Ricordami chi sono di Prue786 (/viewuser.php?uid=21161)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chi sono? ***
Capitolo 2: *** Dove sono? ***
Capitolo 3: *** Perchè non ricordo? ***
Capitolo 4: *** Sogno o son desto? ***
Capitolo 5: *** Cerchiamo me stesso? ***
Capitolo 6: *** Sono senza passato? ***
Capitolo 7: *** Io? ***
Capitolo 8: *** I miei ricordi? ***
Capitolo 9: *** Chi sei? ***
Capitolo 10: *** Me la caverò? ***
Capitolo 1 *** Chi sono? ***
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1. Chi sono?
Il giovane si rese conto di
essere cosciente quando avvertì il fastidioso pulsare alla tempia sinistra. Con
un gemito si mosse lentamente, avvertendo il fruscio delle lenzuola, la
pesantezza del suo corpo e qualcosa stretto intorno alla testa.
Inspirò piano prima di sollevare
le palpebre e rimase a scrutare nell’oscurità, non riuscendo a mettere a fuoco
nulla che gli fosse familiare.
Lo scatto della maniglia gli
fece tendere l’orecchio prima che uno spiraglio di luce filtrasse della porta e
dei passi si facessero più vicini.
“Sei sveglio?” sussurrò una voce
sconosciuta, facendogli alzare lo sguardo su un volto di donna solcato da
profonde rughe.
Con uno scatto improvviso il
ragazzo si tirò a sedere, pentendosene immediatamente.
“Cazzo!” Urlò afferrando la
testa con entrambe le mani.
“Merda!” Strillò nuovamente
quando l’intero corpo fu attraversato da una fitta di dolore. “Dannazione!”
Strinse i denti cercando di rimanere immobile e far placare le stilettate che lo
stavano pervadendo ovunque.
Si limitò a respirare
pesantemente stringendo con forza gli occhi, la testa china sul copriletto e il
cuore che gli martellava in petto.
“Hai finito di imprecare?”
La voce contrariata della donna
gli fece muovere lentamente il capo per riuscire a lanciarle un’occhiataccia.
“Non lo so…” sibilò lasciando andare un sospiro.
“Ti consiglio di stenderti,
giovanotto, e di non fare altri scatti del genere!” Scosse la testa con aria
esasperata ed uscì dalla stanza, socchiudendo appena la porta.
“Max!” Si sentì la voce della
donna a poca distanza “Boccuccia di rosa si è svegliata!”
Il ragazzo fece una smorfia e
l’ennesima fitta gli fece digrignare i denti “Cazzo…” Sussurrò cercando di non
muoversi più. Chiuse gli occhi e quasi non si accorse del nuovo ingresso.
“Stai bene?” domandò una voce
profonda.
Sarebbe scoppiato a ridere se
non gli avesse fatto un male atroce.
“Secondo te?” alzò lo sguardo,
incrociando quello dell’uomo in giacca e cravatta, che lo fissava con la fronte
aggrottata.
“Hai ragione, è una domanda
inutile!” mormorò il nuovo arrivato, distendendo per un attimo il viso.
Uno sbuffo irritato “Puoi dirlo
forte… devo aver fatto venire un colpo alla nonnina.” borbottò, lievemente
dispiaciuto.
“Non preoccuparti, mia madre non
rimarrà sconvolta per così poco.” L’uomo si avvicinò di qualche passo al letto
“Hai bisogno di qualcosa?” Domandò con una punta d’apprensione, ricevendo, in
cambio, un’occhiata perplessa.
“A parte un corpo non dolorante,
non credo!”
“Bene…”
Il ragazzo si lasciò sfuggire un
lento sospiro, il viso che gli si contorceva per il dolore.
“Puoi… ripetermi come ti chiami?
Temo di averlo dimenticato.” La voce dell’uomo era bassa e quasi insicura ma
quando l’altro alzò lo sguardo su di lui gli rivolse un sorriso.
“Io…” il giovane aumentò la
stretta alla testa, respirando un po’ a fatica “Non…” scosse piano il capo,
reprimendo un’imprecazione “È assurdo, ma non ricordo.” Aprì e chiuse la bocca
più volte prima di sbottare, innervosito “Cazzo, non ricordo il mio nome, porca
puttana!” Deglutì mentre il panico cominciava ad attanagliargli lo stomaco, il
cuore che aumentava la sua corsa. “Com’è…?”
Le mani dell’uomo si poggiarono
piano sulle sue spalle “Stai tranquillo! Hai solo bisogno di riposare un po’,
tutto qui. Vedrai che dopo ricorderai tutto.” Con una lieve pressione spinse il
giovane a sdraiarsi nuovamente.
“Ma…”
“Non pensarci e per ora cerca
solo di dormire, va bene?”
Il giovane lo fissò, annuendo
“Ok…” mormorò sbattendo le palpebre prima di socchiudere gli occhi. L’ultima
cosa che avvertì, prima che la nebbia del sonno l’avvolgesse, fu la lieve
carezza sulla fronte fasciata.
Max sospirò pesantemente,
richiudendo la porta della camera, e percosse il corridoio a passo sostenuto,
mentre infilava una mano in tasca per prendere il cellulare.
“Dove diavolo sei?” Attese in
silenzio la risposta all’altro lato e inarcò le sopracciglia, innervosito “Non
mi interessa, non sono io ad essermi cacciato in questo casino e sto cercando di
tirartene fuori per un solo motivo!” Inspirò rumorosamente entrando in una
stanza con una grande scrivania in legno, sedendosi sulla poltrona girevole di
pelle nera.
Cominciò a tamburellare con le
dita sulla superficie levigata “Sì, sì, ho capito, risparmiami le crisi
isteriche e muoviti a tornare qui!” L’uomo strinse con forza un pugno
continuando ad ascoltare la voce dall’altro lato del telefono prima di sbottare,
stizzito: “Non mi frega un cazzo di quello che pensi, immagini o auspichi, per
la miseria!” Si immobilizzò di colpo, respirando a fondo più volte “Ho detto…”
ricominciò con tono più pacato “Ritorna subito qui e in qualche modo vedremo di
sistemare questa faccenda, va bene?” Sorresse la testa con una mano, annuendo
debolmente “Perfetto, allora a dopo…” Mormorò appena prima di chiudere la
chiamata.
Lasciò cadere il cellulare sulla
scrivania e prese a massaggiare le tempie, chiudendo gli occhi “Maledizione…” Si
lasciò scappare a mezza voce alzandosi di scatto e abbandonando la stanza.
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Capitolo 2 *** Dove sono? ***
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2. Dove sono?
Un rumore assordante che non
sembrava voler aver fine.
Un lampo di luce accecante…
L’unica cosa che riuscì a vedere
furono due lettere nere che gli balzarono prepotentemente davanti agli occhi.
K Z
Due lettere senza senso che
sembravano diventare più grandi ogni attimo di più, circondate da nient’altro
che luce.
Un frastuono ancora più intenso
e il respiro gli venne meno.
Sobbalzò violentemente,
spalancando gli occhi, e ritrovandosi a fissare il soffitto.
Aveva il viso sudato e il cuore
pulsava in maniera esagerata; sbatté le palpebre, inspirando profondamente,
cercando di calmarsi.
“Solo un maledettissimo sogno.”
Sussurrò irritato, ma sinceramente grato che la luce del giorno filtrasse
prepotentemente dalle pesanti tende color ocra, illuminando la stanza
sconosciuta.
Il giovane mosse piano la testa,
avvertendo una fitta alla tempia e lasciò andare un sospiro, spostando la
sguardo dal comodino in legno alla sua sinistra all’armadio addossato ad una
delle pareti dipinte di azzurro. Si limitò a registrare la presenza di due
porte, una in fondo alla stanza e l’altra a poco distanza dall’armadio prima che
il dolore ai muscoli del collo gli facesse riportare lo sguardo sul soffitto.
“È la stanza in cui ero ieri.”
Pensò con un cipiglio “Ma continuo a non sapere dove sono… e soprattutto chi
sono.” Strinse i denti “Come è potuto succedere? Come…”
Una delle porte si aprì
lentamente con un cigolio.
“Buongiorno, non pensavo di
trovarti sveglio.” Max sorrise lievemente avvicinandosi al letto “Come ti
senti?”
“Sono ancora vivo.” Fu il
borbottio del giovane.
“Non ricordi ancora nulla?”
L’espressione del ragazzo gli fece esclamare, velocemente “Suppongo di no.” Lo
fissò con aria grave e si schiarì la voce “Se hai bisogno di qualcosa non
crearti problemi e…”
“Chi sei?”
L’uomo sussultò, sfuggendo allo
sguardo accigliato “Ci siamo visti ieri, forse…”
“Sì, mi ricordo di ieri, ma
ancora non so chi sei.”
“Giusto.” Max annuì con fare
comprensivo “Ovviamente non puoi ricordare. Sono Max Wilson, il padre di David.
Ci siamo conosciuti ieri mattina, prima dell’incidente.”
Con un gemito il giovane cercò
di sollevarsi dal letto, puntellando i gomiti sul materasso.
“Fermo!” L’uomo lo afferrò per
le spalle “Hai bisogno di riposo.”
“Voglio… voglio sedermi.”
Mormorò il ragazzo, con una smorfia di dolore, facendo sospirare Max che lo
aiutò a poggiare la schiena contro la testiera del letto.
“Di che incidente stai
parlando.” Soffiò ancora, asciugando con il dorso della mano il sudore freddo
sulla fronte.
L’uomo si corrucciò “Ora non mi
sembra di caso. Sei ancora confuso e stai diventando ancora più pallido. Il
medico dovrebbe essere qui a breve.”
“Non mi interessa. Voglio sapere
perché cazzo sono ridotto in questo stato, maledizione.”
Max sospirò, massaggiando piano
gli occhi “Sei caduto dalle scale ed hai battuto la testa.” Sussurrò
velocemente, spostando lo sguardo sul copriletto di cotone.
“E perché sono qui? Dov’è la mia
famiglia?” la voce atona del ragazzo fece incupire l’uomo che gli lanciò solo
una rapida occhiata prima di parlare “Sei ospite a casa nostra come ragazzo alla
pari.” Max attese solo qualche attimo prima di continuare “Saresti dovuto
arrivare fra qualche giorno, in realtà, ma non ho fatto in tempo a chiederti
spiegazioni; è tramite mio figlio David che sei arrivato qui. Lui al momento è
in crociera con degli amici, sarebbe arrivato in tempo per aspettarti
all’aeroporto, ma hai anticipato tutti.” Concluse velocemente, con un sospiro.
“Quindi questo David mi
conosce?”
L’uomo annuì “Si tratta di
pazientare pochi giorni.” Mormorò tornando a guardare l’altro con un sorriso
tirato. “Nel frattempo cerca di riposare e di riprenderti fisicamente.”
“Le mie cose…”
“Cosa?”
“Le mie cose! Non sarò arrivato
qui senza nulla… avrò un cellulare, uno zaino, qualcosa?” Domandò il ragazzo,
illuminandosi in viso e spalancando gli occhi neri.
Max socchiuse le labbra “E…
no-non avevi nulla con te.”
“Stronzate!” Sbottò l’altro,
muovendo in avanti la schiena e ritrovandosi ad imprecare per la fitta che gli
attraversò il corpo. “Merda…” sibilò fra i denti, strizzando gli occhi. Con
maggiore cautela ritorno ad addossarsi al muro “Non posso essere arrivato qui
senza nulla, dove…” Il giovane passò una mano sul viso, il respiro irregolare.
“Cosa mi sta succedendo? Che ci faccio qui, perché non ricordo il mio nome?” la
voce ebbe un tremito.
“Va bene, ora calmati.” Wilson
si sedette sul bordo del letto, guardando il ragazzo negli occhi “Non risolverai
nulla se ti agiti in questo modo.” Continuò con aria pacata “Ora è meglio se…”
la porta si aprì nuovamente, interrompendo l’uomo.
“È arrivato il medico.” Il
giovane sulla soglia lanciò una rapida occhiata all’interno, soffermandosi a
guardare Max, che si alzò con un sospiro. “Arrivo. E tu…” sfiorò appena i
capelli del ragazzo seduto sul letto “Cerca di stare calmo, intesi?” mormorò con
un sorriso, prima di allontanarsi.
Max raggiunse il corridoio e si
lasciò sfuggire un grugnito seccato.
“Andrew…” poggiò una mano sulla
spalla del ragazzo di fronte a lui, stringendola leggermente “Rimani con lui.”
L’altro aprì la bocca,
inspirando violentemente “Ma papà…”
Gli occhi azzurri dell’uomo si
socchiusero appena, facendo zittire Andrew “E tieni a freno la tua boccaccia.”
Aggiunse bruscamente, allontanandosi.
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Capitolo 3 *** Perchè non ricordo? ***
Nuova pagina 1
3. Perché non ricordo?
Fissò guardingo il giovane
appena entrato nella stanza, seguendolo con lo sguardo mentre si avvicinava con
noncuranza e prendeva posto sul bordo del letto.
“Chi sei?” chiese con fastidio.
“Hm? Andrew.” Esclamò il
ragazzo, senza guardarlo negli occhi.
L’altro inarcò un sopracciglio
“Sei il fratello di David?”
Andrew si limitò ad annuire e i
capelli castani gli scivolarono sul viso, coprendolo in parte.
“E immagino che neanche tu
sappia dove siano i miei bagagli…”
“Immagini bene.” Borbottò il
giovane Wilson, facendo ridacchiare l’altro.
“Nessuno sa nulla, io non
ricordo un cazzo; siamo messi davvero bene.” Tolse piano le lenzuola e poggiò un
piede a terra con una smorfia di dolore.
“Dove stai andando?” Andrew
scattò in piedi, con aria allarmata.
“Ho bisogno del bagno, o non si
sa nulla neppure di quello?” La smorfia irritata gli scomparve improvvisamente
dal viso “Cos’ho addosso?” Domandò fissando i pantaloni di cotone grigio.
“Hm… credo sia uno dei pigiami
di David.”
“E chi diavolo…?” L’espressione
sconcertata fece sogghignare Wilson.
“Mia nonna.” affermò Andrew,
scrollando le spalle e ricevendo un’occhiataccia dall’altro.
“Ti diverti a prendermi per il culo?” il sibilo irritato fece sospirare Andrew.
“Ma ti pare? Sarà stata
sicuramente mia nonna Hanna a vestirti. Dovresti averla vista.”
“Ma perc… lasciamo perdere.” Il
ragazzo strinse i pugni, fissando il pavimento per qualche secondo prima di
aggrapparsi al comodino di legno affiancato al letto per riuscire ad alzarsi.
“Vaffanculo.” Sibilò fra i denti
mentre metteva un piede davanti all’altro.
“Vuoi una mano?” Andrew si
avvicinò al giovane, appoggiato alla parete, che scosse la testa.
“Dov’è il bagno?” mormorò, il sudore che aveva ripreso ad imperlargli il viso.
“Lì in fondo.” Esclamò Wilson
indicando con un gesto della testa la seconda porta all’interno della stanza.
Andrew incrociò le braccia al
petto, osservando il ragazzo che arrancava faticosamente e sbuffò “Ti aiuto.” Si
limitò a sbottare avvicinandosi al giovane e circondandogli la schiena con un
braccio, per sorreggerlo.
“Ehi, lasciami…” cercò di
divincolarsi l’altro con poco successo.
“Avanti, non provare a fare
l’eroe, non ti reggi in piedi!” Mormorò Andrew spegnendo ogni protesta.
“Se ti ritrovi a terra
chiamami…” Scimmiottò la voce di Andrew, aggrappato con entrambe le mani al
lavabo “Cretino.” Sibilò aprendo l’acqua e lavando a fatica il viso.
Inspirò profondamente, cercando
di ignorare le fitte che gli procurò quel gesto e alzò lo sguardo sullo specchio
di fronte a lui; socchiuse le labbra, imitato dalla sua immagine riflessa.
Con una mano sfiorò la
fasciatura bianca intorno alla testa scivolando con le dita sui graffi che gli
rigavano una guancia “Non sembrano recenti.” Pensò con un misto di sollievo e
confusione. Gli occhi neri gli rimandavano indietro uno sguardo perplesso.
“È surreale ritrovarsi di fronte
al proprio viso e faticare a riconoscerlo… e poi cosa cazzo è successo ai miei
capelli?” Domandò tirando una corta ciocca bicolore: il contrasto tra la radice
color pece e le punte ossigenate gli fece storcere il naso. “Devo tagliarli al
più presto…” mormorò con un sorriso amaro “Come se fosse questo il maggiore dei
miei problemi.”
“Si tratta di amnesia retrograda
transitoria.” Spiegò il medico seduto sul letto, di fronte a lui, mentre
sistemava lo stetoscopio. “Non posso stabilire precisamente quanto recupererai
la memoria, ma è questione di pochi giorni, devi solo aver pazienza.” Esclamò
con un sorriso allegro l’uomo attempato, dandogli un buffetto sulla guancia.
Il giovane fece una smorfia
contrariata.
“Prendi questo.” Aggiunse il
medico porgendogli una piccola compressa bianca “È solo un antidolorifico,
nessuna pozione miracolosa per ricordi perduti.” Ridacchiò giulivo facendo
sospirare Andrew, alle sue spalle.
“Con questo ho finito, tornerò
fra qualche giorno per vedere come te la cavi.” Si alzò e raggiunse il signor
Wilson “Non si preoccupi, è in gran forma.” Mormorò mentre Max lo accompagnava
fuori dalla stanza.
“In gran forma un corno… quel
tipo è fuori di testa.” Borbottò il ragazzo ingoiando la medicina che aveva
ancora in mano.
Andrew si lasciò sfuggire solo
un grugnito, continuando a fissare la porta ormai chiusa.
“Ehi, c’è una foto di David in
giro?”
La domanda improvvisa fece
voltare il giovane Wilson “Credo di sì, vado a recuperarla.”
“Non somigliate molto a vostro
padre.” Constatò il giovane osservando l’immagine del ragazzo atletico e
sorridente; i capelli neri, raccolti in una coda, lasciavano scoperto il viso
ovale.
“Dici?” Andrew alzò gli occhi
dalla foto, ritrovandosi a fissare, per la prima volta, quelli neri del ragazzo
di fronte a lui. Socchiuse le labbra, abbozzando un sorriso, e raddrizzò gli
occhiali da vista quadrati.
“Già. Voi due, invece… beh, si
vede che siete fratelli. Quanti anni avete?”
Wilson riabbassò lo sguardo
sull’istantanea. “David ne ha venticinque, io ventitré.”
“Quindi potrei supporre di avere
più o meno quest’età…” Mormorò con tono lugubre, trattenendo a stento uno
sbadiglio “Accidenti.” Biascicò massaggiando piano gli occhi “Ehi, Andrew, che
ore sono?”
“Le cinque del pomeriggio.”
Rispose Andrew dopo un’occhiata distratta all’orologio che aveva al polso.
“Ho un dannato sonno… credo…” Il
giovane sbadigliò nuovamente, distendendosi con una smorfia “Credo che…”
Wilson si voltò a guardarlo,
sorprendendosi nel trovandolo già addormentato.
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Capitolo 4 *** Sogno o son desto? ***
Nuova pagina 1
4. Sogno o son desto?
Andrew bussò lievemente prima di
entrare nella stanza.
“Papà?”
Max, seduto alla grande
scrivania in legno, mosse appena la testa, senza allontanare gli occhi dal
foglio che stava leggendo.
“Cos’ha detto il medico?”
L’uomo lasciò andare un sospiro,
alzando lo sguardo sul figlio “Piuttosto, cosa ci fai qui? Non ti avevo detto di
rimanere col ragazzo?”
Andrew strinse le labbra “Sta
dormendo.” Borbottò con un cipiglio.
“Capisco… dev’esser stato il
calmante che ha preso.” Mormorò l’uomo, sovrappensiero.
“Gli ha dato un calmante?” Il
giovane spalancò gli occhi, muovendo un passo in avanti “Pensavo fosse…”
“Prima che arrivassi tu ha
cominciato ad agitarsi.” Lo interruppe bruscamente Max “Al momento è l’ultima
cosa di cui ha bisogno, per di più…” Lanciò uno sguardo ai fogli sparsi sulla
scrivania, massaggiando piano le tempie, e lasciò andare un sospiro “Ad ogni
modo è questione di una settimana, nella peggiore delle ipotesi. Nel frattempo
cerca di non farlo innervosire.” Puntò gli occhi azzurri sul figlio, aggrottando
leggermente le sopracciglia “Pensi di poterci riuscire?”
Andrew strinse i pugni,
avvertendo un sapore amaro in bocca “Certo.” Sussurrò solamente abbassando lo
sguardo prima di voltarsi e lasciare la stanza.
Un ronzio fastidioso gli fece
scuotere la testa ma intorno a lui vi era solo buio.
La luce, improvvisa e
accecante.
Alzò le braccia per ripararsi e
un fischio cominciò a torturargli i timpani per sparire rapido com’era arrivato.
KZ
I suoi occhi non riuscirono a
vedere nient’altro.
KZ… KZ…
Continuava a ripetersi come un mantra ossessivo. E di nuovo uno stridio, in
lontananza, prima che il buio si riappropriasse di tutto .
Gli ci vollero pochi istanti per
prendere coscienza del proprio corpo e socchiuse gli occhi solo per confermare
il suo pensiero.
“Maledizione, è ancora notte!”
si disse con disappunto.
La stanza era avvolta
dall’oscurità e a fatica riuscì a distinguere gli oggetti che sapeva esservi
all’interno.
“Dannati sogni…” borbottò,
accigliandosi, prima di passare una mano sul viso.
Il lenzuolo sfrusciò lievemente
quando si girò su un lato, soffocando un gemito.
“Ne ho piene le scatole di
questa situazione!” Gli uscì in un lamento roco prima di chiudere gli occhi e
lasciarsi andare nuovamente al sonno.
La musica rimbombava nella
grande sala illuminata da luci psichedeliche. Il ritmo martellante, il volume
assordante e la muraglia umana in continuo movimento quasi stordivano.
Ci si muoveva a fatica e a
spintoni nell’ambiente surriscaldato dai corpi sudati che si agitavano sulle
note urlate dagli altoparlanti. Mancava quasi il fiato.
Scosse la testa, come a
schiarire la vista offuscata e socchiuse gli occhi.
La persona di fronte a lui stava
urlando ma non riusciva a distinguere neppure una parola.
Si sentì colpire all’improvviso
e spingere contro una parete.
La testa pulsava fastidiosamente
e un uomo aveva cominciato a sferrargli pugni su tutto il corpo.
Gli stava facendo male, avrebbe
voluto farlo smettere, avrebbe voluto che la sua voce riuscisse a raggiungerlo.
“Basta! Smettila!”
I colpi continuavano a cadere e
a nulla potevano le braccia alzate a proteggere il viso.
Un coltello spuntò nella mano
dell’altro e avvertì una morsa allo stomaco.
“NO!” urlò con quanto fiato
avesse, per sovrastare la musica.
NO
“Hm…” Andrew fissò il tomo
voluminoso che aveva fra le mani; lo soppesò per qualche altro secondo prima di
lasciarlo cadere sulla scrivania bianca.
Fece scorrere lo sguardo sul
libri ammonticchiati disordinatamente sulla libreria e avvertì un peso sullo
stomaco. “Al diavolo!”
Voltandosi rapidamente uscì
dalla stanza.
“Chissà cosa starà facendo
quello lì… a parte dormire.”
Con un movimento della testa
allontanò i capelli dal viso. “Non ho voglia di sorbirmi i suoi lamenti…”
mordicchiò il labbro inferiore mentre oltrepassava la porta dietro la quale si
trovava il giovane ma un gemito gli fece rallentare il passo.
Andrew si fermò, accigliandosi e
rimanendo in attesa.
Silenzio
“Me lo sarò immaginato.” Pensò
muovendosi in avanti prima che un urlo soffocato lo facesse sussultare.
Avvertì un fremito percorrergli
il corpo prima che il martellare furioso del cuore e il sudore freddo gli
facessero prendere coscienza di sé.
“Cazzo!” L’imprecazione gli
sfuggì dalle labbra mentre cercava di regolarizzare il respiro.
Il dolore pulsante alla testa lo
costrinse a tenere gli occhi chiusi. Mosse piano le mani, sfiorandosi il viso
“Idiota.” Sibilò “Era solo un sogno… ancora un fottuto sogno…”
Strinse i denti “Porca puttana,
che dolore insopportabile…”
La porta venne aperta senza
preavviso.
“Va tutto bene?” Sì sentì
chiedere e, con una smorfia, socchiuse le labbra.
“A meraviglia!”
“Ti ho sentito urlare.” Andrew
si avvicinò al letto, rimanendo a fissare il giovane con un sopracciglio alzato.
“Non ho urlato… imprecato,
forse… merda!”
“Che hai?”
“Mi sta esplodendo la testa…
dannazione, dammi un cazzo di antidolorifico…”
Andrew socchiuse le labbra,
limitandosi a mormorare “Ok… solo un attimo” trattenendo uno sbuffo nell’uscire
dalla stanza.
“Maledizione…” biascicò il moro
ingoiando la piccola compressa bianca e appoggiando lentamente la testa sul
cuscino “Sei sicuro che questa roba funzioni?” Strinse gli occhi con una smorfia
“È diversa da quella che mi ha dato il medico… non ho voglia di finire
avvelenato.”
Andrew si irrigidì di colpo
“Senti un po’…” mormorò prima di mordere con forza un labbro.
“Che c’è?” L’altro aprì un
occhio e Wilson distolse lo sguardo respirando a fondo e rilassando i muscoli.
“Niente… non ho ancora
intenzione di diventare… un assassino…” sussurrò con un cipiglio. Con un dito
spinse più su gli occhiali “Ti lascio riposare.” Borbottò Andrew.
“Ehi, aspetta… resta qui.”
Andrew si voltò verso il
ragazzo, fissandolo con aria perplessa.
“Se questa dannata pastiglia non
fa effetto dovrai portarmene un’altra.” Biascicò, chiudendo gli occhi e
abbandonando la testa sul cuscino.
C’era rumore, tanto rumore…
O forse era un suono…
Musica?
“No, chiasso!” Disse la voce
nella sua testa.
La luce bianca e intermittente
dava l’impressione che fosse tutto rallentato facendolo sentire ancora più
stordito.
Urtò qualcuno, camminando in
equilibrio precario, mentre il mondo sembrava non voler smettere di girargli
intorno.
“Merda!” Digrignò fra i denti,
sbattendo contro l’ennesimo braccio.
Una risata alticcia gli fece
arricciare il naso “Questo è messo peggio di me…” Alzò lo sguardo riuscendo a
vedere di sfuggita il volto chiaro del giovane, gli occhi nascosti dai capelli…
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Capitolo 5 *** Cerchiamo me stesso? ***
Nuova pagina 1
5. Cerchiamo me stesso?
Spalancò gli occhi, inspirando
profondamente, e si guardò intorno con fare circospetto.
“Ehi.” Mormorò con voce
impastata, notando Andrew seduto sul letto con in mano una rivista. “Ci siamo
già visti?”
Il ragazzo alzò gli occhi su di
lui, facendo una smorfia “Intendi oggi o in generale?”
“In generale.”
“Perché me lo chiedi?”
“Hm… credo… di aver dormito.”
Sussurrò incerto.
“Sì, me ne sono accorto…”
sospirò Andrew “Prima mi chiedi di rimanere e l’attimo seguente sei nel mondo
dei sogni.”
“Già, ho sognato… o forse no…
cazzo, che confusione!” Il giovane alzò a fatica una mano per passarla sul viso.
“Mi sono addormentato… però mi sembrava di aver vissuto davvero quella scena…”
chiuse gli occhi per qualche secondo, prima di riaprirli “Andrew?”
“Hm?” Wilson lanciò un’occhiata
all’altro, che aveva alzato lo sguardo al soffitto.
“Sei sicuro di non avermi mai
incontrato? Io…” Sospirò lentamente “Merda, non riesco a capire dove finisce il
sogno e dove cominciano i ricordi… sempre se è di quello che si tratta.”
Andrew osservò l’espressione
confusa e spaesata del giovane e inspirò a fondo.
“Devi solo stare tranquillo e
aspettare…” mormorò lentamente “Il medico ha detto che è solo questione di
tempo.” Aggiunse tornando a fissare la rivista fra le sue mani.
“Tempo… fottutissimo tempo…” Il
giovane si chiude nel silenzio mentre Andrew riprese a sfogliare il giornale, il
fruscio del pagine era solo un lieve rumore di sottofondo.
“Uno scooter!” Sbottò
all’improvviso il moro, facendo trasalire Wilson.
“Ho uno scooter… non credo di
averlo sognato.”
“Hm, davvero?” Andrew alzò
appena gli occhi “Ne sei sicuro?”
“Cosa diavolo ne so… non farmi
domande idiote! Non ricordo il mio nome figurati se posso essere sicuro di una
cosa del genere!” La voce suonò stizzita e Andrew si ritrovò a guardarlo, con
aria accigliata.
“Quindi pensi di avere uno
scooter.”
“Non è mio!”
“Eh?”
“Ti ho detto che non è mio!”
Esclamò il giovane, corrugando la fronte.
“E, di grazia, come lo sai?”
“Cazzo ne so. So solo che non è
mio!”
“Ok.” Mormorò Wilson esasperato,
poggiando la rivista sul copriletto. “Lo scooter non è tuo. Te l’ha prestato un
amico?”
Il moro scosse piano la testa
“No, forse… forse l’ho…”
Andrew socchiuse le labbra di
fronte al silenzio prolungato “Stai cercando di dire che… l’hai preso
forzatamente in prestito?”
L’altro scoppiò a ridere “Che
giro di parole del cazzo…”
“Volevo essere delicato ma se la
cosa ti fa ridere…” Andrew incrociò le braccia con un sospiro e chiuse un attimo
gli occhi “Hai questo scooter non tuo… quindi cosa pensi di farci con questa
informazione?”
“Niente!” Il giovane rimase a
scrutare in silenzio Andrew, che distolse lo sguardo, togliendo gli occhiali e
cominciando a pulire le lenti con un lembo della maglietta.
“Comunque…” aggiunse
distrattamente il ragazzo “Ho sempre più la sensazione di averti visto da
qualche parte!”
“Se lo dici… ehi, dove stai…”
Andrew scattò in piedi vedendo l’altro che tentava di scendere dal letto.
“Ho bisogno di una doccia!”
“Ehi, finalmente hai finito,
stavo per sfondare la porta per vedere se fossi ancora vivo!” ridacchiò Andrew,
sdraiato sul letto.
“Chiudi quella fottuta fogna che
hai al posto della bocca!” bofonchiò il moro, camminando lentamente.
“Accidenti, come siamo
permalosi, che ti è successo in bagno, Cocco?” Wilson si tirò a sedere con un
sorriso.
“Niente che non siano cazzi miei
e non chiamarmi in quel modo.” Grugnì l’altro.
“Ok, va bene…” cantilenò Andrew
con un’alzata di spalle, raggiungendo il giovane per sorreggerlo “Ma in qualche
modo dovrò pur chiamarti.”
“Impiccati!” Esclamò il moro,
incupendosi “Non vedo l’ora che questa storia finisca!” Sibilò aggrappandosi a
Wilson “Già non ne posso più di averti intorno. Come se non bastasse odio
l’orrendo colore dei miei capelli e sto diventando un barbone.” Con una mano
toccò la barba appena accennata sulle guance e rivolse un’occhiataccia ad Andrew
che non aveva smesso di sghignazzare.
“Maledizione.” Il moro si sdraiò
nuovamente a letto, lasciandosi scappare un’altra imprecazione nel sistemare le
coperte.
“Perché diavolo non aspetti, se
sai che ti fa male?” Sospirò Andrew scoccandogli un’occhiata rassegnata.
“Non dirmi che la tua unica
occupazione è rompere i coglioni alla gente! Ce l’avrai qualcos’altro da fare,
no?”
Andrew alzò le spalle,
accomodandosi sul letto “Sì, teoricamente dovrei studiare per i miei esami di
giurisprudenza… ma è molto più divertente farti da balia e scassarti le palle.”
Inclinò la testa da un lato, rimanendo ad osservare il giovane con un ghigno
ironico.
“Questo spiega perché sei qui…”
Mormorò il ragazzo sistemando meglio la testa sul cuscino “Invece di chiamare un
infermiere, Max Wilson ha pensato bene di tener occupato il figlio perdigiorno
incastrandolo nella sorveglianza dello sconosciuto smemorato.”
Andrew inspirò di colpo e la
sua espressione, improvvisamente cupa, fece sorridere l’altro.
“Ho fatto centro, non è così?”
“Sei completamente fuori pista,
Cocco.” Borbottò Wilson, abbassando lo sguardo.
“Cazzate.” Si limitò ad
aggiungere il moro socchiudendo gli occhi e guardandolo insistentemente “Ehi,
Andrew.” Disse cambiando tono “Avvicinati un attimo.”
L’altro lo fissò con aria
perplessa e si sporse verso di lui.
Con un gesto improvviso il
giovane disteso a letto sfilò gli occhiali ad Andrew, mugugnando un’imprecazione
per il dolore, senza però spostare gli occhi neri da quelli confusi e sbalorditi
del ragazzo.
Andrew sbatté le palpebre, senza
spostarsi “Che… che cazzo stai facendo?”
“Niente…” Mormorò con una
smorfia di dolore “Riprendili.” Indicò gli occhiali che aveva in mano e distolse
lo sguardo.
Wilson si sollevò, fissando il
moro con aria accigliata e scosse la testa con un sospiro.
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Capitolo 6 *** Sono senza passato? ***
Nuova pagina 1
6. Sono senza passato?
“Che lavoro fa Max?” Chiese
all’improvviso il moro sdraiato nel letto, mentre reprimeva uno sbadiglio.
“Un lavoro palloso ma che lo
riempie di soldi.” Borbottò Andrew con un’alzata di spalle, rimettendo gli
occhiali.
“Wow, dev’essere il massimo.”
Replicò con scarso entusiasmo il giovane “Tuo fratello, invece?”
“David al momento si gode le sue
vacanze alla faccia nostra.” Sbuffò Andrew stringendo il copriletto fra le dita
“Il resto dell’anno lo passa buttato nella facoltà di informatica.”
“Facendo finta di studiare come
fai tu?”
“Sì, certo… che cazzo ne sai
tu?” borbottò Wilson abbassando lo sguardo.
“E tua madre?” continuò il moro
con un ghigno.
Andrew inspirò a fondo,
rimanendo in silenzio. Con un colpo di reni scese dal letto e infilò le mani in
tasca, dando le spalle all’altro.
“I miei hanno divorziato anni fa
e non la vedo a allora, questo è quanto… hai intenzione di farti gli affari miei
ancora per molto?” domandò Andrew in tono aspro.
“Non c’è bisogno che ti scaldi,
era solo una domanda.”
“Come vuoi, ma ora vedi di
piantarla.”
“Ehi, provaci tu a stare tre
giorni confinato in un letto perché ogni movimento ti fa imprecare, in una casa
sconosciuta, in compagnia di un tizio che non sai da dov’è uscito e senza sapere
chi cazzo sei!” Il moro avvertì il battito accelerargli di colpo “Il signorino
mi scuserà se mi sono rotto le palle di stare qui senza fare un emerito cazzo!”
esclamò sollevando la testa con uno scatto “Merda!” urlò tornando a sdraiarsi.
“Scusa tanto se non sei l’unico
ad esser costretto a questa compagnia forzata.” Andrew strinse con forza i pugni
contro i fianchi, irrigidendosi “Ne ho abbastanza.” Mosse un passo in avanti e
dopo pochi attimi di esitazione proseguì verso la porta aprendola di colpo e
richiudendosela alle spalle con forza.
“Moccioso bastardo…” disse il
moro a mezza voce mentre il rumore dei passi nel corridoio si affievoliva.
“In che razza di manicomio sono
finito…?” sbuffò chiudendo gli occhi “Ma in quale altro posto potrei finire in
queste condizioni… cazzo!” Avvertì un peso alla bocca dello stomaco e si
costrinse a respirare profondamente “Va bene… fanculo a quel fottuto idiota.
Devo solo aspettare qualche giorno, giusto?” Annuì piano. “Già…” mormorò
concentrandosi sul proprio respiro; dall’esterno proveniva il cinguettio degli
uccelli e nient’altro.
“Quanto dev’essere isolato
questo posto? Sono giorni che rimango ore in silenzio e non si è sentito il
minimo rumore di civiltà…” riportò alla mente lo stridio fastidioso che gli
aveva disturbato il sonno e non poté evitare una smorfia “Uno scooter.” Biascicò
“L’unica certezza che ho è di possedere un inutile oggetto a due ruote.” Girò
piano la testa di lato, continuando a rimanere con gli occhi chiusi. “Uno
scooter e il fantomatico David Wlson… colui che è a conoscenza della mia
identità e che non è qui… bella fregatura.”
Il cinguettio si era fatto più
flebile e venne interrotto da un rumore indistinto.
“Sembra un gatto che si lamenta.” Il pensiero gli strappò un sorriso “Un
miagolio… lamentoso…” Una figura si fece largo tra le pesanti ombre delle sua
mente.
“Chi è?” si chiese con
curiosità, stringendo gli occhi come a voler trattenere l’immagine che andava
svanendo.
Sospirò nel rendersi conto che
era come evaporata.
“Chi sa che razza di lavoro fa
Max… quel cretino di Andrew non me l’ha detto. La prossima volta lo chiedo al
diretto interessato.” Sorrise appena, tornando a stringere le labbra in una
liena rigida quando avvertì dei passi avvicinarsi.
Si accigliò, indeciso su cosa
fare e, prima che riuscisse a riordinare le idee, un violento colpo alla porta
lo fece sobbalzare.
Strinse i pugni ma non riuscì ad
aprire gli occhi “Che diavolo…?” un miagolio roco si sentiva in lontananza e ben
presto si tramutò in un lamento troppo umano perché potesse trattarsi di un
gatto.
“C’è qualcuno che piange.”
Pensò, sicuro di aver ragione.
“Sei cattivo.”
Una voce infantile.
“Una bambina.” Constatò
rimanendo in ascolto.
“Cattivo… cattivo.”
La voce continuava a ripetersi e
si sentì quasi soffocare prima che potesse aprire gli occhi, sorprendendosi nel
trovare la stanza avvolta dal buio.
Con un mugolio si voltò
lentamente su un fianco e il lenzuolo tiepido gli scivolò lungo il braccio.
“Merda...” Inspirò a fondo “Quando tutto questo sarà finito non dormirò per due
giorni interi.” Pensò con un sospiro, abbassando le palpebre e avvertendo il
sonno impadronirsi nuovamente di lui.
Una porta venne chiusa
violentemente per essere riaperta un attimo dopo.
“Dove stai andando?” Urlò una
voce femminile.
Non sono cazzi tuoi.
Il moro avvertì un tremore
nervoso attraversargli il corpo.
“Il fatto che tu sia maggiorenne
non ti autorizza a fare quello che vuoi!”
Fottiti.
“Guardami quando ti parlo!”
Un sorriso sarcastico.
Te lo sogni.
Il ragazzo arrivò davanti ad un
portone che aprì senza sforzi, ritrovandosi all’esterno.
“Fermo!” Urlò la voce, incrinata.
Il portone si richiuse con un
tonfo.
“Fermati ti ho detto!” le urla
ormai si sentivano appena.
“Fermati! … Matthias!”
Il rombo assordante del motore.
Lo scooter che avanzava sul
selciato.
L’ambiente circostante era solo
una confusione di luci ed ombre.
K Z
Uno strattone e venne sbalzato
via.
Il buio.
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Capitolo 7 *** Io? ***
Nuova pagina 1
7. Io?
Il trillo del cellulare fece
sobbalzare Andrew, sdraiato sul letto; il giovane sollevò le palpebre,
avvertendo il corpo intorpidito “Merda, mi sono addormentato.” Biascicò
tirandosi a sedere e fissando con aria assente la tv ancora accesa; la voce
appena udibile di un cantante gli fece arricciare il naso. Con un gesto lento e
svogliato afferrò il telecomando e spense l’apparecchio prima di prestare
attenzione al cellulare.
“Idiota, che fine hai fatto?
Stasera cinema e poi facciamo un salto in disco!” Lesse il messaggio e
sospirò, cancellando l’invito con pochi movimenti delle dita “Che rottura di
palle… non posso farci nulla se questo tipo mi è capitato tra i piedi…” Andrew
controllò l’orario sul display prima di lasciar cadere il cellulare sul letto.
“È già ora di cena…” borbottò
senza entusiasmo passando una mano sul viso “Se papà viene a sapere che ho
mollato da solo quel romp… cazzo!” scattò in piedi uscendo di fretta dalla
stanza.
“Porca puttana, come diavolo ho
fatto a prender sonno, dannazione!”
Andrew aumentò il passo
percorrendo il corridoio in penombra. “Ci mancava solo questa, fottu… merda!”
Esclamò Wilson si bloccò all’improvviso; avvertì una morsa alla bocca dello
stomaco e cercò di tenere a bada i pensieri che gli vorticarono nella testa nel
vedere il giovane che doveva tener d’occhio, seduto a terra, il busto appoggiato
contro il muro.
Dopo un attimo di esitazione,
Andrew si affrettò a raggiungerlo “Ehi!” Sbottò con ansia “Ehi, tutto bene?”
Chiese chinandosi a guardare il volto pallido.
L’altro socchiuse le palpebre,
fissandolo con sguardo vacuo.
“Accidenti!” Andrew gli afferrò
un braccio per passarselo sulle spalle e gli circondo la schiena per
sorreggerlo.
“Avanti, prova almeno a
collaborare…” Mormorò Wilson con voce strozzata trascinando il giovane che a
stento riusciva a muovere un passo dopo l’altro.
“Cazzo!” con uno sbuffo Andrew
fece stendere l’altro sul letto “Porca puttana… non pensavo pesassi così
tanto…!” Il giovane passò una mano sul viso e rimase a fissare l’altro, immobile
sul letto, gli occhi socchiusi fissi su di lui.
Andrew lasciò andare un sospiro,
sedendosi pesantemente sul bordo del letto.
“Io vorrei saper perché cazzo ti
sei alzato! Potevi suonare il campanello! Te l’ho detto, è lì, vicino al
comodino!” Indicò con un gesto della testa il pulsante bianco e sospirò
nuovamente.
“Io…” La voce del moro fu solo
un sussurro “Volevo… ho avvertito il bisogno di parlare… di parlarti…”
“Va bene, ma non avresti dovuto
alzarti!” Sbottò Andrew prima di proseguire con più calma “Sul serio, potevi
farti male, peggiorare la situazione e…”
“Sta tranquillo” si limitò a
sussurrare l’altro, con un lieve sbuffo “Non farò la spia a tuo padre.”
Andrew alzò lo sguardo sul
giovane, che sorrise debolmente.
“Cosa?”
“Non ho intenzione di dire a Max
che hai abbandonato un giovane in stato confusionale.” Aggiunse il moro,
guardando ancora Wilson che sbiancò prima di scuotere la testa e schiarirsi la
voce “Beh, allora? Perché mi hai cercato?”
L’altro chiuse gli occhi
“Niente… niente di importante…” rimase in silenzio per qualche secondo prima di
aggiungere, lentamente “Devo parlare con Max.”
Andrew rimase a fissarsi i
piedi, che mosse avanti e indietro sul pavimento “Non ti fidi a parlare… con
me?” Chiese con fare indifferente.
“Io… no, non è questo…” Il
giovare ritornò a fissare la schiena di Wilson “Ho solo una confusione del cazzo
in testa… la cosa non mi fa ragionare lucidamente e…”
“Ho capito, non devi
giustificarti! Mio padre è un adulto e ispira più fiducia, giusto?” Andrew si
voltò a guardarlo, con un sorriso tirato.
“Sì, penso di sì.” Mormorò
l’altro.
“Già… ma, a parte questo, come
ti senti ora? Direi che hai ripreso un po’ di colore in viso.”
Il moro si mosse piano sul
letto, nel tentativo di mettersi seduto “Hm… niente di rotto, sembra.” Sussurrò
con una smorfia, appoggiandosi con la schiena al muro. Inarcò un sopracciglio e
con le dita sfiorò la fasciatura bianca attorno alla testa “E questa bastarda ha
smesso di far male.”
“Allora siamo a cavallo.” Wilson
si rimise in piedi, infilando le mani nelle tasche dei jeans. “Te la senti di
cenare o devo tornare fra un po’?”
Il giovane a letto di limitò a
fare spallucce.
“Ok, aspetto qualche minuto e
ritorno…” Sospirò Andrew quasi a se stesso.
“Ehi… Andrew?”
“Che c’è?” Chiese il giovane con
la mano già sulla maniglia della porta.
“So come mi chiamo.”
“Cosa?” Wilson ritornò a
fissarlo.
“Ma sei sordo?” Borbottò l’altro
con un cipiglio “Ho detto che… lascia perdere… Matthias. Il mio nome è
Matthias!”
“Ah! E… “ Andrew inarcò un
sopracciglio “Ne sei sicuro?”
“Che cazzo, saprò se mi chiamo
così o no!” Sbottò l’altro, irritato “E non è tutto…” continuò voltandosi verso
la finestra “Ho una sorella e sono stato minacciato con un coltello.”
“Tu… cosa?” gli occhi di Wilson
si ridussero a due fessure; il giovane ritornò lentamente verso il letto.
“Sì, anche se non ricordo ancora
il motivo… ero in discoteca e… devo anche essermi ubriacato!” Fece spallucce.
“Da quando hai iniziato a
ricordare?”
“Due giorni fa, credo.” Matthias
ritornò a guardare l’altro.
“E perché non hai… accidenti,
potevi anche avvertirmi!” Esclamò Andrew con voce un po’ stridula.
“Beh, ancora non ricordo tu…”
“Sì, però, cioè, almeno… ok,
lascia perdere!” Wilson agitò una mano davanti a sé “Vado a prenderti la cena!”
Esclamò togliendo gli occhiali e cominciando a massaggiare piano gli occhi.
“Perché la cosa ti sta mandando
in tilt?”
“Che?” Andrew alzò lo
sguardo sul moro.
Luci ad intermittenza,
musica assordante.
Matthias strizzò gli occhi, senza smettere di fissare Andrew.
Qualcuno lo urtò.
Quasi avvertiva ancora il formicolio sul braccio.
Un fischio
“Una frenata.” Concluse Matthias fra sé, trattenendo il
respiro.
“Ehi?” Andrew si avvicinò di un altro passo “Sei sicuro di
sentirti bene?”
Il moro annuì meccanicamente; non vedeva più il giovane Wilson
davanti a sé, ma il volto di Andrew gli riempì ugualmente la mente: era
arrossato, aveva gli occhi lucidi e un’espressione attonita.
“Ehi, amico, sei ancora vivo?”
La voce gli rimbombò nelle orecchie anche se nella stanza
nessuno aveva parlato.
Il suo scooter procedeva a gran
velocità.
Vide solo all’ultimo momento la
macchina che stava procedendo in retromarcia.
Cercò di frenare ma la targa del
mezzo si avvicinava sempre più velocemente…
“KZ” Sussurrò Matthias scuotendo piano la testa “Tu…!”
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Capitolo 8 *** I miei ricordi? ***
Nuova pagina 1
8. I miei ricordi?
“Matthias, dove pensi di
andare?”
La donna guardò il giovane
prendere le chiavi dello scooter e dirigersi all’ingresso.
“Ti ho fatto una domanda!”
Afferrò il giovane per un
braccio e lo fece voltare.
“Cosa vuoi?”
“Dove stai andando? Il fatto che
tu sia maggiorenne non ti autorizza a fare quello che vuoi!” La donna corrugò
maggiormente le fronte “Sono le 9 di sera, fra poco la cena sarà pronta, tuo
padre tornerà a momenti…”
Matthias alzò gli occhi al
cielo, con una smorfia e la stretta sul suo braccio aumentò.
“Sarah… lo sai che lei ci…”
“Smettila di tirare in ballo
Sarah!” urlò il giovane “È una mocciosa, cosa vuoi che le importi se ceno a casa
o no?” Matthias si divincolò “Vai a fare la madre appiccicosa con lei!”
Con passo svelto il ragazzo
raggiunse il portone.
“Matty!”
Una bambina sugli 8 anni fece
capolino nell’ingresso.
“Dove vai?” chiese piano.
“Che ti avevo detto?” Sibilò
Matthias allargando le braccia e fissando la madre. “Pazienza…” Sbuffò scuotendo
la tesa “Non aspettatemi alz…”
“Cattivo!”
La voce di Sarah sovrastò quella
del fratello; gli occhi lucidi della bambina si fissarono su di lui.
“Cattivo! Avevi detto che
stasera mi avresti aiutato con i compiti!”
“Oh, andiamo, avrai finito già
tu…”
“Bugiardo!” Sarah pestò un piede
a terra e scomparve dalla vista dei due.
“Matt…” La donna sospirò “Per
favore, accontentala per una volta, lo sai com’è fatta.”
“Ho da fare!”
Il portone si aprì con uno
scatto.
“Matthias!” Urlò questa volta la
donna.
“Ci vediamo.”
“Fermati, non ti ho dato il
permesso di…”
Il tonfo causato dalla chiusura
dell’uscio coprì il resto della frase.
“Matthias!”
Fu solo un suono attutito; ormai
era all’esterno.
“Finalmente.” Sbottò a mezza
voce.
Il giovane salì sullo scooter
parcheggiato nel vialetto e mise in moto, partendo senza voltarsi indietro.
La musica rimbombava nella
grande sala illuminata da luci psichedeliche.
Matthias lasciò andare un
sospiro prima di mandar giù il contenuto del bicchiere che aveva in mano.
“Dammene un altro!” Ordinò
all’uomo abbronzato e ben vestito dietro il bancone.
“Certo, se lo paghi!”
Il giovane alzò gli occhi lucidi
sull’altro e con una smorfia sbatté una banconota davanti a sé.
“Con chi credi di avere a che
fare? Eh?”
Il barista si limitò a fare
spallucce e prese i soldi, allungando un bicchiere pieno a Matthias.
“Dove cazzo sono finiti? Mi
avevano detto a mezzanotte… è già passata un’ora!”
Il ragazzo passò una mano sugli
occhi e bevve un sorso del cocktail appena ordinato; con una smorfia disgustata
si alzò dallo sgabello, rimanendo qualche secondo fermo, in equilibrio precario.
“Stronzi…” Biascicò nel
frastuono.
Mosse qualche passò e gli si
parò davanti un muro umano che ondeggiava e si dimenava a ritmo con la musica.
Cominciò a farsi largo a
spintoni. “Ho bisogno d’aria… fa troppo caldo e tutto quest’odore di sudore…
dannazione, cos’ha messo in quel cocktail?” Scosse la testa e continuò a
procedere lentamente tra i corpi ammassati e ansanti.
C’era rumore, tanto rumore.
La luce stroboscopica dava
l’impressione che i suoi movimenti fossero rallentati. Tutto gli vorticava
intorno.
Matthias portò una mano al viso,
asciugando il sudore freddo; urtò un paio di ragazzi, ma non si voltò a
guardarli.
“Dove cazzo è l’uscita…” Il
senso di nausea aumentava ad ogni passo “Merda!” Digrignò i denti, sbattendo
contro l’ennesimo braccio.
Una risata acuta e alticcia lo
fece voltare.
“Questo è messo peggio di me.”
Pensò alzando lo sguardo sul volto reso pallido dalla luce bianca, gli occhi
nascosti dai capelli.
Il giovane scosse la testa prima
di proseguire a spintoni.
Matthias inspirò bruscamente e ritornò nella stanza sconosciuta; si rese
conto di aver trattenuto il fiato, mentre le immagini scorrevano veloci nella
sua testa.
Di fronte a sé vide l’espressione interrogativa di Andrew, ma un attimo
dopo i ricordi ritornarono ad affollarsi nella mente.
L’aria fredda gli colpì il viso
con violenza.
“Cavoli…” sospirò Matthias
inspirando a pieni polmoni e chiudendo gli occhi.
Si appoggiò al muro e rimase a
godere del fresco che stava allontanando la nebbia che gli intorpidiva la mente.
“Buonasera Matty-Matty!”
Uno strattone e finì a terra.
“Che diavolo…?” Matthias aprì
gli occhi, frastornato.
Venne afferrato per un braccio e
il frastuono tornò a rimbombargli nelle orecchie.
Con uno strattone si allontanò
dalla presa e socchiuse gli occhi; tre giovani stavano gesticolavano
animatamente.
“Cosa vogliono?”
Matthias scosse la testa “Cazzo,
ho bevuto troppo!” pensò prima che un pugno gli colpisse uno zigomo,
costringendolo ad arretrare.
“Allora? I tuoi amici hanno
avuto paura, eh?”
La voce era quasi un sussurro
nel caos del locale.
Uno spintone lo portò con le
spalle al muro.
“Allora?” Uno dei tre gli
strinse la felpa, fissandolo negli occhi “Dove sono?”
Matthias socchiuse le labbra
impastate. “Che cazzo vuole questo?”
Cercò di spostarsi, ma l’altro
lo tenne fermo contro la parete.
Il giovane spostò lo sguardo
nella sala, dove tutti continuavano ad agitarsi al ritmo martellante.
“Ti ho fatto una domanda!”
Il più basso dei ragazzi gli
arrivava alla spalla ma gli si parò davanti, alzandosi sulle punte.
Matthias storse il naso “Hai
bisogno di una doccia.” Disse non riuscendo a trattenere un sorriso e subito
dopo avvertì il sapore metallico del suo sangue.
I colpi cominciarono a cadergli
addosso, ma si sentiva troppo frastornato per reagire.
Alzò un braccio per proteggere
il viso “Cazzo che male…” pensò scivolando a terra. “Smettetela!”
Gli strilli acuti che seguirono
gli fecero socchiudere gli occhi.
Le luci a intermittenza
coloravano il pavimento e poco più in alto la lama di un coltello si muoveva a
mezz’aria.
“No!” si sentì urlare.
“Sono stato io?” Si chiese
Matthias facendo leva con l’altro braccio per tentare di alzarsi.
Altre urla, la musica sempre più
forte e la calca che si faceva più opprimente.
“Che cazzo sta succedendo…”
Ombre nere gli oscurarono la
visuale, allontanandosi dopo poco e trascinando con loro i tre sconosciuti.
“Stai bene?” Si sentì chiedere
da qualcuno ma Matthias non rispose, limitandosi a muovere la testa in modo
scoordinato; milioni di stelle gli scoppiarono nella testa a quel movimento.
“Merda!” Digrignò fra i denti e,
alzandosi, barcollò di nuovo verso l’uscita.
Matthias raggiunse lo scooter,
la testa ancora confusa e il corpo indolenzito.
Il buio tutt’intorno era
rassicurante, i rumori attenuati.
“Ora vado a prendere quei
bastardi… ancora non sono arrivati!” Borbottò prendendo le chiavi nei jeans.
“Merda!” La mano gli tremava e
qualcuno aveva cominciato ad urlare anche lì fuori.
“Entra, stronza!” Imprecò non
riuscendo ad infilare la chiave.
“Quando li prendo sono cazzi
loro…”
Con un grugnito mise in moto il
mezzo; sospirò, passando una mano sul viso.
Il veicolo cominciò a muoversi,
procedendo lentamente sull’acciottolato, e la testa cominciò a pulsargli.
Strinse gli occhi e aumentò la
velocità; quando ritornò a guardare davanti a sé le luci posteriori di un’auto
gli si pararono davanti.
“Cazzo!” Esclamò spalancando gli
occhi.
Cercò di frenare ma la targa del
mezzo si avvicinava sempre più velocemente.
Un rumore assordante e Matthias
si sentì sbalzare dallo scooter.
Avvertì l’impatto contro il
terreno; un attimo di dolore poi il buio.
“Ehi!”
Socchiuse appena gli occhi;
c’era nebbia intorno.
“Ehi, amico, sei ancora vivo?”
“Freddo.” Pensò Matthias
“Alcool… puzzi di…”
Un’ombra entrò nel suo campo
visivo, per un attimo, prima che le palpebre si abbassassero.
Il giovane sospirò piano,
lasciandosi avvolgere dal torpore e dal silenzio…
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Capitolo 9 *** Chi sei? ***
Nuova pagina 1
9. Chi sei?
“Ehi?” Andrew inarcò un
sopracciglio di fronte all’assenza di risposta; il ragazzo di fronte a lui aveva
lo sguardo perso nel vuoto.
“Sarà normale?” Pensò lanciando
un’occhiata alla porta “Forse dovrei chiamare qualcuno…”
Tornò a fissare Matthias e si
schiarì la voce.
“Ehi, Matthias? Ci sei?...
Matt!” Esclamò alzando la voce.
Matthias sobbalzo e scosse la
testa “Che diavolo urli? Ci sento benissimo!” Sbottò nervoso.
“Ah, beh, se lo dici tu.” Andrew
mosse qualche passo indietro, portando la mani sui fianchi, e lo scrutò con
attenzione “Non ti senti bene? Vuoi che chiami il…”
“Chi sei?”
Andrew spalancò gli occhi
“Cosa?”
“Chi sei?” Domandò ancora
Matthias, impassibile “In questi giorni ho visto la vecchia, il tuo vecchio e
te… quand’è che arriva David?”
Il giovane Wilson sbatté
velocemente le palpebre, fissando un punto sul letto “Ti ho detto che ci
vogliono…”
“Balle!” Esclamò Matthias
stringendo un pugno “David non arriverà mai perché io non conosco nessun David!
… Chi diavolo sei?” Sibilò a denti stretti.
“Matthias, cerca di calmarti.”
Andrew si avvicinò al giovane con un sorriso tirato “Sei quasi svenuto in
corridoio… riprenditi prima…” Posò una mano sulla spalla dell’altro “Riposa un…”
“Cazzate!” Urlò Matthias
allontanando bruscamente il braccio di Andrew, che indietreggiò.
“Quella sera…” Continuò il moro
con tono più pacato “… ero davvero ubriaco… se solo quegli stronzi avessero
mantenuto la parola, non me ne sarei andato via così presto… e anche tu eri
completamente zuppo, vero?” Domandò fissando Andrew “Fottutamente zuppo!”
“Forse è meglio se chiamo mio…”
“Scappi ancora? Anche davanti
all’evidenza?”
Matthias poggiò un piede a terra
e aggrappandosi alla testiera del letto riuscì ad alzarsi.
“Ormai ricordo chi sono. Il
punto ora è: chi diavolo sei tu?”
Andrew fece un passo verso la
porta “Non agitarti, ora…”
“Chi cazzo sei?” Urlò l’altro
afferrandolo per un braccio e facendolo voltare.
Andrew rimase in silenzio
davanti all’espressione furiosa del ragazzo.
“Perché mi hai portato qui?
Perché diavolo mi hai raccontato stronzate? Eh?” Continuò a domandare dando uno
spintone ad Andrew “Allora? Cos’è, non sai che altre balle inventarti? Eh,
figlio di papà?” Matt lo spinse di nuovo e il giovane Wilson strinse i pugni,
accigliandosi.
“Se mi tocchi ancora…” sibilò
piano.
“Se ti tocco ancora cosa?”
Matthias lo afferrò per la
maglia “Che cosa mi fai? Cosa?” Urlò prima di strattonarlo ancora.
“Ti ho detto di piantarla…”
Andrew gli si avvicinò di scatto “Ne ho le palle piene di te!” Sbottò
spingendolo con forza.
Matthias arretrò di qualche
passo prima di cadere a terra, con aria sorpresa.
Il moro fissò il pavimento,
digrignando i denti “Bugiardo… sei solo un fottuto bugiardo.” Sibilò Matthias;
fece leva sulle braccia ma dovette arrendersi, rimanendo seduto a terra.
“Porca…” Si sentì afferrare un braccio e con uno scatto cercò di divincolarsi.
“Ehi, falla finita, voglio
aiutarti.” Borbottò Andrew sollevandolo da terra. “Te l’avevo detto di startene
buono.”
Matthias ritornò a sedersi sul
letto e lanciò un’occhiataccia a Wilson. “Fottiti! Sei solo un racconta balle.”
“Sì, hai ragione: sono un
racconta balle.” Il volto di Andrew era privo di espressione.
“E quando…” Matthias inspirò con
una smorfia di dolore “Quando mi sarò ripreso ti spaccherò la faccia!”
Andrew fece spallucce “Basta che
lo fai fuori di qui.” Continuò a fissare Matthias, non riuscendo a nascondere un
mezzo sorriso.
“Sì, sì, come dici tu, figlio di
papà!”
“Vuoi che ti ributti a terra?”
Andrew sbuffò e si sedette sul letto “Non pensare che sia stata mia l’idea di
raccontarti cavolate!”
“Chi altro lo sa?”
“Solo mio padre, gli altri si
sono dovuti accontentare di una parte di verità.”
“Perché?
“Cosa?”
“Perché tutte queste cazzate?
Perché non hai chiamato un’ambulanza e fine? Perché…” Il giovane socchiuse la
labbra, scattando in avanti “Dove sono le mie cose? Il cellulare, il portafogli,
dove…?”
“Tranquillo, non è stato toccato
nulla; sono nello studio di mio padre.” Andrew fece un segno con la mano in
direzione della porta “Il cellulare si è spento nella caduta, credo…”
Matthias annuì senza dire nulla.
“Quindi ora ricordi tutto?”
L’altro annuì ancora.
“Sei sicuro?”
“Certo… perché sono qui?” Il
moro alzò lo sguardo su Andrew, che sospirò.
“La sera che… beh, sì, che
abbiamo avuto quel cazzo di incidente, avevo bevuto…” Wilson fece una smorfia
“Ero completamente ubriaco e quando ti ho visto a terra la prima cosa a cui ho
pensato è stata di nasconderti… di non far vedere niente a nessuno… e stava
arrivando gente.” Una risata nervosa “Neppure fossi stato un cazzo di omicida…
ma tu non eri cosciente e…” Andrew passò una mano sul viso, prima di lanciare
una rapida occhiata a Matthias, che lo stava fissando.
Il giovane schiarì la voce,
spostando lo sguardo “Non so neppure come sono riuscito a fare tutto così in
fretta… ero fuori di me… e ti ho caricato in macchina, sui sedili posteriori, e
sono andato via di lì…” Inspirò profondamente, torturandosi le mani “Non… non lo
so perché… ma lo fatto… se ci ripenso, avrebbero potuto fermarmi… ubriaco e con
una persona incosciente in macchina… da urlo… e poi come un’idiota ho chiamato
mio padre.”
“Tuo padre…” ridacchiò Matthias
“Logico… e patetico.”
L’occhiataccia di Andrew non
fermò il ragazzo che continuò a sghignazzare “Beh, avrei dovuto immaginarlo…
quindi è stato lui a mettere in scena questa recita?”
“Sì… tu non ricordavi nulla e ci
sarebbe voluto un po’ prima che ti riprendessi…”
“E a nessuno è venuto in mente
che la fottuta verità sarebbe stata più gradita?” Matthias fissò Andrew ma non
vi fu alcuna risposta “Che razza di racconta balle…”
“Non ti ho mentito su mio
fratello…” borbottò il giovane.
“Bella consolazione…”
“E tu?”
“Cosa?”
“Hai parlato di esser stato
minacciato… e di avere una sorella…”
“Ah…” Un ombra passò velocemente
nello sguardo di Matthias. Il giovane scosse la testa “Li conoscevo solo di
vista, quei tre bastardi… neppure ricordo i loro nomi, e non per colpa tua!”
L’espressione confusa di Andrew
lo fece sospirare. “Avevo appuntamento con un paio di amici, che non si sono
fatti vivi… al contrario dei tre tizi che mi hanno… uhm… strapazzato… bastardi…
in tre contro un ubriaco.”
Matthias fece una smorfia
“Cercavano i miei amici, suppongo avessero qualche conto in sospeso…”
“Del tipo?”
“Oh, solite idiozie, un po’ di
erba non pagata.” Matthias fece spallucce mentre Andrew annuì piano.
“Hai un bel giro di amicizie:”
“Già…” sussurrò piano il moro
distogliendo lo sguardo “Ehi, Andrew, hai un telefono? Devo chiamare casa.”
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Capitolo 10 *** Me la caverò? ***
10. Me la caverò?
“Sarah?” Matthias strinse la
cornetta e l’avvicinò ancora di più all’orecchio “Sono Matthias!” Morse un
labbro, in attesa di una risposta, prima di inspirare “Quanti Matthias conosci?”
Andrew sentì le urla della
bambina anche a distanza e cominciò a sghignazzare mentre l’altro allontanava
il ricevitore dall’orecchio, con una smorfia divertita.
Wilson continuò ad osservarlo
mentre parlava e gesticolava “E tu saresti il duro che fuma erba?” Si domandò
alzando un sopracciglio “Vallo a raccontare ad un altro!”
“Sarah, la mamma è a casa?”
Chiese Matthias, facendosi serio.
Ci fu qualche istante di
silenzio, prima che il giovane mormorasse un “Ciao.”
La sua espressione diventò
ancora più tesa “Sì, sì, lo so… tranquilla, va tutto bene.” Matthias continuò ad
annuire, come se avesse di fronte a sé l’interlocutore “Sto bene… scusa… mi
dispiace…” mormorò muovendo la mano sul copriletto, come a voler togliere tutte
le pieghe che lo increspavano.
“Scusa…” disse ancora “Fra
qualche giorno sarò a casa.”
Lanciò una rapida occhiata ad
Andrew prima di tornare a fissare un punto sul letto. Annuì ancora un paio di
volte “Certo, tranquilla… ciao!”
Chiuse la conversazione e
restituì il cordless a Wilson.
“Tutto bene?” chiese Andrew
fissando il volto scuro di Matthias.
“Sì, tutto ok…” disse il giovane
distendendosi.
“Sei sicuro che sia tutto a
posto? È successo qualcosa?”
Matthias non rispose, girandosi
dall’altro lato e coprendosi con il lenzuolo fin sopra ai capelli.
“Ehi…” mormorò Andrew.
“Va’ via, voglio dormire!”
Il giovane Wilson rimase qualche
istante a guardare il fagotto immobile; socchiuse le labbra e prese fiato, ma
alla fine non disse nulla, limitandosi ad annuire e ad uscire dalla stanza,
chiudendosi la porta alle spalle.
Matthias avvertì i passi del
ragazzo farsi sempre più flebili nel corridoio e, con uno sbuffo, tolse il
lenzuolo dalla testa, rimanendo a fissare il vuoto.
“E ora?” Si domandò con una nota
di panico “Cosa succederà?”
Inspirò e si agitò sul letto,
mettendosi supino.
“Merda!” Mormorò ridacchiando
“Merda Matt! Che domande del cazzo ti fai? Neanche fossi un adolescente in piena
crisi puberale!” Con un braccio si coprì gli occhi, l’addome ancora scosso dalle
risate.
“Non succederà nulla.” Borbottò
ancora “Ritornerò a casa, subirò qualche fottuta tirata d’orecchie, prometterò
di fare il bravo bambino… e poi ricomincerò tutto come prima.”
Matthias strinse le labbra,
irrigidendosi “Andrò a beccare quegli stronzi che mi hanno fatto aspettare come
un idiota e li obbligherò ad offrirmi da bere per un mese… come minino.” Pensò
accennando un mezzo sorriso “Se lo meritano.” Sussurrò togliendo il braccio; la
luce improvvisa lo costrinse a socchiudere gli occhi.
“Sì che se lo meritano… forse
era meglio se fossi rimasto senza memoria ancora un po’.” Sbuffò “Che idiota che
sono… forse dovrei calmarmi un po’… forse non è così male aiutare Sarah con i
suoi stupidi compiti, forse…”
Il giovane si mise a sedere
“Matt, ma ti stai sentendo? Parli come una ragazzina! Che ti prende? Si può
sapere che cazzo…” Con una mano massaggiò una tempia; la testa aveva
ricominciato a fargli male “Merda… ho avuto paura! È successo giorni fa ma
ricordarlo… una fottuta paura; potevo ammazzarmi quella dannata sera!” Matthias
portò le mani in grembo e rimase a fissarle, mentre la consapevolezza di quello
che sarebbe potuto succede si faceva sempre più forte.
Il giovane strinse i pugni nel
tentativo di fermare il tremore improvviso e si guardò intorno, come in cerca di
qualcosa, ritornando ad abbassare gli occhi.
“Non era la prima volta che
guidavo ubriaco, no?” Si disse “È stata una fottuta coincidenza, forse… forse
ero più sbronzo del solito, forse… dannazione!” Con un gesto improvviso scese
dal letto.
Raggiunse velocemente la porta e
strinse con forza la maniglia.
“Ora chiamo Andrew così la
faccio finita con questa storia… è durata fin troppo!” Pensò guardando la sua
mano; le nocche stavano diventando bianche. Inspirò profondamente ed uscì dalla
stanza.
“Sei sicuro? Non vuoi che venga
anche il paparino?”
“Sta’ zitto!” Sbottò Andrew
chiudendo con forza la portiera dell’auto.
I due erano seduti nell’auto del
padre di Andrew, di fronte casa Wilson.
Matthias continuò a ridacchiare
con gli occhi incollati al cellulare “Wow, ho giusto un paio di chiamate perse,
qui.” Borbottò “Ma tu sei sicuro di riuscire a riportarmi a casa senza
incidenti?”
“Fottiti!” Sbottò Andrew
mettendo in moto.
“Su, Andrew, cosa vuoi di più;
non ho riportato danni permanenti, non ti denuncerò per sequestro di persona e
per liberarti di me ti basta offrirmi un passaggio.” Matthias mise il telefono
in tasca e fissò l’altro con un sorriso ironico.
“Sì, certo, ho capito, grazie
per la tua immensa bontà!” Wilson scosse la testa con una smorfia “Senti…” disse
poi, tornando serio “Sei sicuro che sia tutto ok?”
“Sono arrivato alla macchina con
le mie gambe, direi che sto bene. E poi l’ha detto anche il tuo medico, no? Ora
sei tu che hai perso la memoria?”
“No… non…” Andrew sospirò
“Intendo dire a casa tua. Dopo la chiamata, ieri sera, ho avuto l’im…”
“Non c’è nessun problema, avevo
solo bisogno di riflettere da solo.” Mormorò velocemente Matthias prima di
aggiungere “E poi non sono cazzi tuoi!”
“Ok, non ti agitare… e con i tre
tizi che ti hanno pestato?”
“Non mi hanno… uff… loro non
cercavano me, e comunque non ritornerò in quel locale, non voglio rischiare di
essere investito di nuovo.”
Andrew gli lanciò un’occhiata
torva, ma l’espressione divertita di Matthias non lo infastidì. “Sei sicuro di
riuscire a star fuori dai guai al meno per una settimana?”
Il moro fece spallucce “Posso
provarci… sì, forse posso sopravvivere una settimana senza vita notturna.”
Mormorò mentre l’auto si fermava davanti ad una casa color mattone.
“Ho capito, fra qualche giorno
ti ritroverò a vagare per la strada, in stato confusionale.”
Matthias scosse la testa,
scendendo dal veicolo “Nel caso, però, chiama l’ambulanza!”
Andrew scoppiò a ridere “Ci puoi
giurare!”
Il moro si lasciò sfuggire un
sorriso, alzando una mano in segno di saluto, prima di voltare le spalle al
giovane Wilson. Guardò per qualche secondo il portone “Ok… me la caverò,
giusto?” Si chiese con un po’ di apprensione prima di suonare il citofono, con
un sospiro di sollievo.
Fine
Grazie a tutti quelli che hanno avuto la pazienza e la
costanza di seguire la mia storia fino alla fine.
Baci Prue
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