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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Il progetto MS539 *** Capitolo 2: *** Il Cappello Parlante *** Capitolo 3: *** I dolori del giovane Piton *** Capitolo 4: *** Bagni affollati e moti di ribellione *** Capitolo 5: *** Segreti segretissimi *** Capitolo 6: *** ... che poi l'epilogo c'è, ma non vissero proprio tutti felici e contenti, eh... ***
Le sedie attorno al grande tavolo ovale di metallo erano già tutte occupate. Le due file di luci alogene sul
soffitto lanciavano una luce gelida sulle pareti innaturalmente lisce
dell’hangar; tutto in quella sala era asetticamente
grigio-azzurrino. Persino i camici candidi degli individui accomodati
sulle sedie ovoidali parevano riflettere quella tonalità
onnipresente. Gli occhi di tutti erano rivolti
verso un’estremità del tavolo. Davanti ad un gigantesco,
buio schermo piatto un’unica sedia rivolgeva lo schienale alla
platea. Regnava un silenzio teso: nessuno
sembrava intenzionato a parlare, ma piccoli gesti – il ritmico
dondolare di un piede, il tamburellare silenzioso sul tavolo –
tradivano il nervosismo. Da capotavola giunse un fruscio,
seguito da un tonfo ovattato; la sedia girò lentamente facendo
perno sull’unica gamba. Gli astanti si alzarono in piedi all’unisono, compunti. “Buongiorno, stimati
colleghi,” disse la donna davanti allo schermo. Il gatto che
aveva in grembo miagolò una volta. “Buongiorno, Presidente,” fu la corale risposta. La donna sorrise appena. Si
alzò lentamente facendo sloggiare il gatto e rassettò due
ciocche in disordine; il cortissimo, severo caschetto scuro e il trucco
pesante ne accentuavano il viso pallido, lungo e ossuto. Gli occhi
erano freddi dietro gli occhiali dalla montatura di metallo. “Prego, sedetevi.” I tacchi alti batterono il ritmo di
ogni passo mentre marciava avanti e indietro. Il camice bianco non
riusciva a nascondere gli stivali di vernice e le gambe troppo magre. “Sapete cos’è questo?” chiese all’improvviso, lasciando cadere sul tavolo un volume. Una donna poco distante si sporse timidamente. “Un libro,” azzardò stringendo gli occhi. “Mi sembra… ah, certo, Harry Potter.” La giovane rialzò lo sguardo speranzosa, ma ciò che incontrò fu un vago cenno di diniego. “Parzialmente corretto. Questo
è il nostro nuovo obiettivo. Abbiamo esteso il nostro dominio in
svariati fandom, eppure non sono ancora soddisfatta dei risultati
raggiunti con Harry Potter. Presto però, grazie alle mie idee e
alle nostre tecniche all’avanguardia, saremo in grado di plagiare
nuove giovani menti, pilotando a nostro piacimento trame e
personaggi.” “Ma… signora, se mi
permette…” azzardò un ometto calvo e nervoso
dall’altro capo del tavolo, “si tratta di un fandom per
ragazzini, mancano gli impulsi ormonali adatti, gli istinti su cui fare
leva! Si tratta di…” “Silenzio! Non dimenticate che
esistono le fangirl,” lo interruppe la donna. “Abbiamo un
potenziale esercito inconsapevole che non attende altro che il nostro
trionfo. Se avremo successo gli autori stessi si piegheranno al nostro
volere! Useremo le pruriginose fantasie di adorabili adolescenti
grafomani per minare alle fondamenta la stabilità mentale dei
personaggi e la struttura del canon… e il trionfo sarà a
portata di mano!” Una vena le si contrasse sulla tempia
mentre stringeva convulsamente il pugno; una ragnatela di rughe le si
dipinse sulla fronte. “Badate, non dico che sia
semplice, ma la nostra arma ha delle potenzialità
impressionanti. Il processo è già iniziato”, disse,
sfiorando con le mani la spalliera della sedia ed avvicinandosi al
grande schermo. “Signore e signori, vi presento il progetto MS539!” La sala trattenne il fiato per un istante. Lo schermo divenne blu e luminoso, prima di mostrare un’immagine. La sala di un castello.
1 settembre 1996, Hogwarts Sala grande
“Devono darsi una mossa con lo Smistamento”, gemette Ron massaggiandosi lo stomaco. “Ho fame…” “Ron, sei sempre il solito. Si
tratta di una cerimonia importante, non è una perdita di
tempo!” lo rimbeccò Hermione. “Sarà…
però potrebbero anche sbrigarsi,” aggiunse in un
brontolio, guardando la fila ancora consistente di ragazzini del primo
anno in attesa di essere assegnati alla propria Casa. “Senza
contare che sentire “Grifondoro!” o
“Corvonero!” strillato a intervalli irregolari mi sta
facendo venire mal di testa!” Hermione alzò gli occhi al cielo. “Santo cielo Ron! Non hai fatto
che lamentarti da quando ti sei seduto… sei quasi peggio di
Harry l’anno scorso.” “Eh?” disse l’interpellato, raddrizzandosi gli occhiali sul naso. Hermione divenne molto rossa; Ron fece cadere rumorosamente la forchetta e sparì sotto il tavolo. “Io… oh, Harry, mi
spiace, sono stata orribile! Non… non volevo dire che sei stato
insopportabile, lagnoso, pesante e irascibile per tutto il quinto anno.
Certo, non facevi che urlarci dietro, ma ti capisco, ne avevi tutte le
ragioni e… ma mi stai ascoltando?” scattò,
cambiando repentinamente tono. Harry non rispose. Aveva lo sguardo
fisso verso l’altro lato della Sala, su un Serpeverde a caso, col
viso aguzzo e i capelli molto biondi e molti lisci. Ron riemerse da sotto il tavolo e picchiò la testa contro lo spigolo. “Merda!” grugnì, massaggiandosi la parte lesa. “Ron! Controllati!” sibilò Hermione. “Malfoy non mi convince,”
borbottò Harry massaggiandosi la cicatrice. “E’
sfuggente…” “Più del solito?” chiese Ron. “… secondo me trama qualcosa…” “Cosa che ha fatto per cinque anni,” proseguì l’amico, bevendo un sorso di succo di zucca. “E poi continuo a sognarlo.” Ron sputò il succo di zucca prendendo in piena faccia Seamus. “C-cosa?” “Lo sogno,” continuò Harry. “Ma sono sogni strani, sembra che non mi appartengano…” “Sei ancora provato dallo
scontro di due mesi fa”, intervenne con molto buon senso
Hermione. “Certe esperienze lasciano il segno; inoltre se
continui ad arrovellarti su Malfoy è ovvio che te lo sogni anche
di notte.” Harry la guardò distogliendo a fatica lo sguardo da Malfoy. “Dici? Bho, forse hai ragione… però lo terrò d’occhio, non si sa mai che…” “Ehi, hanno finito finalmente!” gioì Ron tendendo il collo oltre le spalle di Calì Patil. Harry e Hermione si girarono verso il
Cappello Parlante; la fila di nanerottoli del primo anno si era in
effetti esaurita. La professoressa McGranitt tese la mano per riporlo
al suo posto. Ron si leccò i baffi e si stese il tovagliolo sulle ginocchia. Silente si alzò in piedi e sorrise alla sala. “Bene! Ci sarà un tempo per i discorsi e le raccomandazioni, ma non è questo! Ora…” Slam. La porta si spalancò con gran clamore. Circa un migliaio di teste si voltarono verso la fonte del suono, ammutolendo. Se qualcuno avesse continuato a
guardare verso il tavolo degli insegnanti avrebbe notato il sorriso di
Silente smorzarsi lentamente; Piton sgranò gli occhi e
impallidì un po’di più e la McGranitt, ancora col
Cappello in mano, scosse la testa mentre le braccia le si afflosciavano
lungo i fianchi. Ma ovviamente nessuno ci badò,
perché ciò che videro in fondo alla sala fu sufficiente a
catalizzare tutta l’attenzione. Una ragazza varcò la soglia, marciando solennemente lungo il corridoio tra i tavoli. “E quella chi è?”
chiese Ginny vagamente schifata. Harry scosse la testa: un brivido gli
fece tremare le membra. “Mentecatta,” ringhiò Hermione squadrandola da capo a piedi. E va bene, passino i capelli biondi
come il grano, mossi e lucenti come onde di seta; passino anche gli
occhi bicolori –uno verde giada, l’altro color dello
zaffiro- (“Ma secondo te è una malattia?” si
sentì bisbigliare.); passino le labbra rosse come ciliegie
(“Il rossetto era vietato a scuola, o sbaglio?” chiese
Lavanda a Calì.) e lo splendore perlaceo dei denti candidi. Ma a
tutto c’è un limite. “Per la barba di
Merlino… che due… che… wow! Che gran paio
di… di…” balbettò Ron diventando di una
sfumatura di viola estremamente trendy. Il suo balbettio non fu
incomprensibile agli altri ragazzi della sala, che al pari del giovane
Weasley avevano lo sguardo imbambolato sulle forme prorompenti della
fanciulla (che, nonostante la quinta di reggiseno, riusciva ancora a
sembrare agile e snella come una silfide). Persino l’altero principe verde
argento, il ragazzino precedentemente noto come Draco Malfoy, faticava
a trattenere lo stupore. “Che vacca!” scatto Hermione. “La divisa è d’obbligo!” “Ehm… lei… ecco, tecnicamente credo che sia in divisa…” rispose Harry con voce atona. Non aveva tutti i torti. Se la divisa
di Hogwarts consiste in gonna a pieghe grigia, camicia bianca, maglione
grigio con sui bordi i colori della Casa… ecco, la nuova giunta
aveva tutto questo. Con qualche modifica, d’accordo, ma non è che si può essere così fiscali! Sotto gli sguardi perplessi dei giovani maschi in tempesta ormonale la giovane proseguì la sua sfilata. “Cinque Galeoni che prima di
domani ha la colite”, sibilò maligna Calì a Lavanda
accennando col capo alla spropositata area di pelle che la
“divisa” modificata lasciava scoperta. Non erano infatti
solo le gambe ad essere rivelate da una gonna così minuscola da
rientrare più agiatamente nella categoria “cinture”:
la camicia era sbottonata fino a livelli facilmente intuibili, con
conseguente fuoriuscita di materiale tondeggiante e ballonzolante. I
castigati gambaletti neri erano stati sostituiti da un paio di vistose
autoreggenti, e al posto delle comode scarpe d’ordinanza facevano
bella mostra di sé due tacchi assassini –misteriosamente
immuni alle fessure tra le pietre del pavimento; stampigliato sul lato
della scarpa campeggiava un nome, un marchio che a nessuno dei presenti
disse alcunché. “Ma che… bleah!”
si lasciò sfuggire Harry quando la nuova arrivata gli
passò davanti. Si coprì il naso con le mani e
guardò i due amici. “L’ho sentito solo io?” Ron aveva seppellito il viso nel tovagliolo, ma fece distintamente segno di no col capo. “Lillà, vaniglia,
cardamomo e patchouli,” elencò Hermione senza scomporsi
più di tanto. Aveva gli occhi ridotti a fessure, ma non sembrava
infastidita dal profumo dolciastro che ora permeava l’aria. LAasconosciuta percorse l’intera Sala Grande. Giunse infine davanti a Silente e, con un sorriso, parlò. “Buongiorno signor Preside, sono Harmonya Lucrezia Christancia da Montefeltro. Sono…” “… la nuova studentessa
trasferita da una scuola straniera ed ammessa direttamente al quinto
anno”, gemette Silente. Alle sue spalle, Piton si era preso la
testa tra le mani (a qualche studente particolarmente vicino al tavolo
dei professori sembrò di vederlo tremare) e la McGranitt
stritolava con gesti furenti il Cappello Parlante (“Piano,
vecchia strega, fai piano, mi gualcisci tutto!”). Harry guardò il vecchio mago. Era pallido e gli tremavano i baffi. Sembrava sconvolto. Per la prima volta da quando era ad
Hogwarts sotto l’ala protettrice di Silente, Harry Potter non si
sentì al sicuro.
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Primo
capitolo di una breve storia-intermezzo, qualcosa con cui voglio
semplicemente divertirmi. Mi cimento per la prima volta in una storia
comica (o quantomeno non tragica e densa di meditazioni sofferenti), ma
sapete che amo le sfide!^^ Perché una Mary Sue è per sempre, e non si può non volerle almeno un po’di bene. Non è nulla di profondo, ma voglio solo strapparvi un sorriso! Bri
“Esatto,
professor Silente,” trillò Harmonya scuotendo la
magnifica chioma dorata. Più di uno studente
strizzò gli occhi abbagliato. “Studentessa…
in trasferta?” chiese Hagrid. “Credevo fossero solo
dicerie!” Anche lo sguardo del
gigante era insicuro mentre vagava sui visi dei colleghi, alla ricerca
di una rassicurazione che non arrivò. Il silenzio in sala era
soffocante. Silente distolse gli
occhi dalla ragazza e si fissò la punta degli stivali. “Be’?
Non dovrei essere Smistata?” chiese la giovane sgranando gli
occhioni –zaffiro e smeraldo fusi in un unico sguardo
ammaliante- e passando in rassegna l’intero corpo docente. La McGranitt
trasalì come se si fosse svegliata da un sogno
particolarmente vivido. Il naso aguzzo fremette mentre guardava
interrogativa il Preside. Nessuno osava parlare. “Silente?”
chiese. “Cosa…
oh, sì, lo Smistamento. Minerva, vuole per
favore…” “Perché
io?” chiese questa, piccata. “Perché
ce l’ha in mano lei il Cappello Parlante,” rispose
gelido Silente. Mugugnando, la McGranitt
smise di maltrattare il Cappello Parlante. “Bene! Si
accomodi, signorina Montefeltro”, disse indicando con un
secco cenno del capo lo sgabello. “Harmonya
Lucrezia Christancia da Montefeltro. Mi perdoni, professoressa, ma non
amo che il mio nome venga storpiato”, disse la fanciulla.
Raddrizzò le spalle e, con grazia innata, salì i
pochi scalini e si accomodò, accavallando sensuale
–ma non volgare, quello mai!- le lunghe gambe ben tornite. “Quello che
è”, ringhiò la McGranitt. Con una certa
brutalità cacciò il Cappello sulla testa di
Harmonya. La larga falda consunta le calò fin sugli occhi.
Silente sgranò gli occhi in maniera eloquente, rimproverando
in silenzio la collega, che si limitò a incrociare le
braccia e a distogliere lo sguardo, offesa. “Ma che
modi!” Il Cappello si
agitò leggermente, poi lo strappo si spalancò
e… “Oh no. No,
eh, questo non era nei patti. Io non posso…” “Taci, stupido
sacco di patate, e fai in fretta. Sarà più
sopportabile”, sibilò la McGranitt prima di
tornare a sedersi. “E va bene, va
bene… dunque, vediamo un po’. Il solito, no? Un
cervello invidiabile, capacità fuori dal comune, hai
sostenuto i G.U.F.O. con un anno di anticipo prendendo tutte E. Niente
di nuovo, me l’aspettavo,” sbuffò il
cappello. “Vuoi quindi
mettermi a Corvonero, o saggio Cappello Parlante?” chiese
Harmonya con un sospiro. “Sta’
zitta e lasciami lavorare. Dicevo… sei intelligente,
prevedibile.” “Corvonero non
sarebbe una brutta scelta: il blu mi dona da morire; poi sono
così chic, così intellettuali… persino
un po’ bohemienne, alternativi ecco. Non vorrei
però umiliarli troppo con il mio intelletto soprannaturale,
pensaci bene, Cappello!” “Ci sto
pensando, e se chiudi il becco magari arriviamo a una conclusione.
Dicevo… c’è dell’altro
però. Ah, sì,” proseguì il
Cappello con una nota di fastidio più che evidente nella
voce. “Sei coraggiosa. E impavida. E leale.
E…” “Vuoi dire che
sarò una Grifondoro? Oh, ma questo sarebbe un grande onore!
So già che diventerei l’amica del cuore di
Hermione e Ginny, so tutto di loro, saremo inseparabili! E poi
c’è Harry”, disse ammiccando nel buio
del Cappello, “così affascinante, così
sexy, con quei muscoli torniti dal Quidditch…” “Il Quidditch
si gioca sui manici di scopa, non forgia il fisico!”
sbottò il Cappello a voce molto alta. “Piantala!
No, non credo ti metterò a Grifondoro, non è il
posto adatto per te: con tutta quest’astuzia e
ambizione…” “Serpeverde?
Sarebbe meraviglioso! Draco e Blaise sono così trendy,
così aristocratici! Io so perfettamente come giostrarmi
nell’alta società, e ho ovviamente un lato oscuro
che potrei coltivare a dovere se…” “O sigilli
quel tombino che hai al posto della bocca o, giuro, ti metto a
Sparklypoo (*) e siccome non c’è un dormitorio
finisci a condividere la camera con Gazza!” A queste parole il
custode si ritrasse inorridito; la sua gatta, Mrs. Purr,
soffiò furibonda. “Ma
io…” “Niente
‘ma’! Chi è il Cappello Parlante? Io o
tu?” “Tu,
ma…” “Avevo detto
niente ‘ma’! Ora che abbiamo capito quali sono i
ruoli, taci una volta per tutte!” “Senti,
Cappello, facciamo un patto, eh? Io non dico più niente, ma
tu non mi metti a Tassorosso, intesi?” sussurrò
Harmonya aggrappandosi al bordo della sedia. Il Cappello Parlante
–lo videro tutti molto chiaramente- distese lo strappo che
aveva per bocca in un ampio, crudele ghigno. Sì, era crudele
e nessuno ne dubitò, anche se non si capiva bene su che basi
si potesse definire in tal modo uno strappo in un pezzo di stoffa. “Non
Tassorosso, eh?” “No, dai,
no… sono degli sfigati, lo sanno tutti. Non
c’è nessuno di interessante a Tassorosso, sono
l’ultima ruota del carro! E poi, ti prego, guardali: il loro
colore è il giallo. Hai idea di quanto sia out il giallo?
Farebbe ovviamente a pugni coi miei capelli!” “Capisco,
capisco… be’, se dici così rendi
più facile la mia scelta, cara ragazza…” Harmonya si
raddrizzò sulla sedia con un brivido d’emozione. “Cosa
sarò? Una valorosa Grifondoro? Una raffinata Corvonero?
Un’algida Serpeverde?” “Ho deciso:
TASSOROSSO!”
Ron e Harry si
guardarono. “Secondo te
è strano che mi senta sollevato?” chiese il primo,
accigliato. Harry fece spallucce. “In effetti
anche io sono contento così. E non siamo gli unici,
guarda,” aggiunse, indicando il tavolo di Serpeverde. Draco
Malfoy si stava asciugando la fronte con il tovagliolo e sorrideva
sollevato; al suo fianco, Blaise Zabini si sventolava con la mano, il
capo reclinato all’indietro. I Corvonero brindavano
allegramente, anche Roger Davies, colto da un attacco di singhiozzo e
risa isteriche difficilmente controllabili. Al contrario, i
Tassorosso erano taciturni e imbronciati. Hanna Abbott pugnalava
ripetutamente il tavolo, fissando la nuova arrivata con sguardo
omicida. Ci vollero parecchi sforzi da parte di Ernie McMillan per
calmarla. “Chissà
perché,” chiese ancora Ron. Aveva le orecchie
scarlatte e faticava a distogliere lo sguardo dal decolletè
–marmoreo e invitante- di Harmonya; nonostante questo parlava
in maniera piuttosto normale, quasi pensieri ed azioni andassero in
direzioni opposte. “Quella
lì non mi convince,” esordì Hermione. “Gelosa?”
la punzecchiò Harry con un sorriso. Non l’avesse
mai fatto. Hermione andò su tutte le furie. “Primo: di
cosa dovrei essere gelosa, eh? Sentiamo! Se ti interessa saperlo non
farei a cambio con lei neanche sotto tortura! Ma hai visto come si
concia? Ho già detto che è una vacca?” “Veramente
sì,” disse Ron con una vocina. “Non me ne
frega niente! E’ una vacca fatta e finita! E, se proprio
volete saperlo, non mi convince affatto,” terminò,
incupendosi. Ron e Harry rimasero
educatamente perplessi. “In base a
cosa dici questo?” Hermione si
arricciò una ciocca attorno al dito, pensierosa. “Non lo so,
cosa ci fa qui? Non s’è mai visto uno studente che
piomba qui da un’altra scuola… voglio dire,
pensateci un attimo. Immaginate che, mettiamo, i genitori di Ron si
trasferiscano in Germania. Hogwarts è un collegio, e Ron
potrebbe tranquillamente continuare a frequentare qui, tornando a casa
solo d’estate, cosa che ha fatto spesso pur avendo la
famiglia qui vicino. Questo sarebbe auspicabile anche da un punto di
vista didattico, ci sarebbe più continuità,
e…” “Hermione?”
la interruppe Ron. “Eh?” “Non cercare
di spiegarti certe cose. Ho come l’impressione che sia
inutile.” Harmonya si tolse il
Cappello Parlante con un gesto teatrale. La tristezza che velava i suoi
occhi non poteva alterarne la bellezza. “E
sia,” disse melodrammatica. “Accetto la tua
decisione, Cappello.” “Non potresti
fare altrimenti, oca,” bisbigliò
quest’ultimo, maligno, prima che la McGranitt lo portasse via. “Ma
ciò non significa una sconfitta, per me. Sarò la
prima a portare gloria alla casata di Tosca
Tassorosso…” “Ehi, e Cedric
dove lo metti?” sbraitò Cho Chang, risentita, da
lontano. Harmonya non la prese minimamente in considerazione. “…
trasformerò questo branco di amebe in fieri combattenti, in
menti argute e plastiche, e, soprattutto, donerò loro uno
stile all’avanguardia. Preparatevi!” disse,
indicando uno ad uno tutti i tavoli delle Case. “Preparatevi
ad invidiarmi!” Silenzio e gelo. “Io sarei un
po’offeso”, bisbigliò Justin
Finch-Fletchley all’orecchio di Ernie; quest’ultimo
però non sembrava prestargli molto ascolto, intento
com’era a tappare la bocca di Hanna con una mano (Justin
riuscì comunque a sentirla biascicare qualcosa che finiva in
“… occola!” e altri improperi) e a
disarmarla dalla forchetta con l’altra. Nella Sala Grande
regnò a lungo un silenzio innaturale, rotto solo dal respiro
aspro e accelerato di un Piton in uno stato davvero pietoso, malamente
consolato da Vitious. Silente fissò
imbambolato Harmonya allontanarsi ancheggiando verso il tavolo di
Tassorosso; solo la gomitata nelle costole che gli fu rifilata dalla
McGranitt sembrò riscuoterlo dal suo stato catatonico. “Preside!”
sussurrò acida. “Eh? Ah!
Sì… ehm… la cena…” L’anziano mago
si schiarì la voce. “Che abbia
inizio il solito banchetto, ecco,” declamò con
meno entusiasmo e convinzione del solito. Quella sera, del resto,
nessuno gustò appieno le pietanze: il sinistro presentimento
non si decideva ad abbandonare il castello.
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(*) Sparklypoo, per chi non lo sapesse, è l'ipotetica Casa per le varie Mary Sue, da un'idea trovata spesso in fandom stranieri e in fumetti di vario genere; ogni tanto viene tradotto nella nostra lingua con "Merbrillante", ma non ha assolutamente lo stesso fascino!^^
Dopo il doveroso grazie a
IceWarrior, Tom94 e Hotaru_Tomoe per aver letto, commentato e -insomma,
mi scappa un piccolo gongolamento!- apprezzato la mia piccola storia,
vi lascio con un nuovo, mirabolante capitolo... ma soprattutto con una
chicca che più marysuosa non si può: http://www.youtube.com/watch?v=ldDpr02g-TM Enjoy!
L’aula di
Difesa contro le Arti Oscure era già abbastanza tetra di per
sé. Ok, non era un sotterraneo umido e dal sentore di muffa
come quella di Pozioni, ma da quando il professor Piton aveva
–finalmente!- ottenuto la cattedra le alte finestre ogivali
sembravano in qualche modo più opache, quasi la luce temesse
di attraversare i vetri; in quella semioscurità polverosa i
libri ammonticchiati sugli scaffali assumevano un aspetto tetro. Ron, ovviamente, non
mancava mai di far notare la cosa. “Porta
sfiga.” “Chi?”
chiese, con un pizzico di ingenuità Harry. Hermione, al suo
fianco, alzò gli occhi al cielo, stringendo le labbra. “Piton.
Secondo me mena gramo.” “Lascia
perdere, ti prego. Oggi giochiamo contro Tassorosso, non portare male!
Comunque magari fosse solo quello”, rispose Harry posando sul
banco un paio di libri e un rotolo di pergamena. “Mi chiedo
come Silente possa fidarsi di lui.” “Ancora con
questa storia?” La voce di Hermione scattò
inattesa in un sibilo furente. “Si fida e basta, e
avrà le sue buone ragioni, fine della discussione. Voi due
state diventando monotoni!” “Ciò
non toglie”, la ignorò Ron, “che sia un
unticcio, viscido bastardo col naso da tucano che…” Bum. La porta si chiuse. “Grazie,
Weasley. Non ho sentito il tuo intero discorso, ma suppongo che
togliere dieci punti a Grifondoro sia una misura precauzionale
più che comprensibile”, sussurrò la
voce strascicata di Piton. L’uomo sfilò tra i
banchi, l’orlo del mantello nero che oscillava attorno alle
sue caviglie. “Cosa…
ma professore io…” biascicò Ron,
tendendo al purpureo. “Preferisci
ripeterlo per intero?” disse Piton voltandosi di scatto.
“Magari potremmo trasformare quei dieci punti in cinquanta,
dico bene?” Il più
giovane dei fratelli Weasley chinò il capo, stritolando tra
le dita la propria bacchetta. Qualche scintilla rossa
scaturì dalla punta, andando a posarsi sulla coscia di
Ernie, che brontolò sottovoce. Piton raggiunse la
cattedra ed aprì il registro. Harry, soffocando a
stento l’impulso di insultare Piton, si guardò
alle spalle, in attesa dell’appello. I Tassorosso erano
già tutti presenti… o forse no? Uno dopo
l’altro i nomi vennero snocciolati. Al sentirsi chiamare,
Hermione fece scattare in alto la mano e trillò:
“Presente!” “Non avevo
dubbi,” sussurrò a denti stretti Piton con una
smorfia. Prima che potesse aprir
bocca nuovamente, tra gli studenti si diffuse un’esclamazione
di inquieto stupore. “E quello
cos’è?” esclamò Seamus
indicando il soffitto. Piton, irritato,
batté la mano sulla cattedra. “Silenzio! Si
può sapere cosa… oh per le mutande di
Paracelso!” esalò. Una cinquantina di nasi
rivolti verso il soffitto erano un buon indice
dell’attenzione della classe. Eh sì,
perché lì, proprio attorno al gigantesco
candelabro di metallo ormai brunito, c’era qualcosa che
svolazzava. Un drago. Piccolo, per
carità –dalla punta del brutto musetto squamoso al
minuto spuntone in cima alla coda non poteva esser più
grande di un gatto- ma diamine, era davvero un drago. “Cosa…
ma che… perché…” “Oh, mi
perdoni, professore,” cinguettò una voce soave in
corrispondenza dell’ingresso. “Nidhogg è
un birbante, temo mi sia scappato.” Harmonya
sollevò con grazia il braccio elegante; a quel gesto il
piccolo drago scese in ampi cerchi, andando a posarsi sulla sua mano
–french manicure curatissima, roba di prima scelta. Piton
boccheggiò. Per una volta, Harry provò un moto di
compassione nei confronti di quell’uomo arcigno, ora pallido
e sconvolto. “Si
può sapere, signorina Montefeltro…” “Harmonya
Lucrezia Christancia da Montefeltro… sa, detesto che mi si
storpi il nome,” lo interruppe quella, noncurante. “È
lo stesso,” ringhiò Piton; aveva serrato i pugni,
e i tendini sul dorso delle mani spiccavano quasi dolorosamente.
“Stavo dicendo… si può sapere, nel nome
di Merlino, che cosa credevi di fare? E siediti, diamine!” Ron e Harry si
guardarono. Sul viso di entrambi era palesemente dipinta
l’espressione di chi si sta lacerando il diaframma per
evitare di scoppiare a ridere. Hermione, dal canto suo, continuava
distrattamente a Trasfigurare la sua penna in una mannaia. Harmonya
avanzò quasi danzando; il movimento delle lunghe gambe
sollevava appena l’orlo della corta gonnellina a pieghe, ma
lei sembrava non badarvi. “Mi perdoni il
ritardo, professore, ma sa, per prepararmi mi ci vogliono almeno due
ore -non tollero di uscire come una sciattona- e… insomma,
è proprio necessario fare lezione alle otto e mezza di
mattina? Intendevo proporre al caro Albus –sa, il professor
Silente, siamo lontani parenti- di spostare l’orario, ma
stranamente ogni volta che sono davanti al suo studio salta fuori che
il suo uccello ha preso fuoco e quindi…” Harry fu certo, nel
guardare il viso di Piton, che stesse per avere un’ischemia
cerebrale. O forse voleva semplicemente picchiare la fronte sulla
cattedra. O affatturare Harmonya… erano tutte opzioni
estremamente realistiche. “Io…
tu… cinquanta punti in meno a Tassorosso!”
sibilò, letale. “E fai sparire quel drago! Quale
parte di ‘gli studenti possono possedere un gatto o un gufo o
un rospo’ non ti è chiara? Dimmelo, ti
prego!” Appena i Tassorosso
sentirono l’inaudita sanzione che era appena piombata sulle
loro già insicure teste si voltarono all’unisono
verso Harmonya. C’era poco di diverso dall’odio nei
loro sguardi… forse del disprezzo, quello sì, e
un accenno neanche troppo velato di furia omicida. La giovane, splendida
Tassorosso si lasciò cadere sulla sedia. La tristezza che le
offuscava gli occhi bicolori non poteva renderla meno affascinante, e
il broncio che le storceva le labbra le faceva apparire ancor
più sensuali. “Ma…
ma come? Cinquanta punti in meno? Si è sbagliato, vero?
Intendeva…” “Intendevo
esattamente ciò che ho detto. Ora tappati la bocca o
vedrai!” Immusonita ma non
sconfitta Harmonya tacque. Dopo un paio di carezze e di parole dolci
(“Ciccipucci frùfrù” e cose
simili, che causarono in Ron violenti conati di vomito)
congedò il piccolo drago e si apprestò a seguire
la lezione. L’ora seguente
passò senza troppi intoppi, eppure nell’aria
c’era un che di diverso… di sbagliato. Harmonya
non prendeva appunti: laddove Hermione scriveva con frenesia, la nuova
studentessa si limitava a giocherellare con una ciocca dorata, fissando
intensamente Piton. Molto intensamente. Così intensamente
che un paio di volte il professore dovette interrompersi per riprendere
il filo del discorso. Quello sguardo parlava
chiaro, e diceva solo cose pericolosamente sexy: sentendosi inerme
davanti a tante attenzioni, Piton rifiutava categoricamente di
incrociare lo sguardo magnetico di Harmonya. Era sudaticcio
–e mai prima di quel momento aveva sentito la
necessità di una boccata d’aria fresca- e
tremebondo, come se avesse la febbre, ma, stoico e coraggioso come solo
lui sapeva essere, andò avanti con la spiegazione. E tutto sarebbe andato
bene se non si fosse lasciato scappare una parola sbagliata. “…
e in questa categoria rientra l’Incanto Patronus,
che…” Non l’avesse
mai fatto. Harmonya
balzò in piedi e, con voce chiara e cristallina,
declamò: “Expecto
Patronum!” Ci fu un lampo
d’argento, e dal nulla apparve un unicorno alato delle
dimensioni di un gigantesco cavallo da guerra… solo bello,
bello in modo assurdo. Nessuno
commentò ad alta voce. “E
quindi?” sussurrò Hermione alzando lo sguardo
dalle sudate carte, per nulla impressionata. “Lo so fare
anche io…” “Lo sanno fare
un po’tutti qui dentro ormai, Harry ce l’ha
insegnato l’anno scorso. Vuoi vedere…”
accennò Ron. “No, ti
ringrazio,” lo bloccò Hermione. “So che
sei bravo, non c’è bisogno, davvero.” Ron avvampò,
compiaciuto. Fece per ribattere qualcosa, ma non ci riuscì. L’urlo
belluino di Piton rimbombò tra le pareti antiche. “ORA
BASTA!” Ci fu un movimento, il
lampo di una bacchetta, e il Patronus sparì. Piton era davanti alla
cattedra, in piedi, con le gambe ben piantate a terra e la bacchetta
tesa davanti. Harmonya, a sua volta
abbandonata la posizione seduta, abbozzò un sorriso. Poi si
passò una mano tra i capelli. Poi si leccò le
labbra. Poi ammiccò. “Certo che ne
ha di tic nervosi,” mormorò una voce in fondo alla
classe. “Sì,
professore?” disse la giovane con voce suadente e calda come
il velluto. “Tu…
tu sei una… un… senti, ti ho per caso chiesto di
evocare un Patronus? L’ho fatto? No, perché a me
non sembra proprio!” scandì Piton, gli occhi neri
come l’onice sgranati e iniettati di sangue. Faceva paura, in
effetti, ma Harmonya, forte del suo fascino, non pareva temerlo.
Purtroppo, su di lei aveva l’effetto opposto. “Oh, credevo
che una piccola dimostrazione potesse essere utile alla classe. Sa,
professore, è solo una delle tante cose che so
fare…” La frase cadde nel vuoto
e disegnò ampi cerchi nel silenzio attonito. Le lunghe
ciglia della fanciulla si abbassarono, coprendo per un istante quegli
occhi magici, cangianti. Piton ebbe uno spasmo.
Gli ci vollero alcuni secondi per recuperare il controllo. “Ah.
Sì, eh? E cos’altro sapresti fare?” Non c’era
sfida nella sua domanda. Solo l’ansia di chi desideri che il
peggio passi in fretta. “Tante cose, e
solo alcune posso riferirle in pubblico,” –Hermione
sbuffò forte dal naso e morse il banco-
“però potrei mostrare questo.” Nel dir ciò
chiuse gli occhi, e i suoi capelli cambiarono colore, virando verso un
intenso castano ramato, che le donava moltissimo. “Una
Metamorfomagus?” chiese Harry incredulo. “Ma non
erano straordinariamente rari?” “Appunto.
Secondo me questo spiega i capelli biondi, gli occhi, quelle due
enormi…” “Ron!”
Hermione gli rifilò la canonica gomitata nel fegato, e tutto
tacque. Harmonya
sbatté di nuovo le palpebre e riacquistò il suo
consueto –per quanto si possa così definire una
simile bellezza- aspetto. “Ci tengo a
precisare che tutto questo” e si passò con malizia
le mani sul corpo “ è assolutamente naturale.
Anche i capelli e gli occhi, proprio tutto!” Piton era impietrito.
Harmonya continuò. “Inoltre…” Puff! Con uno schiocco
il corpo sinuoso fu sostituito da qualcosa che lasciò senza
parole tutti gli studenti (Piton era già muto da un pezzo e
prossimo alla crisi epilettica). Harmonya non
c’era più. O meglio, ora era diventata una grande
fenice scarlatta, elegantemente posata sullo schienale della sedia. Un altro schiocco, e la
ragazza torno se stessa. “Animagus.
Ovviamente non ho tutti i poteri della fenice, ma credo di aver sempre
saputo che anche questo è parte della mia natura…
sa, professore, le mie lacrime hanno poteri curativi!” “Ora la metto
alla prova. La riempio di botte, le tiro i capelli, la faccio piangere
e vediamo se riesce a rimettersi in sesto quel nasino da sciacquetta
che si ritrova!” La voce di Hermione
fendette l’aria come una lama. Harry quasi ingoiò
l’astuccio per non ridere. “Bene. Bene. E
quindi…” “…
ovviamente tutto questo è una faccenda di sangue,
professore,” proseguì Harmonya come se davanti a
lei non ci fossero state decine di persone perplesse e un
pover’uomo già con gravi problemi per conto suo,
ora anche vittima delle avances di una silfide bionda. “Sono
l’ultima discendente in vita di Salazard Serpeverde; sono la
nipote di Tom Riddle –Voldemort, ovviamente-, figlia del
figlio illegittimo avuto da Bellatrix Lestrange quando lei non era
altro che una ragazzina. Sono inoltre pro pronipote per parte di cugina
di Albus Silente e per parte di zia di Rufus Scrimgeour, il che mi
garantirà un impiego di prestigio al Ministero della Magia,
sempre che non scelga di unirmi ai Mangiamorte e di seguire la via del
male, o di combatterlo con ogni mia forza. In realtà
è uguale, sarei ugualmente trendy.” Harry e Ron si
guardarono. “Straparla.
È ovvio che straparla.” Piton prese fiato. Lungi
respiri profondi che uscivano sibilanti dalle sue labbra sottili. “Ecco. Ti
ringrazio, signorina Montefeltro, ora siamo tutti molti più
colti.” “Il nome
è Harm…” “Ho detto che
è uguale!” La voce di Piton suonò
stranamente acuta. “Direi che per oggi può
bastare, finiamo qui.” Hermione
sgranò gli occhi (normalissimi, marroni). “Ma
professore! Mancano ancora venti minuti alla campanella, inoltre non ha
concluso il discorso sul ruolo della volontà del singolo nel
contrastare le maledizioni che…” “Signorina
Granger, ti prego, non mettertici anche tu. Ho detto che la lezione
è terminata, sparite!” Le sedie iniziarono a
grattare il pavimento; Harmonya gettò indietro la chioma
fluente e mosse un passo verso la cattedra. Piton la prevenne, tendendo
le mani come a difendersi. “Soprattutto tu!” Harry, Ron ed Hermione
si attardarono per qualche istante in classe, apparentemente per
aspettare che Hermione ritirasse gli otto chili e seicento grammi di
libri che si portava appresso; in realtà i tre studiarono
attentamente gli atteggiamenti di Piton. Pallido, con i capelli
unticci più flosci del solito, raccattò senza
cura –il che era strano- registro e scartoffie e
sparì lesto oltre la porta dall’altro capo della
stanza. Appena questa si fu chiusa, un suono soffocato e ritmico giunse
alle orecchie dei tre amici, e somigliava in maniera inquietante a
qualcuno che picchia delle gran testate contro una superficie lignea. “Quella
secondo me è pazza,” esordì Ron senza
mezzi termini. “Esibizionista,
questo è poco ma sicuro,” gli diede corda Harry
mentre si avviavano all’uscita. “Passi la storia
del Patronus, passino anche l’Animagus e il
Metamorfomagus… ma cribbio, quella si è
professata nipotina di Voldemort!” Ron, prevedibilmente,
rabbrividì. “Potresti…
sai, evitare? Mi scoccia fare questa scena ogni volta che dici quel
nome. Comunque non è normale: sarà anche la
portatrice dei due meloni più grandi del reame,”
il calcio di Hermione raggiunse preciso lo stinco di Ron,
“Ouch! Ma insomma, basta picchiarmi! Dicevo, secondo me sta
dando i numeri. Non si limita a guardare in quel modo me, te, Draco,
Seamus, Zabini e tanta altra gente… hai visto come guarda
Piton?” Harry
rabbrividì. “Che
schifo!” Ormai erano in
corridoio, e non poterono non notare il tappo di corpi che bloccava
l’accesso alle scale. “Cosa
succede?” chiese Ron un po’in ansia. “Cos’è,
miss ‘ce l’ho placcata d’oro
massiccio’ fa vedere le chiappe a chi ancora non le ha
notate?” scattò Hermione acida. Gli altri due fecero
spallucce e sghignazzarono. Dalla folla salì una voce che
nessuno dei tre riuscì a identificare precisamente
(c’era parecchio chiasso). “Cosa? Tutti e
due? Ma come… no, non è possibile! E ora come
facciamo?” Qualcuno rispose a
questa domanda. Seguì un istante di silenzio attonito,
quindi… “NO! Tutti, ma
LEI no!” “Oh, che
diamine…” Pratica, Hermione si
intrufolò tra la folla e ne emerse con Ernie, saldamente
afferrato per il gomito. “Ehi, ma cosa
sta succedendo?” chiese Harry prendendolo in disparte. Il
compagno Tassorosso era sull’orlo del pianto. “Il nostro
Cercatore si è infortunato. Gli è caduta una
tartaruga in testa e il trauma cranico che ha riportato gli
impedirà di giocare oggi!” Ron non nascose un tetro
sorriso. “Ma non
è tutto! Anche la riserva è in infermeria, gli
sono venute le piaghe purulente e nessuno sa
perché!” “Questa
è davvero sfiga!” si lasciò sfuggire
Harry. “Immagino rimanderanno il match, no?” Nel modo in cui Ernie
scosse il capo c’era già la promessa di una
tragedia. “No.
Hanno… trovato una sostituta.” Harry, Ron e Hermione si
guardarono. Era fin troppo chiaro, ma Ron espresse quella domanda. “Chi…?” “Lei.”
Quel pomeriggio Harmonya
–splendente nella sua divisa da Quidditch, aderente sulle sue
curve sontuose- scese in campo. Quel pomeriggio Harry
Potter si rese conto di aver sempre sofferto tantissimo di vertigini. Quel pomeriggio Il
Bambino Che È Sopravvissuto si lasciò sfuggire,
per la seconda volta nella sua vita, il Boccino d’Oro.
********
Non
potevo resistere!
Domani per me è il gran giorno, mi tocca discutere la tesi e
sono nervosissima... quindi, cosa c'è di meglio di una
Mary-semprepiù-Sue per rilassarsi?^^
Grazie a Chocolatexxx per il graditissimo commento, e grazie anche a
chi ha già recensito e continua a seguire questo mio piccolo
delirio :)
Capitolo 4 *** Bagni affollati e moti di ribellione ***
“Dai, Harry, non abbatterti!”
“Davvero, non è così grave… è il primo vero Boccino che perdi, quello contro
Diggory non conta, lo sai benissimo!”
“La prossima partita andrà meglio, vedrai!”
“Ce li mangiamo i Corvonero, sicuro!”
C’era una depressione post-partita persa più che palpabile nella Sala Comune di
Grifondoro. Ginny non era ancora rientrata, e Hermione aveva riferito di averla
vista accanirsi contro un pino nel parco, riducendolo in stuzzicadenti.
Al contrario, Harry era spento. Stava tracannando la quinta Burrobirra e le
rassicurazioni dei compagni rimbalzavano contro il muro della sua frustrazione.
“Harry, reagisci! Guarda me”, disse Ron, ancora in divisa, indicandosi. “Di
solito sono io ad abbattermi per le sconfitte, eppure anche io mi rendo conto
che è stata pura sfortuna!”
“Già”, aggiunse Hermione dando dei colpetti sull’avambraccio dell’amico. “Quell’oca
di Harmonya deve aver combinato qualcosa, non c’è dubbio. Hai visto come
volava? Prima sembrava solo interessata a sorvolare gli spalti per farsi
ammirare, e poi, di punto in bianco, ti ha guardato, tu sei rimasto fermo e hai
guardato per terra e lei ha preso il Boccino. Secondo me ti ha affatturato, non
sarebbe la prima volta che ti succede…”
Ron sgranò gli occhi.
“Cavoli, è vero! Se così fosse potremmo far annullare la partita!”
Harry scosse il capo.
“No”, disse con voce tetra. “Non credo sia così. Non è successo nulla di
strano, tranne…”
“Cosa?” lo incalzò Hermione, ansiosa.
Harry bevve l’ultimo sorso di Burrobirra e scosse il capo malinconico.
“Non… non credo che potrò più giocare a Quidditch…”
“Stai scherzando!” esclamò Ron a voce molto alta, balzando in piedi. “Sei il
miglior Cercatore che la squadra abbia mai avuto! Pure meglio di Charlie, ed è
tutto dire!Non puoi mollarci ora!”
“Ma io…”
“… e vuoi mettere quanto gongolerà quella checca di Malfoy? Il Prescelto che
scappa con la coda tra le gambe!”
“Ecco, veramente…”
“E la McGranitt? Andrà su tutte le furie!” aggiunse Hermione. “Lei ci tiene
tanto!”
“State zitti!” gridò Harry sbattendo la bottiglia di Burrobirra sul tavolo e
versandone un po’ tutt’attorno. “Io non posso più giocare a Quidditch! Io… ho paura!”
Nella sala scese il silenzio. Ron aveva la bocca socchiusa e le sopracciglia
quasi ingoiate dal ciuffo di capelli, mentre Hermione pareva lì lì per dire
qualcosa di logico, sensato e irritante.
Harry si alzò di scatto; solo in quel momento si accorse di essere ancora in
divisa da Quidditch, sporca e sudata.
“Vado a farmi una doccia”, disse laconico. Sgomitando fendette la piccola folla
di compagni e raggiunse il buco del ritratto. Consapevole di lasciarsi alle
spalle parecchie facce deluse e preoccupate attraversò il passaggio, lieto del
cigolio del ritratto che tornava al posto, chiudendosi.
Harry raggiunse il bagno dei Prefetti senza quasi rendersene
conto. Era tanto sovrappensiero che per un attimo faticò a ricordare la parola
d’ordine.
“Bolleblu”, sussurrò riscuotendosi.
La porta si aprì; Harry entrò a capo chino, ancora distratto. Non degnò di uno
sguardo la grande vasca rettangolare; con passi strascicati si mosse verso la
grande pila di soffici asciugamani, già intento a slacciarsi la casacca.
In quel momento, quando ancora aveva le dita sul terzo bottone, la porta
scricchiolò di nuovo.
Harry si voltò di scatto, portando istintivamente la mano alla bacchetta.
Una figura nota –fastidiosamente nota- si profilò nel vano dell’ingresso.
“Tu!” disse Harry stringendo gli occhi con astio.
Draco Malfoy, in vestaglia di seta verde, inarcò le pallide sopracciglia bionde
con un mezzo ghigno.
“Ma guarda, Potty viene a lavare l’onta della sconfitta tra soffici bolle
colorate. Fa male, vero?”
Harry mosse un passo verso di lui con i pugni serrati.
“Chiudi il becco, stronzetto, altrimenti…”
Qualcosa sul viso di Malfoy però lo fece azzittire. Forse il defluire del poco
colore dalle guance affilate, forse il dilatarsi degli occhi pallidi, o forse,
ancora, il gesto sconsolato con cui scosse il capo.
Senza pensare, Harry si voltò, levando la bacchetta.
Ciò che vide era quasi peggio di ciò che avrebbe potuto temere.
“Ciao, ragazzi”, sussurrò una voce arrochita e sensuale. Harmonya, placidamente
distesa nella vasca (ora piena di bolle rosa; Harry si chiese come non avesse
potuto notarle), con le braccia poggiate sul bordo. I capelli umidi le
scendevano in onde più scure del solito –eppure ancora dorate e
ammalianti- lungo le spalle, carezzando le graziose fossette sopra alle
clavicole e perdendosi nella schiuma che riusciva a malapena a coprire ciò che
tutti (almeno in teoria) avrebbero voluto vedere.
“Ancora tu?” esclamò Harry a voce un po’troppo alta. Poi si rese conto della
situazione e avvampò. “Ma sei nuda!”
“Certo, sciocchino, secondo te il bagno si fa vestiti?” rispose con un
risolino. Fece per alzarsi, e Harry volse risolutamente lo sguardo verso Draco,
cercando di escludere dal proprio campo visivo Harmonya che si levava dalle
acqua come la Venere di Botticelli, solo più gnocca.
Quando i due udirono il suono confortante di un asciugamano che scorreva su
quella pelle vellutata, ebbero il coraggio di voltarsi di nuovo. Draco ora non
era più pallido, ma vivacemente colorato di rosso.
“Sembra che ci sia un party qui, ed io non ho una gran voglia di partecipare”,
disse Malfoy cercando di assumere il suo solito tono annoiato; la voce però
tradiva una certa ansia di andarsene.
“Io non credo proprio”, replicò Harmonya. Lo sguardo bicromatico, magnetico e
fulgido (ma ora anche un po’algido) si fissò sul giovane Serpeverde; Draco
rimase immobile, bloccato a metà del gesto di voltarsi e andarsene.
Harry la fissò furente.
“Si può sapere cosa vuoi? Sono qui per farmi un bagno caldo, non ho voglia di
stare con nessuno!”
“Ma io sì”, sussurrò Harmonya. A passi felini raggiunse i due ragazzi,
lasciando attorno a sé un alone di quel suo profumo inconfondibile. Harry
represse un conato e Draco si portò una mano al naso.
La magnifica Tassorosso girò loro attorno sfiorando con le lunghe dita
affusolate (da pianista, ovviamente) spalle e braccia irrigidite dalla
tensione.
“Avanti, ragazzi… lasciatevi andare!” La voce di Harmonya era bassa, simile
alle fusa di una gatta. “So benissimo cosa state pensando. Conosco i vostri più
reconditi desideri… sapete, sono empatica e in minor misura telepatica, so
sempre cosa gli altri provano. Soprattutto quando i loro pensieri sono di una
simile, incandescente intensità”.
La ragazza ammiccò, posando il viso nell’incavo della spalla di Harry e
passandogli un dito lungo la nuca; Harry rabbrividì –quel dito caldo,
umido e insaponato gli faceva pensare alla lingua di un cane –e Harmonya,
ovviamente, fraintese la cosa. Gli si strusciò addosso con più enfasi,
spingendolo persino avanti di un mezzo passo.
“Non fate tanto i santerellini con me, non c’è bisogno. So che vi posso
sembrare una dolce, ingenua fanciulla”, e Draco tossì rumorosamente fissando il
soffitto, “ma credetemi, posso spiegarvi tante, tante cose della vita…”
L’ultima frase la pronunciò così vicina all’orecchio di Draco da scompigliargli
i serici capelli biondi.
“Senti, Cosa…” iniziò Draco teso.
“Harmonya Lucrezia Christancia da Montefeltro, sai…”
“… detesti che ti storpino il nome. Ok, non me ne frega niente. Dicevo… mi
spiace deluderti (ma neanche tanto), ma personalmente ho già la mia esperienza,
in fatto di sesso”.
“Ma certo”, trillò Harmonya. “So perfettamente delle sordide storielle che
girano su voi due…”
Draco rimase perplesso.
“Torbide? Veramente siamo una coppia normalissima, lei mi adora e io…”
Harmonya lo ignorò.
“Sì, sì, la Parkinson è un’ottima copertura. Voi due, ragazzi, siete così sexy
assieme. L’odio che sfocia nell’amore passando per la passione più sfrenata,
gli amplessi consumati di nascosto tra le cortine dorate e argentate dei vostri
letti, testimoni di perversione che…”
“Scusa”, la fermò educatamente Harry. “Non ho ben capito.”
“Oh, Harry, certo che sei proprio uno sciocchino per essere l’eroe del mondo
magico!” rise Harmonya cercando di infilarsi nei pantaloni del povero Harry
(che avrebbe tanto voluto alzare la bacchetta –quella di legno, non
quella metaforica, placidamente addormentata- e trasformare la molesta Tassorosso
in un fungo, ma era come paralizzato). “Parlavo di voi due, Harry Potter e
Draco Malfoy, la prova vivente che gli opposti si attraggono e a letto fanno
scintille!”
“Ehi ehi ehi, aspetta!” esplose Draco, sempre più paonazzo. “Vacci piano con
gli insulti! Passi che mi si attribuiscano tresche con la Weasley (che è
discretamente topa, quindi ci potrebbe anche stare), passi ma a fatica che si
insinui che gradisca accoppiarmi con la Granger (che è una sporca Mezzosangue,
ma almeno è donna)… ma Potter? Voglio dire… è Potter! È un maschio! E io sono
etero! Ok? E Potter lo odio, e lui odia me!”
Harry annuì con enfasi, per la prima volta in vita sua era d’accordo con
Malfoy.
Ma Harmonya non gli badò troppo.
“Draco, la metà oscura… il fuoco che si cela sotto il ghiaccio”, declamò. “Il
fascino del male incarnato in un corpo d’angelo”, aggiunse, infilando una mano
sotto la manica sinistra di Draco e sfiorandogli l’avambraccio con aria
eloquente. Il proprietario del braccio lo ritrasse con violenza.
“Che fai, tocchi? Non si tocca!” squittì Draco.
Ma Harmonya continuò.
“E Harry, la luce, la passione splendente con un’anima tormentata. Il destino
che si accanisce su uno spirito puro senza intaccarne la perfezione…”
“Senti, ora basta, ok? Ora noi due ce ne andiamo e tu ti rivesti”, balbettò
Harry cercando di rimuovere un dito di Harmonya dal proprio ombelico.
Il fruscio che seguì fece capire ad Harry che il suo consiglio non era stato
ascoltato. Impietrito guardò davanti a sé, consapevole che, al suo fianco,
Draco era altrettanto terrorizzato.
“Non credo proprio”, mormorò Harmonya. Il suo profumo era ancora più intenso e
dava quasi alla testa. “Sono qui per mostrarvi quanto sono brava in Aritmanzia
(ho preso E, ovviamente) e spiegarvi le proprietà segrete del numero tre”.
Fu a quel punto, con le curve di Harmonya premute contro varie parti del corpo,
che Draco urlò. Harry si spaventò a tal punto da imitarlo. Perfettamente
sincronizzati i due eterni rivali si lanciarono a capofitto verso la porta.
“Bolleblubollebluapritiapritiapriti!” gridò Draco graffiando la superficie.
Finalmente la maniglia scattò.
Continuando a urlare i due si lanciarono in corridoio, correndo a perdifiato in
due direzioni opposte sotto lo sguardo per una volta perplesso di Pix, che si
trovava a fluttuare lì per caso.
Dalla porta del bagno dei Prefetti emerse il profilo di Harmonya; sebbene non
ci fossero rughe sul volto di seta, negli occhi aleggiava la furia disperata di
una ragazza appena rifiutata.
Minerva McGranitt avanzava per uno dei troppi corridoi di
Hogwarts con una scatola di latta scozzese sotto braccio. Il viso affilato e
segnato dal tempo aveva un aspetto stranamente umano, soprattutto considerando
che si stava dirigendo verso la camera di Severus Piton.
Lo detestava cordialmente da quando aveva messo piede a Hogwarts oltre vent’anni
prima. Allora perché era un ragazzino unticcio e antipatico (e secondo lei
foriero di cattiva sorte), in tempi più recenti per le cattive compagnie che
aveva preso a frequentare.
Minerva lo trovava antipatico e inquietante, e questo lo sapevano tutti. Era
questo a rendere ancora più strano il gesto cortese con cui si apprestò a
bussare alla porta dell’unto collega.
La porta rimase chiusa.
L’insegnante di Trasfigurazione sbuffò e le narici fremettero. Odiava aspettare.
Bussò di nuovo. E di nuovo.
Alla fine, quando già stava per andarsene, dalla stanza emerse una voce
tremante.
“Chi… chi è? Cosa vuoi? Vai via!”
“Severus, per l’amor di Morgana, sono io, Minerva!”
Attimo di silenzio.
“Come faccio ad esserne sicuro?” proseguì Piton, allarmato.
“Credo che se tu aprissi la porta e dessi un’occhiata fuori vedresti che sono
proprio io”, rispose l’altra, irritata.
“E se fossi lei sotto Polisucco? Eh?
Come la mettiamo?”
La McGranitt sbuffò sonoramente.
“Severus, apri questa porta o la faccio saltare, sono stata chiara?”
Il tono era inequivocabile, troppo caratteristico per essere un’imitazione.
Si sentì il suono di un chiavistello tirato e la porta si socchiuse. Dal timido
spiraglio fece capolino il solito naso adunco di Piton, accompagnato da uno
sguardo assolutamente atterrito.
“Entra, svelta. Non vorrei che…”
La McGranitt non lo fece nemmeno finire: entrò senza troppi complimenti e
chiuse la porta con un tonfo.
Le ci volle un attimo per registrare l’aspetto orribile del collega: pallido,
emaciato, insolitamente vulnerabile. Piton tremava, nonostante fosse avvolto
fino al naso in un maglione molto pesante.
“Mi rincresce vederti in queste condizioni, Severus. Non è da te reagire così
alle difficoltà, e questa è solo una studentessa un po’… molesta.”
“Molesta?” gracchiò Piton con voce acuta mentre richiudeva la serratura. “Quella
è pericolosa! Accomodati, devo parlarti.”
La McGranitt obbedì, lasciandosi cadere su una poltrona un po’sfondata.
“Ti ho portato degli Zenzerotti”, disse posando la scatola su un basso
tavolino. “Sono ottimi per i momenti difficili.”
Piton prese posto sulla poltrona vicina.
“Grazie. Minerva, sai che abbiamo un problema, vero? Non prendermi in giro, la
situazione è critica”.
La professoressa annuì, e il collega proseguì.
“Sai cosa sta facendo? I miei studenti sono terrorizzati. Ieri Draco è venuto
nel mio ufficio in lacrime, dicendo di essere stato molestato sessualmente da
Harmonya eccetera eccetera”.
“Lo so”, ammise tristemente la McGranitt. “Anche Potter mi ha detto qualcosa di
simile”.
Piton stappò una bottiglia piena di un liquido ambrato e riempì due bicchieri,
che in pochi secondi furono nuovamente vuoti.
“Sempre ieri anche Zabini si è lamentato: la signorina Montefeltro ha scovato
chissà come la parola d’ordine per la Sala Comune di Serpeverde, e Blaise se l’è
trovata nel letto con indosso solo un babydoll verde. È dovuto andare in
infermeria per una violenta crisi di nervi”.
La McGranitt annuì.
“Già. Filius e Pomona mi hanno riferito di aver avuto problemi anche con i loro
studenti; a proposito, ti pregherei di smetterla di togliere punti a
Tassorosso, sono sottozero da settimane…”
Piton si prese la testa tra le mani.
“Cosa dovrei fare? Harmonya non ha un briciolo di decenza o di rispetto per i docenti,
e non oso metterla in punizione con me… hai visto come mi guarda? Io… ho paura,
Minerva, ho tanta paura!”
Suo malgrado, la donna gli dovette dar ragione.
“Sai come mi ha chiamata, Severus? Mc… McGranny (*). È inaudito, io non so
perché il Preside non prenda dei provvedimenti”.
Piton fece per riempire un altro bicchiere, poi cambiò idea e si attaccò
direttamente alla bottiglia. Dopo un lungo sorso si pulì le labbra col dorso
della mano; sembrava carico di una sinistra determinazione.
“Se Silente non agisce dobbiamo farlo noi, foss’anche solo per salvaguardare i
nostri studenti. Devono sapere a cosa vanno incontro”.
“Tu credi che…”
“Sì. Organizzeremo il prima possibile una riunione.
Dev’essere mantenuto il massimo riserbo sulla cosa, mi occuperò io di fornire
tutte le misure di sicurezza del caso”.
“E sia. Io… contatterò gli altri”.
I due professori si guardarono per un lungo istante, e per una volta decisero
di mettere da parte gli antichi rancori.
*********
(*) per i non anglofoni: McGranny sarebbe
qualcosa tipo "McNonnina"^^
Gente, mi fa davvero piacere che la storia sia
di vostro gradimento! Quando si prova qualcosa di nuovo c'è sempre la paura di
sbagliare clamorosamente^^
Quindi: grazie a tutti quanti per i commenti e
il tempo speso per leggere!
Approfitto per rispondere ad Hotaru_Tomoe:
volevi altre vittime? Eccoti un assaggino^^ Povero Piton, non potevo lasciarlo
da solo in questo pasticcio!
Alla prossima (e buon Natale a tutti, visto che il prossimo capitolo arriverà dopo :)!
Ormai
Harry conosceva a memoria la strada per la Stanza delle
Necessità. Ci era stato tante volte –specialmente
l’anno precedente- da poterla raggiungere a occhi chiusi. Quella volta
però passò davanti alla parete designata per tre
volte senza prestare attenzione, preso com’era dal piccolo
foglio stropicciato che teneva in mano. Lo aveva trovato tra i
fogli del tema che la McGranitt gli aveva appena restituito. Stasera, Stanza delle
Necessità. Mezzanotte. Harry aveva letto quelle
poche righe con le sopracciglia inarcate. Conosceva bene la
calligrafia: era la stessa, sottile e spigolosa, che era solita
caratterizzare i suoi voti di Trasfigurazione da quasi sei anni a
quella parte. Istintivamente aveva sollevato la testa verso Ron,
trovandolo banalmente corrucciato su un compito da
“A” privo di qualsivoglia comunicazione misteriosa.
Memore del litigio di due anni prima, Harry pensò bene di
tenersi per sé la cosa. Aveva cercato con gli occhi la
professoressa McGranitt, sperando in un cenno, uno sguardo esplicativo,
qualsiasi cosa. L’unica cosa che aveva visto sul viso segnato
dell’anziana strega fu ansia, e il suo umore era notevolmente
virato verso il più cupo pessimismo. Così, quella
sera, era andato a letto presto, sperando che i compagni di dormitorio
si assopissero prima di lui; così era stato, ed ora eccolo
lì, con il naso contro la Mappa del Malandrino (Harmonya era
beatamente rintanata nella sua Sala Comune, quindi il peggiore dei
pericoli era scampato), il Mantello
dell’Invisibilità addosso e la bacchetta accesa
davanti a sé. Era tanto concentrato da non accorgersi che il
corridoio del settimo piano era tutt’altro che deserto.
D’un tratto impattò contro qualcuno. Contro il solito qualcuno. “Puoi anche
smetterla con questa messinscena, Potty”, sussurrò
una voce strascicata nel buio. Harry trasalì. “Malfoy?” Si udì un
soffio leggero, e la figura di Draco Malfoy apparve nel buio, reggendo
tra le mani un’orrida mano raggrinzita. “No, Salazar
Serpeverde in reggicalze. Si può
sapere…” “…
cosa ci fai qui?” concluse per lui Harry, sfilandosi il
Mantello e tendendo la bacchetta. La luce magica
proiettò ombre sinistre sul viso affilato di Malfoy,
evidenziando inconsueti segni di stanchezza e, forse, paura. “Ti trovo in
forma, Malfoy”, ironizzò Harry con un sogghigno.
Draco fece un mezzo passo avanti, e istintivamente l’altro
indietreggiò. Quel movimento fece cadere il piccolo foglio
clandestino. Draco si chinò a raccoglierlo (Harry
provò uno strano brivido d’interesse, ma lo
soffocò subito) e la sua espressione si distese leggermente. “Vedo che
siamo qui per lo stesso motivo”, sussurrò il
principe delle Serpi, lo studente precedentemente noto come Draco
Malfoy. Harry non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo. “Quindi
è arrivato anche a te?” chiese con sincero
interesse. Draco annuì
in silenzio; si frugò nella tasca dei pantaloni e tese un
foglietto simile a quello di Harry, tranne per la calligrafia. Alla
luce della bacchetta, quest’ultimo lesse le medesime parole
che gli aveva riservato la McGranitt, solo che… “Piton? Piton
ti ha dato questo?” Draco fece una smorfia. “Già.
Ha chiesto di vedermi con un pretesto, tipo ‘Draco, voglio
mostrarti la mia collezione di farfalle’, e non ti dico i
commenti, e me l’ha infilato in mano. Il biglietto,
cretino”, si affrettò ad aggiungere quando Harry
gonfiò le guance per non ridere. “Comunque mi ha
dato il biglietto, e anche Blaise ne ha avuto uno, ed è
scappato via, guardandosi attorno. Mah, sembrava braccato, e so bene
che fa lavoretti strani con Silente,
però…” “Malfoy, fammi
un favore: evita questi doppi sensi. Sto per vomitare”. Un attimo di silenzio. “Sì,
ok, è oscena come idea, comunque… tu hai qualche
idea, Potter?” Harry scosse la testa. “Niente di
niente, ma credo che…” In fondo al corridoio
risuonarono dei passi irregolari. “Merda,
c’è Gazza!” trasalì Draco,
guardandosi alle spalle. “Presto, entriamo!” Harry non si fece
pregare. Si concentrò brevemente, e a pochi passi, sul muro,
si materializzò un ampio portone borchiato. “Dentro,
dentro!” sibilò, spingendo Draco. Non bastò
l’esclamazione stupita dell’algido Serpeverde dagli
occhi argentati per preparare Harry a ciò che vide. La porta si chiuse
pesantemente, lasciando fuori il resto del mondo. “Ma
cosa…” La Stanza delle
Necessità si era tramutata in un ampio salone dal soffitto
basso, illuminato da tremolanti candele sospese a mezz’aria.
Al centro, attorno a un grande tavolo rotondo, accomodati su sedie
tetre dall’alto schienale, c’erano parecchi
individui. “Ehi,
Harry!” lo salutò Ron, indicandogli una sedia
vuota al suo fianco. “Ti ho tenuto il posto”. Come in trance, il
giovane Grifondoro si accomodò. “Hai…
hai avuto anche tu il biglietto?” Ron annuì. “La McGranitt
me l’ha dato dopo lezione, raccomandandomi di non dirlo a
nessuno. Scusa, amico, ma…” “Sì,
sì, non preoccuparti, in effetti neanche io te ne ho
parlato”, rispose l’altro sovrappensiero. Lo
sguardo vagava per il tavolo, smarrito. Di fianco a Ron erano
seduti Fred e George, stranamente seri e poco sgargianti negli anonimi
abiti Babbani; con loro c’era Bill, particolarmente a disagio
mentre si tormentava l’orecchino fino a rendere il lobo un
gonfio ammasso violaceo. Tutti rivolsero a Harry un cenno secco.
C’era Baston, tutto ingobbito, tanto da sembrare
più smilzo, e al suo fianco Lee Jordan; le sedie successive
erano occupate da studenti che Harry conosceva poco più che
di vista. Draco era andato a
sedersi al fianco del padre, Lucius; il sensuale sopracciglio del pater
familias era immobile in quella che pareva una tetraparesi spastica, le
mani affusolate sudaticce e irrequiete sul tavolo; molto del fascino
dei Malfoy sembrava essere evaporato da quell’uomo pallido e
angosciato. Piton non era certo in condizioni migliori, anzi: a quanto
pare si era infilato sotto il tavolo quando i due ragazzi erano
entrati, e ora tentava di emergere con la poca dignità che
gli rimaneva. C’era Blaise Zabini, in preda ad uno strano
singhiozzo: ogni tanto sobbalzava, e ad ogni colpo cambiava aspetto; da
nero a pallido e biondo, a moro con gli occhi verdi, a…
donna? Eh sì, proprio così. Harry si perse un
attimo ad ammirare quello spettacolo, non senza un briciolo di
compassione. Il Serpeverde sembrava in effetti assolutamente disperato
per ciò che gli stava accadendo. Harry si sarebbe agitato
e avrebbe estratto la bacchetta se poco più in là
non ci fossero stati il professor Silente (ma…
cos’è che stava nascondendo con tanta
abilità sotto le ampie maniche? Filtri, cartine…
per fortuna Harry Potter era abbastaza ingenuo da non cogliere
l’assurdità della cosa) e Remus Lupin, tesi ma non
preoccupati. E, di fianco a
Lupin… Harry si
strozzò con la saliva che stava deglutendo. Perlaceo, evanescente,
un fantasma galleggiava a un palmo dalla sedia. La morte non aveva
alterato i capelli neri e l’ombra di barba che aveva avuto
nel momento del trapasso, né il sorriso
–abbagliante nonostante tutto. Mentre il cuore gli
saltava un battito, Harry esalò: “S-Sirius?” Il suo padrino gli
sorrise. “Ciao, Harry.
Come va?” Nessuno sembrava
particolarmente turbato dal fatto che un noto criminale e un cadavere
fossero lì tra loro. “Ma tu
sei… cioè, tu continui ad essere… e
Nick Quasi-Senza-Testa aveva detto che…” “Sì
sì, sono ancora morto. In effetti ho chiesto un permesso
speciale, diciamo che sono in licenza”. Harry non sapeva se
essere felice, disperarsi o scappare urlando. “Perché
sei qui?” “Perché
abbiamo un grave problema da affrontare. Anzi, avete. Ogni tanto
non mi dispiace essere defunto…” “Hai vinto il
premio per la morte più idiota, Black”,
ringhiò con astio Piton. “Solo
perché non hai ancora visto la tua, Mocciosus
caro”, fu la serafica risposta del caro estinto. Il vivo e il morto si
scrutarono per un lungo istante; Piton era furente –o
invidioso della condizione di Sirius?- e ci volle
l’intervento di Silente per farlo sedere. Il Preside, con gli
occhi stranamente arrossati e le pupille dilatate, si alzò
in piedi. “Bene. Siamo
qui. Bella!” Calò un
silenzio soffocante. Silente
tossicchiò e rise, quindi riprese: “Se…
ecco… no, anzi, aspetta, ricomincio. Merlino, che botta!
Dicevo… siamo qui riuniti per aggiornarci sulla situazione
creatasi da quando è giunta tra noi Harmonya eccetera
eccetera da Montefeltro…” Uno strillo
squarciò l’aria. Piton si era rifugiato di nuovo
sotto al tavolo. “Va tutto
bene, Severus”, lo rabbonì Lucius Malfoy,
aiutandolo a rialzarsi. “Non è qui,
davvero”. “S-sì,
tutto bene. Tutto bene. Spumosi frullati al cioccolato. Spumosi
frullati al cioccolato! (*)” blaterò il
professore, riprendendo posto. “Grazie,
Lucius”, ammiccò Silente con un sorriso un
po’eccessivo. “Da quando la nuova studentessa
è piombata ad Hogwarts, abbiamo assistito ad una serie di
strani eventi. Blaise, prego, vuoi parlarne?” Blaise Zabini sembrava
sull’orlo delle lacrime (momentaneamente tornato al suo
aspetto normale). “Coraggio, va
tutto bene…” Lo studente prese un
lungo respiro tremulo. Il singhiozzo ricominciò. “Io
–hic!- non so cosa sia successo! Un giorno –hic!-
stavo tornando dal bagno e H-Harm…
Voi-Sapete-Chi-Con-Le-Tette mi ha sorriso. Io ho cercato di scappare,
ma –hic!- lei mi si è avvinghiata come un polpo e
–hic!- ha iniziato a delirare, diceva che… che per
quanto se ne sapeva fino a poco tempo fa –hic!- io sarei
potuto essere qualsiasi cosa, e da quel momento… mi succede
–hic!- questo!” Impietosito, Lupin
agitò la bacchetta. Comparve un bicchiere d’acqua,
che Esiliò lesto verso Blaise. “Ecco, prova a
bere questa. Sette sorsi senza respirare, di solito aiuta”. Zabini –in
quel momento con pelle di porcellana, occhi di zaffiro e una quarta
abbondante- bevve avidamente. Ebbe un piccolo singulto che lo fece
tornare nero come mamma l’aveva fatto, poi sembrò
placarsi. “A me
sembra… insomma, succedono cose strane. Ogni
tanto”, Ron si interruppe ed abbassò lo sguardo,
rosso in zona collo. “Ogni tanto mi sembra che i pensieri che
formulo non siano miei, ma… suoi. Che nella mia testa ci sia
quello che lei vuole che io pensi!” Harry
l’avrebbe abbracciato. Guardò Draco, e quando i
loro occhi s’incontrarono capirono… “Quindi non
siamo gay!” esclamò Malfoy senza ritegno. Di nuovo, il gelo corse
tra i presenti. Draco divenne scarlatto. “No…
ecco… papà, fidati, non sono gay, davvero. Potter
non lo so, ma io no! Sono pronto a prendere una nobile moglie anonima e
a fare un figlio cui darò un nome ridicolo, proprio come tu
hai fatto con me!” “Bravo
ragazzo”, commentò bonario Malfoy senior
scompigliandogli i capelli. Harry avrebbe gradito
essere ingoiato dalla terra. “Io ero sicuro
di non essere gay. Di te mi frega molto poco!” “Oh, ragazzi,
ma non c’è nulla di male!”
trillò garrulo Silente. Fortunatamente molti lo ignorarono. “Basta,
basta… ordine!” disse Sirius ad alta voce.
Provò anche a battere la mano sul tavolo, ma
l’attraversò, sbilanciandosi in avanti.
“Ehm… scusate, ci vuole un po’ad
abituarsi. Dicevo… stiamo mancando il punto. Harmonya blabla
Quelcheè sta minacciando la struttura stessa di questa
scuola, dico bene? E noi dobbiamo intervenire!” La sala fu invasa da un
mormorio d’approvazione. Harry, però,
fu colto da un dubbio. “Ehi, un
attimo allora… cosa ci fate voi qui, allora?
Intendo… tu, Lupin, e tutti quelli che ormai a scuola non ci
vengono più?” “Presto detto,
giovane Harry”, rispose Fred. “Ci sentiamo
minacciati anche noi. Non sappiamo fin dove possa estendersi il potere
di quella tizia strana con gli occhi cangianti…” “…
e in tutta onestà abbiamo cominciato a fare sogni
strani”, completò George. “Quella
Harmonya…” Piton urlò di
nuovo. “Ehm…
scusate… Colei-Che-Se-Viene-Nominata-Manda-Piton-Nel-Panico
noi non l’abbiamo mai vista, ma ce la sogniamo ogni notte.
Non ne possiamo più!” Qualche applauso
risuonò qua e là. “Charlie e
Percy dove sono?” chiese Ron accigliandosi. “Tranquilli e
sereni a casa”, rispose Bill imbronciato. “Percy
sta antipatico a tutti, mentre Charlie ha avuto abbastanza buon senso
da ritirarsi in Romania, trovarsi una ragazza (**) e non metter quasi mai becco nelle cose
importanti. Non è popolare, e lo invidio
tantissimo”. “Già,
comunque… il punto è questo”,
proseguì Sirius giungendo le dita evanescenti davanti a
sé. “Questa tizia sembra intenzionata a concupire
più o meno ogni essere umano di sesso maschile con un
briciolo di appeal presente nel castello e nei dintorni. Cosa ancora
peggiore, pare si diverta a creare situazioni a suo modo di vedere
gradevoli, sorvolando sul fatto che questo possa essere improbabile o
orrendo”. “Sirius, ma tu
queste cose come le sai?” chiese Ron ammirato. “Tu,
Lupin… sembrate relativamente calmi”. “Perché
ci siamo già passati”, rispose con un sorriso
sghembo il licantropo. “Ai nostri tempi
c’è stata un’autentica invasione di
gente come Harm…” La mano di Silente gli
chiuse la bocca. Piton si aggrappò saldamente al
bordo del tavolo, gli occhi sgranati. “Addirittura?”
disse Harry, malcelando l’orrore. “Oh
sì”, gli rispose il suo padrino, prendendo a
contare sulle dita. “Bathsheba McKenzie, Federica Jessica
Smithson, Ambra Christie Nonmiricordoilcognome, Mèlanie
Arwen Esposito… era pieno, parola mia, e tutte cercavano di
vincere le mie mutande come trofeo”. “Più
di una… ma è un incubo! Remus, anche
tu…?” “Anche io ho
avuto la mia parte, anche se per fortuna minore. Sono come i pidocchi,
una volta che li prende uno li prendono tutti”. “Be’,
mica tanto… Snivellus e Peter ancora mantengono il loro voto
di verginità, no?” Piton ritrovò
quel minimo di decenza per scoccare a Sirius uno sguardo di fuoco. “Io almeno non
mi faccio il bidè con la lingua e non cerco di montare le
gambe della gente…” Sirius accusò
il colpo. Avrebbe tanto voluto alzarsi con gran fragore di sedie
cadute, ma si limitò ad attraversare il legno, guastando la
scena. Optò per una decorosa ritirata, sedendosi altezzoso. “E
voi… voi le avete sconfitte, vero?”
implorò Draco. “Non hanno cercato di farvi
copulare col vostro peggior nemico, non vi hanno sottomessi!” Remus e Sirius annuirono
convinti. “E come avete
fatto?” chiese Harry, ora attento. “Io sono
morto”, rispose Sirius. “E io faccio
sesso con Tonks”. “Cosa?”
gridarono all’unisono Harry e i Weasley. Lupin arrossì
lievemente. “Forse ho
parlato troppo… cancellate l’ultima frase, vi
prego”. “Il punto
è”, esordì Silente, riducendo la sala
al silenzio, “che queste creature sono gelose e hanno manie
di protagonismo. Essere messe da parte, da un’altra persona o
da inezie come la morte, che ricordiamolo rende difficile
l’accoppiamento, le frustra, fa cadere il loro
interesse”. “Sente, signor
Preside, potremmo giungere a una conclusione?” chiese Draco
molto poco garbatamente. “Come facciamo fuori La Cosa? Non ho
tempo da perdere, devo rodare il mio fascino da giovane, bello e
dannato, menarmela perché ho un tatuaggio e fingere di avere
una personalità profonda. Non è così
facile fare il Mangiamorte!” “Ah! Avevo
ragione! Ho vinto!” esultò Harry guardando Ron.
“Mi devi una Burrobirra!” “Ma…
ha appena ammesso di essere un criminale e tu reagisci
così?” disse a bassa voce l’amico usando
una certa delicatezza, quasi Harry non fosse del tutto in sé. “Dai, ragazzi!
Riflettete un attimo!” li esortò, sempre con gioia
sospetta, Silente. “Io
però sto co Fleur, e questo lo sanno tutti. Lei è
una strafiga eppure anche io vengo molestato di quando in quando. Come
la mettiamo?” “Ah, Bill,
è una questione di stile! La tua storia con Fleur
è tranquilla, siete semplicemente fidanzati in casa, non
c’è nulla di torbido o tormentato tra
voi!” spiegò paziente Lupin. “Sì,
ok, però io non ho la minima intenzione di farmi ammazzare o
di fornicare con una tizia che odio o che mi odia o chissà
che altra paranoia per tornare libero!” disse Draco, alzando
la voce. Suo padre gli mise una mano sulla spalla per calmarlo. “Davvero non
ci arrivi, Draco?” chiese Silente ammiccando. “Ti
stai fermando alla superficie. Guarda più in
profondità”. Gli occhi azzurri (e
arrossati) dietro le lenti a mezzaluna si posarono su Harry. I fili dei
suoi pensieri all’improvviso presero a districarsi, creando
collegamenti. Con il cuore che gli batteva in gola si alzò. “Ho capito. So
come sconfiggerla”.
************
Scusate, scusate
tantissimo per il ritardo! Lo ammetto, sono andata in vacanza per
Capodanno, e mentre ero in Africa ho preferito godermi le ferie
piuttosto che scrivere :P
Veniamo
al momento degli asterischi: (*)”Spumosi
frullati al cioccolato” è una citazione difficile
da cogliere per chi non sia maniaco dei Simpson come me^^ La frase
è pronunciata da Homer in piena crisi psicotica mentre porta
via i bambini del suo centro per l’infanzia, inseguito dalla
polizia. Mi ha sempre fatto ridere! (**)
questa è pubblictà occulta XD leggetevi
l’altra mia fanfic, “Carpathya”, per
risolvere ogni dubbio^^ Alcune
caratteristiche dei personaggi sono ormai entrate nel mio cuore dopo
averle ritrovate in innumerevoli storie (spesso involontariamente
buffe), come Lucius Malfoy “il sopracciglio più
sensuale del vecchio mondo”. Questa, e anche qualche altra,
è ad uso e consumo delle Giacobine^^
Ma
a parte queste vacue ciacole, vi ri-ringrazio dal profondo del cuore
per la fedeltà, sperando che con questo capitolo mi
perdonerete la lunga assenza^^ Buon
Natale, buon anno e buona befana a tutte/e, anche se in ritardo! BRI
Capitolo 6 *** ... che poi l'epilogo c'è, ma non vissero proprio tutti felici e contenti, eh... ***
Hermione
era nota a tutti come una persona estremamente razionale. Certo, Draco
Malfoy trovava sempre qualcosa da ridire (“La mia guancia! La
mia pallida, eburnea guancia è rimasta arrossata come quella
di una contadinotta per ben venti minuti!) e anche Ron ogni tanto
nutriva i suoi sanissimi dubbi (“Hermione Granger: un caso
clamoroso di ciclo mestruale perenne”, aveva detto prima di
trovarsi smutandato e penzolante dall’appendiabiti), eppure
la giovane Grifondoro rientrava tutto sommato nei canoni della
normalità. Tuttavia convivere nello
stesso edificio con Harmonya Lucrezia Christancia da Montefeltro, il
suo ego smisurato, il suo fondoschiena marmoreo e la sua collezione di
scarpe di marca per un periodo superiore ai tredici secondi era
un’impresa al di là delle sue
possibilità. Quel lungo supplizio
durava ormai da ben più di tre mesi; i capelli di Hermione
avevano ormai vita propria (Lavanda Brown andava raccontando a tutti
che un giorno aveva dovuto disimpigliare un picchio rimasto
intrappolato in quel groviglio senza senso), tutte le penne che
conservava con gran cura avevano l’estremità
arruffata dall’eccessivo rosicchiare… girava voce
che fosse stata lei a scrivere “Redrum” sulle
pareti del bagno delle ragazze, ma nessuno aveva prove. Sta di fatto che quella
gelida mattina di Gennaio, quando scese nella Sala Grande di
buon’ora per evitare studentesse in trasferta, era nervosa.
Tutto si sarebbe aspettata, tranne che vedere al tavolo di Grifondoro
un improbabile gruppetto di persone. “…
capito?” disse la voce di Harry Potter, soffocata dalla ressa
e tenuta bassa in tono cospiratore. Alle sue spalle Ernie
McMillan batté le palpebre con un vago timore, guardandosi
attorno; a malapena riuscì ad annuire in silenzio, ma vicino
a lui le reazioni furono più convinte. Persino la testa unta
di Piton, che staccava di una decina di centimetri almeno quelle degli
studenti, fece un deciso cenno d’assenso. “Capito,
Potty”, sussurrò Draco Malfoy, stranamente privo
della solita aria tracotante. Ci fu un ulteriore, breve conciliabolo,
quindi Piton mise un braccio attorno alle spalle di Draco e di Zabini e
li portò via. In breve la piccola
folla si disperse; al tavolo restarono solo Harry e Ron,
l’uno di fronte all’altro. Quest’ultimo
seguì con lo sguardo i due giovani Serpeverde e il
professore, sul viso un’espressione assorta. “Sai, Harry,
secondo me Malfoy è gay. Lo negherà fino alla
morte, ma è così”. “Sì,
è gay e se la fa con Piton… Ron, sei
ridicolo!” sbuffò Hermione sedendosi lì
accanto. I due ragazzi
trasalirono. “Oh…
buongiorno, Hermione. Non… non ti avevamo sentita
arrivare”, disse Harry con un sorriso. “Immaginavo.
Sembravate piuttosto assorti”, chiese la giovane –i
cui occhi non mandavano bagliori dorati e i cui capelli erano
semplicemente crespi e castani, non boccolosi e sensuali- lanciando una
pila di libri sul tavolo e avvicinando il piatto con le salsicce.
Sembrava così irritata che Ron non si sognò
nemmeno di fare battute sconvenienti sulla scelta
dell’alimento. “Così
pare”, rispose sereno Harry versandosi del succo di zucca. Per qualche istante
l’unico suono fu quello delle posate sui piatti e i tonfi dei
bicchieri sul piano di legno. “E suppongo
che non vogliate mettermene a parte, giusto?”
sibilò Hermione, piantando con violenza la forchetta nella
salsiccia. Ron e Harry trasalirono; il primo rabbrividì. “Ecco…
no, non per ora, no…” Hermione
sbatté violentemente le mani sul tavolo e si alzò
in piedi. Il suo sguardo prometteva poco di buono e molto di pericoloso. “Scommetto che
c’è quella vacca di mezzo! Allora, cosa mi dite?
Chi di voi due ha vinto il premio? Chi ha impalmato la gallinella dalle
chiappe d’oro? Chi? Chi è stato quel viscido,
bugiardo traditore col cervello sotto la cintura
che…” “Hermione…” “…
ma io non ho parole! Vi credevo persone in gamba, vi credevo amici! E
con tutto quello che c’è in ballo, V-Voldemort
–Ron sputò una generosa sorsata di tè-
e Silente con la mano secca e tutto…” “Hermione”,
ripeté Ron con un filo di voce e la lingua ustionata. “…
voi due sbavate dietro quella scema come se foste due carlini! Non
è possibile, non è davvero…” “Silencio”, sussurrò Harry
coprendosi gli occhi con una mano e scuotendo la testa sconsolato. Dalla bocca di Hermione
uscì un breve rantolo; la rabbia le si spandeva nella testa
tingendole il viso di viola. “Hermione,
calmati. Davvero”. La giovane
sbuffò. Offesa si sedette ed accavallò le gambe,
rovesciando, con l’urto del ginocchio, un paio di bicchieri;
le gambe incrociate e le sopracciglia aggrottate lasciavano ben
intendere che, appena passato l’effetto
dell’incantesimo, la sfuriata sarebbe stata degna della
miglior Strillettera. Harry e Ron sospirarono
di sollievo. “Allora, una
cosa per volta. Sì, stiamo progettando qualcosa; no, per ora
non possiamo parlartene; sì, c’entra
l’oca giuliva; no, nessuno di noi due se
l’è fatta. Per nostra fortuna, direi.
Può bastare per ora?” Il tono di Harry era
paziente, come se stesse parlando a una bambina capricciosa. Hermione era ancora
imbronciata ma annuì. “Posso
togliere l’incantesimo o ci aggredirai di nuovo?” Hermione fece cenno di
no col capo ricciuto, e Harry, con un sorriso, agitò la
bacchetta. Finalmente tornata in
possesso della voce, la studentessa erroneamente nota come Grifoncina o
Regina dei Grifoni (Hermione aveva cercato più volte di
render noto che era Babbana di nascita e figlia di due plebeissimi
dentisti, ma la cosa sembrava non interessare a nessuno) prese una
lunga boccata d’aria. “Bene”,
disse con voce forzatamente calma. “Posso stare tranquilla?
Badate, mi irrita che mi teniate all’oscuro di tutto, ma
posso capire che…” Hermione tacque un
istante, annusando l’aria con un cipiglio ostile. “Shhht!”
sibilò Ron, indicando la porta con un cenno secco del capo. Non che ce ne fosse
bisogno: un profumo penetrante invase la stanza, preannunciando
l’inevitabile. Hermione
roteò gli occhi, aprendo con rabbia un libro e
seppellendocisi dietro. Ron e Harry si
guardarono intensamente. In quel preciso istante dall’ampio
portone fece il suo ingresso la ninfa sinuosa –con tutte le
curve al posto giusto, è sempre meglio precisarlo,
l’ispirazione dei poeti, la luce degli occhi che conoscono
solo le tenebre. Insomma, Harmonya, con
la divisa meticolosamente discinta, i capelli sollevati da un vento
sovrannaturale (“Odio gli spifferi di questo
castello”, si lamentò Pansy Parkinson, giunta da
poco) che lanciavano bagliori dell’oro più puro e
un sorriso ammagliante incorniciato dall’immancabile gloss
rosa glitterato. I due Grifondoro si
guadarono alle spalle, incrociando lo sguardo di Draco, Blaise e di
tutti gli altri compagni coinvolti. Piton si era precauzionalmente
nascosto dietro Vitious, con pochissimo successo peraltro. “Si
comincia”, ringhiò Harry con decisione, abbassando
lo sguardo verso le sue uova strapazzate ormai fredde. Harmonya fece una
piroetta in mezzo alla sala, giusto per ricordare il suo passato di
stellina della danza classica, e raggiunse non già il
semivuoto tavolo di Tassorosso, ma quello di Grifondoro. “Ron, Harry,
lieta giornata a voi, eroi del mondo magico!”
trillò, ignorando deliberatamente Hermione, le cui dita si
infissero con tale violenza nel cuoio della copertina da lasciarci i
segni. Ron mugugnò
qualcosa di indefinibile, sputacchiando un po’di bacon
tutt’attorno; questo fu sufficiente a renderlo un oggetto
poco interessante. Al contrario, Harry
sfoggiò un gran sorriso. “Ciao,
Harmonya, buona giornata. Hermione, hai mica sotto mano gli appunti di
Storia della Magia? Mi sono addormentato a lezione. Di nuovo”. Colta alla sprovvista,
Hermione alzò la testa di scatto; era tanto sorpresa da non
trovare nulla da ridire. “Come? Oh,
certo, io… eccoli”, disse, estraendo da un
raccoglitore un bel plico di fogli accuratamente scritti. “Li ho
anch’io gli appunti se vuoi”, intervenne solare
Harmonya, aprendo la borsetta (“Prada?”
mormorò Hanna Abbott stringendo gli occhi per leggere la
marca. “Mi sembrava che la città fosse Praga, ci
deve essere un errore su quella borsa…” ) e
mostrando un quaderno rosa con le pagine coperte di cuoricini e
scarabocchi in rosa. “No, grazie
Harmonya…” “Harmonya
Lucrez…” Harry la
ignorò. “Preferisco
quelli di Hermione, sono abituato a studiare sui suoi; sei stata
gentile però”, concluse Harry, rivolgendole un
sorriso tiepido e tornando alle sue uova. L’espressione
affascinante di Harmonya si incrinò solo un poco. Ridato
lustro al suo sorriso si volse verso Ron. “E tu, Ron?
Hai gli allenamenti di Quidditch oggi?” “Chi,
io?” chiese quello, guardando l’attraente
Tassorosso come se fosse sbucata dal terreno. “Sì,
perché?” Harmonya
gettò indietro la chioma. “Pensavo…
sai, oggi è la tua giornata fortunata. Sono libera, e
pensavo di venire a darti una mano, so giocare anche da Portiere
e…” Ron arrossì e
distolse lo sguardo. “No, meglio di
no. Devo allenarmi seriamente, preferisco non…” “Oh, no, ho
un’idea migliore! Senti qui: potrei diventare la capo
cheerleader di Grifondoro, eh?Che ne dite?” chiese con
entusiasmo guardando i due ragazzi. “Harmonya”,
sbuffò Harry visibilmente infastidito. “Non le
vogliamo, le cheerleader; non siamo mica un college di tamarri
americani. E comunque tu sei di Tassorosso, quindi non… ehi,
ciao, Luna!” Luna Lovegood stava
giusto giusto passando alle spalle di Harmonya, immersa in un motivetto
senza parole che sembrava prenderla molto. “Ciao,
Harry!” lo salutò. Harmonya, ora parecchio
irritata, fece per accomodarsi di fianco a Harry. “No, ehi,
scusa… lì che Ginny”, la
fermò Ron, severo. “Cosa?”
chiese la Tassorosso. “Quello
è il posto di Ginny, non puoi sederti
lì!” Harmonya emise una
risata sarcastica. “Cos’è,
c’è per caso scritto il suo nome?” “Veramente
sì”, rispose Hermione indicando la scritta
‘Ginny Weasley’ incisa con un temperino sulla panca. Harmonya
ringhiò un’imprecazione. “Potrei
sedermi lì”, riprese con garbo andando alla
sinistra di Harry. “No,
c’è Neville… ma comunque
perché non vai al tuo tavolo? Non sei una
Grifondoro”, la rimproverò Harry perentorio. “E
allora?” Hermione prese fiato. “La divisione
in Case ha motivazioni precise, e tu non sei nessuno per contestare
questa decisione. Quindi, se non ti dispiace…” Con la mano fece un
cenno in aria, come se stesse scacciando una mosca. Ormai furibonda,
Harmonya prese il suo carico di fascino e stile e marciò
ancheggiando superba verso il suo tavolo. In quel preciso istante
Luna si accomodò di fianco ad Hermione. “Ti scoccia se
mi siedo qui?” “Ovviamente
no!” le rispose l’altra con un sorriso amichevole.
“TU puoi”. Ron e Harry finirono di
mangiare in silenzio, con un certo anticipo rispetto a Hermione. Dopo
averla salutata si alzarono e si allontanarono. “Non male come
inizio”, disse Ron compiaciuto. “Non vorrei che
fosse persino una buona idea!” “Fratello, io
sconfiggo i cattivoni di fine livello, ti pare che le mie idee non
siano buone?”
Piton
odiava il mercoledì. Più del lunedì,
che notoriamente è un incubo. Il martedì
era pesante perché il fine settimana era ancora lontano, e
il giovedì portava, senza mantenerle, promesse di riposo.
Per non parlare del venerdì, così vicino alla
domenica (l’ultimo giorno prima di una nuova, odiosa
settimana) da perdere il gusto dell’attesa. No, il
mercoledì era peggio. Il mercoledì
aveva lezione con Grifondoro e Tassorosso. Assieme. Potter e Tette Letali
assieme. Un incubo. Ma quel
mercoledì di Gennaio c’era una novità. La lezione di Difesa
contro le Arti Oscure era proseguita quasi come al solito: Piton faceva
le domande, gli studenti provavano a rispondere e di solito facevano
pena. Quel giorno
c’era una novità, però. Nonostante
l’ansia e la paranoia (e non per il triplo gioco che
conduceva da anni, no no), Piton aveva ancora un cervello notevole. Quando le due classi si
erano accomodate, approfittando del piccolo trambusto che sempre
seguiva la campanella di inizio lezione, aveva puntato in silenzio la
bacchetta contro Harmonya. Una breve scossa, indice della magia che si
sprigionava, percorse il braccio del professore extravergine,
strappandogli un mezzo sorriso. Una mezz’ora
di spiegazione sulle contro fatture, e poi… “Sentiamo un
po’: chi sa dirmi in che modo si può deviare una
fattura se non si è in possesso di una bacchetta?” La mano di Hermione
Granger scattò rispettosa e saccente verso il cielo;
Harmonya, superiore a queste inezie, si erse sulla sedia e, con un
sorriso, fece per rispondere. Dalla sua bocca
uscì una lunga pernacchia umidiccia. “Sì,
signorina Granger?” chiese Piton, stranamente cordiale. Hermione
tardò un istante a rispondere, smarrita tra il desiderio di
scoppiare a ridere e lo stupore per il tono meno antipatico del
professore. “Io…
ecco… si può interrompere il…
lo… quello che lancia l’incantesimo prima che lo
termini, magari con un colpo o qualcosa del genere”, rispose
balbettando, priva della solita precisione chirurgica. “Bene,
sufficiente, direi. Due punti a Grifondoro”. Harry guardò
Ron. Ron guardò
Harry e si tolse di bocca il foglio di pergamena che aveva usato per
soffocare la risata. Entrambi guardarono
Hermione, e poi Piton (voltato, le spalle scosse da qualcosa che poteva
essere un risolino silenzioso), quindi Harmonya, assolutamente basita. Altri dieci minuti,
altra domanda… altra pernacchia. E così via,
per tutta la lezione. Alla fine Harmonya uscì a lunghi
passi, inviperita. Per la prima volta Harry
ebbe l’impulso di abbracciare Piton. “Sapete”,
disse mentre andavano verso le serre di Erbologia, “quasi
quasi mio figlio lo chiamo come lui, che ne dite?” A quelle parole
profetiche tutti e tre risero.
Harmonya marciava
spedita avanti e indietro, in prossimità del corridoio che
portava ai sotterranei. “Non
è possibile”, sibilò tra sé
mentre i tacchi da dodici centimetri battevano sulle pietre.
“Qui c’è qualcosa che non va. Non
possono ignorarmi tutti! Non è possibile che il mio fascino
non abbia successo, che le mie forme prorompenti su un corpo snello e
tonico non abbiano alcun effetto! Nemmeno il mio profumo sembra darmi
un’opportunità…” In lontananza
risuonarono dei passi e alcune voci. Lo sguardo bicolore di
Harmonya ebbe un guizzo. “Ma non
è ancora finita… posso giocarmi
l’ultima carta!” si disse. Con gesto teatrale si
tolse la cravatta e slacciò un altro bottone della camicia,
lasciando al suo posto giusto quello appena sopra l’ombelico.
Dalla stoffa candida fece capolino un push up di pizzo nero. Un colpo
di bacchetta, e la gonna si aprì in uno spacco vertiginoso,
rivelando l’orlo di una calza autoreggente. “E ora a noi
due, signor Malfoy…” Dopo pochi istanti
dall’angolo sbucarono Draco, Blaise e Pansy, immersi in una
fitta conversazione. Così fitta
che le passarono davanti senza degnarla di uno sguardo. E sì che si
era data un gran da fare per essere sexy: languidamente appoggiata a un
arazzo – i cui occupanti se l’erano preventivamente
data a gambe, imbarazzati- con una gamba piegata e il piede poggiato al
muro, la schiena inarcata e i capelli un po’scomposti gettati
all’indietro. Le labbra socchiuse, lo sguardo
acceso… tutto, in Harmonya, avrebbe dovuto gridare
“sesso!” a gran voce. I tre Serpeverde le
sfilarono davanti senza una parola. E questo era davvero
troppo. Harmonya
batté il piede a terra. “Ora
basta!” strillò, stringendo i pugni e rovinandosi
la french manicure. “Si può sapere
perché nessuno mi caga? Io sono… sono bella,
ricca, intelligente, ho fascino, buon gusto, vesto di marca, so tutto,
sono… sono così feeka!” Draco passò
un braccio attorno alle spalle di Pansy. “Ah, sei tu,
quella col nome lungo”, disse laconico. “Mi chiamo
Harm…” “Lo sappiamo
come ti chiami, solo che non vale la pena perder tempo a pronunciare un
simile spreco di lettere”, rispose Blaise agitando mollemente
la mano. Il gran clamore aveva
richiamato qualche curioso, non ultimi Harry, Ron e Hermione,
palesemente divertiti. Harmonya
guardò Zabini con gelido odio e strinse gli occhi. Il
giovane trasalì e si tenne una mano davanti alla bocca,
reprimendo un singhiozzo. Fu questione di un istante, però:
un nobile contegno gli scese sui bei lineamenti, a malapena distorti da
un ghigno sarcastico. “Non provarci,
tesoro: sono un uomo e sono bello nero. Mio nonno era africano, quindi
basta storie”. Deglutì rumorosamente e
il singhiozzo sparì. Harmonya era
sull’orlo delle lacrime. Guardò prima Harry
(distratto dalla visione di una Ginny particolarmente a sui agio) e poi
Draco. “Non…
non è possibile! Come posso non piacervi? Come potete
preferire quelle anonime sciacquette a… a me? Sono il
massimo che ci sia sul mercato!” “Ma che ce
l’hai con me?” chiese Draco, arricciando il naso.
Con gesto teatrale baciò Pansy, lasciandola senza fiato e
soddisfatta. “Guarda che tu sei palesemente troppo
vistosa per i miei gusti. La mia è una famiglia
all’antica, mi ci vuole una consorte che sappia stare al suo
posto e che non sfiguri ai party nell’alta
società. Tu vai giusto bene per un Babbano arricchito col
suv”. Ben in pochi capirono
l’ultima osservazione. Harmonya si
guardò intorno mentre il trucco le colava impietosamente
sulle guance. “Quindi…
non…” “No!”
esplose un coro di voci concitate. “Harmonya, ora
basta”, intervenne Harry avanzando di un passo. Ormai alle
sue spalle s’era formata una folla notevole, comprendente
professori e bidelli. “Sono io l’eroe della storia:
non puoi pretendere che tutte le attenzioni siano su dite! Questa trama
non ti appartiene!”
L’immagine si
bloccò su un impietoso fotogramma di Harmonya con la bocca
spalancata e gli occhi vacui, spenti. Sembrava un’orata. La poltrona della
Presidentessa si voltò lentamente senza cigolare. Le dita congiunte sotto
al mento ebbero un fremito. Gli occhi celati dagli occhiali dalla
montatura di metallo erano gelidi come il vento che, in superficie,
sferzava le colline inglesi. Forse, da qualche parte,
una mucca guardava passare il treno… ma no, dai, torniamo
alla storia. “Abbiamo
fallito”, scattò la voce della donna
nell’aria tesa della sala riunioni. “Non era questo
che volevamo ottenere”. Con uno scatto si
alzò e prese a misurare avanti e indietro la stanza. “Sono delusa,
molto delusa. Potevamo fare di più”. I seri scienziati si
agitarono sulle loro sedie. “Capo, siamo
dispiaciuti, ma si trattava di un prototipo, un esperimento
che…” “Che
è andato a rotoli!” gracchiò la donna,
inflessibile. “Sarà meglio che tiriate fuori
qualche altra idea, sennò…” “Con
permesso”, disse una giovane voce femminile in fondo alla
sala, “avrei un progetto da proporre”. La presidentessa
posò lo sguardo freddo sulla rampante fanciulla in camice
che aveva parlato con tanta sicurezza. “Ah
sì, e di cosa si tratta?” chiese, non senza
sarcasmo. “Il progetto
MS539K”, rispose la giovane senza batter ciglio. Un mormorio perplesso si
diffuse per la sala. “MS539…K?
E K per cosa starebbe?” chiese il capo. La giovane ricercatrice
puntò con nonchalance un telecomando alle proprie spalle e
premette un pulsantone rosso. Un pannello si aprì sulla
parete rivelando una sagoma in controluce avvolta da una nube di fumo
azzurro. Tutti i presenti trattennero il respiro. "K... come kattiva!" Lei era giovane e
minuta. Il viso di porcellana era di una bellezza assoluta,
strafottente e distratta. I capelli verdi e lucenti ricadevano sulle
guance pallide come la neve, incorniciando un paio di grandi occhi
pesantemente truccati di nero. Erano viola, ma virarono rapidamente al
rosso quando, infastidita da tanti sguardi puntati su di lei,
sollevò il dito medio nella direzione degli scienziati. Tra le labbra dipinte di
viola scuro pendeva una sigaretta fumata a metà; era vestita
senza cura apparente, jeans neri strappati con cintura borchiata e
catena pendente dai fianchi, All Star viola, una maglietta degli
Evanescence e, a tracolla, pendeva una borsa di tela
anch’essa nera, tempestata di spillette rotonde con
l’icona di vari gruppi goth e Emo rigorosamente Babbani. “Allora”,
disse la misteriosa ragazza con voce strascicata.
“Dov’è questo Draco Malfoy? Ho giusto un
paio di cose da insegnare a quel poppante che non ha nemmeno le palle
di ammazzare un vecchio…” La presidentessa
raddrizzò lentamente le spalle mentre un sorriso spietato le
sbocciava sul viso tirato. “Sì…”
sussurrò avanzando verso il nuovo prototipo.
“Sì!” Si portò
davanti all’oscura ragazza e la fissò a lungo.
Poi, d’improvviso, si voltò verso i colleghi, le
braccia levate al cielo. “Si
Può Fare!”