Il cacciatore di lupi bianchi

di _wilia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La prima volta nel buio ***
Capitolo 2: *** La promessa ***
Capitolo 3: *** Venduta ***
Capitolo 4: *** Bianco ***



Capitolo 1
*** La prima volta nel buio ***


Salve a tutti! Eccomi qui con un'altra delle mie terribili idee. Questa storia si svolge in due posti: Londra e Narnia.
Vorrei chiedervi di dimenticare qualunqua cosa avvenuta dopo "Il viaggio del veliero", perché il mio racconto non ha nulla a che fare con gli avvenimenti dei libri successivi.
In questa storia ci sarà una relazione incestuosa; se l'argomento vi disturba in particolar modo, evitate di leggere :) 
Sono presenti dei luoghi e dei personaggi non esistenti nell'opera originale. Buona lettura e, se vedi qualcosa di buono in me, mi piacerebbe che me lo facessi sapere. Le recensioni salvano vite u.u 


Il cacciatore di lupi bianchi

 

Correva.

Non sapeva più da quante ore fosse in cammino; il tempo ormai aveva perso consistenza. Piazzò il piede nel fianco del cavallo, sentendo la propria bocca inaridirsi sempre di più.

Davanti ai suoi occhi, il paesaggio iniziava a dissolversi, a rendersi più astratto alla sua vista; man mano che avanzava nella vasta prateria, il sole scendeva ed affondava dietro le colline d'oro all'orizzonte, formando giochi d'ombra che non avrebbe mai dimenticato.

condanna a morte

Lucy strinse le briglie tra le mani più forte che potè, come a volerle sentire più vicine, più reali. Lo fece per sentirsi più al sicuro.

Dietro di lei, l'ombra della fortezza si faceva più lontana, meno consistente, meno minacciosa.

alto tradimento

Fuggì.

Il cavallo nitrì rumorosamente, protestando contro i calci decisi che la ragazza gli sferrava per indurlo a correre più veloce.

Il boato causato da uno sparo giunse alle sue orecchie, e la costrinse a chiudere gli occhi.

La fine era appena iniziata.

 

 

I
La prima volta nel buio

 

Tanti sono i piccoli piaceri a cui l'uomo cede ogni giorno. Tutto sta, come per ogni cosa che riguarda la vita umana, nel saper scegliere quelli a cui dedicarsi e quelli da scartare.

È facile parlare quando si ha piena coscienza di quello che si fa, quando la vita ha ormai svolto il proprio corso, quando ha attraversato tutti i sentieri che la sfida divina ci ha proposto.

È facile parlare quando si è vecchi.

Ma Edmund Pevensie era tutt'altro che vecchio, e la sua vita era appena iniziata.

Si sistemò meglio il cappello sulla testa, accertandosi che i suoi capelli fossero perfettamente in ordine sotto di esso.

Sorrise allo specchio, nervosamente, prima di dare una fugace occhiata all'orologio che al momento dell'acquisto era stato da polso ma che ora conservava in tasca. Le quattro e venti. Notò come l'oggetto, una volta tanto prezioso, si fosse rovinato con il passare del tempo, di quanto l'usura avesse consumato il costoso cinturino in vero cuoio che una volta era appartenuto a suo padre.

Le lancette apparivano ora un po' storte, più sottili, e sembrava che faticassero a muoversi, e lui si chiese se non fosse un po' così anche per lui.

Era giovane, molto giovane, ma si sentiva già sfinito, come se la vita gli avesse già offerto tutto e se lo fosse poi ripreso.

La cosa che lo preoccupava maggiormente era l'insignificante peso del suo portafoglio; ogni giorno si svuotava sempre più, e le entrate in famiglia erano davvero scarse.

Lui, Susan, Peter e Lucy vivevano insieme a Londra, in una piccola casa in periferia in cui non c'era ombra di sfrontato comfort, né il decoro che solitamente si trova nelle abitazioni di gente benestante; il posto in cui vivevano era tutt'altro.

Era un tugurio composto da quattro stanze, solitamente molto sporche e in disordine, in quanto nessuno di loro aveva tempo da dedicare alle pulizie.

Nessuno tranne Lucy, che aveva egoisticamente deciso di studiare all'università, ormai diciannovenne; era riuscita ad ottenere un prestito abbastanza contenuto dalla banca degli studenti e ora trascorreva gran parte del suo tempo fuori casa.

Edmund si chiese, dall'alto della sua posizione di secondo capo famiglia, se fosse giusto. Se se lo potessero permettere.

Pensare a queste cose quando si è troppo giovani, avere la mente piena di preoccupazioni, può alterare il concetto di essere umano, che si differenzia dagli animali in quanto capace di scegliere chi essere nella vita.

E così lui spesso restava a guardare la più giovane delle sue sorelle passare ore su grossi volumi universitari che lei diceva sempre di aver preso dalla biblioteca cittadina, ma i suoi fratelli sapevano bene che li aveva pagati.

Sapeva bene quanto quei libri erano costati a tutti loro.

La povertà può giocare brutti scherzi nella mente di un giovane uomo o donna che sia, e può portarlo a provare sentimenti negativi nei confronti delle persone da cui, in realtà, non potrebbe mai separarsi.

Un uomo alto, calvo e dall'aspetto burbero entrò nello studio di Edmund, che lavorava presso un'agenzia che si occupava dei rifornimenti di viveri e munizioni ai soldati inglesi in missione all'estero.

Il pavimento di legno cigolò rumorosamente al suo passaggio, e ad Edmund, che sedeva ora sulla sua sedia da ufficio, mancò l'aria per un secondo. Sapeva bene chi era la persona che gli stava davanti e lo guardava torvo; ne aveva forse troppa consapevolezza.

L'uomo tossì ed aggrottò le sopracciglia in un'espressione che il ragazzo riconobbe come di profondo disgusto.

“Bene, bene, bene... Edmund Pevensie! Ti hanno addirittura offerto un posto di lavoro?” lo sbeffeggiò l'uomo, mentre le labbra sottili si arricciavano in un sorriso maligno.

Edmund sentì l'impellente bisogno di sbottonare il colletto della propria camicia per evitare di soffocare. “Cosa vuoi, Marlon? Cosa vuoi ancora da me?” gli chiese, tentando di controllare il tremore della sua voce.

L'altro lo fissò. “Voglio i miei soldi. Mi devi un sacco di soldi”, rispose, estraendo un sigaro cubano dalla tasca del proprio abito e portandoselo alle labbra.

Edmund trattenne il respiro per un istante, per poi dirgli, pochi istanti dopo, che non poteva fumare lì. L'altro rise malvagio. “Un divieto?”, gli chiese, “sai cosa me ne faccio dei tuoi divieti, Pevensie?”, continuò ad infastidirlo.

Il ragazzo si alzò in piedi, fronteggiandolo. “Ora basta. Non ce li ho i tuoi soldi”, sputò fuori acidamente, mantenendo l'ostile contatto visivo.

Tutti i soldi che doveva restituire a Marlon erano stati usati per comprare i viveri e per pagare le bollette dell'ultimo mese.

“Ah sì? E come credi di pagarmi?” L'uomo si infilò le mani grasse nelle tasche dell'abito, assumendo una posizione di sfida.

L'altro non distolse lo sguardo. “Dammi qualche giorno”, gli propose, sperando in una risposta positiva, nonostante sapesse già che non sarebbe mai arrivata.

“Nessun giorno. È passato troppo tempo e mi serve del denaro”, sibilò Marlon a quel punto, sbattendo i palmi aperti sulla scrivania di legno scuro.

Si avvicinò ad Edmund, che non lo perdeva di vista, e gli prese il mento tra il pollice e l'indice, respirandogli sul viso.

“Forse non sai che una volta che sei dentro un giro non ne esci più”, gli sibilò all'orecchio, sprezzante. “Forse tuo padre non ha avuto il tempo di insegnartelo...” insinuò con cattiveria.

“Non ti azzardare a parlare di mio padre. Ti sto chiedendo qualche giorno, ho dovuto usare quei soldi per mantenere la famiglia!”

“Non me ne può fregar di meno, Pevensie, e sappi che io ti tengo d'occhio. So bene che fine fanno molti di quei soldi... ma sarebbe un peccato deludere i tuoi fratelli, non è forse così?”

Il fetido alito dell'uomo colpì le narici del ragazzo con violenza, causando in lui un moto di disgusto. Gli rivolse un'occhiata di rimprovero, senza però aggiungere niente.

Su certe cose era meglio non scherzare.

“Ti do tre giorni. Dopo non voglio sentire ragioni”.

***

La tavola era più spoglia del solito. Di solito per cena la domenica Susan preparava un po' di carne cotta nel forno, accompagnata da un po' di verdure raccolte nel piccolo e spoglio orto che i ragazzi stavano provando a far crescere. Quella sera la carne era stata sostituita da una zuppa vegetale e crostini di pane.

Peter stringeva tra le mani un quotidiano, facendo scorrere lo sguardo da una notizia all'altra con una velocità tale da spingere Susan a capire che qualcosa non andava.

“Ehi”, lo chiamò, mentre si asciugava le mani con uno straccio verde. Gli si sedette di fronte, dopo aver controllato che la loro cena cuocesse per bene. Di certo non potevano permettersi di sprecare del cibo.

Lui la guardò e le dedicò un breve sorriso, tornando poi a leggere con disinteresse.

“C'è qualcosa che non va?”, gli chiese lei, con un'espressione preoccupata dipinta in volto.

A quel punto, lui mise da parte tutto quello che stava facendo e la fissò.

“Non c'è niente che vada bene, Susan. Te lo dico con il cuore in mano, in questa casa le cose non funzionano. Non so perché ci troviamo in questa situazione, ma quello che so con certezza è che non ho intenzione di stare a guardare mentre la mia famiglia si indebita sempre di più”, iniziò a spiegare, incrociando le mani.

Susan lo aveva visto raramente così pensieroso. “Io credo che per prima cosa dovremmo trovarci tutti un lavoro”, disse, “prima di poter lamentarci che le cose non vanno bene”.

Peter scosse la testa, cogliendo l'allusione, e prese a giocherellare con un tovagliolo. “Lucy deve studiare; non capisco perché tu ed Edmund dobbiate sempre stare a ribadire che lei non ha un lavoro e non sostiene economicamente la nostra famiglia”, le rispose lui, senza guardarla. Odiava trattare quell'argomento, lo rendeva nervoso e sembrava quasi che i fratelli cercassero di darle la colpa del loro fallimento.

“Non capisco perché tu debba sempre difenderla a spada tratta”, gli rispose lei, a tono. “Guarda che Lucy non è più una bambina e se vuole studiare deve farlo con le sue forze”, spiegò, cercando di ottenere un contatto visivo con l'altro.

“Io voglio molto bene a Lucy, ma deve capire che noi non possiamo...”

“Devo capire che voi non ve lo potete permettere”, continuò Lucy, al posto suo, dirigendosi velocemente ai fornelli per controllare la cottura della loro cena.

“Io quei soldi non li ho chiesti a nessuno di voi, ma li ho ottenuti grazie al mio rendimento scolastico degli anni passati”, spiegò lei ai due fratelli. Peter sembrava molto interessato alle ultime notizie che riguardavano il progetto di espansione della metropolitana londinese.

Susan sbuffò, poco prima di alzarsi in piedi e togliere la pentola dal fuoco.

“Vai a chiamare Edmund”.

 

Lucy si precipitò alla porta della stanza del fratello, aprendola senza bussare.

Lui le dava le spalle ed era occupato a chiudere dei cassetti. “Non hai mai perso il vizio di violare la privacy altrui, Lucy”, la rimproverò scherzosamente, voltandosi verso di lei e sorridendole.

Lei ignorò il suo sorriso, mentre la voce di Susan le ronzava ancora in testa.

“Vieni a mangiare”, disse solamente, prima di uscire e richiudere la porta dietro di sé.

La povertà causa molti problemi, ed uno di questi è sicuramente l'assenza di dialogo, di comunicazione.

Chi ne soffriva di più era proprio Edmund, che sentiva una forte mancanza anche della sola idea di una famiglia normale.

Edmund era stato lasciato solo troppe volte e si era perso.

 

***

Stava fermo davanti all'ingresso del pub, con gli occhi vuoti ed una triste consapevolezza annidata in fondo alla sua anima. Nelle tasche della giacca aveva accuratamente riposto del denaro, molto, forse più di quanto ne aveva.

Sicuramente quella che stava per utilizzare era una cifra che non avrebbe rivisto tanto presto.

Si chiese, portando gli occhi al cielo per l'ultima volta prima di entrare nel locale, se ci fosse un modo per uscire dal circolo distruttivo in cui era entrato con le proprie gambe.

Abbassandoli, Edmund si disse che probabilmente, per lui, non c'erano speranze. 

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Capitolo 2
*** La promessa ***


Il cacciatore di lupi bianchi

II
La promessa

Spinse la porta massiccia verso l'interno, e le luci soffuse provenienti dalle candele sparse qua e là nel locale gli diedero il benvenuto.

L'intero posto era immerso in un'atmosfera quasi soprannaturale : era molto affollato, eppure il silenzio che vi regnava stava a sottolineare quanto le persone che lo frequentavano si trattassero come estranei, nonostante passassero gran parte delle loro serate lì dentro, insieme. Insieme, quelle persone si trascinavano all'inferno, giorno dopo giorno, ora dopo ora, e non facevano nulla per cambiare la situazione.

Un odore di cannella aleggiava nella sala principale, dove erano disposti quattro tavolini rotondi, ognuno dei quali ospitava tre o quattro persone intente a giocare a carte.

Edmund per poco non starnutì, infastidito come non mai da quel forte, speziato odore. Si fece strada tra la folla verso la sala numero 4.

Quella era la stanza che aveva condotto Edmund alla rovina economica, pochi mesi prima. Aveva iniziato a giocare a poker per scherzo, trascinato in quel locale da un suo amico che voleva animare la serata con qualcosa di diverso; non c'era e non ci sarebbe stata altra persona al mondo che il giovane Pevensie avrebbe maledetto quanto aveva fatto con Joshua, colui che gli aveva fatto conoscere per la prima volta il male. Non un male normale, ma quello da cui l'essere umano può prendere le distanze, ma non ce la fa.

Rifiuta perché è debole. E così debole era anche lui; aveva creduto di potersi arricchire, di poter dare un aiuto a quanto restava della sua famiglia, di poter essere accettato, almeno un po', da Peter.

Il mondo cambia, con il passare del tempo, e così anche le persone. Tutto attorno ad Edmund era cambiato, ed un'importante fase della sua vita si era conclusa poco più di un anno prima quando, attorno alla solita tavola poco imbandita, i quattro fratelli si erano presi per mano.

Ricordava ancora dove era seduto: alla sua destra c'era Peter, seguito da Lucy, che stringeva la mano di Susan, che stringeva la sua mano. Avevano formato un cerchio, sigillando un patto di sangue di cui in seguito si era pentito: aveva accettato che la parte più bella della sua vita diventasse un tabù.

 

Siamo tutti d'accordo, allora”, aveva mormorato Susan con lo sguardo fisso fuori dalla finestra. Edmund guardò nella sua stessa direzione e scorse una donna dalla lunga gonna raccogliere delle erbacce.

Non osavano guardarsi negli occhi per paura di cedere, di perdere la forza di volontà necessaria per compiere quel gesto. Confinata in quelle quattro mura, la loro vita aveva assunto un significato diverso da quello che aveva sempre avuto; il cambiamento sarebbe stato reso ufficiale di lì a pochi minuti.

Io non l'ho mai deciso”, disse all'improvviso Lucy, contrariata. Gli occhi di Peter le bruciavano addosso, e una sua mano le si posò sulla spalla destra.

Sorrise benevolo, ed Edmund fu sicuro di non aver mai visto un sorriso più falso di quello dipinto sul volto di suo fratello.

Siamo cresciuti, Lucy”, le aveva risposto poi, scrollando le spalle.

Lei si era liberata dal suo tocco, lasciando perdere la gentilezza che solitamente la caratterizzava. “Questo non conta”, aveva replicato con una punta di nervosismo.

Quello che volete fare è cancellare una parte fondamentale delle nostre vite”.

Spazientita, la più giovane dei Pevensie provò ad alzarsi ed abbandonare il tavolo, ma fu chiamata da Susan, che la invitò a sedersi nuovamente.

La maggiore parlò. “Stai fraintendendo quella che è la nostra intenzione”, disse, rivolta a sua sorella. “Noi non vogliamo dimenticare. Pur volendolo, sarebbe impossibile”.

Edmund se ne stava in silenzio con aria assorta. L'unica cosa che desiderava era che quel momento finisse presto. Non si stava sottomettendo al volere di Peter e Susan, che, contrariamente a quanto Lucy credesse, non li trattavano da bambini e neppure tentavano di prendere in mano la situazione più di quanto fosse necessario. Volevano solo che i loro fratelli stessero bene.

E allora perché volete che facciamo questo? Perché? In quale modo credete che possa aiutarci?” chiese a quel punto la più piccola, e in quel momento le sue guance si colorarono di rosso.

Peter sospirò. “Non possiamo tornare a Narnia, siamo adulti ormai, che vi piaccia o no”, spiegò ai suoi fratelli. “Quello che dobbiamo prometterci è che non proveremo neppure a trovare un modo per andarci, ammesso e non concesso che ce ne sia uno”, terminò di dire, passandosi la lingua sulle labbra secche. Cercò un consenso negli occhi dei suoi familiari. Lucy non lo guardava, esattamente come Edmund. Susan era titubante, chiunque se ne sarebbe accorto, ma sosteneva che un passo del genere fosse assolutamente necessario.

Il maggiore si rivolse al fratello: “Ed? Hai qualcosa in contrario a quello che abbiamo intenzione di fare?”. Questi alzò lo sguardo, incontrando quello di Peter solo per un breve istante.

Scosse la testa. “Tanto comunque non potremmo tornarci”, aveva commentato passivamente, guardandosi le unghie con aria distratta.

Io non ci sto”, aveva obiettato ancora Lucy. Questa volta, Edmund posò i suoi occhi su di lei e provò affetto per quegli atteggiamenti bambineschi che sua sorella non aveva ancora abbandonato.

Lucy, prova a capire-”

Perché non provi tu a capire, Susan? Perché devo essere sempre io quella che non capisce? Perché vi divertite così tanto a trattarmi come una stupida bambina?!”urlò, rivolta all'altra, che ammutolì.

 

Alcune persone si coprivano il volto, nella sala numero quattro. Temevano di essere riconosciute, avevano paura che il loro onore potesse essere messo a repentaglio per colpa di uno stupido vizio.

L'intera stanza era piena di fumo, e l'unico rumore percepibile era quello delle carte che venivano disposte sul tavolo, accompagnate occasionalmente dalle urla dei giocatori che esultavano quando riuscivano a farsi delle mani.

Una cameriera gli passò accanto e gli fece l'occhiolino, ed Edmund fu sicuro di averla vista sbottonarsi la camicia per mettere in bella mostra il suo seno sodo.

Lui le sorrise distrattamente, prima di dirigersi verso il tavolo dove era solito giocare. Le carte francesi erano disposte sul tavolo, e i ragazzi seduti attorno ad esso sghignazzarono alla sua vista.

“Hey, guardate, è Pevensie!”, urlò uno di loro, visibilmente ubriaco. Edmund abbozzò un sorriso.

“Martin, come va?”, gli chiese lui, mentre prendeva posto su una sedia di legno dalle gambe un po' traballanti. Quello distese le labbra in un sorriso abbastanza raccapricciante.

“Sei venuto a perdere di nuovo, moccioso?” gli chiese un signore ben piazzato, sulla sessantina, che tutti al locale chiamavano zio Mike.

La cameriera giunse al tavolo prima che Edmund potesse rispondere alla provocazione dell'uomo. Stringeva tra le mani un taccuino dalle pagine ingiallite e stropicciate. “Allora, che prendete? Non ho tutta la sera”, sbuffò annoiata nel vedere che i clienti la ignoravano, troppo concentrati per sollevare lo sguardo dalle carte da gioco; alla fine, tutti ordinarono delle birre.

Ci furono alcuni istanzi di profondo silenzio, in cui vennero mischiate e distribuite le carte. Dopo che furono date a tutti, Edmund le posò sul tavolo, coperte, come tutti gli altri giocatori.

“Cosa c'è in ballo, stasera?” chiese Mike, mettendo sulla tavola di legno una mazzetta di banconote. Così fecero gli altri, seguiti da Edmund, a cui si contorse lo stomaco per l'ansia. Finiti quei soldi, non gli sarebbe rimasto più nulla in tasca per giorni.

Ma poteva vincere. Valeva la pena rischiare.

La donna tornò al tavolo con le birre, ed il giovane Pevensie si fermò ad osservare la propria bottiglia.

Il vetro lo ipnotizzava. Aveva rappresentato il sigillo della loro promessa...

 

Non è questione di essere bambini, Lucy. Tu non sei una bambina, e nessuno di noi lo è”, le disse Peter. “Nessuno di noi ha intenzione di insinuare una cosa del genere”, aggiunse poi, come a volerla tranquillizzare.

E' necessario che lo facciamo. Voglio che ognuno di noi prometta che non proverà mai più a fare ritorno a Narnia”, ammise con uno sbuffo.

La più piccola aggrottò le sopracciglia ancora una volta, ma poi, dopo istanti di profonda titubanza, acconsentì alla richiesta dei fratelli.

Tese le proprie mani, porgendole a Susan e a Peter, che la imitarono e porsero le proprie ad Edmund. Al ragazzo mancò il fiato e per un momento ebbe un giramento di testa; stava davvero per farlo?

Scacciò i pensieri negativi e chiuse gli occhi, porgendo le mani a Susan e Peter.

Ora i quattro formavano un cerchio compatto. Le mani di ognuno di loro erano incastrate in quelle degli altri, e il silenzio che piombò nella cucina spoglia fu assordante.

A romperlo ci pensò Susan, che si alzò dalla sedia sotto gli sguardi curiosi di tutti gli altri. “Aspettate un momento”, disse. “Una promessa non può essere considerata tale se non è segnata da qualcosa, no?”, chiese agli altri, che le regalarono, in risposta, delle occhiate confuse. Lei sorrise enigmatica, prima di sparire dietro il muro sottile che divideva un piccolo angolo cottura dal resto della stanza.

Un rumore di vetri rotti rimbombò nella sala da pranzo, e all'improvviso seppero cosa dovevano fare.

Secondo le antiche tribù aborigine, nessun patto può essere considerato davvero valido se non è segnato dal sangue...”

 

“Pevensie, è il tuo turno”, gracchiò una voce dall'altra parte del tavolo. “Il dado è stato tratto e tocca a te per primo”.

Imprecando mentalmente, il ragazzo non ebbe scelta.

Il dado era stato tratto, già.

E sarebbe accaduto ancora.

-

 

Freddo, solitudine, fame. Non una vera e propria fame, ma un bisogno che non poteva essere soddisfatto in alcun modo. Aveva superato il limite da tempo e aveva imparato che non avrebbe mai potuto salvarsi da solo, ma non avrebbe mai chiesto aiuto a nessuno. Edmund Pevensie non era un debole.

La strada era deserta, e riusciva a scorgere il fumo emesso dalle macchine donare un colore alla nebbia già presente.

Un cane ridotto in pelle ed ossa attraversò la via, diventando il compagno di viaggio del ragazzo. Camminò accanto a lui senza mai fermarsi, svoltando poco prima che il giovane Pevensie fu giunto a casa sua.

Non sapeva che ora fosse, ma era certo che non gli importava; era grande e responsabile e, qualora Peter o Susan avessero provato a fargli la paternale, avrebbe finto di non sentirli.

Ignorare i fratelli sembrava uno degli hobby preferiti dal ragazzo nell'ultimo periodo, solo che non lo faceva di proposito.

Infilò la chiave nella serratura, barcollando leggermente; non aveva bevuto molto quella sera ma, siccome non era per niente abituato all'alcol, non gli ci era voluto molto prima di iniziare a sentire girare tutto ciò che lo circondava.

Aprì la porta che lo portò nel piccolo ingresso. Tutte le luci erano spente; Peter, Susan e Lucy dovevano essere a letto.

Si recò in cucina, desideroso come non mai di un bicchiere d'acqua fresca. Aprì il frigorifero, estraendo una bottiglia di vetro verde e subito dopo si recò a prendere un bicchiere.

Dopo averlo riempito, lo portò alle labbra.

“Dove sei stato?”

La dolce, sottile voce di Lucy giunse alle sue orecchie. Si ritrasse spaventato, a primo impatto, poiché non aveva scorto la ragazza nell'oscurità della stanza.

Subito dopo si voltò verso di lei, scorgendo il suo viso pallido illuminato da un debole riflesso lunare.

“Non credo ti riguardi”, le rispose lui e subito dopo scrollò le spalle in un gesto abituale. Contrariamente a quanto si aspettava, lei non se ne andò e rimase lì a fissarlo con sguardo indagatore.

“Pensi davvero che non riguardi me? Che non riguardi tutti noi?” gli chiese lei, retoricamente. L'altro sgranò leggermente gli occhi.

Finse un'aria indifferente e si portò nuovamente il bicchiere alle labbra, sorseggiando ancora dell'acqua fresca. “Di cosa stai parlando?”

Lei andò a chiudere la porta della cucina, per evitare che i maggiori ascoltassero la loro conversazione; ci teneva che fosse privata.

“So molte cose di te che probabilmente non sai neanche tu”, gli rispose, enigmatica.

Attraverso la fioca luce che la luna proiettava all'interno della piccola stanza, Edmund scorse un cipiglio preoccupato sul volto di sua sorella.

Non ricevendo alcuna risposta, lei continuò a parlare. “Sei mio fratello, Edmund, e sei più simile a me di quanto lo siano Susan e Peter”, disse, parlando così a bassa voce che l'altro dovette concentrarsi per poter udire quello che diceva.

Edmund credette di essere stato scoperto, ed ebbe davvero paura che un momento poco piacevole stesse per arrivare.

Per quanto lo negasse, il giudizio dei fratelli era qualcosa a cui lui dava molta importanza ed essere giudicato da loro in maniera negativa era un'idea che lo spaventava.

Dopo alcuni attimi di silenzio, lui parlò. “Siamo solo fratelli”, iniziò,“Non puoi leggermi la mente, Lucy”.

Lei rispose alla provocazione. “Questo purtroppo non posso farlo”, sibilò, guardandolo in modo torvo, “ma per tua sfortuna riesco ancora a vederti uscire di casa e tornare così tardi quasi ogni notte”, continuò.

Si diresse poi verso il centro della stanza, sedendosi su una sedia, mentre Edmund rimase a guardarla. Gli girava la testa e aveva bisogno di mettersi a letto.

“Io me ne vado a dormire, non c'è davvero niente di cui dovremmo parlare”, le disse lui, nell'esatto momento in cui la sorella si accingeva ad accendere il piccolo lume posato sul tavolo.

Sentì che lei gli afferrò il polso, stringendoglielo senza fargli male.

“Vorrei solo che tu sapessi che in questa casa si è diffusa l'idea che i soldi mancano perché io li sto usando per studiare all'università”, sussurrò, “ma io posso frequentare l'università grazie ad una borsa di studio, e tu lo sai fin troppo bene... solo che non vuoi mai dire la verità davanti a Peter e Susan”.

“Senti, Lucy”, la interruppe lui, innervosito dal suo modo di fare. “Quello che faccio è un problema mio, e non vedo come possa c'entrare con te o con gli altri in qualche modo”

“Edmund, ti stai rovinando! È questo il tuo modo di risolvere i problemi? L'alcol? O qualcosa di cui non sono, per fortuna, a conoscenza?”

Lucy stava visibilmente delirando. La sua espressione si era indurita e ora non si preoccupava più di controllare il tono di voce.

Suo fratello l'aveva delusa e la stava mettendo contro Susan e Peter, e lei si sentiva terribilmente impotente.

Lui le si avvicinò e la fulminò con lo sguardo.

“Io non bevo e non sto rovinando la mia vita in nessun modo, né sto cercando di rovinare la tua” sussurrò, prima di uscire dalla stanza.

Lucy rimase a fissare il vuoto davanti a sé, finché l'orologiò a cucù le suggerì che era giunta l'ora di andare a letto.

Un altro giorno stava morendo.

 

-

 

“Finalmente potremo andarcene da questo tugurio!”

Peter fece il suo ingresso in cucina all'ora di pranzo, dopo aver finito il turno mattutino in ufficio.

Era stanco e provato dal lavoro che aveva dovuto svolgere nelle ultime settimane, ma in quel momento, nonostante tutto, riuscì a sorridere.

Susan e Lucy chiacchieravano mentre apparecchiavano la tavola e finivano di preparare il pasto, e si voltarono verso di lui incuriosite.

“Che succede, Peter?” gli chiese Susan, che lasciò perdere momentaneamente le faccende domestiche per prestargli ascolto.

Anche la più piccola smise di apparecchiare e gli sorrise debolmente.

“Ho ottenuto una promozione! Il lavoro che la mia squadra ha svolto ci ha fatto guadagnare un aumento permanente dello stipendio!” esclamò felicemente, prima di andare da Lucy e prenderla in braccio. La fece volteggiare in aria e risero insieme, ad alta voce, come non facevano da tempo.

Susan si unì alle loro risa e, quando Peter ebbe lasciato andare la più piccola, lo abbracciò a sua volta.

“Ma è meraviglioso!” gli disse lei,e gli arruffò i capelli.

Peter si sedette a tavola, invitando le sorelle a fare lo stesso. “La costruzione del nuovo ospedale pediatrico è stata la più rapida degli ultimi vent'anni, a Londra”, spiegò loro, fiero. “E la ditta con cui lavoro è stata elogiata anche sui giornali! Credo che potrò guadagnare abbastanza e ci potremo permettere un appartamento un po' più grande, se unisco i miei soldi a quelli di Susan ed Edmund, ovviamente”, terminò con un sorriso. Poi si rivolse a Lucy:

“Non ti stresserò mai più per l'università, Lu”, le disse, allegro.

Lei sorrise di rimando, mentre nel suo animo si facevano strada una serie di sentimenti e pensieri negativi.

I soldi di Edmund non sarebbero finiti insieme a quelli di Peter e loro non avrebbero mai lasciato quel posto, a meno che lei non avesse iniziato a lavorare.

Non sapeva cosa facesse suo fratello, ma era certa che non fosse nulla di buono. Tornava tardi ogni notte e non partecipava mai alla vita quotidiana della famiglia; era totalmente disinteressato e lei era molto preoccupata per lui, ma Edmund rifiutava ogni tipo di aiuto da chiunque.

“Stasera c'è una festa in un ristorante, completamente offerta dalla ditta”, annunciò alle sorelle, versandosi un bicchiere d'acqua.

“Vado a dirlo ad Ed” disse, e si alzò dalla sedia, prima che Lucy lo chiamasse.

“Edmund non è ancora tornato; lo avviseremo quando viene”, lo informò lei.

Dopo alcuni minuti in cui parlarono della promozione di Peter, si sedettero a mangiare, mentre il pranzo di Edmund si raffreddava lentamente all'interno della pentola stessa.

 

-

 

Alla fine Edmund l'aveva saputo. Si era vestito il più elegantemente possibile ed aveva combattuto contro la voglia di dire a suo fratello che anche quella sera aveva da fare.

Erano arrivati al ristorante mezz'ora prima, e lui era uscito in giardino per una breve pausa. In realtà, era uscito perché non riusciva a sopportare la tensione creatasi tra lui e Lucy dopo il battibecco della sera precedente.

Era deciso a scusarsi; voleva molto bene a sua sorella e si era comportato male. Non voleva che sapessero quello che faceva, anche se credeva che avessero capito, per lo meno in generale, il modo in cui i suoi soldi scomparivano così velocemente. L'unica ad aver trattato l'argomento con lui era la più piccola.

Se ne vergognava terribilmente, ma ormai era dentro un circolo vizioso e sapeva di aver bisogno d'aiuto. Se solo avesse avuto qualcuno con cui confidarsi, l'avrebbe fatto.

Stava per entrare all'interno della sala quando qualcuno lo chiamò.

“Pevensie!”

Si voltò inorridito e scorse il suo incubo peggiore materializzarsi davanti a sé.

Marlon camminava verso di lui con aria di sfida, sghignazzando.

“Che ci fai qui?”, gli chiese Edmund, sentendo il panico assalirlo.

“Fossi in te non sarei così aggressivo nei confronti di una persona con la quale ho un grande debito”, gli rispose, pungente. Lo fronteggiò, guardandolo con sprezzo.

“Hai i miei soldi?” gli chiese a bassa voce, senza distogliere lo sguardo dall'altro. Edmund scosse la testa. “Avevamo detto tre giorni... ne sono passati solo due”

Marlon lo ingnorò e fece per entrare nel ristorante, quando il ragazzo lo fermò per chiedergli dove stesse andando.

“Mio fratello lavora con il tuo, Pevensie, e anche io sono stato invitato a questa cena”, lo informò con tono infastidito.

Ancora una volta, Edmund fu sciocco.

Ancora una volta lasciò perdere e finse che tutta quella situazione non lo riguardasse.

Se solo avesse saputo quello che Marlon avrebbe fatto da lì a poche ore, avrebbe fatto di tutto per impedirgli di entrare. Ma il dono della perspicacia non è scontato, ed Edmund non si accorse di nulla, mentre, una volta dentro, lo sguardo malvagio dell'uomo bruciava sulle spalle scoperte di sua sorella Lucy. 

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Capitolo 3
*** Venduta ***


Buongiorno a tutti! 
Inizio col chiedere scusa alle persone che hanno iniziato a seguire questa storia che è stata interrotta dopo soli due capitoli. Le cause sono state troppe, ma il motivo principale per cui ho deciso di "uscire temporaneamente di scena" è stato un grave problema di salute.
Non nego di aver approfittato del fatto di non avere molti lettori a cui sarebbe dispiaciuto, e così l'attesa è diventata troppo lunga. Vi chiedo mille volte scusa. 
Spero che possiate apprezzare questo capitolo e mi impegno a postare con costanza, soprattutto se ci dovessero essere un po' di persone interessate a questa fanfiction.
In questo capitolo sono presenti scene di violenza. 

Il cacciatore di lupi bianchi

III 
Venduta

 

La vita era andata via da quel posto. Silenziosa, furtiva ed intelligente : aveva semplicemente abbandonato quei campi, quelle terre che un tempo conosceva.

Tutto intorno a lei taceva, a parte il cavallo che, sofferente, cercava di riprendere fiato e lei, che si rompeva sempre di più, man mano che avanzava con il suo compagno di viaggio.

Non si voltò a guardare dietro di sé, non una sola volta : una vita di insicurezze non era quello che le serviva.

Doveva, piuttosto, cercare di capire cosa fosse successo e dove, esattamente, si trovasse.

Il suo cuore faceva rumore, forse troppo per quanto potesse esattamente sopportare. Spronò l'animale a muoversi con poca premura, senza curarsene più di tanto: fiutava il pericolo, fiutava il male, la morte. Se figurata o letterale, questo Lucy non lo poteva sapere.

Effettivamente non era sicura che potesse succederle qualcosa di peggiore di quello da cui era fuggita, ma credeva che sarebbe tranquillamente potuto accadere.

L'uomo dissemina dolore ovunque passa e si porta via tutto.

Il giorno moriva e le sabbie che la circondavano si accingevano ad annunciarle quella che sarebbe stata la più silenziosa delle notti mai vissute. La più solitaria delle notti.

Il cavallo si fermò, improvvisamente, e sembrò non avere alcuna intenzione di proseguire nella sua avanzata. Lucy scese dal suo dorso, donandogli una carezza distratta sul muso.

“Okay, fermiamoci qui”, sussurrò, rivolta più a sé stessa che all'animale. Voleva sentirsi viva.

Si sfilò la borsa a tracolla che ancora indossava da quel pomeriggio. Si sedette sulla sabbia con le gambe incrociate ed aprì la borsa di cuoio, l'unica cosa che aveva con sé.

Sorrise amaramente nel notare il contenuto: una penna stilografica ed un blocchetto di fogli.

Le sarebbero serviti ben poco nel posto in cui si trovava, pensò con desolazione. Un moto di angoscia la scosse con violenza, mentre nella sua mente sentiva ancora una volta il rumore dello sparo udito poche ore prima, in lontananza.

Quanto lontana era da quegli uomini? Erano uomini? Poteva definirli così?

Aveva troppe domande che le ronzavano nella mente, e queste erano accompagnate da ben poche risposte.

Alzò gli occhi al cielo, illuminato da poche, fioche stelle e si assopì, donando un'ultima occhiata al cavallo.

“Che la vita sia con te, amico mio”, gli sussurrò, chiudendo gli occhi. “Ancora per molto”.

 

-

 

Tre giorni prima

 

 

La sala era piena di persone d'ogni genere, e Lucy contò, ad occhio e croce, un centinaio di presenti.

Il ristorante era stato decorato apposta per l'occasione e c'erano degli striscioni di auguri appesi qua e là sulle pareti, insieme a ritagli degli articoli di giornale dedicati al successo della ditta con cui Peter lavorava.

C'erano cinque tavolate, ognuna delle quali aveva venti sedie per gli ospiti; gli impiegati che avrebbero ricevuto il premio quella stessa sera erano dieci.

Lei si diresse con Susan verso il posto che era stato loro assegnato, e iniziò a riporre i suoi effetti personali su una sedia.

Poi la sorella maggiore si voltò a guardarla e le sorrise.

“Credi che si ballerà, questa sera?” le chiese con aria divertita. Lucy rispose al sorriso con dolcezza. “Be', spero di sì... spero anche che ci sia qualcuno di interessante!”, le disse lei, ridendo civettuola.

Susan le diede una gomitata nel fianco, e, mentre scherzavano, Edmund entrò nel locale a sua volta e si diresse verso di loro.

Lucy lo guardò e distolse subito lo sguardo, lasciando che il sorriso sincero che era stato stampato sul suo viso fino a quel momento scomparisse.

Suo fratello se ne accorse e, con uno stupido senso di colpa annidato nello stomaco, decise che si sarebbe occupato della situazione in un secondo momento.

“Come sei elegante, Ed!” esclamò la maggiore, accarezzando i capelli corvini dell'altro che si sforzò di sorridere nonostante il leggero fastidio che provava in quel momento.

Edmund Pevensie non sopportava che gli altri lo toccassero, e questo non dipendeva dalla persona: semplicemente le mani addosso, di chiunque fossero, gli davano molto fastidio.

“Ogni tanto si può fare, no?” le rispose e poi la guardò. “Hai visto la figlia di Steve? È diventata proprio una bella ragazza!”, esclamò poi.

Ad interrompere la loro conversazione fu Peter, che comparve all'improvviso e posò le braccia attorno alle spalle di entrambe le sorelle.

“Allora, che ve ne pare?” chiese loro, mentre un sorriso sincero gli si disegnava sul volto. Edmund estrasse un fazzoletto dal taschino della camicia e se lo passò sulle labbra, senza un reale motivo. Era nervoso.

“Credo di aver visto qualcuno che conosco”, disse Lucy, allontanandosi leggermente da Peter per poter guardare meglio in direzione dell'ingresso principale. “Ti spiace se vado a parlarci?”

“Perché dovrei avere qualcosa in contrario?”, le chiese lui, un po' stupito. Lucy rise leggermente, mentre si avviava. “Non vorrei farti fare brutte figure con i tuoi superiori, tutto qui”, spiegò, prima di sparire nella folla.

Susan sospirò e si sfilò il cappotto, posandolo sullo schienale della sedia. Peter non faceva altro che aggiustarsi nervosamente il colletto della camicia, mentre Edmund... be', Edmund era assorto nei suoi pensieri come al solito.

Il fratello maggiore gli si avvicinò ed iniziò a parlare a bassa voce. “Dopo parlerò con il mio capo, Ed. Se mi sembra entusiasta e davvero convinto di questa promozione, potrò chiedergli di assumerti”, sussurrò all'orecchio del fratello, sperando che nessuno lo sentisse.

Quello si voltò, sorpreso, ed incatenò il proprio sguardo a quello del fratello.

“Quello che mi serve non è una raccomandazione”, gli rispose con tono brusco. “Un lavoro io ce l'ho già, per quanto tu e Susan lo ripudiate”, continuò ed interruppe il contatto visivo.

Peter si mosse nervosamente, allontanandosi dall'altro. “Io credo che tu non capisca. Non porti abbastanza soldi a casa, e lo sai che ci servono. Forse dovresti cambiare lavoro”

“O forse dovresti lasciar perdere, Peter. Non starò con voi per molto tempo ancora”, gli rispose bruscamente, prima di voltargli le spalle ed incamminarsi verso l'entrata della sala adiacente. Non sapeva chi vi avrebbe trovato : l'unica cosa che voleva in quel momento era che suo fratello lo lasciasse in pace.

 

 

Lucy spinse la porta di legno che l'avrebbe condotta nel piccolo bagno a disposizione dei clienti. Si recò davanti allo specchio, osservò il suo riflesso e sorrise debolmente, sollevando i suoi capelli e portandoli tutti da un lato.

C'era un ragazzo che le interessava nel locale, e Lucy, per la prima volta nella sua vita, voleva piacere a qualcuno, e non per le sue doti da studentessa o per il suo carattere.

Per la prima volta, Lucy voleva essere ricordata come una bella ragazza.

Si sciacquò il viso, adorando la sensazione di freschezza che l'acqua regalò alla sua pelle e si voltò, sentendo la maniglia muoversi. Era suo fratello Edmund.

Lui le sorrise e le si avvicinò, mentre lei si rigirava e tornava a fissarsi nello specchio, decisa a non parlargli.

Il ragazzo sospirò.

“Lucy, mi dispiace di essere stato scortese con te, io non volevo risponderti così”, le disse, cercando di scorgere una qualsiasi emozione sul suo viso, ma lei sembrava distante. Sembrava più che intenzionata a non rivolgergli la parola; infatti, lo evitò, fingendo di non averlo visto ed uscì dal piccolo bagno.

Per la prima volta nella sua vita, Lucy era stanca di dover rincorrere e capire suo fratello senza mai ricevere niente in cambio.

 

-

 

“Ringrazio tutti voi per essere venuti e per aver deciso di prendere parte a questo giorno così importante per me”, disse Peter al microfono.

Edmund lo guardò, ma non sembrò prestare molta attenzione alle sue parole; era più impegnato a guardare il calice di vino che stringeva con il medio e l'anulare della mano destra.

Quello era il quarto bicchiere che beveva dall'inizio della giornata e sentiva che tutto il peso dei problemi che avevano gravato su di sé fino a quel momento lo stava abbandonando. Si sentiva più leggero, più felice, meno pensieroso.

Di fronte a sé, Susan guardava il fratello maggiore con occhi sognanti, ammiratori e, soprattutto, grati.

Il fatto che la famiglia sarebbe andata al catafascio senza Peter lo sapevano tutti, ed Edmund si chiese come mai sua sorella non avesse ancora provato, quel giorno, a dirgli di essere come lui.

Il giorno seguente, come da accordo, Edmund avrebbe dovuto estinguere il debito che aveva nei confronti di Marlon, ma era alquanto inutile specificare che non ci sarebbe riuscito.

Non aveva quei soldi e non sapeva quando li avrebbe avuti, e conservava la speranza di poter rimandare all'infinito il momento in cui avrebbe dovuto darli all'uomo; non sapeva, però, che il tempo a sua disposizione stava per scadere.

Lasciò il bicchiere sul tavolo, si asciugò le labbra con un tovagliolo e si rivolse a Susan. “Io vado via”, le sussurrò, “domattina devo andare a lavorare molto presto”.

Cercò di ignorare lo sguardo di rimprovero sul viso della ragazza e si alzò.

Si guardò attorno in cerca della sorella minore e la vide ridere di gusto con un ragazzo.

Sospirò: almeno non avrebbe dovuto affrontare un altro dei suoi problemi.

 

-

 

Lucy aveva deciso di andare a prendere una boccata d'aria ed era uscita nello spazio aperto che circondava il ristorante in cui avevano pranzato.

Era buio ormai, ma non era ancora il momento di andare: in quel momento si stavano svolgendo le ultime premiazioni e Peter aveva detto loro che ci sarebbe voluta almeno un'ora prima della fine effettiva della cerimonia.

Passeggiò per alcuni minuti, sentendo il terriccio e i sassolini fare rumore sotto i suoi piedi. Osservò il cielo, le piante e gli alberi, e stava per dirigersi verso l'entrata principale della sala quando qualcuno la afferrò.

Una mano premette sulle sue labbra, mentre un'altra la afferrò dai fianchi : in pochi secondi si sentì sollevare e i suoi piedi persero il contatto con il terreno.

Provò ad urlare ma la sua voce fu soffocata. I battiti del suo cuore accelerarono e, dopo pochi attimi, le sue guance furono segnate dalle lacrime.

Aveva paura, una paura matta; si sentiva impotente come mai prima d'allora.

Si agitò tra le braccia di quello che sarebbe diventato il suo aguzzino di cui non conosceva l'identità; la vista le si annebbiò e fu trascinata via.

“Ora tu stai zitta, Pevensie”, le intimò la voce maschile all'orecchio, ed il suo cuore sembrò perdere un battito.

Lei singhiozzò e, senza pensarci due volte, provò a mordere la mano all'uomo. O almeno, a quello che lei credeva essere un uomo.

Quest'ultimo gemette e non perse tempo : colpì la ragazza sul viso, con uno schiaffo talmente forte da farle girare la testa.

Lucy rimase in silenzio, mentre gli occhi le si annacquavano, se possibile, ancora di più : se prima aveva avuto paura, in quel momento il terrore la pietrificava da capo a piedi.

L'aguzzino la trascinò in mezzo agli alberi, in mezzo a quegli alberi che, pochi istanti prima, la ragazza aveva guardato con occhi sognanti. In quel posto, però, avrebbe avuto luogo quella che sarebbe probabilmente stata l'esperienza più traumatica della vita della giovane Pevensie.

Fu poggiata malamente sul terreno, quasi lanciata. Aprì la bocca nuovamente, ma l'uomo fu più veloce di lei : le strinse una mano intorno alla gola e fece aderire la sua schiena contro il tronco di un albero.

Si accovacciò davanti a lei e sorrise maligno. “Tu sei il prezzo da pagare”, le sussurrò, e lei prese ad annaspare. Non riusciva a capire.

“Non sai di cosa sto parlando? Se farai la brava avrai il tempo di sapere tutto”, continuò e, mentre gli occhi di lei si riempivano d'orrore, iniziò a sbottonarsi la camicia.

Se la tolse, mostrando il petto glabro, e lei ricominciò a piangere.

“Fai silenzio”, le disse ancora lui. Nel momento in cui allontanò la mano dal viso della ragazza, lei urlò.

“Peter! Susan! Edmund! Aiutatemi!”

Non fece mai errore più grande.

L'uomo la afferrò, la schiaffeggiò ancora una volta e le tirò i capelli. Accecato dall'ira, strappò via il vestito e l'intimo della ragazza, che ormai si dimenava senza sosta : aveva capito fin troppo bene cosa stava per succedere.

“Edmund!” gridò ancora una volta, l'ultima per quella sera, prima che il suo aguzzino decidesse di passare al livello successivo.

“Fossi in te non lo chiamerei”, le sussurrò, mentre le bloccava le gambe e lei singhiozzava disperata. “E' per colpa sua se in questo momento tu sei qui”.

Provò ad alzarsi, ma invano : l'uomo fu più forte di lei.

Dopo pochi secondi, le sue lacrime furono accompagnate dal sangue caldo che colava sulle sue cosce, mentre il cuore le si fermava in petto.

“Sei stata venduta, Pevensie. Venduta a me”, rise malvagio il suo aguzzino, che sembrava divertirsi molto davanti al dolore della ragazzina.

Ovviamente non era vero, ma lei non lo poteva sapere.

Dopo pochi secondi e troppo dolore, la gola che bruciava ed i sensi annebbiati, Lucy chiuse gli occhi e l'oscurità l'avvolse.

 

-

 


Se questo capitolo ti è piaciuto o ti ha colpito in qualche modo, ti chiedo di farmelo sapere : i consigli e i pareri delle altre persone aiutano a crescere
Grazie mille, caro lettore, se perderai qualche minuto del tuo prezioso tempo per scrivere due parole qui sotto e 
per motivarmi a non mollare questa storia!  

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Capitolo 4
*** Bianco ***


Il cacciatore di lupi bianchi

IV

Bianco

 

3 giorni prima

Susan si sistemò un leggero maglioncino di lino sulle spalle, mise a posto la sedia e si assicurò di aver preso tutto prima di avvicinarsi a Peter.

Lui era di spalle e stava parlando con un suo collega. Nella mano destra stringeva un bicchiere di spumante e, una volta arrivata davanti a lui, Susan vide che sorrideva.

La ragazza non sarebbe mai riuscita ad esprimere a parole la felicità che provava in quel momento e l'orgoglio che le riempiva il petto nel guardare suo fratello.

Li aveva salvati tutti dalla povertà, dalla fame e dalla disperazione : di questo, ovviamente, gli era estremamente grata.

Quando la vide, lui le sorrise appena e si rivolse al suo interlocutore.

“È stata una bella giornata, Josh”, gli disse, prima di porgergli la mano. Quello la strinse e ricambiò il sorriso, prima di voltarsi verso Susan e di fare un piccolo inchino davanti a lei.

La ragazza sorrise e non poté fare a meno di sentirsi un po' in imbarazzo : un tempo molta gente si era inchinata al suo cospetto, ma non perché indossava degli abiti carini come quella sera; l'avevano fatto perché era stata una regina.

La regina di un regno meraviglioso. Qualcosa le morì nel petto quando si ricordò che lei stessa aveva stabilito che nessuno dei Pevensie avrebbe dovuto anche solo portare la propria mente a Narnia; era un po' come se Susan si sentisse, in quel momento, la lama del coltello che si auto infligge delle ferite.

Scosse la testa e salutò il collega di Peter. “A presto, Josh. In bocca al lupo per la tua carriera!”, gli disse, e subito dopo lei e il fratello si avviarono verso l'uscita del ristorante.

“Cosa ne pensi?” le chiese lui, mentre spingeva la porta e lasciava che lei uscisse per prima. Susan abbozzò un sorriso.

“Penso che tu sia molto in gamba”, rispose e si voltò leggermente verso di lui, “E so fin troppo bene che ti piace sentirtelo dire”, aggiunse con un sorriso che lui ricambiò.

“Dov'è Lucy?”, chiese il maggiore, guardandosi attorno. Susan si liberò i capelli dall'elastico che aveva portato per tutta la giornata e si schiarì leggermente la voce.

“È uscita una mezz'oretta fa, credo abbia litigato di nuovo con Edmund”, rispose lei, riponendo l'elastico nella borsa.

Peter aggrottò le sopracciglia.

“Lucy? Dove sei?”, chiese ad alta voce, ma non riusciva a vedere sua sorella.

“Lucy?”, la chiamò a sua volta Susan, ma anche lei non ricevette alcuna risposta. I due si guardarono negli occhi per un breve istante, prima che Peter le desse le chiavi dell'auto di famiglia.

“Va' in macchina. Vado a cercare Lucy, potrebbe essere nel boschetto qua dietro”.

Susan non ebbe il tempo di rispondere perché lui aveva iniziato a dirigersi verso il retro del ristorante. Lei era stanca ed era certa che sua sorella stesse facendo una delle sue passeggiate e così aprì lo sportello dell'auto d'epoca che avevano e si sedette su un sedile in pelle.

Lasciò che la sua schiena aderisse perfettamente allo schienale e sospirò di piacere.

 

-

 

Edmund infilò le chiavi nella serratura ed aprì la porta di casa. Entrò nel piccolo ingresso e se la richiuse pesantemente alle spalle.

Sciolse il nodo della cravatta e se la sfilò, insieme alla camicia bianca che aveva scelto per la giornata appena trascorsa.

Era molto sudato e avrebbe approfittato dell'assenza momentanea dei suoi fratelli per farsi una doccia; nessuno aveva utilizzato la caldaia, e il ragazzo pensò che, almeno per quella sera, avrebbe avuto accesso ad un po' di acqua calda.

Si tolse le scarpe e i pantaloni e gettò quest'ultimi su una sedia, prima di entrare in bagno e regolare la temperatura dell'acqua tramite le manopole.

Si era già bagnato i capelli quando il telefono fisso squillò.

 

-

 

Peter rimase pietrificato da quello che vide.

Sembrava che i suoi piedi fossero incollati al terriccio e lui non riusciva a muoversi.

La schiena di Lucy era poggiata contro un albero e sembrava che questo la sostenesse completamente. Aveva il volto graffiato e singhiozzava in silenzio.

Si era pulita le gambe ed il poco sangue che c'era era andato completamente via, per cui il fratello non sapeva con esattezza cosa fosse successo.

Quello che sapeva era che sua sorella aveva bisogno di aiuto, subito.

“Lucy!” la chiamò e le si avvicinò correndo. Lei sollevò la testa e incatenò il proprio sguardo a quello del maggiore. Peter si inginocchiò e le mise un braccio dietro la schiena e uno sotto le ginocchia piegate.

In quel lasso di tempo, la ragazza non si mosse. Era terrorizzata, scioccata, completamente intontita.

“Cosa ti è successo?”, le chiese il fratello con voce preoccupata, mentre si avviava verso la macchina con Lucy raggomitolata fra le braccia. Lei nascose il viso nella sua spalla e riprese a singhiozzare, questa volta con più violenza.

“Oh mio Dio”, sussurrò il fratello con un tono di voce quasi disperato. Non appena ebbe svoltato l'angolo, vide Susan uscire di scatto dalla macchina e correre da loro.

Tutti i presenti alla festa li videro ed alcuni di loro si avvicinarono ai ragazzi.

Susan aveva lo sguardo fisso sul viso ferito di sua sorella e Peter non faceva altro che abbracciarla e cercare di riscaldarla.

“Cosa è successo a questa ragazza?”, chiese un signore anziano ed il ragazzo lo guardò con occhi pieni di terrore e gli disse che non lo sapeva.

“Qualcuno vada dentro a chiamare un'ambulanza, per favore!”, chiese Susan ai presenti alla festa, che, per fortuna, non se lo fecero ripetere due volte.

“Lucy, Lucy”, mormorò Peter, e le baciò la fronte mentre le lacrime iniziavano a solcare anche le sue guance.

 

-

 

Il telefono fisso squillò per tre volte prima che Edmund alzasse la cornetta e rispondesse.

“Pronto?”, disse, e fu colto dalla solita, strana sensazione che provava ogni volta che doveva parlare al telefono : gli sembrava quasi che parlasse da solo.

La voce dall'altra parte, però, lo riportò bruscamente alla realtà.

“Pevensie”, rispose l'altro, e ad Edmund venne la pelle d'oca. Sentiva che un peso invisibile aveva appena iniziato a schiacciargli il petto. Marlon.

Il suo incubo. “Ti ho detto che domani avrai-”, iniziò a dire, ma l'altro lo interruppe prontamente.

“Ti ho chiamato per dirti che non devi più darmi alcun soldo”, ribatté, ed il ragazzo rimase in silenzio per alcuni secondi. Era sicuro che ci fosse qualcosa sotto.

“I bei momenti passati con tua sorella possono bastare, per questa volta”, asserì con voce viscida.

Edmund per poco non si strozzò con la sua stessa saliva e sentì le tempie riscaldarsi improvvisamente. “Che cosa?”, quasi urlò, ma l'altro aveva già riagganciato.

Gli mancò il respiro e cercò, inutilmente, di mantenere la calma.

Lasciò cadere la cornetta nel vuoto e, prima di rendersene conto, era già uscito di casa.

 

-

 

Fuori pioveva. Quella che in quel momento veniva giù dal cielo sembrava una vera e propria cascata d'acqua, fitta e incontrollabile, che allagava le strade ed impediva alla gente di vedere nitidamente.

Edmund corse destreggiandosi fra le macchine, tentando di evitarne quante più poteva, ma era difficile.

Era terribilmente difficile.

Con una mano spostò la cortina di capelli che gli copriva il viso e che, a causa dell'acqua, gli si era attaccata alla fronte. Attraversò la strada e chiese scusa con lo sguardo ad un signore che, dopo aver frenato bruscamente, iniziò ad imprecare contro di lui.

Non c'era tempo.

Aveva sbagliato tutto, ancora una volta. Sapeva bene di cosa era capace Marlon ed era sicuramente al corrente di quanto fosse spregevole.

Il solo pensiero di quell'animale che si avvicinava a sua sorella riusciva a mandarlo in bestia.

Finalmente, dopo alcuni minuti, scorse un taxi, ed iniziò ad agitare le braccia nella speranza di essere visto. Per fortuna sembrò che le sue richieste, per una volta, venissero ascoltate.

“Dove la porto?”, gli chiese il tassista con voce roca.

“In ospedale”, rispose lui mentre si sfilava la giacca fradicia.

L'uomo seduto al posto del guidatore si girò a guardarlo con aria stralunata.

“Lei sa che siamo a Londra e che ci sono molti ospedali?”

Il ragazzo lo guardò in cagnesco.

“Mi porti a quello più vicino”, disse solamente, e l'auto ripartì.

Edmund rimase solo con se stesso.

 

-

 

Lucy aprì gli occhi ed osservò le pareti bianche che la circondavano. Era un ambiente asettico, molto diverso da quello che si sarebbe aspettata di trovare al suo risveglio.

L'odore di disinfettante e i rumori che sentiva erano riconducibili ad un solo luogo : l'ospedale. Sorrise amaramente nel vedere che era sola, sola come quando tutto aveva avuto inizio, sola come quando quell'uomo l'aveva trascinata tra gli alberi.

Sola come quando quell'uomo le aveva detto del tradimento di Edmund.

Si portò una mano al viso e percepì il fastidio dell'ago infilato nel suo braccio. Non poteva alzarsi né fare movimenti bruschi. La cosa più sensata da fare era rimanere buona lì, in attesa che almeno uno dei suoi fratelli si facesse vivo.

Molti minuti passarono prima che qualcuno bussasse alla porta.

Era lui. Edmund. Edmund, la persona che l'aveva inconsapevolmente gettata in quella terribile situazione, ora si trovava davanti a lei, zuppo e con gli occhi che parlavano.

Lucy sentì un groppo in gola che le impediva di respirare liberamente.

Dopo alcuni istanti in cui entrambi si guardarono lui le si avvicinò e si sedette su una sedia che si trovava accanto al letto.

Lei rimase a guardarlo in silenzio.

“Come... come ti senti?”, le chiese lui con tono fermo e lei alzò le spalle con un sorriso amareggiato dipinto in viso.

“Sola”, sussurrò lei semplicemente e la lacrima che da tempo minacciava di uscire trovò la propria strada sulla sua guancia. Edmund deglutì e distolse lo sguardo da sua sorella, puntandolo, subito dopo, sulle proprie mani.

Non sapeva cosa fare, cosa dire, come comportarsi davanti a sua sorella in lacrime per colpa sua. Lui non era stato in grado di pagare per i propri errori e qualcun altro aveva dovuto soffrire a causa sua.

Lucy, dal canto suo, non ci voleva credere. Sperava che lui dicesse qualcosa che avrebbe smentito le parole dell'uomo che sembravano, alle sue orecchie, esagerate.

Ma i minuti passarono e suo fratello non disse una parola.

“Io... mi dispiace, Lucy”, fu tutto ciò che disse, e fu in quel momento che lei capì.

Capì di non conoscere Edmund.

Capì che lui l'aveva veramente tradita come si può tradire solo un nemico e sicuramente non la persona con cui hai condiviso la tua intera vita.

“Allora è vero”, gli rispose, allontanandosi dall'altro nel vedere che lui cercava di avvicinarsi a lei. “Non mi toccare”, continuò, e quelle parole fecero male.

Colpirono Edmund in pieno petto e lo costrinsero a fermarsi lì dov'era.

“Sapevi tutto e hai permesso che accadesse”, bisbigliò Lucy.

Il ragazzo provò ad avvicinarsi a lei che però, di punto in bianco, si mise ad urlare.

“Peter! Susan! Venite qui!”

Edmund si gelò sul posto. “Lucy, ti prego, devi credermi”, la implorò, con la paura che gli si dipingeva in viso. “Non ne sapevo niente, non avrei mai permesso che ti accadesse una cosa del genere”, provò a spiegarle, ma la sorella non ne volle sapere.

Dopo pochi secondi, Peter e Susan entrarono nella stanza con l'aria di chi aveva corso.

“Che succede, Lucy?”, le chiese Peter, avvicinandosi a lei e accarezzandole la testa.

La sorella maggiore nel frattempo era rimasta vicino alla porta, troppo sconvolta per poter parlare.

“Fatelo uscire”, rispose lei, lapidaria, mentre i singhiozzi ancora la scuotevano.

Fu in quel preciso istante che un'altra, ennesima crepa si aggiunse a quelle che già tormentavano la famiglia Pevensie.

E le cose sarebbero velocemente precipitate. 

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