La Mitica Alba

di MardukAmmon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Proemio ***
Capitolo 2: *** Un ordine sacro Destinato a tramontare. ***
Capitolo 3: *** Un Re ed un principe Nero. ***
Capitolo 4: *** L’Aurora nella nebbia. ***
Capitolo 5: *** Ohrmazd e Savitri. ***
Capitolo 6: *** Ahriman e la serpe nel cuore. ***
Capitolo 7: *** La caccia selvaggia ***
Capitolo 8: *** Un padre. ***
Capitolo 9: *** Un Figlio. ***
Capitolo 10: *** Yamhpur ed il trono. ***
Capitolo 11: *** Il più santo dei Santi. ***
Capitolo 12: *** Il Figlio di Dio. ***
Capitolo 13: *** Una Notizia inattesa. ***
Capitolo 14: *** Venti passi per due Fratelli. ***
Capitolo 15: *** Il Dio Bianco e il Re Nero. ***
Capitolo 16: *** Il Tragitto dei Tre. ***
Capitolo 17: *** Trasportati dal Vento Notturno. ***
Capitolo 18: *** Sursalevca casa di luce. ***



Capitolo 1
*** Proemio ***


Proemio

 

Cantami O Diva, della mitica alba

sorta a nord est, tra gli Hyperborei fiumi.

Ricordami O  Mnemosyne dell’eroe RajYama

patriarca dei Vyria, nostri antenati

illuminami sull’ardito dai capelli rossi, che

a cavallo spingeva, come onde le genti.

 

O grande Zalmoxis

signore del cielo e padre di Dei

Eroi e Muse, ti invoco

tu che hai seguito i passi del nostro Re per la pianura

come tu facesti con lui

ora ti chiedo di indirizzare il mio sguardo e la mia mente

al solco che lasciò il suo cammino

 

Proteggi la mia mente in questo viaggio

a ritroso nel tempo

per ritornare con la mia anima

alla patria primigenia

che fu vasta

ricca e maestosa.

 

Dipingi

con le tue dita auree, davanti

ai miei occhi

le nove, virtù fondamentali

della nostra genia.

 

Rammentami le gloriose vittorie che portarono

lustro ai nostri antenati,

come la luce del sole che illumina, perenne

le vallate floride

ti chiedo di fare lo stesso con la mia mente

e di far rifiorire

l’edere dei ricordi.

 

Ma la natura ha le sue leggi

prima dell’alba io ti chiedo

di cantarmi della notte frenetica

infestata da spiriti

Demoni e Larve

che s’annidarono nelle buie menti degli avi,corrotti

dalla cupidigia animalesca di Ahriman, il signore oscuro.

 

Cantami, O Diva

affinché io possa ricordare a tutti

la resistenza di coloro, che umilmente e con coraggio

si opposero al buio dell’ignoranza e dell’egoismo.

Fa riaffiorare

dall’oceano del tempo, O Mnemosyne

la memoria dei sei Mahavir, che governando

con giustizia

le loro regioni, insieme al RajYama

placarono le orde di Turani, irretite anche loro

dal male più profondo e nero.

 

Come un rapace

prendimi con gli artigli, O Zalmoxis e

portami alla capitale che fu dei Vyr, guidami fino a Yamhpur

oltre al Dnepr, dinnanzi alle sue alte mura

permettimi di poter pregare davanti

ai tumuli incorrotti di Ohrmazd, di Jorwyr

e di Savitri.

 

Concedimi, la visione di quel trono, un ceppo umile

con due lance ai lati

posto davanti a dove fu eretto il tempio

sacro sede del focolare, per

poter essere ravvivato dalla sola presenza Regale.

 

Indirizza, il mio sguardo verso la terra

divisa dai due fiumi

fammi, cavalcare vicino alle mandrie

d’equini più indomite e veloci

concedimi, di spiare i percorsi dei cervi

tra i boschi sacri

nascondimi agli occhi dei Bisonti lanosi

e maestosi.

Permettimi, di rammentare ogni cosa

per poterla raccontare.

 

Portami a ovest, fammi toccare con la mano

l’erba alta

lungo le praterie di Kuhburg.

Permettimi

di seguire le mandrie di bovini scuri e

possenti, simbolo di ricchezza e virtù

per i saggi antenati.

Permettimi di osservare il lungo cerchio che posero sul terreno

davanti alle palizzate, con un unico solco

barriera del villaggio contro l’oscurità e l’ignoranza.

 

Cala i miei occhi a sud, ovest verso Ecsapils

che sovrasta i boschi e le praterie vicine

passa la mia mano sopra il tronco abbattuto

tra i boschi, altare del dio del cielo

cela la mia ombra ed il mio tanfo mortale al mostruoso

orso che infesta le lussureggianti selve vicine al fiume Donepr,

concedimi di poter diventare ebro per l’ottimo idromele fermentato nella città dalle sei torri.



Indicami la strada

verso Kwetupur, a sud est

verso le distese fiorite di vari colori, dipinte di rosso e

di viola, nate su manti erbosi rigogliosi e ricchi di vita

solcate dal ruscello Tevr noto tra tutti gli uomini della pianura

per le sue temperature glaciali.

 

Seguendo, poi i radiosi raggi del Sole,

porta la mia anima attratta dalla purezza, ad est, a Levca

la città tempio dell’altissimo padre degli Dei

permettimi di sostare danti al recinto sacro

presidiato dai grandi Bhagavadi, fa o Mnemosyne

che io rammenti i percorsi diretti a queste città ancestrali

detentrici dell’ordine cosmico.

 

Autorizzami, O Diva

a calcare con i miei piedi le praterie di Ekwhburg

verso nord fino ai confini delle lande di Yamhpur

lasciami mirare i destrieri più possenti e veloci dell’intera pianura

spalanca a me le porte delle stalle, lunghe e maestose

casa degli equini più resistenti e fedeli.

 

Come in un sogno, O Diva dell’intelletto

prendimi in un volo e conducimi sopra la grande pianura

e con la virtù dei poeti lascia che io racconti

questa storia immortale.

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Capitolo 2
*** Un ordine sacro Destinato a tramontare. ***


Un ordine sacro Destinato a tramontare.

 

 

Sul trono di Yampur, sedeva l’essere più saggio e buono che l’uomo avesse mai conosciuto, alto, dalla rossa barba e dagli occhi azzurri, forte e dal’aspetto austero, regale e dallo sguardo ricolmo di pace, Ohrmazd figlio di Yanu era il suo nome.
Lui regnava nella pianura ed aveva il comando su tutte e sei le città, governate da saggi Mahavira, scelti con raziocinio dai sacerdoti, tra il nobile popolo. Salito al trono, al’età di vent'anni, succedette il padre, che anziano perse la vista e divenne inabile al comando. Alla guida della capitale il senato pose al fianco del Re Ohrmazd, un Mahavir, il cui compito sarebbe stato quello di consigliare il Sovrano e aiutarlo nella gestione della città ed i territori da essa controllati, egli fu l’anziano Asha Vaìshtaa, dal’animo giusto e saggio.

La Capitale dei Vyria, costruita dai divini Ekuhvin ben settecento anni prima della salita al comando di Ohrmazd, fu fondata con l’intenzione proteggere l’ordine cosmico sulla terra, le sue mura, i suoi limes, vennero alzati per bloccare ed arginare qualsiasi forma malvagia nata dal caos corruttibile, generato dalle nere notti abitate da spiriti e mostri, deboli ma allo stesso tempo nocivi in quel’era Argentata. Della fondazione rimase il ceppo a ricordare quel faggio, che colpito da un fulmine tonante si spezzò in due parti ed indicò ai due cavalieri gemelli, il punto dove sarebbe sorta la città in tutto il suo splendore. Il legno venne tagliato prima dai patriarchi delle nobili famiglie presenti, poi dal’araldo del padre degli Dei che tra i tanti fasci, risparmiati dalle fiamme ne fece uno solo, lungo e stretto, con cui scendendo alle pendici della bassa ma ampia collina cominciò a segnare il primo limite tra la città ed il mondo esterno.

Il Saggio impiegò tre giorni, compiendo sacrifici sopra il fuoco sacro preservato dalla scintilla della folgore, per onorare tutti i volti del cielo e della terra, il solco ottagonale che ne seguì fu ampio e lungo, ai vertici della figura segnata sul suolo, i nobili capi famiglia posero gli ampi legni rimasti del’alto faggio insieme ai cippi familiari, dividendosi la proprietà su quei lembi di terra; l'anziano Jarowir degli Euriviri, padre dei due gemelli reali, prese possesso dell'angolo a nord est innalzandovi un altare dedicato agli antenati, vicino al punto dove sarebbe sorta l'ampia porta; l'eterno giovane Marcandeva dei Bacchiadi, pose il proprio cippo ad est, sull'altro angolo che avrebbe fatto da base all'entrata; affianco a lui, nell'angolo orientato verso sud est, il potente Svartoviro dei Boiari, pastori dalle ampie mandrie, mise il suo stendardo bianco infilzandolo nel terreno, reclamandone la proprietà; il biondo Cussara, padre degli Equomadi, prodi cavalieri, pose la sua pietra, con incisa una croce, sull'angolo sud; il fulvo Furio dei Luciensi, alto e robusto capo delle Virili armate, prima lasciò sul terreno libagioni: Latte, idromele e dolci bacche vennero versate in tre rispettive buche, per onorare gli spiriti della terra, poi prese tre assi e costruì l' altare familiare sull'angolo sud ovest; il glauco Brenno dei Galageni, nobile dai lunghi crini castani e dai baffi color del fuoco più caldo, fiero sorrise, nel piantare il palo di legno nel terreno sull'angolo ovest, sul quale abbondavano solchi vorticosi ed a spirale; il rosso Sètanta degli Ariomadi, occhi glauchi come il cugino, prese la sua lancia, regalo del padre Lughelio e per il legno la fissò nel terreno sull'angolo nord ovest; Il biondissimo e bellissimo Haermin dei Ghermanni, popolo dalle lunghe lance e dai poderosi cavalli, collocò la sua casa nell'angolo nord dell'ottagono che faceva base per le mura cittadine, sistemò nel terreno un legno ormai vecchio con tre punte, due rami spezzati ai lati ed al centro il fusto a cui dedicò tre libagioni per ogni estremità, intonando lodi a Deiwo Pytar.

Passarono tre notti, intorno al ceppo del faggio i due gemelli posero due tende, una per il sacerdote, issata opposta al’entrata e orientata verso il levante, lungo l’asse nordest-nordovest, che avente come centro il ceppo divenne la spina dorsale del neonato insediamento e l’altra per la loro stessa famiglia, davanti al ceppo e di fronte a quella del sacerdote, sorta intorno alla primigenea fiamma sacrificale. Il resto dei Vyr che seguirono gli Ekuhvin dalle lande innevate fino alla pianura posero le loro tende intorno alle due dimore sacre nei luoghi scelti dai loro patriarchi, lasciando sgombero solo la lunga linea retta sulla quale furono orientate e issate le due tende dei nobili.
Ma dopo altre tre notti, l’anziano Sacerdote, dagli occhi bicromi e profondi osò dire ai biondi Ekuhvin dopo aver ricevuto continui terrificanti vaticini sul futuro: Tra settecento anni ci sarà un sole luminoso ed un sole nero, quello nero ingoierà il luminoso, questa città allora non avrà pace, fratello contro fratello, cugino contro cugino, l'Arya sarà schiavo dello straniero.
I due cavalieri divini, sgranati gli occhi, risposero al’unisono: O potente araldo del cielo! poni intorno al solco che hai già sapientemente scavato intorno alla città, un ulteriore barriera, così che anche le case che sorgeranno oltre le mura saranno protette dalle nefandezze notturne, così che questo sole nero non possa passare con i suoi infidi raggi oltre le alte palizzate che innalzeremo!.
Il saggio annuì, sperando in cuor suo, che i divini avessero avuto ragione, venne sacrificata una giumenta, del latte e dei frutti, così da ingraziarsi gli spiriti della terra, crucciati per l’ulteriore fenditura circolare che i Vyria imposero su quel terreno ampio e florido.
Ma nessun solco, nessun Menhir, nessun amuleto di ossa, posto al’entrata del’ insediamento, poté bloccare un’oscurità nascente, sorta oltre alle barriere sacre, lontano dalle alte fiamme del tempio, come una nauseabonda nebbia lacustre sempre pronta ad avvolgere ogni cosa. Infatti , come da profezia, un anno dopo la nascita di Ohrmazd dal ventre della Regina Mahamatri uscì un secondo infante, Ahriman, chiamato così per la pelle scura, quasi violacea che presentava alla nascita, tipica dei parti travagliati e difficili, che lo facevano assomigliare ad uno spiritello maligno e che gli rimase poi come nome anche quando salvatosi dall'asfissia riprese a respirare fino a riprendere un colorito chiaro come il latte perseguitandolo come un'infamia.
Il suo concepimento avvenne lontano da Yamhpur, tra i giunchi lungo al Dnepr, vicino alla tenuta di caccia reale, ben lontano dalla barriera che venne alzata proprio per scongiurare quel’infausta nascita, portatrice di discordia e disgregazione.
A differenza del fratello maggiore, quando il padre Yanu perse completamente la vista cadendo da cavallo, Ahriman non venne considerato tra i candidati per la successione al trono, infatti il giovane era lontano, a est nelle terre di Turashid in cerca di una tregua tra i due popoli in perenne guerra. Solo Ohrmazd fu presente fin dal’inizio vicino al padre, che lo ricompensò con l’onere di continuare il suo compito, quello di sorreggere l’intera comunità, quello di diventare Re.
Questo riconoscimento, che Yanu diede al suo Primogenito, portò per la prima volta delle vere e proprie dispute al’interno della famiglia Reale, tutto il senato sapeva che l’iracondo Ahriman si sarebbe vendicato di quella scelta saggia ma sciagurata.
Yamhpur non poteva rimanere senza Re, ne le sei città della pianura potevano rimanere senza il loro Monarca, capo degli eserciti e dei Mahavir. Gli animi dei due fratelli infatti erano opposti ed imponenti, il più grande; Ohrmazd, era pio, umile, sincero, furente verso i nemici e generoso con gli amici; Ahriman invece, era ambizioso, bugiardo, scellerato in battaglia contro i nemici, sboccato, prodigo con i nemici ed avido con i compagni, era chiaro a tutti che entrambi non potevano regnare insieme, non erano né gemelli come gli antichi fondatori, né i loro animi uniti avrebbero potuto sopportare il peso dell'incarico. I vaticini dei sacerdoti erano chiari, dai tagli poco profondi sul ventre del capro usciva sangue copioso e le ossa erano fragili, affrettata e mortale fu la decisione.

 

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Capitolo 3
*** Un Re ed un principe Nero. ***


Un Re ed un principe Nero.

 

Il giorno dell'incoronazione, tutte le grandi famiglie della pianura, gli Enarei, discepoli dei Bhagavadi chiusi nel tempio in attesa, le armate a cavallo, ferme davanti al fiume con i visi rivolti verso la strada sacra diretta a Levca, attendevano la venuta del principe andato nella caccia rituale insieme ai sei Mahavir, ora visti arrivare da nord ovest a cavallo.

Il rosso Ohrmazd, nudo con solo una pelliccia d'orso sul capo lunga fino alla schiena, in sella al suo amato cavallo pezzato, bianco e marrone, attorniato dagli altri principi delle sei città ritornarono a vedersi vicini all'orizzonte, a fianco, alla sua destra v'era l'anziano Vohu Manah degli Ariomadi principe di Ekwhburg, vestito di bianco e arancione, dalla grigia barba e dagli occhi color del mare accompagnato da mastini fedeli, il secondo; Asha Vahistaa dei Bacchiadi, reggente di Yamhpur, alla destra del primo principe ma indietro, fungendo da angolo in quell'esagono ideale formato dai Nobili a cavallo, anche lui anziano canuto dagli occhi celesti , vestito di pelli pitturate di rosso e nero, teneva nella mano mancina uno scettro di legno dalla testa equina, alla sinistra di Ohrmazd, indietro, all'altezza del secondo Mahavir, v'era il terzo, il più giovane dei principi, Xshathra dei Boiari, il biondo barbuto dagli occhi di cielo, coperto di lana e pelli vaccine, signore di Kuhburg città dai numerosi buoi, cognato dell'aspirante Re; dietro al terzo a cavallo c'era la quarta principessa, Signora di Ecsapils, città delle sei torri, lei era Armaiti dei Ghermanni, anziana ma bellissima, dal capo coronato di fiori azzurri e dai capelli bianchi color argento, gli occhi del medesimo colore dei fiori emanavano pace e gioia; ancora più indietro, lungo la retta che legava il vertice dell'esagono composto da Ohrmazd e Vohu Manah affiacati a formare il polo opposto v'era la quinta principessa, Ameretat dei Luciensi, la Signora della forte e iraconda Kwetupur sempre pronta a prendere le armi, lei dai capelli rossi e dalle iridi cerulee, vestita di porpora e decorata di fiori viola e gialli, con la sinistra teneva un pugnale d'osso; la sesta principessa, alla stessa altezza della quarta, a cavallo di un equino bianco come il latte era Haurvatat dei Galageni, dai capelli biondi, giovane e radiosa, Signora di Levca, conoscitrice degli oracoli, studiosa dei moti delle acque lacustri, mistica sublime e custode dei misteri segreti di Demeter. Al centro di quel nobile esagono c'era la fiera catturata nelle praterie, una giumenta bianchissima con sei corde al collo, tenute da tutti i Principi con la mano destra. Il nobile popolo in armi vedendoli ormai vicini, incominciò ad esultare dicendo: Yanu Triumpe!

Ohrmazd!Triumpe!Triumpe!Triumpe!

E quando i nobili Cacciatori arrivarono davanti al corteo, ai suoni dei flauti partirono verso le imponenti porte della cittadella Tempio. Ai lati dell'ampia strada sacra i cittadini in armi, arrivati dalle regioni della pianura vicine, riversatisi a frotte, salutavano principi e principesse gettando ghirlande di fiori sul terreno e gridando: Toutadivos!Triumpe!Triumpe!Triunpe; all'unisono, anche il Sole alto nel cielo, insieme alle numerose famiglie nobiliari armate e gaudenti, salutava l'aspirante Re, diretto fin sotto le ampie porte delle mura a pianta trapezoidale con i due lati obliqui della stessa lunghezza.
La città Templare, rivolta fin dalla sua fondazione verso la levata mattiniera del sole, spalancò le ampie porte al corteo reale, davanti a loro si aprì la vista di quel tempio gigantesco, unico edificio che, costruito in una città con quella forma, ne prese tutto lo spazio necessario. Sorretto da ben trentasei pilastri, composti da tronchi di legno altissimi, la sua pianta era circolare; il tetto era una c una cupola con un foro al centro, coperta da sterpaglia, canne secche e rami; dietro le colonne, l'edificio possedeva una palizzata circolare che faceva da scheletro alle mura di fango e pietra su cui erano pitturati dei punti color rosso fuoco, posti a formare le dodici costellazioni della volta celeste . Le entrate erano due, sempre aperte, ma chiuse durante i periodi di guerra da due ampie porte di faggio: una si affacciava all'entrata della città e l'altra opposta, era rivolta all'uscita, dove ogni mattina il Sole faceva il suo ingresso irradiando la polverosa rossa terra sacra, pavimento incorrotto.
Arrivati alla soglia del portone cittadino v'erano, rispettivamente, ai lati della porta una fila di dodici guerrieri, armati di lancia e scudo, che a terra alzando la lancia verso il cielo li salutavano con fierezza e fedeltà, poi raggiunto lo spiazzo antistante al luogo sacro, i principi scesi da cavallo aiutati dagli scudieri e lasciate a loro le cavalcature presero a camminare verso il grande ingresso del Tempio, da dove si potevano vedere ben cinquecentosettantasei Bhagavadi, seduti intorno al fuoco rivolti verso l'entrata, intenti ad osservare i nobili signori ormai all'interno delle sacre mura.
L'aspirante Re prima di tutti fece il suo ingresso, ignudo se non per la sua pelliccia d'orso e si inchinò agli uomini santi e dicendo: Sono qui umile davanti a voi! O' Vati della Pianura giudicatemi, accetterò le vostre parole, come un umile figlio fa con l'anziano padre.
I principi, nel frattempo entrarono ponendosi dietro Ohrmazd, senza lasciare le corde con cui tenevano la cavalla nervosa, ora anche lei all'interno. Dietro al fuoco secondo la prospettiva dell'aspirante Re v'era una ampia coperta con sotto nascosto chiaramente un ampio cratere con altri recipienti.
Seduto tra i Bhagavadi si alzò una figura altissima, coperta da un mantello bianco e rosso, dal viso celato da un velo quasi trasparente: Oh! Ohrmazd degli Euriviri, conosciamo tutti la Lealtà che hai impersonato sui campi di Battaglia a Nord-est, contro i fratelli Turani, O' figlio di Yanu, Re della pianura sappiamo bene che conosci le leggi degli antichi, che io ho visto manifestarsi in Eoni di vita, Tu sei stato colui che ha calmato i nostri alleati a sud ovest, tu sei stato colui che ha fatto trattati commerciali con i popoli alle pendici dei monti che coltivano e combattono, tu hai sapientemente unito diplomazia e guerra, non sei stato crudele con i nemici ne sei stato loro alleato o amico, non sei stato avido con gli amici, ne sei caduto nel divenire prodigo e succube, quindi o figlio di Yanu perchè non darti questo titolo che ti spetta di diritto?.
E con queste parole, andando con entrambe le mani ad alzare il velo davanti agli occhi, mostrò il suo sguardo millenario, dai due diversi colori, il sinistro verde ed il destro azzurro, circondato da un viso dai tratti taglienti, gli zigomi erano alti e dalle gote scendeva una folta barba bianca.
Il Principe Ohrmazd si inchinò nel silenzio più totale, sotto lo sguardo del popolo riversatosi nel tempio, l'anziano capo spirituale dei Bhagavadi annuì e continuò: Principi portatemi la giumenta, Bhagavadi voi prendete il miele, la larga coperta di lana ed un cratere con il forte idromele fermentato.
E così fu, il cavallo venne portato davanti al fuoco al fianco di Ohrmazd, ora a ben otto passi dai principi, dodici Bhagavadi presero la grande coperta, uno solo portò nelle mani del Santo Anziano la terracotta piena di miele e l'ultimo spostò il pesante recipiente con l'idromele davanti al cavallo che prese a bere quel pesante intruglio, ingannato dal sapore troppo zuccherato e da varie sterpaglie gettate nella mistura.
L'altissimo Anziano dagli occhi bicromi prese la terracotta e mettendovi dentro le decrepite dita cominciò a passarsi il miele tra esse, poi attraversato il fuoco a piedi scalzi senza bruciare ne nella carne ne nelle vesti, si pose davanti al futuro Re dicendogli:Sorgi!.
Ohrmazd allora si alzò in piedi, uguagliando quasi in altezza l'anziano dallo sguardo Divino e con queste parole cominciò a passare la mano destra sul viso barbuto dal crine rosso come le fiamme scendendo poi lungo il collo, con estrema lentezza, intingendo nuovamente le falangi nel miele ad ogni passata per non far seccare l'unguento, ne tra le proprie dita ne sulla pelle del nobile ora divenuta lucida fin sopra le clavicole, continuando poi anche sulle spalle ampie, alle forti braccia ed alle mani possenti, passando dopo sul petto, facendo attenzione a spargere il miele sopra la sede del cuore, fulcro, insieme al capo, nell'essere umano originario.
Ohrmazd tenendo sulla testa e sulla schiena ancora la pelliccia d'osso non si mosse lasciandosi passare il nettare sacro preso dai fiori di Levca, consentendo al Signore di scendere sul ventre scolpito da numerose battaglie; il miele diventato ora nutrimento dell'anima preparava il corpo al superamento della sua forma umana più bassa e mortale. Nessun segno di disappunto venne detto dall'aspirante Re in silenzio quando le dita arrivarono fin sotto la cintura, consacrando così anche la sua progenie, poi il Vate prima di abbassarsi per arrivare con gli arti al bacino arrivò a dire: Prendi il recipiente tra le mani. L'aspirante Re pose le mani chiuse a coppa all'altezza dello sterno dove il Sacro anziano mise il piccolo vaso, intingendo la mano sinistra ancora asciutta, la mancina andò sopra la coscia destra e la destra sopra la coscia sinistra scendendo fino alle ginocchia. L'Anziano, abbassatosi fino a rivolgere il viso al recipiente, poggiato sui palmi del possente Ohrmazd passò le falangi sulle gambe scendendo fino ai polpacci, arrivando alle caviglie e li dopo aver intinto per l'ultima volta i polpastrelli in quel vaso ormai quasi svuotato dell'inguento, continuò dal collo del piede alle falangi. Il cavallo mentre, finito di bere quell'intruglio venne liberato dai principi che gettarono a terra le corde, l'anziano signore rialzatosi, togliendogli il vaso tra le mani, disse al principe: Ora puoi unirti alla tua sposa, lei ti sta attendendo.
Un Bhagavadi, barbuto e vestito di pelli d'equino prese un'ascia di pietra con un filo di rame, la diede al signore Antico con ancora le mani sporche di miele che si avvicinò una cavalla e alzando l'ascia al cielo, gridò: Woranos accetta il Sacrificio!.
E detto ciò colpì con forza il collo della giumenta, facendola crollare a terra in un mare di sangue, restituì l'arma al Bhagavadi e spingendo con forza il Re sopra l'equino in fin di vita ordinò: Gettategli il telo di sopra!.
E così fecero, coprendo ai presenti la vista di quel coito tra la cavalla albina ed il Re, trascinatosi per diversi minuti lungo i quali i presenti cantavano a bassa voce canti antichi verso gli Dei, troppo sacri da poter raccontare. Quando uscì da sotto il telo la figura nuda, sporca di sangue, di terra. dalla pelle lucidata dal miele, dai chiarissimi occhi azzurri, brillanti sul volto infiammato dal sangue e dal lungo crine fulvo, il popolo tutto esultò fragoroso:
 

“Reges! Triumpe!Triumpe!Triumpe!

 

Ohrmazd!Triumpe!Tiumpe!Triumpe!

 

Toutadivos!Triumpe!Triumpe!Triunpe!”

 

E lo dissero alzando la destra verso l'alto con le dita della mano unite, protese in avanti e anche i guerrieri armati elevarono la lancia come proiezione del braccio; tutto il popolo, dai fieri soldati, ai principi, ai Bhagavadi, all'anziano Vate immortale fino al vecchio padre cieco ormai senza potere gli resero omaggio. fu in quel momento solenne che, acclamato Re dalla tribù, Ohrmazd vide avvicinarsi il padre Yanu con in mano lo scettro tenuto precedentemente da Asha Vahistaa e porgendoglielo disse: Ora tu sei Re.
Quel giorno di gioia venne celebrato in un lauto banchetto fuori le porte della città, le ampie tavole preparate per l'avvenimento vennero allestite per tutti i presenti e coloro che erano rimasti fuori durante il rito per la troppa calca si sedettero al fianco del Re e dei capi anziani delle famiglie nobiliari, e davanti a loro venne servita la carne divina della Cavalla bianca, diventata per qualche attimo compagna del Re, buoi, maiali e tante altre pietanze riempirono per due interi giorni le tavolate di quella festa passata all'insegna della gioia e della vita.

Una settimana dopo l’incoronazione, il Re Ohrmadz si concesse un attimo di riposo sui camminamenti delle mura di Yamhpur , maestose, alte, con alla base grandi tronchi di faggio separati l'uno con l'altro da fango essiccato, coronate da otto torri dai tetti quadrati a piramide coperti da giunchi secchi e orgoglioso della propria terra, ponendo le mani sul parapetto cominciò a guardare le numerose tende degli artigiani, stallieri ed allevatori, sorte intorno alla mura, divise in sette quartieri concentrici, di cui il più esterno era protetto dal' alto terrapieno circolare e circondato da un canale pieno d’acqua segnava il termine del confine cittadino, interrotto dalla via sacra ed altri sette tratti di terra posti a raggiera e ad essa orientati. Gli occhi azzurri, fieri presero a guardare la via sacra che partendo dall’entrata arrivava oltre l’alto fossato; proprio lungo l’ampio viale v’era una fila di tre tronchi appuntiti per ogni lato, che risalenti fin dai periodi della fondazione primigenia erano adornati con ossa di animali sacrificati e condannati a morte perennemente mosse dal vento, esi servivano ad intimorire gli animi malvagi ed ad offrire agli Dei il sangue scaturito dalle loro carcasse, divenuto secolare vernice e tintura di quei tronchi imponenti e dall'aspetto oscuro, dove i corvi divini trovavano una casa. 
Il Sole ormai s'adagiava sull'orizzonte stanco del suo cammino lungo l'arco della giornata, quando proveniente da ovest, lungo la strada che portava dal fiume Dnepr alla via sacra, una figura nera a cavallo venne avvistata dalle sentinelle della città, anche Ohrmazd la vide, mutando di colpo l'espressione del viso, ora preoccupata.
Una delle sentinelle infatti osò dire: Mio Rege, quel cavallo e quel mantello è del principe Ahriman!
Il sovrano annuì e gli rispose : E' mio fratello, merita quanto me di sedere vicino a mio padre.
La voce sicura del Re calmò la sentinella che diede l'ordine di non bloccare l'uomo.
Ad ogni parte del Sole che scompariva nel cielo, la figura funerea del fratello si faceva più vicina, fino a quando, ormai alla soglia del crepuscolo, davanti agli occhi del Monarca si pose quella del principe che non era solo, ma teneva con se una bellissima donna dai capelli neri e dagli occhi color di prato. le prime parole che il Re Ohrmazd gli rivolse davanti alle porte furono: Ben tornato a casa Fratello e la donna che ti sei portata con te è la nostra benvenuta. Ma il tono risultò quasi stupito nel vedere quella donna così bella e giovane insieme a suo fratello, già gravida e persino prossima al parto, data la grande ampiezza del suo ventre. Ahriman allora guardò il fratello, scese da cavallo e aiutò i movimenti dalla compagna, rispondendo così alle parole del sovrano: Ti ringrazio della tua ospitalità, ma perchè mi guardi così? Non pensavi che sarei ritornato? Come sta la nostra famiglia? Saranno sei mesi che non ci vediamo, insomma da quando nostro padre mi ha mandato a Tur per sistemare la discordia che ha portato con la sua guerra; ma tranquillo porto messaggi di pace.
Le guardie aprirono le porte nel momento in cui, Ohrmazd dall'alto dei camminamenti, rispose: Sono stupito, perché non hai mandato nessun messaggero ad avvertirci, ma comunque sia, sei venuto in un momento delicato, nostro padre è caduto da cavallo, ha perso la vista.
Il giovane alzato lo sguardo verde e fiero verso il fratello rispose con voce stupita, arrestando il passo davanti alle porte spalancate: Perchè il senato non ha mandato dei messaggeri? Nessuno è venuto ad avvisarmi, ed ora chi ne ha preso il posto?
Il Re senza farsi attendere gli rispose: La pianura non poteva rimanere senza Monarca, hanno dato a me il compito di Reggere le sorti dei Vyr, ed Asha Vahistaa ha continuato a servire la città governando con me, proprio come prima faceva con nostro padre.
Ma Il fratello non prese bene ne la prima notizia ne la seconda, l'espressione del suo viso, bianco color latte, era furente, sconvolta e dopo aver attraversato l'entrata in rispettoso silenzio sbottò a gran voce contro Ohrmazd,: Non mi avete avvisato e neanche aspettato, che ho fatto a te fratello ed al consiglio del senato per essere trattato così da te e da loro?
Ohrmazd, vestito con pelli di lupo, ferito nell'animo scese dai camminamenti, arrivando a pochi passi di distanza dal consanguineo e dalla sua donna, prese aria e guardandolo negli occhi verdi esordì: Quando decisero di farmi divenire Re io neanche ne ero a conoscenza, lo volle il senato, sotto consiglio di nostro padre e del nobile popolo, ora Ahriman fratello caro e ingrato, non solo tu eri lontano per divertirti con questa donna, invece di stipulare una pace, dato che non vedo con te nessun legno che sancisca questo, quindi Ahriman, con che criterio rivolgi a me queste lamentele.
Sentito ciò il giovane fratello divenne furente più di prima, alzando la mano destra aperta: Ma non vedi, Re dal capo più duro d'un bufalo, non riconosci la donna che è qui con me? Non vedi che è Paukasta, figlia di Andrico, cugina di tua moglie Savitri? O sei stato così preso dalle lotte volute dal nostro scellerato padre, da dimenticarti una donna della nostra tribù, tenuta prigioniera in terre ora straniere e prima nemiche? Non hai sentito che prima ho detto che portavo notizie di pace?.
A quelle parole però il Re non seppe rispondere se non con una sola frase: Scusami fratello, ho molti pensieri per la mente, andiamo nella tenda di nostro padre, sarà felice di sapere la tua impresa.
Ahriman allora sentito ciò sorrise al fratello Ohrmazd e si strinsero l’un l’altro in un forte abbraccio, ed anche se stretti il Monarca continuò a dire: La tua donna è incinta dovrai sposarla al più presto se non vuoi che l'infamia possa raggiungere ingiustamente la tua prole.
Paukusta che stava li ferma a guardarli ascoltò quella frase e corrugando la fronte osò dire: Che infamia? L'Amore si può macchiare d'infamia? Quando mi unì a tuo fratello ero una prigioniera senza libertà di Turashid che mi scambiò come merce con tuo fratello, solo dopo scoprimmo entrambi la rispettiva identità.
Ma Ohrmazd staccandosi da quella stretta per salvarsi a quelle parole dette con stizzia rispose: L'infamia non è legata all'atto ma al nato, il matrimonio sancisce il ruolo sociale della madre e del padre rispetto alla prole e siccome la giustizia per definizione è giusta, allora un tuo matrimonio con mio fratello davanti alle sacre fiamme non porterà altro che ulteriore benevolenza dei nostri antenati, nel vedere la vostra progenie progredire secondo le loro sante prescrizioni, inoltre quando mio fratello sarà tuo sposo i vostri figli godranno della protezione dell'intera tribù, se nel disgraziato caso il mio testardo fratello decidesse di ripudiarti non sarai mai sola a doverli crescere.
Davanti a questa saggia spiegazione la donna non seppe rispondere senza annuire al Re di Yamhpur, solo Ahriman aprendo le labbra circondate dalla castana barba rispose: Fratello, non oserei mai ripudiare la mia donna, che è anche l'esempio della pace che ho conseguito, queste sono le leggi ed io le seguirò, non voglio che i mei figli siano bastardi.
La voce della donna era chiaramente fiera e altera, lei infatti proveniva da una delle più antiche e nobili famiglie della pianura, figlia dell’eroe guerriero Andrico, a pieno titolo, signore degli eserciti di Kuhburg, anziano appartenente alla più nobile genia fin da quando gli antenati scesero dalle bianche lande, cugina di Savitri come lei era promessa ad uno dei figli del Re Yanu, quindi entrambe erano candidate a diventare le Regine della pianura, le due cugine pareggiavano in bellezza, in animo nobile, in gentilezza e grazia, Paukusta, alta, dai capelli neri e dagli occhi verdi, sembrava l’opposto cromatico della cugina, invece biondissima e dagli occhi di un celeste glaciale e immenso.

 

Ormai calata la scura sera sul cielo limpido e terso di Yamhpur, La bella e fiera Paukusta, messo piede sulla piazza adiacente al portone d'ingresso rimase a guardare ferma quella città mai vista, i suoi occhi si posarono prima sul tempio di legno circolare, dove suo zio Bhagavad amministrava i sacramenti antichi, mirò i vari visi votivi messi sulle travi delle entrate, i vari volti umani e non, che imperterriti scrutavano e giudicavano chi oltrepassava la soglia del luogo casa del fuoco imperituro, passando poi con lo sguardo alla maestosa tenda reale, posta di fronte al tempio, davanti al ceppo, il trono dei Re, la tenda del sovrano era circolare, aveva ben otto pilastri di legno che sorreggevano il tetto basso coperto di fasciame essiccato e raccolto lungo il fiume Dnepr, i cui steli proteggevano il telo sottostante dall'umidità estiva e primaverile, i muri legati tutti intorno agli otto pilastri erano di dura pelle marrone, spessa e simile a quella delle alci, l'entrata era ornata di teschi animali, corna di cervo, cavalli e bisonti, ogni dettaglio di quell'ampia tenda faceva ricordare il ruolo del Re della pianura, quello di essere il capo caccia della tribù, il suo sostentare, il suo pilastro. Gli occhi color smeraldo non si fermarono li, lasciò perdere i due uomini che abbracciati entrarono dentro l'ampia tenda del sovrano e prese a studiare l'intera capitale, disposta in un ordine geometrico prestabilito, con ampie stalle e tende di pelli e legno abitate, tutto avvolte da quell'alone semplice e rigoroso, tipico della razza dei Vyria, abituati ai freddi inverni del nord. Ad ogni angolo dell'ottagonale muraglia v'erano raggruppate quattro capanne di fango e legna a formare un triangolo, lungo il lato adiacente alle torri di guardia ve ne erano tre, al centro la più grande ornata con teschi di cavallo, usata come stalla, le altre due più piccole vicine erano le tende delle giovani famiglie e l'ultima posta davanti alla stalla ne eguagliava l'ampiezza, ma l'uso era diverso, quella era la capanna del capo famiglia. Gli occhi della giovane continuarono a scrutare il luogo, vide tra ogni raggruppamento di capanne agli angoli delle mura un altra piccola struttura circolare, bassa, con il tetto coperto di canne secche e dalle mura pitturate con volti umani e animali tutti disegnati intorno, quasi a formare una catena, le entrate sempre aperte di queste capanne particolari erano rivolte verso l'interno del villaggio, verso il cippo reale e guardando li dentro la donna riuscì a vedere delle luci prodotte da piccole fiammelle alimentate da piccole lampade di ceramica con vicino delle statuette di fango più o meno grandi, l'unico punto dove non erano sorti questi tempietti familiari era lungo il solco nordest-nordovest sopra il quale solo la capanna Reale e la capanna del Fuoco potevano poggiare le loro basse fondamenta.
Persa tra i suoi pensieri e afflitta dalla nostalgia di casa rimase ad osservare quei tempietti familiari spiando inconsapevolmente due anziani prodighi a donare i loro sacrifici agli antenati, solo la voce di Ahriman la destò da quel torpore rivolgendosi a lei tenendo ancora parte del corpo fuori dalla tenda reale: Vieni, c'è mio padre che vuole parlarti, tranquilla, non è pericoloso, non ti farà nulla.
Allora la donna prendendosi coraggio entrò dopo il suo uomo, facendosi strada in quella tenda maestosa e vasta, arredata con gigantesche ossa di animali sconosciuti dalle ampie e lunghissime zanne, da giacigli caldi e puliti e con al cento una tavola ampia di legno circondata da cippi coperti di pellicce su cui erano seduti cinque anziani, dalle lunghe barbe bionde, Ohrmazd, ed il fu Re, canuto e barbuto diventato ora anche cieco, che esordì verso Ahriman: Ci hai messo troppo tempo e non hai mandato neanche un messo, come ti giustifichi?
Il figlio rimasto in piedi avvicinandosi al padre s'inchinò e cercò di prendergli le mani raggrinzite dal tempo: Le trattative sono durati mesi, quel Re, Turashid mi ha offerto pace, donne e schiavi a patto che con la scorta che mi hai dato lo avrei aiutato a soggiogare gli Altainarj che lo minacciavano ad est e che grazie a me ha soggiogato...
Ma prima che Ahriman continuasse il padre disse con rabbia: Schiavi? Li hai accettati? Perché vuoi rompere l'armonia che questa pianura ha da secoli! E perché lo hai aiutato a soggiogare i suoi nemici, rendendolo più forte, stai in silenzio ed ascolta, mi hai deluso, non vedi che ti ha usato come una loro pedina? Avrei dovuto mandare Ohrmazd, ma sarei rimasto da solo, dato che come figlio tu sei quasi inesistente!. Il giovane Ahriman replicò con la voce rotta dal pianto, scaturito dalle offese dette dal cieco padre: Non ho preso nessuno schiavo, come tu bene mi hai insegnato, ho seguito il vento della guerra come tu mi hai insegnato ed ho portato a casa i prigionieri, proprio come tu mi hai detto di fare, Padre, mi dispiace di non aver capito la losca trama dietro a quella richiesta di Turashid, ho errato a ritardare il mio ritorno, ora ti prego di perdonarmi.
Yanu, ascoltato il dolore uscito da quelle parole colme di vergogna strinse a sua volta le mani del figlio dicendogli: Hai fatto ciò che hai potuto, l'importante è che la pace sia ritornata.
Quel perdono fece sorridere il giovane dagli occhi verdi e dal crine castano, che muovendo le labbra sussurrò all'orecchio del nobile e potente padre: Gli ostaggi li ho lasciati nelle loro città, tranne uno, Paukusta di Kuhburg, la conobbi quando era schiava e non conoscendo la sua identità la possedetti più volte, ora lei è gravida, inoltre lei, insieme a Savitri sua cugina potrebbe rinforzare il legame tra le nostre due città. Il padre annuì al figlio: La dovrai sposare al più presto, ora fammela conoscere.
Sentendo l'anziano ceco, Paukusta si avvicinò abbassandosi in un inchino, prendendo il posto dell'amato ora al suo fianco: Oh Maestà Yanu, figlio di Jorwig e dagli antenati santi, eccomi sono Paukusta la donna di vostro figlio. Il Vecchio barbuto e dalla chioma rada e canuta non rispose, con le mani andò a toccarle il viso, poi il collo ed infine il ventre ormai gonfio, coperto come il corpo da lunghe vesti: Figlia mia, ancora tu non sei la sua donna, ma sono felice di vedere che abbia scelto te, mi ricordo quando alle feste Dionisiache tuo padre Andrico ti metteva sulle mie gambe, mi hai fatto sempre simpatia, i cuori buoni li vedo fin da quando sono ancora giovani, questo è quello che contraddistingue la tua Genia, uomini puri, donne buone, hai il mio permesso di stare con Ahriman,. E ridendo esordì ancora: Ed aiutalo a farlo tirare dritto. Ma l'anziano non era calmo in viso, l'angoscia era palpabile e tutti ne erano a conoscenza, cambiamenti repentini infatti, erano stati previsti dai saggi, l'ordine era stato rotto. Quando Ahriman e Paukusta si allontanarono per andare nelle tende della famiglia reale adiacenti alla Tenda del sovrano, Yanu esordì ai pochi Bhagavadi li presenti e verso il proprio figlio: Turashid non è riuscito a convincerlo a rimanere la.. ma perché?!! Avrebbe avuto un posto da Re, con figli e servitù, un principe di una terra sconfinata, nostra alleata, che dobbiamo fare? Ormai le mie membra cadono a pezzi, non passerò l'anno e tremo nel pensare di dare parte del mio potere, ad un anima così malvagia, o sommi Bhagavadi solo una cosa posso fare, dividere la mia mandria in due parti diseguali, cinquecentotré capi di bestiame li darò a te, Ohrmazd, mentre a tuo fratello ne darò quattrocentonovantasette , così, mio figlio prediletto, Ahriman non potrà governare su tutta la città, o ancora peggio su tutta la pianura, tu o mio figlio luminoso dovrai avere sempre l'ultima parola.

E nel cuore della notte i Bhagavadi, Yanu e Ohrmazd fecero un giuramento solenne.

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Capitolo 4
*** L’Aurora nella nebbia. ***


L’Aurora nella nebbia.

 

Con stupore quella notte, prima del giorno previsto per la nascita dei due principi, l’uomo toccato dal cielo vide oltre alla laguna uno spettacolo che lo lasciò sbigottito, una danza di luci si manifestò a coprire le stelle, in un mare di rosso, viola, azzurro e giallo accompagnati da un vento tiepido che gli destò le ossa. Davanti al vecchio Bhagavad, l’aurora brillava incessante, l’haoma che lo inebriava rendeva quel momento pieno di visioni, onirici richiami verso l’oltretomba, verso il futuro. Tra i luminosi tremori dell’aurora il vecchio vide la figura di un uomo dal viso d’aquila, occhi simili a fiamme e corpo sinuoso, camminava lì vicino a quelle colline coperte da rada erba, Bhagavad non poteva aspettare, aprì la bocca barbuta piena di rughe, la voce rauca risuonò nella pianura, ma nessuna parola comprensibile fu udita. Le due figure, una alta e luminosa, l’altra ricurva e china sul proprio bastone discutevano, dalle lontane tende si udivano solo lamenti cantilenanti, tipici di quel sacerdote di lignaggio antico. Il colore del cielo sopra le colline cambiava, il rosso diventava preponderante e più luminoso rispetto a ogni altro colore, l’uomo dal capo d’ aquila cominciò in un momento di silenzio a mutare forma, diventando un cavallo, la sua criniera era lunga, iridescente e sinuosa; Bhagavad anche se in preda ai deliri causati dalla pianta sacra continuò ad interrogare il grande spirito, ricevendo solo ora un’udibile risposta: Un figlio ed una Figlia, un condottiero e signora. Compiuto il vaticinio il cavallo divenne di color azzurro, la sua figura si abbassò, le sue zampe si rimpicciolirono, divenne un lupo che agile prese a correre lungo il fiumiciattolo vicino, per poi scomparire tra i cespugli in lontananza.
Bhagavad, aiutandosi col bastone riprese il suo cammino verso il villaggio non lontano, in cielo tre aquile lo seguivano e ne scrutavano i movimenti, il vecchio quando lo capì gridò al vento:Deywa Pytar il mio compito l’ho fatto. E solo a quelle parole gli animali si allontanarono verso le lontane colline e corsi d’acqua paludosi.
Il cielo notturno, trapuntato di stelle luccicava perpetuo, non c’era nebbia, ma solo delle nubi alte all’orizzonte, verso ovest e la luna illuminava più di quanto non potesse, era nell’ultimo quarto.

 

Quando l’anziano si presentò alle guardie di Yamhpur disse solo: Sono per conto del padre degli Dei. I due giovani non poterono far altro che alzare la punta delle lance, facendolo passare oltre le grandi ed alte porte.

 

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Capitolo 5
*** Ohrmazd e Savitri. ***


Ohrmazd e Savitri.

 

Gravida, quando vide il proprio ventre muoversi ancora, non pensò alla vita che di li a poco sarebbe scaturita dalla sua carne, ma rimandò i suoi pensieri a quel tumulo lontano nella nebbia, lei dagli occhi chiari come il cielo, limpido come il suo cuore, rammentò il momento in cui salutò Ohrmazd l’ultima volta toccandogli la barba ramata, per quel colore solo al tatto riuscì a sentire il sangue raggrumato vicino alle labbra, le lacrime cadevano sopra il viso pallido, Savitri gli disse attorniata dalla famiglia del marito: Ahriman si pentirà di averti ucciso! Non meritavi questa morte per tre pecore. Ma altre parole non riuscì a sussurrargli, tanto la voce risultò rotta dal pianto, neanche le lamentazioni delle donne vicino riuscirono a farla calmare, solo le vite al’interno di lei bloccarono il suo istinto suicida, il suo impulso a buttarsi dentro il tumulo nuziale. Quei ricordi destinati a continuare nel tempo vennero rotti dall’entrata in tenda di Bhagavad, che la guardò dicendo:Manca poco, ma gli spiriti sono favorevoli. Savitri sorrise mestamente al vecchio e gli disse: Padre Kuhbhrater non dovevi spingerti a tanto.. è solo una nascita, i tuoi nipoti stanno bene.
Ma Bhagavad scosse il capo e si sedette sopra la pelle di pecora vicina, poggiando il bastone sul terreno, gli occhi verdi del’uomo guardarono in basso: Quando un fratello uccide un altro fratello.. gli spiriti diventano inquieti, volevo solo accertarmi che non vedessero male nella prole che verrà di tuo marito. La donna sentendo riprendere quel discorso spostò lo sguardo, cercando di fuggire sia da lui che dal discorso:Non è il momento migliore per parlare di questo, la morte che è venuta per mio marito potrebbe venire anche per loro, chi ti dice che non li ucciderà appena nati? Che dirò ai miei figli quando cresceranno? Che loro Zio ha ucciso suo padre per tre pecore?. La donna portò la mano destra sulla propria fronte cercando di calmare l’ira che rendeva rossa la sua pelle, inevitabilmente quel discorso fece ritornare la vedova ai suoi ricordi amari, scosse il capo biondo e poi disse al vecchio: Perché il villaggio non ha fatto nulla? Non ho visto alzare una lancia per difendere mio marito.. neanche un grido d’incoraggiamento. Bhagavad non poté che annuire e quando rispose le parole gli uscirono pesanti come macigni: Nessuno aveva capito quanto fosse grave e quando iniziò il duello neanche uno della tribù aveva il permesso di mettersi a difesa d’uno e del’altro, la colpa di Ahriman è stata quella di uccidere il proprio fratello ed aver lasciato la cognata senza il futuro padre dei suoi figli, ma se solo uno di noi fosse entrato per difendere l’uno o l’altro non avremmo fatto altro che macchiare ulteriormente d’infamia quel terreno maledetto.
Savitri ascoltata la sua risposta ritornò a guardarlo, sprezzante rispose: Non intervenne nessuno anche quando mio marito chiese pietà a suo fratello, neanche quando ferito al petto dalla lancia si accasciò ai piedi di Vilkas.. che razza di Tribù E'?. E detto questo, la donna gravida si distese lungo quel giaciglio tenuto comodo da lana e varie pelli sovrapposte, il vecchio portò la destra sulla barba, se la grattò: Deiwo Pytar giudica i duelli in ogni caso, per quanto fu straziante noi non possiamo offendere il cielo che dal’alto c’ ammonisce, ora riposati sono passati tre giorni, sta sera sono sicuro partorirai i tuoi primi figli ed i miei primi nipoti. Ma questa volta Bhagavad non ricevette nessuna risposta, prese poco dopo il bastone da terra, alzò le ginocchia ed uscì dalla tenda, si voltò solo una volta per guardarla e tra le labbra mormorò: Buona fortuna. Rimasta sola, alla vedova non rimase che attendere. Savitri nervosa si mise distesa, cominciò il travaglio senza che nessuno gli fosse vicino, per calmare la mente ritornò ai suoi ricordi, quando guidata dallo sguardo fiero del padre e premuroso della madre incontrò suo marito, di sei anni più grande vicino al fiume, per quanto fosse stato combinato quel’incontro, non avvenne tra due promessi, ma tra due conoscenti attratti l’un l’altra già dai primi sguardi, spinti da quel sentimento che inevitabilmente finisce con popolare di nuove generazioni il mondo e mesta sorrise a quel’ultimo pensiero. Poi dopo che una fitta la colpì al basso ventre chiuse gli occhi e cominciò a sbraitare, presa dai dolori del parto, in quel momento, non pensava a nulla se non alla sua vita rubata. Passati pochissimi minuti entrò dentro la tenda una donna vestita di bianco, dal capo coperto da un cappuccio del medesimo colore e dai lunghi paraorecchie, decorato con ossa animali al di sopra della fronte.

Klemather, vestita di bianco,si avvicinò alla donna ,ormai in travaglio: Figlia, sono qui. La voce diretta a Savitri era piena di apprensione e forse paura, la figlia non rispose con delle parole comprensibili, tanto era insopportabile il dolore, poco dopo entrò in tenda anche Bhagavad, che rivolgendosi alla donna in travaglio disse: Sono venuto e rimarrò fin quando non ti potrai rialzare sulle tue gambe..qualsiasi cosa ti serve puoi contare su di me e su tua madre. La famiglia materna di Savitri era li, il padre sacerdote e la madre levatrice, unica figlia di quella coppia ormai troppo anziana, l’uomo poi disse tra i denti verso la moglie vicina, intenta a mettere la testa tra le gambe divaricate della figlia: Nemmeno la madre e la sorella di Ohrmazd sono venute.. troppo occupati a lodare le gesta di quel'assassino che tengono in casa come un ratto dentro la stalla. A quel’invettive dirette al’altra famiglia assente non furono d’aiuto, anzi dalla fronte sudata della ragazza non era difficile comprendere quanta forza ci sarebbe voluta per mettere al mondo quelle due nuove vite. Passarono quattro ore, molte persone del villaggio si riunirono intorno alla capanna, tra i lamenti della partoriente si potevano sentire i mormorii della gente al’esterno, ma della famiglia di Ohrmadz nessuna traccia; proprio al termine della quarta ora la ragazza chiamando il nome del defunto marito diede alla luce il primo nato, era una bambina, Klemather ormai diventata nonna prese la nipote, l’avvicinò a Bhagavad, che tagliò il cordone con il coltello d’osso, ma il parto non era terminato, i vaticini del nonno erano fondati, l’aquila aveva parlato e con un ultimo sforzo nacque un altro figlio, un maschio, la nonna lo passò a suo marito che lo liberò del legame naturale con la madre, mettendolo nella cesta di vimini insieme alla sorella appena nata, entrambi i bambini piangevano e sembravano in gran forma, tranne Savitri, che anche dopo aver partorito i due figli non sembrò riprendersi. Klemather poggiò la destra sulla sua fronte, poi sotto al collo, c’era troppo sangue sulla stuoia intrecciata, la figlia prima rivolse il viso verso la cesta dove furono messi entrambi i figli, li guardò e poi dopo aver fissato entrambi i genitori mosse lo sguardo ed il viso stancamente verso la parte opposta della tenda, chiuse gli occhi azzurri, ritrovandosi senza vita li su quel giaciglio.

Non era ancora giorno quando riaprì gli occhi, attorniata dalla nebbia e toccata da timidi raggi dell’alba, guardò il cielo e vide solitaria un' aquila muoversi tra le nuvole, solo dopo sentì il rumore di zoccoli venire da est seguendo la levata del sole, un cavallo pezzato, bianco e marrone si avvicinò alla ragazza, sulla sella un uomo dalla barba e capelli ramati cominciò a parlarle: Ti ho aspettato tutti questi mesi, qui nella nebbia, Sali ed andremo verso la luce nella sala di Deiwo Pytar, ma non ti voltare mai indietro, guarderemo insieme il sole nella casa degli Avi. La giovane finalmente placata nel’animo, travagliato dal’ ingiustizia, prese la mano del marito e salendo in groppa al cavallo i due s’allontanarono oltre la folta foschia, verso l’orizzonte .

 

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Capitolo 6
*** Ahriman e la serpe nel cuore. ***


Ahriman e la serpe nel cuore.

 

Un tempo un giovane pastore chiese a Bhagavad: Esiste un uomo più malvagio della morte?.

E la replica del sant'uomo non tardò ad arrivare: Ahriman è la risposta alla tua domanda.

Poi gli diede la torcia in mano ed entrò dentro la tenda, come un serpente che entra nel nido dell’airone, posò lo sguardo prima su i due vecchi e dopo guardò i due bambini nella cesta, oltre che la donna morta sull’intreccio di pelli e paglia, gli occhi verdi assetati guardarono Bhagavad, aprì le labbra : Kuhbhrater da a me il tuo rispetto, abbandona tuo figlio Xshathra, se lo farai non manderò i miei uomini contro i suoi e salverò tua moglie dalla morte oltre che a tua nipote. Ma il vecchio prese in mano il bastone: Non mi sottometterò all’uomo più malvagio della terra, mai, ne permetterò che mio figlio non interverrà sui campi contro la tua gente corrotta. Ma Ahriman, con la lancia in mano indicò la cesta con i due bambini, non parlò, lo sguardo di brace, odio e malvagità si posò come un macigno sul vecchio, che balbettante disse: Prendi il mio sangue, Deywos Pytar sarà soddisfatto non uccidere i due bambini. Un sorriso spuntò malevolo: Manda prima un messo a Kuhburg, di a tuo figlio che desideri un’alleanza tra il tuo popolo ed il mio. Bhagavad stanco annuì, lasciò il bastone a terra e gli disse: Giura che non ucciderai i tuoi nipoti.. davanti a me ed agli Dei che rappresento. L’uomo malvagio annuì affermativo, fece chiamare un messo da Vilkas, il quale prese una tavola di legno, il vecchio mise con un pugnale il simbolo della propria casata e dopo il giovane venne fatto uscire dalla tenda con in mano la richiesta di alleanza. Bhagavad, impassibile davanti alla lancia, coraggioso rispetto alla moglie che lo guardava atterrita, il vecchio osò dire ancora: Giura che non ucciderai i miei nipoti.. mia moglie, ormai la nostra gente è riunita in un’alleanza, sei il più grande Re che la tribù abbia mai avuto hai la forza di camminare verso le quattro direzioni del mondo, il tuo trono non ha bisogno d'altre rosse gocce per brillare.. Il Male non rispose, stretta la lancia con la destra caricò il colpo con il busto, rilasciandolo in gesto di violenza, trafisse il cuore il vecchio, lo trapassò senza esitazione, pose poi il piede destro sul suo ventre per usarlo come perno e sfilò l’arma dal suo petto ormai squarciato da una parte all’altra, Ahriman non disse nulla dopo aver ucciso quell’uomo sacro, guardò la moglie anziana, la fissò con odio e prese la cesta con i due bambini, la tenne con il braccio sinistro e tra i lamenti dell’anziana moglie uscì dalla tenda: Tienili, finisco qui.. e poi penserò anche a loro. Detto questo entrò dentro la tenda, e tra le grida disperate mise fine alla vita anche dell’anziana, che esanime si distese sul corpo ancora tiepido della figlia, come se entrambe stessero dormendo sopra quel giaciglio, fatto di pelli, giunchi e sangue.

Ahriman così, sporco dalla barba fino ai piedi di sangue umano, uscì fuori, presentandosi al suo popolo come un orso, che con la preda tra le fauci si esibisce davanti alla sua prole. Alzò la lancia al cielo e disse: Non esiste Deywos , ne Dei del cielo, che può avvicinarsi alla mia potenza, non esiste forza che non può incarnarsi in me.

E detto questo si avvicinò al guerriero con la cesta tra le braccia, guardò i nipoti sbraitanti e disse solo: Liberati del bambino, mentre porta la bambina a mia moglie, se mi cerchi sono nella mia capanna, domani sera festeggeremo con idromele e maiale.

Il Male vestito di sangue prima di allontanarsi prese una torcia e senza rispetto la buttò sopra la tenda, da cui scaturì un fuoco visibile anche dai villaggi vicini. Ma davanti a questo scempio l'anziano nobile Arycratos dei Ghermanni , alto, barbuto, dagli occhi azzurri e dal crine canuto, accompagnato da suo figlio Adelmar , avvicinandosi ad Ahriman ed alla tenda in fiamme non riuscì a trattenere le parole colme di giustizia e disprezzo: Tu sei un FOLLE! Facendo questo gli spiriti degli antenati uccideranno dentro l'utero gli animali di cui noi ci nutriamo, ci lacereranno la mente succubi del loro tormento nel vedere la loro città in mano ad uno scellerato, che ha persino ucciso un uomo Santo, se avessi la forza ti ucciderei io stesso! Forza Popolo! Non l'avete fatto prima, fatelo adesso! Avete le prove, uccidetelo come un maiale! Uccidet!.

Non fece in tempo a finire la frase che l'asta della lancia di Ahriman lo colpì tra capo e collo facendolo cadere a terra, puntando subito verso Adelmar, rispondendo a quelle giuste parole con minacce tonanti: Figlio del nobile Arycratos, vuoi per caso che uccida tuo padre? O che con un solo cenno io ordini alle orde dei Turani mie alleate di superare i colli pietrosi ad est ed a mettere a ferro e fuoco questa città di Vyr infedeli al proprio sovrano? Che tutto il popolo mi ascolti! Io sono il vostro Sovrano! Io decido sulla vostra vita o sulla vostra morte, preferite obbedirmi o ritrovare le vostre case in fiamme e le vostre donne gravide d'altra gente? Scegliete con saggezza!.

Ed a quelle parole tutto il popolo libero perse la propria dignità e davanti allo sgomento, Ahriman se ne andò nella tenda Reale e il povero anziano, vestito di nero e porpora, aiutato dal figlio Adelmar si mosse verso la tenda della propria famiglia, attorniato dal silenzio quasi palpabile creatosi intorno a lui, interrotto da pochi colpi di tosse. Il bambino, affamato e rimasto solo nella cesta pianse per tutto il tragitto che divise, Vilkas il guerriero, dal fiume, il cuore di quell’uomo appesantito da quel dovere titubò ad ogni passo che fece fino alla riva del Dnepr, gli occhi azzurri dell’uomo oscurati dal nero dovere videro nel buio della notte, illuminata solo dalla luna, gli occhi luminosi di un aquila, il cuore sobbalzò e strinse a se quella cesta, gli occhi dell’aquila non si spostarono. Le mani del guerriero tremavano alla vista di quel’animale, la bocca sbigottita si aprì affannosa nel sentire il suo insolito verso notturno e quando poggiò sul terreno la cesta l’aquila riprese a volare verso est, nella notte. Il guerriero senza più nessuno a guardarlo piego le ginocchia, prese dalla cinta di budello un pugnale d'osso e si preparò a piantarlo contro il bambino, suo nipote, lo avvicinò alla gola del neonato, ma nel ritrovato silenzio del fiume si sentì nuovamente il verso squillante dell’aquila lontana; il pugnale cadde di piatto sopra l’infante ed guerriero lasciò la cesta galleggiare sulla nera superficie delle acque, sorvegliata solo dai flutti del Dio fiume, riflesso denso e profondo del cielo ora annerito dalla notte più profonda che il mondo avesse conosciuto.

 

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Capitolo 7
*** La caccia selvaggia ***


La caccia selvaggia

 

Come un branco di lupi a caccia di un Uro selvatico, nove uomini a cavallo oltrepassarono il fiume Dnepr, solo per ricorrere quella mandria, la più possente e vitale della pianura, in testa a quel gruppo spiccava il principe di Kuhburg, sopra il cavallo bianco, il più grande di tutti. Al passaggio lungo il fiume l’acqua sollevata dagli zoccoli bagnò le vesti basse dei cavalieri, gli aironi si spostarono di colpo donando ai cacciatori uno spettacolo indimenticabile, il sole troppo alto nel cielo con l’afa strinse il loro collo, ma armati di lancia e laccio non misero fine alla loro corsa nella pianura, la mandria di cavalli, unico obiettivo, non era così lontana. Il terreno tagliato dal fiume era rigoglioso, coperto dall'erba alta, da cespugli e sparuti alberi verdi, sopra i quali s'annidavano roditori, intenti a rosicchiare i frutti legnosi che dentro possedevano una dolce polpa zuccherata. Come la riva di un fiume, che presenta dossi e dune anche quella terra che ne era attraversata si ricopriva in alcuni punti di piccoli rilievi verdi, a formare minute collinette naturali con qualche pozza d'acqua riempita qua e la nelle depressioni della radura.

In quel luogo incontaminato, fatta eccezione dei cavalieri, non c'erano altri esseri umani, tutto periva e ritornava periodicamente, niente e nessuno sembrava mutare quell'equilibrio, ma qualcosa nell'aria era cambiato, una vibrazione dissonante, inudibile ma presente accarezzava la natura, muoveva piccole increspature sulla superficie dell'acqua, rendeva lunatici ed euforici gli animali, muoveva a volte con troppa foga le punte delle canne fluviali.
Anche quella mandria di cavalli, indomita e braccata non era tanto spaventata dal lazzo e dalla lancia, ma era qualcos'altro a spingerla oltre alle acque, su quella rada prateria in una terra viva ma pian piano sempre più ostile; ogni essere vivente sentendo quel suono ovattato dall'armonia non poteva che muoversi avanti ed indietro per le lande, ricercando un riparo anche nelle calde giornate primaverili. Tutta quell'armonia, che videro con i loro occhi i cacciatori non era altro che angoscia verso qualcosa di invisibile, che placidamente si stava lentamente insidiando in quella terra, gli spiriti antichi infatti ne erano turbati e si spostavano imperturbabili lasciando spazio a qualcosa che dilagante si distendeva come un'ombra opprimente.
Anche gli uccelli migratori, fendendo l'aria con le loro ali in vorticosi movimenti sembravano profetizzare eventi, a chi li avesse osservati con il giusto occhio, compivano formazioni triangolari dirette verso nord-est, coperte a volte da basse nuvole colorate dai raggi del sole e raramente sciolte dall'attacco di rapaci veloci e maestosi, passando sopra il capo degli equini selvaggi a galoppo. Quella mandria lontana con la sua corsa aveva risvegliato quel fiume e quella terra, tutti si erano accorti che il corso del tempo, di li a poco sarebbe mutato, portando speranza in quell'universo, innocente e minacciato dall'oscurità.
Incoscienti i cavalieri ancora continuavano a dare la caccia alla mandria che a perdifiato continuava a galoppare, tutti punti di riferimento che potevano aiutare i Vyr piano scomparivano all'orizzonte ed a prenderne posto ne sorgevano di nuovi, solo il fiume restava imperturbabile nella sua sinuosa lunghezza. Più la mandria si allontanava, meno i cavalieri ed i cani da caccia desistevano nel loro inseguimento, la follia sembrava prendere il sopravvento nelle loro menti guidate forse da qualcosa dalle caratteristiche celesti e provvidenziali. Solo uno dei guerrieri, a galoppo accorgendosene osò dire a Xshathra: Signore ci stiamo allontanando, i cavalli vanno per conto loro, i cani abbaiano e fanno gran rumore, perchè non ti accorgi che non sei tu a tenere le redini?.
Ma il principe non rispose subito, neanche si volse per guardarlo quando gli disse: Se vuoi andare Va! Se non riesci a sostenere la furia della caccia non ha senso averti come seguito!. Con questa risposta il cacciatore ritornò in silenzio, al galoppo verso la mandria sempre più vicina e spinti dalla foga proseguirono lungo il fiume; ma Regesvado, lo scudiero, ascoltando le parole del cacciatore vicino non poté che rendersene conto lui stesso, erano troppo lontani da Kuhburg e lui, profondo conoscitore dei territori limitrofi per la prima volta si trovava in difficoltà nel riconoscere il posto.
Il biondo Principe guardandosi indietro lo vide confuso e gli chiese: Che c'è, amico mio?. Lo scudiero continuò a cavalcare al fianco del principe, con la lancia indicò la mandria e gli disse: Xshathra, principe le folte selve a sud ovest non sono più visibili, nemmeno le torri al confine, forse siamo nella terra di Ahriman. Il principe non terminò il galoppo: E’ un nostro alleato.. se lo vedrò anzi.. potrò avere notizie su mio padre, è quasi un mese che non lo vedo. Lo scudiero annuì ed entrambi insieme al resto del gruppo continuarono quella caccia selvaggia, seguiti da sei cani e da altrettanti uccelli che curiosi spiavano quel particolare corteo vicino al fiume, anche un aquila nel silenzio del cielo seguì quel gruppo di nobili con assidua attenzione. La mandria decise di spostarsi nuovamente verso nord est , nella direzione di Yampur, il gruppo non poté fare altrettanto, qualche sparuta torre d’avvistamento sembrò accendersi anche nel pieno della giornata, ma gli uomini non fermarono loro passi passi presi dall’isteria della caccia, inspiegabile e inconscia. La mandria lontana non smise di seguire il corso del fiumi,anche lei presa dalla stessa ed opposta frenesia.
L’erba bassa, riscaldata dal’aria calda primaverile si muoveva e con lei i giunchi alti lungo le rive del fiume, gli zoccoli lontani piegavano foglie verdi e steli sottili sotto il loro stesso peso, quel caotico movimento frenetico lungo la vasta pianura però era destinato a finire, il più grande tra i cavalli della mandria selvaggia infatti si fermo proprio nelle vicinanze del fiume, anche l’aquila lontana sembrò arrestare il suo moto, ed insieme a loro anche i cavalli guidati dai nobili guerrieri cominciarono a rallentare senza seguire gli ordini dei loro padroni, : Forza .. Muoviti! Che ti è preso?. Ma Xshathra non ricevette nessuna risposta, il galoppo mutò in un lento passo, l’aquila fu l’unica che riprese il suo moto andandosi a posare tra i giunchi vicini al’indomita mandria ormai quieta. Tutto intorno ai cavalieri cominciò ad essere quieto, silente, l’ambiente assunse toni ovattati di cui solo il suono del fiume ne risultava un continuo rintocco, gli uomini cominciarono a comprendere la situazione, il principe di Kuhburg senza parlare scese da cavallo, prese con la mano sinistra le redini e con la destra continuò a tenere la lancia, fece alcuni passi verso i cavalli selvaggi non lontani, ma loro non scapparono ne fecero qualche movimento, segno di terrore. Il principe venne seguito dai suoi uomini fino ad essere a pochi passi di distanza , ma gli animali non si mossero come se fossero impediti da qualcosa, lo sguardo del più grande sembrò agli occhi del principe puntato verso i giunchi : Che ti prende?. Azzarda l’uomo al’animale, l’equino non rispose se non con un movimento del capo fatto in direzione del canneto, il principe allora abbandonando la sua attenzione al’animale disse ai suoi fratelli: Compagni, prendete i puledri mentre provo a capire cosa sta succedendo. Ordinato questo ai suoi compagni, rivolse di nuovo il viso davanti a se, alzò la lancia e con la punta cercò di aprirsi un varco nella vegetazione, fece alcuni passi in avanti e continuò a farsi strada, spostò altri giunchi senza fermarsi, fece altri tre passi e gli occhi azzurri di Xshathra si sgranarono alla vista di quel grosso lupo disteso e del’aquila seduta sopra un mucchietto di ossa e di carne. Fece alcuni passi, per guardare meglio il lupo , che volgendogli le spalle nascondeva al signore di Kuhburg il proprio muso e quindi anche la sua eventuale veglia, il principe tutto avrebbe potuto immaginare ma non si sarebbe mai aspettato di trovare un cucciolo d’uomo di qualche mese intento a succhiare il latte ferale del lupo vegliato attento da un’aquila dallo sguardo perennemente fiero e premuroso. Colpito nel cuore Xshathra abbassò la lancia e si avvicinò al bambino che smise di succhiare il latte, l’aquila si inchinò al’uomo e la lupa aprendo le fauci cominciò a leccare la fronte della piccola creatura che, terminato il pasto, continuava a toccare il muso del’animale con le piccole dita.

Posata la lancia sul terreno avvicinò le braccia al bambino, lo strinse a se sotto gli occhi impassibili dei due fieri animali, la creatura non pianse, volse solo per un attimo il viso verso quella madre animale, per poi spostare lo sguardo su quello del giovane principe: Chi è la tua mamma? Su andiamo a cercarla. Stretto a se il bambino con il braccio destro l’uomo si abbassò, prese con la mancina la lancia, fece un inchino alle due fiere ed uscì dal canneto con la creatura in braccio. Ad ogni passo compiuto per uscire dal canneto piano il suono della natura ricominciava a vibrare nel’aria, gli insetti ripresero a muoversi caotici davanti al viso del grande principe, che uscito lentamente dal canneto cercò con lo sguardo prima i propri compagni e poi la mandria. Il gruppo di otto cacciatori capeggiati dallo scudiero di Xshathra però non si accorsero del ritorno del loro comandante, infatti non erano soli, davanti a loro, il principe riconobbe le figure di tredici uomini armati a cavallo. Dal canneto il principe allora confuso disse loro:Chi siete!? Perché venite a disturbare la caccia di me Xshathra figlio di Kuhbhrater chiamato Bhagavad e Mahavira di Kuhburg ?. E sia i cacciatori che il gruppo di guerrieri volsero lo sguardo verso di lui, solo lo scudiero osò parlare: Mio Mahavir mentre stavamo prendendo i puledri e tu stavi dentro il canneto ci hanno raggiunto le guardie di Yamhpur, noi abbiamo provato a chiamarti ma non ci hai dato risposta. Poi lo sguardo dello scudiero scese sul bimbo tenuto con la destra:E lui cos'è ?Ti sei dato ad un altro tipo di selvaggina?. E scosse il capo in una risata, preso da una vena di ilarità, una risata liberatoria colma di angoscia, ma quel momento quasi calmo venne rotto dal capo dei guerrieri di Ahriman che esclamò minaccioso: I nostri popoli saranno alleati, le nostre lance saranno vicine contro eventuali nemici.. ma nessuno vi da il permesso di cacciare le bestie di Ahriman. Ma anche lui non potè non guardare il piccolo uomo tra le braccia del principe: Quello è vostro figlio?Lo portate a caccia con voi?. Ma Xshathra rispose con sincerità: L’ho trovato tra giunchi e fango, nutrito da un lupo e protetto da un’aquila, quindi ti chiedo di accompagnarmi al tuo villaggio così vedrò chi ha perso il proprio nato. Ed il guerriero che stento sembrò trattenere la tensione nel viso rispose stringendo la lancia alla destra:No dallo a me e lo porterò al mio signore, troverò la sua legittima madre personalmente. Ma il principe scosse il capo dai biondi capelli:No accompagnami dal tuo signore.. anche perché ho nel cuore il desiderio di rivedere mia sorella e mio padre. Ma il guerriero sudando freddo non rispose, smontò da cavallo e lasciando le redini con la mano sinistra prese a camminare verso il principe: Compagni smontate da cavallo e bloccate il gruppo di bracconieri, io penso al loro capo. Ed al’ordine del guerriero, i cavalieri di Ahriman smontarono da cavallo, Xshathra disse ai suoi uomini: Fratelli loro sono a terra con le lance, ritornate a Kuhburg, salvate le vostre vite e quelle dei vostri cavalli, non oseranno uccidermi dato che sono l’unico che lega il loro Re con tutti i Mahavir della pianura. Ma dopo che disse queste parole il capo dei guerrieri ormai a pochi passi dal principe cercò di colpire l’uomo al costato con l’asta sfruttando la sua troppa sicurezza, ma si ritrovò il colpo parato dalla lancia mossa dal braccio mancino del Nobile: Vuoi la lotta?Siete pure in superiorità numerica.. osi attaccarmi e per giunta mentre ho un infante tra le braccia. Le parole del principe uscirono colme d’odio e disgusto, il guerriero dagli occhi color del cielo ritirato il braccio non rispose a parole ma con gli stessi movimenti tentò nuovamente di colpirlo nella zona dell’inguine, Xshathra bloccando il colpo non si rese conto di aver abbassato la guardia, il guerriero facendo peso sul’asta del principe colpì con il legno della lancia il viso del’avversario, che indietreggiò senza però lasciare cadere il bambino sul terreno. I due rispettivi gruppi di guerrieri rimasero li ad osservare la lotta, sacra per ogni uomo della pianura. Il principe riapri gli occhi azzurri, guardò in viso l’avversario e tentò di colpirlo al torace, ma impossibilitato dalla presenza del’infante tenuto con il braccio destro il movimento risultò goffo e lento, il guerriero di Ahriman, carico di terrore e di odio allora gettò un altro colpo ora diretto al torace del bambino, credendolo esposto ed indifeso. La mandria selvaggia calma per tutto il duello in quel momento s’imbizzarrì, il più grande dei cavalli si mise su due zampe e poi nitrendo ritornò a poggiare gli zoccoli sul terreno, ma quel richiamo naturale venne ascoltato, il tempo vivida e reale entità lungo quel fiume si fermò, gli uomini non se ne resero conto, solo gli animali terrorizzati cominciarono a scappare, i giunchi dietro al fianco destro del principe si aprirono creando un varco e proprio nel preciso attimo in cui la punta della lancia stava per segnare la vita del’infante e del principe, una lupa si gettò dal canneto sopra il guerriero di Ahriman, i lunghi canini affondarono sul collo del’uomo che cadde a terra rantolante nel suo sangue, le fauci continuarono a stringere sulla debole gola per tutta la durata della sua agonia fino al sordo suono di ossa frantumate, il lupo vincitore guardò il bambino e camminando intorno al corpo del’uomo senza vita spostò lo sguardo sui guerrieri di Ahriman, che atterriti risalirono a cavallo, ed il più sicuro tra di loro disse al principe: Non pensare di poterla passare liscia, al mio segnale verrà l’intera tribù a decretare la tua fine.. sia a te che ai tuoi poteri da Bhagavad, quindi ti intimo a venire con noi da Ahriman per spiegargli quello che è successo. Già uno degli uomini di Yamhpur prese il corno da guerra, simbolo di lotta. Ma la lupa rimasta ancora li, incurante dei discorsi inutili degli umani, prese con le fauci il corpo morto del guerriero e lo portò nel canneto trai giunchi, solo dopo la mandria selvaggia riprese a correre verso nord ovest , attraverso il tratto più basso del fiume,seguiti da un’aquila grande e maestosa, sorta dalla folta vegetazione lungo la riva.

Da cacciatori a prede il gruppo venne scortato dai guerrieri del malvagio Re, lungo il tragitto verso il più antico villaggio della regione nessuno osò dire qualche parola, solo il pianto del bambino affamato si fece sentire costante e forte. Il secondo dei guerrieri di Ahriman era maestoso, dai lunghi capelli biondo scuro e dagli occhi verdi, Xshathra lo osservò per alcuni minuti e poi gli disse: Perché segui un uomo come Ahriman, un uomo capace di uccidere un proprio fratello maggiore per tre pecore?. Il giovane guerriero che portava dietro di le armi del compagno morto legate alla sella non rispose al principe, permettendogli di continuare nelle sue domande: Credi che il cielo e la terra non abbiano già dato troppo segni su cosa accadrà al tuo re ed a chi lo protegge?.
Ma ancora non rispose, impassibile e fiero, allora il principe aggiunse: Credi davvero che gli altri tuoi fratelli della pianura si inchineranno ad un fratricida e lussurioso regnante?. Solo ora dal giovane scaturirono le prime parole di risposta: Ho giurato fedeltà a Yamhpur, al suo fondatore Jorwyr ed alla mia gente, so cosa dicono i cieli quasi quanto conosco ciò che striscia sulla terra, ma un giuramento è un giuramento e se Ahriman è colui che terrà per se il torno che ho promesso di difendere, si combatterò, pur sapendo che morto mi ritroverò lontano dalla casa degli Eroi. Il principe abbassò lo sguardo, colpito dalla fierezza e dalla purezza di quell’uomo, spostò l’attenzione sulle armi sporche di sangue del guerriero e poi sospirando riprese ad osservare la vastità della pianura. Passò un'altra mezz’ora, i cavalli procedevano a trotto lungo quel sentiero sterrato, il bambino affamato s’era ormai addormentato e la stanchezza si fece pesante per sia per i cavalieri che per i destrieri, il capo dei guerrieri di Ahriman tirò le redini e fermò il cavallo dicendo: Scendiamo e beviamo lungo il fiume. Allora tutti, anche gli uomini di Xshathra smontarono da cavallo e li lasciarono brucare liberamente lungo la riva, il principe disse poi al capo dei guerrieri, perennemente armato di lancia: Non dirai al tuo signore che ho ucciso io il tuo fratello vero?. Il capo dei guerrieri dalla voce sicura azzardò: io dirò solo il vero.
Poi lo sguardo verde del guerriero di Ahriman si poggiò sul bambino, lo guardò attentamente e si voltò verso il proprio cavallo, ne prese le redini con la mano sinistra , dopo aver messo la lancia tra la sella ed le armi del fratello morto, slacciò la borraccia dalla sella e la diede in mano al principe ormai disarmato e con in braccio il bambino, gli porse la borraccia e disse: Dagli questo da bere.. ho rinunciato al mio latte per questo bambino. Il guerriero aprì la borraccia ed il principe la prese e l’avvicinò al viso del bambino, che piano riaprì gli occhi e la bocca, prese a bere anche senza il seno materno, si saziò delle gocce di latte scese dalla borraccia dentro la bocca dell’infante fino a terminare completamente il nettare bianco della giumenta. Il principe guardò il guerriero, non rispose alla sua frase e gli ridiede la borraccia quasi completamente vuota, si avvicinò al fiume e sempre con il bambino in braccio si calò sullo specchio d’acqua e con la mano libera prese a bere avidamente . Dopo essersi assetato rialzò il viso, non lontano, oltre alla riva del fiume, verso ovest, riconobbe la collina degli eroi, il tumulo di Ohrmazd, quello di Jorwyr ed uno nuovo più basso. Xshathra rimirò il nuovo tumulo lontano e disse verso il guerriero di Ahriman: E’ morto qualche eroe della tua gente? Perché non è arrivata la notizia a tutti i santi uomini della pianura, così che avessero sacrificato pecore e giumente. Il guerriero rispose solo: E’ morta Savitri e con lei il suo primogenito, la bambina unica sopravvissuta è stata affidata ad Ahriman e sua moglie, il corpo è stato bruciato e con lei i corpi dei suoi genitori morti per la disperazione.

Gli occhi azzurri si chiusero, il principe sentì qualcosa di indescrivibile nel cuore, una sensazione sgradevole, pesante, nauseabonda e disperata, le lacrime gli scesero dagli occhi sulla barba ,come la rugiada che scende dalla foglia sul terreno, con la mano libera ed ancora bagnata si pulì il viso e poi la passò sui capelli, sospirò tenendo a se il bambino e poi disse al guerriero con voce bassa, rotta dal pianto: Era mia sorella, erano mia Madre e mio Padre. La mano destra del principe si strinse poi a pugno e lo diede al terreno, ora preso dall’ira e dallo sconforto, pure il bambino riprese a piangere. Il guerriero di Ahriman, toccato dallo sconforto gli disse: Non so che dirti, il mio Re saprà darti risposte. Ma il principe non rispose subito, prese aria dal naso e gli disse: Portami sul tumulo. 

E risalti a cavallo passarono a guado il fiume, al capo del gruppo non si mise il guerriero di Ahriman ma il principe, che oltrepassata la riva prese a galoppare verso le colline non lontane, mostrando senza paura, con nobiltà d’animo ogni sua emozione. Ci mise poco per raggiungere i pendici di quelle colline, ma per lui ed il bambino sembrò dover attendere interminabili minuti, poi sceso da cavallo con l’infante tra le braccia prese a camminare sopra i tumuli, guardò prima quello di Ohrmaz e poi si avvicinò all’altro tumulo più basso, si inginocchiò e pianse, mentre la luce del sole continuò a scemare in un tramonto dai colori caldi e scuri: Madre mia, Padre mio, Sorella mia, perdonate la mia mancanza di sacrifici, chiedetemi ogni cosa ed io lo farò. Gli occhi azzurri poi osservarono il cielo ormai trapuntato di stelle: Deiwos Pytar da a me la forza per andare avanti, solo al mondo, senza madre ne padre, ne parenti, ne figli. Dopo questo il giovane principe guardò il bambino, si distese e lo tenne stretto a se sotto la maglia di lana, coperti dalla pelliccia ovina usata come mantello, lo guardò e gli disse: Se non trovo tua madre starai con me. Il bambino ormai assopito placidamente rispose con il silenzio, poco dopo anche il principe, stremato prima dalla caccia selvaggia e dalla disperazione si assopì sopra il Tumulo attorniati dal buio e dalla brezza primaverile.

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Capitolo 8
*** Un padre. ***


Un padre.

 

Il bambino stretto dal principe riposava, sazio del latte di giumenta, lievemente investito dalla brezza, che lo sfiorava senza fargli alcun male, cullato in un sonno calmo ed infinito. Poi gli occhi del’infante si riaprirono, il cielo intorno a lui era di un tetro, scuro e viola, c’era la nebbia e solo nebbia, ma non pianse spaventato, gli occhi azzurri del’infante infatti si incrociarono con quelli dolci di una donna, stretto tra le sue braccia con amore e dolcezza, aperta la bocca il bambino non riuscì a parlare ma la donna disse:Non puoi parlare, non ci riesci, però mi riconosci. Non lontano gli occhi piccoli e vispi videro una figura maschile, dalla lunga e bianca barba: Ti ricordi di me? Mi dispiace rivederti in questa condizione costretto dalla morte violenta ed al’odio in una attesa interminabile per un'altra vita.
Non poté rispondere il bambino, ma aprì la bocca come per imitare i gesti di entrambi gli anziani, avvolti in quella scura nebbia. L’anziana stringendolo a se disse: Tutti abbiamo un compito, il mio è stato di partorire Savitri la Dea Sole e moglie del sacro spirito Ahuramazda e l’ho compiuto. L’anziano prese a parlare dopo la moglie: Il tuo è un altro, devi riportare l’ordine nel mondo, Ahriman è il male assoluto, il suo Avatar e la sua anima sono un unicum indissolubile ed immortale, tu figlio degli Dei, dalla carne mortale, ma dal’anima immortale e pura devi distruggerlo, eliminarlo e gettare il suo demone nel’abisso che lui stesso ha creato.
Ma la moglie s’aggiunse al marito dicendo: Trova anche tua sorella, del tuo stesso sangue, liberala dal marito che avrà, uomo malvagio e traditore, ricorda tu hai un compito da seguire, armato di coraggio e forza.
Poi i due anziani parlarono tra di loro, l’uomo disse alla donna: Pensi che nostro figlio Xshathra sia in grado di allevare un figlio degli Dei?. E la donna rispose: Ne sono sicura, la sua anima è forte, proprio come il nome che gli è stato affidato dal sacro spirito. Ma il bambino non comprese ancora, mosse le dita cercando di toccare quelle della donna, ma le attraversò inutilmente, eppure gli occhi riuscivano a vedere il corpo, tutto gli sembrò reale ma innaturale.
Dopo la donna diede al’anziano il bambino tra le braccia, la bocca barbuta riprese a parlare e disse:Ti racconterò chi era tuo padre.

E dopo aver preso un respiro iniziò in una sorta di canto : Il suo nome è Ahmi cioè l’essere, lui è l'Interrogabile, colui che può essere interrogato, O' santo Yama. Il suo secondo nome è Vanthvyō il Pastore, il Datore e protettore del gregge. Il suo terzo nome è Ava-tainyō, il Forte che tutto pervade. Il suo quarto nome è Aša Vahišta, la perfetta santità, l'ordine e la rettitudine, la verità assoluta. Il suo quinto nome è Vispa Vohu Mazdadhātā, tutte le cose buone create da Mazdā, che discendono dal Santo Principio. Il suo sesto nome è Xratuš, intelletto e divina saggezza. Il suo settimo nome è Xratumāo, colui che ha comprensione, che è posseduto dalla divina saggezza diffusa su tutto il creato. Il suo ottavo nome è Cištiš, conoscenza, divina intelligenza ricolma di conoscenza. Il suo nono nome è Cistivāo, possessore della divina intelligenza. Il suo decimo nome è Spānō, prosperità e progresso. Il suo undecimo nome è Spananghauhao, colui che produce prosperità. Il suo dodicesimo nome è Ahura, il Signore creatore della vita. Il suo tredicesimo nome è Sevišto, il più benefico. Il suo quattordicesimo nome è Vīdhvaēštvō, colui in cui non c'è danno. Il suo quindicesimo nome è Avanemna, l'inconquistabile. Il suo sedicesimo nome è Hāta Marēniš, colui che conta le azioni dei mortali. Il suo diciassettesimo nome è Vispa Hišas, l'onniveggente. Il suo diciottesimo nome è Baēšazayā, colui che risana o dona buona salute. Il suo diciannovesimo nome è Dātō, il creatore. Il suo ventesimo nome è Mazdā, l'onnisciente, colui che crea con il pensiero, ecco tuo padre, il grande Ahuramazda.
Ma come tutti i ricordi riaffiorati nel’infanzia, il bambino sembrò dimenticarsene, chiuse gli occhi riprendendo così a dormire, cullato dalla stretta di quel giovane principe assopitosi sopra il tumulo.

 

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Capitolo 9
*** Un Figlio. ***


Un Figlio.

 

Il principe dormiva tranquillo, rilassato e libero dal giogo del dolore, fin quando la mano liscia di una donna non cominciò a carezzargli il crine dorato e la barba lunga: Svegliati, svegliati.

La donna lo carezzò un’altra volta sulle gote riuscendo a destarlo, il giovane aprì gli occhi e vide la sorella maggiore: Savitri sei tu allora, mi avevano detto che eri morta, ma invece sei venuta qui a svegliarmi. Intorno al principe non c’era nulla se non una nebbia luminosa e costante.
Savitri sorrise mestamente alla frase del giovane fratello, lei dai lunghi capelli biondi, dai lineamenti dolci e fieri aprì la bocca e rispose: Fratello renditi conto.. questo è il mondo degli Aesi, degli spiriti, di cui mio marito Ahuramazda ne è il creatore e destino, ti ho portato da me perché io ti possa affidare un compito.. duraturo e perenne. Inspirò e continuò a parlare: Devi crescere mio figlio, Deywa Pytar te lo ordina.. io Dea sole te lo ordino. Il fratello si inginocchiò davanti alla sorella: Parlami ,O Diva, figlia di Kuhbhrater ed emanazione del sommo cielo, perché questo compito e perché ti sei rivelata a me?. La sorella dal’animo e dallo sguardo gentile rispose:Ti ho voluto così bene che non potrò dimenticarmi di te e di tutto quello che abbiamo fatto insieme, quando nostra madre.. levatrice di tanti infanti ci lasciava soli.. indaffarata dal lavoro di madre di tanti e troppi figli non suoi, per me sei stato come un piccolo figlio e poi fratello rispettato, per questo so che tu metterai con mio figlio lo stesso affetto che hai avuto per me.

Il principe, preso dal’emozione cercò di stringere a se la donna, sorella amata, riuscendovi: Sorella, luminosa quanto gli astri, l’infante che ho trovato, dimmi se è lui che devo occuparmi. Savitri sorrise, l’estasi luminosa del mondo toccò il viso del principe che potè comprendere le parole della Dea: Si.. quel piccolo cucciolo d’uomo è Yama, re dei re, signore della Teuta e sarà rispettato da tutte le tribù, e tu Xshathra, guarda dentro di te e vedrai la tua vera anima, ciò che sei veramente.. e ti scoprirai adatto sia per allevare mio figlio che per il compito che il cielo ti ha dato rispetto al mondo.

Ma il principe non capì e disse:Io sono il Mahavir di Kuhburg, il villaggio dai grandi pascoli, che altro compito può avere un principe se non la guerra e la pace?. Ma Savitri rispose con un sorriso: Ti parlo senza il peso dell’esistenza, tu sei un Aesi.. uno spirito emanato di Ahuramazda , tu sei archetipo della forza e gli altri principi tranne Ahriman lo sono altrettanto per ciascuna virtù primordiale, raggruppa tutti e sei i principi quando Yama sarà adulto e fai ciò che ti è stato chiesto, combatti il male, sventralo e gettalo nel’abisso. Il principe annuì con il capo e rispose solo: Farò la volontà di Deywa Pytar, il cielo.

E Savitri gli confesso toccandogli il petto con la destra: Tu sei la forza motrice del cielo.

Ed il principe preso dallo sconforto e dallo smarrimento si rannicchiò su quel manto verde messo a terreno in quel luogo circondato dalla nebbia luminosa e densa, spaventato disse in quella posizione: Non sono pronto per sapere tutto questo, permettimi di vivere sapendo ma non sapendo allo stesso tempo, permettimi di avere coscienza di me stesso senza darmi un nome.. voglio mettermi al pari del mio compagno in battaglia, voglio mettermi al pari di tuo figlio che tu mi hai affidato con affetto. Disse il principe rialzandosi, aggiungendo poco dopo: Lascia che questo sogno rimanga sogno, Dea del sole, sorella amata.. immagina come potrei vivere sapendo di essere un Dio e sapendo di avere al fianco uomini nella medesima situazione.. pensa sorella, lascia a me una saggia ignoranza, saprò quel poco che devo sapere per poter seguire quello che Aesi vorrà di me. E mettendosi nelle mani della Dea il principe si prostrò ancora, piangendo per le rivelazioni ricevute. La dea Savitri, dal viso grazioso dopo avergli carezzato il capo disse: Avrai tanti figli, mogli forse, germogli sul terreno, ma il più grande sarà Yama e sono felice di averlo affidato a te, sei suo zio, mi dispiace non averlo potuto seguire, mi dispiace non averlo allevato, quel lato umano è rimasto ancora qui come un macigno legato al collo di un prigioniero.

Il principe si rialzò in piedi , guardò la donna ed avvicinandosi a lei ritentò un contatto, la Dea lo accolse stretto e lo lasciò assopirsi nuovamente sulla sua spalla, cullati dal vento tiepido del mondo iperuranico.

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Capitolo 10
*** Yamhpur ed il trono. ***


Yamhpur ed il trono.

 

Il principe riaprì gli occhi, il sole era già alto nel cielo e gli illuminava il volto appena destato, la testa mosse per guardarsi intorno e notò il bambino ancora assopito sotto la maglia di lana, coperti entrambi dalla pelliccia pesante di pecora. . Poggiata la mano destra sul terreno del tumulo cominciò ad alzare il busto, tenendo con il palmo sinistro stretto a se il bambino, che continuò a dormire imperterrito, si mise in piedi e cominciò a guardare i due gruppi intenti a smontare le tende ed i bivacchi, il principe allora rivolgendosi al guerriero di Ahriman, disse: Stiamo già andando?.

Ma il guerriero non gli rispose, indaffarato nel legare le tende ripiegate al corpo del cavallo, il nobile allora scese dal tumulo e raggiunse i fratelli intenti smontare i bivacchi, esordendo verso il guerriero fedele più vicino: Fratello, mi tieni il bambino?Che devo legare il panno da mettergli intorno al bacino. Il guerriero di Xshathra prese allora l’infante che cominciò ad aprire gli occhi, celesti ed assonnati, il principe, non meno sveglio rispetto al bambino si tolse il manto di pecora e lo buttò sul terreno, prese la maglia di lana e la legò con attenzione per ricavarne un drappo, che lo mise intorno al lattante, che però cominciò a sbraitare tra le braccia del guerriero. . Il principe , rimessosi sulle spalle nude il mantello di pecora prese a camminare verso il capo dei guerrieri di Ahriman e gli chiese: Hai altro latte di giumenta?. La risposta arrivò dopo alcuni attimi di silenzio, lo sguardo chiaro dell’uomo si poggiò su quello del principe e scosse il capo: No era l’unico che avevo, ora però andremo a Yamhpur, li ne troverai sicuramente, sistemeremo il malinteso tra le nostre genti e ritornerete alla vostra tribù.
Il principe l’ascoltò e spostò lo sguardo:Se fosse solo la colpa della vostra accusa a ferirmi, allora potrei ritenermi già in pace con voi, perché conosco la verità, ma sia io che tu sappiamo cosa mi hai detto, una colpa che non perdonerò facilmente al tuo Re. Il guerriero di Ahriman non rispose e gli negò lo sguardo fiero, Xshathra non potè far altro che ritornare dal fraterno guerriero e riprese il bambino tra le braccia, cominciando a cullarlo per calmare la sua fame. Gli occhi del principe, inconsapevoli del sogno scaturito dalle oscure cavità dell’oltretomba rimasero fermi sul pargolo che lamentoso continuava a piangere: Se rimarrai con me, ti tratterò come un giovane principe, sarai famoso tra tutti i popoli te l’assicuro. Dopo che disse ciò all’infante spostò nuovamente lo sguardo verso il tumulo, guardò la collina del famoso Ohrmazd e poi quella della sua famiglia, a sua insaputa sepolta in quel luogo così sacro, una lacrima gli scese ancora lungo le guance, finendo sul viso del bambino, tra le labbra, placando così la sua sete e la sua fame, il principe stupito dal silenzio strinse a se il bambino ora placato.

Il paesaggio calmo sconfinato, interrotto solo da boschi radi e torrenti mal si univa al sentimento furente dentro il corpo del principe, ancora però senza una reale motivazione o pensiero, la vita in quella parte della radura era lussureggiante aiutata dalla primavera mite. Aironi, aquile e nuvole di uccelli si stagliavano all’orizzonte, ma nulla sembrò placare l’animo triste e desolato del principe, neanche la voce del guerriero di Ahriman lo destò da quell’amara contemplazione della realtà, solo al terzo richiamo l’uomo con in grembo il bambino si destò e volse lo sguardo dietro di se, spostando poi tutto il corpo:Stiamo andando?. Il guerriero annuì solamente e si mise a cavallo insieme al resto del gruppo. Costeggiato il fiume a cavallo i due gruppi continuarono a muoversi verso nord est diretti alla cittadella fortificata ormai visibile all’orizzonte, lungo il cammino i primi abitanti alla vista dei cavalieri chiudevano le porte delle abitazioni di fango e legno, spaventati, il principe notò quel comportamento e chiese: Perché fanno così?. Ma non ci fu risposta alla domanda, il corteo de cavalieri, diviso in due, gli scortati e le guardie non si fermò avvicinandosi impietosamente verso quelle mura lontane, passando tra sentieri deserti e spogli di presenze umane, nascoste dentro le case e nelle stalle. l’aria, il cielo e la terra erano cariche di terrore e silenzio, la sola vista dei cavalieri per gli occhi degli abitanti sembrava una sentenza di morte, il suono degli zoccoli risuonavano come tetri rintocchi in quel polveroso sentiero, costeggiato da costruzioni basse, di fango, ovoidali e larghe, solitarie.
Quel vento tiepido, mosse alcune ciocche del crine lungo e biondo del principe sopra i suoi occhi, come a voler celare le immagini che si sarebbero rivelate da li a poco, difatti lungo al sentiero, oltre alle mura ottagonali sfocate e lontane all’orizzonte divennero visibili due lunghe schiere di pali, che ad ogni passo del cavallo si facevano sempre più vicini, incombenti e minacciosi alla vista di tutti, maestose ed accompagnate da uccelli appollaiati sul punto più alto.

Xshathra alla vista di quello spettacolo macabro ed orrendo rimase sbigottito, senza parole, già da lontano si potevano vedere i corpi senza vita di uomini e donne appesi con corde a gli alti pali, alcuni dei cadaveri erano solo scarnificati ammassi di ossa legate per il collo a quei pali sovraffollati e carichi. I cavalli nitrirono alla vista di quello scempio, ma il guerriero di Ahriman disse: Forza non fermatevi. E spronando il cavallo con i talloni lo costrinse a muoversi ora in quel sentiero alberato, dove frutti maturi aspettavano solo il momento in cui sarebbero caduti sul fertile terreno, il principe fece lo stesso, si mosse con il suo gruppo sul sentiero ma non riuscì a rimanere in silenzio: Perché avete ucciso così tante persone?.

Chiese senza nessuna remora e la risposta gli arrivò altrettanto schietta, il fedele guerriero di Ahriman ribattè fiero: Alcuni sono le vittime del Echsvamedha, altri sono ladri, stupratori, guerrieri senza nobiltà e padrone, essi sono monito per la mia gente. Il principe socchiuse gli occhi e domandò nuovamente: Ma per l’Echsvamedha non si usano vittime umane, ma solo cavalli e piante sacre, perché il tuo Re è così malvagio sulla sua gente?. Il guerriero non rispose ed imperterrito continuò il tragitto verso le mura e la grande porta. Attorniati dalle viste spettrali dei cadaveri, dai guaiti del branco affamato di cani, in attesa della caduta di qualche osso da poter spolpare, alcuni uomini, poco avvezzi a queste scene sporgendosi dal destriero vomitarono o spostarono lo sguardo sopra le mura delle città che ora sorte imponenti davanti a loro s’ergevano, in una vista maestosa e severa; fiere e decorate da disegni zoomorfi e colorati, stonando con la vicina presenza di quella palizzata dalle due file costeggianti il sentiero, palizzate maleodoranti e solitarie.

Il guerriero di Ahriman raggiunte le porte alzò lo sguardo ai camminamenti, tenne strette le redini e poi tenendole con la sinistra alzò la mano destra in un saluto militare: Ti saluto fratello, sono venuto a riportare le armi insanguinate di Vilkas, morto ucciso da un lupo durante una pattuglia lungo il fiume Dnpr, li abbiamo visto questi cavalieri, con a capo Xshathra, Mahavir di Kuhburg, intenti a cacciare una mandria di cavalli nella nostra terra, violando i patti di alleanza militare tra i nostri villaggi.
Nessuna parola venne pronunciata dall’alto delle mura, che placidamente si aprirono alla vista dei due gruppi mostrando così la gloriosa città dall’interno, senza più la timida copertura delle mura, ai lati del portone due guardie fecero un saluto militare con le lance in mano, non dissero nulla e lasciarono procedere i due gruppi di cavalieri, all’interno della città c’era una vita totalmente diversa da quella delle abitazioni del circondario, persone, uomini e donne svolgevano la loro ordinaria vita, per nulla turbate dalla vista delle armi. Quando le porte si chiusero dietro i cavalieri, il guerriero di Ahriman scese da cavallo e con lui anche il principe ed i suoi guerrieri, che disarmati rimasero fermi, fino all’arrivo di un guerriero di alto rango, più anziano, vestito con pelli di pecora e con una placca di rame sul petto che subito chiese al guerriero: Alun, dov’è il tuo capo,Vilkas? Perchè ci sono le sue armi insieme alle tue legate al cavallo?.
Il guerriero portando la destra chiusa a pugno sul cuore disse: Mentre stavamo pattugliando il fiume Dnepr abbiamo avvistato questo gruppo di cavalieri intenti a cacciare una mandria di cavalli nel nostro territorio, li abbiamo fermati, ma Vilkas è sceso da cavallo per parlare con il Mahavir Xshathra a ,capo del gruppo che abbiamo bloccato, ma è partita una rissa e mentre i due guerrieri stavano combattendo, un lupo dal manto nero uscì dal canneto e lo uccise.

I due guerrieri uno davanti all’altro si fronteggiarono con lo sguardo, uno il più giovane, l’altro maturo e truce, sembravano pronti ad alzare le mani, solo il guerriero più maturo sopprimendo la visibile rabbia sul viso disse: E tu non sei andato a prenderlo ed a strapparlo dalle fauci del lupo?.
Il guerriero di Ahriman non rispose, sentendosi urlare contro il viso un’altra sentenza: Chiederò al Re la punizione che riceverai per aver lasciato Vilkas sul terreno tra le fauci di una bestia feroce. Il principe sceso da cavallo insieme ai suoi fratelli rimase a guardare la scena tra i due, mentre con le braccia non faceva che cullare con calma il bambino ancora sazio, gli occhi azzurri stanchi da quei discorsi cominciarono a mirare la città e le sue capanne, alcune grandi e ovoidali, altre costruite da giunchi e legni a forma quadrata e dal tetto spiovente, altre rotonde e fatte di legno tra cui la più grande; la Capanna del Tempio, dove suo padre Bhagavad amministrava i sacramenti antichi, mirò i vari visi votivi messi sulle travi delle entrate, i vari volti umani e non, che imperterriti scrutavano e giudicavano chi oltrepassava la soglia del tempio, il principe ricordò così il padre, ed ancora scosso da quella notizia spostò ancora lo sguardo sull’ultima tenda, quella più grande fatta di legno e pelli, coltri di pellicce e trofei di caccia legati tra loro in una ostentazione di forza; tra la tenda del sacerdote e quella del Re, così grandi e maestose, però s’ergeva fiero anche un tronco mozzato ed ampio, con due lance fissate ai lati del ceppo, quello era il trono di Yamhpur ottenuto dall’abbattimento di un grosso faggio solitario, un trono senza velleità lussuose e per questo dimenticato, senza un Re giusto, seduto a vegliare il suo popolo.

Xshathra rimase impassibile tenendo a se il bambino, continuò a guardare quel sacro ceppo, poi una voce gli fece alzare lo sguardo:Cugino! Che ci fai qui?. Chiese Pauksta vedendo il principe, lei vestita con lane intrecciate e pendagli di rame e d'ambra ostentava ricchezza e nobiltà, i suoi occhi fieri e verdi sembravano calmi e amichevoli, il giovane nobile rispose subito a quella domanda: Mi hanno bloccato ai confini mentre cacciavo una mandria di cavalli con i miei compagni, li ho trovato un bambino di qualche mese che per il momento sta dormendo tra le mie braccia.
La donna non tardò a guardare quell’infante stretto dal principe e scrutandolo attentamente disse: A chi pensi possa appartenere? Comunque lascia qui i tuoi fratelli, sono sicura che sia stato un equivoco. Detto questo si avvicinò prima al principe e poi al guerriero veterano di Ahriman che sentite le parole della regina si allontanò con il resto dei suoi compagni alla sala dell’idromele lasciando soli i guerrieri del principe, che notato ciò disse:Bene ragazzi preparate i caval.. le parole della Regina infatti lo bloccarono nuovamente: Non posso lasciarti andare così presto, devo dirti così tante cose, permettimi di invitare te alla tavola con il Re Ahriman, lascia liberi i tuoi.
Il principe allora disse: Compagni siete liberi di andare dove volete, ci vediamo alla porta dopo pranzo. E detto questo non chiuse le labbra, respirò a fondo e disse ancora: Vorrei che invitassi anche i tuoi zii e tua cugina magari con i suoi figli.

La Regina si fece scura in viso e con voce più bassa rispose: Vieni con me in tenda, ti devo proprio parlare di questo, non posso dirtelo qui davanti a tutti, per rispetto verso di te e della famiglia. 

Xshathra annuì solamente e seguì la cugina dentro la capanna larga e grande, quella del Re della città, entrato dopo la donna stringendo a se il bambino rimase a guardare estasiato tutti i trofei di caccia, gran parte appartenuti ad Ohrmazd, poi spostato lo sguardo su Ahriman non lontano si fermo, tenne con la sinistra il bambino in braccio ed alzando la destra esordì: Ti saluto Re Ahriman, signore di Yamhpur, fratello dei Mahavir della pianura e grande guerriero. Il Re, dallo sguardo tagliente e rilassato si alzò dalla stuoia di lana e guardò il principe: Ti saluto Mahavir di Kuhburg, perché sei qui?E perché tieni un infante tra le braccia?. Il Principe con altrettanta schiettezza rispose: Ero a caccia vicino al fiume, una mandria è andata nel tuo territorio ed io ho continuato a cacciarla, i tuoi uomini hanno attaccato il mio gruppo mentre io cercavo riempire la borraccia nel fiume e li trovai questo infante allattato da una lupa. Ahriman annuendo non lo interruppe anzi disse: Continua, sento che hai altro dal dirmi, ti ascolto. Allora il principe continuò: Uscito dal canneto dove m’ero rifugiato e dove ho scoperto l’infante mi sono ritrovato un tuo uomo, che appena ha visto il bambino lo ha voluto ad ogni costo e mi ha attaccato, io armato di lancia riuscii malamente a difendermi, rischiando anche la vita, ma gli Daeywas sono stati misericordiosi, Una lupa uscì dall’alta vegetazione ed uccise il tuo uomo, che prese con se nella sua tana tra i giunchi.

Il Re ascoltato ogni cosa sospirò e rispose: Mi dispiace che sia successo tutto così per una battuta di caccia, sarai d’accordo con me che quello che ha fatto il mio guerriero è stato un atto giusto, probabilmente quel bambino che hai trovato appartiene a qualche donna delle nostre genti, si sarà sentito obbligato a prenderlo anche senza la tua volontà, comunque ora siediti e mangiamo. Il Principe annuì e si sedette vicino alla moglie di Ahriman e cugina, prese con la destra la carne di uro e portandola alle labbra prima di dare un morso esordì: Come sono morti i miei Genitori?Com’è morta mia sorella? E perché mia nipote la stai allevando tu? Hai già tolto tutto a tuo fratello, persino la vita, ed ora vuoi togliere a me ed alla mia la famiglia la possibilità di crescere come gli Daeywas vogliono mia nipote? Rimasta senza genitori?. Ahriman tolse allora le mani dal cibo e pulendole sulle proprie vesti rispose: Si sono lasciati morire di fame dopo che tua sorella è morta di parto, non volevano mangiare ne bere, ma almeno uno dei due bambini rimase in vita, l’ho chiamata Yami e mi sono preso cura di lei.

Il giovane con un nodo alla gola aggiunse subito: Perché non mi hai avvertito!.
E senza timore alcuno alzò la voce dentro la tenda dei Re.

Ma il Re non tollerò ciò, alzò gli occhi al cielo e puntandoli subito dopo sul principe disse: Se vuoi essere sgozzato ora dimmelo, Non mi faccio molti scrupoli a togliere o donare vita, davanti a simili oltraggi. Poi respirando più profondamente con una certa calma azzardò: Non volevo dirtelo con i messaggeri, non sono così crudele come invece si dice dalle vostre parti. Il principe scosse il capo: Sei solo un uomo, non mi faccio scrupoli a dichiarare guerra alla tua gente, avrai anche mura alte, ma non sei l’unico. E sputò sul piatto del Raja buttando la carne di Uro su di esso aggiungendo ancora: Savitri doveva partorire i bambini un mese fa, gli altri Bhagavad l’avevano predetto. La voce si fece grave: Perché a quattro giorni dalla data prescelta dal cielo per il parto, arrivò il tuo messaggero con il timbro di mio padre? Per avere un’alleanza, proprio mentre io ero alla sacra capanna ad interrogare l’oracolo e leggere vaticini sui miei nipoti? Sai prima di saperlo ho dovuto aspettare quasi una settimana e prima di accogliere il messaggero in quel luogo sacro e lei, mia sorella, come dici tu era già morta, potevi almeno chiedermi di venire.

Ahriman rispose con crudele realismo nel tono: Le ultime decisioni di tuo padre erano quelle di riunire finalmente tutti i popoli, sotto il mio stendardo e per fare questo serve un’alleanza che ci faccia comportare come popoli fratelli, ciò che siamo realmente, ma vedo che tu non hai recepito molto il messaggio, dato che hai sputato sul mio piatto e sul cibo che ti ho offerto. La Regina non parlò, rimase in silenzio ad ascoltare. Ma Il principe ascoltato le sue parole rispose solo: Un grande discorso, mio Re, hai dimenticato solo il fatto che mio padre ti detestava per come trattavi sia lui che il suo genero, tuo fratello e non vedeva in te la scintilla dei Regnanti, ma quella dei Tiranni, quindi racconta le tue menzogne a qualcun altro e dammi mia nipote, non bisogna essere intelligenti come Vohu Manah per capire che mi nascondi qualcosa. Mentre i due discutevano con ardore l’infante si destò dal sonno e riprese a piangere affamato, ma nessuno su curò di lui, tranne il principe che accorgendosene disse a Pauksta: Hai del latte di giumenta?O qualche levatrice.. magari quella che ti aiuta con i tuoi figli. La donna sembrò aprire bocca, ma Ahriman la bloccò dicendo: Zitta, vuole solo sapere dove si trovano mia nipote e mio figlio, No, Xshathra non l’avrai, è nata nel mio suolo, come probabilmente quel bambino, quindi entrambi sono miei e non puoi negare quanto io abbia ragione. Il principe non rispose subito, si mise in piedi e disse: Se solo toccherai me e questo bambino, ricorda, che avrai contro tutti i villaggi, tutti e sei i Mahavir, compreso mio fratello che mi succederà se mi toglierai di torno, non ti conviene.
Ahriman si mise in piedi anche lui, il viso fiero, freddo e adirato come quello di un lupo, fissò prima il principe e poi il bambino e mostrando i denti in una smorfia, buttò fuori l’aria, riprendendo subito il discorso: Non potete fare niente contro di me, dalla mia parte ho gli uomini del nord, il Re dei Vyria dell’est, Turanshid e tanti popoli che dovresti temere per la loro origine. 


Il viso del principe sconvolto mostrò una smorfia di disgusto: Tu oseresti chiedere aiuto contro i tuoi fratelli, portando nella pianura genti estranee? Sei un folle, uno scellerato!.

E detto questo stringendo a se il bambino strillante gli volse le spalle: Ti lascio mia nipote, con una promessa, ritornerò a riprenderla quando gli astri lo vorranno con o senza la tua benedizione, non mi faccio nulla di parole menzognere, campate in aria e di alleati che non avvisano, anzi tengono nascosto per mesi la morte di quasi tutta la mia famiglia, non traggo nessun vantaggio con te come alleato e neanche l’intera regione ha da guadagnarci qualcosa, sempre se c'è da guadagnare.
E dopo aver voltato solo parte del corpo e del viso verso di lui aggiunse: Considera l’alleanza voluta da mio padre decaduta, incontrerò gli altri Mahavir per far bruciare anche i loro trattati e poi vedrai , eccome se lo vedrai che cosa accadrà, adesso viene la parte interessante.
Ahriman, non parlò, rimase sbigottito da tutto l’odio suscitato e lo osservò uscire, il Re allora spostati i lembi della tenda seguì fuori il principe, si guardò intorno e gli disse: Ringrazia che non ti ho fatto tagliare la testa, per le tue insolenze, questo per rispetto dei Bhagavad e di tutti gli uomini che tu rappresenti, feccia!. Ma il principe non si volse indietro e disse ai fratelli vicini tenendo sempre stretto il bambino sbraitante: Ritorniamo a Kuhburg, lo so che per alcuni di voi questo è un posto nuovo, ma ci ritorneremo e potrete bere l'idromele della capitale.

Il principe, radunò i suoi uomini prese i suoi cavalli, portò con se il suo infante e spalancate le grandi porte scappò da quella città fondata dagli avi nell’estremo nord est, si allontanò con il gruppo fedele, diretto ad ovest oltre il grande fiume Dnepr, oltre alla ricca vegetazione nata lungo il suo corso.
Gli occhi di Ahriman osservarono i cavalli lontani dai camminamenti delle mura, stretto alla lancia fedele non si mosse per rincorrere il principe, non fece nulla, ma mormorò solo: Tutto ha un corso. Il grande spirito del male comprese i richiami dell’abisso, era ancora troppo presto, ma poi la rabbia umana ritornò in quel corpo fino a quel momento riempito dallo spirito del caos, una rabbia tale da fargli gridare: Portatemi qui Alun!. Disse dall’alto della sua posizione con grande e grave voce,: Portatemelo e consegnatemi le armi di Vilkas. Passarono pochi attimi fino a quando il grande spiazzo davanti alla porta si riempì di guerrieri, con a capo il più fiero ed onorevole. Il Re senza farsi attendere subito disse: Chi ha detto a Xshathra dei suoi familiari morti? Mi ero assicurato di non fargli arrivare nessuna notizia, tu, Alun.. che ora hai ereditato il potere dal tuo fratello Vilkas nell’esercito, perché non hai portato con te il suo cadavere?.

Il giovane guerriero di Ahriman non rispose subito, ingoiò la saliva e rispose: Sono stato io, perché quando il principe vide dei nuovi tumuli nella strada di ritorno volle sapere di chi fossero, ed uno era della sua famiglia e lo riferì senza temere nulla.. ne nessuno, inoltre sono stato io a non entrare nel canneto per riprendere il corpo, troppi segni mostravano le sue colpe sia contro gli uomini che contro il cielo e togliere la carne dai denti di un Deywa è una delle cose peggiori che un Vyr possa mai fare. Ahriman sospirò e disse: Mi fidavo di te, chi ti dice che quello fosse un Deywa? Era solo un lupo probabilmente, ed inoltre, per colpa di quello che hai detto al principe di Kuhburg, hai minato l’alleanza tra i nostri popoli. Il Re indicandolo con la lancia dai camminamenti continuò: Potevi inventarti ogni cosa, anche che fosse un tumulo per fieri cavalli, gli avrei detto tutto con calma, mentre con quello che hai fatto.. hai rovinato un legame antico tra villaggi fratelli, ed inoltre la Vedova di Vilkas non ha corpo ne indumenti su cui piangere, ma questo si può anche rimediare.

E dicendo ciò il Ahriman divenne assolutamente serio: Sia tu felice Alun, oggi ti sacrificheremo a Deywa Pytar, verrai impiccato ai pali dei guerrieri, ma non sarai senza onore, non ti lasceremo li ad agonizzare, premieremo la tua sincerità ed il tuo timore verso il cielo con delle picche che ti doneranno la morte ancor prima della corda intorno al collo. Il giovane guerriero disse solo a gran voce: Mio Re, non ho mai desiderato niente di più grande … Che non sia questo. Ma insicuro di queste parole pronunciate diede placidamente il via al sacrificio sacro, i suoi fedeli compagni infatti subito si adoperarono a legare l’uomo ad un ceppo vicino allo spiazzo usato per legare i cavalli, il più alto, il più giovane ed il più vecchio, s’armarono, il primo prese la propria lancia, il secondo quella di Alun ed il terzo prese la lancia di Vilkas, tutti e tre concentrati mirarono al corpo del guerriero, aiutati anche dalla irrisoria distanza tra i tre ed il condannato, che quasi contemporaneamente ricevette quelle ferite profonde e mortali.

Quando il sangue cominciò a riempire parte dello spiazzo Ahriman, disse: Slegatelo e portatelo al palo, prendete le scale e mettetelo molto alto, che sia da monito sia a uomini sia a spiriti maligni, deve dire chiaramente, che qui abito io, Re della pianura.

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Capitolo 11
*** Il più santo dei Santi. ***


Il più santo dei Santi.

 

Un gruppo di dodici uomini, in parte nudi, in parte coperti con miseri stracci, camminava sulla strada verso Kuhburg, con il collo adornato da collane floreali arancioni e gialle, dagli occhi chiari riempiti completamente da fervore sacro. Tutti danzavano seguendo il suono prodotto dai flauti d’osso suonati da alcuni di loro, esaltati ed estasiati, battevano le mani sopra il capo e si muovevano inconsulti procedendo in quel sentiero sterrato nell’ampia pianura, senza nessun pudore piangevano e ridevano, solo il più anziano, armato di bastone e coperto solo sulle spalle dalla pelliccia di pecora osò dire: Om namah Diwonusojo!!!. E poi in coro risposero tutti: Sacro Sacro nome di Diwonusojo!!. Senza mai smettere, continuavano tutto il giorno a ballare ed avanzare lungo il sentiero. Il gruppo caparbio non era l’unico a percorrere quel sentiero, infatti poco dietro di loro un gregge forse selvaggio di ovini li seguiva ipnotizzati, dalla musica e dalle danze che ritmate si diffondevano nell’aria. Il più alto di tutti muoveva una corda facendola roteare velocemente sopra il capo e la parte superiore del corpo, un altro stringeva un corno di bue lungo e forato, ed altri ancora portavano con se ciondoli di denti e conchiglie, che muovendosi non facevano altro che produrre continui e ruvidi suoni. Tra di loro non c’era apparentemente un capo, solo il nome in cui chiamavano il più saggio faceva trasparire la differenza tra gli altri uomini e il sacerdote con il bastone da pastore in mano: Bhagavadi!Bhagavadi grazie a te conosceremo finalmente il santo. Gli dissero insieme, aggiungendo poco dopo: O figlio di Dywos Pytar proteggi il nostro cammino. E ripetendo questo i pellegrini alzarono le mani verso il cielo limpido della primavera. 

Oltre alle pecore il gregge seguito da qualche cane pastore procedeva compatto, neanche un freddo venticello diretto dal nord li fece desistere in quella lunga camminata. Non avevano con se nulla se non stracci, ma il viso perennemente agitato e felice li vestiva di una potenza irraggiungibile e irrazionale, più di ogni drappo lussuoso o di arma tagliente, immuni persino al pensiero continuo della morte, senza nessuna paura verso il mondo stesso.

Quando il gruppo di uomini sacri si avvicinò al piccolo agglomerato di capanne a un giorno di marcia per Kuhburg un bambino scappando dalla capanna si avvicinò a guardare il gruppo caotico e chiassoso, nessuno se ne accorse subito, anzi il gruppo continuò imperterrito a muoversi verso il villaggio principale, sempre mantenendo i gesti confusi ma naturali, il bambino non si spaventò anzi incuriosito con una brocca di latte di giumenta si avvicinò al più saggio, intento a tenere il tempo con il bastone, martellante contro il terreno, lo guardò attentamente e gli verso parte del latte nel terreno davanti all’anziano, il Bhagavadi lo guardò e continuando a battere il tempo non smise di camminare, poggiando i piedi sulla terra bagnata dal bianco nettare della giumenta, il bambino per evitare di esser colpito dal bastone si spostò verso destra e gli chiese: Oh anziano! Bevi questo latte che io ho preso dalla mia capanna per te. 
Il vecchio non rispose ancora intento a battere il bastone in quei movimenti inconsulti e veloci, aiutando gli altri uomini intenti a suonare e ballare, dando loro il corso perfetto per produrre la loro viscerale danza, poi cominciò a cantare con fierezza:

“Oh Woranos jai jai Woranos/

/Ricorda chi adesso mi diede la mano/

Anche se misero umano/ questo è ciò che amo

 

Oh Andros jai jai Andros/

Guiderai la sua lancia/ per il mondo e la sua strada/

il cavallo nero scapperà nella palude/ che gorgoglia e che si richiude.

 

Oh Woranos jai jai Woranos/

Scaglia il fulmine funesto/ dissolvi il branco.

Ed il gruppo rispose cantando insieme al più saggio che finalmente spostò lo sguardo sopra il bambino a cui disse: Ti ringrazio dell’offerta, ti rivelerò il tuo futuro amabile anima,  tra vent’ anni ci sarà un Principe di nome Yama a Kuphur. Egli regnerà su uno dei quattro continenti e adornerà il tempio di Diwonusojo con fiori e crani dei malvagi, tu Filykos figlio di Tvirtavir, sarai il suo secondo. Non aggiunse nient’altro l’uomo che riprese a cantare lungo il sentiero nella vasta pianura, il viso del santo era tranquillo e senza pudore, gioioso e esaltato nell’espressioni facciali, il gruppo passando per ogni piccolo villaggio ricevette molti doni, ma lui, il santo Bhagavadi non le accettò ricambiando quell’attenzione con altrettanta attenzione, ricambiando l’affetto con lo stesso affetto ricevuto, senza guardare alla quantità di pecore delle famiglie dei villaggi, spinto a fare del bene verso il mondo, il Bhagavadi osò definirsi felice e questo lo convinse a continuare ancora ed ancora a cantare incontrastato nel bel mezzo dell’estesa piana. Raggiunto un piccolo bosco rado di roveri il gruppo si sedette sotto l’ombra, il più santo si mise sotto l’albero più basso e dalle fronde larghe, rilassato si mise a guardare il cielo del pomeriggio ancora luminoso, poggiò la testa sul legno e cominciò a dormire, li cullato dalla brezza fresca della primavera, quel momento così intenso e calmo era destinato a durare poco, l’equilibrio incontaminato di quel luogo venne rotto, dal suono forte e fragoroso di zoccoli, nitriti e voci, proprio lungo la strada attraverso quel rado bosco infatti si stavano avvicinando degli eroi a cavallo, dei cacciatori, con a capo il principe Xshathra ed il suo secondo armato di lancia. Al forsennato trotto degli equini ne seguì un’ arresto, infatti il principe vede i saggi uomini nudi sotto il bosco, li osservò attentamente e scese da cavallo, tenendo con il braccio sinistro il bambino alzò l’altra mano in segno di saluto, dicendo: Salute a te o Bhagavadi, come stai?.

La voce del principe anche se colma di rispetto non riusciva a mascherare l’emozione positiva avuta alla vista di questi santi uomini, il Sant’uomo parlò: Bene, finalmente anche tu rientri al villaggio, noi ci stiamo andando a piedi. 
Il principe lo guardò attentamente e rispose: perché cosa c’è al villaggio?.

Il vecchio increspò la fronte e aggrottò lo sguardo: Al tuo villaggio è arrivato il sommo Diwonusojo, a noi Bhagavadi non ha detto niente ne sul perché e ne per quale strada, lui ha avvisato tutti, ma tuo padre non ha risposto al richiamo, che il sommo ha mandato nel torpore notturno a tutti noi e questo mi preoccupa molto. Poi il Bhagavadi guardò il bambino tenuto in braccio da Xshathra e gli chiede: Mahvir non sapevo che tu avessi un figlio, perché non l’hai fatto vedere ai saggi del popolo? Io non ho saputo nulla. Ma il principe non tardò a rispondere: Durante una battuta di caccia ho trovato questo bambino lungo il Dnepr, le guardie di Yamhpur mi hanno scortato alla capitale, li ho incontrato Ahriman.

Il Bhagavadi non lo interruppe dicendo solo: Continua.

E allora continuò: Li sono venuto a sapere che mio padre, Kuhbhrater e grande Bhagavadi è deceduto insieme a mia madre di dolore, per la morte di mia sorella e di mio nipote, Ahriman non mi aveva avvertito di nulla, anzi nei giorni della morte di mio padre mi mandò un emissario per un’alleanza, senza fare riferimento alla disgrazia che ha colpito la mia famiglia, ed ora per giunta tiene con se l’unica figlia della mia defunta sorella, Yami. Gli occhi chiari del Bhagavadi si sgranarono e divennero lucidi, l’anziano prese aria e gli disse: Sei sicuro di quello che dici?Ahriman è riuscito a fare tutto questo?A nasconderti così tanto dolore? E tu cosa hai fatto, lo avrai ucciso immagino, oppure lo avrai sfidato per un duello o grande principe.

Ma il giovane rispose solamente: Non volevo causare la morte di mia nipote.

Ammette, confessando poi al Bhagavadi: Penso che anche questo bambino che tengo in braccio sia mio nipote, sembra cresciuto e non appena nato, ed è un mese che non ricevevo più notizie di mio padre, anche il fatto che tutti lo volevano, senza dirmi chi erano i suoi genitori.. non penso di essere stupido per non capirlo, anche i radi capelli mi ricordano il colore di quelli di Ohrmazd, anche se ancora non ho prove certe, sai o Santo, non mi fido di Ahriman, ogni sua parola o di qualche suo fedele sono solo menzogne senza nessun fondamento. L’anziano senza tardare si mise a guardare in viso il bambino ora desto e calmo, tranquillo, lo osservò negli occhi e gli chiese: Chi sei?. Lo scrutò in viso e rimase in silenzio, intento ad interpretare le espressioni facciali, per tradurli in una risposta. Passato qualche secondo l’uomo Sacro alzò lo sguardo sul principe dicendogli,: Non mi ha detto il suo nome, ma so cosa alberga nel suo cuore, oh principe Xshathra, preservalo e difendilo, non c’è qualcosa di più prezioso che questa vita. Il principe annuì tenendo ancora le labbra serrate in silenzio, gli occhi del vecchio risalirono dal viso del bambino su quello del principe:Ora è primavera, ma quando arriveranno le altre stagioni, ti metto in guardia o Mahavir perché ci saranno stagioni buone e stagioni sbagliate, tu per salvarlo evita di camminare vicino ai territori di Yamhpur, perché il grande gelo che ora regna sovrano nella capitale, Ahriman lo scuro osserva le tue mosse, persino la stessa angoscia che vedo nei tuoi occhi, si lui la segue e la scruta.
Il giovane con in braccio il bambino disse prima al vecchio saggio:Non ci andrò fin quando non potremo fare qualcosa, uniti e compatti, contro di lui, comunque incamminiamoci, sono impaziente di vedere Diwonusojo, lui sa tante cose e ci darà il suo vaticinio e magari la sua benedizione.

Il santo, dal corpo anziano rispose solamente: Incamminiamoci allora, così potremo far luce su questo dilemma.

Allora il gruppo di uomini a cavallo prese a camminare insieme al gruppo dei santi, che gioiosi continuavano a suonare i loro strumenti in legno ed ossa, dietro di loro un branco di cani da caccia seguì i padroni armati, uno in particolare si mise vicino al principe, che a terra camminava tenendo le redini con la mano sinistra. Il giovane sentendo il cane leccare sulla sua gamba spostò lo sguardo proprio sul cane e sorrise, riprendendo a camminare lungo il sentiero diretto al villaggio , ormai ben visibile al’orizzonte. Quando i cavalieri ed i santi uomini si avvicinarono ad un gruppo di capanne lungo il sentiero un gallo, appollaiato sopra in ammasso di sterpaglia cantò e inchinò il capo, poco dopo uscirono dalle capanne una donna dai lunghi crini rosso, un uomo fulvo, alto, con le mani sporche di grasso e due bambini, il padre disse verso i santi: O sacro Bhagavadi, ti prego rimani a mangiare alle nostre umili tavole. I bambini mentre, insieme alla donna presero dei fiori selvatici e si avvicinarono al cavallo del principe, che docilmente si fece decorare da quelle mani delicate ed indifese, anzi mosse il capo verso il basso per aiutare le loro dita. Il principe scosse il capo aggiungendo: Dobbiamo rifiutare, ci spettano al villaggio grandi decisioni, fondamentali e di vitale imp…. .

Non fece in tempo a finire la parola, che la voce anziana e fiera del Bhagavadi disse al’uomo: Accetto la tua ospitalità con piacere. Il principe allora, rivolgendosi al Sant’uomo con sicurezza azzardò: Mio Santo Bhagavad, non possiamo far passare altro tempo, il popolo deve riunirsi in consiglio. La risposta del sacro anziano fu chiara: Il bambino deve nutrirsi. A queste parole il principe annuì e la donna subito si mosse verso l’entrata della capanna di legno e fango, spostò il lembo di pelle davanti l’ingresso accogliendo gli ospiti, il primo ad entrare fu il Bhagavadi, poi entrò il principe e solo dopo entrò il resto della famiglia, che si mise a terra davanti alla larga tavola con varie ciotole colme di ossi spolpati e qualche pezzo di carne ancora integro, oltre alle stoviglie per il cibo v’erano anche scodelle piene di latte di giumenta. Il santo si mise a sedere vicino al principe e sorridendo sia al giovane che alla famiglia presente andò a prendere la ciotola con il latte e la avvicinò al bambino tenuto in braccio dal principe, che si mise a guardare la scodella con vivo desiderio, il vecchio sorrise e cominciò a nutrire l’infante, fino a terminare tutto il latte dentro la ciotola. Il resto della famiglia, guardando ammirata il santo anziano prese ogni propria porzione rimasta nei piatti e la porse al sacro uomo, che muovendo la testa in senso di diniego li costrinse a spostare l’attenzione sul principe, che affamato non si limitò ed accetto le loro portate, mangiando anche i rimasugli di carne rimasti sulle ossa, staccandoli con i denti.

Il pranzo familiare procedeva animato da spirito d’ospitalità e l’ambiente era molto rilassato, solo il padre famiglia osò dire al principe: Oh Mahavir devo chiederti una cosa. Il principe annuì e rimase ad ascoltare,: Mio principe, perché quando mi avvicino ai confini di Yamhpur mentre sono a caccia si alzano sempre fumi dalle torri nella pianura, perché quando sono vicino ai terreni di Ahriman vedo sempre guardie a cavallo lontane pronte ad arrivare?.
Xshathra lo ascoltò e cullando piano il bambino tra le braccia puntò lo sguardo proprio sull’uomo davanti a lui,: Io ci ho parlato, lui intendeva una alleanza militare e non anche dei confini, ecco perché ti consiglio di non superarli e ti confesso una cosa, tra poco neanche questa alleanza militare resterà, diventerà un amaro ricordo di pace tra i nostri popoli. Il padre famiglia lo comprese ed annuì: Lo sai sempre, ho questi terreni e posso darti oltre a me anche il resto degli uomini adatti a combattere, ma ti scongiuro, permettimi di veder mio figlio al mio fianco in battaglia, non ho intenzione di lasciarlo solo nella capanna con sua madre e suo fratello piccolo.
Il vecchio disse prima che potesse parlare il principe: Fratelli, figli di Dywas, vi dico che nessuno ora alzerà le lance, non è pronto nessuno alla battaglia contro Ahriman, tanto sono alte le sue mura, temporeggiate e state lontani dai suoi territori, ormai salutate parenti ed amici che vivono a Yamhpur, difficilmente li rivedrete se non forse tra una decina di anni, quando i vostri figli s’ergeranno forti contro il vero nemico. Il vecchio poi alzatosi in piedi disse inchinando il capo: Sono sazio, ringrazio voi e la vostra famiglia, salute. Il principe fece lo stesso ed in piedi inchino il busto aggiungendo: Siete stati molto ospitali vi ringrazio.

Usciti dalla tenda il Bhagavad prese due dita e le mise in bocca facendo un fischio, dopo alcuni attimi anche gli altri santi uomini uscirono dalle capanne e da sotto l’ombra degli alberi. Il principe li guardò e disse: Soldati, uomini Santi, andiamo subito al villaggio li ci aspetta il futuro, per noi e per il nostro popolo. Ed anche gli uomini giovani e forti fecero ritorno dalle capanne dove erano ospitati, Xshathra rivolse il suo sguardo sul gruppo di santi azzardando: Mettiamoci, O' venerabili in marcia verso Kuhburg.
Non gli servì nient’altro da dire che subito partirono lungo il sentiero diretto al villaggio ormai non lontano, riconoscibile sopra quella lieve collina, protetto tutto intorno da un'alta palizzata, più utile contro lupi ed altri animali che contro altri uomini. Alla vista del gruppo numeroso attorniato da uomini barbuti e nudi, dalle torri lungo la pianura si alzarono colonne di fumo, e risuonarono i corni, Xshathra sorridente disse al bambino tenuto stretto a se: Visto? Ci attendevano.
Le porte di legno vennero aperte davanti al sacro gruppo festoso, dietro di loro il principe ed i cavalieri insieme ai loro destrieri, attendevano i movimenti degli anziani prima di procedere, le guardie sorprese, dissero, tenendo con se la lancia per lasciarli passare: Per Dywas siete partiti per una caccia e dopo un giorno ci portate quest’uomini santi!. Sentenziò il primo con un rispettoso sorriso, l’altro invece: Ci siamo preoccupati Mahavir. I vecchi, senza curarsi delle guardie camminarono diretti al centro del villaggio, il nobile con il bambino in mano invece rispose: Sono successe così tante cose che dovrò discuterne al consiglio della Tribù. Ed a queste parole nessuno delle due guardie osò dire qualcosa, annuendogli con reverenziale rispetto.
Gli occhi chiari del principe li guardarono attentamente, aprì la bocca e continuò : Portate i cavalli al recinto, che siano nutriti e puliti.
Mentre il nobile parlava era chiara la calma del tono, poi spostato lo sguardo si avvicinò anche lui al centro del villaggio, rimase a guardare la grande tenda principesca e con il bambino in braccio, osservato dal popolo e dai sant’uomini alcuni seduti ed in piedi intorno al fuoco, entrò dentro lasciandosi dietro i lembi di pelle al'entrata senza legarli con le cordicelle. Le labbra si stropicciarono come gli occhi al pungente e dolce odore di ginepro, subito andò a cercare con lo sguardo la giovane promessa sposa : Taika, dove sei?Finalmente sono arrivato a casa!. Sotto la tenda del nobile, da dietro i teli era ben visibile una figura seduta sul grande giaciglio regale, il principe non ricevendo nessuna risposta fece così alcuni passi verso quel’ombra aggiungendo: Non mi incolpare per averti lasciata sola, sono successe tante cose, se vieni davanti a me lo capirai, non crederai ai tuoi occhi. Ma neanche questa volta l’ombra prese a parlare. 
Allora Xshatra tenendo con la sinistra il bambino a se spostò la tenda davanti ai suoi occhi rivelando così l’identità di quella figura così misteriosa dietro il telo. Alla vista di quel’essere, il principe, fiero e temprato nel cuore si inginocchiò, rimase muto e mosse le labbra e la lingua per inumidirsi le rosee membrane, senza saliva, azzardò: Miei Signori, Mi avevano detto i vostri Bhagavadi della vostra visita, ma non avrei mai pensato di trovarvi sopra il mio giaciglio, in preghiera.

L’Anziano signore non fece alcun cenno, ne mosse le labbra tese dalla meditazione.

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Capitolo 12
*** Il Figlio di Dio. ***


Il Figlio di Dio.

 

Seduto con le gambe incrociate e rivolte verso l’alto il suo viso emanava potenza pura, i tratti superbi, arcaici e taglienti, contornati da quella folta barba, che con i capelli lunghi partecipava alla creazione di una massa informe e grigia di crini e peluria, lasciata crescere lungo la schiena e sul petto, coperto insieme alle gambe da delle tele lunghe, bianche e luminose. Gli occhi, chiusi, insieme alla carnagione chiara del’essere trasparivano alla vista l’enorme pace al’interno di quel sacro intelletto. Il Principe rimase così in silenzio a fissare la divinità, con occhi lucidi ed ammaliati, solo il piccolo bambino, con un verso osò rompere quel silenzio affatto opprimente. L’anziano si destò, aprì gli occhi e li vide, mosse le labbra e aprendole li sorrise, i denti ora visibili sembravano brillare di luce propria, tanto erano puliti ed incorrotti.
Xshathra, per quanto tentò di non fissarlo rimase a scrutare il suo sguardo, particolare ed antico, gli occhi dell’essere infatti erano entrambi di diverso colore, il sinistro dal tono verde ed il destro color azzurro chiarissimo, perdersi in quelle iridi era facilissimo tanto era raro vedere tinte così brillanti.
Le mani del principe tremavano, solo le parole della divinità le fecero placare: Che ti prende o figlio di Kuhbhrater, non hai mai visto un Dio forse?Eppure io mi ricordo di te, quando ti portarono da me appena nato per avere una benedizione, dai pochi capelli color dei campi estivi, biondo e roseo.
Dicendo questo l’anziano spostò entrambe le mani, ossute ed affusolate, dalle gambe e le avvicinò al’uomo prendendo in braccio l’infante, togliendolo dalla stretta del principe,: Ho seguito i tuoi passi, Ahura della forza, ed ho atteso questo momento da più cinquantamila anni di vita su questa terra, credimi c’è voluto molto ma ora una speranza è arrivata. E dicendo questo prese a cullare piano il bambino, aggiungendo: Tuo padre sarà vendicato, tua sorella, la tua gente, attraverso la guerra ed i lutti, sarà lei a gettare via il male nel’abisso. La voce melodiosa ma rauca a causa della vecchiaia non mutò mai tono, Xshathra annuì e lo lasciò continuare : Ma non è questo il momento per portare a termine quello che Woranos vuole, neanche con il mio aiuto, ora come ora non potrete vincere sradicando il male da questa terra, esso ritornerà, O' saggio e forte principe, attendi con pazienza la maturazione di questo bambino, trattalo come un tuo figlio ed amalo, anche grazie al tuo amore lui farà grandi cose, ricordalo!.

Spostato lo sguardo profondo sulla fronte dell’infante chiese al principe: Come hai intenzione di chiamarlo?. Domandò alzando gli occhi verso quelli del giovane.

Xshathra a quella domanda socchiuse gli occhi e pensò e riaprendoli disse: Yama Kshaeta Suryasunus. Il vecchio, dall’età millenaria annuì senza parlare, con le dita avvizzite dal tempo cominciò a carezzare le guance del bambino, che di rimando sorrise all’anziano, questo lo fece sobbalzare in un’espressione di gioia,: Sai Xshathra Kuhsunus, sei stato fortunato, hai seguito i segni del cielo e della terra, ed hai ritrovato tuo nipote, lui diventerà forte e grazie a te, lui riuscirà a compiere il suo destino, ricordati però o figlio di Kuhbhrater, mio intimo amico, c’è anche una bambina, che crescendo non saprà veramente chi è, devi fare ritrovare i due fratelli, è essenziale se tu, Oì principe vuoi davvero la caduta del male? Tre corpi un solo essere.
I fumi delle bacche di ginepro continuavano a diffondersi nell’aria, il suo odore prepotentemente rivestiva vesti e tende, il principe guardò il Dio in viso annuendo per poi continuare, azzardando: Ma o sommo, perché questo posto è stato addobbato come un talamo nuziale?Non avrete amato la mia donna, perché sappiate O' Dio, che non vi avrei bloccato, O' sommo. 
L’anziano prese a ridere, per pochi secondi : Per cosa mi hai preso? Ora sono vecchio, non potrei farlo, non ho intenzione di farlo, metti la tua anima in pace, anzi lei stessa ha addobbato la tua tenda per me, questo giaciglio regale è per me un gesto di profonda ospitalità, hai fatto bene, o saggio Xshathra, lei ti riscalderà la voce e crescerà un Re, un pricipe ed una signora.
Spostate le gambe, il sommo anziano rimise il bambino tra le braccia del principe e si alzò in piedi, la sua altezza era esagerata per un uomo a quella si veneranda età, lo sguardo arcaico ed ancestrale si poggiò così sul viso del giovane, mosse le labbra e concluse: Ti ringrazio, quello che dovevo dire è stato detto, quello che dovevi fare è stato fatto. Il principe non lo bloccò, anzi si mise da parte per farlo passare, il Dio dal’aspetto vetusto prese il bastone di legno e tenendosi ad esso cominciò ad uscire dalla principesca tenda, Xshathra con il bambino in braccio lo seguì uscendo fuori, ritrovandosi davanti gran parte del villaggio in attesa. 
Il capo dei guerrieri disse a gran voce : Onore a
Diwonusojo, figlio sommo del cielo, tuono del bene e ordinatore nel caos, difensore delle nostre terre, padre degli spiriti dei boschi che noi onoriamo!.

Poi il capo dei mandriani alzata la destra verso il dio aggiunse: Onore a te o sommo, tu comandi i passi dei miei greggi e annebbi la vista delle bestie che li seguono, onore a te Diwonusoj.

Solo i Bhagavadi non dissero nulla, preferirono l’azione rispetto alla parola, mettendosi alcuni a destra altri a sinistra rispetto al Dio ed al principe con in braccio il bambino. L’anziano signore annuì placido, poi guardò in alto, prese il bastone con la sinistra ed alzò al cielo la mano destra, l’aprì e muovendo le labbra a gran voce esclamò: Guardatemi o saggi uomini! Il vostro principe porta primizie di importanza maggiore della mia visita, fin da quando siete nati, avete scoperto con l’azione la vostra vocazione sociale, che gli uomini sanno combattere e le donne crescono i figli, alcune sentono retaggi antichissimi e prendono anche loro le armi nelle necessità, alcuni uomini decidono di diventare solo dediti alla difesa dei principi fondatori della nostra civiltà, diventando guerrieri, altri la sostentano allevando vacche, pecore, maiali e cavalli, bene fratelli!.

Fece un lungo respiro e continuò : C’è qualcuno che vuole distruggere questo equilibrio, vuole portare una società dove il più forte distrugge chi lavora per sostentarlo, tutto per farlo diventare grasso e tronfio dell’operato degli altri, c’è un essere che vuole portare disparità in un popolo omogeneo ed organico, vuole distruggere la casta dei sacerdoti perché non producono, vuole schiavizzare la classe dei lavoratori perché essi producano di più.
Tossendo interruppe per pochi secondi il discorso, ma lo riprese subito con la stessa foga :Quando in una tribù un lavoratore non riesce ad avere il proprio ricavato dalle bestie, l’allevatore vicino a lui l’aiuta, sapendo che l’altro farà lo stesso, mentre il nostro nemico, lui auspica la resa in schiavitù di colui che non è riuscito a produrre, eliminando la solidarietà all’interno di una tribù, unica via per il sostentamento nella nostra pianura, egli vuole portarci ad odiare la vita, il sole, la luna e le stelle.
La mano destra rimase li ferma ed aperta, impassibile alle parole dette dal saggio: Questo infante, popolo di uomini onorevoli alzerà la lancia contro colui che vuole rendere schiava la regione, vi esorto di eludere al vostro animo di fuoco in questi diciotto anni che vi aspettano, rispondete alle offese con sorrisi, temporeggiate fino al sorgere del nuovo Sole, che io stesso vi profetizzerò.

Chiudendo la mano ed abbassandola finì il discorso, sorrise agli umani e facendo un cenno ai Bhagavadi prese a camminare insieme a loro verso l’uscita del villaggio di Kuhburg, seguiti dagli abitanti riuniti in corteo con a capo i più nobili, tra cui si distinguevano il biondo principe Xshathra con in braccio l'infante e la bella e giovanissima sposa Taika, il suo viso dai tratti fini ed adolescenziali era coronato dai suoi lunghi capelli dorati, incendiati da sparute ciocche rosse, vicino al minuto naso all'insù brillanti spiccavano i suoi occhi azzurri, puri come l'acqua degli alti fiumi, che continuamente guardavano il bambino in viso e l'amato intento a tenerlo tra le braccia, in una espressione di vaga tranquillità e felicità.

Quando i Santi oltrepassarono le porte delle mura gli uomini e le donne si fermarono e ritornarono all'interno dell'abitato spostandosi sui camminamenti delle palizzate, per mirare il dissolversi della sagoma lontana del Dio e dei suoi sacerdoti verso sud est, seguito da copiosi stormi d'uccelli migratori i cui canti armoniosi e rumorosi risuonarono in tutta la vallata adiacente al centro cittadino. La Natura così salutò il suo nume vivente deliziandolo con il canto melodioso del vento. Il cielo pomeridiano piano cominciò a riempirsi di nuvole, provenienti da est, portando con se il fresco vento pacificatore in quella primavera così piena d'azione e di avvenimenti carichi di dolore e miseria.

 

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Capitolo 13
*** Una Notizia inattesa. ***


Una Notizia inattesa.

 

Lenta e fresca scendeva la pioggia su Kuhburg e l’intera pianura, sotto la tenda principesca il suono delle gocce grondanti sul telo di pelli sembrava quasi rilassante, era ormai l’ora di cena ed intorno al tavolo era raccolta la nobile famiglia; Il principe, la sua consorte con l’infante tra le braccia, lo zio paterno, la rispettiva moglie, i due giovani figli e le due figlie, il più grande aveva vent'anni, il secondo diciotto, la terza sedici e la quarta quattordici. Nel silenzio più totale, Xshathra abbassando la ciotola con il latte sul basso tavolo di legno esordì: Parenti stretti, ho aspettato la sera per darvi delle notizie spiacevoli, nei giorni che ho passato nelle terre di Ahriman, ho visitato sotto scorta delle sue guardie Yamhpur.

Si fermò solo un attimo guardando i parenti in viso e poi continuò: Lì ho scoperto la verità sulla scomparsa di mio padre, di mia madre e di mia sorella e li ho compreso l’identità del bambino che vedete tra le braccia della mia donna. Poi spostando lo sguardo sullo Zio esordì ancora: Kuhbrater è morto insieme a mia madre a causa del dolore avuto per il decesso di mia sorella morta di parto, se diamo per vere le parole di Ahriman, inoltre lui tiene con se mia nipote, ed ho capito che più volte ha tentato di uccidere mio nipote, che ora è ben tenuto tra le braccia di Taika, mi dispiace avervelo detto ora e non prima della cena, ma non volevo rovinare i festeggiamenti per la visita di Diwonusoj.

Passati alcuni attimi di puro silenzio lo zio disse al nobile nipote dall'altro della sua matura età : Lo avevo ipotizzato, aspettavo solo questo, le tue parole come prove inconfutabili, dell’avversione ed aggressione che Yamhpur ha sulla pianura, ora nipote mio, abbiamo il dovere morale di radunare tutti i Vyrias e di difenderci nell'attesa di tuo figlio!

 

Ma appena terminò di parlare il giovane figlio Ares alzando il corno di capro verso l'alto osò dire: Mi rifiuto di attendere mentre il nemico si rinforza aiutato dalla notte e dall'oscurità, Ahriman si spetta solo una fossa come casa!. Il principe socchiuse gli occhi e scosse il capo dai lunghi capelli: Ne sono addolorato, fai come pensi, ma ricorda, oltre a tuo padre, anche Diwo oggi in piazza disse di attendere, anche in questa tenda me lo ordinò, quindi io attenderò e da principe di Kuhburg anche i nostri attenderanno, quindi se scenderai in guerra, ora come ora avrai il mio appoggio ma non quello della tribù, caro cugino.

Lo zio annui, con la mano sporca di grasso animale si carezzò la barba bionda pensando attentamente ed annuì, dicendo solo verso il figlio: Da padre ti ordino di abbassare la tua terribile lancia poiché il MahaDew ha parlato ed inoltre Ahriman ha ancora con se tua sorella, si cauto. E nel silenzio riempito dallo scrosciare della pioggia la regale famiglia riprese a mangiare, il principe prese della carne di vitello e cominciò a mangiarla a morsi, poggiandola sul piatto per bere dalla ciotola latte di giumenta.
Solo Taika osò rompere quella quiete tossendo, portò la destra davanti alle labbra e tenendo l’infante con il braccio sinistro disse verso il principe: Ti sei chiesto perché fosse venuto il sacro Diwonusojso? Il principe abbassando la destra con la carne annuì: Certo, perché doveva benedire Yama e avvisarmi della prossima guerra che sorgerà. La ragazza dai capelli castano scuro e dagli occhi azzurri come i fiumi scosse il capo azzardando: L’ho chiamato io, perché in assenza di tua madre e di tuo padre ho richiesto un sommo vaticinio che mi avrebbe spiegato i malesseri che mi affliggono da più di tre settimane.
Xshathra guardò attentamente l’amata in viso, negli occhi e ne guardò il corpo coperto da lunghe vesti di lana che si facevano un tutt’uno con i cuscini dov’era seduta, corrugò il viso e rialzò lo sguardo: Che ti senti? Sicuramente nulla di grave vero?. 
Asserì, il resto della famiglia spostò l’attenzione su Taika che esordì verso il principe: Aspetto un figlio, almeno questo dice il Santo, ciò è quello che mi ha detto di dirti.

Le parole tremolanti dette dalla giovane donna riuscirono a zittire tutti, persino i ragazzini irrequieti, pure Yama, addormentato riaprì lo sguardo e riprese a piangere avendo, forse sentito quelle parole piene di incertezza dette dalla ragazza, che subito cominciò a cullare il piccolo tra le braccia.
Subito Xshathra perse il dono della parola, la moglie di Andrico esordì: Ti porgo i miei Auguri! Ora dovrai badare a ben due figli!. E tutta la famiglia, nipoti compresi si alzò per abbracciare e porgere i propri auguri alla ragazza, ora investita totalmente dal sacro compito di madre.

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Capitolo 14
*** Venti passi per due Fratelli. ***


Venti passi per due Fratelli.

 

Obrázok guardò Yama, Yama guardò Obrázok, Obrázok guardò l’arco e frecce lasciate dentro la capanna dei cavalli e disse al fratello : Prendiamolo e facciamoci onore nella radura, porteremo a papà una preda che lo renderà orgoglioso di noi.

Yama si avvicinò all’arco lasciato sul fieno e prendendolo si mise a guardarlo : Ma è solo uno, come facciamo per cacciare insieme?.

L’altro fratello si mise a pensare e poi gli rispose: Bhe io prendo l’arco mentre tu prendi le frecce e poi facciamo cambio.. che ne dici?. Yama, il ragazzino dai capelli e rossi e dagli occhi color del mare guardò gli occhi verdi del biondo fratello e stretto l’arco con la destra gli disse: Mai! L’ho in mano io quindi comincio io a tenerlo.
Ma Obràzok non si diede per vinto ed raggiungendo il fratello tentò con tutte e due le mani a prendere l’arco, i due ragazzi entrambi con quattordici inverni alle spalle cominciarono a tirare l’un l’altro l’arco, facendo spazientire i cavalli dentro la capanna che cominciarono a nitrire. Obràzok deciso diede infine uno strattone strappando al fratello l’arco dalle mani, Yama subito gli gridò: Quell’arco è mio!. Ma l’altro fratello tracotante della vittoria conseguita strinse forte tra le mani l’arma e gli disse: L’idea è mia!.

E Yama prendendo la faretra con le frecce rispose solo: Tu sarai felice delle tue vittorie, ma senza queste non potrai fare nulla. E gli rise pressoché in faccia. Obràzok guardando l’espressione sfacciata di Yama lasciò cadere l’arco sul fieno vicino alla porta e con forza cerco di dare un pugno al viso del fratello che sapientemente si spostò facendo qualche passo indietro, facendo perdere l’equilibrio a Obràzok, che non riuscendo a prendere il volto e la testa del fratello con un pugno si accontentò di stringergli i capelli rossi tra le dita della mano destra cominciando a tirare verso di se: Chi ti credi?Eh?Un Mahavir?. Ma Yama non rispose a parole, furono i fatti a parlare, il ragazzo colpendo il fratello sul fianco riuscì a fargli abbassare la mano dal capo. Obràzok allora furioso gli disse : Preparati alle botte!. Anche Yama silente si preparò allo scontro, chiudendo le mani a pugno. Solo il suono di due passi dietro l’entrata della capanna costrinse i due fratelli alla resa.
Il lembo di pelle si spostò ed entrò nella capanna un giovane ragazzo dai lunghi capelli biondi, dalla barba rada segno della giovane età e dalle braccia tatuate con disegni zoomorfi, simboli della sua maturità conseguita nei campi di battaglia. Filolykos dall’alto dei suoi diciotto inverni guardò i ragazzini e disse: Che state facendo qui?. Subito i due nobili principi si fermarono e senza terrore gli risposerò: Stavamo andando a caccia del cervo bianco!.
Il giovane ragazzo sentendoli rise e scuotendo il capo disse ai due ragazzini: Legate il laccio intorno al collo del cavallo, mettete il panno sul dorso e datemi l’arco.
Gli occhi azzurri di Filolykos si posarono sull’arco gettato a terra, sospirò aggiungendo: Pulitelo con un panno e datemelo, prendete i bastoni che si va a portare le vacche fuori.


Era già passato mezzo giorno, davanti alla mandria di vacche c’era l’imponente figura a cavallo di Filolykos e dietro i due ragazzini con i bastoni ponevano i confini pronti a picchettare con la punta appuntita la schiena di qualsiasi capo uscito fuori dal gruppo. La mandria dal manto marrone e dalle corna forti e grandi era per la gente di Kuhburg un enorme vanto, tanto da chiamare di fatto il loro villaggio con il nome dei loro animali totemici, le vacche, animali costosi e portatori di enormi ricchezza; la perdita di un solo capo per i Vyria di Kuhburg ne risulterebbe un gravissima tragedia, ecco perché ogni mandria portata a pascolo veniva scortata da uomini a cavallo armati e pronti alla battaglia senza tregua nelle pianure.

Senza dubbio il sole alto tardo primaverile non aiutava ne i pastori ne il cavaliere, ma la mandria non sembrava curarsene abituata al cocente sole di mezzogiorno, i piccoli vitelli nascosti dietro le madri cercavano riparo ed ombra ma con scarsi risultati, poi alla vista di un piccolo bosco di roveri il cavaliere indicandolo con la mano sinistra disse ai due ragazzini: Spostate la mandria sotto gli alberi, facciamoli riposare li!.
E Yama, più bravo del fratello picchettando senza usare la punta e girando intorno al gregge senza trovarsi nella traiettoria delle loro zampe cominciò a dirigere parte della mandria sotto gli alberi, anche Obràzok ci provò correndo intorno alla mandria, usando però impunemente la punta anche quando non era necessario, spaventando l’altra parte della mandria, anch’essa accorsa sotto l’ombroso boschetto, Filolykos lo vide ma non disse nulla.

Quando il gruppo si fermò il giovane scese da cavallo e lo lasciò pascolare insieme alla mandria sotto l’ombra fresca degli alberi, i due ragazzini alloera raggiunsero l’amico più grande ed insieme a lui si sedettero a bere dell’acqua ed a mangiare del miele per riprendere il senno dopo la stancante camminata sotto il sole-; mentre mangiavano nessuno osò parlare, solo quando finì Filolykos osò dire qualcosa ai due: Vorrei andare ai confini verso il fiume, voi che dite? Ve la sentite? Cos’ le vacche potranno bere e rinfrescarsi come si deve. Obràzok annuì ma Yama no, anzi aprì le labbra e disse al ragazzo più grande: La ci stanno i guerrieri Turani, non temi che possano attraversare il fiume insieme ai cavalieri di Yamhpur? E poi ci sono lupi, perché invece non andiamo alla fonte vicino al nostro villaggio?.

Il ragazzo più grande scosse il capo: Ho le armi, non temo nulla e poi voi appena vedere qualcosa di strano fischiate, va bene?Inoltre il fiumiciattolo vicino alla città non è come un grande fiume che fresco sveglia tutti, animali e Vyria allo stesso modo.

Yama davanti alle parole dette da un adulto con rispetto annuì, riposatosi le gambe e legatosi intorno alla cinta una borraccia si passò la mano destra tra i capelli rossi sistemandoseli e disse al fratello Obràzok: Allora mettiamoci in marcia. Ignari di cosa sarebbe successo di li a poco, spinta la mandria verso nord est partirono, allontanandosi dall’ombroso boschetto si mossero lungo una prateria ricca di arbusti verdi e fioriti, in cielo a seguirli un’aquila dalle piume nere poggiava lo sguardo fiero sulla mandria in marcia. Passarono sei ore prima di vedere svettare una torre d’avvistamento e delle capanne con recinti, quasi un’altra ora di marcia per raggiungere quel piccolo villaggio all’orizzonte che piano si faceva sempre più vicino, i due bambini ormai stanchi di tutta quella camminata si coprivano il capo con manti e coperte, Obràzok, il biondo, osò dire al mandriano a cavallo più lontano: Ma quanto ci vuole?

Filolykos sentendolo rispose indicando ancora il villaggio con la sinistra: Ci vorranno ancora altri venti passi e poi ancora altri venti, ma non oltre!.

Ma Yama vedendo stanco il fratello, dalla parte destra della mandria si spostò verso di lui porgendogli con la sinistra la borraccia, il fratello la prese e bevve dicendogli poi: Grazie, almeno tu capisci che non ha senso questa camminata, avrei dovuto ascoltarti prima.

Qualche guaito di cani era ben udibile dal centro abitato ormai vicino, dalla torre di guardia s’elevò una colonna di fumo e alcune tende cominciarono a riaccendere i fuochi spenti dopo il pranzo, Il giovane a cavallo disse ai due pastori: Su forza ci hanno avvitato, venderemo un po’ di latte, in cambio ci daranno cibo e ristoro per la notte e domani mattina saremo al fiume sicuramente..
Ed i ragazzini, stanchi e stremati picchettando sopra i dorsi delle vacche e manzi, spinsero mandria verso il villaggio sempre più vicino, fino ad arrivare davanti alla porta sacra d’ingresso all’insediamento, ornata da rami verdi di rovere. Subito alla porta arrivò una donna, giovanile ma ormai matura, con al fianco un giovane armato di lancia e con vicino un ragazzino di una quindicina d’inverni, Filolykos li guardò e sorridendo disse: Ti saluto Dwulja vedova di Nervir, ti rivolgo il mio cuore in saluto. Poi spostato lo sguardo azzurro vivo sui due giovani disse: Vi saluto amici miei.

La vedova rivolgendosi al ragazzo a cavallo disse: Perché sei qui? Cosa cerchi dalla nostra umile fattoria?.

Il giovane stringendo con la destra la corda intorno al collo del cavallo, senza tirare guardò fisso la donna e le rispose: Ho portato la mia mandria a rinfrescarsi lungo il fiume, Dnepr, ti chiediamo con umiltà la vostra ospitalità degna di una matrona della vostra importanza.

La donna annuì e disse: Vi darò allora le tende vicino ai recinti.

E così fecero, passata la sera intorno al fuoco aspettarono la tarda ora per riposarsi , rimanendo ad osservare il cielo stellato fino a notte inoltrata .
Qualche ora prima della levata eliaca l’affannoso nitrito del cavallo arrivò al sensibile orecchio del giovane Filolykos, assopito vicino ai ragazzini stremati dal lavoro estenuante dietro le vacche, aprendo le palpebre si guardò intorno, si stropicciò gli occhi e si alzò in piedi, al suono continuo di zoccoli, il guerriero si mise in spalla l’arco e frecce, prese uno dei legni appuntiti usati dai ragazzini ed uscì dalla stalla, ritrovandosi davanti il recinto chiuso, con ancora le vacche dentro. Rientrato nella stalla, si mise sopra la schiena del cavallo tenendosi alla corda intorno al collo dell’animale, spronatolo con una leggera pressione dei talloni nel basso ventre uscì dalla struttura in sella al destriero.

Affinato l’udito, continuò a sentire quel rumore di zoccoli sempre più vicino, ma lo sguardo anch’esso affinato non gli mostrò nulla in quella notte ormai prossima all’alba.

Il cavaliere allora curioso si mosse intorno alla fattoria cercando di raggiungere lo spiazzo tra la abitazione della donna e la torretta d’avvistamento alta una decina di metri. Nel girare intorno alla fattoria, lo sguardo riconobbe la fonte del suono sordo e continuo, un gruppo di circa venti cavalieri, armati alcuni di lancia e scudo altri con corde lunghe s’avvicinavano pericolosamente verso il centro abitato dall’umile famiglia. Il giovane Filolykos con la destra cercò di prendere il corno legato alla cinta, ritrovando solo una borraccia: E’ nella stalla.

Disse tra se e sospirando, con il palato secco per la tensione, prese l’arco, fermò il cavallo aspettandoli nascosto dietro un basso rovo e continuò a guardarli, osservandone il passo veloce: Ma perché la sentinella non avverte nessuno?.
Si chiese tra se, esclamando subito dopo verso l'alto: Ci sono dei cavalieri e stanno venendo da questa parte, avverti tutti!. Lo gridò a voce così alta che svegliò la famiglia all’interno, ma dalla torre nessuna risposta.

Dopo pochi ma interminabili secondi il figlio più grande, pronto a combattere uscì dalla casa con uno scudo rettangolare, lancia e legata sul fianco destro ben visibile c’era l’ascia dal brillante filo di rame. Ma venti guerrieri sono venti guerrieri, alla loro vista sia Filolykos che Drosmig, il figlio maggiore della vedova, ingoiarono una pesante saliva, spaventati ma non atterriti.

Il guerriero tesa la corda, “nascosto” con il suo cavallo dietro l’arbusto dalle larghe fronde cominciò a mirare verso il gruppo compatto di cavalieri, Drosmig anche lui celato da un basso rovere stava aspettando il momento migliore per lanciare il proprio giavellotto.
Arrivato per entrambi il l’attimo non si fecero attendere davanti all’azione, la freccia di Filolykos fendendo l’aria arrivò proprio sul petto di un guerriero, che cadde da cavallo non lontano dai due giovani ormai divenuti visibili, Drosmig invece approfittando della confusione creata dalla freccia lanciò il giavellotto contro il gruppo, riuscendo a colpire al ventre il cavallo di un nemico facendo cadere il cavaliere sul terreno, con un sordo tonfo.
Il loro capo, a cavallo di un esemplare grande, dal pelo quasi lucido e pezzato, armato di lancia cominciò ad indicare il ragazzo armato d’ascia e giavellotti, uscito allo scoperto dopo l’attacco.

Nella pianura intorno alla fattoria si sentì dire solo una parola: Prendetelo!

Quell’ordine emanato dall’imponente cavaliere dalla bionda chioma, fu pronunciato con un accento totalmente differente da quello usato dagli uomini della pianura.
Tre uomini armati di lazzo ed uno con una lunga lancia si gettarono al trotto raggiungendo senza problemi il giovane Drosmig, che brandendo un giavellotto si mise a guardarli uno ad uno in faccia.

Il ragazzo senza paura disse con tono colmo d’ira: Chi siete?

Uno degli uomini a cavallo, puntandogli la lancia disse: Siamo Turani, razziatori di Ahriman.

Spostando dopo lo sguardo sui fratelli in armi disse: Prendetelo.

Il ragazzo non si diede per vinto, caricato con il braccio la lancia esclamò: Fermi o vi uccido, non lo farò solo io ma i cavalieri di Kuhburg che verranno dopo il suono della guerra. Ma prima che potesse lanciare il giavellotto un cavaliere gli prese, sbagliando, lo scudo con il lazzo, che il giovane inaspettatamente tirò con forza inaudita contro di se, riuscendo a disarcionare l’uomo.
Il capo dei razziatori nel frattempo rallentando il passo dei cavalli insieme al resto del gruppo cominciò a girare intorno alla fattoria, alla ricerca dell'arciere che uccise un loro uomo, nessuno di loro si accorse in quell’alba ancora troppo poco illuminata, dell’arbusto largo, Filolykos allora aggirando le folte frasche della pianta raggiunse Drosmig, ora attorniato da tre uomini a cavallo, tesa la freccia, al suono della corda tirata si volsero tutti guardando il ragazzo a cavallo, che rilasciando la corda riuscì solo a sfiorare l’uomo a cavallo armato di lancia.

Guadagnato tempo il giovane Filolykos volgendo le spalle ai tre cavalieri cominciò a galoppare dalla parte opposta da dove era venuto, Drosmig ritrovandosi ignorato dai guerrieri di Ahriman, preso il giavellotto, mirò al cavaliere più vicino, ancora non partito al galoppo e lanciò l’asta, che fendendo l’aria colpì lo colpì alla schiena, ora erano due contro due. Il cavaliere armato di lancia abbandonò la corsa forsennata dietro al giovane al galoppo, girò l'animale e prese a caricare puntando la lancia proprio verso Drosmig, l’altro razziatore armato di lazzo invece continuò a rincorrere il giovane armato d’arco e coraggio, entrambi si fronteggiavano l’uno al fianco dell’altro in un galoppo forsennato, troppo vicini per il lancio di una freccia, ma nella giusta distanza per essere legati da un lazzo; Filolykos lo capì e cercò di colpire con un calcio il ventre del cavallo vicino ma nulla, non cambiò rotta, il razziatore con abilità inaudita lanciò il lazzo prendendolo oltre le spalle, bloccandogli così i movimenti delle braccia.

Ad ogni movimento il lazzo si faceva sempre più stretto, Filolykos rallentò il passo del cavallo e fermandosi lo guardò gli occhi taglienti e dalla forma a falce così strani, ed osò dire digrignando i denti: Che cosa vuoi farmi!.

Ma il Vyria non si lasciò abbattere dall’apparente sconfitta, con la gamba cercò di prendere il lazzo, tentando di attorniare la fune intorno al polpaccio, ma senza dire nulla il razziatore lo notò e tirò con forza la fune per stringerla alle spalle del guerriero, che colpito dall’acre dolore della stretta desistette a compiere quella mossa folle e pericolosa. Solo ora, dopo averlo sconfitto il cavaliere sputò la sua sentenza contro il giovane: Diventerai uno schiavo, se ti finirà bene, magari un giorno combatterai anche per il Kahn. Drosmig, invece fermo, spaventato alla vista del guerriero a cavallo con la lancia, prese l’ultimo giavellotto, caricò il colpo e tendendo il braccio ed il busto nella carica si apprestò a rilasciarlo.

Nel momento stesso un uomo, alle spalle gli bloccò le braccia, legandolo, e tirandolo indietro facendogli perdere l’equilibrio; era il razziatore caduto da cavallo e nel buio nascosto tra le fronde degli arbusti.

Il razziatore armato di lancia, si mise a ridere, il volto fiero, coronato da una bionda barba ora cominciava ad essere ben visibile, l’alba era arrivata, ma non la vittoria.

L’altra decina di guerrieri a cavallo arrivò con dietro gran parte della mandria, il loro capo, teneva la fune del cavallo con sopra legata la donna, mentre i ragazzini erano invece in piedi sul terreno, con i polsi legati ad un lazzo che teneva uno dei tanti razziatori.
Quella strana carovana, lasciandosi alle spalle la fattoria in fiamme proseguì verso nord est, attraversò il fiume, rinfrescò le vacche e proseguì per tutta la giornata lungo il sentiero che portava a Yahmpur. Filolykos sorridendo guardò in cielo tre aquile e mormorando qualche parola tra le labbra rimase li ad osservare le nuvole, venendo trasportato solo dal volere del cavallo e dei razziatori che ne tenevano la corda, poi lo sguardo del giovane scese dalle hiperuraniche vette e guardò i cavalieri intorno a se, alcuni erano Vyria, altri avevano visi schiacciati, altri ancora avevano occhi stretti come fessure, il giovane osò chiedere: Non siete Vyria?

Non tutti risposero, solo il più grande, dal cavallo pezzato azzardò: Alcuni si, altri no, ed ora fai silenzio!. Venendo strattonato e stretto dalla corda chiuse le labbra, costretto a rimuginare nei suoi pensieri rivolse lo sguardo dietro di se, ai due principi che insieme al’altro ragazzino erano legati ed in marcia per quasi tutta la mattinata, nel guardarli però il giovane non si rese conto di fissare anche la vedova, ancora piena di grazia e bellezza femminile, ma dallo sguardo perso nel vuoto, la vista di tutto ciò riempì i suoi occhi ed il suo cuore, di tristezza e sgomento.

Il sole era ormai alto, il mezzodì era già passato ma la calura tardo primaverile non tardava a scemare, senza cibo ne acqua i bambini irrequieti a stento si spingevano in quella pianura, il capo dei cavalieri, guardandosi indietro lo notò e tirando la corda intorno al cavallo fermò la propria cavalcatura e tutta la carovana.

Volgendo lo sguardo azzurro, assassino e spregevole verso i prigionieri disse: Siate felici, ci riposeremo e riprenderemo la marcia.

Scesi tutti da cavallo, legate le cavalcature a rovi e alberi bassi si sedettero quasi tutti intorno al fuoco con sopra della carne di cinghiale messa a rosolare, la mandria di vacche mentre era controllata da due cavalieri che si alternavano a ruota con il resto dei predoni. Ma oltre le vacche era di vitale importanza mantenere in vita e attivi gli schiavi e per questo gli venne passata dell’acqua dentro una ciotola che si passarono l’uno con l’altro.
Filolykos ricevendo tra le mani la ciotola dalla bella Dwulja non riuscì a non guardarla negli occhi e così accadde anche lei che inconsciamente incrociò il proprio sguardo con quello di lui. Il giovane inclinando il capo la ringraziò placidamente e prese a bere, ma rialzando gli occhi la ritrovò con le spalle girate, a parlare con i propri figli ora riuniti.

Yama, suo fratello e il ragazzino loro amico rimanevano impietriti ed in silenzio, l’acqua non bastava per tutti e tre, ed ancora stanchi si poggiavano tutti e tre alle proprie schiene, l’una contro l’altra, poi una nuvola si pose davanti al sole e gettò il suo contenuto sopra la carovana in sosta, i ragazzi riaprirono gli occhi, la bocca e cercarono di rinfrescarsi, Filolykos sorrise e ridendo insieme a Drosmig si bearono di quella sosta ora rinfrescante e refrigerante in un momento così tragico. L’unica a non dire nulla, chiusa in se stessa era la vedova, dallo sguardo sempre triste.

Quando il capo dei cavalieri vide i due giovani ridere, mentre guardò i propri uomini, colpiti dal lutto dei propri fratelli persi a causa loro, si rialzò in piedi e con voce marziale esclamò: Andiamo!

Ed ritornati in marcia, tutti ora a piedi, chi dietro i cavalli e chi al fianco delle vacche si apprestarono a raggiungere la città, ora divenuta fortezza, di Yamhpur, riconoscibile per le alte mura dal perimetro ottagonale, circondata da svariate e svariate capanne, in grande quantità, quasi a formarne un altro villaggio, che però circondava tutta la cinta muraria della città. Ora erano ben visibili le due lunghe palizzate ai lati della via sacra che portava alla capitale, palizzate fatte da piloni di legno lunghi e stracarichi di ossa legate con qualche corda, spettacolo straziante ma sacro agli occhi di qualsiasi Vyr passato sotto la loro ombra.
Filolykos non riuscì a non notare un mercato presidiato da uomini armati, un mercato non di verdure o merci usuali, ma di uomini, donne e bambini. I cavalieri Turani continuarono a marciare verso il palco attorniato da bancarelle di utensili di varia origine, quando arrivarono a destinazione il capo dei razziatori scese da cavallo, lo diede ad uno stalliere e stringendo la lunga lancia con la destra, vestito con pelli e pellicce richiamò l’attenzione di uomo, alto, dal capo rasato e dalla lunga barba, pure lui coperto da pesante lana, i due parlarono per quasi due ore, lasciando, la donna, i tre ragazzini ed i due giovani con polsi legati allo steccato per tenere i cavalli. I ragazzi più giovani a stento trattenevano le lacrime infantili, anche i giovani al solo sguardo si poteva leggere la disperazione portata dalla cattività, solo la donna rimase impassibile davanti a tutto ciò.

Raggiunti dal capo dei razziatori, i sei prigionieri dovettero sentire l’amara sentenza: Fattori, figli di allevatori e guerrieri, siete stati catturati, siete merce di scambio e di guadagno, sul vostro capo ci sono a testa una decina di pecore per i maggiorenni e la donna, mentre cinque pecore ciascuno per i ragazzini, se con il vostro lavoro raggiungerete questa somma potrete ritornare a casa.

Filolykos osò dire: Non puoi farlo! Ci sono due principi tra i prigionieri, questa si chiama guerra e lo sai bene.

Il Turanide, carezzandosi la barba bionda, osservando ad uno ad uno i prigionieri scosse il capo: Non vedo nessuno dal sangue nobile, eppure io ho visto capi e signore dei vostri villaggi e non ne riconosco somiglianze.
Il giovane guerriero scosse il capo: Menti! Loro sono due figli di Xshathra, sicuro di volerli rendere schiavi?. Ma il razziatore scosse il capo, prese un nervo e scagliò un colpo con il fusto affusolato contro la gamba del giovane, un colpo che gli fece piegare le gambe.
Le labbra dell’uomo atroce e malvagio s’aprirono :Tu invece menti, stai cercando di salvarti, te e la tua gente, stai cercando di evadere dalla tua situazione di senza libertà, di senza nazione.

Il Vyr dal capo calvo davanti a questa scena si avvicinò ai prigionieri, con uno spintone allontanò il Turanide dicendogli: Se gli rompi qualcosa, se non potrà lavorare, allora stai sicuro che non ti darò il compenso che tanto desideri.

Gli occhi verdi di quell’uomo alto, dal viso austero e calmo si posarono sul segno prodotto dal colpo e disse a Filolykos: Ora te la medicheremo, non è successo nulla.

Poi dopo aver guardato il giovane guerriero ormai fatto prigioniero, cominciò a scrutare Dromsig e gli chiese: Che lavoro facevi? Hai braccia forti, tu andrai con i manovali richiesti ad ovest, mi frutterai parecchio.

Il giovane interrogato rispose: Taglio Legna, conduco greggi e caccio, questo è quello che serve alla mia tribù.

E continuando a camminare lungo la palizzata cominciò a studiare la bella Dwulja, iniziò a guardare attentamente il suo corpo, i suoi rossi capelli, i suoi due occhi azzurri, le sue gambe e le sue vesti di pelli e lana intrecciata: Sei molto bella, potrei persino tenerti per me se non ci sarà un degno offerente.
Sentendo questo discorso, la donna non disse nulla, solo il Turanide che intento a sistemare le corde era rimasto ad ascoltare osò dire: A dire il vero avevo intenzione di comprarla io e penso di poterci raccogliere pure qualche capo fino a quando non diventerà vecchia e brutta, proprio come mia moglie.

Il mercante sentendo la frase del Turanide si mise a parlare con lui più lontano dal resto del gruppo.

Il Vyr testa a testa con il capo dei razziatori prese a dire: Vuoi averla come prostituta? Nel caso invece di dartela a dieci pecore te la darò a cinque ma pretendo che i ricavati siano divisi tra me e te, pensaci potremmo guadagnarci parecchio, proprio ora che le donne ricercano solo in sposa guerrieri e grandi mandriani, c’è gente che pagherebbe ingenti quantità di bestiame per poter avere prole o passare notti meno insonni, credimi, Aspayetenkli.
Solo Dromsig osò rompere quel discorso esclamando con rabbia: Non prenderete mia madre!Al costo di sgozzarvi nel sonno, state attenti a ciò che farete.

Ma Dwulja rimase in silenzio.

Il mercante di schiavi ritornò a guardare il forte giovane: Cosa faremo di tua madre lo decidiamo noi, quando avrà guadagnato con il suo lavoro la somma potrà andarsene anche lei come tutti.

E riprese a camminare vicino ai prigionieri, prese a guardare i ragazzini e chiese a quello con i capelli rossi, Yama: Sai si dice che quelli che hanno i capelli di questo colore abbiano antenati così antichi che i loro stessi nomi siano adesso per noi incomprensibili. Il ragazzino non rispose e lo lasciò continuare,: come ti chiami? Cosa sai fare?.

E con fierezza presa aria, riempiti i polmoni osò dire: Io sono Yama, principe di Kuhburg, sono colui che ti punirà quando avrò la destra libera per prenderti il bastone! Quindi stai attento a procurarmi dolore!. 

Il Mercante si mise a ridere: Certo un principe che porta le vacche e che sta in una umile fattoria invece che stare nel villaggio dentro la tenda del padre, ma non prendermi in giro, nessun principe come Xshathra o gli altri Mahavir lascerebbe il proprio figlio vagare per la prateria con vacche ed un ragazzo da poco diventato adulto.
Yama osò ribattere:Perché mio padre vuole che conosca il mondo e che lavori per poter aspirare a governare un giorno una terra.
Annuendo il Vyr sorrise e disse: Lavorerai in miniera, le cave di pietra ti si addicono. Dicendo ciò, continuò la sua ispezione dei prigionieri, guardando Obràzok chiese come di rito: Come ti chiami? E cosa sai fare con maestria?.

Il ragazzino con altrettanta fierezza proprio come il fratello rispose: Io sono Obràzok, fratello di Yama e principe di Kuhburg! E quando avrò la destra libera, ti farò pentire di avermi lasciato qui, figlio di una scrofa.
Si carezzò con la destra la barba e chiese nuovamente: Di chi sono figlio io? E senza attendere una risposta diede un sonoro schiaffo al ragazzino. Ed emise la sentenza: Anche tu miniere insieme al tuo regale fratello.

Poi venne il turno dell’ultimo ragazzino, lo sguardo dell’uomo riuscì a fargli abbassare il volto dalla paura: Mi temi? Perchè? Se mi tratti bene io ti tratterò bene, chi sei?E cosa sai fare?. E l’ultimo ragazzino, di qualche anno visibilmente più grande rispetto a gli altri, parlò: Non ti temo, mi fai pena, mia madre è vedova, se tu proverai a toccarla, offenderai la mia famiglia e gli Dei.

A quelle parole la mano destra del mercante andò a tirare i lunghi capelli del ragazzino, avvicinando di poco il proprio viso al suo: Non hai risposto alla mia domanda.

Ma il ragazzino non domato dalla stretta gli sputò in faccia.

L’adulto rimessosi ritto con la schiena guardandolo in faccia aggiunse: Tu aiuterai il fabbro per fondere il rame oltre che lavorare nelle miniere con i tuoi amici.
Passato il primo giorno nella tenda per riposare gli schiavi, la mattina seguente, entrò dentro la tenda un uomo armato di lancia e con nella mano mancina una corda dicendo a gran voce: I bambini mi seguano! Oggi si lavora!

E legando con la lunga corda le mani dei ragazzini l'uomo prese a camminare fuori dalla tenda, tra gli accampamenti militari e le stalle, strattonandoli dietro di se, da li in poi la camminata fino ai colli petrosi a nord ovest di Yamhpur sotto il sole di primavera cominciò a diventare una tortura per i giovinetti gettati lungo le rade praterie e folti boschi, fino a quando una grande vallata collegata alla città da una strada sterrata si pose davanti a loro, al centro di essa vi era una struttura quadrata fatta di pietre grezze ancora in costruzione, ai lati di questa struttura minacciosa maestose ed ampie v'erano quelle alte colline coperte di pietra fino al loro cuore, loro capo indicando quei rilievi con la lancia osò dire: Li voi vi guadagnerete la libertà.

E senza fermare la carovana, senza far riposare i deboli piedi, il capo del gruppo si fermò davanti a quella struttura dicendo infine: Le pietre che luccicano le mettete dentro la struttura, quelle che non lo sono fuori, quando entrambe saranno in una quantità necessaria, dividerò i gruppi, quaranta di voi andranno a portare le pietre verdi luccicanti al fabbro, mentre il resto continuerà la costruzione , ricordatevi dovete scavare lungo i cunicoli laterali, non in quello principale!.
I ragazzini minacciati dalle lance dei razziatori arrivati ad accoglierli, presi con la destra i picconi di pietra e nella sinistra dei lumini colmi di resina, liberati dalla stretta corda e messosi sulle spalle ceste intrecciate e robuste andarono a dividersi in gruppi formati da quattro e si gettarono dentro il ventre della terra, in piccoli cunicoli grandi quanto basta per farli passare con la schiena piegata in avanti.

Dentro quel lungo cunicolo principale non v'era nemmeno una luce oltre a quelle delle fiammelle, ad entrambi i lati della stretta e bassa galleria partivano due piccoli cunicoli e ciò si ripeteva per ben sei volte, i ragazzini divisi in gruppi entrarono in ben dodici cunicoli lunghissimi e colpendo le pareti cominciarono a lavorare, alcuni per la prima volta, scavando e staccando pietra da quelle pareti profonde, a loro era precluso solo scavare alla fine del tunnel principale bloccato da una grossa pietra coperta di segni e visi scavati e stilizzati. Yama, Obrázok ed il figlio minore di Dwulja, Elanul, nello stesso gruppo cominciarono a scavare nel cunicolo più vicino all'uscita, riservato a coloro che erano appena arrivati alle miniere, i suoni assordanti dei picconi contro la nuda pietra risuonavano per tutti i cunicoli fino a quando raggiunto il giusto peso sopra le spalle, i ragazzini con la cesta colma cominciando ad uscire dalla profonda buca si ritrovarono con gli occhi stanchi e sensibili alla luce forte del sole.

I due fratelli e l'amico di sventura presero a camminare piegati in avanti verso la struttura che piano cominciava a prendere le forme di una modesta fortezza, spaziosa e robusta. Dall'alba al tramonto i ragazzini continuarono ad andare avanti ed indietro dentro i cunicoli della collina, riposandosi solo per mangiare e compiere i bisogni naturali dell'uomo. Il primo giorno passò con gran fatica, distruttivo come un grosso macigno caduto sopra delle fragili tende, Yama il rosso durante il secondo giorno nell'abisso della collina uscendo dal cunicolo si mise a contare i passi fatti insieme al fratello dl cumulo fin sotto le mura del forte, che piano s'alzavano verso il cielo terso, venti passi affannati che voracemente si prendevano quelle poche energie dentro i poveri ragazzi sempre più curvi in avanti, i due ragazzi erano così stanchi che poggiando la schiena sopra il cumulo di pietre aguzze si immaginarono di distendersi sopra le morbide pellicce dei giacigli domestici, solo il terrore di essere usati come distrazione folle dai razziatori messi a presidiare il luogo li convinse a non addormentarsi sopra il cumulo e li spinse a riprendere a lavorare dentro quella buia terra assassina per un altro intero giorno.

Il terzo giorno Yama, Obrázok ed Elanul messi a scavare lungo il braccio più vicino alla strana parete di pietra, posta a chiudere il corridoio principale, cominciarono a sentire strane voci, alcune incomprensibili, il fulvo Yama chiese allora ad un giovane più esperto intento a colpire la pietra brillante con forza: Fratello di Lavoro, sono folle io o le senti come me anche tu queste voci pesanti e malsane?

Il Giovane sporco di polvere e terra rispose solo tra un colpo e l'altro: Questo perchè lavoriamo vicino alla parete che blocca la porta all'abisso, voi non ci pesante e lui non penserà a voi. Ma Yama non comprese ed anche se Obràzok e Elanul ritornarono a lavorare nei cunicoli, il piccolo Principe decise di prendere piccone e lumino ed a mettersi davanti alla parete arcana cominciando a colpire con l'arma contro la nuda pietra smossa e poi levigata per non far notare la profanazione di quella terra.

Il ragazzino colpì più volte ed ancora con più forza quella parete fino a farla crollare dinnanzi a lui, tutto ciò senza essere notato da nessuno, troppo intenti a lavorare e a spaccarsi la schiena. Facendosi strada dentro quel dritto cunicolo si ritrovò circondato da piccole luci minuscole e veloci, che seguendo ogni sua mossa lo accompagnarono lungo quella passeggiata sotterranea, la luce rossa del lumino insieme a quella di quei piccolissimi fuochi mostrava le pareti perfettamente levigate agli occhi del ragazzino: Ma che posto è?.

Gli scappò a bassa voce, ma non smise di camminare fino a quando terminato il cunicolo agli occhi del giovinetto si aprì una gigantesca sala rotonda, illuminata da miriadi di piccole fiammelle sferiche, piena di pilastri naturali appuntiti, ben trentasei, che salivano e scendevano o dal tetto della caverna o dal suolo su cui erano scolpiti vari simboli sempre diversi tra di loro. Poggiato a terra il lumino, il rosso Yama prese a fissare il tetto, pieno di graffiti rossi e neri, con cavalli, bisonti, alci e foreste; ogni occhio degli animali scavati sulla nuda pietra, ogni punto sopra le pareti alte era riempito da quelle piccole fiammelle, facendo diventare quei graffiti un fantastico cielo stellato, con la stella polare in primo piano, iride del cavallo più grande e maestoso; ma quel fantastico gioco di luci durò poco o niente, infatti subito tutto si dissolse, le luci divennero fievolissime fino a quasi scomparire, tanto che l'unica luce ben visibile che rimase fu quella del lumino, fino a quando non molto lontano dal giovane Principe due nuove fiamme brillanti si riaccesero, rosse, incandescenti e minacciose.

 Poco dopo il ragazzino intravide allora il volto di un grosso serpente dalla pelle completamente nera: Un'altro piccolo cuore da spezzare, un'altra piccola anima da mandare nelle fiamme dell'abisso di Ahriman. Osò dire il Mostro strisciante.

Il giovane figlio di Ohrmazd tenendo tra le mani il piccone osò dire: Non ti temo!

Solo il serpente gigante osò rispondere: Io figlio di Vritra, il serpente cosmico, aspettavo solo questo, una bella resa dei conti, anzi con te dentro non mi servirà neanche essere un arconte di Ahriman per governare il vostro mondo e gli altri, che gran fortuna che ho avuto!.
Continuò uscendo la lingua rossa illuminata dagli abbaglianti occhi rossi, il giovane Yama, di soli quattordici anni tenendo tra le mani il piccone, invece di indietreggiare avanzò senza paura. Il serpente nero come la morte ergendosi sopra il principe allora prese a caricarlo aprendo le sue ampie fauci, ma il ragazzino, anche se preso dal timore non rimase li fermo a subire l'attacco, lo colpì con il piccone e gli fece spostare la testa mortifera, rendendo vano il suo tentativo. Le piccole luci chiare come le stelle nel frattempo ritornarono a brillare su quel tetto, in un gigantesco firmamento inciso nella pietra, una figura umana tra tutte, armata di lancia prese ad irradiare luce, il ragazzino allora prendendosi di coraggio davanti a quello spettacolo mosse il braccio verso sinistra riuscendo ad infilare la punta del piccone dietro la testa del mostro, che di rimando prese a stritolarlo lungo gli arti inferiori, salendo lentamente su quel fragile corpo: No!.

Esclamò Yama, terrorizzato, cominciando a colpire violentemente la testa della serpe con la pietra appuntita, le luci presero subito a muoversi caoticamente verso il giovinetto ponendosi sopra la sua pelle, vestita di stracci e pelli strappate.

Il Piccone così cominciò a emanare luce propria, ed ogni colpo che incideva tra le scaglie di quell'essere sporcava con vermigli schizzi di sangue la pallida pelle del piccolo principe, ma non riuscì ancora a fermarlo, le spire riuscirono a salire fin quasi al petto del giovane tanto da fargli perdere le forze. Sul tetto roccioso insieme alla figura armata di lancia prese ad illuminarsi un'altra figura, identica alla prima sia per equipaggiamento che per altezza, queste furono le ultime immagini che vide il ragazzino prima di abbandonarsi tra le spire mortali del serpente.

Anche Obràzok, spinto dalla curiosità, andando contro le voci che nella sua testa lo spingevano a desistere, prese a camminare in quel cunicolo profondo, da solo, nell'indifferenza passiva degli altri ragazzi intenti a spaccare pietre, ma a differenza del fratello ormai spacciato, davanti ai suoi occhi non si mostrò nessun cielo stellato inciso sulle pareti, riuscì a vedere solo due figure chiare illuminate nella roccia e poi non lontano due occhi ardenti di braci, avvicinarsi ad un corpo luminoso e stretto nelle spire del mostro. Senza domandarsi nulla, il giovane Obràzok dalla chioma bionda saltò tenendo il suo piccone con entrambe le mani, colpendo al centro della fronte la bestia tramortendola, Yama allora riaperti gli occhi guardandosi intorno vide il fratello illuminato dalle stesse luci che lo stavano ricoprendo: Mi hai salvato...!

Disse con gioia al fratello, respirando con affanno, Obràzok annuì e gli disse: Uccidilo ora, io mi metto su di lui e lo tengo.

E così fece, il biondo si mise sopra il dorso dell'animale mostruoso e Yama, ritrovata la forza tenendo il grosso piccone lo uccise colpendo la sua testa squamosa più e più volte.

Così facendo, piano le luci che ricoprivano la pelle dei due si rialzarono sul tetto, ritornarono a riempire i loro spazi incisi sulla pietra e presero ad illuminarsi di luce nuova. Dal buio della caverna rischiarata da quelle costellazioni scolpite con dovizia, una bianca figura prese ad avvicinarsi ai due giovani, coperta da lunghe vesti di pelliccia e lana, dalla pelle chiara e dagli occhi lucenti, che arrivata nei pressi dei due osò dire: Vi ringrazio principi dei Vyria, avete risanato la mia dimora insediata dal male, io Jorwyr Primo, padre di Tuistore e Phollux, i due Ekuhvin che fondarono Yamhpur, dall'alto del mondo in cui risiedo e che presiedo vi do la mia benedizione, avete indebolito il male ma ancora molto ci vuole per batterlo.

E detto questo l'anziano signore barbuto cominciò a svanire, per ritornare su quel tetto luminoso, con le braccia aperte sotto la stella polare, intento ad abbracciare i suoi figli rinati, armati di lancia. I due ragazzini allora liberata quell'antica grotta dalla serpe strisciante, ripresero le ceste colme di pietre poggiate sul terreno, raccolsero i lumini ancora accesi ed uscirono dalla caverna entrando nel cunicolo principale, ma prima uscire i due si voltarono, ed uno aiutando l'altro iniziarono a richiudere l'entrata dell'antro abissale ora libero. Ricostruirono la parete crollata incastonando tra loro le pietre e poi terminato il muro entrambi ritornarono a lavorare staccando pietre negli altri cunicoli, l'uno accanto all'altro, uniti insieme da una nuova sfida, vinta grazie all'unione delle due forze nel combattere insieme le avversità.


Erano passati tre giorni dalla partenza da Kuhburg e nella mente dei due ragazzini c’era, oltre al ricordo della lotta nelle viscere dei colli, la loro casa e l’affetto dei loro genitori. I prigionieri, la sera, erano tenuti sotto una capanna grande e larga, abitata da altri uomini legati in attesa di raggiungere i loro compratori, era l’ora della cena, i ragazzini, i due giovani e la vedova tenendo tra le mani quella misera zuppa di carne di cavallo, latte di giumenta ed erbe cominciarono a mangiare, in quel momento, solo in quello la donna azzardò a dire al figlio più piccolo: E’ meglio che tu ti metta a mangiare.
E così il figlio più giovane della vedova riprese a nutrirsi di quella poltiglia pressoché informe.

Non passò poco tempo che fece il suo ingresso dentro la capanna un razziatore Turanide, che si mise a guardare i presenti, esordendo: Voi siete qui perché lo voglio io, voi mangerete solo se lo vorrò io, quindi fate qualcosa contro di me e non mangerete, dite qualcosa di sbagliato e non mangerete, uno sguardo di traverso e beh non mangerete, è abbastanza chiaro a tutti giusto? Non sono ne un vostro amico ne un vostro parente, è inutile chiedermi grazie o perdono .
Poi il suo sguardo azzurro si spostò sulla donna dicendole: Sono venuto qui anche per te, vieni che ti faccio conoscere dove lavorerai, vedrai che ti piacerà e finalmente scomparirà quel triste broncio.

E senza farsi attendere prese la donna con la destra e la portò a se strattonandola e tenendole le braccia già legate dalle corde, alla vista di ciò i figli si alzarono e dissero: Madre!.

Ma il razziatore esordì: Fermi, o rimarrete digiuni!
Dromsig rispose rimanendo in piedi: Preferisco rimanere digiuno che avere mia madre senza onore, senza rispetto per il suo lutto ed ancora più infelice di come sta ora!
Ma il Razziatore senza ascoltarlo strattonando la donna, uscì fuori dalla tenda portandosela con se nel cuore dell’oscurità, in quel labirinto di capanne e stalle.
I figli della vedova rimasero tutta la notte svegli, solo Filolykos ed i due principi riuscirono ad addormentarsi, stanchi e provati dall'estenuanti mansioni servili.
Ad ogni ora della notte, si poteva sentire chiaramente le voci lamentose, volgari ed esaltate provenire dalle tende e dalle stalle adiacenti, solo i fieri e lugubri versi degli animali notturni riuscivano a smorzare il chiasso notturno di quegli eserciti fermi al bivacco.

Quella notte, così lunga, soprattutto per i figli di Dwulja rimasti senza madre, venne interrotta da grida, tumulti, suoni di corna e versi di animali, qualcosa stava succedendo fuori, qualcosa di terribile; non c'erano razziatori a presidiare la tenda, tuoni e lampi erano visibili ben oltre fessura dell'entrata, subito Dromsig ed Elanul si alzarono per svegliare i due principi fratelli ed il guerriero, che destati si resero subito conto di cosa stava avvenendo, ed aiutandosi l'un l'altro presero a slegarsi i polsi, finalmente non più sorvegliati dai razziatori, sempre vigili lungo tutta la notte ma ora scomparsi insieme alle loro armi e alle loro minacce. Alle orecchie dei ragazzi erano ben udibili oltre ai tuoni, anche i canti di uccelli tipici del fiume non lontano, confusione e caos avevano preso il sopravvento in quella terra già martoriata. Ma Obràzok e Yama spalla a spalla guardandosi negli occhi, persa la paura uscirono fuori la tenda affrontando ciò che di li a poco sarebbe accaduto con cuore saldo.

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Capitolo 15
*** Il Dio Bianco e il Re Nero. ***


Il Dio Bianco e il Re Nero.

 

I sobborghi erano in subbuglio, artigiani, stallieri, uomini armati si spostavano da capanna a capanna, portando con se cibo e beni primari, solo gli schiavi avulsi da tutto ciò che era successo in quella notte andarono a riversarsi ai lati strada sacra che porta da Yamhpur fino al fiume e guardando non riuscirono a credere ai loro occhi, una lenta carovana s'avvicinava , illuminata dalla piena luna attorniata di nubi nere e furenti, cariche di lampi e saette.
Alla testa della processione v'era un anziano signore, vestito di bianco e coronato di fiori, sopra un grosso bisonte albino, chiaro come le stelle, in mano teneva un grosso legno di faggio ed al suo seguito aveva grossi alci, cervi, cavalli, orsi, lupi e cani, oltre ad avere nuvole di aironi che in cielo compivano evoluzioni spaventose e armoniose, al suo passaggio i Vyr terrorizzati gettavano libagioni sul terreno ignorate completamente dagli animali, che lentamente seguivano il suo signore anziano e severo con pura devozione. Ma Ahriman non rimase con le mani in mano e spalancate le porte uscì con cento cavalieri, armati di lancia e scudo, pronti alla morte per il loro Re, che in groppa ad un destriero nero e coperto da un funereo mantello prese a camminare verso l'Anziano sopra il bianco bisonte.

Yama ed Obràzok ammutoliti rimasero a fissare il Vecchio dai lungi capelli, che maestoso passò davanti a loro guardandoli attentamente, per poi spostare lo sguardo verso il nero Re, dalla pallida pelle. Prima che Ahriman potesse incominciare a parlare, il Santo anziano tuono con una voce non umana: Libera il principe Yama e suo fratello, libera i prigionieri di Kuhburg! Desideri così tanto la guerra che vuoi persino vincerla senza combattere, eh Ahriman?!

Alle parole dell'anziano tuoni e saette partirono nel cielo, ma il Re nero senza temere niente e nessuno sbottò: Io non sapevo che Yama e suo fratello fossero miei prigionieri, tanto meglio, significa che moriranno prima che possano scendere in quella battaglia che tu tanto vaneggi, ma che non avverrà mai, perché sai, caro mio Diwonusojo, ormai Ekwburg sta per accettare i trattati che gli ho mandato e presa quella città non mi verrà difficile spegnere i fuochi di Levca , così caro mio Dio, senza quelle ti spegnerai fino ad essere una piccola stella nel cielo.

Ma l'anziano sogghignando rispose: Non è spegnendo i fuochi di Levca, non è radendo al suolo la città tempio che riuscirai a battere il cosmo, ricorda, per farlo dovrai spegnere migliaia di fuochi sacri, infiniti templi dovrai abbattere, che non stanno neanche dentro a reali capanne o in lontane valli, ma dovresti spegnere i fuochi che ardono nell'anima di ogni singolo essere vivente, solo quel giorno forse tu avrai qualche possibilità di vittoria, ora dacci Yama ed i prigionieri di Kuhburg, se non vuoi che rada al suolo la tua città, che non ordini ad ogni bestia di disobbedirti. Il Re dalla bianca pelle, dai verdi occhi e dal nero manto rispose: Con me ho altre forze ancestrali che possono rimediare a tutto ciò che mi potresti fare, i miei arconti furono così forti da sfidare il creatore del mondo! Non ti temo, lo sai. 
Il Dio bianco in un sorriso dolce rispose guardandolo con quegli occhi bicromi e profondi: Il tuo arconte, la serpe è morta, Yama e Obràzok l'hanno uccisa, quindi ora come ora non mi sembri in una posizione da poter contrattare.

E con queste parole l'Anziano, seduto sulla schiena del bisonte puntando verso il basso il legno di faggio con la mano destra fermò la carovana e in silenzio si mise ad attendere una risposta che non tardò ad arrivare: Dannati siate voi figli di Kuhburg! Come avete potuto uccidere quell'essere così forte? Ora Diwonusojo lo sai bene che cosa sono io, non è un arconte in meno a diminuire la mia potenza, non è una fiamma in più che arde cosciente a far abbassare le mura della mia città!.
Fermo a pochi passi dal gruppo di cavalieri il bianco Anziano signore disse: Sei libero di tenerli, puoi tentare in tutti modi di ucciderli, ma lo sai, fin quando Yama è vivo anche Yami lo sarà, fin quando Yama sarà vivo, il tuo impero su questa terra sarà messo in discussione, ma se lo ucciderai, ora, anche Yami ne risentirà ed il tuo obiettivo di avere una progenie immortale svanirà per sempre, quindi o misero Ahriman, rendici i figli di Kuhburg, combattili al massimo delle loro forze, aumenta le tue, così che sconfitti, non possano mai più sorgere altri figli del Sole.

Queste parole piacquero ad Ahriman che le accettò come oro colato ed annuendo disse al Dio bianco: Prenditi allora i miei schiavi, falli diventare forti quanto me, tienimeli però lontani dal mio operato, non farli intercedere nella mia scalata al potere fino a quando non saranno pronti per affrontarmi, vincere contro due ragazzini non porta nessuna gloria ne fama, ancora peggio è perdere in quel caso verrei dimenticato dalle spire del tempo. 
A quelle parole l'antico signore annuì ad Ahriman dicendogli: Avrai la tua guerra tra meno di sei anni, rinfoltisci i tuoi eserciti, chiama più Turani e insegna la lingua dei Vyr agli Altai, che meno capiscono le tue parole, diventa loro Re, dato che a mala pena lo sei riconosciuto, tra i nobili Vyr.
E dati questi consigli, sempre sul dorso del bisonte bianco si volse indietro puntando ora con il bastone di faggio verso il fiume e senza dire nulla il suo animalesco esercito si girò lungo la strada che li aveva portati a Yamhpur.

Il Dio dagli occhi dai diversi colori rivolgendosi poi a Fylolykos disse: Ritorna a Kuhburg, di al principe che i suoi figli sono vivi e vegeti e che io li ho portati a Sursalevca, la mia dimora nel mezzo della pianura, al centro delle sei città che compongono la nostra tribù, li vivranno il percorso che li porterà a diventare Re dei Vyr.
Poi guardando i giovinetti disse, passando il legno di faggio nella mano sinistra: Sedetevi dietro di me, o Yama e Obràzok, la vostra strada è ancora in salita. E porgendogli l'ampia mano li aiutò uno alla volta a salire sulla schiena del grande animale albino, mansueto e dagli occhi tranquilli. Diwonusojo infine aggiunse verso Fylolykos: Prendi con te, Dwuljia, Dromsig, Elanul e salite sui cavalli del mio seguito, non mi dovrete nulla, mi ripagherete in futuro in battaglia.
E così facendo i prigionieri di Kuhburg, ora liberi sopra i destrieri, spiati dagli occhi ardenti di Ahriman, affacciato ora sui camminamenti delle mura cittadine, cominciarono il loro viaggio verso il fiume, per poi dividersi arrivati davanti al freddo specchio d'acqua; l'anziano ed i due bambini proseguirono verso Sud-Ovest mentre Fylolykos e la famiglia di Dwulja andarono ad Ovest camminando sopra i resti della loro fattoria lasciata dai razziatori, illuminati dalla fievole luce dell'alba portatrice di speranza, senza rimorso ne odio nel cuore, sollevati al solo respiro dell'aria.

Il Re nero, stanco e abbattuto per la sua sventura, senza un arconte andò a sedersi sul trono al centro del villaggio, per la prima volta, fermo intento ad osservare le ceneri spente dentro il tempio sacro, dalle porte spalancate senza più un sacerdote. Dalle tende vicine e dai cittadini all'interno della città cominciarono ad uscire borbotti e infamie, ma quell'atto di debolezza, legato a quel trono fecero scatenare una reazione inversa, infatti quando un Re giusto si siede sul trono difronte alle fiamme accese, gli antenati felici gioiscono ma quando un monarca dall'animo abissale si siede davanti alle ceneri inerti allora altri esseri si felicitano e si svegliano; gli occhi verdi del Re notarono il muoversi di qualcosa tra le ceneri, ma rimase in silenzio ad osservare, grattandosi la barba con la mano destra.

Poco dopo un spiro di fiamma sorse e lentamente uscì una creatura orrenda, di medie dimensioni, dalla pelle nera e grigia come la fuligine, dalle palpebre perennemente abbassate, con due braccia e dodici dita, tre gambe, con un becco e lunghissimi capelli argentati, stupito Ahriman lo salutò con un inchino: Hai sentito il mio richiamo allora.... Discordia sei venuto ad aiutarmi nel momento del bisogno, La Serpe è stata uccisa, mi servi tu per minare le sorti di questa pianura, devi piegarmela sotto i piedi, prendili per la lussuria, per la gelosia, distruggili senza che io debba fare nulla.

L'essere orrendo aperte le ali d'insetto sulla schiena si avvicinò all'uscio del tempio e copertosi il corpo dai deboli raggi del sole con esse, compì ulteriori passi verso il Re fino a fermarsi davanti allo sgomento di tutti: Si mio signore. Rispose con una voce non umana, fredda, gelida, impossibile ne da immaginare ne da replicare, poi guardandosi intorno sentì le ultime parole del suo sovrano, prima di partire verso il cielo: Va e dividi i due fratelli, compi il mio ordine O' Loki.
Con questo compito il Sovrano licenziò il suo sottoposto, che in volo partì verso sud ovest rimpicciolitosi fino a raggiungere la grandezza di un piccolo insetto palustre.

 

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Capitolo 16
*** Il Tragitto dei Tre. ***


Il Tragitto dei Tre..

 

Sotto lo sguardo protettivo del sole mattutino, Diwonusojo in groppa al bisonte bianco insieme ai i due giovani, avanzò diretto al suo santuario posto nel mezzo della pianura, non prima però di fermarsi davanti ai tumuli incorrotti di Ohrmazd, Jorwyr e di Savitri, circondati da una natura lussureggiante e viva, mai appassita lungo le adiacenti rive del Dnepr, dove scesero dalla bestiale cavalcatura e si avvicinarono per rivolgere una preghiera diretta agli antenati.
I tre tumuli non erano stati toccati da nessuno, rispettati persino da Ahriman, presentavano le medesime forme che possedevano quando furono innalzati, anzi ai piedi dei rilievi v'erano ancora segni di carne ed ossa lasciate li a marcire, ancora qualcuno, trasgredendo l'aridità d'animo portata dal Re Nero nel suo popolo, continuava a ricordare così i propri antenati, ispiratori di giustizia, in un clan ormai allo sbando, protetto da eserciti stranieri, nemici nell'animo e nell'azione, parassiti ignoranti, violenti, orgogliosi, avversi a tutto ciò che fosse giusto incarnato dagli uomini e donne sepolti li sotto . Il cielo era limpido, pulito, con qualche nuvola, la brezza era fresca ma non fredda. Sopra il tumulo più grande a saltare sulla rada erba v'erano tre corvi nerissimi e dagli occhi color zaffiro, che si contendevano delle ossa ancora non scarnificate, mentre sopra gli altri due solo il vento si palesava muovendo il manto erboso rigoglioso.

I due giovani principi lasciati liberi dal santo Signore, sporchi di sudore e terra si gettarono nel fiume vicino e con loro andarono a bagnarsi anche gli animali che seguivano Diwunisojo. Alci, renne, orsi, lupi insieme ai due piccoli umani presero a gettarsi in acqua ripetutamente, Yama ridendo cominciò a buttare con entrambe le mani l'acqua verso un lupo vicino, che emulandolo con il muso si avvicinò per giocare con lui, anche Obràzok si mise ad accarezzare quell'animale così fiero e mansueto, i due fratelli avevano in quel momento recuperato il sorriso, perso a causa della lontananza da casa. Tra giovani umani e gli animali non c'era alcun timore reciproco, l'orso lasciava tranquillamente salire sulla sua schiena i due ragazzi e l'Alce forse scherzando gli leccava il capo cosciente forse di non mettere a repentaglio la vita in quell'atto sconsiderato e folle per qualsiasi animale che ha al cuore la sua esistenza.

L'Anziano Signore, lontano dal fiume, chiuse gli occhi dai due diversi colori e si sedette a terra con le gambe incrociate, il suo capo dai lunghissimi capelli bianchi coperti dalla modesta ghirlanda si muoveva a seconda del vento tiepido, e concentrato si mise a mormorare tra le labbra, usando un tono basso della voce per rispetto nei confronti dei corpi mortali seppelliti in quelle tre collinette d'erba davanti a lui :

Oh Ricchissimo Padre,

 

che ci hai privato della presenza terrena, di queste anime

 

così, pure, da fuggire dall'illusione perpetua

 

ed a rimanere per sempre davanti alla verità,

 

portiamo come omaggio i nostri cuori

 

coscienti che voi come le stelle

 

la notte ci proteggete

 

delle tenebre

 

fino alla soglia dell'alba immortale.

 

Quando i due ragazzini zuppi d'acqua s'avvicinarono all'Anziano signore maestoso, fermo in preghiera rimasero in silenzio, ed inchinati, anche loro si misero a pregare dicendo le stesse parole del saggio, continuando per tre volte, Yama si mise alla destra di Diwonusojo mentre Obràzok alla sinistra, il biondo ed il rosso chiusi gli occhi si rivolsero ai tumuli senza conoscere chi vi fosse li sotto, non essendovi mai stati portati dal padre, forse troppo preoccupato a farli crescere pù come buoni pastori che come guerrieri coscienti sia del presente che del passato. Diwonusojo aperti gli occhi si rivolse prima a Yama e poi al Fratello: Ma voi che pregate con me conoscete chi sta li sotto? A chi state venerando con il vostro cuore?. 

I giovani s'alzarono e scossero il capo, Obràzok rispose per primo: Questi sono i Tumuli dei Cavalieri celesti!. Ma il Sommo signore scuotendo il capo disse: No, anche se ci sei vicino.

Allora anche Yama disse la sua: Li sotto sono sepolti i Re della pianura!.

Ma anche questa volta il Sommo Vate scosse la testa rispondendo: Tutti e due avete sia ragione che torto, li sotto c'è seppellito Jorwyr, Re dei Vyr e padre dei Cavalieri Gemelli che fondarono Yamhpur, ma non solo, nel tumulo vicino v'è il fu Re Ohrmazd, battuto in duello dal fratello Ahriman che ne prese il trono e in quello più piccolo vicino v'è quello di Savitri, la sua sposa, morta dopo aver dato alla luce due gemelli, un maschio ed una femmina, loro, o piccoli uomini sono santi perchè quando erano in vita furono un tutt'uno con la virtù che possedevano, il loro genio era palpabile, la loro pietà verso la tradizione e gli antenati li hanno fatto trasparire, giustamente, per quello che erano, Dei dentro il corpo di uomini, privi di tracotanza e malvagità.

I due fratelli rimasero ad ascoltarlo e dopo alcuni attimi di silenzio chiesero ancora : Ma come mai Ahriman ha ucciso nostro zio? Come si fa ad uccidere il proprio fratello?.

L'anziano corrugò la fronte pallida e guardando gli aironi volare in cielo disse: Guardate o piccoli ragazzi, in uno stormo c'è sempre chi sta in testa e chi sulla coda, nessuno penserebbe mai di stare tutti in testa o tutti in coda, perchè non ci sarebbe una direzione per lo stormo, bene la tribù è così, chi la guida sta in testa ma non è estraneo a quello che succede in coda, mitigando ed unendo i cuori il principe diventa Re, che sostiene la capanna, Ahriman non voleva rimanere in coda, lui voleva reggere le travi al posto di Ohrmazd, senza comprendere che non era quello il suo ruolo. 

I giovani principi scossero il capo e Yama osò dire prima del fratello: Ma perchè lo uccise?Non potevano entrambi governare? Proprio come facevano i due Cavalieri gemelli?

A quelle parole il Divo aprendo entrambe le mani le posò una su quella del principe rosso e l'altra su quella del biondo ragazzo e guardando prima a destra e poi a sinistra prese a dire: Ahriman non si sarebbe accontentato di diventare parigrado di Ohrmazd, non solo, egli si mostrò irrispettoso dei vaticini, degli antenati, meschino con i nemici e approfittatore, per questo non sarebbe mai potuto diventare Re, se solo non avesse ucciso il suo Rivale, solo quando due Re sono degni di esserlo possono governare insieme, solo due Vyr sullo stesso piano possono decidere la stessa cosa. 

Il biondo principe vedendo finire il discorso a Diwonusojo annuì e gli disse: Io non ucciderò mai mio fratello! Anche se dovesse prendermi tutte le prede catturate con l'arco, non alzerei mai la destra con l'obiettivo di uccidere un mio consanguineo, non offenderò i miei avi.

Lo sguardo freddo ed antico del Santo annuì al ragazzino rispondendo: Lo vedremo, vi ho preso con me per conoscervi oltre che a farvi camminare sulle vostre gambe, ora ragazzi su, In marcia!.

E rialzatosi Diwonusojo si avvicinò al grosso bisonte bianco e prendendolo per le corna salì sulla sua schiena, i giovani senza neanche attendere la richiesta dell'anziano andarono a raccogliere il bastone di faggio lasciato a terra e glie lo porsero, salendo poi anche loro dietro il vetusto signore.
La carovana così riprese a dirigersi verso il santuario tra le selve ancora troppo lontane, oltre al fiume, ad ovest il territorio mutava lentamente, si riempiva di praterie interrotte da folti boschi, nelle terre di Kuhburg erano visibili anche da lontano sparute mandrie di Uri selvatici, per niente infastidite da quel grosso branco pacifico entrato nel loro territorio. I principi in silenzio continuarono a guardare la natura rigogliosa primaverile sbocciare, dalle grandi alci fino alle volpi, tutti gli animali si davano da fare per sopravvivere; anche due esseri umani, armati d'arco e frecce si videro all'orizzonte, nascosti si impegnavano duramente per riempire di selvaggina i sacchi posti sulle loro spalle, cacciatore e preda vivevano in armonia in quei luoghi ancora così lontani dalle bramosie abissali del Re di Yamhpur, solo la frenesia nei movimenti delle fiere sembrava indicare quello squilibrio invisibile agli occhi, ma udibile con gli altri sensi.

Quando arrivò sera il gruppo si fermò sotto faggi e betulle, Il bisonte si distese e prese subito a dormire e con lui fecero lo stesso le Alci, gli orsi ed i lupi, il loro signore Divino invece rimase sveglio, con il proprio bastone di faggio fece un ampio cerchio sul terreno ed al centro mise delle pietre e preparò il fuoco notturno con ramoscelli secchi; i ragazzini restarono vicino a lui aiutandolo nella ricerca di qualche altro legno caduto e poi dopo aver accatastato rami, sbigottiti guardarono il Divo accendere il fuoco con la sola imposizione delle mani. Yama ed il fratello Obràzok alzarono le loro mani verso il fuoco per riscaldarsi, poi il biondo osò chiedere all'anziano signore: Ma tu chi sei? Perchè sai fare queste cose? Perchè ti seguono tutti questi animali come se tu fossi il loro padrone?.

Anche Yama interessato si mise ad osservare il volto dai tratti taglienti, arcaici e severi del Divo, che rispondendo candido a quelle domande fugò loro ogni dubbio: Io sono Il motore del mondo, dall'acqua che scende dalle foglie la mattina, fino al Sole che brucia eterno, dagli animali che copulano per procreare, fino a muovere il cuore dei guerrieri decisi ad avere figli dell'anima, gli istinti più alti e più bassi io li presiedo, io sono colui che urla dentro i boschi in solitudine e sono colui che canta a cavallo del bianco bisonte, io sono il primo figlio sulla terra di Diwus Pytar, per mezzo di me voi siete qui e non a lavorare sotto terra, per mezzo di me voi diventerete forze cinetiche che riporteranno l'ordine ormai dissolto, Io sono colui con cui dovrete passare sei anni della vostra vita, il mio nome è Diwonusojo figlio della nube tempestosa e della luna, ora però dormite tranquilli figli dell'uomo, domani si riprende a marciare.

E detto questo l'anziano Signore toccò il collo del bisonte semi addormentato con il bastone indicandogli il cerchio e li lo fece distendere vicino al fuoco, poi passata la mano sinistra sul capo cornuto guardò i due giovinetti e mormorò: Distendetevi con la testa sul suo ventre e non sentirete freddo, fate sogni sereni e siate rispettosi del'eterno bisonte. I due fratelli annuirono, con lieve passo s'andarono ad accovacciare l'uno vicino all'altro protetti e riscaldati dalla folta pelliccia bianca del grosso bovino, mentre il Vate vetusto si mise seduto davanti alle fiamme piantando a terra, davanti ai suoi piedi, tra lui e le ardenti braci, il legno di faggio e così protetti, dormirono in quella selva da cui si poteva osservare il cielo coronato da vastissime distese di stelle brillanti.

 

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Capitolo 17
*** Trasportati dal Vento Notturno. ***


Trasportati dal Vento Notturno.

 

Tra le selve il giovane dai lunghi capelli fulvi errava, con stretto in mano un arco mortale, intorno a lui la neve scendeva copiosa, ma la preda vicina ancora non sentiva il suo passo. Yama era lì, poco lontano dal suo nemico finale, quell'orso assassino stava per terminare i suoi giorni, ma non fece il tempo di incoccare la freccia che davanti, lungo la sua traiettoria si mise il suo candido cucciolo intento a proteggersi dalla neve con la pelliccia della madre. Il cacciatore mosso da benevolenza abbassò l'arco e si spostò per poter scoccare la freccia senza impedimento, ma alcuni rami di pino gli confondevano lo sguardo. Il freddo aumentava e la preda si allontanava, il giovane cacciatore allora prese a corrergli dietro, la nebbia però gli fece sbagliare strada ritrovandosi in una radura coperta di neve, alto era il sole luminoso, la via era smarrita, la preda era sfuggita. Senza rassegnarsi, il cacciatore coperto da pesanti pellicce aguzzo l'orecchio, sentendo i minacciosi versi della bestia provenire alla sua destra e li si rivolse con lo sguardo, dove riuscì a notare le sagome degli alberi carichi di neve. Ritornato in se, stretto l'arco, provò ad avvicinarsi ancora una volta alla sua preda dentro la selva, il passo era lento e ponderato, con cautela riuscì a scorgere la posizione perfetta per scoccare quella freccia liberatrice.
Erano anni infatti che i boschi ed i villaggi subivano la supremazia di quella bestia, lei entrava nelle case e sbranava tutto ciò che c'era dentro, i pescatori dei fiordi venivano buttati nelle acque gelate da quel mostro, i bisonti venivano mangiati nella notte, ogni villaggio visitato da lui si tramutava in desolazione, i guerrieri non riuscivano ad ucciderla con le lance, i cacciatori temevano la selva.

Obrázok, aperti gli occhi, si vide circondato dalla nebbia, nella quale si riusciva solo a scorgere il forte sole di mezzogiorno, il terreno era coperto totalmente di neve, con poche piante che uscivano da quella coltre assassina, tra le forti mani coperte da guanti fatti di pelliccia, aveva una lancia e sulle spalle un arco e una faretra con dieci frecce, il giovane camminava senza fare rumori, fino ad arrivare davanti ad una scogliera altissima, con sotto fiordi e scogli che lambivano un mare ghiacciato, era inverno ed il giovane dalla lunga barba bionda lo sentiva fino alle ossa, la caccia invernale esigeva la sua preda, il cacciatore spostò lo sguardo dal mare e si voltò verso la rada foresta alle sue spalle, avvolta ancora da quella folta coltre di neve, smarrito solo il sole alto poteva orientarlo verso il villaggio non lontano, ma non poteva ritornare con le mani vuote, doveva andare la e catturare la bestia, avvolta l'anima con il coraggio del guerriero solitario si gettò nella selva con passo felpato e stringendo tenacemente la lancia, con il capo coperto un cappuccio di pelliccia dai lunghi paraorecchie, rimase riparato dalla neve che piano continuava a scendere, solo un rumore di legno rotto allarmarono l'orecchio attento del Vyr e voltatosi verso sinistra vide lontana la figura di un grosso orso dalla pelliccia candida come la neve con la quale si mimetizzava, senza paura il giovane mise la lancia sulla schiena, in una piega della folta pelliccia che lo copriva, prese l'arco con la mancina e con la destra la freccia, fece un gran respiro ed incoccò il dardo dalla punta di pietra aguzza, tese la corda, chiuse l'occhio sinistro e buttata fuori l'aria dal petto, scoccò.
L'orso non fece in tempo ad accorgersene che si ritrovò il collo infilzato da una freccia, la candida pelliccia si sporcò di sangue, ma ancora cosciente la bestia si mise a caricare il cacciatore lontano, Obrázok con il cuore coraggioso stringendo un'altra freccia con la destra portò la cocca sulla corda, il respiro rimase calmo, concentrato scoccò un altro dardo, colpendo la bestia tra capo e collo. Ma l'animale non fermò la sua corsa verso di lui, ritrovandosi l'un l'altro a pochi passi di distanza, Obrázok lasciato cadere l'arco, prese la lancia, tenuta tra i lembi della pelliccia e stringendo il legno con entrambe le mani piantò il piede sinistro in avanti e mosse il piede destro indietro per darsi stabilità: Deywos proteggimi!. E con queste parole scattò in avanti diretto verso l'animale in carica, entrambi decisi ad eliminarsi l'un l'altro.
Ma la sorte gli fu avversa, il cacciatore venne sbalzato sul terreno, vicino alla lancia rotta a terra e lontano dall'arco, con un orso iracondo oramai troppo vicino svenne terrorizzato, il suo fato era ormai segnato. Il biondo rinvenne grazie ad un sibilo nel vento che lo scosse, riaperti gli occhi vide una feccia colpire il capo della bestia, proprio quando era più vicina e sporcatosi di sangue alzò la schiena rimanendo disteso con il resto del corpo sul terreno, guardandosi intorno: Tutto bene?. Sentì venire dagli alberi, da dove vide avvicinarsi un altro cacciatore, armato d'arco, dai lunghissimi capelli rossi, Obrázok allora si alzò in piedi ed annuì al suo salvatore, sottratti alla morte. La nebbia era scomparsa, il sole era più luminoso di prima, ormai l'orso assassino era stato ucciso, ma tutto ciò era temporaneo, all'insaputa dei due cacciatori, il suo cucciolo, non meno mortifero del genitore scappò lontano nascondendosi nell'innevato sottobosco ricco di grotte e spelonche dove anche i più penetranti raggi del sole faticavano ad arrivare.

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Capitolo 18
*** Sursalevca casa di luce. ***


Sursalevca casa di luce..

 

Svegliati all'alba dall'anziano Vate, si sentirono dire: Il sole si sta alzando nel cielo, venite a pregare!. A queste parole i giovani ragazzi si alzarono in piedi, il Rosso si mise alla destra dell'anziano, il Biondo alla sinistra, Diwonusojo fermo tra i due, piegò la gamba destra poggiando il ginocchio a terra compiendo un inchino, mentre alzato lo sguardo e le mani al cielo, così cominciò a pregare il lume celeste con queste parole:

Quando s'alzano in cielo i tuoi sei raggi

segni di virtù ancestrali io sono felice.

 

Ti ricordo alle foci del grande fiume, sorgere dal corpo del padre antico.

Tu hai vegliato tutto il tempo da solo

circondato in quell'oceano, dai tuoi fratelli

fino a quando vedesti le prime piante sorgere

sulle membra della nera Madre.

Ed io Ricordo, quando per mezzo di te arrivarono i lumi sulla terra.

Bestie dalle forme grottesche vivevano sulla superficie antica

anche se piano esse scomparirono

lasciando posto a ben più armoniosi esseri

io ero li a seguire i tuoi passi.

 

Con il tuo calore hai reso rigogliosa la terra

hai dato sostentamento agli uomini

ed hai permesso loro di vedere

facendoli avvicinare a ciò che di luminoso ti fa bruciare dentro, O'

Sole e che nel fulcro degli esseri vivi arde.

Quindi O' Ispirazione dei Potenti

O' salvatore dei mortali

ogni notte vai

ogni giorno sorgi ma

incandescente per sempre dentro i nostri cuori, Ardi.

Così io ti rendo onore.

 

Poi espirato, l'anziano ritornò in piedi, piegò il busto in avanti tenendo le mani unite e fece un inchino e rivolgendosi ai ragazzini disse: Bene andiamo, dobbiamo ancora raggiungere casa. Radunati gli animali, Diwonuojo prese il bastone di faggio da dentro il cerchio e lo diede in mano ai due giovani, poi salito sul bisonte bianco disse disse a loro: Su salite. Yama, che teneva tra le mani il bastone, senza farsi attendere lo ridiede all'anziano Vate e poi insieme al fratello Obràzok salì in groppa all'animale riprendendo quel viaggio diretto alla casa nel mezzo della Selva. L'ambiente incorrotto emanava potenza e mistero, dai rami alti ed intrecciati dei faggi fino alle loro profonde e salde radici, ogni ruga sulla corteccia sembrava parlare da sola una storia immortale, i cespugli verdi e rigogliosi erano fioriti, decorati da bianchi ed azzurri petali, gli unici insetti erano delle farfalle, dalle violacee ali brillanti, macchiate dal giallo, colore del polline. Per tutto il tragitto i ragazzini chiedevano supplici all'anziano: Ma quando mangiamo? Abbiamo fame, sete, siamo stanchi.

Ma l'anziano Vate non rispose, guardando sempre avanti diretto ora all'interno di un'ulteriore selva, i giovani ragazzi allora rimasero muti in groppa al bianco animale e si lasciarono placidamente trasportare, illuminati dai raggi del sole che attraversavano le alte fronde, mirando intorno a loro cervi e cerbiatti che estasiati saltavano da un lato all'altro del sentiero salutando con vistosi versi il loro padrone in cammino, il principe Obràzok rimase così stupito che tentò con la mano destra di accarezzare un cerbiatto arrivatogli vicino: Che belli. Mormorò tra se, mentre la fame cominciò a scemare, tanto fu sconvolto nel vedere così tanta armonia sulla terra, quei cervi dalla pelliccia luminosa avevano occhi color cobalto, unici e brillanti. Diwunosojo, non rivolse la parola con nessuno dei due principi, rimase con la schiena ritta, tenendo forte il bastone di faggio con la mano destra, il tempo passava ma lui non mosse ciglio ne si voltò indietro, il percorso doveva essere terminato e nessuno doveva rallentarlo. Più la carovana si avvicinava a Svrsalevca più l'ambiente intorno a loro cambiava impercettibilmente, i cervi non c'erano più, ma picchi ed altri volatili tipici della foresta presero il loro posto volando sopra le teste del gruppo, intonando canti di gioia, graditi da tutti gli animali che seguivano il vetusto signore. Eppure ancora non si vedeva la casa lontana, il sole piano scendeva ed arrivava il meriggio, tipico per i suoi colori tenui e caldi e con lui anche la fame si ridestava nei due ragazzini, ma non emisero parola alcuna, sconvolti nel vedere chi e cosa abitava quella foresta più fitta e scura, nel calare delle tenebre; gli uccelli diventavano piccole fiamme luminose, verdi e rosse, dalle ali sfarfallanti, i cerbiatti erravano sulle due zampe posteriori ed avevano, dalla vita in su un corpo umano, tranne per le corna sulla loro fronte, alcune piccole, altre lunghe e simili a rami.

I satiri dai volti umani ma dai tratti caprini, tenendo tra le mani flauti d'osso lunghissimi suonavano una melodia lugubre e cadenzata che sembrava inondare all'infinito le alte fronde degli alberi, solo quando videro il loro padre il suono prese a mutare in un crescendo, stridulo e gioioso, i figli giocondi cominciarono a festeggiare con suono armonici, spezzati da note cacofoniche, circondati dal canto di uccelli notturni dai grandi occhi, nascosti tra i rami coperti di foglie. La foresta sacra ampia, abitata da si tante bestie notturne, con sincerità si mostrò agli occhi dei due ragazzini, che mai avrebbero pensato in vita loro di poter vedere qualcosa di simile.

Yama allora preso dalla curiosità disse: Questo è il famoso Bosco dei lamenti?.

'anziano signore fece un segno d'assenso con il capo, ma non mosse le labbra, proseguendo sotto l'ombra sempre più allungata delle fronde e dei tronchi; il tempo proseguì inesorabile, i due ragazzini, sempre più provati dalla fame continuavano a sentire lievi fitte allo stomaco, fino a quando davanti ad i loro volti non divenne ben visibile il punto di arrivo, l'Ashram del Dio, situato in una radura circolare all'interno di un'ampia foresta, quel rifugio meditativo aveva un aspetto mistico e pieno di forza, consisteva in una quercia gigantesca e millenaria , nel cui tronco s'apriva un'ampia voragine scolpita dal tempo e dalla vecchiaia. Al suo interno, alta s'ergeva una fiamma che brillante illuminava le naturali pareti lignee, ad ogni passo del corteo ferale essa diventava sempre più luminosa e l'aureola, che ampia l'avvolgeva cambiava colore, dal rosso fino al violaceo brillante il padrone di casa era finalmente ritornato ed era in buona compagnia.
Quando la carovana fu abbastanza vicina all'anziano albero, Diwonusojo gridò ai suoi animali: Fermi!. E a quell'ordine tutti gli animali della foresta si arrestarono, gli uccelli smisero di cantare, i cervi fermarono il loro vagare tra il sottobosco, i ratti appollaiati tra i verdi rami cessarono squittire ogni essere vivente assecondò il suo ordine. L'anziano Vate scese dal candido bisonte e cominciò a guardare i due ragazzini in volto, Obrázok e Yama, voltarono i loro visi verso sinistra, faccia a faccia con lui e silenti anche loro si sottomisero al suo volere attendendo. Diwonusojo fece un gran respiro e disse: Su scendete, andiamo a mangiare.
Poco dopo, porgendogli la mano li aiutò uno ad uno a mettere i loro piedi scalzi sulla nuda terra e senza lasciarli li accompagnò mano nella mano verso l'ampia e vetusta quercia.

Ad ogni passo che i tre compivano verso l'entrata, la fiamma si muoveva serpeggiante, solo quando si trovarono davanti ad essa i giovani ragazzi riuscirono a contemplare la magnificenza della struttura, le pareti interne dell'ampio tronco erano scavate e decorate da miriadi di nicchie che arrivavano quasi fino al tetto, oscuro, al loro interno facevano bella mostra teschi umani, ossa e fiori, sbocciati loro stessi tra le rughe vetuste dell'albero, irrigate dalla materia fertile che nasceva dal decadimento di quei corpi, lasciati li perpetui, a decomporsi. Dietro alla fiamma, difronte l'entrata era posto l'imponente trono del Dio; ricoperto da una pelliccia bruna simile a quella dei bisonti, possedeva una forma particolarmente insolita, come braccia presentava due grosse zanne, bianchissime, ricurve verso l'alto, maestose, erano decorate da solchi spiraliformi, sulla destra era ben visibile, tra i segni circolari, sette punti a formare la costellazione dell'orsa, orientata verso un cerchio forato nel suo centro, sulla sinistra incisi c'erano tra le varie spirali concentriche, tante forme stilizzate simili a quelle umane, tutte impegnate a muoversi in giro ad un centro, dove v'era scavata la forma di un fiore a sei punte. Ossa, collane d'ambra, pugnali asce, archi da caccia, girlande floreali sempre verdi e vasellame donati dai pellegrini al Dio del Santuario, erano accatastati ai due lati del trono ferale, sul quale tre neri corvi infilzavano i propri artigli gracchiando spensierati; al centro, sul punto più altom maestoso v'era l'esemplare dai profondi occhi dorati brillanti, sopra il nero abissale del piumaggio, alla sua destra, dalle iridi chiare come il cielo più alto, stava fermo il secondo corvo ed alla sua sinistra il terzo, non meno maestoso degli altri due, aveva uno sguardo intenso, caratterizzato da un verde brillante e purissimo. Tutti e tre impassibili, non sembravano curasi del nero serpente che si muoveva sinuoso sotto le loro zampe, girando intorno allo scranno indisturbato avvolgendolo in una sola spira, come un anello intorno ad un dito; dove finiva il capo con la le fauci schiuse, iniziava la coda la cui punta finale tra esse era tenuta. Il biondo Obràzok, dalla giovanissima età prima mormorò tra le proprie labbra poi alzò la voce continuando infervorato dallo stupore e dalla devozione: Eccoci al trono di Tridivo, dalla millenaria pelliccia mai consumata dal tempo, che gli fu donata dall'arciere celeste dalle lunghe trecce bionde, il difensore dei confini e dei campi dove ancora oggi le nostre bestie continuano a pascolare insieme alle miriadi di fiere ancora senza padrone. La sola presenza su questa terra, di questo trono rappresenta la speranza per ogni viaggiatore che in queste terre si perde, pilastro del mondo su cui ruotano intorno le terre, come in cielo ruotano le costellazioni dai mille occhi che giudicano, chi ,sotto di essi passa, coperto dall'operato delle proprie azioni.

Il sommo Vate compiaciuto lo guardò, annuì ma non rispose, rimanendo in placido silenzio.

Yama dai fulvi capelli, alzò il celeste sguardo verso l'anziano Diwunusojo, lo osservò attentamente, studiò il suo viso antico dai tratti perfetti e taglienti, seguì le sue rughe con attenzione prima di chiedergli con sicurezza nella favella: Oh Signore, ci avevi promesso un pasto, io non vedo nulla.
Ma nessuna risposta venne detta nell'immediato dall'anziano, che lasciò le mani ai due ragazzi ed attraversò, intatto, il fuoco luminoso per andarsi a sedere sopra il suo arcaico scranno. I due ragazzi attoniti non riuscirono a pronunciare alcuna parola sensata, sconvolti davanti alla loro prima theofania; senza credere ai propri occhi videro il vetusto Vate alzare le braccia e chiudere gli occhi tenendo stretto nella mano destra il bastone, ora fiammeggiante e pronunciare parole incandescenti;

Hare Dyaus, cielo Diurno!, Hare Woranos, cielo notturno!, Hare MahaDiwoniso, cielo scintillante!.

Poi dal suo volto una luce accecante incominciò ad irradiare le pareti interne dell'albero con raggi così forti, che costrinsero i due ragazzini a coprirsi gli occhi; nell'aria s'alzò il roboante suono di un antico corno che vemente svegliò gli uccelli notturni, solo quando luce dai mille colori diminuì d'intensità, i due decisero di abbassare le braccia, Yama spalancò i celesti occhi e Obràzok riprese a guardare attraverso le sue iridi color smeraldo la scena immortale. Davanti a loro c'era Diwonusojo, vestito con una tunica bianca luminosa dai mille colori, il suo viso era senza rughe, ringiovanito, su di esso, brillanti v'erano tre occhi, il sinistro verde, il destro color del cielo e l'ultimo, sorto sulla fronte, color dell'oro più puro; non più due braccia partivano dalle sue spalle scoperte, ma ben dodici, dai palmi delle mani aperte s'originavano fiamme che insieme formavano l'Aurora. Inchinatisi, i due ragazzini alzarono le braccia verso il Signore luminoso dall'aureola di mille colori recitando canti sacri e solo quando finirono, Diwo tuonò roboante all'interno della vetusta quercia: 
Voi, giovanissimi mandriani, avete vissuto come principi fino a poco tempo fa, riveriti e pasciuti avete subito per tre giorni la schiavitù e sconfitto la serpe, ora giovani principi, c'è un popolo che ormai da più di dieci anni è schiavo e costretto dalle armi straniere. Muore e lentamente scompare, quello che abita nella capitale che fu nostra, quella dei Vyr. Tu Yama, bello ed antico, sei l'immagine vivente di tuo padre, il legittimo Re dell'intera esistenza, Ohrmazd, invece tu oh chiaro e forte Obràzok, figlio del Mahavir Xshatrha ne incarni la potenza ed il coraggio, araldo perfetto della potenza creatrice ed ordinatrice del Cosmo, Per natura voi due siete regnanti, fratelli mai per un caso, a voi due è stato messo tra le mani il destino della nostra gente; voi siete coloro che degnamente diverranno Re dei Vyr, così che chi giusto è nel cuore sia giusto nel Regno. Ma ancora non siete pronti, siete giovani, troppo giovani per prendere le armi, il vostro corpo è troppo debole, il vostro spirito ancora non riesce a manifestarsi perfettamente davanti agli occhi di tutti, quindi starete con me per sei anni, farete ciò che io vi dirò, eseguirete i compiti che io vi darò seguendo il senso naturale del tempo, quando vi sarà la bella stagione voi dovrete superare una prova con fatica, poi vi riposerete fino all'inverno, dove ne compirete un'altra, temprati dal vento gelido e dalla neve, così avverrà per ben sei anni, fino a quando diventerete uomini forti e pronti alla battaglia. Ora figli del sole! Mettete le vostre mani dentro la fiamma davanti a voi e prendete ciò che è nascosto tra la catasta ardente, poi mangerete il vostro ultimo ricco banchetto.

I ragazzi sentite queste parole, sconvolti per la rivelazione ricevuta e ansiosi di riempire il loro ventre avvicinarono le mani alla grande fiamma, il calore era insopportabile e spaventati tremavano ma senza desistere con le loro falangi entrarono nel fuoco, senza sentire nessun dolore. Yama cercando con attenzione sentì tra le dita un fascio di crini simili a quelli di una corda, la strinse e temendo di romperla spostò le dita lungo di essa arrivando a toccare il legno a cui era legata, prendendolo con le falangi uscì dalle braci e dai legni fiammeggianti l'arma; un arco dalla forma sinuosa e levigata. Obrázok imitò il fratello, mise anche lui la destra tra le fiamme ardenti, cercando con attenzione tra le braci senza paura, visto il fratello indenne; quando le sue falangi si avvicinarono all'oggetto dal corpo metallico sentì sui polpastrelli una superficie tagliente, che lo costrinse a scendere lungo di essa con lentezza per non tagliarsi, fino a quando arrivò alla base lignea, piantata nelle braci, fece un profondo respiro tirò verso l'alto alzando lentamente la picca piantata nel terreno fino a quando fece uscire il metallico cuneo dell'arma fuori dalla catasta fiammeggiante e tirata fuori la destra dai legni intricati e ardenti andò con il palmo a prendere l'asta dell'arma uscendo la lancia dalle lingue fiammeggianti del fuoco sacro. Diwonusojo annuì con lo sguardo e disse:
Queste sono le armi che io vi do per il vostro sostentamento, Yama tu avrai l'arco e con questo sarai temibile, Obrázok tu hai ricevuto la lancia 
nata dalla terra e forgiata dalla folgore del cielo, con questa difenderai il popolo, bene da domani dovrete usarle cacciando, io per mia natura non mangerò, voi se vorrete vivere, dovrete attrezzarvi, quasi ogni preda qui può uccidervi; il cinghiale, adolescenti come siete, non temerà di attaccarvi, ne il cervo dalle ampie corna si farà scrupolo nel mettersi salva la vita e non dimenticate i bisonti loro non temono nulla, qui è facile passare da preda a predatore; ed ora Oh Satiri, sileni selvaggi portate il cinghiale!.
Ed a questo ordine all'interno della quercia fecero ingresso questi individui dai tratti caprini e ferali, prima d'allora visti solo da lontano lungo il tragitto nel bosco, erano otto con in spalla degli ampi piatti di legno sopra i quali era servito la carne di quel selvaggio suino di cui erano ancora ben riconoscibili le teste. 

Ad un cenno del Diwo, i suoi otto fratelli si sedettero a terra e cominciarono a dividere la carne tra i presenti, mangiando l'un l'altro dai vari piatti tenuti a terra difronte ai piedi di ogni commensale. Quella sera i due giovani si riempirono lo stomaco, affamati e stremati si ingozzarono spensierati ma consci di avere ora nel cuore una grande missione, troppo pesante per una sola persona, ma sopportabile se divisa tra due fratelli, pronto a difendersi a vicenda, l'uno armato d'arco e frecce per colpire lontano, l'altro con la lancia in mano pronto ad abbattere chiunque si pari davanti alla loro strada o tenti di colpirli alle spalle.

 

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