Messaggi Personali

di MIKYma
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Salotto ***
Capitolo 2: *** 2.Cucina ***
Capitolo 3: *** 3. Bagno ***
Capitolo 4: *** 4. Camera ***
Capitolo 5: *** 5. Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1. Salotto ***


Gothic_92

Messaggi personali.

1.Salotto.

...qui risponde la mia segreteria telefonica. Se volete lasciare un messaggio personale anche se non sono in casa, vi sarà possibile dopo il segnale acustico.

Bip.

< Perché lo hai fatto? >

Così mi svegliai.

Stranamente non dormivo nel mio letto, ma il divano era altrettanto comodo.

Aprì gli occhi fissando per qualche secondo il soffitto candido. Ero stranita.

Cioè, già dire che ero era tanto.

Avevo un vuoto di memoria e mi ero persino svegliata male. Se non fosse stato per quel trillo forse sarei stata ancora nel mondo dei sogni...e magari non mi sarei mai neppure svegliata.

Mi tirai su dal divano aiutandomi con lo schienale in pelle, al contatto rabbrividì.

Tutta la casa era fredda.

Mi guardai intorno con gli occhi piccoli e ancora un po’ appiccicaticci, assonnati.

Appunto, sbadigliai.

Mi grattai la testa accarezzando i dolci riccioli neri fuori posto e appoggiai i piedi sul parquet nero.

No, non sembrava nero perché era buio...era proprio nero.

Ancora una volta mi aiutai a tirare su quel corpo magro e cadaverico che mi ritrovavo e, senza forze, ricaddi indietro.

Solo allora il mio cervello prese a ragionare, a fabbricare almeno un pensiero.

Chi ero?

No, va beh, sapere chi ero veramente si, lo sapevo...ma chi ero per aver meritato di ricevere quel messaggio personale sulla mia segreteria?.

Fissai il telefono scuro, ne vedevo solo i contorni e il bottoncino rosso che segnalava che c’era un messaggio da ascoltare...che io avevo già sentito.

Premetti il bottoncino e attesi, buttandomi contro la spalliera del divano e ascoltando quella voce che mi aveva svegliato.

Perché lo hai fatto?

Corrugai le sopracciglia ed evitai si ringhiare. Al contempo dalla mia bocca sigillata uscì un cupo mormorio simile a quello di una belva.

Odiavo quei messaggi stupidi, non che ne avessi mai ricevuti altri.

Erano delle cose senza senso, senza significato, mi sarebbe tanto venuta voglia di richiamare e di urlare in faccia a quella persona: "Ma fatto cosa?! Razza di rincitrullito, se non mi spieghi non ti posso mica rispondere! Perché lo hai fatto?...ma se non so neppure cos’ho mangiato ieri sera!".

I miei pensieri si bloccarono e io ammutolii.

C’era stato un ieri sera?.

Non ricordavo davvero....e un ieri mattina?.

Balzai in piedi con un attimo di agitazione...ma cosa stava succedendo?

Solo poco dopo capii che avevo perso davvero la memoria...

Ricordavo chi ero, ricordavo il mio viso anche senza specchiarmi, ricordavo di odiare il mio volto pallido e il mio corpo scarno, i miei occhi scurissimi e profondi...

Ma non ricordavo nulla di amici, parenti, locali e feste...

Ricordavo tutto di me stessa, degli altri avevo cancellato ogni ricordo. Sapevo però che c’erano, o almeno c’erano stati...e quella chiamata ne era una prova...qualcuno mi conosceva e mi avrebbe chiamato, fatto vivo...i miei amici avrebbero voluto sapere dov’ero!.

L’ansia si calmò e io mi risedetti sul divano sospirando. Rimasi a fissare il telefono quasi sperando che qualcun altro chiamasse.

Ero sveglia, ma non del tutto, sicura però che non mi sarei ri-addormentata.

Rimasi a giochicchiare con le dita per qualche secondo, poi scossi la testa.

No, nessuno avrebbe chiamato, doveva essere notte fonda.

Eppure, quel messaggio mi pareva così strano...chissà chi mai lo aveva lasciato.

Lo riascoltai un ennesima volta e mi resi conto che era un ragazzo...dalla voce straziata.

Oddio!...cosa avevo fatto?!...cominciavo a preoccuparmi davvero.

Dopo istanti di panico in cui cominciai a girovagare intorno al tavolino del soggiorno, fissando quel telefono morto, sentii il bisogno di pensare a che cosa era potuto accadere da sconvolgere così quella persona.

Doveva essere un mio amico, certo, la voce era abbastanza giovane.

Il mio ragazzo? Avvampai al pensiero e scossi la testa: no, no, non era possibile.

Allora chi cavolo era?! Cosa cavolo era avvenuto?!.

A furia di pensare e non ricordare mi venne mal di testa. Cominciai a sudare freddo e il cuore sembrava voler uscire dal mio corpicino di quindicenne.

Ero in un lago di sudore quando mi ristesi sul divano incerta sul da farsi.

Ero da sola, questo era chiaro, non ricordavo neppure se avevo genitori o meno...ma ricordavo benissimo che la mia casa era formata solo da poche stanze: il salotto, la cucina, la mia camera e un bagno...nessuna camera matrimoniale e quindi niente genitori.

Cominciai a respirare pesantemente...no! un attacco di panico!.

Dovevo calmarmi, di sicuro non era la prima volta che succedeva, non poteva essere la prima volta che perdevo la memoria in questo modo!...forse se aspettavo fino al mattino sarebbe partito un video legato al televisore davanti a me, oltre il tavolino, che mi avrebbe detto chi ero, cosa facevo o cosa avevo combinato!...

...si, si...dovevo stare calma...

Ancora il mio cuore parve fermarsi: ...e se non fosse stato così? E se io non avessi ricordato o qualcuno non mi avrebbe fatto ricordare?...

No, no...dovevo piantarla di pensare...mi faceva solo male.

Purtroppo i miei occhi vagarono per la stanza: oltre al divano e il mobiletto c’era la tv nera, spenta, in stand by, che emetteva un sibilo fastidioso...volevo spegnerla, ma non vedevo il telecomando e non avevo la forza per arrivare sin la.

Ci provai, ma mi resi conto che ogni movimento mi causava dolori incredibili: il sudore mi aveva reso tutt’una con il divano.

Sorrisi per la prima volta in quella notte...chissà se tutte le altre volte era successo così...o forse era la prima volta che mi svegliavo di notte spaventata e timorosa.

Uff...dovevo solo attendere il giorno...che però sembrava non farsi neppure vedere oltre le lunghe tende bianche dietro il televisore.

La mia casa mi pareva persa nel buio. Provai a immaginare di uscire, ma non ricordavo neppure la strada per andare a scuola...

Senza farlo apposta risi...e poi mi bloccai.

Io andavo a scuola.

Anche dirmi quelle parole mi sembravano strane...pensarci mi fece diventare triste e mi racchiusi in me, la testa fra le gambe staccate miracolosamente dalla pelle del divano.

Non capivo nulla di quella notte, ma ero intenzionata ad aspettare e non pensare...o sarei diventata pazza.

Di sicuro il mio comportamento era quello di una persona istintiva, ma quella notte, forse perché mi ero svegliata di scatto subito spaventata, avevo evitato di sentirmi male come prima...non mi piaceva quella sensazione di paura, mista all’irrefrenabile pensiero di essere un nulla, un nessuno.

Perché era ciò che ero in quel momento.

Quasi ironicamente mi dissi che se, invece, mi fossi ritrovata nel panico assoluto, sicurissima di non sapere mai più chi fossi o che cosa avessi fatto prima di quel giorno o notte, sarei riuscita persino ad uccidermi...

Avrei camminato sin alla cucina, avrei preso un bel coltello e mi sarei riseduta sul divano, come immersa in una patina che mi impediva di pensare razionalmente.

Avrei preso il coltello e avrei guardato i miei polsi puri un ultima volta e poi...zack!.

Sorrisi della mia stupidità e scossi la testa: in quel buio ogni mia parola poteva sembrare o diventare realtà.

Mi guardai i polsi come ad assicurarmi che non fosse mai successo.

Nel buio, sul divano, non vidi nulla e quindi passai un polpastrello sulle vene in risalto.

Quello che sentii mi fece fremere e alzare dal divano ad una velocità spaventosa, tanto che la testa mi fece male oscurandomi la vista per qualche secondo.

Mi dissi che non dovevo svenire, prima almeno dovevo controllare.

Mi avvicinai ad un raggio di luna che filtrava dalle tende e illuminava parte del tavolino, lontano dal telefono.

Tremante, posi i miei polsi sulla superficie vetrata e attesi che le immagini giungessero al mio cervello: sulla mia pelle cadaverica, da dove, da sempre (quel sempre immaginario e tanto metaforico) riuscivo ad intravedere ogni vena e quasi il pulsare del sangue, proprio lì, lungo una linea decisa e ritta, i miei polsi erano attraversati da enormi cicatrici.

Erano molte, alcune superficiali, dei semplici taglietti che si stavano rimarginando, altri, come nel passare del tempo, si facevano sempre più profondi e minacciosi...fino a quelli che, visti così, mi parvero fatali.

Erano presso che spaventosi, sentii che stavo impallidendo e pian piano perdevo coscienza tanto mi parvero strani e...impossibili.

Ero una persona che non amava il dolore...cosa mi aveva spinta a farmi questo?...

...ah già, la pazzia.

Cercai di trattenere un urlo e ci riuscì, dalla mia bocca uscì solo un gemito soffocato.

In quell’istante mi rendevo conto di quanto ero stata pazza...e forse lo ero ancora. Ma no, i pazzi non si possono definire tali, non hanno coscienza del loro stato...quindi sospirai e mi strinsi le mani in petto.

Cercai di respirare regolarmente, anche se la paura del gesto mi scendeva ancora lungo la schiena come un brivido. Calma, mi dicevo, devo stare calma. Oramai tutto era passato, ciò che avevo fatto era andato...di certo ora non potevo fare una cosa del genere, il mio corpo rifiutava psicologicamente e fisicamente un danno simile.

Forse perché l’avevo fatto, avevo compiuto quel gesto...

Spalancai gli occhi e fissai il telefono.

Perché lo hai fatto?

...quelle parole forse intendevano dire quello?

Mi riguardai le mani anche se con orrore e mi resi conto di quanto già era avanzato lo stato di cicatrizzazione naturale quasi miracoloso.

Se quel messaggio era davvero arrivato quella notte no, di certo non si riferiva a quello. Di sicuro il mio atto era avvenuto almeno qualche mese prima...

Forse avevo già vissuto quei momenti di panico, forse avevo anche trovato il coltello insanguinato e l’avevo lavato emesso a posto, magari avevo anche cambiato la federa del divano per dimenticare.

Mi alzai da terra e fissai la pelle chiara del sofà, la scandagliai attentamente e, quasi non più sconvolta, mi resi conto dell’enorme alone lasciato dal sangue.

Sarebbe stato inutile persino lavare il divano oramai, era una macchia che non sarebbe mai scomparsa.

Mi rifiutai di sedermi ci ancora e rimasi per un attimo in piedi, barcollante e tremante. Il mio corpo non mi reggeva in piedi, sembravo quasi un’anoressica, ma non lo ero.

Non volevo apparire magra davanti a qualcuno, era che non desideravo mangiare. Ogni volta che avevo davanti del cibo era come se fosse stato un rifiuto interiore.

Io non mangio mi dicevo con tristezza, come ripetendo le parole di qualcun altro.

Alzai la testa testardamente, negli occhi forse un fuoco nuovo.

Se dovevo cambiare, cioè, se dovevo evitare di diventare pazza, avrei dovuto cominciare da qualcosa....mangiare!.

I primi passi furono difficili, quasi quasi andavo all’indietro, ma poi sbuffai contro me stessa e fissai l’enorme tavolo metallico alla sinistra del salotto e oltre, i fornelli scuri e spenti...

...così mi diressi energicamente verso la cucina.

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Note dell'Autrice

Grazie a chi leggerà e a chi commenterà...la storia nons arà molto lunga, ma spero non vi annoierà!

Ciao MIKYma

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Capitolo 2
*** 2.Cucina ***


storia

2. Cucina.

...qui risponde la mia segreteria telefonica. Se volete lasciare un messaggio personale anche se non sono in casa, vi sarà possibile dopo il segnale acustico.

Bip.

Non mi importa quello che hai fatto...torna qui da noi! Immediatamente!

Alzai gli occhi scuri verso il ricevitore del telefono e rimasi a fissare accigliata il bottoncino rosso accendersi.

Un’altra...

I messaggi personali arrivavano quando meno me lo aspettavo, e, come con un sesto senso, sapevo che non sarebbero finiti così facilmente.

Sta volta a parlare era una ragazza, la voce quasi glaciale, ma mi fece pietà.

Chi non sopportavo più era me stessa...cosa diavolo avevo combinato per meritare quelle telefonate?!.

Sbuffai e presi una ciotola, il rumore metallico che fece mi rese più sveglia, non stante i miei occhi facevano fatica a tenersi aperti; il sonno si stava riappropriando di me e forse era meglio bere un caffè.

Rimisi a posto la ciotola e mi voltai verso il fornello. Oramai ogni cosa che trovavo in giro non mi sorprendeva e la caffettiera già posta sul fuoco non era da meno.

Accesi il gas e feci scaldare il caffè. Attesi qualche attimo e poi lo bevvi.

Bleah! Che saporaccio!.

Posi il bicchiere nel lavabo e mi accorsi che ce n’erano già altri due...

Stanca di pensare e oramai vigile mi appoggiai con un gomito sul bancone freddo e immersi il mio viso nell’incavo del braccio.

Oramai non c’era più nulla da fare, ero destinata a non capire. La luce sembrava non voler arrivare e i miei pensieri mi portavano dritti alla pazzia...

...e quindi cercai di non seguirli.

Avevo anche tentato di vedere fuori, di riuscire a sapere da cosa ero circondata, ma la porta di casa non aveva intenzione di aprirsi: non trovavo le chiavi...erano di sicuro in qualche borsa in camera.

Mi ero voltata a guardare il corridoio oltre il salotto che mi mostrava, seppur in penombra, le sagome delle porte delle due stanze rimaste.

Non sapevo perché, come molte altre cose, ma mi inquietava anche solo pensare di avvicinarmi alla mia camera. Non so, mi nasceva dal nulla, un cupo terrore che mi spingeva e non entrare.

Come l’istinto di sopravvivenza che impedisce agli animali di suicidarsi, io me ne stavo ben lontana da quella porta...e da ciò che nascondeva.

Per un attimo lo sguardo mi ricadde sul polso sfregiato e sul mio volto si dipinse un sorriso amaro: oh, beh...su di me l’istinto di sopravvivenza funzionava ben poco.

Mi misi a lavare le tazzine cercando di pensare il meno possibile. L’acqua che scorreva veloce e rumorosa nell’acquaio di ferro mi fece compagnia per quei minuti.

Poi mi ritrovai di nuovo sola in quella casa tranquilla.

Sospirai, oramai mi sentivo serena, a pensarci non capivo come mai mi ero agitata tanto. Il fatto di aver perso la memoria doveva essere un lato di me e qualcuno che mi conosceva doveva si interessarsi!...qualcuno sarebbe arrivato.

Mi misi di nuovo svogliatamente appoggiata al tavolo e fissai ciò che mi stava vicino: il lavabo, i fornelli, la carta assorbente...e il set completo di coltelli.

Rimasi qualche secondo a fissarli con intensità, poi mi alzai e andai proprio lì davanti: ebbi una sensazione di dejavù.

Avevo già vissuto quel momento...ma quando?.

Ebbi l’impressione di saperlo e allungai la mano incerta facendo scivolare i polpastrelli su ogni manico scuro, fino a fermarmi su quello a me più vicino. Lo alzai e rimasi a fissarne la lama nel buio.

Non brillava, era sporco.

Deglutì pesantemente e sentii la terra mancarmi sotto i piedi.

Non ci credo stavo svenendo per un po’ di sangue rappreso!.

Avevo intenzione di rimetterlo a posto e andarmi a sedere di nuovo sul divano, ma fui più forte di me stessa.

Lo presi con due mani, come se fosse fragile, e lo posai sul fondo del lavandino. Aprì l’acqua con getto lento e calmo.

Avevo il fiatone e la vista ogni tanto mi si appannava. Stavo come rivivendo un incubo, ma senza poterlo vedere: sentivo solamente sulla mia pelle ciò che era successo.

Pian piano il coltello incrostato cominciò a essere più pulito, mentre nello scorrere dell’acqua si depositavano cristalli di sangue.

Man mano che il liquido scuro se ne andava, e la lucentezza della lama riappariva, il mio respiro rallentava come il cuore e i miei occhi tornarono a vedere con estrema nitidezza.

Dovevo essere proprio pazza.

Ripresi il coltello e lo sciacquai per benino anche se con molto disgusto. Finalmente pulito, rimisi il coltello al suo posto e solo allora tirai un sospiro di sollievo.

...qui risponde la mia segreteria telefonica. Se volete lasciare un messaggio personale anche se non sono in casa, vi sarà possibile dopo il segnale acustico.

Bip.

Fallo per chi è intorno a te, fallo per me...smetti di essere così chiusa in te! sai benissimo che se continui così...morirai.

Fissai incredula il ricevitore.

Ora che finalmente la pace stava tornando nel mio animo...qualcuno mi diceva che sarei potuta morire?!.

Non osavo di certo avvicinarmi alla cornetta e neppure riascoltare il messaggio. Era da pazzi...ma che cavolo stava succedendo? Che cavolo era successo?.

Il terrore sembrava di nuovo prendere piede.

No, no. Scossi la testa con insistenza e mi accorsi che stavo sudando freddo.

Forse sarebbe stato meglio andare in bagno...

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Note dell'autrice

Grazie per i commenti nel primo capitolo, grazie davvero. Sono rimasta contenta che ci sia così tanta gente a cui piaccia....mi spaice solo k in questo cap le cose non siano tanto chiare, diciamo che è un capitolo di transizione e cm gli altri spiega pian piano il passato, se possiamo così dire, di questa ragazza.

Faerie aggiornato! Mi fa piacere che ti piaccia...oh, spero che anche i prox capitoli possano esprimere chiaramente i sentimenti di questa ragazza. Sinceramente l'ho scritta di getto e non ho avuto voglia ne di correggerla ne di rileggerla...troppo stancante e poi i sentimenti di quando l'ho scritta sono, stranamente incastonati alla perfezione, mi stupisco di me stessa. Continua a seguirmi, grazie!

l_s...sigh...scoppierei a piangere...grazie per aver commentato! grazie mille!!!! ho ancora i lucciconi agli occhi, non me lo sarei aspettata mai! Mi fa piacere che vi piaccia...e da a tutti un certo senso di angoscia...beh, meno male, se vi avesse fatto ridere ci sarei rimasta un po' male ^^. Thank's so much!!! Baci e aggiorna presto anche tu!!! (p.s. che mi sono dimenticata di scrivere...sai k la pagina accaunt è un opera d'arte? è possibile che ogni cosa che fai debba essere una cosa straordinaria?!...uff....mi sento inferiore, tanto inferiore...=[...ma va beh...con gli shinigami non si può competere...eh eh). Ciaoooooooo!!!!!

Gotick_92 Ben tornato!!!!! Dalla francia con furore!!!!!!!!Ben due nuove storie?! All'inizio avrei voluto prenderti per il collo, non so perchè, ma il semplice fatto che appena arrivi metti già 2 fic mi scombussola...è proprio vero che sei ispirato!...poi mi sono calmata...più che altro perchè senza Gotick niente Fili e niente cross over con l_s...sarebbe un peccato...cmq vedi? sei tornato e io ho aggiornato...bah, sarà destino...di che? nn lo so...sparo cazzate...cmq una Tini stranita?....non dire così, non dire così, non dire così!!!!!! appena l'ho letta il mio volto si è spostato verso la cartella in cui ci sta TP e ho pensato all'ultimo capitolo che avevo scritto...ehm...leggermente più avanti...(15)...e ho confrontato...ma sai che hai ragione?...il k non so se deve farmi paura o meno....dai...che nel mio libro stavo per far suicidare la protagonista l'altro giorno...(Se mi sentisse Iryu gioirebbe perchè non la sopporta^^), ma poi ho pensato che senza di lei la storia non può andare avanti e visto che dovevo ancora spiegare un po' di cose mi sono riservata il jolly di ucciderla più avanti. (Tanto Silvia so che stai leggendo qnd ti dico che la cosa è altamente improbabile!!!!!!)...e quindi vedi che di suicidi non ne leggi solo tu...sono curiosa però...k libri sono? io k mi diletto nella lettura di tutti i tipi pox e immaginabili sono curiosa di avere i titioli e i nomi degli autori...se possibile...se puoi farmi questo favore...già volevo leggere un libro intitolato < Sulla pelle > ma ho pochi soldi e il libro è rimasto in libreria...cmq aspetto tuo commento (xk so che ci sei...^^)...CIAOOOO!!!!

 

Ringrazio molto anche TheFallenAngel e isi per aver messo la storia tra i preferiti...grazie!

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Capitolo 3
*** 3. Bagno ***


xxxx

3. Bagno.

Il piccolo corridoietto in cui mi stavo avventurando era buio molto di più del resto della casa.

Mi avvicinai alla porta e appoggiai la mano sul pomello freddo. Ebbi un brivido, ma scossi la testa e mi ricomposi.

Stavo sudando e le mani sporche di sangue cominciavano davvero a darmi fastidio. Non esitai ancora e mi spinsi oltre la porta.

Accesi la luce e, pensando che fosse troppo forte per i miei occhi abituati al buio, li chiusi; ma la luce era fioca, come quella della luna.

Aprì senza problemi gli occhi e rimasi a fissarmi.

Ad una prima occhiata pensai che fossi in un sogno, e quasi ci avrei creduto ancora, ma con l’andare del tempo rimasi stupita e rammaricata.

Ok, così magra, così cadaverica sapevo di esserlo, ma quelle profonde occhiaie? Quel viso scarno e pallido? Gli occhi così spenti? Privi di qualsiasi luce?!.

Sembravo un cadavere, sul serio. Se solo non avessi creduto ancora nella mia carne avrei potuto anche dichiararmi morta davvero, un sogno, un incubo prima di cadere nel sonno profondo.

Feci una smorfia, quello che doveva essere un sorriso, ma privo di ogni felicità e gioia.

Sembravo un essere spento, perso nelle profondità del buio che tentava di rinsavire convinta che ci fosse ancora posto per me nel mondo...che sciocca.

Mi spinsi avanti e chiusi la porta alle mie spalle. Rimanemmo solo io e lo specchio.

Rimasi a scrutami per momenti critici: ogni volta che volgevo lo sguardo sui miei capelli, sulla mia pelle, sulle mie ossa e quegli occhi inespressivi, sentivo di poter urlare da un momento all’altro, di poter dare in escandescenze senza problemi. Sentivo qualcosa di isterico giungere dal centro del mio corpo, qualcosa che saliva, che mi avrebbe fatto ridere come una pazza per poi compiere gesti avventati.

Solo in quel momento mi accorsi che mi odiavo; odiavo tutto di me, i miei capelli crespi senza un senso logico, quel colore nero come la pece, la mia frangetta lisciata che mi cadeva sulle sopracciglia scure, gli occhi castani che correvano lungo il mio corpo riflesso e che mi mostravano per ciò che ero, la mia pelle chiarissima che faceva intravedere le venature e le ossa del mio misero corpo, le mie mani affusolate, con le unghie mangiucchiate e coperte dal sangue, ma su cui si poteva ancora notare lo smalto nero opaco, quel mio modo di vestire tanto semplice, ma fuori moda (non che mi importasse), le mie gambe magre che quasi non mi reggevano in piedi coperte da quegli stupidi jeans scuri macchiati, me ne accorsi solo in quel momento, di sangue rappreso, come anche la maglia scura.

Scossi la testa senza smettere di fissarmi allo specchio.

Mi sembrava incredibile ritrovarmi così, ero sicura di essere un pochino più in carne, più lucida e sorridente, più incline all’ironia che a...quello che avevo ritrovato di me.

Ero diventata uno scheletro, l’ombra di me stessa, un essere privo di vitalità e felicità, senza voglia di fare e vivere, con una tremenda tristezza addosso, forse il risultato di qualcosa di più profondo.

Appoggiai la mano sullo specchio, i miei occhi erano velati, non sembravo in me.

"Se solo quel coltello avesse infilzato la mia carne con più forza...se solo fossi riuscita a trattenere le grida di terrore in quell’attimo di lucidità...".

In un momento aprii gli occhi più di quanto avessi mai fatto e, riascoltando la mia voce nella testa, allontanai velocemente la mano dalla superficie lucida lasciando una strisciata rossastra e i segni dei miei polpastrelli.

Ero spaventata a morte, avevo parlato senza volere, di qualcosa che non capivo.

Forse la mia coscienza, quella vera, si stava risvegliando, forse mi avrebbe aiutato a capire chi ero!.

Il mio cuore si fece per un attimo più insistente e una strana emozione, come di peso sul petto, si fece sentire e io scacciai subito il pensiero.

Io stessa avevo paura di scoprire quello che ero...stata.

Cercai di calmarmi e feci scorrere l’acqua calda dal rubinetto. Cominciavo ad avere freddo in quella casa così buia e gelata, avevo proprio bisogno di scaldarmi le mani.

Rimasi in attesa qualche secondo, gli occhi chiusi cercando di ritrovare un equilibrio mentale, se mai ce ne fosse stato uno.

Misi le mani sotto l’acqua: che bella sensazione, finalmente le mie membra sembravano sciogliersi e io mi potevo rilassare.

Aprii gli occhi cercando di vedermi allo specchio, di poter notare un espressione più rilassata, poi sarei tornata in salotto e lì avrei cercato di riaddormentarmi.

Ma purtroppo i miei piani vennero scombinati facilmente.

Lo specchio davanti a me si era appannato lasciando solo alcuni spazi vuoti: il punto in cui la mia mano aveva lasciato il sangue e le sue impronte, e una scritta, sempre fatta con le mani, al centro dello specchio, come a volersi fare proprio notare.

Cercai di leggerla, ma il vetro cominciava a tornare lucido. Riaprii l’acqua e cercai disperatamente di capire cosa c’era scritto: forse era un indizio sul mio passato, sulla mia memoria persa!.

Attesi con ansia mentre l’aria calda faceva ricomparire il messaggio.

Rimasi di stucco e per un istante mi girai indietro, sperando che la porta del bagno fosse chiusa.

NON ENTRARE IN CAMERA...SE NON VUOI RICORDARE

Di certo quella scritta era opera mia. Potevo essere l’unica a rovinare a me stessa i piani già programmati e a negarmi di fare ciò che in questo momento volevo più ardentemente: ricordare.

Un’ennesima volta mi diedi della sciocca e chiusi il rubinetto: la casa tornò in silenzio.

Rimase a scrutare la scritta che pian piano scompariva, ma in realtà rimaneva fissa nella mia memoria.

Che fare? Entrare o non entrare in quella camera?.

Qualcosa mi diceva di no, forse la stessa sensazione che mi aveva fatto scrivere quel messaggio sullo specchio.

Ma ora cosa ci stavo pensando a fare? Volevo si o no scoprire cosa mi nascondevo da sola?.

Sbuffai e mi voltai verso al porta, la aprii e rimasi immobile, quasi irritata.

Mi davo fastidio da sola.

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Eccomi. Grazie davvero per leggere questa storia, non credevo potesse avere così tanta popolarità...peccato che finirà a breve...

Gotick...no...non dire così...e se poi ti deludo?...no...non dovevi scriverlo!!!!!!!Mi hai fatto venire un ansia....Va beh, dai, continuerò per la mia strada...^^.. .... ....e cos'è ora questa Tinisvamp? Beh, potrebbe anche darsi...Per quanto riguarda la tua ff su Kingdom forse riuscirò a leggerla, forse. dipensde tutto da Ryan (Compagno-scemo- di classe) k mi dovrà portare il fumetto dell'1 e del 2. Quindi si vedrà...Silvia non so se l'ha letto, ma negli ultimi tempi la vedo un po' pigra...non legge neppure TP velocemente come prima!!!! Sigh...che tristezza....per quanto riguarda Air Tic è in fase di...come dire?...ristrutturazione?, va bene così...dovrai pazientare ancora un po' ^^...ma presto o tardi te lo passerò! contaci!!!!!!!!!...p.s. il maledetto di ieri era semplicemente perchè mi hai colto alla sprovvista, scusa...sul momento non ho saputo cosa fare se non rimanere a bocca aperta. Commenterò al più presto...sorry di nuovo ^^''' Ciao

Xara...ta-ta-ra-ta! aggiornato!!!! Anche tu, quando vai avanti? sigh....l'ultimo capitolo era così...così...così è basta. Ok, allora se non si capisce è un bene? beh, questo è un attimino piùà chiro...spero.... eh eh...ciao!!!

Vegeta4ever...ma figurati! se non l'avevi vista pima non ti do colpa...cioè...non ti dovrei dare colpa neppure se l'avessi vista e non l'avessi letta...ma cmq...mi fa piacere che ti piaccia, cercherò di aggiornare al più presto, anche se l'ultimo (o penultimo?) capitolo è un po' incasinato...

l_s...K CIOIA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!K BELLO!!! HAI COMMENTATO!!! (Ma va? =_=''') Sono felice, sono felice, sono felice...ma come mai anche tu con Tinisvamp?...io non capisco...va beh, mi fa piacere che tu stia leggendo anche Telling Paradise, attendo la recensione, quando puoi. (mi pare di averlo già scritto questo....bo...)...cmq dai, nessuno è modesto...esistono solo i falsi modesti che vogliono solo attenzioni...io invece dico soltanto ciò che mi passa per la testa al momento.^^. Spero non sia la stessa cosa....Cmq dai, nessuno è modesto e tutti hanno la loro buona parte di egoismo, io sono la prima visto che odio prestare le mie cose alla gente...mentre egocentrica non lo sono mai stata, sono troppo...come dire?...timida? bah. forse o forse no, non ho ancora trovato la parola esatta per definire queto mio comportamento. Cmq di solito sono solare, ma essendo dello scorpione, sono incredibilmente lunatica. (Ma si nota? anche da quello che scrivo penso...). Quindi un mix micidiale....ah..,.è ho scoperto poco tempo fa che penso troppo.Da una sempolice cazzata mi deprimo, vado giu giu...e divento di un fastidioso tremendo....va beh...ma di solito succede solo con le persone che conosco da una vita...quindi tranquilla, non è ancora giunto il momento di mostrarti questo caratterino moooolto noioso. Però puoi saggiarne un ombra leggendo Messaggi Personali...nata un giorno completamente soleggiato in cui io ero depressa. Bah, che strana....Cmq potremmo andare a braccetto, tu sei egocentrica, io una buona ascoltatrice...mi pare perfetto no? ^^ eh eh...cmq te lo avrè detto Federico, msn non ce l'ho, sto così poco su internet...potremmo trovare un altro modo?...CI SONO!!!! via piccione viaggiatore va bene?...dio, che battuta scema...beh, io non saprei...proverò a pensare....

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Capitolo 4
*** 4. Camera ***


storia

4. Camera

Erano un invito ad entrare tutte quelle scritte senza senso che troneggiavano imperiose e terrorizzanti sulla porta della mia cameretta.

Mi venne quasi da ridere leggendo certe scritte che, sicuro come l’oro, in momenti tranquilli e sereni mi avrebbero fato accapponare la pelle. Ma in quel momento non me ne fregava nulla, tutta la mia vita, tutti i miei ricordi e il motivo della mia disperazione erano dietro quella porta.

Misi la mano sul pomello freddo e, senza attendere oltre, entrai.

Rimasi un attimo meravigliata come se la vedessi per la prima volta. Era come se non entrassi nella mia stanza da secoli, anzi, sentivo quasi nostalgia.

Entrai e chiusi la porta alle mie spalle.

Rimasi a contemplare le figure in semi-ombra per qualche secondo, poi andai a tentoni a scostare le tende della finestra. Come aveva potuto constatare in precedenza ero come al centesimo piano di un grattacielo: intorno a me c’era solo cielo e la luna, quella bianca sfera lucente, l’altra faccia del sole, l’astro che illuminava la mia notte tormentata, come se ne fosse portavoce.

Cominciavo davvero a dare di matto così preferii appoggiare la schiena alla porta finestra e a fissare da quell’angolazione la mia camera.

Non che con quella fioca luce si potesse notare qualcosa in più, sia chiaro, ma i miei occhi oramai abituati al buio mi mostravano qualche dettaglio in più.

Alla mia sinistra c’era un enorme armadio di legno scuro, forse ebano, che correva per tutta la parete; incastonato ad arte c’era il letto basso, sfatto, con una trapunta scura e un cuscino rosso. Davanti a me, vicino alla porta c’era un mobiletto con sopra il telefono e un pupazzo(sentii la testa farmi male), inoltre, alla mia destra, uno scrittoio dello stesso colore dell’armadio, tutto scritto con pennarelli indelebili e inciso con il taglierino ancora fuori dall’astuccio. Sulla scrivania c’erano alcuni libri, forse di scuola, non li riconoscevo, ma al solo guardali mi venne la nausea. Per terra c’erano le mie scarpe scure, alcuni miei piccoli gioielli di bigiotteria, cose da nulla, alcuni fermacapelli e un diario aperto su una pagina bianca.

Sospirai: certo che quella stanza era un porcile! Dovevo proprio mettere a posto.

Mi avvicinai alla scrivania e la misi a posto senza, però, non sentire una certa ansia; ogni volta che toccavo qualcosa mi sentivo accapponare la pelle, i brividi mi percorrevano velocemente, tanto che pensai di avere la febbre.

Ma appena mi fermavo, rimanendo in piedi nella stanza, senza fare nulla, mi sentivo bene; quindi capii che c’era qualcosa che non andava IN quella stanza.

"Forse è solo una mia impressione..." mi dissi a bassa voce con la gola roca, era da troppo che non parlavo.

Misi le scarpe sotto il letto assieme alle altre scarpe sportive e sulla scrivania i gioielli.

Solo allora mi accorsi che una cosa mi era completamente sfuggita, scappata dalla mente. Normalmente mi avrebbe dato davvero fastidio, ma in quel momento, scombussolata a confusa com’ero, non era nulla.

Fissai il letto e inclinai la testa. La coperta, che di solito era rigidamente composta a coprire il letto, era tirata dall’altro lato, portandosi dietro parte del cuscino.

Strano, mi dissi, certe cose le facevo davvero con cura, non ero il tipo da lasciare le cose mezze disfatte: o a posto o del tutto in disordine, non c’erano mezzi termini.

Mettendomi ad un lato del letto cercai di tirare la coperta al proprio posto, di metterla a posto, come avrebbe dovuto essere.

Tirai, ma non ce la feci, stranamente era pesante. Forse qualcosa si era impigliata e mi impediva di alzarla. Mi sporsi dall’altro lato e sbattei più volte le palpebre: non mi era chiaro cosa ci fosse.

Era qualcosa di scuro, qualcosa di...decisamente spaventevole.

Deglutii pesantemente, mentre i miei occhi cercavano di mettere a fuoco la forma davanti a me.

La sentivo, la percepivo, ma non capivo cosa fosse, non capivo il senso di quel brivido lungo la schiena.

Mi sarei dovuta spostare, ecco quello che sapevo. Con calma e inerzia mi spinsi da sola all’indietro rimanendo vacillante, appoggiata al bordo del letto con il fiato mozzato.

Tremando mi alzai, ma dovetti ri-accucciarmi, le gambe non mi reggevano.

Solo dopo qualche secondo mi feci forza e, alzandomi appoggiata al letto, ne percorsi il bordo, fino al lato opposto.

"Oh merda" riuscì soltanto a dire,

fu l’unica cosa che dissi, che mi uscì dalla bocca e l’unica che pensai.

Si, oh merda.

Perché ciò che c’era per terra era qualcosa di impossibile.

Impossibile.

Senza pensarci mi toccai il viso, mi guardai le mani. Avevo paura di essere davvero impazzita, fuori di senno, magari ciò che vedevo era parte di un illusione, un incubo, un qualcosa, qualsiasi cosa dovuto a una malattia, a una giornata stancante, al nervosismo per la scuola.

Perché non era possibile. Non era sinceramente possibile, umanamente possibile, scientificamente impossibile.

Mi vedevo a terra, io stessa, al lato nascosto del letto, la mano pallida e rigida che teneva stretta la coperta. Il viso nascosto dai lunghi capelli scuri, appiccicati alle guance, dove risplendevano gocce d’acqua. Forse lacrime.

Per alcuni istanti mi guardai, è proprio il caso di dirlo, senza pensare a nulla. Senza saper che dire, senza respirare. Senza muovermi. Ero in catalessi, in un certo modo non ragionavo più, non riuscivo a capire.

Dopo qualche minuto riuscii a svegliarmi e ad osservare meglio la figura. E mi parve strano.

Stessa maglia, stessi pantaloni. Stesse calze e stesse unghie imbrattate di sangue.

Sangue?.

Senza riuscire a farne a meno dovetti avvicinarmi al corpo...al mio corpo. lo guardai, impaurita lo toccai. Era gelido. Non riuscivo a capire se ero ancora viva o meno...in quella massa che mi apparteneva.

Scostai pian piano i capelli dal viso, dolcemente pulii le lacrime, seppur ora i miei occhi ne fossero inondati.

Non è stato bello vedere la morte nei miei occhi. Ancora più orribile di vedere quella di altri. Lo sguardo puntato proprio verso di me, come se mi attendessi, come se quella IO sapesse che io sarei arrivata a veder...la?.

Osservo con attenzione il mio viso, niente sangue.

Allora mi colse l’illuminazione, una macabra intuizione che mi avrebbe fatto venire in mente altre immense domande.

Con calma spostai il corpo per vedere la mano destra...il polso destro. Temevo di pensare il giusto.

E infatti fu così. Il sangue veniva dalla mano destra, dal polso lacerato.

Lo vedevo inerte, appoggiato al mio palmo senza vita, freddo, come un blocco di marmo bianco coperto da schizzi rossi. Riuscivo a intuire la leggera diversità del pallore rispetto a quello delle ossa interne messo in risalto tra tendini e muscoli tagliati con poca grazia.

Mi alzai di scatto e indietreggiai.

Qualcosa di appuntito mi passò sotto il piede. Sembrava proprio...

Abbassai gli occhi e la vidi: la lama.

Il coltello che poco prima avevo lavato. Il coltello sporco di sangue.

Cosa ci faceva lì?.

C’era davvero qualcosa che non andava, sapevo benissimo di averlo rimesso a posto!.

Chiusi gli occhi per un secondo e sospirai, forte.

Non è vero.

Perché?.

Non è vero.

Perché?.

Non è vero.

Perché?.

Mi facevo delle domande. Senza senso, senza il minimo criterio. Parole a vanvera che ne mio pensiero acquisivano un significato particolare.

Non è vero: non posso essere io quella per terra.

Perché? Perché tutto questo?.

Non è vero che questa è realtà.

Perché tutto a me?.

Non è vero che sono morta.

Perché dovrei esserlo?.

I miei pensieri andarono avanti, ma un colpo secco mi fece rinsavire.

Guardai la porta. Era ancora chiusa.

Eppure avevo sentito un rumore, ne ero certa. Nella stanza buia nulla si muoveva, ma qualcosa aveva fatto rumore.

Feci un passo verso la porta, ma un altro colpo secco mi fermò: veniva dalla cucina.

Il cuore accelerò.

Chi era? Era il rumore della porta che si apriva e chiudeva?. Chi era? Magari un papà o una mamma? Chi era? E se fosse stato un altro brutto < scherzo >? Chi era?.

Non lo sapevo.

Forse dovevo uscire da lì. Dovevo andare a vedere.

Ero decisa, ma guardai un ultima volta il corpo.

...corpo?...

Ma non c’era. Scomparso, svanito. Come se non ci fosse mai stato. Guardai la stanza: tutto in perfetto ordine, niente sangue, niente aria viziata.

Mi appoggiai al tavolo sentendo il mal di testa farsi insistente, si faceva largo nel cervello...

"Dannazione!".

Spalancai gli occhi.

La porta si era aperta.

E sta volta una persona viva ne varcava la soglia.

E un ennesima volta...ero io.

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Buon giorno e ben tornati a leggere Messaggi personali. ^^.

Mi fa davvero piacere che questa storia abbai così tanti ammiratori. Spero continuiate a seguirmi e a leggere questa storia un po' (tanto) strana. Grazie!!!

Xara...brividi? Oh bene, allora il mio intento è stato raggiunto!!! eh eh, scherzo comunque. Tranquilla, la protagonista entrerà nel panico solo ed esclusivamente quando la sottoscritta comincierà a desiderarlo...per ora stai tranquilla...^^ Ciao!!!

Gotick...chiedo ancora scusa...cmq alla fine ho commentato. ^^. Silvia sta leggendo, mi ha detto oggi tornando a casa da scuola. Quindi aspettati anche che la pazza scatenata ti riempia di commenti strappalacrime su come le dispiace che xxx sia morto (non posso scrivere il noem perchè starà leggendo...forse...) e che so io...quindi preparati. Per quanto riguarda il modo di scrivere...beh...spero di essermi avvicinata almeno un po' al mio modello shinigamesco...anche tu però continua!!!!!! Le poesie le commenterò al più presto...per il resto...ci sentiamo! ciao!!! (p.s. è deciso, i capitoli di Messaggi Personali sono 5 ^^).

l_s...non so oramai se quel O_O sia un riflesso condizionato alla storia o meno...ma è così terribile?...cmq abolito anche il piccione viaggiatore?...peccato, se passavo da Diagon Halley potevo prenderne due...aspetta...aspetta che mi passino i brividi x aver parlato di HP senza motivo...brr...ok, passati! HP mi causa una strana reazione allergica, non so perchè, ma non centra nulla. ^^. Cmq, dopo anche un lungo cunsulto con Iryuchan siamo giunte alla decisione che non c'è motivo di litigare...GAARA E' PUCCIOSISSIMO!!!!! Tradotto: GAARA E' CUCCIOLO!!! Quindi...essendo questo il mio verdetto...sia così,amen! eh eh scherzo. Cmq la penso in questo modo...^^. spero di aver dato la risposta appropriata. Ah!!!!!! Ecco che mi stavo pire dimenticando!!!!!!!!!!!!!!!! Avevi detto che ti piaceva il latino, no? (Purtroppo io non ho questa passione smisurata...mi piace di più biologia >.<)...sappi che ho un cognome latino...un complemento di argomento...De+ablativo plurale..."riguardo alle guerre" non è proprio un bel cognome...^^'''' Ora che tutti lo sanno e se ne fregano...posso salutare! Ciao!!!!!!

Vegeta4ever...finalmente è entrata nella stanza!!! Ti starai dicendo...ma purtroppo la storia non finisce qui...perchè ce ne sono 3?! Bo...spero di riuscire a spiegarlo nel prox capitolo...con caaaaalma ^^. Grazie, ciao!!!!!!!!

Marluxia25 Ecco una nuova arrivata!!!!! Benvenuta! Benuvenuta!!!! Sono felice che ti piaccia, sono felice che tu l'abbia letta!!! ^^ Spero che anche il seguito ti piaccia anche se ho un po' perso la mano...Ed ecco il capitolo principe...spero ti piaccia, ciao!!!!!

P.S. per Iryuchan alias Silvia "Iryu Komachi" Bxxxxxxi TI VEDO!!!!!!!DEVI COMMENTARE PURE QUESTA!!!!!!!MI RACCOMANDO!!!! E AGGIORNA PRESTO!!!!! Baci Miky.

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Capitolo 5
*** 5. Epilogo ***


5. Epilogo

Era strano vedersi da fuori. Come vedere se stessi ad uno specchio che si muove da solo, indipendente da te. Sinceramente la prima volta che quella si mosse mi diede fastidio: era così innaturale vederla spostarsi.

Cercando di nascondermi nell’ombra mi appiattii contro il muro. Lei camminò verso di me, imprecando.

Si piazzò davanti alla scrivania e appoggiò una borsa: ecco che tirava fuori i libri che prima erano lì sopra.

Doveva essere un dejavù perché io tutto quello sentivo di averlo già vissuto. Da un'altra prospettiva...ma l’avevo già vissuto.

Mi guardai: i capelli scombinati e boccolosi, i lineamenti delicati contriti in una smorfia di dolore.

La mia mano tremante cercò un appiglio. Stavo per cadere, stavo pensando troppo senza sapere cosa fare.

Ma cos’era successo? Non ricordavo davvero. Per quanto mi sforzassi...per quanto cercassi di pensare...no, proprio non ricordavo.

Allora cercai di seguirmi. Osservai con gli occhi il mio percorso: quella me attraversò la stanza e aprii le tende. La luce fioca della mezzanotte si era sostituita ad un tramonto di colori chiari e sanguigni.

La vidi avvicinarsi al letto, proprio dove poco prima c’era un'altra me.

"No..." dissi, ma ebbi l’impressione che non mi potesse sentire...ne vedere.

La me presente non diede segni di aver sentito una voce e continuò a fare tutto di propria testa.

Si diresse verso il letto e ci si sedette sopra. La testa fra le mani, il tremore leggero delle labbra rosate. I capelli scuri le caddero in avanti deformando la sua figura. Da dove mi trovavo io la sensazione di una cupa tristezza si distendeva nell’aria.

Mi avvicinai a me, con calma e con dolcezza cercai di sedermi sul letto. Appena appoggiai il mio corpo quella si alzò.

"Dannazione!" disse con voce strozzata.

La fissai come una bambina, pendevo dalle sue labbra senza capire che cosa fosse successo. Volevo sapere, la mia mente avrebbe appreso come una spugna se necessario.

Per ora non c’era molto da ricordare. Qualche imprecazione e qualche < dannazione >.

Quella vagò un po’ per la stanza e poi si fermò, seduta sulla scrivania, una mano a coprire gli occhi, mentre pian piano un gemito salì dalla gola.

La vidi e mi vidi. Sapevo che stavo per scoppiare a piangere, sul serio. Era sempre così, ogni volta che mi sentivo depressa. Quell’idea, quel pensiero che mi faceva stare male cominciava a bloccarsi in testa, come un vecchio disco incantato. Sempre quello, sempre quello. Una pressione psicologica tremenda, con conseguenza disastrose. La gola cominciava a raschiarsi e a seccarsi, pur di deglutire dovevo inspirare rumorosamente e singhiozzare per qualche attimo.

E poi partivo. Cercavo di calmarmi, di dirmi che andava tutto bene, ma le ondate, come la marea, crescevano, si facevano sempre più insistenti, fino a che non mi calmavo, il mio cuore si riappacificava e potevo tornare a pensare normalmente.

Questo in poco più di mezz’ora.

Rimasi a guardarmi mentre i lucciconi agli occhi si presentavano spontanei.

Avevo paura, avevo paura di quella strana atmosfera.

Di solito non piangevo mai, MAI. Ero una persona forte, che non si piegava mai a nulla. Combattevo, non pensavo.

E invece qualcosa di terribile doveva essere successo per ridurmi in quello stato. E avevo paura di scoprire cosa fosse.

All’improvviso quella me smise di fissare nel vuoto, sospirò un ultima volta e poi i suoi occhi cambiarono. Erano diventati feroci.

Era cambiata in un secondo.

Scese dalla scrivania e la vidi aprire l’armadio. Le scarpe scure volarono fuori all’improvviso, andando a sbattere sul parquet nero dove le avevo trovate in precedenza.

Era facile pensare cosa era successo, ero tornata indietro, indietro nel tempo.

Stavo rivivendo qualcosa...ero terribilmente spaventata nel sapere e capire che cosa.

Perché sapevo...ma comunque non capivo.

Pietrificata sul letto la vidi chiudere le ante con un sonoro sbattere. Si voltò verso il letto...verso di me.

Ci guardammo, o meglio io la guardai, mentre lei stava semplicemente fissando la trapunta nera.

Eppure il suo sguardo mi fece paura. Più paura di qualsiasi altra cosa. I suoi occhi emanavano una cattiveria mistica, incomprensibile.

Ma poi vidi quel luccichio e capii. Capii che qualcosa era andato storto, che qualcuno mi aveva ferita.

Forse un affermazione, più veloce di un lampo, ma letale come un veleno.

Seppur mi dimostrassi sempre così serena, sapevo benissimo di essere fragile. Nascondevo dietro un sorriso l’insicurezza che mi avrebbe resa un nonnulla davanti a tutti.

La legge era chiara: Essere forte per sopravvivere in una giungla urbana.

E cominciai a pensare. Amici, parenti...ovunque c’era pericolo, ovunque c’era la paura di poter rimanere delusa dalle affermazioni della gente.

Coloro che credevano di conoscerti e invece alla fine non sanno che sei totalmente differente. E tu scema che credi che loro capiscano e invece...vedono solo il tuo apparire, la copertura del tuo < essere >.

La riguardai e mi avvicinai a lei. Osservava ancora il letto, pensando forse a calmarsi.

"Cos’è successo...dimmelo, ti prego" le chiesi dolcemente. "Ti conosco, so chi sei...per favore, rivelamelo".

Allungai una mano verso di lei, ma quella si voltò dandomi le spalle e sbattendo un pugno contro il muro.

"Dannazione!" la voce ancora incrinata dalle lacrime.

Ritrassi il braccio portandomelo al cuore. Chiusi gli occhi mentre cercavo di concentrarmi, di pensare davvero.

Il suono del telefono mi bloccò. Quella suoneria, quell’omonimo bip mi spaventava troppo.

Sia io che la me stessa davanti a me, rimanemmo immobili. Io fissavo intimorita il telefono scuro sulla scrivania, mentre il duplice suono rimbombava nella mia testa.

Alla fine partì la segreteria telefonica.

...qui risponde la mia segreteria telefonica. Se volete lasciare un messaggio personale anche se non sono in casa, vi sarà possibile dopo il segnale acustico.

Bip.

< So che sei a casa >

La voce di una ragazza. Era dolcissima, era tremendamente preoccupata. Mi vennero i brividi nel sentire quella voce. La reazione mia e della ragazza davanti a me fu a stessa: impallidimmo.

< Rispondi, per favore >

Ancora silenzio. Spostai lo sguardo su di lei, ma non sembrava intenzionata ad avvicinarsi. Osservava il telefono come se volesse bruciarlo con gli occhi, mentre le lacrime continuavano a scendere.

La voce sospirò, si sentì un lieve crepitio, come se stesse per piangere.

< Ti prego...non fare così. So che sei lì, che sei a casa. Ti prego rispondimi... >

Sembrava implorarmi, se sono non avessi visto la sua faccia, mi sarei alzata e avrei risposto io: i suoi occhi, i miei occhi! Piangevo disperatamente...per cosa? Mi sentivo frastornata, non capivo perché davanti ad una persona tanto gentile avrei dovuto piangere...

< Non fare stupidaggini, Tini...non fare cose... >

Silenzio. La voce si era fermata e un lieve singhiozzo si sentì dall’altra parte del ricevitore: stava piangendo. Guardai me stessa, lì rintanata in un angolo: piangevo anche io. Forse avevo capito. La testa cominciava a girare...

< So che è una ferita, Tini! lo so bene! ma tu sei venuta qui anche per questo, no? Sei venuta da noi perché potessi tornare ad una vita felice, no? >

Incertamene voltai lo sguardo. La me nel buio non smise un attimo di tenere la testa chinata; prese una scarpa e la lanciò addosso al telefono senza neppure alzare lo sguardo: lo mancò.

< Ora non fare stupidaggini...comunque stiamo arrivando >

A quelle parole sentii la pressione e l’ansia della me Tini (che nome era?) seduta a terra. Alzò gli occhi e li vidi impauriti. Che avesse timore...di quella ragazza?.

"Non qui" disse lentamente, poi sempre più veloce, come una cantilena.

"Non qui".

Mi alzai da terra e mi massaggiai le tempie.

"Non qui" dicevo velocemente guardandomi intorno, ripetendo quelle stupide due parole.

< Non commettere sciocchezze...noi ti vogliamo bene >

A quelle parole fui presa come da un improvviso singhiozzo e rimansi immobile alla ricerca di un aggrappo: il cuore vacillava. Perché delle parole tanto gentili dovevano farmi sentire male? Non ero in grado di capire, come sempre d’altronde.

Mi guardai alla ricerca di una spiegazione. La sua mano si era bloccata davanti al suo viso, la maschera cadde, del tutto, definitivamente.

Un sorriso amaro.

"Io non voglio essere amata da voi...volevo solo essere amata da coloro che mi hanno voluta...non abbandonata così, al caso, come se non appartenessi a nessuno".

Si tolse la mano da davanti agli occhi. Ci guardammo.

Sta volta vedevo che lei sapeva.

"Giusto, Tini?".

Non risposi, davanti a me solo buio.

Solo all’ora mi fu concesso di ricordare.

 

Flash....Back.

Non era semplice vivere in una grande metropoli, figuriamoci in una stretta città di provincia. Le pressioni, gli sguardi della gente che credeva di sapere tutto e che in realtà non ne sapeva esattamente nulla, ti opprimevano e ti uccidevano a poco a poco, avvelenandoti con lo sguardo.

Questo era quello che diceva sempre mamma quando da piccola uscivamo a fare una passeggiata.

Ricordo ancora il profumo del ciliegio vicino a casa e la triste malinconia che mi prendeva quando la mamma parlava in quel modo. Ero piccola, non capivo, ma nel profondo avevo l’impressione di sapere.

Quando la guardavo il suo sguardo mi diceva tutto e gli occhi mi si riempivano di lacrime; sapevo che prima o poi ci avrebbe lasciati.

Di notte, stesa sul letto, pensavo a quando papà mi avrebbe chiamato da lui e mi avrebbe stretto tra le braccia singhiozzando: non ci sarebbero state parole, avrei capito.

Quelle notti le passavo a piangere, ma all’albeggiare vedevo il sole e sorridevo: avrei ritrovato la mamma ovunque fosse andata, con chiunque fosse stata.

Non credevo nella Morte, non sapevo neppure che gli esseri umani potessero morire.

Fu per questo che un anno dopo, mentre stavo tornando a casa da scuola, la mia prima elementare, mi ritrovai spiazzata nel vedere mio padre piangere disperatamente...accanto al corpo addormentato di mia madre.

"Papà, perché piangi?" chiesi abbassando la voce, temevo che mamma potesse svegliarsi.

Mio padre mi guardò, stanco. Non ebbe la possibilità di rispondermi che il mio sguardo vagò per la stanza, sui muri, sul soffitto.

"Papà...perchè qui è tutto rosso?" feci un passo indietro, facendo cadere la mia cartelletta.

"Papà...perchè c’è questa puzza?...papà...perchè la mamma è sporca di pittura?...papà...perchè...lo sei...anche tu?".

Il rosso che tanto mi piaceva ora dipingeva la scena di un crimine.

Un crimine troppo pesante perché io potessi capire fino in fondo quelle ragioni.

Rimasi immobile quando mio padre si alzò da terra, da di fianco al letto, e mi superò mettendosi in testa il suo stupidissimo berretto nero.

"Addio cara" quelle parole, ricordo, non furono rivolte a me.

Passarono anni, sballottata da una casa all’altra, tra parenti mai visti e persone dallo sguardo caritatevole.

Ero cresciuta, ne sapevo molto e allo stesso tempo molto poco di quello che era successo quel giorno. Non ricordavo molto bene, ero svenuta dopo poco e la polizia mi aveva portato da una zia.

"Tini!" la voce stridula di una ragazza mi avvisò, all’età di quattordici anni, che ero entrata in una nuova casa.

"Piacere" dissi senza forza. Oramai era tutto perduto.

La ragazza portava lunghi capelli biondi e i suoi occhi erano di un azzurro intenso. Il suo nome era Eva.

Non poteva esistere altra persona più diversa da me. Mi sembrava di avere il mio negativo davanti agli occhi; era tremendamente fastidioso.

Quel primo giorno, un giorno di neve, di fine dicembre, cambiò la sorte della mia vita.

Non era passato molto da quel momento, passai i miei più bei due anni da quella maledetta primavera, quando la mamma era morta. Avevo conosciuto un mucchio di persone e tutte le altre ragazze della scuola che oramai frequentavo.

Tutti mi consideravano una brava ragazza, ero tornata anche a sorridere...quando mio padre tornò.

L’avevano liberato dal carcere. Aveva tentato di scappare quel giorno, ma lo avevano beccato subito. Non sapevo che se ne sarebbe uscito così presto.

"Ciao, Tini" mi disse con voce profonda e grave.

Eravamo davanti a casa, una sera prima di capodanno. Non me lo sarei mai aspettata.

Mi feci indietro, Eva si lanciò contro di lui accusandolo di molte cose. Non ricordo molto di quel momento, ma so che dalla sua bocca uscirono così tanti insulti che mi chiesi se dopo quelle parole sarebbe stata ancora Eva, la ragazza calma e pacata di un tempo.

Mio padre sembrò insensibile, forse per lui gli insulti di una ragazzina erano nulla in confronto a quello che aveva subito in carcere.

Ad un certo punto, senza neppure accorgermene, feci da parte Eva e guardai fisso mio padre.

"Cosa c’è?" la mia voce tremava.

Lui abbassò gli occhi come sconfitto.

"Caterine" il nome della mamma "Avrebbe voluto che tu sapessi".

Mi feci indietro come schifata, quelle parole erano da film tragico.

"Avrebbe voluto che tu, una volta grande avessi saputo che cosa aveva. Eri troppo piccolina perché te lo spiegassi prima".

"Ho ancora sedici anni" gli dissi io a brucia pelo.

Papà mormorò poche parole annuendo.

"Non mi resta ancora molto".

Mi zittì sospirando.

"Caterine avrebbe voluto che tu capissi in che situazione si trovava. Stava diventando isterica, dormiva poche ore a notte, i suoi occhi sembravano quasi uscire dalle orbite quando era in preda alle risa. Quando non era depressa cercava di farmi capire quanto fossi importante per lei e che non voleva rovinarti la vita. Oramai si sentiva un niente. Da quando...da quando fece quell’incidente le sembrò di non poter più vivere".

Alzò gli occhi nei miei e mi accorsi che la spiegazione era sempre stata a portata di mano.

La mamma era sempre stata depressa per quell’incedente. L’incedente che aveva causato pochi mesi prima dei miei tre anni in cui morì un’intera famiglia. Si era sempre sentita tremendamente in colpa e la voce per cui lei non fosse nel pieno delle sue capacità quella notte si era diffusa in tutto la città.

Ecco cosa significavano quelle parole, le frasi sussurrate al mio orecchio e da me mai interpretate perché così lontane dalla mia logica.

Aveva già deciso da tempo come fare per liberarsi da quel peso, si era confidata con me, una piccola bambina che faceva finta di capire, ma allontanava inconsciamente da se la realtà.

"Non ho potuto far altro che..." papà boccheggiò. "C-che assecondarla...io volevo che lei fosse felice...e così...così forse..." alzò gli occhi di nuovo verso di me, occhi pieni di lacrime. "Dovevi vederla. Sorrideva mentre i suoi occhi si socchiudevano. Il tuo fu l’ultimo nome che sussurrò".

In quel momento mi accorsi di piangere. Dentro il mio cuore sapevo di cosa papà stesse parlando, di come la mamma si fosse sentita: avevo vissuto tutto quello sulla mia pelle, da dieci anni.

Mi ritrassi avvicinandomi ad Eva.

Ciò che mio padre aveva fatto, così astrattamente mi mise il cuore in pace...ma poi, al solo pensare la pelle candida e vellutata di mia madre sfiorata, infilzata, massacrata da una lama lucente, le mie gambe cedettero e la mia mente cercò un appoggiò: lo sguardo di mio padre.

"E ora cosa dovrei fare?...non posso comunque perdonarti...hai portato via la cosa più preziosa che avevo...". Dissi cercando di rivenire.

Papà sembrò arrabbiarsi.

"IO HO SALVATO TUA MADRE DALLA PAZZIA!".

Sia io che Eva lo guardammo.

"Cosa credi? Che mi sia divertito a fare quel che ho fatto? Che ho passato dei bei momenti pensando di aver macchiato le mie mani di un tale peccato?!" si fermò infervorato. "Se solo tu fossi stata più grande...forse sarebbe stoccato a te farlo! E invece...invece eri così piccola che non capivi nulla! e non capisci tutt’ora!" mi guardò come schifato. "La gente alleva i figli per essere ricambiato in questo modo...".

"Ma io..." dissi cercando di formulare delle frasi di senso compiuto, ma sembrava fin troppo difficile. "...una famiglia felice..." dissi soltanto reclamando il mio sogno più segreto.

Mio padre mi guardò tirando indietro le spalle. "Saremmo stati una famiglia felice se tu non ci fossi stata, se non ci fosse stata una bambina da nutrire, di cui preoccuparsi...se non ci fossi stata avrei saputo come curarla, ma lei...lei ripeteva che eri più importante tu! E io non potevo andare contro il suo volere...."

Prese la sua borsa e si allontanò.

"Non cercarmi!" urlò, ma fu solo un sussurro in quella sera. Sembrò quasi una minaccia, ma io ed Eva non avemmo tempo per pensarci. Rimasi immobile nella fredda serata invernale.

Ricordo che quando il giorno dopo mi svegliai era come se avessi avuto addosso un peso indicibile. Mi ero guardata allo specchio e mi ero accorta degli occhi estremamente gonfi: avevo pianto, e anche tutta la notte.

Eva comparì sulla porta con lo stesso sguardo di quando l’aveva lasciata la sera prima: dispiaciuta e sconfitta.

"Se ti va..." chiese titubante. "Se ti va di scendere per la colazione...poi potremmo andare a fare compere per...per passare un po’ di tempo".

La guardai addolcita: sapevo cosa voleva dire per lei; nella sua testa quella era la cosa più giusta da fare in un momento del genere. Accettai di buon grado: avrei fatto di tutto per allontanarmi da lì.

Camminando per strada mi resi conto di non averla mai vista con gli occhi di tutti gli altri: camminavo sempre a testa china accorgendomi di rado di quante cose ci fossero da vedere.

Alzando gli occhi vidi tante persone conosciute con splendidi sorrisi; incontrammo anche i nostri compagni di classe, tra cui Rika, la migliore amica di Eva, e molti altri.

Passammo una giornata stupenda, mi sembrava di vivere fuori dalla mia vita. Fuori da me stessa.

Ma non si può.

È quasi illegale;

ingiusto per gli altri;

troppo felice...

Tutto torna.

Quando le persone sono maledette...

...sono maledette, no?

"Guardate là!" uno sparo o meglio, una voce.

Alzai gli occhi sorridendo. Mi ero staccata un attimo dal gruppo, la voce mi giunse un po’ lontana, ma chiara.

Guardate là...se sono non l’avesse detto...

Lo vidi precipitale, come se fosse un uccello ferito. Lo vidi oscurare il sole per un attimo, passando come un ombra quasi sopra di me. Ebbi un fremito, poi un sussulto...e infine rimasi ad occhi sbarrati fissandolo sconcertata.

Cadeva, papà cadeva dall’alto.

Come un angelo, o meglio come Lucifero. Scaraventato al suolo da Dio per aver peccato di hubris. No, non era una colpa tanto grave quella di mio padre, ma lo stesso ciò che gli accadde era ciò che meritava. Era quello che pensai mentre lo guardavo inorridita.

E poi cadde. Ci doveva essere una fine. Una possibile fine, o meglio, un inevitabile fine.

Splat.

Vero, fece proprio splat. Come lo sentii non lo so...immersa com’ero tra tutto il rumore.

Ricordo di non aver chiuso gli occhi, ricordo di aver assistito secondo per secondo a quella disgrazia. E non riuscivo più a chiuderli, ero rimasta bloccata.

Le persone giunsero come mosche ad osservare a e schifarsi. Che senso aveva allora guardare? Solo per il gusto di dire "Io c’ero!"?.

Giunsero anche i miei compagni...quei ragazzi che mi avevano accompagnato per un percorso di vita; pensai così, ero già prossima alla fine.

"Non guardare! Non guardare!" mi disse Eva. Riconobbi la sua voce strozzata.

Non guardare. Cosa c’era oramai da guardare? Un corpo vuoto?.

"Tini" la sua voce e fu silenzio. "Ricordati di tua madre e di me".

Quello proprio non doveva dirlo. Tutto, ma non quello. Accanto ai pensieri che mi stavano entrando in testa quello proprio non doveva andare.

Fu in quell’esatto momento che mollai la presa. Scalando la montagna della vita io persi la presa e senza una protezione caddi verso il vuoto.

Eva mi strinse a se, ma non sentivo calore. Le sue parole non avevano senso, la sua immagine non aveva più contorni. Piangevo? No, pensavo e vedevo altro.

L’immagine di mia madre stesa sul letto, il suo corpo esanime straziato dalle coltellate. Mio padre e il sangue sull’asfalto.

Ed io.

Era impossibile non associarmi a quella fine, legata a loro in vita e in morte. Oramai non aveva più senso quella cosa...non era possibile neppure chiamarla vita.

Scossi la testa per un lieve istante e poi nascosi il volto sotto i capelli scuri e ricci. No, ero arrivata tardi a capire anche quella volta.

La mia vita era finita molto prima, segnata con il sangue di mia madre, marchiata a fuoco da quel dolore che non mi aveva dato più scampo.

No, non aveva paura. No, non mi sentivo neppure nera. Ero soltanto stanca.

Stanca di tutto, che nulla andasse bene.

In quel momento rinunciai e cambiai strada. Mi allontanai da Eva, fisicamente e psicologicamente.

La vidi osservarmi spaventata, sapevo che aveva capito. Sbarrò gli occhi e nello stesso momento impallidì.

Sorrisi leggermente, come facevo quando volevo tranquillizzarla, ma quella volta era diverso: avevo preso una decisione così grave che per lei era troppo difficile sostenerla. Era ancora troppo ingenua e giovane per capire e io oramai mi sentivo così vecchia.

La folla ci separò e io potei cominciare a camminare verso chissà dove. Camminare e poi correre, seppur mi sentissi così stanca.

Pian piano che camminavo la lucidità tornava, il batticuore cresceva. Cominciavo a chiedermi perché, il perché di tutto quello.

Piansi, ma le lacrime presto finirono.

Mi ritrovai dentro casa.

La casa buia e silenziosa. Quella che utilizzavo per me stessa, che i miei parenti mi avevano lasciato per i miei momenti di sconforto, quando la solitudine reclamava il mio corpo e il silenzio si impadroniva di me.

Quella casa così buia, dal parquet nero che voi conoscete così bene...forse quanto me.

Sbattei la porta d’entrata e rimasi ferma qualche secondo, solo per respirare.

Attraversai la sala e la cucina, percorsi il corridoio e arrivai in camera...

"Ora, concludiamoci"

***

 

Dopo quell’affermazione vidi il buio. Era come se le mie palpebre fossero calate a celare la scena; come un sipario che scende dopo l’ultimo atto di un’opera...ma io sapevo che non era così, che non era ancora finita.

Lottai contro me stessa per vedere, ma non ce la feci: sentivo soltanto dei rumori, senza riuscire a capire. Poi cominciai a tranquillizzarmi ed ad ascoltare.

I passi di me stessa che poggiavano veloci sul pavimento, il loro allontanarsi...verso la cucina.

Ebbi un brivido e cercai di alzarmi: non ce la feci.

E poi sentii un rumore metallico e un singhiozzo. Capivo, capivo perfettamente quello che stava succedendo e senza accorgermene presi a piangere anche io, sentivo le lacrime che mi lenivano il volto mentre accompagnavano i gemiti provenienti dall’altra stanza.

Infine un urlo, sobbalzai.

Un urlo straziante, da lacerare il cuore. Le lacrime si arrestarono un momento, mentre il mio cuore accelerava. Potevo sentirlo benissimo rimbombarmi nelle orecchie.

Mi sentivo stanca, il polso sfregiato cominciava a farmi male, sempre più male, ma non riuscivo a capire; il cuore accelerava sempre di più fino a che non cominciò a rallentare.

Lentamente, ma rallentò.

Credevo potesse essere un bene, perché mi stavo calmando, ma quando mi accorsi che il cuore non smetteva di rallentare capii che ero prossima alla fine.

Le mie orecchie percepirono uno struscio. Sicuramente ero io, strisciante nel corridoio e poi in camera. La sentii stramazzare al suolo oramai priva di forze; si aggrappò al piumone e lo trascinò con se.

Il cuore cominciò a fermarsi, mentre cercavo di respirare più forte. Non c’era scampo, non potevo fare nulla.

La morte giungeva, sentivo freddo, il buio oramai non sembrava più un problema.

Un ultimo battito ovattato, un ultimo rintocco nelle mie orecchie, poi silenzio.

Le forze mancarono del tutto e mi ritrovai a cadere nel nulla. Non sentii il letto sotto di me, non sentii un tonfo. Galleggiavo nel nulla e temevo che nulla sarebbe cambiato da così.

La morte è tale? Mi chiedevo senza poter sentire la mia voce, pensando solamente. Che strana sensazione...

Non è una strana sensazione.

La voce di qualcuno rimbombò nelle orecchie.

Come? Chi è?

Qui non è nessuno,

qui non vi è nessuno,

qui non regna neppure il nulla.

Cosa stai dicendo?!

Non sto dicendo nulla.

Chi sei?

Io non sono nessuno, sono come te.

Hai un nome?

Io non sono nessuno, sono come te.

Ma io sono qualcuno!.

Silenzio.

Ehi!

Tu non sei nessuno.

Non più.

Eri, ma non sei più...

Eri e non sarai.

Hai perso la tua possibilità di vivere.

Cosa vuol dire?

Vuol dire che sei morta pensando ad un futuro migliore,

ad un mondo diverso dove dimenticare le ingiustizie.

Lo hai trovato...

È ciò che non è, questo posto non ha proprietà, è impossibile da definire...

Esiste, ma non esiste...

È ma non è.

Sembra il nulla, ma è qualcosa di più oscuro.

E cos’è?

La Morte.

______________________________________________________________________________THE END_____________________

Note dell'Autrice.

...ummm...si. giustamente è tutto finito: per me, questa storia, e per Tini, la sua vita.

Scusate se c ho messo davvero troppo a postare l'ultimo capitolo, ma il pensiero di dover cambiare qualcosa mi opprimeva.

Emily Doyle : si, capito molto bene. Spero che questo ultimo cpaitolo ti sia piaciuto e mi fa piacere che la storia ti sia sembrata originale =]

Gotick_92 : cosa dovrei dirti?  =[ Mi sento svuotata. Sigh, è sempre così terribile che qualcuno che ti ha accompagnato per così tanto tempo ti abbandoni...poor Tini! Guarda, le ho dato quel nome solo perchè mi hai totalmente convinto che poteva essere lei...tranne per l'aspetto fisico. Grazie ancora per il consiglio e spero che il finale sia di tuo gradimento. Sinceramente mi ero chiesta come poter spiegare la tanta tristezza di Tini...e purtroppo non ho avuto molta fantasia... =[

l_s : Grazie del genio...ma ora sono troppo triste per poterti ringraziare...sigh...cmq spero ti possa piacere il finale e che sia degno della Miky sempre nei cuori e di una piccola shinigami... =)

Vegeta4ever : eccomi! Finalmente concludo...fammi sapere!

Marluxia25 : graaazie per i complimenti, forse non li merito...eh eh...sarei molto felice di sapere la tua opinione sull'ultimo capitolo...

CharmingVampire : Una new Entry! grazie, spero commenterai anche quest'ultimo capitolo...ciao!

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