Cuore pirata

di Padme Mercury
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rubina ***
Capitolo 2: *** Lunga vita al capitano ***
Capitolo 3: *** Appartenenze ***
Capitolo 4: *** Cuore pirata ***



Capitolo 1
*** Rubina ***


Rubina



Il Cigno Dorato approdò al porto con un gran scrosciare di acqua e schiuma del mare. La Jolly Roger svettava fiero sulla punta dell'albero maestro, appena sopra la vedetta da cui uno dei miei pirati stava scendendo velocemente. Mi sistemai il cappello marrone con la grande piuma baldanzosa e ondeggiante di un bianco candido mentre guardavo i ragazzi adunarsi davanti a me. Stavano aspettando gli ordini e esultarono saltando sul ponte. Non vedevano l'ora di divertirsi e scorrazzare per la città. Corremmo tutti giù dalla nave, per le strade. Non avevo detto cosa fare o non fare, volevo solo che si divertissero.
Creammo un po' di scompiglio. Ok, forse più che un po'. Le persone correvano gridando spaventate e noi rubavamo tutto quello su cui riuscivamo a mettere mano.
Mangiammo e bevemmo, tornando solo dopo molte ore sul Cigno.
Avevamo un bel bottino di monete d'oro e d'argento e anche molte armi. Ma prima di tornare sulla nave, mi fermai. Avevo sentito il pianto di un bambino in una viuzza del porto poco raccomandabile. Dissi ai ragazzi di aspettarmi e non partire mentre io andavo alla ricerca di questo bambino.
Lo trovai subito. Anzi, la. Una bella bambina, avvolta stretta stretta in una coperta rosa. Agitava i pugnetti in aria, come se volesse ingaggiare una lotta con le nuvole sopra di lei. Era sola e abbandonata sulla strada, allora mi avvicinai e la presi in braccio. Aveva un grosso medaglione di rubino al collo, troppo grosso per un frugoletto così. Ma smise di piangere appena fu comoda tra le mie braccia. La portai con me sulla nave e...



-E adesso le stai raccontando la storia di come l'hai trovata!- rise la bambina, sdraiata nel piccolo letto sotto un mobiletto. Il movimento della nave la cullava, aiutando il capitano a farla addormentare. L'uomo le passò una mano tra i lunghi ricci di ebano, sorridendo sotto la barba scura.

-Esattamente. E quella bambina ora dovrebbe dormire!- la ammonì, guardandola torvo.


-Ma papà, devo chiederti un'altra cosa!- lo implorò Rubina, girandosi il ciondolo tra le corte dita. Non le ci era voluto molto a capire che quello che considerava un padre l'aveva chiamata in quel modo grazie alla particolare pietra della collana.

-Dimmi, bocciolo-

-Perché non vuoi mai che mi tolga la collana?- chiese, guardandolo negli occhi neri come la pece. Kavor ricambiò lo sguardo. Quei grandi occhi blu come l'oceano più calmo lo scioglievano, erano la sua unica debolezza.

-Perché vedi, dentro queste pietre- indicò il suo rubino sul petto e poi il proprio zaffiro incastonato nell'orecchio d'oro, -c'è la nostra anima. Dobbiamo sempre tenerli con noi altrimenti le persone cattive possono rubarcele-

-E perché io ce l'ho diversa da te e gli altri?-

-Perché tu non sei nata in mare, Rubina. Sei nata sulla terraferma- concluse sfiorandole la punta del naso con l'indice. La bambina si mise a ridere, spostandosi e rivelando una catenina d'oro nuova a tenere il ciondolo. -E quella?!-

-L'ho rubata al porto l'altra volta!- annunciò tutta felice, portando il petto in fuori. Kavor si mise a ridere e le scompigliò i capelli.

-Questa è la mia bambina!-

-Ho già sette anni, non sono una bambina!- lo guardò male, gonfiando le guance in un modo che le fece apparire l'occhio destro più piccolo. Era buffissima, tanto che il capitano dovette sforzarsi di non ridere nuovamente.

-Scusami, donna vissuta!- si alzò dalla sedia e si chinò a darle un bacio ruvido e ispido sulla fronte. -Dormi ora. E dammi quel libro. Se ti scoprono... Sai che sono i beni più preziosi-

Rubina sbuffò, prendendo il libro da sotto il cuscino. Lo diede riluttante all'uomo e poi si sistemò sotto le coperte. Gli diede la buonanotte e chiuse gli occhi.
Kavor aspettò che si fosse addormentata, nascondendo il libro nel frattempo. Quando sentì il suo respiro farsi regolare, uscì dalla cabina. Sospirò nel sentire l'aria fresca piena di salsedine colpirgli il viso.

-Quando hai intenzione di dirglielo?- Percy sputò in acqua lo stuzzicadenti che aveva in bocca. Si avvicinò al capitano, andando con lui verso la poppa.

-È piccola per ora-

-Sai che non puoi nasconderglielo per sempre?-

-Lo so. Quando sarà grande, deciderà lei- rispose asciutto, stringendo un pugno lungo il fianco. Guardò le stelle nel cielo, sospirando appena. Già, un giorno... Un giorno avrebbe dovuto dirle chi era davvero.

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Capitolo 2
*** Lunga vita al capitano ***


Lunga vita al capitano



Rubina guardò il corpo senza vita del capitano Kavor. Una singola lacrima trasparente scivolò lungo la sua guancia liscia, andando ad infrangersi sul naso a patata dell’uomo. Lo sguardo cadde inevitabilmente sull’orecchino d’oro il cui zaffiro ora era rotto e annerito. La ragazza strinse i pugni. Avrebbe voluto vendicarsi, provocare all’uomo che lo aveva ucciso lo stesso dolore che sentiva lei.
I pirati la guardarono mentre gli toglieva il cappello. Non gli sarebbe servito, non più. Fece un leggero cenno con la testa e due di loro sollevarono la tavola su cui era deposto. La adagiarono delicatamente, aiutati da delle funi robuste, sulla superficie appena increspata del mare. Tutto l’equipaggio lo guardò allontanarsi piano, cullato dalle onde, chi con il berretto e chi solo con la mano sul cuore. Amavano tutti il capitano, nessuno escluso. Era sempre stato giusto e leale nei loro confronti, guardarlo andare via era come osservare un membro della propria famiglia allontanarsi per sempre.
La mora sospirò, lasciando i ragazzi sul ponte dopo aver lasciato il copricapo ad uno di loro. Entrò nella cabina che fino ad allora aveva diviso con lui. La luce dorata del sole filtrava dalle piccole finestre con vetri pregiati, dando un’aria calda e dolce all’intero locale. Una scrivania torreggiava al centro, decorata da ghirigori color dell’oro sui fianchi e sui bordi della superficie orizzontale. I loro letti erano nascosti, ad incasso. Venivano tirati fuori solo al momento del bisogno.
Sorrise appena. Si ricordava di una volta in cui era bambina e aveva fatto un brutto sogno. Si era alzata e aveva percorso tutta la cabina di corsa, andando a rifugiarsi nel grosso letto e tra le sue braccia. Era ancora stampata nella sua mente la sensazione della sua barba ruvida sulla pelle liscia di bimba, il suo pungente odore di sigari e mare che la rassicurava sempre e le preannunciava il suo arrivo. Si grattò distrattamente la radice del naso. Ora non lo avrebbe più sentito.
Si guardò attorno, posando poi lo sguardo su una vetrinetta in un angolo. Si avvicinò piano e la aprì. Sfiorò delicatamente, con la punta delle dita, le bottiglie pregiate principalmente di rum che erano esposte lì. Bottiglie da tutte le parti del mondo, di colori e forme fantasiose e bellissime. La maggior parte erano rubate, le altre regalate. Da piccola si incantava sempre ad osservare e studiare le diverse fatture di quei contenitori di vetro, tanto che in pochi anni aveva imparato a memoria da dove venisse ognuna di esse. Bahia, Porto Torre, Ferrà, Metaria… Ancora se li ricordava tutti.
Infilò le dita sottili sotto il bordo di legno degli scaffali e tirò, rivelando uno scomparto segreto. Un grande sorriso luminoso si dipinse sulle sue belle labbra mentre i suoi occhi si posavano su scaffali e scaffali pieni di libri. Antichi, nuovi, per bambini, piccoli, grandi. Ce n’erano di tutti i tipi, era il suo vero tesoro. Sfiorò i dorsi, seguendo tutte le venature e le righe che presentavano. Tutti quei libri li aveva rubati lei. Suo padre li aveva nascosti in quel doppio fondo nella speranza che lei non li ricordasse più dopo un po’. Ma lei non se li era mai dimenticati, anzi. Ogni volta che era da sola apriva quel mobile e prendeva uno dei libri, leggendo avidamente quelle pagine stampate e piene di parole.
Grazie a loro sapeva parlare benissimo fin dalla tenera età; in più, si ricordava di non fare alcuna fatica a capire come funzionasse il rapporto tra le parole e i loro segreti, come riusciva ad imparare senza troppi sforzi le parole anche più difficili.
Fece per prendere un libro in mano per mettersi a sfogliarlo e perdersi nuovamente in quel mondo parallelo e meraviglioso, ma il bussare alla porta la fece sobbalzare. Chiuse in tutta fretta la teca e portò le mani dietro la schiena, il petto in fuori.

-Avanti- disse semplicemente. Un membro dell’equipaggio entrò. La camicia larga e rotta sul petto ondeggiava a causa del vento, assieme ai lunghi capelli color cenere. Terence la guardò, schiarendosi la gola.

-Rubina, vorremmo vederti. Dobbiamo dirti una cosa importante- disse con la sua voce roca, graffiante. La ventitreenne annuì appena, seguendolo poi fuori dalla cabina.
Si guardò intorno aggrottando le folte sopracciglia nere quando si vide circondata dagli altri pirati. Drizzò la schiena, osservandoli uno per ciascuno. Non riusciva a interpretare i loro sguardi, a capire cosa volessero dire o fare.
Percy si avvicinò a lei. In mano aveva il vecchio cappello di Kavor, appena spolverato e messo a posto. L’uomo le sorrise incoraggiante, guardandola negli occhi.

-Abbiamo votato per il nuovo capitano. Vogliamo sia tu, Rubina… Kavor ti ha istruita bene-

-Cosa…? No- rispose, guardandolo senza capire bene. Lei, capitano? Non era pronta, era troppo giovane.
Il pirata sembrò capire quello che la giovane stava pensando e le mise una mano sulla spalla per confortarla. Le calcò il cappello in testa e le diede una pacca affettuosa sulla guancia.

-Sarai un ottimo capitano, bambina. Devi fidarti di me-

Rubina lo guardò, rilassando le spalle. Non poteva vincere contro Percy, riusciva sempre a toccarle il lato emotivo e non riusciva più a dirgli di no. Si limitò ad annuire debolmente e sistemarsi il cappello sulla testa. I ragazzi sorrisero ed esultarono.

-Lunga vita al capitano!- urlarono assieme prima di sollevarla e farla saltare un paio di volte in mezzo alle sue risate.

-Qual’è la rotta, capitano?- urlò Alwyn con un gran sorriso sul volto mentre correva verso il timone.

-Porto Daad. C’è il pub migliore di tutto il mondo occidentale, dobbiamo festeggiare- rispose lei, un piccolo sorriso che mostrava anche i denti bianchi a completare il tutto. Il pirata le rivolse un cenno con la mano per farle capire di aver recepito la destinazione. Fece rotare l’oggetto e la nave virò seguendo le nuove indicazioni.

**


Scesero dalla nave dopo essersi appurati di averla legata bene al molo. Rubina si permise un salto acrobatico dalla punta della prua fino sulla banchina - salto che finì con una rovinosa caduta a terra e un fragore di risate di tutto l’equipaggio. La giovane donna si alzò, massaggiandosi la parte colpita mentre riservava una linguaccia e un gesto molto poco educato ai suoi compagni di viaggio.

-Voi me la pagherete, lo sapete questo vero?- li minacciò, cercando anche di avere uno sguardo torvo mentre lo diceva. Ma non riuscì a mascherare il sorriso. Quegli uomini l’avevano cresciuta e lei non riusciva mai a tenere il broncio con loro.

Era sentimentale? Può essere. Forse anche troppo affezionata a tutti loro e, in fondo, era ancora una bambina. La loro bambina, che voleva provare a guidare la nave e si presentava con la giacca di Kavor, troppo grande per lei, annunciando che era lei il loro vero capitano. Scena a cui puntualmente tutti ridevano di gusto, suo padre compreso.
Già, suo padre.
Sospirò, passandosi una mano tra i capelli dopo essersi tolta il cappello. Ma cosa stava facendo? Suo padre era morto e lei andava a festeggiare con i ragazzi per la sua nuova nomina. Non avrebbe dovuto. Avrebbe dovuto rimanere in mare a rendergli omaggio. I sensi di colpa l’avevano attanagliata di colpo, stringendole il cuore in una morsa d’acciaio forte e pungente.
Scosse la testa. No, questo sarebbe stato ciò che anche lui avrebbe fatto. Un brindisi nella sua memoria e una giornata per dimenticare. Per non pensare.
Dall’indomani avrebbe ripreso le ricerche. Non avrebbe dovuto essere felice. Poco prima di morire, Kavor aveva detto chi era stato ad ucciderlo. Non conosceva il nome, ma ciò che aveva comunicato le bastava e avanzava. Un soldato, immacolato. L’unica macchia era la sua. Era per averlo ucciso. Si era formata appena sopra il polso, sull’avambraccio interno. Non doveva essere difficile trovarlo, no?

Si mordicchiò le labbra, decidendo di lasciar perdere tutti quei pensieri e quelle congetture almeno per quella giornata. Seguì gli altri dentro al pub. Tatar’s pub recitava l’insegna di legno che dondolava dolcemente con un leggero scricchiolio. Aprirono la porta, posizionandosi poi tutti ai lati in modo da far passare in mezzo il loro capitano. Rubina entrò, con un leggero sorriso di sfida sul volto, e si diresse al bancone.

-Doppio rum per me. Triplo per i miei uomini- ordinò al barista, indicando poi il suo equipaggio.
L’uomo annuì, tenendo stretto tra i denti un voluminoso sigaro. Poggiò il boccale scheggiato che stava pulendo e prese otto bicchierini da rum. Versò la quantità ordinata e li lasciò sulla superficie, lasciando che fossero loro a prenderseli.
-Anzi, sai che ti dico? Offro un giro a tutti!- urlò l’ultima frase, provocando brindisi e urla entusiaste all’interno del locale. Vide alcune gocce di birra cadere da numerosi bicchieri a causa dell’impeto e ridacchiò mentre si portava il bicchierino alle labbra. Mandò giù il liquido ambrato in un unico sorso, facendo una smorfia al momento in cui l’alcool le bruciò la gola.

Poggiò l’oggetto di vetro sul bancone con delicatezza, alzandosi dal suo sgabello. Si fece strada in mezzo alle persone in direzione del bagno, sparendovi per qualche minuto. Quando uscì, sbatté il naso contro il petto possente di un uomo. Non fece in tempo ad obiettare o a insultarlo che quello le aveva già passato un braccio attorno alla vita. Si premeva troppo contro di lei. Rubina odiava stare così attaccata a qualcuno, soprattutto se quel qualcuno era uno sconosciuto.

-Ehi, tu devi essere Rubina la Bella. La tua fama ti precede…- le soffiò a pochi millimetri dalla bocca.
-Non ti andrebbe di divertirti un po’ con me…? Sono un grande amatore, sai?- mormorò, spostandosi poi a baciarle in modo umido il collo. Rubina fece una smorfia e gli assestò un calcio ben efficace nelle gonadi. Lo vide piegarsi, tenendo le mani in mezzo alle gambe mentre soffocava una marea di insulti.

-Primo, è Capitano Rubina la Bella- marcò la voce sulla carica. Si chinò, prendendogli il viso con una mano e stringendo forte sulle guance.
-Secondo, nessuno si permette di parlarmi e toccarmi in quel modo. Addio, grande amatore- concluse, lasciandogli andare il viso di colpo. Lo vide prendere un colpo al mento e trattenne una risata. Si alzò e lo oltrepassò, pronta per uscire.

Si bloccò all’istante quando sentì la punta di una spada contro la sua schiena e il conseguente sussultare dei presenti. Coloro che erano in mezzo si spostarono, spaventati all’idea di finire feriti nello scontro. Gli uomini del Cigno Dorato diedero segno di voler intervenire, ma un cenno con la mano e il capo di Rubina li fece calmare e rimanere ai loro posti. Scosse la testa, facendo schioccare più volte la lingua contro i denti.

-Non è leale attaccare alle spalle-

-Pirata- disse semplicemente. Lo immaginò stringersi nelle spalle mentre pronunciava quell’unica parola.
Mise mano velocemente all’elsa argentata della sua sciabola. Si girò con uno scatto felino, facendo successivamente sibilare la lama contro quella della spada dell’uomo. Riuscì a disarmarlo senza difficoltà, appropriandosi della sua arma non prima di avergli fatto uno sgambetto. Poggiò il piede sul suo sterno, mentre le lame erano incrociate e conficcate sul pavimento ai lati del suo collo.

-Esistono pirati leali. E per tua fortuna, io sono uno di essi-

Lasciò l’arma bianca dell’avversario a terra, rifoderando la propria. Si sistemò il cappello, ignorando gli applausi e complimenti dei presenti. Per lei era normale battersi e vincere, aveva avuto il migliore degli istruttori. Ormai non ci faceva nemmeno più caso.

-Lunga vita al capitano!- l’urlo festoso dei suoi compagni fu subito imitato dai frequentatori del pub. La ragazza non poté fare a meno di sorridere.

-Già, lunga vita al capitano…- disse a bassa voce un uomo nell’ombra. Quello di fianco a lui rise leggermente, bevendo un sorso della birra che aveva ordinato.

-Dice che è lei?- chiese pulendosi la bocca con un tovagliolo. Si appoggiò al tavolo con le braccia.
Il primo annuì, indicando un guizzo rosso e d’oro sul petto del capitano Rubina.

-Non può essere altri che lei. Siamo circondati da zaffiri, e lei ha il rubino. Coincide con l’identikit. Lei è la nostra ragazza. La principessa Myra-

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Capitolo 3
*** Appartenenze ***


Rubina si lisciò una manica e si sistemò il cappello. Fece un cenno agli uomini di seguirla. Era ora di tornare sulla nave ormai, si erano riposati e divertiti abbastanza. Misurò le grandi pietre del pavimento, calpestandole con i suoi stivali di pelle marrone.
Rimase indietro di qualche passo, assaporando il dolce tepore del sole. Era diverso da quello che prendeva in mare. Quello bruciava la pelle e ti seccava le labbra e le mani. Ti costringeva a bere ogni dieci minuti per non morire disidratati e ci si trovava ogni giorno a pregare perché piovesse almeno un po’. Ma sulla terraferma no. Lì era diverso, era… Piacevole. Era dolce e tiepido, ti scaldava fin dentro e ti faceva sentire bene. Per qualche istante era anche in grado di farti dimenticare tutto il male della vita. La ragazza sorrise, arricciando leggermente il naso e chiudendo un occhio mentre guardava la grande stella.
 
-Capitano!-
 
Si sentì chiamare, ma la voce non era conosciuta. Non era uno dei suoi uomini, i quali si erano fermati a loro volta e si guardavano attorno confusi. Notarono un paio di uomini avvicinarsi, uno di loro aveva un gran sorriso sul volto.
Pirati. Molto giovani, ma erano anche loro pirati.
Rubina drizzò la schiena, guardandoli entrambi con le palpebre appena abbassate. Quello che aveva parlato era molto carino, biondo e con gli occhi tra l’azzurro e il verde. L’altro passava inosservato di fianco al suo compagno di avventure, anche se il viso incorniciato da ciocche castane era oltremodo grazioso.
 
-Sì, sono io- rispose freddamente, ma in fondo era curiosa. Nessuno l’aveva mai chiamata da lontano e nessuno si era mai permesso di fermarli se non volevano guai. Ma a quei ragazzi sembrava non importare.
Il biondo allungò una mano verso di lei, senza abbandonare il sorriso che indossava sulle belle labbra rosee.
 
-Sono Leroy Brown. Lui è Bern Stronk- si presentò con un leggero inchino. Rubina alzò un sopracciglio e incrociò le braccia sotto il seno, guardandolo. Era bizzarro, molto bizzarro. Non riusciva a capire se fidarsi di lui o no, le sue iridi non riuscivano a darle un’idea certa.
 
-Rubina. Ma credo lo sappiate già… Che cosa volete?- chiese secca, senza scomodarsi a dargli la mano o a sorridergli.
 
-Diretta, eh…- accennò una leggera risata, passandosi una mano sulla nuca. -Volevamo proporci per entrare nell’equipaggio-
 
-Cosa vi fa pensare che stiamo cercando nuovi uomini?- chiese, alzando il mento. Cercava di studiarli, di capire qualcosa. Ma erano criptici, era impossibile capire qualsiasi cosa sul loro conto.
 
-Nulla. Ma non si nega mai del lavoro a dei giovani volenterosi- questa volta era stato il moro, Stronk, a parlare. Aveva una voce più suadente e ipnotizzante dell’altro, che sembrava al contrario suonava molto deciso e sul punto di impartire ordini.
La mora alzò un sopracciglio, concedendosi un sorriso. Si girò verso gli altri uomini, avvicinandosi a loro. Si riunirono pochi minuti, in cui decisero se accettare la proposta dei due giovani. Li guardarono tutti, alcuni non sembravano particolarmente felici. Rubina sorrise.
 
-Avanti, saltate su! Verrete con noi. Ma vi avviso… Al primo passo falso, finirete in mare senza pensarci due volte- li ammonì, la voce terribilmente seria.
Leroy e Bern si guardarono, poi annuirono decisi assieme e seguirono le persone sulla grande nave.
 
Una volta sopra, un pirata mostrò loro la cabina in cui avrebbero dovuto dormire. Dovevano condividerla non solo loro due, ma c’erano anche altre tre o quattro persone che avrebbero dormito in quelle brandine di fortuna. Non c’era particolarmente un buon odore, infatti i due ragazzi dovettero trattenersi dal fare una smorfia evidente. Quel posto puzzava di topo morto e alcol e solo loro due sembravano accorgersene. Pensarono fosse perché erano in tanti e la stanza era piccola. A quanto pareva non passavano molto tempo in quel buco. Stavano più che altro fuori. Lo si poteva capire dal forte odore di salsedine che i loro vestiti e i loro capelli lasciavano sentire.
Poggiarono le loro borse, che a quanto pare erano più pesanti di quanto apparissero. Si sfregarono leggermente le mani mentre guardavano l’uomo che li aveva accompagnati uscire dalla piccola porticina.
Sistemarono con calma le loro cose, appropriandosi delle due brande vicine e più isolate dagli altri. Dopotutto non erano ancora veramente parte di quella ciurma e, a quanto avevano visto, non erano molto simpatici alla maggior parte delle persone su quella nave. Non li biasimavano, erano arrivati pochi minuti prima e già erano in viaggio con loro.
Stavano sistemando il loro cuscino, se così poteva essere chiamato, quando sentirono un certo trambusto provenire dall’esterno. Annuirono appena e decisero di uscire per andare a controllare di persona.
La prima cosa che videro fu un’enorme nave ancorata vicino alla loro. La Jolly Roger ondeggiava lento e minaccioso seguendo i movimenti del vento. Tuttavia era vuota, completamente vuota. Diedero un’occhiata al ponte e videro che erano tutti impegnati in una lotta abbastanza sostenuta contro i presunti occupanti dell’altro mezzo.
 
Rubina era a poppa da sola, la sua spada sguainata e intenta a parare colpi e infliggerne altri al proprio avversario. L’uomo che la fronteggiava era enorme a confronto del corpicino piccolo e delicato della ragazza. L’impressione era data anche dalla differenza di grandezza della spada; quello che poteva essere il capitano dell’altra nave impugnava una sciabola molto grande che avrebbe facilmente tranciato in due sia l’arma sia il corpo della ragazza se avesse avuto voglia di metterci un po’ più di forza. La osservarono duellare, se la cavava bene. Si muoveva con destrezza ed eleganza per schivare i colpi e infliggerne di nuovi. I capelli le danzavano come una nube nera attorno al viso e alle spalle. Leroy rimase incantato ad osservarla. Era bellissima, non poteva negarlo.

-Capitano!- la chiamò, per farle notare che erano arrivati anche loro due.
La ragazza si voltò e li guardò, accennando un sorriso frettoloso che nacque spontaneo anche sulle labbra del biondo. La sua espressione si tramutò istantaneamente in una preoccupata e di pericolo nel vedere il pirata nemico approfittare di quel momento di distrazione per abbassare la sciabola su di lei. Non ci pensò due volte e si buttò contro di lui, facendogli perdere l’equilibrio grazie soprattutto al suo essere sbilanciato per attaccare in modo più potente.
L’arma gli cadde dalle mani, scivolando con un rumore sordo sul legno del ponte. Rubina lo guardò stupefatta. Non si aspettava certo una reazione del genere dal ragazzo che aveva appena fatto salire sulla sua nave.
Sorrise soddisfatta prima di avvicinarsi e sollevare di peso l’uomo, stringendo un lembo della sua camicia.
 
-Torna sulla tua barchetta con i tuoi uomini, non ho voglia di uccidere- gli sussurrò minacciosa all’orecchio. Lo lasciò andare non prima di graffiargli il polso e conficcarvi le unghie come avvertimento. Gli avrebbe fatto male per un po’ di giorni e sarebbe stato impossibilitato ad usare la spada. Li osservò poi fuggire con la coda tra le gambe e quasi cadere in acqua nel tragitto.
 
****
 
Rubina guardò la luna splendere e sorrise. Il satellite era tondo ed enorme quella notte e le stelle brillavano come piccole briciole di diamanti tutto intorno. La ragazza amava la notte, vedere quella coperta nera illuminata di puntini di luce. Adorava l’aria fresca che le scompigliava i capelli e stare seduta da sola a pensare. Solitamente teneva il ciondolo tra le dita e faceva riflettere la luce lunare sulla superficie sanguigna della pietra.
Era seduta tranquillamente sul ponte, la testa appoggiata al bordo. Era più assorta delle altre volte e i suoi pensieri ruotavano tutti attorno al ragazzo nuovo, Leroy. Non l’aveva convinta fino in fondo all’inizio, era troppo strano che fosse spuntato dal nulla assieme al suo amico. Ma poi… Quello che aveva fatto un paio di giorni prima era stato fantastico. Assolutamente fantastico. Non se lo sarebbe mai aspettato ed era davvero molto, molto coraggioso.
 
-Come mai qui da sola, capitano?-
La voce maschile la fece sobbalzare e alzò lo sguardo. Il ragazzo cui stava pensando poco prima sorrise al chiaro di luna e si sedette di fronte a lei, osservandola curioso. La mora non poté fare altro che rispondere a quel piccolo gesto, incurvando gli angoli delle labbra verso l'alto.
 
-Mi piace stare fuori di notte. Mi aiuta a pensare- rispose candidamente, la voce appena più bassa del normale come se avesse paura di rompere la perfezione dell'atmosfera.
 
-Anche a me piace molto. A cosa stavi pensando, se posso chiedere?-
 
-A te-
 
Si rese conto pochi secondi dopo di come quelle due parole potessero risultare ambigue. Arrossì di colpo, ringraziando l'oscurità che le nascondeva il viso. Lo sentiva ridere sommessamente, forse un po' imbarazzato anche lui. Non doveva aspettarselo.
 
-Ma quale onore!-
 
-N-no, non pensare male! Non in quel senso...- sospirò, piegando le gambe contro il petto e appoggiandovisi sopra per stare più comoda. -Stavo ragionando sul perché ti sei buttato addosso a Fury l'altro giorno...-
 
Lui la guardò, leggermente confuso. Fury doveva essere il capitano della nave nemica, non c'era altra spiegazione. Si grattò una tempia e sospirò.
 
-Beh, ti eri distratta per colpa mia. In più sei il capitano del Cigno e... Non avrei mai permesso che quel gigante uccidesse un bellissimo e delicato fiore come te- rispose, guardando il cielo. Era davvero stupendo...
 
Rubina rimase qualche secondo incantata ad osservare il suo viso. La luce si rifletteva nei suoi occhi e li faceva apparire più chiari e più belli. La affascinava non poco. Si sentiva strana vicino a lui, come se non volesse mai andarsene, ma al contempo volesse stargli il più lontana possibile. Non riusciva ad attribuire un nome a queste sensazioni contrastanti, suo padre sicuramente ne sarebbe stato in grado. Sospirò.
 
-Grazie, allora... È stato molto coraggioso-  
 
Leroy sorrise nuovamente, guardandola. La ragazza tuttavia non riuscì a sostenere il suo sguardo, che cadde inevitabilmente sulle mani e il ciondolo che ancora stringeva. Lo accarezzò piano, con movimenti circolari e cercò di non lasciare gli aloni delle dita sulla superficie preziosa.
 
-Quello... È un rubino- costatò il ragazzo. Lei annuì, sovrappensiero.
 
-Già... Mio papà mi ha chiamata così proprio per questo...- sussurrò con aria sognante, ipnotizzata dalla luce rossa che emanava.
 
-Sai a cosa serve?-
 
-Lui... Mi ha detto che tengono le anime. Che se ce lo rubano, moriamo lentamente e invece se lo rompono la morte arriva subito. Che è la cosa più preziosa che abbiamo-
 
Leroy annuì piano, dolcemente. Kavor non le aveva mentito, ciò che lei aveva appena detto era la pura verità.
 
-E sai anche perché il tuo è diverso?-
 
-Perché non sono nata in mare... Così mi hanno sempre detto- lo guardò con i suoi occhi grandi, azzurri come il cielo estivo. Sembrava una bambina in quel momento. Una bambina ingenua e ignorante che non aspetta altro che qualcuno soddisfi la sua sete di conoscenza.
-Non è così?-
 
Lui scosse lentamente la testa, per poi piantare il suo sguardo in quello di Rubina.
 
-No. Cioè, in un certo senso. Ma non so se posso dirti tutto...-
 
-Ti prego, dimmelo! Voglio saperlo!- lo implorò. Lasciò andare la collana, che sbatté contro il suo seno fresco e giovane, solo per prendergli il braccio e stringerlo delicatamente per incitarlo a continuare. -Per favore...-
 
Lui si lasciò andare ad una leggera risata e si spostò un ciuffo di capelli dagli occhi. Si sistemò in modo da guardarla meglio in viso, non voleva perdersi alcun cambiamento d’espressione.
 
-Va bene, va bene!- alzò le mani all’altezza delle spalle. Le riabbassò e le unì in grembo, le dita intrecciate.
-Allora, tuo padre ha detto bene. Le anime sono in questi gioielli. Ognuno ne ha uno diverso, ma non so il perché. Credo riguardi la prima cosa che i genitori prendono per proteggere le anime dei loro bambini. Comunque… C’è un motivo per il quale sono così diversi.
Ogni pietra rappresenta una cosa particolare. Come sai, ognuna ha un significato diverso che si sposa con la personalità e le abilità del possessore. Ma non è così facile… Ognuna rappresenta una diversa posizione nella società. I sacerdoti hanno il diamante, la pietra più pura che esista. Lo smeraldo è la pietra della magia e, infatti, l’hanno i maghi. Gli alchimisti hanno la pietra più duttile, il quarzo. Mentre l’esercito e le guardie hanno l’ametista, una pietra dura e austera. E questi sono solo alcuni esempi-
 
-Perché?- lo interruppe con la sua voce squillante e curiosa. Aveva un gran sorriso in volto e i capelli corvini le scivolavano sensualmente da un lato, solleticandole il braccio.

-Sinceramente non lo so. Forse per farsi riconoscere al primo sguardo. Non ne ho idea, se devo dire tutta la verità. Ma il punto è un altro- si avvicinò a lei, prendendole le mani. Sul mignolo destro di Leroy brillava il debole bagliore azzurro dello zaffiro incastonato nell’argento dell’anello.
-Perché tu non hai lo zaffiro, Rubina? Un pirata ha quella pietra perché è blu, rappresenta il mare e l’avventura che esso porta con sé. Perché tu hai un rubino?-
 
-I-io… Io non lo so. Perché, Leroy?- lo guardò spaesata, gli occhi spalancati. Tremava leggermente, forse aveva un po’ paura. Lei sapeva che solo lui poteva darle la risposta. Per lei era solo il luogo della sua nascita, si era sempre accontentata di quella risposta. Per ventitré anni non aveva chiesto altro, non aveva mai voluto indagare oltre. Si fidava di suo padre e credeva le avesse raccontato tutto quello che sapeva. Ora… Ora non sapeva più nemmeno se Kavor era davvero l’uomo che diceva di essere.
 
-Perché tu non appartieni a questo mondo. Ventitré anni fa, durante una scorreria pirata a Trenzalore. Quel giorno, la principessa scomparve. Aveva appena un anno ed è stata rubata dalle braccia della sua balia. I suoi genitori la cercarono in lungo e in largo, gridando in ogni angolo del paese il nome di Myra, invano. Aveva un ciondolo troppo grande per lei, con un rubino. Quella pietra è simbolo di regalità, di nobiltà. Re Terrany e la regina Raiselle ne posseggono uno. La principessina anche- le passò due dita sotto il mento e la costrinse a guardarlo, notando che aveva abbassato lo sguardo a quelle ultime frasi. Aveva gli occhi leggermente lucidi che facevano apparire le iridi più chiare e più belle di quanto non erano già.
-Te lo chiedo un’altra volta. Perché tu non hai uno zaffiro, Rubina?-

Vide la ragazza deglutire con difficoltà ed esitare prima di rispondere. Prese un grosso respiro, il seno che si alzava dolcemente sotto il peso dell’alito della vita.

-Perché sono io la principessa Myra-

 

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Capitolo 4
*** Cuore pirata ***


Il mattino, Rubina si alzò con due sensazioni contrastanti nel suo petto. Da una parte era stanca, terribilmente stanca. Non aveva dormito dopo la chiacchierata con Leroy, non aveva fatto altro che girarsi nel letto fino a che non vide il sole salire nel cielo e illuminare il mondo sotto la sua luce dorata. Dall'altra era determinata ad andare a Trenzalore per poter conoscere la sua famiglia, quella che l'aveva fatta nascere e che non conosceva.
Si passò la lingua sui denti dell'arcata superiore, come faceva sempre quando doveva prendere una decisione, mentre usciva dalla cabina e andava incontro alla ciurma. Leroy e Bern erano presenti, sempre un po' in disparte. Rubina non riusciva a capire se lo facessero per scelta oppure se venissero emarginati dagli altri. Alzò un sopracciglio quando il suo sguardo si posò sul timone e sull'uomo che lo impugnava. L'ombra di un sorriso si delineò sulle sue labbra. Aveva deciso ormai.
Si avviò verso il punto di controllo della nave dopo aver dato un paio di ordini agli altri. Salutò Percy con un cenno del capo, che lui ricambiò. Toccava a lui timonare quel giorno, il capitano ne era più che felice. L'uomo aveva sempre avuto un debole per lei, quasi fosse lui ad averla cresciuta invece di Kavor. Non le diceva quasi mai di no, prendeva sempre le sue difese e la amava qualsiasi cosa facesse.
Lo osservò. In controluce, il suo profilo era regolare e un tempo era sicuramente stato un bell'uomo. Portava anche lui un orecchino, in cui lo zaffiro brillava forte e si faceva vedere da lontano. Era diverso dal gioiello che aveva il precedente capitano. Quello di Percy era semplice, presentava solo la pietra. Kavor, invece, aveva una fascetta in oro cesellato che gli copriva la parte inferiore del lobo e presentava la luce blu alla sua sommità. Rubina guardava sempre con malcelata ammirazione le differenti possibilità con cui i "contenitori dell'anima", come li chiamava lei, potevano presentarsi.
 
-Devi chiedermi qualcosa?- la voce leggermente aspra dell'uomo la riportò alla realtà. Annuì decisa.
 
-Sì. Voglio andare a Trenzalore, Percy-
 
-È dove ti abbiamo trovata. Perché vuoi andare lì?-
 
Rubina sospirò. Come poteva dirglielo? Di certo un "voglio conoscere la mia vera famiglia" non sarebbe stato carino nei confronti di quegli uomini che l'avevano sempre protetta.
 
-Non ci sono mai stata. Voglio vedere il posto in cui, a quanto pare, sono nata- sì, così poteva andare.
Lo vide annuire piano e poi girare il timone così da poter correggere la rotta. La ragazza vedeva dal suo viso che non ne era molto felice, anzi. Sembrava piuttosto accigliato e contrariato. Evidentemente non era d’accordo con la sua decisione, ma a lei non importava. Era lei il capitano e gli altri dovevano semplicemente fare quello che lei comandava. Senza domande e senza dubbi.
 
Dopo un paio di giorni di viaggio giunsero al porto della cittadina. La guardarono. Era meravigliosa, colorata ed elegante. I palazzi si ergevano alti verso il cielo, come a volerli raggiungere e fondersi con esso.
Attraccarono senza difficoltà e balzarono giù con agilità. Si guardarono tutti intorno, erano anni che non scendevano lì e non sapevano più da che parte andare. La via in cui avevano trovato quella che ora era un capitano deciso forse non esisteva nemmeno più.
 
-Dove dobbiamo andare?- il pirata che aveva parlato si passò una mano sulla fronte in modo da togliersi le piccole gocce di sudore che gli imperlavano la pelle. La giovane lo guardò.
 
-Al castello-
 
-Cosa?!- esclamarono tutti assieme, guardandola allibiti con gli occhi spalancati. Tutti tranne Leroy e Bern. Loro sorridevano quasi di nascosto, le braccia conserte.
Percy prese Rubina per un braccio e la portò in disparte. La lasciò solo quando furono abbastanza lontani, in modo da parlare tranquillamente. La guardò negli occhi, abbassandosi per poterla vedere meglio.
 
-Perché vuoi andare al palazzo?-
 
-Devo conoscere il re e la regina, Percy. Semplicemente questo- disse sbrigativa, incrociando le braccia e chiudendo un occhio a causa del sole. L’uomo la squadrò, non era molto convinto.
 
-Con chi hai parlato?- sospirò e la costrinse a guardarlo quando vide che cercava di evitare il suo sguardo. -Rubina, con chi hai parlato?-
Sembrava un padre che voleva far ragionare una bambina, ma c’era anche una certa nota di urgenza nella sua voce. Era seriamente preoccupato, non poteva negarlo. Rubina era molto ingenua e si fidava troppo facilmente delle persone.
 
-Con Leroy. Mi ha raccontato tutto. Mi ha detto la verità sulla mia origine, cosa che voi non avete mai fatto. Ora, se hai finito- lo guardò seria. -Andiamo-
Non gli diede tempo di replicare che gli girò le spalle e si diresse verso il gruppo, incitandoli ad incamminarsi senza proferire parola.
 
Chiesero indicazioni - o meglio, imposero ai passanti di indicare loro la strada giusta - in modo da districarsi in mezzo a tutte quelle viette che ormai non conoscevano più. Arrivarono in un’ora scarsa alla vecchia città, dove i palazzi erano sensibilmente più bassi e più antichi, per la maggior parte fatti di legno. I colori erano più spenti e più simili tra loro, l’insieme dava una certa idea di malinconia.
Videro le alte guglie del palazzo da lontano. Rubina le indicò e tutti si diressero in quella direzione con energia rinvigorita. Quasi saltavano i passi per raggiungere il posto, probabilmente si aspettavano un colpo grosso e tanto divertimento. L’unico che non condivideva quell’allegria era Percy, il quale ogni tanto scuoteva la testa con disapprovazione. Era l’unico che sapeva il vero motivo per cui si dirigevano in quel posto e di certo non gli piaceva assolutamente.
Non poté nascondere nemmeno lui un’espressione di stupore velato di meraviglia quando giunsero davanti al castello. Era meraviglioso, imponente e bellissimo. Anche Rubina rimase a bocca aperta e dovette deglutire un paio di volte prima di trovare il coraggio ed entrare senza nemmeno bussare.



Il salone era immenso, un lampadario di cristallo a punta verso il basso rifletteva la luce del sole in tutti i colori dell’arcobaleno. Videro dall’altra parte della sala i due troni dei sovrani. La ciurma sfilò decisa in mezzo alla servitù che correva da una parte all’altra per sistemare qualsiasi cosa. Li sentirono borbottare tra di loro sicuramente riguardo loro. Rubina si schiarì la gola, attirando l’attenzione di alcune persone lì vicino.
 
-Voglio vedere il re e la regina. Immediatamente- quasi ringhiò, usando un tono autoritario. La donna che aveva fermato annuì leggermente e di fretta, prima di correre via e sparire dietro una porta.
Si appoggiò ad una colonna, incrociando le braccia sul petto. Aspettò pazientemente che i due regnanti facessero il loro ingresso nella sala. Si drizzò appena li vide. Sembravano due persone come tante altre con solo i vestiti di alta sartoria e i gioielli a distinguerli. L’uomo aveva il suo rubino incastonato in una grande spilla appuntata all’altezza del cuore. La donna invece aveva un ciondolo, molto simile a quello del capitano ma con i bordi in oro invece che in argento.
 
-Re Terrany, regina Raiselle…- li salutò con un cenno del capo, andando loro davanti.
Notò che Raiselle aveva i suoi stessi occhi e capelli, più o meno era anche alta come lei. Convidevano ancora lo sguardo curioso e vispo e il vizio di giocare con la collana. Ma era con il re che trovava più somiglianze. Viso, portamento… Era praticamente la sua fotocopia al femminile. Si guardò le mani. Erano così pallidi e lei… Lei aveva la pelle dorata per il tempo infinito che aveva passato sotto al sole. Erano davvero i suoi genitori? Sì, non c’era altra spiegazione.

-Sì? Chi è lei?- chiese la regina, una punta di sconcerto nella sua voce mentre arricciava il naso. Rubina prese un grosso respiro.
 
-Mi chiamo Rubina, sono il capitano della nave Cigno Dorato. Ma credo voi mi conosciate meglio come Myra…- la sua voce sbiadì man mano che diceva la frase, arrivando a pronunciare il suo nome a bassa voce.
Vide la regina sbiancare e quasi svenire, di certo sarebbe caduta a terra se il marito non l’avesse prontamente sostenuta tra le braccia. Anche lui non aveva una bella cera, era sicuramente rimasto shockato da quella rivelazione. Non si aspettava di rivedere sua figlia dopo ventitré anni.
 
-Myra… Tu… Davvero sei tu?- le chiese, la voce tremante e incerta. Lei annuì con un sorriso leggero.
Raiselle si liberò dalla presa di Terrany e si precipitò subito da lei. Le accarezzò il viso febbrilmente, le lacrime le scendevano calde sulle guance. La riempì di baci prima di abbracciarla e stringerla forte al petto.
 
-Oh, bambina mia! Pensavamo di non vederti più! Guardati… Sei bellissima. Anche se troppo scura, cara…- commentò, allontanandosi di un passo solo per guardarla meglio. Rubina annuì.
 
-Sì, beh… Sono stata tutto il tempo in nave, è normale. Il capitano Kavor mi aveva trovata al porto…-
 
-Non aggiungere altro- disse serio il re, avvicinandosi alle donne e poi guardando duro i pirati. -Questi fuorilegge ti hanno rapita e tenuta lontana da casa tua. Ma non preoccuparti, avranno quello che si meritano…- schioccò le dita.
Subito le guardie arrivarono e presero gli uomini per le braccia. Chiusero i loro polsi in manette grosse e pesanti e li strattonarono leggermente. Tutti guardavano la ragazza con gli occhi spalancati, ma lei rimase impassibile. Sembrava un’altra persona e faceva quasi paura a tutti quegli uomini grandi e grossi.
 
-Rubina, ma che fai?! Sei impazzita?- urlò Percy con urgenza, cercando di liberarsi dalla presa di quelle guardie per andare vicino a lei. La nuova principessa lo precedette, avvicinandosi al pirata. Lo guardò, come mai aveva fatto. Pareva essersi dimenticata tutto l’amore che le aveva dato e le cure che aveva ricevuto da lui.
 
-Non parlare così alla tua principessa. Tuttavia…- fece cenno ai soldati di liberargli le mani. Loro annuirono e obbedirono, rimanendo comunque vicini in caso di attacco. Gli fece mettere gli arti a coppa e vi poggiò sopra le sue spade e il suo cappello. Lo guardò negli occhi. -Tienili tu. Potrebbero servirti, un giorno-
Fece un leggero movimento con la testa e la ciurma del Cigno Dorato venne portata via, verso le segrete per tenerli imprigionati. Rubina li guardò andare via, prima di essere trascinata verso le stanze che sarebbero state sue.
Prese un grosso respiro. Avrebbe dovuto abituarsi a quella vita che non le apparteneva, la sua anima era in quelle mura e in quel titolo. Eppure…
Eppure, il suo cuore continuava a battere a ritmo dei cannoni e nelle sue orecchie scrosciava il mare.
Aveva un’anima da principessa, che le aveva permesso di essere vista come un buon capitano. Ma in fondo, aveva un cuore legato alla sua nave e ai suoi uomini.
Avrebbe sempre avuto un cuore pirata.

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