Il telefono squilla.

di Synapsis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Temporale ***
Capitolo 2: *** Macchie indesiderate ***



Capitolo 1
*** Temporale ***




Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Tsugumi Obha e NisioIsin; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. La storia e il disegno mi appartengono.





Il telefono squilla.



    1. Temporale



Mobili di scarsa fattura, ma lustri come se fossero stati da poco trattati con la cera. Soprammobili essenziali, ma privi di polvere. Pavimento in cotto scheggiato qua e là, ma comunque lucido. Pareti tinteggiate di un bel rosso acceso senza alcun graffio o macchia di umidità. E per finire, un gradevole odore di pulito aleggiava in tutta l’abitazione. Naomi guardava allibita la hall del suo ospite, non riuscendo a credere a ciò che le si parava di fronte. Mentre l’uomo confabulava di porre la sua borsa sul piccolo appendiabiti vicino alla porta e di asciugare per bene le scarpe sullo zerbino – altrimenti si sporca tutto – la donna continuava a girare la testa a destra e a sinistra, guardando ogni singolo angolo della stanza con sempre maggior sorpresa. I libri stavano ordinatamente su degli scaffali fissati al muro, che oltre a risparmiare spazio in quella piccola casa, servivano anche ad ornarla grazie alle piccole piantine usate a mo’ di sostegno per i volumi. I vetri delle finestre imperlati dalle goccioline di pioggia erano coperti da delle tendine panna che risaltavano con il colore dei muri e anch’esse erano ben pulite e stirate. Un grande tappeto in fibre sintetiche dello stesso colore delle tende stava al centro della stanza e su di esso non c’era traccia di quei fastidiosi pilucchi che solitamente i tappeti attiravano come una calamita: ci avrebbe mangiato su quel coso di quanto era pulito.

«Misora, che fa? Sembra che ha visto un fantasma».

Oh, no, era molto peggio. Tutto si sarebbe aspettata da lui, tranne una casa così ordinata: insomma, il suo aspetto trasandato lasciava trasparire al contrario una personalità piuttosto disordinata, o almeno questa era l’idea che si era fatta di quel barbone in blue jeans. Vedere che le sue supposizioni erano errate la lasciò un po’ interdetta, eppure era quello che stava constatando con i suoi stessi occhi, non c’era nessun trucco. In poche parole, era una di quelle cose che se non le vedi di persona non ci crederesti mai.

«…no, Ryuzaki, nessun fantasma. D’altronde non mi sembra il tipo di casa che uno spirito userebbe come dimora».

«Beh, non è abbastanza grande in effetti».

La casa era veramente piccola, anzi a dirla tutta appariva più un monolocale con giusto altre tre stanzette per il bagno, la cucina e per il letto. Nonostante ciò, era davvero ben tenuta e questo la rendeva un posto confortevole dove vivere.

«Non è questo il punto, Ryuzaki», disse Naomi avanzando verso di lui, «Non vedo nessuna ragnatela o segno di decadimento, al contrario è… a posto. Per questo non mi sembra un esempio di casa infestata» concluse ridendo.

«Lo prendo come un complimento, Misora. Anche se…» si voltò dandole le spalle e posò il mazzo di chiavi su un piattino posto sopra un mobile in compensato, poi continuò: «…qualcosa mi dice che non era quello che ti aspettavi. Sei delusa?»

«Sì, lo ammetto: da te non me lo aspettavo. Ma, per carità, non sono affatto delusa, anzi direi che sono… sollevata».

«Apprezzo la sua sincerità».

Senza aggiungere altro, Ryuzaki si addentrò verso la camera che fungeva sia da salotto che da sala da pranzo, praticamente la stanza principale. Naomi lo seguì a ruota cercando invano di non sporcare a terra: era così zuppa d’acqua che tra un po’ avrebbe sentito dei pesci nuotarle dentro i calzini.

Se vi state chiedendo per quale motivo l’agente dell’FBI Naomi Misora, attualmente in momentaneo congedo, si trovi nella casa del suo nuovo peggior incubo della sua carriera, altrimenti chiamato Rue Ryuzaki 1, il detective privato sbucato dal nulla – anzi, da sotto un letto - bisogna andare indietro di qualche ora.



✝ ✝ ✝



C’era una giornata asfissiante lì a Los Angeles, che in estate si trasformava da “città degli angeli” a “città dei diavoli” per il caldo infernale. Naomi si era svegliata stranamente di buonumore, con il proposito di fare del suo meglio alle indagini. Perfino l’idea di dover incontrare nuovamente quel tipo che sembrava uscito da una clinica di riabilitazione non la toccava più di tanto, avvolta da quell’aura di positività che, pensò, sarebbe stato meglio se le avesse fatto visita più spesso. Dopo un toast e un bicchiere di caffè-latte, scese nel garage di casa sua per prendere la sua fedele moto e avviarsi verso la casa di Backyard Bottomslash2, la terza vittima del caso delle Wara Ningyo3. Nei giorni precedenti, la polizia si era già occupata di esaminare tutta l’abitazione dove si era consumato il delitto, e le risultanti erano sempre le stesse: nessuna impronta digitale, la scena era stata epurata di ogni minima traccia compromettente per il killer e non solo, anche gli angoli più remoti e impensabili della casa erano stati puliti – cosa del tutto superflua, per come la pensava lei. L’unica eccezione, anche stavolta, era stato il sangue, lasciato volutamente proprio dove doveva stare: attorno al cadavere della donna, alla quale erano stati asportati la gamba destra e il braccio sinistro. Mentre aspettava che la saracinesca si sollevasse del tutto, Naomi osservò con orrore le fotografie che le aveva procurato L. Il corpo straziato della donna era stato scattato da diverse angolazioni, pozze di sangue scuro lo attorniavano mettendo in risalto la pelle bluastra. Stando a quanto stava scritto nell’analisi medica, la vittima era stata drogata e poi uccisa – metodo che era stato riscontrato anche nei due omicidi precedenti - e stavolta la donna era morta per emorragia interna, in quanto erano stati trovati dei brutti lividi un po’ su tutto il corpo. Secondo il medico legale, le contusioni erano state praticate prima dell’amputazione delle prossimità, ma l’arma con cui erano state applicate le percosse non era stata rinvenuta. Infine, per quanto riguardava gli arti mancanti, la gamba destra era stata ritrovata all’interno della vasca – anche questa pulita alla perfezione, eccetto per il sangue – invece del braccio sinistro non si sapeva niente: era scomparso, insieme all’assassino.

Perché accanirsi in questo modo con un cadavere? Cosa vorrà dirci stavolta il killer?”.

Pose la busta con le foto e i dati del caso all’interno della sua borsa e accese la luce, cercando di eliminare momentaneamente quelle immagini cruente dalla sua mente. La moto nera stava in fondo al garage coperta da un telo per proteggerla dalla polvere, e con voluttuoso desiderio aspettava che la donna la facesse ruggire sull’asfalto fumante della città. Naomi non la fece aspettare oltre e una volta posizionatosi sulla sella, indossò il casco integrale e infilò la chiave nel quadro della serratura.

«Ma… cosa?»

Continuava a girare la chiave e a premere l’acceleratore, ma il motore non partiva.

«No! Dio, non dirmi che si è rotta!»

Dopo vari tentativi, decise di rinunciarci. Con stizza si tolse il casco e afferrò il cellulare dalla tasta interna dei pantaloni e con crescente impazienza digitò i piccoli tasti.

Avanti… rispondi!”

«Naomi?»

Grazie al cielo!”

Si tolse una ciocca di capelli dagli occhi e con un sospiro rispose all’uomo.

«Raye, sono nei casini. La moto è guasta e tra…» guardò l’orologio appeso al muro «…quindici minuti devo essere a lavoro. Potresti accompagnarmi, se non sei occupato?»

«Caspita, Naomi, mi dispiace ma sono nel bel mezzo di una ricerca per un caso. Direi che non mi è proprio possibile spostarmi da qui».

Maledizione…”

«A proposito, il capo mi ha detto che probabilmente dovrò partire dopodomani per quell’affare di cui ti ho parlato la settimana scorsa. Ti avrei chiamata più tardi per avvertirti, ma visto che lo hai fatto prima tu ne approfitto per dirtelo».

«Allora parti davvero? Capisco».

E dire che questa giornata sembrava essere partita bene…”

Diede un’altra occhiata fugace all’orologio e alla sua moto traditrice.

«Senti, adesso devo proprio staccare. Sono in ritardo e devo trovare una soluzione prima che sia davvero troppo tardi. Ne parliamo dopo, ok?»

«D’accordo, tesoro… e scusami».

«Ma no, tranquillo. A dopo».

«Ah, Naomi! Potresti prendere la metropolitana, arriveresti subito».

Giusto, la metropolitana. Non la prendeva da secoli e al sol pensiero le venne il mal di testa: era il luogo principe della confusione, del caldo e della puzza di sudore, ma purtroppo sembrava essere l’unica soluzione: i tram erano molto più lenti e la confusione non l’avrebbe evitata di certo. Congedò il suo fidanzato e senza perdere tempo corse verso la stazione più vicina.



✝ ✝ ✝



Beyond si era svegliato di malumore quel mattino. Sentiva tutto il corpo indolenzito per lo sforzo che aveva dovuto compiere tre giorni addietro per ammazzare quella donna e, come se non bastasse, la stanchezza di una notte insonne appesantiva ancora di più le sue membra. Di notte, non aveva fatto altro che rigirarsi nel letto cercando una posizione confortevole, ma c’era talmente tanto caldo che le lenzuola, a contatto con la pelle sudata, avevano assunto la consistenza della colla: appiccicosa e intollerabile.

«Beh, per lo meno non avrò bisogno di mettere troppo trucco per simulare le occhiaie».

Si stiracchiò un po’ e aprì la finestra per far circolare l’aria torrida e poi si mosse per la casa, dettato dalle leggi di una routine oramai divenuta sacra. Prima tappa: bagno.

«C’è così caldo che rischia di evaporare prima di arrivare al cesso».

Tirò lo sciacquone e si diede una rinfrescata e poi andò fischiettando verso la sua seconda tappa: la cucina. Dopo aver ingurgitato un bicchiere di latte con una fetta biscottata con marmellata, andò verso la sua prossima tappa: il calendario. Si avvicinò al rettangolo di alluminio appeso al muro sopra il fornello e, preso il pennarello attaccato ad esso con una calamita, cerchiò il giorno.

16 agosto. Tra sei giorni, sarò morto”.

Continuando a fischiettare – dove aveva sentito quella melodia, era forse la colonna sonora di quel film della scorsa sera? – entrò nuovamente in bagno. Su una sedia stavano posti i suoi vestiti, o meglio i vestiti atti a portare avanti la sua recita. Si infilò i larghi e sgualciti jeans, seguiti dall’ampia shirt bianca.

Quel pazzo indossa una maglia a maniche lunghe pure con questo caldo. Ci credo che la sua collaboratrice mi guarda sempre storto”.

Finito di vestirsi, procedette con il trucco. Passò un’abbondante strato di fondotinta sul volto leggermente abbronzato e poi sfumò varie polverine – com’è se si chiamano? Ombretti? – per simulare le occhiaie. Per finire, prese una spazzola dal cassetto del mobiletto posto sotto il lavandino e cercò di rendere i suoi capelli il più spettinati possibile. Diede degli ultimi ritocchi e si guardò ancora allo specchio.

Perfetto, pessimo come sempre, signor detective”.

Indossò le solite scarpe vecchie e logore e, chiusa la porta di casa alle sue spalle, si avviò verso la sua fermata per prendere il tram.

«Cara Misora, sei pronta anche oggi?»



✝ ✝ ✝



«Ryuzaki, direi che possiamo andare».

«Già, oggi abbiamo fatto grandi passi avanti, Misora».

Era vero: la scena del crimine si era rivelata interamente un indizio per il luogo del prossimo omicidio, il quale, giurò Naomi, non si sarebbe mai consumato. I due si salutarono e si incamminarono verso l’uscita senza dirsi più nulla. Una volta usciti, però, una spiacevole sorpresa si parò di fronte a loro. La pioggia imbattente di un dispettoso temporale estivo, all’improvviso si era abbattuto sulla città, costringendo i suoi abitanti a correre come piccole biglie impazzite alla ricerca di un riparo.

«Maledizione, non vedo l’ora che questa giornata finisca!», disse lei strofinandosi le braccia scoperte.

«Oh su, Misora. Per un po’ di pioggia non mi sembra il caso di fare così».

Naomi gli lanciò un’occhiataccia, ma lui era troppo impegnato a guardare il cielo nero per accorgersene.

«Io non ho l’ombrello. Il tempo di arrivare alla metropolitana e sarò bagnata dalla testa ai piedi!»

«Neanche io ho portato l’ombrello, Misora».

«Condoglianze».

«Come?»

«Niente niente», disse sventolando la mano.

«Ahi ahi ahi, Misora, mi sembra davvero arrabbiata. Per quanto ne so, un po’ di pioggia non ha mai ucciso nessuno; però potrebbe servire a sbollentare i nervi. La saluto».

Cos’era, un rimprovero? Lui che la rimprovera: questo era il colmo. Cosa avrebbe dovuto dire lei allora della sua condotta alquanto infantile e imbarazzante durante un momento serio come quello delle indagini? Cosa avrebbe dovuto dire lei di tutte le volte che si era messo a strisciare a terra, o di quando aveva preso dal frigorifero della vittima un barattolo di marmellata portato da casa – Dio, un po’ di decenza! - e lo aveva svuotato davanti ai suoi occhi increduli e disgustati? E come dimenticare tutti i commenti di dubbio gusto fatti in merito al caso e alle vittime, o di quella volta che lo aveva beccato a rovistare tra la biancheria intima della ragazzina, Quarter Queen?

Certo che la sfacciataggine non gli mancava.

Se sono incazzata saranno affari miei, non starò di certo a raccontarli a te! Ti darei un bel calcio dove dico io solo per vederti contorcere a terra per un valido motivo”.

«Oh, giusto, Misora», l’uomo si fermò voltandosi verso di lei: «La metropolitana è chiusa per controlli sulla manutenzione fino a domani sera. Non ha letto l’avviso all’entrata stamattina?»

«Cosa? Ne sei sicuro?»

«Sicurissimo, ho letto l’annuncio ieri pomeriggio».

Che dire, non c’era mai davvero fine al peggio. Sotto la pioggia scrosciante, l’agente guardò l’individuo che le stava di fronte a pochi metri con un’espressione indecifrabile. Lui ricambiava con un sorrisino irritante, come se la situazione della donna lo divertisse: questo fece montare una rabbia ancor più nera nell’animo già offuscato di Naomi.

Naomi, metti da parte il tuo orgoglio. Anche se la cosa ti brucia da morire, devi chiederglielo”.

«Senti, Ryuzaki».

Il detective da strapazzo aveva compiuto solo pochi passi quando la voce di lei lo raggiunse. Senza dire niente ritornò sotto la pensilina e la guardò attendendo che continuasse a parlare.

«Non è… che potresti darmi un passaggio?»

Si sentì ridicola. Quella era la seconda persona nella stessa giornata a cui chiedeva un passaggio; c’era solo una leggera differenza tra la prima persona e la seconda, fatto sta che il sentirsi dipendente da qualcuno non le piaceva affatto.

L’uomo davanti a sè cambiò espressione: dalla totale indifferenza che lo contraddistingueva passò a una sorpresa che gli sbarrò gli occhi – più o meno, gli occhi li aveva perennemente spalancati dopotutto.

«Misora, io sono col tram. Non si può».

E ti pareva. Questi uomini sono tutti uguali: quella buona volta in cui servirebbero a qualcosa non sono mai disponibili”.

«Prenda il tram anche lei. La fermata è qui vicino».

«Dove abito io, la fermata più vicina a casa mia è a due kilometri di distanza» diede un’occhiata all’orizzonte «e per come stanno le cose, sembra che il temporale possa solo peggiorare».

Ryuzaki si guardò le scarpe per metà infangate e si grattò la guancia.

«Beh… potrei ospitarla da me fin quando il temporale non cessa. Dopodiché potrebbe prendere il tram dalla fermata che ho sotto casa. Passano ogni quarto d’ora».

Naomi prese seriamente in considerazione la sua proposta. Che poteva fare dopotutto? Raye non sarebbe tornato a casa prima di sera e a piedi non sarebbe di certo potuta andare. La cosa non l’allettava per niente, ma…

«D’accordo Ryuzaki. Vengo da te».

«Davvero?»







[Note]:

1) Naomi, durante le indagini del caso del serial killer di Los Angeles, è fuori servizio per via di un incidente avvenuto durante una missione che le è valso l'espulsione momentanea dall'FBI.

2) È una donna di ventotto anni, terza vittima di B uccisa il 13 Agosto, nove giorni dopo l'assassinio di Quarter Queen.

3) Un' altra denominazione data al caso dai media per via della presenza delle Wara Nigyo a ogni scena del crimine. Esse sono delle bamboline di paglia appartenenti alla tradizione giapponese e avranno un ruolo fondamentale per l'attuazione del piano di B.



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Capitolo 2
*** Macchie indesiderate ***



Il telefono squilla.

2. Macchie indesiderate



Dopo dieci minuti passati ad aspettare alla fermata, immersi da un silenzio tombale e dalla pioggia torrenziale di quel pazzo giorno d'Agosto, il tram arrivò. Naomi si alzò dalla piccola panchina, sistemandosi la tracolla della sua borsa sulla spalla. Non appena si aprirono le portiere, apparve alla loro visuale il conducente che, con aria stanca e un duro cipiglio a oscurargli il volto, osservava i due detective salire sul mezzo. La sua espressione sembrava la stessa di chi si chiede il motivo per cui dovrebbe fare qualcosa che non lo aggrada, eppure è costretto ad abbassare la testa ed accettarla con rassegnazione; per questo Naomi gli donò un sorriso compassionevole guardando gli occhi grigi e sfuggevoli dell'uomo che però sembrò non gradire quel gesto - o che forse semplicemente ignorò, perché l'ultima cosa di cui aveva bisogno era la pena provata da quella donna. Al contrario, Ryuzaki ignorò la piccola scenetta, scrollandosi di dosso le gocce intrappolate tra i capelli, girando la testa a destra e a sinistra come un cane, e per questo, guadagnandosi un’occhiataccia da una signora seduta sul primo sedile. Nel frattempo, l’autista prese da uno scomparto accanto al suo sedile un punta-carte dalle molle un po' arrugginite e poi si rivolse loro con tono scorbutico.

«Biglietti, prego».

Naomi frugò tra le tasche della sua borsa, cercando il biglietto che aveva comprato qualche minuto prima e lo stesso fece Ryuzaki, scavando nelle ampie tasche dei suoi jeans e tirando fuori un pezzo di carta sgualcito. Dati i biglietti, si avviarono in cerca di un posto a sedere e contro ogni aspettativa, constatarono che il tram era quasi deserto. Si sedettero senza dire una parola, uno di fronte all'altro. Mentre il tram viaggiava tra le vie di una grigia Los Angeles, i pensieri dell'agente iniziarono a prendere vita e a farla allontanare dalla realtà che la circondava; chissà perché, ma i finestrini sembrano essere stati progettati per evitare che i pensieri dei passeggeri si scontrano contro il mondo esterno, che passa attraverso i loro occhi come una vecchia pellicola cinematografica.

... o forse per evitare che si perdano, i pensieri o i passeggeri, chissà”.

Le piaceva guardare l'asfalto ricoperto dallo strato lucido e trasparente dell'acqua e tutte le goccioline che colpivano il vetro lasciando una scia al loro passaggio. Si mise a fissarle quelle goccioline, cercando di immaginare quale sarebbe stato il percorso di ciascuna: sarebbe andata a destra, a sinistra o si sarebbe unita a un'altra goccia per formarne una più grande? Dopo un po', si stancò del suo giochetto, e dandosi della stupida perché era davvero una grande perdita di tempo e non aveva neanche molto senso, si voltò verso il suo compagno di viaggio con l'intenzione di discutere ancora un po' sul caso. Vide le sue gambe strette al petto, come al solito, le braccia mollemente appoggiate ai lati e il suo volto coperto dalla zazzera di capelli occupato a osservare fuori. Senza soffermarsi troppo sulla sua esile figura, decise di rinunciarci prima ancora di aprir bocca e si rigirò anche lei verso il finestrino, in silenzio.

Dopo una ventina di minuti, arrivarono a destinazione. Ryuzaki cercò di scrollarsi di dosso una ragazzetta che tre fermate prima si era seduta accanto a lui e che incautamente si era addormentata posando la testa sul suo braccio. Naomi più volte aveva cercato di reprimere una o anche due, tre risate nel vedere l'espressione prima atterrita, poi infastidita e infine schifata dell'uomo, che con orrore guardava la bava della poveretta macchiargli la maglia bianca; ebbe la sensazione che, se solo avesse potuto, l'avrebbe buttata dalla finestra.

La maglietta, o la ragazza?” si chiese, continuando a guardare divertita un Ryuzaki esasperato, senza rispondere seriamente alla domanda.

Liberatosi, l'uomo con passo più affrettato del solito si allontanò dal sedile e si avviò verso l'uscita, lasciandosi dietro una Naomi che rideva sotto i baffi. La pioggia continuava a cadere e dovettero correre prima di raggiungere la loro ultima meta.

E finalmente staremo all'asciutto”, pensò la donna balzellando tra le pozzanghere.



✝ ✝ ✝



«Bene, Misora, si accomodi pure».

Cosa doveva fare adesso? Non aveva mai ospitato nessuno in vita sua, a parte A nella sua cameretta – se poteva essere contato come esempio. Nei film di solito, che dicono appena qualcuno entra?

«Io vado a prendere qualcosa da bere. Cosa gradisce?»

«Ehm, preferirei andare in bagno prima. Sono fradicia».

Si voltò e la guardò notando le piccole pozzanghere d’acqua che si erano formate ai suoi piedi. Storse il naso.

«Sto notando» con uno sbuffo impercettibile indicò con il braccio teso una porta: «Il bagno è dietro quella porta, alla sua sinistra. Le prendo degli asciugamano. Mi permette?».

L’uomo sorpassò Naomi ed entrò nel bagno, chiudendosi la porta alle spalle. Restò con la schiena appoggiata al legno guardando con aria scocciata davanti a sé.

Che seccatura. Non pensavo che avrebbe accettato la mia proposta. Dovrei imparare a tenere la bocca chiusa”.

Prese degli asciugamano da un armadietto, controllando nel frattempo che non ci fosse nulla fuori posto. Se avesse scoperto qualcosa di sospetto non se lo sarebbe mai perdonato.

Tutto ok”.

«Fatto, entri pure».

Passò la soglia e alzando lo sguardo notò una Naomi infreddolita e irritata. Con quel temporale, come spesso capitava, la temperatura si era abbassata bruscamente e il venticello proveniente dalla finestra aperta soffiava sulla pelle umida dell’agente. I vestiti sgocciolanti stavano sporcando tutto il pavimento e dove era passata la donna, una scia di orme prodotte dalle suole delle sue scarpe sporche screziava le mattonelle lavate con tanta cura appena il giorno prima.

Sì, era davvero una seccatura.

«Vuole dei vestiti asciutti?» domandò col tono più gentile di cui era capace, che lasciava intendere un imperativo improrogabile: i vestiti glieli avrebbe dati anche contro la sua volontà pur di fermare quello scempio.

Naomi si risvegliò dalla trance in cui era piombata e lo guardò smarrita. Si prese qualche secondo più del dovuto per rispondere, cercando di ricordare che cosa aveva appena detto l'uomo di fronte a lei: era ancora sconvolta del modo impeccabile in cui era tenuta la casa.

«Non sarebbe una cattiva idea».

«Ok, vado a prenderle qualcosa. Intanto può andare in bagno, gli asciugamano sono sul lavello».

«Grazie».

Una volta entrata, Naomi prese uno degli asciugamano azzurri che Rue le aveva preparato e iniziò a strofinarlo sulle braccia, sul collo e sul viso. Si guardò allo specchio e cercò di sistemare la frangetta da cui colavano delle gocce che si raccoglievano sull’insenatura delle guance, per poi scivolarle sul mento.

Che seccatura, forse sarebbe stato meglio se avessi preso il tram più vicino a casa mia. Tanto mi sono bagnata ugualmente”.

Il rumore di una nocca che si infrangeva sulla superficie della porta interruppe i suoi pensieri. Andò ad aprire e prese i vestiti che Ryuzaki le stava porgendo.

«Tenga, non ho trovato niente di meglio».

«Va bene così, sempre meglio di questi vestiti zuppi».

«Vado a cambiarmi anche io, mi troverà in cucina».

Detto questo, lasciò la stanza per permettere a Naomi di cambiarsi.

Non vedrà anche lui l'ora di togliersi quella maglietta” pensò con un sorriso.



✝ ✝ ✝



Il bicchiere di vetro rifletteva la luce del lampadario acceso, creando delle macchie di bagliore sulla tovaglia a quadretti. L’indice destro di Naomi picchiettava sul tavolo allo stesso ritmo della pioggia che ancora precipitava sui tetti delle case. Beyond stava asciugando con un canovaccio le posate che aveva usato per prepararsi un ennesimo toast, dando le spalle alla donna. Lei lo osservava con attenzione dall’altra stanza, stringendo di riflesso gli occhi a pari passo con un sospetto che iniziava a stillarsi nella sua mente.

Rue Ryuzaki… un tipo strano, molto strano”.

Il coltello, posato delicatamente nel suo scomparto, cozzò con gli altri posti ordinatamente dentro al cassetto, producendo un lieve tintinnio. Continuò a seguire i suoi movimenti, fino a quando non appese lo strofinaccio a un gancio attaccato al muro accanto alle presine e si girò verso la sua direzione.

«Misora, vuole guardare la TV?».

«Mmh? Cosa guardi di solito tu, Ryuzaki?»

Lui uscì dal cucinino e chiuse la porta. Senza troppi complimenti, si mise a gattonare verso la poltrona dove stava seduta Naomi e si appollaiò sul tappeto accanto a lei. In tutto questo, Naomi lo guardò sconcertata: non si era ancora abituata a tale visione.

«Mi piacciono molto i film d’azione, ma i gialli restano i miei preferiti».

«Anche a me piacciono molto».

«Beh, ovvio, con il lavoro che facciamo».

«Ti riferisci al ruolo di detective… o di assassino?»

Beyond la guardò intensamente: “Che dovrei pensare, Naomi? Possibile che… nah, mi sta solo provocando”.

«Seppur con questo tempaccio e con quello che abbiamo passato, ha ancora voglia di scherzare, vedo», appoggiò la testa al bracciolo della poltrona su cui era seduta lei e continuò: «Comunque mi piacciono anche i fantasy… pensandoci, mi piacciono un po’ tutti i generi».

Prese il telecomando e iniziò a fare zapping in cerca di qualcosa di interessante da guardare, continuando a sentire lo sguardo dell’agente puntato su di sé. In onda non c’era granché: telegiornali, qualche filmetto di bassa categoria, cartoni animati, telenovelas strappalacrime, televendite che ti presentavano prodotti dalle capacità miracolose e l’immancabile pubblicità. Beyond continuava a cambiare canale e col passare del tempo stava iniziando a stancarsi di premere sempre lo stesso bottone. Con aria annoiata si voltò un attimo verso Naomi per poi tornare con gli occhi sullo schermo.

“… Eh?”

La donna lo stava osservando con una mano che le sosteneva il mento. Dalla direzione del suo sguardo sembrava che stesse guardando…

«Misora, che ha da guardare?»

«I tuoi capelli sono più mossi del solito».

...”.

Con la mano cercò di appiattire la massa ribelle, e mantenendo un'aria indifferente tornò a guardare la tele.

«Mi capita sempre con l’umidità».

«Già… anche a me».

✝ ✝ ✝



La lancetta dell’orologio aveva compiuto il suo giro per ben due volte da quando Naomi era dentro quella casa. Alla fine, i due avevano deciso di guardare una commediola, giusto per ammazzare il tempo e per evitare di scervellarsi nel trovare un argomento di discussione. Naomi non era una patita di TV, anzi, per certi versi era contraria a quella scatola magica in grado di fare il lavaggio del cervello, ma in quel momento mai come allora la trovò fantastica; giusto qualche minuto prima della fine del film, un improvviso blackout spense lo schermo e la luce della piccola abat-jour posizionata accanto alla poltrona, facendo piombare l’intera abitazione nel buio e nel silenzio.

E ti pareva, mi sembrava strano che non succedesse qualcos’altro”, pensò la donna.

Beyond restò davanti allo schermo senza muoversi di un millimetro.

E ora che fa?”

Approfittando della situazione, Naomi gettò indietro la testa con un sonoro sbuffo e chiuse gli occhi. Stare più del dovuto con quell’individuo la stancava.

«Anche lei è seccata, vero? Questo blackout non ci voleva, io ero curioso di sapere che fine faceva Jeremy e se riusciva a ritrovare il suo cane».

«Il cane è morto, Ryuzaki. Lo hanno fatto vedere all’inizio del film».

«Ma come? Ma quando? Io… io tifavo per Tony, ho continuato a vedere il film solo per lui!»

Un altro sbuffo.

«Non hai capito per niente il senso del film allora, Ryuzaki».

«Temo di no. Lei lo ha capito, Misora?»

«No, non abbiamo potuto vedere il finale. Il senso sta sempre alla fine».

«Mi trova pienamente d’accordo».

Ryuzaki si alzò e andò verso la centralina del contatore per controllare che la levetta non fosse alzata. Dopo qualche manovra, capì che il blackout non aveva colpito solo lui, ma probabilmente tutto il quartiere, quindi richiuse lo sportello e andò davanti alla finestra. La pioggia era talmente forte che la città sembrava avvolta da un velo opaco, ancorato alle nubi spesse e scure che da ore copriva il cielo di Los Angeles. Non vedeva l’ora che smettesse, la presenza di quella donna lo rendeva nervoso e continuare a recitare stava diventando faticoso. Per non parlare poi di quella robaccia che aveva in faccia che non vedeva l’ora di togliere per poi infilarsi sotto la doccia. Si sentiva sporco, una sensazione molto sgradevole e scomoda. Inoltre, quel pomeriggio avrebbe dovuto rivedere un paio di cosette per il giorno speciale, ma era ovvio che non potesse farlo con quella a casa sua. Si maledisse di nuovo per averla invitata; per ora la cosa importante era che non ficcasse il naso da nessuna parte, doveva tenerla occupata e cercare di non insospettirla. Pensò nuovamente a ciò che era successo qualche minuto prima, quando con agghiacciante consapevolezza capì con quella domanda di essere tenuto sott’occhio per via di qualche dubbio che aveva iniziato a insidiarsi in lei. Sapeva bene che Rue Ryuzaki era un personaggio strambo e grottesco – era un’immagine ben studiata la sua, una caricatura del caro vecchio L – dunque era normale che l’agente nutrisse un minimo di sospetto nei suoi confronti: sarebbe stato strano il contrario. Ma c’era una soglia che non doveva essere superata, un limite di sicurezza che sarebbe valso la conclusione del caso nei migliori dei modi – i suoi, ovviamente. Doveva tenere duro, anche se la tentazione di mandarla via era forte.

No, la insospettirei ulteriormente. Anzi, è meglio tornare da lei”.

Si allontanò dalla finestra e fece dietro front scontrandosi proprio con la sua ospite.

«Misora, vuole farmi prendere un infarto?».

Naomi sollevò le maniche della giacca che le aveva dato e guardò oltre la sua spalla il panorama deprimente che offriva la finestra.

«Ryuzaki, credo che sia meglio che vada. Non voglio approfittare ancora della tua gentilezza».

«Ma fuori piove ancora a dirotto, Misora. Ne è sicura?»

«Sì, lo so, pazienza. Dove sono i miei vestiti?».

«Li ho messi sullo stendino, nella mia stanza».

«Ok, vado a prenderli».

C’erano tante cose che Beyond non sopportava, e tra queste vi erano gli esseri umani. C’erano tante categorie di persone – non che a lui piacesse particolarmente catalogare la gente in schemi fissi e spesso superficiali come si fa per i film, ma a volte faceva comodo pensarla in certi termini – e una di queste erano le persone invadenti e Misora, in quel momento, si stava comportando in tale modo – anche se, forse, involontariamente. Se poi si aggiunge che la persona vittima di tale invadenza è un assassino con qualche segretuccio da tenere nascosto, questo tipo di persone si trasformano repentinamente da individui fastidiosi a individui pericolosi.

«No, Misora, vado io. Non si preoccupi».

«Uh? Ma no, non è il caso: sono dotata di gambe e braccia, grazie a Dio, e nessuno me le ha amputate come è successo a quella poveretta. Posso fare da sola, Ryuzaki».

«Non voglio che entri in quella stanza. È… disordinata».

«Ah, Ryuzaki, dopo quello che ho visto un po’ di disordine te lo lascio passare» disse ridendo e si avvicinò all’unica porta di quella piccola casa che non aveva ancora varcato.

Con il volto teso, B si avvicinò alla porta e afferrò la maniglia prima che lo facesse la donna. Lei lo guardò sorpresa e un altro risolino le scappò dalle labbra.

«Non devi essere in imbarazzo, Ryuzaki. Se vedessi la mia camera ti metteresti le mani ai capelli».

Improvvisamente, lo squillo del telefono trillò in tutta la casa rimbombando tra le pareti sottili dell’appartamento. Beyond e Naomi si voltarono verso l’apparecchio che tremolava sul tavolino accanto alla abat-jour che adesso – notarono – si era accesa nuovamente.

«È tornata la luce» disse l’agente avvicinandosi al televisore anch’esso in funzione e prese il telecomando tra le mani. B decise di approfittare della situazione.

«Risponda lei, io controllo i suoi vestiti».

«Sarebbe più logico fare il contrario Ryuzaki», si voltò con un'aria indecifrabile in viso: «sembra quasi che tu mi voglia nascondere qualcosa».

«Che idee che ha Misora! E va bene entri pure».

Maledetta impicciona”.

Vide la donna scomparire nel buio della stanza e prese la cornetta in mano; chi diavolo poteva essere?

«Pronto?»

«Buonasera signore, siamo della compagnia *** e vorremo presentarle il nostro nuovo prodotto che ultimam...».

«Baah» sbatté la cornetta. Certo che ce n'era gente che aveva tempo da perdere in giro.

«Che disdetta, i vestiti sono ancora bagnati! Disse Naomi uscendo dalla stanza: «Ryuzaki hai davvero una brutta cera, è tutto ok?»

«Mmh?»

La donna lo guardava stranita con i suoi vestiti in mano, mentre Ryuzaki se ne stava impalato, colpito da un pensiero che lo pietrificò sul posto.

«Vado in bagno».

✝ ✝ ✝



Sì, Misora, se vuole può venire da me. Non può mica andarsene a casa a piedi sotto questo temporale, no no no. Se si prende un raffreddore, poi, come farà a lavorare per il caso che le hanno affidato, ehn, no venga a casa mia! Tanto io non ho niente di meglio da fare, mi andava proprio di continuare a fare la figura del coglione invece di rivedere le ultime mosse che mi restano da giocare per vincere questa partita con il signor detective del secolo. Ma sì Misora, nessun disturbo, che vuole che sia rischiare di mandare tutto a puttane perché lei non riesce a starsene ferma in quella poltrona del cazzo a guardare film del cazzo e a non rompere il cazzo a me! Comunque nessun disturbo, davvero”.

Questo pensava Beyond, mentre con stizza stava sistemando il trucco che con la pioggia e l'umidità si era rovinato. Con attenzione tolse le lenti a contatto che stava indossando per metterne un altro paio e poi si diede un'aggiustata ai capelli – il che significava renderli ancora più spettinati – ma ci rinunciò vedendo che stava solo peggiorando la situazione. I suoi capelli mossi stavano facendo capolino sotto forma di riccioli che spuntavano qua e là in quel disastro di capelli che ogni giorno cercava di rendere simili a quelli di L – stando alle informazioni che aveva raccolto al Wammy's da un bambino che lo aveva conosciuto di persona, la dodicesima lettera dell'alfabeto aveva i capelli lisci e neri che sembravano essere stati pettinati con un petardo. Con un tic all'occhio smise di guardare lo specchio – disastro, che disastro – e tolse i residui di trucco che avevano macchiato la superficie lucida del lavandino. Buttò le salviette nel cestino lì accanto e afferrò un cappello con visiera che aveva messo nel cesto della biancheria sporca. Se lo calcò in testa e uscì, riassumendo la solita postura ingobbita e facendo strisciare i piedi sul pavimento.

Trovò Naomi seduta nuovamente sulla poltrona ad ascoltare un talk show. Addosso aveva ancora i vestiti che lui le aveva prestato, quindi dedusse che sarebbe rimasta, e se i numerini che le danzavano sulla testa fossero stati vicini allo zero, pensò che ci avrebbe fatto un pensierino su a strozzarla da dietro con i vestiti che aveva lasciato a terra e che stavano inzuppando il tappeto.

Disastro, disastro, disastro!”

«Oh, Ryuzaki, che ti è successo? Te ne sei andato tutto di fretta in bagno e pensavo che non saresti più uscito di lì!»

«Beh, sa Misora, quando la natura chiama... anche io pensavo che non sarebbe più uscita di lì» disse lui con una faccia imbronciata mentre si massaggiava la pancia per sottolineare il concetto.

«Ah. Capisco» disse la donna distogliendo lo sguardo, non ben sapendo se era peggio la gentaglia che gridava sguaiatamente in quello show o la mancata discrezione di Ryuzaki.

«A proposito, quel cappello?»

«Oh, questo? Niente, serve solo a... confortarmi».

«In che senso?».

«Ho un terribile... mal di testa».

«Ah, certo, adesso è tutto chiaro» disse annuendo lentamente. Era proprio stanca di avere a che fare con i pazzi, le bastavano il suo capo e il suo vicino rompiscatole.

«È vero, se metto un cappello mi passa».

«Ok, Ryuzaki, va bene».

«Lei... lei non mi crede».

«Mi è difficile farlo».

«Dovrebbe provarlo: lo faccia! Quando ha l'emicrania prenda un cappello e lo indossi. Provare per credere».

«Avresti un futuro da venditore ambulante, Ryuzaki. Il look non ti manca».

«Oh, no, la prego. Io non li sopporto proprio, sempre a disturbare».

«Neanche io, Ryuzaki. Per questo dico che saresti un perfetto venditore ambulante».

«Perché riuscirei a farteli piacere?».

«No, perché siete entrambi insopportabili».



✝ ✝ ✝



Tre ore. Tre maledette, lunghissime e noiosissime ore erano già passate e il temporale non mollava. Naomi aveva messo di lato la famosa discrezione che tanto il suo ospite non possedeva e si avviò verso la sua stanza dicendo semplicemente che aveva sonno e che avrebbe dormito un po'- posso usare il tuo letto, no?

No, io credo di stare impazzendo” pensò lui sdraiandosi sul tappeto con le braccia e le gambe aperte, in una posizione che ricordava quella in cui era stata ritrovata Backyard Bottomslash.

Naomi aveva visto anche abbastanza, così chiuse la porta togliendo ai suoi occhi quella visuale inquietante. Dal canto suo, Beyond non aveva neanche la forza di controbattere alla decisione di lei, poiché sentiva che tra un po' avrebbe avuto una crisi di nervi.

Odiava la pioggia, Dio se la odiava.

Osservava con sguardo vitreo il soffitto della stanza, notando delle macchie scure che macchiavano la vernice rossa.

Io, io... sto impazzendo”.

Aveva impiegato un giorno intero per verniciare quella stanza con un'accortezza maniacale, passando il pennello gentilmente su ogni centimetro di stucco con movimenti lenti e precisi per evitare di lasciare spazi bianchi e per cercare di rendere la colorazione il più compatta possibile. Venti percento di acqua, sessanta percento di vernice e trenta percento di fissante, più pennello in crine di ottima qualità, più ventiquattro ore di lavoro, più le sue qualità eccelse, uguale la tinteggiatura perfetta, la tinteggiatura con la t maiuscola per Dio, rovinata, rovinata da quella roba! E come se non bastasse, le macchie si stavano allargando! Facevano pure delle bollicine – porca miseria e porco L, cos'è sto schifo? - e iniziarono a sgocciolare.

Una goccia gli cadde sul naso nello stesso istante in cui un fulmine squarciò il cielo e fece tremare la terra.

Ma al posto del tuono, un urlo agghiacciante proruppe nell'aria.



✝ ✝ ✝



Il letto era cigolante, ma comodo. Le lenzuola erano pulite e profumavano di fresco e Naomi pensò che era proprio quello di cui aveva bisogno. Le sue ossa indolenzite si posarono sul materasso, facendo strappare alla donna un gemito di dolore.

«Sembro una vecchia con l'artrite, ma quella poltrona era davvero scomoda e l'umidità non aiuta».

Si sistemò il lenzuolo su di sé e con un'espressione serena chiuse gli occhi. La mente iniziava a navigare lontano, i suoi sensi ovattati dall'effetto del sonno iniziarono a non funzionare più perfettamente, tanto che l'unico suono che riusciva ancora a sentire era quello della pioggia che picchiettava. Dopo qualche minuto, la donna si trovava tra le braccia di Morfeo, la sua coscienza addormentata la sottraeva dalla realtà assurda che, senza saperlo, stava vivendo. Come avrebbe mai potuto immaginare che il letto su cui era adagiata era quello della persona che aveva ucciso Belive Bridesmaid, Quarter Queen e Backyard Bottomslash e che tra qualche settimana avrebbe catturato? Stava già iniziando a sognare, quando un tuono fortissimo la svegliò bruscamente.

Come tuona! Questo temporale sta durando anche troppo”.

Si sollevò a sedere strofinando gli occhi, seccata per essere stata svegliata così all’improvviso. Si alzò con non poca fatica, avvicinandosi alla borsa che aveva adagiato su una sedia. Iniziò a tastare il fondo della borsa, alla ricerca del suo cellulare. Una volta trovato, aprì lo sportello e la luce azzurrina dell'apparecchio le illuminò il volto: nessuna chiamata persa. Raye non l'aveva richiamata, probabilmente era ancora a lavoro. Andò alla rubrica e cercò il numero del suo ragazzo tra uno sbadiglio e l'altro.

Certo che la ricezione qui fa proprio pena”.

Notò l'unica e solitaria tacca che appariva e scompariva a intermittenza, sperando che le avrebbe permesso di fare la sua chiamata. Un altro fulmine si gettò dal cielo e illuminò per una frazione di secondo la stanza. Naomi si girò colta alla sprovvista alla finestra e un altro tuono ancora più forte ne scosse i vetri.

Questo tempo fa paura”.

Si strinse nelle spalle colta da un brivido e ritornò a maneggiare il suo telefonino.

Nessuna ricezione, merda”.

Ebbene, quell'unica tacca aveva deciso di andarsene definitivamente, abbandonando l'apparecchio ormai inutile e facendo sbattere a Naomi un piede a terra a mo' di protesta. Dopo vani tentativi, lo rimise in borsa e tornò poi vicino al letto. Si sedette buttandosi pesantemente, facendo molleggiare il materasso che sembrò lamentarsi della poca grazia usata dalla donna; prese un profondo respiro e accese la lampadina del comodino. La stanza, dapprima al buio, fu invasa da una fievole luce aranciata e con essa le ombre dei mobili e dei vari oggetti presero le loro postazioni, come dei cani fedeli che seguono sempre il loro padrone.

Che poi, saranno le ombre a seguire la luce, o la luce a seguire le ombre?”

Si sdraiò, sapendo bene che non avrebbe ripreso il sonno così facilmente. Ora che la stanza era visibile, i suoi occhi iniziarono a posarsi sui mobili che la componevano. Una scrivania lucida e sgombra, un armadio in noce scuro non molto grande, ma abbastanza capiente per una persona, una piccola libreria con qualche volume, un comodino con sopra solo quella fonte di luce... una stanza piuttosto anonima, insomma.

Anzi, sembrava priva di personalità.

Se è vero che la propria camera riflette il modo di essere di ciascuno, sembrava allora che Ryuzaki fosse privo di carattere. Era come quelle stanze che trovi nelle vetrine dei negozi: i mobili perfetti e lustri, ben sistemati, nessun oggetto fuori posto... certo quei mobili sembravano più vecchi rispetto a quelli che si possono trovare in un mobilificio, ma ciò che Naomi stava notando non era tanto la storia del mobile in sé - cioè da quanto tempo stava in quella casa a prendere polvere e umidità - ma quel particolare che rendeva quella stanza “la stanza di Ryuzaki”.

Quel particolare non c'era, così come non c'era neanche la polvere. Sembrava quasi che quel mobilio avesse smesso di vivere, sembrava che quella stanza fosse morta. Nel suo geometrico e cristallino ordine, era stato soffocato qualcosa, qualcosa di importante. Forse era una cosa stupida dare tutta questa importanza a una cosa del genere, forse c'era un alone di superstizione nell'attribuire al modo in cui è arredata una camera un tipo di personalità – un po' come fanno quegli astrologi a descrivere la vita di qualcuno mostrando come prova la posizione delle sue stelle – forse la noia stava iniziando a farla delirare e l'unica cosa più sensata che poteva fare per scacciarla era farsi un pisolino. Allungò la mano verso l'interruttore della lampadina con l'intenzione di spegnerla, ma qualcosa attirò la sua attenzione. Sotto la base della lampada, fuoriusciva un triangolino di carta che prima non aveva notato. Incuriosita, la sollevò scoprendo un foglio di carta ripiegato in due. Si morse il labbro: cosa doveva fare? Non era bene ficcare il naso nelle cose che non le appartenevano, se qualcuno lo avesse fatto a casa sua si sarebbe arrabbiata non poco. Magari era una cosa di poco conto, uno scontrino forse dimenticato lì o un biglietto del tram usato. Poi pensò che Ryuzaki non era affatto il tipo di lasciare la roba in giro in quel modo – ancora pensarla in quel modo le faceva uno strano effetto, qualche ora prima la considerazione che aveva di lui era bene diversa, se non del tutto contraria! - quindi doveva essere qualcosa di più “valore” rispetto a un insulso scontrino. E allora la domanda era sempre la stessa: che doveva fare?

No, Naomi, lascia perdere. Torna a dormire e dimentica questa storia”.

Posò la lampada al suo posto e spense la luce.

...”

Accese la luce e prese il pezzo di carta.

Al diavolo, stiamo pur sempre parlando di Ryuzaki. Ho qualche sospetto sul suo conto, lo sto facendo ai fini del caso, solo per il caso”.

Si sistemò il cuscino per poggiare meglio la schiena e afferrò i due lembi del foglio. Lo aprì, un po' indecisa se valesse davvero la pena farsi tutti quei problemi.

...Oh”.

Era sorpresa, doveva ammetterlo. Il misterioso foglietto un po' spiegazzato, era una fotografia che ritraeva una ragazza sorridente col viso pieno di lentiggini. I luminosi capelli ramati erano stretti in una treccia un po' sfatta e le ricadevano su una spalla. Una mano sfocata, spuntava al lato destro della foto: probabilmente stava cercando di metterla davanti all'obiettivo per non permettere di essere fotografata, ma chi aveva scattato la foto era stato più veloce di lei. Sembrava si trovasse in un cortile e sullo sfondo si intravedeva un grande portone in legno intagliato e dalle grandi vetrate colorate. Naomi girò il foglio per vedere se dietro ci fosse scritto qualcosa, magari proprio il nome di quella fanciulla, ma con delusione riscontrò che non vi era nulla. Senza sapere cosa pensare esattamente, ripiegò il foglio e lo rimise dove lo aveva trovato. Era stata invadente, ma almeno adesso poteva dire di aver trovato quel qualcosa che mancava: un piccolo segno che la persona che stava dall'altra parte non era poi così vuota come quella stanza.

Adesso poteva tornare a dormire tranquillamente, pensò.

Ma qualcun altro non la pensava al suo stesso modo.

Non ebbe neanche il tempo di poggiare la testa sul cuscino, che un urlo disumano la fece balzare sul posto.

«RYUZAKI!»







[Note Autrice]:



Sia lodato il Wi-Fi del mio vicino di stanza che non ha messo la password, cosicché io posso collegarmici clandestinamente. Amen.

Dal buco del culo del mondo vi scrivo, fedeli, un posto solitario e triste disperso tra i colli e abitato solo dai lupi – e non lo dico tanto per, la notte li sento pure ululare. Beh, almeno ho l’atmosfera adatta per scrivere questa roba qua, che – lo ammetto – non so neanche io dove andrà a parare esattamente, ma mi sto divertendo da matti a scriverla (ho uno strano concetto di divertimento, io).

E boh, la finisco qui; pregate ancora per quel Wi-Fi - sennò non posso guardarmi i film – e pregate anche per la mia sanità mentale.

Intanto, ringrazio ChocolatedaddictedKeehl per aver lasciato una recensione allo scorso capitolo.



Synapsis













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