Cuore di cera

di Lux in Tenebra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Nelle tenebre. ***
Capitolo 2: *** 2. Un coltello molto affilato. ***



Capitolo 1
*** 1. Nelle tenebre. ***





Cuore di cera
 



ATTENZIONE: fatti e luoghi nominati in questa fiction sono inventati di sana pianta. (Eh… era per avvisare xD.)
 



1. Nelle tenebre.

Le luci dei lampioni illuminavano le lunghe strade di Rosanna, piccola cittadina abbarbicata sulle montagne, lampeggiando a tratti per i cali di corrente che si verificavano abbastanza di frequente nella zona. Le ultime macchine rincasavano nella notte scura, immettendosi sui pacifici vialetti di lastricato che conducevano a svariate case nella zona medio alta della città, posizionate tra la fitta vegetazione lussureggiante, ove i residenti si avvalevano spesso dei titoli della borghesia più illustre, vantando, con enorme pomposità, ricchezze che tutto sommato non possedevano.
La modestia per i cittadini di Rosanna era una qualità rara.
Vi era solo una famiglia che si sarebbe potuta discostare da quella gente priva di un metro di giudizio sensato e poter dichiarare, veramente, di avere una valanga di soldi: quella era la famiglia Dountousse.
Ricchi sfondati e fregiati in un passato remoto del titolo nobiliare di conti, la famiglia Dountousse era nata e vissuta in Francia fino allo scoppio della rivoluzione. Riuscita a fuggire per una soffiata di un borghese che aveva avuto la “fortuna” di fare affari con loro, emigrò poi in America con la metà dei suoi beni nascosti nella stiva della caravella Anne Marié, usata precedentemente per i loro affari commerciali ed in seguito come mezzo per la fuga, riuscendo a salvarsi per miracolo dopo un lungo viaggio in balia dei corsari dell'Atlantico e delle onde burrascose. Infine, dopo lunghi mesi di stenti in mare, toccarono terra e raggiunsero le Americhe, restandovi fino ad oggi, afosa serata di una notte estiva d’agosto dell'anno 2012.
Erano le ore ventitré e cinquantanove minuti, il ticchettio del bisunto e quasi marcio orologio a pendolo scandiva gli ultimi secondi della vita da quindicenne di Mae Dountousse, primogenita della famiglia, rinominata con affetto "faccia di cera" dalla madre Camille.
La giovane fissava con sguardo assente le lancette di mogano segnare la mezzanotte, pronunciando poi un flebile "auguri Mae" a mezza voce appena un rumore tetro risuonò dall’orologio, diffondendosi ad onde nell’aria e rimbalzando sulle spesse pareti di pietra e calcestruzzo.
 
Doon, doon, doon.
 
Sua madre avrebbe tanto voluto farlo aggiustare, poiché ripeteva sempre, come una cantilena infinita, quanto quel suono la inquietasse, facendole rizzare i corti peli biondi sulla schiena.
“Sembra quasi un ammonimento. Come se di qualcuno di noi dovesse morire ora…” diceva la donna a bassa voce, facendosi il segno della croce per pura scaramanzia e pregando la Madonna di scacciare via il male.
Mae però, a differenza della madre, trovava che quel suono fosse meraviglioso:
Non riusciva mai a fare a meno di bloccarsi appena questo giungesse alle sue orecchie. Era una specie di strana mania. Qualsiasi cosa stesse facendo, si fermava, diventando come una statua di marmo e fissava il luogo da cui proveniva il suono con sguardo assente, non muovendo neanche un muscolo.
Conclusi i consueti festeggiamenti per il suo compleanno, prese in mano il libro che aveva in grembo, si alzò di scatto dalla sedia, facendola rovesciare per terra, e si diresse al piano di sopra con passo sostenuto. Proseguì il suo cammino, ignorando completamente il mobile che implorava di venire rialzato da terra, e si infilò in camera sua.
Posò la mano sull’interruttore, trovandolo nonostante non ci fosse una sola luce accesa in casa: conosceva dannatamente bene quel posto, meglio di ogni altra cosa al mondo, e non era raro vederla aggirarsi per i corridoi nel buio della notte, facendo credere ai curiosi che ci fosse un fantasma che infestasse la villa.
La lampadina non si accese né la ragazza provò ad insistere oltre.
Un raggio di luna dai riflessi argentati, filtrando dalla finestra semiaperta, tradì la presenza di qualcosa di liscio e lucente, simile alla superficie di un lungo specchio pulito con una cura maniacale, tenuto in aria all'altezza delle sue ginocchia.
La fanciulla non emise un fiato e né si mosse, mentre un'ombra celata dalle tenebre di un angolo, con uno scatto fulmineo, calò l'oggetto verso il suo cuore ed esclamò queste esatte parole con una voce tagliente come la lama di un rasoio appena affilato:
" Torna a dormire!"
 


°°°°
 


Angolo dell’autrice:
Ogni volta che inizio una nuova storia non so mai cosa dire in questo angolo nascosto a fine pagina. Si potrebbero dire innumerevoli cose però non vorrei superare le righe del testo lol!
Sono consapevole che iniziare una storia su un Jeff IC è un’impresa, ma ognuno deve affrontare le sue sfide e questa è la mia, per ora XD.
Le mie intenzioni attuali sono: non fare una storia da favola, quindi se siete qui per questo non vi conviene restare.
Questa storia punta ad assomigliare ad un incubo, bizzarro a tratti e inquietante in altri.
E mi raccomando, ci sto mettendo tanta cura in questa storia, quindi cercate di leggerla come se steste leggendo un libro su cui avete speso la paghetta e non come una comune fanfic.
Detto questo, per ora il rating si limiterà sull’arancione, ma potrebbe passare a rosso se la storia lo esige.
9)o*u*o)9 e se la storia vi piace… no, basta con sti annunci da attention whore, ho chiuso con quell’atteggiamento U-U.
Passate un giornata all’ombra, che al sole ci si cuoce come le ove (espressione dialettale che significa “uova”).
Il mio pc implora una ventola nuova.

°Lux In Tenebra°

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Capitolo 2
*** 2. Un coltello molto affilato. ***





2. Un coltello molto affilato.
 


L’arma dai riflessi argentei attraversò la distanza che la separava dal suo obbiettivo in pochi attimi, fendendo l’aria con un sibilo leggero, quasi impercettibile, e si conficcò con un suono sordo davanti a se.
Un ghigno, allargato ai lati della bocca da due profondi tagli rossi nella pelle, si dipinse sul volto bianco dell’aggressore che si dilettava con fin troppa gioia in quella che sarebbe stata definita da egli stesso come un’arte macabra.
Però, neanche il rumore di una goccia scarlatta che si posava al suolo si udì nell’aria mentre regnava un silenzio così profondo da parer surreale.
La realizzazione arrivò presto, fulminea come la lama affilata del suo padrone:
Stringendo gli occhi per migliorare la sua già acuta vista notturna, constatò con iniziale sorpresa e poi con crescente rabbia che il suo lungo coltello da macellaio, sebbene fosse stato puntato nella direzione giusta, si era conficcato nella rigida copertina di un vecchio libro alzato dalla ragazza per puro istinto, salvandosi così da una fine orribile, seppur breve, e lo spesso manico nero dell’arma si era bloccato nella copertina dura, impedendogli di proseguire oltre.
Mae, sebbene avesse la punta della lama a pochi centimetri dal suo corpo secco e magrolino, non emise un fiato né una smorfia di terrore. Il suo volto aveva mantenuto la stessa espressione flemmatica per tutto il tempo, come se fosse stato una pallida maschera di cera dalle leggere sfumature gialle smunte. I suoi occhi, dello stesso colore di un cielo ricoperto da rade nuvole in un giornata uggiosa, si contrassero un’unica volta in uno spasmo involontario, esprimendo ciò che il suo corpo non accennava a voler mostrare.
C’era un motivo per cui le era stato affibbiato l’appellativo di “faccia di cera”:
Lei, per quanto ci provasse con tutte le forze che aveva in corpo, non riusciva ad esteriorizzare le sensazioni che aveva racchiuse nel suo cuore, come se quest’ultimo fosse stato ricoperto da uno spesso strato di cera che impediva ad ogni sentimento di uscire fuori e manifestarsi sul suo viso ora inespressivo.
Ad un primo sguardo, ci si sarebbe accorti subito che il suo volto aveva l’espressività di una maschera e non accennava a mostrare emozioni. Era come una pallida figura chiara finemente ricamata, all’interno della quale la sua anima si agitava inquieta, scossa dalle emozioni più vive. Sentiva, eppur non poteva dimostrarlo al mondo, con quel volto bloccato in quella perenne espressione imperturbabile.
Mollò il libro, facendo sbilanciare l’aggressore che si era buttato di peso, e si fiondò con passo veloce al piano di sotto, in salotto.
Afferrò l’attizzatoio che era stato posato nel camino, sperando che bastasse come un’arma per difendersi dalla persona che era entrata nella sua casa senza permesso.
 L’assassino riprese l’equilibrio perso e si gettò all’inseguimento, seccato ma allo stesso tempo divertito dall’inaspettata resistenza della giovane, attraversando a grandi falcate la distanza che li separava mentre il suo ghigno si allargava sempre di più.
Mae alzò l’attizzatoio, ponendolo tra loro due per cercare ti tenerlo a distanza di sicurezza e scrutando con attenzione ogni movimento dell’avversario.
Sebbene fosse sicuramente in vantaggio, anch’egli decise di fare lo stesso, passandosi il coltello tra le mani pronto a buttarsi su di lei alla prima apertura delle sue difese.
Si fissarono per lunghi istanti, creando un fragile equilibro tra preda e cacciatore, prima che uno di loro due facesse la sua mossa e portasse a termine quella breve lotta per la sopravvivenza.
Lui si gettò su di lei, cercando di ingannarla con una finta, ma lei indietreggiò, ritrovandosi di spalle al muro.
Riuscì ad abbassarsi poco prima che la lama le attraversasse la testa, sfiorandole di sguincio parte dei capelli che caddero tranciati sul pavimento a quadri neri e bianchi.
Un’apertura si aprì nella difesa del killer per pochi secondi, permettendo alla ragazza di sfoderare un colpo sul suo fianco e lasciarlo senza fiato.
Quella mossa le permise di sfuggire dalla sua area di azione, rimandando di un altro po’ di tempo l’ora della sua fine.
Corse come mai aveva fatto prima e si precipitò al telefono fisso, alzando la cornetta e provando a comporre il numero della polizia. Purtroppo però quest’ultima non dava alcun segnale, lanciando un allarme muto alla ragazza: il cavo era stato tranciato di netto, mentre alcuni fili di rame ne pendevano fuori.
Mollò l’apparecchio, lasciandolo cadere a terra con un tonfo che riecheggiò lugubre, mentre il cuore le batteva a mille e il tempo sembrava dilatarsi oltre misura.
Decise che la cosa più saggia da fare era darsi alla fuga, anche se sapeva che probabilmente le sue gambe non avrebbero retto il percorso fino al centro abitato più vicino.
Si guardò indietro, scorgendo la figura dell’intruso infondo al corridoio: il volto bianco contratto nella stessa spaventosa espressione, mentre il suo ghigno si era allargato ancor di più a causa dell’insano divertimento che stava provando in quella folle caccia alla giovane preda.
Un senso di gelida realizzazione la pervase: se era riuscito a riprendersi così in fretta da un colpo del genere, probabilmente per lei non c’erano molte possibilità di scampo.
Arrivò al grosso portone d’ingresso e lo spalancò di scatto, facendolo cigolare rumorosamente e slogandosi la fragile spalla nel processo. Si maledisse mentalmente per aver saltato tutte le ore di ginnastica a scuola, probabilmente un corpo più forte le avrebbe offerto una percentuale più alta di possibilità di salvezza in una situazione simile.
Prese a fuggire verso il bosco, inoltrandosi tra le sue misteriose tenebre che nascondevano chissà quali pericoli e corse, corse, corse, avendo paura di guardarsi indietro e di rivedere quel pallido volto che le ricordava così tanto la morte, pronta ad abbattersi su di lei con la sua falce letale.
Man a mano che procedeva la consapevolezza di aver preso la strada giusta spariva e le coltri degli alberi si infittivano sempre di più, disegnando lugubri figure nel cielo notturno senza stelle, in schemi a lei sconosciuti.
Il suono delle sue scarpe risuonava sull’erba, producendo dei piccoli suoni smorti che riecheggiavano nell’oscurità più nera. La zona tecnicamente era un’area protetta abitata da gufi, ma quella notte sembravano come svaniti nel nulla. Non si sentiva né il solito bubolare né il rumore di un battito d’ali e i nidi erano completamente vuoti: che fosse stato uno strano presagio di sventure future? Nessuno lo sapeva per certo, giravano solo delle vaghe voci. Sussurri di presenze inumane. O semplicemente superstizioni del passato.
Mae non poteva comunque pensare a quello, impegnata com’era a cercare di salvarsi la vita, non ci fece nemmeno caso, e continuò finché non si sentì le gambe deboli e fu costretta a fermarsi, aggrappandosi ad un ramo secco di un albero oramai perito da lungo tempo ed ansimando pesantemente, mentre rivoli di sudore le attraversavano il volto.
Rimase aggrappata lì per qualche minuto, non riuscendo più a muoversi mentre i suoi muscoli tremavano per lo sforzo immane a cui li aveva costretti, e pregò che qualcuno la salvasse da quel fato che non voleva e non aveva il coraggio di affrontare.
E lì, attese, mentre i passi di qualcuno si avvicinavano lenti ed inesorabili, riecheggiando a pochi metri da lei.



°°°°
 

Angolo dell’autrice:

Intanto, tanti auguri ad una mia amica che compie gli anni questo mese, le dedico il capitolo! *le salta addosso* *)-(* Auguri! Spero sia di tuo gradimento :)



Ehm… oggi fa caldo °-° e non mi viene in mente altro da dire.
*scoppia un temporale*
Mi rimangio tutto =_=’, ora è tutto bagnato, ci sono lampi e tuoni e il cielo è grigio.
°____________° perché il tempo deve ondeggiare così (coff coff, inquinamento e surriscaldamento globale, coff coff) da un giorno all’altro?
Beh, non mi lamento, almeno si smorza un po’ l’afa. Preferisco il freddo u.u anche se mi vengono spesso i raffreddori.
Comunque, morale del capitolo: fate tanta educazione fisica! *-*



9)*u*)9 ma a me non piace l’educazione fisica! *si spaparanza sul letto* Voglio dormireeeee…
E avere una connessione internet illimitata. Soprattutto la seconda U-U.
Ci risentiamo al prossimo capitolo =) ,
Saluti,

Lux In Tenebra 

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