You make Anger look like Love, you make Love look like Anger

di peeksy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dormi ragazzo ***
Capitolo 2: *** Lascia che ti dica una cosa ***
Capitolo 3: *** Tu sei lo strumento ***
Capitolo 4: *** Ricordi, timori e abitudini ***



Capitolo 1
*** Dormi ragazzo ***


Era una giornata come tutte le altre a Gravity Falls. Il cielo giallino condito da candide nuvole faceva da sfondo alla valle con la cascata e la grande pineta, una delle tante dell'Oregon.

 

La piccola e misteriosissima città stava per andare a dormire, lungo le strade ogni tanto si vedeva qualche persona a quell'ora, ma nulla di più.

 

In città c'era il silenzio, e lo stesso valeva al Mystery Shack.

 

Dipper tuttavia non era affatto silenzioso. Il ragazzo cercava risposte, quelle che aveva avuto dall'autore dei tre diari, Stanford Pines, non erano state sufficienti, o forse lo erano state ma c'erano dubbi condivisi sia da lui che dal suo possibile prozio.

 

Ad ogni modo, molte cose lo perseguitavano. Il dubbio costante era sempre quello: ma cosa diamine sta succedendo? Perché proprio una cittadina dell'Oregon, in un modo così vasto, è perseguitata da eventi così paranormali?

 

C'erano delle risposte che non sapeva, ma che voleva assolutamente sapere. Ormai capiva che era arrivato ad un punto in cui molto della sua vita stava cambiando e non voleva essere indifferente nei confronti del suo destino.

 

“Hey fratellino! Vuoi giocare con Waddles?”

“No Mabel, non ora!”

 

Mabel. No, lei non sembrava al corrente di tutto questo. Anche lei ovviamente rimase perplessa dagli avvenimenti del portale, ma la vita è un'altra, secondo lei. Continuava a ripetere a Dipper di prenderla con più calma, che tra meno di un mese sarebbero tornati a Piedmont, California, dai genitori, e che la vita da quasi 13enni sarebbe tornata alla normalità.

 

Cose che Dipper riteneva sciocchezze.

 

“Mabel non ha visto il mistero così da vicino, non ha visto Bill Cipher” pensò Dipper.

 

Ma invece sì che l'aveva visto, e in caso si fosse presentato, lei avrebbe voluto certamente fargli una belle ramanzina su come non si prende il possesso dei corpi altrui.

 

“Mabel, dobbiamo discutere!” disse il ragazzo, il quale fece alzare in piedi la ragazzina.

“Di cosa? Di quanto fosse disgustoso il polpettone che abbiamo mangiato a cena?”

“Ugh...no Mabel, parlare di cose serie!”

“Oh, capito, vuoi parlare di misteri e cose del genere, non è vero?”

“Finalmente hai azzeccato.” disse il ragazzo con un'espressione seccata.

 

Detto questo si sdraiò sul letto e fissò il soffitto.

 

“Il fatto è che...Mabel...abbiamo appena scoperto di essere parenti dell'uomo che meglio di tutti sa di che diavolo accade qui a Gravity Falls...ma perchè siamo qui? Questa non doveva essere una vacanza dal nostro prozio? Era tutta una farsa, ci hanno nascosto un sacco di cose che però noi abbiamo scoperto...noi abbiamo un ruolo in tutto questo. Se non fosse come puoi spiegarti tutti i misteri che abbiamo incontrato, tutto ciò che abbiamo passato e che probabilmente passeremo ancora?”

 

Mabel si alzò e si sdraiò sul letto pure lei.

“E' semplice, noi siamo speciali, fratellino, e così come siamo supergemelli, siamo superspeciali!”

 

Dipper stette in silenzio per un po'. Poi riprese.

“Superspeciali? Forse sì, siamo speciali, non siamo finiti in un casino, ci hanno fatto finire in un casino! Stan lo sapeva...Stanley...ora devo pure distinguere...ah, mi domando cosa abbia Gravity Falls di speciale...”

 

Mabel si alzò e guardò dritto Dipper con un sorrisone dei suoi tipici.

“Ovviamente noi!”

“Uuugh!” rispose Dipper stanco e stufo di questa storia.

 

“Voglio solo sapere risposte! Ci deve essere un motivo, un motivo importantissimo, per il quale questo posto non è come tutti gli altri posti del mondo, questo posto è un mistero più che un paesino!”

 

“Secondo me anche Ford ha detto così da giovane!” disse Mabel sorridente.

“E infatti ha lavorato sodo ma si è cacciato in guai seri!” rispose il fratello.

“Dai, smettila di fare l'arrabbiato...se no quanto te ma voglio vederti più tranquillo!”

“No Mabel, non si tratta di questo, si tratta da qualcosa di più importante di due mocciosetti che blaterano quali noi due, c'è qualcosa che dobbiamo sapere!”

 

Dipper quasi urlò, si lasciò andare.

 

“Mabel, tu lo sai cosa comporta questo?” chiese.

“Che mi vuoi bene?” rispose la sorella.

“Aahh...” mormorò Dipper.

 

E si sdraiò sul letto.

“Andiamo a dormire” disse.

“Aspetta, non ho dato la buona notte a Waddles!” Mabel scese giù dal letto e corse ad abbracciare il suo amato porcellino.

 

“Ah, Mabel, sei sempre la solita!” e il ragazzo si mise a dormire.

 

Era stata una giornata noiosa e carica di dubbi e perplessità. Il sole, per Dipper, coincideva con i momenti della giornata in cui doveva far finta che tutto non fosse successo. Il Mystery Shack, con Stan o con Ford, sarebbe comunque dovuto andare avanti in qualche modo. Però i pensieri erano sempre lì, che lo martellavano come un picchio con il suo tronco. Già, le domande erano davvero tante ma a quanto pare “Stanford, l'autore dei diari” non voleva parlare tanto e se parlava, si capiva chiaramente che non ci metteva impegno.

 

Quando il sole calava, ecco quando Dipper a volte aveva l'occasione di parlare con l'autore. Di certo aveva capito che Ford aveva dei conti in sospeso con il fratello, ma questo non lo giustificava: era tornato nel mondo “reale”, abitato da persone, e la curiosità, la ricerca della conoscenza, sono ciò che le persone “reali” cercano.

 

Ford conosceva quello che per Dipper era stato un incubo indimenticabile, nel cattivo senso del termine ovviamente.

 

Bill Cipher.

 

Avrebbe voluto fargli tante domande su quel demone triangolare, ma aveva paura che il semplice menzionarlo avrebbe potuto mandarlo in panico o paranoia, oppure peggio, l'autore avrebbe accresciuto il senso di insicurezza in lui.

 

Di insicurezza, a Stanford, Bill Cipher ne aveva data tanta, troppa. A bizzeffe.

Trovare le parole giuste, per Dipper, non era semplice. Aveva solo 12 anni comunque.

 

E pensare che sarebbe dovuta essere una vacanza.

 

Nei sotterranei dello Shack i due fratelli, Stanley e Stanford Pines, si trovano innanzi al portale che nonostante lo shock della quasi completa riattivazione, ancora emanava forza di anti-gravità, anche se in proporzioni inavvertibili.

 

“Tu sei un pazzo, avresti potuto fare male ai pronipotini, e anche al mondo intero! Ma ti rendi conto, sei proprio un babbeo. Hai rovinato i miei obiettivi in favore dei tuoi futili scopi!” disse Ford. No, si erano già parlati in toni litigiosi ma quello non era lui, sembrava provenire da un altro mondo. Cosa che, effettivamente è vera.

 

“Ma almeno ti interessa proteggere i ragazzi o no?” chiese Ford.

 

Stanley non aveva molto da dire, era nervoso e anche nel torto, anche se certamente sapeva cose che il fratello non sapeva. E non si trattava di misteri, si trattava dei ricordi più recenti.

Se Ford aveva più conoscenza, stare nel portale per anni gli aveva fatto un solo effetto, gli aveva fatto dimenticare le emozioni, gli affetti familiari, un sorriso.

E se prima lui considerava il fratello uno stupido ma gli voleva comunque bene, adesso anche quello era da mettere in dubbio.

 

Ford blaterava parole che Stanley avrebbe preferito non sentire, o quanto meno avrebbe voluto far finta di non essere lì, eppure aveva diverse responsabilità sulle sue spalle.

 

“...Bill Cipher!”

“Che? Cosa?”

“Hai sentito quello che ho detto?”

“No.”

“...senti lascia perdere, controlla questo portale, io vado a prendere appunti nell'altra stanza.”

 

E l'autore se ne andò via. I suoi passi si facevano sentire molto forte nella sala segreta del Mystery Shack. Stanley fece per non guardare, ma l'istinto gli disse di osservarlo. Era...suo fratello, Ford, era lui e i ricordi lo persuadevano, non poteva essergli ostile.

 

Non appena la porta si chiuse, l'autore posò la giacca. Il suo volto assunse un'espressione decisamente seria, i suoi occhi si spalancarono.

 

“Lo so che sei qui...Bill Cipher!”

 

Nessuna risposta.

 

L'autore di certo non si aspettava una risposta secca, Bill era imprevedibile, seccante e non ti dava mai una sola soddisfazione. A volte sembrava dartene qualcuna, ma poi capisci che la realtà è un sogno. Ecco, Bill è questo. Lui fa diventare tutto falso.

 

“E se stessi ancora vivendo in un sogno?” Ford osservò qualche quadro appeso alle pareti, il “finto Stanford”, suo fratello, con i pronipoti.

“Spero che non corrompa loro! Sono disposto a tutto per impedirglielo!” affermò con un po' di insicurezza, ma con tanto coraggio.

 

Ma forse per lui era meglio non pensarci, pensandoci troppo si era cacciato in guai seri. Però sentiva la sua aura, l'aura di quel demone triangolare. La conosceva fin troppo bene. Bill era stato soggetto dei suoi studi fino a quando non comprese del suo vero pericolo, ma quel giorno fu troppo tardi, Bill sapeva già tutto delle sue intenzioni.

 

Camminò verso l'oscurità della notte che avvolgeva la cittadina di Gravity Falls in quella notte d'estate.

 

Nella stanza di sopra, dove dormivano i due fratellini, l'enorme finestra dava sul vuoto oscuro del cielo. I suoi vetri si tingevano di scuro come gli angoli più misteriosi che l'umanità ancora non ha usato esplorare.

 

La costruzione di quella finestra, vista la particolare sagoma dei vetri e il modo particolare in cui sono stati congiunti, trasmetteva un chiaro messaggio a chi la vedeva.

 

Un triangolo con un occhio al suo centro.

Qualcuno osserva, sempre.

Dipper dormiva, o forse no, non dormiva, i suoi sogni non erano tranquilli.

 

La finestra e l'oscurità dall'altra parte di essa parlavano chiaro.

 

“Dormi ragazzo, dormi bene. Vieni a farmi visita.”

 

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Capitolo 2
*** Lascia che ti dica una cosa ***


“Mabel!” gridò.
Dipper si svegliò prestissimo, erano circa le sei del mattino e, infatti, sua sorella stava ancora dormendo placidamente.
 

“Mabel, svegliati, devo assolutamente parlarti, ho visto Bill nei miei sogni!”, cercò di muovere la sorella, senza alcun successo.

“Mabel, svegliati!” gridò.
 

La sorella lentamente aprì gli occhi.

“Mabel, ci sei? Devo parlarti! Ho visto Bill!” disse.
 

“C-cosa? No, ci sentiamo domani! Mi raccomando porta il bagnoschiuma e la glassa!” rispose con toni sonnecchianti.

“Ugh, stai ancora sognando...”

“D-Dipper...come mai così presto? Mi hai fatto venire un colpo!”

Il giovane si calmò per un breve momento.
 

“Adesso svegliati, devo assolutamente parlarti!”
 

Mabel si alzò lentamente dal letto, si mise le pantofole e si sedette sul pavimento.

“Allora raccontami! Sputa il rospo!”
 

“Allora, non so da dove cominciare: tutto è iniziato con delle allucinazioni, vedevo del fuoco e un occhio, null'altro. Poi ho sentito la sua voce dirmi cose che non capivo, ha tuttavia menzionato più volte il mio nome e il nome di Stanford, poi ho visto ancora fuoco, con il mondo che lentamente prendeva forma, allora ho capito che il Mystery Shack stava andando a fuoco. Poi ho visto Bill, non rideva ma sembrava parecchio compiaciuto, poi ho visto noi, da bambini, con i miei ricordi dei tempi d'infanzia...e poi ha preso tutto fuoco...”

“Dipper, ma è terribile!” rispose Mabel scioccata, mettendosi le mani fra i capelli.

“E la cosa peggiore è che ora ho più domande di prima, ho un po' di paura ma non devo assolutamente cedere, non vincerà quel ridicolo demone!”
 

“No che non vincerà! Parola di Mabel!” disse la ragazza, ormai sveglia e energica come al solito, “non è vero Waddles?” disse girandosi verso al porcellino che tuttavia stava ancora dormendo.
 

“Però Mabel, tutto questo cosa può significare? Cosa vuole da me Bill, perché mi perseguita ancora? Penso che sappia chi ha i diari, ma perchè ancora io? Che io abbia un ruolo nel suo scopo?”

Dipper era chiaramente preoccupato, diversi dettagli agghiaccianti stavano componendo un sadico puzzle fatto di minacce, terrore e avvertimenti, tutto quanto da decifrare acutamente.
 

“Bill Cipher è crudele, maniaco del mistero e della corruzione mentale, ti prende e ti trasforma in signore della distruzione, ti fa tremare e ti fa salire diversi dubbi sulla tua esistenza e sull'esistenza di tutto ciò che ti circonda.”

“Dov'è che avevo già letto queste parole?” pensò Dipper, stette a riflettere in silenzio.
 

Poi sentì calore. Il calore di un abbraccio.
 

“Ma tu, fratellino, ce la farai, tu sei speciale! Così speciale che più speciale non si può! Più speciale delle persone più speciali che si siano!”

Mabel abbracciò il ragazzo con affetto. Quella sensazione che gli mancava da un po'.

Forse si stava lasciando prendere dal mistero, lasciando alle spalle tutto ciò che era la sua vita.
 

E molto probabilmente il piano di Bill Cipher era anche questo.

Dipper non doveva cascarci, non di nuovo.
 

“Sì, sorella, e non scenderò più a patti con il demone. Parola di Dipper.” disse abbracciando affettuosamente la sorella.

La finestra dalla forma triangolare era sempre lì, immobile e silenziosa.

 

Dipper e Mabel scesero giù dalle scale, entrarono in salotto e trovarono Stanley, ossia quello noto come “prozio Stan”, in dormiveglia sul divano.
 

“Stan? Stai dormendo?” chiesero in coro.

“N-n-no...uh? Cosa? Che ci fate voi qui?”

Stan si svegliò, i ragazzi lo inondarono di domande inaspettate e precise.

“Hai sognato? Cosa hai sognato?”

Stan li squadrò. Non gli sembrava avessero dormito male, tranne Dipper, il quale aveva una faccia da ragazzino tonto. Ma quello era normale.

“Non ho sognato nulla!” rispose aggrottando le ciglia.
 

In realtà aveva sognato, aveva avuto visioni offuscate del suo passato. I suoi erano ricordi della sua infanzia con il fratello. Tuttavia, ricordarli era stato dolorosissimo. No, niente fiamme o presenze non gradite nei suoi sogni, solo dolore legato a quei tristi, un po' dolci, ricordi di quel fratello così appassionato dalla curiosità, dal mistero, dall'ignoto. Gli piaceva l'ignoto, fino a quando anche la sua personalità diventò ignota.

E a Stanley portò amarezza, così tanta amarezza che lo portò a mentire e a rischiare tutto. Tutto per la persona più importante che ci sia.

Ma il presente era un altro, ormai “Ford” era tornato, non avrebbe voluto, stava bene lì, ma ormai era troppo tardi.
 

“Non provare a dettarmi le regole, tu non sai come mi sento io ora, tu non sai niente.”

Queste le ultime parole che gli disse.

 

“Stan! Cosa sai dirmi su Bill Cipher?” chiese Mabel, la quale non esitava a chiamarlo sempre in quel modo. Il fratello non lo chiamava in alcun modo, semplicemente.

“Bill Cipher?...io...non so niente.”
 

Stan sospirò.

“Chiedete a lui...mio fratello...”

“Perché proprio a tuo fratello? Tu non sai niente!” chiese Dipper, innervosito.

“Ragazzi, non so se vi fidate ancora di me oppure no, rimane il fatto che gran parte di tutto quel che so su Bill Cipher lo so grazie a lui...”
 

“Ma “gran parte” non vuol dire “tutto”!” rispose Dipper, “dimmi, hai mai visto Bill Cipher? Cosa ti ha detto? Parlami!”

Il ragazzo mise le mani sulle ginocchia del prozio, quasi per minacciarlo.

“...”

Stan non rispose.

Dipper si voltò, Mabel lo seguì.

“Tu hai chiuso con me!” e sbattè la porta.

 

Il ragazzo uscì in giardino, era ancora presto, saranno state le otto di mattina; un occhio inesperto avrebbe apprezzato il paesaggio semplice e suggestivo che Gravity Falls, con le sue foreste e le montagne circostanti, regalava alla vista, in realtà c'erano molti misteri occulti nascosti in quei posti.

 

Dipper non ne poteva più, si sentiva esausto e preso in giro da qualsiasi cosa.

Si sedette su un tronco d'albero tagliato. I suoi occhi iniziarono a lacrimare.

“Perché...prima ci regala tanto, ci è sempre vicino, ci protegge...e poi si dimostra il più grande mistero di tutti...colui che doveva darci una mano alla fine è quello che ce la mozza...io non mi devo fidare di lui.”
 

“Non devo fidarmi di nessuno”.
 

Mabel si avvicinò, aveva voglia di giocare con Waddles, aveva voglia di rincorrerlo e spassarsela un pochino, ma il fratello aveva la priorità.

“Hey, guardala così fratellino, sei a conoscenza della verità ora! I tre diari ci sono, e sai chi è l'autore, chissà quante cose potrai scoprire! Potresti scoprire di essere tu al centro di tutto questo mistero! Siamo in una situazione strana, ma questo non vuol dire che sia negativa! Suvvia! Non fare quella facciotta triste!”
 

Dipper la guardò e accennò ad un sorriso.

“Devo parlare con Ford, forse non gli sarò d'aiuto, ma sicuramente lui lo sarà a me”

“Questo è lo spirito giusto, Dipper! Così si fa!”

 

Dipper distolse lo sguardo dalla sorella, osservò come il vento si fece più pesante. Non faceva caldo, anzi, per essere estate, c'era aria gelida, quasi nebbia.

“Io torno dentro, non mi sento al sicuro qua fuori.”

“Oh, okay...” rispose Mabel, colta a sorpresa dalla frase del fratello.

 

Dipper si avviò verso lo Shack.

Entrò, c'era Soos.

“Ciao Soos!”

“Hey Dipper, come va, amico?”

“Niente di nuovo.”

Soos cambiò espressione, aveva cose importanti da dire al ragazzo.

“Stan mi ha detto di dirti di-”

Dipper fece finta di non sentire, chiuse la porta prima ancora che Soos potesse finire di parlare.

“-di stare attento...mmmmh...qualcosa non quadra qui...Soos provvederà!”
 

Il ragazzo si diresse verso la sua camera, voleva solo stare da solo, immergersi nei suoi pensieri, l'unico posto dov'era al sicuro.

Forse.

Bill lo spaventava molto, cosa voleva dire quel sogno? Era una minaccia o un avvertimento? Forse nessuna delle due, era semplicemente una descrizione di avvenimenti futuri. Al ragazzo vennero i brividi a pensarci.

In quella situazione così tesa, nervosa, l'unica cosa che poteva sollevarlo un po' era una, parlare con Stanford, l'autore dei diari.

 

Decise dunque di scendere giù e chiedergli diverse cose, la stima che aveva per quell'uomo era tanta. Cercava risposte e sicurezza.
 

Camminando si guardava intorno. Le sale del Mystery Shack non erano mai state così spaventose e imponenti; Dipper rabbrividì.

Digitò il codice per la porta segreta dietro alla macchinetta, ormai lo sapeva. A scendere laggiù, pensare a Stan era inevitabile.
 

Assunse un'espressione più seria. No, non era più un ragazzino.

Entrò nella sala buia e si spaventò terribilmente.
 

“Uh...cosa? Che è successo? Pronto? Autore? Sei da qualche parte?” Dipper cercò.

La sala era in un disordine anomalo.

“Sono Dipper! Mi piacerebbe parlarti...sempre se tu vuoi!”

 

Si avvicinò verso il portale, ancora attivo nonostante quello scombussolamento avvenuto pochi giorni prima. Quel silenzio peggiorava la situazione.

“Stanford? Rispondi?”

Nessuna risposta. Dipper si rassegnò.

“No, no, no! Non di nuovo! Cosa è successo ora?”

Il ragazzo si chinò a terra, le sue lacrime non si trattennero.

La polvere di quel cupo sotterraneo divenne lacrimatoio personale di un ragazzo che aveva sopportato troppo; sarebbe voluto scappare da lì.

 

Cosa che fece, si alzò e corse via da quella stanza. Una luce accecante gli si parò davanti.

“Fermo, tronco di pino! Non mi rovinare lo spettacolo!


Bill...Bill! Chi se non lui?

 

“Smettile di importunarmi! Sei un mostro! Io...io non ti darò ascolto di nuovo, stupido demone!”

Tentò di arrivare alla porta, il demone dei sogni lo fermò nuovamente.
 

“Sei così carino quanto fai l'arrabbiato, ragazzino!”

 

Dipper ci rinunciò.

 

“Lascia che ti dica una cosa...” disse Bill, chiudendo l'occhio, alzandosi in aria di un paio di metri.

“E cosa? Che sei onniscente? Lo so già, grazie...” rispose il 12enne.

“Oh! Oh! Sei proprio maleducato oggi, non mi piace questo modo, bamboccio!”

 

Bill schioccò le dita.




 



Angolo della critica
Mabel è un personaggio che patisco troppo. E' difficile entrare in quel tipo di mentalità, soprattutto quando si scrivono storie centrate sull'occulto e sull'ignoto (e su un dorito che ci prova con un ragazzino).
Non sono ancora in grado di scrivere in quel modo "goofy", qui ci ho provato, proprio come mi è stato consigliato. Il fatto è che anche a sentire i dialoghi non riesco a pensare come il personaggio, mi è fin troppo difficile.
Con tutto l'ottimismo del mondo, spero di migliorare nel  modo in cui scrivo Mabel, sarà un personaggio molto importante per la storia.
Ti ringrazio, ChibiNekoChan, per la recensione e il supporto
.
Che dire, buona lettura e spero vi intrighi di più il capitolo 2!

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Capitolo 3
*** Tu sei lo strumento ***


Dipper aprì gli occhi.

 

Era in un corridoio stretto. Che fosse solo un sogno?

Non capiva, quel corridoio sembrava esattamente quello del Mystery Shack.

 

Si alzò. “Stanford?...Autore?”, il ragazzo non sapeva cosa fare. Sentiva l'ansia crescere dentro di lui come un demone...

 

La luce si accese, un bagliore immenso illuminò la stanza.

Dipper si voltò e notò una persona sulla soglia della porta. Aveva appena alzato l'interruttore.

 

Stanley Pines.

 

Al ragazzo non piacque l'idea. Ma non capiva se stava sognando o no, decise da scappare dall'altra parte del corridoio.

 

Il suo “prozio” lo seguì silenzioso.

 

Il dodicenne corse fino a quando un'altra sagoma si pose fra di lui e l'uscita.

 

Stanford. L'Autore. L'uomo delle risposte.

 

“Ah, sei qui! Perchè non sei giù a tenere sotto controllo il portale?!”

“Dai rispondimi!!” disse il ragazzo strattonando l'anziano.

 

Stanley si avvicinò ai due. Il giovane non si mosse, aggrappandosi alla gamba dell'autore, il quale rimase impassibile.

 

Volò un pugno. Stanford cadde a terra.

Stanley guardò apatico il dolore del fratello.

 

Quell'uomo, sulla sessantina, scomparso per così tanto tempo, scomparve di nuovo, stavolta si dissolse nel nulla.

 

“Che è successo? Stanford? Perché? Cosa diamine sta accadendo qui?” urlò Dipper, disperato.

 

“Stai tranquillo, è tutto okay...fratellino...”

Quella voce gli parve familiare.

 

Mabel.

 

Si voltò per guardarla, le accarezzò la guancia, insolitamente fredda. No, non era veramente Mabel, non aveva quella infantilità che la contraddistingueva sempre; la stessa che a Dipper dava fastidio ma che sotto sotto era fondamentale. Non vide l'apparecchio, quel sorriso a 32 denti che rimaneva sempre costante, non vedeva la sorella.

 

Stanley si girò verso di lei.

“Togliti da qui, Dipper è solo mio!”

“No, tu lo odi, tu lo hai sempre odiato, è sempre stato un peso per te, un ragazzo troppo impegnato a seguire le orme di tuo fratello. Tu non avresti mai voluto questo, vero? Non avresti mai voluto questo Dipper, non avresti mai voluto che fosse così, per questo non ne sei mai stato soddisfatto!” rispose la ragazza.

 

Il ragazzo impallidì a bocca spalancata.

 

Le si illuminarono gli occhi, “vero?” chiese.

 

“Sì...Bill...è vero...tu mi conosci...” rispose Stanley.

Il vecchio cadde a terra, dolorante.

Poi si dissolse anche lui.

 

“Bill? Basta! Smettila! Cosa è successo?!”

Il ragazzo si mise nell'angolino della stanza, rannicchiandosi.

 

“Dipper, tu non sai quanto vali, sei tu il centro di tutto questo sistema. Io sono solo il mandante, tu però sei lo strumento di cui ho bisogno, non hai capito che questi allocchi vogliono solo usarti? Hanno saputo cose che non avrebbero dovuto sapere e io devo evitare che la situazione peggiori. Tu sei la chiave, tu sei il centro di tutto questo.”

 

Un occhio enorme, grande quasi quanto il soffitto del corridoio, comparve, come un'allucinazione, al ragazzo.

 

Anche Mabel cadde a terra, dissolvendosi.

 

“Bill, tu non mi avrai mai! Mollami, io non ti crederò mai e poi mai! Sei solo un mostro! Un demone! Un invertito! Un-”

“Uno più potente di te, tronco di pino!”

 

Dipper sentì delle mani vellutate abbracciarlo. Le vide. Erano bianche, bianche come le notti passate a pensare.

Un giovanissimo, magro, dai capelli biondi e un occhio coperto da una benda gli sussurrò nell'orecchio.

 

“Tu non puoi nulla contro di me, io contro di te potrei di tutto invece, eppure non ti faccio male, tu mi servi!”

 

Dipper tremò, si voltò. Il volto dell'uomo biondo era spaventosissimo. La pupilla era minuscola, il sorriso con denti aguzzi e il naso all'insù.

Quasi svenne.

 

“Io vedo tutto, la vostra banale vita deve seguire il copione, se non lo segue, me ne occuperò io. Voi vivete in un film e io ne sono il regista. Voi la chiamate vita, la chiamate dono della natura, in realtà è un'illusione, siete sotto i nostri occhi.”

 

Dipper volle piangere ma si trattenne, cercò di uscire dalla morsa di quelle braccia.

 

“Stanford non stava seguendo il copione e nemmeno tu lo stai seguendo”

Al giovane si illuminarono gli occhi, avrebbe voluto rifletterci su, ma non c'era tempo per i pensieri.

 

“Però tu sei una pedina facile, sei ancora giovane e soprattutto sai poche cose. Sei perfetto per me.”

 

Il demone si mostrò con aspetto umano proprio per sembrare più avvicinabile e empatico verso il malcapitato ragazzo.

Egli, per conto suo, non sapeva come sentirsi.

Avrebbe solo voluto che quello schiocco di dita non fosse mai accaduto.

 

Dov'è il vero Ford? Dov'è la vera Mabel?

 

“Tronco di pino, potrei benissimo farti molto più male, ma sei troppo giovane e carino anche per me, io ti sto solo avvertendo, lascia stare i misteri, tornatene a casa!”

L'occhio del demone brillava sotto la luce della stanza.

 

“Giammai, Bill! Non seguirò mai i tuoi stupidi consigli! Mi prendi per idiota, vero?”

“Ooooh, piccola pineta, se non mi ascolti mi toccherà a farmi ascoltare!”

Bill strinse il ragazzo ancora più forte.

 

“Dipper esci di qua, svegliati da questo brutto sogno!” pensò il ragazzo.

 

“Stan e Ford sanno entrambi di quanto potenziale il tuo cervellino abbia, ma io sono qui per far sì che ciò non accada! Ford ha sofferto e la sofferenza del fratello è venuta di conseguenza! Se tu mi seguirai, non soffrirai come loro!”

 

“Aaaah! Lasciami!” Dipper gridò.

 

Aprì gli occhi.

La sua guancia destra era freddissima, il buio era tutto intorno.

Non ebbe la forza ti alzarsi e scappare via.

Non ebbe la forza di aprire gli occhi ancora.

 

Si lasciò andare a terra, respirando profondamente.

Bill aveva proprio esagerato stavolta.

 

I capelli bruni disordinati, il cappello qualche centimetro più distante.

Dipper aveva bisogno di riposo.

 

Il silenzio era turbato solo dal rumore del portale.

Un sacco di caos e macchinari occulti illuminavano la stanza, al centro un quasi tredicenne che non ne poteva proprio più.

 

Dei passi lentamente si avvicinarono alla stanza.

 

“Oh no...”

Stanford Pines vide il ragazzo.

 

Corse verso di lui, tuttavia non appena si rese conto che stava solo dormendo, si calmò. Temeva il peggio.

 

“Bill Cipher! Se hai qualche messaggio da darmi, vieni e prendimi! Non mi fai paura! Ti conosco fin troppo bene ormai!”

Nessuna risposta, o meglio, quell'inquietante silenzio fu la risposta che Bill diede.

Sicuramente stava osservando.

 

L'Autore sbruffò e mise una mano sulla testa del ragazzo a terra.

“Un giorno...la vita tornerà alla normalità, ma di sicuro non ci sarò io a viverla...”

Osservò nuovamente il portale, lo stesso che l'aveva inghiottito anni prima.

Gli venne qualche brivido a pensarci.

 

Tutto tornò alla normalità quando udì una voce alla sue spalle.

 

“Fratello! Sei qui in ritardo!” disse Stanley.

“Dovevo accertarmi di alcune cose riguardo al Covo dei Blind Eye, Fiddleford è cambiato troppo in questi anni.”

“Dipper! Oh cielo che gli è successo?” chiese il fratello dell'autore.

“Sta bene, non avvicinarti.” disse Ford con toni calmi.

 

“Si può sapere che succede qui? Tu in ritardo, il ragazzino svenuto...”

Altri passi, decisamente più veloci, irrompettero nella sala.

 

“Fratellino! Cosa ti è successo?”

Mabel corse dal ragazzo, svegliandolo di colpo con il suo chiasso e le sue urla.

 

I due Stan guardarono silenti mentre Dipper stentò ad alzarsi in piedi. Sembrava stonato, non ricordava nulla.

E infatti, non avrebbe voluto ricordar nulla.

 

“Fratellino! Stai bene? Non mi devi fare preoccupare così!”

Il ragazzo, lentamente, si resse in piedi.

 

Le sue gambe tremavano parevano fragili. Ford gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla.

“Ragazzo, hai fatto preoccupare tutti!”

 

Gli occhi incominciarono a vedere bene. Tutta quella gente era lì per lui.

Mabel, Stanford, Stanley. Però perché erano lì? Dipper faceva fatica a capire.

 

Ricordava solo le parole di Bill, quelle lo avevano segnato moltissimo.

E se stesse ancora sognando? E se le persone lì presenti fossero ancora delle illusioni? Dipper preferì non parlare.

 

Sì sentì toccato. Mabel lo stava abbracciando. Eppure quel calore affettivo non gli faceva assolutamente niente. Non capiva, si sentiva in un altro luogo.

 

Ford assunse un'espressione preoccupata.

“Mi senti, ragazzino?”

Dipper non rispose.

 

Ford schioccò le dita per svegliarlo.

Quello schiocco.

 

No, non di nuovo, non un'altra volta.

Dipper si sentiva vuoto.

“Autore, Mabel, Stanley, uscite di qua, devo stare solo.”

 

“Ma...hey? Cosa ti è successo?” disse la sorella, subito fatta tacere dall'Autore.

“Facciamo come vuole, ho un cattivo presentimento riguardo a questo suo comportamento.”

 

Stanley guardò Dipper un'altra volta. No, non era quello il ragazzo che aveva conosciuto. Si sentiva tremendamente in colpa ma fu il primo a voltarsi e andare via.

Ford lo seguì, decisamente turbato.

 

Mabel si voltò ancora verso il fratello, il quale stava fissando il portale.

“Ragazza, lascialo, ti spiegherò poi...” disse l'Autore.

Lei lo seguì.

 

I tre uscirono mentre Dipper accennò ad un sorriso.

 

Il silenzio avvolse la stanza.

 

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Capitolo 4
*** Ricordi, timori e abitudini ***


L'autore prese il Diario numero tre. Ricordava molto bene cosa c'era scritto, non ogni parola, ma concettualmente aveva pronte le frasi per spiegare ciò che solo lui sapeva spiegare.

 

Alzò la testa e il suo sguardo assunse un'espressione severa.

Stanley, ancora, cosa voleva da lui?

 

“Senti, fratello...lo so che per ora sono solo un peso per te...mi stavo chiedendo se...”

Ford lo interruppe, sbattendo il diario sul tavolo.

“Senti un corno, fratello! Hai fatto di testa tua per tutto questo tempo e ora non pensare di potermi dare gli ordini! Non sei riuscito a sistemare nulla da solo, ora devo occuparmene io!”

Stan rabbrividì alle parole del fratello.

 

Tuttavia non aveva torto.

 

“Ho paura per loro due, i pronipotini...sono in mezzo a questa faccenda per puro caso...ed è stata colpa mia...”

“No, non sai che stai dicendo, fratello, non sono qui per puro caso...”

Ford chiuse il diario, aveva letto abbastanza. Piuttosto pensò a agire di conseguenza.

 

“Tu te lo ricordi Bill Cipher, vero fratello?”

 

Stanley cercò di scherzarci su, ma voltandosi vide solo il volto cattivo e arrabbiato del fratello.

“Tutto ciò che so di quel demone lo so da te, io non ricordo nulla di lui da quando te ne sei andato!”

“Non mentire!” urlò Stanford.

 

“Com'è possibile che tu non sappia nulla di Bill mentre i pronipotini ne sanno parecchio?”

“Uhm...non lo so, posso dirti che non mi ricordo di lui...”

“Ma li ascolti quando parlano, ci dai un po' di attenzione a loro...adesso Dipper è stato contaminato da Bill e tu stai qui con le mani in mano...”

 

Stanley sobbalzò. “Cosa? Dipper?”

Ford scosse la testa e si lasciò andare ad una smorfia di stress.

 

Il fratello aveva capito, era l'ennesima volta che mandava l'Autore su di giri.

 

“Ascolta” disse egli, “io scendo giù, voglio parlare con Dipper, voglio assicurarmi di alcune cose”.

“E se non è più lì?”

“Lo devo trovare, devo assolutamente.”

 

Detto questo, Stanford si avvicinò alle macchinette, dove si apriva il passaggio segreto.

 

“Prozio Stan...” una voce femminile si fece sentire.

Stanley si girò.

 

Mabel era ancora lei, l'unica che lo chiamava ancora così. Tutto quello che era accaduto, con lei, non sembrava essere mai successo. Mentre non capiva cosa stesse succedendo a Dipper, capì che la sorellina non voleva cambiare: gli voleva ancora bene.

 

“Mabel...”

Si lasciò andare ad un tenero abbraccio con lei.

“Prozio Stan, dov'è Dipper? Come sta?” chiese la ragazzina.

“Non lo so, non posso dirlo io...se ne occuperà mio fratello.”

 

L'abbraccio si sciolse e Stan si sedette sul sofà. Affianco a lui un quadretto, una foto datata circa 10 anni, con due piccoli bambini, un maschio, una femmina, e lui. 10 anni passati in fretta.

“E pensare che mi facevo chiamare Stanford...non era voluto, ma sono stato costretto...” pensò.

 

Mabel lo osservò, “ti vedo preoccupato, cosa non va?”

“Ragazzina, non c'è molto di certo che posso dirti in questo momento, però se tu riesci ancora a sorridere nonostante tutto questo, vuol dire che sei sulla buona strada.”

 

Quelle parole la lasciarono un po' così, anche se dopo qualche secondo entrambi sorrisero.

“Grazie infinite prozio! Ti voglio un mare di bene!”

E se ne andò.

 

Stanley stette a riflettere, osservò quel quadretto.

Sì, dopotutto era lui che li aveva visti crescere.

Era lui che li aveva visti felici.

Sorrise nuovamente, e si abbandonò ai ricordi.

 

Ford.

 

Pensò anche a lui, il quale scese nuovamente nella stanza segreta, quella del portale.

Luogo in cui non trovò nessuno però.

 

“Dipper? Dove sei? Sono l'Autore!”

 

Era passata più di un'ora da quando il ragazzino aveva chiesto di stare da solo.

Chissà dove si era cacciato.

 

Un sacco di pensieri infestavano la testa. Temeva che Bill lo stesse lentamente prendendo e portando via con se. Avrebbe voluto esserci, quando tutto ebbe inizio, quando Bill vide per la prima volta i ragazzini; eppure non è stato possibile.

 

Si girò. “E' tutta colpa tua, macchina!”

Osservò il portale.

 

“...o forse è colpa mia...forse non stavo seguendo il copione...”

Ford aveva ben imparato a non sottovalutare le potenza di quel demone.

Tuttavia, pensava che si potesse fermare, in qualche modo.

 

“Così come lo si evoca e lo si caccia via, lo si vuole e lo si evita” pensò.

Eppure con tutti questi studi e tutti questi anni passati a ricercare dettagliatamente i misteri della zona, non aveva ancora capito come fare per fermare quel triangolo volante.

 

Ci pensò. No, non avrebbe perso di nuovo.

 

Uscì fuori dallo Shack, si addentrò nelle fitta e misteriosa foresta che circondava quei posti.

Si stava facendo tardi nel pomeriggio.

 

Stanford prese una piccola torcia e la accese.

 

Vide una figura seduta su un tronco di pino tagliato.

Sì, era lui, Dipper.

 

Si avvicinò al ragazzo, il quale, notandolo, alzò lo sguardo.

No, niente segni di corruzione mentale o possessione del corpo; il ragazzo sembrava il solito.

“Hey, si può sapere che ci fai qui?”

“Autore...io...lei...tu, che ci fai tu qui? Sei venuto a cercarmi?”

“Certo, ragazzino, ci hai fatto preoccupare, tutti quanti! Dai torna allo Shack, così farai vedere che sei intero!”

 

Ford tirò un sospiro di sollievo eppure qualcosa lo straniva ancora di più. Bill non sembrava essere con lui in quel preciso momento: era proprio il ragazzino ad essere così: vuoto, monotono, apatico.

 

Qualcosa non tornava, dov'era quel dodicenne?

Stanford, che sapeva di essere l'idolo di quel ragazzo, cercò di “riattivare” un senso di fanatismo in lui.

 

“Allora, cosa ne pensi di Bill Cipher?”

 

Il ragazzo rabbrividì al sentire solo quel nome. Gli venne la pelle d'oca, spalancò le palpebre e una smorfia di paura uscì dalla sua bocca.

 

Stanford capì che qualcosa doveva pur essere successo. Quel demone era tornato e aveva un piano in mente.

Preferì cambiare argomento.

 

“Che te ne pare dei Diari, c'è qualcosa che ti ha colpito parecchio? Ti va di parlarne?”

Ford si sentiva quasi come un vero prozio. Si mise nei panni del fratello; non era una brutta sensazione, ma era troppo “aliena” per lui per sentirsi propriamente a suo agio.

 

Il ragazzo quasi non sentiva, camminava in modo molto timido, gli occhi puntavano verso il basso. Insomma, era con il suo idolo, fosse stato tutto okay sarebbe su di giri, ma invece non parlava, non faceva assolutamente nulla.

 

“Dipper, qualcosa non va? Mi sembri giù di morale!”

“Sì...” sospirò il ragazzo.

 

“E' che...mi sto scervellando troppo a capire cosa sta succedendo qui! Sono venuto per una vacanza, non per una lotta contro l'ignoto. E' agghiacciante! A volte penso che tutto questo abbia me come centro, perché io sono imparentato con voi eppure sono quello che pare soffrire di più. Mi sento beffato da Stan e dalla sua attività...sono troppe le cose, Autore, che tu mi devi spiegare...capisci?”

 

L'Autore non sapeva cosa rispondere; capiva che il ragazzino non aveva affatto torto, eppure sentiva di doverlo confortare, i suoi problemi erano stati parecchi.

 

“Autore, io sono stato portato qui con che scopo? Se pensavate che io fossi valido per questa indagine rivolta al mistero, sappiate che vi state sbagliando di grosso...io...non sono abbastanza pronto per questo...”

Il ragazzo iniziò a piangere.

 

Ford cercò di mostrarsi il solito, di non dire cose a sproposito, però si sentiva un po' in colpa per non essere una figura più vicina al ragazzo e alla sua vita che doveva rimanere tale.

Si avvicinarono allo Shack che era quasi buio sull'Oregon.

 

Stanford diede qualche pacca di motivazione al ragazzo.

“No, tu vali molto, tu sei pronto per questa sfida. Se fosse come hai detto, avresti già mollato! Sei un ragazzo molto valido, secondo me, Dipper!”

 

Il giovane sentì quella frase, smise di piangere, si voltò e abbracciò l'Autore, il quale ricambiò l'abbraccio.

 

“Ora devo andare, stai al sicuro e rilassati.”

“...okay”

 

Stanford non entrò nello Shack.

Dipper stette a guardarlo per qualche secondo, fino a quando Mabel non lo notò e corse fuori ad abbracciarlo.

 

Il ragazzino sorrise mentre la contagiosa allegria della sorella si riversava su di lui.

Per quel momento si sentiva a casa, come quei tempi in cui lui poteva essere il ragazzo che desiderava, senza qualcuno che venisse ad imporgli cosa pensare o cosa fare.

 

Ma la realtà era un'altra e lo sapeva.

 

L'Autore si allontanò.

 

“Allora! Stai bene fratellino? Mi ha fatto preoccupare un sacco, scemotto!”

“Scusa Mabel, è...difficile spiegarti cosa è successo!”

“Per fortuna sei intero! Quella è la cosa più importante! Dai, andiamo dentro!”

 

Mabel gli strizzò una guancia. Dipper sorrise nuovamente. Per una volta era molto contento di ritornare nello Shack, di sentirne l'odore, di camminare tra quelle misteriose mura.

 

Arrivarono nella stanza principale della casa, il negozio. Non c'era nessuno in cassa, nessun rumore turbava la quiete, nessun brusio di insetti, nulla.

L'unica cosa che si sentiva era il respiro del ragazzino.

 

Si fermò sul tappeto in centro alla stanza, si osservò i piedi.

Ebbe molta paura non appena notò cosa c'era sul tappeto.

 

L'ennesima rappresentazione di Bill.

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