DOTTOR JAKYLL E MR. HYDE

di homuraxmadoka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO - IL MORTO DELL'ACCIAIERIA ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1 - A VOLTE RITORNANO parte 1 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 1 - A VOLTE RITORNANO parte 2 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 3 - UN CASO DA RISOLVERE ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 4 - TUTTI I NODI VENGONO AL PETTINE parte 1 ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 4 - TUTTI I NODI VENGONO AL PETTINE parte 2 ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 5 - DOTTOR JAKYILL E MR. HYDE parte 1 ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 5 - DOTTOR JAKYLL E MR. HYDE parte 2 ***
Capitolo 9: *** EPILOGO - DALL'INFERNO AL PARADISO ***



Capitolo 1
*** PROLOGO - IL MORTO DELL'ACCIAIERIA ***


AVVERTENZA: Questa è la mia prima fan fiction su Rizzoli & Isles, scritta quasi interamente di getto. Spero di aver fatto un discreto lavoro e che vi divertiate a leggerla quanto io mi sono divertita a scriverla. Se volete, commenti e recensioni sono molto graditi!
Grazie e buona lettura! 



Prologo.  Il morto dell'acciaieria 


La porta dell'ufficio della detective Rizzoli si spalancò lasciandovi entrare una donna vestita di tutto punto, che le si parò dinnanzi: - A che ora sei uscita di casa stamattina, Jane? - La detective sollevò per un istante lo sguardo dai documenti che stava compilando: - Buongiorno anche a te, Maura! Si può sapere che hai?  - le chiese, notando una certa concitazione nelle parole e nelle movenze dell'altra.  - Ti ho fatto una domanda, rispondi! - insisté la dottoressa.  - Non capisco a cosa sia dovuta tutta questa tua frenesia, comunque saranno state le 7.00 credo, perché? -  - Come perché! Mi prendi in giro? Hai fatto cadere tutto il caffè in terra e ho trovato Bass che ci sguazzava allegramente dentro! Non avevi tempo per ripulire? Ti sembra normale? E' scientificamente provato che alimenti come cioccolata, té  e caffè, siano assolutamente deleteri, nonché letali per il metabolismo degli animali domestici che non possiedono gli enzimi necessari per scomporre e digerire la 1,3,7 trimetilxantina un alcaloide naturalmente presente in alcuni cibi che...  - - Maura, Maura, Maura! Ti prego, Non iniziare la giornata con le tue solite parole difficili ed impronunciabili! E comunque  non so di cosa tu stia parlando! - tagliò corto la mora, puntando nuovamente lo sguardo sulle sue scartoffie.  - Ah e così tu non sai di cosa sto parlando? Stammi bene a sentire, cara la mia detective: se la sera ti va di dormire da me perché vuoi evadere dal regime totalitario di tua madre, mi sta bene, ma cerca di comportarti con educazione, sono una tua amica, non la tua sguattera! - disse la dottoressa Isles battendo un pugno sulla scrivania, quasi a tentare di carpire invano l'attenzione della collega che tuttavia continuava imperterrita a firmare i suoi verbali, noncurante dell'ondata di isterismo scaricatale addosso dall'amica. Maura  indignata, fece dunque per andare via, ma prima si affacciò nuovamente nella stanza: - E comunque, tanto per intenderci, quando parlo di 1,3,7 trimetilxantina parlo di caffeina! Non mi sembrava una cosa a cui fosse troppo difficile arrivare, visto che ti ho menzionato tutti alimenti che ne contengono un'alta percentuale! Che detective sei se manchi di logica!?! - concluse,  sbattendo la porta dietro di se. Jane restò perplessa a guardare l'uscio chiudersi così violentemente, da lasciar cadere una cornice con un encomio sul pavimento. - Nervosette oggi, eh? - disse Korsak entrando subito dopo. - Si beh, non ho mica capito cosa volesse stamane... Ha farfugliato qualcosa sul caffè e sulla sua tartaruga, ma non so di cosa parlasse, in realtà! - rispose Jane, il cui cellulare squillò appena un istante dopo. - E' Frost. Un morto alle acciaierie Fayenord. Il lavoro ci aspetta! - concluse alzandosi dalla sedia e recuperando la sua giacca appoggiata sullo schienale della stessa.

Era una soleggiata giornata di primavera a Boston e l’orologio dell’auto d’ordinanza segnava le 11.30 quando Jane e Korsak arrivarono sulla scena del crimine. Appena oltrepassate le linee gialle che delimitavano l’area interessata, Frost andò loro incontro porgendo alla detective una cartellina blu. Jane, ne guardò il contenuto distrattamente, quindi preferì che fosse il collega ad informarla dei fatti: - Che cosa abbiamo? - chiese. - Maschio bianco, sulla quarantina. Dal tesserino ritrovato sulla scena del crimine, poco distante il corpo della vittima, è stato identificata come Donald Smith. Era amministratore delegato della Fayenord, di origini texane, ma residente a Boston già da sei anni. - le diede un quadro generale della situazione Frost. - Omicidio o suicidio? - chiese Korsak. - Questa è un informazione che può darci soltanto Maura… - constatò Jane, quindi il trio si avvicinò alla coroner. Il corpo di un uomo dai capelli scuri, con la barba curata e vestito elegantemente, era steso supino sul prato, in una pozza del suo stesso sangue. Calzava soltanto una delle due scarpe, l’altra era poco distante; in prossimità del cadavere si trovava ancora il tesserino grazie a cui era stato identificato, e una cospicua quantità di pezzi di vetro di varie dimensioni.  - Sei già riuscita a scoprire qualcosa? - chiese Jane chinandosi verso Maura. - Ad una prima analisi sembrerebbe deceduto da sei ore circa. Non presenta segni evidenti di colluttazione, ma potrò esserne certa soltanto dopo l’esame autoptico. In base a quello, saprò anche esserti più precisa sulla natura della sua morte. - Chi ha rinvenuto il corpo? - chiese Jane. - Un giardiniere che stava falciando il prato… - rispose Frost, indicando un giovane con una tuta blu, poco distante da loro. - Se è deceduto da sei ore vuol dire che alle 5.30 di questa mattina Smith si trovava qua per qualche ragione… - rifletté Jane. - La ditta di giardinaggio è arrivata qui soltanto due ore fa. - - Frost, per favore: recuperami una lista di tutte le persone che  lavoravano qui al turno di notte e iniziamo a capire che rapporti avesse Smith con ciascuna di loro! Inoltre recupera le registrazioni delle TCC e portale in centrale! - - E se fosse stato ucciso altrove ed il corpo scaricato qui? - suppose Korsak. - No, lo escludo. I giardinieri hanno avuto il buon senso di non calpestare questa parte di prato, per cui non mi sembra di vedere terreno smosso, impronte di scarpe o scie tipiche di un trascinamento… - rettificò Maura. - Korsak fai qualche domanda in più al giardiniere che ha trovato il cadavere ed anche al custode all’ ingresso della fabbrica… -  concluse Jane, sperando di aver avviato le indagini nel migliore dei modi. Appena sole Maura richiamò la sua attenzione sul particolare dei pezzi di vetro, fino ad allora trascurato. Jane sollevò il capo e scorse rapidamente tutte le finestre dell’edificio che affacciavano da quel lato, finché non notò qualcosa di anomalo: - Un momento: al quarto piano c’è una finestra rotta!  - - Pensi sia un omicidio? - replicò Maura. - In questo momento non penso niente… Formulo solo ipotesi… A dirmi se è un omicidio dovresti essere tu con le tue prove inconfutabili, regina dei morti! Ma per fare ciò, devi lasciare che questo cadavere ti racconti di se! - disse Jane strizzandole l’occhio. Poi tornò di colpo seria: - Ad ogni modo io non credo che un suicida si scagli volontariamente contro una finestra chiusa per poi precipitare… Usualmente chi si suicida tende ad aprirla la finestra prima di gettarsi nel vuoto… - concluse e fece per andarsene. - Ehi, non pensare che mi sia dimenticata!  Io sono ancora arrabbiata con te!  - richiamò la sua attenzione la dottoressa. - Oh andiamo, Maura! Non sono stata io a versare il caffè in terra stamattina!  - - Ma eri tu in casa con me, Jane! Come te lo spieghi? - insisté l’altra. - Non lo so, sarà stato Bass che si era stufato di mangiare sempre fragole e ha voluto provare qualcosa di più corroborante come il caffè! - la sparò grossa Jane, provocando il sorriso di Maura, che però immediatamente si sentì in dovere di delucidare l’amica: - Ciò che stai dicendo è semplicemente assurdo! Per farlo sarebbe dovuto arrivare al tavolo... Ma si sa che nel regno degli animali l’uomo è l’unica specie ad aver sviluppato tutte insieme caratteristiche come la postura eretta e la locomozione bipede, la ristrutturazione e il riassestamento dell’arto anteriore ed il pollice opponibile, un accrescimento allometrico fortemente positivo del cranio e del neurocranio, un rimodellamento del cranio, inclusa la mandibola e cambiamenti della dentatura che hanno influito anche sulla diversa alimentaz…. - - Maura! Piantala! -  la rimproverò Jane; i suoi discorsi erano indubbiamente intelligentissimi, ma talvolta inopportuni e sviavano l’attenzione dall’argomentazione principale. - Ok, ok, ma in pratica volevo solo dire che Bass non avrebbe mai potuto prendere il caffè e gettarlo in terra perché difetta delle caratteristiche anatomiche succitate ed inoltre… - Jane la fulminò con lo sguardo, quindi replicò: - Ho capito, cervellona! Noi siamo più evoluti di Bass e possiamo fare certe cose, mentre lui che è rimasto basso, tozzo e squamato no! - - E‘ un po’ riduttivo il concetto, ma in pratica è così! - rise la dottoressa, che si divertiva sempre tantissimo a stuzzicare l’amica mettendola in difficoltà, solo per il gusto di vederla arrampicarsi sugli specchi, prima di aiutarla semplificando le cose mediante un approccio più pratico e meno scientifico. - Toglimi un curiosità: ma tu non vai mai in letargo come la tua testuggine? - la prese bonariamente in giro Jane, poggiandole affettuosamente una mano sulla spalla. Maura rise divertita ma puntualizzò:   - Geochelone sulcata! Si tratta di una tartaruga di terra, non marina! - - Ehi, rilassati: ti stavo mettendo alla prova! - sghignazzò l’altra, ed insieme abbandonarono la scena del crimine.         

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 1 - A VOLTE RITORNANO parte 1 ***


- Buongiorno Jane! - salutò cordialmente Korsak appena la vide entrare in commissariato. Il suo volto era imbronciato ed i movimenti stizzosi: - Ti sembra forse un buongiorno? - disse infatti, indicando in maniera plateale l’orologio sul polso. - E’ presto, lo so! - replicò Korsak. - Ma cosa salta in mente al capo? Che cos’è questa storia della convocazione di un’assemblea straordinaria? Di prima mattina poi!?! - si lamentò la detective, sistemandosi alla meglio i capelli con una mano. - Novità in vista per quanto riguarda il personale… Ma non fatene parola con nessuno, per ora! - bisbigliò Frost sbucando all’improvviso dall'ufficio ed aggiungendosi al duo. - E non poteva aspettare che fossimo tutti freschi, arzilli e riposati per darci questa notizia? - sbuffò Jane. In effetti Sean Cavanaugh, tenente capo del commissariato di polizia di Boston, aveva convocato tutto il personale del distretto nella sala conferenze, al fine di presentare ufficialmente due nuovi professionisti, che da quel giorno avrebbero fatto parte dell’organico. I tre presero posto in una posizione un po’ più defilata, con la segreta speranza di poter sgattaiolare via quanto prima, ed una volta seduti poterono intravedere le due new entry; erano ai lati di Cavanaugh: uno dei due era un bell’ uomo in giacca e cravatta, alto, e fisicamente ben piazzato; l’altro invece, un ragazzo di non più di una trentina d’anni smunto e stempiato, con un paio di occhialoni spessissimi ed un camice bianco indosso, che sembrava di due taglie più grandi rispetto alla sua. Jane, Korsak e Frost si guardarono negli occhi e non poterono fare a meno di ridere dell’aspetto buffissimo del loro nuovo collega. - Meno male che a noi tocca l’altro! - disse Jane sorridendo, sollevata al pensiero che il nuovo collega di Isles, non fosse propriamente un campione di fascino, quindi non avrebbe costituito nessun potenziale rivale per lei. Frost, accorgendosi solo allora dell’assenza dell’anatomopatologa chiese: - La dottoressa Isles dov’è? - - Non ho avuto tempo di passare da lei, ma penso che stesse ancora riposando. Ieri sera non si sentiva molto bene… - rispose la mora, incerta se provare a chiamare l’amica al cellulare, per evitare che qualcuno potesse accorgersi della sua assenza, o coprirla con una bugia. - Riposo… Com’è dolce il suono ha questa parola… Avremmo dovuto essere anche noi ancora a letto… - constatò Frost sbadigliando. - Mi domando come si fa a convocare un’assemblea alle 7.00 del mattino? - rincarò la dose Jane, ancora incredula di essere stata buttata giù dal letto per un motivo così futile. In quel momento però, un poliziotto si voltò verso di loro e li invitò a fare silenzio, quindi poterono udire le parole del tenente: - Ultimamente l’incremento del tasso di criminalità in città ha procurato un notevole surplus di lavoro a questa sede operativa. In quest’ottica, si è deciso di potenziare l’organico del nostro dipartimento, al fine di migliorare la qualità e l’efficienza delle nostre indagini e di garantire giustizia in tempi più celeri. Ribadendo ed elogiando l’encomiabile lavoro svolto finora da ciascuno di voi in maniera così solerte e scrupolosa, passo ad introdurvi il detective Jonathan Brooks e lo specialista di laboratorio di V livello Tim Wright. Entrambi professionisti con un curriculum di tutto rispetto, che certamente sapranno coadiuvarci ed affiancarci nelle nostre indagini nella maniera migliore... - - Jonathan Brooks ha detto? - chiese sbigottita Jane, sperando di aver capito male il nome del tizio che avrebbe lavorato con loro. - Si, Jonathan Brooks, perché’? - confermò Frost , incuriosito dall’espressione di fastidio dipinta sul volto della partner. - E’ una vecchia conoscenza di Jane… A dir la verità una vecchia conoscenza neppure tanto piacevole… - disse Korsak, guardando prima Jane poi l’altro. - Ok, più o meno pericolosa di Charles Hoyt? - si preoccupò subito Frost, memore dello scompiglio portato nelle loro vite, in primis in quella della detective, da quello psicopatico. - Hoyt era un pericoloso serial killer ossessionato da Jane. Brooks invece è soltanto un po’ arrabbiato con lei, perché da narcisista quale è, si è visto soffiare il posto di detective capo della omicidi di Boston da una donna, che secondo il suo giudizio, non aveva certamente più meriti di lui… - spiegò il veterano. - Korsak non c’è motivazione che tenga: non cerchi di investire una persona solo perché ha avuto la promozione che reputavi spettasse a te! Ha tentato di uccidermi! - replicò la detective. - Jane è stato un incidente, lo hanno confermato anche le indagini! - controbatté l’altro, sminuendo l’accaduto, poi tentò di rassicurarla: - E’ passato tanto tempo, magari non è più il bastardo che hai incontrato all’ inizio della tua carriera… Sta tranquilla! E poi ci siamo noi a guardarti le spalle! - Una calca di pensieri affollarono la testa della detective: la sveglia all’alba, la riunione di prima mattina, il ricordo dello psicopatico Hoyt, e ora la pessima notizia di Brooks come nuovo collega di lavoro; era tutto davvero troppo da sopportare in una sola giornata, e pensare che non aveva neanche avuto ancora il tempo di bere il suo primo caffè… Lungi dall’essere terminata, la stressante giornata di Rizzoli ebbe purtroppo una prosecuzione: Cavanaugh, al quale non sfuggiva nulla, la arpionò nei corridoi del distretto mentre stava bevendo il caffè e le chiese la motivazione dell’assenza della dottoressa Isles alla riunione mattutina. La detective fu allora costretta ad inventare una scusa, asserendo che la collega in realtà si trovava già a lavoro a quell’ ora, ma siccome stava effettuando esami complessi che richiedevano la sua costante presenza ed attenzione, onde evitare il disfacimento completo dei delicatissimi campioni che avrebbero potuto compromettere l’esito delle indagini, non aveva potuto abbandonare il laboratorio. Il tenente la guardò perplesso. Jane aggiunse: - Sa com’è la dottoressa Isles… Sempre scrupolosa e puntigliosa quando si tratta di lavoro! - tentando così di essere più credibile. La mandibola serrata di Cavanaugh si allentò e soddisfatto disse: - E’ ammirevole la dedizione al lavoro della dottoressa Isles. Dovrò farle i miei complimenti! - Jane fece un sorrisino di circostanza, ma interiormente tirò un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. Cavanaugh però incalzò: - Detective Rizzoli, le posso chiedere il favore di accompagnare il signor Wright in laboratorio e di presentarlo alla nostra dottoressa che da oggi sarà suo diretto superiore? - disse, indicando il ragazzo che finora aveva assistito alla scena muto e con lo sguardo verso il basso. - Ma naturalmente! - disse Jane con ancora lo stesso sorriso di circostanza stampato in faccia. - Perfetto, sapevo di essermi rivolto alla persona giusta! - ringraziò, poi si rivolse all’ altro: - Dottor Wright, la lascio nelle mani della nostra bravissima e stimatissima detective Rizzoli, provvederà lei ad introdurla al laboratorio! - disse congedandosi. Jane aveva ancora lo stesso identico sorriso fasullo sul viso, anche mentre il tenente, datogli le spalle, si allontanava. - Se continuerà a tirare così tanto i muscoli della faccia le verrà una paralisi, detective! Non sia nervosa, Cavanaugh se l’è bevuta! - bisbigliò inaspettatamente l’altro, rivelando di essersi accorto dell’inganno di Jane. - Non una parola di tutto ciò con Cavanaugh, dottore, intesi!?! - disse perentoria, quasi con tono minaccioso Jane, e lo invitò a seguirla. Fu proprio in quell’ istante che le porte scorrevoli del commissariato si aprirono lasciandovi entrare una donna dall’aria fresca e riposata, vestita di beige, con un trench blu allacciato alla vita, che ne accentuava le sinuose forme del corpo. Ella procedeva con andatura composta ed elegante lungo il corridoio, ignara di quanto fosse accaduto fino ad un attimo prima. Jane, che aveva osservato tutta la scena, liquidò il ragazzo e le corse incontro, trascinandola dentro un ufficio vuoto per farla sparire dalla circolazione; se il capo l’avesse vista entrare in quel momento, nessuna delle due si sarebbe risparmiata una nota di demerito. - Buongiorno Jane! A cosa devo questo tuo placcaggio mattutino? E’ in corso un torneo di rugby tra la omicidi e l’antidroga e ti stai allenando? - le chiese Maura, a metà tra il serio e il faceto. - Ah ah, miss simpatia! Ma dove ti eri cacciata? Non hai sentito il telefono squillare stamattina? - la rimproverò la mora. - Oh, pensavo di averlo solo sognato…. - commentò Maura cadendo dalle nuvole. La detective alzò gli occhi al cielo: ormai avrebbe dovuto essere abituata alla disarmante onestà ed ingenuità dell’amica, tuttavia a volte, ancora riusciva a sorprendersi; se da un lato questa nota caratteriale della dottoressa la mandava su tutte le furie, dall’altro la inteneriva, quindi cercando di aver pazienza rispose: - Ascoltami bene: ho coperto la tua assenza trovando la scusa che eri in laboratorio a lavorare, quindi adesso per favore, fai davvero in modo di farti trovare a lavoro, quando passerà Cavanaugh! Oltretutto devo… - - Jane ti devo dire una cosa… - la interruppe Maura di punto in bianco. - Ma mi ascolti quando parlo? - perse la pazienza la mora. - Si, ma ti devo dire un cosa! - - Me la dirai più tardi, adesso andiamo! - tagliò corto l’altra.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 1 - A VOLTE RITORNANO parte 2 ***


Dopo essere passate dallo spogliatoio per permettere alla dottoressa di indossare i suoi abiti da lavoro, le due fecero il loro ingresso nel laboratorio dove Susie stava iniziando al lavoro il nuovo collega. Appena vide le donne, Tim si scusò con Susie per l’interruzione e si diresse verso di loro. - Allora Maura, ti presento Tim Wright, specialista di laboratorio di V livello, che da oggi affiancherà Susie per coadiuvarti nelle indagini! - parlò Jane senza troppi giri di parole, ma si accorse che i due stavano già scrutandosi, studiandosi, tentando di capire vicendevolmente cosa stesse passando nella mente dell’altro; per un attimo si sentì profondamente a disagio. Sentiva di dover intervenire, soprattutto per un senso di protezione nei riguardi dell’amica, ma non capiva la natura di quella strana reazione, almeno non finché Maura prese l’iniziativa: - Piacere di rivederti Tim, come stai? - disse porgendogli la mano per stringergliela cordialmente. - Come? Voi due vi conoscete? - chiese incredula la detective. - Ehm si, in realtà si... - rispose timidamente il ragazzo, stringendo con inaspettato vigore la mano della dottoressa. Jane gli lanciò un’occhiataccia tutt’ altro che amichevole: se avesse potuto lo avrebbe fulminato: - E cosa aspettavi a dirlo? - disse alterata, cercando tuttavia di contenersi per non compromettere sul nascere i rapporti col nuovo collaboratore della Isles. - Suvvia Jane! Non essere così aggressiva con lui! E’ un ragazzo timido, non ama molto parlare! - lo difese Maura. - Adesso se volete scusarmi io torno a lavoro, la dottoressa Chang mi stava illustrando le dinamiche lavorative di questo laboratorio e ci tengo a mettermi subito all’ opera per essere quanto più utile possibile! - disse timidamente Tim, aggiustandosi con un dito i grossi occhiali che cadevano dal naso. - Timido? Quando vuole sa benissimo cosa dire! - ironizzò Jane, appartandosi in un angolo con Maura. - E' una new entry davvero appropriata. Tim è sempre stato un ragazzo intelligente… un tipo in gamba! Abbiamo frequentato molti corsi insieme all’ università, e studiato per tanti concorsi di dottorato. Però arrivava sempre secondo! - spiegò Maura con la sua solita disarmante onestà. - Chissà quanto sarà stato secchione il primo!?! - commentò la detective ridendosela. Maura la guardò in tralice, sul volto disegnata una smorfia a metà tra l'offeso e il compiaciuto: - Naturalmente... Mi domando perché abbia fatto una domanda tanto stupida! - disse Jane sospirando rassegnata all’ evidenza, Maura le mollò divertita un pugno sulla spalla. - Beh dai, almeno tu non hai un aspetto rachitico e malaticcio! Sei sempre incantevole anche con la divisa da lavoro... - le sussurrò Jane, squadrandola da capo a piedi compiaciuta, appagata dell’aspetto esteriore dell’amica: Maura era davvero una gran bella donna e non era così strano che avesse uno stuolo di corteggiatori, vista la gradevolezza e l’amabilità della sua persona. - Sei una ruffiana ma... Ammetto che sai come farti perdonare! Grazie accetto volentieri il tuo complimento, bella detective dai ricci ribelli! - rispose Maura strizzandole l’ occhio con un sorriso dolcissimo. - Ok, temibile "regina dei morti"! Ti lascio lavorare assieme al tuo esercito di zombie intellettualoidi prima che vi ricordiate di nutrirvi del mio povero cervello! - disse Jane sghignazzando, nel tentativo di stemperare il forte pathos venutosi a creare giusto un momento prima tra loro due. - Beh, se dovessimo nutrirci del tuo cervello credo che moriremmo di fame prima del previsto! - incalzò la dottoressa. - Stai forse insinuando che io non abbia un cervello? - - Oh no, naturalmente no! Tutti ne abbiamo uno… Più o meno grande… - scherzò Maura. - Bada a ciò che dici, dottoressa! - disse Jane divertita, puntandole il dito contro mentre andava via. La detective sorrideva ancora al pensiero del complimento che Isles le aveva rivolto: goffo e imbarazzato, a dire il vero, ma pur sempre piacevole per le sue orecchie. Si considerava immensamente fortunata ad essere l’unico essere vivente con cui Maura non si comportasse da automa; la dottoressa infatti non si rapportava mai a lei con freddezza e cinismo, ma anzi dimostrava sempre una profonda e rarissima umanità, difficili da credere che potessero appartenerle, dato che con gli altri ostentava sempre dei modi crudi, scettici ed estremamente razionali. Era davvero bello e solido il rapporto che in cinque anni erano riuscite a costruire insieme, tanto che erano ormai una famiglia più che semplici amiche, ed in cuor suo Jane sapeva quanto fosse importante la dottoressa per lei, anche se ancora non riusciva a far chiarezza interiore sulle miriadi di sensazioni e sentimenti che le trasmetteva l’altra . Il sorrisetto felice però, le si disintegrò sul volto, quando aprendo la porta del suo ufficio, vi trovò il nuovo detective, spaparanzato sulla sua sedia e con i piedi sulla sua scrivania. - Chi non muore si rivede, eh Rizzoli? - disse sorridendo beffardo l’uomo. - Non pensi di aver detto una delle frasi più infelici di sempre, Brooks? - borbottò Jane senza neppure guardarlo negli occhi. - Oh, andiamo Jane! Il passato è passato, sono venuto nel tuo ufficio in segno di pace, volevo soltanto farti un saluto e dirti che non ti infastidirò in alcun modo… - continuò l’altro con aria serafica. - Ne dubito, visto che lo stai già facendo! Ti do un consiglio però: potresti iniziare a dimostrarlo con l’alzarti dalla mia sedia e col togliere i piedi dalla mia scrivania. Non stai prendendo il sole in veranda! - replicò infastidita la donna. - Si può sapere perché sei sempre così prevenuta nei miei riguardi? - incalzò l’uomo obbedendole. - Anzitutto perché sul luogo di lavoro si tiene un certo comportamento, e poi non mi piaci, mi sembra palese, no? - - Solo perché ho ingaggiato un po’ di sana competizione con te durante un concorso non vuol dire che io sia una cattiva persona… - - Se ne sei convinto tu… - lo schernì Jane. - Oh, andiamo! Stiamo parlando di dieci anni fa! - - E tu pensi che il tempo mi abbia fatto dimenticare che volevi uccidermi? - - Jane è stato un incidente! - - Rizzoli, prego! Non ti ho dato nessuna confidenza, e gradirei che il nostro rapporto mantenesse un certo livello di formalità.. Per il resto se da oggi in poi dovrai lavorare qui, ok, me lo farò andar bene, ma non ti aspettare che io e te diventiamo amici perché non sarà mai così! Te lo ripeto: non mi piaci e nulla mia farà cambiare idea su di te! - concluse Jane, avvicinandosi alla scrivania e chiudendo un faldone di pratiche in maniera rumorosa, quasi a voler sottolineare il suo fastidio nei confronti di quella situazione. - Tranquilla, non ho alcuna intenzione di volerti essere amico! - rispose ostile Brooks. - Jane, ho i risultati e volevo confrontarmi… - parlò d'improvviso una voce al di fuori della porta, ed immediatamente dopo Maura fece il suo ingresso, ma si interruppe nel constatare che l’amica era già impegnata. - Rizzoli! Non mi hai detto che in questo posto lavorasse una donna così bella ed affascinante! - disse subito Brooks piroettando platealmente intorno a Maura per squadrarla da capo a piedi. - Si beh, Questa è la dottoressa Isles, la direttrice del nostro laboratorio di anatomopatologia… Ci coadiuva nelle indagini… - fu obbligata a presentarli Jane. - Piacere di conoscerla, incantevole creatura! - gli fece un baciamano Brooks, e Maura arrossì vistosamente, quindi balbettando imbarazzata disse: - Piacere mio detective… - - Detective Jonathan Brooks! - si presentò l’uomo pavoneggiandosi. - Ok, ora che abbiamo fatto i convenevoli che ne dite di focalizzarci sul nostro lavoro? Che è poi il motivo principale per cui ci ritroviamo allegramente qui tutti i giorni, anziché fare cose noiose tipo… non so… Windsurf ad Honolulu… Una passeggiata nei boschi di Blair sperando di incontrarne la strega… Appostarsi dietro l’Ayers Rock solo per vedere un canguro passare e provare a fargli soffiare al volo il naso!?! - ironizzò Jane, visibilmente gelosa di quella situazione, mentre a Maura, divertita dalle assurdità che sparava a volte l’amica, scappò un sorriso che tentò di nascondere portando una mano davanti alla bocca. Quindi ricomponendosi disse: - Vedo che sei impegnata, ripasso dopo! - - Non c’è bisogno, Brooks stava giusto andando via, vero? - lo interpellò retorica Jane, lasciandogli ad intendere che doveva sparire. Prima di uscire però l’ uomo, che da abile stratega quale era, aveva già capito il motivo del fastidio di Jane, la provocò facendo un profondo inchino al cospetto di Maura. - Simpatico quel tipo, c’è feeling tra voi! - esordì quando furono sole, la dottoressa. - Si, lo stesso feeling che potrei avere con una zanzara che mi ronza tutta la notte nelle orecchie solo perché si diverte a nascondersi quando io accendo la luce per farla fuori! - Maura sorrise ancora dicendo: - Hai reso l’idea! Ma lo conoscevi già? - - Purtroppo per me si… - - Purtroppo? A me sembra una persona interessante, e poi è molto educato, un vero gentiluomo! - constatò con sincera ammirazione Isles. - Fin troppo! - rispose piccata la mora, lasciandosi letteralmente cadere sulla sedia. - E visto che lo conosci, cosa sai dirmi sul suo conto? - insisté Maura sedendosi di fronte a lei. - Di solito gli interrogatori li faccio io... Ehi, aspetta, non mi dire che…. - balzò dalla sedia la detective, sperando che l’amica non confermasse l’ipotesi che si stava facendo strada in lei, e cioè che fosse attratta dall’ uomo. La dottoressa però la fissò insistentemente negli occhi e Jane capì che invece era proprio così. - Hai presente il modo in cui si è posto nei tuoi riguardi? E’ esattamente l’opposto! - concluse secca Jane sperando di distogliere l’attenzione dell’altra da quel tipo di conversazione. - In che senso, spiegati meglio! - incalzò invece l’altra, curiosa. - Maura! I risultati! - tagliò corto Jane, lasciandole ad intendere che non aveva intenzione di dilungarsi sull' argomento. - E va bene… Ho trovato dei segni di legatura intorno ai polsi e ai piedi… - - Legatura? E come è possibile? - replicò Jane pensierosa, attenta a non trascurare nessuno degli indizi finora raccolti. - Non faccio ipotesi, lo sai… - flautò spontanea l’altra. Jane le lanciò un’occhiataccia spazientita, perché in ogni indagine, arrivati a quel punto doveva sempre fare così? Si chiese scrutandola interrogativa, quindi tentò di riformulare la domanda: - I segni di legatura potrebbero essere stati causati dal fatto che l’uomo sia stato legato ad una sedia? - - E’ probabile… In più sono presenti molte contusioni ed ecchimosi che fanno pensare a dei maltrattamenti subiti prima di morire… - rispose finalmente l’altra. - Smith era un uomo alto e forte; sarebbe stato difficile prevaricare su di lui se fosse stato cosciente, o in qualche modo lucido… - congetturò la detective, ma la dottoressa capì subito dove voleva andare a parare, quindi prontamente rispose: - Faccio preparare un tossicologico… Così chiariamo questo dubbio…. E un’altra cosa: Ho trovato questo pezzo di carta nella sua trachea. A meno che non lo abbia ingurgitato volontariamente ce lo hanno spinto dentro. Però il paradosso è che non ho trovato segni di violenza ai danni della trachea; inoltre la causa della morte non è asfissia. Confermo che è morto cadendo dal quarto piano… - - Almeno una certezza ce l’abbiamo! - sospirò l’altra prendendo la bustina contenente la prova già repertata dalla dottoressa e fissandola attentamente per cercare di visualizzare le tracce di inchiostro semisbiadite. - Jane, però c’è un’altra cosa di cui ti vorrei parlare… - cambiò discorso Maura, e la sua espressione divenne terribilmente preoccupata. - Cosa succede? - le chiese l’altra percependo la sua ansia. - Stamattina, quando mi sono svegliata, ho trovato il salotto in disordine… E a dire il vero non è la prima volta che succede… - si confidò Maura. - Si, in effetti la tua precisione maniacale e la tua scrupolosità ai limiti dell'ossessivo compulsivo, non sono un buon connubio con il disordine! Comincio a pensare che non sia un caso… - rifletté ad alta voce la detective. - Che cosa devo fare, Jane? - - Tranquilla! Stanotte vengo a dormire da te… Così appuriamo questa situazione... - la rassicurò la mora. - Ti ringrazio! - le si rivolse Maura con lo sguardo traboccante di riconoscenza. Il campanello di casa di Maura suonò ripetutamente, segno che la persona al di fuori dell’uscio era impaziente di entrare. Jane infatti era carica di borse ed inoltre reggeva una scatola contenente una pizza fumante che quasi le ustionava le mani. Dopo qualche scampanellata la dottoressa si decise finalmente ad aprirle - Ciao… - le disse Maura imbarazzata, esitante se farla entrare oppure no. - Mi fai entrare o preferisci cenare per strada? - la prese in giro Jane. - Si però… - disse Maura e si spostò leggermente; fu così travolta dalla detective che piombando in casa si ritrovò in un salotto completamente tappezzato di vestiti dell’altra. - Mio Dio! Ti è esploso l’armadio o cosa? - si stupì. - Perdona il disordine ma stavo provando un vestitino per domani sera… - tentò di giustificarsi l’altra. - Non ricordo di averti invitato a cena, ne di averti chiesto di accompagnarmi da qualche parte, domani sera… - meditò Jane, incerta, se come suo solito, avesse dimenticato qualche occasione importante. - Ma no! Che c’entri tu, sciocchina! E che… Insomma… Jonathan mi ha invitato a cena… - parlò con un misto di timidezza ed imbarazzo Maura, sperando in cuor suo di non suscitare una reazione spropositata dell’amica. - Cosa? E quando sarebbe successo tutto ciò? - domandò Jane, temendo di essersi sfuggita qualche passaggio. - Ci siamo incontrati per caso alla caffetteria, abbiamo preso un caffè e ci siamo fermati a chiacchierare un po’, oggi. Poi è arrivato l’invito e mi sono detta: perché no… - tentò di spiegarle con calma la dottoressa. Jane, colta da un moto di gelosia, sbraitò: - Non riesci proprio a stare lontana dai guai, eh? - - E dai, ora calmati! E’ solo un invito a cena! - minimizzò l’altra. - E’ solo? Che intenzioni hai con lui? - si informò apprensiva la mora. - Mi sembra una persona interessante… vedremo… - disse Maura guardandosi allo specchio e tentando contemporaneamente di sollevare la zip del vestito che faticava a chiudersi. Jane, imbronciata, era seduta sul divano: - “ Perché me la prendo tanto se Maura esce con qualcuno? D’accordo, è vero che quel qualcuno in questo caso è Brooks, però non è giusto che cerco di condizionare con una mia antipatia personale le sue frequentazioni. Maura ha il diritto di vivere la sua vita e di scegliersi da sola chi vedere e chi no. Non sono sua madre, ne la sua fidanzata, quindi forse la mia reazione è stata eccessiva… E poi magari Korsak ha ragione: è passato del tempo, potrebbe anche essere cambiato… Però non riesco a fare a meno di infastidirmi al pensiero che qualcun altro che non sia io, possa condividere la quotidianità con lei. Ma che mi prende: è soltanto un’amica! ” - meditava, dandosi più volte della stupida per la reazione esagerata a quella notizia. Cercò disperatamente di autoconvincersi che fosse così, trattenne il fiato, prese qualche minuto per riacquistare il suo autocontrollo, quindi guardò di nuovo in direzione dell’amica, ancora alle prese con la zip dispettosa. - Aspetta, ti aiuto ad alzarla! - le disse finalmente, ricacciando nell’ angolo più recondito di se stessa le sue perplessità; le cinse dunque i fianchi con le mani da dietro e la attirò più a se per avvicinare meglio i lembi del vestito e richiuderli. Inaspettatamente però, i loro cuori iniziarono a scalpitare nei loro petti. Maura si sentiva accaldata, emozionata, era proprio quello, lo strano effetto che le produceva la vicinanza prolungata di Jane. La mora, d’altra parte, chiuse gli occhi inebriandosi del profumo buonissimo che emanava l’altra e si abbandonò per un attimo respirandolo a pieni polmoni, poi prima che l’irreparabile accadesse, tentò di riacquistare lucidità e portò a termine il suo compito. - Grazie… - le disse Maura voltandosi, facendo ben attenzione però a non incontrare il suo sguardo. - Stai benissimo! - le disse Jane in un sussurro. - Mi sta male sui fianchi! - - Invece ti dico che è perfetto così! Sei tu che sei fissata e pretendi chissà cosa dal tuo corpo! - - Parli facile tu con quel vitino da vespa che ti ritrovi! - Jane sorrise, quindi disse: - Sarà, ma questo vitino da vespa sta morendo di fame! Io avevo portato la pizza, ma se proprio vuoi fare la dieta ti ho preso anche lo yogurth! - - La pizza? Con i funghi? - si illuminò Maura. - Certo, la tua preferita! - confermò la detective, mostrandosi perfettamente a conoscenza dei gusti della dottoressa. - Mi sa che mi tocca risistemare tutti questi vestiti… Ma lo farò soltanto dopo cena! - - Aspetta: tu non eri quella a dieta? - disse Jane, stappando una bottiglia di vino e versandone due bicchieri. - Inizierò domani! - replicò Maura, sorseggiando il vino che l’amica le aveva porto. Un pallido lembo di luce proveniente da un lampione della strada, illuminava fiocamente la stanza da letto dove le due donne riposavano. La comodità del letto, insieme alle lenzuola profumate di pulito ed al dolce tepore che emanava il corpo dell’amica, distesa su di un lato accanto a lei, costituivano per Jane, il mix di elementi ideali per abbandonarsi al più ristoratore dei sonni, eppure quella sera non fu così; la detective infatti, trovò molto difficile addormentarsi a causa della miriade di pensieri che le passavano per la testa torturandola senza pietà. Era distesa supina con le mani incrociate all’ altezza del petto e rimuginava su quanto accaduto nella giornata appena trascorsa. Ma non era l’unica a dover fare i conti con una nottata insonne; anche Maura infatti era ancora sveglia, ma non si muoveva per paura di disturbare il riposo dell’altra. A muoversi frenetici però, erano certamente i suoi pensieri: - “ Perché mi emoziono sempre quando ti sono vicino? Perché sento il cuore in fiamme ogni volta che sei con me? Anche adesso, vorrei voltarmi ed abbracciarti, sono certa che così riuscirei ad addormentarmi… Ma non lo faccio perché temo la tua reazione. Io credo che la mia smania di gettarmi a capofitto nelle frequentazioni sia dovuta al fatto che in realtà cerco di compensare una mancanza… la mancanza di qualcosa che forse non potrò mai avere… E temo che se ti mettessi al corrente di ciò che davvero mi passa per la testa, rovinerei per sempre la nostra amicizia che è la cosa più bella e preziosa che mi sia capitata nella vita…” - rifletteva la dottoressa affondando maggiormente il volto nel cuscino, in cerca di carezze immaginarie che avrebbero potuto gratificarla solo se fosse stata la detective a fargliele. Un insolito tonfo proveniente dal piano di sotto però, interruppe bruscamente il corso dei suoi pensieri; capitava a volte che Bass camminasse per casa durante la notte, col tempo ci aveva fatto l’abitudine, ma il rumore che Maura aveva avvertito, non le era assolutamente familiare, la cosa dunque la insospettì e voltandosi di scatto verso la mora le bisbigliò allarmata: - Jane! Jane! Ho sentito un rumore di sotto! - - Sono sveglia, l’ho sentito anche io! Però speravo che non ti fossi accorta di nulla, così che non ti spaventassi… - disse l’altra, prendendole istantaneamente la mano per tranquillizzarla. - Allora dicevi il vero! Non eri tu che mettevi tutto a soqquadro! - constatò ingenuamente la dottoressa. - Ho trascorso giorni a tentare di spiegartelo, ma quando sei presa dalle tue convinzioni non ascolti niente e nessuno! - la redarguì Jane, alzandosi dal letto ed afferrando prontamente la pistola posata sul comodino. - Vengo con te! - continuò Maura infilandosi le ciabatte. - Resta qui! E’ pericoloso! - la bloccò Jane uscendo di soppiatto, ma non concluse neppure la frase che l’altra era già sull’ uscio accanto a lei. - Non mi importa, vengo con te! - Le due procedettero silenziose lungo il corridoio, spalle contro il muro, quindi si apprestarono a scendere le scale sperando che non scricchiolassero. Jane teneva la pistola ben stretta tra le mani, pronta a fare fuoco se ce ne fosse stata la necessità, ed intanto procedeva nell’ oscurità dinnanzi a Maura per proteggerla. La dottoressa dal canto suo, pur essendo ben consapevole di trovarsi in pericolo, riusciva a mantenere perfettamente la calma perché conscia che Jane era con lei, sapeva quanto fosse brava nel suo lavoro, e soprattutto confidava nelle comprovate doti di tiratrice dell’altra. Appena ultimate le scale si apprestarono ad entrare di soppiatto in cucina dove tutto era tranquillo, ma l’incedere nel buio pesto, provocò l’inciampo di Maura contro il carapace di Bass; la dottoressa quindi gettò involontariamente per terra un mestolo, che produsse un clangore assordante. - Dannazione! - imprecò silenziosamente la detective, ma ormai il danno era fatto, e la sua esperienza le suggeriva di prestare più attenzione, perché di lì a qualche istante sarebbe successo sicuramente qualcosa. Le aspettative di Jane infatti non furono disattese: ella passò velocemente il suo sguardo dalla dottoressa ancora per terra, al salotto, dove poté scorgere un’ombra nera in fuga che aprì la porta sbattendola dietro di se una volta uscito. Jane corse nel salotto incurante dell’ oscurità e si fiondò anch’ ella alla porta per tentare di acciuffare il farabutto, ma Maura spaventatissima, la pregò di non andare. Jane guardò verso Maura, poi nuovamente fuori: lo aveva perso di vista, non valeva la pena cacciarsi in un ulteriore pericolo, non se in quella brutta storia era coinvolta anche l’amica. La sua priorità era proteggerla, tanto valeva tornare in casa e rassicurarla. - Scusami, sono inciampata e… - parlò mortificata la dottoressa, mentre Jane riaccendeva la luce. - Ma di cosa ti scusi! Piuttosto, ti sei fatta male? - disse aiutandola a rialzarsi. Maura scosse il capo prima a destra poi a sinistra, come a dirle “ no ”, quindi le rivolse uno guardo colmo di affetto e gratitudine. - Ti voglio tanto bene Bass, ma stavolta sei stato un po’ inopportuno… - disse poi rivolta all’ animale, e gli concesse una carezza: in fondo si era spaventato anche lui. - Non l’ ho visto bene, ma dal suo modo di agire sicuro e spigliato, direi che è entrato in casa parecchie volte… Chissà cosa stava cercando… Dovresti farmi sapere se ti manca qualcosa…. - constatò professionale Jane. - Scusami! Come ho potuto dubitare di te! - replicò Maura, pentita di aver incolpato ingiustamente l’amica. - Comunque, per la cronaca: la mattina che hai trovato il caffè in terra io non ero passata dalla cucina, altrimenti, ignara di tutto, avrei perfino ripulito! - riuscì finalmente a chiarire i fatti la mora. Poi gettandosi sul divano abbandonò la pistola sul tavolino e tirando un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo, concluse: - Tu da domani sei sotto scorta! -

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 3 - UN CASO DA RISOLVERE ***


Il caso del cadavere dell’acciaieria si stava rivelando molto più lungo e complesso di quanto tutti desiderassero. Era già trascorso qualche giorno dal rinvenimento del corpo di Donald Smith, ma le prove a disposizione della omicidi per poter formulare qualsiasi teoria, erano veramente poche, e gli interrogatori finora sostenuti da Korsak, inconcludenti. Non vi era ancora alcun sospettato. Della vittima si sapeva che era l’amministratore delegato delle acciaierie Fayenord, che il giorno in cui è morto alle cinque del mattino era già sul posto di lavoro, che era precipitato giù dal quarto piano, e che probabilmente era stato percosso prima di morire. Bisognava inoltre considerare la strana scoperta di Maura di quel pezzo di carta cacciato nella trachea: qualsiasi cosa ci fosse stata scritta sopra, sicuramente non era finita lì per una coincidenza. Così, presi dalla smania di risolvere il caso, sia per poter fare giustizia che per arginare le pressioni che Cavanaugh iniziava a fare, data la scarsità dei risultati ottenuti, Jane si accordò con Korsak e Frost per analizzare meglio i dettagli e le dinamiche del caso. Doveva a tutti i costi trovare il colpevole e affidarlo alla legge, ne andava della buona reputazione del suo dipartimento, e vista la permanenza nell’ufficio accanto al suo dell’odiatissimo Brooks, anche della sua reputazione personale. Non poteva assolutamente fallire. La detective quindi, partendo dall’identità della vittima, iniziò a scrivere su una lavagna tante cose senza un significato apparente, quindi chiese a Frost, già pronto nella sua postazione, di scavare nella vita di Smith. Con pochi clic di mouse, Frost riuscì ad esaudire le sue richieste: - Donald Smith, nato ad Austin, in Texas nel 1974. Sposato con Caroline Ross, due figli. Si è trasferito a Boston sei anni fa con la famiglia…. - - Ha una famiglia dunque, ma nessuno ha ancora sporto denuncia per la sua scomparsa… - constatò Jane, tracciando delle frecce per unire le varie parole sparse sulla lavagna. - Era amministratore delegato delle acciaierie, ricopriva una posizione di spicco per la società… Quali erano i suoi rapporti con i superiori e con il resto del personale? - chiese poi rivolta a Korsak che aveva curato i colloqui personalmente. - Il presidente della Fayenord mi è sembrato alquanto sconvolto dalla morte di Smith. Lo considerava un ottimo elemento; un collaboratore promettente e ricco di talento che stava conducendo l’incarico affidatogli nel miglior modo possibile. Inoltre i colleghi ed i subordinati di Smith lo descrivono come una persona in gamba, cordiale e sempre disponibile… Insomma non mi è sembrato che i suoi rapporti interpersonali sul luogo di lavoro fossero tesi o in un qualche modo fonte di attrito tale da giustificare un omicidio! - riassunse il veterano sedendosi sulla scrivania. - Intanto però è morto sul posto di lavoro! Qualcosa quindi non va nel quadro generale che stiamo facendo. O ci deve essere sfuggito qualcosa, o qualcuno sta mentendo…. - valutò attentamente Jane. - La finestra coi vetri rotti del quarto piano era l’ufficio di Smith? - continuò la detective osservando delle fotografie. - Per la verità no, era la finestra di una stanza adibita ad archivio… - spiegò Frost. - E ne avete controllato l’interno? - incalzò la donna. - Certo; si tratta una stanza molto ampia, perimetrata da scaffalature zeppe di faldoni di contabilità… Un luogo piuttosto normale insomma, anche se mi ha colpito la sua posizione: pur possedendo un ingresso indipendente, era comunicante con l’ufficio di Smith e quello della sua segretaria… - - Era arredato? Erano presenti tavoli o non so… sedie? - domandò Jane ricordandosi dei segni di legatura rinvenuti dalla coroner. - Certo! te l’ho detto, era un luogo comunissimo nel quale si consultava contabilità! - - Che informazioni abbiamo sul suo conto? - continuava imperterrita a domandare. - Sophie Grandant, 30 anni, originaria di Plymouth. Laureata in economia alla Boston University. Assistente di Smith da circa due anni… - enumerò Frost e Jane si soffermò dinnanzi alla lavagna, che appariva in quel momento fitta di collegamenti. La studiava a fondo, cercando di trovare un unico filo conduttore che incastrasse tutti gli elementi a loro disposizione e che quasi certamente avrebbe costituito la risoluzione del caso, ma fu improvvisamente interrotta dalla vibrazione del suo cellulare, di cui lesse velocemente il messaggio. - Vado in laboratorio: è pronto il tossicologico… Korsak: convoca in commissariato la moglie di Smith. Dobbiamo informarla dell’accaduto. Frost: tu esamina le riprese delle telecamere poste nei pressi dell’ufficio di Smith, dell’archivio e dell’ufficio della segretaria. Cerchiamo di capire chi era con lui quella notte e cosa è successo! - disse, quindi fece per uscire, ma si arrestò sulla soglia per rivolgersi nuovamente a Korsak: - Convochiamo anche Sophie Grandant ! - e sparì. - Eccomi, allora? Quali novità? - chiese impaziente Jane appena giunse in laboratorio, ma la sua attenzione fu immediatamente attirata da un enorme mazzo di rose rosse, posto sulla scrivania della dottoressa. - Brooks? - chiese infastidita, indicando le rose. - No, Tim! E’ così gentile e carino! - rispose Maura, ammiccando un sorrisino verso il giovane che la guardava sottecchi dall’altro lato laboratorio. - Oh Dio! - esclamò la detective, alzando gli occhi al cielo, ma Maura, seduta al computer per controllare i parametri delle analisi, esordì: - Smith non è stato drogato, ne avvelenato. I valori del tossicologico sono tutti negativi, però… - - Però? - ribadì Jane sulle spine, avvicinandosi. - ….Aveva un tasso alcolemico nel sangue molto elevato e… - - Era ubriaco? - tagliò corto la detective. - Si! - confermò Maura voltandosi a guardarla, e sbadatamente lasciò cadere dei fogli, spargendoli in terra. In quel momento Tim si fiondò a recuperarli attraversando tutto il laboratorio, per porgerglieli infine molto cavallerescamente. Jane osservò perplessa la scena patetica, ma non riusciva a capacitarsi del perché anziché scoraggiarlo, Maura con i suoi comportamenti, gli desse corda. Impiegò soltanto un secondo a decidere che per salvaguardare la sua incolumità mentale era meglio far finta di niente, quindi tornò sul caso: - Non capisco perché per darmi una semplice informazione tu parta ogni volta dagli albori della civiltà umana! - disse indispettita. - La coltivazione della vite si è resa possibile soltanto quando le popolazioni cambiarono il loro stile di vita da nomade a sedentario. Stanziarsi in un solo posto, propiziò la nascita dell’agricoltura e quindi dello sfruttamento per scopi alimentari, di tutti i prodotti da essa derivanti: semi, bacche, frutti… Ciò accadde in Armenia, cuore di quella zona nota come mezzaluna fertile, che scorreva tra i fiumi Tigri ed Eufrate. Tuttavia le prime testimonianze scritte della pratica della vinificazione, si hanno solo nel 2500 a.C ad opera degli egizi… Ma è certamente nel periodo greco-romano che il vino acquistò una notevole importanza come alimento, ma soprattutto per il suo significato simbolico e religioso…. Quindi è tecnicamente scorretto che tu dica che io stia partendo dagli albori della civiltà. Siamo nell’ambito della storia, non della protostoria… - la delucidò con scrupolosa competenza la dottoressa. - Oddio Maura! Sono stati i due minuti più noiosi della mia vita! E non mi sento più serena, dato che tutto questo non c’entra nulla col caso! - sbuffò Jane, appoggiando esasperata la testa sul braccio, che a sua volta era poggiato all’armadio della minuteria di laboratorio. Susie e Tim, che nel frattempo avevano smesso di lavorare per origliare la conversazione surreale delle due, ridacchiavano divertiti. - Va bene, allora qualche informazione pertinente al lavoro la do io a te: Smith era sposato, aveva due figli ma nessuno ha ancora denunciato la sua scomparsa. E’ morto cadendo dalla finestra di un archivio che però comunicava con il suo studio e quello della segretaria. Apparentemente non aveva nemici a lavoro ed era benvoluto da tutti. E noi siamo ancora in alto mare per quanto riguarda questa indagine! - parlò tutto d’un fiato la detective, tentando di focalizzare l’attenzione della dottoressa sul caso. - Wow, tu si che sei pragmatica! - constatò Maura ironica, ed ancora una volta sviò la conversazione: - Jane ma è proprio necessaria la sorveglianza di casa mia? Mi sento una reclusa! - - Maura tu che sei così acculturata ed arguta, spiegami: cosa ti sfugge della parola stalking? Hai capito di esserne vittima? - le si rivolse Jane, preoccupata che l’amica non comprendesse la gravità della situazione. - Ok, va bene, ma mi sento prigioniera in casa mia! - mugolò la dottoressa. - Non mi sembra che finora la sorveglianza di Frankie ti abbia impedito di restare in intimità con Jonathan! - rispose piccata la detective, mostrandosi perfettamente a conoscenza di tutti gli spostamenti della coppia. - Ma cosa c’entra questo, Jane! E poi sappi che non ha mai messo piede in casa mia, non fare mai più allusioni del genere, intesi? - si arrabbiò Maura, stupendosi però che per la prima volta stava dando così tante spiegazioni a qualcuno con tanta apprensione ed affrettandosi a chiarire il malinteso. - Io non posso smettere di far sorvegliare casa tua, non finché ho la certezza che c’è uno psicopatico che ti importuna, là fuori! - concluse Jane con dolcezza, a dispetto del broncio dell’altra. La dottoressa fece per controbattere, ma la sua mente la rimandò a quando Jane fu sequestrata e torturata prima da Hoyt, poi dal panettiere psicopatico e si rese conto che in fondo l’amica stava solo facendo il possibile per evitarle quella brutta esperienza. Realizzando finalmente quanto realmente fosse preoccupata la detective per lei, le si avvicinò e stringendole forte la mano fra le sue le disse: - Hai ragione… Scusami… Ti ringrazio… - Jane la guardò con dolcezza quindi pose la mano sulle sue per rafforzare l’intensità di quel contatto e continuò: - Non voglio che ti capiti nulla di male, tutto qui… - - Non so se esistano davvero, ma sicuramente tu sei il mio angelo custode! - le sussurrò Maura, restando a fissare lo sguardo profondo e volitivo della mora per un tempo che le parve indeterminato. - A proposito: ma perché quello ti fissa sempre? - disse Jane interrompendo l’idillio venutosi a creare. - Chi Tim? - le chiese Maura riprendendosi. - Si, proprio lui! Perché hai accettato le sue rose? Non stai frequentando Brooks? Che sta succedendo? - domandò senza contegno la detective, malcelando l’ansia di avere risposte da parte dell’altra. - Se vuoi vengo anche nella camera degli interrogatori con te, vista la mole di domande che mi stai ponendo! - scherzò la dottoressa, che finalmente le rivelò: - Tim è innamorato di me fin dai tempi dell’università… E’ sempre stato premuroso, gentile, attento nei miei riguardi… Oddio, forse a volte un po’ troppo da rasentare la morbosità… Ma so che è una brava persona… Ha un animo sensibile e se non avessi accettato i suoi fiori, ci sarebbe rimasto molto male. Oltretutto non voglio incrinare i rapporti lavorativi con il mio team… Finché il suo corteggiamento si limita ad un fiore o un cioccolatino ogni tanto, non mi da fastidio. Senza contare che sto frequentando Jonathan, non mi permetterei mai di accettare la corte da parte di un’altra persona! - - Quel coso lì innamorato di te? - - Ehi! Abbi rispetto per gli altri! Mica hanno tutti la fortuna di essere belli sani ed in forma come te! - le strizzò l’occhio la dottoressa. - Suppongo che questa sia una cosa per la quale debba essere grata a mia madre… Ora però non attaccare con la storia dei cromosomi, dei caratteri recessivi e dominanti e degli esperimenti di Mendel sui piselli, per favore! - la prese in giro Jane, ma Maura sgranò gli occhi fissandola, sinceramente stupita nel constatare che la detective conoscesse nozioni così precise di genetica, e se ne compiacque molto. - Cosa guardi, il liceo l’ho frequentato anche io! - scherzò Jane congedandosi. Appena fuori dal laboratorio però, fu assalita da un dubbio: tutta quell’attenzione esagerata di Tim nei riguardi di Maura non le piaceva, e non certo per gelosia: aveva una strana inquietante sensazione, quindi doveva fugare ogni dubbio. - Frankie! Devo chiederti un grosso favore! - affrettò il passo lungo il corridoio quando vide il fratello. In quel momento anche Brooks uscì dal suo ufficio. - Si tratta di Maura, però… Vieni, te lo dico in privato… - disse Jane, prendendolo per un braccio e trascinandolo nel suo ufficio, accortasi che Brooks la fissava con un po’ troppa insistenza.

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 4 - TUTTI I NODI VENGONO AL PETTINE parte 1 ***


Boston era stata colpita da un violento e prolungato temporale primaverile, quella mattina. Le strade allagate ed il traffico congestionato impedirono che Jane arrivasse a lavoro in orario, così presa dalla fretta e da una moltitudine di pensieri, si apprestò a parcheggiare l’auto di ordinanza al di fuori del commissariato. Mentre saliva le scale, noncurante delle gocce di pioggia che le si insinuavano tra i capelli bagnandoli, si chiedeva se Maura fosse già lì. Appena sarebbe riuscita a vederla, aveva pensato di chiederle se voleva interrogare con lei Sophie Grandant; ciò perché la dottoressa si era dimostrata spesso un abile profiler, riuscendo a cogliere da alcuni gesti, o dalla mimica facciale delle persone, cose che queste non dicevano. Ovviamente questa era la motivazione ufficiale, tuttavia, senza nulla togliere alle facoltà intellettuali ed ai meriti lavorativi di Isles, ciò che spingeva realmente Jane a fare ciò, era una motivazione di natura personale: visto che ultimamente, anche a causa della nuova fiamma della dottoressa, il tempo che trascorrevano insieme si era ridotto, quello rappresentava un modo come un altro per poterlo prolungare. Passò dunque svelta dall’'atrio e si diresse presso il suo ufficio, nel quale voleva posare la giacca, per poi andare in laboratorio. Ma la sua attenzione fu improvvisamente catturata da alcune risate provenienti dall’attiguo ufficio di Brooks; la detective vi riconobbe in esse la voce di Maura e sentendo una fitta al cuore, si diede della stupida per quanto aveva osato pensare poco prima. Odiava quella fortissima sensazione di malessere che si impadroniva di lei ogni qualvolta sentiva sorridere così l’amica e non era lei a strapparle quei sorrisi, odiava profondamente persone, cose, situazioni, tutto ciò che si frapponesse tra loro. Si sentì in collera con la dottoressa, con l’uomo che l’altra frequentava, e che per giunta detestava, ma soprattutto con se stessa: cosa aveva da pretendere se non era mai stata sincera con Maura? Avrebbe dovuto aspettarselo che prima o poi l’amica avrebbe avuto bisogno di una storia seria, e lei cosa era stata in grado di fare fino ad ora? Nulla… quindi se c’era qualcuno da biasimare, quella era soltanto se stessa. Una lacrima scese prepotente dai suoi occhi contro la sua volontà, Jane si affrettò ad entrare nel suo ufficio, sperando nessuno la potesse vedere ridotta in quello stato. Maura, che nello stesso istante usciva dall’ufficio di Brooks, scorse invece l’amica: - Buongiorno Jane! - la salutò affettuosamente; per tutta risposta la mora salutò con la mano e sparì. Perplessa, ma anche incuriosita dal comportamento insolitamente schivo dell’altra, fece irruzione nel suo ufficio: - Che succede? - e chiese con apprensione - Nulla, perché? - rispose la detective, tentando di risultare forte e disinvolta. - Ti vedo provata… Sicura che vada tutto bene? - rigirò inconsapevolmente il coltello nella piaga la dottoressa. - Scusami, è che stanotte non ho riposato molto bene… - disse Jane, propinandole la prima scusa che le venne in mente. - Penso di aver mangiato troppi ravioli ieri sera… Così mi sono sentita male! - rafforzò il discorso per risultare maggiormente credibile. Maura cercò con il suo lo sguardo sfuggente dell’altra che, nel frattempo, aveva preso a giocherellare nervosamente con le cicatrici sui palmi delle mani; lo faceva sempre quando era sottoposta ad un forte stress psicoemotivo. Pur intuendo che mentiva, preferì sorvolare a causa di una strana tensione che aleggiava nell’aria. - Sono passata dall’ufficio di Jonathan stamane perché ieri sera avevo dimenticato la mia agenda nella sua auto! - le spiegò dunque la dottoressa tentando di chiarire la sua posizione, anche se non capiva perché, a livello inconscio, ci teneva così tanto a dare quell’ informazione all’amica: non era tenuta a giustificarsi con nessuno delle sue azioni, tanto più che la sua frequentazione con Brooks era una cosa alla luce del sole, eppure perché si sentiva di doversi giustificare? - Ok, non c’è problema! - commentò l’altra. - In realtà ti cercavo anche perché volevo proporti di andare a prendere una birra insieme oggi pomeriggio… E’ da un po’ che non lo facciamo e mi manca… - parlò nuovamente Maura, facendo appello a tutto il coraggio che possedeva. La detective trasalì: com’era possibile che l’amica avesse avuto la stessa idea, nello stesso momento, di trascorrere un po’ di tempo insieme per recuperare quello perduto? Tutto sommato però, non era poi così importante il come, ma il fatto che Maura, così come lei del resto, avesse ancora voglia di trascorrere del tempo insieme, come ai bei vecchi tempi. - Contaci! - rispose quindi con un sorriso disteso e sereno. Maura di rimando, le sorrise dolcemente, ma la cartellina blu tra le sue mani la richiamò al dovere: - Ah, per quanto riguarda il caso ti volevo anche informare che sul cadavere di Smith ho rinvenuto tracce organiche con un DNA differente dal suo... -disse porgendo la cartellina alla detective. - Abbiamo già riscontri sul database? - - No purtroppo… - - Troppo bello per essere vero… - sbottò l’altra. Maura le si portò alle spalle, poggiò le mani su di esse poi le sussurrò: - Oggi sei nervosa… Hai le spalle tese e i muscoli della mandibola contratti… Lascia che ti rimetta in sesto: conosco una tecnica shiatsu che è un vero toccasana! - E cominciò a massaggiare con ritmi, cadenze e tocchi alternati. Jane, dapprima diffidente ed irrigidita, si lasciò sempre più trasportare da quel tocco, fino a rilassarsi completamente appoggiandole il capo sul grembo. - Vedi, il massaggio shiatsu è una tecnica manuale basata principalmente sulle pressioni effettuate con i pollici, le dita, i palmi delle mani. Questo permette, entrando in contatto con il tuo livello energetico più profondo, di conseguenza con tutti gli aspetti della tua realtà, di risvegliare la tua forza di autoguarigione…. - la parole di Maura conciliavano il rilassamento di Jane come quando una mamma, per far addormentare il suo piccolo, gli canta una dolce ninna nanna. Abbandonandosi alle sue cure tutte le tensioni si dissolsero come se quei pollici, distendendole, tendessero ad assottigliarle fino a farle sparire. - Potrei anche sposarti… - sussurrò Jane, che sgombera da qualsiasi pensiero, senza alcun freno inibitorio, riusciva adesso a connettersi con la parte più profonda di se. - Cosa? - replicò incredula Maura arrossendo, ed intanto il cuore le galoppava nel petto. Jane però restò in silenzio, assaporando pace e tranquillità; era calma, in pace col mondo; distesa… Almeno finché il cellulare inizio a vibrare continuamente, costringendola a ritornare alla realtà. Jane aprì gli occhi ed afferrò il telefono: - E’ Korsak. Ha parlato con la moglie di Smith… Dice che non ne ha denunciato la scomparsa perché aveva detto che sarebbe stato qualche giorno fuori città per lavoro… - - Non ho neppure finito di farti il massaggio che già parli di nuovo di lavoro? - le strizzò l’occhio Maura sorridendole. - Ah guarda: fosse stato per me avresti anche potuto continuare finché non ti si anchilosavano le dita, ma purtroppo il dovere ci chiama! - disse Jane. - Per caso ti ricordi cosa hai detto mentre ti massaggiavo? - domandò timidamente Maura, sperando in una risposta dell’altra. - Ho parlato? Non ricordo… - replicò invece la detective. - Lo immaginavo… - sussurrò con un pizzico di delusione la dottoressa, recuperando la sua borsa. - Allora ci vediamo più tardi? - chiese prima di andare. - Certo! Solita ora, solito posto! - le sorrise Jane, che rimase a fissare imbambolata il punto in cui fino a pochi istanti prima aveva sostato Maura, anche dopo che la porta si richiuse. Jane era seduta al tavolo del Dirty robber e aspettava di essere raggiunta dall’amica. I suoi pensieri, come al solito, non la lasciavano in pace: troppo chiassosi, frenetici, mutevoli… Non riusciva proprio a stargli dietro. Cercando di scacciarli dalla mente, la detective provò a distrarsi guardando al di fuori della vetrata attigua al tavolino, sperando che qualcosa potesse incuriosirla od attirare la sua attenzione, cosicché non fosse sempre costretta a pensare a Maura e alla sua personale incapacità di esternare in maniera univoca e diretta i suoi sentimenti. La sua idea di distrarsi però, fallì miseramente nel momento in cui vide Maura e il suo corteggiatore al di fuori del locale, che si salutavano molto affettuosamente prima di separarsi. Lo stesso impeto di rabbia, mista a gelosia di quella mattina, si impossessò nuovamente di lei: diede un pugno sul tavolo ed imprecò, quindi cercò di recuperare il suo autocontrollo, giusto nel momento in cui Maura si sedette di fronte a lei. - Ecco la tua birra! - disse sorridente l’altra, porgendole una bottiglia di “ nastro azzurro ”, la birra italiana che Jane preferiva. - Grazie… - si limitò a dirle la detective e tracannò avidamente in un sol sorso gran parte della birra. - Ehi, mica avevi sete? - scherzò la dottoressa sorseggiando la bevanda a sua volta. - Allora? Come va con lui? - parlò senza tanti giri di parole la mora. - Bene, bene! La conoscenza procede, stiamo facendo qualche progetto, magari nelle prossime festività andremo da qualche parte insieme… - rispose l’altra, anche se quella domanda a bruciapelo l’aveva un po’ spiazzata. - Bene, sono contenta… Ma è il caso che andiate via insieme? - - Jane, tu non sei contenta! Te lo si legge in faccia! - le rinfacciò la dottoressa. La detective la fissò dritta negli occhi, non batté ciglio, ne tantomeno cercò di difendersi dall’accusa. - Lascia che ti dica una cosa allora: è naturale che due persone che si frequentano prima o poi facciano viaggi insieme! - replicò Maura. - Non è la persona giusta per te… - concluse Jane. - E Casey è la persona giusta per te? - sbottò l’altra rivelando la sua gelosia nei riguardi del militare. - Mi spiace ma penso che Brooks sia centinaia di volte migliore di Casey come uomo! E’ presente, premuroso, affettuoso, ha voglia di esserci, di interessarsi a me, di fare progetti con me! Il tuo fantomatico fidanzato fa tutto questo!?! No! Perché pensa solo alla sua maledetta carriera! E’ talmente egoista da partire per l’Afganistan per dei mesi senza preoccuparsi di prendersi cura della donna che dice di amare! Solo ogni tanto ti fa sentire parte della sua vita e solo quando ne ha voglia ti manda quelle poche e scarne e-mail, ma pensi che questo alla lunga possa bastare a mandare avanti una relazione!?! - continuò Maura, rivelando per la prima volta apertamente, l’ostilità nei confronti di un uomo sul cui conto forse non aveva tutti i torti. Quelle parole colpirono profondamente e duramente Jane, che fece per controbattere, ma presa da un dubbio improvviso, si arrestò: e se il discorso che Maura aveva fatto per Casey valesse anche per lei? Se in un qualche modo stesse riferendosi anche a lei, alla sua mancanza di coraggio e al suo eccessivo attaccamento al lavoro che le impedivano di intrattenere relazioni stabili e durature? Che le impedivano di vedere le cose essenziali della vita? - E comunque ti ripeto che la mia è una frequentazione soltanto! Quindi non capisco perché ti agiti tanto!- concluse infastidita dalle paranoie della mora. - Io non dico che tu devi restare single a vita. Mi chiedo soltanto perché tra tutte le possibili frequentazioni che tu potessi avviare, dovevi considerare proprio Jonathan Brooks? - ribatté Jane. - E perché non dovrei? E’ un bell’uomo, intelligente, gentile, educato… Non mi sembrano mica requisiti da scartare! - - E’ un poliziotto! - - Oh, scusami, dimenticavo di star parlando con la grande chef di nouvelle cousine! - ironizzò Maura. - Prima di essere un poliziotto io sono la tua migliore amica! Tu sei parte della mia famiglia! Sei parte di… Nulla, lascia perdere!- si interruppe Jane. - Cos’hai contro John? Possibile che tu, la mia migliore amica, non sia felice per me? - - Maura sai bene che vederti felice è la sola cosa che chiedo alla vita, ma Brooks non è il tipo di persona che alla lunga può renderti felice! - - Dici sul serio o parli solo in preda alla gelosia? - - Gelosa? E di cosa? - arrossì violentemente Jane. - Davvero non capisco, allora! - rispose l’altra delusa e ferita. - Ascoltami bene, Maura! Sai benissimo che non mi sono mai intromessa nella tua vita e nelle tue decisioni; non ti ho mai imposto nulla, i miei consigli sono rimasti sempre e solo tali. Ti ho visto soffrire per la tua famiglia, poi per ogni volta che uno stronzo qualsiasi ti ha lasciata. Ho sempre fatto di tutto per tirarti su il morale e per starti accanto in quei momenti. Ma stavolta è diverso! Se pensi che il tuo benessere non mi stia a cuore soltanto perché ti sto sconsigliando una relazione, sbagli di grosso! Anziché criticarmi, perché non inizi a porti anche tu qualche domanda su chi sia realmente quest’uomo? - - Dimmelo tu, che sai sempre tutto! Che cos’ha di sbagliato? - - E’ un meschino opportunista ed ipocrita. Un uomo senza scrupoli, un calcolatore, un manipolatore ed inoltre un poliziotto dalla dubbia integrità morale! - - Questo è ciò che dici! - - Questo è ciò che è! Ti rendi conto che in questo momento tu non ti stai fidando di me? - disse offesa Jane. - Non si tratta di mancanza di fiducia! Dico solo che il tuo odio è incomprensibile! - - Incomprensibile? Oh certo, in fondo ha solo tentato di farmi fuori perché gli ero passata avanti in graduatoria durante il concorso per diventare detective capo della omicidi qui a Boston… Ma cosa vuoi che sia! - ironizzò la mora. - Lo dicono tutti che è stato solo un incidente! Ho controllato personalmente quei fascicoli e perfino Korsak è tranquillo! - disse Maura, dandole ad intendere che non era una sprovveduta e che aveva preso informazioni sul tizio prima di frequentarlo. Quindi tagliò corto: - Comunque ho deciso che continuerò questa frequentazione! Con o senza il tuo benestare! - - La vita è tua, Maura. Io ho fatto ciò che sentivo di dover fare. Spero soltanto, come dici tu, di starmi sbagliando sul suo conto! - - Secondo me stai esagerando! Hai lavorato tanto in questo periodo, vedi morti, cospirazioni e scene del crimine ovunque! Consiglio anche a te un viaggio nelle festività! - la provocò la dottoressa. - Va bene Maura. Da oggi questa faccenda non è più affare mio! - disse furiosa Jane. - Perfetto! - rispose seccata l’altra, alzandosi e lanciando i soldi della consumazione sul tavolo, sotto uno sguardo perplesso della mora. - Bevi alla mia: stasera offro io! - disse e se ne andò.

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 4 - TUTTI I NODI VENGONO AL PETTINE parte 2 ***


Un rumore di passi lento e cadenzato interrompeva il silenzio surreale che regnava nel corridoio che conduceva alla stanza degli interrogatori. La luce in quel posto era più soffusa, e perfino i poliziotti di piantone, avevano facce così cupe da mimetizzarsi con le pareti circostanti. Jane avanzava lentamente, riordinando i pensieri per cercare di fare domande specifiche e mirate alla sospettata, al fine di concludere l’indagine. Gli elementi indiziari che avevano a disposizione erano ancora pochi, ma era certa che se avesse saputo toccare “ i tasti giusti ” con la Grandant, sarebbe riuscita a fare un enorme passo avanti. Indugiò qualche istante presso la vetrata che consentiva dall’esterno di assistere all’interrogatorio, e poté scorgere all’interno della stanza, una ragazza non molto alta, con capelli biondo cenere mossi. La detective sussultò: ad una primissima occhiata la sospettata somigliava vagamente a Maura, ed improvvisamente riaffiorarono in lei ricordi fastidiosi e dolorosi del litigio che avevano avuto. Jane si stropicciò gli occhi cercando di stroncare sul nascere pensieri che distogliessero la sua attenzione dal lavoro; non era quello il posto, e soprattutto non era quello il momento per elucubrare su vicende personali. Gettò quindi un’altra occhiata alla ragazza che era seduta compostamente di fronte a Korsak, ma i lineamenti del volto tirati, uniti al mordersi nervosamente il labbro, tradivano la sua ansia e la sua paura. Jane dedusse che con molta probabilità era la prima volta che si trovava in un commissariato in quanto sospettata, e che certamente non era affatto preparata a tutto quello che la attendeva, e non poté fare a meno di intenerirsi per lei. Si sorprese allora a sorridere ironica: stava abbandonandosi ancora una volta a considerazioni di natura personale, proprio mentre stava per cominciare un interrogatorio, perciò non contava quanto la intenerisse quella ragazza, in fondo poteva pur sempre essere un’assassina e lei, era lì per fare il suo dovere, non per compatirla. Molto più che di una persona che avesse pietà di lei si augurò che avesse un legale che sapesse difenderla bene. Entrò dunque nella stanza, fissando fin da subito con sguardo deciso la giovane. - Lei è la detective Rizzoli! - la introdusse Korsak e Jane salutò con un cenno di capo. - Allora, Sophie: posso chiederle innanzitutto di copiare a mano questo piccolo testo sul foglio? - iniziò la detective, ponendole dinnanzi una penna, un foglio bianco ed uno stampato. La ragazza obbedì senza indugio. - Lei lavora alle acciaierie Fayenord, giusto? - chiese in seguito. - Si… - - Di che tipo di lavoro si occupa? Quali sono le sue mansioni? - - Sono una segretaria, ma gestisco anche un piccolo archivio contabile… - rispose la ragazza tenendosi sul vago. - Conosce Donald Smith? - chiese a quel punto Jane, e la ragazza impallidì: - S… Si…, è stato il tutore del mio master, ed ora è il mio ca… capo…. – biascicò la sospettata. Jane notò che la ragazza parlava del superiore come se fosse ancora vivo, come se non fosse a conoscenza della sua morte, ma qualcosa non la convinceva in quella storia. A cosa erano dovute quelle titubanze? Alla paura di essere stata scoperta o al fatto che davvero non sapesse della morte di Smith. Per fugare ogni dubbio allora, le mise dinnanzi due foto del morto ed aspettò di vedere la sua reazione. La ragazza diede un’occhiata veloce, e a Jane sembrò che stesse vedendo qualcosa di cui già era a conoscenza, poi però smentì: - Oh mio Dio! - disse, inorridita da ciò che le stavano proponendo. - Può dirci che tipo di rapporti intercorrevano tra lei e Donald Smith? - le chiese come di prassi la detective. - Oh, nessuno in particolare… Io ero la sua segretaria e lui il mio capo… - tergiversò la ragazza. - Forse non mi sono spiegata bene, le ripeto la domanda: che tipo di rapporti aveva con Donald Smith? - insisté autoritaria Jane. - Era il mio capo. Uno stimato professionista e io gli ero molto riconoscente perché subito dopo la laurea mi aveva introdotto nella società con un master, alla fine del quale ho potuto restare ed avviare la mia carriera… Mi ha insegnato tante cose e… - - Ascolti Sophie, non siamo interessati a questo. Ci sta dando tante informazioni inutili. Vorrei farle presente che è qui perché al momento è l’unica sospettata per l’omicidio di Smith. Di conseguenza, se posso permettermi di darle un consiglio, visto che è una situazione molto complicata, le suggerisco di collaborare… - la interruppe Jane, sperando di incuterle un po’ di timore che la spingesse a scoprirsi, ma l’altra si eclissò dietro un ostinato silenzio. - Va bene: noi sappiamo per certo che era presente quando è avvenuta la morte di Smith. Ce lo hanno confermato le telecamere di sicurezza: siete entrati insieme nell’archivio alle 03.45 circa, ma ne usciva da sola 05.15. La morte di Smith è stata stimata attorno a quell’ora. E se questo non le bastasse, abbiamo rinvenuto sul cadavere tracce del suo DNA…. - disse la detective, elencandole una ad una le prove contro di lei; prese poi il foglio scritto in precedenza dalla sospettata e lo confrontò col brandello di carta repertato da Maura, quindi continuò: - E adesso, ad un primo confronto, la sua grafia sembra identica a quella su questo pezzo di carta! Sa dov’era? O non ci vuole dire neppure questo? Non c’è problema, glielo dico io: era nella trachea della vittima! - - Si vuole decidere a dirci la verità, o preferisce continuare a giocare al gatto e al topo? E’ soltanto questione di tempo.. Tutto verrà a galla! E se non collabora verrà accusata di omicidio di primo grado! Le daranno l’ergastolo! - rincarò la dose Korsak. Tutta la pressione psicologica esercitata dai due poliziotti ebbe, come da loro sperato, un effetto devastante sulla ragazza i cui occhi si riempirono in fretta di lacrime. Scosse ripetutamente la testa prendendo consapevolezza che era finita in un mare di guai, ma respirò profondamente, poi con un filo di voce si rivolse a Jane: - Posso parlare da sola con lei? - intuendo la delicatezza della situazione i detective si fecero un cenno di intesa e Korsak si accomodò fuori, dall’altra parte del vetro. - Dunque? - le chiesa risoluta la detective. - Ecco, vede…. Io e il signor Smith eravamo… eravamo amanti. Abbiamo tenuto il nostro amore segreto per anni, però io non ce la facevo più ad andare avanti così… Mi aveva promesso che avrebbe lasciato la moglie per me, perché mi amava, ma non lo faceva mai. Trovava sempre scuse, giustificazioni o problemi che gli impedivano di compiere quel passo. Io non volevo essere l’amante di Donald, la donna di seconda scelta; volevo essere la sua prima scelta. E non mi accontentavo più di una semplice notte d’amore o di un week-end rubato alla sua famiglia. Ma lui non capiva, o non voleva che io fossi tutto ciò. Quindi dopo l’ultima ridicola scusa che mi rifilò, per prendere ancora tempo ed evitare di parlare con Caroline, mi infuriai… - - E così gli ha teso una trappola e lo ha ucciso! - saltò alla conclusione Jane. - No! Ma che dice! Io avevo scritto una lettera alla moglie per metterla al corrente della verità… - disse indicando il brandello imbustato, quindi continuò: - Volevo spedirgliela, ma decisi di aspettare perché Donald mi convinse a fare pace. Amavo follemente quell’uomo, ero capace di credere a qualsiasi bugia mi raccontasse… Se mi avesse detto che era stato su Marte a giocare a golf, per quanto assurdo potesse essere, giuro che ci avrei creduto… Quella sera voleva farsi perdonare portandomi a cena, ed io accettai. Fu una serata tranquilla, piacevole, una di quelle che mi confermò perché avessi scelto di amare un uomo complicato, con migliaia di scuse sempre pronte, ma comunque un uomo brillante, gentile, ed anche molto galante quando voleva. Lui mi diede un anello e mi disse che si impegnava davvero a parlare con la moglie per lasciarla. Dopodiché avrebbe divorziato e nel giro di un paio d’anni avremmo anche potuto sposarci… Dopo cena decidemmo di passare il resto del tempo in intimità e siccome non vi era altro posto dove appartarci, se non gli uffici da noi ben conosciuti della Fayenord, ci dirigemmo lì, certi che saremmo stati al riparo da occhi indiscreti… - - Un po’ ingenuo da parte vostra, visto che esistono le videocamere del sistema di sorveglianza! - commentò la detective. - Per una persona che vuole uscire allo scoperto una ripresa non è certamente un danno; per Donald che progettava sempre minuziosamente tutto, facendo in modo che la sua vita parallela non venisse scoperta, per lui si che era un problema, ma era troppo ubriaco per rendersi conto di essere ripreso, in quel momento… - replicò con acume la ragazza. Colpita soprattutto dall’ultima affermazione, Jane iniziò a prendere in considerazione che l’assassina non poteva essere lei, in quanto Sophie, non aveva nulla da nascondere perché sapeva benissimo di essere ripresa. Era pur vero che ciò che era accaduto in quella stanza non era supportato da registrazione alcuna, e che alcune prove al momento, non trovavano riscontro nella sua versione dei fatti, ma contava che la ragazza, pur di non beccarsi un ergastolo avrebbe collaborato dicendo tutta la verità; la esortò dunque a continuare. - Erano le 03.45 quando arrivammo ed entrammo nella prima stanza che ci capitò a tiro. Lui mi mise a sedere sul tavolo e iniziammo i preliminari per fare l’amore… Mi baciava, mi accarezzava, mi spogliava… Ma ad un certo punto mi chiese una cosa strana, una cosa che lui considerava importante e che vedeva come il giusto coronamento per la serata che avevamo trascorso… Voleva fare una cosa un po’ spinta… Insomma… ehm.. voleva un rapporto sadomaso in cui lui fosse il passivo, il sottomesso. Diceva che era una fantasia erotica che lo ossessionava da anni… Si fece legare mani e piedi alla sedia e voleva che io alternassi il sesso a delle percosse. Un po’ riluttante presi il cavo di un computer dismesso e iniziai a frustarlo con quello, mentre lui si sbottonava la camicia e mi pregava di fargli più male. Lo picchiai, lo graffiai, ma non si appagava mai. Quella situazione iniziava a non piacermi… io volevo farci l’amore, non uno squallido gioco erotico che non sapevo neppure a cosa serviva, e mi piacque ancora meno quando mi chiese di strappare quella lettera e di fargliela ingoiare. Io obbedii… Obbedii a tutto. E ancora adesso mi chiedo chi dei due fosse realmente il sottomesso… - la ragazza scoppiò in un pianto a dirotto; Jane poté soltanto passarle qualche fazzoletto. Attese che si calmasse, quindi le chiese: - Poi cosa è successo? - - Non so se per colpa del pezzo di carta cacciato in gola o se perché fosse ubriaco fradicio, ma ad un certo punto ha cominciato a sentirsi male: vomitava, respirava affannosamente e aveva aritmia cardiaca. Mi spaventai, quindi gli dissi che era il caso di smetterla con quello stupido gioco, ma lui insisteva. Io però lo slegai e mi offrii di riaccompagnarlo a casa, o in un hotel, visto che aveva detto alla famiglia di essere fuori per lavoro. Lui però iniziò a molestarmi e più lo respingevo, più lui si adirava, tanto da lanciarmi un fermacarte che mancandomi, si andò a schiantare contro il vetro della finestra frantumandolo. Quando mi intrappolò in un angolo tra la scaffalatura e la finestra, mi sembrò un incubo. Voleva aggredirmi, stuprarmi, così in un tentativo estremo di liberarmi di lui, lo spintonai per allontanarlo, ma i suoi riflessi erano troppo poco lucidi, e perdendo l’equilibrio cadde dalla bassissima ringhiera della finestra aperta…. - concluse la ragazza, nascondendo il volto tra le mani in preda alla vergogna per ciò che stava raccontando, ma anche dalla disperazione per non aveva fatto nulla per salvarlo. - E’ stato un incidente! Sono scappata perché ero spaventata ed ho taciuto perché non volevo che la mia famiglia, che ha sempre fatto tanti sacrifici per me, si vergognasse di ciò che ero diventata da quando frequentavo quell’uomo: una profittatrice, una rovina famiglie, una cretina che ha creduto alle parole di un bugiardo, una larva che non ha avuto amore, ne rispetto per se stessa che gli ha permesso di fare così tanto male… Se mi trovo qui oggi, a fare i conti con la mia vergogna, con il mio sentirmi un essere immondo, è soltanto per causa sua. Avrei dato la vita per lui, ma non immaginavo che una persona che diceva di amarmi si prendesse da me una cosa molto più importante della vita: la mia dignità. Come farò a guardare negli occhi la mia famiglia quando uscirò da qui? - Jane ascoltò sconvolta quella terribile storia: quanto fragile ed allo stesso tempo mostruosa poteva essere la psiche umana. Un uomo tranquillo, un onesto padre di famiglia, uno stimato lavoratore che all’occorrenza si trasformava in un vizioso pervertito che giocava con i sentimenti e con le vite altrui. Cosa mancava a quell’uomo? Aveva una moglie e dei figli che stravedevano per lui, un lavoro appagante, una carriera in ascesa, aveva avuto perfino la fortuna di essere amato sinceramente e devotamente una seconda volta… Allora che senso aveva tutto ciò? Se finora Smith era stato considerato la vittima, Jane si dovette ricredere: la vera vittima era lì davanti a lei, era Sophie; le vere vittime erano la moglie Caroline e i suoi figli, che aspettavano ignari il marito ed il padre che tornasse dai suoi viaggi di lavoro. E chinò affranta il capo, quel giorno la giustizia aveva vinto, ma l’umanità con tutti i suoi più grandi valori, avevano subito una grande sconfitta. Desiderosa di uscire quanto prima da lì, si alzò dalla sedia; solo allora rientrò Korsak per prelevare Sophie che piangeva a dirotto. Jane le poggiò una mano sulla spalla: - Nella vita si sbaglia Sophie. L’importante però è che dai nostri sbagli impariamo la lezione. Gli sbagli ci educano, ci forgiano, ci rendono persone migliori. Quando uscirai da qui non aver paura di guardare la tua famiglia negli occhi perché ci vuole tanto coraggio per fare ciò che hai fatto tu oggi… - le disse confortandola. La detective, provata dall’interrogatorio, si diresse immediatamente verso l’ufficio di Maura nella speranza che non fosse più arrabbiata con lei. Aveva bisogno di vedere i suoi occhi, di parlarle; aveva bisogno attraverso la persona di Maura di credere di nuovo nei buoni sentimenti, ai valori come l’amicizia, l’amore. Poteva proporle di bere qualcosa insieme, o una serata vecchi tempi con un film ed un soffice plaid. Avrebbe potuto proporle tante cose, ma le luci spente e la veneziana abbassata sulla piccola vetrata del suo ufficio, la distolsero da tutti quei propositi: Maura era già andata via. La televisione trasmetteva la partita di baseball dei Red Sox, la squadra del cuore di Jane, tuttavia la donna, dopo una giornata così pesante, non era dell’umore adatto per tifare. Sul tavolino dinnanzi a lei vi era una birra gelata, una ciotola piena di patatine e la sua pizza preferita, ma non toccò cibo; aveva lo stomaco chiuso. Angela che stava rassettando la cucina, di tanto in tanto gettava un’occhiata preoccupata verso la figlia che, seduta sul divano, aveva un’aria apatica e indifferente. Il suo cuore di madre non riusciva a tollerare che la figlia fosse in quello stato, avrebbe voluto fare qualcosa per lei, se solo avesse saputo cosa le stesse passando esattamente per la testa; ma qualsiasi cosa le stesse passando, sicuramente c’entrava Maura, perché solo quando litigava con lei era in grado di deprimersi così tanto. Sperando di non essere mandata al diavolo, dato il carattere irascibile della figlia, soprattutto con lei, decise di portarle una coppa di gelato, confidando che avrebbe gradito almeno quello. - Allora, mi dici cosa c’è? - le chiese con dolcezza appena le fu vicino. - Mà, togliti dalla tv, adesso batte Ortiz… - le disse apatica Jane, spostandosi leggermente per scansare la donna piantatasi davanti alla tv. - Perché devi essere sempre così antipatica nei miei riguardi? - sbottò la madre, ma non ebbe risposta. - Jane Clementine Rizzoli! Sto parlando con te! - le si rivolse con piglio autoritario la madre. Per tutta risposta Jane sbuffò e spense la tv. - Jane! Sei sicura di star bene? Non hai mai rinunciato a vedere una partita dei Red Sox in vita tua! - disse la madre accomodandosi sul divano, ancora più allarmata dal comportamento anomalo della figlia. Jane assaggio' un cucchiaio di gelato ma restò in silenzio. Fu nuovamente Angela a parlare, centrando, per altro, il cuore del problema: - Come mai non stai più andando da Maura la sera? - - Non mi piace essere invadente... Magari vuole i suoi spazi, avrà pur diritto di farsi la sua vita, no? Mica posso restare appesa alle sue sottane soltanto perché mi sento sola senza di lei!?! - le rispose la figlia, stando ben attenta a non far menzione del litigio aveva avuto con l’amica. - No, certo, comprendo il tuo discorso. Però mi pare di capire che a te non faccia particolarmente piacere questa nuova frequentazione di Maura, o sbaglio? - - Mà, non ne voglio parlare, e oltretutto non sono affari nostri! - replicò, ricordandosi che aveva promesso all’amica che non si sarebbe più impicciata degli affari suoi. - Maura è parte della nostra famiglia. Quando un membro della nostra famiglia ha un problema non solo se ne parla, ma si cerca anche di aiutarlo! - la rimproverò la donna. - Se sai già cosa penso perché me lo chiedi ancora? Per farmi arrabbiare? - rispose sgarbatamente la detective, ma guardando la madre negli occhi e leggendovi in essi tanta apprensione si ravvide: - Scusami… E’ che per la prima volta non capisco più cosa le stia passando per la testa… Non capisco più cosa vuole, non capisco neppure fino a dove ha intenzione di spingersi con Brooks… E si, non lo sopporto perché è soltanto un arrogante prepotente opportunista. Tutti dicono che col tempo può essere cambiato, ma sono solo io l’unica a vederlo come lo stronzo che è sempre stato? Magari parlo per antipatia personale, ma a pelle, c'è qualcosa che non mi convince… - - Solitamente il tuo intuito non sbaglia mai, Jane. Però magari stavolta sei un po’ troppo coinvolta e non sei proprio lucida ed obbiettiva... - - Lucida ed obbiettiva dici? Ti sbagli, lo sono eccome! - - E… - - Oh, andiamo mamma, sono un mostro! Qualunque persona gioirebbe del benessere della sua migliore amica, ma io no! Io no! - - Jane, probabilmente la tua infelicità scaturisce dalla mancata accettazione dei tuoi sentimenti per Maura. Ti sei mai soffermata a riflettere sulla reale natura del vostro rapporto? - - Oh certo! Siamo due persone che condividono molto in ogni giornata: siamo colleghe di lavoro, migliori amiche e abbiamo entrambe la stessa caotica famiglia! - disse Jane tentando di evitare di incappare in certi discorsi troppo intimi e personali con la madre. - Condivisione, eh? Non sapevo che adesso si chiamasse cosi'! - ironizzò infatti Angela. - Ad ogni modo non so che cos'è, ma c'è qualcosa che non mi quadra in questa faccenda . Ho delle strane e sgradevoli sensazioni a riguardo... - Il discorso fu pero' interrotto da un segnale sonoro proveniente dal cellulare di Angela che indicò lo scoccare della mezzanotte. - Io vado a dormire tesoro, domani devo alzarmi presto... - disse posando un bacio tra i capelli della figlia. - Notte, mà! - salutò e si coricò sprofondando sul divano, lasciando che la sua morbidezza e il suo calore portassero via la stanchezza, ma un pensiero la tormentava: era tutto diverso, molto più bello quando lo condivideva con Maura. Quando insieme, sotto al plaid chiacchieravano fino a notte fonda. Quando per stare bene, dopo una giornata di lavoro frenetico le bastava guardarla negli occhi. Quando l’angoscia per un caso si impossessava di lei e l’amica era lì, pronta ad aiutarla. Quando la sua storia con Casey naufragava e Maura era la spalla su cui piangere. - Quanto mi manchi... Darei la mia stessa vita per tornare a quel rapporto… - disse mentre le parole della madre rimbombavano continuamente nella sua testa: - Reale natura dei miei sentimenti? Questo significa che il feeling particolare che sento con Maura trapela anche all'esterno? - a causa di questi pensieri passò la notte insonne. La macchina si fermò proprio dinnanzi alla scalinata di ingresso dell'abitazione della dottoressa Isles. L'uomo scese e molto cavallerescamente aprì la portiera della sua donzella. - Grazie per stasera, è stato tutto bellissimo, spero che arrivi presto domani per poterti rivedere... - sussurrò Jonathan all'orecchio di Maura. - Grazie John, è stato bello anche per me... - rispose Maura dopo appena una fugace occhiata verso l'uomo, quindi con lo sguardo basso si avviò verso casa, scoraggiando ulteriori approcci da parte del corteggiatore. Aprendo la porta di casa salutò Jonathan con una mano. - Buonanotte - le disse l'altro , quindi mise in moto e ripartì. Maura accese la luce e si avvicinò alla finestra, scostò leggermente la tenda e guardò in direzione di casa di Jane, poco distante dalla sua; le luci erano spente, chissà la sua amica cosa stava facendo. Aveva una voglia matta di andare a bussare per chiacchierare con lei, ma desisté sia per l'ora tarda, sia perché sapeva che Jane ultimamente era diventata più suscettibile e che non le aveva piacere affrontare certi discorsi. Salì quindi in camera e si stese sul suo letto, che improvvisamente le sembrò enorme e freddo senza la sua amica, quindi di istinto prese il cuscino vuoto accanto a se, e lo abbracciò. Non aveva mai abbracciato Jane durante la notte ma solo ora si rese conto di quanto fosse sempre stata sconsiderata a non farlo. - Mi manchi Jane... Anche se ci vedremo domani a lavoro mi manchi... Mi manca non passare più la gran parte del mio tempo libero con te... C'è una parte di me che queste cose vorrebbe dirtele... E una parte di me che vorrebbe dirti anche molto altro... - chiuse gli occhi leggermente umidi di pianto e la stanchezza prese il sopravvento.

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Capitolo 7
*** CAPITOLO 5 - DOTTOR JAKYILL E MR. HYDE parte 1 ***


L’inconfondibile fragranza del pane tostato appena sfornato impregnava i locali della caffetteria del commissariato, punto di ritrovo mattutino dei dipendenti che iniziavano la loro giornata di lavoro e di quelli che, finito il proprio turno, bevevano un caffè prima di ritornare a casa. Jane era seduta da sola in un angolino, aveva una tazza di caffèlatte davanti ed una fetta di torta di mele che la madre l’ aveva praticamente obbligata a mangiare; solitamente avrebbe divorato la sua colazione, visto che la mattina si svegliava sempre famelica, ma non quella giornata; tutti quei pensieri contraddittori nella sua mente e la nottata trascorsa a fantasticare su lei e Maura, le avevano chiuso lo stomaco. Solo di tanto in tanto bagnava le labbra nella sua tazza di cappuccino. Maura arrivò proprio allora, si soffermò sull’uscio e si guardò intorno, con la speranza di intravedere la detective. Stava per demordere, quando in fondo al locale, in un cantuccio sulla sinistra, scorse l’altra; le si avvicinò dunque con passi veloci ed un sorriso larghissimo stampato sul volto: eccola finalmente, in tutta la sua bellezza, e poco importava che fosse imbronciata, la piega del viso che partiva dallo zigomo fino a lambire la bocca, precisa e marcata come una mezzaluna capovolta, era sempre stata una delle cose che la attraevano di più della mora. - Ciao, posso sedermi? - le disse, sinceramente emozionata nel rivederla. Jane acconsentì con un arido cenno di capo. - Ho saputo che hai risolto il caso! Sei stata bravissima! Ma… Toglimi una curiosità: ti sei sentita per un attimo catapultata nel film 50 sfumature di grigio? - le diede a parlare giocosa la dottoressa per rompere il ghiaccio, e prese un pezzetto della sua torta, come era sempre solita fare. - A volte la gente fa tante cose stupide semplicemente per il gusto di farle, senza pensare alle conseguenze che possono avere sugli altri… - fu il commento di Jane, che temendo di affrontare lo sguardo dell’altra, affondò il viso nella tazza di caffèlatte come diversivo. Più che una risposta pertinente alla sua domanda, quella risultò a Maura una frecciatina, ma non era sicura che fosse diretta a lei; magari Jane stava parlando di se stessa, o semplicemente si riferiva all’innocuo Donald Smith, che all’occorrenza si trasformò in uno squilibrato affetto da una grave patologia relazionale. Decise perciò di non raccogliere la provocazione; d’altronde non era certo lì per litigare, dopo la notte angosciosa trascorsa senza di lei. - Come stai? - le chiese allora, cambiando discorso. - Bene grazie. Tu? - parlò con freddezza la detective, avvicinandole il piattino con la torta, quindi continuò: - Finiscila pure… - Il distacco usato da Jane nel rapportarsi con lei, riuscì a scoraggiare tutte le intenzioni più positive di Maura, alla quale balenò un pensiero per la testa: possibile che fosse ancora arrabbiata con lei? In effetti forse, avrebbe dovuto scusarsi per averle buttato irrispettosamente i soldi sotto il naso al Dirty robber, dopotutto però, l’aveva fatta davvero infuriare. La dottoressa fece un respiro profondo, auspicandosi che il suo autocontrollo non l’abbandonasse; lungi dal giustificare la sua innata ostilità nei riguardi di Brooks, sapeva però che Jane era fatta così: irruenta, nevrotica, impulsiva ed estremamente protettiva nei riguardi delle persone a lei care, ma anche molto sensibile, fragile emotivamente e permalosa. Stando attenta dunque a non urtare la sua suscettibilità, si impose di mantenere la calma e continuò il discorso: - Dal tuo tono non si direbbe che stai bene! - - Cosa vuoi che ti dica: mi ci abituerò a vedere la sedia vuota di fronte a me, ad andare a correre da sola la mattina, a rincasare e non trovarti in cucina alle prese con le tue strane ricette, a non venire a prendere un bicchiere di vino da te, a non festeggiare la chiusura di un indagine insieme con una birra… - arrivò subito alla questione la mora, alla quale non erano mai piaciuti inutili giri di parole. - Jane, ma cosa dici! Io sono qua! - - Sei qua? Ti sei resa conto che ormai ci vediamo solo sulla scena del crimine e in laboratorio quando mi aggiorni sugli esami autoptici? Hai realizzato che ormai stiamo portando avanti un mero rapporto lavorativo? - sbottò la detective. Maura riuscì finalmente a fissarla negli occhi per un attimo, erano lucidi e velati da una profonda tristezza: le si strinse il cuore; avrebbe voluto controbattere, dire qualcosa che riuscisse a scuoterla, che le permettesse di capire cosa realmente le passasse per la testa, ma riuscì solo a bisbigliare: - Jane io… - prima di essere interrotta dall’altra: - Tranquilla Maura, lo capisco. Capisco il tuo desiderio di avere qualcuno accanto che ti ami e che ti dia certezze nella vita. Dio solo sa quanto te lo meriti! Ma non pensavo che ti allontanassi così tanto! - - Oh Jane, ma il nostro rapporto non cambierà mai! Anzi io… - tentò di giustificarsi l’altra. - Sta già cambiando Maura, non te ne accorgi? - replicò Jane, con un tono rabbioso misto a rammarico e delusione, quindi con occhi bassi si alzò dal tavolo e fece per andare via. - Jane! Jane! Io intendevo dire… - Nonostante Maura provò più volte a richiamare la sua attenzione, fu tutto inutile, la detective scomparve presto dalla sua visuale, lasciandola sola con una terribile angoscia nel cuore. Angela che quella mattina non era particolarmente oberata di lavoro, osservò da lontano la scena, quindi col pretesto di servire a Maura il suo caffè al ginseng, dedicò qualche minuto alla sconsolata dottoressa, che fissava ancora attonita, la porta da cui Jane era uscita. - Hai discusso con Jane, vero? - le disse la donna in tono materno, cingendole le spalle prima di sedersi di fronte a lei. Maura annuì con gli occhi lucidi. - Mia figlia è una testona! Ma aspetta che la riveda stasera a casa e… - - No Angela, ha ragione… Mi sto comportando male con lei ultimamente. Mi sono lasciata prendere dalla frenesia di questa nuova frequentazione aspettandomi chissà che cosa… Invece più mi addentro un questo rapporto, più realizzo che tutto ciò che ho sempre voluto, è proprio lì a portata di mano, sotto i miei occhi che finora sono stati ciechi… - parlò analizzandosi la dottoressa. - A volte bisogna smarrire se stessi per capire quale sia la strada più giusta per noi. Io lo vedo che Jane ci tiene davvero a te… Non so quale sia la vera natura del vostro rapporto, e sinceramente neppure mi interessa, ma vi state facendo del male, Maura… Sia tu che lei sapete in cuor vostro che nessun Casey e nessun Jonathan potranno mai farvi smettere di provare ciò che sentite l’una per l’altra… - tentò di aprirle gli occhi Angela. - Ma sarebbe un rapporto… Un rapporto… Oh cielo, non so neppure come definirlo! - - Sarebbe un normalissimo rapporto tra due persone che si amano! Ne più ne meno di così! E visto che te lo leggo negli occhi: no! Non mi fa strano! A me importa solo di vedervi felici! E se la vostra felicità è insieme, non posso che gioirne! Lei è mia figlia, ma considero anche te una figlia; sai quanto ami ciascuna di voi… Una madre vuole sempre il meglio per i propri figli… - le parlò materna Angela, prendendole le mani tra le sue. Vinto l’iniziale imbarazzo dovuto al delicatissimo contenuto di quel discorso, Maura si lasciò andare ad un sorriso: - Ed io considero te una madre… - disse. Con ritrovato ottimismo quindi, finì la torta e si congedò dalla sua interlocutrice: - Adesso scappo… - e fece per andarsene, ma tornando sui suoi passi si riavvicinò alla donna, le posò un bacio sulla guancia, quindi continuò: - Grazie Angela; qualsiasi sia la decisione che devo prendere, terrò bene a mente le tue parole! Ti voglio bene! - Quella sera Jane si attardò in ufficio; sapeva che sua madre le aveva viste discutere, e dunque non aveva voglia di tornare a casa per essere messa sotto torchio dalla sua invadente genitrice. Quanto a Maura… beh, avrebbe sicuramente avuto da fare altro, visti l’impegno e le energie che stava profondendo per la sua nuova frequentazione. Tanto valeva allora, portarsi un po’ avanti col lavoro; il caso dell’acciaieria era chiuso, è vero, ma restava sempre quello più raccapricciante delle violazioni di domicilio dell'appartamento della sua migliore amica, anche se, a dire il vero, da quando Frankie aveva iniziato a sorvegliare casa di Maura, nessuno stalker si era più fatto vivo, ed anche il pericolo sembrava rientrato. Non essendoci più una minaccia reale per l’incolumità della dottoressa, la stessa detective aveva firmato gli incartamenti per prosciogliere Maura dall’obbligo della scorta. Sapeva di fare cosa gradita all’altra, che più volte aveva manifestato insofferenza nei riguardi di quella contingenza. Però c’era qualcosa in tutta quella vicenda che non le tornava: uno stalker, se veramente tale, non rinuncia mai alla sua vittima con tanta facilità; non sarebbe di certo stata la polizia a scoraggiarlo, ma era davvero strano che nessuno più si fosse introdotto nel cuore della notte in quella casa. Cosa poteva volere questo fantomatico persecutore da Maura, allora? Ma soprattutto: chi poteva essere? Erano questi i punti di partenza delle considerazioni d Jane, che seduta sulla sua sedia girevole, con una penna a scatto in mano, faceva il punto della situazione: - Finora il principale, nonché unico indiziato per questo caso, è sempre stato Tim Wright, che nutrendo una profonda, quasi morbosa ammirazione nei riguardi della persona di Maura, rispecchia il profilo ideale dello stalker. Ciò mi ha portato a credere che il misterioso stalker fosse proprio lui... - rifletteva ad alta voce, come per conciliare una concentrazione che stentava ad arrivare. - Da casa di Maura non è mai scomparso nulla però... Non sono scomparsi vestiti o biancheria intima, perché evidentemente lo stalker non ha mire sessuali su Maura; oltretutto ha avuto più di una possibilità di stare solo in casa con lei, ma non ha mai approfittato. Non penso si tratti di qualche spia mandata a rubarle il lavoro, perché altrimenti avrebbe preso computer, tablet, ed ogni sorta di materiale dove si archiviano informazioni. Non credo neppure sia un semplice scherzo da parte di qualche buontempone, perché qualsiasi persona dotata di un minimo di buon senso non infrangerebbe mai la legge in un modo così assurdo… Se lo stalker fosse realmente Tim, a cosa potrebbe essere interessato? No, è inutile, la pista di Tim è fuorviante: non dimostra un attaccamento ossessivo compulsivo nei riguardi Maura... Certo è un lumacone smielato e patetico, ma non psicopatico. Senza contare poi che Frankie, che si è appostato per diverse notti sotto casa di Maura, non ha notato niente di sospetto. E l'agente Cohen, mandato a pedinare gli spostamenti di Wright, non ha mai visto quest'ultimo allontanarsi dalla sua abitazione in piena notte e dirigersi anche solo nei pressi dell'abitazione di Maura. Wright è molto intelligente, è vero, e a dispetto di quel suo buffo aspetto si è rivelato una persona che sa il fatto suo, ma probabilmente non è lui l'uomo che importuna Maura… - congetturò sgranocchiando dei biscotti. Demotivata ed anche poco concentrata, accese quindi il computer e cercò nel database dei dipendenti del commissariato il profilo di Maura, senza alcuna ragione precisa, soltanto per vederne la foto e sentirla in un qualche modo più vicina. Le mancavano molto quegli occhi, quella complicità, il calore umano che trasmettevano i suoi abbracci, e cosa assurda, perfino le sue spiegazioni strettamente scientifiche che non le facevano capire nulla o quasi, di quello che la dottoressa diceva. In soli pochi mesi Maura le mancava più di quanto non le fosse mai mancato Casey in anni, eppure lei era molto innamorata dell’uomo. Ma il pensiero che qualcuno potesse portarla per sempre via da lei, adesso la faceva impazzire. La tremenda sensazione di aver aspettato troppo tempo, di aver sbagliato a recitare sempre e solo la parte della buona e fedele amica, anziché rivelarle degli sconvolgimenti emotivi che le creava, la tormentava, provocandole un desolante senso di fallimento. Ma a cosa era dovuto tutto questo malessere? Era giusto che Maura si stesse facendo la sua vita senza di lei, o era giusto che fosse lei parte integrante della vita dell’amica? Un nodo in gola, misto alle farfalle nello stomaco la pervadeva ogni qualvolta pensava alla sua amica; anche in quel momento Jane sorrise guardando la foto sorridente di Maura, quasi come a cercare con il monitor la stessa complicità che aveva con l'altra. Per la prima volta un pensiero si fece nettamente strada in lei: - " Non posso più definirti una semplice amicizia, Maura... Ma ho paura di dirti ciò che sento, perche ho paura dei cambiamenti che potrebbe subire il nostro rapporto, già provato dall'arrivo nella tua vita di Jonathan... " - allontanò infastidita il sacchetto di biscotti dalla sua vista, perché improvvisamente il pensiero di quel viscido individuo, le prese lo stomaco, e quasi in stato di trance si alzò dalla sedia, uscì dal suo ufficio ed entrò in quello del collega accanto al suo. A causa della penombra fece un po’ di fatica ad arrivare alla postazione, ma appena vi riuscì, accese il computer, e mentre aspettava che si avviasse, tentò anche di scassinare i cassetti della scrivania. Non sapeva esattamente cosa stesse cercando, qualsiasi cosa andava bene, purché la trovasse, ma doveva stare molto attenta a non fare eccessivamente rumore. Era sicuramente consapevole infatti, che stava facendo una cosa pericolosa, oltre che illegale, la violazione degli atti di ufficio, e di documenti coperti da segreto professionale era punibile con l’allontanamento definitivo dal posto di lavoro, e costituivano reato penale, per il quale era prevista la pena detentiva. Eppure qualcosa dentro di lei la spingeva a farlo: se serviva a tutelare Maura avrebbe scontato anche dieci ergastoli. Avviò dunque una ricerca tra i file di quel computer, anche se non era certamente brava e capace come il suo partner: - Se ci fosse Frost impiegherebbe la metà della metà del tempo che impiego io! - constatò infatti, ridendo di se stessa e della sua idiosincrasia con l’informatica, ma a poco a poco spulciò meticolosamente tutte le informazioni che il database della polizia le offriva su Brooks; in seguito fece una scansione dei file presenti sul computer dell’uomo ma nulla, tutto era perfettamente in regola. Restava da guardare il contenuto dei cassetti, quindi senza perdere tempo li svuotò. Alcuni contenevano oggetti inusuali, ma innocui; accanto al classico materiale di cancelleria, e ai fogli di moduli prestampati, vi era infatti una palla da baseball, un mazzo di chiavi, una foto di una donna con il vetro della cornice crepato, un paio di pacchetti di crackers, una bottiglietta di profumo, ed alcuni contraccettivi che Jane sperò vivamente non usasse per rapporti sessuali con Maura. Si era quasi convinta che fosse pulito e tornò a sentirsi in colpa perché disprezzava ciò che all'apparenza faceva stare bene la dottoressa. Improvvisamente però, le capitò tra le mani una cartellina gialla che destò subito la sua curiosità: “ Vegeance “, c’era scritto sopra. La aprì dunque e vi trovò dei documenti del concorso di dieci anni prima, quello vinto da lei, con relativi, risultati delle graduatorie e alcune brevi lettere nelle quali reclamava il posto di detective capo della omicidi di Boston con un superiore, arrivando addirittura a minacciarlo e ricattarlo. Trovò alcune schedine delle corse dei cavalli, ed infine un mazzetto di ritagli di giornale che riguardavano lei. Un brivido le corse lungo la schiena: - Ma cosa diavolo è questa roba! - disse allarmata, quindi provò ad entrare nei file di sistema del computer dove vi trovò un altro file denominato “ Vegeance “ e capì che tra le due cose doveva assolutamente esserci una corrispondenza; il fatto che la cartella fosse stata secretata la insospettì parecchio. Con tenacia e perseveranza, noncurante dei passi dei poliziotti di ronda che controllavano i corridoi, inserì dunque varie ed improbabili password per tentare di aprirla, ma nulla: il contenuto di quei file sembrava essere destinato a restare segreto. Stava quasi per demordere, ma ancora una volta la sua attenzione fu calamitata dai ritagli di giornale, finché in un lampo di follia, non tentò un’ultima volta, inserendo la più improbabile delle password: Jane Rizzoli. Improvvisamente le si aprì la schermata di accesso alle informazioni riservate: ce l’aveva fatta, doveva solo visionarli adesso. Grazie alle informazioni reperite, riuscì a riformulare una nuova teoria indiziaria del caso, alla fine la sua tenacia e la sua volontà di proteggere Maura furono premiate, ma quando finalmente ebbe dinnanzi il quadro completo della situazione, restò pietrificata dall’orrore. Balzò giù dalla sedia e corse verso il laboratorio. Dalla vetrata poté scorgere Tim, chino su un microscopio, intento nell'osservazione di alcuni campioni; poco più in là Susie stava asciugando e sistemando delle beute prima di andare via. Entrò concitata e senza neppure salutare, e andando subito al sodo chiese: - Dov'è Maura? - - E' uscita poco fa con quel bellimbusto! - rispose Tim amareggiato, e subito risultò evidente che Brooks non andava a genio neppure a lui. - Poco fa quanto? - insisté Jane con apprensione. - Una ventina di minuti fa... - intervenne Susie. - Che succede detective Rizzoli? - chiese Tim preoccupato dall'improvviso pallore sul volto di Jane, la quale si tenne stretta allo stipite della porta a causa di un mancamento. - Detective, si sente bene? - le andò incontro Susie, nel tentativo di aiutarla. Ma Jane si precipitò fuori dal commissariato, di corsa verso la sua auto, pistola nella cintola e telefono in mano. Compose il numero salendo svelta in macchina e attese invano una risposta di Maura. Riprovò ancora e ancora e ancora, ma niente. Batté i pugni sul volante in un attimo di sconforto, dopodiché riprese il telefono e compose il numero di Korsak: - Pronto Korsak, non c'è tempo per le spiegazioni! Sto andando a casa di Maura. Porta i rinforzi! - disse tutto d’un fiato e riagganciò, partendo in sgommata ed accelerando più che poteva.

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Capitolo 8
*** CAPITOLO 5 - DOTTOR JAKYLL E MR. HYDE parte 2 ***


Era la prima volta dopo tre mesi di frequentazione che Maura consentiva al suo corteggiatore di fermarsi da lei, ma lungi dall’alimentare le sue false speranze, doveva parlargli di una questione molto delicata, che certamente avrebbe lasciato prendere una piega diversa al loro rapporto. Forse era incauto da parte sua lasciare che un estraneo entrasse in casa, soprattutto alla luce dei fatti successi, e realizzò che se ci fosse stata Jane in quel momento, sicuramente non avrebbe approvato, ma il rimorso per l’immediata rottura con l’uomo era troppo forte da sopportare per una persona gentile e sensibile come lei; sperò quindi che l’offerta di un buon bicchiere di vino, le potesse facilitare il gravoso compito. Jonathan dal suo canto, da gentiluomo quale si era dimostrato fino ad allora, lasciò accomodare la dottoressa e si occupò personalmente di prendere il vino, dalla riserva, aprirlo per lasciarlo respirare e versarlo infine in due calici, presi appositamente dal mobile in cucina: - Un bel bicchiere di Bordeaux è quello che ci vuole per festeggiare, in questi casi! - disse l’uomo, che continuò: - Certo, non valeva la pena aprire quella bottiglia di Chateau Lafite che tieni gelosamente custodita in cantina… Ma ti capisco: è un pezzo da collezione, costa un occhio della testa e tu, insieme a Malcom Forbes, sei tra i pochi fortunatissimi possessori di un cimelio di così grande valore! - Maura sorrise, piacevolmente colpita nel constatare la profonda conoscenza che l’uomo aveva nell’ambito dei vini; ma ancor più dal fatto che conoscesse persino la collocazione dei suoi oggetti in casa, senza che ci fosse bisogno che glieli indicasse. Ci erano voluti mesi per far si che Jane imparasse anche solo in quale scompartimento del frigorifero sistemare le birre, e lui invece si muoveva con disinvoltura, da perfetto padrone di casa, come se conoscesse già tutto di lei. Per un solo breve momento si immaginò la sua vita accanto a lui, trovandola estremamente semplice, ordinata, piacevole e non poté fare a meno di paragonare quel tipo di vita, alla vita che invece già conduceva con Jane: frenetica, dinamica, dura ma soddisfacente, pericolosa ma divertente e soprattutto mai noiosa. La vita con Jane la faceva sentire davvero viva, libera di essere se stessa al di fuori delle costrizioni e degli imbrigliamenti sociali; e poi era di Jane che si stava parlando, della persona per cui batteva il suo cuore. Alla luce di quelle considerazioni si rese subito conto che non c’era paragone che tenesse: centinaia di migliaia di volte meglio la sua Jane, che un damerino educato e talvolta fin troppo formale da risultare addirittura monotono. Ed in fin dei conti, neppure le importava più che Jane sapesse o meno sistemare le birre in frigo, perché era comunque bello battibeccare con lei per poi fare la pace subito dopo. - Allora Maura, cosa ne diresti di dare una svolta al nostro rapporto stasera? - interruppe il flusso dei suoi pensieri l’uomo. - Ecco vedi, John... Ho riflettuto molto sul nostro rapporto e insomma... Tu sei una persona stupenda, un uomo come pochi, ma tra noi non può funzionare... Sono innamorata di un'altra persona e non posso più continuare questa farsa; farei del male a te, all’altra persona ed anche a me stessa ... - parlò impacciata Maura, con lo sguardo basso per paura di affrontare quello dell’altro, ma non poté fare a meno di chiedersi cosa stesse facendo l'uomo, immobile, ancora di spalle, tra il frigorifero e il ripiano della cucina. Improvvisamente però, la sua attenzione fu catturata da un gesto inaspettato quanto sconcertante: Jonathan, preso da una strana ed inspiegabile rabbia, scagliò in terra la bottiglia di vino e i due calici appena riempiti, frantumandoli; il liquido rosso rubino andò a macchiare velocemente le piastrelle del pavimento. Istantaneamente alla dottoressa ritornò in mente la scena del caffè versato, per il quale incolpò ingiustamente l’amica. L’uomo allora estrasse un coltello dal ceppo che aveva dinnanzi e voltandosi verso Maura, con gli occhi iniettati di sangue, le si avvicinò minaccioso: - Ma non mi dire: stiamo parlando di Rizzoli? - Maura lo fissò, impietrita dalla paura; i suoi pensieri si susseguivano veloci e frastornanti; solo in quel momento il puzzle andò ricomponendosi: la persona che si era introdotta in casa era lui, ecco perché conosceva con precisione cosa prendere e dove. D'altronde lui era un poliziotto e sapeva benissimo che la detective l'aveva fatta mettere sotto scorta, per questo, da quando Jane lo aveva quasi beccato nella penombra del salotto, e Frankie si era appostato sotto casa, nessuno più vi si intrufolò; sapeva anche dell’ammirazione morbosa che nutriva Tim nei suoi riguardi, così evidente da poterla manipolare per costituirne il capro espiatorio ideale. E probabilmente sapeva anche del contrordine che la detective aveva firmato, cosicché adesso, era completamente sola tra le grinfie del suo aguzzino. Lo sguardo di Jonathan non le sembrò neanche più quello di una persona normale, ed il ricordo di una persona formale ma gentile, si sgretolò immediatamente per far posto a quello di uno psicopatico sadico, che sicuramente avrebbe finito col farle del male. La dottoressa si diede ripetutamente della stupida, aveva fatto un grossolano errore di valutazione: se solo si fosse affidata all'istinto di Jane... - Ce ne hai messo di tempo per confrontarti con i tuoi reali sentimenti per Rizzoli! E’ strano che due professioniste così brillanti e preparate risolvano con successo casi complicati con l’ausilio di pochissime prove, ma che siano totalmente incapaci di fare chiarezza nella loro vita privata, da non rendersi conto di un sentimento palese al mondo intero tranne che a loro due! - la derise tronfio Jonathan. Per quanto irritanti risultassero le parole di quel pazzo, Maura ammise controvoglia che aveva ragione: aveva aspettato fin troppo per mettere al corrente Jane dei suoi sentimenti; avrebbe dovuto riparare a tutto ciò, sempre che avesse avuto ancora del tempo a disposizione e sorrise amaramente rendendosi conto che forse non disponeva più di tutto quel tempo. - Ho un conto in sospeso con la tua cara detective… Mi ha portato via la cosa più importante che avevo… Ma ora è giunto il momento di ricambiare il favore e tu, mia cara Maura, sei per me la vendetta ideale... - sorrise con malvagità l’uomo, sollevando il coltello in aria, pronto a scagliare un fendente verso la donna. In quel preciso istante però, Jane si avventò su di lui ingaggiando un estenuante corpo a corpo. - Dovevo immaginarlo che avresti fatto una delle tue solite entrate trionfali! E’ un vizio il tuo quello di infrangere i miei sogni di gloria! - disse Jonathan, mentre tentava di infilzare la detective. - E tu pensavi davvero che ti permettessi di torcerle anche solo un capello? Avrei dovuto impedirti di trascorrere tutto quel tempo con Maura, anche prendendoti a calci nelle gengive! Sei sempre stato un lurido bastardo, non avresti mai potuto essere diverso da ciò che sei! - replicò Jane assestandogli un pugno sul naso, mettendo fine al duello. L’uomo allentò la presa per tamponarsi il sangue che gocciolava, ma proprio mentre Jane fece per rialzarsi, per tranquillizzare Maura, sentì un dolore lancinante alla gamba: il folle l’aveva ferita. - Tu, detective Rizzoli, mi hai portato via tutto ciò che di più caro avevo al mondo! - - Ah si? E cosa? La tua carriera? Il tuo ego? I tuoi soldi? Il tuo voler prevaricare sugli altri? - elencò ironica la detective, stringendosi tra le mani la gamba sanguinante. - La mia Alice! - parlò tutto d’un fiato lui. - Ti sbagli! Tua moglie non ti ha lasciato per la tua mancata promozione, ma perché ha capito che eri uno psicopatico! Era ovvio che volesse prendere le distanze da uno come te! - - Sta zitta! Non è vero! Tu non sai niente! Noi ci amavamo! - - Mi risulta davvero difficile associare la parola amore ad un essere come te! E comunque ci sono decine di denunce a tuo carico per violenza entro le mura domestiche, stalking, e perfino un ordine restrittivo che ti vietava di avvicinarti a casa sua! - lo provocò Jane. - Casa mia, vorrai dire! Per colpa sua dormivo in auto! La mia vita ricca, piena di soddisfazioni lavorative, di tutti gli agi e i comfort distrutta in un momento da te, puttana che non sei altro,che mi sei passata davanti in graduatoria in quel dannatissimo concorso! Tu! Sei tu il principio di tutto ed ora io porrò fine a tutti i miei disagi esistenziali riprendendomi ciò che è mio, e stavolta non sbaglierò! - farfugliò l’uomo in preda ai suoi deliri psicotici. - Sii realista Brooks! Apri gli occhi! Sei ancora in tempo per uscire da questa situazione nel modo più indolore possibile! - cercò di rabbonirlo Jane, che nel frattempo era riuscita ad avvicinarsi a Maura. - Tutte uguali voi donne! Tutte abili affabulatrici, ma alla fine siete vipere dal morso velenoso! E alle vipere va schiacciata la testa! Come a quella stronza, ad esempio! Mi ha lasciato perché non poteva più avere un tenore di vita elevato! Non poteva più avere scarpe e vestiti firmati, vacanze extralusso nei posti più belli del mondo, la Cadillac nuova sempre tirata a lucido e non poteva più spendere vagonate di soldi nell’ organizzazione di quei suoi ridicoli eventi di beneficenza! Chi è la vittima, io o lei? Dimmi, detective Rizzoli! - - Tu, Jonathan avevi il vizio del gioco e sperperavi tutto il tuo stipendio alle corse dei cavalli. Eri anche entrato in un giro di scommesse clandestine! E non dire che non è così, sei stato perfino indagato! - gli rinfacciò Jane, snocciolando una ad una tutte le informazioni che aveva reperito sul suo conto. - Per forza! Non riuscivo più a portare i soldi a casa! - si giustificò l’altro. - Se invece di giocarteli i soldi, avresti pensato a condurre una vita semplice e dignitosa con tua moglie, forse a quest’ora sarebbe ancora viva! E comunque non puoi paragonare il profittarsi della tua condizione economica da parte di tua moglie, con tutte le atrocità che hai attuato nei suoi riguardi! Sei un poliziotto, dovresti conoscere la scala di gravità dei reati! Tu l’hai picchiata, molestata, perseguitata, ti sei insinuato in casa sua di notte…. E hai fatto saltare tutto in aria simulando una fuga di gas! Era questa la fine che stavi progettando anche per Maura? Certo che si, perché il tuo fascicolo “ Vegeance ” parla chiaro: la parola d’ordine è vendetta contro Jane Rizzoli! - concluse la detective trattandolo con ripugnanza. Al suono di quelle parole Brooks parve incattivirsi ancora di più. Maura, che fino ad allora era in stato di shock, si rese conto che tutto stava degenerando troppo velocemente; prese Jane per un braccio attirandola verso di se per difenderla, qualora ce ne fosse stato bisogno, ma anche con la segreta speranza che la piantasse di controbattere, aumentando ulteriormente la psicosi dell’altro. - Si beh, ho fatto un lavoro pulito e scrupoloso! Degno del più abile dei criminali, e fuorviante anche per il più abile dei detective! Alice meritava di morire! Così come adesso morirete voi! E’ un peccato però, sai…. Sei davvero in gamba come dicono, se sei riuscita a scoprire tutto questo! - disse ridendo, compiaciuto delle sue malefatte, mentre si allontanava, apprestandosi ad aprire la manopola del gas. Bastò poco a Jane per divincolarsi dalla stretta di Maura ed avventarglisi nuovamente contro, ma la lotta stavolta fu decisamente impari: data la ferita della donna, lui ebbe subito la meglio e sbarazzandosi del peso del corpo della detective che lo ostacolava, approfittò per sfilarle la pistola di ordinanza dalla fondina. Si avvicinò minaccioso con la pistola puntata verso Maura e sorridendo sprezzante disse: - Ora farò vedere a Rizzoli cosa vuol dire perdere tutto ciò a cui tieni! - - Fermati, per favore! Ti prego, possiamo aiutarti se collabori! - lo supplicò tra le lacrime Maura, ma lui, infuriato perché Jane aveva mandato a monte i suoi piani, premette senza pietà il grilletto due volte. Maura chiuse gli occhi ed attese la sua fine in silenzio, ma in pochi attimi si accorse di essere ancora lucida e reattiva agli stimoli esterni, li riaprì dunque velocemente, e solo allora constatò che Jane si era frapposta tra lei e quei due maledetti colpi di pistola. La mora stava sorridendole come per tranquillizzarla, mentre si accasciò su di lei; dal suo petto sgorgava caldo e copioso il fluido sangue. - Nooooooo! - l’urlo straziante di Maura echeggiò nella stanza come una nenia funebre. La dottoressa chinò il capo fin sul petto della donna sporcandosi i capelli e immediatamente tentò di prestare il primo soccorso a quello che aveva tutta l’aria di essere un caso disperato. Tra le lacrime e con le mani sporche di sangue che premevano sulle ferite per evitare un’emorragia, Jane riaprì gli occhi e abbozzandole un sorriso, tentò di sdrammatizzare: - In fondo ho sempre sostenuto che il beige del tuo divano spiccava di più se a terra vi fosse stato un bel tappeto rosso! - Maura abbozzò anch’ella un sorriso ed istintivamente portò una mano al di sotto della camicia di Jane, cercando frenetica tracce della presenza del giubbotto antiproiettile. - Avevo fretta di venire da te… Ho dimenticato di metterlo… - le sussurrò la mora dolcemente. Il pianto di Maura aumentò di intensità: era colpa sua se Jane era in quello stato; avrebbe dovuto fidarsi di lei; avrebbe dovuto immaginare che il profondo legame che aveva con lei, l’avrebbe spinta a sacrificare anche la sua stessa vita. Se solo fosse stata più razionale e non avesse cercato di farla ingelosire a tutti i costi, intraprendendo la frequentazione con Brooks, forse a quest’ora sarebbero state sedute sul divano a bersi una birra e a chiacchierare tranquillamente, anziché in pericolo di vita. Presa dal rimorso, ma anche dalla disperazione per ’eventualità che Jane potesse non farcela, Maura le carezzò dolcemente il viso sofferente, ma un fremito scosse la detective, il cui respiro si fece sempre più affannoso: - Maura ascolta, io ti…. - tentò di parlare, ma perse definitivamente i sensi. - Jane! Jane!!! Ti supplico, non lasciarmi! Resta con me! - la scuoteva isterica Maura tra le lacrime, tentando invano di rianimarla, e tutto ormai, compresa la sua stessa esistenza, le sembrò vuoto e privo di senso. - E ora che non c’è più il tuo angelo custode a proteggerti, spedirò all’inferno anche a te! Scusami, niente di personale. La mia rabbia era contro Rizzoli, ma tu ormai sai troppo e non posso permetterti di incastrarmi! - disse il folle, e fu pronto a fare fuoco. Maura chiuse gli occhi ed aspettò la sua fine incollata al corpo esanime dell’amica, come se da quel contatto potesse trarre ancora ultime scariche di forza vitale, abbandonandosi contemporaneamente al freddo abbraccio della morte insieme alla donna che avrebbe sempre voluto amare, ma che il destino aveva deciso di portarle via precocemente. - Non temere Jane,ci sono io con te… Sempre e per sempre… - sussurrò rannicchiandosi su di lei, poggiando la sua fronte contro quella dell’altra; quindi udì nitidamente due spari. Con un tonfo sordo Brooks cadde esanime in terra, dietro di lui Korsak, la cui canna di pistola era ancora fumante. - Tutto bene Maura? - accorse immediatamente preoccupato, aiutandola a rialzarsi. - Sergente! Non sono mai stata così felice di vederla! Grazie al cielo è arrivato in tempo! - lo abbracciò riconoscente Maura, tirando un sospiro di sollievo, ma immediatamente dopo ordinò: - Un’autoambulanza, presto! Jane è in condizioni critiche, il suo cuore potrebbe smettere di battere da un momento all’altro! - Si asciugò le lacrime dandosi un contegno e tornò a vestire i panni della donna forte e distaccata, solo ed esclusivamente per poter salvare la vita della persona per lei più importante, nel tentativo di recuperare insieme tutto il tempo finora perduto.

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Capitolo 9
*** EPILOGO - DALL'INFERNO AL PARADISO ***


Angela passeggiava nervosamente a braccia conserte su e giù per il corridoio, al di fuori della sala d’attesa. I medici avevano portato Jane in sala operatoria già da qualche ora, ma nessuno di loro era ancora uscito a darle notizie circa le condizioni di salute della figlia. Tommy e Frankie erano invece seduti nella sala, con gli occhi rossi e lucidi di pianto, preoccupati per le sorti della loro sorellona. A dispetto di tutte le incomprensioni e di tutti i dissidi tra loro, i fratelli Rizzoli erano sempre stati molto legati e l’idea di perdere Jane, loro punto di riferimento costante nella vita, insieme alla madre, li mandava totalmente nel panico. Un improvviso scalpitio di passi, provenienti dal fondo del corridoio, attirò l’attenzione dei tre che, fiduciosi, speravano che qualcuno finalmente potesse aggiornarli, ma si disillusero quando capirono che in realtà erano solo Korsak e Frost, che appena ultimati gli adempimenti burocratici per l’archiviazione del caso di Brooks, si erano precipitati dai loro amici. Il sergente abbracciò forte Angela, a cui era legato da fraterna amicizia, e dandole coraggio le sussurrò: - Jane è forte e caparbia... Ce la farà: ne sono sicuro! - La donna lo strinse di più a se come per chiedergli maggiore vicinanza. Frost invece andò a sedersi accanto ai ragazzi consolandoli con una pacca sulla spalla, quindi chiese: - La dottoressa Isles? - - E’ dentro con lei… Ha voluto assolutamente assistere all’operazione… - rispose Frankie, sotto lo sguardo di Angela che, addolorata contemplava ciò che restava della sua famiglia. - Maura farà di tutto per farla stare bene, sta tranquilla mamma! La riabbracceremo! - la incoraggiò Tommy. L’attesa però si rivelò più lunga e logorante del previsto ed il fatto che nessuno fosse si fosse fatto vivo per il bollettino sulle condizioni di salute della paziente, era decisamente un fattore negativo. - Perché non vai a casa e cerchi di riposare un po’? - gli consigliò Korsak. - Finché non mi diranno come sta mia figlia, non andrò da nessuna parte! - disse con decisione la donna, mentre dal fondo del corridoio si sentirono ancora una volta dei passi. Tutti i presenti si voltarono contemporaneamente e guardarono apprensivi in quella direzione: la dottoressa Isles esausta e provata, si tolse la cuffia e la mascherina obbligatorie nella sala operatoria e si avvicinò agli altri che gli si assieparono attorno in attesa di notizie. Maura respirò profondamente, alzò lo sguardo fino ad allora chino verso il pavimento, e finalmente parlò: - La pallottola al petto è stata asportata con successo, resta una grave insufficienza respiratoria causata dal proiettile che ha sfiorato il polmone sinistro. Le sue condizioni sono molto gravi ma stazionarie al momento… - Angela chiuse gli occhi, lasciò che una lacrima scendesse sul suo viso e tirò un sospiro di sollievo; non è che la figlia stesse bene, ma almeno era ancora viva e già quella doveva considerarsi un’ottima notizia. Con un po’ di tempo, di ottimismo e tanta tanta fede, avrebbero potuto sperare che la detective sarebbe migliorata. Anche il resto del gruppo fu visibilmente sollevato nell’apprendere la notizia, Tommy difatti, si lasciò cadere stanco sulla sedia, come se fino ad allora avesse sostenuto sulle spalle il peso del mondo; Frankie e Frost si abbracciarono confortati. Era la prima volta che Maura si trovava faccia a faccia con Angela dopo il putiferio successo, ma non riusciva a sostenere il suo sguardo perché si sentiva responsabile dell’accaduto. La donna, che col tempo aveva imparato a capire cosa passasse per la sua testa, proprio come se fosse davvero sua figlia, le si avvicinò e condividendo lo stesso immenso dolore, sebbene con ruoli diversi, la abbracciò. - Maura perché non vai a casa? Resto io con lei… Ti tengo aggiornata… - le disse maternamente Angela. - No. Il mio posto è qui, accanto a lei! Voglio esserci quando si sveglia! - obbiettò la dottoressa, giusto un attimo prima che i medici portassero Jane in stanza. Le donne si affacciarono sull’uscio della camera ed un medico gli si avvicinò: - Non può vedere nessuno al momento. - disse, tentando di chiudere la porta. - Vi prego, solo qualche minuto… - insisté Maura. - Va bene, ma solo una di voi! - concluse il dottore. Angela e Maura si guardarono per negli occhi: - Va! Tua figlia ha bisogno di te! - le disse Maura rinunciando al diritto di vederla. Angela, intuendo la portata del sacrificio dell’altra, le sorrise grata ed entrò. Alla dottoressa non restò che posizionarsi aldilà del vetro della camera e finalmente, dopo il rapido e tumultuoso susseguirsi degli eventi e la concitazione dovuta ai loro risvolti; dopo aver fatto tutto quanto era possibile per garantire la sopravvivenza della sua amata, si lasciò andare ad un lungo pianto liberatorio. - Devi sopravvivere! Tu devi farcela! - disse singhiozzando, ed il pensiero le corse al momento in cui la mora, con la consapevolezza di chi sapeva di aver fatto un atto sconsiderato, le confessò di essere uscita senza giubbino antiproiettile solo perché in preda al panico per paura di perderla. - Ora sono io che ho paura di perderti! - sussurrò flebilmente. Una mano le sfiorò la spalla ridestandola dai suoi pensieri; Maura sorrise forzatamente ad Angela cercando di infonderle coraggio, quindi entrambe restarono in silenzio a guardare la donna che combatteva tra la vita e la morte. - E’ colpa mia Angela, se le avessi dato retta, forse a quest’ora non sarebbe in quelle condizioni. - ruppe il silenzio la dottoressa, divorata dal rimorso. - Togliti questi brutti pensieri dalla testa, bambina mia, non è colpa di nessuno! Sai quanto Jane sia protettiva nei riguardi della famiglia. A maggior ragione lo è stata con te che sei la persona che ama… - - Ti ricordi di quello che ci siamo dette al Dirty robber? Ti volevo ringraziare perché è stato in quel momento che ho capito davvero che la mia vita la immagino soltanto accanto a Jane e spero che guarisca presto perché abbiamo aspettato troppo… Ora dobbiamo essere felici! - - E’ la cosa giusta da fare! - rispose la donna, cingendole le spalle in modo che Maura potesse poggiarci il capo teneramente, come se stesse abbandonandosi alle coccole di una vera madre. - Perché non vai? Tommy e Frankie hanno bisogno di te a casa… Korsak e Frost ti potrebbero dare un passaggio. Resto io con lei… - le suggerì poi la dottoressa, consapevole che la donna che aveva di fronte era il cuore ed il collante dell’intera famiglia che ancora di più doveva restare unita, in quel momento di grande difficoltà. Nonostante Angela fosse preoccupata per le sorti della figlia decise di darle ascolto; di lasciare alla dottoressa il tempo e lo spazio di cui aveva bisogno per star vicino a Jane, nella speranza che questo servisse a dipanare ogni sorta di dubbio ancora esistente in merito ai loro sentimenti ed a rinsaldarne il legame. In fondo Maura era pur sempre un dottore, non poteva affidare la figlia a mani più sicure. Erano ormai trascorsi alcuni giorni dalla brutta avventura nella quale Maura era incappata, e dal giorno della tragedia non aveva mai, neppure per un secondo, abbandonato il capezzale della sua Jane. La detective non si era mai più risvegliata da quel maledetto giorno, e lei si rendeva perfettamente conto che la vita della sua amata era ancora appesa ad un filo. Nonostante ciò, quando i medici azzardavano l’eventualità che avrebbe potuto non farcela, comportandosi da consorte isterica e disperata, perdeva ogni forma di autocontrollo diventando aggressiva ed irritabile e pretendeva che le venissero somministrate le migliori cure mediche di cui disponevano; avrebbe pagato personalmente fino all’ultimo penny, ma Jane doveva vivere. Maura si occupava inoltre, anche di rendere quel luogo triste ed angusto meno brutto possibile e sistemava personalmente ogni mazzo di fiori che arrivava, con gli auguri di pronta guarigione. Conoscendo la personale avversione della mora per gli ospedali, voleva renderle il risveglio quanto meno traumatico possibile. Il tempo trascorso in ospedale le sembrava infinito, anche se, in base ai bollettini medici, alternava momenti di profondo sconforto a momenti di ottimismo acuto. In realtà la sola cosa che davvero le dava la forza di andare avanti, era il fatto che stava prendendosi per la prima volta veramente cura nella maniera più totale e disinteressata della persona che amava, augurandosi in cuor suo, che presto avrebbe potuto riportarla a casa con se. Durante la sua permanenza lì, poté assistere ai pellegrinaggi pressoché infiniti della famiglia Rizzoli, dignitosa e composta nel proprio dolore, ma anche dei colleghi di lavoro: da Frost e Korsak ai tecnici di laboratorio; tutti ad omaggiare con un fiore, dei cioccolatini o un peluche, una brillante professionista, ma ancora di più un’amica con un cuore enorme ed un’umanità come poche. Una di quelle mattine la solita desolante routine fu però interrotta da qualcosa di davvero inaspettato per la dottoressa: dopo aver preso l’ennesimo caffè per tenersi sveglia, in barba a tutti i suoi preconcetti salutisti sulla bevanda, ed aver telefonato ad Angela, si sedette accanto a Jane ed iniziò a leggere qualche pagina di un libro per ingannare il tempo. Fu proprio in quel momento che sentì bussare timidamente sulla porta già aperta della camera, sollevò quindi gli occhi dalla sua lettura, e rimase profondamente sorpresa nel vedere che sulla soglia c’era sua madre. - Ciao, posso entrare? - le chiese la donna sorridendole, incerta se la sua presenza fosse gradita o meno. - Hope! cosa ci fai qui? - le chiese Maura. - Ho saputo della terribile sventura, ma grazie a Dio stai bene! - disse la donna andandole incontro per abbracciarla, ed il suo stupore aumentò nel constatare così tanta espansività da parte di una persona solitamente distaccata e glaciale. Era cresciuta da bambina adottata, sballottata anche dai genitori putativi; aveva conosciuto in circostanze infelici i suoi reali genitori: Paddy ed Hope, con cui i rapporti erano sempre stati tesi, ma solo ultimamente, soprattutto per merito di Jane, a dire il vero, aveva iniziato ad avere un approccio di tipo filiale con la donna, e vederla lì, in quel momento, che le stesse dimostrando affetto e solidarietà, adempiendo al suo dovere di madre, la mise in imbarazzo, soprattutto perché non sapeva come rapportarsi all’altra, e stavolta non poteva neppure contare sul supporto della detective. - Si, io sto bene… - disse Maura, decidendo, certa di non sbagliare, di comportarsi come si sarebbe comportata la sua Jane in quei casi, quindi ricambiò l’abbraccio. - E Jane? Come sta? - chiese ancora la madre, il cui sguardo si rivolse al letto dove giaceva la mora. - Nonostante le sue condizioni mediche stazionarie, la gravissima insufficienza respiratoria persiste ed i medici temono che possa portare a delle complicanze, quindi alla morte… - le spiegò la dottoressa. - E’ una donna temprata… Ce la farà sicuramente, vedrai! Sono contenta che sia capitata al momento giusto per proteggerti. Hai davvero un’amica preziosa! - La parola amica provocò un fastidio emotivo in Maura; era palese che ormai il loro rapporto si fosse evoluto, e forse era il caso di informarne la madre, anche solo per ricambiare la gentilezza e l’interesse che aveva mostrato nei suoi riguardi andandola a trovare, quindi si schiarì la voce e parlò: - Hope tu sei mia madre… Stiamo tentando di costruire un rapporto, quindi reputo sia giusto che tu sappia…. Jane per me non è un’amica…. Io la amo… - Hope la guardò sorridente: - So che è la donna giusta per te, non potrei desiderare nuora migliore! - si limitò semplicemente a dirle. - Tu sapevi? - - Eri l’unica a non accorgerti di come ti guardava adorante! - scherzò la madre, ma le sue parole suonarono per Maura quasi come un benestare, che legittimava maggiormente la sua relazione con la mora. - Ora vado… - disse Hope guardando l’orologio, dunque continuò: - Tienimi informata! Abbi cura di te e di lei… E per qualsiasi cosa, contate pure entrambe su di me! - In uno slancio di gratitudine Maura prese per la prima volta l’iniziativa di abbracciarla; la donna ne parve davvero felice. Era stato molto bello il gesto che la madre aveva fatto; dopo tanti contrasti sentiva che anche il suo rapporto con lei stava iniziando ad appianarsi per poter essere recuperato. E se era così aperta nei suoi riguardi, ancora una volta era merito di Jane, che l’aveva spronata ad affrontare e risolvere tutti i conti in sospeso, e a darsi, sebbene a trent’anni di distanza, una possibilità. Una volta sola, la dottoressa si avvicinò nuovamente al capezzale di Jane, le carezzò amorevolmente i capelli, spostandone i ricci dal volto e si chinò per darle un bacio sulla guancia: - Sei una donna incredibile: riesci a fare andare tutto bene perfino quando non ne sei consapevole! - le sussurrò e restò a guardarla incantata mentre riposava: aveva dei lineamenti talmente perfetti che neppure il dolore o il tubo del respiratore potevano deformare. Quella sera, dopo aver bevuto una tazza di latte caldo e aver spiluccato due gallette di riso, Maura si sentiva particolarmente stanca e demoralizzata; erano ormai cinque giorni che non vedeva i suoi occhi, che non la sentiva sorridere, che non le parlava confrontandosi, battibeccando o consolandosi e tutto questo la stava trascinando sull’orlo della pazzia. La osservava inerme ed indifesa, condizione inverosimile da credere per una persona energica e dinamica come la detective, e provava tanta tenerezza per lei: se avesse potuto avrebbe donato la sua stessa vita perché si ridestasse dal sonno di morte in cui era piombata. Ed il suo disperato bisogno di comunicare con l’altra, si trasformò ben presto in un lungo soliloquio: - Dovrei essere arrabbiata a morte con te per avermi riempito la casa di cimici e microfoni ambientali… Eppure non posso non esserti riconoscente per ciò che il tuo eccessivo senso di protezione nei miei riguardi ti ha spinto a fare. Senza di esse non avremmo mai incastrato Brooks… Probabilmente sarebbe morto ugualmente, ma la sua povera moglie, la povera Alice, non avrebbe mai avuto giustizia e non avrebbe mai potuto riposare in pace… Certo è una magra consolazione per noi vivi, mentre i morti non ne hanno neppure bisogno… Ma tu ti sei battuta ancora una volta con coraggio per far trionfare il bene e proteggere me. Chissà quanto devo valere ai tuoi occhi se hai deciso di lasciarti ammazzare al mio posto, e pensandoci, non è neppure la prima volta che rischi per me. Ora mi è tutto così chiaro; solo adesso riesco a vedere tutte le volte in cui mi hai amata senza mai pronunciare la parola ti amo e rimpiango di non averti dimostrato quanto anche io ti amassi… - parlava Maura, i cui ricordi riaffioravano uno ad uno nella sua mente sottoforma di rapidi flashback: la volta in cui Frankie fu ferito e lei che lo soccorse mentre un criminale gli puntava un fucile contro, ma Jane si pose dinnanzi a loro per proteggerli; Hoyt che voleva stordirla col teaser per poi tagliarle la gola, messo k.o dalla furia incontrollata della detective; la volta in cui era ferita alla gamba e Jane, nonostante avessero litigato, le prestò il primo soccorso e non la abbandonò neppure per un secondo portandola in salvo; la volta in cui uno squilibrato voleva trasformarla in una statua di gesso; quella in cui era finita in carcere e Jane, dopo aver affrontato le detenute che l’avevano picchiata, riuscì a tirarla fuori dai guai. - Adesso però stai lottando per difendere la cosa più preziosa che hai: la tua vita! Stai lottando per restare qui con me! Ti prego, so che puoi sentirmi: tu sei la persona più forte e tenace che abbia mai conosciuto… Combatti, torna tra noi. La tua famiglia ha bisogno di te, i tuoi amici hanno bisogno di te e io… Io sono annientata dal terrore che tu possa abbandonarmi da un momento all’altro! - continuò Maura prendendole la mano tra le sue. - So che forse è tardi per rimediare, ma questa disgrazia mi ha aperto gli occhi: noi non siamo amiche! Il nostro continuo battibeccare, il nostro punzecchiarci a vicenda, il nostro stare così bene insieme, la complicità dei nostri sguardi e delle nostre azioni, l’intimità che condividiamo dormendo insieme, i problemi quotidiani che affrontiamo, sono parte del nostro stare insieme. E’ così, Jane: noi siamo una coppia, lo siamo sempre state, ma scioccamente, per orgoglio o forse molto più probabilmente per paura di perdere l’altra, abbiamo sempre nascosto il nostro amore dietro la nostra amicizia… Ma sai cosa? Io sono stanca di nascondere questo sentimento così profondo che nutro per te. Io lo voglio gridare al mondo intero che tu, detective Jane Rizzoli, mi rendi una persona felice, mi completi. Ricordi al mio cuore di battere ancora, di arrabbiarsi, ingelosirsi, amare, di vivere… E cosa sarebbe allora, la mia vita se tu te ne andassi per sempre? Preferirei centinaia di volte saperti viva tra le braccia di qualcun altro, piuttosto che venire a piangere ogni giorno sulla tua lapide portandoti un fiore. Io voglio che tu viva, Jane! Voglio che tu torni, perché amo il tuo senso di giustizia, amo il tuo stare dalla parte dei più deboli, amo il tuo batterti per far si che il mondo sia un posto un pochino migliore e se ti guardo negli occhi riesco perfino a crederci! Se ti guardo negli occhi sono sicura che l’impossibile può diventare possibile… E ti amo Jane, ti amo come non ho mai amato nessun altro! Torna per me, non mi deludere! - le dichiarò infine tutto il suo amore, mentre le lacrime le solcavano il volto. Spinta dal bisogno di avere un contatto intimo con la donna che amava, Maura chinò il capo sul bordo del cuscino vicinissima al suo volto, di cui poteva sentire deboli respiri, e vinta dalla stanchezza si addormentò. Il sole filtrava dalla finestra socchiusa della camera ed un primo timido raggio andò a posarsi sul volto della detective che, con ancora gli occhi chiusi, respirò profondamente percependo la fragranza inebriante del profumo dell’amica. Allungò istantaneamente il braccio, la cercò e la trovò, quindi lasciò che la sua mano si insinuasse delicatamente tra i capelli di Maura; aprì poi lentamente gli occhi e sorridendo prese ad accarezzarla, fissando il suo sguardo ancora tremulo ed ombrato sull’espressione da bimba imbronciata che aveva mentre dormiva. La dottoressa avvertì qualcosa di caldo e piacevole intorno a lei che la coccolava con premura; il broncio allora sparì, lasciando posto ad lieve, cauto sorriso. Non avendo ancora realizzato se ciò fosse realtà o soltanto un sogno, frutto della sua mente stanca e consumata, Maura ebbe quasi paura ad aprire gli occhi, ma decise di farsi coraggio: aprì lentamente le palpebre e la prima cosa che vide fu il volto di Jane vicinissimo al suo, mentre appurò che le carezze su cui aveva tanto fantasticato erano invece reali. - Ehi, buongiorno bellissima creatura! Hai riposato un pochino? - le sussurrò la mora lasciando scivolare la mano dai capelli al viso. - Jane! Oh Dio, sei tornata! Lo sapevo che non mi avresti delusa, non lo hai mai fatto! - sussultò felice Maura, saltandole al collo per abbracciarla, poi però si diede un contegno e con un’espressione seria dipinta sul volto la rimproverò: - Dov’è il respiratore? - - L’ho tolto, mi dava fastidio… - - Non avresti dovuto farlo, hai avuto una profonda crisi respiratoria! Questo vuol dire che nel tuo organismo si è verificata una significativa alterazione degli scambi gassosi, i cui parametri normali devono essere ristabiliti mediante la somministrazione artificiale di ossigeno che… - ma si bloccò istantaneamente nel notare lo sguardo accigliato di Jane. - Scusami… Sono incorreggibile! Non ti sei neppure svegliata che già ti sto sommergendo di chiacchiere e nozioni scientifiche inopportune! - Jane la guardò con indulgenza: - Cosa è successo? Ho dei ricordi confusi… Casa tua, quello psicopatico di Brooks con la pistola, tu che eri in pericolo di vita… E poi? Perché faccio fatica a ricordare? - le chiese portandosi una mano alla tempia. - Ehi, stai tranquilla! E’ tutto ok! Brooks è morto, e tu sei diventata l’eroina del commissariato perché hai chiuso due casi nel giro di pochissimo tempo! Semmai ci fossero stati ancora dubbi che tu fossi la reale vincitrice di quel concorso, credo proprio che tu sia riuscita a fugarli tutti! - le disse Maura adulandola, quindi continuò: - Come ti senti? - - Un po’ frastornata, ma adesso riesco a respirare bene… Da quanto tempo sono qui? - - Sono stati cinque giorni lunghi e difficili per tutti quanti! Credevamo di averti persa per sempre… - le confessò la dottoressa, con un sottofondo di malcelata paura che ancora aleggiava nella sua voce. - Mi spiace… Ti vedo provata… Non avrei voluto farvi preoccupare… - replicò desolata la mora. - Ora che posso specchiarmi nuovamente nei tuoi occhi sto bene… Mio Dio quanto mi sono mancati! - le sorrise amorevolmente Maura, accertandosi di persona che davvero non avesse più bisogno del respiratore. - Non riesci proprio a fidarti eh? - la redarguì l’altra. - Ti sbagli, non è una questione di fiducia, è che io sono un medico e tu sei una testona, mi sto solo sincerando che davvero non ne avessi più bisogno! - disse carezzandole il volto. - Maura dovevo dirti una cosa importante… - esordì Jane poggiandole la mano su quella che la stava carezzando per poi stringendola nella sua. Si assicurò che Maura la stesse ascoltando attentamente, quindi riprese: - Quando sono venuta a casa tua oltre che proteggerti avrei voluto dirti anche una cosa importante… Non so se poi sono riuscita a farlo, però nel dubbio, voglio ripetertela adesso che siamo più tranquille… - - Non ti affaticare Jane, pensa solo a guarire adesso… Avrai tempo per dirmi quello che devi! - - Avrò tempo, hai ragione, ma perché aspettare dell’altro tempo per dirti ciò che da tempo avrei dovuto avere il coraggio di dirti? - concluse la detective. - Wow… Tu sei sicura di stare bene vero? La domanda che ti sei posta è un sillogismo! Si tratta di qualcosa di abbastanza inusuale per una persona sanguigna e poco razionale come te!- si stupì Maura. - Un sillo che? - obiettò l’altra. - Un sillogismo! Vedi, è un termine filosofico con cui Aristotele designò la forma fondamentale di argomentazione logica, costituita da tre proposizioni dichiarative connesse in modo tale che dalle prime due, assunte come premesse, si possa dedurre una conclusione … - tentò di spiegare la dottoressa, la cui cultura spaziava in moltissimi campi del sapere, ma la sua ansia di indottrinare gli altri era, se possibile, ancora più grande della sua stessa cultura. - Maura, come ti spegni? Fermati un attimino! Stai sviando i miei discorsi! Avevo davvero una cosa importante da dirti! - replicò Jane. - Va bene, va bene! Hai ragione, non è il momento! - si giustificò l’altra alzandole mani. - E poi scusa, fammi capire, cosa vuoi dire con la definizione “ sanguigna e poco razionale ”? Vuoi forse sottolineare il tuo super quoziente intellettivo a scapito della mia intelligenza? - la punzecchiò Jane. - Voglio solo dire che se fossi stata un minimo più razionale, non avresti fatto da scudo umano per me! Senza giubbotto antiproiettile per giunta! - la rimproverò amorevolmente Maura per la sua eroica sconsideratezza. - Ti faccio soltanto presente che la mia irrazionalità ti ha salvato la vita! Anziché parlare di quoziente intellettivo e di sillo cosi, potresti soltanto essere grata di essere ancora viva, per esempio! - replicò prontamente l’altra. - Jane, stai sviando i tuoi discorsi! Cosa volevi dirmi? - rilanciò Maura. Jane vedendosi restituire pan per focaccia dall’altra, finse di imbronciarsi, ma entrambe avevano ormai raggiunto la consapevolezza che era tutto prerogativa del loro modo di punzecchiarsi, di corteggiarsi, di manifestarsi il loro reciproco interesse, di esaltare vicendevolmente le loro peculiarità che le rendevano contemporaneamente uguali e complementari. - Potrebbero darti l’Oscar per questa tua interpretazione! - la prese in giro bonariamente la dottoressa, quindi l’altra si voltò per fissarla negli occhi e prendendole la mano le parlò con tutta la dolcezza di cui era capace: - Dottoressa Isles, io sono innamorata di te fin dalla primissima volta che ti ho vista alla caffetteria! I tuoi occhi e i tuoi modi hanno mandato in black - out il mio cervello; il cuore ha smesso per un istante di battere, riavviandosi un attimo dopo con un battito nuovo, diverso, un battito che mi sussurrava incessantemente il tuo nome e… Beh io sono una donna d’azione, e sembro una perfetta imbecille ogni volta che mi cimento in discorsi del genere… Sai che mi riesce difficile dire cose che magari per il resto del mondo sono banali e scontate, ma quello che sto cercando di dirti… - si interruppe per rafforzare il contatto visivo coi suoi occhi. - … Quello che sto cercando di dirti è che io ti amo Maura, e se ho taciuto finora è stato solo per paura di perderti, e non so come tu possa prendere questa notizia, spero non troppo duramente, ma era giunto il momento che tu sapessi che… - Con un gesto repentino Maura le si avvicinò azzerando quasi del tutto la distanza che le separava, prese il suo volto tra le mani, quindi le sussurrò: - Ora sei tu che devi stare zitta! - ed immediatamente posò le sue labbra su quelle della mora per darle un dolcissimo bacio traboccante di tutto l’ amore che provavano l’una per l’altra e che fino a quel momento era stato represso. Jane ricambiò l’effusione con trasporto, oltretutto amava l’intraprendenza e la disinibizione di Maura in certe situazioni e in quel frangente poi, era davvero più che gradita. Quel bacio era tutto ciò che aveva sempre desiderato fino a quel momento, e la dottoressa confermò pienamente le sue congetture che fosse un’abile baciatrice; qualcosa però rovinava la magia del momento impedendole di lasciarsi andare completamente. In preda all’ansia dunque interruppe il contatto con l’altra e chiese: - Questo è solo un’estemporanea? O è l’inizio di un per sempre? - Maura le sorrise e disseminando le sue labbra di baci a stampo e con ancora le labbra attaccate alle sue replicò: - Sai una cosa Jane? Io ti amo follemente e… Credo proprio che sia l’inizio di un favoloso per sempre! - La detective si sentì improvvisamente più sollevata, le parole della sua amata l’avevano confortata, quindi la ringraziò regalandole un bellissimo sorriso; l’altra manifestò nuovamente l’intenzione di volersi prendere cura delle sue labbra, ma di nuovo fu interrotta: - Maura ti devo fare una confessione… - - So già tutto delle microspie Jane… - disse la dottoressa, sperando di farla tacere per poterla baciare ancora. - Ah si… Ma non mi riferisco a questo!, Devo farti una confessione molto più importante che probabilmente ti porterà a considerarmi sotto un’ottica diversa… - tergiversava la detective e l’altra la guardò perplessa. Finalmente Jane continuò: - Non restarci troppo male… Però… Io so benissimo cosa sono i sillogismi! E’ solo che mi piace farti credere che io sia più ignorante di ciò che sono realmente… E questo solo perché amo sentirti parlare con quella tua voce morbida e sensuale! E… so che mi pentirò di averti confessato questo! - disse scherzando Jane, accennando a volerla finalmente baciare. - E allora? Che problema c’è? Io non ti amo forse nonostante tu non riesca mai a sistemare le birre in frigorifero? - la rimbeccò invece l’altra. - Sarà che forse prima di sistemare le birre come vuoi che le sistemi dovrei prendere una laurea in ingegneria edile? - - Non mi sembra tanto difficile: hai lo scompartimento, le metti dentro sistemandole per altezza, colore, larghezza della bottiglia e… - - Maura stiamo parlando di un frigorifero, non di un guardaroba! Ti rendi conto che farebbero prima gli egiziani a costruire una piramide che io a sistemare le birre in frigo secondo i tuoi assurdi criteri?!?! - - Sai una cosa? Mi sono mancati questi battibecchi con te! Ti amo Jane! - le sussurrò con un sorriso colmo d’amore la dottoressa e la strinse forte a se. - Anche io Maura, e tanto! - disse Jane premendo nuovamente le labbra contro quelle dell’altra per regalarle un dolcissimo bacio. - Ti posso fare una proposta? - la interruppe Maura. - Non ti sembra un po’ presto per il matrimonio? - scherzò Jane, che ritornando sul discorso del matrimonio, già affrontato da loro in precedenza, quella volta dell’autopsia alla sposa cadavere, elencò: - Torta con nocciole e mandorle, crema ganache e copertura di glassa al caffè… Abito di seta con la vita stile impero e uno strascico di sei metri… Cerimonia sulla scogliera di Santorini, esattamente sopra il vulcano. Penso che prima di fare questo passo dovrò risparmiare un pochino! - Maura sorrise divertita ma felice che la sua donna ricordasse anche dettagli all’apparenza insignificanti della sua persona: - Te lo ricordi ancora? - le chiese dunque stupita. - Io mi ricordo sempre di tutto ciò che riguarda la donna che amo! - le diede conferma Jane. - No seriamente: ti va di stabilirti da me? - - Perché, non lo avevo già fatto? Ho praticamente i tre quarti del mio guardaroba da te! - - Sciocca! Intendo dire se ti va di… - - Si Maura, mi va di iniziare una vera vita di coppia con te, se è questo, quello che stai tentando di propormi! Mi va di svegliarmi la mattina e guardarti dormire accanto a me. Mi va sentirti dire che non hai mai nulla da mettere e quando apri l’armadio ti travolge una valanga di vestiti. Mi va di vederti ordinare le scarpe su internet in preda alle tue crisi di shopping compulsivo e lamentarti subito dopo perché tutto sommato non ti piacciono. Mi va di tornare a casa e di portarti la pizza e di sentire le tue lagne che non la mangi perché sei a dieta ma alla fine mangi anche la mia parte. Mi va di portare fuori la spazzatura la sera! E mi va di coprirti con il plaid quando non mi lasci vedere la partita perché c’è uno dei tuoi documentari in tv e invece ti trovo addormentata! E nonostante tutti i tuoi difetti, i tuoi casini, voglio essere io il tuo amore e voglio che tu sia il mio! - le disse Jane, e Maura pianse dall’emozione nell’udire le parole che avrebbe voluto sentirsi dire dal suo vero amore da tutta la vita. - Ti amo Jane! - le disse e le loro labbra in astinenza, tornarono nuovamente a congiungersi per placare l’insaziabile voglia di baci che da tempo accompagnava i loro sentimenti latenti, ma che adesso li stava vedendo sbocciare come bellissimi fiori a primavera.

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