Disclaimer:
Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di
Tsugumi Obha e NisioIsin; questa storia è stata scritta senza
alcuno scopo di lucro. La storia e il disegno mi appartengono.
Il
telefono squilla.
1.
Temporale
Mobili di scarsa
fattura, ma lustri come se fossero stati da poco trattati con la
cera. Soprammobili essenziali, ma privi di polvere. Pavimento in
cotto scheggiato qua e là, ma comunque lucido. Pareti
tinteggiate di un bel rosso acceso senza alcun graffio o macchia di
umidità. E per finire, un gradevole odore di pulito aleggiava
in tutta l’abitazione. Naomi guardava allibita la hall del suo
ospite, non riuscendo a credere a ciò che le si parava di
fronte. Mentre l’uomo confabulava di porre la sua borsa sul
piccolo appendiabiti vicino alla porta e di asciugare per bene le
scarpe sullo zerbino – altrimenti si sporca tutto –
la donna continuava a girare la testa a destra e a sinistra,
guardando ogni singolo angolo della stanza con sempre maggior
sorpresa. I libri stavano ordinatamente su degli scaffali fissati al
muro, che oltre a risparmiare spazio in quella piccola casa,
servivano anche ad ornarla grazie alle piccole piantine usate a mo’
di sostegno per i volumi. I vetri delle finestre imperlati dalle
goccioline di pioggia erano coperti da delle tendine panna che
risaltavano con il colore dei muri e anch’esse erano ben pulite
e stirate. Un grande tappeto in fibre sintetiche dello stesso colore
delle tende stava al centro della stanza e su di esso non c’era
traccia di quei fastidiosi pilucchi che solitamente i tappeti
attiravano come una calamita: ci avrebbe mangiato su quel coso di
quanto era pulito.
«Misora,
che fa? Sembra che ha visto un fantasma».
Oh, no, era molto
peggio. Tutto si sarebbe aspettata da lui, tranne una casa così
ordinata: insomma, il suo aspetto trasandato lasciava trasparire al
contrario una personalità piuttosto disordinata, o almeno
questa era l’idea che si era fatta di quel barbone in blue
jeans. Vedere che le sue supposizioni erano errate la lasciò
un po’ interdetta, eppure era quello che stava constatando con
i suoi stessi occhi, non c’era nessun trucco. In poche parole,
era una di quelle cose che se non le vedi di persona non ci
crederesti mai.
«…no,
Ryuzaki, nessun fantasma. D’altronde non mi sembra il tipo di
casa che uno spirito userebbe come dimora».
«Beh,
non è abbastanza grande in effetti».
La casa era
veramente piccola, anzi a dirla tutta appariva più un
monolocale con giusto altre tre stanzette per il bagno, la cucina e
per il letto. Nonostante ciò, era davvero ben tenuta e questo
la rendeva un posto confortevole dove vivere.
«Non
è questo il punto, Ryuzaki», disse Naomi avanzando verso
di lui, «Non vedo nessuna ragnatela o segno di decadimento, al
contrario è… a posto. Per questo non mi sembra un
esempio di casa infestata» concluse ridendo.
«Lo
prendo come un complimento, Misora. Anche se…» si voltò
dandole le spalle e posò il mazzo di chiavi su un piattino
posto sopra un mobile in compensato, poi continuò: «…qualcosa
mi dice che non era quello che ti aspettavi. Sei delusa?»
«Sì,
lo ammetto: da te non me lo aspettavo. Ma, per carità, non
sono affatto delusa, anzi direi che sono… sollevata».
«Apprezzo
la sua sincerità».
Senza aggiungere
altro, Ryuzaki si addentrò verso la camera che fungeva sia da
salotto che da sala da pranzo, praticamente la stanza principale.
Naomi lo seguì a ruota cercando invano di non sporcare a
terra: era così zuppa d’acqua che tra un po’
avrebbe sentito dei pesci nuotarle dentro i calzini.
Se vi state
chiedendo per quale motivo l’agente dell’FBI Naomi
Misora, attualmente in momentaneo congedo, si trovi nella casa del
suo nuovo peggior incubo della sua carriera, altrimenti
chiamato Rue Ryuzaki 1,
il detective privato sbucato dal nulla – anzi, da sotto un
letto - bisogna andare indietro di qualche ora.
✝
✝ ✝
C’era una
giornata asfissiante lì a Los Angeles, che in estate si
trasformava da “città degli angeli” a “città
dei diavoli” per il caldo infernale. Naomi si era svegliata
stranamente di buonumore, con il proposito di fare del suo meglio
alle indagini. Perfino l’idea di dover incontrare nuovamente
quel tipo che sembrava uscito da una clinica di riabilitazione non la
toccava più di tanto, avvolta da quell’aura di
positività che, pensò, sarebbe stato meglio se le
avesse fatto visita più spesso. Dopo un toast e un bicchiere
di caffè-latte, scese nel garage di casa sua per prendere la
sua fedele moto e avviarsi verso la casa di Backyard Bottomslash2,
la terza vittima del caso delle Wara Ningyo3.
Nei giorni precedenti, la polizia si era già occupata di
esaminare tutta l’abitazione dove si era consumato il delitto,
e le risultanti erano sempre le stesse: nessuna impronta digitale, la
scena era stata epurata di ogni minima traccia compromettente per il
killer e non solo, anche gli angoli più remoti e impensabili
della casa erano stati puliti – cosa del tutto superflua, per
come la pensava lei. L’unica eccezione, anche stavolta, era
stato il sangue, lasciato volutamente proprio dove doveva stare:
attorno al cadavere della donna, alla quale erano stati asportati la
gamba destra e il braccio sinistro. Mentre aspettava che la
saracinesca si sollevasse del tutto, Naomi osservò con orrore
le fotografie che le aveva procurato L. Il corpo straziato della
donna era stato scattato da diverse angolazioni, pozze di sangue
scuro lo attorniavano mettendo in risalto la pelle bluastra. Stando a
quanto stava scritto nell’analisi medica, la vittima era stata
drogata e poi uccisa – metodo che era stato riscontrato anche
nei due omicidi precedenti - e stavolta la donna era morta per
emorragia interna, in quanto erano stati trovati dei brutti lividi un
po’ su tutto il corpo. Secondo il medico legale, le contusioni
erano state praticate prima dell’amputazione delle prossimità,
ma l’arma con cui erano state applicate le percosse non era
stata rinvenuta. Infine, per quanto riguardava gli arti mancanti, la
gamba destra era stata ritrovata all’interno della vasca –
anche questa pulita alla perfezione, eccetto per il sangue –
invece del braccio sinistro non si sapeva niente: era scomparso,
insieme all’assassino.
“Perché
accanirsi in questo modo con un cadavere? Cosa vorrà dirci
stavolta il killer?”.
Pose la busta con
le foto e i dati del caso all’interno della sua borsa e accese
la luce, cercando di eliminare momentaneamente quelle immagini
cruente dalla sua mente. La moto nera stava in fondo al garage
coperta da un telo per proteggerla dalla polvere, e con voluttuoso
desiderio aspettava che la donna la facesse ruggire sull’asfalto
fumante della città. Naomi non la fece aspettare oltre e una
volta posizionatosi sulla sella, indossò il casco integrale e
infilò la chiave nel quadro della serratura.
«Ma…
cosa?»
Continuava a girare
la chiave e a premere l’acceleratore, ma il motore non partiva.
«No!
Dio, non dirmi che si è rotta!»
Dopo vari
tentativi, decise di rinunciarci. Con stizza si tolse il casco e
afferrò il cellulare dalla tasta interna dei pantaloni e con
crescente impazienza digitò i piccoli tasti.
“Avanti…
rispondi!”
«Naomi?»
“Grazie
al cielo!”
Si tolse una ciocca
di capelli dagli occhi e con un sospiro rispose all’uomo.
«Raye,
sono nei casini. La moto è guasta e tra…» guardò
l’orologio appeso al muro «…quindici minuti devo
essere a lavoro. Potresti accompagnarmi, se non sei occupato?»
«Caspita,
Naomi, mi dispiace ma sono nel bel mezzo di una ricerca per un caso.
Direi che non mi è proprio possibile spostarmi da qui».
“Maledizione…”
«A
proposito, il capo mi ha detto che probabilmente dovrò partire
dopodomani per quell’affare di cui ti ho parlato la settimana
scorsa. Ti avrei chiamata più tardi per avvertirti, ma visto
che lo hai fatto prima tu ne approfitto per dirtelo».
«Allora
parti davvero? Capisco».
“E
dire che questa giornata sembrava essere partita bene…”
Diede un’altra
occhiata fugace all’orologio e alla sua moto traditrice.
«Senti,
adesso devo proprio staccare. Sono in ritardo e devo trovare una
soluzione prima che sia davvero troppo tardi. Ne parliamo dopo, ok?»
«D’accordo,
tesoro… e scusami».
«Ma
no, tranquillo. A dopo».
«Ah,
Naomi! Potresti prendere la metropolitana, arriveresti subito».
Giusto, la
metropolitana. Non la prendeva da secoli e al sol pensiero le venne
il mal di testa: era il luogo principe della confusione, del caldo e
della puzza di sudore, ma purtroppo sembrava essere l’unica
soluzione: i tram erano molto più lenti e la confusione non
l’avrebbe evitata di certo. Congedò il suo fidanzato e
senza perdere tempo corse verso la stazione più vicina.
✝
✝ ✝
Beyond si era
svegliato di malumore quel mattino. Sentiva tutto il corpo
indolenzito per lo sforzo che aveva dovuto compiere tre giorni
addietro per ammazzare quella donna e, come se non bastasse, la
stanchezza di una notte insonne appesantiva ancora di più le
sue membra. Di notte, non aveva fatto altro che rigirarsi nel letto
cercando una posizione confortevole, ma c’era talmente tanto
caldo che le lenzuola, a contatto con la pelle sudata, avevano
assunto la consistenza della colla: appiccicosa e intollerabile.
«Beh,
per lo meno non avrò bisogno di mettere troppo trucco per
simulare le occhiaie».
Si stiracchiò
un po’ e aprì la finestra per far circolare l’aria
torrida e poi si mosse per la casa, dettato dalle leggi di una
routine oramai divenuta sacra. Prima tappa: bagno.
«C’è
così caldo che rischia di evaporare prima di arrivare al
cesso».
Tirò lo
sciacquone e si diede una rinfrescata e poi andò fischiettando
verso la sua seconda tappa: la cucina. Dopo aver ingurgitato un
bicchiere di latte con una fetta biscottata con marmellata, andò
verso la sua prossima tappa: il calendario. Si avvicinò al
rettangolo di alluminio appeso al muro sopra il fornello e, preso il
pennarello attaccato ad esso con una calamita, cerchiò il
giorno.
“16
agosto. Tra sei giorni, sarò morto”.
Continuando a
fischiettare – dove aveva sentito quella melodia, era forse la
colonna sonora di quel film della scorsa sera? – entrò
nuovamente in bagno. Su una sedia stavano posti i suoi vestiti, o
meglio i vestiti atti a portare avanti la sua recita. Si infilò
i larghi e sgualciti jeans, seguiti dall’ampia shirt bianca.
“Quel
pazzo indossa una maglia a maniche lunghe pure con questo caldo. Ci
credo che la sua collaboratrice mi guarda sempre storto”.
Finito di vestirsi,
procedette con il trucco. Passò un’abbondante strato di
fondotinta sul volto leggermente abbronzato e poi sfumò varie
polverine – com’è se si chiamano? Ombretti? –
per simulare le occhiaie. Per finire, prese una spazzola dal cassetto
del mobiletto posto sotto il lavandino e cercò di rendere i
suoi capelli il più spettinati possibile. Diede degli ultimi
ritocchi e si guardò ancora allo specchio.
“Perfetto,
pessimo come sempre, signor
detective”.
Indossò le
solite scarpe vecchie e logore e, chiusa la porta di casa alle sue
spalle, si avviò verso la sua fermata per prendere il tram.
«Cara
Misora, sei pronta anche oggi?»
✝
✝ ✝
«Ryuzaki,
direi che possiamo andare».
«Già,
oggi abbiamo fatto grandi passi avanti, Misora».
Era vero: la scena
del crimine si era rivelata interamente un indizio per il luogo del
prossimo omicidio, il quale, giurò Naomi, non si sarebbe mai
consumato. I due si salutarono e si incamminarono verso l’uscita
senza dirsi più nulla. Una volta usciti, però, una
spiacevole sorpresa si parò di fronte a loro. La pioggia
imbattente di un dispettoso temporale estivo, all’improvviso si
era abbattuto sulla città, costringendo i suoi abitanti a
correre come piccole biglie impazzite alla ricerca di un riparo.
«Maledizione,
non vedo l’ora che questa giornata finisca!», disse lei
strofinandosi le braccia scoperte.
«Oh
su, Misora. Per un po’ di pioggia non mi sembra il caso di fare
così».
Naomi gli lanciò
un’occhiataccia, ma lui era troppo impegnato a guardare il
cielo nero per accorgersene.
«Io
non ho l’ombrello. Il tempo di arrivare alla metropolitana e
sarò bagnata dalla testa ai piedi!»
«Neanche
io ho portato l’ombrello, Misora».
«Condoglianze».
«Come?»
«Niente
niente», disse sventolando la mano.
«Ahi
ahi ahi, Misora, mi sembra davvero arrabbiata. Per quanto ne so, un
po’ di pioggia non ha mai ucciso nessuno; però potrebbe
servire a sbollentare i nervi. La saluto».
Cos’era, un
rimprovero? Lui che la rimprovera: questo era il colmo. Cosa avrebbe
dovuto dire lei allora della sua condotta alquanto infantile e
imbarazzante durante un momento serio come quello delle indagini?
Cosa avrebbe dovuto dire lei di tutte le volte che si era messo a
strisciare a terra, o di quando aveva preso dal frigorifero della
vittima un barattolo di marmellata portato da casa – Dio, un
po’ di decenza! - e lo aveva svuotato davanti ai suoi occhi
increduli e disgustati? E come dimenticare tutti i commenti di dubbio
gusto fatti in merito al caso e alle vittime, o di quella volta che
lo aveva beccato a rovistare tra la biancheria intima della
ragazzina, Quarter Queen?
Certo che la
sfacciataggine non gli mancava.
“Se
sono incazzata saranno affari miei, non starò di certo a
raccontarli a te! Ti darei un bel calcio dove dico io solo per
vederti contorcere a terra per un valido motivo”.
«Oh,
giusto, Misora», l’uomo si fermò voltandosi verso
di lei: «La metropolitana è chiusa per controlli sulla
manutenzione fino a domani sera. Non ha letto l’avviso
all’entrata stamattina?»
«Cosa?
Ne sei sicuro?»
«Sicurissimo,
ho letto l’annuncio ieri pomeriggio».
Che dire, non c’era
mai davvero fine al peggio. Sotto la pioggia scrosciante, l’agente
guardò l’individuo che le stava di fronte a pochi metri
con un’espressione indecifrabile. Lui ricambiava con un
sorrisino irritante, come se la situazione della donna lo divertisse:
questo fece montare una rabbia ancor più nera nell’animo
già offuscato di Naomi.
“Naomi,
metti da parte il tuo orgoglio. Anche se la cosa ti brucia da morire,
devi chiederglielo”.
«Senti,
Ryuzaki».
Il detective da
strapazzo aveva compiuto solo pochi passi quando la voce di lei lo
raggiunse. Senza dire niente ritornò sotto la pensilina e la
guardò attendendo che continuasse a parlare.
«Non
è… che potresti darmi un passaggio?»
Si sentì
ridicola. Quella era la seconda persona nella stessa giornata a cui
chiedeva un passaggio; c’era solo una leggera differenza
tra la prima persona e la seconda, fatto sta che il sentirsi
dipendente da qualcuno non le piaceva affatto.
L’uomo
davanti a sè cambiò espressione: dalla totale
indifferenza che lo contraddistingueva passò a una sorpresa
che gli sbarrò gli occhi – più o meno, gli occhi
li aveva perennemente spalancati dopotutto.
«Misora,
io sono col tram. Non si può».
“E
ti pareva. Questi uomini sono tutti uguali: quella buona volta in cui
servirebbero a qualcosa non sono mai disponibili”.
«Prenda
il tram anche lei. La fermata è qui vicino».
«Dove
abito io, la fermata più vicina a casa mia è a due
kilometri di distanza» diede un’occhiata all’orizzonte
«e per come stanno le cose, sembra che il temporale possa solo
peggiorare».
Ryuzaki si guardò
le scarpe per metà infangate e si grattò la guancia.
«Beh…
potrei ospitarla da me fin quando il temporale non cessa. Dopodiché
potrebbe prendere il tram dalla fermata che ho sotto casa. Passano
ogni quarto d’ora».
Naomi prese
seriamente in considerazione la sua proposta. Che poteva fare
dopotutto? Raye non sarebbe tornato a casa prima di sera e a piedi
non sarebbe di certo potuta andare. La cosa non l’allettava per
niente, ma…
«D’accordo
Ryuzaki. Vengo da te».
«Davvero?»
[Note]:
1)
Naomi, durante le indagini del caso del
serial killer di Los Angeles, è fuori servizio per via di un
incidente avvenuto durante una missione che le è valso
l'espulsione momentanea dall'FBI.
2)
È una donna di ventotto anni, terza
vittima di B uccisa il 13 Agosto, nove giorni dopo l'assassinio di
Quarter Queen.
3)
Un' altra denominazione data al caso dai
media per via della presenza delle Wara Nigyo a ogni scena del
crimine. Esse sono delle bamboline di paglia appartenenti alla
tradizione giapponese e avranno un ruolo fondamentale per
l'attuazione del piano di B.
|