I'm The Black, You Be The Orange

di imtheblackyoubetheorange
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Wasn't Ready ***
Capitolo 2: *** Tit Punch ***
Capitolo 3: *** Hiding My Heart ***
Capitolo 4: *** Imaginary Enemies ***
Capitolo 5: *** Cold grass ***
Capitolo 6: *** Sta a te, ragazzina ***
Capitolo 7: *** Be my little spoon ***
Capitolo 8: *** Can't Fix Crazy ***
Capitolo 9: *** Tutto il resto spariva ***
Capitolo 10: *** Cazzo di Spike ***



Capitolo 1
*** I Wasn't Ready ***


Mentre Piper muoveva i suoi primi passi all’interno della prigione, tutte continuavano a fissarla. Pensavano che fosse quella famosa cantante. Ma lei continuò a camminare lungo il corridoio, il suo nuovo cuscino a righe stretto contro il petto, uno spazzolino e il tubetto del dentifricio nascosti in una mano.
Ai lati dei corridoio, assiepate contro i muri, le altre le lanciavano sguardi torvi e, portandosi una mano a lato della bocca, bisbigliavano nelle orecchie delle detenute lì vicino. Poi ridacchiavano, sbuffavano e le lanciavano sguardi ancora più minacciosi.
“Ti ho già vista in giro, giusto?” una ragazza sbatté contro di lei così forte da farla vacillare, appoggiò le mani sulle sue spalle e la fece ruotare su se stessa. Non indossava l’arancione, ma la divisa color cappuccino di tutte le altre. La faccia era circondata da una massa disordinata di ricci capelli ramati, la pelle pallida aveva lo stesso aspetto sbiadito della divisa, la bocca e gli occhi erano circondati da strane linee che la facevano sembrare stanca, o forse le davano un’espressione ostile. Magari era solo una tipa che rideva spesso, potevi andare a pensare incontrando per la prima volta la detenuta Nichols, Nicky per gli amici. O magari era solo fatta o era una tosta che si faceva di sigarette.
“Mmh. No” bisbigliò Piper. “Non credo.”
Non sto tremando, mettiti in ordine, ragazza, è solo una detenuta, come te, non ti farà niente di male, niente di male, giusto? pensò Piper.
“Hai proprio un bel faccino da angioletto” disse la detenuta dai capelli ramati. “Ci scommetto il culo di averti già vista in giro. Cosa sei, una pop star?”
“Al diavolo, no.” rispose Piper. Non avrebbe saputo dire da dove quell’improvvisa boccata di coraggio fosse spuntata fuori, ma subito dopo si rese conto di aver distolto lo sguardo e di aver parlato troppo in fretta, mentre i suoi occhi si contorcevano nel solito tic nervoso.
La detenuta a pochi centimetri dalla sua faccia inclinò la testa da un lato, con lo sguardo interrogativo di un cane che non ha capito bene l’ultima parola del padrone.
“Senti” sbottò Piper. “Me lo hanno già detto ma sarò costretta a ripetermi. Non sono Lindsay Lohan, ok?”
“Calma, gioiellino,” CapelliRicci tolse le mani dalle spalle per sventolargliele a pochi centimetri dal viso. “Non era quello che intendevo. Stavo pensando più a… qualcuna come Adele, capisci?”
Piper impallidì. Girò la schiena alla detenuta ficcanaso e riprese la strada lungo il corridoio che l’avrebbe portata al blocco e al letto che le avevano assegnato.
Zitta, zitta, stai zitta, non ha detto nulla, non hai sentito nulla, canticchiò una piccola voce dentro la testa di Piper. Era terrorizzata.
“Mi chiamo Nicky” sentì dire a CapelliRicci dietro di lei, ma la ignorò.
Litchfield è una prigione femminile, Piper continuò a ripetere a se stessa, ferma sulla soglia del blocco di cemento che le avevano assegnato. Quindi nessun uomo qui dentro, giusto?
Ma la sua nuova compagna di letto, con i capelli corti come quelli di un militare e la sua tozza, minacciosa figura, assomigliava più a un uomo. Le labbra quasi si alzarono a mostrare i denti in una smorfia selvaggia, benvenuta-in-prigione-io-sarò-la-tua-nuova-migliore-amica. Miss Claudette era il nome di quella strana signora-uomo di colore, le avevano detto. In quel momento lei posò la tazza che teneva tra le mani e guardò Piper come fosse la cacca di un insetto.
“Niente scarpe qui dentro, fuori” e fece il gesto di scacciare una mosca. Piper entrò, lasciò cadere cuscino e spazzolino e dentifricio sul materasso verde. Alzò il mento, come sua nonna le aveva insegnato a fare quando si affronta il nemico. Il bianco dei suoi occhi risaltava contro i cerchi neri che quelle due ore di prigione le avevano appena disegnato sotto gli occhi.
“Mi ascolti. Io non sono né Adele né Lindsay Lohan e farò camminare i miei piedi e le mie scarpe e il mio culo da criminale su questo pavimento del cazzo. E sì, piacere di conoscerla, avrò bisogno di un po’ della sua aria e del suo spazio per tutto il tempo che sarò costretta a passare in questo cazzo di buco. Perché io sono qui dentro, e lei è qui dentro, entrambe dobbiamo pagare l’affitto alla merda illegale che abbiamo fatto là fuori”.
Silenzio. Ci fu una lunga pausa, che fluttuò nell’aria tra loro due, appesa a un filo sottile e appuntito come la punta di un coltello.
Litchfield era una prigione per le donne, niente posto per gli uomini e per i sorrisi lì dentro, ma in quel momento Piper pensò di averne appena visto uno: un sorriso incurvò gli angoli della bocca di Miss Claudette verso l’alto e sparì subito dopo come un fantasma. “OK” aveva detto quel sorriso, ma le labbra di Miss Claudette non si mossero. La donna-uomo si girò e riprese la sua tazza.
“Oh” aggiunse Piper “potrei avere uno di quei appendini?”
Quella notte Piper pianse, gli occhi spalancati a fissare i quadratini della lampade al neon sul soffitto. Si rese conto di voler cantare. No, non era solo quello: moriva dalla voglia di lasciare uscire la voce fuori dai polmoni e attraverso la gola, lasciare che le parole graffiassero l’aria tra i denti e la lingua e le labbra. Ma non poteva, nossignore.
Non posso, non posso. Ho fatto una promessa, ricordò a se stessa, come sempre faceva, ogni giorno e ogni notte prima di addormentarsi. 

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Capitolo 2
*** Tit Punch ***


Non era proprio come se non l’avesse vista. Piper l’aveva vista, la sua splendida dea, ex ragazza, spacciatrice per un cartello internazionale di droga, che non vedeva da più di otto anni. Ma forse era solo la sua testa a giocarle strani scherzi. In fin dei conti, stava proprio andando fuori di testa, fuori di balcone, hocus pocus pazza e matta e ridicola, l’altro giorno dopo il pranzo alla mensa. Piper ricordò di essersi lasciata scivolare sui talloni, la schiena appoggiata contro il muro di mattoni, ricordò di aver lasciato che la sua faccia si sgretolasse. Stava piangendo, quando aveva visto quel viso così familiare – Dio, come poteva non esserlo? - riflettersi nella pozzanghera a terra.
splendida dea ex-ragazza, pensò Piper.
“Forse non è un bel momento per dirti ciao.” le aveva sentito dire.
Ma quelli non erano ricordi, erano solo le folli fantasie della sua testa malata e affamata. Era possibile che Alex Vause fosse lì dentro? Nello stesso Istituto Federale di Correzione di Litchfield?
 Forse…ma non così possibile, concluse Piper.
Gettò indietro la testa e si godette il sole che le riscaldava il viso. Amava il sole, così tanto da far credere a Larry che fosse il suo amante segreto. Era sdraiata sulla schiena, appoggiata ai gomiti, la testa e i capelli le ricadevano all’indietro sull’erba calda. Era la sua prima volta in cortile, e detenute in maglie bianche e pantaloni della tuta grigi correvano tutto attorno a lei, altre in divise arancioni e grigie si rincorrevano nel campo da basket.
“Dovrei chiederlo a Healy”, pensò Piper. “Gli dirò che è importante per la mia sicurezza. Se Alex Vause è qui…dovrei chiedere”.
“Dovresti chiedere cosa?”
Quella voce. Piper avrebbe saputo riconoscere quella voce se anche avesse solo bisbigliato in mezzo a un milione di persone. Alzò la testa.
splendida dea ex…
“Alex.”
Si sedette vicino a lei sull’erba, incrociando le gambe sotto il sedere. Poi si afferrò le punte delle scarpe e si limitò a fissarla.
“L’altro giorno…”
“Brutto momento, sì” tagliò corto Piper.
“Aha.”
Silenzio. Piper non osò distogliere lo sguardo da lei.
“Sto meglio.”
Alex rise. “Oh, ma guardati. Ti hanno lasciata morire di fame dal momento in cui sei entrata qui dentro, poi tu metti le cose apposto con Red grazie a quella dolce faccina. E ora sei la gran Piper. Ti godi il sole come se fossi sdraiata sulla sabbia dorata di una spiaggia, e non nel cortile di una cazzo di galera.”
“Prigione, è una prigione, non galera.”
“Aha. E sarei io l’idiota che lasciano morire di fame, ora”.
“Cosa? Alex…Ti lasciano morire di fame?”
“Niente, non fa niente. E’ tutto OK, Pipes. Davvero, tutto ok.”
Piper si sentì sul punto di lasciar esplodere tutto quello che aveva ingabbiato dentro da quando aveva avuto quella strana allucinazione, il suo viso riflesso in una pozza d’acqua. Ma ora che Alex era davvero lì si sentiva…cosa? Sollevata?
Pipes
“Mi dispiace tu sia finita qui dentro,” disse Alex. “Ma sono felice di vederti.”
Piper annuì. Per un momento fu come se Alex avesse lasciato scivolare lo sguardo sul suo corpo, sul suo collo e giù sulla sua maglia bianca e su quegli informi pantaloni grigi. Vause la stava guardando come se da sempre avesse conosciuto lei e ogni suo singolo angolo e centimetro di pelle, come se camminasse dentro le stanze della loro casa, controllando che tutto fosse nello stesso posto in cui l’aveva lasciato.
“Sembri diversa.”
La sensazione di quello sguardo caldo che le scivolava sul corpo svanì e Piper distolse lo sguardo e lo puntò sulla figura di Watson che correva distante.
“Ok,” disse Alex. “Ci vediamo.”
 



Sì, aveva promesso a Larry che in galera…pardon, prigione, sarebbe diventata palestrata e forte, ma sentiva come se tutta quella storia con Red l’avesse già allenata abbastanza. Nicky però l’aveva ormai trascinata dentro, Morello era lì, c’erano Taystee e le sue amiche, anche Yoga Jones era lì!
“Non dirai sul serio” sbottò Taystee. “Stai dicendo che dobbiamo sul serio arrotolarci questa roba sulle mani?” sollevò la mano destra sopra la testa e scosse un rotolo di carta igienica.
“Non ci sto” continuò Taystee. Incrociò le braccia sul petto e lanciò uno sguardo pungente a Nicky, circondata da rotoli di carta igienica e dalle altre detenute che avevano formato un cerchio tutt’intorno. Non sembrava molto convinta.
“Tutte stronzate” una faccia a Piper sconosciuta girò sui tacchi e se ne andò scuotendo la testa, lanciando a terra il suo rotolo.
“Ok, allora. Fuori dalle palle tutte quante. Ma la prossima volta che PornoBaffo vi mette le mani addosso farete la fila davanti al mio letto a chiedermi un po’ di roba per farvi e non pensarci più” prese un respiro profondo. “Quindi, chi è con me?”
Boo squadrò il rotolo nella sua mano come se volesse pesarlo con uno sguardo. “Ok, ci sto, facciamo il culo a quei cazzo di cessi” disse, nessuno rise, ma nessun’altra andò via.
Nicky mostrò loro come dividere il rotolo per avvolgere entrambe le mani. “Sono le nocche che dovete coprire” disse, alzando il suo pungo bianco e colpendolo contro il palmo dell’altra mano.
Piper fece come le era stato detto, ma quando fu costretta a mettersi davanti a Suzanne e a mulinare le braccia nell’aria saltellando, cominciò a sentirsi stupida. Non era come la finta palestra di pugilato che frequentava tre giorni a settimana nell’Upper East Side. Lì dentro si sentiva stupida e basta. In più Crazy Eyes non era d’aiuto, con tutti quei finti baci che mimava. Piper mandò quasi a segno un pugno nella faccia di Suzanne quando questa scandì con le labbra mute le parole: “I love you, Dandelion”.
Con le braccia alzate davanti alla faccia, Piper indietreggiò e finì contro i polpacci tesi di un’altra dietro di lei. Cadde a terra come un sacco di patate, sopra un secchio pieno di acqua sporca e stracci per pulire, e che le imbrattarono la divisa.
“Non abbassare mai la guardia” stava dicendo Nicky strusciandosi contro la schiena di Morello e afferrandole il seno. “Wow wow wow, Chapman, questo è un KO per te. Sembra che ti abbia mandato giù la pura forza” guardò Crazy Eyes “dell’amore”.
Tutto questo è stupido, pensò Piper. Stavano tutte saltellando nella baracca in cortile, in mezzo a tavoli e vasi di piante abbandonati e un mucchio di secchi. Non sarebbe mai stata una tipa tosta e palestrata. Lei era solo una stupida bionda borghese figlia di mamma. Una vigliacca. Cercò di rimettersi in piedi ma l’improbabile protezione di carta igienica sulle mani la fece scivolare di nuovo.
“Ok, ladies. Chi di voi ha intenzione di spiegarmi che cazzo sta succedendo qui dentro?”
La voce di PornoBaffo fece tuonare l’intera baracca. Agente O’Neill, in piedi accanto a lui sulla soglia della baracca, incrociò le braccia sul pancione azzurro. Le ragazze si sparsero, alcune sgusciarono dietro la porta e riuscirono a svignarsela in tempo.
Piper stava ancora cercando di rimettersi in piedi quando Mendez si fece avanti, i pollici infilati nella cintura, e sputò il suo nome. Nicky l’aiutò ad alzarsi, un’espressione a metà tra la pena e il colpevole dipinta in faccia. “Sembra che tu sia nei guai, Dandelion.”
 
Più tardi, Nicky e Piper entrarono nella lavanderia quasi correndo. Piper era piegata in due dalla risate, le mani strette contro la pancia, mentre Nichols sembrava voler bisbigliare, ma le parole venivano fuori in una risata strozzata, come se fosse ubriaca.
“Scommetto che l’hai fatto arrapare da morire!”
“Shhh!”
“Una settimana di pulizie notturne, huh? Come diavolo hai fatto? Chiunque altro sarebbe andato dritto in isolamento.”
“Non capisco perché io…”
All’improvviso si resero che Pennsatucky e Leanne le fissavano come fossero un paio di alieni. La divisa di Piper era uno schifo, e aveva le mani ancora avvolte in quelle inutile fasce di carta igienica. Trattenne una risata mentre Gina spuntò fuori sulla porta, rompendo quell’imbarazzante silenzio.
“Nichols, ti vuole Red.”
Nicky lanciò un ultimo sguardo tutt’attorno alla lavanderia, poi alzò le braccia a mezz’aria per dire a tutte che non ne capiva un cazzo di quella merda, e se ne andò.
Doggett e Leanne guardarono Piper con aria disgustata e girarono l’angolo spingendo un carrello colmo di divise arancioni.
“Sentite…ho solo bisogno...” ma la ignorarono.
“Che ti serve?”
Alex era lì, Piper si rese conto con sorpresa. Certo che sì, Alex lavorava nella lavanderia. Ma da quanto tempo era lì ferma a guardarla?
Piper afferrò gli orli della sua maglia bagnata e sporca e all’improvviso si sentì avvampare dalla vergogna.
“Non dovrei, lo so, ma mi chiedevo, questa ne ha passate tante… potrei avere l’altra mmh…divisa?”
Quando alzò gli occhi a guardarla, Alex stava sorridendo. Era quel sorriso furbo e malizioso che le faceva sempre venire i brividi lungo la schiena, quando…
Piper chiuse gli occhi e li riaprì, scacciò qualsiasi cosa la sua mente cercasse di rievocare.
“Prendi” le lanciò un sacchetto da sotto il banco e Piper lo abbracciò al volo come fosse un salvagente.
“Mmh… potrei…ti dispiace…le guardie, se mi vedon…PornoBaffo ha detto...”
“Mi stai chiedendo di non guardare?” quel sorriso furbo ancora. “Puoi cambiarti qui. Non guardo, promesso.”
Piper abbassò i pantaloni sudici e lasciò che le scivolassero intorno alle caviglie, poi li calciò via.
“Sono una codarda.”
Alex scoppiò in una breve risata. Squadrò Piper da dietro i suoi occhiali, poi prese una maglia arancione dal carrello e la lisciò sul tavolo.
“Perché?”
“Sai che è così. Sul serio.” tirò su i nuovi pantaloni puliti e ne fece schioccare l’elastico contro la pancia, poi si sfilò la maglia. Temeva che sarebbe andata a fuoco per l’imbarazzo. Il reggiseno bianco della prigione le faceva le tette appuntite come l’estremità di un fucile. Ma all’improvviso se ne dimenticò, e bloccò lo sguardo dritto di fronte a sé.
“Non sarò mai tosta. Muscolosa e in forma e con belli addominali che tutte le ragazza possono invidiarmi. Sono un topo da biblioteca” e si girò a guardare Alex, gli occhi spalancati come enormi lampadine. “Non sarò mai sexy, e divertente, e non ballerò mai davvero in una discoteca.”
Si infilò la maglia bianca a maniche corte.
“Suppongo di andare OK anche così.”
Alex smise di piegare vestiti. Aveva le nocche bianche, le mani strette ai margini del tavolo. Sembrava stesse per fare qualcosa o dire qualcosa, ma non lo fece. Abbassò la testa e tornò al suo prendere-lisciare-piegare. Sorrise.
 
Quella sera Piper si trascinò dietro i figli che l’avrebbero accompagnata per altre sei notti: secchio, scopa e straccio. Pulì l’intero corridoio prima di accorgersi di essere partita dalla direzione sbagliata, così fu costretta a pestare il suo lavoro scintillante e rifare tutto da capo.
Era china sui lavandini nei bagni del blocco D quando smise di sventolare lo straccio e osservò la propria immagine allo specchio. La sua faccia, accanto al bastone della scopa, appariva ingiallita dalla luce tremolante delle lampade.
Davvero andava OK anche così? si chiese.
Certo che no, sei in prigione, non puoi pensare di essere carina e sexy qui dentro, si rispose.
Lasciò che il bastone della scopa le scivolasse dalle mani e cadesse a terra con un frastuono di plastica. Afferrò il secchio e sgusciò via dal bagno. Uscì dalla porta che dava sul cortile e agente Bell non mutò la sua faccia disgustata quando la vide, il che era un buon segno.
“Ho un occhio fisso su di te, Chapman” la sentì dire dietro di sé.
Superò agente Maxwell, che sbadigliava davanti a quella palla invisibile del cazzo.
“Non chiedere,” disse quando Piper le venne incontro con il secchio. “Fai il tuo.”
Piper riuscì a distinguere Gina, Norma e Leanne in mezzo a un mucchio di altre ragazze che si tenevano per mano in cerchio.
“Prendo questa palla di energia blu” disse Gina ad occhi chiusi “e la passo a te.”
“Ok, ladies. Dieci minuti e fuori di qui” urlò Maxwell.
Piper entrò nella baracca abbandonata che un tempo fungeva da serra. Posò il secchio a terra e infilò la torcia presa allo spaccio tra le assi di legno. Non voleva che qualcuno la vedesse, ma non le importava farsi beccare da PornoBaffo, anche se questa volta sarebbe andata dritta in isolamento.
 

Alex aspettò che Maxwell si girasse verso la guardia all’entrata per alzarsi e sgusciare via. Aveva pensato che una serata all’aperto -anche se in mezzo a quelle svitate- fosse la cosa più vicina a una sorta di libertà. Cielo, stelle, libertà di guardare la luna forse. Una luce flebile illuminava le tegole della serra e Alex si sdraiò per terra all’entrata prima che Piper o le guardie la vedessero. Che cazzo ci faceva Piper lì dentro?
Riuscì a scostare la porta quanto bastava per vederla. I suoi capelli erano legati in una crocchia selvaggia, fu la prima cosa che notò, e ciocche bionde le ricadevano sul volto sudato. Era nuda, eccetto il reggiseno e i pantaloni della divisa sollevati e arrotolati sopra le ginocchia.
Piper fece perno su un piede e si girò verso la porta con uno strano movimento. Alex era sicura che l’avesse vista, ma quando tornò a guardare dentro la baracca, la torcia illuminava la sua schiena sudata e i polpacci sodi.
Un groppo montò dentro la gola di Alex, e non riuscì a capire se moriva dalla voglia di ridere o dirle di smetterla o afferrarle i capelli. Poi vide la carta igienica che le avvolgeva le mani e vide lo sguardo deciso e il sudore che le scivolava sull’addome, vide l’eleganza con cui i pugni colpivano un avversario invisibile davanti a lei. Guardò lo spessore delle sue cosce, la stoffa dei pantaloni che le si arrotolava attorno, resa scura dal sudore. Si alzò e si precipitò dentro la baracca. Il pugno bianco di Piper le finì sul seno e la spinse via prima che potesse finirle addosso. Piper si fermò e la guardò attonita, il respiro affannato, faticando per uscire da quella sorta di trance.
“Tu sei” Alex le si avvicinò e alzò le mani davanti al suo volto, non avrebbe voluto fare altro che prenderle il viso e baciarla “tu sei sexy. Ok?”. Lasciò che l’indecisione le facesse tremare le mani a pochi centimetri dal suo viso, poi le dita si contrassero prese da rabbia e si strinsero a pugno impotenti. Le lasciò cadere lungo i fianchi e una smorfia le attraversò il viso.
Alex si voltò e uscì.

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Capitolo 3
*** Hiding My Heart ***


“Invece no” sbottò Taystee. “Ti dico che non può essere lei.”
“E come lo sai?” Poussey lasciò penzolare il sacchetto del bucato dietro la schiena. “Non si è mai fatta vedere in Tee-Vee! E’ una cantate fantasma. Ma ti dico, T., quella voce, la riconoscerei ovunque.”
“Di che state parlando?”
Pennsatucky lanciò loro un’occhiata timida e spostò il peso del corpo da un piede all’altro, ma Taystee e P. la fulminarono con uno sguardo.
“Fatti gli affari tuoi, bianca” disse Taystee.
Doggett mosse le labbra in un “Ok” muto e tornò a girarsi verso la sua lavatrice.
“Come vuoi, P. E’ troppo magra e bianca per essere Adele comunque. E perché Adele dovrebbe essere qui al Litch?”
Taystee lasciò cadere la busta del bucato sulla scrivania in fondo alla stanza e montò su l’espressione seria e distante che usava per intimidire sconosciuti bianchi. P. fece lo stesso con il suo bucato, ma Taystee inclinò la testa da un lato e aggrottò le sopracciglia.
“Tu sei la ragazza della tipa bianca. Quella nuova.”
Alex Vause rimase indifferente, afferrò i sacchetti e li mise da parte, poi annotò qualcosa su un taccuino.
“Vuoi dire Chapman” si intromise Doggett con un orrendo sorriso senza denti.
Alex fece scorrere lo sguardo su di lei, poi tornò indifferente al taccuino e strappò un pezzo di carta giallo.
“Non è la mia ragazza.”
Taystee appoggiò le mani sul tavolo di metallo e si chinò in avanti. “Eddai, Vause. Rimarrà tra noi. Quella tipa bianca, Chapman. E’ sul serio, sai no… Adele?” bisbigliò e mosse la testa a destra e sinistra per assicurarsi che nessuno ascoltasse.
Alex mise su un sorriso irritante.
“Adele?”
“La ragazza del Someone Like You. Rolling in the deep?”
“Non so niente di Chapman.”
“Vedi P.? Te l’ho detto. Adele è solo un’idiozia che una testa di cazzo del liceo si è inventata per nascondersi dietro un microfono su Internet. Scommetto che non esiste neppure.”
“Ma…”
“Scommetto che non è nemmeno bianca. Dev’essere nera, una del ghetto. Magari è qui tra noi”
Poussey non sembrava convinta, aveva solo un’aria triste e rassegnata. Alzò le braccia e le lasciò ricadere lungo i fianchi con il suono di uno schiaffo.
“Ok, come vuoi.”
“Prendete questi” Alex consegnò loro due pezzi di carta gialli con un numero sopra “e andate a giocare ad American Idol altrove.”
Taystee e P. se ne andarono discutendo. Gli occhi di Alex e Pennsatucky si scontrarono da un angolo all’altro della lavanderia. Doggett la guardò con stampate in faccia le parole “Non credo a un cazzo di quello che dici” e sbatté la porta della lavatrice.
 
Piper canticchiava sotto la doccia. L’acqua veniva giù calda, così chiuse gli occhi e lasciò che le scorresse sul viso. Aveva seguito il consiglio di Sophia: erano le cinque di mattina e lei era sotto la doccia, nessuna fila, nessuno le lanciava strani sguardi addosso, e c’era l’acqua calda.
Una melodia che non riusciva a scacciare le ronzava in testa. Era nel “crea-canzoni-umore”, come era solito chiamarlo. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che si era sentita così, non solo in vena di cantare ma di mettere in riga, una dopo l’altra, le parole che le avrebbero riempito la voce. Ma perché qui, in prigione, e perché solo adesso?
Fermò il getto dell’acqua e si passò le mani sul viso, chiuse gli occhi.
Non posso, si disse. Non posso e basta.
Si avvolse nell’asciugamano e si infilò le ciabatte.
L’ho promesso, ho promesso che non avrei più cantato.
Scostò le tende di plastica e mosse un passò fuori dalla cabina della doccia, poi si bloccò.
Alex era girata di spalle e alzò gli occhi per guardarla attraverso lo specchio. Non mutò espressione, ma per qualche istante smise di spazzolarsi i denti. Indossava la canotta bianca che le lasciava scoperta la pelle e i tatuaggi sulle spalle e sul collo. Piper rimase ferma, gocce d’acqua cadevano dalle punte dei suoi capelli e le scivolavano sul collo e sul petto.
“Sono qui alle 5:00 ogni giorno,” Alex disse e si piegò sul lavandino. “Non ti piace, evitalo.”
“Hai fatto il mio nome.”
“Cosa?”
“Mi hai denunciata.”
“Hai portato una borsa piena di soldi. Nessuno ti ha puntato una pistola alla tempia!”
“Non avresti dovuto trascinarmi giù con te.”
“No? La storia è andata così.”
“Avevo paura.”
“Amavi quello che facevi.”
“Amavo te, Alex. Ero piena di te, ero spazzata via da te” lo sguardo di Alex sembrò ammorbidirsi. “Mi hai usato”
“Mi hai lasciato!”
“Vorrei poter…” Piper si interruppe.
This is show the story went, una melodia cantava nella sua testa.
Scacciò l’eco di quelle parole. “Stavo costruendo una vita, Alex. Avevo una casa…”
“E la chiami casa?” Alex sembrò perdere la calma e si avvicinò a Piper con l’indice puntato su di lei. “Eri solo questa povera ragazzina del Connecticut che voleva sentirsi speciale. Il tuo fidanzato potrebbe credere a queste stronzate, ma io ti conosco. Io ti conosco” ripeté, calcando la voce sulla prima parola.
I call that home
“E sì, forse ho fatto il tuo nome, perché non ti ho mai perdonata per avermi lasciata, perché mi hai spezzato il cuore”
Voltò le spalle a Piper e se ne andò. Piper sentì quelle parole innescarle un terremoto, aveva la sensazione che anni della sua vita le si stessero scrostando di dosso come le gocce d’acqua che scivolavano via dalla sua pelle bagnata. Ma c’era qualcosa, qualcosa che doveva fare.
I wish I could
Corse via dal bagno e nella foga non si accorse di aver superato Alex, che si fermò in mezzo al corridoio come se le fosse passato addosso un camion. Piper corse via lungo i corridoi, stringendosi l’asciugamano sul petto, le sue ciabatte schioccavano contro il pavimento con un suono appiccicoso.
She blew me away, continuava a ripetersi.
“Non si corre, Chapman” PornoBaffo uscì dalla guardiola addentando un panino “Sarà meglio che la smetti prima di beccarti un richiamo”
Piper rallentò, attirando l’attenzione delle altre detenute del dormitorio su di sé. Marciò con una buffa camminata al suo blocco e si precipitò a cercare qualcosa su cui scrivere.
“Ferma, ferma” Miss Claudette alzò il cucchiaio di legno dal suo fornello improvvisato. “Qui dentro non ci entri conciata così.”
Piper la ignorò. Afferrò della carta e una matita e inzuppò il foglio appoggiandovi sopra le mani e i polsi bagnati. Non le importava, doveva solo buttare giù quello che le ronzava in testa.
 
This is show the story went, scrisse.
I met someone by accident
Who blew me away, blew me away
 
Canticchiava mentre scriveva, e cantava la canzone nella sua testa. Le sarebbe servita una chitarra, ma dove diavolo poteva pensare di trovarne una?
Miss Claudette sedette sul suo letto in silenzio e lasciò cadere le mani in grembo. Un’espressione pensierosa le si dipinse in volta guardando quella ragazza bianca gocciolante, avvolta in un asciugamano, piegata con i capelli bagnati su un pezzo di carta. Fuori di testa, pensava, dev’essere proprio fuori di testa.
Quando Piper finì, scribacchiò un nome in fondo alla canzone, il suo nome segreto. Nessuno l’avrebbe mai saputo, si disse. Non avrebbe infranto nessuna promessa finché nessuno lo avesse saputo. In alto sulla pagina, in una grafia sbiadita dalla punta della matita bagnata, scrisse il nome della canzone, “Hiding My Heart”.

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Capitolo 4
*** Imaginary Enemies ***


Piper infilò una mano nella tasca della felpa e toccò il cacciavite. Avrebbe desiderato qualche altro istante di lucidità per pensare a quanto spaventata avrebbe dovuto essere. Ma l’unica cosa a cui riusciva a pensare era:
O cazzo. O cazzo. Cazzo cazzo cazzo.
Alzò gli occhi e guardò Nicky, che la osservava come se l’allarme della prigione fosse scattato e Piper si rifiutasse di sdraiarsi a terra.
“Chapman? Un camion ti è passato sopra la faccia?”
E poi c’era quest’altra ragazza, pallida e scarna, con il suo tatuaggio sul collo, che la guardava speranzosa porgendole un foglio spiegazzato.
“Ehi, cervellona, voglio chiederti una cosa,” il suo corpo si ondulava al ritmo delle parole ma quella ragazza era troppo piccola e fragile per darsi arie da gangster. “Mi aiuti con la mia richiesta d’appello? Ho sentito che sei brava in queste cose.”
Piper si limitò a guardarla. Stava ancora cercando di capire com’era possibile che quegli umani in piedi davanti a lei potessero emettere suoni dalla bocca quando lei aveva un cacciavite infilato in tasca.
“Mercy sta uscendo,” aggiunse la ragazza con il tatuaggio su collo “forse tu puoi aiutarmi con il mio caso.”
“Forse potresti dare una mano anche al mio”.
Quando Piper si girò verso la voce si trovò a pochi centimetri dagli occhiali di Alex. Una ciocca di capelli neri che le scivolava ondulata ai lati della testa le sfiorò il viso. Alex teneva le mani infilate nella felpa grigia.
“Cazzo” Piper si nascose la faccia nelle mani a coppa. “Cazzo, merda.”
Ora anche Alex sembrava allarmata.
“Che succede, Piper?”
“Mi ammazzeranno.”
Chi ti ammazzerà? avrebbe voluto chiedere Alex, ma non poteva dare a vedere alle altre quanto era spaventata. La faccia di Piper non sembrava nemmeno cosciente che Alex fosse lì.
Piper se ne andò, uno sguardo vacuo al posto degli occhi. Continuava a ripetere “Cazzo!”.
 
Due giorni dopo, era seduta in biblioteca davanti a una pila di richieste d’appello e lettere d’accusa. Ora che l’intera faccenda con Miss Claudette e il cacciavite era finita –anche se Piper non aveva idea che quello strumento di morte fosse finito tra le mani di Big Boo e poi sotto il materasso di Doggett- si era ritrovata sommersa dalle faccende legali delle altre detenute. Stava diventando una sorta di avvocato della prigione, o cosa?
Si tolse gli occhiali per leggere che aveva preso in prestito da Miss Claudette. Era stanca e le parole continuavano a saltellare e ballare e spostarsi sulle pagine. E poi, che diavolo voleva dire “incriminazione a tempo indeterminato sotto accusa di frode alimentare non costituita”?
Si alzò, si stiracchiò e lasciò che le gambe la portassero lungo i corridoi incorniciati da scaffali di libri. Fece scorrere le dita lungo i bordi e le pagine impilate in ordine sulle mensole di legno. Prima o poi si sarebbe imbattuta in qualche libro di legge che le sarebbe tornato utile. Succedeva sempre così con i libri: erano sempre loro a trovarla.
Ma sempre era una parola grossa e Piper colpì un libro che penzolava sopra una faccia. Il libro cadde spalancato a farfalla sul petto di qualcuno sdraiato a terra.
“Oh, mi dispiace…”
“Ti viene sempre così naturale inciamparmi addosso?”
Alex si alzò a sedere appoggiando la schiena agli scaffali, incrociò le gambe sotto il sedere, poi si levò gli occhiali e li sistemò sulla testa. I capelli le si sollevarono sopra le orecchie, scoprendo la fronte ampia e Piper si stupì di quanto sembrassero nuovi i suoi occhi. Inclinò la testa da un lato e aggrottò le sopracciglia.
“Devo ammettere di sì, hai ragione. Che cosa ci fai qui?”
“Stai dicendo che non potrei essere una signora di classe che legge libri per auto-acculturarsi in una biblioteca?”
Piper gonfiò le guance e mosse gli occhi agitati tutt’attorno ad Alex cercando una risposta.
“Dio mio, no.” scoppiò a ridere.
Anche Alex rise.
“E tu che cosa ci fai dentro la tua casa, verme da biblioteca?”
Piper sedette contro gli scaffali dietro di sé e strinse le ginocchia contro il petto.
“Cerco di capire come una “frode” possa essere “illegale” e “alimentare” allo stesso tempo. Oh e, butto giù una dozzina di richieste d’appello.”
Rimasero in silenzio per un po’, a guardarsi.
“Posso provare i tuoi occhiali?”
Il sorriso sulle labbra di Alex si allargò. “Perché?”
“Non l’ho mai fatto, ora che ci penso. Non ti ho mai preso in giro per i tuoi occhiali” si rese conto Piper con sorpresa “e non li ho neanche mai provati.”
Alex li tolse lentamente, e la mano che si alzava e i capelli che le si scompigliavano sembravano procedere al rallentatore. Quel sorriso, Dio, quel sorriso fece sentire Piper come se stesse facendo la cosa giusta, a esistere lì, sulla Terra, seduta sul pavimento nella biblioteca di una prigione con Alex.
Nell’allungarsi per afferrare gli occhiali le loro dita si toccarono e una scossa calda sembrò attraversarle, e Piper vide negli occhi di Alex che non era stata l’unica a pensarlo.
“Ti stanno bene.”
“Mmh. Una richiesta di revisione da parte di un organo giudiziario superiore non è prevista entro i termini sottoscritti.” lesse dal foglio spiegazzato che aveva tirato fuori dalla tasca. “Come faccio ad aiutarle se anche le parole sono contro di loro? Così incasinate. La maggior parte delle donne marcisce qui dentro più per colpa della burocrazia che per i crimini commessi.”
Alzò lo sguardo dal foglio e vide come Alex la guardava, presa e persa come se Piper stesse leggendo un incantesimo o recitando Shakespeare. Le piaceva, quel modo che Alex aveva di guardarla.
“Ti andrebbe di essere la mia amica immaginaria?” le chiese Piper.
“Perché immaginaria? Così non esisto?”
“No, nonono” Piper si alzò sui talloni e puntò i palmi delle mani verso Alex, affrettandosi a correggere. “Non intendevo questo. E’ un trucco, capisci? Così non saremo veramente amiche e non potremo litigare e smettere di esserlo.”
Alex sollevò le labbra e le sopracciglia, sembrava impressionata.
“Se questo ci aiuterà a smettere di essere Nemiche Immaginarie, ci sto.”
“Quindi sì?”
“Sì.”

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Capitolo 5
*** Cold grass ***


“Suppongo di doverti chiedere che cazzo ci fai qui,” Nicky si appoggiò le mani sulle anche e fissò Piper da dietro un sipario di folti capelli. “Dio, non hai un’aria molto sexy.”
“Essere lasciata a morire di fame non è sexy” rispose Piper, la voce priva di inflessione.
Morello e Vause spuntarono fuori dietro le spalle di Nicky.
“Cosa? Perché ti lasciano morire di fame? Stai bene?” Alex si lasciò cadere sulle ginocchia accanto a lei, le sue mani la raggiunsero e Piper sentì il tocco delicato delle sue dita attraverso la spessa stoffa che le ricopriva il braccio. Alex la fissò con uno sguardo allarmato.
“Red è ancora arrabbiata per quella storia della gallina?” chiese Lorna, con quel tono infantile per metà sexy e per l’altra metà irritante.
Piper annuì, senza spostare lo sguardo sulle detenute che la circondavano. Si rese conto che non avrebbe avuto le energie per farlo. Rimase immobile, lo sguardo fisso sulle nuvole grigie sopra la testa, nella stessa posizione in cui si trovava da ore. Quella mattina dopo colazione, l’ennesima colazione di cui veniva privata, era uscita in cortile e aveva raggiunto la recinzione. Ricordava di aver camminato per un po’ come un fantasma, facendo scorrere le dita pallide sul metallo freddo del recinto e guardando con sguardo assente il lago dall’altra parte. A un certo punto doveva aver deciso di sdraiarsi a terra, anche se non ricordava quando e perché. Forse era per colpa della fame che la divorava, o stava forse perdendo la memoria sul serio?
“Senti, Chapman, Momma ha sbagliato stavolta, ok? Quindi tirati su e torna dentro prima che inizi la conta o ti daranno un altro paio d’anni in prigione per tentata fuga” alzò le braccia e si guardò attorno furibonda “in un cazzo di cortile. Io e Lorna andiamo a parlare con Red. Vieni Lorna.”
Nicky lanciò un’ultima occhiata ad Alex mentre guidava via Lorna con una mano sulla schiena. Piper non vide quello sguardo, ma se lo avesse visto avrebbe forse notato uno scintillio di speranza e di maligno incitamento sei suoi occhi. Quando non sentì più i loro passi Piper allungò la mano e afferrò la recinzione ancora una volta, come se quel gesto potesse portarla via dalla prigione e portarla vicino al lago, di nuovo nella sua vecchia vita libera.
Sentì una morbida mano chiuderle le dita attorno alla guancia e quando si girò vide che Alex era ancora lì, linee di preoccupazione disegnate sulla sua fronte.
Alex è qui? Perché Alex è qui? si chiese Piper. Non era andata…Dio, la sto perdendo, sto perdendo la testa.
“Posso sdraiarmi qui con te?”
Piper si limitò a fissare i suoi scarponi pesanti e il modo in cui schiacciavano l’erba sottostante.
“OK”.
Alex le si sdraiò così vicino che Piper si sentì attraversare dai brividi quando le punte delle sue dita toccarono quelle di Alex. Con la coda dell’occhio la vide guardare il cielo sopra di sé. All’improvviso Piper sembrò dimenticare quanto fosse fredda l’erba su cui era sdraiata e quanto fastidiosa fosse la sensazione dei suoi capelli bagnati sparsi a terra. Sentì una vampata di calore infiammarle il volto.
“E’ carino qui.” disse Alex.
“Mmh.”
“Ma tu non hai un bel aspetto.”
Perché?”
Perché cosa?”
“Se tu non sei la stronza che ha fatto il mio nome allora io sono la stronza che ti ha lasciato quando tua madre è morta e ti ha ignorato e ha fatto finta di odiarti per tutti questi anni.”
“Mi odi?” Alex voltò la testa sull’erba bagnata dalla rugiada in modo da poterla guardare negli occhi. Fissò le ciocche bionde di capelli che le incorniciavano i contorni perfetti del volto. Piper sentì il suo fiato caldo nell’orecchio.
“No. Ma credo di averlo desiderato così tanto che ho finito per consumare tutti i motivi per cui odiarti. Ma perché, Alex? Perché, nonostante tutto questo, sei qui? Perché sei qui sdraiata accanto a me?”
Piper voltò la testa a sua volta e incontrò i suoi occhi. I suoi eleganti capelli corvini le circondavano il collo e Piper si sentì libera di perdersi nei suoi occhi. Erano la sua casa, dopo tutto, e anche se immergersi in quelle isole verdi era un diritto che non poteva più permettersi, lo stesso sentiva che gli occhi di Alex erano l’unico posto giusto in cui avrebbe dovuto essere. Non su quella stupida erba schifosa nel cortile della prigione vicino a un recinto di morte con quel cielo grigio e la sua illusoria promessa di libertà, ma negli occhi caldi di Alex. Non c’erano molte persone con cui avrebbe potuto passare un’eternità solo a guardarsi l’una negli occhi dell’altra, come se stesse offrendo il suo cuore a mani nude. In realtà, non c’era nessuno, c’era solo Alex.
Alex socchiuse le labbra e un sottile filo d’aria vi passò attraverso. Sembrava volesse dire qualcosa e la risposta alla domanda di Piper era lì, fluttuava nell’aria aspettando che la tensione sparisse. Piper voleva quella risposta, ardeva nel desiderio di sentirglielo dire.
Ma Alex rischiuse le labbra e mantenne gli occhi fissi dentro quelli di Piper. La sua mano si alzò a sfiorare appena la guancia di Piper, un tocco così leggero che Piper dovette convincersi fosse successo davvero.
Tu mi odi?”
“L’ho fatto. Ti ho odiata per tanto, tanto tempo. Ma non più.”
Rimasero in silenzio sull’erba bagnata, guardandosi a vicenda attraverso quei cieli di ricordi e parole non dette.
 

Piper teneva l’appendino davanti al viso. Un elegante vestito rosso era appeso sopra e Piper lo premette contro il girovita e oscillò leggera a destra e sinistra, osservando la sua immagine nello specchio. Liberò una mano dalla presa sull’appendino e la usò per sistemarsi i capelli sul lato del collo. Poi inclinò la testa bionda da una parte e dall’altra.
“Sono carina? Che ne dici di quello rosso?” chiese, girandosi con il vestito premuto addosso. Alex alzò gli occhi dal libro aperto in grembo. Era sdraiata a letto, la schiena appoggiata contro la testiera. Un paio di shorts neri le ricoprivano la parte alta delle cosce, lasciando scoperte le sue lunghe gambe, distese tra le lenzuola disordinate in cui avevano appena fatto l’amore. Guardando la sua pelle liscia e il modo in cui piegò un ginocchio contro il petto, Piper si rese conto che non avrebbe mai dovuto alzarsi da letto. Non smetteva mai di voler fare l’amore con lei.
“Mmh.” disse Alex.
Piper si precipitò a prendere il vestito blu e lo premette contro quello rosso.
“Meglio blu?”
“Forse devo guardarlo più da vicino” si tolse gli occhiali e chiuse gli occhi mentre i capelli le si scompigliavano. “Non riesco a vederlo bene.”
“Be, dovrai venire a vederlo tu stessa” Piper sollevò il mento e sorrise maliziosa.
Alex alzò una mano e piegò l’indice verso Piper due volte, poi batté il palmo della mano sul cuscino vuoto accanto a sé.
“Mh-mh,” Pipes scosse la testa. “Blu o rosso? Prima deve scegliere, signora, e solo dopo potrei acconsentire alle sue condizioni”
Alex si alzò sulle ginocchia e raggiunse il lato del letto da cui Piper si trovava, senza mai distoglierle lo sguardo di dosso.
“Posso sapere qual è l’occasione?”
Piper sentì le mani di Alex avvolgerle la vita e brividi le attraversarono la schiena mentre un groppo le saliva in gola, impedendole di parlare.
“Mmh…be. Voglio solo essere carina per la mia ragazza stasera” Piper mollò entrambi i vestiti e intrecciò le dita dietro il collo di Alex e le lasciò scivolare lente sulla sua schiena, i palmi delle mani sentivano il pieno calore della sua pelle.
“Le consiglio il vestito rosso che le si incolla addosso alla perfezione, signorina, ma solo per…” fece un sorrisetto e bisbigliò davanti ai capelli che le coprivano l’orecchio “strappartelo di dosso dopo”
Gli appendini caddero a terra con un clangore metallico. Alex la tirò a sé e la baciò, e tutta la tensione erotica che si era accumulata fra di loro si sciolse dentro lo stomaco di Piper come gelato bollente, la avvolse in ogni parte del corpo.
“No, aspetta, no” cercò di liberarsi da quel bacio appassionato, le sue labbra sorridevano contro quelle di Alex mentre respirava ansimante. “Sul serio, devi sceglierne uno. Devo prepararmi per stase…”
Piper si sforzò di slegarsi dalla sua presa e indietreggiò finché entrambe si ritrovarono con le mani intrecciate e le braccia allungate l’una verso l’altra. Alex, in ginocchio sul margine del letto, si lasciò trascinare via e caddero entrambe a terra, in un caos di lenzuola bianche e vestiti rosso e blu. Rotolarono sul tappeto della loro stanza d’albergo e si avvinghiarono strette. Le loro labbra non si staccarono mai, nemmeno per respirare.
Piper si sentiva schiacciare il petto da una strana sensazione, da quanto forte voleva continuare a baciarla e toglierle i vestiti e accarezzare ogni suo angolo di pelle. Ma, mentre teneva il corpo e le labbra premute contro quelle di Alex, sentì che qualcosa di più grande le cresceva dentro, qualcosa che doveva dirle. Staccò le sue labbra dal bacio, sedette sopra Alex e le afferrò il viso tra le mani.
“Ti amo” le baciò le labbra e gli occhi e le guance con un “Ti amo” tra ogni bacio.
“Ti amo anch’io, Pipes” Alex appariva stupita, le passò una mano tra i capelli accarezzandoli.
“Ti amo.”
“Ti amo anch’io.”
“Non voglio che ti succeda niente di male, mai.”
“Non mi succederà mai niente di male, finché sarai con me.”
Piper alzò la testa e sfoggiò un sorriso brillante, gli occhi scintillanti. Ma qualcosa non andava e Alex evitava il suo sguardo. Il suo volto era diventato serio e distante all’improvviso e Piper pensò di riuscire a leggervi sopra senso di colpa. Alex afferrò le punte bionde dei capelli di Piper e cominciò ad arrotolarli attorno alle dita.
Piper si lasciò cadere al suo fianco, tenendo una mano sul suo petto e accarezzandole la fronte e i capelli con l’altra.
“Che succede, amore?”
“Non mi hai mai chiamata amore
“Tu sei il mio amore” avvolse il viso di Alex tra le sue mani e posò le labbra sulle sue, chiuse gli occhi durante quel breve istante.
“Allora promettimi che smetterai di cantare.”
Piper la guardò con uno sguardo smarrito. Tolse la mano dal viso di Alex e si allontanò.
“Cosa?”
Devi smettere di cantare, Piper” Alex si alzò, sostenendosi sui gomiti. “Stai diventando famosa. Le tue canzoni girano il mondo. Kubra crede che questo attirerà troppa attenzione sugli affari”
“Non capis…”
“Se continuerai a cantare la gente ti amerà e non appena ti amerà comincerà a fare domande. E da lì non ci vorrà molto perché arrivino a me. Con te così in bella vista, Kubra saprà sempre dove siamo e, se qualcosa va storto ci troverà. Lui mi troverà.”
“Ma tesoro, non ci…”
“Siamo in pericolo, Piper! Non puoi essere una cantante famosa e girare il mondo e pretendere di essere al sicuro, quando la tua ragazza è una spacciatrice che lavora per un boss vendicativo del cazzo!”
Piper spostò il peso del corpo all’indietro, sui palmi delle mani premuti contro il pavimento. Scosse la testa incredula. Alex le si sedette di fronte e le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Piper lasciò scorrere lo sguardo sulle sue labbra e di nuovo nei suoi occhi.
“Ho paura che ti succeda qualcosa, Piper. E se succede, se succede qualcosa lui…” distolse lo sguardo. “Non voglio che ti succeda niente di male. Promettimelo. Hai detto di amarmi. Ti prego.”
Rimasero a guardarsi negli occhi per un tempo interminabile. Il viso di Piper era una maschera scura di indifferenza, finché accarezzò il collo e le guance di Alex e la fece sdraiare sul pavimento. Piegò le ginocchia contro il petto e guardò dritto dentro i suoi occhi.
“Ti amo. Prometto che non canterò. Mai più.”
L’espressione sul volto di Alex si illuminò di sollievo. Piper sorrise, e anche se sentiva come se avesse appena strappato via e schiacciato un pezzo di sé, era contenta di far diventare così felice la persona che amava di più sulla terra. Mando giù un groppo amaro che stava risalendo lungo la gola e lo spinse giù in profondità, dove non avrebbe più potuto ritrovarlo.
Alex le baciò il viso e il collo e la strinse a sé. Con quel gusto amaro in bocca Piper pensò che se era quello il prezzo da pagare perché Alex fosse al sicuro e sempre con lei, non era niente.
Rimasero sdraiate sul pavimento e Piper le accarezzò i capelli finché Alex si addormentò.
Prometto.

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Capitolo 6
*** Sta a te, ragazzina ***


Questo capitolo riguarda il momento in cui Alex e Piper si lasciano a Parigi. L’ho scritto sotto forma di un flashback che spero tornerà utile per capire meglio come sono andate le cose. Odio che Piper abbia lasciato Alex quando sua madre è morta, così ho messo su questa versione della storia che spero stia in piedi. In realtà volevo fosse un breve ricordo in mezzo ad Alex e Piper in prigione, ma è venuto fuori molto più lungo di quanto mi aspettassi, il resto sarà nel prossimo capitolo. Grazie e buona lettura!
 

Piper saltò sul letto, si sdraiò sulla pancia e piegò le gambe all’altezza delle ginocchia. Indossava una maglia a strisce bianche e blu e il seno le premeva contro un cuscino. Si concentrò sulle punte blu dei capelli di Alex, che le penzolavano ribelli sulla schiena. Guardando quelle punte, si rese conto che Alex non si era nemmeno accorta Piper fosse entrata nella stanza.
“Alex, mi manchi” disse, sventolando le gambe nell’aria e colpendosi il sedere con i tacchi delle scarpe.
“Non ho tempo.”
“Ma sono così carina. Guarda come sono carina.” Alex non scostò mai lo sguardo dallo schermo del computer, nemmeno per un istante.
“Tesoro, mi dispiace tanto. Sono sotto stress adesso.”
“Lo sei sempre. Non riesco a fare a meno di pensare…” voltò le spalle ad Alex e sedette sul margine del letto. Le mani afferrarono con forza le lenzuola, facendole diventare le nocche bianche. “E’ questa la nostra vita ora?”
Rimase ferma, aspettando una risposta che non arrivò. Sentiva il sangue scorrerle nel corpo con rabbia, e nel silenzio funereo che sedette sulla loro stanza d’albergo a Parigi, le uniche cose che Piper riuscì a sentire furono i click del mouse di Alex e il battito del proprio cuore. Si ritrovò a battere il ritmo costante del suo cuore con il tacco della scarpa sul pavimento di legno, senza nemmeno accorgersene.
We could have had it all, era quello a cui non riusciva a fare a meno di pensare.
Quasi cadde a terra nella foga con cui si alzò e si precipitò verso il cassetto del comodino. Lo aprì con violenza e buttò sottosopra tutti i fogli che vi custodiva dentro. Sfogliò tra le pagine che riportavano la sua scritta a matita e trovò quello che stava cercando, canticchiando quel ritmo coinvolgente nella testa. Afferrò una matita e si piegò sulle pagine a terra.
I can’t help feeling
We could have had it all, scrisse sotto i versi che aveva buttato giù tempo prima.
“Piper? Che stai facendo?”
Alex si era alzata dal computer ed era in piedi di fronte a lei. La prima cosa che Piper notò sollevando gli occhi furono gli skinny jeans neri che le avvolgevano le gambe. Era furiosa.
“N-niente.”
“Sul serio, pensi che non lo sappia? Nascondi quei cazzo di fogli nel tuo cassetto!”
“Sono solo cose che scrivo, Alex, non…”
“Ho bisogno che tu smetta di farlo per me. Hai promesso.”
“Ti ho detto che non l’avrei più fatto. E non ho cantato” si alzò per affrontarla puntandole addosso l’indice. “Butto giù a matita la merda che sento in questa vita del cazzo che abbiamo, e di cui non ti importa niente!”
“Gesù, vita del cazzo? Non osare dare la colpa a me!”
“Non posso più nemmeno scrivere ora? Non ti fidi di me.” sollevò la pagina con la nuova canzone che stava scrivendo e la agitò nell’aria. “Tu puoi controllare me e tutto quello che faccio come se non fossi altro che un ennesimo mulo per la tua droga.”
“Sapevi esattamente in che cosa ti stavi cacciando. E se questa è una vita del cazzo per te, stare con una spacciatrice di droga, be sai cosa? La tua vita farebbe ancora più schifo senza di me. Perché sei debole.”
Piper sentì i muscoli della faccia abbandonarla e gli occhi precipitarono in un pozzo di tristezza. Sentiva che lacrime le stavano salendo agli occhi, per dimostrare ad Alex quanto aveva ragione e quanto Piper era davvero difettosa e debole. Ma non aveva intenzione di lasciare che accadesse. Chiuse le mani penzolanti sui fianchi a pugni.
“E tu, Alex” disse, avvicinandosi a lei. “Tu stai distruggendo tutto quello che c’è di buono nella tua vita.”
Si precipitò sulla porta e la sbatté con forza dietro di sé. Pensò di tornare dentro e dirle “vaffanculo” ma al solo pensiero gli occhi le si riempirono delle lacrime che aveva cercato di tenere lontano. Si coprì la bocca con una mano e corse giù per le scale, senza vedere dietro gli occhi appannati e senza sapere dove le gambe l’avrebbero portata.
Quando arrivò nell’atrio dell’hotel si rese conto che doveva avere l’aspetto di un clown, da come la gente la fissava. I suoi capelli erano in disordine, stava piangendo e la sua faccia era coperta da trucco e lacrime.
Entrò nel bar, una piccola stanza male illuminata con deboli luci accese negli angoli. I pochi avventori sedevano tutti ai tavoli o al bancone del bar, gli occhi vacui persi nei bicchieri che avevano ordinato. Un’esile ragazzina dai lunghi capelli neri si nascondeva dietro una chitarra sul palco, bisbigliando una canzone popolare con una voce così debole che nessuno sentiva. Piper camminò verso il palco, un bagliore resoluto negli occhi. Un tipo con le braccia incrociate sul petto fissava la ragazzina in scena con uno sguardo disgustato. Piper picchiettò sulla sua spalla.
“Ho una canzone” disse.
“Anch’io, ragazzina. Tutti noi ce l’abbiamo” rispose, senza disturbarsi a guardarla.
“Voglio cantare.”
Farfalle le solleticarono l’interno dello stomaco, mentre sputava fuori quelle parole e si sentiva come se stesse mettendo le corna ad Alex. Perlomeno, alla promessa che aveva fatto ad Alex.
“Che cosa sei, ubriaca? Cazzo di tossica.”
Le voltò le spalle. Piper aspettò che la canzone finisse, ascoltò il triste silenzio privo di applausi che seguì, poi si precipitò sulla scalinata che conduceva al palco. Afferrò la chitarra dalle mani della ragazzina dai capelli lunghi –in realtà aveva più l’aspetto di una bimba di sei anni- e sedette sull’alto sgabello in mezzo al palco.  La ragazza si limitò a fissarla con aria terrificata, torturandosi le mani prima di correre via.
Piper sistemò un piede sulla barra di metallo dello sgabello e pose la chitarra sulla coscia. Spinse via il microfono, non ne avrebbe avuto bisogno e in più il tizio con le braccia incrociate sul petto lo avrebbe spento comunque. Si guardò attorno. I pochi clienti nel bar la fissavano come se fosse una drogata pazza, sì, ma almeno aveva la loro attenzione.
“Che diavolo, ragazzina, scendi di lì o chiamo subito…”
La voce greve degli accordi sulla chitarra si intonarono con le prime parole che vennero fuori con la sua voce potente.
“There’s a fire, starting in my heart”
Non si sentiva come se il tempo si fosse fermato, ma come se lei avesse fermato il tempo.
“Reaching a fever pitch, it’s bringing me out the dark”
Le sue orecchie erano piene della sue stessa voce, e non poté quindi sentire il silenzio che era sceso sulla piccola stanza male illuminata e piena di fumo del bar. Il barista smise di pulire le impronte appiccicose lasciate dai bicchieri sul bancone e la guardò.
“Finally I can see you crystal clear
Go ‘head and sell me out and I’ll lay your ship bare”
La gente in piedi nell’atrio dell’hotel, con i loro cocktails in mano e i loro finti sorrisi in faccia sentirono quella voce ed entrarono nel bar.
“The scars of your love remind me of us
They keep me thinking that we almost had it all”
Un uomo era seduto a un tavolo nell’angolo più buio della sala. Sollevò il gomito sopra la fronte e spinse indietro la testa mentre si versava un liquido bruciante in gola. Sbatté il bicchiere sul tavolo di legno e si pulì la bocca con il dorso della mano. Non distolse mai gli occhi da Piper.
“I can’t help feeling
We could have had it all”
Calcò l’ultima parola e riempì quello squallido bar di un hotel di Parigi con una delle voci più potenti che il mondo della musica non aveva ancora conosciuto. Cantò il suo futuro single e quando ebbe finito si precipitò giù dal palco piangendo. L’uomo che pochi minuti prima l’aveva chiamata “tossica del cazzo” si spostò per lasciarla passare, la bocca socchiusa e le braccia ora penzoloni sui fianchi. E così fecero tutti gli altri dentro quella sala, voltando la testa per seguire la scia che la sua voce sembrava aver lasciato nell’aria. L’uomo al tavolo nell’angolo posò alcune banconote sul tavolo, si aggiustò la costosa giacca beige e la seguì.
Fuori stava arrivando una tempesta. Piper alzò gli occhi verso le nuvole grigie e desiderò che quel vento violentò la spazzasse via come faceva con le foglie degli alberi nel giardino dell’hotel. Ma non successe, e rimase lì come una stupida con le braccia spalancate in orizzontale. Il vento scuoteva i grandi alberi e minacciava di portare via gli ombrelloni e le sdraio vicino alla piscina.
La pioggia venne giù selvaggia e in pochi istanti le gocce le sferzavano la faccia e le graffiavano la pelle. Acqua e vento e freddo la avvolsero mentre un tuono esplose in cielo.
“Quello che hai fatto non porterà a nulla di buono, ragazzina” sentì una voce gridare dietro di lei. Si girò a guardare la sagoma beige di un uomo in piedi sotto la pioggia, il mento spinto contro il petto e le mani in tasca. Riusciva a malapena a distinguerlo attraverso la fitta pioggia.
“Fahri? Sei tu?” urlò, sperando che la sua voce potesse sovrastare il frastuono della tempesta.
“Bel motivetto, quello di prima, huh? Chi avrebbe mai detto che Piper Chapman si sarebbe rivelata così…speciale?”
Qualcosa nella sua voce e nel modo in cui le venne incontro, con le spalle alzate a proteggersi dal furore del temporale, fece sentire Piper a disagio. C’era qualcosa di minaccioso in lui.
“Non terrai chiusa la tua bella boccuccia, non è così? Non preoccuparti, puoi continuare a fingere che la tua vita sia un musical.”
“Fahri? Va tutto OK? Perché non andiamo a parlare in un pos…”
“Non ci interessa se vuoi dire al mondo intero chi è Kubra o per quale cartello di droga lavora la tua ragazza” Piper riusciva a malapena a sentirlo. Ora era così vicino a lei che solo pochi centimetri li separavano. “Puoi continuare a cantare finché vuoi. E’ che a Kubra non piace la musica tanto quanto gli piace essere disobbedito. Ti manda un messaggio.”
Non ebbe il tempo di chiedere quale fosse il messaggio. La mente può essere così stupida, si ricordò di aver pensato. Mentre Fahri sollevava il braccio e muoveva l’intero corpo verso di lei, l’unica cosa che poté fare fu ammirare l’eleganza di quello scatto felino.
Il suo pugno destro la raggiunse sotto l’occhio sinistro con la stessa furia del tuono che rimbombò sopra di loro. Mentre la sua testa colpiva l’asfalto invaso dall’acqua, pensò che non avrebbe mai più aperto gli occhi.
“Kubra pensa che tu stia rovinando gli affari e Alex. Quindi lascerai Alex. Prenderai le tue canzoni infantili e te ne andrai e non tornerai mai più. Dille che non la ami, che non l’hai mai amata.” Piper si afferrò la parte del viso che le bruciava di dolore, mentre l’acqua le entrava nei vestiti e nelle orecchie. Fissò l’imponente figura di Fahri che si ergeva sopra di lei, la pioggia colava giù dal suo completo beige. Fahri si piegò su di lei e abbassò la voce a un sussurro.
“Se non lo fai, Alex muore prima che tu abbia il tempo di cambiare idea. Poi verremmo a prenderti, e Kubra in persona si occuperà di tagliarti via la bocca. Sta a te, ragazzina.”
Piper chiuse gli occhi e lasciò cadere la testa sull’asfalto mentre gocce violente le picchiavano la faccia. Il vento portò altra acqua ad inzupparle i vestiti, appicciati alla sua pelle, e rimase lì per un tempo infinito. Non era sicura se quello che era appena successo fosse stata un’allucinazione causata dal suo cuore spezzato o dalla tempesta violenta. Ma quando si alzò barcollante, attraversò l’atrio dell’hotel ed entrò in ascensore, catturando gli sguardi allarmati della gente attorno, si rese conto che doveva essere successo davvero. Rimase immobile mentre l’ascensore la guidava attraverso l’edificio, fissando la sua immagine gocciolante nello specchio. Sangue le usciva dalle labbra e un livido viola le si stava gonfiando sotto l’occhio, ma non osò toccarlo. Mosse i primi passi fuori dall’ascensore, tirò fuori la chiave elettronica e la passò attraverso la porta.
Il primo pensiero che la atterrì fu che Kubra avesse inviato il suo messaggio anche ad Alex. I cuscini erano sparsi per la stanza, la sedia di fronte al computer era rovesciata sul pavimento e diede a Piper un senso nauseante di caos. Una valigia nera era spalancata a terra con un mucchio di vestiti buttati dentro.
“Alex?” bisbigliò, mandando giù il dolore che quella singola parola era costata alla sua faccia dolorante.
Alex le volgeva la schiena. Sedeva sul margine del letto opposto alla porta, le mani riposavano inerti in grembo e gli occhi erano fissi su un punto vuoto dritto davanti a sé.
“Alex? Cosa succede?” entrò nella stanza e i suoi passi la fecero sobbalzare. Si voltò verso Piper e la sua faccia sembrò sgretolarsi come un puzzle rotto.
“Piper? O mio Dio” si alzò e le corse incontro. “Dove sei stata, chi…” alzò le mani verso la faccia di Piper con uno sguardo atterrito, le afferrò le spalle e la scosse con dolcezza. “Chi ti ha fatto questo?”
“E’ tutto OK, Alex. Ho solo…c’era un temporale e non…” scoppiò a piangere.
Alex le afferrò i polsi e la trascinò a letto, guidandola a sedersi.
“Prendo degli asciugamani, OK?”
Spalancò la porta del freezer. Le mani le tremavano mentre prendeva una busta di ghiaccio, Piper notò. Poi corse verso il bagno e ne uscì tenendo in mano un asciugamano pulito. Come le stavano bene quei jeans neri, fu l’unica cosa cui Piper riuscì a pensare. Alex le si inginocchiò ai piedi e posò con delicatezza la busta di ghiaccio sullo zigomo ammaccato. Piper sobbalzò e si lasciò sfuggire un gemito. Alex afferrò la guancia sana di Piper con una mano.
“Puoi dirmi cos’è successo, piccola?”
Piper scosse la testa, chiuse gli occhi e pianse. Sentì Alex accarezzarle i capelli con l’asciugamano e premerle il ghiaccio sulla ferita. Gemette ancora.
“Scusa” un piccolo sorriso preoccupato le incurvò le labbra e sparì subito dopo.
“Che succede, Alex?”
Quelle parole la fecero precipitare di nuovo nei suoi pensieri. Alex distolse lo sguardo e cadde nello stato di trance in cui Piper l’aveva trovata entrando nella stanza.
“Mia mamma è morta.”
“Cosa? Tesoro…Diane è morta?” la sua voce inciampò sulle parole che non aveva e si sentì spazzata via.
“Mi dispiace così tanto, Alex.”
Si lasciò cadere in ginocchio di fronte a lei e l’abbracciò. Sistemò la testa di Alex nell’incavo della spalla. Il suo corpo fu scosso dai singhiozzi e Piper la tenne stretta a sé.
“Alex muore prima che tu abbia il tempo di cambiare idea”, la voce di Fahri le rimbalzò in testa.
Scoppiò a piangere anche lei, violenti singhiozzi la fecero tremare. Alex le afferrò la maglia bagnata sulla schiena e la strinse nel pugno mentre tirava Piper a sé. Piper non sapeva se le lacrime che stava versando fossero per quello che era appena successo o per la mamma di Alex. Forse entrambe le cose.
“Andrà bene, amore. Un giorno tutto andrà bene di nuovo, prometto.”
Sussurrandole nell’orecchio, Piper notò sparse a terra le pagine scritte a matita per cui avevano litigato secoli prima, e si sentì disgustata da se stessa. Disgustata perché Fahri aveva ragione, era solo una stupida ragazzina che cercava attenzione. Aveva infranto la promessa fatta ad Alex cantando nel bar dell’hotel e ora stava per farla uccidere solo perché non sapeva tenere la bocca chiusa. Forse Fahri aveva davvero ragione e non l’amava, non l’aveva mai amata perché non era in grado di sacrificarsi nemmeno perché fosse viva e al sicuro.
“Ti amo così tanto. Ti amo così tanto. Starai bene” i singhiozzi di Alex sembrarono calmarsi e si liberò dalle braccia di Piper per guardarla negli occhi. Aveva sentito quello strano tono nella sua voce.
“Dobbiamo…dobbiamo tornare. Prenoto i biglietti dell’aereo così possiamo tornare” stava per alzarsi quando Piper le strinse il braccio e le afferrò il viso tra le mani. Guardò la sua espressione fragile, gli occhi gonfi e rossi dal pianto e si sentì spezzare dentro.
“Ascoltami, Alex. Torno indietro con te. Ma questo non cambia niente. Non posso più essere la tua ragazza.”
“Cosa? Piper, mia madre è appena…”
“Me ne andrò, tesoro” non poté evitare che la faccia le si frantumasse. Sentiva una mano dentro di lei che le stava tirando fuori il cuore e lo stomaco per farli a pezzi.
Alex corrugò la fronte e le sopracciglia. Abbassò lo sguardo sul sangue agli angoli delle sue labbra, con uno scintillio negli occhi, come se solo ora stesse realizzando che qualcosa di molto brutto doveva esserle successo.
“Piper, devi dirmi che cosa è successo.”
Piper chiuse gli occhi e aprì la bocca per parlarle ma la faccia le si contrasse in un’espressione d’agonia.
Lascerai Alex. Dille che non la ami, che non l’hai mai amata.”, le aveva detto Fahri.
Appoggiò la propria fronte contro quella di Alex e rimase lì a occhi chiusi.
“Non posso” disse infine. “Non posso e basta.”
Si liberò dalla stretta di Alex e corse verso l’armadio. Cominciò a tirare fuori i vestiti e buttarli in valigia. Alex rimase sul pavimento, a guardarsi i palmi delle mani.

 

Grazie di essere arrivati fin qui. Il prossimo capitolo dovrebbe concentrarsi sulla litigata in lavanderia e chiarire alcune altre cose su come Piper è stata costretta a lasciare Alex. Sto anche pensando di scrivere un capitolo sulla loro rottura di Parigi dal punto di vista di Alex. So che le cose tra loro due sono un po’ dure in questo momento, ma vi assicuro che amo la coppia Vauseman e ci saranno molti capitoli di dolcezze e coccole appena finito di spiegare che cosa è successo in passato. Grazie ancora!

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Capitolo 7
*** Be my little spoon ***


Ho cambiato idea e deciso che non ci sarebbe stata nessuna litigata in lavanderia. Avevo solo bisogno di alcuni momenti di dolcezze Vauseman e spero che questo capitolo risponda alle vostre aspettative. Ho deciso di tenere il momento di “I heart you” in inglese, pensando che qualsiasi traduzione non potrebbe che sminuirlo. Buona lettura!
 
Piper appoggiò la testa contro il muro. Chiuse gli occhi, anche se non faceva alcuna differenza: quell’irritante luce gialla continuava a lampeggiare sul soffitto e non c’era modo per smettere di vederla. I ricordi continuavano a tornare a galla, soprattutto ricordi di lei e Alex, dato che Alex era la ragione per cui Piper si trovava in isolamento. Si rese conto che era forse questo il motivo per cui tutte le altre detenute urlavano e colpivano le porte e si strappavano i capelli: i ricordi continuavano a tornare, ma non potevi permettere che ti toccassero dentro quella scatola di cemento. Così, andavano tutte fuori di testa. Sospettava di essere diventata pazza anche lei.
“Ti chiamerò Rebecca” disse ad occhi chiusi. Picchiettò distratta contro la presa d’aria sul muro con le nocche. “Ti stai solo prendendo gioco di me e probabilmente sei qui da qualcosa come nove ore, non nove mesi.”
Si grattò il mento con le unghie sporche e agitò la mano nell’aria per scacciare una mosca che le ronzava attorno. Davvero? Davvero quella mosca le ronzava attorno o la sua mente si stava prendendo gioco di lei? Quella Rebecca era reale, perlomeno? Perché non rispondeva?
Prese a pugni l’apertura dell’aria sul muro e vi infilò le unghie dentro e cominciò a tirare via la rete metallica. Si fermò quando si accorse delle impronte rosse che le sue mani vi avevano lasciato sopra. C’era sangue incrostato sotto le sue unghie e sangue fresco le usciva dalle cicatrici sulle nocche. Rimase immobile a fissarsi le ferite con la bocca spalancata. Fu colpita da un pensiero improvviso. Quanto tempo era passato? Da quanto tempo era lì dentro?
“Rebecca? Sto perdendo la testa? Credi che Kubra abbia ucciso Alex?”
Pensò a quello che era successo a Parigi e dopo, in prigione, il giorno in cui l’avevano portata in isolamento. Alzò gli occhi e si guardò attorno terrificata.
“E’ per questo che sono qui, non è vero? Healy mi ha messo qui dentro per non fare uccidere Alex. Mi ha fatto un favore. Giusto? Ma non ho cantato. Rebecca? Non ho cantato, giuro che non ho più cantato.”
Un clangore metallico risuonò dietro la porta rossa. Le parole “UCCIDIMI ORA” erano intagliate sopra in bella vista e Piper le fissò mentre uno sferragliare di chiavi venne da dietro la porta.
“E’ ora di mangiare?” chiese, le unghie grattarono il pavimento mentre indietreggiò strisciando verso il muro, la testa inclinata su un lato con uno sguardo perso negli occhi. Strinse le ginocchia contro il petto, poi si coprì le orecchie con le mani mentre la porta si spalancava.
“Non voglio il vostro cazzo di cibo” cantò, oscillando il corpo avanti e indietro. “Non voglio il vostro cazzo di cibo, non voglio il vostro…”
“Andiamo, Chapman. Sei fuori!” una guardia di colore in uniforme blu le afferrò le braccia e la tirò su.
“Non voglio mangiare, non voglio, vi prego non voglio…”
“Chiudi il becco” la guardia si girò a guardarla mentre la trascinava verso la porta. “Se vuoi uscire fuori di qui, dovrai rimettere insieme i tuoi pezzi qui dentro” picchiettò con le dita sulla tempia di Piper.
Camminando lungo il corridoio in ombra, Piper vide altre detenute chiuse nelle loro scatole, che la guardavano con gli occhi fuori dalle orbite. Una si scagliò contro la porta e fissò Piper attraverso la piccola finestrella.
Non aveva idea di dove stessero andando, ma le era stato detto di tenere la bocca chiusa. A un certo punto la guardia doveva averle infilato delle manette attorno ai polsi sporchi di sangue. Non riusciva a smettere di grattarsi nei punti in cui il metallo le rosicchiava la pelle.
“Salta su” disse la guardia.
Piper salì nel furgoncino bianco e sedette sui sedili posteriori vuoti. Si ricordò di essere già stata lì, in un tempo che le sembrava distante come secoli. Rabbrividì per il freddo e notò che tutte le altre guardie fuori dal furgoncino indossavano pesanti giacche, mentre lei aveva la stessa uniforme malandata che indossava quando l’avevano portata in isolamento. Quel lontano giorno, quando Taystee stava uscendo e c’era stata una festa e lei e Alex avevano ballato e poi era arrivato Healy…
“Sono davvero felice di sapere che sei fuori, Chapman.”
Piper sobbalzò e girò la testa verso quella voce familiare. La faccia sorridente di una ragazza dai capelli corti e ondulati la fissava, una mano teneva il volante e l’altra riposava su una rivista di moda.
“L-Lorna?”
Tutto questo è già successo, si rese conto Piper. Lorna, con quella rivista in grembo, l’aveva guidata in prigione il suo primo giorno a Litchfield. “E’ la tua prima volta?” Lorna le aveva chiesto, e ora Piper non riusciva a fare a meno di pensare che tutto questo fosse solo un déjà-vu.
Lorna aggrottò la fronte e la guardò stupita, mentre Piper non accennava a parlare.
“Starai bene. Torniamo al campo ora.”
Piper non capiva. Dov’era il suo pasto? Le sue tre diverse cene amalgamate insieme in una montagnola schifosa di carne? Sentì che stava per vomitare al solo ricordo, così scacciò quel pensiero.
Una grossa guardia sedette sul sedile del passeggero accanto a Lorna. O’Neill, era quello il suo nome, Piper ricordò.
“Si parte. Ci fermiamo a prendere alcune ragazze dalla signora del bucato sulla strada.”
Morello avviò la macchina. La faccia paffuta di O’Neill si girò verso Piper in mezzo ai sedili anteriori e Piper si ritirò contro il finestrino.
“Gesù, quanto tempo Chapman! Un mese? Hai un aspetto terribile. Mi dispiace per quelle, devono essere strette” indicò i suoi polsi. “Ho pensato che avresti avuto freddo, le guardie giù in isolamento sono delle bestie insensibili” tirò fuori una coperta da sotto il suo sedile e si fece avanti per avvolgerla dentro. Piper si tirò indietro ma si trovò schiacciata contro il montante dell’auto, mentre O’Neill cercava di toccarla. Vedendo la sua reazione, l’uomo si girò verso Morello con una faccia allibita. Lorna gli restituì lo stesso sguardo confuso, che sembrava dire “Lo so”.
Piper si coprì con la coperta e la tirò su fino al mento, poi appoggiò la testa al finestrino. Sembrava un bozzolo di larva spigoloso, ma era troppo stanca perché gliene importasse qualcosa, così chiuse gli occhi e si lasciò cadere in uno stato a metà tra il sonno e la veglia.
Forse la stavano portando in massima sicurezza. Forse laggiù mangiavano solo ratti e avevano un gusto migliore dei pasti amalgamati dell’isolamento. Era così affamata e stanca. Il suo ultimo pasto era stato una fetta di mortadella con della muffa sopra. Poi all’improvviso pensò che forse Kubra aveva ucciso Alex ed era colpa sua e questo era il motivo per cui la stavano portando in massima sicurezza.
Saltando da un pensiero all’altro, non si rese conto che il furgoncino si era fermato. Si strinse nella coperta quando la porta si aprì e una ventata d’aria fredda la investì.
“Dio, si gela là fuori” una voce disse. Piper sentì che il posto accanto al suo veniva occupato dalla persona cui quella voce apparteneva e sentì la presenza di un colpo caldo accanto a sé. Non osò aprire gli occhi. Se lo avesse fatto, però, avrebbe visto le strane occhiate che Lorna e la nuova arrivata si scambiarono attraverso lo specchietto retrovisore: prima confuse, poi accese da un lampo di comprensione e infine allarmate.
Lorna fece partire il furgoncino. Forse Alex era morta sul serio, pensò Piper, tornando ai suoi vecchi pensieri. Ma qualcosa non quadrava e la sua testa continuava a cercare di capire a chi potesse appartenere quella voce. Aspetta, Alex…
Alzò la testa da sotto la coperta e incontrò i suoi occhi. Alex la fissò con lo stesso sguardo sconvolto, come se entrambe avessero seguito la stessa linea di pensiero. Guardò i cerchi scuri sotto gli occhi di Piper e osservò quanto emaciata e magra la sua faccia appariva. Poi il viso le si accese in un lampo di felicità.
“Piper!” si lasciò sfuggire.
“Non sei morta?”.
Alex lanciò un’occhiata a O’Neill che, seduto sul sedile anteriore, le fissava attraverso lo specchietto e non vedeva l’ora di urlare il solito “Niente contatti, detenute!”. Alex sprofondò nel suo sedile e aspettò che O’Neill si lasciasse trascinare da Lorna in una conversazione sulle ciambelle red-velvet. Poi strisciò la mano sul sedile e si intrufolò sotto la coperta, cercando la mano di Piper. Piper la fissò spaventata, gli occhi di un blu cristallino spalancati dalla confusione.
Questo la ucciderebbe? Si chiese. Se le tocco la mano, questo potrebbe salvarla?
Non conosceva la risposta, ma guardò i capelli neri che le incorniciavano il viso in leggere volute. Le guardò le labbra e poi dritto dentro gli occhi e cominciò a rendersi conto di quanto le fosse mancata. Afferrò le dita di Alex e le strinse forte dentro la sua mano, mentre con gli occhi cercava di inviarle un messaggio urgente.
Mi sei mancata. Ti amo, avrebbe voluto dirle.
Si guardarono l’una negli occhi dell’altra per un po’. Le dita di Alex sfiorarono il metallo freddo delle manette e il sangue incrostato sulle nocche di Piper. Una maschera di dolore le si dipinse in volto. Tutto quello che avrebbe voluto fare era stringere Piper tra le braccia e baciarle le ferite e proteggerla. Non voleva che Piper la vedesse piangere però, così le sorrise.
“Vuoi sapere perché?” disse Alex.
“Non è di velluto!” stava dicendo O’Neill, la faccia resa rossa dalla rabbia. “E l’unica cosa buona è la crema fredda di formaggio che ci spalmano sopra!”
“Vuoi sapere perché sono ancora qui con te?” sussurrò Alex.
Strinse la mano di Piper e Piper assaporò il calore della sua pelle.
“Perché credo che quando hai un legame con qualcuno, non se ne va mai del tutto, capisci? Si torna a essere importanti l’una per l’altra non hai mai smesso di esserlo.”
Rimasero in silenzio mentre le dita di Alex accarezzavano il dorso della mano di Piper.
“Mi sei mancata” disse Piper.
“Mi sei mancata anche tu, piccola.”
 


Due giorni erano passati da quanto era uscita dall’isolamento, e Piper non aveva ancora parlato con nessuno. Neanche con Miss Claudette. Si limitava a starsene nel suo letto, avvolta nella coperta come un bozzolo informe, il naso quasi toccava il cemento freddo del muro. Aveva saltato la maggior parte dei pasti e i turni di lavoro, ma le guardie non le avevano ancora detto nulla. Forse pensavano che fosse la prassi normale per le detenute appena uscite dall’isolamento.
Era sdraiata a letto e dalle voci delle guardie nel dormitorio intuiva che fosse pomeriggio. Non sarebbe riuscita ad addormentarsi molto presto, così rimase lì a fissare con occhi vacui il muro grigio di cemento, quando sentì un calore improvviso sulla schiena. Mani le afferrarono la vita e un paio di braccia la avvolsero. Una ciocca di capelli neri le solleticò l’orecchio, mentre la persona dietro di lei si infilava sotto la coperta. Riconobbe il tocco morbido e l’odore della pelle.
“Alex?”
“Fammi spazio!” sentì il sorriso malizioso nella sua voce e si spostò senza volerlo verso il muro.
“Cosa? Alex, possono scriverci un richia…”
“Rilassati, O’Neill è in servizio con la sua Wanda ora”
“Ew. Che ci fai qui?”
“Voglio coccolarti” le sussurrò all’orecchio e il respiro tiepido di Alex le riscaldò la parte posteriore del collo, facendo sì che brividi le corressero lungo la schiena. Smise di respirare mentre Alex faceva scivolare le mani sotto il suo seno e allacciava le dita sulla sua pancia. Poteva sentire tuti i punti in cui il corpo di Alex premeva contro il suo. Le labbra le sfioravano il collo e il seno di Alex era contro la sua schiena, le ginocchia incastonate contro la parte posteriore delle sue gambe. Alex infilò il naso tra i capelli di Piper e prese un respiro profondo di quel profumo intimo e familiare. Poi le spostò i capelli dal collo e appoggiò le labbra contro la sua pelle nuda. Piper chiuse gli occhi.
“Dio.”
“Cosa?” Alex sorrise.
“Mi mancava.”
“Davvero?” Alex lasciò scivolare la mano sulla sua pancia e giù sulle cosce. Sollevò la maglia di Piper e disegnò piccoli cerchi lungo il suo girovita, in una piccola striscia di pelle nuda tra i pantaloni e la maglia. Sentì lo spessore e il calore di Piper in carne e ossa sotto i suoi palmi. Amava tenerla tra le sue braccia. “Perché tu mi sei mancata di più.”
Piper si girò e strinse la mano che Alex teneva appoggiata alla sua coscia. I seni si toccarono e Piper dovette combattere la sensazione di calore che le andava crescendo nella parte bassa del corpo. Alex premette le sue labbra contro quelle di Piper e mentre il bacio cresceva di intensità le afferrò i capelli.
“Sai” disse Piper, staccandosi dal bacio per riprendere il respiro. “Se mi riportano in isolamento per questo potrei non sentirmi dispiaciuta.”
Il viso di Alex divenne serio di colpo. Afferrò la mano di Piper e la voltò con il dorso verso l’alto. Passò le dita sulle ferite che le ricoprivano le nocche, un’espressione indecifrabile in volto. Poi si portò la mano alle labbra e baciò le ferite una per una.
“Mi dispiace.” disse.
“Smettila” Piper sfilò la mano da sotto le sue labbra e le alzò il mento perché Alex la guardasse. Seguì una lunga pausa di silenzio, in cui Piper le accarezzò il viso e poi entrambe si sfiorarono sotto la coperta, cercando di ricordare dove braccia e mani dovevano andare e come accarezzarsi a vicenda.
“E’ strano come sembra naturale, vero?”
Piper annuì, gli occhi scintillanti.
“Perché sei sempre così inevitabile per me?”
I heart you.”
You heart me?” Piper ridacchiò.
“Sì. Non lo dico a chiunque. Devi dirlo anche tu.”
Piper avvolse il viso di Alex tra le sue mani.
I heart you too.”
“Ma?”
Ma ho paura di farti uccidere.
“Ma devo dirti una cosa.”
Aveva paura che parlandone avrebbe rovinato quel raro momento di pace tra loro due. Era come se qualcuno o qualcosa avesse deciso che la loro felicità fosse già durata abbastanza e dovesse finire. Ma quella era la vita che Piper voleva avere con lei, loro due insieme, a coccolarsi sul divano di casa loro.
Quanto stupida era stata per così tanto tempo. Non aveva bisogno di viaggiare, di spiagge e cocktail, aveva solo bisogno di qualcuno con cui spendere il suo “sempre”, qualcuno su cui appoggiare la testa quando era stanca e qualcuno con cui ridere sotto una coperta nel letto di una prigione. Alex era tutto quello che voleva.
“Che succede, Piper?”
Chiuse gli occhi e inghiottì un grumo che le si era formato in gola.
“Promettimi che non ti arrabbierai finché non ho finito di spiegarti tutto.”
“Sai che non posso prometterti questo” Alex rise ma poi, guardando gli occhi di Piper, assunse un’espressione seria.
Piper prese un respiro profondo e versò tutto fuori in fretta, senza quasi respirare tra una parola e l’altra.
“Kubra mi ha parlato. Voglio dire, non lui. E’ stato Fahri, quella volta a Parigi, ricordi? Mi ha detto di starti lontana. Mi ha detto che ti avrebbero uccisa, ci avrebbero ucciso entrambe, se non avessi smesso di cantare. Sono andata via e ti ho lasciata e ho smesso di cantare. Voglio dire, non proprio” Alex aggrottò le sopracciglia e gli occhi cominciarono ad allarmarsi. “Mi sono inventata un nome falso e ho fatto finta di essere questa Adele e ho pubblicato un album ma Kubra non è mai arrivato a me quindi credo che tutto questo gli andasse bene e lo so che sono stata stupida, lo so. Ma ora ho paura che potrebbe scoprire che io e te…” fece una pausa e guardò Alex confusa. Alex sorrise, aspettando che andasse avanti, un sorriso provocante stampato in faccia. “Voglio dire, non è come se fossimo fidanzate, siamo in una cazzo di prigione, ma ti amo e ti voglio indietro e voglio una vita con te e ho paura che ti succeda qualcosa per colpa mia.”
Si fermò e sospirò e guardò disperata dentro gli occhi di Alex, cercandovi una reazione. Ma all’improvviso Alex fu troppo vicina perché Piper potesse guardarla negli occhi. Alex le afferrò il viso e la baciò. La tirò a sé con tanta forza che i loro denti si scontrarono e sorrisero l’una sulle labbra dell’altra e le loro lingue si incontrarono e si salutarono per un po’. Piper infilò la mano sotto la maglia di Alex e le accarezzò la pelle sulla schiena, fredda al tatto.
“Hey” Piper si tirò indietro. “Aspetta, non sei arrabbiata con me?”
“Arrabbiata?” gridò Alex, la faccia resa rossa dalla vampata di calore che quel bacio appassionato aveva portato tra loro due. “Vorrei strangolarti con le mie stesse mani. Perché non solo mi hai lasciato, ma mi hai lasciato perché potessi suicidarti con le tue stupide canzoni e farci uccidere entrambe da Kubra!” diceva sul serio, si accorse Piper, ma non sembrava arrabbiata.
“E Fahri? Quel figlio di puttana ti ha toccato?” Alex afferrò la faccia di Piper tra le mani e la spinse nell’incavo della spalla, le accarezzò i capelli. Piper sentì le dita di Alex contrarsi dalla rabbia mentre le torturava distratta i capelli. “Avrei dovuto ucciderlo io stessa. Ma,” liberò Piper dalla sua presa per premere le sue labbra contro le sue, ancora, questa volta sorridendo. “Sei viva, e lo sono anche io. In più, essere sciocca e spericolata è una delle cose che più amo di te.”
“Quindi…non sei preoccupata?”
“Sono terrorizzata, Piper!” la sua faccia si oscurò. “Ma sono anche fiera di te.”
“Cosa? Alex, ti ho lasciata!”
“E io ho passato cinque anni della mia vita pensando che fossi una fottuta stronza. Ma l’hai fatto perché mi amavi. Dio, Pipes, non so che cosa voglia Kubra, ma io so che voglio spendere il resto della mia vita con te.”
Il viso di Piper si illuminò in un grosso sorriso.
“Mi stai chiedendo di sposarmi, dentro un letto in prigione?”
“Sì” Alex guardò decisa dentro gli occhi di Piper. “Vuoi essere mia moglie, in prigione?”
Piper strinse le gambe attorno a quelle di Alex e spostò il peso del corpo per salire sopra di lei. La baciò e le spinse i capelli dietro le orecchie.
“Sì. Mi piacerebbe tanto.”
Ci fu una breve pausa in cui le labbra si toccarono in un bacio puro.
“E tu, vorresti essere mia moglie in prigione, signorina Alexandra Vause?”
“Per tutto il tempo che ci resta qui dentro, non c’è niente che vorrei di più.”
SI baciarono e rotolarono ridendo sul letto stretto. Stavolta, fu Alex a staccarsi dal bacio. Si sollevò, appoggiandosi al gomito e passando le dita sulle labbra di Piper.
“Quindi, se tu sei davvero Adele…”
“Shhh!”
“…se tu sei quella famosa signora,” si corresse. “allora perché hai scritto tutte quelle canzoni su di me? Sei stata tu a lasciarmi!”
“Zitta e baciami!”
 
Grazie ancora di essere arrivati fin qui, ho in mente un colpo di scena e un po’ di suspence alla fine del prossimo capitolo. Fatemi sapere che cosa pensate della storia fin qui!

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Capitolo 8
*** Can't Fix Crazy ***


Mi dispiace di non essere riuscita ad aggiornare prima ma sono stata via. La maggior parte di questo capitolo è stata scritta in aereo e la mattina presto, rubando il sonno agli amici che mi hanno ospitata, quindi mi sento in dovere di scusarmi anche con loro. Le cose sono di nuovo un po’ difficili per Vauseman ma prometto che le cose miglioreranno, questo capitolo è fondamentale per portare la storia dove voglio. E’ anche un capitolo complicato, in cui faccio un po’ di zapping tra i punti di vista di Alex e Piper, quindi le troverete entrambe come narratori principali due volte. Mi dispiace se è venuto fuori complicato, ma avevo davvero bisogno di darvi entrambe le versioni della storia, spero sia gradito.
 
“Coccole?” Piper udì la voce di Alex dietro di sé. Si sentì avvolgere dalle sue braccia e le sue mani si mossero verso il seno di Piper. Piper fu costretta a lasciare cadere il cacciavite che stava usando per riparare un tostapane rotto e si lasciò sfuggire un gemito.
“Alex, che stai facendo?”
“Non c’è nessuno qui. Che ne dici se…”
Piper si voltò all’improvviso e allacciò le dita dietro il collo di Alex. Saltò sul tavolo alle sue spalle, tirando Alex stretta a sé, in mezzo alle sue gambe aperte.
“Potremmo, sai?” disse contro le labbra di Alex, il respiro affannato.
“Sì, insomma, fate pure, non-lesbiche.”
Alex e Piper si separarono l’una dall’altra e videro Nicky venire loro incontro, un sorriso malizioso in faccia e i pollici infilati dentro le cinghie del marsupio. “Vi state solo mangiando a vicenda dentro una dispensa durante l’orario di lavoro. Ma anch’io farei così, suppongo.”
Appoggiò il gomito contro il tavolo e le fissò con uno sguardo divertito in faccia, aspettando che continuassero come se stesse guardando un film sul divano di casa sua.
Piper afferrò i polsi di Alex e se li appoggiò sui fianchi, la tirò a sé per posare un bacio delicato sopra la sua fronte. Poi chiuse gli occhi e lasciò che la sua fronte riposasse contro quella di Alex.
“Ci hai fatte morire dalla paura, Nicky” la rimproverò Piper.
“Ah, sì? Non che lo volessi, giusto?”
Afferrò il cacciavite e si fece strada verso la porta. Poi si girò e lanciò loro quel sorriso malizioso di nuovo, con un “Ci vediamo, non-lesbiche!”
Piper afferrò il volto sorridente di Alex tra le sue mani e posò un bacio innocente sulle sue labbra. Si baciarono per un po’, ma nessuna delle due sentiva la passione che le aveva schiacciate l’una contro l’altra poco prima.
“Che succede?”
“Ci hanno beccate” Piper inclinò la testa e lasciò che i capelli biondi le ricadessero su un lato, regalando ad Alex un sorriso brillante.
“Sì, ma…Sul serio, stai bene?”
Il sorriso di Piper svanì, mentre le sue dita accarezzavano la guancia di Alex. Era sempre così brava a leggerla, persino quando Piper non sapeva ancora di essere triste. La baciò, come se un bacio potesse ritardare le brutte notizie.
“Ha chiamato Larry.”
Il corpo di Alex si irrigidì tra le sue braccia e indietreggiò per guardarla negli occhi.
“Cosa vuole?”
“Vuole che ci sposiamo. Vuole un modulo per il matrimonio così possiamo farlo in prigione.”
“Cosa?” si liberò dalla stretta di Piper e sollevò le braccia furiosa. “Quindi stavi per mettergli le corna con me mentre stai per sposarti?”
Piper spalancò gli occhi e si alzò dal tavolo, muovendosi a passi lenti verso Alex.
“Cosa? Tesoro, non sto per sposarmi…” Alex smise di respirare, elaborando la buona notizia, ma poi non sembrò sicura se sentirsi sollevata o solo arrabbiata.
“Di che si tratta, allora?”
“Alex, calmati. Non sto per sposarmi, vuole solo parlarti.”
“Così può incolpare me per essere la lesbica manipolatrice che gli ha rubato la fidanzata?”
Piper vide Alex indietreggiare ancora e si rese conto che non c’era modo di farla ragionare. Aveva intenzione di dirle quanto amava lei, non Larry, e quanto desiderava passare la sua vita con lei, non con Larry, ma Alex indietreggiò sollevando i palmi verso Piper per fermarla.
“Non credo che lascerà andare tutto così facilmente. Siamo stati insieme per un po’ e mi dispiace per lui, tutto qui.” Piper cerò di spiegare.
Nel sentire quelle parole, il viso di Alex sembrò infuriarsi ancora di più.
“Ti dispiace per lui, huh? Senti, Piper. Sono stufa.”
Piper sentì un dolore al petto guardando la sua espressione. Alex sembrava disgustata e continuava ad allontanarsi da lei scuotendo la testa. Piper non riusciva a capacitarsi di quell’improvviso scoppio di rabbia.
“Sono stufa di essere la tua seconda scelta, lo straccio che usi per pulire la tua merda ogni volta che le cose tra te e Larry fanno schifo” puntò l’indice contro Piper. “Non voglio più avere a che fare con te.”
Tesoro, tu sei la mia prima scelta. Tu sei il mio tutto, Piper avrebbe voluto dire, ma le parole le si bloccarono in gola.
Perché Alex stava reagendo così?
Alex indietreggiò finché raggiunse la porta e Piper rimase immobile, incapace di fermarla, di dirle qualcosa. Poi rimase lì, le mani penzolanti sui fianchi, aspettando che tornasse indietro e le dicesse che era tutto uno scherzo. Perché se non era tutto uno scherzo, che cosa era appena successo?
Provò a muovere le gambe e si sentì la testa fluttuare come se fosse appena scesa da un aereo. Aveva ferito Larry e non aveva esitato a rompere un fidanzamento durato due anni, non appena aveva capito quando amava Alex e ora…Alex l’aveva lasciata? Perché?
Uscì dalla dispensa, appoggiandosi contro i muri perché non era sicura che le sue gambe avrebbero potuto sopportare il peso di quello che era appena successo. Camminò come un fantasma, trascinando le mani sulle pareti con uno sguardo vacuo al posto degli occhi. Aveva una strana sensazione, quella sensazione familiare con cui aveva passato tanto tempo in isolamento: la sensazione di essere insignificante e che a nessuno importasse di lei e che se fosse morta in quell’esatto momento a nessuno sarebbe importato.
Arrivò nel suo blocco e approfittò dell’assenza di Miss Claudette per mettere ordine nella sua testa. Forse Alex stava solo avendo una brutta giornata. Forse Piper doveva dimostrarle quanto la amava. Alex non era del tutto persa, decise Piper, e Piper stessa non era una persona insignificante e inutile. Ma per capire come mettere tutto in ordine e far tornare tutto come prima aveva bisogno di…una doccia.
Piper fermò il getto dell’acqua e si arrotolò i capelli bagnati. Spostò la tenda di plastica e si ritrovò davanti a Doggett.
“Cosa…” cercò di nascondersi le parti intime, arrossendo mentre gocce d’acqua le scivolavano addosso.
“Non essere modesta, college. Gesù non ti ama, indecente come mamma ti ha fatto.”
“Che cosa vuoi?” Piper si sorprese per l’improvviso scoppio di durezza nella sua voce.
“Non è a me che dovresti chiederlo. Io non faccio altro che seguire i passi che il mio Signore ha tracciato sul mio cammino.” Si sporse in avanti, facendo sì che Piper indietreggiasse contro il muro.
“E che cosa ti chiede il tuo signore, Tiffany?”
Pennsatucky la guardò incredula per qualche secondo, poi scattò in avanti e fece sbattere la testa di Piper contro le piastrelle fredde sul muro. Piper sentì un prurito freddo sul mento e, abbassando lo sguardo, prese a tremare vedendo una lama affilata premuta contro la sua gola.
Doggett la spinse indietro contro il muro, sussurrandole nell’orecchio. Piper poté sentire il fiato pesante che le usciva di bocca e la stoffa dei suoi vestiti contro il suo corpo nudo.
“Mettiamo che il mio Gesù sia uno speciale. Non vuole che le ragazze di Satana vadano in giro a mettere il naso nei suoi affari.” Piper sentì la lama premere a fondo nella pelle sotto le clavicole. “E non gli piace sentire le puttane di Satana urlare parole indecenti e volgari. Il volere del mio Signore è di uccidere la voce di Satana.” La lama tracciò una linea profonda sul suo petto e Piper gemette di dolore sotto la mano di Doggett, premuta contro la sua bocca per zittirla.
“Vuole che tu provi sulla tua pelle lo stesso dolore che ha provato nel suo cuore quando gli hai disubbidito,” Spalmò il sangue che le usciva dal petto, poi afferrò la mano di Piper nella sua “con le tue canzoni vanitose da ragazzina del college.”
“Cosa? Kubra? Stai parlando di Kubra?”
“Doggett, fuori! Adesso!” la voce di una guardia rimbombò nel bagno alle spalle di Doggett. Piper sospirò di sollievo.
Doggett sistemò la lama sul palmo di Piper e lo trascinò da un angolo all’altro della mano, facendo sprizzare altro sangue dal taglio fresco. Poi afferrò le dita di Piper e le chiuse a pugno.
“Suppongo che la prossima volta dovremo essere più creative.” Disse, indietreggiando e nascondendo lo spazzolino con la lama nella manica. “Ma ricordati, il mio Signore non dimentica di fare giustizia.”
“Ti ha mandato lui? Kubra?” Piper urlò disperata.
Pennsatucky si limitò a sorridere, poi si girò nella direzione da cui la voce della guardia ora stava urlando di nuovo. Piper rimase lì cercando di riprendere il respiro e di calmare i battiti violenti del cuore, mentre il sangue le usciva dal petto e dal palmo della mano. Poi fece partire l’acqua e stette sotto il getto freddo, guardandolo diventare rosso di sangue ai suoi piedi.
Quando uscì dalla doccia, afferrò l’asciugamano e se lo avvolse intorno al corpo. Lasciò un’ampia macchia rossa nel punto in cui lo aveva annodato sopra il seno. Sangue scorreva giù anche dal taglio sul petto e Piper cominciò a farsi prendere dal panico. Si cambiò nell’uniforme che aveva lasciato sul lavandino e avvolse l’asciugamano attorno alla mano sanguinante. Tirò su la cerniera della felpa grigia fino al mento.
Perché lo ha fatto? Che cosa vuole da me?
Si rese conto che doveva muoversi, arrivare al suo dormitorio e smettere di sanguinare prima che qualcuno entrasse in bagno e facesse domande. Controllò la sua immagine allo specchio un’ultima volta, per assicurarsi che macchie di sangue non sarebbero comparse sulla sua felpa grigia e uscì dal bagno quasi correndo.
Poteva sentire rivoli di sangue scorrerle sul petto e sulla pancia, mentre i tagli cominciavano a bruciare e prudere sotto i vestiti.
Era perché si era rifiutata di farsi battezzare? O si trattava della storia di psichiatria ancora? Che cosa voleva Doggett da lei? Tutte queste domande continuavano a tormentarla. Passò inosservata e arrivò al suo blocco.
“Che cosa ti è successo?” Miss Claudette la rimproverò nel suo elegante accento francese.
Piper all’improvviso si rese conto che non era solo il sangue a poterla tradire. La sua faccia era ancora in shock e non poté evitare che gli occhi le si riempissero di lacrime. Piangendo, tirò giù la cerniera per rivelare la maglia inzuppata di sangue.
“Ho bisogno di aiuto” disse.
La faccia di Miss Claudette sembrò restringersi e ricordò a Piper l’acqua e il sangue che aveva visto scorrere in cerchi verso lo scarico nella doccia. Afferrò Piper per le spalle e la guidò a sedersi sul margine del letto. Piper la guardò confusa e incapace di muoversi, poi il labbro superiore le si sollevò e la faccia le si trasformò in una maschera sgretolata. Miss Claudette si precipitò verso il suo armadietto, spalancò le porte e vi si inginocchiò davanti. Tornò da Piper con un rotolo di carta, un tubetto di pomata e dei cerotti. Piper si sentì sul punto di versare tutto fuori, scoppiare di fronte a Miss Claudette: tutta la paura, l’impotenza e la rabbia di quello che le era successo.
“Shh! Tienitelo per te!” sollevò la maglia di Piper e fece una smorfia guardando il brutto taglio sul petto. “Chiunque ti abbia fatto questo, non voglio esserne coinvolta.”
Piper bloccò le parole che stava per sputare fuori. Rimasero in silenzio, mentre Piper teneva la maglia sollevata fino al petto. Sobbalzò, sentendo il tocco freddo delle dita di Miss Claudette sul suo petto.
“Aiuta a fermare il sangue” disse, spalmando della pomata sulla ferita. “L’avrei scambiata per un nuovo smalto per le unghie ma suppongo che quello possa aspettare.”
Coprì la ferita con dei cerotti e usò la carta per pulire il sangue che le aveva imbrattato la pancia, con il tocco morbido e attento di una madre.
“Ma ti consiglio di non lottare contro di lei.”
Piper sentì che stava per scoppiare a piangere di nuovo e Miss Claudette se ne accorse.
“Se lo fai, il tuo tempo in massima sicurezza non sarà valso lo sforzo, te lo assicuro.”
“E se non lo faccio, mi porteranno in isolamento.”
“Quello sarà un parco giochi per voi bambine, a confronto con massima sicurezza. E chiunque deciderai di coinvolgere in questa storia, la trascinerai giù con te.”
Miss Claudette strinse i bendaggi attorno alla mano di Piper, togliendole il respiro per un paio di secondi. Poi si alzò, radunò le sue cose e tornò al suo armadietto con un’espressione indecifrabile in volto.
 


Alex sedette sul suo letto, afferrò la coperta e la strinse nei pugni fino a farsi diventare le nocche bianche. Non si era bene resa conto di quello che era successo. Solo pochi minuti prima era nella dispensa, baciando Piper e sentendo il suo odore e il calore della sua pelle, e pochi istanti dopo l’aveva respinta con rabbia. Le parole “matrimonio” e “Larry” l’avevano portata del tutto fuori strada e non appena le aveva sentite aveva smesso di ascoltare e pensare e vedere.
Guardandosi indietro si rese conto di aver esagerato. Decisamente. Merda. Gli occhi di Piper sembravano così sinceri e onesti, ma tutto quello a cui riusciva a pensare era che Piper si stesse prendendo gioco di lei ancora una volta. La stava usando come un cerotto per coprirsi e da buttare via non appena fosse uscita di prigione e fosse tornata dal suo Larry.
Il pensiero di lei e Larry insieme, a camminare con le mani allacciate o fare la spesa o vivere nella stessa casa...Dio, persino dormire nello stesso letto…tutti quei pensieri la riempivano di rabbia e abbassavano un sipario nero davanti ai suoi occhi. Non avrebbe potuto pensare o agire diversamente, non poteva lasciarsi dominare dalla paura di essere abbandonata, non di nuovo.
Rimase lì, a fissare il letto vuoto davanti a sé, quando un’improvvisa pensiero la scosse. Era gelosa? Si era già sentita gelosa in passato, perché Piper era sempre così stupenda e simpatica e divertente e provocante con tutti quelli che incontrava, ma quel tipo di gelosia? Alex non poteva sopportarlo.
“Detenuta! Che stai guardando?”
La voce di Nicky la trascinò fuori dai suoi pensieri, mentre la donna con il cespuglio di capelli arancioni entrò nel suo blocco tenendo un cartello colorato.
“Che ne pensi?”
Sollevò il cartellone, catturando l’attenzione di Alex. Al centro la figura bianca di una sposa portava una foto di Lorna al posto della testa. Accanto a lei, uno sposo imbronciato in completo nero le teneva la mano. La testa di Nicky con i suoi capelli folti sorrideva in cima al collo dello sposo. Marito e moglie erano circondati da un disordine colorato di isole, spiagge e città, che Nicky doveva aver ritagliato di nascosto dalle riviste in biblioteca e incollato sopra al cartoncino con le mani tremanti di un bambino di sei anni. C’era persino una foto del Colosseo e un’isola con sabbia bianca e palme con la scritta “Bora Bora”.
“Cavolo, ci hai proprio dato dentro. Non male. Non so se sarà d’accordo con lo sposo, comunque.” Alex appoggiò la testa contro il muro alle sue spalle e si strinse le ginocchia contro il petto.
“A chi importa comunque, giusto? E’ solo stupido Natale, una cosa di famiglia.”
“Stavo per farti degli orecchini, ma a chi importa comunque, huh?” Alex rise. Dimenticando le dure parole che lei e Piper si erano scambiate solo pochi momenti prima, sentì una scarica di adrenalina scorrerle dentro.
“Merda, Vause” Nicky le tirò un pugno contro la spalla. “Doveva essere una sorpresa!”
“Suppongo di sì.”
“Casini con Chapman?”
Alex annuì, fissando lo spazio vuoto davanti a sé. Rimasero in silenzio, pensando ciascuna ai propri problemi, ognuna scavando nei propri pensieri.
“E’ tutto incasinato” Nicky scosse il cartellone, mettendo bene in chiaro che la sua idea di regalo per Lorna era un completo fallimento. Non riusciva a fare a meno di soffrire all’idea di vedere Lorna sposata, mentre Alex pensò a quanto fossero azzeccate le parole di Nicky. Aveva incasinato tutto con Piper.
“Hey Vause?”
“Sì?”
“Credo di sapere cosa voglio per Natale.” Guardò dentro gli occhi di Alex e posò una mano sulla parte inferiore della sua pancia. Alex le afferrò la mano sorpresa e all’improvviso capì cosa Nicky aveva in mente.
No, non posso, pensò. Non posso. Tesoro, non sto per sposarmi, le parole di Piper echeggiarono nella sua testa, insieme all’immagine dei suoi occhi blu.
Larry. Matrimonio.
Quelle due parole la riempirono di gelosia e rabbia e aumentò la presa attorno alla mano di Nicky, guidandola dentro i suoi pantaloni. Nicky sistemò il cartellone davanti a sé in modo da non essere viste. Continuarono a guardarsi l’una negli occhi dell’altra, cercando di dimenticare le Piper e Lorna che le aspettavano fuori dai pantaloni di Alex. Alex represse i gemiti che le salirono in gola. Nicky ridacchiò.
 


Chiunque deciderai di coinvolgere in questa storia, la trascinerai giù con te.
Le parole di Miss Claudette continuavano a rimbalzarle in testa, mentre Piper camminava verso il dormitorio di Alex. Voleva davvero che Alex venisse coinvolta nell’ennesimo casino in cui si era cacciata? No, certo che no, ma lo stesso non poteva fare a meno di correre da lei. Sentiva il bisogno di essere stretta nelle sue braccia, e lo voleva così tanto da essersi quasi dimenticata della lite che avevano avuto prima della doccia. Ma, non appena arrivò nel blocco di Alex, si rese conto che c’era qualcosa di sbagliato nel trovarsi lì. Nicky era lì, con uno strano cartellone in grembo, e lei e Alex si guardavano a vicenda con uno sguardo e un sorriso che fecero sentire Piper a disagio. Entrambe avevano i visi rossi come se avessero appena finito di correre.
“Alex” disse, fermandosi davanti al suo letto. “Posso parlarti, per favore?”
Alex e la donna dai capelli cespugliosi si voltarono a guardarla come se avesse appena interrotto qualcosa. Piper spostò il pesò del corpo da una gamba all’altra, mentre quella sgradevole sensazione prendeva ufficialmente piede dentro di lei.
“Vattene, Piper” Alex sollevò un braccio nella direzione da cui Piper era venuta. “Vattene, tu e i tuoi problemi. Non voglio avere a che fare con te.”
Piper chiuse la mano ferita a pugno e spinse le unghie nel palmo fino a rompere il cerotto.Gli occhi le si riempirono di lacrime e il sangue cominciò a farsi strada tra le dita. Chiuse gli occhi.
“Ti prego, Alex.” Sentì che la voce stava spezzarsi. “Ti prego, potresti…”
“Hai sentito la signora, Chapman. Vattene e basta.” Disse Nicky.
Quando Piper riaprì gli occhi, guardo dritto dentro quelli della sua (ex?)-fidanzata. Il suo viso sembrò essersi ammorbidito, e la rabbia era stata sostituita da una sorta di compassione. Piper sentì una lacrima scorrerle sulla guancia e non poté più sopportarlo: si girò e se ne andò, come le avevano ordinato. Non poté leggere la soddisfazione sulle labbra di Nicky o lo sguardo vacuo negli occhi di Alex.
Per la seconda volta quel giorno, si ritrovò a camminare lungo i corridoi, le gambe deboli inciampavano tra loro. Camminò con le orecchie attaccate al muro, come per riposare la testa e sentire quello che nessun altro poteva sentire, sperando che tutto questo l’avrebbe aiutata a smettere di soffrire.
Trascinò la mano con il taglio aperto sul muro, lasciando una luna striscia di sangue di cui non si accorse nemmeno. C’era qualcosa di diverso in questa seconda volta che Alex l’aveva spezzata, Piper si rese conto. Perché, a differenza di poche ore prima, non c’era alcuna speranza di riprendersi Alex. Non la amava più, forse, o forse era arrivata al punto di rottura con i continui problemi e i casini di Piper.
All’improvviso sentì delle voci attraverso il muro. Una morbida voce acuta, la più limpida che avesse mai sentito. Le sue gambe accelerarono seguendo la direzione del suono, e Piper fece strisciare l’orecchio contro la fredda superficie del muro.
Arrivò di fronte alle porte della cappella e rimase lì, guardando le maniglie di metallo. Quando aprì la porta i suoi occhi saltarono la faccia annoiata della guardia che si girò a guardarla; saltarono la faccia di Caputo lì presente e quella delle altre detenute che si girarono a fissarla; non si accorse delle tante detenute sedute con lo sguardo ipnotizzato verso il palco.  I suoi occhi atterrarono solo su Norma, da cui quella voce proveniva.
Praise the lord, la sua voce cantava. I saw the light.
Ascoltò per un po’, cadendo nella stessa ipnosi del pubblico e sentendo i peli drizzarsi sulle braccia. Taystee, Poussey, Crazy Eyes e Black Cindy erano subito dietro di Norma, e non appena lei ebbe finito presero a cantare.
I saw the light, I saw the light. No more in darkness, no more at night.
Mentre ascoltava, Piper seppe che cosa doveva fare.
 


Quando Alex vide Piper camminare verso il suo blocco, si sentì una stronza. Non era solo il senso di colpa, si rese conto. Lei e Nicky avevano appena finito di fare qualsiasi cosa stessero facendo dietro il cartellone e ora si guardavano imbarazzate. Nessuna delle due si sentiva a suo agio per quello che avevano fatto, non sembrava giusto e basta. Fu allora che comparve Piper.
“Alex, posso parlarti, per favore?”
Sentire la sua voce fu come se le avessero tirato un masso contro il petto. Mentre si girava verso una Piper distrutta, dalla faccia pallida e la voce debole, sentì il bisogno impellente di portarla via da quel posto, abbracciarla e dirle quanto le dispiaceva per quello che era successo.
Certo, piccola, certo che puoi, avrebbe voluto dire. Ma Nicky era lì, a fissarla con uno sguardo di sfida e le parole le si bloccarono in gola.
“Vattene, Piper. Vattene, tu e i tuoi problemi. Non voglio avere a che fare con te.” Rispose, mettendo su un’espressione furibonda.
“Ti prego, Alex, potrest…” quelle parole spezzarono Alex, mentre cercava di negare i suoi veri sentimenti e nascondere quanto fragile si sentiva davanti a Piper.
Guardandola, Alex si rese conto all’improvviso si quanto era stata stupida. Il viso di Piper sembrò sgretolarsi ed era sul punto di piangere. Un movimento improvviso delle braccia penzolanti lungo i fianchi attirò l’attenzione di Alex sulla sua mano. Era stretta a pugno e avvolta in una strana carta bianca e rossa e aveva quelle macchie rosse anche sul collo.
Quello è...
Non ebbe il tempo di completare il pensiero. Nicky la mandò via duramente e Piper si girò e se ne andò. Non appena la sua piccola figura bionda sparì, Alex cominciò a rosicchiare dentro per il senso di colpa e la preoccupazione. Perché Piper voleva parlarle? Stava cercando di rimettere le cose apposto dopo la lite che avevano avuto? Non era troppo presto?
Lei e Nicky si separarono per recarsi ai propri lavori. Entrando in lavanderia, il pensiero che qualcosa di brutto doveva essere successo a Piper si fece strada dentro di lei. Andò dietro la sua scrivania e raccolse alcuni sacchi del bucato e li sparpagliò sul tavolo. La sua mente non era lì, però.
Non notò neppure lo sgradevole sguardo con cui Doggett la stava esaminando da dietro la porta dell’asciugatrice. Sbatté la porta con forza e Alex fu risvegliata dai suoi pensieri.
“Ehi, lesbica” Doggett si fece avanti con le mani dentro le tasche della felpa. “Hai visto college?”
Alex non rispose.
“La ragazza di Satana? Chapman? Sei sicura che stia bene?”
“Lasciala in pace.”
“Perché, sai” tirò fuori uno spazzolino dalla tasca e se lo piazzò davanti agli occhi. “Siamo insieme in questo grosso progetto creativo.”
Rise con la sua orribile risata senza denti, poi si girò e si precipitò fuori dalla stanza. Alex pensò che non c’era alcun senso in quello che aveva appena detto. Era solo una cazzo di tossica delirante senza denti che si divertiva a giocare con uno spazzolino come un matta.
Alex afferrò un altro sacchetto del bucato e strappò via distrattamente il bigliettino giallo attaccato sopra. 304, Chapman. Il suo cuore prese a battere più forte. Anche se si trattava solo della roba sporca e puzzolente di Piper, era pur sempre le sua roba. Se c’era un lato positivo de lavorare in lavanderia, era il fatto di poter toccare i vestiti che avevano contenuto la sua pelle, la stoffa che aveva catturato il suo odore familiare, quello che Alex era solito trovare al mattino sul suo cuscino, dopo che avevano dormito insieme.
Ma non appena i vestiti di Piper caddero sul tavolo, gli occhi di Alex si riempirono di orrore. Un’altra detenuta avrebbe potuto non notarlo e avrebbe buttato quel sacco dentro la lavatrice insieme a tutto il resto. Alex afferrò la maglia grigia dell’uniforme di Piper e la tenne sollevata davanti al viso. C’era sangue ovunque. Le sue dita cominciarono a lavorare più in fretta dentro la pila di vestiti, i suoi pensieri accelerarono. Afferrò un asciugamano inzuppato di sangue e sentì il cuore saltare alcuni battiti.
Il sangue. La faccia pallida. Posso parlarti, per favore? Le macchie rosse. Sei sicura che stia bene? Doggett, spazzolino, sangue. Tutto tornava e le parole di Doggett e il suo sorriso all’improvviso avevano un senso. Sollevò una mano per coprirsi la bocca spalancata, gli occhi pieni di terrore. Le sue gambe cominciarono a correre prima che potesse accorgersene.
Che cosa ti ho fatto, Pipes?

Fatemi sapere che cosa ne pensate!

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Capitolo 9
*** Tutto il resto spariva ***


Mi sono appena accorta che la scena di Norma che canta nell’ultimo episodio della prima stagione si svolge nella cappella ma io l’ho chiamato auditorium, quindi andrò a modificarlo nel capitolo precedente ma volevo dirvelo per evitare confusioni. Questo capitolo è un po’ scuro e triste e ci sono descrizioni di violenza che potreste trovare fastidiose quindi chiedo scusa in anticipo!
So che non ci sono paragoni tra il primo incontro di Alex e Piper nel bar e questa mia versione, il modo in cui Alex la prende in giro e come si guardano è prefetto e basta. Qui vi propongo una mia versione un po’ modificata che spero non vi deluda, ho scelto “Summertime Sadness” nella versione di Miley Cyrus perché questa è stata la canzone che mi ha accompagnato per molto tempo nel mio fantasticare su Vauseman (qui il link se volete sentirla!  https://www.youtube.com/watch?v=93CZ6oFR8Q0  )
Spero vi piaccia!
 
 
Alex si sentiva come se avesse appena finito di scavare in tutti i più remoti angoli di Litchfield, ma di Piper non c’era traccia. L’aveva cercata nel suo dormitorio, poi era corsa fino ai bagni, facendo sì che diverse guardie le gridassero dietro “Non si corre, Vause!”
Aveva guardato in cortile e controllato l’officina elettrica in cui lavorava, poi la dispensa in cui erano state quel giorno e la lavanderia. Ma non sembrava trattarsi solo di Piper. Era come se l’intera prigione fosse sparita e l’avessero lasciata sola a vagare per i corridoi vuoti.
Quando si rese conto che era la vigilia di Natale arrivò di fronte alle porte della cappella sudata e con il respiro affannato. Voci provenivano dall’interno, così spalancò le porte, giusto in tempo per sentire la sua voce familiare risuonare dal palco.
“Avevo un’amica” disse Piper, seduta su un alto sgabello in mezzo al palco, e abbassando il supporto del microfono alla sua bocca. L’altra mano teneva una chitarra in grembo e Piper era seduta sotto la luce abbagliante del riflettore. Le altre detenute, vestite in strani costumi dietro di lei, lasciarono il palcoscenico lanciandole sguardi infastiditi. Alex si accorse che tutto il pubblico stava bisbigliando e ridacchiando, che cosa aveva intenzione di fare quella Chapman?
Piper.
Alex si fermò in mezzo al corridoio che portava al palco, la bocca socchiusa mentre il cuore le batteva all’impazzata. Non ebbe il tempo di sospirare di sollievo per aver scoperto che Piper era sana e salva. Sentiva che tutto questo non sarebbe durato ancora per molto.
“Si chiamava Adele” continuò Piper e un improvviso silenzio avvolse la cappella. “Questa è una canzone che dedico a lei” lo sguardo di Piper cadde dritto dentro gli occhi di Alex, ma la luce gialla impedì ad Alex di essere sicura che era lei che Piper indirizzava il suo sguardo.
Cominciò a strimpellare la chitarra in quel silenzio insopportabile e la sua voce venne fuori potente e sicura. Alex si sentì scuotere dai brividi. Aveva dimenticato quanto fosse bella quando cantava.
“Kiss me hard before you go, summertime sadness.”
La voce di Piper guidò Alex dentro un ricordo che non avrebbe mai dimenticato.
 
“Hanno portato via la mia crema idratante, gente. Ho dovuto attraversare tutto l’aeroporto a piedi nudi” Alex si unì alla risata delle sue amiche e buttò giù un altro shot. Mentre lasciava che il bruciore le invadesse la gola, udì quella voce.
“Kiss me hard before you go, summertime sadness.”
Si girò e nel farlo quasi fece cadere i bicchieri dal tavolo. Forse era ubriaca o fatta o si sentiva sola ma quando udì quell’imponente voce profonda per la prima volta nella sua vita, pensò che quella era una voce di cui avrebbe potuto innamorarsi.
“I just wanted you to know that, baby, you’re the best”
Alex lasciò cadere il bicchiere vuoto sul tavolo, si alzò e camminò in mezzo alla folla come un fantasma ipnotizzato. Non notò il modo in cui le sue amiche, sedute al tavolo dietro di lei, la guardarono e aggrottarono le sopracciglia, pensando che fosse fuori di testa. Non si accorse neppure che tutti all’interno di quello squallido bar avevano smesso di parlare e bere e addirittura respirare, ma tutti gli occhi erano incollati alla ragazza sul palco.
“I got my red dress on tonight, dancing in the dark in the red moonlight.”
Il modo in cui le ciocche bionde le ricadevano come onde attorno al viso, mentre si chinava in avanti sulla chitarra e verso il microfono, il modo in cui chiudeva gli occhi e spingeva indietro la testa sotto il riflettore…Alex pensò che fosse splendida. Si sorprese di come una voce così potente potesse uscire da quella bellissima e fraglie ragazza bionda. Si fermò davanti a lei sotto il palco e quando la bionda aprì gli occhi e li passò sul pubblico assiepato sotto di lei, Alex sentì che i loro sguardi si erano incontrati per un breve istante.
“Oh, my God, I feel it in the air, Honey, I’m on fire, I feel it everywhere, nothing scares me anymore” continuò a cantare.
Chi era? Perché Alex non l’aveva mai incontrata prima, quella ragazza dalla voce stupenda? Inghiottì saliva a vuoto, catturata dentro lo sguardo della ragazza e dentro le sue labbra. All’improvviso sentiva di essersi persa così tanto per tutto quel tempo nella sua vita.
“I just wanted you to know that, baby, you’re the best.”
Alex ne era certa ora. Gli occhi della ragazza bionda non l’avevano solo intravista, ma la stavano fissando. Guardando il modo in cui si piegava in avanti sulla sua chitarra, Alex pensò che stesse cercando di raggiungerla. La bionda non la stava solo guardando, le stava parlando e cantando come se nessun altro fosse dentro quel bar, c’erano solo loro due. Alex si rese conto che chiunque quella ragazza fosse, non avrebbe mai più dimenticato quella canzone.
“Got that summertime, summertime sadness” quando buttò la testa all’indietro e gridò l’ultima parola la sua voce sembrò rompersi per l’emozione. La chitarra tacque e mentre gli applausi e le urla esplosero dal pubblico, Alex si accorse che la ragazza stava piangendo. Posò la chitarra nel supporto accanto al suo sgabello e quasi inciampò sui suoi stessi piedi mentre correva dietro il palco.
Alex aggrottò le sopracciglia, mentre gli applausi continuavano ad arrivare verso un palco ora vuoto. Il fatto che quella ragazza si fosse lasciata emozionare dalla sua stessa voce l’aveva lasciata senza parole. Voleva conoscere quella ragazza e sapere che cosa poteva essere andato storto mentre cantava. Si guardò attorno e si posizionò di fronte alla porta addetta allo staff, sperando che prima o poi sarebbe venuta fuori e Alex si sarebbe inventata qualcosa per conoscerla. Ma rimase lì per quelli che sembrarono secoli, e la ragazza dai capelli biondi non accennava a farsi vedere.
Attraverso la porta socchiusa Alex finalmente la riconobbe. La bionda stava quasi correndo verso la porta dove si trovava Alex, uno sguardo furioso stampato in faccia. Un giovane dai capelli neri la seguiva. Sembrava che stessero litigando. Alex arrossì dall’imbarazzo. E se fosse uscita proprio in quel momento e avesse trovato Alex a orecchiare?
Tornò indietro al tavolo delle sue amiche di corsa, sorpresa da quanto codarda quella ragazza la facesse sentire, senza neppure conoscerla. Mai in vita sua Alex Vause aveva desistito dal provarci con una ragazza, ma quella bionda?
“Dove sei stata?” chiese Sylvie, un’espressione preoccupata in viso.
Alex scosse le spalle e la respinse. Il conforto di un’amica era l’ultima cosa di cui avesse bisogno in quel momento, era solo arrabbiata per essersi lasciata sfuggita quella ragazza tra le mani. La sensazione fastidiosa che si stesse perdendo qualcosa di importante nella sua vita crebbe dentro di lei. Uno squallido pianoforte risuonava alle sue spalle, ma chi se ne importava di quella musica idiota, pensò, bruciando dal desiderio di vederla o sentire la sua voce ancora una volta.
Con la coda dell’occhio seguì segretamente i suoi movimenti attraverso il bar. Intuì che stava ancora litigando con quel ragazzo e si ritrovò a odiarlo solo perché la stava infastidendo. Si chiese perché stessero litigando, poi i suoi pensieri si bloccarono colpiti da un’improvvisa paura: era il suo fidanzato?
Rimase lì ad ascoltare le chiacchiere ora diventate insignificanti delle sue amiche, mentre si tormentava con il pensiero che la bionda avesse un fidanzato. Quando alzò gli occhi dal pezzo di carta che stava torturando tra le dita, vide una cascata di ciocche bionde penzolare sulla schiena di una maglietta familiare. La ragazza era seduta al bancone del bar ed era piegata in avanti su un bicchiere vuoto. Era sola, nessun ragazzo in vista, e aveva l’aria di qualcuno che cerca di affogare le sue pene nell’alcol. Alex si alzò e si precipitò verso di lei, prima che potesse perderla di nuovo. Pensò che valesse la pena provarci.
“Posso avere un Margarita?” la sentì chiedere. Si stupì di quanto la sua voce suonasse morbida e innocua ora che era lontana da una chitarra.
“Fa un po’ freddo fuori per un Margarita, non pensi?” la bionda girò la testa verso Alex e la guardò in confusione. Poi Alex sentì che la ragazza stava esaminando ogni singolo angolo della sua faccia e notò che aveva bellissimi occhi azzurri e che aveva pianto. Un sorriso splendido incurvò le labbra della ragazza bionda.
“Ho bisogno di raffreddarmi un po’, suppongo.”
“E’ tutto OK? Ti ho vista sul palco e…”
“Mi dispiace per quello” chiuse gli occhi e agirò la mano come se stesse cercando di scacciare un ricordo fastidioso. Alex era sul punto di dirle quanto era stata fantastica là sopra.
“E’ stato terribile, mi dispiace che tu abbia dovuto sentirlo.” Il barista posò un nuovo drink in mezzo alle sue mani sul bancone ma la ragazza non sembrò accorgersene. Non accennava a distogliere lo sguardo da quello di Alex, come se entrambe fossero ipnotizzate.
“Chi sei?”
“Mi chiamo Alex. Sono stufa di pensare a te come ‘la ragazza bionda’, quindi tu sei…?”
“Mi hai pensata?” la bionda inclinò la testa da un lato e lasciò che un sorriso le sfuggisse dalle labbra. Alex sorrise a sua volta, vedendo quanto era bella.
“Si, be” Alex arrossì. “Ho visto che tu e il tuo ragazzo avete avuto una brutta litigata…”
La ragazza si portò il bicchiere di Margarita alle labbra sorridenti con uno sguardo provocante negli occhi, poi si piegò in due sul bancone tenendosi la gola e fu sul punto di sputarlo.
“Il mio ragazzo?” gridò, quel grosso sorriso ancora sulle labbra. Guardò verso il palco e Alex seguì la direzione del suo sguardo per vedere che il ragazzo con cui aveva litigato poco prima stava ora raccogliendo strumenti e dando istruzioni in giro. “Cavoli, no. Non ho un ragazzo, e grazie a Dio non è lui. E’ il mio manager. Be, era. Vuole che smetta di cantare stupide canzoni copiate e cominci a portarli roba vera. Gli ho detto di andare a farsi fottere” prese un altro sorso dal suo bicchiere.
“Sono Piper, comunque. Piper Chapman.”
Porse la sua mano ad Alex e Alex la afferrò, sospirando di sollievo e sapendo che Piper non aveva un ragazzo. Si dimenticò di scuoterla, tuttavia, e le tenne semplicemente la mano in grembo, senza lasciarla andare.
“Qualcuno ti ha mai detto che canti da Dio?”
“Smettila, è stato terribile” ma il sorriso di Piper si allargò. “Mi dispiace, scusami davvero.”
“Non farlo. Non scusarti.”
Affondarono l’una negli occhi dell’altra e di nuovo Alex ebbe la sensazione che tutto il resto attorno a loro – la gente, il chiacchiericcio, il clangore dei bicchieri e la musica- sparisse. C’erano solo i suoi occhi blu e le sue dita fredde, strette dentro la mano di Alex. Tutto il resto era sottofondo.
“Ok” disse Piper, senza distogliere gli occhi da quelli di Alex. “Mi dispiace davvero per una cosa, però, non voglio metterti in imbarazzo ma…qualcuno ti ha mai detto quanto sei bella?”
Alex rise, si piegò in avanti e posò un bacio sulla guancia di Piper.
“Quindi. Perché la ‘summertime sadness’?”
 
Ricordando quella prima volta in cui aveva incontrato Piper, quanto erano giovani e quanto innocentemente si stavano innamorando, sentì che gli occhi le si riempivano di lacrime.
“Summertime sadness” cantò Piper, lasciando andare la testa all’indietro, sotto la luce gialla del riflettore sul palco di una cappella in prigione. La sua voce si spezzò nello stesso punto in cui lo aveva fatto quella prima volta che Alex l’aveva sentita cantare, e quando Piper aprì gli occhi guardò dritto dentro quelli di Alex. Lacrime le scivolarono sulle guance, proprio come quella prima volta.
Alex sorrise commossa. Piper rispose con un altro sorriso, mentre il silenzio privo di applausi riempiva la cappella. Le detenute erano troppo commosse o sorprese dalla voce di Piper. Taystee, in fondo alla stanza, la guardava a bocca aperta, mentre Poussey le saltellava attorno tirandole pugni sulle spalle e continuava a dire “Te l’avevo detto!”. L’avevano riconosciuta, e ciascuna di loro stava cominciando a capire che Piper era sul serio quella Adele.
Piper si coprì la faccia con le mani e corse via dal palco, attraverso la porta sul retro. Alex non aveva intenzione di lasciarla scappare questa volta, però.
 


Piper uscì e sbatté la porta dietro di sé. Sentì il rumore della neve crepitare sotto i suoi stivali mentre camminava verso la recinzione del cortile. Tutto era così scuro e silenzioso. Si nascose la faccia tra le mani, cercando di mandare giù quello che era appena successo.
Era corsa sul palco d’impulso, aveva preso il microfono dalle mani di Taystee e aveva cantato. A un certo punto si era accorta che Alex era lì a guardarla e che stava ascoltando la loro canzone e i ricordi non smettevano di tornarle in testa. Piper aveva visto lacrime scorrere sul viso di Alex. Questo significava che le cose tra di loro potevano essere riparate? Doveva tornare dentro e trovarla.
“Hey! Hey! Dove pensi di andare?”
Piper si girò, lasciando uscire il respiro in una nuvoletta d’aria fredda, e vide Pennsatucky venirle incontro in un bizzarro vestito bianco. Indossava persino le ali e aveva una coroncina attorno alla testa.
“Oh, no. Non vuoi lottare contro di me ora, pazza.”
“Oh, no?” si fece avanti, uno sguardo matto dentro gli occhi. “Forse hai ragione. Non voglio lottare. Voglio finirti adesso.”
Infilò una mano dentro il vestito e tirò fuori un cacciavite familiare. Era il cacciavite che Piper aveva perso secoli prima. Ma come era finito nelle mani di Pennsatucky? Piper non lo sapeva, e indietreggiò finché la sua schiena sbatté contro il metallo freddo della recinzione, i palmi delle mani rivolti verso Doggett per fermarla.
“Ti prego. Non vuoi farlo sul serio. Se lo fai, ti daranno tanti altri anni qui dentro.”
“Dio è dalla mia parte.” Inclinò la testa da un lato, sempre quello sguardo pazzo negli occhi, puntando il cacciavite verso il collo di Piper. “Perché so chi sei. Stupida che non sei altro, l’hai appena gridato davanti a tutti. Sei quella ragazza, Adele. Il mio signore mi ama e vuole che io ti distrugga.”
“Quindi ti ha mandata lui.”
“Dovevi tenere la bocca chiusa.”
“Quanto ti ha pagato, Tiffany? Cosa ti ha promesso Kubra?”
Mentre Doggett si avvicinava la sua faccia sembrò esplodere di rabbia, ormai a pochi centimetri dal viso di Piper. Piper sentì il cacciavite premerle contro la gola.
“Non impari mai, vero? Non terrai mai la tua boccaccia chiusa? Dio mi ama. Lui non ama te.”
“Ti ha pagato, Tiffany? O ti ha costretta?” Piper sapeva che provocarla non era la migliore strategia per guadagnare tempo, ma valeva la pena provarci, anche se la sua voce stava tremando. “Ti ha preso contro la tua volontà? Perché è così che vanno le cose nella tua vita, non è vero?”
Piper non fece in tempo a sentirsi in colpa per quello che aveva appena detto. Doggett le afferrò le spalle e la sbatté contro la recinzione.
“ZITTA!” urlò, la sua faccia era una maschera di pazzia, del tutto fuori controllo. Piper impiegò qualche secondo per rendersi conto che il dolore freddo che sentiva nello stomaco era il cacciavite di Pennsatucky infilato nella sua pancia. Provò ad afferrarlo e sentì un liquido caldo spargersi tra le dita. Doggett lo tirò fuori e Piper cadde in ginocchio per il dolore, poi venne spinta a terra e l’istante dopo Doggett era sopra di lei e le colpiva la faccia con la parte posteriore del cacciavite e poi le infilava la punta acuminata dentro lo stomaco e le braccia e il petto.
Piper rimase inerte, sdraiata sulla neve fredda, gli occhi vacui rivolti verso il cielo scuro sopra la sua testa, mentre la sua assalitrice continuava a infliggere dolore al suo corpo. Sentì un caldo sapore metallico in bocca e inclinò la testa da un lato e vide la porta attraverso cui era entrata in cortile aprirsi. Se solo non fosse scappata via per l’ennesima volta, se solo non fosse scappata via da Alex e dalle sue emozioni, niente di tutto questo sarebbe successo, erano i pensieri dolorosi che le rimbalzavano in testa.
Tutto sembrava succedere al rallentatore davanti ai suoi occhi. Il cacciavite di Pennsatucky che faceva avanti e indietro sul suo corpo, le gocce di sangue che cadevano sulla neve, tutto era così lento. Persino quegli eleganti capelli neri che svolazzavano attorno al viso più bello che avesse mai visto sembrarono impiegare secoli per coprire la distanza tra lei e la porta.
qualcuno ti ha mai detto quanto sei bella?
Il dolore si fermò quando si rese conto che stava guardando Alex. Sorrise, dentro la sua testa, poi chiuse gli occhi.
 


Non appena spalancò la porta verso il cortile Alex gridò, buttando fuori tutta l’aria che aveva nei polmoni. Vide Piper sdraiata sotto Doggett, che la colpiva con un oggetto appuntito, le mani e il vestito inzuppate di sangue. Piper non si muoveva e guardava Alex con occhi vuoti, come se non la stesse neppure vedendo.
Alex le corse incontro e spinse via Doggett, che cadde a terra vicino a Piper e mollò quello che ad Alex sembrava un cacciavite. Gli occhi di Pennsatucky, pieni di rabbia e pazzia, dissero ad Alex che non capiva che cosa stesse succedendo e cosa aveva appena fatto.
Alex calciò via il cacciavite, lontano dalla presa di Doggett, si inginocchiò di fronte a lei e la colpì con il gomito in faccia. Doggett non fece in tempo a vederlo arrivare e cadde a terra priva di sensi. Alex si girò verso Piper e le posò una mano sulla fronte e l’altra sul petto pieno di sangue e si piegò verso il suo viso, cercando di capire se stava ancora respirando e se il suo cuore batteva ancora.
“PIPER!” gridò. “Piper! Svegliati!”
La sua voce si spezzò dalla disperazione, vedendo nessun segno di vita sul volto pallido e freddo della sua amata e le infinite pugnalate sul suo corpo.
“AIUTO, VI PREGO!” gridò mentre la porta si aprì e comparve una guardia. “Vi prego, ha bisogno di aiuto!” poi si girò verso Piper, lacrime cadevano dalla sua faccia su quella di Piper. Ben presto smise di sentire le voci che uscivano dalla radio della guardia e le voci delle altre detenute che erano comparse attorno a loro. C’erano solo Piper e lei, tutto il resto spariva, come sempre.
“Ti prego, piccola, torna! Svegliati!” accarezzò i capelli di Piper e posò un bacio sulle sue labbra fredde. Un rivolo di sangue scendeva giù da un angolo della sua bocca.
“Mi dispiace ma ti prego, non lasciarmi. Svegliati!” Alex si sentì avvolgere da un paio di braccia forti che la trascinarono via.
“Ti prego svegliati, tesoro!” gridò, mentre portavano via Piper.
 
Lasciatemi le vostre opinioni se vi è piaciuto, giuro che anche il mio cuore si è spezzato per piccola Piper ma le cose miglioreranno perché non sopporterei che qualcosa di brutto le succedesse! Grazie.

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Capitolo 10
*** Cazzo di Spike ***


Mi dispiace per la lunga attesa. Questo capitolo è una sorta di vicolo cieco, non c’è molto progresso ma avevo bisogno di questo capitolo per spiegare le situazione di Piper e Alex dopo l’incidente e costruire la strada per il prossimo, che sarà il mio preferito Missing Moment. E’ la mia fantasia preferita di Alex e Piper che ho sempre voluto scrivere e che mi ha fatto iniziare questa fanfiction. Quindi spero che mi perdoniate per questo capitolo di stallo e che possa rifarmi con voi con il prossimo! Nel frattempo, do da mangiare sia al mio che ai vostri cuori affamati di Vauseman con un piccolo flashback, spero vi piaccia!
 
Alex buttò la testa all’indietro sul letto e guardò Pipes. Teneva la bocca un po’ aperta e gli occhi chiusi mentre dormiva, e poggiava il mento sul cuscino di Alex, stretto forte contro il suo petto. Alex la guardò, sentendo il ritmo dell’aria che entrava dentro e usciva fuori dai suoi polmoni e pensò a quanto era fortunata di essersi innamorata di quella donna perfetta. Era perfetta persino mentre dormiva, circondata dalle sue onde di capelli dorati che la facevano assomigliare a un angelo. Si godette la vista di Piper per un altro po’, mentre un sorriso le incurvava le labbra verso l’alto senza che se ne accorgesse, poi le accarezzò i capelli. Era una domenica mattina e Alex era appena tornata dal suo viaggio d’affari a Lussemburgo, e Piper stava dormendo troppo, come era solita fare dopo che avevano passato la notte a fare l’amore.
“Pipes, tesoro” Alex le baciò la punta del naso. Piper tirò indietro la testa sorpresa, gli occhi ancora chiusi, mentre mormorava qualcosa e cominciava a muovere le dita addormentate. “E’ ora di svegliarti.” disse Alex.
Chiuse gli occhi e posò le sue labbra su quelle di Piper. Erano morbide e calde e così sottili che poteva avvolgerle del tutto con le sue... ma poi notò che Piper non rispondeva al bacio. Alex si ritrasse e aprì gli occhi per guardarla. Quello che vide la spinse a indietreggiare, togliendo la mano dalla guancia di Piper e alzandosi a sedere sui cuscini.
Il viso di Piper era così pallido e freddo da essere diventato quasi blu. Le sue labbra erano violacee e non si muoveva, mentre un filo di sangue le scivolava da un angolo della bocca, giù sulla guancia e a imbrattare il cuscino bianco.
“PIPER!” urlò, afferrandole le spalle e scuotendola. La testa di Piper ricadde all’indietro sul cuscino insieme al suo corpo privo di vita. “Piper, tesoro!”

“Svegliati, Vause!”
Alex si alzò a sedere subito, appoggiandosi sul gomito. Non appena sentì il tocco ruvido del cuscino, diverso da quello soffice del sogno, ricordò dove si trovava. Allungò il braccio dietro di sé e le sue dita rovistarono cercando gli occhiali. Non appena sentì il tocco freddo delle lenti li afferrò e li indossò. Ci mise un po’ per focalizzare lo sguardo sulla persona davanti a lei e si rese conto che era O’Neill che le puntava una torcia in faccia.
Alzò una mano a proteggersi dalla luce accecante e si accorse che le luci del dormitorio erano spente. Non era ancora mattina, e girando la testa ebbe una visione fugace della sua compagna di cella che dormiva beata.
“Cosa? Che ore sono?”
“Ti consiglio di muoverti e pisciare. Sei in trasferimento.”
Trasferimento? Alex si tolse la coperta di dosso e decise che era meglio seguire le istruzioni prima di svegliare altre detenute e attirare l’attenzione. Era in prigione, si ricordò, raccogliendo l’uniforme dalla sedia e seguendo O’Neill in pigiama. Aveva fatto un brutto sogno e si era svegliata prima che potesse cominciare a urlare, come succedeva spesso, quasi ogni notte da quando…Piper.
“Dov’è Piper?” quasi si aggrappò alle spalle di O’Neill, sperando che le avrebbe detto che cosa le era successo e se era viva.
Certo che è viva, stupida, si disse, spingendo via quell’altro pensiero che non riusciva a sopportare. Amava Piper così tanto da essere sicura che avrebbe in qualche modo sentito se Piper era…
“Non ne so niente.” La faccia di O’Neill rimase indifferente mentre la sua bocca si agitava sopra un chewing-gum. Vedendo l’espressione disperata di Alex però, sembrò ammorbidirsi e aggiunse: “Mi dispiace.”
Alex sentì le spalle caderle per la delusione. Nessuno sembrava sapere niente di lei e nessuno poteva dirle se stava bene. Più di un mese era passato dall’ultima volta che aveva visto Piper sdraiata in un bagno del suo stesso sangue, quella notte della vigilia di Natale, e l’unica cosa che le impediva di andare fuori di testa era l’instancabile speranza che Piper fosse viva.
Non poteva essere…scosse la testa. Non osava neppure sfiorare il pensiero. Piper era viva, lo sapeva, sentiva che la sua ragazza era là fuori e Alex doveva essere lì con lei.
Entrò nel bagno vuoto, si tolse il pigiama e infilò l’uniforme. Il pensiero di Piper lontana da lei, ferita o sofferente, le faceva venire voglia di lasciarsi andare al collasso che l’aveva aspettata dietro l’angolo per più di un mese ormai. E quei sogni orrendi che la facevano gridare e la svegliavano nel mezzo della notte piena di sudore? Non erano diversi dalla realtà. Alex non era riuscita a salvarla, né nella vita reale né nei sogni, e non c’era mai un modo per svegliarla o perché muovesse le labbra contro le sue o aprisse gli occhi. Quei sogni seguivano sempre quel copione inesorabile e la facevano sentire come un inutile pezzo di niente. Quello che era successo a Piper, era tutta colpa sua. Se solo Alex l’avesse ascoltata quando era venuta nel suo blocco, se solo non avesse esagerato e respinto Piper nulla di tutto questo sarebbe successo.
Le aveva promesso che niente di male le sarebbe mai successo e aveva fallito nel mantenere la promessa. Ascoltando il corso dei suoi pensieri gli occhi le si riempirono di lacrime, mentre seguiva O’Neill attraverso i corridoi illuminati da quella luce d’ospedale e poi fuori, nel vento ruvido di gennaio, dove un autobus la aspettava.
Tentò di chiedere ai vari agenti dove la stavano portando e se sapevano qualcosa di Piper Chapman, ma ottenne solo muri di silenzio, tutti si comportavano come se non fosse lì. Si rassegnò infine a sedersi al suo posto in fondo all’autobus, dietro un mucchio di detenute dalla faccia cattiva.
Aveva sempre saputo quanto vendicativo potesse essere il suo ex-capo, ma non aveva mai pensato che Kubra si sarebbe spinto fino al punto da assumere una detenuta di Litchfield per uccidere Piper. Non appena aveva saputo che Doggett era stata portata in massima sicurezza si era pentita di non averla uccisa con le sue stesse mani mentre ne aveva la possibilità, invece di mandarla KO e basta.
Dopo essere scesa dall’aereo la fecero salire su un altro autobus, e dagli edifici che riusciva a intravedere attraverso le finestre poteva intuire che si trovava a Chicago. Pochi giorni dopo essere arrivata nella nuova prigione, il suo avvocato la informò che Kubra era stato estradato dall’Europa e ora le toccava testimoniare contro di lui.
 

Piper era sdraiata sul letto, i suoi capelli biondi sparsi sui cuscini. Era mezzo addormentata e perlopiù sveglia, ma non si decideva ad aprire gli occhi. Un sorriso ebbro riposava sulle sue labbra, mentre rotolava tra le lenzuola inalando l’odore del suo comodo letto. Sentiva che se avesse aperto gli occhi quella sensazione di euforia che le scorreva dentro l’avrebbe abbandonata: era la sensazione che le restava addosso dopo aver passato la notte a cantare davanti a una folla di un centinaio di persone. Era stato il suo primo concerto ufficiale. Piper sorrise ricordandolo e nascose la faccia tra i cuscini. Era una cantante di successo e non poteva fare a meno di sentirsi fiera per questo. Oh, e c’era anche qualcos’altro, quella ragazza, Alex. L’aveva incontrata qualche settimana prima, si erano scambiate i numeri di telefono e avevano parlato attraverso SMS da allora.
Il sorriso le si allargò ricordando la scorsa notte. Alex era spuntata fuori dietro le quinte e le aveva augurato buona fortuna, prima di posarle un piccolo bacio sulla guancia. Piper sollevò la mano e toccò il punto dove le labbra di Alex erano state, sperando di trovare traccia del suo odore o rossetto.
Un’ombra attraversò il viso di Piper e rughe le incrostarono la fronte, mentre si sforzava di tenere gli occhi chiusi ancora un po’. Nonostante quello fosse stato il suo primo concerto e avesse visto realizzarsi l’unica cosa che aveva desiderato per tutta la sua vita, l’unica cosa a cui riusciva a pensare era Alex. Non era così che aveva fantasticato il sogno di una vita! Mentre cantava, non riusciva a fare a meno di pensare che la sua voce non fosse all’altezza e che Alex era lì, ignorando del tutto il resto della folla che pendeva dalle sue labbra.
Quella ragazza era entrata nella sua vita e non riusciva a smettere di pensarla. Quello che era successo la scorsa notte poteva significare che…Alex stava diventando più importante persino di cantare? Piper accarezzò il fantasma del bacio di Alex sulla sua guancia, portando ancora quel grosso sorriso in faccia. Infine aprì gli occhi e spalancò la bocca sconvolta guardando l’orologio sul comodino. 19:36? Si rese conto nauseata che aveva dormito tutto il giorno. Certo, c’era stata una grande festa dopo il concerto la sera prima e un sacco di festeggiamenti e non ricordava neppure come aveva fatto a tornare a casa, lo stesso…dormire tutto il giorno la riempiva di un senso di colpa.
Sedette sul margine del letto, strofinando via il sonno dagli occhi. Decise che avrebbe fatto una doccia per salvare quanto restava della giornata. Amava sentirsi pulita, e la doccia era il suo angolo di felicità.
Mentre il getto di acqua calda le scorreva addosso si abbandonò al pensiero di come sarebbe stato sentire la pelle di Alex contro la sua, stringerla stretta e lasciare scivolare le mani sul suo corpo nudo e sulle sue cosce sode e la sua schiena…
Piper spense il getto dell’acqua e rimase lì ferma e nuda, chiuse gli occhi. No, si disse. Piper Chapman, non puoi.
Si vergognava per quello che provava verso Alex. Si sentiva colpevole a pensare a lei come a più di un’amica. Non era solita avere strane fantasie in cui pensava a Polly sotto la doccia o a chiunque delle sue amiche, giusto? E Alex era solo un’amica. Ma non riusciva a scuotere via la sensazione che Alex fosse diversa.
Il silenzio rimbombò attraverso le mura del suo bagno, mentre usciva fuori dalla doccia e si arrotolava un asciugamano addosso. E ora? pensò. Non si era mai sentita a suo agio sotto i riflettori e non aveva mia pensato a se stessa come bisognosa d’attenzioni ma dopo l’esperienza della scorsa notte, ritrovarsi sola nel suo bagno con nient’altro che silenzio a farle compagnia la faceva sentire…vuota.
Camminò annoiata attraverso la casa finché atterrò sullo sgabello di fronte al pianoforte. Tolse la custodia di legno e fissò i tasti, che la guardarono in risposta come una pagina bianca che aspetti di essere riempita. Le sue dita caddero con naturalezza sui tasti giusti, come se avessero aspettato da sempre di essere lì. Suonò, dimenticandosi del tempo e di cena e del concerto e di Alex per un po’.
All’improvviso sentì uno strano rumore e quando si decise a uscire dalla sua trance si accorse che il campanello di casa stava suonando.
Dio, pensò precipitandosi sulla porta. Da quanto tempo stava suonando?
Quasi sbatté la testa contro la porta mentre la spalancava e si ritrovò a fissare una bottiglia di champagne, tenuta su da un braccio ricoperto da una giacca di pelle nera.
“Quindi sei a casa. Ho sentito suonare e ho pensato…” disse Alex e subito dopo sembrò misurare Piper dalla punta dei piedi fino all’alto della sua fronte, con un sorriso incuriosito sulle labbra.
Piper guardò la sua giacca di pelle nera e il modo in cui le ciocche blu le ricadevano sul petto e pensò che avrebbe potuto abituarsi a vedere quella ragazza per il resto della sua vita.
“Scusa, stavo…” aggrottò le sopracciglia. “Aspetta, sai dove vivo?”
“Mi hai dato il tuo indirizzo, ricordi? Pensavo di scusarmi per non essere stata alla festa di ieri sera” sollevò la bottiglia di champagne e la sistemò accanto alla sua faccia sorridente. “Hai intenzione di tenermi qui fuori tutta la notte?”
Piper si accorse che stava scivolando in quella trance di nuovo. Guardare Alex e sentire il suo profumo dolce le faceva girare la testa. Era come quella trance al pianoforte in cui era stata poco prima, solo che questa era molto meglio, perché Alex era lì in carne e ossa.
“Scusa” si scostò dalla porta per farla passare. “Entra.”
Il viso di Alex sembrò arrestarsi di colpo quando lasciò cadere gli occhi sulle gambe scoperte di Piper e sugli addominali sexy sopra la sua pancia piatta. Alex deglutì, temeva che Piper avrebbe notato il modo in cui la fissava, ma non riusciva a spostare gli occhi dal suo corpo quasi nudo.
“Cosa?”
“Mmh. Non che mi lamenti se non indossi molti vestiti. Mi piace in una donna.” lanciò a Piper un sorriso malizioso. “Ma ti prenderai un raffreddore.”
Entrò nell’appartamento di Piper e si ritrovò a pochi centimetri da lei. Piper si guardò in basso e arrossì imbarazzata vedendo i suoi capelli bagnati ricaderle sulla pelle nuda. Indossava solo un paio di pantaloncini neri e un reggiseno e aveva i capelli bagnati. Al diavolo, pensò. Aveva dimenticato di indossare vestiti dopo essere uscita dalla doccia.
“Oddio, scusa. Ho dimenticato…”
“E’ OK, sciocca” Alex rise.
Piper sentì il respiro di Alex sul proprio viso e sollevò gli occhi a guardarla. Lo sguardo le cadde sulle labbra di Alex, così vicine a lei, ma si sforzò di concentrarsi sui suoi occhi. Alex poteva sentire il calore emanato dalla pelle nuda di Piper e lottò l’impulso di toccarla.
“Quindi” disse Piper, indietreggiando per chiudere la porta e pentendosi subito di essersi allontanata da lei. “Cosa si festeggia?”
 

“No che non sono ubriaca!” gridò Piper più tardi e scacciò via dalla sua faccia la mano di Alex che la tormentava. Alex rise e si lasciò ricadere all’indietro sui cuscini. “E no, la scorsa notte non c’è stato niente di meraviglioso.”
“Si, invece, tu eri meravigliosa.” Alex la guardò con un’espressione seria in volto, poi allungò il braccio attraverso il letto e strinse le dita di Piper.
Piper sorrise, pensando che stanotte avrebbe avuto il profumo di Alex e l’odore dei suoi capelli sul suo cuscino. Be, forse non proprio stanotte. Guardò l’orologio sul comodino e vide i numeri rossi segnare le 01:42. Avevano parlato senza interruzione e bevuto champagne sul letto di Piper per più di quattro ore di fila ormai. Piper aveva avuto modo di scoprire qualcosa in più sul passato di Alex, incluso l’immenso amore che quella donna portava verso sua madre Diane. Piper le aveva detto di come aveva sempre desiderato avere una madre come Diane, e di come la sua madre l’aveva costretta ad andare al college e conseguire una laurea che Piper non era neppure sicura di volere. Non si era mai sentita così aperta e onesta verso qualcuno, addirittura ammettendo cose che non avrebbe mai pensato di confessare.
Alex le aveva detto che lavorare per un cartello internazionale di droga era il migliore lavoro che avesse mai avuto. Piper si sentiva OK al riguardo, e non era solo l’effetto dello champagne che le stava dando alla testa. Finché Alex amava quello che faceva, anche Piper pensava di riuscire a farselo piacere, anche se dentro era più che preoccupata per Alex.
“Cosa stavamo dicendo?” Piper inclinò la testa sulla spalla e sorrise, guardando Alex sdraiata sul suo letto. Sentiva di continuo il bisogno di raggiungerla e toccarla o sdraiarsi accanto a quella ragazza che le stava invadendo la vita e ora il letto.
Alex si alzò a sedere all’improvviso, imitando la posizione di Piper, e sedette a gambe incrociate davanti a lei.
“I bastardi.”
“Giusto.” Piper ridacchiò. “Sai, vengono anche a me. Per la maggior parte sono biondi e morbidi, ma ogni tanto ne arriva uno grosso e nero e appuntito e se non lo prendi in tempo, all’improvviso è lungo mezzo metro e ti spunta dritto dalla faccia, come una barba gigante. L’ho chiamato Spike.”
“Spike?” Alex rise e la guardò con la bocca socchiusa e le sopracciglia sollevate.
“Sì, ne ho uno proprio qui, guarda.”
Alzò il mento e cominciò a tastare la pelle con l’indice, avvicinandosi ad Alex finché le sue labbra furono quasi a contatto con il suo mento.
“Smettila! Non c’è niente.”
“Sì, invece, ce n’è uno” Piper continuò a fissare la luce sul soffitto palpandosi la pelle sotto il mento. Dopo un po’ si accorse di avere di nuovo quella sensazione di eccitazione, con Alex così vicina a lei da sentirle il respiro sul collo mentre le loro ginocchia si toccavano. Quando abbassò gli occhi vide che Alex le stava fissando le labbra con un’espressione seria.
“Suona sexy, però.” disse Alex.
“Cosa? Spike?”
“Sai no, la barba folta e ruvida che le donne amano negli uomini.”
“Ew! Che schifo! Non mi piacciono.”
“I peli o gli uomini?” Alex la guardò con uno sguardo provocatorio inclinando la testa da un lato.
“Non lo so, credo…” le parole di Piper rallentarono, mentre sentiva la tensione che attirava il suo corpo verso quello di Alex. I suoi stessi occhi continuavano a scivolare dalle labbra di Alex ai suoi occhi e non riusciva a evitarlo.
“Non sai cosa ti piace?” Alex sussurrò con voce roca.
Piper sentiva questo bisogno bruciante dentro il corpo e il petto, e perché si ostinava a combatterlo? Le spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, chiuse gli occhi e avvolse il viso di Alex tra le sue mani, la trascinò verso di sé e la baciò.
Le sue labbra erano morbide e fresche, ma non appena Alex cominciò a muoverle contro le sue sentì il cuore batterle così forte da farle girare la testa. C’era questa sensazione dentro di lei che non poteva descrivere meglio se non con la parola “dolce”. Baciare Alex Vause era dolce e naturale.
Poi si baciarono con avidità, respirando l’una il sapore dell’altra come se stessero cercando di rimediare per tutto il tempo che avevano perso prima di conoscersi e per tutta quell’attrazione chimica che le aveva tormentate fin dal primo incontro. Quando le loro labbra cominciarono a muoversi più rapide e voraci Piper sentì un calore crescerle dentro –e sì, anche laggiù nel suo centro, anche se si sarebbe vergognata di farlo capire ad Alex. Aveva bisogno di sentire il corpo di Alex premerle addosso, così la afferrò dalla vita e la trascinò verso di sé, ma non appena il loro seni si incontrarono il naso di Piper sbatté contro gli occhiali di Alex e smisero di baciarsi.
“Scusa.” Piper si tirò indietro con il respiro affannato e tolse le mani dal volto di Alex.
“Non scusarti.” In quel momento furono le mani di Alex ad avvolgerle le guance. Le lanciò un sorriso rassicurante, cercando di recuperare il respiro e appoggiò la propria fronte contro quella di Piper. Piper ebbe la sensazione che Alex stesse sorridendo e ridendo di sollievo, e tenne gli occhi chiusi. Le sue e le labbra di Alex erano rosse, portavano i segni di dove le loro bocche erano state.
“Ti ho baciata.” disse Piper, ostinandosi a non aprire gli occhi.
“L’hai fatto.”
Rimasero in silenzio, inginocchiate sul letto di Piper, mentre Alex riposava la propria fronte contro quella di Piper.
“Pipes. E’ tutto OK. Apri gli occhi.”
“No.”
“Perché no?”
“Perché sento che se lo faccio,” Piper si morse il labbro, gli occhi ancora serrati. “potrei sapere cosa mi piace.”
“E cosa ti piace?”
Piper spalancò gli occhi di un blu cristallino e li lasciò cadere sulle labbra di Alex. Afferrò gli occhiali di Alex e li tolse con delicatezza, scompigliando un paio di ciocche nere sulla sua fronte.
“Mi piaci tu. E mi piace baciarti.”
Trascinò il viso di Alex contro il suo e le loro labbra si fusero insieme.
“Ah si?” Alex si separò dal bacio dopo un po’. “Perché c’è una cosa che piacerebbe anche a me. Quel cazzo di Spike mi ha distratto.” Sollevò il mento di Piper tenendolo tra l’indice e il pollice e si piegò in avanti.
Non appena le sue labbra fredde toccarono la pelle sul suo collo, Piper spalancò gli occhi e si lasciò sfuggire un gemito.
 

L’infermiera entrò e disse “Buongiorno, Chapman.” Era un altro, ennesimo giorno e Piper era sveglia ma non riusciva a svegliarsi o aprire gli occhi. Non era sicura di aver dormito, in quello stato a metà tra la veglia e il sonno in cui si trovava. Da quanto tempo era così? Si concentrò sul proprio corpo e provò la sensazione di un migliaio di formiche che la stavano usando come un ponte per attraversarla dalla testa ai piedi. Poteva sentire quella fastidiosa luce sopra la sua testa ad occhi chiusi. Un ritmico “beep” metallico continuava a rimbombare accanto a lei, e quando si concentrò sul pollice e cercò di muoverlo si accorse di avere una sorta di pinza e un filo attaccati. Poi si accorse del costante soffio di vento che la accompagnava ogni volta che il suo petto si abbassava per buttare fuori l’aria. Quindi la buona notizia era che era viva. La brutta notizia era che il suo corpo era connesso a strani macchinari e non sapeva come svegliarsi o muovere le dita.
C’era una cosa di cui era sicura, però. Aveva visto quel ricordo del primo bacio tra lei e Alex. I ricordi di lei e Alex erano l’unica cosa a farle compagnia in quel sonno interminabile in cui si trovava da così tanto tempo.
Svegliati tesoro, ti prego svegliati
Piper si concentrò e sentì che poteva farcela. Aprì gli occhi e mise fine al suo mese di coma. Fissò le piastrelle bianche sul soffitto e abbassò gli occhi verso la donna che aveva pensato essere un’infermiera e che le aveva fatto compagnia durante il suo coma. Si rese conto che era un’agente del carcere in uniforme blu, che le camminava incontro con un paio di manette tra le mani.
“Bentornata, Chapman.”
 
Non appena riuscì a camminare la misero su un autobus e la portarono via dall’ospedale della prigione, anche se aveva un aspetto peggiore del fantasma di quella che una volta era stata Piper Chapman. Non sapeva dove stesse andando ed era troppo debole per chiedere. In più, gli anestetici che le avevano dato la facevano sentire strana e le facevano venire voglia di buttare la testa indietro sul sedile e basta. Fissò le sue mani ammanettate e non poté fare a meno di rabbrividire per il disgusto guardando le ferite sulle braccia. Sembrava avere dei buchi di un colore giallognolo e viola, dovevano essercene parecchi sul resto del suo corpo e si chiese se aveva cicatrici anche in faccia. Ricordava l’attacco, ma i dottori le avevano mormorato qualcosa prima di lasciarla andare. Da quello che la sua testa drogata aveva potuto capire aveva subito danni cerebrali multipli di lieve entità causati da un oggetto che le aveva ripetutamente colpito la testa, con conseguente perdita temporaria della memoria a lungo termine.
Piper girò la testa giusto in tempo per vedere un edificio familiare attraverso la finestra. La parola “isolamento” le venne in mente. La stavano portando in un posto chiamato isolamento. Non aveva perso la memoria, solo…le cose erano un po’ in disordine nella sua testa. Si ricordava di Alex, però.
Perse la cognizione del tempo e si ritrovò seduta su una sedia sotto la luce fredda di una lampada sul soffitto, i suoi polsi ammanettati appoggiati su un tavolo di metallo. Mentre si guardava attorno la testa le girava e si rese conto che quella doveva essere una sorta di cella di prigione. Era meglio della sua solita cella dell’isolamento con la porta rossa e non c’erano detenute che urlavano. Aggrottò le palpebre e sobbalzò sulla sedia quando si accorse che un uomo era seduto davanti a lei dall’altra parte del tavolo. Aveva una faccia paffuta e rugosa, ma un’aria seria che incuteva timore mentre la guardava. Piper fissò la sua cravatta nera e il suo completo marrone e si sforzò di ricordare che cosa c’era di familiare in lui.
“Piper” disse, guardandola dritto dentro gli occhi. Allacciò le dita sopra una cartella aperta davanti a lui sul tavolo. Da quanto tempo la stava fissando?
“Sono contento di vederti. Sono qui come tuo avvocato. Capisci quello che sto dicendo?”
Aspettò con pazienza che Piper mandasse giù le sue parole. Piper si passò la lingua sulle labbra secche e si lasciò uscire un lamento rauco, aveva dimenticato come fare uscire le parole dopo così tanto tempo.
“Ti ho già visto. Tu sei…”
“Il padre di Larry. Il tuo ex-fidanzato, ricordi?” aggiunse, vedendo che Piper non dava segni di aver capito. “I dottori avevano ragione quando dicevano che sei…in cattiva forma. Non importa. Limitiamoci al tuo caso. La buona notizia è che Kubra Balik, il pesce grosso nel tuo giro di droga, è stato estradato da…”
“Dov’è Alex?” Piper si sentiva girare la testa e l’immagine dell’uomo seduto davanti a lei cominciava ad sembrarle appannata.
“Alex Vause?” parlava come se qualcosa l’avesse colpito.
Seguì silenzio. Piper pensò di aver detto “Sì, voglio sapere dov’è e se sta bene” ma forse quello era solo successo nella sua testa. Non si sentiva molto cosciente di quello che le usciva di bocca e aveva la lingua intorpidita.
L’uomo che diceva di essere il padre del suo ex-fidanzata e il suo avvocato chiuse la cartella sul tavolo, la spinse da parte e la guardò, stringendo le mani a pugni.
“Ascolta, Piper. So che sei stata in come per più di un mese ormai, ma pensavo che ti avessero in qualche modo informata…” prese un respiro profondo e il petto gli si gonfiò come quello di un tacchino. “Mi dispiace doverti dare questa notizia. Alex è stata liberata. Ha testimoniato contro Kubra e l’hanno fatta uscire in anticipo. Kubra è stato arrestato. Il processo…l’hai perso.”
“L’ho perso?”
“Eri in coma. Nessuno sapeva quando ti saresti svegliata, e se lo avessi fatto, se saresti stata in grado di sederti davanti a un giudice e testimoniare contro Kubra. Avendo mancato il processo, dovrai scontare il tuo tempo in prigione fino alla fine della tua sentenza.”
Prese una pausa, poi afferrò la cartella e una penna e all’improvviso sembrava troppo occupato a sfogliare  documenti per guardarla negli occhi. “Passerai le prossime due settimane in isolamento. E’ la procedura di sicurezza. Poi ti lasceranno andare per un permesso di tre giorni. Hai bisogno di accertamenti medici viste le tue condizioni, e potrai anche vedere tua nonna.” Le lanciò un sorriso che avrebbe dovuto essere rassicurante, ma che non fece altro che confonderla di più.
Piper chiuse gli occhi, sentì la stanza girarle intorno…Che cosa stava dicendo?
“Mia nonna? Che cosa c’entra mia nonna con tutto questo?”
“Giusto. Non lo sai.” Il sorriso svanì mentre ancora una volta chiudeva il fascicolo e lo spingeva via, poi allungò una mano sul tavolo e strinse i pugni ammanettati di Piper, in un improvviso moto di tenerezza verso quella fragile ragazza. “I tuoi genitori hanno chiesto un permesso speciale, date le tue condizioni di salute dopo l’incidente.” Prese un altro respiro profondo, quell’uomo prendeva così tanti respiri profondi che Piper pensò sarebbe esploso. “E tua nonna sta morendo. Mi dispiace.”



Spero di non avervi delusi troppo e so che il coma di Piper è descritto in maniera un po’ frettolosa, ma avevo voglia di scorrere per farle incontrare il prima possibile. La seconda stagione è uno dei momenti che amo di più nell'evoluzione di Piper, diventa dura dopo quello che le è successo e quando si guarda attorno ha uno sguardo di ghiaccio. Nei prossimi capitoli mi orienterò in questa direzione, fatemi sapere cosa ne pensate. Grazie!

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