Something I need

di Margo Malfoy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindicesimo ***
Capitolo 16: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


1
 
Malia Browning, quella calda mattina di giugno, si sarebbe svegliata alle sei e mezza, come ogni mattino, si sarebbe vestita di corsa perché, come ogni altra mattina avrebbe spento la sveglia senza alzarsi e riaddormentandosi poco dopo, e avrebbe bevuto un caffè camminando a passo svelto verso lo squallido supermercato in cui era riuscita miracolosamente a trovare lavoro il mese prima. Perlomeno, questo era ciò che si aspettava. Forse quella mattina sarebbe riuscita ad alzarsi alle sei e mezza puntuali, o forse si sarebbe svegliata così tardi da non riuscire a passare al bar per comprare il caffè. Di sicuro non si aspettava che alle sei e mezza suonasse il campanello, al posto della sveglia, e meno che meno si aspettava che il suo inatteso ospite fosse uno dei detective che si erano occupati del suo arresto – la parte più ottimista di lei credeva che le visite della polizia sarebbero finite una volta finito il processo.
« Detective Grint » disse perplessa Malia aprendo la porta.
« Rupert » la corresse lui alzando l’indice della mano. Non aspettò il suo permesso, la scostò di lato ed entrò in casa guardandosi intorno incuriosito. « Spero che tu non abbia già fatto colazione » disse sedendosi ad uno degli sgabelli della cucina, « Radcliffe sta arrivando con i caffè »
Malia lo guardò corrugando la fronte, cercando di trovare una buona ragione per cui i detective che l’avevano trascinata in tribunale solo il mese prima si fossero messi d’accordo per portarle la colazione. Grint pareva troppo eccitato di essere lì perché quella visita fosse un controllo, così Malia, pensando che non aveva nulla da nascondere, decise di rilassarsi un po’ ed aspettare che Radcliffe fosse lì per chiedere che cosa stesse succedendo. Grint aveva iniziato a girovagare per casa, ammirando i vasi del salotto e i quadri sul muro, curiosando ad occhi sgranati lungo le pareti che affiancavano le scale e le foto che le decoravano. Poi, fortunatamente prima che il detective si azzardasse a chiedere il permesso di salire al piano di sopra, il campanello suonò ancora e Malia si ritrovò in casa altri due agenti: Radcliffe e Watson. Mancava il partner di quest’ultima, ma Malia decise di non fare domande ed accomodarsi insieme a loro in cucina, sedendosi al tavolo.
I quattro iniziarono a mangiare le brioche e a bere i caffè che Radcliffe e Watson avevano portato con loro, chiacchierando come se quella situazione non fosse stata ridicola. La Browning rimase in silenzio per tutto il tempo, consumando la sua colazione lentamente. Poi, quando tra i tre colleghi calò il silenzio, si decise a chiedere il motivo di quella stramba visita. « Scusate, » disse schiarendosi la voce, « potrei sapere perché siete qui? »
I tre risero e sui loro visi si dipinse la tipica espressione che ha qualcuno non appena capisce qualcosa. « Qualche giorno fa, durante un arresto, il mio partner è... rimasto ucciso » disse la Watson, chiudendo gli occhi per richiamare a sé il suo solito autocontrollo.
Malia parve ancora più perplessa di prima, se credeva che una loro spiegazione le avrebbe chiarito le idee, si sbagliava di grosso. « Mi dispiace » disse con un filo di voce, non sapendo come reagire a quell’informazione così inaspettata.
« Succede a volte » disse la Watson in un sussurro. « In ogni caso, abbiamo iniziato a cercare qualcuno che potesse sostituirlo in squadra e, inaspettatamente, un agente ha proposto te, Malia »
Quelle parole fecero sussultare la castana, che sgranò gli occhi ed appoggiò il caffè che stava sorseggiando. « Me? » le fece eco sorpresa.  
« Esatto. Tu hai... conoscenze superiori, se così si possono definire. Nessuno ha mai vantato il talento di leggere il linguaggio del corpo, in squadra. Ci saresti molto utile durante le indagini, devo ammetterlo » disse la detective.
« Vi sfugge l’irrilevante particolare che fino ad un mese fa andavate in giro a cercare prove che potessero incriminarmi e sbattere in prigione » disse Malia con veemenza.
« Può capitare che sospettiamo della persona sbagliata »
« Può capitare che sospettiate? » chiese Malia indignata. « Mi avete portata in tribunale e anche una volta che sono stata giudicata innocente avete fatto in modo che girassi con un fottutissimo braccialetto elettronico alla caviglia! Se aveste semplicemente sospettato di me, mi avreste solo portato in centrale per interrogarmi, sicuramente non mi avreste messa in prigione fino al processo »
« Se non l’avessimo fatto saresti finita in prigione comunque » le fece notare il detective Radcliffe. « L’accusa di quell’omicidio non era l’unica a comparire sulla tua fedina. Le persone sveglie non finiscono in prigione, e tu sei brillante. Sarebbe stato un peccato farti marcire dietro le sbarre »
« Non dirlo come se non l’aveste voluto! » gridò Malia guardando negli occhi chiari il detective. Pareva essersi dimenticata molto velocemente i modi educati che si curava di usare con gli agenti fino al mese prima, il modo in cui si erano presentati a casa sua esibendo quell’offerta inconcepibile l’aveva solamente fatta infuriare e se il loro era un tentativo di lusingarla per convincerla ad accettare il posto, avevano fallito miseramente. « Solo perché quell’uomo era un mio parente non significava che lo volessi morto. Come vi ho ripetuto fino alla nausea, non gli avevo nemmeno mai rivolto la parola. Ma avevate per le mani un caso irrisolto e chi non meglio della cattiva Malia Browning da incolpare? I cittadini si sarebbero sentiti più sicuri, i giornalisti avrebbero avuto pane per i loro denti, e voi avreste risolto un caso per il quale chiunque vi sarebbe stato riconoscente, magari ottenendo perfino una promozione. Non vi importava che cosa avevo da dire, avete fatto in modo di trovare un paio di prove – a mio parere scadenti, tra l’altro – e di ignorare qualsiasi altra prova che potesse incriminare qualcun altro. Avreste pagato oro per vedermi in prigione, quindi non parlatene come se aveste cercato di fare qualunque cosa per scagionarmi! »
Sul viso dei tre detective si illuminò un sorrisetto, che Malia non riuscì ad interpretare, che anzi suscitò in lei ancora più fastidio. « Te l’ho detto, sei brillante » disse poi Radcliffe.
Malia corrugò, per quella che credeva essere la centesima volta, la fronte, guardando perplessa le tre persone che le stavano davanti.
« Ha ragione, » intervenne Grint, « sei brillante. Non ti abbiamo mai parlato del nostro piano per incastrarti, eppure hai capito il nostro gioco »
« Esatto, ma... »
« Sei giovane, è vero, e senza esperienza. Ma come studiosa di cinesica, saresti il gioiello della corona. Capire quando una persona mente oppure no, significa sapere quando possiamo rilasciare i sospettati o quando dobbiamo trattenerli. È un enorme vantaggio » disse la Watson.
Malia parve non saper più che cosa dire. Rimase a pensare alla bizzarra conversazione che si era appena tenuta nella sua cucina, cullata dal silenzio che era sceso tra i quattro.
« Senti, non devi dircelo subito » disse Grint interrompendo i pensieri copiosi della ragazza. « Solo, pensaci »
« Sono una criminale » disse, rivolgendosi più a sé stessa che non alle persone di fronte a lei. « Come potrei diventare un’agente di polizia di punto in bianco? »
« Se inizierai a lavorare con noi, la gente capirà che il tuo arresto è stato un errore, che non sei una criminale » disse Radcliffe.
La Browning rifletté di nuovo sulle parole del detective. « Non lo so » disse infine con un sospiro.
Improvvisamente l’idea che la gente potesse farsi una nuova immagine di lei le sembrò irresistibilmente allettante. E, non lo si poteva negare, la vita da poliziotta pareva molto più affascinante di quella da commessa del supermercato infondo alla strada. I suoi sentimenti si erano improvvisamente ribaltati, ed ora niente le impediva di accettare l’offerta degli agenti, se non il suo formidabile orgoglio.
« Insomma, nessuno ha niente da obbiettare, in squadra? » chiese Malia.
« Nessuno ti giudicherà per ciò che è successo in passato, se è questo quello che ti fa paura. Tutti credono che tu saresti un ottimo acquisto »
Malia alzò gli occhi al cielo, giocherellando con le dita delle mani nervosa, maledicendosi per le parole che stava per pronunciare: « D’accordo, accetto »
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Ehilà!
Dunque, per prima cosa vorrei dire che questa è la prima “fic poliziesca” (non so se è il termine adatto, ma la definirei così) che scrivo e che, quindi, non conosco precisamente tutti i termini e le procedure che normalmente vengono utilizzati dalla polizia. Ad ogni modo cercherò di utilizzare i termini più adatti possibile.
In secondo luogo, la protagonista, Malia Browning, è inventata da me e non è ispirata a nessuno in particolare, quindi coincidenze col nome, il carattere o l’aspetto fisico sono del tutto casuali. Parlando di lei, è un’esperta di cinesica, ovvero studia la comunicazione non verbale. Non so se avete mai visto “Lie to me”, una serie poliziesca, ma mi sono ispirata a quella, dove i personaggi riescono a capire quando i sospettati mentono oppure no attraverso il linguaggio del corpo (vi consiglio davvero di guardarla, perché a me piace moltissimo). Per quanto riguarda il braccialetto elettronico che Malia ha alla caviglia, si capiranno gli ulteriori motivi delle sue accuse nei prossimi capitoli.
Infine, parlando dei detective, in questo capitolo sono comparsi solo Rupert, Daniel e Emma, ma nei seguenti appariranno anche i gemelli ed altri personaggi. Il sospettato, poi, credo sia piuttosto chiaro chi è, ad ogni modo si scoprirà poco più avanti.
Vi chiedo con tutta me stessa di commentare la storia, facendomi sapere cosa ne pensate. Complimenti o critiche costruttive sono molto utili per migliorare la fic e, soprattutto, vorrei sapere se la storia piace o no, perché non avrebbe senso continuare una fic che non piace. Quindi vi prego di farmi sapere cosa ne dite.
Per ultima cosa, il titolo della storia è preso dalla canzone degli One Republic “Something I need”.
Bene, direi che ho finito.
Grazie della lettura e a presto (spero)!
 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


2
 
La calda mattinata di giugno durante la quale i detective si presentarono a casa di Malia Browning era decisamente un sogno rispetto all’afosa giornata di luglio in cui Malia si sarebbe dovuta presentare in Centrale. Il sole picchiava senza pietà sulle strade affollate di Los Angeles, distribuendo lamentele petulanti che le persone intorno a Malia non si curavano di tenere per loro. Camminare, per la prima volta, le costava un immenso sforzo, non era sicura di volersi presentare al lavoro. Aveva ricevuto i contratti e i permessi che le davano il via libera di lavorare per la polizia solo la settimana prima e non era riuscita ancora ad elaborare per bene la cosa. Aveva lasciato il lavoro al supermercato non appena ricevuti i documenti e, quando ritornò a casa, cominciò a chiedersi che cosa le dicesse il cervello. Eppure, in quel momento, si trovava di fronte all’entrata della Centrale, con le gambe che salivano freneticamente gli scalini di ingresso. All’interno, come ci si poteva aspettare, le teste degli agenti che non erano ancora al corrente della sua recente assunzione si girarono verso di lei a guardarla con gli occhi sgranati, chiedendosi se la stessero scambiando con un'altra persona o se, quel giorno, si fosse sballata così tanto da presentarsi di sua spontanea volontà alla polizia per confessare un reato. Scavando a fondo per recuperare l’orgoglio che la caratterizzava, Malia ignorò quelle occhiate insolenti, salendo di fretta le scale che l’avrebbero portata al settimo piano, dove si trovava il reparto Omicidi. Si rifiutò di prendere l’ascensore, credendo che facendo movimento riuscisse a sbollire la rabbia che l’aveva pervasa nel vedere il modo in cui la gente l’osservava. Giunta al settimo piano, si ritrovò davanti una distesa di scrivanie cariche di fogli stropicciati, bicchieri di caffè vuoti, telefoni fissi e computer nascosti da numerose cartelle, dove erano seduti gli agenti con cui, di lì a poco, avrebbe cominciato a lavorare. Oltre a Daniel, Emma e Rupert, che dopo numerosi incontri l’avevano pregata di chiamarli per nome, c’era un’altra decina di persone. Tra quelle, richiamarono la sua attenzione due ragazzi magri e alti, con i capelli rossi e del tutto identici, che giravano tra le scrivanie con due gran sorrisi stampati in volto. Dopo di loro si fermò ad osservare due ragazze che parlavano tra di loro con due caffè in mano, una con i capelli di un biondo chiaro quasi innaturale, l’altra con i capelli rosso fuoco, entrambe più o meno della sua età. Infine venne scostata di lato da un ragazzo dai capelli castani e un accenno di barba, che si rivolse a lei con un sorriso cordiale e poi corse verso la sua scrivania sorseggiando la bibita che vi era sopra. La confusione che regnava in quell’ufficio le aveva fatto apprezzare fin da subito il posto, che guardava ancora incuriosita. In un angolo lontano della grande sala, riconobbe la stanza degli interrogatori e gli schermi che proiettavano le immagini delle telecamere di sicurezza. Dalla parte opposta, vi era l’enorme ufficio del capo, decorato con soprammobili e arredi molto pregiati.
« Malia! » La voce di Emma interruppe l’accurato studio di ciò che circondava la ragazza, facendola voltare verso la bruna. « Vieni, sei arrivata giusto in tempo » disse spingendola verso l’ufficio del loro capo. Dentro, un uomo dai capelli castani e la barba leggermente brizzolata accolse la nuova arrivata con un sorriso sorpreso. Si sfilò gli occhiali con cui stava studiando un documento e si alzò dalla sedia girevole. Malia aveva visto milioni di volte quell’uomo, sapeva chi era, eppure non ci aveva mai parlato.
« Malia Browning » disse lui. « Non posso credere che, dopo tutte le volte che ho cercato di arrestarti, ora tu faccia parte della squadra » rise stringendole la mano. « Io sono Gary Oldman, ma credo che tu lo sappia già »
« Dove sono Radcliffe e Grint? » chiese Emma.
« Sono già sulla scena del crimine » disse Oldman. Spiegò loro che quella mattina era stata trovata morta una ragazza, che i due detective avrebbero dato loro gli ulteriori dettagli e che loro due si sarebbero dovute occupare di fare alcune domande alle persone con cui la vittima aveva rapporti più stretti.
Le due annuirono voltandosi in fretta, ma prima che entrambe potessero varcare la soglia della porta, Oldman parlò di nuovo: « Ragazzina? »
Vedendo che Emma non rispondeva, Malia immaginò che stesse parlando con lei. « Si? »
« Non farmi pentire di averti assunto » disse con tono grave rivolto alla castana.
« Certo » disse con tono sommesso Malia.
 
Lasciando a Malia la libertà di guidare, lei e Emma raggiunsero la scena del crimine, riconoscendo tra il gruppetto di persone che accerchiavano la casa della vittima Radcliffe e Grint, oltre che ai ragazzi che avevano richiamato l’attenzione di Malia non appena arrivata in Centrale.
« Che cosa abbiamo? » chiese Emma con tono autoritario, spostandosi verso i suoi colleghi.
« Lisa Stevens, venticinque anni » rispose prontamente Radcliffe. « È stata trovata morta dal vicino. Ha detto che il postino gli aveva consegnato un pacco della Stevens e che così aveva deciso di portarglielo di persona. La porta era aperta, è entrato ed ha trovato la ragazza stesa a terra già morta »
« Sembra sincero » disse Grint, guardando l’uomo che stava parlando con un gruppo di poliziotti davanti alla casa. Era un uomo alto e moro, con un lieve accenno di barba e una camicia scozzese su cui si passava le mani nervosamente.
« Ci parlerò io più tardi » disse Malia, immaginando che i poliziotti con cui stava parlando l’uomo non riuscissero a cogliere quel segno di nervosismo, in genere, poco evidente.
« Già, Oldman ci ha chiesto di interrogare i suoi conoscenti » fece Emma, incamminandosi insieme agli altri tre verso la porta della casa. All’interno vi erano numerosi uomini della scientifica, che continuavano a scattare foto al cadavere della ragazza. Era una donna bionda, con la carnagione chiara e due occhi verdi belli quasi quanto quelli di Malia, che fissavano le persone che si aggiravano intorno a lei piuttosto inquietantemente. Con gli occhi sbarrati, la bocca aperta, i vestiti ricoperti di sangue e il corpo accatastato contro il muro del salotto in modo innaturale, quello che avevano davanti era senza dubbio un omicidio. La Stevens aveva un taglio profondo all’altezza di una tempia, che le rigava di rosso vivo il viso curato. Malia notò che doveva essersi procurata quella ferita colpendo l’angolo del mobile di fronte a lei, dove era presente del sangue fresco.
« Avete trovato il suo cellulare o il suo computer? » chiese Emma.
« Sono appoggiati tutti e due sul tavolo » disse Grint distrattamente, continuando a girare intorno al cadavere, probabilmente per controllare che non ci fossero lividi o ulteriori ferite.
Le due ragazze si spostarono verso il tavolo al centro della stanza, Emma cominciò a digitare sulla tastiera del computer con un paio di guanti in lattice e poi spostò lo sguardo su Malia: « Su, guarda se trovi qualcosa » disse spingendo verso di lei il cellulare chiuso in un sacchetto di plastica.
Malia pensò per un attimo di tirarlo fuori da lì, ma poi capì che il sacchetto serviva a non lasciare le proprie impronte digitali. Fingendo che non le fosse nemmeno passato per la testa, sbloccò il telefono e cominciò a scorrere i messaggi più recenti. Non trovò niente di interessante fino a che non lesse il messaggio “ Ci vediamo stasera ” che risaliva al giorno prima. La ragazza era stata trovata morta quella mattina, ma sarebbe potuta morire anche la sera prima, ciò significava che l’autore di quel messaggio sarebbe potuto essere insieme a lei nella fascia oraria dell’omicidio.
Cominciò a scorrere i messaggi con quell’uomo, la maggior parte dei quali sembravano essere di lavoro. Rinunciando a trovare altro di interessante riguardo i recenti sms della Stevens, Malia cominciò a controllare le foto. L’ultimo era un video, che ritraeva un uomo biondo senza maglietta, e Malia si stupì nel scoprire che l’uomo della foto era lo stesso che le aveva scritto il messaggio la sera prima, riconoscendolo nell’immagine del contatto.
« Ehi, » disse rivolta a Emma, « guarda un po’ qui »
Emma spostò con attenzione lo sguardo sullo schermo del telefono, sgranando gli occhi nel vedere il ragazzo nella foto del contatto. « Sai chi è, vero? » chiese Emma a Malia.
La castana annuì lentamente senza spostare gli occhi da Emma. Quello ritratto nella foto era un agente miliardario di Los Angeles, e pochi non lo conoscevano.
« Forza, partiamo da lui per gli interrogatori » disse Emma, portando con sé il telefono e dirigendosi verso l’uscita.
Radcliffe e Grint si girarono verso le ragazze guardandole perplessi. « Dove andate? »
« Ad iniziare gli interrogatori » rispose seria Emma.
« Come? Con chi iniziate? » chiese Grint ancora più confuso.
Emma gli mostrò la foto del cellulare che teneva in mano: « Tom Felton ».
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Buongiorno gente!
Ecco qua il secondo capitolo, dove avviene l’omicidio intorno a cui si svilupperà la storia o, perlomeno, una parte importante di essa.
Abbiamo capito che il nostro caro Felton è il sospettato che gli agenti reputano tanto importante e, nel prossimo capitolo, apparirà finalmente nella storia.
Nel prossimo capitolo si presenteranno anche “gli agenti che hanno richiamato l’attenzione di Malia”, tra cui i gemelli che, ci tengo a dirvelo, ho lasciato con i capelli rossi perché li preferisco.
Per il resto direi che non ho altro da dire, se non che tengo un sacco a conoscere le vostre opinioni, per cui vi prego di farmi sapere cosa ne pensate, anche un minimo commento che possa aiutarmi a migliorare!
Grazie mille a tutti i lettori!
A presto 

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


3

L’ufficio di Tom Felton era all’ultimo piano di un imponente grattacielo di Los Angeles, che sovrastava le persone che camminavano per strada in tutta la sua altezza, facendole sembrare formiche al fianco di un umano. Le persone che entravano e uscivano dall’edificio camminavano di fretta, alcuni con una chiara espressione di soddisfazione in volto, altri con la delusione che si poteva quasi toccare. Gli uomini vestivano con giacca e cravatta e, la maggior parte di loro, aveva un telefono o un auricolare appiccicato all’orecchio, mentre le donne indossavano eleganti vestiti dalle gonne fino al ginocchio e le camicie tanto sbottonate che, qualunque uomo avessero dovuto incontrare, avrebbe posato gli occhi sul loro seno e non sul loro viso. Malia Browning e Emma Watson, invece, indossavano un paio di jeans e due giubbotti di pelle e, quando si scambiarono un’occhiata imbarazzata e incuriosita allo stesso tempo, si sentirono terribilmente inadeguate ad un ambiente del genere.
Finalmente si decisero a varcare la porta d’ingresso, entrando in un’enorme sala d’accoglienza, dove alla reception che occupava una parete intera dell’edificio sei donne sorridenti e affascinanti erano occupate ad aiutare i clienti che chiedevano loro informazioni. Centinaia di uomini e donne correvano a destra e a sinistra, tirando inavvertitamente spallate alle due detective. Dopo essersi fatte a fatica strada tra la miriade di gente che camminava per la sala, le due raggiunsero l’ascensore e iniziarono a salire in direzione del diciottesimo piano. Arrivate lì le due impiegarono meno di un secondo ad individuare l’ufficio di Felton. Occupava la maggior parte del piano e lo circondavano quattro pareti vetrate, tre delle quali offrivano una favolosa vista su gran parte di Los Angeles. Era arredato con eleganti soprammobili d’argento e di marmo, molti dei quali erano sistemati sulla grande scrivania di legno pregiato sistemata al centro della stanza. Dall’altra parte, sistemato su una delle poltrone di pelle nere che creavano un piccolo salottino, era seduto Felton, con un bicchiere di vino rosso in una mano e il telecomando della televisione a schermo piatto davanti a lui nell’altra. Il maxischermo trasmetteva un’intervista del biondo risalente a pochi mesi prima. Sembrava non essersi accorto che, poco lontano da lui, le detective si stavano avvicinando al suo ufficio. Dopo un secondo di esitazione, Malia bussò alla porta di vetro, producendo più che altro un rimbombo ovattato, invece che il tipico tocco delle nocche sul legno. Il ragazzo girò di scatto la testa in direzione della porta, con un’espressione visibilmente sorpresa in volto, e appoggiando telecomando e calice di vino si alzò dalla poltrona per accogliere le due detective. Mentre Emma cominciava a spiegare all’agente il motivo della loro visita, Malia si fermò a guardare il viso di Felton, in un primo momento per captare espressioni o segni particolari che potessero indicare il suo stato d’animo, in un secondo per accorgersi di quanto i suoi occhi, visti dal vivo, sembrassero due zaffiri sistemati al posto delle pupille.
« L–lisa è morta? » chiese Felton una volta che Emma spiegò il motivo della loro presenza lì. Prima che una delle due potesse dire qualcosa, Felton si sedette alla scrivania in modo poco elegante, iniziando a fissare un punto indistinto del pavimento di marmo.
« Dov’era ieri sera tra le 23.00 e le 23.45? » chiese Emma senza nemmeno provare a credere che la notizia avesse realmente sconvolto il ragazzo.
« Credete che l’abbia uccisa io? » fece lui spostando immediatamente lo sguardo sulle due ed iniziando a ridere.
« Non ha risposto alla domanda » disse Malia incrociando le braccia.
« Non ho intenzione di rispondere ad una ragazzina » disse Felton gelido, spostando gli occhi su Malia. Lei, però, notò che quando i loro occhi si incontrarono la mascella contratta del ragazzo si rilassò appena e i suoi occhi blu si fermarono per un secondo di troppo sui suoi verdi.
« Risponda alla domanda » ordinò Emma.
« Ero a casa » disse il biondo sospirando.
« C’è qualcuno che può confermarlo? » chiese Emma.
« Le mie cameriere e le telecamere di sicurezza di casa mia »
« Grandioso » disse Emma sforzando un sorriso. « Non le dispiacerà allora fare un giro in Centrale con le sue cameriere, vero? »
« Vi ho detto che non l’ho uccisa io » disse Felton.
« L’abbiamo sentita » intervenne Malia. « Ma abbiamo ancora qualche domanda da farle e questo luogo non mi sembra il più adatto, soprattutto considerando il fatto che abbiamo interrotto un... momento importante » Malia indicò il televisore che continuava a trasmettere in muto l’intervista dell’uomo. La castana afferrò il telecomando e spense la televisione.
« Venga con noi » disse Emma.
« Non ho intenzione di farlo senza il mio avvocato » disse Felton.
Emma guardò Malia che, tirando fuori un paio di manette che le aveva consegnato la Watson, disse: « Può farlo di sua spontanea volontà, o con queste ai polsi »
 
Arrivati in centrale, Emma portò subito Felton nella stanza degli interrogatori, mentre a Malia venne ordinato di aspettare fuori insieme ai gemelli rossi e al ragazzo castano che aveva visto quella mattina.
« Malia, giusto? » disse uno dei due gemelli.
Lei annuì con un sorriso di cortesia. « Io sono James » disse sempre quello, « e loro sono Oliver e Matthew »
« Piacere » disse Malia ai tre ragazzi che la guardavano sorridenti.
« È vero che sai leggere il linguaggio del corpo e capire quando le persone mentono? » chiese Oliver interessato.
« Ehm, sì. » disse Malia. « Ho studiato cinesica »
Sui tre ragazzi si dipinse la perplessità, così Malia spiegò che la cinesica era lo studio del linguaggio del corpo. Poi, prima che uno dei quattro potesse dire altro, Emma sbucò dalla stanza.
« Malia? » chiese facendo girare la castana. « Vorrei che iniziassi tu ad interrogarlo »
Malia esitò per un attimo, ma poi annuì e varcò la soglia della stanza degli interrogatori. Felton non le diede il tempo di entrare che subito disse scettico: « Tu, ragazzina? »
« Prima cosa, » disse Malia sedendosi di fronte a lui, « non sono una ragazzina »
« Hai ragione » disse lui alzando l’indice della mano. « Tu sei la criminale che fino ad un mese fa stava per essere sbattuta in prigione. E, è davvero buffo, adesso stai interrogando me per un omicidio »
Malia ignorò le ultime parole del biondo ed appoggiò il cellulare con i messaggi e il video che aveva trovato a casa di Lisa Stevens sul tavolo, insieme ad un paio di fogli.
« Dunque, » disse Malia schiarendosi la voce, « lei ha detto che ieri sera, tra le undici e le undici e tre quarti, era a casa ma ieri, esattamente alle undici meno dieci, ha mandato un messaggio a Lisa Stevens dicendo che vi sareste visti quella sera. Quindi, a meno che lei non si sia fatto portare in elicottero a casa della Stevens, cosa che potrebbe essere possibile, e non abbia passato con lei meno di cinque minuti, mi sembra altamente improbabile che lei non fosse sulla scena del crimine dalle undici in poi »
« E se mi fossi davvero fatto portare in elicottero? »
« Possibile, ma il bel video che avete filmato ieri sera alle... undici e dieci, » disse controllando l’orario su uno dei fogli che aveva portato con sé, « tradisce anche questa ipotesi »
« Io non so con precisione l’orario in cui sono tornato a casa » disse subito Felton sulla difensiva.
« Io posso dirle che il video dura venti minuti e che quindi è rimasto lì fino alle undici e mezza. E, magari, dopo che aveva ottenuto quello che voleva, ha deciso di far uscire di scena la bella Lisa »
« Ero già andato a letto con Lisa, io l’attraevo e lei attraeva me, quella non è stata la prima volta e, anche se fosse, perché poi avrei dovuto ucciderla? »
« Forse perché, mentre lei si è allontanata per un attimo dalla camera, ha letto questo messaggio » Malia mostrò il telefono a Felton e il messaggio che recitava “ Non credo di voler più lavorare con Tom, domani ti spiego tutto ” che la Stevens aveva inviato ad una sua amica.
Felton alzò gli occhi e corrugò la fronte. « Non ho mai letto una cosa del genere »
Malia si sforzò in tutti i modi per riconoscere qualche segno di menzogna, ma non riuscì a scorgere niente che indicasse che Felton mentisse al riguardo.
« Va bene » disse Malia schiarendosi ancora la voce. « Adesso entrerà la mia collega » La castana si alzò e si diresse alla porta.
« È un peccato, » disse Felton girandosi verso di lei. « Mi eccitava come mi torchiavi, ragazzina »
Malia arrossì appena e uscì dalla stanza senza rispondere. Si incontrò con Emma sulla soglia e si raccomandò di trovare l’amica cui la Stevens aveva inviato il messaggio riguardo il licenziamento, perché poteva essere la chiave di tutto.
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Salve gente!
Ecco qui il terzo capitolo, che si incentra praticamente solo sull’interrogatorio del nostro carissimo Felton riguardo all’omicidio di Lisa, che è un altro personaggio inventato da me.
Non ho molto da dire riguardo al capitolo, se non che spero vivamente che sia di vostro gradimento.
Vi prego davvero di farmi sapere cosa ne pensate, un piccolo commento, che sia un apprezzamento o una critica costruttiva, può essere molto d’aiuto per migliorare la storia, quindi fatemi sapere cosa ne pensate!
Nel frattempo ringrazio tutti i lettori!
A presto

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


 4

Quando Malia aveva guardato l’interrogatorio di Felton al di là del vetro riflettente si era ritrovata a dare troppo peso alle ultime parole del ragazzo, dovendo scrollare più volte il capo per concentrarsi sulle domande che nel frattempo gli stava ponendo Emma. Anche in quel secondo momento, Malia non era riuscita a scorgere nessun segno o cenno che facesse pensare che il biondo stesse mentendo.
Qualche giorno dopo, invece, la testa della castana era più presente, ed ora era in Centrale, seduta pigramente alla scrivania che le era stata assegnata, studiando un paio di documenti cui non stava realmente prestando attenzione. Veramente stava aspettando che Emma, Rupert e Daniel portassero con loro l’amica di Lisa Stevens, cui quest’ultima aveva scritto un messaggio che poteva risultare utile per le indagini. Fino ad ora Malia aveva diretto solo un interrogatorio, e non pensava di essersela cavata male, per essere la sua prima volta. Avrebbe soltanto preferito ignorare completamente le parole di Tom Felton, che aveva detto che... lo eccitava il modo in cui lei lo interrogava. Malia scrollò di nuovo la testa a ripensare al modo in cui era arrossita a quelle parole, ma poi si decise ad alzare lo sguardo sulla stanza che la circondava pensando ad altro. Al bar erano comodamente seduti Matthew, James e Oliver, che sorseggiavano dei caffè e addentavano delle ciambelle glassate. Subito Malia si alzò dalla scrivania e si diresse a passo svelto in direzione dei tre ragazzi, prendendo posto al fianco di Matthew.
« Buon giorno » sbadigliò Oliver, offrendole un caffè e una ciambella.
Malia ringraziò con un cenno e poi la sua attenzione venne richiamata dalle due ragazze che aveva già visto molte volte, ma con cui non si era mai presentata, che entrarono al bar e presero posto insieme ai quattro.
« Ehi, Bonnie, hai già conosciuto Malia? » le chiese James dandole un colpetto col gomito.
« Non di persona » rispose la rossa sorridendo. « Piacere, io sono Bonnie »
« E io Evanna » disse la bionda.
Malia si presentò con un sorriso cortese e continuò a sorseggiare il suo caffè fino a che Radcliffe, Grint e la Watson non spuntarono dalle scale con l’amica di Lisa Stevens, Becca Jones, che sbuffava. La castana lasciò la colazione a metà e corse fuori dal bar per raggiungere i suoi colleghi, mettendosi in piedi a braccia incrociate davanti agli schermi di sicurezza. Emma era già entrata nella stanza degli interrogatori con la ragazza mora che aveva portato in Centrale con Rupert e Daniel, mentre i due erano di fianco a Malia intenti a guardare al di là del vetro riflettente.
« Che rapporto aveva con Lisa? » cominciò a chiedere Emma di fronte alla mora.
« Eravamo molto amiche » disse pigramente la Jones.
« Quindi immagino che lei sappia la ragione per la quale voleva lasciare il lavoro con Felton »
Becca incrociò le braccia e si ritrasse sulla sedia, ovvero si mise sulla difensiva. « Tom maltrattava Lisa. La costringeva a fare sesso con lui, anche io avrei voluto licenziarmi »
« Lei dove lavora? » chiese Emma indagatrice.
« Io... » Becca abbassò lo sguardo fissandosi i piedi, poi ritornò a guardare Emma con più serietà. « Sono una segretaria di... un ufficio di Los Angeles »
« Non ci dice qualcosa » fece prontamente Malia dall’altra parte del vetro.
« Che cosa... come hai fatto? »
« Ha abbassato lo sguardo prima di rispondere e ha tentennato. James? » Malia cercò uno dei gemelli, afferrandolo per la maglietta quando si avvicinò a loro. « Cerca la scheda di Becca Jones negli archivi, mi serve sapere che lavoro fa e da quanto tempo »
« Già fatto » disse Oliver sbucando dietro il fratello con un foglio in mano. « Indovinate per chi lavora la nostra amica? »
« Tom Felton » risposero in coro Rupert, Daniel e Malia.
« Esatto, da due anni »
Subito dopo dalla stanza spuntò Emma, piuttosto scoraggiata, che fece un cenno a Malia per dirle di entrare al suo posto. La castana annuì e portò con sé il foglio che Oliver stava ancora sventolando, chiudendosi di botto la porta alle spalle.
« Salve, » disse Malia girando intorno al tavolo, « io sono... »
« Lo so chi sei » la interruppe Becca guardandola quasi disgustata.
« Perfetto. » disse Malia sforzandosi di sorridere e decisa a incastrare quella bugiarda. « Lei ha detto che lavora per un ufficio di Los Angeles come segretaria, dico bene? »
« Sì » rispose la mora con un tono troppo acuto.
« E chi dirige questo ufficio? » chiese Malia sedendosi.
La mora non rispose e abbassò lo sguardo spostando rapidamente gli occhi da destra a sinistra. « Le sto solo chiedendo un nome » disse Malia usando appositamente un tono fastidiosamente cortese.
La mora stette ancora zitta. « Deve parlare Becca. Se non lo farà lei, lo farò io »
« Le cedo volentieri il posto » disse la Jones con una smorfia.
« Beh mi sembra un dettaglio piuttosto importante quello che il suo datore sia Tom Felton » la castana soppesò volutamente quel nome e poi appoggiò gli occhi su Becca.
« Sono una delle tante ragazze che lavora per lui » fece sforzandosi di dirlo con semplicità.
« Immagino che ne avrà centinaia al suo servizio, ma lei è l’unica che conosce la ragione per cui Lisa voleva licenziarsi »
« Ve l’ho già detto » disse Becca quasi con veemenza. « Tom maltrattava Lisa, chiunque si sarebbe licenziato al suo posto »
« Ah–ah » disse Malia annoiata. « E lei che rapporto aveva con Felton? »
« Il rapporto che ha una segretaria con il proprio datore di lavoro »
« Davvero? » chiese Malia un po’ stupita e un po’ divertita. « Saremo felici di controllare » Malia si alzò dal tavolo e uscì dalla stanza.
Qualche ora più tardi, il telefono di Malia squillò, mentre lei era al computer della sua scrivania per scoprire qualcosa di più su quella Becca Jones.
« Pronto? » Malia rispose pigramente senza curarsi di guardare chi la stesse chiamando.
« Ragazzina » disse dall’altra parte della cornetta una voce strascicata e piegata da un sorriso sfacciato.
« Felton? Come fa ad avere il mio numero? »
« Prima cosa, dammi del tu. Seconda, ho decine di centralini che riescono a procurarmi un numero in pochi minuti, e poi esistono cose chiamate elenchi telefonici »
Malia fece una smorfia, ma pensando solo dopo che Felton non poteva vederla, chiese: « Che cosa vuoi? »
« Parlarti di Becca, so che l’avete interrogata oggi »
A quelle parole su Malia si illuminò un sorriso. « D’accordo, dove? »
« Stasera, a cena sulla mia barca »
Subito il sorriso di Malia si spense, e qualcosa sembrò stringerle forte le viscere. « Ehm... va bene »
« Passo a prenderti alle otto a casa tua »
« N–non sai dove abito » disse Malia sforzandosi di controllare il tremore della sua voce.
« Io so tutto » e con questo Felton riattaccò.
 
Seduta sul divano di casa sua, un po’ troppo elegante per un incontro con un sospettato, Malia aspettava che Tom Felton passasse a prenderla a bordo di chissà quale favolosa auto sportiva. Indossava un grazioso vestito rosso, una giacca di pelle ed un paio di scarpe col tacco nere. Continuava a rigirarsi nervosamente la pochette nera tra le mani, fino a che il campanello non la fece sobbalzare sul divano. Si sistemò i capelli castani di fronte allo specchio, passandosi appena il pollice sulle labbra ripassate dal rossetto rosso, poi aprì la porta e fronteggiò il biondo che, fortunatamente, era elegante quanto lei.
« Ciao » disse Felton con gli occhi che brillavano.
« Ciao » Malia sorrise appena, sorpassandolo sulla soglia per dirigersi verso la costosa BMW parcheggiata di fronte a casa.
Felton guidò rapidamente attraverso le strade trafficate di Los Angeles, senza parlare troppo con la ragazza seduta di fianco a lui sul sedile anteriore. Sgommò poi lungo una stradina che sembrava abbandonata per parcheggiare la macchina in mezzo alla via. Il biondo condusse Malia lungo un ponticello e poi su una lussuosa barca bianca, illuminata da centinaia di candele e candelabri eleganti. Erano presenti almeno cinque camerieri, vestiti rigorosamente di nero e con un tovagliolo raffinatamente appoggiato sul braccio flesso. « Buonasera signore » dissero in coro i cinque, poi quando Felton rispose con un cenno tutti scomparvero in direzione della cucina.
Felton si diresse verso il tavolino apparecchiato e spostò la sedia di Malia per farla sedere, poi si sistemò di fronte a lei. Le sorrise e non appena uno dei camerieri si avvicinò ai loro calici per versarvi del vino rosso, il biondo lo allontanò e si occupò personalmente di riempire i bicchieri. Si servirono più tardi con gustosissime portate di pesce e, dopo aver finito la prima bottiglia di vino che non tardò ad essere rimpiazzata da una nuova, iniziarono a parlare di Becca.
« Era gelosa di Lisa » disse il ragazzo. « Voleva essere al suo posto, essere la mia preferita, venire a letto con me e tutto il resto »
« È buffo, » fece Malia, « oggi mi ha detto che non avevate che un semplice rapporto tra segretaria e capo »
« Litigavamo spesso. Io sono andato a letto con lei qualche mese fa, prima che iniziassi ad avere un rapporto più... intimo con Lisa. Quando ho lasciato Becca per la sua migliore amica, lei non faceva che parlarmi con veemenza e continuare a provare a sedurmi »
Malia alzò le sopracciglia e, senza parlarne con Felton, iniziò a pensare che Becca avesse molte più ragioni di lui per uccidere Lisa.
« Io non l’ho uccisa » fece il ragazzo. Malia scrutò ogni singola ruga d’espressione del suo viso curato, il movimento dei suoi occhi blu, delle sue dita, il modo in cui piegò le labbra per parlare, ma nulla diceva che stesse mentendo.
Senza dire altro Malia si alzò e si diresse verso il ponticello. « Dove vuoi andare? »
« A casa. » disse Malia. « Si sta facendo tardi »
« Appunto » fece Felton. « Ti riaccompagno »
Malia non se la sentì di rifiutare e si diresse con il biondo verso la macchina ringraziando i camerieri che si erano occupati di loro. Sfrecciando di nuovo attraverso le strade notturne, Felton riportò Malia a casa, uscendo dalla macchina e accompagnandola di fronte alla porta. E, in quella situazione, Malia si sentì in dovere di essere gentile come lo era stato lui quella sera. « Ti offrirei un caffè, ma non ho una barca tutta mia, ho una casa decisamente in disordine e non... »
« Mi accontenterò »
Lei portò il biondo in cucina, ma lui non si sedette. Anzi, si avvicinò alla ragazza e le avvicinò le labbra all’orecchio, sussurrandole con un filo di aria calda: « Sai cosa mi piace dei tipi come te? »
Malia trasalì e cercò di allontanarlo, ma lui si avvicinò di più e le impedì di scostarsi. « C–cosa? »
« Che siete sempre toste e che la maggior parte delle volte siete tremendamente sexy »
Malia non riuscì a rispondere, ma non riuscì neanche a provare di nuovo ad allontanarlo. Fece cadere per sbaglio una tazza a terra, rompendola in mille pezzi. Il biondo le posò un bacio tiepido sul collo, affondandole la mano tra i capelli mossi.
« Io non posso » disse Malia appoggiandogli una mano sul petto per fermarlo. « Mi sto occupando di un omicidio di cui sei sospettato »
Il ragazzo le sorrise, prese il caffè che aveva preparato Malia e andò alla porta. « Buonanotte, ragazzina »
Felton si chiuse la porta alle spalle e lasciò Malia ferma in cucina a massaggiarsi il collo confusa.
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Salve gente!
Ho deciso di postare un po’ prima il quarto capitolo perché partirò per una settimana e non riuscirò ad aggiornare la fic fin quando non tornerò, per questo ho deciso di farlo anche un po’ più lungo del solito. Questo è solo un assaggio di quello che poi nascerà tra Tom e Malia, ma nel frattempo vi lascio con questa prima attrazione tra i due.
Spero davvero che il capitolo sia di vostro gradimento e che mi facciate sapere cosa ne pensate, serve sempre sapere le opinioni altrui per migliorare la storia o mantenere lo stesso stile.
Nel frattempo ringrazio tutti i lettori!
Al più presto possibile!   

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


5

Il giorno dopo Malia arrivò al lavoro con le idee ancora più confuse di prima: inutile dire che aveva rimuginato tutta la sera sull’accaduto senza chiudere occhio, ma vedere faccia a faccia le persone con cui stava lavorando per incastrare proprio Felton le fece salire un nodo alla gola che le impedì di proferire parola finché non venne chiamata in causa.
« Malia, tu hai scoperto qualcosa? » Oldman spostò gli occhi sulla castana, che lo sorprese a chiamarla per la prima volta per nome.
« Veramente sì » rispose facendo lavorare velocemente il cervello per evitare di dire ai suoi colleghi che era andata a cena con Tom Felton per ottenere quell’informazione e che la cena non era tutto. « Credo che Becca fosse gelosa del rapporto tra Felton e Lisa »
« Cosa te lo fa credere? »
« Il modo in cui parla dell’uno e dell’altra. Si vede che c’è del rancore nel suo tono di voce, che avrebbe fatto qualunque cosa per essere stata al posto di Lisa »
« Se fosse stata al posto della Stevens a quest’ora sarebbe morta. Quel maiale di Felton l’ha uccisa e non si sarebbe fatto scrupoli ad uccidere anche lei »
« Che cosa? Cosa glielo fa credere? » chiese Malia, un po’ troppo indignata. « Ammesso che sia stato lui ad uccidere Lisa, lo ha fatto perché lei voleva lasciare il lavoro, per cui non avrebbe avuto un movente per uccidere allo stesso modo la Jones. In più, a mio parere, Becca aveva ragioni molto più valide per uccidere Lisa ». Come se le parole fossero state pronunciate da qualcun altro, Malia si rese conto solo quando finì di parlare che aveva decisamente difeso Felton. Per che cosa, poi? Per quell’attimo nella sua cucina, quando lui aveva iniziato a baciarle il collo? O per la meravigliosa cena che gli aveva offerto il ragazzo la sera prima? Non è che, per caso, Felton stava cercando di ingraziarsela?
« Senti, Browning, tu sei nuova, per cui ti farò questo discorsetto oggi e poi non voglio più sentirne parlare, chiaro? Primo, sospettiamo di due persone che ipotizziamo possano aver ucciso Lisa, ma non abbiamo prove. Seguendo questo ragionamento, arriviamo al punto due: bisogna scegliere di puntare sulla persona più influente, su quella che, se rinchiusa dietro le sbarre, potrebbe rassicurare di più i cittadini e dare a noi più gloria. In questo caso, è Tom Felton. Quindi non voglio sentirti mai più difendere Felton, non fino a quando non saremo sicuri che non c’entri assolutamente niente con questa storia »
« Ma... »
« Non c’è altro da dire. Lo voglio interrogare di nuovo oggi. Browning, Watson, portatelo qui »
Emma trascinò fuori dall’ufficio di Oldman Malia, prendendola per un angolo della canotta. La condusse giù dalle scale e poi verso i garage dove la riccia si sarebbe di nuovo messa alla guida della macchina che usavano sempre lei e Emma.
Sedute una sul sedile del guidatore e l’altra su quello del passeggero, Emma cominciò a parlare prima che Malia potesse mettere in moto.
« Ti ha dato di volta il cervello? Perché lo hai difeso? »
« Io non l’ho difeso, ho solo espresso la mia opinione » precisò Malia infilando la chiave e mettendo in moto.
« Difendendolo » fece notare Emma con un certo disappunto.
« Se volete che una studentessa di cinesica lavori per voi, dovete fidarvi del suo istinto »
« Del suo istinto o di inequivocabili gesti che dichiarano che uno dei due è un assassino? Non basta l’istinto per arrestare qualcuno »
Malia sbuffò ed evitò di continuare la conversazione fino a che non arrivarono sotto l’imponente edificio che ospitava gli uffici di Felton.
« Ti aspetto in macchina » mugugnò Emma incrociando le braccia. Malia non insistette perché l’accompagnasse e si avviò verso l’entrata sbattendo la portiera dell’auto. Superò la reception sempre pullulante di persone e corse verso l’ascensore che si stava chiudendo. Infilò un piede tra le porte ed entrò in compagnia di un anziana donna che, per tutto il viaggio, Malia non riuscì a spiegarsi cosa potesse fare in un ufficio del genere. La vecchietta – vestita anche in modo strano, con strati e strati di scialli firmati che la ricoprivano fino al mento – abbandonò la cabina un piano prima di Malia e si congedò con un sorriso cortese che mostrò la sua bocca provata dal tempo, mancante di parecchi denti, alcuni sostituiti con falsi d’oro.
Quando poi l’ascensore culminò al diciottesimo piano, Malia si pentì di non aver portato Emma con sé. Sarebbe stato tutto molto più imbarazzante senza di lei che metteva fretta a Felton per lasciare l’edificio e seguirle in Centrale.
Così, col rimbombo ovattato prodotto dalle nocche di Malia sulla porta di vetro, la ragazza entrò dopo un annoiato « Avanti » dell’agente, che sedeva spalle alla porta senza vedere chi fosse stato a cercarlo. Quando con la sedia girevole si voltò e vide Malia i suoi occhi brillarono di un azzurro più intenso e allora si alzò dalla sedia con un ghigno sul volto curato.
« Ciao ragazzina »
Malia si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo, ma quello sgradevole soprannome aveva innescato in lei una reazione così inaspettata che rabbrividì.
La castana guardò Felton per un attimo, indecisa su cosa dire, poi sputò fuori la ragione per cui era lì: « Dobbiamo portarti di nuovo in Centrale »
Felton alzò le sopracciglia e sorrise arrogantemente, divertito e stupito allo stesso tempo della ragione per cui Malia era lì. Lei colse una fugace espressione di paura, ma subito svanì lasciando il posto al solito viso del ragazzo sicuro di sé che aveva conosciuto qualche giorno prima.
« Dovrai costringermi » un falso tono di sfida pronunciò quelle parole, accompagnato da uno sguardo seducente e arrogante insieme.
Malia abbassò lo sguardo e si trattenne di nuovo dall’alzare gli occhi al cielo. « Forza, vieni » disse infine.
Felton scosse il capo. « Credevo avessi capito che io non prendo ordini da nessuno, nemmeno dalla polizia ». Il ragazzo si avvicinò a Malia e quasi le appoggiò le labbra sull’orecchio, sussurrando: « Se vuoi che io venga, dovrai fare qualcosa per me »
Malia, in piedi in mezzo all’immenso ufficio, con le labbra del ragazzo così vicine a lei, cercò di nascondere al meglio un sussulto e si costrinse a non rispondere. Felton sorrise appena, Malia non lo poteva vedere, ma lo immaginò dato che si allontanò appena da lei e respirò più rumorosamente, con la bocca increspata quasi da un sorrisetto vincente. Poi il suo volto si ritrovò di nuovo immensamente vicino al collo di lei, il suo naso che le sfiorava l’orecchio e la bocca che iniziava a lasciare una scia di baci umidi sulla spalla.
« Qualcosa del genere » disse il biondo, spingendo il pulsante di un telecomando che fece calare una serie di tendine su ogni parete di vetro, in modo che nessuno, da fuori, potesse vedere cosa succedeva nell’ufficio. Il ragazzo abbassò sensualmente le mani lungo i fianchi di Malia, che pur volendosi ritrarre, non metteva tutta sé stessa nel tentativo di allontanarsi, come se ci fosse una calamita che la faceva avvicinare di più a Felton. Le sue mani, intanto, erano arrivate ai bordi della canotta bianca, che aveva iniziato ad arricciare e ad alzare lentamente, curandosi di continuare a lasciare i baci sul collo e sulle spalle. La canotta era caduta per terra silenziosamente e Malia non aveva fatto nulla per impedirlo. Ora le abili mani di Felton erano scivolate sul bottone dei jeans aderenti e l’avevano sbottonato con eleganza continuando a far scendere la zip fino a sfilarglieli e a disegnare con sensualità le belle forme di Malia e a tirarle, desideroso, l’elastico delle mutandine di pizzo nere. Ma ora, il desiderio crescente di Felton, si era spostato al reggiseno di pizzo, che aspettava, quasi messo in mostra, di essere sganciato. Così, le mani dell’agente si infilarono lungo la schiena dell’eccitata Malia, che continuava a chiudere gli occhi per il piacere ad ogni nuovo movimento del ragazzo, e slacciarono il laccetto con un tic, lasciandolo cadere a terra insieme alla canotta e ai jeans. Malia indossava solo un paio di mutande e Felton si stava chinando per sfilargli elegantemente anche quelle, ma un nuovo rimbombo ovattato risuonò nella stanza, riportando Malia alla realtà.
« Malia? ». Emma era fuori dall’ufficio, certamente in attesa della collega in compagnia di un Felton rabbioso perché costretto a tornare in centrale. Non avrebbe mai immaginato la scena che si sarebbe trovata di fronte se avesse aperto la porta.
« Usciamo subito » rispose Malia con voce roca. Più velocemente di quanto immaginasse si rivestì, terrorizzata all’idea che Emma potesse coglierla in quella situazione. Così, fingendo per la seconda volta che nulla fosse successo tra loro, Malia tornò in Centrale con Felton, ed Emma iniziò ad interrogarlo.
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Rieccomi, un po’ tardi, ma ci sono!
Cosa dire del capitolo, direi che qui si lasciano decisamente andare e... Malia non fa niente per evitarlo.
Spero che mi facciate sapere cosa ne pensate perché, come non mi stancherò mai di dire, qualsiasi commento – uno positivo o una critica costruttiva – è ben accetto e super–utile per migliorare la storia.
Grazie mille a tutti i lettori,
A presto!

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


6

Quell’interrogatorio non portò a nulla. A Malia venne chiesto di cogliere qualche cenno di menzogna, ma ancora una volta, il volto di Felton era l’immagine della sincerità. In più, il compito di Malia era quello di studiare i movimenti del corpo dei sospettati e studiare quello di Felton da un lato la imbarazzava, dall’altro accendeva in lei la voglia di rivivere un momento come quello che si era tenuto nel suo ufficio.
Nelle settimane successive, Malia si era presentata al lavoro in uno stato, se non catatonico, sicuramente taciturno, che le faceva guadagnare sguardi interrogativi da parte dei suoi colleghi. Il caso non andava granché avanti, si era solo scoperto che l’arma del delitto era una mazza o qualcosa del genere, che aveva colpito la Stevens allo stomaco e alla nuca, facendola scivolare sul mobile dove aveva sbattuto la testa, che le aveva dato il colpo di grazia. Nel frattempo la ragazza aveva impiegato parecchio tempo a realizzare che Felton l’aveva spogliata studiandone ogni dettaglio tutte le volte che le levava un nuovo indumento e che solo l’arrivo di Emma lo fermò. Non aveva fatto parola con nessuno dell’accaduto, anche perché se qualcuno se lo fosse lasciato scappare in presenza di Oldman – Oldman che quando la chiamava “ragazzina” la faceva trasalire – l’avrebbe licenziata seduta stante.
In casa di Malia il disordine era peggiorato parecchio da quando Felton era andato lì “solo” per un caffè. C’erano vestiti sparsi ovunque, fogli legati all’indagine lasciati sul tavolo della cucina e del soggiorno, la tv sempre sintonizzata sul telegiornale per vedere cosa i media si inventavano sul caso che lei e i suoi colleghi si stavano scervellando per risolvere o sui canali radio per staccare con un po’ di musica. Ogni volta che tornava a casa faceva lo slalom tra i vestiti lasciati sulle scale e si lanciava in bagno per farsi una doccia dopo un altro giorno di lavoro – oramai passava la maggior parte del suo tempo a lavorare e non a casa.
Quel giorno di inizio agosto era, come sempre, sotto la doccia a cantare a squarciagola una canzone che stava trasmettendo la radio. Con l’acqua che scrosciava sui suoi capelli e la musica che risuonava per tutta la casa, di sicuro Malia non poteva accorgersi che qualcuno era entrato in casa sua. Chiudendo l’acqua ed uscendo dalla doccia, girandosi velocemente un asciugamano troppo corto sotto le ascelle, Malia si spostò vicino allo specchio e si pettinò i capelli bagnati che sgocciolavano sul pavimento. Riappoggiando il pettine, si chiuse la porta del bagno alle spalle e scese le scale a piedi nudi. La musica ancora risuonava in casa, Malia si spostava da una stanza all’altra accennando degli impacciati passi di ballo e, quando ultimò il suo giro andando in cucina per mangiare, si ritrovò davanti l’inaspettato ospite che era entrato mentre lei era sotto la doccia.
« Dio, cosa ci fai qui? » chiese Malia portandosi istintivamente una mano sull’asciugamano corto che arrivava a malapena a coprirle il sedere.
Studiando la Browning in un ridicolo tentativo di coprirsi di più, Felton sorrise e disse: « Per caso sapevi che sarei venuto? ». Lui si morse il labbro e si avvicinò a lei, passandogli sensualmente le mani lungo tutto l’asciugamano azzurro.
Malia, controvoglia, si spostò e si sistemò la salvietta. « Come hai fatto a entrare? »
« Se non vuoi che la gente ti entri in casa, devi chiudere la porta »
Malia sbuffò e si sistemò di nuovo l’asciugamano. « Aspetta qui ». La ragazza scomparve dietro una porta bianca e ritornò con una maglia e un paio di mutande.
« Volevi facilitarmi il compito? » chiese indicando le gambe nude di Malia e alludendo al fatto che non si fosse messa i pantaloni.
Lei alzò gli occhi al cielo, afferrò quasi con veemenza un paio di pantaloncini da calcio e se li infilò ancheggiando.
« In effetti facendo tutto il lavoro è molto più divertente » disse lui.
« Perché sei qui? » chiese Malia. « Non puoi essere venuto solo per spogliarmi di nuovo »
« Magari, questa volta potresti essere tu a spogliare me » disse lui prendendo una mano di Malia, appoggiandola sul bottone dei suoi jeans e facendoglielo sbottonare. « Poi io spoglio te e... »
« Sono seria » disse Malia ritraendo la mano. « Tu non ti rendi conto di quello che può succedermi se continuiamo così »
« Così come? » chiese Felton con un ghigno.
Malia riappoggiò la mano sul bottone e la zip che prima Felton gli aveva fatto sganciare e, sensualmente, tirò su la cerniera e riabbottonò il bottone. « Mettendo le mani in posti come questo » disse lei lasciando per un secondo in più la mano sul bottone e poi facendola ricadere lungo i fianchi.
« Magari avevi voglia di compagnia a cena »
Malia considerò la proposta per un secondo solo e capì subito che sarebbe stata una cattiva idea cenare di nuovo con lui, eppure non riuscì a rifiutare: « Non ho niente in frigo, ma la pizzeria qui vicino consegna le pizze in dieci minuti »
Felton acconsentì e sedette al tavolo insieme a Malia, che ordinò due pizze e due birre – cena che non era nemmeno lontanamente all’altezza di quella che le aveva offerto lui il mese prima – e, quando il fattorino se ne andò con un sorriso gentile, i due cominciarono a mangiare.
« Allora, cosa hai fatto in questi giorni? » gli chiese Malia.
« Oltre a lavorare? Nel finesettimana sono andato spesso a giocare a golf » rispose lui.
Malia per poco non si strozzò con una fetta di pizza. « T–tu giochi a golf? »
Lui corrugò la fronte. « Sì, che cosa c’è di strano? »
« Hai ucciso Lisa Stevens? »
« Cosa? Perché devi rovinare tutto? »
« Tu rispondi, per favore »
« No ». Di nuovo la sincerità che si faceva spazio tra i bei lineamenti del biondo, nessun segno che dicesse che lui stava mentendo.
« Hai notato qualcosa di strano nella tua sacca? Tipo che mancava una mazza? »
« In effetti si » disse lui piuttosto perplesso. « Perché me lo...? »
« Stanno cercando di incastrarti » gli disse Malia senza esitazione.
« Cosa vuol dire? » chiese lui. Malia non rispose. « Ragazzina? »
« L’arma del delitto è una mazza » disse lei con tono inespressivo. « Tom, devi giurarmi su te stesso che non l’hai uccisa tu »
Felton, inaspettatamente, sorrise.
« Che cosa c’è da ridere? »
« Non mi hai mai chiamato per nome. Mi piace come lo dici »
Malia si stupì dell’osservazione del tutto fuori luogo del ragazzo, eppure non riuscì ad evitare di sorridere a sua volta. In effetti, neanche lui l’aveva mai chiamata per nome, da quando si conoscevano l’aveva sempre chiamata “ragazzina”. Si costrinse ad andare avanti con un lungo sospiro e poi disse: « Ora devi raccontarmi in tutta sincerità che cosa è successo la sera dell’omicidio, quando sei andato da Lisa »
Tom sgranò gli occhi e scosse la testa con un ghigno. « Non credo che vorresti saperlo »
« È fondamentale che tu racconti come è andata » disse con tono professionale. « E ho già visto il vostro bel filmato » aggiunse sussurrando, quasi come se qualcun altro potesse sentirli.
« D’accordo » acconsentì lui sospirando. « Sono arrivato lì verso undici meno cinque con una bottiglia di vino e l’abbiamo finita in poco tempo, dieci minuti al massimo. Lei sembrava già ubriaca e così ci siamo lasciati trasportare e abbiamo iniziato a toglierci i vestiti. Ma, giusto perché tu lo sappia, spogliare te è stato molto più interessante » disse guardandola con un ghigno.
Malia nascose il viso arrossato e gli fece cenno di continuare con un mezzo sorriso.
« Siamo andati a letto insieme e poi... poi lei mi ha detto che avrebbe lasciato il lavoro, me l'ha detto di persona, non ho mai letto niente sul suo cellulare. All’inizio non l’ho presa bene, ho iniziato ad urlarle contro e mi sono rivestito. Sono uscito dalla stanza senza dirle nient’altro e sono andato verso la porta, ma poi ho pensato che non la potevo lasciare lì così, dopotutto avevamo una relazione. Così sono salito in camera e l’ho trovata a piangere sotto le lenzuola. Mi sono sdraiato accanto a lei e le ho dato un bacio sulla fronte e dopo me ne sono andato »
« Con un bacio sulla fronte? » ripeté Malia stupita. « Nient’altro? »
« Nient’altro »
Malia sospirò e lanciò un’occhiata all’orologio. Tom seguì il suo sguardo e si alzò dalla sedia. « Mi sa che devo andare » disse.
Malia annuì e lo accompagnò sulla soglia del soggiorno, guardandolo arrivare alla porta. « Ah, e ragazzina? » Tom si girò e la guardò con un ghigno.
Malia spostò gli occhi verdi su di lui in attesa che continuasse.
« Sono sempre disponibile, quando vorrai essere tu a spogliare me ». Con questo le sorrise e si chiuse la porta alle spalle.
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Ehiehiehi!
Ecco qui il sesto capitolo: anche se Malia, in fondo, sa che Felton potrebbe mentirle ad occhi chiusi, non riesce a credere che sia stato lui ad uccidere Lisa, anche se l’arma del delitto potrebbe appartenere proprio al biondo. Intanto nei due si fa spazio un desiderio per l’altro, che prima o poi farà saltare fuori ciò che è successo anche tra i colleghi di Malia.
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento e vi prego, come sempre, di farmi sapere cosa ne pensate, apprezzamenti o critiche costruttive sono sempre ben accetti!
Nel frattempo ringrazio infinitamente tutti i lettori!
A presto

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Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***


7

Quella sera, però, le sorprese a casa Browning non erano ancora finite. Dalla cucina, a Malia non servì raggiungere il soggiorno per riconoscere la voce che, sbattendosi la porta dietro le spalle, urlò: « Malia Cara Browning! »
Le scarpe col tacco alto di vernice nera rimbombarono un paio di passi lungo il soggiorno e Helena Bonham Carter entrò in cucina in tutta la sua bellezza. Vestiva sempre di nero e portava un trucco leggero che le valorizzava gli zigomi alti del viso pallido. I suoi capelli erano nero corvino e ricci, lunghi ma curati. Si fermò davanti a Malia e puntò le mani sui fianchi, lanciandole uno sguardo accusatorio. « È così che ringrazi me e tuo padre per averti regalato questa casa? » chiese furiosa. Tenne con le mani la lunga gonna nera ed afferrò un paio dei vestiti che erano a terra. « Buttando sul pavimento i tuoi vestiti e senza neanche curarti di riordinarla un po’? Tu non hai idea di quanti soldi tuo padre ha dovuto tirare fuori per farti uscire dai guai, e tu lo ringrazi così! È da dieci anni che disonori la nostra famiglia! »
« Mamma, non siamo più nel 1800, non c’è nessuna famiglia da disonorare. Oggi giorno ci sono famiglie che diseredano i propri figli come se niente fosse, fatelo anche voi se sono una tale delusione »
« Non avresti niente se io e tuo padre ti diseredassimo » rispose Helena con una smorfia. Con un elegante tocco delle dita si sistemò un ciuffo di capelli ricci che le era ricaduto davanti al viso e si avvicinò al frigo. « Non hai nemmeno niente da mangiare, spero solo che ti sia trovata un lavoro migliore di quello che avevi l’ultima volta che sono venuta. Dov’è che lavoravi, nel supermercato in fondo alla strada? »
Malia annuì. « Adesso lavoro in polizia »
Sua madre esplose in una risata incredula. « Tu, in polizia? Oldman cerca di arrestarti da quando hai quindici anni, e ti ha assunto? »
« Lo ha fatto » replicò Malia quasi con tono di sfida.
La madre la scrutò un po’ scettica, ma poi si sedette al tavolo.
« Quando sei arrivata? » le chiese Malia.
« Un’ora fa. Tuo padre si è raccomandato di dirti che non è potuto venire per ragioni accademiche »
Malia fece una risata amara. « Un’altra cena del Browning Club? »
« Tu credi che sia una sciocchezza » disse Helena indignata. « Ma non sai quanti soldi fa guadagnare a tuo padre l’accademia »
« È sempre una questione di soldi, vero? »
« Senti, Malia, se questa visita porterà a farci litigare subito posso perfettamente tornare in aereo-porto e prendere il primo volo per Londra »
« No » disse Malia. « No, resta ». Per quanto poco d’accordo andasse con la madre, da quando lei e su padre, Calvin Browning, si erano trasferiti di nuovo a Londra, la loro città natale, si sentiva un po’ sola.
Malia passò una mezz’ora a raccogliere i vestiti lasciati per terra e a riordinare piuttosto approssimativamente la casa, mentre sua madre aveva aperto una dispensa e trovato un paio di cose da mangiare dopo il viaggio. Finalmente seduta ed inaspettatamente soddisfatta del nuovo aspetto, che se non era lindo almeno era civile, della sua casa, Malia non riuscì ad evitare di alzare gli occhi al cielo quando suonò il campanello: quella serata era stata decisamente estenuante, tra le visite inaspettate e il piccolo battibecco con la madre, e non riusciva a capire chi potesse essere, in particolare a quell’ora così tarda, a presentarsi a casa sua. Trascinandosi fino all’ingresso aprì con uno scatto la porta.
« Speravo di trovare ancora la porta aperta ». Tom Felton era di nuovo a casa sua e se sperava ancora di farsi spogliare, nonostante Malia fosse tutt’altro che riluttante, avrebbe dovuto aspettare un altro momento.
« Che cosa c’è? » chiese la ragazza.
« Mi sono dimenticato il portafogli ». Malia, che poteva vantarsi di aver appena riordinato casa, tra tutti gli strani oggetti che aveva dovuto sistemare era certa di non aver trovato un portafogli che non fosse il suo.
« Devi averlo lasciato da qualche altra parte. In macchina, magari? »
« Non mi vuoi fare entrare? » chiese lui avanzando di un passo.
Malia tese un braccio per sbarrargli la strada e sorrise in modo colpevole. « In effetti, non è un buon momento, io... »
« Ma per favore » Tom la scostò con un gesto veloce e si diresse verso la cucina. « Oh » disse quando vide la donna seduta in cucina.
« Tom, lei è mia madre » disse Malia, che l’aveva seguito dopo aver chiuso la porta. « Mamma, lui è... »
« Tom Felton » terminò Helena stringendogli la mano.
« È un piacere signora Browning »
« Helena » lo corresse lei. « Chiamami Helena, ti prego »
« Torno domani » disse Tom rivolgendosi a Malia.
« Tranquilli, io adesso vado a dormire. Vi lascio soli » disse Helena con un sorrisetto.
« No, mamma, lui... »
« Torno domani, davvero » fece Tom raggiungendo la porta.
« Lo cerco io e, se lo trovo, te lo porto in ufficio » disse Malia accompagnandolo.
« Sì » rispose lui. « Buonanotte ragazzina »
 
Il giorno dopo, la madre di Malia era uscita presto, probabilmente per non perdere tempo ed iniziare subito lo shopping che era solita fare quando visitava Malia a Los Angeles. La castana, non dovendo preparare la colazione, si era data allora alla ricerca del portafogli di Tom e, dopo aver cercato in lungo e in largo, pensò di controllare sotto il mobile della cucina dove, tra un mucchio di polvere, giaceva il portafoglio di pelle nera. Allungando una mano per raggiungerlo lo tirò fuori e lo lanciò sul tavolo, dove si aprì. Malia, incuriosita, lo studiò un po’ e, guardandolo, le cadde l’occhio su uno specchietto sbeccato sistemato in una tasca per le carte di credito. Tirandolo fuori con un fazzolettino vide, forse incitata dall’immenso amore per gli indizi che ogni detective provava, un’impronta digitale nell’angolo in alto a sinistra. Frugando nella sua borsa per recuperare i vetri dove di solito si conservavano i campioni di DNA, Malia prese l’impronta e poi rimise a posto lo specchietto, come se nulla fosse successo. L’aveva fatto perché, quando e se avessero trovato l’arma del delitto, avrebbero avuto un suo campione che testimoniasse la sua innocenza.
Infilandosi il portafogli nella tasca posteriore dei jeans attillati, uscì di casa e si diresse in macchina all’ufficio di Tom, prima di andare al lavoro. Attraversò la hall, raggiunse l’ascensore e pigiò il tasto del diciottesimo piano, poi, con il solito rimbombo ovattato, bussò alla porta ed entrò senza aspettare il permesso.
« L’ho trovato » annunciò di fronte alla scrivania di Felton, che vedendola entrare si era alzato in piedi.
« Bene, e dov’è? » chiese Tom un po’ impaziente.
Malia lo avvicinò a lei passandogli una mano dietro la nuca, sussurrandogli all’orecchio: « Nella tasca posteriore dei jeans »
Felton la guardò con un ghigno, abbassò le tendine con il telecomando e, muovendo le sue mani esperte, toccò un po’ Malia prima di infilare sensualmente la mano nella sua tasca e prendere il portafogli. Lo lanciò sulla scrivania e si avvicinò di nuovo a lei, ma Malia gli appoggiò una mano sulla camicia.
« Non credi che questa volta tocchi a me divertirmi? » chiese lei con un ghigno.
Tom la guardò estasiato e si fece più vicino alla castana. Lei cominciò a baciargli il collo e, passandogli le mani lungo tutto il petto e gli addominali scolpiti, arrivò di nuovo al bottone iniziale della camicia. Cominciò a sbottonarlo, poi passò al secondo, poi al terzo e al quarto, fino ad arrivare all’ultimo, sempre con movimenti lenti e provocatori. Poi gli passò le mani sulle spalle e gliela tolse facendola cadere silenziosamente sul pavimento. Continuò a baciare il collo di Tom, passando poi a baciargli i pettorali e gli addominali, lasciando una scia umida che faceva rabbrividire il ragazzo. Era arrivata all’ombelico, quando...
« Signor Felton? » con un rimbombo ovattato, la voce di un uomo di mezz’età risuonò nell’ufficio.
Tom si schiarì la voce e con un cenno brusco della mano ordinò a Malia di nascondersi dietro la libreria che fiancheggiava la parete. « Garcia? » chiese il biondo abbottonandosi frettolosamente la camicia.
« Sì, signore, posso entrare? »
L’uomo parlò con Tom per un quarto d’ora di un progetto che avrebbe voluto lanciare, ma che Felton non sembrava molto propenso ad approvare. Quando si chiuse, un po’ deluso, la porta di vetro alle spalle, Malia saltò fuori dal suo nascondiglio, sedendosi sulla sedia che fino a pochi secondi prima aveva occupato l’uomo chiamato Garcia.
« Comunque, » esordì Tom, « se non mi avessi provocato in quel modo, ti avrei parlato subito di una cosa ». Il modo divertito con cui aveva iniziato a parlare venne macchiato da una serietà che raramente Malia aveva sentito nel tono di Tom.
« Dimmi » rispose Malia accigliata.
« La segreteria del Golf Club mi ha comunicato che hanno ritrovato il mio ferro. Qualcuno l’ha rimesso a posto stanotte. In teoria ci sarebbero le telecamere di sicurezza, ma hanno già controllato, si oscurano sia quando la mazza viene rubata, sia quando viene rimessa a posto »
Malia lo guardò negli occhi, per la prima volta preoccupata. Pregava solo che la scientifica trovasse delle impronte sulla mazza e sperava che non fossero quelle del ragazzo.
Il grande problema fu che la segretaria, oltre ad aver avvertito Tom, aveva avvertito anche la polizia – sapendo che Felton era coinvolto e che l’arma del delitto era un ferro da golf. Così, in Centrale tutti i segreti e gli importanti tasselli del puzzle che fino ad allora solo Malia conosceva, erano venuti alla luce: tutti, ormai, sapevano che l’arma del delitto era un ferro da golf di Tom Felton – che James e Oliver erano andati a recuperare, insieme al resto della sacca –, che le telecamere di sicurezza non dicevano loro tanto più di quello che sapevano già e che si oscuravano al momento del furto e della restituzione, che Malia aveva ottenuto un campione del DNA di Felton – e, suo malgrado, aveva dovuto confessare che avevano cenato insieme, evitando però di raccontare i dettagli più intimi dei loro incontri. Tutte le prove giocavano contro Tom, compreso un eccitato Oldman che ormai era convinto di avere Felton nel sacco. Chiunque aspettava con ansia i risultati della scientifica, che avrebbe detto se erano presenti o meno impronte estranee sul ferro da golf. E, quando dal laboratorio emersero due uomini che si dirigevano a passo spedito verso l’ufficio di Oldman, Malia seppe che di lì a poco avrebbe saputo la sorte di Tom. Il suo cuore sembrava battergli all’impazzata, era convinta che sarebbe potuto uscirgli dal petto da un momento all’altro, e anche Emma, Rupert e Daniel avevano notato il suo nervosismo. Scatti agitati la percorrevano da capo a piedi e continuava a mangiarsi le unghie delle mani. La castana era convinta fin dall’inizio che Tom fosse innocente e, per quanto in un primo momento l’avesse trattata con arroganza e presunzione, il rapporto che c’era tra loro era precipitato da un estremo all’altro in pochissimo tempo. Poi, con il silenzio che alimentava la tensione che quasi si poteva toccare, Oldman e i due uomini uscirono dal suo ufficio e, tenendo alto un foglio sulla testa come se stesse agitando un trofeo, Oldman annunciò vincente: « Solo e soltanto le impronte di Tom Felton! È fatta! »
Mentre grida di gioia e congratulazioni volavano da un lato da un altro del settimo piano, a Malia salì un nodo in gola, che tra l’ansia, la rabbia e la preoccupazione minacciava di non abbandonarla più.
Alzando la voce per sovrastare gli altri, Oldman disse: « Grint, Radcliffe e i due Phelps, portatelo al fresco! »
I quattro non tardarono ad obbedire, lanciandosi in direzione dei garage.
Qualche ora dopo, quando loro avevano già fatto ritorno e l’enorme televisore del settimo piano era sintonizzato sul telegiornale, Malia realizzò che era successo davvero, che Felton era in prigione e probabilmente ci sarebbe rimasto per il resto della sua vita. Ci sarebbe stato un processo, lui avrebbe probabilmente assunto il miglior avvocato in circolazione, eppure Malia non sperava più in un suo rilascio.
 

ANGOLO AUTRICE:
Salve gente!
Primo, come avrete notato quel mito di Helena Bonham Carter è la mamma di Malia, mentre suo padre è un personaggio inventato da me. Ho scelto lei perché, personalmente, mi piace tantissimo.
Secondo, Tom è stato arrestato. Che dire, si aspetterà il processo per sapere cosa succederà d’ora in poi. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e vi chiedo come sempre di farmi sapere che cosa ne pensate, anche un minimo commento può aiutare a migliorare!
Nel frattempo ringrazio infinitamente tutti i lettori!
A presto

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Capitolo 8
*** Capitolo ottavo ***


8

Qualche giorno dopo l’umore di Malia non era migliorato. In macchina non faceva altro che rimuginare su tutti gli errori che aveva commesso da quando era stata assunta, primo tra tutti quello di aver intrapreso una sorta di relazione con Tom: se lei non avesse accettato il primo invito del ragazzo, in quel momento avrebbe potuto gioire del suo arresto come il resto dei suoi colleghi. Ora non le importava nemmeno che qualcuno di loro avesse potuto scoprire che stava andando in prigione, a parlare con Tom. D’altra parte avevano già saputo che avevano cenato insieme due volte, sapere che lei teneva al suo rilascio non avrebbe di certo inferto un colpo più sorprendente. Quanto sperava di poter ritornare al giorno in cui Emma, Rupert e Daniel si presentarono a casa sua... avrebbe iniziato quel lavoro che tanto le piaceva per il verso giusto, evitando di farsi sedurre dal sospettato principale del suo primo caso; avrebbe alzato le mani al cielo congratulandosi con gli altri detective quando Oldman avesse comunicato la colpevolezza di Tom; si sarebbe presentata in tribunale con un sorriso smagliante esattamente come gli altri, non con l’espressione abbattuta che si prospettava essere il suo biglietto da visita il giorno del processo e anche tutti quelli seguenti.
In macchina si era rifiutata di accendere la radio: da tre giorni tutti i notiziari non facevano altro che parlare dell’arresto di Tom Felton, “il celebre agente di Los Angeles che considera i suoi dipendenti come proprietà personale”. Malia non sopportava di ascoltare quelle sciocchezze, per tanto neanche veritiere. Tom era arrogante, prepotente, sfrontato e presuntuoso, non si curava di trattare con educazione i suoi dipendenti, ma Malia non pensava fosse capace di ucciderne uno solo perché quello voleva licenziarsi.
In più, oltre alle esagerazioni legate all’arresto a al brutto carattere di Tom, erano state messe in giro nuove voci sul fatto che lui fosse un drogato e che effettivamente costringesse le sue dipendenti ad andare a letto con lui. Venuta fuori la storia di Lisa, decine di ragazze si erano presentate in Centrale per testimoniare contro Tom, dicendo che anche loro erano state forzate ad andarci a letto.
Praticamente arrivata nel parcheggio, Malia ricevette una telefonata di Rupert, ma non rispose, guadagnandosi altre due chiamate di Emma e Daniel che, visto che non aveva risposto neanche a quelle, l’avevano tempestata di messaggi chiedendole dove fosse. Uscendo dall’auto, Malia iniziò a percorrere a passo svelto le scale, fino a presentarsi di fronte ad un guardia che la condusse fino alla sala delle visite. Camminando lungo i corridoi affiancati dalle celle, la guardia cercò in tutti i modi di far tacere i prigionieri, ma niente servì a sopprimere i loro fischi di approvazione quando Malia passava di fronte alle loro celle.
« Ehi, bambola! » gridò un ragazzo castano con la voce roca, « Chi sei venuta a trovare? Ti va di passare un’ora anche con me dopo? »
Malia lo ignorò, continuando a camminare incoraggiata dalla mano della guardia posata sulla sua spalla. Era un’alta donna di colore che intimava parecchia paura.
« Ma guardatela » disse un altro. « È una dei detective di Felton! » urlò ai suoi compagni, poi tirò per la giacca di pelle Malia, che non riuscì ad evitare di avvicinarsi di più alla cella dell’uomo. « O sei solo un’altra delle sue troiette? »
Si scostò con rabbia dalla presa dell’uomo e si aggrappò alle sbarre con un’espressione folle che le illuminava il bel viso. « Di’ un’altra parola e ti assicuro che ringrazierai Dio per essere dietro quelle sbarre dove io non posso toccarti »
L’uomo rise, altri fischiarono, altri ancora diedero di nuovo a Malia della troietta e, se la donna che l’accompagnava non l’avesse costretta a continuare a camminare, lei sarebbe rimasta lì per rispondere a tutti gli insulti di quegli uomini.
« Li devi ignorare » le consigliò la donna, spingendola oltre un angolo. Da lì entrarono in una stanza dove c’erano altri cinque detenuti che parlavano con loro amici o famigliari. La donna la condusse fino ad un tavolo grigio con due sedie dello stesso colore in fondo alla sala.
« Vado a chiamarlo » le comunicò infine la donna, scomparendo di nuovo dietro l’angolo che avevano appena girato. Aveva fatto cenno a Malia di sedersi, eppure lei non l’aveva fatto: era rimasta in piedi di fianco al tavolo, fissando con gli occhi sbarrati le altre persone presenti in sala. Nel tavolo di fianco al suo c’era un uomo con un paio di bambini che parlavano con una donna che, anche se si sforzava di sorridere, aveva il volto rigato dalle lacrime. La bambina si voltò verso Malia e le rivolse un gran sorriso, salutandola con la mano piccola. Malia le sorrise a sua volta e, senza riuscire a spiegarsi il perché, quel gesto le fece crescere nel petto ancora più tristezza.
Poi la donna entrò di nuovo spingendo Tom come prima aveva fatto con Malia e lo fece avvicinare al tavolo, congedandosi subito dopo. Tom e Malia si guardarono per un attimo e poi lei fece una cosa che non aveva mai fatto: lo abbracciò. Gli lanciò le braccia al collo e lo strinse senza nessun altro fine, senza nessun interesse che andasse al di là di dimostrargli il suo dispiacere. Lui si irrigidì subito, prima di rilassarsi un po’, probabilmente non se l’aspettava.
Quando si sedettero si fissarono negli occhi per un altro istante e poi Malia sussurrò: « Mi dispiace ». Aveva la voce rotta, lo sguardo sul tavolo grigio, incapace di guardarlo ancora come se incontrare i suoi occhi blu per un altro istante avesse potuto farla sentire ancora più in colpa.
« Perché sei venuta? »
Malia non lo sapeva. Non aveva niente da dirgli, voleva solo vederlo, per capire che era ancora lì, che c’era lo stesso.
« Io volevo solo... vederti »
« Allora posso tornare a marcire nella mia cella adesso »
« Tom sai che non sono stata io » gli sussurrò Malia abbassandosi sul tavolo.
« Davvero? » chiese Tom alzando le sopracciglia. « Tu eri l’unica che sapeva » le sussurrò a denti stretti. « Tu hai preso la dannata impronta dal mio portafogli, tu sapevi della mazza da golf, tu ti sei fatta spogliare da me, mi hai sedotto e hai cenato con me per incastrarmi. Sei sempre stata tu! »
« I–io ti ho sedotto? » chiese Malia indignata. « Sono stata io che ti ho invitato a cena? Io che ti ho spogliato nel mio ufficio lasciandoti con addosso solo un paio di mutande quando chiunque sarebbe potuto entrare? Io che sono entrata a casa tua senza dirti niente, facendomi trovare in soggiorno? Dimmi Tom, sono stata io a sedurti? »
Tom non rispose e la guardò con sguardo supplichevole. « Tirami fuori di qui »
Malia l’avrebbe mangiato vivo. Prima le addossa la colpa di tutto e poi le chiede di aiutarlo? Però capiva che era stressato, spaventato e arrabbiato e che aveva agito d’impulso, d’altronde lei aveva fatto la stessa cosa quando era al suo posto.
« Il processo è domani » gli fece notare Malia.
« Lo so, ma posso stare qui qualche altro giorno se tu trovi il vero colpevole »
Malia sbuffò e si alzò dal tavolo. « Ci proverò »
 
Quando il giorno seguente i detective e Oldman scesero insieme dal settimo piano per raggiungere il tribunale, Malia stava pensando a quanto si stesse sentendo male Tom. Tutte le volte che lei si era dovuta presentare in tribunale le avevano consigliato di immaginarsi vincente, anche se mai era riuscita ad entrare in aula con quella certezza. Si immaginava uscire dal tribunale con un gran sorriso stampato in volto per tutti i giorni precedenti, ma il giorno del processo quella convinzione sembrava sempre scivolargli dalle mani, lasciandola cadere in una depressione che solo la sentenza del giudice era riuscita a far svanire.
Erano tutti in aula quando Tom entrò con il suo avvocato. Malia lo guardò camminare con la tuta arancione, gli occhi blu che gli brillavano alla luce dei neon. Lo fissava in ogni movimento, pregando chissà quale dio perché lo decretassero innocente.
Alcune persone in aula erano nervose. Continuavano a guardarsi intorno, ticchettavano con le dita sulle sedie, si passavano le mani lungo gli abiti eleganti. Si passavano le mani lungo gli abiti, lì Malia ebbe la sua illuminazione. Un flash che le illuminò gli occhi con un lampo di follia e speranza insieme: l’uomo che aveva trovato il corpo di Lisa e che sembrava tanto nervoso quel giorno in cui Malia, Emma, Rupert e Daniel arrivarono sulla scena del crimine. Lei se lo ricordava, si passava nervosamente le mani sulla camicia scozzese e lei aveva detto che ci avrebbe parlato, ma non l’aveva mai più rivisto. E così, con quella pista che le diceva di fiondarsi a casa sua per parlarci, si alzò dalla sedia in fretta e furia.
« Dove cavolo vai? » le chiese Rupert.
Ma lei ancora una volta non rispose: si fiondò fuori dalla porta, guadagnandosi le occhiatacce di tutti i presenti e scomparendo subito dopo.
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Ehilà!
Ecco qui il nuovo capitolo, che accende una piccola speranza riguardo il futuro di Tom. Non credo ci sia molto da dire sul capitolo, a parte che il nostro Tom è spaventato all’idea di rimanere in prigione e che quindi, come avete notato, tratta Malia piuttosto maluccio all’inizio.
Comunque spero che il capitolo vi piaccia e che mi facciate sapere cosa ne pensate perché i vostri commenti sono importantissimi!
Ringrazio come sempre tutti i lettori!
A presto 

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Capitolo 9
*** Capitolo nono ***


9

Mentre Malia percorreva ad una velocità che il suo stesso lavoro non le permetteva di mantenere la strada per raggiungere la casa del nuovo sospettato, la sua testa aveva già immaginato cosa sarebbe successo davanti alla porta d’ingresso. Malia non sarebbe andata dritta al punto, ma avrebbe lasciato che fosse la sorpresa e l’inesperienza del suo nuovo sospettato a metterlo nel sacco. O almeno così sperava.
Lungo la via che le sfrecciava di fianco, fuori dal finestrino, intravide un ragazzo che la guardava di sottecchi, che puntava i suoi occhi scuri sulla sua macchina e che non spostava lo sguardo da lì, ma Malia aveva altro per la testa. In altre circostanze quel comportamento così sospetto e quei movimenti così cauti del ragazzo l’avrebbero allarmata, addirittura spaventata, ma in quel momento quel ragazzo poteva anche essere un serial killer e Malia avrebbe potuto tranquillamente ignorarlo. Se lo sentiva dentro, che il ragazzo che di lì a poco si sarebbe ritrovata davanti c’entrava qualcosa con l’omicidio di Lisa, ne era certa. Una scoperta così traumatizzante poteva impressionare e sorprendere chiunque avesse trovato il cadavere, ma nei suoi occhi e nei suoi movimenti così nervosi c’era dell’altro, vero e proprio terrore, la paura di chi temeva che il minimo passo falso potesse incastrarlo.
Malia parcheggiò la macchina alla bell’e meglio e corse dall’altra parte della strada senza nemmeno guardare prima di attraversare. Salì di fretta di scalini della casa color panna e suonò il campanello tre volte, per assicurarsi che chiunque fosse all’interno della casa capisse che la visita era urgente – anche se non doveva sembrarlo. Nell’attesa, Malia studiò l’ingresso della casa, la porta che sperava si aprisse da un momento all’altro e il campanello che era tentata di premere ancora. Fu nel momento in cui spostò gli occhi verdi sul nome scarabocchiato con una penna nera che il suo cuore sembrò mancare un battito: Edward Jones. Non che Jones fosse un cognome raro, ma era possibile che lui e Becca fossero imparentati? Mentre Malia ci rimuginava sopra, l’uomo che il primo giorno delle indagini si passava nervosamente le mani sulla camicia scozzese aprì la porta e un lampo di terrore gli attraversò gli occhi castani.
« Credevo che aveste trovato l’assassino ». Fu la prima cosa che disse, con un tremolio nella voce che tradì un debole tentativo di sembrare impassibile alla nuova visita di un detective.
« È così » e Malia, dicendolo, non seppe se la sua bocca avesse detto la verità o meno. Tom era davvero innocente come diceva, o lei si stava facendo trasportare dalle emozioni che le avevano cambiato la vita da quando aveva iniziato quel lavoro? « Solo che, il giorno in cui il corpo è stato trovato, avrei voluto parlarle » disse Malia spingendosi con un passo in avanti all’interno della casa.
Edward si schiarì la voce e le chiuse la porta alle spalle. « Il processo di Felton non è oggi? »
« Sì » rispose Malia, accomodandosi su una poltrona senza aspettare un invito, « ma vogliamo assicurarci di non aver preso la persona sbagliata. E sa, lei è l’unico che può aver visto qualcosa »
« Certo » convenne Edward, anche se un po’ perplesso. « Un po’ d’acqua? » offrì avvicinandosi alla cucina moderna.
« Naturale, grazie » rispose Malia con un sorriso. La castana approfittò della breve assenza del moro e accese il registratore che da settimane, ormai, era solita portarsi nella borsetta. Così, da quando lei cominciò a bere il primo sorso d’acqua, la loro conversazione sarebbe stata su nastro.
« Conosceva bene Lisa? »
« Era la mia vicina di casa. Il nostro era il rapporto che ha un vicino con la sua vicina ». “Il nostro era il rapporto che ha una segretaria con il proprio datore di lavoro”, Malia si ripeté le parole di Becca mentalmente, possibile che fosse solo una coincidenza?
« E cosa sa dirmi della sua migliore amica, Becca? »
« Lei... » Edward tentennò e bevve un lungo sorso d’acqua. « Veniva spesso a casa di Lisa, credo che... probabilmente lavoravano insieme »
« Esattamente » annuì Malia. « Senta, mi parli della sera dell’omicidio. Ha notato qualcosa di strano? »
« Oltre a Felton che entrava in casa sua e la uccideva? No, direi di no » la risposta sarcastica di Edward prese un po’ alla sprovvista Malia, che però si riprese subito.
« Quindi lei crede che sia stato Tom ad ucciderla? »
« Ne sono certo. L’ha ubriacata e poi l’ha uccisa »
« Il signor Felton dice che quando è arrivato a casa di Lisa era già ubriaca... »
« Ah, lui dice un sacco di cose! Un mucchio, lo sa? »
« Restiamo sull’argomento Lisa, per favore » disse Malia con la voce leggermente tremante. « Ci sono state altre sere in cui lei ha notato che si ubriacava da sola? »
« Non si è ubriacata da sola! »
« D’accordo, forse quella sera no. Ma in altre circostanze? »
« Tutti noi ci ubriachiamo da soli, se e quando ci va. Per festeggiare, per dimenticare, o semplicemente per assaporare un buon whisky »
« Curioso » commentò Malia. « L’autopsia dice che Lisa ha ingerito del vino – che Felton ha dichiarato di averle portato quella sera – e... » la castana si alzò dalla poltrona e girovagò per la stanza, fino a raggiungere un mobiletto dove era ordinatamente disposta una serie di liquori. Malia sollevò una bottiglia di whisky e l’agitò di fronte ad Edward: « e questo »
« Mi sta accusando di aver ubriacato Lisa? » chiese lui indignato.
« No » rispose Malia con tono rassicurante. « Sto solo esponendo i fatti, e i fatti sono questi: Tom è andato per un po’ a letto con Becca, che è una sua parente, e poi l’ha scaricata per Lisa. Becca è venuta da lei a piangere e ad insultarlo e lei, da bravo fratello o chiunque lei sia per Becca, si è infuriato con Tom come lo era la Jones. Ho sempre trovato... ammirevoli i fratelli che proteggono le sorelline, sinceramente, ne avrei sempre voluto uno anche io. Uno di quei fratelli fighi, che gira con gli amici altrettanto fighi, tutti pronti a proteggere la ragazzina di turno che per tutti quanti è come una sorella minore, dico bene? Ma questo era più un fatto personale, non eravate più al liceo. Ha pensato bene di eliminare Lisa e incolpare Tom, in modo che Becca si liberasse delle persone che le avevano spezzato il cuore. L’ha ubriacata ed è tornato a casa con la sua bottiglia vuota. Ha aspettato che Tom se ne andasse dopo che lei le aveva detto di volersi licenziare – chissà, magari sollecitata da Becca – ed e tornato lì con la mazza che aveva rubato il giorno prima dalla sacca di Tom, devo ammetterlo, compromettendo abilmente le prove. E, in questo momento, una persona innocente sta per essere processata per omicidio! ». Malia vomitò quelle parole addosso ad Edward come una doccia fredda e lui non fece altro che rimanere a bocca aperta. I suoi occhi che con il passare della conversazione avevano assunto un po’ di sicurezza in più erano stati inondati dallo stesso lampo di paura di quando aveva visto Malia alla porta. Lasciando cadere il bicchiere a terra e rompendolo in pezzi, il moro si prese la testa tra le mani e cominciò a dondolarsi avanti e indietro, sussurrando parole incomprensibili tra un singhiozzo e l’altro.
Tutta la professionalità di Malia venne a meno e, ad un passo dalla liberazione di Tom, le parole le saltarono fuori senza che lei le volesse davvero pronunciare: « Hai ucciso tu Lisa Stevens? »
Il moro alzò la testa e la guardò con gli occhi gonfi e rossi. « Sì »
Per Malia quella sillaba fu una boccata d’aria, un peso che si era tolta dallo stomaco, un sospiro di sollievo. Tirò fuori il cellulare ed aspettò che la Centrale mandasse una pattuglia per Edward. Di nuovo, quando le sirene illuminavano le pareti bianche di casa Jones e dell’ex casa Stevens, Malia salì in macchina lasciando il moro in mano ai colleghi. Corse verso il tribunale, notando ancora quello strano ragazzo che la guardava, un po’ più agitato di prima. Ne incontrò altri due vestiti uguali e con le stesse movenze più in là lungo la strada, ma non le importava. Che cos’erano un paio di strani ragazzini in confronto a ciò che era appena successo e a ciò che stava per succedere? Sperava che non fosse troppo tardi e che il processo non fosse ancora finito. Salì per le scale con i piedi che minacciavano di ribellarsi alle scarpe col tacco che Malia aveva scelto di indossare quel giorno. Poi, col cuore in gola, raggiunse il portone di legno che portava all’interno dell’aula. I due uomini che erano in piedi ai lati della porta annuirono quando la videro raggiungere di gran carriera la soglia, senza chiederle chi fosse perché lo sapevano di già. La castana quindi, con il registratore stretto nella mano destra aprì il portone e subito si sentì tutti gli occhi addosso. Quelli sorpresi della maggior parte dei presenti, quelli accusatori di Oldman, quelli irritati del giudice, quelli perplessi di Daniel, Rupert e Emma e quelli speranzosi e spaventati di Tom. Il silenzio cadde in aula, con i due avvocati irritati quanto il giudice che però non osarono proferir parola. La castana, ancora al centro dell’attenzione, si fece un po’ più avanti e si schiarì la voce imbarazzata.
« Signorina Browning, vuole dirci perché ha ritenuto opportuno interrompere un processo importante come questo in modo così brusco e maleducato, o si siede ed evita di disturbare ancora? » chiese il giudice.
« holaprovachetomfeltonèinnocente » disse Malia.
« Come, prego? »
« Ho la prova che Tom Felton è innocente » disse ancora la ragazza più calma e professionale.
In sottofondo si levarono brusii che solo il giudice riuscì a calmare. C’era chi le inveiva contro, chi diceva che aveva perso la testa, per non parlare di Oldman, i cui occhi sarebbero potuti uscire dalle orbite da un momento all’altro così come la sua mascella sarebbe potuta cadere per terra.
« Beh, e qual è questa prova? » chiese il giudice impaziente.
Malia attraversò il corridoio centrale e porse al giudice il registratore. La registrazione si fermò al “sì” che tanto aveva rincuorato Malia e ora la ragazza guardava speranzosa il giudice, che parve piuttosto disorientato. Chiamò a sé gli avvocati facendo spostare Malia di lato che, anche se vicina, non riuscì a sentire più di tanto la conversazione tra i tre.
Poi il giudice chiamò a sé l’attenzione e disse: « Ritengo che, con le opportune indagini, questa prova possa essere la chiave fondamentale del caso. Non so dire se Jones sia colpevole o no, ma fino al momento del suo processo, Tom Felton è scagionato »
Inaspettatamente, furono di più le urla di gioia che quelle di sconfitta. La gente non credeva ai media, la gente credeva a ciò che gli era appena stato detto, tutto in quel momento sembrò prendere forma e funzionare. Malia guardò in direzione dei suoi colleghi e con grande felicità si accorse che erano pochi ad essere abbattuti quanto Oldman, ma la ragazza avrebbe fatto capire anche a loro che avrebbero commesso un enorme errore se avessero arrestato Tom. Fu su di lui che i suoi occhi si spostarono subito dopo, lucidi di gioia come lo erano quelli azzurri del biondo. Possibile che fosse davvero finita? Possibile che quei quattro giorni di terrore che erano passati fossero già diventati un brutto ricordo? Possibile che, lanciando un’occhiata fugace verso i poliziotti, Malia avesse scorso l’ombra di un sorriso sul volto di Oldman, che guardava in direzione sua e di Tom, come se stesse guardando sua figlia col suo fidanzato? A Malia non importava. Si avvicinò tentennante al banco di Tom e gli fece un sorriso debole. Lui superò il tavolo con un salto e si mise di fronte a lei, un centimetro in più e sarebbero diventati la stessa cosa. Le appoggiò le mani sulle spalle e la guardò per la prima volta con una sorta di vero amore negli occhi. Le sorrise e poi eliminò quella minuscola distanza che li separava con il bacio più bello che Malia avesse mai dato.
« Sei straordinaria, ragazzina » 


ANGOLO AUTRICE:
Hey there!
Sono tornata, col capitolo che sembra finalmente liberare Tom dalle grinfie della polizia. Anche se, si scoprirà nei capitoli seguenti, c'è una minaccia più grande alle porte che, sì, c'entra con i misteriosi ragazzi che Malia ha visto uscendo e rientrando dal tribunale.

Spero che la storia sia di vostro gradimento e vi prego di farmi sapere cosa ne pensate per continuare a migliorare!
A presto

 

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Capitolo 10
*** Capitolo decimo ***


10

Le cose non potevano andare meglio, tutto sembrava essersi sistemato ed aver ritrovato il proprio equilibrio. Malia continuava a lavorare con l’entusiasmo che l’aveva inondata i primi giorni di lavoro, ma con un senso di liberazione e tranquillità con cui non si ricordava di convivere da molto tempo; gli agenti che lavoravano con lei erano felici di aver trovato il vero colpevole dell’ultimo caso di cui si erano occupati e avevano garantito ai cittadini la sicurezza che sembrava averli abbandonati durante i giorni delle indagini; la serenità di Malia aveva contagiato anche sua madre che, a pochi giorni dal suo ritorno a Londra, sembrava per la prima volta triste di lasciare la casa della figlia; Tom era stato scagionato e viveva la vita favolosa cui era sempre stato abituato, con la gente di nuovo ai suoi piedi e la polizia che non si curava più di lui; perfino Oldman, passata una settimana dal processo durante il quale Malia riuscì a scagionare Tom, aveva accettato il fatto che il vero colpevole era Jones e si era scusato con la castana per non averle creduto riguardo a Felton.
Quando Oldman chiamò nel suo ufficio Malia, Emma, Rupert e Daniel per affidare loro un nuovo caso che lasciasse finalmente alle spalle quello di Lisa, gli agenti del settimo piano non erano mai stati più affiatati.
« C’è stato un incidente sulla statale. Sembra che ci siano due cadaveri e due sopravvissuti, ma sono solo le testimonianze dei presenti, la scientifica deve arrivare a momenti »
« D’accordo, andiamo » disse Emma lanciando le chiavi della macchina a Malia.
« Ah, ragazzina? » Oldman chiamò Malia, che sorridendo appena nel sentirsi chiamare così, si girò verso il suo capo.
« Credo che sia arrivata l’ora che tu abbia una di queste ». L’uomo si chinò per aprire un cassetto della sua scrivania e porse a Malia una pistola. La ragazza aprì la bocca in un sospiro di sorpresa e dopo un attimo allungò la mano per afferrarla. Al tatto era fredda e molto più pesante di quanto Malia si aspettasse. Rigirandosela un attimo tra le mani guardò l’arma incuriosita, poi spostò gli occhi su Oldman.
« Sei una grande agente » le disse guardandola negli occhi verdi. « Tutti i grandi agenti hanno una pistola »
Malia commossa da quelle parole, ci mise un attimo in più per sussurrare un “Grazie” e poi si congedò con i suoi colleghi, con Rupert che le avvolse un braccio intorno alla spalla e andò in giro per la Centrale ad urlare che Malia Browning aveva una pistola e costringendo tutti ad applaudirle quando fosse passata vicino a loro.
« Quindi adesso sei una vera poliziotta » disse Emma fingendo una voce grossa.
« Sono una grande poliziotta con o senza pistola » rise Malia.
« Seriamente, sei stata fantastica con il caso di Lisa, non so come tu possa aver pensato... »
« Non lo so neanche io. Probabilmente se non si fosse trattato di Tom non sarei andata così a fondo nelle indagini »
Malia sospirò e si fermò davanti al semaforo rosso. « Aah, maledizione » sussurrò a denti stretti abbassandosi sul sedile.
« Che c’è? » chiese Emma.
« Quei ragazzi » rispose Malia indicando un gruppo di ragazzi vestiti di nero, identici a quelli che aveva incontrato il giorno del processo di Tom. « È da quando abbiamo arrestato Jones che li trovo dappertutto e sono così... sospetti. Vedi come si muovono? »
« Non ti preoccupare, Malia. Sono solo dei ragazzini »
La castana annuì ripartendo allo scattare del verde e cercò di farsi uscire dalla testa l’idea che quei ragazzi avessero in mente qualcosa.
Arrivò con Emma sulla scena dell’incidente e scese dalla macchina di corsa vedendo la macchina in fiamme, le persone rimaste coinvolte che erano ricoperte di sangue e che l’ambulanza non era ancora arrivata. Si gettò verso una bambina col viso pieno di tagli e i capelli incrostati dal sangue che continuava a uscirle copiosamente da un graffio sulla fronte. Le pulì il viso con un paio di fazzoletti e si allontanò appena quando la riconobbe. Era la stessa bambina che aveva incontrato quando era andata in prigione ad incontrare Tom.
« Ciao » le sussurrò. « Come... come ti chiami? »
« Dakota » rispose la bambina.
« D’accordo, Dakota. Eri con i tuoi genitori in macchina? »
« Sì, ero con loro e mio fratello. Eravamo andati a prendere mamma in prigione, papà ha detto che poteva ritornare a casa »
Malia lanciò un’occhiata ai corpi senza vita dei due genitori e poi cercò con lo sguardo un altro bambino. « Dov’è tuo fratello? »
La bambina non disse niente, ma indicò l’interno della macchina che ancora lanciava scintille. Malia seguì la punta del suo indice. « Va bene, tu rimani qui, io vado a prendere tuo fratello »
« Rup, Dan! » urlò correndo in mezzo alla strada. « Aiutatemi, c’è un bambino incastrato lì sotto! »
I due ragazzi raggiunsero la macchina e iniziarono a forzare le portiere per tirare fuori il ragazzino. Malia, nel frattempo, cercava di distrarlo. « Ciao, come ti chiami? »
« P–Peter »
« Ciao Peter, io mi chiamo Malia. Siamo qui per aiutarti, tra poco sarà tutto finito »
« Dov’è Dakota? »
« Lei sta bene. Adesso devi concentrarti sulla mia voce, ok? »
Il bambino annuì e Malia gettò un’occhiata fugace verso Rupert e Daniel, che stavano per tirare fuori Peter dalla macchina. L’intera operazione sarebbe stata piuttosto dolorosa per il bambino e Malia non voleva che soffrisse oltre. Non ci poteva credere: quei bambini avevano vissuto la maggior parte della loro infanzia senza la loro madre e ora avevano perso per sempre sia lei che il loro padre.
« Malia? » Peter chiamò la ragazza che si girò verso di lui.
« Tu lavori insieme al ragazzo che ha detto a mamma che sarebbe potuta uscire di prigione, vero? »
« Come si chiama? »
« Matthew » rispose Peter.
« Sì, è un mio amico »
Rupert e Daniel stavano tirando fuori il ragazzino dall’auto e lui sembrava ignorare la situazione. « Lo posso incontrare? »
Ormai nella macchina erano rimaste solo le sue gambe e Rupert e Daniel ci misero meno del previsto a tirarle fuori. « Certo » rispose Malia aiutandolo a mettersi in piedi sulla strada. « Verrai con me in Centrale »
Dopo aver aspettato l’ambulanza e aver lasciato Rupert e Daniel ad indagare sulla possibile causa dell’incidente, Malia e Emma ripartirono alla volta della Centrale insieme a Peter, fortunatamente senza incontrare il gruppetto di ragazzi vestiti in nero che infastidiva tanto Malia.
Arrivate al settimo piano dell’edificio, fecero il loro ingresso. Sembrava che tutti avessero appena visto un fantasma, i loro occhi spaventati e tristi che si posavano stancamente su Malia, Emma e Peter e li guardavano come pregandoli di fare qualcosa che risolvesse ciò che li faceva stare tanto male.
Emma cercò Oldman e gli chiese cos’era successo.
« L’han–l’hanno rapito » disse lui con voce rotta.
« Chi? Chi hanno rapito? » chiese Malia allarmata.
« Matthew » rispose Oldman appoggiandosi alla scrivania.
« Cosa?! » strillò la castana.
« Chi è stato? » domandò Emma.
« Non si sa ancora, ma... »
« Ma cosa? » chiesero ad una voce Malia e Emma.
« Alcuni testimoni dicono che è stato un... ». Oldman prese un lungo respiro.
« Un gruppo di ragazzi, tutti vestiti di nero »


ANGOLO AUTRICE:
Hey there!
Salve gente, spero che stiate bene e che riusciate a sopportare il caldo. Nel frattempo io ho pronto il decimo capitolo, che è un capitolo piuttosto sbrigativo e che non c'entra esattamente con la storia, fatta eccezione per la parte finale, che invece è un tassello importante. Ho voluto aggiungere la scena dell'incidente perchè comunque i nostri agenti continuano a lavorare e così ho anche avuto l'occasione di far riapparire la famiglia che Malia aveva incontrato in prigione. 
Inoltre, in questo capitolo Tom non c'è, ma non temete perchè dal prossimo tornerà e aiuterà Malia a scoprire chi sono questi misteriosi e spaventosi ragazzi che continuano a seguire la ragazza.
Spero che il capitolo vi piaccia e vi prego come sempre di farmi sapere che cosa ne pensate!
A presto

 

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Capitolo 11
*** Capitolo undicesimo ***


11

« Buongiorno, Los Angeles! La notizia del giorno vede ancora protagonisti i ragazzini che continuano a seminare terrore in città rapendo gli agenti di polizia della Omicidi. Dopo aver rapito l’agente Lewis, sono state segnalate le sparizioni di altre due poliziotte della squadra di Gary Oldman, le agenti Lynch e Wright, scomparse la scorsa notte dopo essere state viste insieme ad un gruppo di amici in un pub del centro. Chiunque abbia visto i tre agenti è pregato di chiamare la polizia, qualsiasi informazione potrebbe essere utile per le indagini.
Passiamo ora allo sport, la squadra locale di... »
Malia spense con un gesto secco la televisione e lanciò il telecomando sul divano, affondando il viso tra le mani fredde.
« Dovresti licenziarti » la voce ferma della madre le fece alzare lo sguardo su di lei.
« Che cosa? »
« Mi hai sentita bene. Non so se te ne sei accorta, ma quei ragazzi stanno rapendo gli agenti della tua squadra! » la voce della madre si faceva ad ogni parola più grave.
« Me ne sono accorta, mamma » rispose la castana con un insolito tremolio nella voce. « Ma sicuramente non mi licenzierò. Credi che la gente là fuori si sentirebbe al sicuro se i poliziotti temessero i criminali? È il nostro lavoro, mamma, non possiamo tirarci indietro quando le cose si fanno più pericolose »
« Non parlare come se facessi questo lavoro da una vita! Sei una poliziotta da qualche mese appena e solo perché hai risolto un caso da sola non significa che... »
« Non significa cosa? Credi che lavorerei ancora per Oldman se lui non mi reputasse adatta? » gridò Malia.
« Mi sto solo preoccupando per te » disse Helena abbassando il tono di voce. « Oggi pomeriggio tornerò a Londra e tu vivi qui, da sola. Potrebbero rapirti da un momento all’altro »
« So badare a me stessa » disse Malia. « Ricordi? Ho una pistola » gongolò con la tensione che sembrava aver abbandonato la sua voce.
« Vorrei che non restassi qui da sola »
« D’accordo, chiederò ad Emma se... »
« No, Emma lavora con te! Voglio che qualcuno che non centri niente con la squadra di Oldman ti faccia compagnia »
« D’accordo, io... troverò qualcuno » fece infine Malia, afferrando la sua borsa e le chiavi della macchina. Fece il giro del tavolo e affiancò la madre, lasciandole un bacio sulla guancia e sorridendole schiudendo le labbra ripassate di rosso.
« Chiamami quando atterri a Londra » le disse.
Sua madre annuì e lei si allontanò dalla cucina raggiungendo la porta d’ingresso, ma prima che potesse uscire, sua madre parlò ancora: « Ti voglio bene Malia. Ti prego, fai attenzione »
Malia uscì di casa con una certa nostalgia che le batteva nel petto. A volte – le volte in cui non litigavano – le mancava vivere con sua madre. Salì in macchina e si rifiutò ancora una volta di accendere la radio: se questa volta i notiziari non parlavano di Tom, parlavano dei colleghi di Malia che continuavano a scomparire misteriosamente. Così Malia guidò in silenzio, non potendo fare a meno di continuare a guardarsi intorno per vedere se quei ragazzi vestiti di nero fossero nei paraggi.
Arrivata alla Centrale Malia corse in ascensore e tirò un sospiro di sollievo quando mise piede fuori di lì. Forse era sua madre che le aveva passato il suo gene iperprotettivo ma, dopo il suo discorso sul trovare qualcuno con cui vivere durante quei giorni di terrore, temeva molto di più quei ragazzi.
Si sedette alla scrivania e iniziò ad esaminare le cartelle che avrebbe dovuto finire di studiare il giorno prima. Passò una mezz’ora a sfogliare con meno attenzione del giorno prima quei documenti e fu grata di sentire la suoneria del suo cellulare squillare, così che avrebbe avuto qualche minuto per staccare. Fu un po’ meno grata quando riconobbe la voce di sua madre dall’altra parte della cornetta. Non si curò nemmeno di ascoltare ciò che aveva da dire, erano altre delle sue raccomandazioni sull’attenzione che doveva prestare in ogni singolo momento. Sua madre non poteva capire quanto anche lei desiderasse trovare qualcuno con cui condividere i momenti di panico e ansia che sembravano non lasciarla più andare da quando era sparito Matthew.
Attaccò e, sfregandosi gli occhi, tornò a studiare i documenti che continuavano a riempire la sua scrivania. L’ufficio sembrava più spento di quanto non lo fosse mai stato. La simpatia di James e Oliver sembrava non essere più contagiosa; le stranezze di Rupert non facevano più ridere nessuno; l’intelligenza di Daniel e Emma non dava agli altri la sicurezza che serviva per risolvere i casi. Quel giorno, quando spense il computer e appoggiò la penna sulla scrivania, le sembrò di aver passato un altro giorno al supermercato alla fine della strada, quando tornava a casa più depressa di come si era svegliata.
Sembrava che nulla potesse sistemare quella giornata fino a quando Malia non mise piede fuori dalla Centrale. Lì, ad aspettarla con le braccia incrociate e un elegante abito nero, due occhi blu si appoggiarono su di lei.
« Credevo che non uscissi più... »
« Che cosa ci fai qui? »
« Sono venuto a prenderti »
Malia lo guardò accigliata e si sistemò la borsa a tracolla sulla spalla.
« Vuoi salire o resti lì a guardarmi ancora un po’? »
La ragazza si avvicinò alla costosa BMW del biondo e lasciò che lui le aprisse la portiera. « Dove andiamo? »
« A casa mia » rispose Tom salendo al posto del guidatore.
Malia non rispose e pregò che quella non fosse un’idea di sua madre, perché se fosse stato così avrebbe potuto non rivolgerle più la parola.
Arrivati alla villa di Tom, il ragazzo la condusse fino al piano di sopra. Le fece appoggiare la roba nella camera da letto e frugò nell’armadio per poi lanciarle una sua maglietta che le stava piuttosto larga. Insieme, poi, andarono verso il salotto e si sedettero sul divano. Tom le passò un braccio intorno alla spalla e la strinse un po’ di più a sé e Malia si irrigidì inaspettatamente. Le sembravano strani gesti del genere in seguito ad una relazione strana e poco costante come lo era stata la loro. Guardare la televisione accoccolati l’uno all’altra era una cosa da fidanzati, e lei non era certa che loro due lo fossero. Ma buttando giù quei pensieri contrastanti che avevano iniziato a lottare nella sua testa, la ragazza si rilassò un po’ e appoggiò la testa sulla spalla di Tom. L’unica persona che aveva abbracciato negli ultimi giorni era sua madre e le mancava un contatto del genere con altre persone; in particolare, le mancava un contatto con Tom: da quando l’aveva scagionato e si erano scambiati quell’inaspettato bacio in tribunale erano state poche le altre occasioni in cui si videro. E, in ogni caso, non avevano mai avuto nessun contatto fisico, che fosse un bacio, un abbraccio, o altro.
Tom afferrò il telecomando della tv e la accese, anche se Malia non avrebbe voluto affatto sentire il notiziario che stavano trasmettendo: « Ed ecco le ultime notizie. Appena finita la loro giornata lavorativa, gli agenti Phelps sono scomparsi misteriosamente, come i loro tre colleghi di cui non abbiamo ancora notizie. Preghiamo chiunque sia a conoscenza di qualche dettaglio di chiamare la polizia e... »
« Basta » sussurrò Malia, prendendo il telecomando e spegnendo la televisione con malinconia.
Tom la guardò per un attimo e aspettò che lei appoggiasse i suoi occhi verdi sui suoi blu. « Voglio che tu viva con me fino a quando non troveranno i responsabili di queste sparizioni »
« Fino a che non troveremo » precisò Malia.
Tom la guardò con un sguardo del tutto diverso da quelli che riservava per lei i primi mesi. Da quando si erano baciati in tribunale, sembrava tutto completamente differente dai primi mesi. Quando si incontravano di nascosto era quasi uno scherzo. Adesso Tom era preoccupato per lei e non la vedeva più come un gioco che poteva intrattenerlo ogni volta che voleva.
« Domani andrò a casa e prenderò un paio di cose... » disse Malia alzandosi dal divano e sistemandosi la maglietta di Tom che, anche se larga, le arrivava appena alle cosce.
Tom si alzò a sua volta e si avvicinò rapidamente a lei, la fermò prendendola per il braccio e con la mano libera avvicinò la testa della castana alla sua. « Non deve succederti niente » disse quasi con veemenza. « Non ti devono toccare ».


ANGOLO AUTRICE:
Hey there!
Ecco qui l'undicesimo capitolo, in cui vediamo un Tom iperprotettivo e nuove sparizioni che non fanno che deprimere Malia. 
Spero che la storia vi interessi e che il capitolo vi sia piaciuto. Vi prego di farmi sapere cosa ne pensate, critiche costruttive, complimenti o consigli sono ben accetti!
Ringrazio infinitamente tutti i lettori,
a presto!

 

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Capitolo 12
*** Capitolo dodicesimo ***


12

Vivere con Tom era davvero strano. Dopo aver passato una settimana in casa sua, Malia non poteva far altro che sentirsi ogni giorno più fuori posto. Le cameriere la servivano e riverivano come se lei fosse stata importante quanto Tom, ma non era così e cercava in tutti i modi di aiutarle in casa, ma sia Tom che le stesse cameriere le vietavano di dare una mano.
Condividere tutto con il biondo le sembrava quasi un sogno. Non avrebbe mai immaginato che un giorno o l’altro lei si sarebbe trovata davvero a casa sua a vivere insieme a lui, e ora che tutto era reale – almeno per il momento – le sembrava molto più bello di quanto non si fosse mai immaginata. Nonostante i suoi colleghi fossero ancora scomparsi e il rischio che quei ragazzini rapissero qualcun altro della squadra fosse costantemente tra i suoi pensieri, le sembrava di aver finalmente trovato il suo posto. Il suo lavoro, per quanto rischioso si stesse rivelando, le piaceva moltissimo. Incredibile, una “ragazzina” che dopo essere stata accusata di aggressione, arrestata per omicidio e con un braccialetto elettronico alla caviglia che diventa un’agente di polizia della Omicidi. Tanto incredibile quanto la relazione che stava legando lei e Tom. Forse all’inizio era solo attrazione fisica; anzi, senz’altro lo era. Nessuno dei due avrebbe mai pensato che in un futuro avrebbero potuto condividere qualcosa di più che banale interesse fisico, e Malia non avrebbe mai immaginato che Tom si sarebbe interessato alla sua incolumità. I notiziari, Oldman, sua madre, e ora perfino il biondo non facevano altro che ricordarle che stava rischiando la vita. Ogni volta che usciva di casa la paura che qualcuno saltasse fuori all’improvviso, l’imbavagliasse e la portasse via l’assaliva come il ricordo di un brutto sogno. Ultimamente questo stato di continua allerta la spaventava più di quanto non l’avrebbe fatto vivere la sua vita normalmente, semplicemente cercando di ignorare i fatti degli ultimi giorni. Invece tutte le persone che si offrivano continuamente di proteggerla le facevano temere molto di più quei ragazzi; non si sa se per lo stress, la paura o la tensione, ma le mani di Malia avevano iniziato a tremare. Non poteva prendere un bicchiere con una sola mano perché se no quello cadeva a terra, firmare i documenti che studiava le sembrava impossibile ogni volta che impugnava la penna e scrivere al computer diventava tutti i giorni più difficile. Per quanto lei avesse tentato di tenerlo nascosto, quasi tutti se n’erano accorti, Tom in primis; ma lui, al contrario degli altri, aveva finto di ignorarlo, perlomeno non ne aveva parlato. Però era lui che versava il vino, l’acqua o la birra nei loro bicchieri, non Malia. Era lui che accendeva la televisione, lui che guidava, lui che apriva o chiudeva la porta di casa, lui che inseriva l’allarme.
L’ottavo giorno del trasferimento di Malia, lei scese dal letto prima che Tom si svegliasse. Andò in cucina e cercò di prepararsi da sola la colazione. Aprì il frigo e afferrò una bottiglia di latte, poi aprì lo scaffale sopra di lei e afferrò un bicchiere. Li appoggiò sul tavolo e aprì con cautela la bottiglia, cercando di versarne il contenuto all’interno del bicchiere e non sul ripiano di legno. Che fosse stata colpa delle sue mani o della suoneria del telefono, non riuscì nel suo intento. Fece cadere bottiglia e bicchiere, rompendo quest’ultimo con un sonoro rumore di vetro in pezzi. Afferrò con rabbia il cellulare e vide che era la Centrale.
« Browning » disse.
« La nostra squadra è stata sospesa » la voce di Emma suonava più abbattuta che mai, ma nel suo tono c’era anche del sollievo, probabilmente perché così sarebbe potuta rimanere a casa tutto il tempo, senza rischiare che qualcuno la rapisse.
« Oh » rispose Malia. « Immagino fino a quando non troveranno... »
« C’è dell’altro » la interruppe Emma, ora solo la tristezza risuonava nella sua voce.
« Emma? » la incalzò Malia, che riusciva solo a sentire il respiro affannoso dall’altra parte della cornetta.
« R–rupert è... scomparso » disse tra un singhiozzo e l’altro.
Malia non rispose. Rupert... qualcosa nel suo inconscio l’aveva convinta che qualsiasi cosa sarebbe successa, lei, Emma, Daniel e Rupert sarebbero stati al sicuro. Che cosa stupida, che speranza infantile...
« M–malia, ci s–sei? »
« Si » rispose la castana dall’altra parte, con un tremolio nella voce.
« L–lo troveranno » disse Emma poco convinta. « Li troveranno t–tutti »
Malia attaccò e rimase in piedi in mezzo alla cucina, fissando il latte rovesciato per terra e i vetri del bicchiere rotto e pensando ciò che le era stato appena comunicato.
« Che succede? ». La voce di Tom la riportò alla realtà come se quell’attimo che si era presa per pensare alla telefonata fosse durato ore e la fece voltare verso di lui.
« Hanno preso Rupert » disse tutto d’un fiato. Era come togliersi un cerotto: se lo facevi velocemente non avresti sofferto, ma questa volta non funzionò. Disse quelle parole con un filo di voce, cercando di non scoppiare in lacrime per tutto quello che stava succedendo.
Tom si avvicinò a lei, appoggiandole il mento sulla spalla e accarezzandole le braccia. Malia rabbrividì a quel contatto e chiuse gli occhi. Le piaceva così tanto quando Tom la accarezzava, abbracciava, baciava... ma in quel momento voleva solo che le parlasse, che le dicesse che sarebbe andato tutto bene, perché per quanto lei continuasse a ripeterselo, nella sua testa non suonava affatto convincente. Niente stava andando bene: per quello che ne sapevano loro, i suoi colleghi potevano essere morti. E in qualsiasi momento, lei, Daniel, Emma e lo stesso Oldman potevano fare la stessa fine. Aveva bisogno di sentirsi dire che era al sicuro, una bugia che la facesse sentire protetta...
« Cos’è successo? » chiese tutto ad un tratto Tom, irrigidendosi e allontanandosi dalla ragazza.
Malia seguì il suo sguardo e vide il bicchiere rotto e il latte rovesciato. « Mi stavo preparando la colazione e... »
« Marie! » la interruppe Tom, urlando con veemenza in direzione delle stanze che stava pulendo la cameriera.
La ragazza bionda apparve dalle scale con la scopa in mano. « Sì? »
« Guarda cos’è successo! Malia si stava preparando la colazione da sola. Tu dov’eri? »
« Io non l’ho sentita. Se mi avesse chiamata io sarei... »
« Non darle la colpa perché non ti ha chiamata. Stava cercando di fare da sola qualcosa che non può fare! »
Quelle parole colpirono Malia con la violenza di un coltello e si rese conto solo quando le sentì che Tom non stava riprendendo Marie perché non aveva servito Malia, quanto perché Malia si era dovuta sforzare di utilizzare le mani che da giorni le tremavano. Tom doveva aver chiesto alle cameriere di essere sempre presenti in modo che lei non avesse dovuto farlo, e quella realtà la fece sentire ancora più triste di prima.
« Mi dispiace » mormorò Marie abbassando lo sguardo.
« Pulisci » le ordinò Tom, e lei obbedì.
« Tom non devi... »
« Non devo cosa, Malia? Servirci è il suo lavoro »
« Alcune cose posso farle da sola, tu mi... »
« Mi assicuro che tu stia bene »
« Mi tratti come una bambina! Credi che io non possa cavarmela da sola, ma... posso farcela »
« Non è vero! Queste ragazze lavorano più per te che per me, credi che lo permetterei se non pensassi che tu ne abbia più bisogno di me? »
« Non l’ho mai chiesto! Non ho mai chiesto l’aiuto di nessuno, non voglio la pietà di nessuno »
« Vorrei vedere quanto dureresti, senza di loro o senza di me. Non riesci ad afferrare un bicchiere che quello è già in pezzi »
« Credi che mi diverta? Credi che mi piaccia, usare bicchieri di plastica quando sono in casa da sola perché quelli di vetro li romperei? Se non ci sei tu, a mangiare con me, io... » e lì, la voce che cercò di trattenere ferma per tutto il tempo, si ruppe, e le lacrime che aveva mandato giù ogni giorno ripetendosi di essere forte, iniziarono a rigarle il viso. Marie era rimasta ad ascoltare la discussione in silenzio, mentre fingeva di pulire il disastro che aveva combinato Malia ed in realtà prestava attenzione a lei e Tom. Lui, invece, quando vide che Malia stava piangendo, fece due lunghi passi verso di lei e le afferrò le spalle guardandola negli occhi. Le passò i pollici sulle guance bagnate e le sorrise.
« Basta » le sussurrò superando i suoi singhiozzi. « Smettila, Malia »
Lei appoggiò i suoi occhi verdi su di lui e lo studiò come se fosse la prima volta che lo vedeva. « Dimmi che andrà tutto bene » lo pregò. « Dimmi che qualsiasi cosa mi succederà, tu ci sarai »
« Malia? » lui la guardò accigliato, ancora con le mani sulle sue spalle.
« Dimmelo » lo pregò di nuovo, con la voce che assomigliava sempre di più ad un sussurro.
« Non ti succederà niente » la rassicurò Tom, ma lei non era ancora soddisfatta, e i suoi occhi stanchi e arrossati lo decisero ad accontentarla: « Andrà tutto bene, » le disse, « resterò con te »
Come se quelle parole avessero fatto traboccare il vaso, Malia scoppiò in un pianto ancora più rumoroso, e si lasciò cadere addosso a Tom, avvolgendogli la schiena con le braccia e affondando il viso bagnato sul suo collo, le lacrime che gli rigavano la maglietta grigia.
Tom le prese il volto fra le mani e la costrinse a guardarlo, poi senza dire nulla, la baciò. Con un movimento sensuale ed elegante le sfiorò la punta del naso con la propria ed allacciò le loro labbra. La sua bocca aveva il sapore del tabacco, del buon vino rosso che consumavano ogni sera a cena e di menta. Le sue labbra morbide avvolgevano quelle poco carnose di Malia con grazia e profondità, come se lui avesse voluto assaggiarne ogni angolo.
Tom si allontanò da lei e la guardò ancora negli occhi verdi. « Sei al sicuro ». La portò a sedere su uno sgabello della cucina, e la affiancò prendendole un nuovo bicchiere ed una nuova bottiglia di latte, che lei bevve senza aggiungere una sola parola.
« Voglio che quando Malia è a casa, ci sia sempre qualcuno a tenerla d’occhio » ordinò Tom a Marie, che stava preparando i cereali e la frutta per la colazione.
« Certo »
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Salve gente!
Eccomi qui con un nuovo capitolo molto emotivo della nostra Malia, che non ce la fa più a reggere lo stress degli ultimi avvenimenti. Spero che il capitolo vi piaccia e che mi facciate sapere cosa ne pensate, perché come non mi stancherò mai di ripetere i vostri commenti sono super–importanti!
Grazie infinite a tutti i lettori,
a presto!

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Capitolo 13
*** Capitolo tredicesimo ***


13

“Ciao Malia, sono Sean, il tuo vicino di casa.
Scusa il disturbo, ma è da un po’ che non ti vedo da queste parti e non vorrei che ti fosse capitato qualcosa, viste le continue sparizioni... volevo solo dirti che ormai la tua cassetta delle lettere è piegata in due da tanta posta c’è lì dentro, dovresti venirla a prendere un giorno o l’altro, sempre se stai bene.
Fammi sapere,
Sean”
Malia lesse il messaggio del suo vicino di casa e lo colse come un’opportunità di uscire di nuovo. Era da tre settimane che rimaneva chiusa a casa di Tom e perfino la ben poco allettante idea di andare a prendere a casa sua la posta che aveva sempre odiato la entusiasmava.
Così la ragazza si vestì con un paio di jeans e una camicia bianca, con un paio di tacchi alti. Afferrò le chiavi della macchina e si avvicinò alla porta. Tom era al lavoro, quindi non avrebbe potuto impedirle di uscire per una mezz’ora facendo una scenata. Lei sapeva che si preoccupava per lei e che non voleva che le accadesse niente, ma per quanto la casa di Tom fosse grande e ci fosse sempre qualcosa da fare, lei aveva voglia di fare un giro, anche solo per recuperare la posta di casa sua.
« Malia, dove vai? ». Marie apparve dalle scale.
« A prendere la posta a casa mia »
« Posso andarci io, non credo che dovresti... »
« Non ci metterò molto, vado io. » rispose Malia con un tono che non ammetteva repliche, la prima volta che parlava a Marie come se fosse per davvero al suo servizio. Aprì la porta di casa e scese un paio di scalini, poi tornò di sopra e apparve sulla soglia. « Tom non deve saperlo » disse rivolta a Marie, poi scese le scale e guidò fino a casa sua.
« Ciao Browning » gridò Sean dal suo giardino vedendola uscire dall’auto.
« Ciao Sean » sorrise lei, nel frattempo aprì la cassetta delle lettere e iniziò a tirarne fuori molta posta.
« Allora, stai bene? » le chiese Sean. « Voglio dire, con tutto quello che sta succedendo »
« Più o meno sì, sto bene. Vorrei solo che li ritrovassero »
« C’è qualcosa che posso fare? Vuoi un caffè o... »
« No grazie, torno subito a casa »
Malia afferrò la posta rimanente e la gettò sul sedile del passeggero, poi si sporse dalla portiera. « Ciao Sean, grazie ancora! » gridò.
« No Malia, aspetta » disse lui avvicinandosi alla macchina.
Malia lo guardò aspettando che continuasse. Lui le sorrise e poi con gesto secco della mano le fece battere la testa contro la macchina e la guardò accasciarsi a terra. Lei si appoggiò dolorante una mano sulla testa sanguinante. In un primo momento gli avrebbe chiesto perché l’aveva fatto, ma pensandoci un minuto di più era arrivata alla conclusione da sola. Lui le annuì quando vide il suo viso accigliato, come a dirle che aveva capito ben,e e poi le premette un fazzoletto umido sulle labbra, fino a che Malia non scivolò nel sonno.
 
***
 
Nel frattempo, Tom era tornato a casa dal lavoro e, convinto di trovare Malia seduta in salotto, corrugò la fronte quando non la vide. Si spostò in cucina, ma anche lì non c’era. Salì le scale di fretta e percorse il corridoio a passo svelto, aprendo con un gesto veloce le porte che lo fiancheggiavano e trovandole tutte vuote. Per ultima arrivò alla sua e tirò un sospiro di sollievo vedendo un’ombra proveniente dal bagno.
« Malia » disse avvicinandosi a lei.
« No, Tom, sono io » Marie apparve con un’espressione desolata sul volto.
« Dov’è Malia? »
« Io... non lo so »
« Cosa vuol dire che non lo sai?! » gridò Tom con la voce carica di rabbia e paura insieme.
« Lei è andata a prendere la posta a casa sua e non è più tornata »
« E tu l’hai lasciata andare?! »
Non aspettò che la ragazza rispondesse e scese le scale di fretta afferrando il cellulare per chiamare Malia.
“Ciao, sono Malia. In questo momento non posso rispondere o vi sto evitando, quindi aspettate che sia io a richiamarvi”
« Maledizione! » urlò Tom gettando il telefono per terra. Iniziò a camminare avanti e indietro cercando di capire che cosa poteva fare. Poi corse qualche passo e riafferrò il telefono, chiamando la Centrale di polizia.
« Centrale di polizia di Los Angeles » rispose una voce femminile dall’altra parte della cornetta.
« Ho... ho bisogno di parlare con Oldman » rispose Tom con voce tremante.
« È stato sospeso, signore » rispose allora la donna.
« Beh allora dammi il suo numero! » ordinò Tom.
« Posso passarglielo con il centralino »
« Si, fallo subito » disse Tom agitato.
Partì un forte fischio e poi la voce di un annoiato Oldman.
« Oldman, sono Felton »
« Credevo che non ti avrei più rivisto »
« Lo credevo anche io, ma... » il cuore di Tom iniziò a battere a ritmo spropositato e lui iniziò a camminare avanti e indietro lungo la stanza mordendosi le nocche delle mani.
« Felton, cosa c’è? »
« Malia » disse lui con la voce rotta. « È scomparsa »
Oldman fece un verso di sorpresa e poi riattaccò il cellulare, lasciando Tom col fiato sospeso a torturarsi internamente per ciò che stava succedendo.
 
***
 
Con la sorpresa di tutti, al settimo piano della Centrale di polizia comparvero Oldman, Emma e Daniel, questi ultimi sorpresi e spaventati come il resto dei loro colleghi.
« Hanno rapito la Browning » disse tutto d’un botto.
Emma respirò rumorosamente, portandosi una mano alla bocca. Daniel aprì la bocca come se Oldman gli avesse appena detto che voleva suicidarsi.
« So che sto mettendo in pericolo le vostre vite, ma non possiamo aspettare che altri facciano quello che dobbiamo fare noi. La nostra squadra è tenuta in ostaggio da dei criminali e credo che dovremmo essere noi quelli che se ne occupano. Capisco che abbiate paura, perché anche io ne ho. Ho paura per me e per loro, ma ho bisogno di voi per ritrovarli »
« Io ci sto » rispose subito Daniel.
« Anche io » disse Emma.
« Bene, allora per prima cosa dovete localizzare i movimenti del cellulare di Malia, ormai non serve più cercare di localizzare quello degli altri. Cercate qualsiasi cosa ci possa dire dove sono »
« Subito ». Emma si fiondò alla sua scrivania e iniziò a digitare velocemente sul computer.
« Ah, Daniel? » disse Oldman poco convinto. « Chiama Felton e fallo venire qui »
« Sicuro? » chiese Daniel perplesso.
« Chiamalo e fallo venire qui » ripeté con un tono fermo di voce.
« Ho trovato qualcosa » annunciò Emma mentre Daniel afferrava il telefono. « Malia ha ancora il braccialetto elettronico alla caviglia »
« Grande! » gridarono in coro i due.
« Solo che c’è un problema » disse con tono un po’ più abbattuto. « Può essere localizzato solo se lei supera il confine »
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Salve gente!
Eccovi il tredicesimo capitolo e, stavolta, è il turno di Malia.
Spero che la storia vi piaccia e vi prego, come sempre, di recensire facendomi sapere cosa ne pensate, i vostri commenti sono importantissimi!
Grazie mille a tutti i lettori,
a presto!

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordicesimo ***


14

« Dov’è? », una voce femminile che echeggiava nella stanza. Sempre che quella fosse una stanza: da quando aveva aperto gli occhi, Malia aveva visto solo nero; doveva essere stata incappucciata da... non si ricordava il nome del ragazzo che l’aveva rapita. Sam, Scott, Spencer, Sean, doveva essere Sean.
Dalle cuciture del cappuccio intravedeva una scia di luce, probabilmente c’era una lampadina di fronte a lei, ma non ne era sicura. Riusciva a malapena a capire di essere seduta su una sedia, e solo perché i suoi polsi erano saldamente legati ai braccioli di legno. Provava da un po’ a muovere le dita e ad agitare le mani per allentare i nodi delle corde, ma non era servito a molto. Anche le caviglie erano legate alle gambe della seggiola, e la corda stringeva così forte che se provava a muoverle sentiva lo spago che le bruciava troppo dolorosamente sulla pelle nuda per tentare di nuovo. Aveva i piedi nudi, e si erano infreddoliti nell’appoggiarli su un pavimento gelido; forse era in una cantina. Aveva un fazzoletto legato intorno alla bocca, non riusciva a parlare o ad urlare, se non a produrre qualche mugolio sconnesso.
« Voglio vederla » la stessa voce, con un’eco ancora più prolungata e fastidiosa. La testa le faceva male, soprattutto se teneva gli occhi aperti. Non sapeva da quanto si era svegliata, potevano essere ore come giorni, non ne aveva idea. Sapeva solo che non poteva stare sveglia altro tempo senza fare niente.
Dopo qualche minuto sentì dei passi avvicinarsi e, subito dopo, qualcuno le tolse il cappuccio e il fazzoletto.
« Prova ad urlare, e ti uccido », la voce di Sean che le puntava una pistola contro.
Ora lo vedeva: era in un seminterrato con le pareti di legno, un pavimento di cemento freddo e nessuna finestra. Non vi erano mobili, a parte la sedia su cui Malia era seduta. Vi erano, però, sei schermi spenti e quattro telecamere, una per ogni angolo della camera. Di fronte a lei, c’erano due ragazzi e una ragazza: uno dei due era Sean, l’altro era un ragazzo alto e muscoloso, che non aveva mai visto. Lei, infine, era l’ultima persona che si aspettava di vedere: una ragazza bionda e da un sorriso malizioso, che tutti credevano morta. Malia la guardò meglio, sgranando gli occhi perplessa e sorpresa allo stesso tempo: Lisa Stevens era in piedi di fronte a lei.
« Ciao, ragazzina. Va bene se ti chiamo ragazzina, non sembro il tuo perfetto Tom? »
Gli occhi di Malia diventarono una fessura, ma anche se era incendiata dall’odio, non disse nulla.
« Mm, non sei una di molte parole, vedo. Non è poi un peccato, dopotutto, visto che sono io a dover parlare. Per prima cosa fatti dire questo: se credevi di essere diventata una grande detective dopo aver arrestato il mio assassino, beh si fa per dire, hai sbagliato tutto. Era tutto premeditato, Browning, dal primo schizzo di sangue al furto della mazza di Tom. Ah, Tom... credevo che fosse quello giusto, sai? Lo credevo davvero »
Lisa si mise a camminare avanti e indietro davanti a Malia, che la guardava spostarsi come se stesse assistendo ad un incontro di tennis, con la stessa espressione rabbiosa che le si era dipinta in volto da quando Lisa era entrata nella stanza.
« Ma non stiamo parlando di lui adesso. Non preoccuparti, dopo ti spiegherò perché lui è solamente uno sporco bastardo; immagino che ora che sei così innamorata di lui coglierai la prima occasione per parlare di lui... ad ogni modo, la pecca del mio piano è stato Jones. Jones e quella stupida di sua sorella Becca. E dire che credeva di essere la mia migliore amica... non è così, non lo è mai stata. Il mio licenziamento mi avrebbe allontanata da lei, dal suo illuso fratello che avrebbe fatto qualunque cosa per lei e per me, e soprattutto da Tom. Credevo che lui l’avrebbe presa bene, qualunque capo dovrebbe essere pronto ad accettare le dimissioni dei suoi dipendenti, non credi? Beh, lui non lo ha fatto, forse ha capito che era lui stesso ad essere la causa del mio licenziamento. Mi maltrattava, mi picchiava, mi costringeva ad andare a letto con lui, mi drogava e poi mi trattava come la sua schiavetta, come se niente oltre al lavoro ci legasse, che io lo volessi o no. All’inizio ero tremendamente attratta da lui, è un uomo carismatico, sensuale ed è ricco, chiunque al mio posto non avrebbe resistito alla tentazione. Tu per prima ci sei cascata, no?
Ma lasciatelo dire, Browning, dopo che è riuscito a conquistarti, dopo che è riuscito a convincerti che lui è l’uomo dei tuoi sogni, diventa l’uomo con cui ho convissuto fino al mio finto omicidio. L’uomo che ti usa solo per scaldare il letto e ti usa per facilitarsi la vita. Ti tratta come tratta le sue cameriere, immagino che tu abbia conosciuto Marie, no? »
Malia deglutì e poi guardò Lisa negli occhi, sempre senza dire nulla.
« Io non ce la facevo più e dando le dimissioni e trasferendomi credevo di risolvere le cose, ma la reazione di Tom e capire che lui mi avrebbe potuto raggiungere ovunque, mi hanno fatto pensare: perché vivere con l’angoscia che lui mi possa raggiungere, se posso farmi credere morta e incolpare lui per il mio omicidio? Lui l’avrebbe pagata per tutte le volte che mi ha maltrattata e costretta a fare cose che io non volevo fare. E io sarei stata contenta. Sapere di quello stronzo in prigione mi avrebbe appagata. Ma Jones voleva fare l’eroe, come sempre. Voleva risparmiare a sua sorella la prigione e si è preso la colpa al posto suo, ma Becca non aveva fatto niente. Lui non mi ha mai portato nessuna bottiglia di whisky, non ha mai rubato la mazza da golf. In realtà la mazza non ha mai lasciato il Country Club, l’avevo solo nascosta. Eppure il problema più grande del mio piano sei stata tu. Ti sei lasciata sedurre da Tom in un primo momento, e dopo hai iniziato a provare qualcosa di più di semplice attrazione fisica, hai iniziato a volerlo così tanto da essere disposta a condannare un innocente. Ed è una cosa crudele. Tu hai provato cosa si sente quando si viene condannati anche se innocenti, ma pur di salvare Tom avresti inflitto ad un bravo ragazzo una cosa del genere »
Malia aveva ascoltato tutto con la massima attenzione, fino ad arrivare alla fine con le lacrime salate che le rigavano il volto.
« Finirai in prigione, perché me lo stai dicendo? » chiese infine Malia con voce tremante.
Lisa si avvicinò a lei e la guardò negli occhi. « Perché tu non uscirai mai da qui » disse con un sorriso. « Come non lo faranno loro ». Lisa allungò una mano e il ragazzo muscoloso le passò un telecomando, con cui la ragazza accese gli schermi. Ognuno trasmetteva un’immagine diversa, ma tutte erano altrettanto dolorose: nel primo Matthew era legato ad una sedia, in una stanza uguale a quella di Malia; nel secondo c’era Bonnie; nel terzo Evanna; nel quarto c’era James che si agitava sulla sedia; nel quinto Oliver che come il gemello cercava di liberarsi; nel sesto Rupert che fissava le telecamere spaventato.
Malia sentì una morsa allo stomaco, e guardò Lisa negli occhi con l’espressione carica di dubbio e domande, non capiva perché la ragazza stava facendo tutto ciò.
« Andiamo Malia, dovresti aver capito... » disse Lisa. « Vi ho rapiti perché voi avete salvato Tom, e lui merita solo di marcire »
Malia la guardò con la tristezza e la rabbia che minacciavano di farla scoppiare in lacrime. « Sono stata io » disse. « Sono stata io a scagionarlo, loro non hanno fatto niente »
« Anche tu vuoi fare l’eroina... non servirà a niente » disse sorridendole e mettendosi in riga con gli altri due. « Ti consiglio di trovare qualcosa da fare, resterai qui per il resto della tua vita »
I tre si avvicinarono alla porta in riga, Lisa in testa alla fila.
« Aspettate! Non potete lasciarmi qui così! Ehi! » urlò Malia con tutto il fiato che aveva in corpo.
Sean si girò di scatto e sparò con la pistola che aveva tenuto in alto per tutto il tempo. Il proiettile colpì Malia di striscio, vicino al bacino, ma anche se il proiettile non l’aveva attraversata, iniziò subito a sanguinare e la ferita iniziò a far male già da prima, quando Sean premette il grilletto. Malia si lasciò sfuggire un gemito di dolore e guardò i tre con rabbia e stupore.
« Divertiti » disse infine Lisa, con lo stesso sorriso di prima.
La porta si chiuse dietro di loro e il silenzio riempì di nuovo la stanza. Malia poteva vedere ciò che stavano facendo i suoi amici, ovvero niente. Guardavano tutti gli schermi, probabilmente ora sapevano che anche lei era lì con loro. Sempre se erano nello stesso edificio...
La ragazza si guardò la ferita e la camicia che iniziava a macchiarsi di sangue scuro, poi si guardò intorno e cercò di pensare rapidamente. Non poteva fare niente, non aveva niente con sé che potesse aiutarla a scappare di lì o a comunicare qualcuno. Muovere le mani non serviva, muovere le caviglie era doloroso... Malia si guardò le caviglie di colpo. In un’altra occasione muovere le caviglie le faceva provare dolore, in particolare muoverne solo una: le prime settimane in cui portò il braccialetto elettronico muovere la caviglia le dava molto fastidio. Sapeva che il braccialetto non trasmetteva sempre la sua posizione, lo faceva solo quando lei superava il confine oppure se lo danneggiava. E quello era il piano.
Sperando che Lisa e i due ragazzi non la stessero controllando attraverso le telecamere, mosse dolorosamente il piede per tirarsi su la gamba opposta dei jeans. Non sapeva come poter rovinare il braccialetto, poteva solo tentare di romperlo facendo pressione con il tallone opposto. Iniziò a spingere con il piede sul braccialetto nero la cui lucina sarebbe dovuta diventare rossa perché Malia venisse localizzata. Malia continuò a spingere, fino a che il tallone non le scivolò dolorosamente sul pavimento duro, senza aver minimamente rovinato il braccialetto, che si illuminava ancora di verde.
Tentò di nuovo, ma ancora il tallone le scivolò, graffiandosi con il braccialetto che ancora trasmetteva una luce verde.
Malia allora pensò a qualcos’altro, e le venne in mente un’idea folle. Cercò di mettersi in bilico su due gambe della seggiola, poi iniziò a muovere la caviglia con il braccialetto verso l’alto, in modo da infilare la gamba della sedia corrispondente tra la caviglia e il braccialetto. Si grattò la pelle un paio di volte, iniziando a sanguinare appena al terzo tentativo. Poi, al quarto, Malia riuscì ad infilare la gamba vicino al braccialetto ed iniziò a fare pressione. Il legno della sedia avrebbe potuto cedere, eppure dopo gli sforzi di Malia che, in un equilibrio precario sul lato destro della sedia, aveva continuato a spingere per rompere il braccialetto, la luce diventò rossa ed iniziò a lampeggiare velocemente. Quando Malia si rimise in equilibrio su tutte e quattro le gambe il braccialetto si ruppe del tutto e cadde a terra, seguito da una scia di sangue che continuava a zampillare macchiando il pavimento e facendo soffrire Malia, che ora perdeva sangue sia dal bacino che dalla gamba.
 
***
 
Nella Centrale di polizia tutto taceva. Emma, Daniel e Oldman riposavano sulle loro sedie, l’unico sveglio era Tom, che continuava a controllare il computer della Watson nel caso succedesse qualcosa. Era preoccupato, non sapeva dov’era, con chi, perché l’avevano rapita... avrebbe dovuto impedire che rimanesse da sola, soprattutto con quelle incompetenti delle sue cameriere.
Non aveva dormito da quando era arrivato lì, e anche ad un’ora così tarda della notte, cercava di rimanere sveglio di fronte al monitor.
E poi eccolo, un bip: il segnale di localizzazione di Malia.
Tutti si svegliarono, aspettavano quel suono da quando si erano chiusi al settimo piano della Centrale e ora potevano salvare Malia e tutti gli altri che erano stati rapiti, anche se probabilmente sarebbe stato difficile entrare in quell’edificio.
« Forza, forza, andiamo! » disse Oldman infilandosi la giacca e prendendo una paio di chiavi.
Tom si mise al suo seguito, ma la mano di Oldman sul suo petto lo fermò lì dov’era. « Tu resti qui »
Tom lo guardò come se fosse un pazzo e scostò la sua mano. « Stanno per uccidere l’unica ragazza a cui sia stato veramente legato, in qualche modo. Se credi che io rimarrò qui a girarmi i pollici puoi farlo, ma so l’indirizzo e la mia macchina è qua sotto. Devi solo dirmi se vuoi che venga con voi o per conto mio »
Oldman guardò Emma e Daniel, come se loro potessero dargli una risposta e poi sospirò rumorosamente: « Va bene » concesse. « Ma non fare cazzate ».
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Salve gente!
Eccovi il quattordicesimo capitolo, che spero che sia di vostro gradimento!
Vi prego come sempre di farmi sapere cosa ne pensate perché i vostri commenti sono importantissimi!
Grazie a tutti i lettori,
a presto.

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Capitolo 15
*** Capitolo quindicesimo ***


15

La luce della stanza, che rimaneva accesa ventiquattro ore su ventiquattro, iniziava ad infastidire Malia. La vecchia lampadina era proprio sopra la sua testa e, nonostante il freddo della cantina in cui si trovava, il calore della lampada le faceva sudare freddo e rabbrividire.
Il tempo preciso che aveva passato lì dentro non lo sapeva, ma secondo i brevi calcoli che aveva fatto basandosi sugli orari impressi sulla sinistra dei monitor doveva essere lì più o meno da ventisette ore.
Il silenzio era assordante e vedere i suoi compagni nella sua stessa situazione, disperatamente alla ricerca di un modo per fuggire, la faceva sentire malissimo: era stata lei a scagionare Tom, non loro. Sarebbe dovuta essere lei la prima e ultima vittima di quei rapimenti folli. Anzi, ripensandoci bene, forse non avrebbe proprio dovuto accettare il lavoro. In quel modo non avrebbe mai conosciuto Tom, non si sarebbe mai innamorata di lui e non avrebbe fatto niente di quello che aveva fatto per salvarlo. In effetti, in quel momento, rimpiangeva il suo lavoro allo squallido supermercato in fondo alla strada dove abitava.
La testa non aveva smesso di farle male, anzi, il dolore era aumentato da quando si era ferita. La prima volta a causa della pallottola che l’aveva colpita di striscio, la seconda a causa del sangue che aveva iniziato a zampillare dalla sua caviglia quando si era tolta il braccialetto elettronico; sperava che quel piano funzionasse, era l’unico che le era passato per la testa e l’unico che aveva a disposizione: se ci fossero stati altri modi per comunicare, di sicuro Matthew e gli altri suoi colleghi rapiti prima di lei sarebbero riusciti a trovarli. Quelle ferite le facevano male, la mancanza di sangue la faceva sentire stanca e debole e ogni volta che guardava le macchie scure sulla sua camicia o sul pavimento sotto di lei le saliva la nausea.
A volte aveva pensato di urlare e chiedere aiuto o muoversi così violentemente sulla seggiola fino ad arrivare a scorticarsi braccia e gambe, ma prima di fare danni aveva capito che non sarebbe servito a nulla. Nel primo caso le avrebbero sparato come era già successo, nel secondo si sarebbe liberata e poi? Non sapeva dove fossero i suoi amici, non sapeva nemmeno se fossero nel suo stesso edificio, e nel caso sarebbe corsa fino alla prima porta che si trovava di fronte, avrebbe trovato Sean, il ragazzo muscoloso che era sempre con lui o qualche altro ragazzo che lavorava per Lisa che anche in quell’occasione le avrebbe sparato.
Così si era ritrovata ad aspettare che il piano del braccialetto funzionasse e a spostare inevitabilmente lo sguardo sugli schermi di fronte a lei. Ogni volta che li guardava un’immagine in particolare la faceva sentire male: tutti cercavano di liberarsi, muovevano a scatti mani e piedi per allentare le corde che li tenevano fermi, mentre Matthew, il primo ad essere stato rapito, rimaneva fermo. Malia capì solo dopo che lo faceva perché sapeva che era inutile e che, se nessuno avesse fatto caso alla localizzazione del braccialetto, sarebbero rimasti lì proprio come Lisa aveva promesso a Malia.
 
***
 
In macchina la tensione si poteva quasi toccare. Oldman al volante sfrecciava tra le auto in coda, impaziente di salvare i suoi agenti e di rivederli tutti sani e salvi. Emma, seduta davanti al suo fianco, passava dal guardare il navigatore al guardare la strada, come se da un momento all’altro l’edificio che stavano cercando potesse materializzarsi di fronte a loro. Daniel fissava il paesaggio fuori dal finestrino nervoso, mangiandosi le unghie della mano destra e tamburellandosi con quella sinistra sul ginocchio. Infine Tom fissava semplicemente davanti a lui. La sua espressione era indecifrabile, come lo erano le emozioni che lottavano dentro di lui per avere la meglio sui suoi sentimenti. Era arrabbiato, deluso, preoccupato, triste, ansioso, tutte emozioni che mai prima d’allora aveva provato in una volta sola. Teneva a salvare Malia molto più di quanto non avesse tenuto a qualsiasi altra cosa nella sua vita. Era innamorato di lei? Se gli avessero chiesto se l’amava, lui cosa avrebbe risposto? , disse fermamente tra sé e sé, e si ripeté quella sillaba all’infinito per convincersi che tutto il trambusto che nella sua testa e nel suo petto stava prendendo il sopravvento era giustificato, che provava tutte quelle emozioni perché amava Malia e quando qualcuno è innamorato non capisce più niente.
In quel momento riusciva solo a percepire il suo cuore che batteva a ritmi spropositati, così velocemente che avrebbe giurato che sarebbe potuto uscirgli dal petto. In particolare, il ritmo accelerò ancora quando il navigatore annunciò che, dopo aver svoltato a sinistra, avrebbero raggiunto l’edificio dove Malia era stata portata.
 
***
 
Una serie di passi ruppero il silenzio che aleggiava nella stanza di Malia. Lei si girò in direzione della porta e cercò velocemente di nascondere il braccialetto rotto: ora che era più largo era più facile infilarlo e sfilarlo dalla caviglia. E la macchia di sangue? Malia cercò di saltellare fino a lì per coprirla con la sedia, in quel modo avrebbero pensato che era causa della ferita al bacino causata dal proiettile.
La porta si aprì e Lisa entrò con Sean e altri tre ragazzi. Lui, invece che sistemarsi di fianco a loro, si avvicinò a Malia e si mise in piedi di fronte alla sedia. Alla ragazza sarebbe piaciuto tanto sapere la ragione di quella mossa strana, ma non chiese nulla e si limitò a fissare Lisa negli occhi.
« Devi sapere che prima che tu arrivassi qui ho interrogato i tuoi amici » disse. « Ho chiesto loro se sapessero dove fosse Tom, ma nessuno di loro ha saputo rispondermi. Ho pensato che, visto che il mio piano è stato rovinato, rapire anche lui o addirittura ucciderlo avrebbe risolto i miei problemi, ma trovarlo è molto più difficile di quanto mi aspettassi »
La bionda cominciò a camminare avanti e indietro, i tacchi delle scarpe che scandivano un ritmo inquietante che rimbombava nella stanza.
« Ma ora che ho rapito la sua ragazza immagino che sarà tutto più facile. Ti farò poche domande e, nel caso tu dovessi darmi delle risposte insoddisfacenti, Sean sarà pronto a punirti. È chiaro? »
Malia non rispose, ma continuò a guardarla negli occhi. Allora Sean si mise di fronte a lei e le tirò uno schiaffo sulla guancia destra, così forte che Malia non riuscì a non piegare la testa di lato. Era convinta che fin da subito le cinque dita della mano del ragazzo si fossero stampate sulla sua guancia.
« È chiaro? » ripeté Lisa.
« Chiaro » disse Malia con la voce rotta. Sean si spostò di nuovo di fianco a lei e guardò Lisa aspettando che parlasse.
« Quando hai lasciato casa tua ti sei trasferita da Tom? » chiese la bionda.
« Sì »
« Ti ha mentito su di me e sulla nostra relazione? Ti ha detto che ci amavamo? »
Malia deglutì e, a fatica, rispose: « Sì »
« Siete andati a letto insieme? »
Malia deglutì ancora. « Sì »
« Ti ha costretta? »
« No »
« Ti ha maltrattata o picchiata? »
« No »
« Ti ha mai detto che ti ama? »
« No »
« Gli hai mai detto che lo ami? »
« No »
« D’accordo, ultima domanda » annunciò infine. « Dov’è Tom? »
Malia si guardò intorno e non rispose subito. Dov’era Tom? Era preoccupato per lei, la stava cercando, aveva chiamato la polizia, o in quel preciso momento era a letto con qualcun altro? Stava convincendo qualche altra ragazza di essere la più sexy che lui avesse mai visto? Lei non lo sapeva, ed era la risposta più sincera che potesse dare. Dio solo sapeva quanto avesse voluto dire che in quel momento la stava venendo a prendere, ma dirlo sarebbe sembrato stupido, una speranza infantile che l’avrebbe solamente fatta sentire peggio.
« Non lo so » rispose quindi, con la voce rotta.
Sean si posizionò ancora di fronte a Malia e questa volta la colpì con un pugno sulla guancia sinistra, facendola un’altra vola voltare dalla parte opposta. La ragazza ci mise un po’ a risistemare la testa e a sputare un grumo di sangue a causa del pugno.
« Te lo ripeto un’ultima volta » disse Lisa avvicinandosi a Malia. « Dov’è Tom? »
« Proprio dietro di te », prima che Malia potesse aprire bocca, la risposta arrivò dall’altra parte della stanza.
Lisa si voltò con gli occhi sgranati e Malia spostò con lei lo sguardo su Tom che puntava una pistola contro la bionda. Dietro di lui fecero il loro ingresso Oldman, Emma e Daniel, tutti con le pistole puntate contro i ragazzi di Lisa.
« Beh che state aspettando, idioti? » chiese la ragazza.
I tre presero le loro tre pistole ed iniziarono a combattere con Oldman, Emma e Daniel, Tom abbassò un po’ la pistola e sparò alla gamba destra di Sean, facendolo cadere rovinosamente a terra. Corse velocemente verso la sedia di Malia, slegò le corde delle mani e poi iniziò a slegare quelle delle gambe.
« Liberala e l’ammazzo » disse Lisa. Malia realizzò solo dopo cosa voleva dire, percependo il ferro freddo della pistola puntata contro la sua nuca.
Tom si allontanò con le mani in alto, facendo cadere la pistola che aveva in mano.
Per un attimo la stanza cadde nel silenzio: lo scontro tra Emma, Oldman e Daniel sembrava al rallentatore, la paura negli occhi di Tom sembrava ingrandita con il microscopio. Poi con un gesto veloce Malia afferrò la pistola che Tom aveva fatto cadere e sparò a Lisa, se in testa, nel petto, o alle gambe, non lo sapeva. Dietro di lei, però, il tonfo del suo corpo che cadeva a terra rimbombò nella stanza, come lo fece il colpo che partì dalla pistola di Lisa subito dopo che Malia le aveva sparato. Come un’enorme ago che le si infilava nella schiena, il proiettile la colpì e la fece accasciare sulla sedia, il sangue che ancora fuoriusciva dal suo corpo e la indeboliva ancora di più. Le si annebbiò la vista, la testa cominciò a girarle e poi nulla aveva più importanza. Non aveva importanza che i ragazzi di Lisa fossero stati catturati da una squadra di agenti arrivata sul posto, la stessa che aveva salvato i suoi amici che ora non erano più visibili attraverso gli schermi. Non aveva importanza che Emma, Daniel e Oldman stessero bene. Non aveva importanza che Lisa fosse morta. Non aveva importanza che Tom fosse lì, che l’avesse liberata del tutto e ora la stesse abbracciando, nella speranza che un banale abbraccio potesse guarire le numerose ferite di Malia. Tom piangeva, Malia riusciva a sentire le sue lacrime che le bagnavano il viso.
In lontananza vide una serie di paramedici con una barella, che correvano di fretta verso di lei. La caricarono sulla barella e la spinsero via, fuori dall’edificio, con l’aria che si abbandonò su di lei come se fossero secoli che non respirava davvero. I medici la caricarono sull’ambulanza e con lei fecero salire Tom. E ora sì che lui aveva importanza: era lì con lei, le teneva la mano con le sue tremanti.
I medici la intubarono e iniziarono a tamponare sulle ferite aperte, alcuni di loro la incoraggiavano e, anche se Malia poteva sentirli, non poteva rispondere a tutti i “Tieni duro”, “È finita”, “Sei in salvo”. Poteva solo pensare che i suoi amici stavano bene e che Tom era lì con lei, il resto non aveva importanza.
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Hey there!
Eccomi qui con il quindicesimo capitolo e, ve lo anticipo, il prossimo sarà l’ultimo. Ho pensato che il sedicesimo costituirà una specie di epilogo e sarà la conclusione di questa fic a cui, scrivendola, mi sono molto affezionata.
Spero vivamente che questo capitolo vi piaccia e che mi facciate sapere cosa ne pensate perché, come non mi stancherò mai di dire, i vostri commenti sono importantissimi!
Grazie infinite a tutti i lettori,
a presto!

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Capitolo 16
*** Epilogo ***


EPILOGO

Anche se Malia Browning non aveva ancora aperto gli occhi, era sveglia. Sentiva un fischio, o forse era un semplice e fastidioso sibilare, delle macchine accanto a lei. Aveva gli occhi chiusi, eppure la luce al neon dell’ospedale l’infastidiva, tanto che fu costretta a strizzarli un po’, anche se chiusi, perché si abituassero alla luce. La testa le faceva ancora male, ma era di molto migliorata da quando aveva perso i sensi qualche ora prima. Non sapeva quanto fosse passato da quando i paramedici l’avevano portata all’ospedale, forse addirittura un giorno.
Si scostò un po’ sul letto. Una garza faceva pressione sul suo bacino e sulla sua schiena, le parti in cui le avevano sparato, il piede invece era nudo, semplicemente ripulito dal sangue che vi era colato sopra quando Malia si era strappata via il braccialetto elettronico.
Qualcosa era appoggiato di fianco a lei sul letto, ma ancora la ragazza si ostinava a tenere gli occhi chiusi. A occhio e croce, però, era una persona. Forse Tom era sveglio e aspettava con ansia che anche Malia si svegliasse, forse i medici non erano certi che l’avrebbe mai fatto e Tom stava pregando chissà quale Dio perché accadesse un miracolo e la ragazza aprisse gli occhi. Quel pensiero fece sentire terribilmente in colpa Malia, che invece nutriva il semplice desiderio di rimanere un altro po’ con gli occhi chiusi, di rimanere distante da tutti gli avvenimenti che le erano scivolati addosso per un altro paio di minuti.
Cercò di aprire gli occhi. Lo sforzo di sollevare le palpebre, sempre risultato spontaneo e naturale, si rilevò faticoso, quelle erano così pesanti che Malia pensò di restare ancora con gli occhi chiusi. Sbatté leggermente le ciglia – forse fare piccoli movimenti poco alla volta sarebbe costato meno sforzi. Alla fine, sollevò le palpebre e mosse gli occhi verdi da destra a sinistra. La luce era ancora più forte di quanto si aspettasse, dovette portarsi una mano sugli occhi perché ci si abituasse.
Poi abbassò lo sguardo sui capelli biondi che giacevano sul lenzuolo accanto a lei. Con un braccio sistemato sotto la guancia e gli occhi dolcemente chiusi, Tom dormiva accanto a lei. Ah, Tom... lo guardava e le già poco chiare idee che Malia aveva su di lui si facevano ancora più confuse. Si chiedeva se le tante cose che Lisa aveva detto su di lui fossero vere, se una volta che ti aveva dato tutto ciò che desideravi si mostrava come la vera persona che era... Malia provò ad immaginarselo e, nonostante i suoi numerosi sforzi, non poteva crederci, non voleva farlo. Aveva conosciuto Tom mesi prima e, fin dall’inizio, non riuscì a non pensare che lui fosse un uomo arrogante e sfrontato, qualcuno che non ci si sarebbe dovuti sforzare di odiare perché già abbastanza antipatico. Chi mai avrebbe pensato che loro due sarebbero finiti così? Lei in un letto d’ospedale e lui lì vicino, a tenerle la mano e sperare che si svegliasse. Chi avrebbe mai immaginato che dopo tutte le volte che Tom l’aveva sottovalutata e derisa tra loro due nascesse qualcosa?
Malia si era sbagliata così tante volte che non sarebbe riuscita a sopportare di sbagliarsi anche sul conto di Tom. I suoi colleghi, e amici, avevano creduto in lei e invece per causa sua la maggior parte di loro era stata rapita e pestata.
A Malia venne da piangere, non sapeva se per tristezza o gioia, ma le lacrime iniziarono a rigarle il viso e a gocciolare sul lenzuolo del letto e sul suo camice azzurro. Erano troppe le emozioni, gli sbagli e i ricordi che battevano nel suo petto, per quello stava piangendo. Avrebbe voluto essere migliore.
« Ragazzina », la voce di Tom, un po’ roca perché si era appena svegliato, la inondò come una boccata d’aria fresca.
« Tom » rispose lei con la voce incrinata dal pianto, ma sforzandosi di sorridere.
« Stai bene? » gli chiese il ragazzo mettendosi dritto sulla sedia.
« Io... credo di sì »
« Vado a chiamare il dottore, va bene? » chiese il biondo alzandosi dalla sedia.
« No, per favore » disse Malia afferrandogli il braccio con la mano.
Tom la guardò accigliato e si riavvicinò al letto. « Mi dispiace per quello che è successo. Avrebbe potuto ucciderti » si spiegò allora Malia. « Avrebbe potuto uccidere tutti, in realtà » aggiunse poi, più rivolta a sé stessa che non al ragazzo.
Tom sospirò e le strinse la mano con più forza. Percepiva sotto le sue dita i tubi che si infilavano nelle vene della ragazza, gli aghi freddi e i cerotti appiccicosi. « Dai, fammi spazio » le disse, sdraiandosi accanto a lei sul letto. « Sei stata geniale. Se non fosse stato per te, sia tu che i tuoi colleghi sareste rimasti lì per chissà quanto altro tempo. Non dirlo neanche per scherzo che è stata colpa tua »
« Sono stata io a scagionarti » gli fece notare la castana.
« Non ne è valsa la pena? » chiese ironico Tom alzando le sopracciglia.
« Ah, mi è sempre piaciuto il fatto che tu fossi un ragazzo modesto... stavo cercando di fare un discorso serio, io »
« Senti Malia, sarai pur stata tu a scagionarmi, ma sei stata sempre tu a sistemare le cose alla fine. Non hai niente da rimproverarti »
« Ma se io e te non avessimo... »
« Non dirmi che avresti preferito risparmiare i tuoi amichetti piuttosto che stare con me »
Malia allora gli scoccò un’occhiata severa e divertita insieme, al che lui le lasciò un bacio sulla fronte.
« Posso andare a chiamare il dottore, adesso? » chiese Tom quasi impaziente.
Malia acconsentì con un breve cenno del capo e il biondo si alzò dal letto scomparendo dietro la porta. La ragazza rimase lì qualche minuto, poi qualcuno bussò alla porta e senza aspettare la sua risposta, la aprì. Invece che trovarsi di fronte il medico, Malia vide la squadra di Oldman al completo. Vide Matthew, Evanna, Bonnie, James e Oliver, Rupert, Daniel, Emma, lo stesso Oldman ed infine anche Tom.
Malia rimase col fiato sospeso e poi liberò l’aria aprendosi in un sorriso. « Ciao ragazzi »
Le loro voci cominciarono a sciamare nella stanza:
« Stai bene, Malia? »
« Allora Browning, hai rischiato grosso, eh? »
« Ragazzina, sei riuscita a cacciarti in un bel guaio »
« Beh, almeno ora stai bene »
« Ragazzi » li interruppe Malia guardandoli uno a uno. « Volevo chiedervi scusa, ad ognuno di voi. Se non fosse successo... », la ragazza spostò un attimo gli occhi su Tom e si interruppe per guardarlo negli occhi blu, « ...quello che è successo, voi non avreste mai vissuto un’esperienza orribile come quella. Mi dispiace »
Mentre le loro parole di consolazione le scivolavano addosso, Malia si fermò ancora a pensare a Tom, forse pentendosi del minuto di esitazione in cui si fermò a guardarlo durante il suo discorso di scuse. Si pentiva di quello che aveva fatto? Si pentiva di aver messo in pericolo la vita dei suoi colleghi per la sua relazione con lui? No, assolutamente no. Aveva sbagliato, l’aveva ammesso e riconosceva l’errore, ma non avrebbe mai scambiato Tom per nessun altra cosa.
Lo guardò di nuovo: il ragazzo che fino a qualche mese prima era solo un ricco agente che Malia vedeva in televisione, quello che era il sospettato principale del suo primo caso e che prima tutti, in Centrale, volevano dietro le sbarre. Ora quel ragazzo era il ragazzo di Malia, rideva e parlava tranquillamente con gli agenti di polizia che avevano cercato di arrestarlo. Malia ne aveva frequentati, di ragazzi arroganti e che la trattavano uno schifo... Tom era diverso, e anche se forse non era perfetto, a Malia andava bene com’era. Era quanto di più straordinario avesse mai potuto desiderare. Straordinario... non l’aveva forse chiamata così, Tom, quando lei era riuscita a scagionarlo?
« Malia, stai bene? » le chiese Emma ad un certo punto, richiamandola dai suoi pensieri.
« Sì » rispose Malia scrollando le spalle. « Sì, mai stata meglio »
« Magari dovremmo lasciarla riposare » suggerì James aprendo la porta. « È su un letto d’ospedale e dice che non si è mai sentita meglio, forse non si è ancora ripresa bene »
Dopo una risata collettiva, i colleghi di Malia si congedarono con i più calorosi auguri di guarigione. Tom rimase per un attimo in mezzo alla stanza, poi afferrò la maniglia e diede le spalle a Malia.
« No, resta » gli disse lei.
« Hanno ragione, dovresti riposare »
« Tom » disse Malia con serietà.
Il ragazzo la raggiunse e si sdraiò di nuovo accanto a lei. Le avvolse le spalle con il braccio e si chinò su di lei per baciarla con passione.
« Grazie » gli disse Malia infine.
« Per cosa? »
« Mi hai stravolto la vita. Prima non mi sarei mai sognata di essere così felice, invece adesso mi sento finalmente bene. So di aver superato le accuse e gli arresti di quando ero più piccola, ho cambiato pagina e senza di te non sarebbe la stessa cosa »
« Mi stai davvero ringraziando? » chiese lui stupito.
« Certo » disse Malia.
Tom rise e tirò fuori dal minifrigo della stanza una bottiglia di vino rosso, poi prese due bicchieri di plastica e ve lo versò dentro. Passò a Malia la bottiglia, che la guardò con attenzione. Commossa, sorrise al ragazzo. « È lo stesso vino della nostra prima cena »
« Non siamo su una barca, ma conta il pensiero, giusto? » disse Tom sollevando il bicchiere.
« A noi » disse Malia alzando il suo e sorridendogli.
Tom la guardò con lo sguardo perso nei suoi occhi verdi e le sorrise a sua volta: « A noi, ragazzina »
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Salve gente!
Eccomi qui, molto dispiaciuta, ma con l’ultimo capitolo della fic. Scrivendola, mi sono affezionata molto a questa storia e mi dispiace molto averla finita.
Spero vivamente che il capitolo sia di vostro gradimento e che la storia vi sia piaciuta, perché ci tengo davvero tantissimo. Ringrazio tutti i lettori che hanno dato un’occhiata ai capitoli e che hanno letto la mia fic, in particolare ci tengo a ringraziare:
GiuliaMad, che mi ha sempre fatto sapere la sua opinione, facendomi complimenti e dicendomi cosa ne pensava della storia;
alwayswithemsw, che ha commentato alcuni dei capitoli facendomi sapere cosa ne diceva della fic e ha recensito in modo molto positivo;
ed infine Giul5s, che è “uscita dal guscio”, come ha detto lei, e mi ha fatto molti complimenti recensendo uno degli ultimi capitoli.
Questo è quanto... non so quando tornerò, ma tornerò.
Fino ad allora, arrivederci e baci!

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