Di noia, cotte ed altre sostanze

di Urdi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di noia, cotte ed altre sostanze (YamatoTayuya) ***
Capitolo 2: *** Strage di San Valentino ***
Capitolo 3: *** Spire [OroAnko] ***
Capitolo 4: *** Ricordi amari di liquori (KakaYama) ***
Capitolo 5: *** Fame rossa d'abbandono [ZetsuAnko] ***
Capitolo 6: *** Noia - Io la tua ex la strozzerei [YamaTayu] ***
Capitolo 7: *** Accetti o ignori? (KakaRin - KakaYama) ***
Capitolo 8: *** 8. Vuoto e sangue (in polvere) - OroAnko (anko centric) ***
Capitolo 9: *** 9.Asistolia - YamatoAnko ***
Capitolo 10: *** 10. Mercy Overdose - KakaIta, ItaIno, KakaIno ***
Capitolo 11: *** 11. E dai... [KakashiYamato] ***



Capitolo 1
*** Di noia, cotte ed altre sostanze (YamatoTayuya) ***


Di noia, cotte ed altre sostanze
Di Urdi



Di noia, cotte ed altre sostanze
[500 parole]



“Che palle…” La ragazza dai lunghi capelli rossi, si stiracchiò appoggiando le braccia allo schienale della poltroncina in velluto scuro.
“Hai insistito tu per uscire.” Fece una voce profonda accanto a lei, dall’intonazione tuttavia divertita.
“Se avessi saputo che mi avresti portato a vedere una cazzata simile, mi sarei fatta incatenare al letto e frustare da Jirobo.”
L’uomo dai capelli e gli occhi scuri rise a quell’affermazione, sapendo quanto la ragazza odiasse il proprio compagno di stanza.
“Resisti, siamo quasi alla fine. Non l’hai trovato…terapeutico?”
Lei sbuffò sonoramente.
“Se avessi i coglioni me li avrebbe frantumati …” e a quel punto Yamato si trovò di fronte ad un fiume di insulti; Tayuya infatti non usava filtri, era volgare e cafona, nonostante il suo aspetto di bella ragazza.
“Potresti cercare di rilassarti?” fece lui, illuminandosi il viso con il cellulare, in modo che le ombre disegnassero il suo viso come se fosse un demone comparso nel buio. Lei sgranò gli occhi scuri, prima di commentare con un “Tsk, dovrebbe spaventarmi?”, ma tuttavia smise di lanciare epiteti.
Quella “tecnica” funzionava sempre, constatò soddisfatto Yamato, sprofondando di nuovo nella poltroncina.



“Ammettilo… - Tayuya, lo sguardo perso a fissare dei piccioni che si litigavano un pezzo di pane, mordicchiava la cannuccia della sua bevanda - … Non era poi ‘sto gran ché.”
L’uomo ridacchiò.
“E tu ammettilo: ti sei divertita.”
Lei non rispose, mettendo un piccolo broncio, senza guardare l’espressione tranquilla del suo tutore. Lo aveva pregato per un’uscita dal Centro per tossico-dipendenti, almeno una, e lui se n’era uscito con un: “Ok, ti porto al cinema, ma scelgo io il film”. E lei aveva accettato pur di fuggire per un po’ da quelle mura che le facevano venire solo voglia di impiccarsi.
“La prossima volta vorrei vedere un concerto per flauto.” Se ne uscì la rossa, quasi senza accorgersene.
L’uomo sorrise, alzandosi dalla panchina e lei lo imitò.
“Non sembreresti il tipo…”
“Mah… - sbuffò la ragazzina – … un tempo suonavo.”
Un tempo significava quando ancora suo padre era sano e lei pura e candida, con un carattere limpido non corrotto dalla droga e dal sesso a pagamento.
“Va bene, ma dovremmo vestirci più eleganti.”
Lei quasi arrossì al pensiero dell’uomo in giacca e cravatta; di sicuro le sarebbe venuto un infarto a vederlo tanto irresistibile, ma non lo avrebbe mai ammesso.
“Sai che palle…”mormorò distratta.
Yamato controllò il suo orologio.
“Dobbiamo rientrare.”
Tayuya allora tornò a guardarlo, quasi le avesse detto che un meteorite stava per colpire la Terra.
Avrebbe voluto dire “No! Di già?”, ma lo ingoiò. Chissà quanto si era annoiato a stare con lei…
“…ma forse abbiamo ancora un po’ di tempo per andare a vedere qualche vestito adatto per la nostra prossima uscita.”
E a quel sorriso, Tayuya si lasciò illudere come una qualsiasi sedicenne con la cotta per il suo insegnante.
“Ok…” borbottò nascondendo il viso nella sciarpa mentre lui, con noncuranza, le prendeva una mano.
Yamato pensò che l’espressione felice della rossa fosse una meravigliosa conquista.


Owari...?

[Urd, 20 gennaio 2009]


Note dell'autrice sul testo:
Una fanfic che è uscita pensando ad un episodio che mi raccontò un amico, quando faceva da educatore con i tossico-dipendenti. Ho preso liberamente spunto alle situazioni assurde che si possono creare.
Yamato comprende il potere che ha su Tayuya e lei se la prende con sé stessa, perché non vuole essere/apparire come una ragazzina qualunque, anche se in realtà mente a sé stessa.
Credo che si possa dire che una cotta per il proprio educatore/tutore/accompagnatore della situazione, data l’età della protagonista (non specificata, ma tra i 14 e i 16 anni) potrebbe essere plausibile, in fondo lui si occupa di lei senza giudicare le scelte di vita che ha fatto. Le parole sono 500 esatte escluso il titolo, owari e data.



Ciao a tutti, sono qui, (gongolante, lo ammetto!) con l'inizio di questa probabile raccolta (probabile perché non è ancora ben delineata nella mia testa, anche se ho una mezza idea, ma non voglio sbilanciarmi considerato tutto quello che devo terminare di scrivere!). Il tema penso sarà unico e le coppie saranno le più varie (scoppieranno, si formeranno, eccetera) in capitoli di massimo 500 parole che potranno essere letti anche separatamente gli uni dagli altri. Ma è tutto da vedere...
Detto questo: sono contenta che si sia classificata prima alla 4^ edizione del contest "2weeks" indetto da Kurenai88, che prevedeva la stesura di una flashfic (max 500 parole) con un crackpairing protagonista. Un ottimo regalo di compleanno (che era ieri X3)!
La scelta è ricaduta su Yamato e Tayuya all'improvviso. Ho pensato che insieme mi sarebbero piaciuti e che questo contesto di Universo alternativo potesse essere adatto... Sono piacevolmente sorpresa del fatto che sia stata apprezzata tanto da classificarsi prima e spero che possa piacere anche ai lettori :) Voglio inoltre fare i complimenti a tutte le altre partecipanti:Queen_of_Sharingan_91, Ainsel, sasusakuxxx, Jaku, VavvyMalfoy91, DarkRose86. Ho iniziato a leggere le loro storie e devo dire che meritano! Colgo l'occasione per fare tanti complimenti anche alle altre "podiste": princess21ssj e Solarial! Grandi!^^
Infine GRAZIE alla giudice, Kurenai88 per la velocità con cui ha messo i risultati e per il bellissimo bannerino *O* Qui sotto trovate il suo giudizio:

§ 1^ Classificata - Di noia, cotte ed altre sostanze di Urdi §
- Originalità 9.5 su 10: Carina. Semplice ed estremamente carina. Yamato ce lo vedo come tutore XD Complimenti!
- IC dei Personaggi 10 su 10: Dire che sono perfetti è poco XD Posso solo complimentarmi!
- Completezza della Fic 9.5 su 10: Decisamente completa senza “buchi”. Risponde a tutte le domande (chissà che film hanno visto... Tre Metri Sopra al Cielo o Twilight?XDD)
- Attinenza al Tema 5 su 5: Non potevo che dargli il massimo, complimenti!
- Totale 34 su 35



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Capitolo 2
*** Strage di San Valentino ***


Carissimi!Eccomi qui con la fanfic che ha partecipato al contest 2 weeks 5^ edizione indetto da Kurenai88, classificandosi Terza + premio originalità^_^. Ordunque, inauguro ufficialmente questa raccolta, quindi preparatevi a trovare qualunque cosa "qui dentro". Questa volta spazio ai personaggi di Anko, Kurenai, Kakashi, Tenzo ed Asuma, sappiate che li amo, così come amo i jonin, quindi li vedrete spesso in compagnia di Genma, Raido ecc. :)
La shot che sta per cominciare (manco fosse un film XD) rappresenta uno spezzone di vita un po' rocambolesco, ma siccome ci sono delle cose che vanno chiarite (ovvero degli avvenimenti di cui accenno, ma che non sono stati approfonditi), sappiate che verranno tutti analizzati in altre fics che aggiungerò in modo assolutamente casuale. Saranno precedenti e future a queste e i personaggi si intrecceranno bene o male tutti, insomma... un vero delirio (E YamatoTayuya si rivedranno insieme più volte :) ). Per chi la legge tutta lo sarà particolarmente, per chi invece la legge a capitoli separati scegliendo solo quelli con la coppia favorita, forse lo sarà un po' meno XD Uh, scusate, non l'avevo detto e, in realtà, non era poi così previsto, ma... c'è dello yaoi... u_u scusatemi. Ma bando alle ciance e andiamo a questa:



Di noia, cotte ed altre sostanze
di Urdi

Strage di San Valentino
[3447 parole]





"Osgood, voglio essere leale con te: non possiamo sposarci affatto!"
"Perché no?"
"Beh, in primo luogo non sono una bionda naturale."
"Non mi importa."
"...e fumo...fumo come un turco!"
"Non mi interessa!"
"Ho un passato burrascoso, per più di tre anni ho vissuto con un sassofonista!"
"Ti perdono."
"Non potrò mai avere bambini!"
"Ne adotteremo qualcuno..."
"Oh, ma non capisci proprio niente Osgood!!! SONO UN UOMO!!!"


"Beh...nessuno è perfetto."




L’oliva ondeggiava piano sul fondo del bicchiere, quasi volesse mostrare quanto era avvolgente quel Martini Cocktail.
Come sarebbe stato bello e semplice affondare abbracciati al gin in compagnia di un’oliva…!
A quel pensiero la ragazza si maledì, lanciando uno sguardo all’orologio da polso, vedendolo tremolare sotto lo sguardo lucido.
Aveva bevuto decisamente troppo…




Kurenai entrò in cucina ancora assonnata, lo sguardo spento e i capelli arruffati. Indossava un pigiama color confetto. Si sedette sullo sgabello ed allungò una mano alla ricerca di un mug.
“Buongiorno.” Sorrise Kakashi, osservandola divertito.
“’giorno…” bofonchiò lei in risposta, affondando il cucchiaino nel caffé.
“Come ti senti?” azzardò l’amico.
La donna abbassò lo sguardo sulla tazza ed afferrò un biscotto.
“Come una che al settimo mese di gravidanza è fuggita dall’altare il giorno del suo matrimonio ed ora vive di nascosto da un amico del suo ex-fidanzato.”
Il sorriso di Kakashi si ampliò.
“Ottima sintesi.”
“Grazie, è uno dei miei pregi.” Annuì Kurenai sgranocchiando la pastafrolla.
Calò un silenzio leggero, rotto solo dal fruscio della carta del giornale che l’uomo stava leggendo.
“Mi dispiace disturbarti.” Aggiunse ad un tratto la mora, allungando lo sguardo su una notizia di cronaca.
L’altro scrollò le spalle e mormorò un “Ma figurati, nessun problema.” Troppo preso dai risultati della partita.
“Chissà se Anko è arrabbiata... Mi dispiace, ma non ho per niente voglia di chiamarla.”
“Non sentirti in colpa e prenditi il tempo che ti serve.- Kakashi chiuse il quotidiano - E con questa ho finito le banalità del giorno.”
Kurenai abbozzò un sorriso.
“E’ banale, ma hai ragione. E poi… sono le 9, per Anko è l’ora del sesso selvaggio sul tavolo della cucina, per ora dovrebbe essere distratta. Grazie mille Tenzo…” ma non appena si rese conto di ciò che aveva detto, la donna si portò una mano alle labbra, scrutando l’espressione tesa dell’amico.
“Oops… scusami Kakashi…”
Lui scrollò le spalle di nuovo.
“Non fa niente. – si alzò ed afferrò il cappotto scuro che teneva accanto a sé sul tavolo – Vado, hai bisogno di qualcosa?”
La ragazza dai capelli scuri guardò l’altro rammaricata, poi scosse leggermente la testa.
“No, grazie.”
Lui annuì, ed uscì.
Kurenai allora si appropriò del giornale, per nulla intenzionata ad avvisare la coinquilina Anko su dove si trovasse da un paio di giorni.
“Toh: 14 Febbraio…San Valentino.”
/Auguri Asuma./


“Io… io non ho parole.”
Tenzo abbassò lo sguardo passandosi una mano sulla nuca.
“An, calmati un secondo: è un’ora che urli.”
La donna, le mani sui fianchi, lo fissò come se fosse un alieno.
“Razza di stronzo menefreghista…” sibilò gelida.
“Mi dispiace moltissimo An…” fu l’unica cosa che riuscì a dire, perché quando alzò lo sguardo la vide sull’orlo del pianto. Sì sentì davvero malissimo nel vederla così, lei che non piangeva mai ora lo stava facendo per lui. Per la loro relazione che si stava sgretolando pezzo per pezzo. Ma, sussurrò puntigliosa una vocina nella mente del ragazzo, a voler essere pignoli aveva iniziato a disgregarsi molto prima.
La donna si voltò dall’altra per non farsi vedere in lacrime, ma lui si avvicinò istintivamente per abbracciarla.
“Lasciami stare e vedi di andare a fare in culo!” sbottò lei spingendolo di malo modo e asciugandosi il naso con il dorso della mano.
Tenzo, mortificato la guardò chiudersi nel bagno.
“Cazzo…” mormorò.
“Avresti potuto dirmelo! Avresti potuto farlo un milione di volte in questi anni, invece hai continuato ad illudermi. Se permetti Tenzo: Vaffanculo e restaci!”
“Non ti ho illuso, lo sai benissimo, ma tu devi sempre pensare a te stessa e credere che il mondo ti giri intorno perché sei la regina del cinismo e dell’egocentrismo!” sbottò in risposta il ragazzo infilandosi il maglione.
“Fottiti! Tu e quell’altro stronzo frocio di merda! Vi odio, andate a fanculo!”
“Non sai rispondere con altro?!”
“Ho tutto il diritto di essere incazzata, quando il mio ragazzo mentre lo stiamo facendo se ne esce con un ‘ Anko, perdonami…non ce la faccio più ad andare avanti così’. E’ patetico, e fa schifo e… Dio… Ti prego, vattene, esci da questa casa e lasciami stare!”
Il ragazzo si avvicinò alla porta del bagno e la fissò mortificato.
“Lo so che ho… ho sbagliato a dirlo così, ma è semplicemente uscito. Non so come. Ti chiedo scusa, ma…niente.”
“Ecco, taci. Non voglio sentire le tue scuse, ti rendono ancora più patetico e fanno sentire me un’idiota. Vai via…”
Tenzo accarezzò la superficie della porta.
“Ten… ti prego…” e la sentì singhiozzare.
Poteva quasi immaginarla accucciata tra la vasca e il lavandino.
Il moro allora si voltò, prese la sua giacca ed uscì al freddo dell’inverno.



Quando suonò il campanello Kurenai fu indecisa sul da farsi.
Alzò lo sguardo verso la porta, oltre la spalliera del divano su cui era sprofondata assieme ad una vasca di gelato, prima di decidersi ad andare a vedere.
“Kakashi, cazzo, vedi di essere in casa o ti ammazzo!”
La voce che proveniva dal pianerottolo Kurenai la conosceva bene: sbirciò dallo spioncino per sincerarsi che fosse davvero lui ed aprì lentamente la porta.
Tenzo spalancò gli occhi per la sorpresa.
“Kurenai…”
“Ciao Ten. Kakashi è uscito poco fa, mi dispiace.“ mormorò afflitta.
Il moro aggrottò le sopracciglia.
“Kure…che ci fai qui? – poi lui parve realizzare – Lo sai che nessuno sa dove cavolo sei finita dopo l’altro giorno?! Asuma è fuori di testa!”
La ragazza entrò in casa, scalza, indifferente a quelle parole.
“Lo so, ma ho bisogno di un po’ di tranquillità. Ten, non ho voglia di parlarne, quindi se vuoi… e poi tu non eri da Anko?”
Lui alzò lo sguardo al cielo.
“Sì…c’ero, prima che mi cacciasse fuori di casa.”
Kurenai spalancò gli occhi sorpresa, il cucchiaio in bocca.
“Ho…ho fatto un po’ una cazzata.”
“Se ti ha cacciato era più di una cazzata.”
“Le ho detto di Kakashi.”
Kurenai a momenti si strozzò con il gelato.
“Le hai detto cosa? – poi, recuperato un fazzolettino per pulirsi le labbra, si rese conto che qualcosa non le quadrava: - Un momento… di Kakashi… tu e Kakashi… di nuovo?”
Tenzo abbassò lo sguardo colpevole.
“Credevo aveste smesso di frequentarvi qualche anno fa.”esclamò la donna sinceramente sorpresa.
“Di fatto sì… Ma circa un paio di mesi fa… boh, non so dirti nemmeno io com’è andata. Però lo abbiamo sempre saputo che c’era qualcosa e quel qualcosa è uscito. Di nuovo. E non siamo riusciti a fermarlo.”
La donna alzò lo sguardo al cielo.
“E tu per due mesi… che stronzo!” e con questo gli diede uno scappellotto dietro la nuca.
“Lo so, sono un deficiente, ma non me la sentivo di lasciare Anko per qualcosa che non ha neppure un nome.”
A quella frase a Tenzo arrivò un altro scappellotto.
“Ehi!”
“Non cercare di giustificarti in questo modo patetico.”
“Me lo hanno già detto oggi, non rigirare il coltello nella piaga.”
“E con Kakashi come sei rimasto? Trombate ogni tanto per sfogarvi insieme?”
“Kurenai…- Tenzo alzò lo sguardo, serio, ma non in imbarazzo - …Non siamo rimasti a nulla, lo sai com’è lui. E’ uno che non si lega alle persone facilmente e questa nostra… cosa… non possiamo definirla relazione. Ed ha ragione. Non può.”
La donna, che faceva dondolare una gamba oltre il bracciolo del divano lo guardò, leccando il gelato dal dorso del cucchiaio.
“Perché non può?”
E lì Tenzo non seppe come rispondere.
“Siamo due uomini.”
“E quindi?”
“E quindi… non possiamo avere una relazione.”
“Vi preoccupa la società?”
“Anche… ma dove cazzo vuoi arrivare?”
“Voglio arrivare al punto in cui mi dici la verità. Perché io l’ho capita ed anche voi, ma siete così ostinati da rasentare l’ottusità fatta a persona e, credimi, mi dà ai nervi! Soprattutto al settimo mese di gravidanza dopo aver mollato mio marito sull’altare!”
Vedere Kurenai così decisa, non aggressiva, ma schietta, era quasi fantascientifico e Tenzo non seppe cosa rispondere.
“Il vostro rapporto è sempre stato diverso. Sempre, fin da quando andavate a scuola. Io non dubito che tu abbia provato qualcosa di sincero per Anko e anzi, in cuor tuo, perché avete condiviso un’infanzia simile, ti sei sentito quasi in dovere di proteggerla. Ma poi, quando avevi bisogno era Kakashi che c’era. Ed era Kakashi che volevi accanto: quando eravate nella squadra di karate, quando dovevi dare gli ultimi esami all’università ed ora che non sai come muoverti con Anko. E fidati, se l’ho capito io che lui lo conosco poco…”
L’uomo abbassò lo sguardo tristemente.
“Non avrei dovuto dirlo.”
“Invece dovevi.”
“Non così.”
“Non si può piangere sul latte versato! E dopo questa ho vinto la gara di banalità assieme a Kakashi.”
“Detto da una donna al settimo mese di gravidanza che è fuggita dall’altare il giorno delle sue nozze in effetti fa un po’ ridere.” Ammise il moro.
“Mi vedi forse piangere sul latte versato?”
I due si scambiarono un sorriso.
Per un po’ rimasero in silenzio. Nella stanza il vociare della televisione sembrava distorto e lontano.
“Uh…giusto!” Kurenai ad un tratto si alzò e andò nella stanza che un tempo apparteneva a Gai, ex-coinquilino di Kakashi, e frugò nella sua valigia alla ricerca di qualcosa.
Tenzo la seguì giusto per curiosità e la vide tirare fuori un pacchetto colorato e ben infiocchettato.
“Tieni. Buon San Valentino!”
Il moro prese il pacchetto sconcertato, aggrottando le sopracciglia.
“Lo avevo preso per Asuma, così…per ricordarci del liceo.”
Meccanicamente il ragazzo strappò la carta trovandovi all’interno del cioccolato.
“Merda.”
“Un grazie lo avrei gradito di più.”
“No…è che… è brutto che una storia finisca in questo modo proprio a San Valentino! Anche se ad Anko non è mai importato, neppure quando andavamo a scuola…Comunque…- il ragazzo diede un bacio sulla fronte dell’amica – Grazie, Kure.”
“Prego, figurati! Ora mangiamocelo! Ho una voglia di cioccolato…!”
“Ah…ecco. C’era il secondo fine.”
Lei fece la linguaccia e sorrise di nuovo invitandolo sul divano a guardare con lei “A qualcuno piace caldo”.



Addentò la barretta di cioccolato masticandolo con forza.
“Che schifo!” sbuffò, ma continuò a mangiarlo, come se così facendo potesse esorcizzare qualcosa.
Appoggiata ad un muretto in una via secondaria di Tokyo, Anko guardava fisso davanti a sé cercando di capire quando l’alcol avrebbe smesso di fare scherzi alla sua vista.
“Ehi… congelerai, scema.”fece una voce a lei nota.
“Oh, ci mancavi giusto tu!” sputò furiosa, ma non si mosse, se non per guardare Kakashi in tralice.
“Dove hai lasciato il cappotto? E le scarpe? Anko…stai bene?”
“Ma che cazzo te ne frega?! Sto bene così. Stavo bene così.”
Kakashi le si portò vicino appoggiandosi anche lui al muretto ed affondando le mani nelle tasche del cappotto.
“Tenzo mi ha detto tutto.” Un altro morso, la barretta ormai quasi completamente consunta.
Il ragazzo dai capelli argentei sospirò nell’aria fredda.
“Mi…”
“Ti dispiace, lo so.”lo interruppe, abbozzando un sorriso amaro.
“In fondo è stata anche colpa mia.”
“Sì…è solo colpa vostra che non sapete essere chiari. Prima di tutto con voi stessi: siete due idioti colossali, vi seppellirei nella merda in questo momento!”
Lui avrebbe sorriso se la situazione non fosse stata davvero così critica… e patetica.
“Perché gli hai dato altre speranze? Ti aveva dimenticato… O meglio, credeva di averlo fatto. Ma poi, non so come, vi siete riavvicinati ed ora lui è di nuovo partito per la tangente. Io so che non è cattivo e che mi vuole bene e non sono le corna a spaventarmi. Io sono stata la prima a mettergliele per assecondare un capriccio. Eppure, alla fine ho sempre scelto lui, perché Tenzo sa capirmi, è stato il primo in tutto… è… insomma ha quel suo spazio speciale dentro e non riesco proprio a toglierlo da lì.”
Kakashi si levò il cappotto e lo appoggiò sulle spalle dell’amica.
“E… pensa che scema, ho sempre detto che San Valentino mi fa schifo. Mentre oggi volevo dargli questa… - ed alzò l’ultimo residuo di cioccolato che rimanevano – per dirgli che solo lui mi fa fare certe cazzate da ragazzina innamorata. Invece…se n’è uscito con quella frase infelice.” Lei scosse la testa infastidita.
Kakashi allora prese quello che restava della barretta e lo addentò.
“Fa schifo.”
“Vero? Che si fotta il San Valentino, porta solo sfiga!”
“Mi dispiace Anko. Io non so dire cosa capita a me e a Tenzo.”
“Te lo dico io: tu per lui sei in quello spazietto speciale dentro e non riesce a toglierti da lì.”
I capelli di Anko, slegati sulle spalle, si muovevano lentamente e Kakashi pensò che fosse bella nella luce dei lampioni, con lo sguardo velato dall’alcol e l’espressione insolitamente triste.
D’improvviso lei si staccò dal muretto e mosse qualche passo incerto sul marciapiede.
Vedendola barcollare a piedi nudi, lui la prese in braccio avvolgendola meglio nel cappotto.
“Ti porto a casa.”




Anko, avvertendo le braccia di Kakashi appoggiarla delicatamente sul letto, parve rendersi conto di non essere più all’aperto. All’improvviso, come se avessero tolto il tappo alla vasca di gin in cui si era abbandonata.
“Kakashi, mi hai portato a casa…” mormorò a fatica, cercando con lo sguardo gli occhi dell’uomo.
Lui, accesa l’abatjour sul comodino, le si sedette accanto.
“Sì, era il minimo. Vado via subito, non preoccuparti.”
La donna sospirò, passandosi un braccio sugli occhi. Tutto ancora roteava come in un immenso caleidoscopio di bolle colorate. Se fosse stata sobria probabilmente si sarebbe resa conto del letto ancora sfatto, così come lo avevano lasciato quella mattina.
Kakashi allungò la mano per accarezzarle i capelli, ma la ritrasse immediatamente. Non ne aveva di certo il diritto.
“Prima che tu vada… - la ragazza si girò a guardarlo, con gran pena negli occhi – prenderesti il cellulare nella mia borsa? Non vorrei che Kurenai chiamasse proprio ora. Non ce la farei ad alzarmi.”
Kakashi annuì e, una volta recuperato l’apparecchio, lo appoggiò sul comodino.
“Te lo lascio qui.”
“Grazie.”
L’uomo, pur sentendosi un traditore, avrebbe voluto poter rimanere lì con lei. Strana ironia della sua mente, ma era come se sapesse che una volta uscito tutto sarebbe cambiato: Anko si sarebbe svegliata, magari avrebbe pianto, dato fuoco alle fotografie e lui, a casa, avrebbe dovuto fare i conti con Tenzo. Mettere nero su bianco una volta per tutte quello che volevano. E la prospettiva, in quella sera fredda resa ovattata dall’illuminazione scarsa, sembrava terrificante.
“Anko, non preoccuparti.” Soffiò l’uomo, osservandola cedere al sonno.
“Kurenai sta bene. E’ a casa mia…”
La mora, aprì lentamente gli occhi, cercando di capire cosa volessero dire quelle parole.
Sembrò pensarci su, prima di rendersi pienamente conto del significato di esse.
“Kurenai…- Anko si portò seduta di scatto, facendo quasi cadere a terra l’altro – Kurenai sta a casa tua?!” l’urlo rimbalzò sulle pareti della camera e Kakashi non poté fare a meno di annuire.
“Oddio… non posso crederci… - la mora avvertì prepotente un gran senso di nausea – Non… non ti bastava Tenzo! Hai dovuto prenderti anche Kurenai, ma che cazzo ti passa per quella testa?”
L’uomo alzò le mani in segno di resa.
“E’ stata lei a venire da me e mi ha implorato di non dirvelo. Ha bisogno di tempo per pensare ed io non me la sentivo di tradire la sua fiducia.”
“Tradire la sua fiducia? Razza di cretino, Asuma è preoccupato a morte per lei e il loro bambino. E tu…tu che sei suo amico non gli hai detto un cazzo. Sei un emerito coglione, se prima mi avevi fatto incazzare, ora mi hai fatto venire voglia di fracassarti il cranio contro la parete!”
La mora tremava di rabbia, ma la nausea e la stanchezza la facevano da padrone in quel momento così che le sue parole risultarono meno taglienti di quel che avrebbe voluto.
Kakashi non abbassò lo sguardo, impassibile come sempre e questo, se possibile, la fece uscire ancor più di testa.
“Io trovo che sia stato meglio che Kurenai sia venuta a stare da me. E’ al sicuro e… Asuma lo sa.”
Lei lo guardò sbigottita.
“Scusa…?”
“Gliel’ho detto io. Forse in un’altra occasione l’avrei coperta, ma… è al settimo mese di gravidanza, non avrei potuto nasconderlo ad un amico. L’ho pregato di non cercarla e di capire che per adesso per lei non è un buon momento e che si farà viva non appena se la sentirà. Kurenai non sa che l’ho fatto, ma è per il suo bene.”
La mora sbuffò sonoramente lasciandosi cadere nuovamente tra le coltri sfatte.
Dov’era il gin?
Le serviva davvero.
Gin e amaro, schifoso, acido, cioccolato di San Valentino.
Forse la nausea poteva avere un’altra consistenza assieme a quegli elementi.
Forse poteva vomitare sul serio.
“Fanculo a te… - mormorò, avvicinandosi sempre più allo stato d’incoscienza – e fanculo a San Valentino!”







Tenzo si svegliò quando sentì il rumore della serratura che scattava.
Il televisore acceso mandava in onda la replica di un programma di cucina, la lampada a stelo del soggiorno emetteva una luce soffusa, avvolgendo tutta la stanza e Kurenai dormiva profondamente appoggiata a lui.
Il ragazzo guardò oltre la spalliera del mobile e vide Kakashi di schiena, intento a levarsi le scarpe, seduto sul gradino dell’ingresso.
Senza fare movimenti bruschi allora, Tenzo si alzò dal divano, mettendo Kurenai in una posizione più comoda e coprendola con una coperta.
“Ten…” Kakashi, sorpreso, attirò l’attenzione dell’altro su di sé.
Il moro fece segno al compagno di non fiatare e di seguirlo in camera da letto, per non disturbare il sonno di Kurenai.

Una volta entrati, il padrone di casa socchiuse la porta e con lo sguardo pretese spiegazioni.
“Se ti stai chiedendo perché sono qui…”
“Lascia perdere: ho incontrato Anko.”
“Ah.”
Rimasero a fissarsi per un po’, in piedi, entrambi confusi riguardo quella situazione.
Stranamente fu proprio Kakashi a rompere il silenzio, stanco di quel continuo tira e molla:
“Si può sapere che cazzo le hai detto?”
Tenzo aggrottò le sopracciglia.
“Hai detto di averla incontrata.”
“Sì, ma sai com’è, non era propensa a volermi raccontare i dettagli.”
Il moro si sedette sul bordo del letto e sospirò, passandosi una mano tra i capelli.
“Le ho detto semplicemente che volevo smetterla di mentirle: non la amo. Sono anni che va avanti questa storia. In alcuni momenti la adoro e penso che sto davvero bene con lei; ma altri vado in crisi, perché non la posso vedere e la respingo. – l’uomo alzò lo sguardo – sai anche tu che questo è sempre stato il motivo principale dei nostri litigi. E alla fine, impaurito da non so quale cazzo di cosa, tornavo da lei. Mi dava un senso di… di normalità. E quando facevamo pace, questa sensazione ritornava e pensavo di essere stato solo uno stupido. Ma la realtà è che non mi è mai andata bene.”
Kakashi allentò il nodo della cravatta e si sedette accanto all’altro, aspettando che continuasse.
“Così oggi, mentre lo stavamo facendo, la vedevo così persa, così dipendente da me, che mi sono sentito uno stronzo. Ho pensato che se l’avessi guardata anche solo un secondo di più, se… se fossi venuto dentro di lei un’altra volta, l’avrei davvero sporcata in maniera indelebile. E mi è preso il panico, così le ho detto che dovevamo finirla di vederci, ma non bastava, doveva essere definitivo, quindi ho aggiunto che tu ed io ci frequentiamo di nuovo.”
I due si scambiarono uno sguardo serio e Tenzo aspettò un commento a quella confessione. Forse Kakashi lo trovava semplicemente patetico, chissà…
“Lo so, ho fatto un gran casino…” rise Tenzo, non sopportando più la tensione che aleggiava nella stanza.
“No. Hai preso la tua decisione ed hai cercato di essere chiaro una volta per tutte. - La risposta di Kakashi lasciò il moro sorpreso. - E… a questo proposito, dovremmo chiarire anche la nostra di situazione.”
“Credevo che fossimo arrivati ad una conclusione.”
“Sì, certo, la conclusione che diamo ogni tot di tempo, per poi rifare lo stesso dannato casino. La conclusione che ‘deve finire, perché non fa per noi, perché è un errore’ eppure non funziona mai. Non credi che forse ci sia qualcos’altro?”
Il moro si passò nuovamente una mano tra i capelli, cercando una risposta. Credeva che sarebbe stato più difficile iniziare quel discorso, invece ora…ora bastavano solo poche parole.
“Magari, così per via ipoetica, potremmo anche provarci.”buttò lì, scrollando le spalle, come se stesse parlando del risultato di parità di un’amichevole.
Kakashi lo guardò con il suo solito cipiglio annoiato e scrollò le spalle a sua volta.
“Per via ipotetica.” Annuì, con una velata presa in giro.
Il moro lo guardò male.
“Vuoi essere picchiato?” minacciò, prendendolo per il colletto della camicia ed alzando un pugno per darsi un tono.
Kakashi, velocemente, riuscì a schivare il colpo e a tirare dietro di sé, sul letto il compagno, per coinvolgerlo in un bacio.
“Sai di cioccolato…- constatò il moro, alzando il viso. – Pessimo cioccolato.” Aggiunse, con una smorfia.



Owari

[13 Febbraio 2009]



Ok, che razza di cosa è uscita?XD Mah. In ogni caso…sì… il finale, nonostante sia un po’ “sospeso” mi piace O_O


NdA + Credits: Eccomi qui, con la fanfic assolutamente non conventional di San Valentino. Dunque, ci sarebbero un miliardo e mezzo di cose da dire, ma ne salterò alcune per non tediarvi. Intanto la citazione appartiene al film “A qualcuno piace caldo” (menzionato anche nella fanfic), io la adoro, la trovo una bellissima, seppur ridicola, dichiarazione d’amore nonostante tutto.
Il titolo “Strage di San Valentino” è ricollegato a tre fattori: primo di tutti proprio il film “A qualcuno piace caldo”, in quanto i due protagonisti in fuga assistono involontariamente a quella che venne chiamata Strage di San Valentino (avvenuta veramente a Chicago come regolamento di conti il 14 febbraio 1929); secondo: se non è una strage questa XD rigiri alla BIUTIFUL lo so… e terzo, riesce a rappresentare un po’ tutta la storia e i suoi personaggi. Ok, è contorto, ma la prima parte riguarda Kurenai che non si è potuta sposare, la parte centrale ci vedo Anko disperata per la sua vita fatta di eccessi e l’ultima riguarda la coppia che la spunta KakashiYamato.
Probabilmente in un Giappone moderno questo non sarebbe possibile u_u (ma neppure in un Giappone antico), questa è la magia e la fantascienza della fanfic.
San Valentino è visto con gli occhi degli adulti, fa da contorno, ricordando loro che è solo una festa infantile/commerciale per ragazzini del liceo (e si rifà, per l’appunto alla loro strage…).

Per il nome di Yamato, in questa shot ho lasciato Tenzo, perché ho immaginato che fosse il nome con cui lo chiamavano gli amici e le persone intime. Non so, mi piace più di Yamato sinceramente, ma non ho avuto modo di poter approfondire le cosa.

Quindi “A qualcuno piace caldo”, la citazione ed il titolo non mi appartengono. I personaggi di Naruto neppure.
La fanfic fa parte della raccolta “Di noia cotte ed altre sostanze”, ma può essere letta anche slegata



Ci tengo a ringraziare chi ha letto e commentato con entusiasmo la scorsa shot. Tutti mi avete detto che li ho resi bene nonostante fossero crack... bene, sappiate che nella raccolta li rivedrete. Eccome se li rivedrete. Se leggerete queste shot di fila vi potrà sembrare beautiful, ma se le leggete solo per le coppie che vi interessano, forse potrebbero piacervi XD ihih Speriamo.
In ogni caso ci tengo a citarvi:

Princess, Queen Of Sharingan, Aya, Slice, Jess (che non recensisce mai XD yeeh...) DarkRose, BloodyNear, Solarial ed inoltre ringrazio i preferiti: Kisachan, Slice (tessoro ci sei sempre e comunque...), Sushiprecotto-chan e _chocola_

Spero che per voi sia stato un magnifico San Valentino e grazie degli auguri di buon compleanno!^_^



Il responso della giudice: (davvero grazie a Kurenai88^__^)

§ 3^ Classificata - Strage di San Valentino di Urdi §
Originalità 9.5 su 10: Nonostante tutto simpatica perché la trovo sia comica che seria ù.ù originale e veramente bella XD
IC dei Personaggi 9 su 10: Li ho trovati abbastanza IC. Sono uomini e donne adulti in fondo ù.ù
Completezza della Fic 8 su 10: Spieghi tutto e riesco a visualizzare senza problema ogni cosa. Posso solo farti i miei complimenti!
Attinenza al Tema 4 su 5: Tremendo ma bello XDD Ottima scelta!
Totale 30.5 su 35

.: Premi Extra! :.
- Premio Originalità -
Strage di San Valentino di Urdi


I complimenti vanno ovviamente anche alle altre partecipanti e alle podiste*_* 13d08c81, Rekichan, DarkRose86, Rota23, Erin_Ino, Kokuccha, Stuck93 e °lilian°

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Capitolo 3
*** Spire [OroAnko] ***


Di noia, cotte ed altre sostanze
Di Urdi

Spire
[2022 parole]





Il topolino bianco spostò i suoi occhi carminio sulla nuova arrivata.
Anko, i capelli legati alla rinfusa, diversi drink mandati giù a distorcere la sua espressione ed un vestito color indaco a fasciare le sue forme, sorrise.
“In gabbia anche tu, eh?” chiese all’animaletto, svuotando senza alcuna grazia un altro calice di vino rosso. 
Quando anche l’ultima goccia scivolò sulla sua lingua, verso l’interno stesso del suo essere, la donna sospirò e si guardò attorno: la cucina era grande e spaziosa, con mobili all’avanguardia di un acciaio lucente. Sembrava quella di un vero e proprio ristorante. 
“Sai… Io non ho mai cucinato!” sbottò ad un tratto, incurante di star parlando con un topo.
“Non sono mai stata capace e non ho mai avuto voglia di imparare.” Fissò distratta il fondo vuoto del bicchiere. Sospirò un’ennesima volta.
“Penso che qui saprebbe fare qualcosa chiunque. Guarda che pentole! E che forno!” fece un passo in avanti per toccare il frigorifero, ma la vista traballò pericolosamente, così come lei stessa sui suoi tacchi da dodici.
“Ah… fanculo!” imprecò, appoggiando le dita fasciate dai guanti di raso, sulla superficie fredda del tavolo per evitare una caduta.
“Anko-chan, vedo che sei venuta.” Quella voce profonda attirò l’attenzione della donna. Un uomo alto, in completo scuro e camicia candida, lunghi capelli corvini ed occhi dorati, la fissava dalla porta che dava sul corridoio della villa.
Lei sorrise amaramente, scoccandogli un’occhiataccia.
“Orochimaru-sama… - sussurrò, con evidente sarcasmo sull’onorificenza – Lo sapevate che non avrei resistito ad imbucarmi. Dopotutto non sono stata invitata.”
Lui sorrise a sua volta.
“Pensavo non saresti tornata.” Sussurrò affabile, porgendole un calice pieno.
“Sapete com’è… non si sa mai nella vita!” esclamò la donna, evidentemente fuori di senno. Non sembrava ubriaca, pareva ci fosse qualcosa di più, come se la sua disperazione venisse emanata come un’aura.
Orochimaru assottigliò lo sguardo, mettendo così in risalto i suoi lineamenti fini, taglienti.
Lei lo fissò rapita, quell’uomo aveva una bellezza ultraterrena e oscura, talmente insolita per un essere umano da poter essere tranquillamente paragonabile a quella di un dio tentatore. 

“Mi piace Jack!”se ne uscì ad un tratto la mora, avvicinandosi alla gabbietta del topolino.
Il proprietario di casa aggrottò le sopracciglia senza capire, ma prima che potesse chiedere spiegazioni, Anko parlò:
“Il topo: l’ho appena soprannominato Jack… - si voltò a guardarlo oltre le sbarre e l’animale parve annusare l’aria verso di lei, quasi potesse scorgere l’odore dell’alcol che ella emanava – Gli si addice. Ha la faccia da Jack.”
Orochimaru, rimasto con il suo calice in mano, lo appoggiò lentamente sul tavolo, prima di avvicinarsi alla donna che gli dava le spalle.
Lei avvertì quella presenza dietro di sé, il profumo di Calvin Klein al muschio bianco che odiava con tutto il cuore, e le mani forti che le scivolavano sui fianchi.
“Orochimaru-sama…” soffiò, sentendo il fiato caldo dell’uomo sul suo collo. Un brivido di eccitazione era sceso lungo la sua schiena e non aveva potuto fermarlo.
“Jack, hm?” sussurrò lui, nell’orecchio della donna.
“Non… non toccatemi…” e lo avrebbe detto con astio e paura, se l’alcol e l’aura stessa dell’altro non l’avessero completamente resa docile.
“Indovina che fine farà il tuo Jack…” lei rabbrividì a quella frase, di orrore e di piacere al contempo.
Si odiava.
Si odiava per essere tornata da lui, ma non aveva potuto farne a meno.
Avvertendo la lingua lambirle il collo, sino ad arrivare dietro al suo orecchio, Anko spostò il viso di lato per lasciarlo fare.
Era in sua balia.
Lo era stata da piccola, lo sarebbe stata per sempre.
“Anche il serpente deve cibarsi, sai?” le disse, accarezzandole un braccio fino a giungere alla sua mano.
Le sfilò il bicchiere, ancora pieno, dalle dita e poi le intrecciò alle sue. La attirò a sé, facendola piroettare sui tacchi, come in una valzer.


Nella sua vita Orochimaru aveva dato importanza sempre e solo a sé stesso, eppure… quella donna, che ciclicamente, nonostante lo temesse, tornava da lui, sconvolgeva il suo mondo. Diamine, non poteva evitare di provare quel senso di attrazione! E lui odiava non avere il controllo, scivolare con lo sguardo sui lineamenti forti e su quegli occhi scuri in cui leggeva paura e desiderio, senza sapere dove fosse il limite. In un certo senso, provava una sorta di ossessione per Anko, tanto che a volte si trovava a pensare a quello che le aveva fatto e quasi – quasi – se ne pentiva. 
Le sfiorò il viso in una carezza e lei abbassò le palpebre, come ad ammettere una sconfitta.
Com’era bella con quell’ombretto scuro, le ciglia lunghe e le labbra carminio dal rossetto sbavato… lo pensava sul serio in quel momento. Gli sembrava pura, così lontana dal personaggio di pazza scalmanata che si era creata nel tempo.

Orochimaru era un uomo che in quella società rivestiva un ruolo che nessuno avrebbe mai voluto o accettato. Possedeva solamente il proprio ego e poteva affermare con sicurezza che la solitudine era la sua unica e fidata compagna. Nessuno poteva essere calcolato da lui, nessuno aveva il suo rispetto, poiché nessuno lo meritava. Era sempre stato un misantropo e più andava avanti negli anni, più evitava di stringere e solidificare rapporti sociali. Le uniche creature che contemplava erano i suoi serpenti e i suoi esperimenti. Solo loro erano degni di attenzione, perché frutto dei suoi sforzi. La loro esistenza dipendeva da lui, e lui amava avere il potere su di essi.

Anko però, non apparteneva a nessuna delle due categorie. Era fuori da ogni schema; benché Orochimaru provasse piacere nell’averla in pugno, nutriva per lei una profonda stima. O forse c’entrava qualcos’altro, ma non gli importava capire cosa fosse. Data la sua natura, probabilmente non lo avrebbe neppure compreso, se non il giorno – lontano o vicino che fosse – della sua morte.







Sul letto dalle lenzuola di seta scura, l’aveva osservata dormire. Gli era svenuta fra le braccia ed aveva deciso di nasconderla agli occhi dei suoi ospiti. 
Con riverenza le accarezzò i capelli, chiedendosi di sfuggita da dove arrivasse la tristezza che le piegava gli angoli delle labbra. 
“Saresti dovuta rimanere qui.” Sussurrò, osservando gli occhi di lei aprirsi lentamente.
“Mi fate schifo.” Sputò rabbiosa, portandosi seduta.
Assurdo come ultimamente, da quando aveva rotto con Tenzo, si ritrovasse spesso a svegliarsi con un altro uomo accanto.
Orochimaru rise, non della sua solita risata cinica, ma sinceramente, senza scherno.
“Non sei la prima a dirmelo, sai?” soffiò poi, ripreso il suo sguardo magnetico.
Anko, che di norma avrebbe urlato e lo avrebbe preso a pungi, soffocò il desiderio di piangere dalla rabbia.
“Al diavolo! Ero solo molto incazzata con l’universo, cosa credete?”
Lui non calcolò quella frase e la guardò dritta negli occhi.
“Avanti, che cosa vuoi?”
La mora deglutì. Quanto era difficile combattere contro quell’espressione!
“Non cercate di…”
“Anko-chan, tutti vengono o tornano da me sempre e solo per lo stesso motivo. – sibilò - Non farmi perdere altro tempo, gli ospiti mi attendono.”
La donna abbassò lo sguardo e si avvicinò al suo aguzzino.
“Lo… lo sapete cosa.”
Se fosse stato un uomo qualsiasi che si preoccupa della donna che ama Orochimaru l’avrebbe guardata con pena, ma si limitò semplicemente a sorridere come gli si addiceva. Dentro di sé, percepiva un leggero fastidio nel sapere che il desiderio di lei si fermava alla sua polvere, ma lo ignorava.
Senza pensare ad altro, si allungò verso il comodino e ne estrasse una busta contenente una dose massiccia di cocaina. Solo un uomo temuto come lui poteva permettersi di non avere un nascondiglio per quella roba, registrò meccanicamente Anko.
“Mi piacerebbe farti delle raccomandazioni, ma suppongo non servirebbero.”
“Maestro – lo apostrofò sarcastica la donna – Non credo abbiate centrato il punto. Direi che più che non servire, voi siate l’ultimo che possa farmele.”
Lui rise di nuovo, consegnandole la polvere.
“Hai ragione.”

Avrebbe voluto farla sua in quell’istante. Possederla nel corpo come più volte aveva fatto in passato, sentendosi solo con lei in una dimensione di pace. Non capiva proprio come potesse essere l’unica a provocargli quelle sensazioni, eppure… eppure Anko aveva qualcosa di diverso da qualsiasi altro essere vivente.

Ricordò quei momenti in cui lei si opponeva fino alla fine, lottando contro di lui per mantenere il proprio orgoglio. Ricordò di come amava vederla piangere e urlare, sentirla graffiare e mordere la sua pelle, non di piacere, ma di rabbia e paura. E per una volta quelle immagini, che di solito accompagnavano un piacere devastante, gli diedero fastidio. 
Desiderò stringerla, per la prima volta, protettivo, forse persino con dolcezza, per farla stare meglio, per recuperare qualcosa che era andato sbiadendosi.

Quel pensiero evaporò istantaneamente, quando tornò a ragionare con lucidità. Per quindici anni aveva abusato di lei, l’aveva ferita con ogni mezzo, usata per ogni scopo, testata per ogni esperimento, piegata ad ogni suo volere. E nonostante lei rimanesse indomita, sempre fiera e dignitosa, nonostante la sua evidente disperazione, sapeva che non poteva cominciare ad amarla ora.

L’uomo si alzò quindi dal letto, srotolando le maniche della camicia e abbottonandosi i polsini.
Dietro di sé avvertì il fruscio della seta, prima di sentire le braccia di lei circondargli le spalle. 
Un bacio si posò sul suo collo, lasciando un’impronta rossa e Orochimaru si voltò a guardare con distacco quell’assurda creatura che popolava la sua fantasia.
“Dovresti andartene.” Fu il primo e sincero consiglio che le diede. Non era un avvertimento o una minaccia, ma giusto quello: un consiglio. Non avrebbe retto oltre e l’avrebbe ferita ancora, forse con più forza delle altre volte, e alla fine lei sarebbe andata via, urlandogli contro il suo odio.
“Non posso.” Sussurrò Anko, appoggiando le sue labbra su quelle del maestro. 

L’uomo sgranò gli occhi sorpreso da quella carezza gentile, poi in un secondo momento, ricambiò approfondendo il contatto e spingendola a sdraiarsi sul letto. La sentì tremare leggermente, com’era accaduto già altre volte, tuttavia non pareva avesse intenzione di ribellarsi. 
Faceva bene a cedere alla tentazione? Non aveva deciso di chiudere con lei? 
In fondo sapeva di non essere mai stato abbastanza altruista da pretendere di smetterla di rovinarle l’esistenza. Sarebbe stato più facile e meno doloroso, ma non avrebbe avuto quel sapore sublime di veleno e profumo.
“Dovresti andare via…” mormorò di nuovo il padrone di casa, accarezzando i fianchi fasciati della donna. Lei in tutta risposta gli baciò il pomo d’Adamo, lambendolo con una carezza della lingua. 
Dentro di lei non lo avrebbe mai ammesso, eppure il dolore che le provocava il suo maestro era la cosa che desiderava maggiormente in quel momento. 
La vita di Anko, almeno per quello che credeva lei in quel momento, sembrava cadere a pezzi giorno dopo giorno. Sorrise a quel pensiero: in realtà non aveva mai veramente costruito nulla, erano sempre state solo macerie, fin quando da bambina aveva condiviso l’amaro destino di essere una cavia.
L’uomo sopra di lei le accarezzò con riverenza una guancia e lei chiuse le palpebre in un unico ed ultimo gesto di tenerezza. 
Non conosceva la dolcezza, anche se avrebbe voluto, e non poteva cambiare. Non da un momento all’altro.
“Non posso andare via. – sospirò Anko, aprendo gli occhi per fissarli in quelli, ora dannatamente spaventosi, del suo maestro. – Non posso, perché anche il serpente deve cibarsi.” E avrebbe voluto aggiungere che era compito suo prendersene cura. In fondo, nonostante tutto, lo aveva imparato a conoscere e in un certo senso lo capiva. Non erano poi così diversi. Il mondo non era fatto per loro e loro non erano fatti per il mondo. 
Se solo avessero saputo dimostrarselo, avrebbero ottenuto la felicità.

Orochimaru non avrebbe voluto avere fretta, voleva amarla per davvero, ma non ne era capace. Così, lentamente, strinse i polsi di lei sopra la testa fino a lasciarle un segno – un altro.

Spire che si stringono, denti che si scoprono e il desiderio di essere inghiottita per sempre. Anko avvertì il senso di oppressione gravare sul suo cuore e si chiese se quella fosse davvero la soluzione giusta.

“Avresti dovuto seguire il mio consiglio.” 

E in quella stanza, tramutata in una gabbietta dalle sbarre candide, il serpente iniziò ad ingoiare il topolino.

Jack, in cucina, inconsapevole del proprio destino, continuò ad annusare l’aria.



Owari...?




[21 marzo - 12 aprile 2009]

Olé, quanta sana allegria XD Sempre meglio! Comunque, commenti a parte, devo specificare alcune note. Potrei essere andata non solo OOC, ma anche fuori tema. Vorrei dire a mia discolpa che il personaggio di Orochimaru mi è completamente estraneo e contemporaneamente affine. Sono fermamente convinta che fosse, più che un egoista, un perfezionista che credeva solo in sé stesso e che odiava il resto del genere umano, considerato inferiore. Il suo unico rapporto vero è con i suoi serpenti e con la prima donna che ha ricevuto il suo marchio, alias Anko. 
Anko potrebbe risultare particolarmente OOC, perché la mostro in un momento di fragilità. Ma ha subito violenza e perso l’uomo che amava (Tenzo, che aveva condiviso il suo stesso destino e che non l’ha mai amata sul serio) e non riesce a trovare il suo posto, nonostante il carattere forte. E’ un po’ attratta / un po’ intimorita da quell’uomo che è stato punto di riferimento quando era ancora una bambina e finisce per ricadere in un circolo vizioso.

Spero si sia comunque capito il senso e di aver fatto lo stesso un buon lavoro.
inchino profondo

Urdi

Scleri dell’autrice:

Non ci credo! Questa storia si è classificata 2^ al contest “Orochimaru’s pairings”indetto da Compagniescu. Il contest prevedeva di scrivere una fanfic il cui protagonista fosse Orochimaru impegnato in una relazione con un personaggio random. A me è capitata (a fortuna o no) Anko… ed è nata questa storia. Sarebbe uscita comunque, per cui sono stata solamente fortunata, anche se ammetto che proprio a causa del personaggio non era semplice trovare una trama che fosse soddisfacente. Ma la giudice ha apprezzato, per cui me ne sto. Sono contentissima e la ringrazio tanto! Inoltre, tanti complimenti alla vincitrice Inochan e a tutte le altre compagne J di questo contest: uchiha_girl, iaia-chan, Beat_88, Akasuna no Sasori, Rota-chan, Bravesoul, Happy pumpkin e Sky eventide! Ora mi leggo tutte le vostre storie, promesso… ^_^ e fatelo anche voi lettori ù__ù e commentate un pochino su XD

Urdi

Giudizi della giudice:
Originalità: 8.5 
IC dei Personaggi: 8 
Attinenza al Tema: 9.5 
Correttezza grammaticale: 8.5 

Totale: 34.5/40


Risposte ai commenti di “Strage di San Valentino”


@Slice: Anko, sfigata in lacrime e volgare…credo si rivedrà XD uahahahahahahah lo sai che sono sadica ù_ù Per Kakashi e Tenzo… in questa fanfic avranno vita abbastanza amorevole e felice, saranno gli altri a complicarla per loro, ovviamente *__* sempre più sadica, sì, lo so XD ti ringrazio stellina, sempre in pole position, eh? Ti adoro!^*^ bacio!

@Iaia: sono contenta ti siano piaciuti tutti i personaggi!^^ Non so se seguirai la storia, ma comunque ti ringrazio lo stesso. Io ho adorato scrivere Strage, la amo. Non lo so… mi soddisfa dall’inizio alla fine *__*! E poi ha dato un sacco di spunti per creare altre piccole fics collegate fra di loro (che poi sono quelle di questa raccolta!). Le ho già lì pronte, solo che devo collocarle al momento giusto XD Grazie mille (Kakashi? No! Quale merito?! XD ahah… lo farò patire in qualche modo). Bacini!^__^

@Bravesoul: Ciao! Davvero adori come ho reso Anko? Grazie!ç_ç Io un po’ l’ho trovata odiosa, ma la capisco…eccheddiamine! Anche in questa fic l’ho trattata male… anche se ho aggiunto l’apoteosi con la prossima (che è il seguito di questa!). Spero comunque non ti infastidisca l’ooc. Grazie mille!^__^

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Capitolo 4
*** Ricordi amari di liquori (KakaYama) ***


Di noia, cotte ed altre sostanze
Di Urdi or Urd

Ricordi di liquori amari
(Amari ricordi di liquori)
[Ricordi amari di liquori]
{500 parole}




Avevano mangiato una pizza a casa, finendo per guardare un film che conoscevano a memoria. 
Scherzavano come non capitava da tempo, concedendosi ogni tanto ricordi di quando erano nella band che spopolava a scuola. 
Così quei momenti che sembravano lontanissimi si incatenavano fino ad arrivare al presente.
C’erano stati tempi in cui avevano avuto un rapporto stretto, intimo, morboso, difficile. Tempi che si nascondevano da qualche parte, ma che continuavano a vivere.

Tenzo rise dell’ennesima scena in cui Gai, convinto di essere un super figo, si atteggiava sul palco, mentre loro lo prendevano in giro.

“Guarda che quella sera io non me la ricordo proprio!” esclamò rivolto a Kakashi, mentre svuotava l’ennesima bottiglia di birra nel bicchiere di plastica colorata. 
“Ci credo, eri così ubriaco che ti abbiamo dovuto caricare su un taxi.”
“Ahah… può essere. Era il periodo Whisky…”
“Whisky, Vodka, Gin, Rhum, Martini…”
Tenzo mise su un broncio ridicolo, tuttavia senza smettere di ridacchiare.
“Ma taci, non stavo messo così male! Parli tu che alle otto del mattino tiravi fuori il sakè e ci facevi colazione.”
Kakashi aggrottò le sopracciglia, rimanendo serio.
“Uhm…sì, può essere.”
“Ma guardalo.”

Si scambiarono un’occhiata, risero ancora e poi decisero che si era fatto tardi.
“Torno a casa. Sono le tre ed ho promesso ad Anko che domattina avremmo fatto colazione insieme. Sai com’è… - il moro si alzò dal divano abbozzando un sorriso - … se faccio tardi mi tiene il broncio fino all’ora di pranzo.”
Kakashi ricambiò il sorriso e diede una pacca sulla spalla all’amico. 
“Sicuro che ce la fai a guidare?” chiese, accompagnando l’ospite alla porta.
“Ehi! Non sono ubriaco.”
Il padrone di casa annuì poco convinto.
“Smettila di fare il superiore. Altrimenti, prima o poi le prendi.”
“Tremo di paura. – Kakashi rise di nuovo e Tenzo non poté fare a meno di rimanere abbagliato – Dai, sbrigati. E attento ai colpi di sonno.”
Ma invece che andare via, il moro rimase a fissare l’amico. Cosa ci fosse di strano in quell’atmosfera, non riuscivano a capirlo. Eppure… Sarà stato l’arrivo imminente della prima neve?
Dopo tanto tempo avevano passato una serata insieme, senza altri, senza sesso, senza alcol o droga o tesi da finire. Si erano ritrovati adulti, su quel divano dove spesso si erano scambiati effusioni, in un periodo in cui erano confusi riguardo alle ragazze e ai rapporti di amicizia. Poi si erano allontanati, convinti che fosse solo una questione di attrazione (sbagliata). Tenzo si era rimesso con Anko, la ragazza con cui stava al liceo, e Kakashi si era lasciato andare a storie che non avevano nulla di serio.
Eppure adesso che erano sulla soglia di quella porta…
Tenzo guardò fuori: intravedeva l’ascensore, intravedeva la sua vita con Anko.
“Buonanotte, Ten.” Soffiò Kakashi, per spezzare quel silenzio. Non voleva ricominciare quel circolo vizioso. Non doveva.
“Ripensandoci, non credo di essere in grado di guidare.”
Tenzo si voltò e chiuse la porta alle sue spalle. E con essa, chiuse anche con il resto del mondo che stava fuori.


Owari...?

NEXT flash-> Fame rossa d'abbandono -> " Notte. Il rumore di un locale, due uomini che camminano con lo stesso corpo ed una donna che ha bisogno di fiori…in polvere. Quando il corpo ha fame (di qualsiasi natura essa sia), si cerca in ogni modo di riempire quel vuoto che si sente nello stomaco." - Zetsu Anko




Sciocchezzuola scritta un pomeriggio, che allude non solo a Strage di San Valentino e alla scorsa shot (collocandosi due mesi prima di Strage) ma anche alla au scolastica (prequel del prequel di questa raccolta che vedrà la luce chissà quando...)
Spero comunque non vi sia dispiaciuto. Io ormai Kakashi e Tenzo li metto ovunque, come il prezzemolo.^^
Devo dire un'ulteriore cosa della scorsa shot "SPIRE"... ovvero, ho dimenticato di dirvi che l'ispirazione è tratta da mia vita vissuta XD Ebbene sì, una sera ero ad una festa in villa di un nostro amico, mi sono offerta di preparare il caffè per chi guidava e sono andata in cucina. Lì se ne stava in una gabbietta un topolino bianco. Ad un tratto il proprietario di casa è entrato ed io ho esclamato: "Che carino il topo!" e lui "Indovina che fine farà...?" Momento di silenzio, poi consapevolezza: lui possiede un pitone. Ci sono rimasta male. Sul serio ò__ò

Ma passiamo a rispondere ai vostri commenti su SPIRE *vi ringrazio *__* siete sempre adorabili ù__ù*
@slice: in che senso Anko non l'avresti immaginata così? Forse ho esagerato e sono andata troppo OOC ò__ò ho questa netta sensazione. Soprattutto man mano che va avanti la storia XD Uffa!!Paranoia gilr è tornata (alias me). Io ho capito perfettamente quel che vuoi dire su Orocoso e lo approvo in pieno. E' esattamente come lo vedo io, per lo meno in quella determinata situazione. Grazie pastafrollina *O* ti adoro!!!
@Happy Pumpkin: Davvero? Sono molto contenta che la fanfic e soprattutto i personaggi ti siano piaciuti^__^! Hai colto esattamente quello che speravo, sono commossa ç__ç Io devo ancora leggere la tua, ora posto e poi corro, promesso :) ho visto che l'ambientazione è parecchio interessante*_*.
@bravesoul: Davvero adori come uso Anko? *__* Oh, grazie mille. La si vedrà spesso, quindi spero possa piacerti sempre (e soprattutto di non esagerare mai ù_ù) mi sa che sarà presente nella prossima flash fic, quindi seguimi^_^
@Sky: Ciao! Ti ringrazio dei complimenti e passo a risponderti: in realtà non ho avuto molto modo di analizzare Oro, la fic, se mi permetti, è un po' corta, per cui ho dovuto condensare quello che accade e prova in quel dato momento. Io non dico che lui scacci l'amore, perché non è in grado di provarlo. Io dico che Oro lo prova ma non è capace a dimostrarlo, Non più almeno. Eppure un tempo, nonostante il suo animo corrotto, ha amato (i suoi genitori per esempio) anche se con estremo egoismo. Lui voleva poterli riportare in vita e dà lì tutto il suo pensiero sull'immortalità ecc. Il ragionamento che fai non è sbagliato e non è contorto, lo capisco alla perfezione e mi trovi perfettamente d'accordo. In ogni caso è così che l'ho visto io in quella data situazione e non ho avuto modo di approfondire altro. Inoltre una persona può pensarla come vuole sul personaggio che non sarà mai completamente lo stesso che ha creato l'autore. Ognuno dà una propria interpretazione, volente o nolente. Per il "Se" accentato, avevo seguito la discussione sul forum e anche io avevo sempre creduto si potesse scrivere in entrambi i modi. Controllando sul mio libro, un testo molto dettagliato, non l'ho trovato, ma mi fido. Grazie mille :)
@Ballerina classica: Ciao! Davvero ti sono piaciute?*_* Bene, me contenta. Orochimaru Anko che è stata voluta dal destino XD Però sono contenta di come è venuta, al di là di tutto. E sono contenta ti sia piaciuta^^. Anko la rivedremo nel prossimo capitolo!:) ti ringrazio tantissimo, sono felice di vedere tutto questo entusiasmo*__*! Che ne pensi di questa schifezzina?XD è un prologo in realtà, per cui niente di che...grazie ancora comunque!^^

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Capitolo 5
*** Fame rossa d'abbandono [ZetsuAnko] ***


Questa flash si colloca appena dopo "Strage di San valentino" e prima di "Spire" Enojy, Urdi



Di noia, cotte ed altre sostanze
di Urdi

Fame rossa d’abbandono
[800 parole] 





C’è un leggero ronzio. 
Alzo lo sguardo sulla lampadina che pende dal soffitto e una falena cambia rotta, attraversando il fumo che sale dal posacenere.
Scrollo la testa infastidito dall’odore di chiuso.
“Perché lo hai fatto?” chiede con quella sua voce fastidiosa e petulante.
“Ti interessa? E’ la solita storia…” rispondo, cercando nella tasca della giacca un pacchetto di sigarette. 
L’altro tentenna, pare aver voglia di dire qualcosa, ma poi tace. Meglio così.
Faccio un tiro, espiro grigia anidride carbonica, poi torno con lo sguardo sulla macchia nera attorno alla pozza rossa.
L’ho ucciso, l’uomo riverso a terra, macabra imitazione di un fiore essiccato. “Papavero” è un pensiero che arriva alla stessa velocità con cui la falena si brucia le ali al contatto con il vetro incandescente.
“Sempre così impulsivo. Ammetterai che questa volta è stato un gesto superfluo. Cosa ce ne facciamo ora?”
Continua a parlare, che palle. E’ l’unica cosa che gli riesce di fare. Ma per fortuna sono io che penso, sono io che ragiono e sono io che prevalgo.
“Per quel che me ne importa possiamo anche lasciarlo in questa cantina.” Affermo, mordicchiando il filtro dalla mia parte di bocca. 
Non ho tempo da perdere questa sera, non è il primo da cui devo andare per riscuotere i soldi che non sono ancora arrivati. 
“Quindi stiamo andando via?”
“Certo, a meno che tu non voglia rimanere a guardare questo corpo andare in decomposizione.”
“Non sono io quello che ha di questi gusti.”
“Già… e non ti piacciono i fiori?”
Non so cosa stia per dire, apre la bocca, ma poi la richiude. Forse ha capito a cosa mi riferisco, chissà. 
Ho voglia di ridere. 
“Andiamo.” Ordino, spegnendo la cicca nel posacenere già colmo, posta sul piccolo tavolino in metallo. Salgo la scaletta ed esco per arrivare alla confusione distorta del locale.

E’una strana notte questa. Brilla di luci rosse nel buio, di sorrisi fasulli e di sostanze consumate in segreto.
Sostanze che possono farti sentire meglio, che chiudono lo stomaco ed aprono le porte al vuoto. Ed è bello lasciarsi andare… E’ bello cadere verso il nero, in questo tunnel dalle tinte d’alba. Sembra di girare proprio in un papavero, lo stesso che ti abbraccia con i suoi petali e con la sua polvere.
Quella sensazione la si vede ovunque: negli occhi della bionda che vende sigarette nel suo abito carminio, sul sorriso storto della mora con i capelli da pazza e lo sguardo tagliente e probabilmente anche su di me. Io che diviso a metà cerco la mia strada tra la folla. 
Devo andare via, anche questa notte il lavoro è cominciato.

“Fermiamoci a bere qualcosa.” Consiglia e mi trovo d’accordo con lui. Solo qualche minuto per concedere all’oblio di durare ancora un po’. 
Mi appoggio al bancone e ordino qualcosa di forte.
Intorno a me il frastuono di una musica indistinta, il calore di chi balla e l’affetto di chi ha bisogno di droga.
“Ehi, buonasera.” Mi giro appena, lasciando che la parte di viso verso la donna che ha parlato rimanga in ombra.
“Buonasera.” E sorrido, conoscendo già la richiesta.
“Allora…? Mi serve qualcosa Zetsu.” Dice la mora, accavallando le gambe nude, facendo così che la sua gonna le scopra quasi completamente. Avrei voglia di mangiarla. 
“Diretta come sempre, Anko-chan.”
Sorride a sua volta e ordina un drink colorato.
“Uffa, stasera mi tocca parlare con la tua parte antipatica? Sapevo che dovevo sedermi dall’altro lato!”
E detto questo fa il giro e si siede alla mia sinistra. Il mio viso da questa parte è illuminato e splende di un’espressione più rilassata. E avverto il suo modo di guardarla, così simile al mio forse, e sento più forte il desiderio di mangiarla.
“Cos’hai questa sera per me?” chiede, passandomi una mano sulla camicia nera all’altezza del petto. E’ un gesto sensuale, ma dettato dall’astinenza.
“Ti va di parlare di fiori? Ti piacciono?” propone lui. Vorrei ucciderlo per questo suo modo di fare. Mi prende anche in giro! Ma non commento, perché so che è affabile e sa come prendere i clienti per ottenere il massimo. 
“L’importante è che abbiano un buon profumo.” Sorride lei maliziosa. 
“L’importante è che abbiano un buon sapore.” Ghigno io dall’altra parte, immaginando di addentarla.
Lei ride e mi invita a seguirla in un albergo. Forse ciò che vuole non è solo eroina. Aggiusto il colletto della camicia. 
“Allora cominciamo da quello che mi sta più a cuore.”dico aprendole la portiera del taxi, per dimostrare all’altro che anche io so essere galante.
“La pianta carnivora?”ridacchia, cercando di tirare il più giù possibile la minigonna che si alza quando sale sulla vettura. 
/Scartarla come un cioccolatino e ingoiarla. Gustarla, lasciarla sciogliere sulla lingua./ è un pensiero automatico.
Mi siedo accanto a lei e la guardo negli occhi velati dall’alcol.
“No. Il papavero…”






Owari...?

NEXT flash -> da decidere... voi cosa proponete tra: KakaKure - GenmaAnko - KakaGenmaTen - YamaTayu (io propendo per questa) ? fatevi sentire ç__ç



[Maggio 2009]

Ordunque. Flashfic ispirata dal contest in modo istantaneo. Anche se è corta è stato molto difficile per me scriverla °_° sarà che un po’ sono io che sono lenta, saranno stati gli impegni e il vuoto mentale, ma alla fine sono riuscita ad ottenere quasi quello che volevo.
Quasi perché la flash nasceva come flash da 500 parole, ma alla fine ho sforato e sono arrivata a 800. Ad ogni modo credo che non potesse essere scritta in altro modo, quindi io sono contenta così. 
Spero che possano averla apprezzata anche le giudici e che mi perdonino il clamoroso ritardo inchino profondo

Passando al testo. Il papavero in questa storia si rifà più all’oblio che al simbolo del sonno e di Morfeo. Anche se qualcosa di onirico io ce lo vedo lo stesso. Zetsu parla del papavero da oppio da cui si ricava la morfina e conseguentemente l’eroina. Lui, pusher dallo sdoppiamento di personalità e regolatore di conti, ha una vera e propria passione per questo fiore… e per il suo utilizzo. Spero di non essere fuori tema. La fame rossa di abbandono è la voglia di lasciarsi andare, di poter dimenticare con sostanze come droga ed alcol i dispiaceri della vita. E’ la fame di Zetsu, il suo desiderio carnale (in ogni senso) dell’altra. E’ l’astinenza, l’assenza, quella sensazione nella pancia che ci ordina di saziarci, per smetterla di sentirci vuoti.
inchino profondo di nuovo u__u

Urdi



Sono, ovviamente, molto felice del mio posizionamento. Il contest (che prevedeva di scegliere un fiore da una lista e scrivere una Zetsu Centric) mi ha ispirata subito e sono contenta del risultato ottenuto, anche se posso affermare che le altre due storie scritte da due autrici che stimo molto, sono davvero davvero davvero stupende! Sono onorata di essere arrivata prima partecipando con Saeko no danna e DarkRose86, che hanno sfornato due piccoli capolavori che vi invito (leggesi ORDINO!) di leggere. Intanto perché sono visuali differenti di Zetsu che non si vedono tutti i giorni e poi perché semplicemente meritano! Siccome so che siete pigri, vi lascio anche i link:
DarkRose86 -> Il seme della follia
Saeko No Danna -> A metà tra uomo e belva

Infine ringrazio sentitamente le giudici, iper rapide con le valutazioni e i risultati del contest e per il bannerino bellissimo! Grazie quindi a NekoRika e Happyaku :) troppo carine, grassie grassie!


Il parere delle giudici:
Attinenza al tema: 10
Grammatica e scorrevolezza: 10
Caratterizzazione dei personaggi: 9
Trama e svolgimento della stessa: 8.5
Originalità: 10
Gradimento personale: 5

Totale: 52,5

Nekorika: Ho appena finito di leggere a tua fanfiction, e devo dire che mi ha lasciata.. folgorata. Sicuramente originale, scorrevole, godibilissima.
Ottima la scelta della prima persona, del presente. Molto d'impatto, e posso capire la difficoltà nella stesura, non è sicuramente lo stile più immediato.
La trama non è stata sviluppata, la flashfiction verte sulla descrizione di una sequenza di momenti, e se questo da un lato ha tolto qualche punto alla voce relativa, d'altro canto devo ammettere che probabilmente è stato l'elemento che mi ha fatto apprezzare in modo particolare questa fanfiction, unito all'introspezione.
Zetsu pensa, parla, si muove, ragiona come se fosse davvero due persone, due persone nello stesso corpo, ognuna con una sua personalità ben distinta da quella dell'altro. La scena della sigaretta mi ha colpita molto in questo senso, nel tuo focalizzare l'attenzione sulla metà del corpo -in questo caso, sulla metà della bocca-. Sei riuscita a rendere in modo perfetto la sua particolarità, il fatto di essere due.
Ottima la sua caratterizzazione, molto più abbozzata quella di Anko. Non è lei la protagonista, lo capisco bene, è solo una figura che interagisce con Zetsu, però, leggendo la fanfiction omettendo il suo nome, questa Anko avrebbe potuto davvero essere chiunque. A parte questo, nulla da dire.
Un appunto anche sul finale: magnifico, molto d'effetto.
Un ottimo lavoro.

Happy:
Bello il lavoro che hai svolto attorno al papavero, che si ripete più volte nella fanfiction con chiavi di lettura diverse.
Ho dovuto rileggere la ff due volte, proprio per comprendere i significati che hai voluto dare, e questo è molto apprezzabile, perché ci è stato un ottimo lavoro dietro. Oppure sono io che sono tarda, e mi ci vuole tempo per comprendere le cose, ma non credo che sia questi e altri il caso.
All'inizio non si capiva molto bene chi era la parte nera e chi no, ma alla fine ci si arrivava benissimo.
Sono contentissima che Zetsu forse riuscirà a compicciare qualcosa, e a riempirsi la pancia e magari arrivare al quel picco di completezza, che dura pochissimo sia nell'ambito della droga che quello del sesso ( non mi drogo e non faccio sesso, quindi è tutto per sentito dire).
Tanto per ribadire, magnifico il lavoro sulle due parti, come due unità quasi diacroniche, che è davvero del personaggio Zetsu. Infatti mi è piaciuta molto il pensiero della parte nera, quando decide di aprire la portiera del taxi.


Risposte ai commenti di "Ricordi di Liquori amari"
@Slice: vedi? tutti vogliono che scriva più KakaTen, poi quando le scrivo non le commentano...saranno cattivi?XD Ihih...scherzi a parte, felice come sempre che la sciocchezuola ti sia piaciuta :) Purtroppo ho idea che in questa raccolta di lemon non se ne vedranno (se non accennate!) a causa del rating arancione :/ chissà...forse lo alzerò più avanti. Ho in mente certe scenette... :D ihih... *bacino* e Grazie mille come sempre^_^



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Capitolo 6
*** Noia - Io la tua ex la strozzerei [YamaTayu] ***


Di noia, cotte ed altre sostanze
Di Urdi



Dedicata a Slice, anche se forse non è il suo pair



6. Noia - Io la tua ex la strozzerei
[1311 parole]




Tayuya reclinò la testa all’indietro sul divano, appoggiando i piedi su un pouf in pelle.
“Wow… non me l’aspettavo tanto figa casa tua!” esclamò ammirata, passando lo sguardo lungo il salotto ben arredato. C’era un tocco particolare, la rossa lo avvertiva, eppure nulla di troppo vistoso. 
“Ah, ma dai! C’è il minimo indispensabile…” scrollò le spalle l’uomo, apparendo nella stanza con addosso un completo che portava senza ombra di dubbio la firma di un certo Armani.
Tayuya a momenti cadde dal divano. 
Lei che, in abito di seta scura, si era stravaccata letteralmente, si sentì per un attimo a disagio. 
Lui lo notò e sorrise, inconsapevole però di quanto questo accelerasse i battiti della ragazza.

Tenzo, ritornato da un allenamento e non avendo molto tempo a disposizione, era passato a prendere Tayuya al Centro e l’aveva portata a casa sua per poi andare al concerto che lui le aveva promesso.

“Vogliamo andare?” chiese l’uomo, allungando la mano per aiutarla ad alzarsi.
Lei, quasi in trance, non smise di fissarlo, rischiando di cadere dai tacchi.
“Cazzo!” imprecò, quando le parve di perdere l’equilibrio. Decisamente quelle non erano le scarpe che più le si addicevano.
Il moro premuroso però riuscì a sostenerla appoggiando l’altra mano su un fianco.
Tayuya pregò che il suo naso non iniziasse a sanguinare.
“Non sei pratica…” la prese bonariamente in giro. 
Ma Yamato, fino ad allora, dove lo aveva nascosto quel lato così pieno di Charme? 
“Oh, vaffanculo… è la prima volta che indosso delle cose così scomode.” 

Mentre stavano per uscire dall’appartamento, Tayuya notò un paio di scatoloni in ingresso: da essi sbucavano vestiti ripiegati, pupazzi e persino qualche fotografia. Senza neppure accorgersene vi si avvicinò.
“Stai traslocando?” 
Il moro alzò le spalle indifferente, cercando le chiavi della macchina.
“Non è roba mia. E’ di Anko.” Proferì, deciso a dare un taglio a quella conversazione.
La rossa afferrò una fotografia che ritraeva il suo tutore assieme alla fidanzata sotto ad un ombrello: 
Anko aveva un gran sorriso e faceva il segno di vittoria con le dita, mentre lui la guardava male, ma divertito. Che invidia… pensò Tayuya. Ci sarebbe mai stato nella sua vita un uomo che l’avrebbe guardata così?
“Perché sta qui ‘sta roba?” chiese poi, voltandosi. 
Yamato stava ancora frugando nelle tasche di un cappotto.
“Devo riportargliela. Ci siamo…ci siamo lasciati.” E non riuscì ad esultare quando trovò quello che cercava. Possibile fosse così difficile dirlo?
Tayuya sgranò gli occhi.
“Lasciati?!” esclamò, rendendosi solo dopo conto di aver messo troppa enfasi nella domanda. 
Insomma, Anko non le era mai stata particolarmente simpatica ed ora scopriva che era riuscita a far finire la sua storia con lui! Che idiota! Aveva un ragazzo così meraviglioso accanto… tsk… 
Tenzo sorrise di circostanza ed aprì la porta di casa.
“Andiamo.”
Tayuya avrebbe voluto replicare, ma si limitò a precedere l’altro sul pianerottolo.






“Ammettilo: ti ha fatto schifo.” Fuori dal teatro le luci delle insegne colpirono due figure come lampi. La notte accarezzava Tokyo e la accendeva, creando un’atmosfera irreale. Nel freddo dell’inverno, Tayuya e Tenzo camminavano uno accanto all’altra per raggiungere il parcheggio.
Il moro alzò le spalle, le mani affondate nelle tasche.
“No… - rispose pensieroso – è solo che non conosco molto questo genere.”
La ragazzina rise di gusto, come non le capitava da tempo.
“Ti ha fatto schifo, avanti...”
“Ma davvero, il suono del flauto è magnifico e…”
“Mi prendi per il culo adesso?”lo interruppe nuovamente, sempre più divertita.
“Sì, ok, lo ammetto: era una pallata mortale! - sbuffò infine lui, facendola ridere di cuore. – Cazzo, due ore di flauto! Mi è parsa una vita. E ad un certo punto penso che avrei voluto fuggire.”
“Ehi… ora mi vuoi offendere?!”
“Hai chiesto tu un parere sincero.”
“Ok, allora siamo pari, considerato il film di merda dell’altra volta.”
Tayuya porse la mano all’uomo e lui la strinse.
“D’accordo.” Rispose in un sorriso.



Nonostante tutto la noia si tramutava in un ottimo passatempo quando erano insieme. Tenzo si era affezionato alla rossa: così giovane, eppure intelligente e spiritosa, quando non era impegnata a recitare il suo personaggio di donna vissuta. La comprendeva, la ascoltava e si era reso conto che con lei riusciva a fare qualsiasi discorso. Buffo che proprio un’adolescente riuscisse ad essere un’amica così preziosa.
Invece di raggiungere la macchina, Yamato la portò a prendere un dolce in un caffè poco lontano, giusto per poter fare ancora qualche chiacchiera. Aveva pensato che se l’avesse riaccompagnata al Centro, poi sarebbe tornato troppo presto a casa e si sarebbe perso nei suoi pensieri. Probabilmente verso le quattro del mattino, dopo essersi rigirato di continuo, sarebbe uscito ed avrebbe raggiunto Kakashi… e non voleva. Non quella sera per lo meno. C’era ancora troppa Anko nei suoi pensieri.

“E insomma ora sei single…” attaccò ad un tratto la rossa, affondando il cucchiaino nel gelato.
Lui sbuffò, intrecciando le mani sul tavolo, davanti ad un caffè.
“Perché? – alzò un sopracciglio e lei deglutì – Sei interessata signorina?”
Lei a momenti non si strozzò con il dolce e lui rise nel vederla arrossire.
“Cosa?! Anche no, non scherziamo! – sbottò – Stai cercando di sviare il discorso. Stiamo facendo conversazione… e poi… poi mi sembrava che andaste d’accordo.”
Certo, per quanto fosse possibile conoscendo Anko. 
La Mitarashi infatti era una donna dal carattere irruente ed imprevedibile. Più volte al Centro Tayuya l’aveva vista arrabbiarsi con Tenzo per cose incomprensibili, ma credeva che tra loro ci fosse qualcosa di saldo che li legasse. Non sapeva dire il perché.
L’uomo appoggiò la schiena alla poltrona in pelle e sospirò, volgendo lo sguardo fuori dalla vetrina.
“Purtroppo non eravamo fatti l’uno per l’altra.”
Tayuya fece una smorfia.
“Sto scoprendo che parlare con te è monotono, sai?! Evviva la banalità.”
A quella frase a lui venne in mente Kurenai e sorrise.
“E’ banale… - disse tornando a guardare la giovane – Ma è la verità.”
Quella scema di Anko! Pensò Tayuya, guarda cosa si è persa! 
“Tsk… chissà cosa le hai fatto, poveraccia!” 
Lui rise.
“Toccato! – ammise – E’ per l’ottanta percento colpa mia.”
Tayuya lo guardò curiosa.
“Che cazzo hai combinato?! Lo sapevo che eri un idiota!” sbottò, anche se quello che diceva era l’esatto opposto di quel che pensava.
“Ti ci metti anche tu?! Ci sono state già un paio di persone a rigirare il coltello nella piaga.”
“Se sei deficiente…”
“Ragazzina… - la ammonì, aggrottando le sopracciglia minaccioso – Vuoi conoscere il vero terrore?!”
Lei scosse la testa e gli fece la linguaccia.
“Ragazzina chiamaci qualcun altro! E poi il tuo terrore non fa paura a nessuno.”
Risero, e poi calò il silenzio.


La rossa, rigirava il cucchiaino nel bicchiere ormai vuoto cercando tra i pensieri qualcosa di appropriato da dire. Non voleva sembrare una ragazzina. Voleva che la vedesse come una donna, voleva dargli dei consigli veri, voleva essere considerata come un tempo era stata considerata Anko. Magari, un pochino, avrebbe persino voluto essere desiderata…

E lui… lui avrebbe voluto parlare di più, raccontarle tutto, come a confidarsi con se stesso.
Ma non poteva. Non era stupido ed intuiva i sentimenti che la animavano. Nel profondo ne era persino lusingato e gli piaceva stuzzicarla. Ma c’era un limite da non dover valicare. 
Da una parte non voleva distruggere il sogno infantile di lei, dicendole che aveva una relazione con un uomo e dall’altra pensava non fosse giusto illuderla.

“Anche Anko ha le sue colpe…” Disse allora, abbozzando un sorriso. 
Tayuya scosse la testa.
“Ti rendi conto della differenza di percentuale?”
E il discorso si perse in chiacchiere frivole.


Entrambi così diversi e lontani, avevano solo bisogno di quel contatto fatto di cose non dette. Era quello il tacito accordo che avevano e che manteneva l’equilibrio del loro rapporto. Non avevano voglia di pensare e avevano lasciato i problemi dall’altra parte del vetro. Si sarebbero goduti la serata, prima di tornare alla realtà. 
In fondo, andava bene così.


Forse...



[Owari…?]
[24 Maggio 2009]

NEXT flash -->  cosa scegliete tra: KakaKure, OroAnkoGenma, KakaTen, TenAnko – KotetsuIzumo – HayateYugao e AsuKure (queste ultime 4 sono nella stessa fic XD) – ZetsuAnko?






E questa? Non chiedetemelo. Scritta all’improvviso, senza voglia di controllare le parole… di getto in sostanza. Si ricollega alla prima flash e a Strage di San Valentino e sì… avrà (prima o poi) il suo bel seguito.
Urdi

Risposte ai commenti (Fame Rossa D’abbandono):
@Saeko: Ciao cara! Anche a me fa piacere sentirti, tranquilla, mi stai molto simpatica *_* e poi adoro quello che scrivi. Boh, io ancora non sono convinta della scorsa shot, perché penso che la tua era veramente meravigliosa ç_ç Ad ogni modo GenmaAnko ci sarà sicuramente (più di una) purtroppo però la fanfic va in giro per i cavoli suoi °_° per cui mi sa che sarà tra due o tre cap, spero mi seguirai lo stesso ^__^! Grazie mille di tutto *_*
@slice: Tu hai capito appieno quello che volevo comunicare, non sai che soddisfazione! Il lato noir della fic e il modo di fare da gangster… sei un genio*_* e la recensione era bellissima, smettila di farti problemi, sono solo felice che ti sia piaciuta! Grazie tesoro *__* spero ti piaccia anche ‘sta cosina qui.
@bravesoul: telegrafica, ma cavolo…mi fanno sempre strapiacere i tuoi commenti, grazie *////*
@fly_chan: eccola! Spero di averti accontentato J se così non fosse, sappi che di TenoTayuya ce ne saranno altre!^^ Ti ringrazio davvero dei complimenti *_* e no, non alzerò il rating, tranquilla… ^_^
@beat: ciao cara!*_* Grazie mille! ^__^
@Lalani: Ciao! Grazie… davvero! Sì, pairing arrivato a caso XD nella mia mente, ma che poi si è ben delineato, penso che ne scriverò un seguito. Anzi. Lo farò davvero! ^__-



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Capitolo 7
*** Accetti o ignori? (KakaRin - KakaYama) ***


Di noia, cotte ed altre sostanze
Di Urdi



7.Accetti o ignori?
[non so quante parole XD]






Kakashi sbadigliò un’ennesima volta, passandosi una mano sul viso. Avanzò verso la scrivania con passo lento e strascicato, scalzo e privo di qualsiasi voglia di completare quella relazione che – sentiva ancora la voce tonante del Rettore – doveva essere terminata “PER TEMPO, PRIMA del Congresso.”
Sbuffò annoiato, chiedendosi di sfuggita come gli fosse venuta la malsana idea di diventare fisico teorico e ancor più di fare ricerca presso l’università. L’ambiente in verità non era male, se non avesse avuto quell’uomo a soffiargli sul collo…
Scansò quel pensiero con un movimento del collo e sorpassò la postazione di lavoro solo per poter prendere dal tavolo della cucina una tazza di tè.

Si specchiò nella bevanda calda vedendo solo i propri occhi riflessi, come se il liquido celasse il resto del suo viso, e sospirò.
Quanta fatica. 
“Forza…” si disse, tornando alla scrivania e accendendo il portatile. 
Mentre attendeva il caricamento del sistema, sfogliò il plico che il Rettore gli aveva dato. Avrebbe dovuto essere felice di quell’incarico, ma al momento si sentiva troppo stanco e non sapeva spiegarsi il motivo. Forse era semplicemente la giornata silenziosa e plumbea che dalla vetrata del soggiorno entrava di prepotenza a renderlo più apatico del solito.

Osservò il desktop, dove l’immagine di un carlino imbronciato lo guardava annoiato: il vecchio Pakkun, chissà come se la cavava? Lo aveva lasciato a casa con sua madre, convinto che potesse farle compagnia, ma la solitudine degli Hatake era sempre troppo solida.
Scansò anche quel pensiero.
Poi, deciso a vedere qualche nuova pubblicazione scientifica, più per curiosità che per bisogno di trarre spunto per la relazione, aprì il browser.
La sua casella di posta contava novecentocinquantasei messaggi di spam e un centinaio di e-mail tra studenti, colleghi e proposte di lavoro. Ignorò tutto: se non aveva voglia di scrivere un discorso messo in croce, figurarsi di leggere le stupide domande di qualche collega idiota. Per gli studenti, beh…erano abituati ai suoi continui ritardi, no?


E non seppe perché lo fece, probabilmente la noia del momento, forse anche una punta di curiosità o, più certamente, la completa voglia di cazzeggiare: aprì la sua pagina Facebook.

Si era fatto un account nel social network solamente perché glielo avevano menato quei cretini dei suoi colleghi. Anzi, a dirla tutta, non era stato neppure lui a farlo, ma probabilmente Gai che, se non ricordava male, gli aveva detto che DOVEVA averlo. 
Il professor Maito, fra le altre cose, vantava non solo un account su Facebook, ma anche un Gruppo con tanto di fans, un canale Youtube, MySpace, Netlog, Mixi… insomma, li aveva tutti perché “così ci si rapporta meglio con i giovani d’oggi. Come pretendi che ti capiscano se non parli la loro lingua?”.

Kakashi sorrise inconsciamente a quel pensiero e, ancora assonnato, notò un paio di richieste d’amicizia. Cliccò senza neppure pensarci e a momenti non si strozzò con il tè.
Si trattava di due ragazze: una non sapeva assolutamente chi fosse, l’altra invece la conosceva fin troppo bene. Difficilmente avrebbe dimenticato quel nome. 
Fu un momento in cui il silenzio dell’uggiosa giornata invernale, lo colpì in pieno, riportando a galla uno strano senso di oppressione.
Non poteva crederci: lui l’aveva cercata, ma non era mai riuscito a trovarla; più volte si era detto che non era il caso, eppure avrebbe tanto voluto poter parlare una volta per tutte con lei e mettere in chiaro quello che era rimasto in sospeso. Ci pensava, poi accantonava l’idea e cercava di mettersi il cuore in pace. Ma crogiolare nel senso di colpa era ciò che riusciva a fare meglio, no? Idiota. 
In ogni caso adesso lei se ne stava lì:



Hai una richiesta di amicizia da parte di:
Rin
Accetta.
Ignora.



Rin. 
L’uomo si passò una mano sulla fronte, osservò la piccola foto dove la ragazza – donna ormai – sorrideva e poi imprecò. Che doveva fare? Non si vedevano da così tanto tempo… Riprendere i contatti gli sembrava un po’ troppo innaturale e non amava particolarmente dover parlare attraverso una chat. 
Rin. Accetta?
E come faceva? Come diavolo faceva ad accettare di tornare al passato, di ripescare dispiaceri e rientrare nella vita di una donna che, ne era certo, viveva molto meglio adesso?
Perché poi, torturarsi con frasi sterili, magari punzecchiarsi o ancor peggio fingere indifferenza? Non gli piaceva l’idea di tornare a recitare in quel teatrino. 
Rin. Accetta?
Ma Rin era pur sempre Rin. Occupava una parte del suo passato dolorosa e costante ed ogni tanto bussava per ricordargli che c’aveva anche perso un occhio – e non solo quello. 
Rin, piccola di statura, con i capelli castani e un carattere placido, calmo come un lago. 
Rin innamorata che gli preparava il cioccolato per S.Valentino.
Rin che piangeva e rideva, e piangeva ancora.
Rin. Ignora?
Forse non poteva rievocare il passato, ma neppure far finta di nulla. Ignorare cos’era accaduto, la sofferenza che albergava nei loro corpi e, più a fondo, dove non volevano si vedesse, nella loro anima? Ignorare di quando, in tre, uscivano da scuola per andare a mangiare con Minato-sensei? Ignorare insieme a lei tutto quello che rimaneva del suo – loro? – amico Obito? Ignorare la tragedia, il sangue i pianti? 
Rin. Ignora?
Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Era vero? Stare separati li aveva aiutati?
Lui di sicuro si era macerato nel senso di colpa, rimandando qualsiasi tipo di chiarimento.
Era troppo facile pensare che a far finta di niente tutto sarebbe scomparso. Forse. 

Rin…

Stava ancora facendo qualche ragionamento da adolescente impazzito, quando, non seppe mai come né perché – sempre noia? O forse curiosità di sapere cosa combinasse la sua vecchia amica d’infanzia? O per complicarsi ulteriormente la vita? – accettò.

…Accetta.

Si aprì dunque la pagina personale di Rin: la foto più grande sulla sinistra e la bacheca con alcuni messaggi di amici sulla destra. Kakashi li scorse rapidamente, senza vedere nulla di interessante, poi cliccò su “info” e vide che era donna, single, in cerca di amicizia, atea, idee politiche un po’ vaghe, la passione per il curry e la cucina, medico, fan di vecchi anime e cantautori stranieri. Esattamente come la ricordava. La differenza era che adesso era laureata e svolgeva il suo lavoro in un altro paese dove sembrava avere molti nuovi amici. Insomma, gli parve di vedere una figura ritagliata nella carta e appiccicata su un fondale diverso da quel che lui ricordasse.
Si conoscevano dall’infanzia, ma la morte di un loro amico in comune, Obito, li aveva irrimediabilmente separati. Nonostante al liceo avessero provato a stare insieme, la presenza dell’Uchiha incombeva sempre, come se fosse ancora fra di loro. Sì, con la carne, le ossa e tutto il resto.
Insofferenti e incapaci di comunicare, avevano finito per lasciarsi, perdendosi definitivamente il giorno in cui lei ebbe un incidente e dovette trasferirsi per essere operata. In Cina le avevano ridato l’uso delle gambe e la speranza di avere un futuro. Così, nonostante le lunghe lettere dove ammetteva di sentire la mancanza dell’altro e del loro vecchio rapporto – fatto di cosa poi? Senza Obito loro non potevano che essere due entità separate! – non tornò più in Giappone.

Persero qualsiasi contatto. 
Tutto rovinato.

A Kakashi mancava Rin, gli mancava davvero. Ma non aveva mai capito per quale motivo. Forse era solo un po’ di nostalgia… chissà.

Mentre ripercorreva con la mente la loro vecchia storia, osservando la giovane donna nelle foto dove ora sorrideva, ora faceva una linguaccia, ora si laureava, ora brindava rossa in viso, notò una piccola finestrella aperta in basso a destra: la chat con un nuovo messaggio.

“Ciao! Quanto tempo! Sono contenta che tu abbia accettato la richiesta. Come stai?”

Un attimo di smarrimento: Rin gli stava parlando - se si poteva considerare parlare quello. 

“Cosa combini di bello? Dai messaggi in bacheca noto che non esci molto, che cosa fai?” continuò la ragazza dall’altra parte dello schermo. 
E lui, ancora troppo stordito dalla cosa, non riuscì a rispondere continuando a rileggere quelle righe più o meno una ventina di volte.

Quando comparve la scritta “Ci sei?”, finalmente si riscosse.
“Sì, ciao. Scusa, ma non mi aspettavo di… rincontrarti qui.” Rispose, passandosi una mano sui capelli, ancora abbastanza confuso.
“Eh, lo so… Facebook è un posto un po’ strano, vero?” e una faccina con sorriso. 
Kakashi ne fu quasi divertito: che razza di situazione!
“Non parlarmene! Sono un pesce fuor d’acqua in queste cose.”
“Haha…”
Momento di pausa. 
Il fisico si trovò ad osservare quasi ossessivamente la piccola icona che indicava che “Rin sta scrivendo”. La poteva quasi immaginare dall’altra parte dello schermo, impegnata come non mai a trovare qualcosa di adatto da dire, forse davvero con il sorriso, oppure agitata come una ragazzina, come lo era lui stesso in quel momento.
“Sai che sono in Giappone? Se ti va possiamo parlare davanti ad un caffè. Non amo le chat e poi…mi farebbe piacere rivederti.” 

Colpo al cuore. 
Kakashi non si aspettava certo un appuntamento, non così in fretta per lo meno! Avrebbero potuto parlare ancora un po’ via chat, sapere cos’avevano fatto in quei lunghi anni di separazione, riprendere le fila di ciò che era stato interrotto e solo allora, forse, rivedersi. 
Tuttavia anche lui non amava quel tipo di comunicazione, nonostante fosse il modo migliore per aggirare i discorsi spinosi. 
“Non pensi che sia…” e non aveva ancora finito di scrivere che Rin gli aveva lasciato un’ultima risposta, prima di scomparire “offline”.
“Ci vediamo da Berries tra una mezz’ora se riesci, ti aspetto lì. Scusa, ma devo assolutamente fuggire!A tra poco.”

Merda. Ci mancava un altro ultimatum dopo quello del suo capo, pensò Kakashi. Si passò quindi una mano sulla nuca, sospirò e guardò dentro la sua tazza di tè. Che doveva fare? 
Aveva mezz’ora per decidersi.
Presentarsi significava dover mettere in chiaro delle cose, parlare e, ciò che detestava di più, dare delle spiegazioni.
Non farlo d’altra parte, sarebbe stato scortese.
Ma di che si preoccupava? Era solo un caffè, un’ora, al massimo una e mezza, del suo tempo per rievocare un pochino il passato, constatare che lei stesse bene e mettersi la coscienza a posto.
Chiuse internet e si guardò nel riflesso sullo schermo. Aveva l’aria di chi non dorme molto, ma si era fatto la barba e le labbra sottili erano lievemente increspate da un sorriso nostalgico. Nel vedersi così gli venne quasi da ridere, poi mise a fuoco l’immagine imbronciata di Pakkun, con i suoi occhi da cucciolo abbandonato e parve chiedergli consiglio. 
“Accetto di vederla o la ignoro?” 
Neppure il tempo, sempre più grigio, lo aiutava in quella scelta.


Poco dopo, cedendo del tutto al fatto di non poter girare sempre attorno alle cose, con una forza mistica riuscì ad indossare un paio di jeans e una felpa bianca con un atomo stilizzato stampato sopra; avvolse la sciarpa attorno al collo ed infilò la giacca sportiva.
Uscì e camminò dritto, senza neanche guardare dove andava. Aveva a disposizione una buona ventina di minuti perché il posto non era lontano, eppure era schizzato fuori come un proiettile per evitare ripensamenti.
In quella giornata plumbea, la ferrovia che si intravedeva all’orizzonte, risultava solo un contorno sottile sfumato nell’aria. Le file di alberelli che ornavano le strade, tremavano al vento freddo e tutto, tutto, sembrava pronto per accogliere una nevicata.
Kakashi, le mani affondate nelle tasche e il viso nella sciarpa, rompeva quella calma con il suo passo svelto. 

Arrivò davanti al locale dall’insegna verde e arancio, così in contrasto con quell’atmosfera quasi natalizia, in orario perfetto. E non era da lui. 

Indeciso, come un gatto che studia la sua preda, guardò oltre la vetrata per vedere se lei fosse già lì. Non la notò subito e quasi gli venne l’idea di andare via, ma poi la trovò: era seduta ad un tavolo in un angolo, composta e curata, i capelli castani sulle spalle e un vestito color pesca. Senza neanche rendersene conto Kakashi deglutì e soffocò un sospiro, prima di entrare.

Si lasciò cadere sulla sedia con non troppa grazia, senza neppure sfilare le mani dalle tasche o scoprire il viso dalla sciarpa, borbottando un “Hisashiburi”.
Rin, che stava sorseggiando un bicchiere d’acqua, fece un salto per lo spavento. 

“O-oddio…” mormorò improvvisamente bianca, gli occhi sgranati per lo stupore.

Lui si raddrizzò leggermente contro lo schienale e abbozzò un sorriso.
“Ti ho spaventato così tanto?”
La donna non rispose limitandosi a guardarlo con la bocca aperta, incapace di formulare qualsiasi pensiero.
“Scusa, non era mia intenzione!” rise il fisico, levandosi la sciarpa e rivelando il suo viso dai lineamenti perfetti.
Rin sbatté le palpebre un paio di volte, poi finalmente esclamò:
“Io non posso crederci!”
Kakashi la guardò interrogativo.
“Non è possibile che l’abbia fatto davvero…quella dannata…” corrugò la fronte la donna, fissandosi le mani.
“Ehm…prego?” chiese lui senza capire.
Fu allora che Rin alzò lo sguardo e lo puntò in quello di Kakashi:
“E’ stata Kurenai, vero? – vedendo che lui non accennava a rispondere lei continuò – Ma sì! Le ho parlato prima su Facebook dandole appuntamento e… quella maledetta impicciona!”
In quel momento l’uomo si sentì un idiota. Anzi, un perfetto Idiota con la “i” maiuscola. La sera prima aveva lasciato che Kurenai usasse il suo computer e probabilmente era rimasto connesso con il suo account, quindi Rin, credendolo la donna, gli aveva dato appuntamento. 
Ancora incredulo continuò a fissare la sua ex senza sapere cosa aggiungere: sembrava la scena di un drama. Poi, forse per la tensione, forse per l’aver compreso la propria idiozia, scoppiò a ridere. 
Una risata sonora e cristallina che lasciò Rin senza parole. 
“Perché…perché ridi?” chiese seria, ma lui non smise, anzi, si dovette asciugare una lacrima sfuggita al suo occhio sinistro. 
“Smettila! Non c’è nulla di divertente!” obiettò di nuovo la giovane donna, senza ottenere nulla. Rimase allora impietrita a guardarlo ridere ed ebbe un tuffo al cuore. Quand’era stata l’ultima volta che avevano riso così insieme? Ripercorse con la mente la strada dei ricordi e arrivò davanti alla festa di compleanno di Genma per i suoi diciotto anni. Ricordava che avevano tutti bevuto molto e che erano finiti ad improvvisare lap dance usando Gai, o chiunque fosse a tiro, come palo. Era un pensiero sciocco, ma immediatamente la contagiò e le scappò una risata. 

Fu così: iniziarono ridendo entrambi come due invasati. 
Poi, quando il cameriere passò una terza volta per prendere le ordinazioni, Kakashi rinsavì e riuscì a chiedere due caffè e due fette di torta.
“Non ci vediamo da anni e scoppi a ridere così!” Rin prese bonariamente in giro il compagno, la tensione ormai sfumata.
Lui alzò le mani in segno di resa.
“Perdonami, ma la situazione è ben strana.” E si guardò bene dal rivelarle il suo errore.
“Certo che Kurenai è matta!”
“Eh, già, ma sai… è incinta, quindi è un pochino instabile.” Ottimo piano per evitare di essere ucciso da entrambe, forse poteva togliere la “i” maiuscola dal suo essere idiota…
“Cosa? Sul serio? Cavolo, mi era arrivato l’invito al suo matrimonio con Asuma, ma non pensavo fosse per riparare a qualche errore…”
“Ma lo sai che sei diventata davvero una stronza?”
Rin fece la linguaccia e Kakashi sorrise, rivedendola com’era quando avevano sedici anni.
“Dai, lo sai che scherzo! Allora la perdonerò…”
I due caffè arrivarono e la tensione tornò ad aleggiare tra i due. Entrambi presero a guardare la superficie del liquido scuro, probabilmente alla ricerca di qualcosa da dire.
“Sai, vorrei cominciare un discorso, ma… mi viene semplicemente “ne è passato di tempo” e mi sembra così banale…” se ne uscì ad un tratto lei.
“Figurati, per me è lo stesso. Però… è davvero passato tanto tempo.”
“Già. Non posso nascondere di non averti pensato in questi anni.” Sorrise amara la castana.
Lui rigirò la tazzina fra le mani e constatò quanto fosse strano parlare avendola di fronte, piuttosto che vedere quello che scriveva sulla chat. Non poteva fingere, non poteva pensare a lungo a cosa dire senza sembrare in imbarazzo o dispiaciuto. Perché, per quanto fosse bravo a non mostrare i propri sentimenti, gli occhi erano pur sempre gli occhi.
“Non ho più ricevuto tue lettere ed ho pensato che fosse meglio lasciarti in pace. Ci siamo fatti troppo male a vicenda e non volevo continuare quel circolo vizioso, ma…”
Lei alzò lo sguardo, seria, limpida e lui vi annegò, senza sapere come continuare. O meglio: lo sapeva, lo sapeva benissimo cosa voleva dire, ma non ci riusciva. 

“…mi sei mancata” non uscì mai dalle sue labbra.

“Sono successe così tante cose, non puoi immaginare. Alla fine io stessa non trovavo più il tempo di mettermi seduta e scrivere. Forse non ne avevo neppure voglia. Probabilmente ero giunta alla tua stessa conclusione: non facevamo altro che ferirci e non potevamo tornare amici come un tempo.”
Quel discorso, così freddo e solido, quasi tagliente, se ne stava lì fra di loro,
a dividerli adesso più che mai. Forse avevano solo bisogno di dirselo invece di chiarire punti oscuri. Dovevano guardarsi negli occhi e dire: “eravamo sconosciuti e non c’era più niente da fare”, per poter davvero ricominciare da zero.
Dopo un minuto buono di silenzio e sorrisi di circostanza, Rin continuò:
“Ma… cosa fai adesso?”
“Sono un fisico teorico, faccio ricerca all’Università; insegno fisica al liceo e nel tempo libero sono maestro di arti marziali nel club scolastico.”
Rin sgranò gli occhi.
“Wow, che uomo impegnato! Anche se si sapeva che eri un genio…”
“Ora, genio… occupo il tempo. – lui scrollò le spalle - E tu invece? Sei diventata chirurgo o sbaglio?”
“Non sbagli. Ma al di là di quello non faccio altro. Non ho una vita piena come la tua a quanto pare. – la donna finì il proprio caffè e osservò il fondo per un secondo prima di continuare – E… non hai nessuna ragazza?” quasi arrossì nel dirlo.

Kakashi appoggiò la tazzina sul tavolo e fissò Rin con un sorriso appena accennato.
In verità non sapeva cosa dirle di quello che riguardava la sua vita sentimentale. Dopo che si erano lasciati aveva avuto parecchie storie, mai nulla di troppo serio o coinvolgente, ma alla fine era arrivato alla sua conclusione. Era accaduto proprio qualche sera prima e quindi non aveva avuto occasione di dirlo a nessuno, se non a Kurenai che per il momento divideva l’appartamento con lui. 
“No. – lei alzò lo sguardo e lui proseguì – Non è una ragazza.” Disse semplicemente, e gli costò un’accelerata improvvisa del battito cardiaco.
Lei prima lo fissò senza capire, poi abbozzò un sorriso.
“Ce l’avete fatta allora.” E lo disse con sincero affetto, tanto che Kakashi quasi non si ritrovò ad arrossire. Si aspettava forse che lei soffrisse ancora per lui? 
“Con la dovuta calma.” Aggiunse l’uomo, quasi fosse stato punto sul vivo.
“Secolare calma oserei aggiungere. Siete due lumache!”
“Parla per Tenzo. Io c’ho messo tutta la mia buona volontà.”
“Sì, certo, immagino! Ma com’è andata esattamente?”
“E’ una lunga e assurda storia. Hai presente Beautiful? Peggio.”
La giovane donna rise coprendosi la bocca con una mano dalle dita fini e curate e Kakashi si sentì a disagio: era la prima persona a cui parlava apertamente della sua relazione con Tenzo e non era convinto fosse una buona idea. Rin sapeva che tra lui e l’altro c’era stato qualcosa nel periodo immediatamente successivo al diploma, all’epoca le aveva detto tutto senza pensarci su troppo, ma erano ancora dei ragazzini, adesso invece avevano passato l’adolescenza da un po’ e tutto aveva un peso diverso.
“E tu? Non hai trovato un uomo?” chiese poi il fisico, pensando di rimbalzo che forse non era convinto di volerlo sapere davvero. Era uno strano rapporto quello che lo legava a Rin, non sapeva perché, ma era come se non potesse vederla con nessun altro, se non un uomo dai capelli scuri che non era mai esistito.
“Io…beh…diciamo che ci sono dei lavori in corso, ma nulla di certo.” Sorrise, senza aggiungere che alcune ferite ancora le impedivano di buttarsi in una storia seria. Kakashi, nonostante tutto, aveva ancora il suo posto d’onore, ma non avrebbe mai potuto dirlo. Ormai era una donna, non una ragazzina innamorata, no?

Quando uscirono dal locale, fuori aveva preso a nevicare.
‘Proprio come in un perfetto drama’ , si ritrovò a pensare Kakashi. 
Rin si strinse nel cappotto rosso e guardò in alto i piccoli fiochi che scendevano lievi. Era come se avessero il potere di rallentare il tempo.
“Mi ha fatto piacere rivederti.” Le disse l’uomo, avvolgendo la sciarpa attorno al collo.
Lei sorrise.
“Anche a me.” 
Entrambi si erano levati un peso dal cuore, eppure la voragine che li separava sembrò allargarsi all’improvviso. Adesso non avevano davvero più nulla da dirsi. 
“Devo assolutamente terminare quella relazione…”sospirò sconsolato Kakashi, mentre affondava le mani nelle tasche.
Rin invece infilò i guanti e rise.
“Mi raccomando, se vinci il Nobel fammelo sapere.”
“Va bene, ti invito alla festa. E porta anche quel tuo semi-ragazzo.”
Si fissarono un secondo, proprio come quell’ultimo giorno in cui non si erano salutati, ma semplicemente allontanati. Forse non avevano ripreso il rapporto e non sarebbero mai più stati amici, ma per lo meno, sapevano di contare molto l’uno per l’altra e bastava così. 
Kakashi alzò lo sguardo, il viso coperto dalla sciarpa.
“Allora, stammi bene!” esclamò Rin, salutando con la mano.
Lui ricambiò con un sorriso tirato.
“Anche tu.”

Ed entrambi si voltarono prendendo ancora una volta direzioni opposte. Non seppero mai che all’unisono si erano fermati poco distanti, indecisi se voltarsi per aggiungere qualcosa, perché avevano tutti e due pensato che fosse troppo innaturale e avevano proseguito per la loro strada.














Kurenai rincasò piuttosto tardi. 
Kakashi non era in casa, le aveva lasciato un biglietto sul tavolo della cucina con scritto che rimaneva in biblioteca per completare un lavoro. 
“Ah, ma non lo sa che se mi lascia da sola mi strafogo di gelato?! Che coinquilino indisciplinato!” borbottò, tornando in salotto.
Il corso pre-parto ultimamente le dava ai nervi e la sfiancava, considerando la situazione con Asuma. Ogni tanto lui la guardava in un modo che la faceva sentire una stronza fatta e finita: dopotutto era fuggita dall’altare il giorno del loro matrimonio e adesso viveva da un amico, non era certo da biasimare! Ma con il tempo avrebbero risolto, ne era convinta, aveva solo bisogno di stare un po’ per conto proprio e rilassarsi…e partorire! 
Presa dallo sconforto che le dava tutta quella assurda situazione, si alzò dal divano in cui era sprofondata e si diresse alla scrivania. Il pc era acceso e le bastò cliccare sull’icona di internet per accedere alla casella di posta. Inutile dire che la mail box era piena di messaggi di parenti e amici preoccupati, ma li ignorò - non sapendo che anche Kakashi aveva fatto lo stesso quella mattina – ed entrò in Facebook decisa a completare qualche test inutile.
Ma nell’esatto momento in cui stava per iniziare “Che tipo di madre sarai?”, vide la finestra della chat aperta ed un messaggio da parte di Rin:

“Tu sei una stronza! Ma ti voglio bene lo stesso ;P Grazie, avevo bisogno di rivederlo.”



Kurenai si passò una mano tra i capelli e corrugò la fronte.


“Eeeh?!”


Kakashi, in biblioteca, ripensando a quella mattinata abbozzò un sorriso, non sapendo cosa lo avrebbe atteso una volta tornato a casa…


Owari...?



Oh, sì lo so… c’è una fine in sospeso, ma mi divertiva così. 
*inchino

Urdi

P.s. Ebbene sì sono tornata da New York e sono più in forma che mai, scriverò tanto. E' una promessa!



Note dell’autrice sul testo:

Ehm...lo so... è una strana ff. Comunque sia continua il filo di tutta la raccolta (che alla fine è un enorme racconto unico fatto di piccoli pezzi). L'idea di Kakashi fisico teorico mi intriga, ce lo vedo proprio. Sono un po' matti i fisici XD ihih... Lo so è tutta colpa di Big bang Theory u__u (un telefilm che letteralmente amo *_*) scusatemi. Ho preso un pochino spunto.

Browser, chat, verbo “cliccare”, account: tutte cose che riguardano il “chattare” e internet. Spero che sia tutto chiaro senza bisogno di spiegazioni!
Facebook, Mixi, netlog, MySpace: sono tutti social network esistenti
SocialNetwork: tutti I siti tipo facebook, MySpace, ecc. dove si “rimane in contatto” con altre persone, si mettono le proprie foto e i propri penseri
Drama: telefilm orientali (si suddividono in C-Drama J-Drama, cioè Cinesi o Japp o Coreani…ma ora quelli coreani non so come si segnino…haha… XD)
Hisashiburi: I Giappi lo dicono quando non si vedono da molto tempo.
Berries: è il nome di un locale dove lavora la protagonista del libro Amrita di Banana Yoshimoto. Ho voluto citarlo perché lo adoro.
“Strafogarsi” credo sia strettamente genovese, ma non ne sono sicura XD io spero mi passiate il termine: è voluto! Significa mangiare molto, fino a scoppi


Questa fanfic ha partecipato al "Chat Contest" indetto da Iaia (13d08c81) sul forum classificandosi PRIMA*_*.
Sono davvero molto contenta, perché sebbene sia una storia molto irreale mi piace come "commediola"^^
Ringrazio dunque la giudice e faccio i miei complimenti ai partecipanti: Hiko-chan, Hikaru_zani, Lady Nene e Bravesoul! Complimenti a tutti!^^

Il responso della giudice:

"Accetti o ignori?" di Urd.

Grammatica e lessico: 9.5/10 punti
Stile e forma: 5/5 punti
Originalità: 9.5/10 punti
Caratterizzazione dei personaggi: 10/10 punti
Attinenza al tema: 10/10 punti
Impressioni personali: 5/5 punti

Totale: 49/50.

Giudizio:
A parte un errore di distrazione ed una frase poco chiara, la grammatica risulta perfetta e lo stile che contraddistingue ogni tuo scritto emerge travolgendo il lettore sebbene il racconto risulti statico.
Originale l’idea di un incontro tra Kakashi e Rin dovuto ad un contatto accidentale, ed ancor più originale l’evolversi del loro appuntamento.
Kakashi risulta IC e lo stesso vale per Rin.
Il mondo virtuale si sposa perfettamente con la realtà e riesce ad amalgamarla in modo singolare.

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Capitolo 8
*** 8. Vuoto e sangue (in polvere) - OroAnko (anko centric) ***


Di noia, cotte ed altre sostanze

Di Urd

8. Vuoto e sangue (in polvere)




Ma c'era un male in lei
Che non si cura mai
Nè coi baci nè con la cocaina sai
Senza lacrime senza regole
E' soltanto male in polvere



Era un rumore sordo quello che la seguiva per il corridoio. Sembrava rimbalzasse sulle pareti piegate dalla droga e sfocate dalle lacrime. 

Tu-tum
Tu-tum
Tu-tum

Anko, gli occhi sbavati dal rimmel e i lunghi capelli neri arruffati sulle spalle, si lasciò scivolare a terra. 
Il primo istinto era stato quello di fuggire via, ma ora che non aveva più davanti la scena, il mondo le appariva come una voragine terrificante ornata di denti affilati.

Tremante osservò le proprie mani sporche di sangue, chiedendosi di sfuggita dove fossero finiti i guanti di raso. 
Un conato di vomito si fece prepotentemente strada attraverso i suoi sensi e dovette piegarsi in avanti per lasciarlo uscire. Le sembrò di rimettere non solo la propria anima, ma anche le vite passate, la sua infanzia, tutto il dolore e il movente stesso dell’omicidio appena compiuto. 

Aveva ucciso colui che si era sempre preso cura di lei. 

Troppa cura…
L’aveva rapita che aveva solamente quattro anni e da allora aveva compiuto qualsiasi esperimento e abuso per i suoi farmaci e la sua perversione. E lei, non distinguendo bene e male, aveva sempre subito, nonostante la ribellione insita nel suo carattere. 
In un tempo che sembrava ormai lontanissimo, era persino riuscita a fuggire, a costruirsi un futuro con un ragazzo che aveva condiviso il suo stesso tremendo destino. Ma il fato non voleva vederla felice e così si era trovata nuovamente a perdere tutto: quel ragazzo, che era divenuto uomo crescendo assieme a lei, l’aveva abbandonata. 

Persa, inghiottita in problemi che sembravano avere fondamenta solide come granito, ma che in realtà erano solo sabbia, non aveva potuto fare a meno di trovarsi nuovamente in quella villa. 

Orochimaru, il suo tutore, maestro e seviziatore, era ancora a piede libero per la città, a capo di 
una delle organizzazioni criminali più conosciute di tutta Tokyo. Temuto e rispettato, viveva ancora nella stessa residenza dall’intonaco lavanda.


Anko, che per la disperazione aveva ricominciato con la cocaina - perché la droga non la tradiva mai, se non quando terminava - allora era corsa da lui. Aveva bisogno di farsi. Aveva bisogno di lenire il dolore. Ma ancor più di questo, aveva bisogno del veleno contenuto in quegli occhi, in quei capelli, in quell’uomo tanto affascinante quanto terribile.

Si era infiltrata ad una festa voluta proprio da Orochimaru in favore di… di..? 
Non aveva importanza. 
Traballando su tacchi forse troppo alti, la mora aveva fatto subito amicizia con il vino pregiato servito dai camerieri. Si era lasciata trasportare nell’oblio leggero della sbronza, prima di rintanarsi nella cucina, a causa del frastuono di tutta quella gente appartenente alla Tokyo-bene.

Lì si era chiesta cosa non andasse, perché si fosse lasciata convincere dall’astinenza a tornare… e si era data un’unica risposta: era disperata. Ridendo di se stessa, mentre chiacchierava stupidamente con uno dei topolini in gabbia che sarebbe stato cibo per la serpe, non aveva fatto caso all’avvicinarsi del suo mentore. La sensazione d’essere osservata era arrivata dopo, riflessa sulla superficie curva del calice che aveva in mano.




Nel corridoio, l’aria si era fatta densa e pesante, si chiese quasi se non stesse respirando burro. Ripensare a quello che era successo le pareva difficile, quanto inevitabile. Il cervello, colto alla sprovvista, cercava di ricondurre a quella scelta un motivo valido.

Aveva avuto senso ucciderlo? 
Era l’unica soluzione.


Orochimaru la amava.
Nessuno lo avrebbe mai capito, ma lei sì. Anko lo sapeva da sempre, era per questo che non aveva mai potuto ribellarsi davvero. Aveva combattuto, si era dimenata, a volte lo aveva ferito (ed era stata picchiata). Ma alla fine aveva preferito fuggire, mettere in un angolo quello che aveva passato, convincersi che subire quelle violenze poteva essere un qualsiasi evento di vita, come rompersi per la prima volta un osso o decidere di avere un figlio. Scioccamente quando faceva l’amore con l’altro aggrappandosi alle sue spalle sperava di poter comprendere cosa fosse l’affetto vero e di dimenticare quanto facesse male il resto. 
Illudersi era il tipico atteggiamento della bambina che era rimasta. 
Eppure ogni gesto veniva ricondotto, da quello stesso cervello che adesso lavorava per metabolizzare l’accaduto, ad Orochimaru. Quando lui, che aveva per lei parole ciniche e gesti di inaudita violenza, le accarezzava finalmente una guancia con delicatezza, diveniva tutto l’amore che Anko conosceva e così anche il suo metro di paragone con il mondo “esterno”.

Orochimaru la amava, ma non sapeva dimostrarlo. E siccome lei lo capiva - nonostante lo odiasse a morte, sputasse veleno mentre la violentava, gli piantasse le unghie nelle braccia fino a farlo sanguinare – lo giustificava. Quanta pena provava per quell’essere tanto solo, che sembrava camminare in un mondo di sconfinata desolazione. Quanta immensa tristezza, vedere quegli occhi spenti cercare nella scienza e nello stupro l’antidotto a quella condizione.



Anko iniziò ad ansimare, cercando il respiro. Il burro si era fuso ed era sceso nei suoi polmoni. Era sicura che se fosse affogata avrebbe provato quella stessa sensazione. 
Dov’era l’ossigeno? 
Gemette, portandosi le mani imbrattate alle labbra, tremando ancora più forte. Quasi non riusciva neppure a capire se stesse piangendo o urlando. Le lacrime c’erano: le avvertiva asciugarsi sulla pelle, mischiandosi al trucco in una macchia indistinta. 

E poi quel suono, quella bolla di angoscia - che forse era il suo cuore, forse era la corsa del suo io profondo che cercava di fuggire - assordante. Rimbombava. 
Ma era fuori o dentro? 
Fuori?
Dentro?
Fuori o dentro cosa? 
Chi?

C’era così tanta confusione nella sua testa, che si sentiva cento volte ubriaca e cento volte più piccola.




Quando quella sensazione, piano piano si fece più leggera, Anko cercò di respirare con calma. 
Passò una mano sul petto, avvertendo il battito accelerato, ma non smise di essere sconquassata dal tremore.

L’adrenalina partita a mille lungo le sue vene, aggrovigliandosi nello stomaco, si fece sentire all’improvviso.

“L’ho ucciso…” mormorò fissando la parete sporca di vomito, senza vederla realmente. 
“L’ho ucciso.” Ripeté, mentre volgeva lo sguardo alla porta della stanza che racchiudeva lo scenario di quella fine.


Lo aveva ucciso davvero, l’uomo che l’aveva amata. 

Erano saliti in camera, lui le aveva consigliato di andarsene – perché lo sapeva, lo sapeva, lo sapeva! Che avrebbe finito per violentarla di nuovo – e lei lo aveva provocato. 

Lo aveva attirato nel letto e si era lasciata violentare, per quanto fosse un controsenso.

Poi lo aveva ammazzato.
Nella foga con cui le aveva strappato di dosso l’intimo, schiacciandole il viso contro al cuscino, lei aveva desiderato ardentemente di poter eliminare una volta per tutte quella creatura disgustosa e bellissima che si cibava della sua carne. Aveva preso coraggio, aveva attinto alla follia e al disgusto e aveva lasciato che una forza oscura la invadesse fino a renderla cieca. 

Ripensandoci, Anko non riusciva a vedere con chiarezza quello che era accaduto, sapeva solo che Orochimaru-sama era morto per mano sua.

“L’ho ucciso, cazzo!” urlò all’improvviso prendendosi il volto fra le mani.
Poteva dire di essere appagata adesso che la fonte di tutti i suoi dubbi - sul genere umano e se stessa - era finalmente scomparsa?
“Oddio… oddio, oddio, oddio…” gemette, quasi fosse un mantra, scotendo la testa impazzita. Le sarebbe esplosa se continuava così, tanto che quasi poteva avvertirla crescere, come un palloncino troppo gonfio di pensieri che “poof!” scoppiava nell’aria. 








Dopo qualche ora, in cui aveva persino dato testate contro la parete, Anko si staccò dal muro nel tentativo di rialzarsi. Odiava piangere e buttarsi giù, era sempre stato il suo motto. Non sopportava le ragazzine dalla lacrima facile, era amica dei maschi e si era fatta una reputazione proprio a causa del suo carattere forte e scontroso. Ma uccidere un uomo era tutto un altro paio di maniche. Uccidere LUI poi… 
Tante volte aveva odiato fino a sentire quel desiderio crescere in petto, eppure non immaginava che un giorno lo avrebbe fatto veramente. 

Per anni aveva pensato che se Orochimaru non fosse mai esistito, la sua vita sarebbe stata migliore. 
Ora, mentre cercava di recuperare i pensieri più razionali, stufa di essere ubriaca di confusione, capiva che non si sentiva affatto meglio. 
Le gambe, ancora tremanti, erano molli e fragili, macchiate del piacere di lui e della sofferenza di lei. 
Le braccia la sorreggevano appena contro al muro. 
Il collo doleva. 
Gli occhi bruciavano. 
I polmoni desideravano ossigeno vero. 
La testa scoppiava. 
Le orecchie erano piene di quel suono sordo. 
Il cuore rimbombava. 
Le spalle portavano un peso troppo grande.

E sì, si sentiva schiacciare, ma si impose di rimettersi in piedi e non voltarsi. 
Magari…

…magari era ancora…

…magari…
…era…
…ancora…
…vivo.

/Anko Mitarashi, non ti voltare!/ ordinò a sé stessa. Doveva solo fuggire via, al resto avrebbe pensato dopo. 

Scese le scale, sentendo la musica ancora alta e il vociare degli invitati fastidioso stuzzicò il suo mal di testa. 
L’avrebbero vista.
Quando quel pensiero venne messo completamente a fuoco, si guardò attorno smarrita alla ricerca di un rifugio.
Non trovando di meglio si infilò in un bagno al piano terra e si chiuse dentro. Doveva solo pensare un attimo, no?

Il panico subentrò non appena notò la striscia di sangue sulla maniglia.
“Cazzo!” imprecò inorridita, correndo verso il lavandino.

Immediatamente abbassò lo sguardo e tremando si appoggiò al piano in marmo.
“Cazzo.” Ripeté, scotendo la testa. 
Così era quello il panico!
E tutte quelle volte in cui aveva subito, costretta a mentire? 
No, quella era agonia. Era oppressione. 
Il panico era diverso. Il panico non dava speranza o via d’uscita, la inseguiva come una bestia feroce e lo avrebbe fatto costantemente fino alla fine dei suoi giorni. Il resto poteva negarlo, poteva giustificarlo, poteva quasi dimenticarlo. Ma non quello.
Non seppe neppure come ci riuscì, ma aprì l’acqua e vi cacciò sotto le mani, tornando a guardarsi negli occhi dello specchio.
“Anko. Questa volta hai esagerato con la rabbia…” ma il sorriso che di norma aveva una sfumatura sarcastica, questa volta venne deturpato dal pianto. 
Le sfuggì un gemito, mentre le lacrime tornavano prepotenti a rigarle le guance. 

Sfregò la pelle per far andare via quel colore dai palmi e dalle dita con il sapone alla mandorla. 
Odiava le mandorle e con quel ricordo le avrebbe odiate ancora di più.
Sfregò, passò il sapone, si asciugò il naso con il dorso della mano, sfregò ancora e di nuovo sapone.
Vai, via. Via da me!, sembrava urlare la ragazza.

Quando le sembrò che ogni traccia fosse scomparsa, per quanto possibile considerato che non poteva cancellare nulla per davvero, si asciugò con alcune salviette di carta.

Cercò di respirare profondamente, pulendosi il viso e dandosi una sistemata alla buona. Non poteva rimanere lì, doveva fuggire. 

Le conseguenze. Ecco con cosa non aveva fatto i conti. 

Arresto… ti dice nulla?! Le ricordò il suo riflesso nello specchio.
Lei si morse il labbro, ma non rispose. 
Doveva solo pensare ad uscire.
Doveva solo scappare.





Pulì le tracce che aveva lasciato nel bagno e uscì nel corridoio.
Nessuno si era accorto di nulla, constatò, camminando lentamente, cercando di non sembrare troppo sconvolta. 
Per uscire avrebbe dovuto passare obbligatoriamente per il grande salone, per cui non aveva molta scelta. Pensò per un attimo ad una porta secondaria dalla cucina, ma quando vide un paio di camerieri entrarvi per riportare i vassoi, scartò l’idea. Si girò immediatamente dando loro la schiena e continuando dritta per il corridoio.

Il vociare e la musica di sottofondo arrivavano sempre più forti, ma possibile che il percorso si allungasse così tanto? Possibile che il suo cuore battesse tanto forte, si fermasse e poi ripartisse?

Superando lo scalone che portava al piano superiore, ebbe la tentazione di tornare sul luogo del fatto. Aveva lasciato impronte? Che domande, avevano avuto un rapporto sessuale, certo che c’erano impronte! 

Ok, ok, doveva solo raggiungere la porta. 







Fuori faceva freddo e il buio avvolgeva ogni cosa. 
La villa era l’unica cosa che brillasse in quella notte primaverile. 
Ed Anko ancora non capiva come fosse riuscita a trovarsi lì.
Era assurdo come quella serata andasse avanti a frammenti. 

La sbronza. 

Tu-tum

L’incontro in cucina.

Tu-tum

“Anko, vai via.” Il consiglio.

Tu-tum

Cocaina e sperma.

Tu-tum

Vuoto.

Tu-tum

Sangue.

Tu-tum 
Tu-tum
Tu-tum

Lacrime, vomito, sangue, ricordi.

Tu-tum, tu-tum, tu-tum.

Fuggire.

Tu-tum

Bagno.

Tu-tum

Specchio.

Tu-tum

Fretta.

Tu-tum tu-tum tu-tum

Fuggire.

Tu-tum 
Tu-tum
Tu-tum

FUORI !






I lampioni orlavano la strada e lei, i piedi nudi sull’asfalto freddo e tagliente, camminava con sguardo perso. Non sapeva dove stava andando, non sapeva cos’avrebbe fatto, ma voleva allontanarsi ed ora che le forze venivano meno, non riusciva neppure a correre.

/Bella fuga la tua, Anko!/ si disse, abbozzando un sorriso, che venne inghiottito dall’oscurità.

Andò avanti per ore senza che accadesse qualcosa. Non aveva visto neppure macchine passare per quelle vie di norma trafficate. Una volta uscita dal terreno di quella villa, piccola oasi dentro la megalopoli, aveva ritrovato la luce delle insegne, i negozi dalle serrande chiuse, i locali con le insegne accese.

Le uniche persone che incrociava erano ragazzini alticci o uomini che portavano a spasso il cane o donne che come lei, senza scarpe, smaltivano la sbronza – o fuggivano da un omicidio?. Forse poteva fermarne una e chiederle cos’avrebbe fatto, così… piccola indagine di mercato. 

Ma neppure l’ironia, tipica del suo pensare, poteva fare qualcosa adesso. Aveva toccato il fondo. Quasi le venne in mente di andare da Tenzo, citofonare nel bel mezzo della notte – alba – e chiedergli asilo politico. Ma forse lui aveva da fare a quell’ora, forse non era neppure in casa. 
E poi per dirgli cosa? Che aveva ucciso un uomo?

Tu-tum.

Cazzo.
Il panico le addentò lo stomaco e dovette tenersi ad un muro per non cadere.
Era lì, il bastardo, era lì a ricordarle che aveva fatto la più grande delle cazzate della sua vita.

Sana di mente non lo era mai stata. Lo avrebbe detto chiunque dei suoi amici, da Asuma, passando per Kurenai, Kakashi, Gai, Raido, Hayate e Hyugao.

Ma quello… 

/Merda!/ pensò così forte, che quasi ne sentì l’eco. 

Si rimise in piedi e si guardò attorno. Com’era strana la città di notte. Era l’esatto negativo dell’immagine che dava di giorno, eppure pulsava. 

D’un tratto, distante, le apparve l’insegna del locale dove lavorava quel vecchio amico. Come si chiamava? Boh. In quel momento non avrebbe ricordato di certo un particolare così insignificante. In ogni caso era un night club, un luogo dove poteva immergersi nel buio di un angolo e forse riflettere meglio su quello che avrebbe dovuto fare.



Altro cambio di scena.
Nel taglio della pellicola, Anko perse la fase di “attraversamento della strada” questa volta, e si ritrovò dentro.

Nessuno le chiese i documenti e nessuno la fermò. 
“La fortuna è dalla mia parte!” rise sguaiatamente, appoggiandosi al bancone.
Il barista la guardò dall’alto.
“Cosa prendi?” le chiese.
Anko rimase a fissarlo senza rispondere per qualche secondo. Cosa? Dove? Come? Sì, ogni tanto perdeva dei passaggi!
“Cosa prendi?” ripeté il ragazzo dai capelli chiari e gli occhi… che strano colore avevano quegli occhi!
“Ehi, sei sobria?”
“Eh?”
“Ordinazione obbligatoria, honey. O ordini, o ordini. Non hai alternative.”
Anko quasi sentì parlare la sua coscienza.
Non aveva alternative.
“Qualcosa di forte, qualsiasi cosa. Doppio. Anzi, triplo.” Disse infine, sedendosi sullo sgabello. 

C’era anche lì musica alta, di un genere che non riusciva a distinguere, e alcuni ballerini, nella sala che si apriva pochi gradini al di sotto del bar, illuminavano con il loro spettacolo gli occhi di donne un po’ brille. 

Ma il trambusto non poteva sovrastare quello che Anko sentiva. Appoggiò i gomiti sul banco e sospirò, aveva voglia di piangere. 


Nel sesto bicchiere di whisky galleggiava la sua immagine increspata e traballante. Ecco, come si sentiva. E poi c’era l’astinenza. Perché non si era portata via almeno un po’ di quella polvere? Forse l’avrebbe aiutata a ragionare meglio. Le avrebbe dato la carica per fuggire davvero via, per lasciare la città…e chissà cos’altro… L’avrebbe sentita arrivare dritta al cervello e poi di corsa… via!

Aveva ucciso Orochimaru. Tre parole che allargavano con le unghie il ventre della sua disperazione.

“Un altro.” Chiese, spingendo il bicchiere verso il barista, che non esitò ad accontentarla.

D’improvviso ebbe voglia di tornare indietro. Di non uscire, di non lasciarsi abbindolare dalla voglia di amore. Ecco cos’aveva ottenuto.

Rimorso, benvenuto! Si disse, pensando con rabbia a tutte le fasi della pazzia che stava attraversando. 

Ormai l’alcol, misto a tutto quello che era accaduto, aveva preso a fare effetto. La testa le girava fortissimo, la pancia le doleva e avrebbe volentieri vomitato di nuovo. 

“Prima che tu svenga, ricordati di pagare.” Brontolò il ragazzo che l’aveva servita, senza curarsi del fatto che fosse una ragazza sull’orlo di una crisi profonda. 

“Metti tutto sul mio conto…” sospirò lei, alzandosi in piedi.
“Quale conto? Ehi! Dove vai?”
“Al bagno, tranquillo. Non sono mica una ladra!”

E detto questo Anko scoppiò a ridere, trattenendosi dall’urlare: “sono un’assassina!”


Il corridoio che portava ai bagni era stretto e illuminato da luci rosse. 
La mora, ormai non ce la faceva più.
Non dopo quella assurda serata.
Le mancavano le forze, le palpebre volevano chiudersi e le gambe stavano per cederle.



Ci sarebbe stato un altro ciack, nel film di quella serata. Un ciack buio, che partiva da lei che cadeva in avanti in quel corridoio ed arrivava al coma. 

Ormai priva di qualsiasi forza, anche la più flebile delle speranze si arrese e il suo corpo si spense. 
La luce vitale brillò un secondo, come un neon che si accende, per poi scomparire. 
Gli occhi si chiusero, le gambe cedettero e lei si abbandonò in avanti, convinta di cadere nel vuoto. 
O forse ci sperava che ci fosse il vuoto?


Tutto, tutto si aspettava; pensava sarebbe morta e ne fu sollevata. Invece furono due braccia a prenderla saldamente, mentre una voce la chiamava lontana.
No, lasciami qui! Avrebbe voluto dire. Voglio solo morire adesso. Spegnermi e basta e non pensare a nulla. Cosa vuoi? Io non ti ho cercato, quindi vai via. Lasciami!


Stronzo!




Continua…



Questa fanfic particolarmente delirante era stata scritta per il contest “donne assassine”, ma siccome mi sembrava incompleta non l’ho spedita. Mi mangio le mani, perché ora a rileggerla mi piace e mi convince e potevo anche inviarla così… insomma, sono una deficiente.

Ad ogni modo, questa fanfic và di pari passo con il resto della storia (se la state leggendo di fila) ed è importante per il proseguimento (anche no!). 
Anko si salverà?

Lo saprete solo andando avanti nella lettura di questa assurda AU!

Colgo l’occasione per ringraziarvi ed invitarvi nel mio forum: urd cafè, per scoprire anteprime, pezzettini di fanfic, miei disegni, ecc., ecc.

Vi ricordo che Naruto non mi appartiene e tanto meno la canzone Male in Polvere degli Afyerhours che viene citata all’inizio in corsivo!

Urdi



Risposte ai commenti:
Slice:
Vero che Kakashi è troppo stupido? Lo adoro! Se tuo cugino è come Kakashi, parliamone. XD haha… No, comunque quella scena piace un sacco anche a me. E’ troppo scazzato... haha…sì, calza perfettamente! Anche se in questa storia con le età ho un po’ barato… gliel’ho abbassata ò_ò dovrebbero avere massimo 25-26 anni, anche se poi gli adolescenti (nasuto, satura and co) sono invece leggermente più grandi (tipo 17-18 anni), vedremo andando avanti e SE compariranno. Grazie mille stellina, senza di te come farei?
Hiko-chan: oh, compagna di contest! Sono felice che la fanfic ti sia piaciuta. Io a rileggerla non c’ho capito niente (ma si può?). Davvero, sono felice che ti sia arrivato tutto quello che volevo descrivere… a volte mi sembra di essere troppo poco descrittiva e a volte invece di essere prolissa. Se sei in fissa con le KakashiTenzo non puoi non venire a fare un salto sul forum, anche perché lì ci metto anche i disegni (o se vuoi c’è il mio deviant art ID che è realurd)… io li adoro e non so perché sono 3 giorni che scrivo di loro ininterrottamente. Sto impazzendo! Haha… grazie mille della recensione!
Beat: ciao, grazie mille, mi segui sempre e sei sempre stracarina… spero ti piaccia anche questo!^^

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Capitolo 9
*** 9.Asistolia - YamatoAnko ***


Bip. Un battito. Bip. Un battito. Bip. Un battito.
La vita in quel momento era solo una linea verde, che scendeva e saliva, scendeva e saliva, scendeva e saliva.
Anko dormiva di un sonno profondo, anestetico per il dolore che provava dentro.
Bip. Un battito. Poi una pausa più lunga di prima. Bip. Un battito.  Un ragazzo sedeva accanto al letto d’ospedale e le teneva la mano pallida, chiedendosi cosa stesse sognando.




Bip.


Di noia, cotte ed altre sostanze

Di Urdi

9. Asistolia


“No scusa, ma questo ti sembra un cavallo?” un urlo isterico, seguito da alcune risate, si levò nel salotto. L’espressione di Anko grazie al trucco sembrava ancora più truce del solito. Non era una che avesse bisogno di particolari interventi per sembrare più bella o più donna, però quella sera aveva fatto uno strappo al suo solito modo di essere.
Gai ingoiò a vuoto, prima di rispondere:
“E a te questo sembra un tostapane?!” chiese alzando un foglietto su cui doveva essere disegnato l’improbabile elettrodomestico.
Da come si fissavano, i due sembravano volersi saltare alla gola.
Tenzo si preparò mentalmente al dover prendere di peso la propria compagna per trascinarla via, mentre Kakashi cercava nell’armadietto dell’altro sakè da scaldare.
Quella sera avevano cenato a casa Hatake e poi avevano iniziato a giocare a Pictonary. Le squadre, formate casualmente, erano così suddivise: Tenzo, Kakashi, Kurenai, Genma la prima e Hayate, Anko, Gai ed Asuma la seconda.
“Che c’entra?! Non sarà bellissimo, ma Asuma ha indovinato.” Il nominato, si spostò dal divano alla poltrona e si accese una sigaretta.
“Ha indovinato per puro caso! Avendo intuito che serviva a qualcosa in casa ha detto tutto quello che gli è venuto in mente. – poi Gai si voltò verso il compagno di squadra – Senza offesa eh.”
L’altro alzò la mano con un sorriso tirato.
“Figurati.”
“Senti, io al massimo qui ci vedo una mucca… o un coccodrillo…” continuò Anko, osservando il foglietto con le sopracciglia aggrottate.
Kurenai alzò lo sguardo al cielo.
Tenzo si versò da bere.
Genma sprofondò nel divano. 
Hayate tossì. 
Kakashi mise su un po’ di musica jazz.
Asuma espirò fumo.
“E voi…? Dai… vi pare un cavallo questo?” chiese aiuto la mora, mostrando agli amici il disegno.
Kurenai allora si sporse oltre lo schienale del divano e lo scrutò con attenzione, imitata da Tenzo e Genma, gli unici interessati a quella disputa.
“Mah…” fu il commento della prima.
“Sembra un po’ malato, qualsiasi cosa sia.” Il responso di Tenzo.
“Io avrei detto leone.”fece Genma serissimo.
Gai si indignò.
“Ma! E’ un disegno esplicativo. Certo, è fatto di fretta, ma si capisce benissimo che quello è un cavallo! Andiamo… Hayate, almeno tu!” Il ragazzo cagionevole tossì di nuovo e scosse la testa.
“No, Gai.” 

E la tiritera sul cavallo di Gai continuò fino a sfumarsi in altre battute dai multipli sensi.
La serata trascorse così, tra una cazzata e l’altra, leggera, mentre ridevano dei disegni orribili di ognuno di loro e mentre le ragazze combattevano con il desiderio dei maschi di accendere l’xbox per fare un torneo a quell’ultimo picchiaduro.

All’ennesimo sbadiglio di Anko, Tenzo decise di portarla a casa, convinto che se avesse aspettato ancora un minuto si sarebbe addormentata sul pavimento 
“Andiamo.” Le disse, aiutandola ad alzarsi.
“Nooo sto così comoda!” protestò quella.
Tenzo alzò lo sguardo al soffitto e poi tornò a fissarla.
“Tesoro, sono le cinque e mezza.”
“Che amore! Mi ha chiamata tesoro!” si illuminò la mora, saltandogli al collo e strusciando la guancia contro quella dell’altro.
I presenti li guardarono in imbarazzo.
“An, stai dando spettacolo, lo sai?” le fece notare Tenzo, impassibile, ma forse non più come una volta.
“Oh, sì… facciamo vedere loro un bellissimo spettacolo…” sussurrò suadente la ragazza staccandosi solo per potersi levare la maglietta.
Tenzo sgranò gli occhi, tirandole giù l’indumento.
“Devo legarti?!” 
“Oh sì! Adoro quando lo fai!”
Tenzo allora la prese di peso, cercando di ignorare gli sguardi incuriositi dei suoi amici. 
“Complimenti Ten, so cosa regalarti a Natale…” buttò lì Genma.
E mentre gli altri li prendevano in giro, con Anko che scalciava, Tenzo uscì dalla porta, accompagnato da Kakashi. 
“Lasciami andare! Posso camminare! Maledetti uomini… pensate di essere i più forti, vero!?” 
Il moro non calcolò quelle esclamazioni e si voltò a salutare il padrone di casa.
“Hai bisogno di una mano?” chiese Kakashi, vedendo che la ragazza cercava in tutti i modi di sfuggire al proprio compagno.
Tenzo sorrise.
“No, ci sono abituato.”



Una volta per strada, quasi arrivato al parcheggio, Tenzo lasciò andare Anko.
“Oh, era l’ora!” sbottò lei, mettendo le mani sui fianchi.
Lui non la degnò di uno sguardo, sorpassandola per raggiungere la macchina.
“Ehi!”
“Se puoi camminare, sbrigati o ti lascio qui.”
“Cos… che stronzo che sei!”
Ecco, perché cavolo i litigi stupidi finivano sempre per diventare seri? Possibile che ogni volta trovassero il modo per insultarsi? 
Tenzo era famoso per avere una pazienza stoica, ma con Anko era sempre messo a dura prova. Se prima la lasciava vincere su tutto, adesso non ci riusciva più. Non capiva come potesse essere così infantile.
“An, non sono io lo stronzo. – proferì aprendo la portiera, mentre lei si avvicinava indignata – Solo che potresti caldamente evitare di comportarti sempre in questo modo, non hai più sedici anni.”
“Che cosa? Proprio perché sono adulta, mio caro, posso benissimo decidere della mia vita! Mi stai facendo la paternale? Ricominciamo con il fatto che tu sei l’uomo integro della situazione?”
Tenzo si passò una mano sul viso, sospirando stanco.
“Senti, non ho voglia di litigare, ti chiedo semplicemente di evitare di arrivare a questi punti.”
“Ma non è successo nulla…quali punti?”
“Stasera no, ma sono un po’ di volte che usciamo e ti devo portare a casa ridotta ad uno stato pietoso. Vorrei capire perché lo fai, se è un modo per attirare l’attenzione o solo la mancanza di autocontrollo.”
Anko aggrottò le sopracciglia furiosa.
“Cosa cerchi di insinuare?”
“Ah, non attaccare così. Sei dalla parte del torto in questo momento…e lo sai.”
La donna si voltò dalla parte opposta incrociando le braccia. 
“Vogliamo andare a casa oppure hai ancora voglia di stare qui a recriminare su cose che non hanno senso?”
Il moro si voltò a guardare la sua ragazza.
“An, sai bene a cosa mi riferisco, possibile che tu debba negare anche l’evidenza? Ti ho già recuperata una volta per i capelli, non voglio che accada di nuovo.”
“Razza di stronzo, nessuno te lo aveva chiesto e nessuno aveva bisogno della tua pietà.” Sputò acida, tornando a guardarlo. 
Lui sospirò un’ennesima volta accendendo la macchina.
“Ci tengo a te, razza di stupida!”
“Certo, più o meno come si tiene ad un cane…”
Tenzo strinse il volante fino a sbiancarsi le nocche, mentre faceva manovra, ma non rispose. 
Anko sentiva le lacrime pizzicare agli angoli degli occhi, ma con uno sforzo riuscì a trattenerle. Non avrebbe pianto, soprattutto davanti a quel bastardo!
“Sai, Tenzo, c’è una cosa che mi sfugge: perché stai con me?”
“Oddio, ricominci con questa storia?”
“Sì, sì che ricomincio dannazione! Non fai che criticarmi, riprendermi come se fossi una bambina deficiente, il ché può anche essere in parte vero, ma… non dici mai di amarmi, non parli di sentimenti.”
“Non c’è bisogno di dirle certe cose…” si difese il moro, piccato.
“Ma diamine, sì che c’è bisogno di dirlo. Eccome! Io ne ho bisogno.”
“Mi sembra di averti dimostrato più volte che tengo a te. Avrei spaccato il naso di Genma e sarei rimasto con te, quando vi ho trovato a letto insieme l’estate scorsa?!”
Anko alzò lo sguardo al cielo.
“Ecco, tu dici sempre ‘ci tengo a te’, ma è solo questo? E poi se sei voluto rimanere con me, non sarà semplicemente perché volevi far vedere di essere superiore? Per orgoglio? Non mi hai insultata. Non mi hai neppure chiesto il perché. Non te ne fregava niente… e poteva essere Genma come chiunque altro che non ti sarebbe importato lo stesso. L’unica cosa che conta è sapere che sono lì…e basta, scontata come l’aria che respiri.”
Tenzo accostò con la macchina vicino a casa della ragazza e sospirò di nuovo, ma non fece in tempo a rispondere che Anko lo precedette:
“E poi mi vieni a fare le prediche, perché hai questa specie di istinto paterno. E a me viene la nausea.”
“Ti viene la nausea perché sei perennemente ubriaca.”
“Giusto, certo.”
“An, se qualcosa non ti va puoi dirlo senza dover ricorrere al bere.”
“Perfetto, sì. Hai ragione. E te lo sto dicendo ora cosa non va, mi hai ascoltato o parlo con i finestrini di questa cazzo di macchina?”

Si guardarono in silenzio, l’espressione grave sul viso. Da quanto era che non andavano d’accordo? Da quanto era che non si capivano? Da quanto era che non facevano l’amore?
La donna si sciolse i capelli raccolti e li pettinò con le dita.
“Anko… - Tenzo non sapeva esattamente cosa voleva dire, ma si sentiva in dovere di aggiungere qualcosa - …tu non sei felice.” E non era una domanda.
Lei vacillò a quella frase e ricacciò – di nuovo – la voglia di piangere.
“No. Non lo sono.” Confermò, voltandosi a cercare lo sguardo dell’altro.
E Tenzo a quella risposta si sentì davvero un verme.
“Sono uscita con Genma quel periodo, perché tu non c’eri mai, troppo preso dalle tue cose…” continuò.
“Un momento, mi hai fatto letteralmente impazzire con le tue scenate assurde, ho…ho dovuto distaccarmi, rischiavo di uscire di testa.”
Lei si voltò di nuovo dalla parte opposta.
“Certo, ora è colpa mia.”
Tenzo sgranò gli occhi e rise sarcastico.
“Certo che è colpa tua. Chi di noi due s’è fatto trovare a letto con un’altra persona?”
“Solo perché non ti sei fatto beccare, non significa che tu non abbia fatto lo stesso.”
Il moro, quando la sua ragazza faceva di quei ragionamenti, non sapeva che pesci prendere. E quelle stesse discussioni sembravano i discorsi di un paio di ragazzini. Aveva a che fare ogni giorno con storie assurde, ci mancava viverle anche nel privato!
“Ti rendi conto di quello che dici? E’ proprio questo tuo modo di pensare che mi ha oppresso. Sei troppo gelosa e non perdi occasione per dimostrare che non hai fiducia in me.”
“Non ho fiducia perché tu non mi dai certezze.”
“Vuoi parlare con frasi fatte adesso?” 
Si fissarono per un secondo e Anko tirò fuori dalla borsa una sigaretta.
“Pensala un po’ come cazzo ti pare, io salgo.”
Un altro lungo sospiro, accompagnò l’apertura della portiera.
“E dai An, non vorrai andare via così…”
“Certo, non mi piace stare qui a giocare a chi tira fuori il motivo più valido per incolpare l’altro di questa relazione che fa acqua da tutte le parti.”
“Neanche a me, ma troviamo un compromesso, scusa.”
“Non c’è Tenzo. Non c’è nessun compromesso tra di noi. E lo sai molto meglio di me.” 
Cos’altro aggiungere per concludere?
Anko stava lì, in piedi fuori dalla macchina, appoggiata con le braccia al finestrino e lo guardava senza luce negli occhi. E lui avrebbe voluto stringerla e dirle che non c’era bisogno di quella discussione, bastava che tutto tornasse come prima. Che era bello infilarsi a letto e scivolare insieme nel sonno, senza aver bisogno d’altro.
Il moro scese dall’auto.
“Che fai?”
“Anko, non voglio lasciare le cose così.” Ma non voleva neppure continuare con quella storia. Avevano finito per essere due persone che non si conoscevano e che si facevano male a vicenda. Ogni occasione era buona per discutere e rinfacciarsi l’un l’altro colpe.
La donna accese la sigaretta ed espirò fumo. Si guardavano senza parlare, la macchina a dividerli, come il muro che avevano costruito in quegli anni.
“Finiamo sempre con questa frase. Stiamo arrancando Ten, per cui se non vuoi più stare con me voglio che lo dici.”
E come faceva?
Come diavolo faceva a dirlo? 
Aveva bisogno di Anko, forse non la amava, non dimostrava il suo affetto, non era presente, ma aveva bisogno di lei. Aveva bisogno di trovarla al proprio fianco, di stringerla forte e persino di sgridarla, forse perché davvero così poteva sentirsi meglio, poteva sentirsi superiore. Lo appagava questo? Ma che persona orribile era diventato?
“Voglio provarci un’altra volta. Voglio che tu mi dia una possibilità.” “Perché?”
“Perché ho bisogno di te.” E lo disse con un tono che sciolse letteralmente Anko. Certo, non era un “ti amo”, ma era profondo e sincero come una dichiarazione in perfetto stile. E poi lui era bello. Non c’era nulla da fare, lo avrebbe volentieri picchiato a sangue, ma era fottutamente bello. 
La donna alzò un sopracciglio e lanciò la sigaretta a terra sbuffando fumo. Lo vide avvicinarsi e il suo cuore perse un battito. Gliela stava dando vinta a quel… quel… le mancarono le parole, quando venne travolta in un bacio profondo. 
Tenzo sentì il sapore della nicotina, ma non gli importò, lo ingoiò assieme alla rabbia. Anko era ancora tra le sue braccia e questa era la cosa che gli importava di più. Provava per lei un sentimento che non riusciva bene a definire, un affetto leggermente ossessivo, possessivo, di certo non sano come sarebbe stato l’amore.

“Ti perdono…- sospirò lei, quando si staccarono e lui le sorrise. – Ma la prossima volta… Preparati a fuggire.”




###





La linea dell’elettrocardiogramma si appiattì di colpo. 
Anko, nel letto dell’ospedale mosse appena le palpebre, in quel sonno che adesso diveniva eterno. 
Qualcuno la chiamava ancora, lontano lontano.

Una seconda volta? Non c’era stata, non lo aveva raggiunto e non gliela aveva fatta pagare.

Che peccato, pensò la giovane, avvertendo del trambusto accanto a lei e una sensazione di calore farsi strada nel suo cuore. 

Non siamo stati felici insieme, ma nella prossima vita, voglio darti più fiducia…


Owari…?

[6 settembre 2009]


Ebbene, aggiorno con velocità, poiché queste shot escono davvero velocissime dal mio computer. Non so, sono ispirata. Cosa dire? Nulla, volevo che si capisse un pochino come mai Tenzo ed Anko non riescono ad andare d’accordo. Non vorrei vi sembrassero due personaggi strani e spero si sia capito cosa volevo farvi arrivare

L’asistolia – facendola molto breve – è una condizione che determina l’arresto cardiaco. In questo caso ovviamente è riferita non solo all’elettrocardiogramma (quello strumento che praticamente misura l’attività elettrica del cuore) piatto, ma anche il sentimento che lega i due protagonisti: ovvero il nulla. 
Che desolazione.
Ok, la smetto, cercherò di essere più allegra.


Risposte ai commenti:
Sky: carissima, bentornata. Chi può dirlo se Oro è vivo? Uhm… non lo specificherò, così come in Dinasty o Beautiful potrò ritirarlo fuori quando mi serve. Così come non dirò se Anko vive o muore… o chi è con lei… forse. Insomma, sono contenta del tuo commento positivo, grazie mille!J
Slice: Tesoro, se non ci fossi tu…! Che cosa dire? Sei un piccolo tesoro e a parte questo, grazie davvero della recensione, mi è piaciuto il paragone con le canzoni… direi che ci siamo. Povera Anko, mi fa un po’ pena… °_° io spero sinceramente che la tua storia possa essere più rosea della sua, diamine. Poi lei era dedita all’acol e alla droga fin da adolescente, quindi… ù_ù davvero ti ringraio, mi rincuori sempre con quello che mi scrivi. ^^



Cosa volete come prossima flash? Ma a qualcuno piace questa fanfic o torno a darmi all’ippica? Fatemi sapere per favore, ci tengo!J Urdi

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Capitolo 10
*** 10. Mercy Overdose - KakaIta, ItaIno, KakaIno ***


Questa fic/parte si discosta un po’ dal resto della storia. Non è collocabile come tempo (anche se presumo sia precedente a tutti i fatti fin’ora avvenuti).


Di noia, cotte ed altre sostanze

Mercy Overdose
- forgivin’ what I’ve done-
Di Urdi



In this farewell
There’s no blood
There’s no alibi



Itachi, i lunghi capelli neri legati in una coda e il viso pallido più scavato del solito, cadde in ginocchio con una mano al petto.
Annaspò alla ricerca d’aria, ma quando spalancò la bocca non la sentì arrivare e il panico, che di norma non lo sfiorava affatto, fece capolino nel suo cervello.

Crisi respiratoria dovuta ad overdose, merda.

Finiva così allora?
Di rimbalzo pensò a Sasuke.

All’improvviso però avvertì qualcuno che lo chiamava e una mano premuta sul petto che lo spingeva a sdraiarsi sull’asfalto. Non capì bene cosa accade, ma poco dopo delle labbra si erano appoggiate sulle sue; le sentiva premere, infondere ossigeno e poi ritrarsi e poi tornare, come onde. Ci volle qualche minuto prima che quel primo soccorso avesse effetto. Attimi in cui il tempo si assottigliò fin quasi a fermarsi. Poi il cuore tornò a battere in modo regolare e il respiro riprese la sua normale attività.
“Hatake-san…” mormorò il giovane dai capelli scuri, leggermente smarrito, quando riconobbe l’uomo che lo aveva salvato. Senza neppure rendersene conto, si aggrappò con una mano all’avambraccio del soccorritore cercando stabilità.
“Itachi…”
“Voglio solo dormire un po’…”mormorò sentendo le palpebre pesanti e le tempie pulsare dolorosamente. Tutto nella sua testa sembrava confuso e si sentiva terribilmente stanco.
In risposta ricevette due potenti schiaffi che gli bruciarono le guance.
“No. Non devi perdere coscienza.” Il respiro caldo di Kakashi sfiorò le labbra di Itachi e il giovane guardò l’altro attraverso le lunghe ciglia: sembrava preoccupato.
“Non c’è niente…”, ‘che tu possa fare’ avrebbe voluto aggiungere, ma le parole gli morirono in gola.
Quando Itachi si era presentato al Centro di riabilitazione per tossicodipendenti, Kakashi era stato il primo con cui aveva parlato, fin quando il maggiore degli Uchiha non era fuggito convinto di essere guarito da quella malattia chiamata “astinenza”.
Kakashi era stato comprensivo con lui come non lo era mai stato nessun altro. L’uomo dai capelli chiari era una delle persone che più stimava, sia per il modo di fare sempre pacato e mai invasivo, sia per l’estrema intelligenza. Ricordava ancora alcuni discorsi di fisica quantistica fatti con lui.
Itachi avrebbe avuto un futuro come scienziato, aveva una mente brillante, se il suo passato non lo avesse iniziato a schiacciare. C’erano stati piccoli errori, che poi erano diventati grandi (ma non per lui, solo per la società) e che avevano, a poco a poco, acquisito una solidità tale da gravare troppo su quel corpo.
All’abuso di droghe si era aggiunta la sua salute precaria ed insieme – finalmente? – lo avrebbero stroncato.
Il fatto che non fosse solo mentre stava morendo – e come avrebbe desiderato - era un puro caso:
Kakashi ogni tanto passava da quelle parti per vedere se riusciva a pescare qualcuno da poter “salvare” ed aveva trovato il moro inginocchiato a terra.
“Starò qui allora.”
L’uomo dai capelli chiari strinse nella propria mano quella esile dell’altro. Il giovane che teneva tra le braccia era stato persino un assassino, ma non gli sembrava giusto che dovesse morire a quel modo, in un vicolo sporco e maleodorante, solo. Era quella la fine che spettava ai tossici, Kakashi lo sapeva bene, ma ogni volta faticava ad accettarlo.
“Sta per arrivare un’ambulanza.”aggiunse, scendendo con lo sguardo sulle occhiaie blu che orlavano gli occhi sanguigni del ragazzo.
Il sorriso debole di Itachi, colpì l’uomo come un proiettile.
“Non serve. – l’altra mano tremante del giovane Uchiha si sollevò a fatica a scostare i capelli dall’occhio ferito di Kakashi – Hatake-san, la prego, ritrovi Sasuke… è l’unica cosa che voglio.”
E poi ci fu il delirio del trapasso.
Gli occhi di Itachi si chiusero e quasi avrebbe voluto opporsi.
Avrebbe dovuto aggiungere un: “Grazie” o “Volevo finire quel discorso con lei” o “Mi dispiace” o… o “mi dia un altro bacio”, che poi non era neanche un bacio, ma era comunque l’ultimo gesto dal sapore d’affetto che aveva ricevuto.
Avrebbe potuto aggrapparsi ancora un po’ a quella vita su cui lui stesso aveva, per volere o no, sputato dal giorno in cui si era sporcato le mani. O perlomeno, avrebbe potuto chiedere che venissero dissolti i suoi peccati e tutto quello che aveva fatto.

So let mercy come and wash away what I’ve done …

Kakashi, solo, al buio, osservò il peso dell’anima di Itachi scivolare via dalle sue labbra.

“Riposa in pace.” Mormorò, baciando la fronte pallida, quasi a suggellare una promessa.











Ino si strinse nella coperta che le avevano dato. Non sapeva più dove guardare, conosceva l’asfalto a memoria.
La ragazza aveva temuto quel giorno per parecchio tempo ed infine era giunto. Avevano trovato Itachi, il suo Itachi, morto. Quasi non ne era sorpresa: l’ultima volta che lo aveva visto non sembrava neppure più lui. Gli aveva proposto aiuto, ma l’aveva cacciata via. Non avrebbe mai saputo che era solo per proteggerla, così come non lo avrebbe mai saputo neppure Sasuke.
“E’ strano come la morte metta in evidenza parti degli altri che non conosciamo. Sembra che arrivi appositamente per dirci che siamo solo ignoranti e convinti di poter spiegare ogni cosa, quando in realtà non è vero.”
Kakashi le porse un caffè, recuperato alla macchinetta del pianoterra del Pronto Soccorso.
“E’ normale non dire tutto alle persone che ci circondano, altrimenti non riusciremmo a mantenere i nostri legami.” Rispose l’uomo, mentre lei alzava gli occhi per guardarlo.
“Siamo tutti ipocriti allora.”
Kakashi abbozzò un sorriso amaro e scrollò le spalle.
“Può essere.”
Ino guardò il bicchierino di carta e poi bevve un sorso di caffè.
“Le ha detto qualcosa? – la bionda lottò con le lacrime – Prima…prima di morire intendo.”
Kakashi avvertì uno strano disagio e decise che era meglio evitare di esprimersi, conoscendo il sentimento che animava la ragazza.
“Era consapevole che la sua vita stava finendo. Credo fosse solo rammaricato di non poter dimostrare redenzione per ciò che ha fatto in vita. Era un ragazzo fiero che non avrebbe mai chiesto perdono, ma solamente avrebbe voluto potersi riscattare, questo sì. La droga lo ha debilitato troppo ed ha distrutto la sua volontà.”
Ino osservò ancora la bevanda calda e soffocò un singhiozzo. Non voleva piangere, ma non poté farne a meno.
“Ehi…” Kakashi la prese fra le braccia e le accarezzò la testa con fare paterno. Non avrebbe potuto aggiungere nulla per consolarla, perché Ino avvertiva quel vuoto farsi strada e roderle lo stomaco. E il cuore. E il cervello.
Inconsciamente la ragazza si strinse all’uomo, ritrovando un leggero tepore.
“E’… ingiusto… io… io l’ho conosciuto, io l’ho visto… lui…” i singhiozzi spezzavano i suoi pensieri e le sue frasi.
“Lo so, lo so. Nessuno è qui per giudicarti Ino.”
Kakashi avvertì una sensazione di tristezza tramutare il suo disagio. Ino aveva un profumo delicato, floreale e tremava per il pianto. Sembrava più piccola di quando l’aveva vista arrivare correndo. Di rimbalzo si chiese come mai incontrasse le donne sempre nei loro momenti di debolezza.




Quando arrivarono a casa Hatake erano le quattro e venti del mattino. Ino non aveva voluto essere riaccompagnata dai suoi o vedere i propri amici, aveva bisogno di un Porto Franco dove schiarire per un attimo le idee e Kakashi si era proposto di aiutarla. Ma forse lo faceva per aiutare anche se stesso.
“Preparo un tè, tu siediti pure tranquilla… - l’uomo si mise a trafficare nei pensili e la giovane si sedette al tavolo della cucina - … hai preferenze?”
“No, non particolarmente. Kakashi-sensei…” l’interessato si voltò a guardare la ragazza.
“Uhm?”
“Beh, grazie.”
“Figurati, sono da solo, non…”
“No. Non mi riferisco a questo, ma all’essere rimasto vicino ad Itachi. Non tutti lo avrebbero fatto, anzi… molti probabilmente lo avrebbero aiutato a crepare più in fretta.”
Kakashi non si aspettava un ringraziamento per una cosa simile, gli era solo sembrato normale. Davanti alla morte per lui non importava ciò che era stato, poiché ognuno viveva come credeva e avrebbe fatto ammenda dei propri errori. La perdita della vita era il prezzo più caro che si potesse pagare, nonostante sembrasse una liberazione. Aveva riflettuto sulla cosa un milione di volte, per cui lo sapeva.

Qualche minuto dopo entrambi sorseggiavano tè in silenzio, lanciandosi ogni tanto uno sguardo.
Ino, nonostante il pianto, manteneva intatta la sua bellezza: indossava ancora l’abito rosso che usava per lavorare, somigliava a quello di Jessica Rabbit, ma lei non cantava, vendeva solamente sigarette al Mercy Overdose.
Kakashi aveva l’aria stanca, la maglia blu con le maniche arrotolate fino ai gomiti e i capelli scompigliati.
Insomma, era una scena insolita e se qualcuno l’avesse vista da fuori, l’avrebbe scambiata per la parte finale di un film. Non una pellicola qualsiasi, ma una di quelle indipendenti, toccanti perché assurde, ma tremendamente reali.

“Lo sa cosa?” se ne uscì ad un tratto Ino, appoggiando la tazza sul tavolo e increspando le labbra in un sorriso triste.
L’uomo alzò lo sguardo e contemporaneamente un sopracciglio quasi a chiederle spiegazione.
“Avrei voluto poterlo baciare ancora una volta.” E la bionda lo disse in tono soave, innamorato.
Kakashi sorrise ed appoggiò anche la sua di tazza sul piano di legno laccato.
“Perché più di ogni altra cosa per Itachi parlavano i baci. Non era una persona loquace, poi… era… strano. E questo lo sanno tutti. Ma dava dei baci da poterci morire.” Continuò Ino, prendendosi il viso tra le mani.
“Non so perché sto qui e lo dico proprio a lei, mi scusi!”
Kakashi rise.
“Non preoccuparti, non è mica un disturbo o qualcosa di cui vergognarsi.”
“E’ che… è stata una relazione strana quella che mi ha legato a lui. Neanche ci avrei mai pensato di innamorarmi, mi piaceva suo fratello! Ok, ok, ora penserà che sono frivola ed immatura… ecco perché non dovrei essere qui a parlarle!”
“Ino… Ino, calmati, hai fatto tutto da sola.” Rise ancora l’uomo, afferrandole una mano sul tavolo come a volerle infondere un po’ di calore.
“Sì, ha ragione. E’ che… mi sento tanto strana. Sono confusa. E il pensiero dei suoi baci… Dio, Dio, Dio.” Scoppiò in lacrime, nascondendo il viso tra le mani. Piegandosi in avanti quasi sfiorò con la fronte il piano del tavolo, mentre i singhiozzi la facevano sussultare.
Kakashi rimase interdetto.
“Ino…” mormorò, alzandosi e avvicinandosi alla giovane.
“Io non lo potrò baciare mai più.” Singhiozzò, asciugandosi il naso con il dorso della mano.
L’uomo le si inginocchiò accanto e le accarezzò una gamba, senza alcuna malizia. Alzò lo sguardo per cercare il viso sfatto dal pianto.
Quanto conosceva bene quella sensazione lui?
Quanto avrebbe voluto evitarla ad una giovane ragazza come Ino?
Quanto avrebbe voluto evitarla alle persone che lo circondavano?
Ma era la vita – la morte – che stabiliva le regole e loro dovevano stare a quelle.
Tutte le parole non dette, tutti i gesti non fatti, la realizzazione di nuovi sentimenti: era tanta la posta in gioco.




Raggomitolata nel letto di Kakashi, Ino fissava la finestra. Aveva smesso di piangere, stremata e l’uomo l’aveva portata in camera sua perché si stendesse un attimo. Si sentiva un po’ meglio, anche se terribilmente vuota.
“Ino…” Kakashi si sedette sul letto e le scostò un ciuffo biondo dalla fronte. Lei sorrise grata.
“Sto un po’ meglio, grazie.” Lui avvertì un po’ di sollievo a quella frase.
La bionda si mise seduta e si cancellò alcune tracce di trucco sulle guance.
“Sembro un panda?” chiese.
“Ha ha, no, tranquilla.”
“Menomale, ci mancava. Ho fatto una pessima figura, le chiedo nuovamente scusa.”
Kakashi scosse la testa.
“No, sono io a chiederti scusa.”
L’uomo aveva passato la vita a vedere persone perdere le proprie occasioni, lui stesso era sempre stato il primo a farlo. Adesso si trovava nuovamente a contemplare il disastro che la morte provocava in chi rimane. Spesso i ragazzi del Centro morivano soli. Nessuno piangeva la loro perdita, nessuno faceva loro il funerale. Era desolante. Come poteva una persona arrivare a distruggersi l’esistenza in quel modo?
Così era arrivato ad un’unica conclusione. Non c’era molto da fare, se non un piccolo gesto, che avrebbe dato sollievo ad Ino, come ad Itachi qualche istante prima di morire.


Kakashi accarezzò delicatamente una guancia della ragazza e lei per istinto abbassò lo sguardo in imbarazzo.
“Kakashi-sensei…” mormorò.
Lui la costrinse a guardarlo e poi le sussurrò sulle labbra:
“Itachi, prima di morire, ha detto che ti avrebbe voluta con sé ancora per un istante per poterti baciare un’ultima volta.”
Lei sgranò gli occhi sorpresa nello stesso istante in cui Kakashi li chiudeva e la baciava lievemente.
Fu un contatto caldo e morbido. La bionda dapprima smarrita, appoggiò le mani sulle spalle dell’uomo e cercò di scostarsi, ma lui la trattenne con fermezza.
“E’ il suo bacio d’addio Ino ed io posso solo restituirtelo.” E ancora sulle proprie labbra poteva sentire il tremore di quelle di Itachi, quando gli aveva prestato soccorso.

La bionda, commossa, passò le braccia intorno al collo di Kakashi e chiuse gli occhi. Rispose al secondo contatto delle loro labbra con passione e lasciò che il bacio si facesse più profondo. Vi era qualcosa di diverso, non era proprio come baciare Itachi, tuttavia ne avvertiva il sapore, la presenza.

Kakashi spostò la testa di lato per approfondire maggiormente quell’incontro. Poco importava che Ino fosse una studentessa e lui un suo professore, in quel momento importava incontrarsi.

Tutti e tre.

Forgiving what I’ve done



Owari
[27 settembre 2009]

Note autore: Allora. Intanto partiamo dal titolo “Mercy Overdose”: non si tratta solo del nome del locale dove lavora Ino, ma si riferisce all’overdose sia dovuta all’abuso di droghe, sia all’eccessiva misericordia/pietà che l’uomo prova di fronte alla morte di qualcun altro. Inoltre fa anche riferimento alla canzone utilizzata : ) E’ un po’ complessa, ma spero si capisca. Kakashi è un professore ed anche volontario presso un Centro per tossicodipendenti. Le informazioni che ho preso sono state trovate su internet (per quel che riguarda gli effetti fisici dell’overdose) e tramite un mio amico che ha fatto il volontario. I personaggi di Naruto non mi appartengono assolutamente e non ci sono scopi di lucro.

E si ritorna a parlare di Overdose, olé! Prometto che i prossimi capitoli saranno più allegri, forse... Eheh.
Nel frattempo vorrei ringraziare Bravesoul e fare i miei complimenti alle altre ragazze partecipanti al contest "Kakashi in pairing".
Il contest prevedeva la scelta di 3 numeri: due avrebbero assegnato due personaggi (a me sono capitati ovviamente Ino e Itachi) e uno una canzone (che in questo caso è What I've done dei Linkin Park) e sviluppare una fanfic dove questi elementi fossero legati a Kakashi.
Mi sono classificata prima e non posso che essere contenta perché la fic, nonostante le mie solite paranoie, mi soddisfa abbastanza. Comunque il giudizio finale spetta a voi lettori, grazie in partenza!
Un sacco di complimenti anche a: Storytellerlover, Arwen88 e Nejiko :) grandi ragazze, che Kakashi sia con noi XD,
Urdi

IL RESPONSO DELLA GIUDICE:
Prima classificata: Urdi con “ Mercy Overdose.”
Grammatica: 9.5/10
Stile:9.6/10
Attinenza alla traccia: 10/10
Attinenza alla canzone: 10/10
Trama : 9.8/10
Originalità: 10/10
Gradimento personale: 5/5
Tot: 63.9/65

Commento. Non so che dire. Mi hai scioccata. Ha scritto questa fic di corsa, l’ hai corretta di corsa. Mi hai scioccata. Grammatica molto buona, qualche errorino di punteggiatura e poi qualche “e” di troppo.
Ma ottimo, davvero.
Lo stile è coinvolgente, emozionante, fantastico, sembra di essere lì mentre Itachi muore, col dolore di Ino, con quello di Kakashi. Forte e duro nelle parti giuste, leggero nelle altre.
Attinenza alla traccia, direi la migliore. Il pairing c’è, i personaggi sono legati.
Aatinenza alla conzone, non ho nulla da commentare, pare davvero fondersi perfettamente.
Originalità. Uao. Itachi morto di overdose l’ ho usato anche io un paio di volte ma il come hai impostato la storia, il discorso attorno e il bacio che da Kakashi ad Ino, il bacio che sa di Itachi… geniale.
Gradimento personale. Che cosa devo dire di più? Mi hai stregata, dalla prima parola all’ ultima. Mi hai letteralmente catturata. BRAVA, anzi no, bravissima.



RISPOSTE AI COMMENTI DI 'ASISTOLIA':
@Kisa_chan: Beh, non a tutti può piacere. La mia opinione riguardo allo yaoi è un po' complessa, ma non scenderò nei dettagli per non annoiarti. Posso solo dire che mica è un reato, va bene così, mi fa comunque piacere che nonostante questo mi segui ^_^! Quindi ti ringrazio! Sai cosa? A me il lieto fine non spesso riesce. E' difficile, molto più di quanto si creda. Poi in quella fic in particolare ho cercato di vedere i "problemi" da un punto di vista più adulto e realistico, nonostante il modo di fare di Anko sia decisamente infantile. Si tratta più che altro dello sfociare in una lite perché quello che era un problema in passato è sempre stato accantonato e mai risolto. Quindi sono strascichi di problematiche adolescenziali più che altro (non so se mi son spiegata). Comunque ti ringrazio e spero ti piaccia anche questa ff, nonostante sia amara più dell'altra XD.
@Slice: E poi ci sei tu. Mi sa che non ho bisogno di farti leggere le mie storie, perché LE PREVEDI da quanto le capisci XD ihih... Comunque, lo sai che tu hai paragonato Tenzo ad una crocerossina? Lo sai cosa comporta??? Ovviamente pensieri allucinanti riguardo a lui vestito da infermiera (prima o poi vedrai il disegno che ho fatto dove lui e Kakashi giocano "al dottore" XDDD)!Anyway, scherzi a parte: sì. Direi che ci hai preso, povero Tenzo è veramente combattuto e Anko è perduta. Ora più che mai purtroppo. al pensiero, a rileggere quello che ho scritto ci scorgo molta più tristezza di quel che credevo. E' davvero desolante una situazione simile se ci pensi. Stare da tanto con una persona e continuare ad avere il dubbio che questa non ti ami. Ok averne bisogno, ok sfiorare il sentimento nonostante tutto, ma è comunque terribile... mi sono depressa da sola, si può?-_-' Il pezzo iniziale lo adoro XD per lo meno un po' di gioia. Aspetto impaziente il tuo commento a questa, sperando ti piaccia ^___^ Bacino!!! E grazie mille, ovviamente!


PREMI EXTRA!!!*__* Bannerini by lisiel

   
Stile: Urdi
Per lo stile ineccepibile^^
Giuria: Urdi
Perchè è la fic che mi ha sorpresa di più, perchè è semplicemente geniale.
Premio attinenza alla traccia: Urdi
Perchè è quello che ha centrato meglio la traccia, complimenti!!

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Capitolo 11
*** 11. E dai... [KakashiYamato] ***


Di noia, cotte e altre sostanze
Di Urdi

11. E DAI…
[700 parole]
[KakashiYamato]




Il desiderio si era acceso senza apparente motivo. Forse era stata la luce soffusa del salotto mista a una sbronza leggera, con quell’atmosfera calda e rilassata. Oppure era stato solo il troppo lavoro, che li aveva distolti da quei piacevoli e intensi momenti insieme.
“Tenzo…” mormorò Kakashi tra un bacio e una carezza, cercando di mettersi seduto, ma l’altro gli premette una mano sul petto scoperto, tirando via con l’altra, di malo modo, un pezzo di camicia.
“Che c’è?”
“Dovremmo andar… - un attimo di pausa non appena avvertì la cintura sfilarsi dai passanti dei jeans - … Niente, chissenefrega!” concluse allora, sporgendosi per cercare il calore del compagno. 
Assaporò quel bacio con lentezza, nonostante la foga con cui le sue mani premevano sulla pelle dell’altro, sotto la maglietta. 
Il trillo di un cellulare però attirò l’attenzione di Tenzo, che lanciò un’occhiata distratta al tavolino di vetro poco distante. 
“E’ il mio…” sospirò, mentre Kakashi scendeva con le labbra sul collo, dietro l’orecchio. 
Il ragazzo allungò una mano per afferrare l’oggetto che vibrava insistente, ma non riuscì a raggiungerlo, perché l’altro glielo impedì ribaltando le posizioni.
“Ehi, fammi rispondere!” obiettò ridacchiando il giovane dai capelli scuri, mentre tirava i capelli chiari del suo amante.
Kakashi sogghignò sfilando la maglietta di Tenzo, facendo sì che entrambi ora fossero solo in jeans.
“Dai, richiameranno.”
“Ma se eri tu quello che si opponeva…” Tenzo si sporse per catturare le labbra di Kakashi e contemporaneamente allungò di nuovo il braccio alla ricerca del telefono. 
Tenendo occupato il compagno riuscì a tentoni a trovare l’apparecchio, che al tocco delle sue dita smise immediatamente di suonare.
Kakashi si staccò dall’altro e lo guardò male.
“Scusa, davvero, devo sapere chi è, potrebbe essere importante!” si giustificò Tenzo, mentre controllava le chiamate.
“Poverino, sei un quasi premio Nobel e ancora mi sottovaluti.”
Il ghigno di Kakashi fece ridere Tenzo.
“Idiota, anche tu mi sottovaluti.”
“Vogliamo vedere?”
“Dai, ti sfido…”
Kakashi allora, mentre l’altro continuava a scorrere le chiamate, gli accarezzò il collo, con lentezza, prima di ricominciare a baciarlo sulle labbra, piano, con leggerezza. Lentamente scese dietro al collo, per poi tornare su, lungo la mandibola e di nuovo alle labbra.
“E dai, guardami…”mormorò sensuale.
“Ah…smettila…”ma resistere era difficile.
“Smettila tu…”
“Dico sul serio…ah…Gen…Genma!”
Kakashi spalancò gli occhi sorpreso, poi si staccò dal compagno di scatto con un gesto rabbioso.
“Credo di non aver capito…” ringhiò.
Tenzo allora alzò lo sguardo dal cellulare e fissò Kakashi, prima di rendersi conto della figura che aveva fatto. Momento di silenzio imbarazzante in cui il proprietario del cellulare della discordia univa i puntini, mentre l’altro lo guardava malissimo pensando a una prossima applicazione dell’uccidere con lo sguardo alla fisica. 
Poi Tenzo scoppiò a ridere.
“Ha ha, no scusa… non volevo dire Genma, nel senso… in quel senso. Sai bene che non mi interessa, figuriamoci. Sono diventato stupido? Volevo dire ‘Genma’ come esclamazione, le ultime 4 chiamate sono sue, guarda!”
Kakashi incrociò le braccia al petto.
“E quindi?”


Tenzo aggrottò le sopracciglia.
“Ma come ‘e quindi?’ Devo ricapitolarti perché io e Genma ci odiamo e non ci parliamo?”
“No, sanno tutti questa storia e comincia a non essere neppure più divertente.”
“Ma infatti non lo è, razza di idiota che non sei altro. – Tenzo riportò l’attenzione sul cellulare, perplesso – E’ assurdo che mi abbia cercato così a lungo e sono quasi le sei del mattino.”
Kakashi allora, sfruttò il momento di disattenzione e strappò di mano il cellulare dell’altro, costringendolo così a guardarlo negli occhi.
“Per l’appunto: quasi le sei, tra un’ora sarò in piedi… per cui, scopiamo? Non ho voglia di perdere tempo con assurdi revival. O per caso hai dei ripensamenti riguardo il tuo rapporto con uno che, per inciso, hai trovato a casa tua, nel tuo letto che si scopava la tua, ormai ex in verità, ragazza?”
Tenzo dapprima guardò il compagno malissimo, ma poi si concesse una risata e lo baciò appassionatamente.
“Hai ragione. Paranoie dovute al sakè. Diventi violento quando sei eccitato.”
“Divento violento quando vado a dormire insoddisfatto.” Si baciarono di nuovo, con trasporto, scivolando sul tappeto. Dopo, mentre gli ansiti riempivano la stanza, non ci fu più tempo per accorgersi del telefono che squillava incessante.




Owari...? - io dico di no... : P



Ho trovato questa Kakashi Yamato nel mio pc e alla fine ho deciso di postarla così. A dire il vero volevo che prima di questa ne fossero postate altre per andare avanti con la storia. In verità qui qualcosa succede, ma è un passaggio sottile, che si capirà solo con un altro cap. E ci sarebbe anche un errore, ma anche di questo vi parlerò più avanti!
Ci tengo ad augurarvi di fare delle ottime vacanze :) domani fuggo lontano, ci ritroviamo a settembre!
Urdi


Risposte ai commenti:
@bravesoul: io ti ringrazio ancora per quel contest. Non so come sia uscita quella KakaItaIno, ma è venuta bene alla fine e anche io mi reputo soddisfatta. Ti ringrazio davvero tanto : )
@Kisa_chan: eh, ma infatti un po' da quel lato ci sono anche io. Il lato bambina dico, quello che aspira al lieto fine, ma poi, non so perché, le mie storie escono così amare. Chissà. Forse è quello che ho dentro davvero che si trasmette mentre scrivo. Io adoro scrivere di Kakashi in tutti i contesti possibili : ) quindi spero tu possa sempre apprezzarlo nelle mie ff. Ti ringrazio tanto, sia di aver letto che di aver apprezzato e avermi messa tra i preferiti. Grazie davvero!
@Nejiko: guarda, l'ispirazione mi è arrivata letteralmente tra capo e collo, all'improvviso e bam. Ho scritto. Quando succede è come se fossi in trance, ma è anche quando scrivo le cose migliori a dire il vero. Ti ringrazio tantissimo *_*
@slice: a rileggere la tua recensione mi sono quasi commossa per tutto quello che ci hai visto. E che effettivamente c'è. Mi piace come la mia interpretazione sia arrivata a te e tu l'abbia interpretata a modo tuo. Non come spiegarmi, scusami, comunque ti ringrazio davvero. Era proprio quel che volevo si capisse (ma cosa lo dico a fare? Capisci sempre!). E poi... io non so, ma mi è sempre piaciuto quel momento del bacio in cui si inclina la testa. Ci si avvicina, ci si raggiunge, ci si unisce. Mi piace. E sono contentissima che tu lo abbia notato *_*. Grassie tesoro, mi mancherai questa estate ç_ç bacino *_*
@Arween88: a me parli di università e ostaggi? Hehe... intendo dire che ti capisco molto bene, quindi NON scusarti affatto! Davvero ti è piaciuto tanto Itachi? E dire che ho scritto così poco di lui, ma si vede che counque qualcosa è arrivato e... non posso che esserne strafelice. Grazie mille!

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