cercò di sfuggire all’obbligo di rispondere. Peccato che suo figlio fosse fastidiosamente insistente (“Ha preso da sua zia, senza dubbio”).
–Manuelito, Albert lavora, non ha tempo.
–Se vuole uscire con te deve trovare il tempo per me- sibilò il pargolo a braccia conserte. –Forse ha paura che sono geloso di lui e gli faccio gli scherzi? Ma io non sono geloso! Se ti tratta bene, mi sta bene.
–È davvero carino da parte tua, però inutile: non esco più con Albert. È un brav’uomo, ma- “Mi viene la nausea solo a pensarla, la cazzata che sto per dire!” –Non abbastanza da sostituire vostro padre.
–Quindi non lo vedi più?- gnaulò Manuel, incapace di celare la delusione. –Oh, no! E adesso? Doug mi prendeva in giro perché tu sei sola, invece sua mamma si è messa con il tizio che la urla mentre fa palestra…
–Le urla, tesoro. Le. Il “tizio che urla” si chiama personal trainer.
–Ah, sì? Ho imparato una cosa nuova!- trillò il bambino. –Comunque, per farlo stare zitto, gli ho detto che tu stai insieme a un tipo fichissimo che si chiama Albert e che domani veniva a prendermi a scuola. Ma se vi siete lasciati non può venire e io farò la figura dello scemo! Persino Gina, la talpa con l’apparecchio, mi riderà dietro!
–Mi dispiace tanto, tesoro. Ma che ti serva da lezione: le bugie hanno le gambe corte; se non sai costruire i trampoli, non dirle- “Oddio! Parlo come Jodie!” –Domani racconterai ai tuoi compagni che… Albert è a letto malato.
–Ma non è vero!
–Si chiama temporeggiare, Manuelito: prendiamo tempo, in attesa di trovare un “Albert” qualunque da esibire per metterlo in quel posto a Doug e sua madre… no, a lei no, provvede già il personal trainer! Anzi, sai cosa ti dico? Che alla facciaccia loro questo sabato ce ne andiamo alla mostra sul mondo marino al Museo di Scienze Naturali di Harvard. Contento?
Era certa di allettarlo: Manuel amava il mare e tutto quanto ad esso collegato. Difatti, ritrovò all’istante il sorriso e la sommerse di ringraziamenti e baci.
“Meno male che Jo ha ricevuto dei biglietti omaggio!”, pensò, sollevata. “Mi chiedo cosa le frulli per la testa… mia sorella non agisce mai senza secondi, se non addirittura tripli, fini. Tremo al pensiero di cosa potrebbe aver architettato!”

 
***

Niente è comparabile al piacere di brindare, coccolati dal confortevole tepore di un pub accogliente, alla salute di due cari amici che hanno deciso di compiere il “grande passo”.
–A Phil e Sarah, la prova vivente che conviene sempre portare la mamma dal dottore!- gridarono in coro, levando i boccali. –Con l’augurio di una vita insieme lunga e felice e, perché no, un mucchio di marmocchi!
–Grazie in anticipo per il cibo, gli alcolici e l’intrattenimento che ci offrirete. Evviva, evviva!- ruggì Albert, su di giri per la lieta novella e le birre che aveva scolato.
–A me non sembri tanto bramoso di metterti il cappio al collo- commentò Jonathan, puntando il bicchiere verso Philip. –Dov’è l’anello, eh? Non lo vedo. E senza anello non è un fidanzamento in piena regola!
La coppia felice scoppiò a ridere e, pressata dalle richieste, si scambiò un bacio mozzafiato. La trasferta in Arizona aveva dato tristi frutti: dopo innumerevoli esami, era stato stabilito che i resti rinvenuti in Arizona appartenevano a Pierce Gage. Philip, naturalmente, lo pianse, ma non a lungo: aveva trascorso tanto di quel tempo a cercarlo che si sentì quasi sollevato; ora poteva guardare avanti, e - soppressa la razionalità, che gli rammentò quanto poco si conoscessero - propose alla donna che amava di commettere un vero azzardo.
–È inutile che ti appigli a questo dettaglio, Johnny, è evidente che sei triste perché perderai il miglior coinquilino del mondo!- replicò l’altro, per poi mostrare la lingua a Jonathan, che sbuffò, prima di piegarsi in due dalle risate a sua volta.
–‘Sera a tutti!- li salutò vivacemente Ewan, preceduto da Norma, impeccabile come sempre. –Non vi dispiace se ho portato…
–Al contrario: finalmente ci presenti… Norma, giusto? Cominciavamo a chiederci se non fossi una leggenda metropolitana! Come mai la tenevi nascosta, El? Paura che uno di noi te la soffiasse?- lo interruppe Jonathan, esaminandola minuziosamente centimetro per centimetro. Ignorò il versaccio risentito del botanico e passò alle presentazioni. –Al e Jo già li conosci, loro sono Ingrid, Paula, Jane, Ryan, fidanzato di Jane, i futuri sposini Sarah e Philip e io… beh, sono io.
–Nome originale!- scherzò Norma, asserragliata accanto ad Ewan, il quale, più che dal suo scambio di battute con il suo amico, pareva interessato ai movimenti di Albert e Jodie, intenti a parlottare vicini, troppo per i suoi gusti (i loro nasi si sfioravano e lui teneva un braccio sulle spalle di lei).
–Cos… non sai chi sono?- sbottò il conduttore. –Chiunque possieda un televisore conosce la mia faccia!
–Guardo pochissimo la televisione, spiacente- replicò Norma, masticando la rabbia per evitare un incidente diplomatico. –E soltanto programmi di un certo spessore.
–‘Big Bang dishes’ lo è- sibilò, offeso dall’insinuazione che la sua fosse tv spazzatura. –Secondo il mio modesto parere, un programma di spessore è utile, e cosa c’è di più utile di una piattaforma che spiega la scienza in modo divertente e comprensibile? I termini tecnici annoiano, invece chi mi segue può apprendere nozioni scientifiche ed enogastronomiche contemporaneamente… oltretutto, la buona cucina è una forma di cultura.
–Io non mi perdo una puntata- pigolò Jodie, arrossendo. –Il mio sogno nel cassetto è di cucinare insieme a te.
–Tu sì che hai buon gusto!- esclamò Jonathan, le prese una mano e la ricoprì di baci. –Dovresti venire come mia ospite nella prossima puntata… col tuo davanzale lo share salirebbe alle stelle!
–Tieni a freno la lingua e la bava, Johnny, stai parlando a una signora!- ringhiò una risentita voce maschile. Incredibilmente, apparteneva ad Ewan, sorpreso da quello scatto d’ira almeno quanto Norma, che scoccò un’occhiataccia a Jodie e marcò il territorio con un bacio plateale (al limite del vietato ai minori).
La farmacologa recepì il messaggio: era giunto il momento di accomiatarsi. Diede di gomito ad Albert, che le pizzicò un fianco in segno d’intesa, inventarono su due piedi la scusa che erano attesi per cena dai genitori di quest’ultimo (Ewan impallidì e serrò i pugni), infine si immisero nel viavai di Hanover Street.
–Sono una bella coppia- soffiò lei, faticando a contenere le proprie emozioni.
–Ti manca qualche diottria? Sono nauseabondi!- sputò Albert. –Se prima mi era del tutto indifferente, ora la detesto: ha offeso Johnny!
–Ha espresso un’opinione, Al. In maniera poco gentile - villana, forse - ma ne ha diritto. Viviamo in un Paese libero.
–Possibile che proprio tu la difenda?
–Ewan non cercava una fidanzata, cercava la personificazione di quella lista, e sembra averla trovata in Norma. Non posso che essere felice per lui- esalò Jodie con voce tremante.
–Sei la persona più altruista che conosca- asserì Albert, fermandosi per stringerla in un caldo abbraccio. –Se il karma esiste, ti ricompenserà.
–Lo spero- mormorò lei, staccandosi a malincuore. –A proposito di altruismo: il curatore della mostra ad Harvard è un mio ex, e siccome tempo fa avevamo, ehm, riallacciato i rapporti..
–Minestra riscaldata, eh? Pessima idea!
–Col senno di poi, sì. Comunque, Vikram ha incassato il colpo con classe; per dimostrarmi che non serba rancore mi ha regalato alcuni biglietti per il brunch di sabato: relax culturalmente stimolante per gli adulti e laboratori e giochi per i pargoli. Ho pensato potesse interessarti, zio di numerosi nipoti.
–Nove, includendo il mio piccolo omonimo- chiocciò orgogliosamente il fisico. –Beh, che dire? Grazie! Ti va di unirti a noi?
–Ho già dato- mentì Jodie, usando la tattica della mezza verità: un cinquanta per cento di verità basta ad indurre a credere anche al cinquanta falso. –Ho riscaldato la minestra nelle sale del museo… svariate volte e in svariate posizioni. Darci dentro circondati da flora e fauna acquatiche è un’esperienza incomparabile!
–Fingerò di non aver sentito, svergognata!- ridacchiò lui, prima di entrare in automobile e introdursi nel traffico cittadino.
–Da che pulpito, Al!

Note dell’autrice:
Al e Jo sono un duo a delinquere! Che la scenetta al pub li abbia convinti a diventare una coppia, o almeno a provarci?
Certo è che Jodie non è contenta se non trama e ordisce. Avete capito a cosa mi riferisco? ;-) Chissà se avrà successo o meno…
Che ve ne pare di Ewan e Norma? Siete d’accordo con Jo, sono una bella coppia? E a proposito di coppie… fate gli auguri a Sarah e Phil! Fiori d’arancio per loro! *lancia petali di rosa*
Vi anticipo che il prossimo sarà un capitolo decisivo per più di un personaggio, quindi non perdetevelo!
Au revoir!
Serpentina
Ps: se non l’avete ancora fatto, leggete "Torna a casa, Jodie", la mia terza OS della serie di extra sui personaggi di LQ. Vi catapulterà nella magia del Natale (si è capito quanto amo questa festività?)!
 
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11: The season of the bitch ***


Dopo una lunga pausa festiva senza computer, finalmente posso aggiornare! Grazie a tutti i lettori per la pazienza, a Calliope S, LittleDreamer90, marioasi e sunburn1985 per le recensioni e a sil_1971 e swettemma, che seguono la storia.
Il titolo si rifà alla canzone “Season of the witch”, che forse alcuni ricorderanno come chiusura del settimo episodio della ventunesima stagione de ‘I Simpson’ (Bifolchi di coccio e manici di scopa).

 

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The season of the bitch

Non c’è scusa nell’essere cattivi, ma vi è un certo merito nel sapersi tale: fare il male per stupidità è il più irrimediabile dei vizi.
Charles Baudelaire

Albert si era rifugiato nella zona più remota del museo, bramoso di un po’ di pace e tranquillità; si sedette su un gradino e abbandonò il capo sui palmi delle mani, sospirando mentre, a occhi chiusi, massaggiava le tempie nella speranza di calmarsi e scacciare quelle che riteneva allucinazioni: gli era parso, infatti, di scorgere Marion in più di un’occasione, una volta persino intenta a chiacchierare con sua sorella Mitzi cullando Al junior. Se avesse saputo che l’amore lo avrebbe ridotto ad un’allucinata anima in pena, avrebbe continuato ad evitarlo accuratamente.
“Potrebbe trattarsi di una vendetta del karma. Oppure le maledizioni che di sicuro mi hanno mandato tutte le mie ex e avventure di cui non ricordo i nomi hanno avuto effetto. Oppure… sto semplicemente impazzendo. Bella prospettiva!“, pensò, per poi infilare nelle orecchie gli auricolari e spulciare youtube in cerca di video divertenti che lo tirassero su di morale.
Purtroppo, la sua oasi venne violata poco dopo da un bimbetto trafelato, che si accomodò accanto a lui ed cinguettò –Ciao.
–Ciao- rispose il fisico, sforzandosi di celare il proprio disappunto: non era colpa del pargolo se aveva i nervi a fior di pelle, senza contare che, se lo avesse trattato con anche solo un minimo di freddezza, si sarebbe probabilmente ritrovato a fronteggiare degli infuriati genitori, i quali lo avrebbero accusato di aver maltrattato il loro adorato cucciolo.
“Tutti uguali, mamme e papà: tendono a ingigantire qualsiasi cosa, se riguarda la loro prole. Quante noie comporta la prosecuzione della specie!”
–Fico questo video!- trillò il bambino, spalancando gli occhi scuri. –Sono i Simpson, vero? La mia mamma non vuole che li vedo, dice che non sono adatti alla mia età!
In quel preciso istante Homer pronunciò una parolaccia; Albert, rosso pomodoro, si schiarì nervosamente la gola e pigolò –Non ha tutti i torti- quindi, in un impeto di generosità, aggiunse –Vuoi che ti riaccompagni da lei?
–Magari dopo- rispose il suo piccolo interlocutore, scrollando le spalle. –Sono in fuga.
–In fuga?
–Da una femmina.
Istintivamente, Albert scoppiò a ridere senza ritegno, irritando il bambino, che lo rimbeccò immediatamente.
–Non c’è niente da ridere!
–Tra dieci anni riderai tu stesso di questa affermazione- asserì il fisico, faticando a contenersi. –Cosa ha combinato questa “femmina” per farti scappare?
–Sono tutte così: basta che sei un pochettino gentile con loro e… bam! In manette!- sbottò il piccino, enfatizzando la frase con una gestualità ad hoc. –Stavamo giocando, è caduta, l’ho aiutata ad alzarsi e boh, ha iniziato a dire che sono tanto dolce e carino, le piaccio e staremo insieme per sempre, felici e contenti! Io l’ho spinta via e sono scappato, naturalmente.
–Naturalmente- ripeté Albert, camuffando un risolino con un colpo di tosse. –E questa bambina non ti piace proprio per niente? Zero assoluto?
–Mi piacicchia, però non come pensi tu e vuole lei- sbuffò il fanciullo, gonfiando le guance. –Sono troppo piccolo per l’amore! Poi la gente appiccicosa mi stufa.
“Lezioni di vita da un moccioso. Adesso sì che ho davvero toccato il fondo. E il naufragar m’è dolce nel mare dell’autocommiserazione!”
–Gli appiccicosi non piacciono a nessuno. Allora è per questo che non vuoi tornare dai tuoi genitori? Hai paura che ti, uhm, salti di nuovo addosso?- il fanciullo annuì e lui, in un secondo impeto di generosità, soffiò –Ti accompagno io da tua madre. Con una guardia del corpo così, nessuno oserà avvicinarti!
I due si avviarono verso la sala dove erano riuniti gli adulti per il brunch, seguito alla visita guidata della mostra. Tutto a un tratto, il bimbo si bloccò nella sezione “Grandi predatori” ad ammirare estasiato esemplari dei più feroci predatori acquatici.
–Ti piacciono gli squali?- chiese poi, rompendo il silenzio.
–Se sono dietro un vetro. Oppure morti- ammise Albert.
–La probabilità che uno squalo ti morde è quasi quella che ti becchi un fulmine, cioè quasi uguale alla probabilità che vinci alla lotteria- sciorinò il “sapientino” dandosi arie da erudito. –Sono delle innocenti creature incomprese.
–Incomprese, forse; innocenti… mica tanto- esalò il fisico, occhieggiando i denti aguzzi del pesce. –Preferisco animali più innocui. Andiamo?
Contrariamente alle aspettative - era convinto, infatti, che avrebbe dovuto trascinarlo a forza lontano dagli squali - il bambino obbedì senza capricci e, Albert ne era certo, gli sorrise grato per non averlo trattato da moccioso offrendosi di tenergli la mano o parlandogli come se non potesse comprenderlo. I bambini non saranno piccoli adulti, ma quanto a maturità e intelligenza possono competere con molti dei cosiddetti “grandi”.
–Mi piacciono i tuoi occhiali, sai? Sono belli colorati!
–Grazie. Io, invece, non li ho mai potuti soffrire: sono fastidiosi e imbruttiscono il viso- sbottò il fisico, facendo roteare tra le dita le asticelle della montatura verde acqua. –Ne ho tantissimi, di diversi colori, soltanto così riesco a tollerarli.
–A me mi piacciono.
–Quante volte devo ripeterti che “mi” e “a me” sono nemici, se li metti nella stessa frase si fanno la guerra?- sibilò una donna, tamburellando il piede sul pavimento.
–Mamma!- esclamò il bambino.
–Marion!- esclamò l’uomo. –C-Ciao. T-Ti, ecco, trovo bene.
–Albert?
–È Manuel, mamacita.
–Ora so il tuo nome! Piacere di conoscerti, sono io Albert- intervenne per stemperare l’imbarazzo. Il piccolo, a parte l’espressione di assoluta sorpresa, non diede altro segno di stupore, limitandosi a ricambiare il sorriso e la stretta di mano, alternando lo sguardo tra lui e sua madre. –Mai avrei pensato di rivederti; soprattutto, non qui… con tuo figlio. Ne manca uno all’appello, se ben ricordo la nostra ultima conversazione, al supermercato.
–Mariposa, di tre anni- rispose Marion, addolcendosi: nonostante stesse tentando con ogni mezzo di reprimere i propri sentimenti, la vicinanza di Albert le scaldava il cuore, ed era soddisfatta per essere riuscita nell’impresa di fargli conoscere i suoi tesori, sebbene non nel modo e momento giusti. –Eccola, sta sguazzando nella vasca di palline.
–Quella coi codini? Ti somiglia tantissimo!- si rabbuiò. –Ora capisco…
–Cosa?
–Perché ti è stato tanto facile rinunciare a me: hai due figli adorabili, neppure il più disgustosamente perfetto eroe romantico potrebbe competere con la luce dei tuoi occhi. Figurati io!
Calò un silenzio eloquente, di quelli talmente pregni di non detto da non poter essere tradotti in parole. Se fossero stati i protagonisti di una serie televisiva strappalacrime, probabilmente qualcuno, dopo un po’, avrebbe urlato: “Fate qualcosa, porca miseria! Picchiatevi, baciatevi… tutto, pur di porre fine a questa snervante stasi!”.
Provvide Manuel: non aveva nulla contro Albert, semplicemente amava stare al centro dell’attenzione.
–Papà è arrivato?- chiese, intromettendosi - fisicamente e platonicamente -  nella bolla di intimità che aveva avvolto i due adulti.
Marion, scoccata un’occhiata costernata ad Albert, si chinò verso il figlio e sospirò –Mi dispiace, Manuelito… papà non può venire.
–Ma aveva promesso!
–Gli imprevisti capitano quando meno te l’aspetti, per questo sono im-previsti. Il prossimo week end sarà interamente dedicato a voi, me l’ha giurato!
–È la terza volta che non mantiene le promesse- ringhiò Manuel, serrando i pugni. –Scommetto che è colpa di quella strega!
–Ti proibisco di offendere la fidanzata di tuo padre!- ruggì Marion, arrabbiandosi sul serio: era consapevole dell’ipocrisia del suo comportamento - lei e Jodie erano le prime ad infamare Sasha, e con epiteti molto peggiori di “strega” - ma non voleva che il suo ex marito la accusasse di aizzargli contro i bambini come toglierle la custodia; pertanto avrebbe continuato a mantenere la facciata di madre modello, serenamente rassegnata alla nuova situazione, gentile e amichevole nei confronti di colei che aveva preso il suo posto, riservando le fantasie sulle truculente torture alle quali avrebbe sottoposto volentieri Jorge e la ragazza alle ore notturne. –Se gli vuoi bene, devi volerne anche a lei!
–Ma lui a noi vuole ancora bene?- gnaulò il piccolo. –Ogni volta che andiamo a trovarlo ci parcheggia da nonna, o ci costringe a stare con quella lì, dice che vuole passare del tempo con noi e poi non viene… è colpa di quella megera! Lo ha incantato per toglierci l’amore di papà!
–Da strega a megera in meno di venti secondi! Quale sarà il prossimo livello, “Amelia, fattucchiera che ammalia”?- replicò scherzosamente Marion, nel tentativo (inutile) di calmare suo figlio. –Tesoro, capisco che tu sia deluso, ma non permettere che una delusione ti rovini la giornata, finora…
Non riuscì a finire il discorso che Manuel era già corso verso una delle uscite; afflitta, prostrata dalla discussione, Marion si scusò con Albert e lo lasciò per rincorrere suo figlio. Il fisico li seguì con lo sguardo, finché una velenosa voce femminile gli sibilò sprezzante all’orecchio –Quella? Fai sul serio, Al? Sei caduto davvero in basso!
–Stalle alla larga, Caroline!
–Uuh! Caroline! Allora è una cosa seria!- cinguettò perfida. –Peccato che non abbia alcuna intenzione di darti retta.

 
***

Riaccompagnato Manuel nell’ala dedicata ai giochi, dopo essersi assicurata che avesse riacquistato il sorriso, decise di concedersi una bevanda calda e una tregua dalla famiglia Gimpsky. Sembrava che il caso nel quale Jodie credeva fermamente avesse cospirato per farla perseguitare da tutti i parenti di Albert; era stata sinceramente felice di rivedere Mitzi e baby Al, e gli altri componenti del nutrito parentado si erano rivelati gentili e simpatici (salvo un’unica eccezione), però necessitava di quiete, e di aria fresca, per cui andò a gustare il suo tè in giardino.
Sentendosi osservata, zittita la parte di lei che la reputava paranoica, si voltò e, appurato di non soffrire di manie di persecuzione, curvò le labbra in una smorfia simile a un sorriso.
–Spero di non darti fastidio.
–Affatto. C’è spazio per tutti- pigolò Marion, innervosita dall’aura da bulla dell’esile brunetta che non le staccava di dosso gli occhioni da cerbiatta. –Solo, gradirei che la smettessi di fissarmi.
–Dovresti essere abituata a gente che ti fissa e, più o meno velatamente, ti sbava dietro. Io sto considerando, ponderando, riflettendo.
–Ti lascio alle tue riflessioni, allora.
–Per favore, resta! Vedi, l’oggetto dei miei pensieri… sei tu. Mi sto lambiccando il cervello con un quesito apparentemente insolvibile: cosa ci trova in te mio fratello?
Marion impiegò due secondi netti a intuire la sua identità.
–Tu devi essere Caroline.
–E tu l’ultima di una lunga serie di effimere fiammelle che hanno scaldato il letto del mio caro fratello. Non ti nascondo che sono delusa: ho sopravvalutato il suo buon gusto.
–Il tuo meglio non è il meglio di Al- ribatté Marion, sulla difensiva: Carrie corrispondeva perfettamente all’immagine che aveva in mente. Ignorò il suo molesto e rumoroso ruminare e aggiunse –Cosa vuoi da me?  Intimidirmi? Escludermi dalla vita di Albert? Arrivi tardi: ha fatto tutto da solo. Perciò vai a fare il cane da guardia con qualcun’altra, stai ringhiando alla donna sbagliata!
Carrie schioccò la lingua al palato, quindi, giocherellando con i bracciali che portava ai polsi, rispose a tono –Non recitare il ruolo della stronza, non ti si addice. Stronze si nasce; e io lo nacqui, modestamente. Tu no. Evita di renderti ridicola e accetta un consiglio da amica: non farti illusioni, ti risparmierai cocenti delusioni; conosco mio fratello: siamo simili, capricciosi e incostanti. Non siamo da amare, perché l’amore non ci interessa; ci interessa la caccia, e una volta conclusa, svanisce ogni barlume di passione o attaccamento. Ti vuole perché non può averti. Comprendi?
–Comprendo, sì- ripeté Marion, pervasa da un odio viscerale nei confronti di quel folletto troppo cresciuto (“Ha scalzato Sasha dal primo posto nella mia lista nera di persone che ucciderei volentieri, un vero record!”). –Comprendo che non hai sopravvalutato tuo fratello… semplicemente, hai standard troppo infimi.

 
***

Philip entrò nel bar, alitò sulle mani guantate mentre le sfregava per riscaldarle, si guardò intorno, infine, localizzati i suoi amici - non che fosse difficile: erano la principale fonte di inquinamento acustico nel locale - li raggiunse con la frenesia di un adolescente al primo ballo scolastico.
–Eccolo! L’uomo del momento!
–Ehi! E io?- gnaulò Jared, esibendo un broncio da manuale che suscitò l’ilarità del ciarliero gruppetto.
–Hai avuto il tuo momento di gloria, ora cedi i riflettori a Phil! Dy, tu sta’ buono, hai già sparato una quantità di stupidaggini sufficiente per l’intera settimana!
–Altre birre e una Coca-Cola per la rossa di Ross, Joe!- ordinò Calliope, sbracciandosi per emergere nel viavai di avventori senza scomodarsi ad abbandonare la sedia. –Oh, e uno scotch per il dottore e una vodka per me! Grazie!
–Come va, ragazzi? E i vostri preparativi per la luna di miele?
–Missione compiuta! Ho persuaso la mia austenofila metà a staccare la spina per la bellezza di due settimane!- esclamò un compiaciuto Jared, gli occhi color caramello sfavillanti di pura gioia.
–Inghilterra, stiamo arrivando!- trillò sua moglie Calliope.
–Inghilterra? Niente rafting ed escursioni nella natura selvaggia di Madagascar?
–Moglie felice, vita felice- sospirò rassegnato Jared, puntando il caramello sulla consorte.
–Partiremo dopo San Valentino- spiegò lei. –Prima sarebbe complicato, sono giorni di fuoco in libreria. Purtroppo ci toccherà rientrare la prima settimana di marzo, l’otto dovrò per forza stare all’erta per impedire a Sylvia di commentare ad alta voce il “gusto trash” degli acquirenti di “squallidi romanzetti scritti da casalinghe annoiate”!
–Perché non ti siedi, Phil?- chiocciò in tono materno Rachel, ammorbidita in tutti i sensi dalla gravidanza.
–Eri mai stato qui?
–No, e devo ammettere che è una bella scoperta- rispose lui, adagiandosi comodamente sulla panca. Gli piaceva l’atmosfera accogliente, informale e il tanto decantato Joe lo aveva impressionato favorevolmente. –Pessimo posto: nell’angolino mi sento l’imputato a un processo dell’Inquisizione spagnola!
–Tanto meglio: è nostro compito torchiarti- asserì Ross, prima di ingollare un lungo sorso di birra. –Avevi accennato a una grossa novità: avanti, spara, siamo curiosi!
–Ok. Ecco… io… insomma… beh… mi sposo. Ci tenevo foste i primi a saperlo.
–Tu? Tu ti sposi?- ulularono in coro, esterrefatti: della cerchia, Philip sembrava il meno propenso a convolare a nozze (in parte per il suo carattere schivo, in parte per la sfortuna al limite del comico che affliggeva la sua vita sentimentale).
–Santo cielo, non vedevo tanto sgomento da quando Piton uccise Silente! Avrei preferito una reazione meno negativa- latrò Philip, infervorandosi all’istante. –Non sono pazzo: Sarah è la donna per me, l’ho capito non appena mi sono reso conto che il pensiero di essere legato a lei, di “mettere la testa a posto”… non mi spaventava. E non mi spaventa tuttora.
–Ok, è innegabile che la ami… e spero per lei che ricambi, altrimenti le spezzerò le ossa una ad una- intervenne in punta di voce Jared, incurante delle occhiate e gesti ammonitori degli amici –Però non è un po’… prematuro? Vi conoscete da poco, non puoi compiere un simile azzardo alla leggera, rischi di pentirtene! L’amore a volte non basta a tenere in piedi un rapporto!
Alexandra e Nina si coprirono la bocca con le mani, mentre Dylan, Brad, Ross e Rachel si trincerarono dietro i boccali e la borsetta, rispettivamente, in attesa dell’esplosione di Calliope, immediata e di portata devastante.
–Cosa. Hai. Detto? Brutto ipocrita che non sei altro! Il nostro matrimonio è stato un azzardo, allora! Al pari di una partita a black jack! Una roulette russa! Da quanto ci conoscevamo quando mi hai fatto la proposta, eh? Eh? Due mesi! Devo forse pensare che abbia preso le tue promesse alla leggera? “Ma sì, proviamoci, male che vada divorzio e mi faccio consolare dalla cameriera tettona che mi lasciò il suo numero di telefono!”
–Ti prego, piantala con questa storia della cameriera; è stato tempo fa, e ho stracciato il suo numero.
–Se non è lei, sarà un’altra!
–Sei monotona e paranoica, Callie!
–E tu un insensibile!- barrì, gli lanciò in faccia la vodka e uscì melodrammaticamente di scena.
Perplesso quanto sconcertato, Jared si pulì alla men peggio ed esalò –Come siamo arrivati a questo?
–Non chiederlo a me: ha fatto tutto lei!- rispose Dylan, guadagnandosi un’occhiataccia e un calcio da Alexa. –Tranquillo, farete pace: Callie che abbaia non mord… ahio! Basta calci, Lexi!
–Connetti il cervello alla bocca, allora.
–Non iniziate pure voi due! E tu muoviti, valle dietro!- suggerì caldamente Ross, spingendo via l’amico senza il minimo tatto.
–Beh- pigolò imbarazzata Rachel, levando il bicchiere semivuoto. –Auguri - o congratulazioni, non so mai quale sia appropriato - Phil. Portaci presto Sarah, non vorrai tenerla nascosta fino alla data fatidica!

 
***

–Cosa voleva il tuo specchietto per l’allodolo?- chiese Ingrid, particolarmente irritabile di lunedì. Sbuffò di fronte alla perplessità delle amiche e si spiegò. –Albert! Non lo stai usando per togliere il prosciutto dagli occhi di Ewan?
–Con zero risultati- puntualizzò l’impietosa Jane.
–Il poveretto deve fare pace col cervello. “Non so se odiarti o dedicarti una statua”, ha scritto. Un piano geniale sprecato: Marion, testarda, è certa che lui abbia voltato pagina - mal consigliato dalla perfida sorella, che la odia - mentre Albert si è convinto che nella vita di mia sorella non c’è spazio per lui. Sono di coccio, quei due!
–Se la sorella di Albert detesta Marion, un motivo ci sarà. Scoprilo, e sistemerai la faccenda- celiò ansante Sarah, in ritardo, accomodandosi al tavolo con grazia elefantina. Arrossì ai ringraziamenti, conditi di complimenti, rivoltile da Jodie, e soffiò –Spero non abbiate già comprato gli abiti da damigelle: Phil è tanto caro, ma altrettanto influenzabile: la disapprovazione dei suoi amici newyorkesi lo sta facendo vacillare. Il matrimonio è rimandato a data da destinarsi. Che peccato: il quattordici febbraio era una scelta romanticissima!
–Che offre l’impagabile vantaggio di assicurare che - nonostante la proverbiale incapacità maschile - il marito ricordi almeno una ricorrenza su due- malignò Jodie.
–Lo faccio vacillare io a furia di calci in culo!- sbottò Ingrid, agitando i pugni. –Non può tirarsi indietro solo perché dei fessi gli hanno sconsigliato di sposare una che conosce da tre mesi!
–Non puoi chiamarli fessi, non li conosci!- obiettò Sarah, anima candida.
–E loro non conoscono te, non dovrebbero permettersi di giudicare- controbatté Jane.
–Forse hanno ragione, siamo troppo frettolosi- mormorò mestamente la bionda.
–Sarah mia bella, puoi vivere accanto a una persona per anni e non sapere assolutamente niente di lei; Mona Barley scoprì che il marito aveva una seconda famiglia nel Montana al funerale! E Sally Jenkins? Divorziò dopo una settimana perché in dieci anni di fidanzamento - sottolineo, dieci - non si era accorta che lui è gay!
–Vuoi portare sfiga, per caso?- sbottò la rossa.
–No, Ingrid. Jo ha ragione: in questi pochi mesi io e Phil abbiamo appreso l’uno sull’altra più di quanto molte coppie apprendono in tanti anni di conversazione superficiale e barbose riunioni di famiglia, cose più importanti del colore preferito o quanti filmini hard sono nascosti nel computer (che rimanga tra noi, mi raccomando). So che è l’uomo per me perché non ho esitato ad accettare la proposta; non ho paura di legarmi a lui, e se per colpa dei suoi amici non vorrà più sposarmi… lo trascinerò all’altare tramortito!
–Da vera donna del sud!- commentò Jane.
–Sud, nord… non fa differenza- la contraddisse Jodie. –Per tenersi un uomo ci vuole letteralmente il pugno di ferro: una botta in testa a Rhett, Rossella, e ‘Via col vento’ avrebbe avuto il miglior finale nella storia della letteratura!
***
Dopo cena, si recò a casa di Albert per appurare le motivazioni alla base dell’astio di Caroline. Fu proprio lei ad aprire, con addosso una camicia da uomo.
–Al è uscito. A non presto rivederci.
–Non così in fretta- sibilò Jodie, bloccò la porta con un piede e si fece strada nel piccolo appartamento che il fisico divideva con la sorella minore. –È te che cercavo.
L’altra gettò la testa all’indietro, il corpo scosso da risate convulse. Appena si fu calmata, soffiò –Sei venuta a implorarmi di lasciare in pace la tua angelica sorellina? Quella gattamorta non sa neppure difendersi da sola! Patetico! Spiacente, non ho tempo né voglia di sentire lagne, carina, perciò hasta la vista!
–Non ti conviene metterti contro chi pesa abbastanza da frantumare gli stuzzicadenti che chiami ossa.
Sogghignò nel constatare che l’aria tronfia di Carrie era svanita: aveva intuito di trovarsi di fronte a qualcuno tosto almeno quanto lei. Per completare il quadro della serpe bastarda, le strappò di mano sigaretta e accendino e li scagliò oltre il divano, colpendo una porta chiusa. Mai avrebbe immaginato che da quella porta sarebbe spuntata la sua fortuna, il Jonathan ex machina (più bonus lenzuolo a coprirgli le pudenda).
–Che sta succedendo?
–Ti avevo ordinato di rimanere a letto!- strillò Carrie, mimando l’atto di strozzarlo. La rabbia si tramutò in terrore quando Jodie, armata di telefono cellulare, trillò –Sorridete!- e scattò foto all’impazzata. –Sai, ero venuta in pace a domandarti i motivi del tuo odio verso Marion; oramai non serve: sono sicura al mille per cento che d’ora in poi la tratterai col dovuto rispetto. Dico bene?
–Siamo al capolinea!- ululò Jonathan, fingendosi disperato. –Tanto vale confessare: meglio che Al lo venga a sapere da noi. Sei d’accordo, piccola?
–Piccolo è il tuo pisello, idiota! Taci!- Caroline, ribollente d’ira, trafisse entrambi con lo sguardo e ringhiò –Tu… maledetta…
Jodie la azzittì chiudendole la bocca con due dita, sorrise sorniona e miagolò –Ssst! Non sprecare il fiato lasciando uscire dalla boccuccia parole di cui potresti pentirti. Lo so, sono una stronza, ma che vuoi farci? Stronze non si nasce, si diventa; e io lo sono diventata, modestamente. Hasta la vista, carina!

Note dell’autrice:
Scontro tra titane, in questo capitolo! Caroline ha imparato a sue spese che Jodie sa essere la più stronza del reame, se il fine lo giustifica (e credo che la difesa degli affetti giustifichi quasi tutto).
Marion e Albert, invece, vincono il titolo di testoni reali: possibile non riescano a dirsi quanto si amano? L’hanno capito tutti, ormai!
Sarah e Phil usciranno indenni dalla tempesta, oppure daranno ragione a Jared (as always, un oceano di grazie a Calliope S per avermi prestato i suoi personaggi, che ritrovate in "Quando meno te l'aspetti" e "Ti sfido a perdere")? La bionda sarà costretta ad usare veramente il pugno di ferro?
Se vi è mancato Ewan, tranquilli: il prossimo capitolo sarà decisamente Ellis-centrico!
Au revoir! Anzi, hasta la vista, carini!
Serpentina
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12: I nodi vengono al pettine ***


Salve! Sono… no, non Troy McLure. L’autrice! Forse vi ricorderete di me per le altre storie romantiche e velatamente comiche postate su efp. Vi consiglio di mettervi comodi e reggervi forte: questo è il capitolo delle grandi rivelazioni ( e dei momenti imbarazzanti, ma non voglio dire troppo)! Vi ho incuriosito? Sì? Bene! Vi lascio alla lettura, allora!

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I nodi vengono al pettine

Einstein sbagliò quando disse: “Dio non gioca a dadi”. Non solo ci gioca, ma a volte ci confonde gettandoli dove non li si può vedere.
Stephen Hawking

La giornata era cominciata male, proseguita peggio e pareva destinata a concludersi, se possibile, ancora peggio. Una vera e propria escalation. Aveva sperato di trovare conforto dai guai mattutini - una notte insonne costellata da incubi ad occhi aperti con protagonisti Marion e vari sconosciuti, che si era tradotta in latte rovesciato, tazza rotta e le lenti degli occhiali in frantumi sul pavimento (fortuna che ne possedeva una nutrita collezione) - andando a pranzo dai genitori. L’ignaro ignorava che quei pettegoli di suo fratello e sua sorella Adrienne avevano spiattellato alla madre che si vedeva con una donna. Risultato? Un interrogatorio che manco l’FBI sulla presunta fidanzata, con tanto di profezia apocalittica finale; a detta della matrona di casa Gimpsky, infatti, non avrebbe resistito due minuti in un rapporto monogamo, avrebbe sicuramente “spezzato il cuore a quella povera ragazza, come alle altre”, perché era “un inguaribile immaturo e un irresponsabile”. Di umore tendente al nero, prese volentieri parte alla missione “Basta depressione!” in una discoteca trendy del centro, il Tunnel - una delle sue mete abituali, prima di incontrare Marion - per aiutare Philip a ritrovare il sorriso; secondo il fisico ne avevano bisogno tutti loro, e la musica spacca-timpani e le luci stroboscopiche avrebbero mandato in cortocircuito i loro neuroni, impedendo di pensare. Perfetto.
L’unica ad avversare l’idea era stata Jodie, sebbene avesse, stufa delle pressioni di Albert, accettato all’ultimo minuto di aggregarsi a loro.
–Grande idea portare in un posto pieno di fighe uno che ha litigato di brutto con la sua donna! Complimenti! Chi è il genio? Lo sanno pure i neonati che litigare fa sentire vulnerabili, e la vulnerabilità attiva nel maschio l’istinto di svuotarsi le palle nel primo buco disponibile! Adesso mi toccherà fargli da balia!- aveva strepitato adirata, gesticolando animatamente, prima di sparire tra la folla per tallonare Philip, solo e sconsolato a seguito di una “accesa discussione” con Sarah.
Incapace di divertirsi, abbandonato a se stesso, Albert stazionava al bar, sorridendo divertito al ricordo delle innumerevoli notti brave iniziate nei bagni del locale e concluse nei luoghi e modi più disparati. Una bionda - palesemente non naturale - truccata pesantemente e strizzata in abiti succinti provò ad abbordarlo, ma venne cortesemente respinta.
–È uno scherzo!- sbraitò, sbattendo il bicchiere quasi pieno sul bancone con tanta veemenza da provocare la fuoriuscita di parte del cocktail. –Tu non dici mai di no!
–Stavolta sì.
–Senti, se ti si è tipo accesa quella roba là… la coscienza… spegnila: ho voglia di una cosa veloce e senza impegno, come le altre volte.
–A-Altre v-volte?- balbettò lui, sbigottito: aveva fatto sesso con lei e non lo ricordava? Che razza di verme era?
–Non me ne hai mai fatto pentire- miagolò suadente la finta bionda, allungando le mani. –Com’è che tutto a un tratto fai il santarellino? Ti sei unito a una setta?
–Ho conosciuto una persona- rispose lui, scansandosi: il tocco seducente che un tempo lo avrebbe mandato in estasi, lo disgustò.
–Che ti lascia incustodito in un posto pieno di tentazioni- ribatté lei, strusciandoglisi addosso. –Direi che se la cerca, non ti pare?- prese il suo silenzio per assenso e aggiunse, mordicchiandogli il lobo dell’orecchio –Una sveltina e via. Non lo saprà mai.
–Lo saprei io- replicò, pagò il drink e se ne andò, incurante delle lagne della bionda inviperita.
***

Il malumore di Albert e Philip contagiò il resto della comitiva, che però non si mosse, determinata a divertirsi, anche se forzatamente. Jonathan offrì da bere a Philip per tenerlo buono e a Jodie, che aveva tenuto sotto controllo per tutta la sera nel timore che non tenesse fede alle promesse.
–Ti ringrazio per questo atto di gentilezza interessata- cinguettò lei, per poi brindare alla salute degli innamorati disperati. –Ricambio con un consiglio: sbrigati a confessare, prima che lo venga a sapere da terzi.
–L’onestà prima di tutto?- sbuffò irritato Jonathan.
–La convenienza prima di tutto- rispose Jodie. –Sei suo amico da che eravate bambini, ovvio preferisca te a un estraneo come fidanzato di sua sorella. Si incazzerà da morire quando lo scoprirà, più per averglielo taciuto che per il fatto in sé; ergo: prima confesserai, meno probabilmente ci rimetterai qualche parte del corpo che potrebbe mancarti molto. In più ti toglierai un peso dalla coscienza, così smetterai di vivere da animale braccato. La colpevolezza è anche uno stato mentale, e la tua è talmente palese che, se non fosse concentrato sui suoi problemi, Albert avrebbe già mangiato la foglia!
–Saggia osservazione- ammise lui. –Certe volte mi domando come ho potuto invischiarmi in questo casino. Ho sempre considerato Carrie una sorellina acquisita: la conosco da quando è nata, l’ho vista crescere; Al sa essere severissimo, e io compensavo aiutando lei e Mitzi ad eludere la sua stretta sorveglianza. Ero il suo eroe… finché non crebbe. Divenne sempre più insofferente, sempre più ribelle, sempre più… strana. Finito il liceo la persi un po’ di vista - avevo troppi impegni per starle dietro, né mi interessava più di tanto - le interazioni ridotte all’osso. Poi il Natale scorso… è successo. Lei voleva assaporare il gusto della trasgressione e io ero reduce da una dolorosa rottura. Avevamo bisogno l’uno dell’altra, così…
–Iniziaste ad incontrarvi sempre più spesso. Il resto è storia- sospirò lei. –Tenerlo segreto è stata un’idea di Caroline, vero?
–All’inizio mi andava bene: non volevo sentirmi legato, era soltanto sesso, eravamo d’accordo nel mantenere questa… cosa… sul piano esclusivamente fisico; poi, però…
–Senza offesa: meriteresti uno sberlone da capogiro! Ti sei rovinato con le tue stesse mani! Sa che sei innamorato di lei?
–No. Ho paura che, se glielo dicessi, non vorrebbe più vedermi- pigolò Jonathan.
–Fisiologico. L’amor “che muove il sole e le altre stelle” non è che un cocktail neurotrasmettitoriale capace di indurre una sensazione di gratificazione. In altri termini, una droga. Il contatto con la persona amata equivale a una dose - maggiore o minore a seconda dell’entità: si va dal semplice vedersi al rapporto sessuale, una bomba di endorfine - la lontananza o la fine della storia, provocano sintomi da crisi d’astinenza, gradualmente più lievi fino a scomparire con l’assunzione di una nuova dose, alias nuovo amore. Il resto, ciò che volgarmente chiamiamo “gusti”, è un insieme di costrutti mentali, sovrastrutture socio-culturali incorporate nei sei strati di corteccia cerebrale.
–Sei nata cinica, oppure mangi pane e vetriolo a colazione?
–Ti racconto una storia. C’era una volta una quattordicenne sfigata, una nerd senza speranza, il bersaglio prediletto dei bulli della scuola. Un giorno il loro capo, il capitano della squadra di football della scuola nonché sogno di tutte le studentesse del liceo, sorprese la sfigatella mentre si cambiava negli spogliatoi; progettava di farle uno scherzo, ma le sue “parti basse” presero il sopravvento e così… fece ben altro. La nerd non si oppose: non aveva mai dato peso alla verginità ed era lusingata che un ragazzo dell’ultimo anno, per giunta il più popolare, la iniziasse al sesso. Un cliché degno dei romanzetti rosa di serie Z, ma i due presero a vedersi, rigorosamente di nascosto. Dopo un po’, ovviamente, lei si stufò della situazione e pretese che lui dichiarasse pubblicamente che stavano insieme.
–Lasciami indovinare: picche? Mr. Figo&Popolare le diede il benservito perché l’aveva solamente usata, mentre in realtà si vergognava e temeva per la sua reputazione?
–Bingo. Ma lei non si perse d’animo: andò a casa sua e…
–Cosa fece?
Chi. Il fratello del bidonatore. Il primo di una lunga serie. Riuscì a sfruttare a proprio vantaggio quello spiacevole episodio: intuì che essere “sfigata”, isolata, poteva rivelarsi utile. Lontano dai riflettori, nell’ombra, puoi essere chi vuoi, fare cosa vuoi… con chi vuoi. Al buio era al sicuro: nessuno avrebbe avuto il coraggio di ammettere di averla avvicinata, lasciandola libera di godersi tutto il piacere a sua disposizione. Ma tutto ha un prezzo, e lei pagò caro la sua indipendenza: non si fidava più delle persone, e, per risparmiarsi altre ferite, si chiuse in gabbia. Per essere libera dovette ingabbiarsi. Sembra un controsenso, però non lo è.
–Un genio del male questa tizia! Vorrei stringerle la mano!- esclamò Jonathan. Detto ciò, prese la destra di Jodie e la strinse vigorosamente.
Lei non si scompose: rispose saldamente alla stretta, sorrise e sibilò –Ti ritenevo dotato più a sud che a nord dell’equatore - se capisci cosa intendo - invece, sotto sotto, sei il più sveglio tra noi!
–Devo esserlo davvero, se ho ingannato te! Pensi abbia qualche speranza che la stronzaggine di Carrie racchiuda un cuore tenero che batte per me?
“È più probabile che l’umanità si trasferisca su Andromeda!”
–Vale la pena tentare. Male che vada, è lei a perderci.
***

Si era rifugiato nella toilette, dove aveva lavato la faccia e riconnesso le cellule nervose, quindi nel vicolo sul retro del Tunnel. Una voce femminile lo fece trasalire.
–Beccarsi una polmonite non è un buon modo per espiare i peccati, qualunque essi siano. Anche perché la tua performance - anzi, mancata tale - con quella caricatura di una prostituta redime da sola un centinaio di peccati minori, o una decina di peccatoni gravi- lo baciò su una guancia, ridacchiando alla vista del marchio lasciato dal rossetto, e aggiunse –Sei migliore di quanto pensassi. Un vero uomo. Pochi avrebbero mostrato la tua tempra: non hai obblighi morali verso Marion, eppure…
–Sono stato coerente con me stesso- rispose Albert, sfregandosi le mani contro le braccia, dimentico del segno color prugna sullo zigomo. –Col nuovo me stesso. Sai, una minuscola parte di me - il residuo del vecchio me - è indignata perché, da che mondo è mondo, Albert Gimpsky non aveva mai rifiutato avances di belle donne, soprattutto per una che - siamo pragmatici - non me la darà mai. Il nuovo me, però, sa di aver preso la decisione giusta. È dura ammetterlo, ma… amo Marion.
–Ti capisco. Provo lo stesso, come tu ben sai. Il primo vero amore è destabilizzante, specie in età adulta. Ti sconquassa in una fase della vita in cui non si è predisposti ai cambiamenti, perché i principali - tempesta ormonale e relative conseguenze - sono già stati superati.
–Io… non mi riconosco più, Jo! Ero una testa di cazzo felice, prima che questo- si batté una mano sul cuore –Si svegliasse!
–È tardi per rimetterlo a nanna- asserì mestamente Jodie, e il fisico intuì che si riferiva più a se stessa che a lui. –E, anche se ci riuscissi, non torneresti come prima.
–Nemmeno lo vorrei. Non credo tornerei indietro, neanche se potessi- replicò Albert. –Continuerò a migliorarmi, me lo devo. Andare con quella avrebbe significato buttare tutti i miei sforzi nel cesso e tirare lo sciacquone!
–Ti presentai Marion soltanto perché avevo intuito che ci sai fare con le donne e speravo che, uscendo insieme a te, si rendesse conto di stare perdendo tempo appresso a quel bastardo del mio ex cognato e capisse che poteva aspirare a molto, molto meglio. Ti avrebbe usato per ricostruire la sua autostima, dopodiché ti avrebbe scaricato senza rimpianti, come faceva il vecchio te con le gallinelle che frequentavi. Credevo non potesse esserci nulla tra voi- sospirò Jodie, abbracciandolo teneramente. –Mai stata più felice di essermi sbagliata.
–Non ti sei sbagliata, purtroppo- esalò lui, stringendola con maggiore forza.
Jodie non ebbe il tempo di chiedergli spiegazioni su quella sibillina affermazione perché irruppero, con inopportuno tempismo, Norma ed Ewan, mano nella mano.
–Visto? Te l’avevo detto che si erano appartati!- celiò lei, esibendo un irritante sorrisetto trionfante. –Scusate se interrompiamo il vostro momento magico, ma i ragazzi… oh, Albert, faresti meglio a pulirti.
Il fisico avvampò e, in contemporanea, il botanico impallidì: se Norma non avesse attirato la sua attenzione sulla sagoma delle labbra di Jodie, facilmente visibile anche con la scarsa illuminazione del vicolo, non se ne sarebbe accorto. All’improvviso si sentì ribollire le viscere: Jodie non poteva baciarlo, non poteva! Non di sua spontanea volontà! Sì, doveva essere così: Albert aveva approfittato di lei, della sua dolcezza, della sua fragilità, e - al solo pensiero ringhiò e strinse i pugni come un animale pronto all’attacco - una volta ottenuto quello che voleva - e si sapeva cosa volevano quelli come Albert - l’avrebbe gettata via senza curarsi dei suoi sentimenti.
“Jo non merita uno stronzo del suo calibro!”, si disse, aumentando inconsciamente il volume del suo ringhiare, tralasciando il fatto che aveva dato dello stronzo insensibile a uno dei suoi più cari amici.
–Ewan, smettila di ringhiare, sembri un cane!- lo rimbeccò Norma.
–Non ringhiavo- rispose lui, fulminando con lo sguardo il fisico. –Battevo i denti. Qui fuori si gela.
–No, no, ringhiavi proprio!- insistette Norma.
–Per il freddo- la congelò Ewan. –Comunque eravamo venuti ad avvisarvi che ce ne andiamo: Phil è in piena “sbronza triste” e Johnny gli dà corda, sono insopportabili! Venite con noi, o preferite surgelarvi avvinghiati?
***

Ewan approfittò della pausa pranzo per ingurgitare frettolosamente un hot-dog grondante ketchup e correre al Boston General Hospital. Sebbene godesse, per sua fortuna, di una salute di ferro, aveva disperatamente bisogno di un medico.
Lo chiamò  per avvertirlo, ma la linea, stranamente, era sempre occupata sul numero privato, e non ottenne risposta sull’interno dell’ospedale; senza che la sua determinazione ne risentisse, si finse un paziente e si fece indicare il bugigattolo - che con notevole esercizio di fantasia si poteva definire ufficio - occupato dal suo amico. Preda di una frenesia che poco gli si confaceva, entrò senza premurarsi di bussare.
Avrebbe fatto meglio ad annunciarsi, perché quell’atto impulsivo lo mise davanti a una scena in bilico tra l’imbarazzante, il comico e l’umiliante: Philip - il cui rossore era fatto risaltare dal candore del camice - sedeva scompostamente sulla sedia girevole, col capo piegato di lato, una mano a reggere il cellulare e l’altra qualcosa che spuntava dalle mutande… e l’espressione di un bambino che non trova i regali sotto l’albero di Natale. Aveva chiaramente interrotto un momento di  focosa intimità telefonica.
–Oh, merda- esalò, desiderando come non mai di scomparire inghiottito nelle viscere della terra.
–Il, ehm, lavoro mi chiama, amore. Riprendiamo stasera, sai che non ti lascio insoddisfatta. Anche io ti amo- rivolse uno sguardo omicida al visitatore inatteso. –Non si usa più bussare?
–Non si usa più chiudere a chiave?
–Credevo di averlo fatto- replicò freddamente Philip. –Ti pare che, altrimenti, mi sarei sollazzato al telefono con Sarah?
–Allora è così che passi la pausa pranzo!- scherzò il botanico, allentando la tensione scrocchiandosi le nocche, secondo sua abitudine.
–Conosci modo migliore?- rispose il rosso, muovendo allusivamente il bacino. –Sai, sei fortunato a non averci interrotti dal vivo. Sarah è la donna più creativa che abbia mai conosciuto: è venuta a trovarmi un paio di volte e non hai idea di cosa è capace!
–Preferisco rimanere nell’ignoranza, in questo campo- asserì Ewan, che nel frattempo aveva spostato le mani dagli occhi alle orecchie, serrando contemporaneamente le palpebre. –E, per l’amor del cielo, ricomponiti!
Sbuffando, il medico obbedì, impiegando di proposito più tempo del necessario per divertirsi a spese dell’amico.
–Puoi aprire gli occhi, sono presentabile.
–Meno male. Ma tieni quella mano lontana da me!- Philip scoppiò a ridere e infilò l’arto del “reato” in tasca, scandalizzando Ewan, che ululò –No! Che schifo! Il camice è sacro, porca miseria, da conservare e preservare lindo e profumato, e tu lo contamini con… che razza di dottore sei?
–Quante storie!- soffiò l’altro, prima di dirigersi al lavandino e insaponare abbondantemente le mani. –Non ho toccato una coltura di virus del vaiolo! Il massimo che posso aver trasferito sul camice è qualche scaglia di epidermide… eventualmente peli pubici… e che sarà mai! Viviamo circondati da germi, El: in questo istante, mentre ti parlo e tu mi fissi sgomento, miliardi di miliardi di batteri stanno folleggiando sulla pelle e negli orifizi naturali di ogni abitante del pianeta, perciò non pensiamoci più e godiamoci questa settica vita.
–Se lo dici tu- mormorò scettico Ewan. Nel prendere posto, tuttavia, si domandò se il suo amico si fosse “sollazzato” anche su quella - apparentemente - intonsa sedia di plastica. –Sono, uhm, contento che con Sarah vada tutto bene. Avete fissato la data?
La serafica tranquillità di Philip contrastava con le sue parole.
–No. C’è stato un malinteso: i miei amici di New York mi avevano suggerito di aspettare qualche mese, di non precipitare le cose; ho dato loro ragione e Sarah si è messa a urlare che sto procrastinando perché in realtà non la amo, volevo soltanto colmare il vuoto lasciato dalla scoperta della morte di Pierce e scoparla. Ci siamo chiariti, per fortuna. Quando sei entrato stavamo, uhm, facendo pace.
–Sa di tuo fratello?- esclamò Ewan, esterrefatto: per averle confidato un segreto tanto intimo doveva fidarsi ciecamente di lei, e si sa che la fiducia è la base dell’amore.
–Mi ha accompagnato a Yuma. Poche altre avrebbero accettato di imbarcarsi in un viaggio del genere con qualcuno quasi sconosciuto, invece lei è saltata in macchina e non si è lamentata una volta che fosse una. Mi è stata di grande sostegno e conforto: mi capiva, perché anche lei aveva cercato a lungo una persona cara e ne aveva ricavato solamente delusioni. Io… boh, ha ragione chi ci consiglia di aspettare, forse sono stato avventato a proporle di sposarmi su due piedi, senza riflettere, ma prima o poi ci vedrai con l’anello al dito, perché non potrei essere altrettanto felice con nessun’altra; deciderà lei quando. Sono riuscito a ficcare nella sua adorabile testolina che non mi sto tirando indietro, semplicemente un matrimonio organizzato in un mese è una schifezza e lei merita il meglio! Non abbiamo fretta, quindi perché non concederci una festa memorabile?
–Splendido. Stupendo. Sono strafelice per voi. Tuttavia… non sono venuto per ascoltare i dettagli del tuo eventuale futuro matrimonio, Phil. Avrei una domanda da farti; ti sembrerà stupida, o indiscreta, forse entrambe, però devo assolutamente chiedertelo: cosa provi per Sarah?
–Te l’ho detto: la amo.
–D’accordo, ma non potresti scendere nei dettagli? Che so, lepidotteri o altre bestie nello stomaco, testa vuota… cosa si prova ad essere innamorati?
Philip si aprì in un sorriso compassionevole, increspato da due rughette di espressione agli angoli della bocca, poi enunciò la perla di saggezza del giorno.
–El, sono un medico. Potrei tranquillamente descriverti le caratteristiche dei rumori respiratori patologici, o del polso arterioso, o i segni di una malattia; l’amore, ahimè, non rientra nelle mie competenze. Non potrei spiegartelo neanche volendo, perché non capiresti - zitto e ascoltami, non sto offendendo la tua intelligenza - soltanto gli innamorati comprendono l’amore, e tu non lo sei.
–Sì che lo sono!- protestò Ewan, imbronciato e a braccia conserte. –Con Norma non gioco mica a carte! Se credi che non mi piaccia perché non ci sono ancora andato a letto…
–Potrei cadere in un simile errore se non ti conoscessi- ridacchiò Philip, giocherellando con una penna. –So benissimo che sei un tipo ordinato e metodico - le storie di una notte sono passeggere, le storie serie sono cose serie - che lascia scandire i tempi della relazione alla partner. Niente di così triviale: ho dedotto che non sei innamorato di Norma dalla tua domanda. Chi chiede ha quasi sempre dei dubbi; nel tuo caso, dubbi di natura sentimentale.
–Nossignore. Ho tutte le ragioni per amare Norma alla follia: corrisponde perfettamente alla mia lista- soffiò, estrasse il foglio che si portava dietro da mesi e lo scorse velocemente. –Sembra interessata più all’uomo che ai soldi, è amabile, piuttosto simpatica e socievole, molto bella, intelligente, una discreta cuoca, va pazza per i Red Hot e non avversa il baseball.
–Però? Sento che c’è un “però”.
–Però… non sono felice come dovrei- uggiolò. –E non propinarmi la storiella che la felicità non ha unità di misura, perché ti ho visto, prima, ho visto come ti illuminavi solo pronunciando il suo nome. A me non succede. Assurdo: mi sono dannato nella ricerca di una donna che rispecchi il mio ideale, sottoponendomi a torture mascherate da appuntamenti, la trovo… e non è quella giusta? Va contro ogni logica!
Philip scosse il capo, contorse i lineamenti in alcune buffe smorfie - allo scopo di reprimere le risate - infine affermò –Hai mai pensato che esiste una possibilità altrettanto logica? Ossia che Norma, nonostante i suoi indubbiamente numerosi pregi, non sia la donna per te? Forse non siete destinati a stare insieme. Risparmia il fiato, conosco la tua opinione sul fato. La realtà, secondo il mio modesto parere, è che questo- sollevò la famigerata lista –Non è altro che un elenco, neppure lontanamente comparabile alla complessità dell’essere umano- stroncò sul nascere le repliche di un agguerrito Ewan e concluse teatralmente il monologo stracciando la suddetta lista. –Se ti sta bene fingere di amare un decalogo su un pezzo di carta, continua a uscire con Norma; se, invece, preferisci amare veramente… smetti di illudere entrambi e continua la ricerca, stavolta senza guida cartacea.
Il botanico distolse lo sguardo e sospirò –Mi sento spaesato, Phil. Tutte le mie certezze stanno franando, il mio… cervello, mio vanto da sempre... sta andando a rotoli. Mi vergogno soltanto a pensarci: è da un po’ che… è pazzesco, indegno di qualcuno ordinato e metodico come me…
–Esagerato! Sembra che tu abbia ammazzato qualcuno!
–Solo nei miei sogni- sbuffò una risatina. –Dall’ultima uscita in gruppo sto evitando Albert con ogni mezzo, però capita comunque di incrociarsi, la città non è immensa… e ogni volta tremo all’idea che mi costringa ad ascoltare la cronaca secondo per secondo del kamasutra con Jodie; e più ci penso, più una morsa mi attanaglia lo stomaco, e più stringe, più brucio di una rabbia mai provata prima e muoio dalla voglia di strozzarlo, sgozzarlo, sparargli, decapitarlo con una delle scuri in aula magna… sono una persona orribile! Un maniaco omicida! Curami!
–Spiacente, El, la gelosia attualmente è incurabile.
–Geloso io? Tu vaneggi!
–Benedetti scienziati, così ciechi di fronte all’ovvio!- berciò il medico, incredulo che una persona tanto intelligente potesse al contempo dimostrare una tale stupidità. –Ora chiudi gli occhi e immagina di parlare di Jodie a un perfetto sconosciuto, il tizio senza nome che hai incontrato sull’autobus, o in metropolitana. Cosa diresti?
–Beh… innanzitutto che è brillante. Non è semplicemente questione di intelligenza - ci sono tanti cervelloni più soporiferi di un sonnifero - lei è dotata della capacità di non annoiare mai. Spesso, quando converso, dopo un po’ metto il cervello in stand-by; con lei mai, perché non parla a vanvera. È estroversa, spiritosa, autoironica; non ha avuto un’infanzia e un’adolescenza facili, ma ne è uscita a testa alta e si è fatta strada nel mondo con le sue sole forze. È una tosta, una con le… no, le palle no: è una femminista di ferro e sostiene che questo genere di apprezzamento è sessista; diciamo che ha le bocce, bocce di tutto rispetto - non che le abbia… insomma… un’occhiatina sì, è inevitabile, si fanno notare, ma niente di più - chiusa la questione- si fermò a riprendere fiato e proseguì –E so che farò la figura del melenso e/o sfigato, ma non mi vengono in mente altre parole: è bella. Quando l’ho vista al ballo, con quell’abito blu… mi ha lasciato letteralmente senza fiato. Anche quando mi imbattevo in lei nei locali, o per strada,  restavo incantato. Io…
–Sei cotto- finì al posto suo Philip, esibendo il sorrisetto di chi la sa lunga. –A puntino, direi. Elementare, Watson.
–Questo vizio di completare le frasi altrui è irritante.
–Ti preoccupi di un’inezia del genere? Ti sei lasciato soffiare da sotto il naso la tua metà della mela!- “Oddio… metà… quanto a stazza è il suo doppio!” –E da uno dei tuoi migliori amici! Questo è un problema!- abbaiò, accorgendosi il secondo successivo di essere stato troppo rude. –Mi dispiace. Accidenti, dev’essere terribile rendersi conto di aver avuto “quella giusta” a portata di mano e…
–Potrei ripiegare sull’illusione, fingermi innamorato di Norma- sussurrò Ewan, più a se stesso che all’amico. –Non sarebbe giusto: è troppo sveglia, presto o tardi capirebbe di essere un ripiego e sfogherebbe il dolore vendicandosi; renderei infelici entrambi. Però non lo sono neppure soffrire e restare solo come un cane! Niente paternale, Phil, sarei uno schifoso ipocrita se dicessi che mi basta vedere Jodie felice, anche se non con me. Seguirò la via che mi ha sempre condotto alle giuste scelte: ordine e metodo. Affronterò a muso duro Albert, nella speranza che la sua sia una semplice infatuazione, o una ripicca nei confronti di Marion. Soltanto allora, se avrò speranze, potrò lasciare Norma e farmi avanti con Jo… se ne avrò il coraggio.
Philip, allibito, ingoiò il torrente di frasi rabbiose che scalpitava per uscire dalla sua bocca, incanalandole su una matita innocente.
–Diagnosi sbagliata, El: sei uno schifoso ipocrita.
***

–Al fine di trovare tutte le possibili ampiezze di probabilità per un dato processo, bisogna sommare, o integrare, l'ampiezza sullo spazio di tutte le possibili evoluzioni del sistema nel tempo tra lo stato iniziale e quello finale, incluse quelle evoluzioni che sono considerate assurde secondo gli standard classici. Nel calcolare l'ampiezza per una singola particella nell'andare da un punto all'altro in un tempo dato, sarebbe corretto includere le evoluzioni nelle quali la particella descrive curve elaborate, evoluzioni in cui esce fuori nello spazio esterno e rientra ancora, e così via.
L'integrale sui cammini le include tutte. Non solo: esso assegna a tutte loro, non importa quanto bizzarre, ampiezze di uguale grandezza.
La falsa modestia non apparteneva ad Albert Gimpsky: era fin troppo consapevole del suo fascino e non si faceva remore ad usarlo per scopi da lui reputati degni: infondere nei suoi studenti interesse - se non amore - per la fisica quantistica, ad esempio. Era uno dei pochi insegnanti a poter vantare un silenzio assoluto spontaneo durante le lezioni: chi perché concentrato sulla spiegazione, chi perché concentrato a fantasticare su di lui, nessuno fiatava; tuttavia, quel giorno uno strano fermento serpeggiava tra gli alunni.
Stizzito, sbottò –Potevate avvisarmi che sto perdendo tempo perché siete tutti premi Nobel che non hanno bisogno. Di. Prestare. Attenzione!- salvo poi acquietarsi quando individuò l’elemento di disturbo. Allora sorrise e concesse alla classe dieci minuti di pausa. I ragazzi non se lo fecero ripetere: corsero fuori dall’aula ad ossigenare i neuroni, spossati dalla fatica di assimilare una marea di nozioni. Rimasero in due: lui e la causa della disattenzione generale. Quando gli fu di fronte, dall’altro lato della cattedra, la rimproverò gentilmente –Adoro le sorprese, ma la prossima volta vieni con una mise meno provocante: Madre Natura, o chi per essa, ha dato a te la bellezza e a noi maschietti sangue sufficiente a far funzionare un cervello alla volta - se capisci cosa intendo - e, dato che i miei studenti sono per il novanta per cento maschi…
–Mi conciavo così ogniqualvolta Jorge veniva a casa, però non mi ha minimamente considerata finché non ho iniziato a uscire con te, ci crederesti?
–Ci credo eccome!- esclamò il fisico, reprimendo una risatina davanti alla malcelata delusione di Marion. –Il tuo ex è un coglione!
–Sarebbe un complimento? Parecchio contorto, come la roba che hai scritto alla lavagna: ho capito soltanto “equazione”. Sono negata per certe cose. È Jo quella brava, la testa d’uovo. Primo premio alla fiera scientifica dello Stato dalle elementari al liceo, un curriculum invidiabile, eccellente scacchista... ha imparato il francese da autodidatta, lo sapevi? Il liceo non prevedeva tra le materie lingue straniere. All’università sostenne gli esami per certificare la conoscenza della lingua, superandoli a pieni voti. Ah, naturalmente è anche una buona cuoca e un modello di generosità e altruismo, nonostante in passato l’abbia trattata malissimo.
–Ti sei imbucata ad una delle mie lezioni per fare pubblicità a tua sorella?
–Perché no?- soffiò Marion, tremando impercettibilmente. –È praticamente perfetta! Una donna di successo, realizzata, mentre io… sono solo una bella bambolina che si è rovinata con le sue stesse mani.
Nonostante fosse in genere mite, Albert esecrava chi si piangeva addosso, quindi rispose aspramente. –Hai ragione: la tua vita fa veramente schifo! È orribile avere un tetto assicurato, un bel lavoro, due figli stupendi, una famiglia che ti vuole bene e qualcuno che ti ama!- glissò sul flebile “Saresti tu?” –Sei venuta a sedurmi con la pietà? Non attacca! Vuoi che ti dica che Jo è fantastica? Lo è! Ma tu non sei da meno! L’unica differenza tra voi - a parte il fisico… in tutti i sensi - è che lei, pur avendone la possibilità, non si è auto commiserata; si è rimboccata le maniche per trasformare i suoi sogni in realtà, senza sbirciare nel proverbiale giardino del vicino. Se fossi più matura e meno egocentrica non considereresti le sue vittorie come tue sconfitte! Finisci di invidiarla, concentrati sulla tua vita e vedrai che la sua erba - niente doppi sensi - ti parrà meno verde.
Marion pestò i piedi, irritata dalla brutale sincerità di Albert, prese la borsa e, mormorando imprecazioni, se ne andò.
Al rientro in aula, gli studenti constatarono con dispiacere che la sconosciuta mancava all’appello.
–Peccato- sussurrò uno. –Era una bella distrazione!
–Anche troppo bella- rincarò un altro. –Per studiare, intendo. Volete mettere lei con le nostre compagne di corso?- e indicò sprezzante un gruppetto di ragazze in prima fila.
–Probabilmente è “amica” del prof. Vero, prof? La brunetta in ultima fila è la sua ultima vittima?
–Ti sego la lingua e te la faccio ingoiare, Ferguson!- tuonò Albert. –A meno che… non mi riepiloghi correttamente i postulati di Feynman.

Note dell’autrice:
Non avendolo fatto nelle note iniziali, ringrazio qui Calliope S, marioasi e sunburn1985, che hanno recensito, e irisbjorn, che segue la storia. :-*
Non siate duri con Albert: è stato brutale, ma sincero. A Marion serve uno scossone, abituata com’è ad essere viziata (la piccola di casa, la figlia e bella popolare, quella che si è sposata e ha avuto dei figli, al contrario di Jo, donna in carriera… sì, ha decisamente bisogno di una strigliata!). Si riprenderà in fretta. Non siate duri neppure con Ewan: ce ne ha messo di tempo, però ce l’ha fatta. Ci è arrivato. L’ha capito! E adesso è sul piede di guerra… trema, Albert! XD
Informazioni di servizio: i lepidotteri sono l’ordine a cui appartengono farfalle e falene, mentre l’integrale dei cammini (path integral) è una formula di meccanica quantistica per il calcolo dell’ampiezza, o densità, di probabilità (numero che descrive la posizione di una particella, in accordo però col principio di indeterminazione di Heisenberg), e si basa sui postulati di Feynman. Non essendo questo un manuale di fisica, per approfondimenti consultate altre fonti (magari Albert. ;-) Chi non lo vorrebbe un prof così?).
Il gran finale si avvicina. Riusciranno i nostri eroi nelle rispettive imprese? Lo scoprirete nel prossimo capitolo! Spero di non deludervi e di non avervi deluso finora. :-*
Alla prossima!
Serpentina
Ps: Piccola curiosità: personaggio e coppia preferita? Avete mai pensato a coppie “alternative” (es: Jobert, Marwan, etc)?
 
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13: Escogito, ergo sum ***


Persino ‘La storia infinita’ ha una fine, perciò non stupitevi se vi annuncio che questo è il penultimo capitolo (includendo l’epilogo). Naturalmente, grazie a tutti voi lettori, in particolare a Calliope S, LittleDreamer90, marioasi e sunburn1985, che hanno recensito, e a gnometta19, che ha inserito la storia tra le seguite. 
Sottofondo musicale consigliato: 'Californication'.

 

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Escogito, ergo sum
ovvero
Quoque tu, Albert!

 
Amate una ragazza con tutto il vostro cuore e baciatela sulla bocca. Allora il tempo si fermerà e lo spazio cesserà di esistere.
Erwin Schrödinger

Caroline Gimpsky doveva aver scoperto un modo per sopravvivere senza cuore nel petto; Jonathan lo aveva sospettato quando - al termine della confessione al cospetto di Albert - invece di difenderlo, aveva lasciato che lo colpisse senza batter ciglio.
–È per Sabrina, vero? Vuoi vendicarti spezzando il cuore di mia sorella come feci con la tua!
–Non puoi pensarlo sul serio, Al! Mi vendicai a suo tempo spaccandoti la faccia!- ruggì, indignato per l’insinuazione. –Incasso questo pugno per pareggiare i conti, ma credimi: non scherzo con Carrie. Sono innamorato di lei. Puoi accettarlo?
Tirò un sospiro di sollievo quando vide l’amico, superato lo sbalordimento, annuire; aveva ragione Jodie: chiunque affiderebbe la felicità di sua sorella a qualcuno fidato, piuttosto che a chicchessia. Albert si fidava di lui, glielo aveva appena dimostrato. Peccato che Caroline non fosse dello stesso parere: diede una gomitata a suo fratello e un calcio negli stinchi al povero Jonathan, indifferente ai suoi mugolati di dolore.
–Mi sembrava di aver parlato inglese. “Nessun coinvolgimento”, Johnidiota Carmastupido! Possibile sia circondata da coglioni?- sbraitò, infondendo in quella frase tutta la sua rabbia. –Io. Non. Ti. Amo!
–Va bene, non posso certo obbligarti a ricambiarmi- rispose Jonathan, deciso ad averla vinta. –Ti chiedo soltanto la possibilità di farti cambiare idea.
–Un appuntamento?- sputò lei, schifata. –Non sono tipo da appuntamenti.
–Uno solo, Carrie! Devo supplicarti in ginocchio?
–Sai che sforzo: sei già per terra!- sibilò la ragazza mentre si limava le unghie. –Comunque non servirebbe. Cercherò di essere chiara: io non provo assolutamente nulla per te. Sei semplicemente un’alternativa legale allo sballo chimico: mi dai le stesse sensazioni. Se non ti sta bene, quella è la porta- ripose la lima, prese borsetta e cappotto e soffiò –Voi maschi alfa restate pure qui a piangere le palle perdute, io vado a ballare. Tu- indicò un vilipeso Joanthan –Eclissati alla svelta e tu, fratellone, non aspettarmi alzato.

 
***

Tese un agguato ad Albert al termine della lezione. Questi doveva aspettarlo a sua volta, oppure possedeva un talento recitativo fuori dal comune, perché al vederlo batté le mani e tuonò –Scommetto che vuoi parlare!
–Esatto. In un posto appartato, però- rispose il botanico, animato da una fervente determinazione.
–Oh, no, non di nuovo!- gnaulò il fisico, esprimendo a versacci il proprio disappunto per essere stato trascinato in un claustrofobico sgabuzzino, pieno di scope e detergenti. –Avanti, sputa il rospo, vuota il sacco… muovi la lingua, insomma: Jodie mi aspetta!
–Ecco… a questo proposito- esalò Ewan, tormentandosi una ciocca di capelli, lo sguardo fisso in basso –Probabilmente mi odierai per quanto ti dirò, forse mi picchierai, persino, e ne avresti tutte le ragioni - magari non farmi troppo male, eh? - perché tu sei stato corretto, hai tentato svariate volte di mostrarmi il grosso, grossissimo errore che stavo commettendo, invano. Sono stato un deficiente, un emerito idiota, un imbecille, un…
–D’accordissimo su tutto - specialmente “deficiente, idiota” e simili - ma per piacere, taglia corto: questo postaccio puzza di muffa.
–Ho capito che mi piace Jodie. No, peggio: sono pazzo di lei!
Accese la torcia del cellulare e puntò gli occhi sull’amico: anziché adirarsi, ruggire che la donna era sua e se la voleva sarebbe dovuto passare sul suo cadavere, eruppe nella sua tipica risata roca.
–Era ora!
–C-Cosa i-intendi?
–Che, senza offesa, sei un po’ tardo. Vedi…
Non riuscì a finire il discorso perché la porta venne spalancata da una coppietta (palesemente in cerca di intimità); la ragazza, senza ombra di dubbio una matricola, avvampò, mentre il ragazzo sgranò gli occhi ed esclamò –Professor Ellis? Professor Gimpsky?
–Dimenticate di averci visti e noi dimenticheremo di aver visto voi- rispose prontamente Albert, poi, mossi pochi passi lungo il corridoio, si voltò per lanciare ai piccioncini dei preservativi, con la raccomandazione –Zero rischi, è questo il motto della Boston University!
–Veramente è “conoscenza, virtù e altruismo”- lo rimbeccò Ewan.
–Il mio, invece, è: chi se ne frega!- sbuffò Albert, seccato dall’incessante squillare del telefono. –Uh, che palle! Da quando è nato Al junior, Mitzi mi subissa di foto; per carità, è un bambolotto pacioccone, ma c’è un limite a tutto! Beh, ci vediamo.
–Aspetta!- lo fermò il botanico, trattenendolo per una manica del cappotto. –Devi ancora spiegarmi perché sarei tardo.
–Dimostra di non esserlo arrivandoci da solo- rispose enigmatico il fisico, dopodiché lo salutò con la mano e si avviò verso casa fischiettando.

 
***

Caricarsi di lavoro per sfuggire alle chiacchiere sulla festa degli innamorati aveva sortito come unico effetto di procurarle un mal di schiena coi fiocchi. Marion rincasò sfinita e la stanchezza riportò a galla pensieri faticosamente repressi su Albert. Non ricordava chi avesse detto “è più facile perdonare gli altri quando hanno torto”, ma concordava: si sarebbe precipitata da lui, se un esame di coscienza - una coscienza di nome Jodie - non l’avesse messa di fronte alle sue colpe. Si vergognava troppo per poter anche solo sognare il suo perdono. La consolò la certezza di una serata tranquilla senza sorella - che l’avrebbe trascorsa proprio insieme al fisico - né bambini - Jorge, definitivamente piantato in asso da Sasha (“Il karma ha fatto il suo dovere”, aveva commentato Jodie) dopo vari tira e molla, si era finalmente ricordato di essere padre - certezza che crollò quando vide i suddetti sorella e pargoli e Mariposa trillò –La zia mi fa bella per uscire!
“Ha tre anni, santo cielo! Cosa può combinare a San Valentino?”
Troppo stanca per affrontare una discussione, rimandò le spiegazioni a dopo una doccia corroborante e una cena frugale (praticamente uno spuntino). Si era ripromessa di mantenere la calma, ma i nervi cedettero nell’istante in cui Jodie la informò che Jorge aveva “rispedito i pacchi al mittente” per via di un impegno improvviso - “un impegno con nome, cognome e taglia di reggiseno”, aveva sibilato - e che la piccola aveva davvero un appuntamento.
–E tu hai acconsentito a questa follia?- abbaiò Marion, sconvolta. –È una bambina! Se si atteggia a ragazzina adesso, da adolescente sarà ingestibile! Tu… tu…
–Rilassati, mamacita- la rassicurò Manuel, alle prese con un’operazione difficilissima: annodare la cravatta. –Sarò la sua guardia del corpo.
–Mandi a cenare fuori mia figlia di tre anni sorvegliata dal fratello di sei? Cose dell’altro mondo!
Jodie rispose con un sorriso innocente e una scrollata di spalle, quindi riprese ad acconciare i capelli della nipotina. Quasi sicuramente Marion l’avrebbe rimbrottata, se non avesse suonato il campanello, costringendola ad una temporanea ritirata. Conosceva talmente bene la propria sorella da indovinare che sarebbero trascorsi esattamente tre secondi prima che si riprendesse dallo shock ed esclamasse –Albert! Cosa ci fai qui?- e toccò il cielo con un dito quando la sentì aggiungere –Non importa. Desideravo tanto vederti! Ti devo delle scuse.
–Idem. Ho esagerato, mi spiace, ma la tua passiva mancanza di autostima mi ha fatto incazzare: se potessi vederti con gli occhi miei o di Jo avresti una migliore opinione di te. Non hai niente da invidiarle e nulla da dimostrare… non a me.
–Perdonami. Per tutto. E grazie per avermi aperto gli occhi. Sbollita l’arrabbiatura ho capito che eri nel giusto: la competizione tra sorelle è normale, finché non ti impedisce di vivere; io ne ero ossessionata: ammiravo e detestavo le innumerevoli qualità di Jo senza pensare a quanto ha sofferto e faticato per diventare la donna che è oggi. Adesso basta, voglio cambiare. Sto provando a seguire il tuo consiglio: pensare a me stessa, senza paragoni con mia sorella o altri, nella speranza di meritarti, prima o poi.
–L’amore non si merita, Marion. Si dà e si riceve… se lo vuoi.
Non riuscire a comprenderli oltre a causa del volume della voce troppo basso innervosì Jodie, ma i suoni umidi misti a risatine che udì subito dopo la resero nuovamente giubilante: si erano rappacificati!
–Meglio andare a separarli, prima che si accoppino nell’ingresso!
Mariposa si seccò moltissimo per non aver ottenuto risposta alla domanda “che vuol dire accoppiarsi?”, tuttavia cedette alle pressioni della zia e si fiondò dai piccioncini tubanti cinguettando –Fatti da parte, mami, lui è il mio cavaliere!
Lo sconcerto di Marion raggiunse l’acme quando Albert, anziché negare con una battuta sulla fervida fantasia dei bambini, esclamò –Sei splendida, piccolina. E puntuale! Mai incontrata prima una femmina puntuale agli appuntamenti!- quindi, scambiato con lei un cenno d’intesa, aggiunse –Porto tua figlia a cena fuori, ti sta bene?
–Cos… ah, beh… s-sì. C-Cioè, è… s-strano, ma… credo non ci sia nulla di male.
–No, infatti- rispose Manuel, apparso sulla soglia della sua camera insieme alla zia. –Tanto li controllo io!- ammiccò in direzione di Jodie ed esalò –Allora, chi di voi due si sacrifica?
–Sacrifica?
–Io la ruota di scorta non la faccio!- gnaulò il bambino, esibendo un’espressione supplichevole. –Non mi lasciate solo, per favore!
Jodie sbadigliò e si stiracchiò vistosamente, dopodiché esalò –Dio, come sono stanca! E ho l’emicrania, i piedi, gonfi, i capelli sporchi… oh, cavolo, pure il brufolone premestruale, puntuale come le tasse! Ah, no, io in queste condizioni non esco! Non contare su di me, nipote!- sospinse gentilmente, ma con decisione, la sorella nella loro stanza e, prima di chiudere la porta, sorda alle sue proteste, celiò zuccherosa –Via, Marion, datti una ripulita!
Esaurite le obiezioni, la minore delle sorelle Carr si preparò velocemente per la serata. Rispose con un sorriso ai complimenti galanti di Albert e a quelli goffi dei suoi figli, infine sussurrò all’orecchio di Jodie, mentre questa la aiutava ad infilare il cappotto –Perché ho il sospetto che abbia architettato tutto tu?
“–Ehilà, amica! Pronta per la maratona? Non puoi immaginare la mia felicità: sei la prima che conosco ad apprezzare il cinema bollywoodiano quanto me!- esclamò Albert, impegnato nella scelta dei titoli da guardare.
Jodie, la voce resa metallica dalla trasmissione telefonica, sospirò –Spiacente, Al, dobbiamo rimandare: impegno imprevisto.
–Ewan si è deciso a dichiararsi? Era ora! Fate tanto e bene, mi raccomando- celiò il fisico, in brodo di giuggiole. –Inutile specificare cosa, sei una donna di mondo.
Jodie aveva ridacchiato, prima di spiegargli –Ma quale Ewan! Ormai è perduto. Figurati se Norma lo libera dalle sue grinfie! No, no, l’impegno… sono i miei nipotini. Quel figlio di put… donna avvezza al mercimonio che ho avuto la sventura di avere come cognato me li ha appioppati per andare a spassarsela con una nuova amichetta. Sono furiosa! Anche se li adoro, avrei gradito un po’ di tempo per me, senza contare che sono iperattivi e di pessimo umore: il padre aveva promesso una cena loro tre da soli - della serie “è San Valentino e voi siete i miei amori” - ma, come al solito, gli è bastato vedere uno stacco di coscia per dimenticarsene. Li ha feriti troppe volte per potersi permettere altri passi falsi, eppure continua a compierne, convinto che i figli perdonino a priori; non sa quanto si sbaglia: i bambini ci giudicano costantemente, con un metro di giudizio estremamente severo, e non dimenticano. Mi piange il cuore a pensare che l’irresponsabilità di quell’abominio subumano si ripercuoterà soprattutto su Mariposa: che idea potrà mai farsi degli uomini, con un modello del genere?
–Hai ragione: gli standard delle future relazioni si costruiscono nell’infanzia. Mio padre ha trattato le mie sorelle da regine e… beh, a parte Carrie, sono venute su bene- intervenne Albert, rattristato dal pensiero dei due pargoli illusi e delusi. Se suo padre si fosse comportato in quella maniera, lo avrebbe insultato, poi disconosciuto. Senza riflettere, pronunciò una frase che riuscì a stupirlo –Senti, Jo, forse… ecco… sì, insomma… una cena è una cena. Non sono l’ex di Marion (per fortuna!), però, se i bambini si accontentano…
–Ho capito bene, Al? Ti immoleresti per una buona causa?- il volume delle risate costrinse il fisico a disattivare l’opzione viva voce. –Sei consapevole di cosa proponi? Sì? Sicuro sicuro sicuro? Allora per me va bene! Solo… accetta un consiglio da amica: prenota per quattro.”
–Perché sei diffidente e malpensante- replicò con sussiego Jodie.
–È una tua idea?- soffiò Marion, indicando Albert, assediato dalla primadonna in miniatura, che aveva insistito per essere presa in braccio.
–Perché questo tono sorpreso?- batté delicatamente le nocche sul cranio. –La zucca è piena! Non di segatura, te l’assicuro. Ora possiamo andare, sennò perdiamo la prenotazione?

 
***

Qualunque essere umano - dotato di una minima sensibilità d’animo - in procinto di mettere la parola fine ad una relazione - di qualsiasi genere - con un suo simile, prova un misto di malinconia e angoscia; malinconia per i ricordi (si spera) belli che l’hanno accompagnata e per il senso di colpa dovuto alla consapevolezza che si causerà dolore all’altro, angoscia per il tono che prenderà la discussione: lo/la scaricato/a reagirà con dignità, indifferenza, oppure darà in escandescenze, arrivando addirittura all’aggressione fisica?
Questo turbine di pensieri si agitava nell’iperattiva testa di Ewan, seduto davanti a una fumante tazza di caffè. Stava bevendo a piccoli sorsi perché non gli piaceva, ma non poteva lamentarsi: se si demanda la scelta del luogo di un appuntamento, protestare è da immaturi.
–Non è buono?- gli chiese Norma, infastidita dal lungo silenzio seguito ai convenevoli iniziali.
Ewan alzò lo sguardo dalla tazza alla donna, che lo stava osservando apprensiva, le sopracciglia aggrottate sui luminosi occhi color zaffiro. Si sentì sprofondare. Una parte di lui avrebbe preferito rimandare l’incontro, ma la razionalità aveva prevalso, facendogli notare che sarebbe stato vergognoso continuare la farsa dopo San Valentino, senza nemmeno più la scusa di non voler essere un verme schifoso mollandola a ridosso della romantica ricorrenza (non festeggiata. Norma aborriva qualsivoglia volgare e melensa sceneggiata, dalle cene a lume di candela a qualunque articolo mielosamente commerciale); meglio sbrogliare la matassa e lasciarle il tempo di sanare le ferite.
–No, no, è eccellente. Davvero. Sono io il problema: sono di poca compagnia e me ne dispiaccio.
–Puoi sfogarti, se ti va- rispose Norma, accarezzandogli un braccio. Faticò a nascondere la delusione quando lui sussultò e si sottrasse al suo tocco. –Anche se non ti va: detesto le situazioni sgradevoli trascinate per le lunghe e, come tutte le donne, possiedo un sesto senso per le storie al capolinea.
–Stavo cercando le parole, però hai ragione: meglio essere diretti. Sei fantastica- evitò ogni accenno alla lista –E io un pazzo a non essermi innamorato di te.
–Perlomeno mi lasci con stile, vis a vis. La maggior parte degli uomini, oggi, è già tanto se telefona. Me la sono cercata: sapevo di avere poche chance, ma ho voluto provarci ugualmente. Hai tutto ciò che cerco in un uomo, e non nego che avrei preferito un finale diverso, ma non posso fartene una colpa: il tuo cuore è già occupato- asserì Norma, scrollando le spalle. Con enorme sorpresa del botanico, non gli gettò addosso il caffè, né gli inveì contro; si limitò ad una smorfia mesta e a mettersi in piedi. –Ho combattuto e perso e ora, se permetti, abbandono il campo con dignità.
Ewan, complice la goffaggine - sintomo del nervosismo che lo pervadeva - nell’alzarsi urtò con lo schienale della sedia quella alle sue spalle, turbando il quieto amoreggiare di una coppietta incollata per le labbra, le cui bevande si cosparsero sul tavolo e i vestiti.  Ammutolito, incapace di costruire un discorso di senso compiuto, deglutì a vuoto, lambiccandosi per trovare una replica degna della sua intelligenza, ma la ragazza che aveva urtato glielo impedì: irata, lo strattonò urlandogli una marea di insulti. L’unica frase a non contenerne fu –Scusati subito! Chi ti credi di essere, il Presidente?
Le strida attirarono l’attenzione degli altri avventori e del titolare, il quale intervenne per acquietare l’arpia e riportare ordine nel locale. Norma ebbe la prontezza di spirito di afferrare Ewan e trascinarlo in strada, lontano da quella furia.
–Non mi sarei stupita se ti avesse ammazzato!- esclamò, incredula di aver assistito a una tale sfuriata.
–Io, invece, mi stupisco che tu la prenda così bene… la rottura, intendo- pigolò lui.
–Mi ero accorta dell’attrazione reciproca tra te e Jodie- sospirò lei. –Per citare i libelli rosa che tanto piacciono a mia madre, tra voi si avverte un “ineluttabile magnetismo animale”; la tua gelosia era palese. Inoltre non ho molto da rimpiangere: sei un discreto baciatore, ma non ho ancora testato le tue abilità amatorie. Sei almeno riuscito a sottrarla al tuo amico e dimostrarle l’intensità dei tuoi sentimenti con un’infuocata notte d’amore?- gli incomprensibili balbettii del botanico, coloratosi di rosso papavero, furono sufficienti come risposta. –Lo prendo per un no! Poverino, quasi ti compatisco!
La sua risata assunse un timbro rauco che gli ricordò quella di Albert; immediatamente tornarono a galla le mille ipotesi su quanto aveva mancato di dirgli due giorni prima nello sgabuzzino.
–E-Ecco, i-io… non avevo realizzato di provare qualcosa per Jo - qualcosa di diverso dall’amicizia - e adesso è troppo tardi. Cosa mi garantisce che mi voglia? Lei e Al sono perfetti insieme: solari, estroversi, sicuri di sé, scherzosi - fin troppo, a volte - intellettualmente molto dotati, dinamici…
–Oh, Ewan, davvero non te ne sei accorto?- gnaulò Norma, scuotendo il capo. –Voi uomini siete così… così…
–Così?
–Niente- soffiò, inespressiva, prima di congedarsi dopo un abbraccio privo di calore.

 
***

Una volta a casa, si mise comodo: tuta, calzettoni antiscivolo, ‘Californication’ nelle orecchie, un buon libro in cui immergersi e una pregiata birra artigianale per coccolarsi. Assorbito dalla lettura, si accorse di essere ancora connesso alla Rete dal cellulare quando udì il trillo della casella di posta elettronica, che lo avvertiva di un messaggio in arrivo. Scocciato, in quanto convinto si trattasse del rettore Brown - il quale, nei giorni precedenti, lo aveva tartassato con la richiesta di una seconda intervista con Mina Lee, ufficialmente per lanciare un appello per rimediare al suo status di single, ufficiosamente per pubblicizzare ulteriormente l’ateneo, in particolare il nuovo laboratorio di agrobiologia - si coprì la faccia con il libro, piagnucolando –Mi rifiuto di leggerlo! Non voglio!- col medesimo tono che da piccolo riservava a pietanze ed attività sgradite. Fu l’immagine della madre - la quale, come la versione reale, lo strigliò per bene, rammentandogli i suoi doveri di adulto - a persuaderlo a prendere il telefonino e aprire la mail, il cui mittente non era affatto il rettore.
“Ehilà, vecchio mio (sì, vecchio; di due mesi, ma sempre vecchio resti)!
Data la tua malsana passione per i luoghi angusti, tetri e umidicci (apro e chiudo parentesi: sei fortunato che quei due studenti abbiano dell’ovatta a tenere separate le loro orecchie, qualcuno più intelligente avrebbe subito pensato cosa - eventualmente - implica trovare due uomini appartati in uno stanzino delle scope) ho deciso di inviarti una missiva (elettronica, ma pur sempre missiva. Se non  conosci il significato del termine missiva, consulta un dizionario); non ho idea, inoltre, di come reagirai alla scottante rivelazione, e sono troppo giovane e sexy per crepare o, peggio, venire sfigurato dalla tua ira funesta.”

–Albert ha bisogno di rivedere le sue priorità- sbuffò Ewan, stiracchiandosi pigramente.
“Bando alle stronzate. Sono ormai certo di aver acceso la tua curiosità, perciò andiamo al sodo... dopo una breve premessa. Meglio cominciare dall’inizio, no?
Durante il fortuito incontro in libreria non ho potuto fare a meno di notare un’intesa tra te e la formosa Jo. Ricordo anche il tuo imbarazzo quando ti parlai delle sue tette: non era il classico imbarazzo da educando scandalizzato, piuttosto l’imbarazzo colpevole del bimbo beccato con le mani nel vasetto di marmellata; ne dedussi che avevi fantasticato - parecchio - sui suoi tornanti (come darti torto?), e, conoscendoti, giunsi alla conclusione che dovevi essere attratto da lei. La mia brillante deduzione trovò conferma nel tuo comportamento in sua presenza. Quando ti baciava sulla guancia diventavi un peperone e ti tastavi con aria sognante, tipo Mickey Mouse o Donald Duck dopo un bacino di Minnie e Daisy.
Poi venne fuori quella lista del cazzo, e i miei piani andarono in fumo, o almeno così credevo: contrariamente alle mie previsioni, Jodie risultò incarnare tutti i dieci punti (apro e chiudo nuovamente parentesi: in futuro presta più attenzione ai tuoi beni. Sottrarti la lista, fotocopiarla e rimetterla a posto senza che te ne accorgessi è stato un gioco da pupetti!) ed avere una discreta cotta per te. Un vero peccato, perché confesso di averci fatto un pensierino, quando Marion mi ha scaricato.“

–Che cosa?- ruggì Ewan e, in preda alla rabbia, scagliò il libro contro il muro.
“Inutile che ti arrabbi, la mia lealtà nei tuoi confronti non ha ceduto alla tentazione. Non male per un cazzone della mia levatura, eh?
Nel disperato tentativo di svegliarti portai Jodie alla festa dell’università. Ottenni l’effetto sperato: eri geloso marcio! Ma Norma intralciò i miei piani, e ti giuro che mi morsi a sangue le mani dalla frustrazione: perché perdevi tempo appresso a lei, nonostante fossi innamorato di un’altra? Te lo rivelo perché so che ti vergognerai: persino Brown ha notato che la spogliavi con gli occhi (Jo, non Norma, sebbene pure lei fosse un bel bocconcino)! Sei come un libro aperto, amico mio, non hai segreti per me. Chi credi abbia fatto da suggeritore al nostro rosso preferito (apro e chiudo l’ennesima parentesi: la prossima volta evita di entrare sul più bello, non è salutare eccitarsi senza venire, al povero Phil sarebbero potuti scoppiare i gioielli!)? Mi sono sentito fighissimo, un moderno Cyrano de Bergerac, solo col naso in scala ridotta. Ah, già: l’altra differenza è che io la mia Rossana l’ho conquistata e, se mai dovessi perderla, sei autorizzato a cambiarmi i connotati. Mi ero ripromesso di non interferire, ma era necessario: stavi diventando preoccupante! Non sono un esperto di affari di cuore, ma so riconoscere due anime affini e credo, aiutandoti, di aver purificato almeno in parte il mio karma, visto e considerato che, avendo perso la scommessa, mi toccherà sborsare un mucchio di verdoni! Spero che tu non abbia gusti pretenziosi.
Bene. Ora sai tutto e puoi correre dalla tua bella a professarle amore imperituro. Sei cresciuto, piccolo El, sei un uomo, ormai… mi commuovo! Meno male che Carrie ha lasciato in giro una sua t-shirt, sono a corto di fazzoletti.
E se le rose non dovessero fiorire, possiamo sempre rinchiuderci nello sgabuzzino e spassarcela solo io e te!
Albert”

L’espressione del botanico divenne man mano meno allibita e più divertita, infine scoppiò a ridere e sbottò –Pezzo di cretino!
Rilesse più e più volte l’e-mail, travolto dalla marea di verità in essa contenuta. Lo stile era prettamente “Albert”: una patina di facezie che a uno sguardo superficiale nascondeva il penetrante acume del fisico; anzi, dava l’idea che questi fosse una persona frivola. Scolò altre due birre, quindi decise il da farsi.

 
***

Gli era costato un notevole esercizio di autocontrollo impedirsi di andare di corsa a bussare alla porta di Jodie, ma non poteva presentarsi lì, come nulla fosse, a tarda ora. Attese l’indomani mattina - mai stato più contento di avere lezione il pomeriggio - colmo di entusiasmo. Il creatore di Flash doveva essersi ispirato a lui, perché batté tutti i record di velocità nel lavarsi, vestirsi e fare colazione, prima di fiondarsi al MIT. Non aveva calcolato i ferrei controlli all’entrata: la receptionist stava ripetendo meccanicamente da cinque minuti che era vietato l’accesso ai non addetti ai lavori, e, se non fosse stato per Ingrid, l’avrebbe strozzata.
–Sei la mia salvezza!- trillò, abbracciandola di slancio.
La rossa si rivelò esserlo davvero: lo informò che Jodie non era in servizio, l’avrebbe trovata a casa. Sbuffò e lo rimbeccò quando le chiese l’indirizzo (–Sua sorella sta col tuo amico e non sai dove abita?), ma glielo scrisse su un biglietto e gli augurò buona fortuna.
Lungo il tragitto verso Cherry Street ripassò mentalmente il discorso che aveva preparato nel corso della notte insonne e controllò lo stato del bouquet composto appositamente per lei (che sapeva intendersi di florigrafia). Tanta la frenesia, salì a piedi fino all’appartamento, dove subì un’altra, cocente delusione: a comparire sulla soglia fu Marion, stampata in faccia un’espressione men che lieta.
–Certo che hai una bella faccia tosta!- soffiò, a braccia conserte. –Immagino stia cercando mia sorella. È uscita.
–Potrei aspettarla dentro, se non disturbo- pigolò Ewan, lievemente a disagio: Marion Carr gli era stata descritta come un dolce, materno angelo; o la sua memoria cominciava a fare cilecca, oppure Al, Jo e le sue amiche avevano uno strano concetto di “angelico”.
–Neanche per sogno!- ruggì lei, le guance chiazzate di rosso. –Non permetterò che l’uomo che mi porta via Jodie metta piede in questa casa!
–Ehm, comprendo il senso di protezione, però non esageriamo: mica la sequestro!- sbuffò, esasperato. –Devo soltanto parlarle.
–Di cosa? Di quanto l’hai fatta soffrire? Del fatto che non la ricambi, né la ricambierai mai?- ringhiò Marion, serrando i pugni. –Jo ha pianto per te, si è disperata per te… e adesso ci lascia! Perderò mia sorella e i miei figli la migliore zia che si possa desiderare! Perché per lei allontanarsi dal problema è la migliore soluzione. L’unica soluzione.
–A-Allontanarsi?
–Vuole tornare a Berkeley- piagnucolò Marion, coprendosi il viso con le mani. –Si trasferirà in California, ed è tutta colpa tua!
–Lei cosa?
–È andata dalla ditta di traslochi a tre isolati da qui. Sarai contento, adesso!
Senza aggiungere altro, Ewan percorse a ritroso le scale e si precipitò all’impresa indicata da Marion. Se si fosse fermato un attimo - e avesse posseduto la vista a raggi X - avrebbe visto la donna che lo aveva preso a pesci in faccia ridere di gusto e ammiccare in direzione dell’uomo appena uscito dalla cucina applaudendo.
–Un’interpretazione da Oscar! Avrei tanto voluto filmarti, sei stata ma-gni-fi-ca!
–Sono stata magistralmente diretta da un diabolico regista- replicò lei, scrollando le spalle, per poi baciarlo furiosamente. –Spero che questa messinscena serva a qualcosa.
–È cruciale, credimi: la prospettiva di un addio lo priverà degli ultimi freni inibitori e finalmente potrà dichiararsi… senza ordine e metodo! Peccato non poter assistere, Ewan che si impappina è uno spettacolo unico!
–Non ci resta che sperare in qualche ragazzino munito di smartphone- miagolò Marion. –Nel frattempo… perché non approfittiamo dell’assenza dei bambini per dedicarci alla “ginnastica da camera”?

 
***

La fortuna - a patto che esista - aiuta i metodici, più che gli audaci, a giudicare dalla fortuna sfacciata di Ewan: si scontrò con Jodie dopo pochi passi in strada, mentre era intento ad intonare mentalmente la litania “Capelli? A posto. Vestiti? A posto. Odore? Maschio, ma gradevole. Fiori? Intatti. Discorso? Oh, merda, l’ho dimenticato! Che le dico, adesso? Merda, merda, merda!”
–Ewan Ellis?
A differenza degli altri incontri, il tono era di domanda, quasi fosse sorpresa di trovarlo lì, e indecisa se esserne lieta o meno.
–Jo!- ululò lui, forse perfino più sorpreso. E felice. Se fosse stato un cartone animato, in quella scena il cuore gli sarebbe schizzato fuori da torace.
–Sono così contenta di vederti! Ho una notiziona!- trillò, poi notò i fiori e il tono mutò all’istante, divenendo gelido –Sono stupendi! Pochi, tra cui io, apprezzano il fascino discreto della Rosa muscosa. Un vero peccato. Che altro abbiamo? Biancospino, garofano bianco e nontiscordardime. Si direbbe una dichiarazione d’amore, anche se non comprendo la presenza di biancospino e rosa muscosa: Norma è a conoscenza dei tuoi sentimenti e non hai ragione di sperare che li ricambi, lo sai già. A meno che… per lei questi non siano semplicemente dei bei fiori, privi di significato.
–Oh, beh, ecco… veramente… sono per te- pigolò Ewan, avvampando in sincrono con Jodie. –Anche se, alla luce dei recenti avvenimenti, il bouquet più adatto dovrebbe comporsi di Suitopi, Renge e Camelia bianca.
La farmacologa richiamò alla memoria il significato di quei fiori e, rattristata, esalò –Mi stai dicendo addio?
–Arrivederci, spero- ribatté Ewan, prendendole una mano. –Mi piaci, Jo, sei tutto ciò che un uomo potrebbe desiderare. Anzi, credo di essere già un po’ innamorato. Vorrei che non partissi…
–Anche tu mi pia… Cosa? Sei pazzo?- sbraitò lei, infervorandosi. –Parto eccome! È il mio momento di gloria, col cavolo che ci rinuncio! Due settimane passeranno in un soffio, vedrai!
–Due cosa?
–Un ciclo di due settimane di conferenze sui risultati dei miei studi. Che c’è, non ti piaccio abbastanza da aspettarmi? La Camelia bianca proverebbe il contrario!
–Due settimane e basta? Oh! Ok. Soffrirò a starti lontano - il fiore di Loto non mente - ma posso reggerle. Poi torni, vero? - chiese Ewan con una nota supplichevole nella voce. Al vederla annuire emise un sospiro di sollievo e aggiunse –Bene! Perché vorrei uscire con te, sempre che riesca a perdonare la mia totale cecità dei mesi passati… e i racconti degli appuntamenti disastrosi… e il teatrino con Norma… e le lacrime versate a causa mia… non sai quanto mi dispiace! Se non mi fossi fissato su quella dannatissima lista forse…
–Forse? È certo, Ewan! Solo… lacrime? Non ti sembra un tanti nello melodrammatico?
Il botanico, esterrefatto, balbettò –M-Ma… M-Marion… h-ha detto… sono un povero ingenuo. Ha mentito, vero?
–Così pare. Marion bugiarda? Questa sì che è una novità!- ridacchiò Jodie, il naso tuffato nel boquet. –Devo ammettere, però, che questo nuovo lato di mia sorella non mi dispiace… è servito a portarti da me- si sporse in avanti quel tanto che bastava ad annullare la breve distanza che li separava e posare un bacio delicato come un petalo sulle labbra di Ewan… prima di rovesciargli in testa il mazzo di fiori con tutta la forza che aveva. –Altrimenti chissà quanto ci avresti messo, idiota!
–Toglimi una curiosità: sei così focosa anche a letto?
–Sei così fastidiosamente ordinato e metodico anche a letto?
Contrariamente alle sue aspettative, nonché a ogni pronostico dettato sul suo modo di essere, Ewan non si imbarazzò; sbuffata una risatina, curvò le labbra in una smorfia carica di malizia e rispose –C’è un solo modo per scoprirlo.
Jodie si finse sdegnata, lo allontanò con malagrazia e sospirò –Ewan Ellis, che ragazzaccio! Ho proprio una cattiva influenza su di te! Sicuro di volermi?
–Assolutamente. La ricerca della donna ideale può ufficialmente dichiararsi conclusa!
 
Note dell’autrice:
Ora potete lasciarvi andare a qualunque genere di esclamazione vi venga in mente: finalmente si sono decisi ( e non parlo solo di Ewan e Jo)! Certo, è stato necessario un intervento esterno, ma ce l’hanno fatta! Le difficoltà si superano, insieme, se c’è la volontà di farlo. Forse alcuni si stupiranno, o resteranno delusi, dell’uscita di scena di Norma: per come la immagino, non avrebbe mai fatto scenate. Al massimo, forse, avrebbe elegantemente intimidito Jo, ma, non essendo stupida, ha capito che Jodie non è tipo da farsi intimidire e ha gettato la spugna. Perché continuare a combattere una battaglia persa in partenza?
Il povero Jonathan è l’unico rimasto solo. Niente lieto fine per lui. Volontarie per consolare un cuore spezzato? ;-)
Sin da piccola, grazie a mia nonna, mi ha affascinata il linguaggio dei fiori (hanakotoba in giapponese), e ancora oggi mi capita di soffermarmi a esaminare composizioni varie chiedendomi se siano state assemblate con criterio o meno. Avendo per protagonista un botanico, non ho resistito alla tentazione di inserirlo nella storia:  il bouquet che erroneamente Jodie pensa sia per Norma è una vera e propria dichiarazione d’amore; Rosa muscosa = confessione d’amore, nontiscordardime (Wasurenagusa)  = vero amore, Biancospino = dolce speranza (che lei ricambi, ovvio), Garofano (Kaneshon) bianco = fedeltà eterna. Il secondo è un addio floreale: Pisello odoroso (Suitopi)  = addio, arrivederci, Camelia bianca (Tsubaki) = ti aspetterò e Fiore di loto (Renge) = dolorosa lontananza dalla persona amata, purezza (di sentimenti).
Spero che adesso la loro conversazione vi sia più chiara.
Rimando i ringraziamenti finali all’epilogo, nel quale scoprirete che ne è stato dei nostri eroi. Stay tuned!
Serpentina

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Capitolo 15
*** Epilogo ***


Eccoci giunti all’epilogo di questa storia. Spero che vi siate divertiti a leggerla almeno la metà di quanto mi sono divertita io a scriverla. ;-)
Sottofondo musicale: Dani California, Bootylicious e The Zephyr Song(da ascoltare in quest’ordine. Per il gran finale ho voluto strafare).

 

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Epilogo
Di rado va come ci aspettiamo che vada. Per la precisione, mai

Innamoratevi almeno una volta nella vita. Non importa per quanto, come o di chi, ma innamoratevi. È tutto un gran casino, ed è bellissimo.
Charles Bukowski

Il nuovo giorno vide Philip Gage sfiancato da una notte brava (meno di quelle che avevano caratterizzato gli anni newyorkesi, ma pur sempre sfrenata). Come da abitudine, allungò una mano alla sua sinistra per dare uno speciale buongiorno a Sarah; adorava sentirla sussultare dallo stupore, prima di arrendersi al suo tocco e sospirare di piacere quando si insinuava sotto il pigiama e l’intimo. Dopo pochi secondi, tuttavia, si accorse che qualcosa non quadrava: Sarah non era una maggiorata, ma neppure piatta e dotata di tartaruga addominale… per non parlare della strana escrescenza a livello del bacino. La stava tastando per comprenderne la natura, quando una voce maschile biascicò, nel tono tipico di chi ha bevuto troppo e dormito male –Non conoscevo questo lato di te!
Allarmato, il rosso spalancò gli occhi e rimase pietrificato: era sdraiato sul pavimento della nuova casa di Ewan, di fianco a un divertito - e un po’ intontito - Jonathan, e, nota imbarazzante da morire, aveva una mano poggiata sul suo inguine. Inorridito, avvampò e si ritrasse, strillando stridulamente –Oddio! Cosa ci fai qui? Dov’è Sarah? Ma, soprattutto… perché non mi hai fermato prima?
–Perché ero anch’io rincoglionito dal sonno- rispose sbadigliando l’altro. –E, lo confesso… volevo scoprire fin dove ti saresti spinto! Come hai potuto confondermi con Sarah?- aggiunse poi, irritato da quell’involontario vilipendio alla sua virilità.
Philip sbuffò –Bah! Vado a disinfettarmi- si alzò, scavalcò Albert e un tizio biondo dalla corporatura da quarterback, infine, mentre si lavava, replicò ai versacci di disappunto di Jonathan. –Inutile che borbotti: considerato il tuo stile di vita post-Carrie, dovrei sterilizzare la mano in autoclave!
–Esagerato! Manco avessi la sifilide!- protestò l’amico, offeso.
–Potresti. La lesione primaria è una piccola ulcera indolente che scompare spontaneamente in una settimana circa, perciò, se in una zona poco visibile, può passare inosservata- sciorinò  Philip col contegno che usualmente riservava ai pazienti. –Oggi è un giorno importantissimo per Ewan. Ti prego, tienilo nei pantaloni!
–Tenterò, ma non è colpa mia se il gentil sesso ha altri desideri- replicò ammiccando Jonathan. –Non garantisco castità totale, accontentati della solenne promessa che starò alla larga dalle parenti femmine dei miei amici. Parola di scout! Vade retro, tentatrici!
Albert, stiracchiandosi, annunciò di essere sveglio con mugolii molesti, quindi chiese l’ora. Il presunto quarterback - Connor, cugino di Ewan - apparentemente stordito quanto loro, accasciò un avambraccio sulla pancia del fisico, in modo che potesse vedere da solo.
–Cazzo! È mezzogiorno!- esclamò, tutto a un tratto pieno di energie.
–Mezzogiorno? Uffa! Avremmo potuto dormire ancora un paio d’ore, tanto siamo maschi, ci mettiamo poco a prepararci- gnaulò scocciato Jonathan, coprendosi gli occhi, feriti dai raggi del caldo sole di giugno. –Dio, che mal di testa! Mai più sbronze, giuro! Non ho più l’età per reggere il dopo-sbornia.
Albert, terminato di esaminare il proprio aspetto e lo stato degli occhiali, si guardò intorno e aggiunse –Manca all’appello Mr. Ordine&Metodo. Dov’è?
Lo chiamarono a gran voce, aggirandosi per la villetta a due piani; arrivarono, tanta la disperazione, a cercarlo nella serra sul retro della casa. Niente. Svanito nel nulla. Preoccupati, provarono a telefonargli, invano: risultava non raggiungibile. Stufi di dannarsi per lui, presero alla lettera l’espressione “fate come foste a casa vostra”: si svaccarono in mutande sui divani, ingaggiando una lotta all’ultimo sangue con i giochi più divertenti della Wii nuova di zecca, trangugiando gelato e cibo spazzatura. Dopotutto, tecnicamente era ora di pranzo. Intorno alle tre del pomeriggio, in piena pennichella, udirono scattare la serratura della porta d’ingresso e un esterrefatto Ewan esclamare –Ma… ma… siete ancora in questo stato?
–Rilassati, El, mancano due ore!- tentò di tranquillizzarlo Albert.
–Rilassarmi? Arrivo a casa, stanco per la levataccia e il viaggio fino dai miei per ritirare il vestito, e vi trovo a ingozzarvi e cazzeggiare quasi nudi!
–Potremmo presentarci in mutande- propose Connor, suscitando l’ilarità generale. –Le signore apprezzerebbero di sicuro!
Nessuno si aspettava una reazione simile da parte del normalmente mite botanico: si imporporò e ruggì, agitando i pugni –Statemi a sentire, scimmie antropomorfe: se in dieci minuti non vi ritrovo qui lavati e ben vestiti, vi riduco in poltiglia e vi uso per fertilizzare le piante! Non permetterò alle vostre stronzate di rovinare questo giorno! Avanti, scattare! Sbrigatevi!
Calò il gelo. Nessuno osò fiatare. Gli insetti in giardino smisero di ronzare. Perché sprecare soldi andando al cinema a vedere film horror? Ewan Ellis infuriato era uno spettacolo - gratuito - molto più terrificante!

 
***

Il risveglio della controparte femminile fu decisamente meno turbolento: avevano impostato un orario di sveglia che mediava alla perfezione tra il bisogno di sonno ristoratore - il divertimento senza freni non è appannaggio esclusivo del sesso maschile - e la necessità di farsi (più) belle con tutta calma. Sarah aprì gli occhi prima del trillo della sveglia, e lottò strenuamente contro i conati per raggiungere il bagno senza destare le altre. Peccato che al suo ritorno le trovò tutte sveglie, stampata in volto la stessa, identica aria apprensiva.
–Tutto bene?- domandò Jane, mezza rintanata in un sacco a pelo.
–Pensa positivo, tesoro: meglio fuori che dentro!- ironizzò Ingrid, accoccolata tra le braccia della sua compagna. –Anche se mi pare strano che proprio tu abbia vomitato… non hai toccato un goccio d’alcol! Il culo dello spogliarellista mulatto sì, abbondantemente, ma alcolici no!
Sarah avrebbe voluto ridere - lo spettacolo, effettivamente, era stato esaltante. Perfino Ingrid, che prediligeva il gentil sesso, aveva infilato un verdone nel perizoma di un ragazzo particolarmente muscoloso - ma un secondo conato glielo impedì: si chiuse nuovamente in bagno, pregando che la nausea passasse in fretta. Quando uscì si trovò davanti Marion, che le porse una tazza fumante di liquido profumato.
–Bevi, ti aiuterà- chiocciò, sorridendole dolcemente. –Philip sarà al settimo cielo.
–Ancora non lo sa- rispose la bionda con voce flebile. –Grazie.
–Cosa non sa il dottorino sexy?- chiesero in coro Jane, Paula e Ingrid (quest’ultima reggendosi a una stampella, a causa del piede ingessato), facendo capolino dal salotto di casa Carr.
Le due non ebbero il tempo di riflettere sul livello di pettegolume del trio che apparve Jodie, in tutto il suo assonnato splendore, e celiò –Non è ovvio? Ha fatto strike!
Travolta dalle manifestazioni di stupore e felicità, Sarah riuscì soltanto ad esalare –Lo so da pochissimo. Come l’hai capito, Jo?
–La tisana. È un rimedio naturale contro la nausea gravidica che ho insegnato a Marion. Allora, quando pensi di dargli la lieta novella?
–Sicuramente non oggi- ridacchiò la futura mamma, carezzandosi il ventre ancora piatto che accoglieva il frutto dell’unione casuale di due cellule, un frutto cui avrebbero messo nome Iris. –È il tuo giorno.
–Mi sposo, non facciamone un affare di stato!- sputò sprezzante Jodie. –Con permesso, gradirei lavarmi. Qualcuno, per favore, mi passi la lingerie- la rimirò con sguardo amorevole –Qualcosa di blu…
–E da infarto- commentò Ingrid. –Rischi di rimanere subito vedova!
–Mancano vecchio, nuovo e prestato- osservò Jane.
La risposta di Jodie arrivò attutita dalla porta chiusa.
–Le perle di nonna Ellis, le mie meravigliose scarpe e la giarrettiera prestata dalla cugina di Ewan. Cosa credete? Ho pensato a tutto! Se non sono diventata una spozilla è soltanto perché Ewan mi ha fatto la grazia di essere abbastanza isterico per entrambi!

 
***

Sotto il getto scrosciante della doccia - cullata dal ritmo di ‘Dani California’ - si congratulò mentalmente col suo quasi-marito per esser stato capace di dissolvere, in soli due anni, le sbarre della sua gabbia, ovvero i timori accumulati nel corso di una vita intera.
“Stava gustando un succulento cupcake mentre curiosava nella sua libreria preferita, quando si sentì afferrare da dietro e avvertì delle labbra posarsi delicatamente sul suo collo. La presa era talmente salda che ridacchiò –Ewan Ellis, quale audacia! Scandalizzeremo i bambini!
–Credo che i più scandalizzati sarebbero i genitori- ribatté lui, per poi baciarla di nuovo, sulla guancia. –Fatto acquisti?
–Ho passato al vaglio alcuni volumi che potrebbero invogliarmi a separarmi dal mio denaro- rispose lei, imitando la sensuale voce gutturale e il contegno manierato della madre di lui. –Tu, piuttosto, hai qualcosa in tasca o sei veramente intenzionato a dare scandalo?
–Ho qualcosa in tasca.
–Oh!- pigolò Jodie, delusa: non era il genere di donna che gode nell’attizzare le fantasie volgari di qualsiasi maschio di passaggio, però le attenzioni del suo uomo le pretendeva. –Ok. Avrei dovuto immaginarlo: dare spettacolo non è da te.
–Ti stupirò- replicò Ewan, ammiccando, la prese per mano e la fece spostare di pochi passi. –So che ti sembrerà stupido, ma ti volevo nel punto esatto in cui ci siamo conosciuti. Ricordi? A presentarci fu…
–Pennywise. Come dimenticarlo?- sibilò Jodie, livida. –Non sai chi è? Leggi ‘It’, ignorante! Comunque preferirei dimenticare l’esistenza di quella…
–Serpe?- suggerì titubante il botanico. –Non ti consento di peggio, si tratta pur sempre di una donna che ho amato.
Furibonda, Jodie ululò, strattonandolo –Dillo che vuoi che ti stacchi a morsi le palle!
–Complimenti, sei riuscita nell’intento di scandalizzare i bambini!- trillò Ewan indicando un gruppetto di pargoli sconcertati. –Lascia perdere Penny, sei tu che conti adesso. Solo e soltanto tu. Ora, se permetti, vorrei fare le cose con ordine e… ehm, per bene- incurante della sua evidente perplessità si inginocchiò ed estrasse dai pantaloni una scatolina rossa. –Deduco dalla tua espressione che hai capito cosa contiene, ma non togliermi la gioia di chiedertelo e tormentarmi in attesa del responso: Jodie Carr, vuoi sposarmi?
–Secondo te?
–Non funziona così, Jo! Tocca a te rispondere sì o… sì!
–Volevo movimentare un po’ la classica proposta!- sbottò indignata Jodie, a braccia conserte. –Uff! Non so se mi conviene accettare un tale rompiscatole… Sto scherzando, Ewan! Riprendi a respirare, sei cianotico! Certo che ti sposo!”
Avrebbe mai potuto dirgli di no?

 
***

–Ehi! Fate attenzione: indossate shantung di seta, non tela di sacco!- sbraitò Albert, dardeggiando con occhiatacce disapprovanti Ewan e gli altri suoi testimoni durante una sessione di foto buffe per passare il tempo in allegria e scongiurare eventuali contatti prematuri con Jodie.
–Si sente: è una piuma sulla pelle!- commentò Connor, pentendosene quando quattro paia di occhi si posarono rapaci su di lui. “Se si fosse limitata a tre damigelle”, pensò, “Non ci sarebbe stato bisogno di me”. Si era divertito all’addio al celibato, gli amici di Ewan sapevano scatenarsi alla grande e si erano prodigati affinché non si sentisse a disagio, ma era difficile, quasi impossibile, non sentirsi un intruso in un gruppo tanto affiatato, e la consapevolezza di essere pressappoco un ripiego non faceva che accrescere il nervosismo.
–Meno male che qualcuno apprezza il lusso pagato coi miei soldi!- sbottò il fisico.
–La prossima volta ci penserai due volte, prima di scommettere contro di me- lo punzecchiò lo sposo, scosso da impercettibili tremiti. Ad ogni movimento delle lancette sull’orologio avvertiva un’ondata d’ansia senza precedenti; niente ripensamenti dell’ultimo minuto, piuttosto timore che fosse lei ad averne.
–Al, accetti lezioni da uno che trema al pensiero di mettere l’anello al dito?
–Lo spirito più indomito se la fa sotto al pensiero di ingabbiarsi a vita- asserì l’interessato, ignaro che Marion e i bambini erano in ascolto. –El non è il primo e non sarà l’ultimo che davanti alle grazie di una danzatrice del ventre si chiederà se sta facendo la cosa giusta… se è davvero disposto a rinunciare a tutte le occasioni che gli si presenteranno…
–Ah, è questo che pensi!- sbraitò Marion, irata, ritraendosi dal tentativo del fisico di calmarla con l’imposizione delle mani. –Per te le donne sono occasioni! Merce in saldo! Gran bel pensiero maschilista, complimenti!
–Dai, Marion, stavo…
–No, Albert, stavolta non ti permetto di giustificarti dicendo che è uno scherzo!- tuonò, prima di girare sui tacchi e allontanarsi quasi di corsa. –Manuel ha bisogno del tuo aiuto.
–Fermo dove sei, vice-padre!- gli ordinò il bambino, insolitamente risoluto per i suoi otto anni. Albert obbedì, non senza sbuffare. –Fidati, se non la lasci sbollire prima di scusarti rischi la vita. Mari è uguale. Ora aiutami con la cravatta.
–Parola d’ordine, prego- insistette il fisico: sebbene non fossero figli suoi, riteneva suo dovere inculcargli le buone maniere.
Manuel sembrò sul punto di replicare in malo modo, ma ci ripensò; riformulò la richiesta in termini più educati –Per favore, Al, mi annoderesti la cravatta che io non sono capace?
Addolcito, annuì –Meglio ancora: ti insegnerò! Fare da sé dà molta più soddisfazione, e poi hai l'aria di uno che impara in fretta. Dopo, però, corro dietro a tua madre; non voglio dormire sul divano, è scomodissimo!

 
***

Era fuggito non appena aveva avvertito puzza di lite tra innamorati. Camminava con gli auricolari nelle orecchie, fischiettando il ritornello di un successo delle Destiny’s Child, in cerca di un posto dove fumare in santa pace. Salutò Ingrid e divise con lei musica e sigarette. Delle amiche di Jo era quella che gli andava più a genio: diretta (anche troppo), latrice di sgradevoli quanto veritiere perle di saggezza, fumatrice incallita con una passione sfegatata per i film di Woody Allen e il vezzo di appellare tutti, più o meno sarcasticamente, come “tesoro”. Dopo la rottura traumatica con Caroline era stata l’unica a rimproverarlo apertamente per la svolta sregolata che aveva dato alla propria vita. “Odiare l’intero genere femminile per il torto di una stronza, vendicarti su povere innocenti per la sofferenza che ti ha inferto quella troia… un comportamento maturo, da vero uomo! Diventerai come lei, se non peggio. Se è questo che vuoi, fa’ pure.”
–Grazie- soffiò la rossa, espellendo nuvolette di fumo grigio.
–Sempre lieto di aiutare una damigella, specialmente colei che accompagnerò verso l’altare. Starò attento a non farti cadere!
–Non ti hanno avvisato, tesoro? Sono stata sostituita. Sembrerei un fenomeno da baraccone se arrancassi sulle stampelle col gesso in bella mostra!
–Non posso credere che Jo sia tanto stro… superficiale da “licenziarti” per una ragione così stupida!- abbaiò lui, tossicchiando: dallo stupore aveva inalato il fumo, anziché espirarlo.
–Ritira gli artigli, tigre: mi sono dimessa. Jo ha buon cuore, motivo ulteriore per cedere il posto a una damigella integra e non rovinare il suo giorno speciale- lo zittì Ingrid. –Colgo una nota delusa nel tuo sguardo, tesoro. Ne hai tutte le ragioni: temo anch’io per il contenuto delle tue mutande, la “gemella diversa di Jo” è… eccola!
Da una sgargiante auto sportiva - sogno di qualsiasi uomo appassionato di motori e/o in piena crisi di mezza età - era scesa quella che Sabrina, sfoggiando la sua vasta cultura artistica, avrebbe definito una bellezza rubensiana. Jonathan, privato di salivazione e facoltà di parola, la osservò chinarsi per recuperare una borsa caduta dal sedile posteriore; nell’ammirare le generose semisfere che costituivano il suo didietro, il sangue migrò rapidamente dal cervello verso una zona più declive. Represse l’irritante voce della coscienza (guarda caso, la voce di Philip), che caldeggiava un freddo distacco, e le andò incontro.
La sentì esalare, compiaciuta –Philly-Boston in tre ore e mezza. Un’impresa da record! Pazienza se sono in ritardo, inizieranno senza di me!
–Sei puntualissima, invece- celiò stringendole la mano. –Jonathan, incantato testimone dello sposo. Forse avrai sentito parlare di me per il programma di cucina…
–Mi spiace, guardo poco la tv. Piacere di conoscerti, comunque. Io sono Paris.
–Dunque, se ricordo bene, Sarah va con Phil, Marion con Al, Jane con Connor, perciò… tu sei la mia ragazza! Splendido! Faresti meglio a cambiarti, manca davvero poco.
–Mi dai una mano?
–A spogliarti? È la mia specialità!- rispose senza riflettere, e l’espressione di lei confermò che stavolta aveva ragione la sua coscienza: risposta sbagliata.
Ricevette un’occhiataccia, seguita dall’acerrimo –Sai quanti piacioni consumati che hanno usato questa battutaccia scontata per rimorchiarmi hanno avuto successo? Zero! Ora, se cortesemente potessi tenermi la borsa e mostrarmi dove indossare i panni della damigella… possibilmente senza commenti idioti…
Impalato davanti alla stanzetta in cui Paris si stava vestendo (senza che se ne accorgesse, aveva schiuso la porta il tanto che bastava a rifarsi gli occhi), maledisse Ewan quando gli corse incontro, blaterando isterico –Johnny, dove ti eri cacciato? Mancano cinque minuti! Cinque! È tutto pronto? Io sono pronto? Oddio! E se… e se lei… non si presentasse? E se mi mollasse all’altare? Oddio! Chi me l’ha fatto fare?
La porta si spalancò all’improvviso e il rumore di uno schiaffo echeggiò nel corridoio, seguito dal secco –Tu, deficiente! Te la sei cercata! Perciò rinsavisci e piantala di piagnucolare, Jodie vuole diventare Mrs. Ewan Ellis, non Mrs. Annaffiatoio Umano! Ora portami da Connor, esigo un sordido resoconto dello squallido rituale maschilista meglio noto come addio al celibato!
Il botanico scosse la testa, le cinse la vita e ridacchiò –Adorabile come sempre, Perry. Vero, Johnny, che la mia cuginetta è adorabile?
“Cugina? Ma porca…!”

 
***

Jodie era sempre stata convinta che le donne che non immaginano il proprio matrimonio sin dall’infanzia partano avvantaggiate: non avendo irrealistici sogni di bambina da realizzare, il rischio di delusioni e psicosi nuziale è minimo. Il suo obiettivo, fin dal principio, era stato impedire a sua madre di organizzare le nozze al suo posto. Ricordava con orrore il matrimonio di Marion, interamente pianificato dalla loro dispotica genitrice; ignorando completamente i desideri della figlia - una cerimonia intima, primaverile o estiva, in campagna - aveva montato una scenografia da regno di ghiaccio in uno sfarzoso hotel di Seattle (aveva addirittura obbligato Marion ad escludere lei, sua sorella, dalle damigelle per futili motivi estetici: il suo corpo burroso avrebbe stonato con le loro figure longilinee). Il peggio di sé lo aveva dato in atelier: Marion, all’epoca ventitreenne, non ebbe la forza necessaria a tenerle testa, finendo col comprare un abito di dubbio gusto che la inghiottiva. Jodie tremava al pensiero di quale orrendo vestito sua madre avrebbe scelto per lei, se non glielo avesse impedito: la fotocopia di quello di Marion, probabilmente - condito di commenti sull’infinitamente superiore avvenenza della sua bellissima sorella minore - un pomposo incubo di tulle, pizzi, merletti e balze che sarebbe risultato ridicolo in un film in costume, figurarsi addosso a una sposa del ventunesimo secolo. Invece l’aveva spuntata: avendo optato per una originale location a Boston - manco a dirlo, disapprovata con tutto cuore da Mrs. Carr - l’intromissione materna era stata arginata; l’unico aspetto nel quale si era vista costretta a coinvolgerla fu la scelta dell’abito. Per fortuna in quell’occasione aveva potuto contare su un’alleata d’eccezione.
“L’appuntamento aveva preso una piega talmente brutta - sua madre si ostinava a bocciare tutte le sue scelte, giudicandole insulse, proponendole invece modelli rivoltanti che non avrebbe indossato nemmeno se fosse stato l’atelier a pagare lei - che credeva non potesse peggiorare. Errore: un’ochetta viziata aveva iniziato a strepitare che non poteva assolutamente comprare l’abito che aveva in dosso - che comunque non avrebbe mai scelto - perché se ne era innamorata, per poi aggredirla quando aveva appreso che il suo futuro marito era Ewan Ellis. Erano dovuti intervenire due assistenti e il fidanzato della psicopatica - più d’intralcio che d’aiuto: era rimasto in un angolo a piagnucolare ‘Loretta, mio fiore, calmati!’ - per domarla.
Voltata di spalle, sentì la porta del camerino aprirsi; convinta fosse sua madre, sibilò  –Sei gentile a voler sborsare per il mio vestito da sposa, ma se deve significare sottostare alle tue assurde pretese, allora no grazie! Eleganza e sobrietà sono ancora comprese nel MIO vocabolario!
–Accondiscenderesti alle mie, di pretese?
Jodie si girò, sollevata: Audrey Ellis doveva essere la reincarnazione della sua omonima Hepburn e di Grace Kelly, o non si sarebbe spiegato tanto innato charme. Protetta dalla sua raffinata egida, ce l’avrebbe fatta a non sembrare una mongolfiera travestita da meringa.
–Sono più ragionevoli di quelle di mia madre?
–Non essere dura con lei! Ti vuole bene, a modo suo. Ha esagerato, contrapponendo alla tua mania di semplicità l’estremo opposto, però il concetto di fondo è giusto: avrai tante occasioni per mettere un abito bianco, Jodie, tantissime, ma, si spera, solamente una per mettere l’abito da sposa. Deve notarsi la differenza!”
–Cavolo, se aveva ragione!- esclamò al proprio riflesso, carezzando il pizzo color avorio. Si vedeva e sentiva bellissima.
–Toc toc- ridacchiò Wes Carr, facendo capolino sulla soglia. –Domando scusa se interrompo le tue riflessioni, ma la sposa è attesa all’altare. Il tuo quasi marito è particolarmente ansioso di accertarsi che non te la sia svignata.
Jodie rise di rimando, lievemente esasperata dalle paranoie di Ewan, quindi chiese –Beh? Nessuna predica da papà geloso? Niente “Puoi ancora ripensarci”, “Ti capirei se decidessi di mandare tutto a monte” e simili? Se fossi suscettibile, potrei pensare che anche tu pecchi di parzialità verso Marion!
Da divertita, l’espressione di Mr. Carr mutò in teneramente mesta.
–Tua sorella ha sposato l’uomo sbagliato per le ragioni sbagliate; lo intuii già all’annuncio del fidanzamento, ma non potei impedirlo. Per te, invece, non potrei desiderare di meglio: Ewan è l’uomo della tua vita, lo sento. Chiamalo istinto paterno, se vuoi- la baciò sulla fronte e le strizzò l’occhio con fare complice, dopodiché le porse il braccio e aggiunse, solenne –Allora, sei pronta… o vuoi far penare quel poveretto ancora un po’?

 
***

Nonostante la stretta rassicurante di Ewan, Jodie si sentiva frastornata. Era stato tutto talmente veloce che in futuro avrebbe dovuto fare affidamento su fotografie e video per ricavare dei ricordi dal turbinio di immagini confuse che le vorticavano nella mente: dall’ingresso senza intoppi (aveva barcollato, sì, ma non era caduta) alle promesse - sentite e personali: concordando entrambi sull’assurdità della formula canonica  (non sapevano cosa avrebbero mangiato a pranzo il giorno dopo, figurarsi se sarebbero stati tenacemente uniti finché morte non li avesse separati! Eventualità, questa, che avrebbe potuto benissimo verificarsi al termine della cerimonia) avevano preferito promettersi “di impegnarsi a rispettarsi e scegliersi l’un l’altra giorno dopo giorno” - dal tanto atteso sì al primo bacio da marito e moglie (più o meno: Ewan aveva stupito tutti, lei per prima, fiondandosi sulle sue labbra senza aspettare il convenzionale “Puoi baciare la sposa”).
–Attenta a non cadere, Jo, la vedovanza non mi si addice!- la rimproverò Ewan, serrando la presa. Sebbene solitamente restio a posare, in quell’occasione si era lasciato andare, concedendosi ai classici scatti da coppia felice… sempre che farsi immortalare all’interno della ricostruzione di un formicaio, nella doppia elica di DNA e a cavallo di un tirannosauro si possa definire “classico”.
L’unico punto sul quale il botanico si era fatto valere, infatti, era che il loro matrimonio avrebbe dovuto rispecchiarli, perciò bando a location inflazionate perché scelte da tutti per fare bella figura, più che per gusto personale. E quale luogo migliore per una coppia di nerd del Museo di Storia Naturale di Boston?
–Lieta di sapere che non vuoi liberarti di me!- replicò lei, regalandogli un bacio da censura appena toccarono terra. –Ti do un ulteriore incentivo a tenermi come moglie: sotto il vestito… non porto nulla!
Conoscendola, avrebbe potuto essere vero, per cui Ewan, ringalluzzito, le sussurrò –Ok, mando tutti a casa e tanti saluti!
Jodie, lusingata da quella reazione, soffocò le risatine nella sua giacca e rispose –Ewan Ellis, che credulone! Raffredda i bollenti spiriti, ho promesso di non renderti mai le cose facili: se vorrai vedermi nuda, dovrai spogliarmi tu stesso!
–Prometto di farlo con vero piacere… quando saremo soli.
–Ovvio! Il porno a tema nuziale è dannatamente trash!
Scuotendo il capo divertito dallo sconcerto del fotografo, Ewan sospirò –Pazza donna che ho sposato, mi concedi l’onore di posare insieme a me nel planetario?
–No, è di una noia mortale! Meglio lo spermatozoo gigante!
–Chissà perché, lo immaginavo- ridacchiò il botanico. –Folle, meravigliosa Jo. Ti amo da morire!

 
***

Paris sorrideva, sinceramente felice per Ewan, radioso come non mai, e per se stessa: la cover band dei Red Hot Chili Peppers ingaggiata per l’occasione stava suonando ‘The Zephyr Song’, dandole modo di gustare in santa pace il dolce, lontano dalle occhiate di disapprovazione di sua madre - convinta fosse disdicevole per una signora, specie se in carne, come lei, consumare per intero la porzione nel piatto - sparita insieme al marito sulla pista da ballo improvvisata nella sala dedicata ai viaggi nello spazio. Racchiusa da una bolla di placido isolamento, sussultò violentemente quando venne riportata alla realtà.
–Ave, damigella in pericolo!
Incuriosita dallo strano saluto, mise temporaneamente da parte l’irritazione nei confronti dell’amico dongiovanni di suo cugino e, al posto del commento al vetriolo sul fatto che le stava fissando spudoratamente il seno, pose una domanda.
–Che genere di pericolo?
–Il grave pericolo… di annoiarti a morte!- rispose lui, tendendole la mano. –Ma tranquilla, sono accorso in tuo aiuto con la richiesta di un ballo.
–Anche ammesso che non si tratti di un pretesto per palpeggiarmi… no, grazie. Non mi metterò in imbarazzo mostrando in pubblico la mia inabilità nella danza!- sibilò Paris, paonazza, tormentando tra le dita l’orlo dell’abito verde smeraldo.
–Non sai ballare? Perfetto! Nemmeno io! Ho il senso del ritmo di un paracarro!- trillò Jonathan, per poi agguantarla prima che potesse ribattere e trascinarla quasi di peso tra la folla danzante. –Hai indovinato al cinquanta per cento, prima: cercavo un pretesto, sì, ma non per palparti, anche se ammetto che non mi dispiacerebbe. Ti devo delle scuse: sei qui per rilassarti, non per subire apprezzamenti non richiesti da chi conosci appena.
–Scuse accettate… se accetti le mie- replicò lei, lasciandosi scostare dal viso una ciocca della folta chioma bionda, unico indizio di parentela con Ewan. –Sono stata acida e maleducata, me ne dispiaccio. A mia discolpa posso soltanto dire che sono reduce da una giornata di merda.
Lui scrollò le spalle e obiettò –Philadelphia-Boston in tre ore e mezza senza una multa, cibo e bevande gratis, buona musica, ottima compagnia… non mi pare una giornata da buttar via.
–Ti prego- esalò Paris, gettando il capo all’indietro. –Dimmi che non sei uno di quegli insopportabili ottimisti perennemente sorridenti.
–Non sorrido sempre- “Anzi, non mi capitava da parecchio” –Però sono ottimista. Posso farti una domanda?
–Un’altra, intendi?
Niente affatto divertito da quell’uscita sarcastica, Jonathan sbuffò, prima di parlare.
–Come mai ti chiamano Perry?
Gli parve di cogliere un lampo omicida nel suo sguardo, ma lo attribuì a un gioco di luci; un attimo dopo era nuovamente limpido.
–Il mio cognome è  Mason, sono avvocato e ho l’abitudine di non perdere mai una causa- dichiarò con notevole autocompiacimento. –Una delle idee stupide di Ewan, e Connor, come al solito, lo imita.
–Paris Mason… Perry… Perry Mason! In effetti, è veramente comico!
–No, non lo è!- ringhiò irata Paris, salvo poi cambiare espressione - aprendosi in un sorriso stentato - e parere. –Ok, forse un pochino… pochissimo! Il problema è che, nonostante i miei sforzi, questo irritante soprannome si è diffuso nell’ambiente; perfino i giudici mi chiamano Perry, ormai.
–Guarda il lato positivo: hai la certezza che si ricorderanno di te! Io di sicuro!
Paris si finse seccata e lo colpì ripetutamente, latrando –Non ci posso credere. Continui a provarci!
–Ogni lasciata è persa- si difese Jonathan, ostentando innocenza, omettendo di essere il primo sorpreso da tanto interesse nei confronti di una donna diametralmente opposta a colei che tanto aveva amato, o meglio, amava. Caroline era esile, pallida, delicata, quasi una creatura dell’oltretomba; al contrario, Paris era… la gemella diversa di Jodie, rosea e florida, forse eccessivamente compassata, ma viva. Eppure, nonostante avesse, fino a quel momento, cercato Caroline in ogni avventura priva di significato, aveva risparmiato a Paris il confronto; troppo bruciante bisogno di accarezzare quella pelle vellutata, affondare le unghie nella carne e farla sua. –Adesso che ti conosco, ho un motivo in più per visitare la città dell’amore fraterno. Mia sorella subirà uno shock: in quattro anni non sono mai andato a trovarla!
Paris emise uno sbuffo di incredulità e soffiò –Oh, certo, la fantomatica sorella che, guarda caso, vive nella mia stessa città!
–È vero! Chiedi a chi vuoi! Si è trasferita quattro anni fa e gestisce MixArt, la…
–Galleria dei Noble, su Chestnut Street- esalò lei, impallidendo di colpo. –Se si chiama Sabrina, allora la conosco.
–Come seleziona gli studenti Harvard, tirando a sorte? Non credo sia necessario un gran cervello per capire che non puoi venire a letto con me se esci con un’altra!
–Perché no? Sai perfettamente che dall’innegabile alchimia che c’è tra noi non potrà nascere niente, mentre lei è un’incognita. Sono ancora… in fase di studio, per così dire, quindi perché non divertirci in attesa dei risultati?
–Ringrazia che non vada da questa Sabrina a spifferarle tutto. Non fare quella faccia, Keiron, sei ridicolo! Davvero ti illudevi di tenerlo nascosto a me? Io ho occhi e orecchie ovunque, anche per questo sono la migliore. Ora basta discutere, è ora di entrare in aula. Se ci riesci, perdi la causa entro mezzogiorno: ho un matrimonio a cui presenziare!”
–Dove vi siete incontrate? Senza offesa, dubito frequentiate gli stessi ambienti.
–Abbiamo un amico in comune.

 
***

Sbigottito dall’inspiegata riapertura delle ostilità, non perse di vista la bionda cugina dello sposo finché non venne colpito da due possenti gomitate al costato da Philip e Albert, i quali esclamarono, rispettivamente – Il tuo è un vizio! Proprio non ti riesce di tenerlo nei pantaloni! Fatti visitare da uno bravo- e –Ti consiglio di andarci cauto con la cuginetta di El: io ti diedi qualche pugno in amicizia, suo fratello sarebbe capace di ridurti a un budino!
–Guarda chi è arrivato: Cip e Ciop!- biascicò scocciato. –Se vi do una ghianda sparite?
–Molto spiritoso. Davvero. Mi sto scompisciando- sibilò Philip a braccia conserte. –Sul serio, sono d’accordo con Al: Connor è il doppio di te, non ti conviene provarci con sua sorella!
–A meno che non sia proprio questo ad attizzarti- insinuò il fisico. –È così? Celi un animo masochista?
–Noto che hai ritrovato il buonumore, Al. Merito di Marion?
–Ormai il nostro è un copione rodato: uno dei due - quasi sempre io - fa una cazzata, litighiamo di brutto, ci teniamo il muso, poi chi ha sbagliato - quindi quasi sempre io - chiede scusa e facciamo pace in modi che lascio alla vostra immaginazione.
–La patta aperta parla da sé. Spero abbiate usato le debite precauzioni, o tra qualche mese un Al in miniatura sgambetterà per casa!- rincarò Jonathan, che ritrattò di fronte al pallore funereo dell’amico, che sembrava sul punto di svenire. –Sto scherzando!
–Un giorno commetterai una cazzata di troppo e quella santa donna perderà la pazienza- profetizzò Philip, per poi ingollare il resto di un Martini. –Dovresti stendere il tappeto rosso ovunque poggi i piedi per il solo fatto di essersi innamorata di te.
–Il rosso ha ragione: da quando è entrata nella tua vita sei nettamente migliorato. Sempre un po’ cazzone, ma meno. Molto meno. Chi non ti conosce potrebbe persino pensare che sei una persona seria!- lo derise bonariamente Ewan, comparso alle loro spalle senza dolce metà al seguito.
–Quale onore, lo sposo!
–Brindiamo, ragazzi!- propose il botanico. –Semel in anno licet insanire, dicevano i latini, e per noi quel giorno è oggi!
–Giusto! Folleggiamo! Fanculo il test alcolemico!
Quattro bicchieri si levarono ripetutamente verso l’alto, tintinnarono scontrandosi tra loro e si vuotarono in silenzio. Il primo a riprendere la parola fu Ewan, chiaramente provato dalla bevuta.
–Non vi sconvolge quanto poco potere abbiano a questo mondo ordine e metodo? La nostra intera esistenza è semplicemente una serie di coincidenze, il risultato di un numero infinito di entanglement. Mi vengono i brividi al solo pensiero! Pensateci: saremmo qui oggi se avessimo preso strade diverse? Ero convinto, anzi, certo, che tu- indicò Philip –Saresti stato il primo a sposarti, e che tu- indicò Albert –Saresti rimasto solo e/o avresti ingravidato una scopata a caso. Invece…
–Invece tocca a voi?- trillò gaio il medico. –Al si sposa e Jo è incinta?
–L’alcol gli ha fottuto il cervello- commentò Albert. –Stiamo parlando di te e Sarah.
–Ehi, l’intenzione c’era tutta! Saremmo già sposati se l’universo non avesse congiurato contro di noi: prima la scoperta della morte di Pierce, poi mio zio, poi mia nonna… poi Attila…
–Tutto molto triste- intervenne Albert, ammiccando. –Ma non è alle nozze mancate che ci riferiamo, se finalmente capisci cosa intendo…
Philip all’iniziò faticò a comprendere l’allusione, la cui portata gli si rovesciò addosso come uno tsunami.
–Veramente no...oh. Oh! Oh, cacchio!
–Oh, andiamo!- lo rimbeccò Jonathan. –Dovresti essere contento!
–Una pasqua!- aggiunse il fisico. –Un Phil in miniatura che sgambetta per casa. Non ti riempie il cuore di gioia? Su, su, datti un contegno! Non puoi svenire: sei tu il dottore, se svieni chi ti soccorre?
 
THE END?
 
Note dell’autrice:
Chiedo umilmente perdono per il mostruoso ritardo con cui pubblico, ma ho avuto moltissimi impegni in questo periodo, e altri ancora sono da venire, perciò siate comprensivi e, per favore, non smettete di seguire le mie storie solo perché c’è da aspettare. Ho promesso di portare a termine tutti i miei progetti e intendo seriamente farlo.
Avrete notato che la parola fine ha il punto interrogativo. Non è un caso: questa storia è conclusa, ma non è detto che, sotto forma di extra o di un sequel, i personaggi di LQ non possano in futuro tornare alla ribalta. ;-)
Alla fine non ho resistito alla mia vena di bontà e ho aperto anche a Jonathan le porte di un eventuale lieto fine. Carrie è ancora nei suoi pensieri, sta a lui trovare la forza di voltare definitivamente pagina e rendersi felice. Che dire di Phil e Al (Cip e Ciop)? I cambiamenti sono inevitabili e salutari, ma certe cose è bene rimangano le stesse.
Spero abbiate apprezzato il cameo di Loretta. Come escludere dall’epilogo la più schizzata delle uscite di Ewan? Meritava un’uscita di scena “col botto”!
Spendo volentieri due parole sulla location delle nozze dei nostri beniamini: cercavo un luogo adatto a loro, fuori dal comune. Insomma, non me li figuravo nella classica chiesa, o in un vigneto, o in uno dei posti strani che piacciono agli americani. Sono due scienziati (pazzi), quindi un museo di storia naturale faceva al caso loro. Mi sono documentata, ed effettivamente è consentito sposarsi lì, come anche farsi ritrarre nelle varie aree espositive (incluso il tirannosauro).
Un altro piccolo appunto: se mai avrete la voglia/possibilità di percorrere il tragitto Philadelphia (Philly per i residenti), sappiate che ci vogliono almeno cinque ore. Tanto per darvi un’idea della folle velocità a cui ha viaggiato Paris (Rubens amava ritrarre donne molto prosperose, da qui "bellezza rubensiana" e "gemella di Jo"). La rivedremo? Chi lo sa!
Chiudo ringraziando tutti, uno per uno, i lettori silenziosi, ma numerosi, e Calliope S, elev, LittleDreamer90, marioasi e sunburn1985, che con le loro recensioni mi hanno spronata a non mollare. Grazie di cuore!
Serpentina
 
 

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