The Soul and The Hunter

di ILoveItBaby
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** +La Prima Morte+ ***
Capitolo 2: *** +Incidente o... ?+ ***
Capitolo 3: *** +Gelosia+ ***
Capitolo 4: *** +Spiaggia+ ***
Capitolo 5: *** +Coma+ ***



Capitolo 1
*** +La Prima Morte+ ***


Capitolo 1 - TS&TH


La Prima Morte


New York, Usa
18 Agosto 1938, ore 1.17

Camminavo sotto la pioggia scrosciante e che non mi faceva vedere a due metri di distanza.
L'ombrello mi si era rotto un chilometro prima e da allora avevo rinunciato a combattere contro l'acqua, che ormai si era infiltrata ovunque. Letteralmente.
Ma come mi era venuto in mente di andare a quella festa?! La gonna corta a pois ormai era monocolore e ben attaccata alle mie cosce.
I miei genitori mi avrebbero ucciso se avessero saputo che ero uscita di nascosto, e per di più per andare ad una festa di universitari.
Certo, ormai avevo quasi diciotto anni, ma a quanto pareva per i miei questo valeva ben poco. Loro erano della vecchia scuola. Li odiavo.
Per le strade non c'era nessuno e ne fui ben felice.
Era meglio se mi fossi data una mossa, così, dopo aver percorso strette e buie stradine deserte, arrivai sul marciapiede opposto a quello di casa mia, attraversai e...

BIIIIIIIPPP. Il clacson era partito e non si bloccava più dopo che la macchina mi aveva investita, svegliando così tutto il vicinato.

Ogni singola parte era dolente, mi sembrava si essere stata messa in un frullatore, lame incluse.

Persone si fermarono e accorsero, in una folla agitata. Un lampo viola passò davanti ai miei occhi appannati e vedendo il mio sangue una luce illuminò quegli occhi ametista di desiderio irrefrenabile... sicuramente frutto della mia immaginazione.

Prima di svenire, per non riaprire più gli occhi, guardai il mio braccio.
Apparve un bel 18, rosso fuoco, come un tatuaggio, che si trasformò lentamente in un 17.
Oh, meraviglioso, avevo appena iniziato e già una vita era andata. Davvero, davvero stupendo. E spirai.









Angolino Autrice:
Immagino sia doveroso fare un angolo autrice almeno il primo capitolo, esordio del mio riotrno, no?:D
Che sensazione strana tronare a navigare qui... oddio ahahahaha mi sento oramai un'estranea O_O mi accetterete nuovamente? Spero di sì, mi siete mancati *sweet moment*
Per la storia: allora, alcune parti, soprattutto all'inizio sono cambiate, le ho reimpostate in maniera tale che si capisse maggiormente lo svolgimento della trama, personaggi etc., cosìcche non solo la scrittrice stordita ne capisse gli intrecci LOL X3
Che dire... per chi la consoce, spero che la nuova veste, più curata la apprezzi. la storia è completamente diversa, ma sempre uguale (LOL).
Per chi invece è nuovo... Benvenuti! :D
Riguardo alla pubblicazione: "Giulia, a quando il prossimo capitolo?"
Considerato che prima di pubblicare voglio stare molto più attenta, penso che andrò estremamente lenta -i ritmi spero siano questi anche durante il periodo scolastico, d'altronde la storia è già stata scritta. Quindi, per il prossimo capitolo, vi darei appuntamento al massimo fra due settimane! ;)
E ancora: "Come va la stesura del sequel?"
Lo riassumo con una parola: ferma. Per il semplice motivo che sono stata impegnata prima lntana dal computer, poi la scuola ed infine una nuova storia che sto scrivendo -per saperne di più andate sulla mia pagina FacciaLibro! ;)
Un saluto e un grosso abbraccio a todos!
Julie

Per contattarmi consultate la mia Pagina Autrice di EFP! Hope You Enjoy It! ;)

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Capitolo 2
*** +Incidente o... ?+ ***


Capitolo 2



-Incidente o...?
-

Berlino, Germania
3 Settembre 1960, ore 11.33

Ancora ventisette minuti e sarei stata libera, finalmente sarebbe arrivata la pausa pranzo.
Contavo i minuti, i secondi, seduta su quella stupida e scomoda sedia, di quella stupida banca tedesca dietro ad uno stupido sportello in plexiglas con sopra uno stupidissimo cartello che diceva (tradotto): «Ritiri e Versamenti Internazionali». Avevano aggiunto l'ultima parola recentemente, come si vedeva dalla differenza di colori, perché erano convinti che quello stupidissimo vocabolo li rendesse più... come dire... multitasking.
Stavo lì, con il gomito sinistro appoggiato al legno e con la mano a sostegno del mio bel -secondo gli altri- visino tremendamente annoiato.
Diedi uno sguardo alla mia bella gonna a pois bianchi sul fondo blu mare. Me l'ero comprata di nuovo, sì. Mi piaceva troppo, nonostante non avrebbe dovuto essere portatrice di buoni ricordi secondo una logica normale poiché l'ultima volta che ne avevo avuta una simile, nella vita precedente, ci ero morta dentro.
Sorrisi inconsapevolmente.
Tornai a compilare i fogli sulla mia scrivania.
Successe tutto in un attimo: le luci si spensero, due botti invisibili abbatterono le nostre guardie (Ralph e Yuri, ragazzi simpatici), e quattro individui in nero irruppero sparando e urlando.
Non sentii nemmeno cosa dissero, venni immediatamente strattonata da uno di loro (una donna forse) che mi disse ben poco gentilmente di stendermi a terra, sul duro marmo dell'ampio spazio davanti a tutti gli sportelli.
Venni sbattuta sul pavimento, poi un uomo, il capo probabilmente, urlò, in un tedesco non esattamente da madre lingua: «FATE SCHERZI E VI FACCIO ESPLODERE LA TESTA COME ALLE VOSTRE GUARDIE!»
Accanto a me un'altra commessa cominciò a tremare... Mary, si chiamava Margareth, ma tutti la chiamavano Mary, ora ricordavo. Non avevo nemmeno perso realmente tempo a conoscere i miei colleghi.
Avevo una pessima, pessima sensazione.
In pochi minuti la cassaforte era stata aperta e svuotata. Erano davvero organizzati bene. Per un attimo li ammirai.
La ragazza accanto a me tremava ancora di più. Mi voltai di qualche grado verso di lei e ciò che vidi mi fece agghiacciare il sangue nelle vene: stava chiamando un numero, probabilmente la polizia.
Mi rivoltai. Non dovevo farla scoprire.
Sentii dei passi avvicinarsi. Si fermarono davanti a me e mi ritrovai a fissare due stivali militari neri.
L'uomo (o tale ipotizzai fosse) si chinò e nella mia visuale apparve anche un bel corpo coronato da... un passamontagna nero. Che originalità, pensai acida.
I due occhi mi fissarono e sorrisero malevoli e poi, lentamente, si voltò verso Mary.
«ADAM!» chiamò divertito il compagno «QUA C'È QUALCUNO CHE STA PROVANDO A FREGARCI!» sembrava che la sua ilarità aumentasse a quelle parole, come se fosse ridicolo che qualcuno riuscisse a fregarli.
Bastardi.
L'altro rise spanciandosi. La donna si avvicinò e disse qualcosa stizzita, congelandolo sul posto.
«FA QUELLO CHE DEVI E CHE SERVA DI MONITO AGLI ALTRI!»
Ora Mary era terrorizzati e implorava con gli occhi.
L'uomo si alzò agilmente e sorrise prima di premere il grilletto.
Chiusi gli occhi e non li riaprii per altri due minuti dopo aver sentito quell'orribile botto e i gemiti sommessi. Ero terrorizzata e mi sentivo i vestiti zuppi di non-volevo-immaginarmi-cosa.
Purtroppo per i rapinatori la giovane era riuscita a chiamare i poliziotti in tempo e questi si erano posizionati davanti all'entrata a sirene spiegate.
«Eriam» disse più piano quello che doveva essere Adam, «Prendi un ostaggio... a tua scelta.» e fece un sorriso pieno di sottintesi.
«Prendiamo quella,» e mi indicò. Quel dito sembrava essere la cosa più terribile del mondo.
«La nostra piccola cospiratrice che pensava non ci saremmo accorti della sua amichetta!»
Mi sentii alzare dalle braccia e d'istinto aprii gli occhi: venni colpita dal rosso intriso nei vestiti, e per un attimo trattenni il respiro. Avevo qualcosa che apparteneva a Mary addosso a me, il suo sangue, a me estraneo, contro la pelle.
Non mi voltai a vedere la mia collega, sapevo che era morta.
Solo dopo presi coscienza di essere stata posta davanti all'ampia vetrata, con la meravigliosa vista di una decina di volanti della polizia e un bel po' di poliziotti con le armi puntate tutte... su di me?!
No, sugli uomini dietro di me che mi avevano immobilizzata.
Sentii il freddo metallo di una pistola contro la tempia. Socchiusi nuovamente gli occhi.
Non volevo vedere il mio cervello fuori dal mio corpo.
«NON FATE SCHERZI O LA MIA DOLCEZZA, QUI,» sogghignò, col fiato dietro al mio orecchio destro «DIVENTA UNO SCHIZZO SUL VETRO!».
Era l'uomo che aveva ucciso Mary, quello che mi aveva guardata ridendo.
La massa di poliziotti si smosse, si allargò, si ricompattò e si rimise nella formazione iniziale di attacco dopo svariati minuti.
«Sai questa tua gonnellina mi piace davvero.» mi sussurrò nell'orecchio e poi con la mano libera mi accarezzò il fianco della coscia risalendo ed infilandosi sotto il tessuto.
Freddi brividi, tra piacere e terrore, mi percorsero, facendomi trattenere il fiato.
«Ce l'avevi anche l'altra volta...» soffiò ancora.
A quel punto spalancai gli occhi per la sorpresa. Sapeva? Sapeva che ero già “morta” una volta e con una gonna identica a quella? Sapeva che ero una cosiddetta “Anima”?
Facevo parte di quella manciata di persone che, ogni volta che moriva e subito dopo rinasceva, manteneva i propri ricordi precedenti alla nascita. Siamo esattamente come gli altri esseri umani, le uniche due differenze sono che noi ci ricordavamo le vite passate, mentre gli umani no, nonostante anche loro rinascano per un numero definito di volte. La seconda è che noi abbiamo in ogni esistenza le stesse caratteristiche fisiche, mentre gli umani ogni volta hanno un corpo con differenti lineamenti.
E potremmo vivere assolutamente senza problemi tra gli umani, se non fosse che, secoli, millenni or sono, un folle pensò che fossimo demoni, abomini di Dio, che osavano sfidarlo arrogandosi il diritto di rinascere -lui essendo Cristiano non credeva nella “rinascita”- e decise che doveva combatterci, così fondò un'associazione segreta, detta col tempo la Setta dei Cacciatori. Così ci sterminarono.
Dato che abbiamo sempre lo stesso aspetto, in tutte le vita, una volta che ci individuano, ci cacciano per sempre fino a consumare ogni singola nostra vita. Ed è lì che sopraggiunge la vera e definitiva morte dell'anima. Cosa ci sia dopo, beh, nessuno lo sa.
Spesso la nascita di nuove Anime, nemmeno compensava la quantità di Anime perse. Ci stavamo così estinguendo.
O forse si riferiva ad altro? No, no, sicuramente si stava riferendo ad altro, cercai di convincermi io.
All'improvviso dei passi, leggermente più delicati degli altri, si avvicinarono a noi e sentii Eriam -si chiamava così, giusto?- irrigidirsi e togliere le mani dalle mie cosce, con mio grande dispiacere sollievo.
Quella che doveva essere la donna del gruppo parlò con Eriam.
«Ci hanno chiamato: abbiamo minacciato di far fuori un ostaggio ogni quarto d'ora. Hanno ceduto.» disse trattenendo una risata. Evidentemente li riteneva dei cretini.
«Ci muoviamo?»
«Sì»
La donna se ne andò ed Eriam tornò a rivolgersi a me. «Adesso tesoro ce ne andiamo e tu vieni con me. Non fare scherzi» sorrise tra i miei capelli e ne aspirò l'odore.
Sarebbe anche stata una scena romantica se non avessi avuto puntata alla tempia una pistola e se non mi avesse legato i polsi dietro la schiena con una fascetta da elettricista.
E non perse l'occasione per passare la mano sotto la sottile camicia, percorrendo la mia spina dorsale.
Ancora una volta i brividi di terrore mi attraversarono, al solo pensiero di cosa avrebbe potuto farmi quel rapinatore pazzo. Altre scosse in tutto il corpo.
Vennero interpretate da Eriam dal rapinatore pazzo come tremiti di piacere trattenuti.
Poi la mano si ritirò e arrivarono gli altri della banda.
«Andiamo» disse Adam, il capo.
E venni strattonata indietro.
Intanto dalla mia grossa finestra sul mondo libero avevo visto la polizia tedesca muoversi e, una dopo l'altra, le volanti erano sparite. Non dubitavo che comunque la polizia non se ne fosse andata realmente, ma avesse attuato una delle diverse tattiche nei loro bei manuali, ma non avevano idea di come ci si sentisse ad avere una bella pistolona di freddo metallo puntata alla testa.
Loro seguivano quelle stupide regole, credendo che bastassero per uscire da ogni situazione.
All'improvviso mi ritrovai incazzata nera con loro. Non erano serviti a nulla, non erano riusciti ad aiutarmi.
Ma poi la mia ragione mi rimproverò. Avevano fatto tutto il possibile, purtroppo in quelle situazioni era davvero difficile.
Quando il campo fu sgombro il gruppo uscii, compatto, con le armi sguainate, e fui stretta ancora di più nella morsa che erano le braccia del rapinatore pazzo, mentre venivo costretta a camminare.
«Non fare scherzi» ribadì ancora.
Non ci pensavo nemmeno. Ci tenevo che il mio cervello stesse nella mia scatolina cranica.
Annuii, tanto per far capire che avevo afferrato il concetto.
Mi spinsero in avanti e salimmo su un furgoncino dall'altra parte della strada.
Appena fummo dentro venni sbalzata indietro dall'accelerazione improvvisa. Mi avevano messo sul retro con i finestrini oscurati. Non potevo nemmeno vedere i tre che si erano seduti davanti (Adam, la donna di ghiaccio e l'uomo-senza-nome-e-senza-voce), perché c'era una lastra di metallo che separava i due scomparti, con, come unico modo di comunicazione, una fessura chiusa da una lastrina scorrevole. Era un furgone blindato?!
Io e quel pazzo eravamo dietro...insieme...da soli. Ed ebbi paura. Già quando eravamo in mezzo alla bolgia in piena rapina aveva trovato il tempo per mettermi le mani addosso, figurarsi in quel momento.
Mi voltai per la prima volta.
Era seduto, stravaccato su uno dei lunghi sedili di acciaio sui lati lunghi del furgone blindato, e mi guardava, pistola tenuta mollemente in una mano.
Sorrise dal suo angolino buio, e il terrore mi invase. Aveva un'aria molto, molto, molto da cattivo ragazzo.
Si tolse il passamontagna.
Ora sì, che ero spacciata.
Ormai l'avevo visto in faccia.
Aveva un viso bellissimo, perfetto in ogni suo tratto, naso dritto, bocca carnosa e piegata in una smorfia di scherno che molte ragazze avrebbero trovato... beh, sexy.
Si passò una mano nei capelli, che avrebbero avuto bisogno di una spuntatina, neri come il petrolio lisci. Immaginai anche che fossero morbidi come la seta.
Scossi la testa per far sparire il pensiero davvero fuori luogo.
Si alzò e venne verso di me.
La guida si era stabilizzata e non vi erano più scossoni.
Mi spinsi di più nell'angolo, ma dubitavo fortemente che sarei potuta andare più a fondo, oltre il metallo.
Desideravo sparire, desideravo non essere andata a lavoro quel giorno, desideravo non aver notato Mary che chiamava la polizia. Me nessuno di quei desideri si realizzò, nonostante ci sperassi davvero.
Si chinò su di me e notai che aveva gli occhi, contornati da lunghe e sensuali ciglia, di un color ametista... occhi viola?! Ma non esistevano.
«Ti assicuro che sono i miei.» mi disse, quasi leggendomi nella mente. O lo aveva fatto?
Si avvicinò con tutto il corpo, lo fece aderire al mio e mi spinse a terra, contro il freddo pavimento.
Tremavo.
Prese ad accarezzarmi una guancia, quasi volesse consolarmi. Sorrise malevolo nuovamente, mentre mi sfiorava una coscia, infilandosi ancora sotto la stoffa.
Mi irrigidii. Eh no, non glielo avrei fatto fare, non sarei stata lì zitta.
Lui lo notò e mi fissò, con sguardo indecifrabile.
E poi si tuffò nel mio collo, prese a baciarlo, ad assaporarlo con la lingua, come fossi di cioccolato, mi annusò, inspirando forte sui miei capelli lunghi, tutti sciolti a terra.
Odiavo avere i capelli non legati, ma a quanto pareva nella fuga aveva perso l'elastico.
Oh, se solo avessi avuto le mani libere! Purtroppo avevo anche le gambe bloccate dalla grossa e palestrata massa del rapinatore.
Ero rigida come una scopa.
«Dovresti rilassarti un po' dolcezza.» mi disse con una tranquillità disarmante.
Mi accorsi di non aver ancora parlato da quando ero alla banca.
«Certo, scusa, ma sai, essere rapita mi mette un po' di ansia!» dissi e trovai nella mia voce rancore e paura. Oddio, cosa avevo fatto, ero impazzita?!
Rise. Stava ridendo?! 'Sto stronzo stava ridendo davanti alla mia faccia!
E allora gli tirai una testata e lo mandai a farsi fottere.
Questo si tirò un po' indietro e si prese il naso tra le mani. Passò quasi un minuto e mi preoccupai.
Se gli avevo fatto male probabilmente si sarebbe incazzato e sarebbe andata molto peggio.
Cosa dicevano i manuali della polizia? “Instaurare un rapporto con i rapitori”.
Sospirai e gli chiesi «Tutto bene?» con un filo di voce, fingendo preoccupazione. Ero ridicola, ma speravo ugualmente funzionasse.
Non rispose, doveva essere proprio incazzato. Deglutii.
Mi sfilai da sotto il suo corpo e mi rintanai nuovamente nel mio angolino aspettandomi il peggio.
Dopo un tempo che mi sembrò un'eternità alzò di nuovo lo sguardo su di me.
Stava sorridendo?! Ma cosa...
E poi mi si avvicinò di nuovo, così veloce che a malapena lo vidi.
«Mi piacciono le ragazze come te» rise «Mi eccitano» e mi ficcò la lingua in bocca.
Avrei voluto mordergliela, quella linguaccia...anche se... forse... mi piaceva quasi.
Cosa diavolo mi stava capitando?! Che pensieri deviati facevo?!
Ricambiai il bacio passionale, trattenendomi dallo sputargli in faccia. “Instaurare un rapporto”, mi ripetei come un mantra, un qualsiasi rapporto a patto che mi salvi la vita. E quando un uomo (in questo caso) non pensava più con la testa ma con ben altro organo, che questo fosse attratto da me era la miglior cosa, perché avevo la vita assicurata per un po' di tempo, abbastanza da avere qualche chance di fuggire, anche perché, si sa, più passa il tempo meno le persone sono attente. Ed era un'ottima cosa.
Ma non avevo calcolato un altro fattore, uno molto pericoloso: la ragazza nel gruppo che sembrava gelosa di Eriam.
Così, quando ci fermammo (avevo ancora in bocca quella sua linguaccia) e il portellone venne aperto, sentii un sospiro rabbioso.
«Ti sei tolto il passamontagna!» disse, trattenendo ben altra ira.
Eriam si staccò da me e io mi voltai.
E questa stronza mi sparò al cuore. Aveva pure una buona mira.
Mi sentii soffocare e cominciai a sputare sangue.
In quell'attimo vidi il solito numero rosso apparire sul mio braccio.
Anche Eriam lo vide...e non si spaventò. Aspetta... lui non poteva vederlo, nessun umano poteva...
Lui sapeva.
Ma non poteva essere come me, noi non facciamo rapine, non uccidiamo persone.
Spalancai gli occhi. Se non era come me, un'anima, allora era... un Cacciatore.
Anche l'altra volta lui c'era, mi ricordavo quegli occhi che non mi sembravano reali. Era stato lui?
Mi guardò e sorrise malevolo. Sapeva che io avevo capito.
Allora lui era... un Cacciatore di povere Anime come me, costrette a nascondersi da loro, mostri.
Erano esseri deviati, che ci reputavano mangiatori di anime umane, affermavano che noi le mangiassimo e ci impossessassimo dei loro corpi. Ma erano solo degli invasati!
Il 17 divenne 16 e l'ultima cosa che vidi furono i suoi occhi viola che mi fissavano con un'implicita minaccia: ti ritroverò e ti ucciderò tutte le volte che sarà necessario fino a quando non morirai davvero, definitivamente.
Quegli occhi!
E tutto divenne nero. Di nuovo.


***
Il suo sangue lo attrasse, con la sua musica fragrante che gli fece vibrare ogni terminazione nervosa.
Avrebbe dovuto esserne disgustato, disgustato da quella scena, da quel cadavere, ma, come la prima volta che l'aveva incontrata e quando era morta, non poteva fare a meno di rimanere lì, fermo a fissarla.
Aspirò il profumo del sangue rappreso, che subito divenne però alla sua percezione orripilante, contaminato dal flusso della morte. Ne sentiva il bisogno, ma aveva bisogno che fosse vivo, ancora in lei.
Lo voleva, lo desiderava, come la prima volta che l'aveva vista.
***









Angolino Autrice:
Ho poco da dire se non che, chi ancora non avesse capito che ha uno sfondo romantico particolare... scappi ora! XD
Tu, salvati finché sei in tempo! *^*

Okay, si entra nel vivo della storia e beh... si muore XD di nuovo.
Ci sono dettagli in più, sul motivo delle vite e altri dettagli. Sia chiaro comunque che non voglio asolutamente fare una critica religiosa con questa storia o con il passato delle Anime! Non sia mai!
Detto questo, volevo solo dire che, finalmente sono riuscira a pubblicare un'altra storia che mi sta sul cuore:

Rating rosso - Noir (con sfondi romantici) -The Circus Comes To Town

Detto questo vi saluto! Come al solito vi dico che non so quanto ci metterò per il prossimo capitolo. Tempo al tempo!
Saluti a tutti i mie adorai lettori! *_____*

Julie


Per contattarmi, tutti i miei contatti sono sulla pagina autrice.

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Capitolo 3
*** +Gelosia+ ***


Capitolo 3 - TS&TH

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-Gelosia-


Madrid, Spagna
12 Agosto 1979, ore 16.02


Ero distesa sulla riva della piscina a prendere il sole. Adoravo sentire la pelle calda e i raggi accarezzarmi in ogni parte.
Avevo gli occhiali e probabilmente mi sarei addormentata se una secchiata d'acqua gelida non mi avesse fatto sobbalzare come una molla carica.
Colpii alla cieca, presa alla sprovvista, e quando finalmente smisi di vedere pallini bianchi ovunque guardai ai miei piedi, dove stava raggomitolato un Ramon molto, molto, molto sofferente.
Mi coprii la bocca con le mani e mi chinai in fretta per vedere come stava temendo di averlo colpito troppo forte.
«Oddio, ti ho fatto tanto male?» chiesi apprensiva «Oddio, oddio, oddio.»
«Ehi, calma, sopravvivrò Rambo.» e sorrise.
Ok, se il senso dell'umorismo era intatto allora anche lui stava bene.
Sollevata mi sedetti sul telo e mi abbracciai le gambe.
Si rialzò e mi si avvicinò, tentando di darmi un bacio, ma io lo schivai.
«Pensi davvero che non mi sia accorta che mi hai buttato addosso una secchiata di acqua gelida addosso?!»
«Mmh, dipende» e mi si avvicinò ancora, fino a quando non fui stesa sotto di lui, con le braccia incrociate e il broncio, la testa appoggiata contro una gonna a pois appallottolata.
«Dai, un bacinooo.» fece, con fare giocoso.
«No!» dissi come una bambina arrabbiata.
Ma alla fine cedetti e lo baciai, approfondendo sempre più. Mi staccai. Non volevo dare spettacolo arrivando a scene a luci rosse.
«Andiamo in camera?» mi propose lascivo. Io sorrisi malevola.
Si alzò e mi porse una mano.
All'improvviso un boato e Ramon si irrigidì.
«R-Ramon?» chiesi terrorizzata che ciò che pensavo fosse accaduto davvero.
Una larga chiazza rossa cominciò ad espandersi sulla maglietta che aveva appena indossato. Una lacrima mi scappò dalla diga che stavo erigendo in tutta fretta nei miei occhi.
Ramon cadde e io lo afferrai, cingendo con le braccia il mio ragazzo.
E lui chiuse gli occhi, lasciando spegnere l'ultima fiammella di vita nel suo corpo.
Sapevo cosa era successo.
Erano stati loro! Li avrei uccisi! Tutti quanti!
Mi voltai e li vidi, spostando lo sguardo dal corpo inerme e senza vita di Ramon, non volevo vederlo morto, non volevo.
Uno con i capelli neri e una rossa, che probabilmente era quella stronza che mi aveva sparato durante la rapina di molti decenni prima, ma che era ancora vivida nella mia mente.
Lei gli diede uno scappellotto. «Non ti ho detto di uccidere quell'umano! Non fare la testa di cazzo e ammazzala!»
Lo guardai, ormai con le lacrime agli occhi.
Lui si voltò lentamente verso di me, aveva uno sguardo gelido, cosa strana.
Guardò il corpo di Ramon con astio e poi me, con un sorriso tra il triste e il furbo.
Sì, gli avrei staccato la testa.
«Stronzo», mimai con le labbra perché non avevo più voce.
Lasciai con dolcezza il corpo di Ramon sul telo, gli baciai le palpebre chiuse come saluto e mi alzai in piedi, mentre la gente scappava terrorizzata.
E gli corsi incontro con tutta la rabbia che avevo in corpo.
Fino a quando non fui a meno di due metri da lui, Eriam, quello stronzo bastardo, non si accorse di me, e quando lo fece ormai era troppo tardi.
Lo atterrai e gli tirai un calcio nello stomaco, facendolo piegare in due.
La rossa mi guardava astiosa. Controvoglia mi bloccò le braccia e mi allontanò di peso, mentre io scalciavo, iraconda.
«Lasciami, rossa di merda!»
«'Sta un po' zitta, sporco essere.»
Le diedi una testata e questa mi mollò. Dovevo segnarmi quella mossa.
Intanto Eriam si era alzato e mi puntava la pistola contro.
«DAI SPARA!! AMMAZZAMI ANCORA!» urlai, sperando che lo facesse.
Per un attimo nicchiò, indeciso e la stava per abbassare, forse per proporre di portarmi via e uccidermi altrove, quando la rossa gli urlò: «FALLO!»
E lui sembrò tornare in sé, alzò la pistola, più sicuro di prima e premette il grilletto.
Mi colpì al cuore.
Quando fui a terra mi si avvicinò, ma non seppi mai che faccia avesse o cosa era in procinto di dirmi, perché il numero rosso apparve e da 16 diventò 15.










Spazio Autrice:

Bonsoir, sono veloce dai, non si può non si può! XD
Ma ribadisco che non sarà sempre così! Ho solo il vantaggio di averla già scritta, così devo solo settarla e sistemarla, ma purtroppo anche quello assorba tempo! V_V
Salut miei pasticcini!
Juls

Pz: mi vergogno dell'errore di distrazione del luogo, ho corretto, perdonatemi, T_T ero stancucci quando l'ho sistemato, non mi ero accorta di un errore geografico.


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Prossimamente, altri consigli!




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Capitolo 4
*** +Spiaggia+ ***


Capitolo 4 - TS & TH


-Spiaggia-

Eastbourne, Inghilterra
23 Ottobre 1997, ore 15.45


Era un inverno insolitamente caldo e tremendamente secco.

In sessant'anni avevo vissuto quattro vite. Tutto ciò non era per niente buono.
In realtà noi non eravamo affatto diversi da qualsiasi altra anima, l'unica cosa che ci differenziava da quelle umane era che noi ricordavamo le vite precedenti, come in una sorta di reincarnazione.
Corpo diverso ma con uguale aspetto, stessa mente e stessi ricordi. Rinascevamo.
Ma tutti noi abbiamo un numero limitato di vite e in media sono sul centinaio. Io invece ero nata con pochissime, solamente diciannove, e quel Cacciatore invasato continuava ad uccidermi!
Dovevo stare molto attenta.
Me lo ripetevo da diciotto anni e da diciotto anni ero allerta.
Sapevo che i cacciatori erano bravi nel loro lavoro e che prima o poi mi avrebbero trovata, soprattutto quel cacciatore. Mi aveva promesso che m'avrebbe scovata e distrutta... e io ci credevo.
Insomma, porca miseria, non ero riuscita ad arrivare nemmeno a trent'anni con la stessa vita!
Certo era anche vero che avevo sempre lo stesso aspetto: lunghi capelli castani lisci, occhi verdi e corpo snello. Mi piaceva il mio corpo, un po' meno come mi guardavano i ragazzi. Sembravano morti di fame, ma forse dovevo smetterla di lamentarmi.
Li ignorai mentre mi dirigevo a casa con la mia amica Mary-Ann, altona con i capelli neri e la frangia.
Questi genitori mi piacevano molto di più, erano carini e mi amavano sul serio. Nella mia seconda vita ero orfana quindi non saprei dire chi o come fossero i miei genitori.
Non mi dispiaceva, ma nemmeno era stato bello essere affidati ad altre famiglie.
Comunque amavo la Eastbourne di quegli anni e speravo di rimanerci più a lungo possibile.
Sorrisi a Mary-Ann che parlava a macchinetta su quanto fosse stupido studiare la fisica, che non servisse a nessuno a meno che uno non voleva progettare razzi spaziali, e mi assicurò che lei non era tra quelle persone.
La salutai ed entrai in casa mia, che era quella subito a destra della sua. Vicine di casa e migliori amiche, proprio utile.
Entrai in casa e baciai i miei, Johanna e Michael Bresbitt, che stavano attorno al tavolo della cucina, mio padre leggendo un giornale e mia madre facendo la maglia. Oh, no, mi stava facendo un altro magione con i cervi! Una volta mi era sfuggito che quegli animali mi affascinavano incredibilmente e da quel giorno mi aveva fatto solo maglioni con i cervi (avevo 12 anni, immaginatevi voi quanti ne ha fatti).
«Mike, come mai a casa così presto?» chiesi. Chiamavo sempre i miei per nome, anche perché era complicato chiamarli solo “mamma e papà” per me visto che avevo quasi la loro età, se si contavano gli anni che avevo vissuto in tutte le mie vite.
«Il signor Hacket ha chiuso il negozio prima per il matrimonio della figlia, ve la ricordate Hanna?»
Mike aveva ricominciato a parlare del suo capo al negozio di stoffe, era ora di andare. Non avrei sopportato un altro racconto.
«Io vado di sopra.»
«Ma... »
«Ti voglio bene papino» gli diedi un bacio sulla guancia e scappai di sopra. Funzionava sempre.

24 Novembre, ore 7.56

«E poi cosa vuol dire che gli piaccio, ma non in quel senso?!» sbuffò Mary-Ann «A me lui piace proprio in quel senso! Insomma l'ho mandato a cagare!»
«Dai, non essere così dura, insomma, magari lui...» ha solo bisogno di tempo, avrei detto se lei non mi avesse interrotta ricominciando il suo monologo. Pazienza. Ecco una buona qualità che si aveva quando dovevi passare un bel po' di volte prima dall'infanzia, dalla pubertà e per poi ricominciare ogni vita da capo, in un ciclo lunghissimo, la pazienza.
Entrammo e mi sedetti, con Mary-Ann alle spalle. Dall'inizio dell'anno gli insegnanti del piccolo paesino vicino Eastbourne, Lloyds, vicino al famoso promontorio Beachy Head, celebre anche come “Seven Sisters”, dimenticata da Dio e dal genere umano, avevano deciso che io e lei eravamo troppo comare, e che combinavamo troppi danni insieme (cosa non del tutto falsa... qualche piccola scorribanda l'abbiamo fatta).
Così, anche se ci sedevamo vicine, poi una delle due veniva spostata dall'altro capo della classe, perciò avevamo scelto di comune accordo il minor male: sedersi una davanti all'altra (e, fidatevi, è molto più facile comunicare così che da un capo all'altro dell'aula).
Qualcuno si sedette accanto a me ma non ci badai minimamente. Ero abituata ad ignorare tutti quelli che mi stavano accanto a scuola, tranne Mary-Ann.
«Ciao», mi disse il ragazzo accanto a me e mi congelai.
Conoscevo quella voce.
Mi girai lentamente e spalancai gli occhi. Lui si compiacque della mia reazione.
Tremavo e lo guardavo, terrorizzata.
Il professor Kork mi chiamò «Ci sei? Stai male?» chiese preoccupato.
Non riuscivo a spiaccicare parola e così non rispose. E fu la cosa più stupida che potessi fare perché fu il cacciatore a prendere la parola.
«La accompagno in infermeria?»
«Sì, è meglio, Hatter.»
No, non era possibile che mi avesse trovata. Di nuovo.
Scossi la testa e finalmente parlai «N-no sto bene... »
«Andiamo, sei uno straccio, l'infermiera ti aiuterà di certo.» disse il moro, si alzò in piedi e mi guardò intensamente, poi diede una veloce occhiata a Mary-Ann.
Era una chiara minaccia.
Chinai il capo, con lo sguardo cupo, ed annuii.
Lui mi prese per un braccio e mi tirò su, in modo che al resto della classe quello sembrasse un gesto gentile, mentre invece era una condanna a morte.
Albert, il mio ragazzo mi guardò perplesso e preoccupato.
Ovviamente Eriam gli restituì un'occhiata a dir poco feroce e che lo ammoniva a starsene al suo posto, perché altrimenti avrebbe giocato anche con lui.
Rabbrividii e pregai che lo lasciasse fuori da questa storia. Il mio povero Alby.
«Mar?» chiamai la mia amica.
Mi guardò perplessa, ma io continuai «Ti voglio bene... e anche ai miei... ti prego diglielo... io... » ma venni tirata via. Mi guardava come se pensasse fossi malata.
Ma avrebbe capito, dopo che avessero trovato il mio corpo...se lo avessero trovato.
Mi guardavo le scarpe. Avevo una gonna a pois. Forse mi portava sfortuna. O forse no.
Mi prese con più forza il braccio appena fummo fuori e mi sbatté contro al muro scrostato. Urtai l'osso della scapola, che prese a farmi un male cane.
Mi bloccò i polsi in una mano (certo che erano grosse) e mi guardò divertito.
«Ti ho trovata. Di nuovo.» e rise malevolo.
«Vaffanculo!»
«Ohh, come siamo su di giri. L'aria inglese ti fa diventare acida!»
Tentai di tirargli un calcio nelle sue parti oscure, ma lo schivò, mi storse le braccia all'indietro e mi obbligò in ginocchio di schiena davanti a lui.
Si chinò e mi sussurrò all'orecchio «Magari prima di farti fuori potrei divertirmi un po'».
Mi fece alzare con malagrazia e mi fece uscire sul retro da una porta di emergenza.
Purtroppo per me eravamo vicino alla scogliera e con una passeggiata di a malapena dieci minuti arrivammo dove il mare turbinava.
Ci fermammo e mi fece voltare.
Dovevo prendere tempo, magari si sarebbero accorti della mia assenza, magari mi sarebbero venuti a cercare e...a salvare.
«Dove sono i tuoi amici, eh?» dissi scontrosa.
«In altri paesi. A caccia» sorrise vedendomi sbiancare «E visto che io ci tenevo a farti fuori di persona hanno pensato che sarei dovuto venire da solo.» si avvicinò come per farmi una confidenza tra amici del cuore e disse «Mi piace darti la caccia. Solo tu riesci a darmi questo brivido» e detto ciò repentinamente mi attrasse a sé, tenendomi in una morsa senza via di scampo.
«E come mai sei ancora come allora?!» dissi stizzita, con la faccia schiacciata contro i suoi capelli corvini.
«Quella volta, dopo che Arja ti ha fatto fuori, sono arrivati gli sbirri e hanno sparato a palla. Sono stato colpito e sono leggermente morto.»
Quelle parole mi colpirono.
Sprofondò il viso nell'incavo del mio collo, e risalì fino alla mascella, al mento e si ritrovò a pochi centimetri dalla mia bocca.
Si morse il labbro inferiore.
«Dio, non immagini quanto mi attiri. E con quella gonna a pois... ! Ci incontriamo sempre con quella gonna.» e detto ciò posò una mano sul mio sedere e sganciò la cerniera.
Quell'essere orribile voleva prima uccidermi dentro, nella mente, ma non glielo avrei permesso.
Mi lasciò libero un polso, sapendo che non sarei riuscita comunque a sovrastarlo in uno scontro.
Gli posai una mano sul sedere, lo interpretò come un cenno d'assenso a farmi tutto ciò che voleva, così mi baciò con passione.
Con la mano viaggiavo, cercavo... e poi lo trovai, lo tirai fuori lentamente, in modo che non se ne accorgesse e feci scattare la lama.
Intanto aveva cominciato a sbottonare anche la camicia.
Eravamo sul bordo di una scogliera, dovevo scostarmi appena lo avessi colpito.
Portai la mano in avanti, tra me e lui, che non si era ancora accorto di nulla, e lo affondai con tutta la forza che avevo nella sua pancia.
Nei suoi occhi vidi qualcosa simile a tradimento, ma forse mi ero sbagliata. Fatto sta che non riuscii a scostarmi. Una parte di me era davvero affranta.
In un secondo riuscì a trascinarmi con lui. Sentii il vento passarmi tra i capelli e per un attimo mi sembrò la cosa più bella del mondo, la cosa più vicina al volare con le proprie ali.
E finimmo contro gli scogli di testa.
Ma non morimmo subito.
Vidi prima il suo braccio illuminarsi e cambiare numero, da 16 a 15... come me cambiava numero, che segnavano le vite possedute, solo che il suo era nero come la pece, come il buio.
Poi toccò a me, il 15 che si trasformò in 14, rosso fuoco.
Dovevo ricominciare tutto ancora. Che palle, pensai sconfortata.









Angolino Autrice:
Scusate l'assenza! :(
Proprio non riesco a trovare la testa per pubblicare o mettere mano ai miei lavori (infatti se trovate problemi su questo vi invito nuovamente a segnalarmeli).
Non riesco a trovare un equilibrio -per di più un po' la voglia mi è tornata in questi giorni quando avevo la febbre quindi nada T_T.
In ogni caso, scusate se non ho ancora risposto alle 7561765813 recensioni che con cuore mi avete lasciato, prima o poi risponderò a tutte! XD appena potrò farlo deganmente.
Spero che questo capitolo non sia insipido come lo è la mia mente in questo istante preciso! XD
Un grossissimo bacione <3
Juls


ATTENZIONE! Per contattarmi, tutti i miei dati sono sulla Bio del Profilo EFP! Grazie

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Capitolo 5
*** +Coma+ ***


Capitolo 6 - TS&TH
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-Coma-


Mosca, Russia
3 Giugno 2016

Mi sono appena svegliata. Non so perché ma un attimo prima stavo cadendo dalla scogliera e quello dopo mi stavo svegliando. Non ho nessun ricordo intermedio.
Questo non era possibile, dovevo essere rinata ed avere dei nuovi ricordi, no? A quanto pare sì.
Secondo quello che dicono i medici, posso supporre come sia andata, sì: mi hanno detto che ho 19 anni e sono in coma da tredici. Inquietante.
Non so dove sono, non conosco queste persone che mi stanno intorno e non ho la più pallida idea di che anno sia.
Lo stesso dottore mi ha anche detto che molto probabilmente il mio cervello ha rimosso tutti i ricordi antecedenti al mio coma, ed ecco spiegato il buco che esiste tra la mia vita precedente e questa. Amnesia.
I miei genitori si chiamano Jasper e Lucy, o così mi hanno detto, visto che non ho modo di confrontarli con i miei ricordi.
Però ricordo le mie vite passate. Questo è buono, vuol dire che quelle sono memorie più difficili da sradicare. Ne sono felice. Più o meno.
Ci ho messo un po' anche a ricordare la lingua, i primi due giorni ho parlato solo inglese. Hanno dovuto chiamare un interprete.
Il dottore mi ha detto che poteva essere stato a causa del coma, ma io so che non è così, è perché è l'ultima lingua che ho parlato.
Ho una sorella. È la prima volta che ne possiedo una ed è una sensazione, come dire, strana. Io in realtà non la conosco, ma non fa differenza, ha il mio sangue, e questo basta.
Ha un sorriso carino, in realtà nel complesso è carina. Ed è simpatica.
È nata due anni dopo di me e quindi abbiamo avuto un po di tempo per conoscerci ma non abbastanza. Mi ha raccontato vari aneddoti della nostra svagata infanzia. Mi piace, ma ho deciso che fra un mesetto me ne andrò.
Loro, i Cacciatori, hanno avuto molto tempo per cercarmi e io mi sono appena svegliata, senza ricordare assolutamente nulla. Dovrò imparare a difendermi. Dovrò ucciderli se non mi lasceranno in pace.
Ti starai chiedendo perché mi danno la caccia, mio caro nuovo diario, no? Semplice: perché siamo in guerra e loro pensano che sterminandoci, uccidendo il mio popolo, libereremo tutte le anime che “mangiamo” (cosa che in realtà non accade) quando ci “impossessiamo” di un corpo “non” nostro -o questo è quello che affermano nella Setta. In realtà poi, molti lo fanno per avere le vite, molti altri solo perché amano l'idea di poter uccidere altre persone, e anche più e più volte, in modi atroci. Sono pazzi. E se fosse solo questo il mio popolo potrebbe anche fregarsene. I problemi arrivano quando questi pazzi si organizzano e diventano pericolosi.
Hanno sbagliato tutto. Noi non rubiamo proprio nulla, i corpi sono nostri, come dimostra il fatto che non cambiamo mai aspetto, semplicemente noi abbiamo la facoltà di ricordare le vite passate.
Poi ovviamente ogni anima ha un suo numero di vite prestabilite, che rimangono visibili sul braccio, ogni persona ha i numeri di un colore diverso (tranne il nero, che indica che è una cosa artificiale), per i primi due giorni della prima vita, cioè quella con i genitori veri, coloro che hanno creato la tua anima. A volte succede, ma negli ultimi secoli le nascite di nuove anime stanno diminuendo.
E ovviamente moriamo anche, definitivamente intendo, quando abbiamo finito le vite, e andiamo...beh nessuno lo sa per certo, forse in un paradiso.
Certo anche gli umani hanno questi cicli, solo che lentamente hanno perso la capacità di vedere quei numeri sui neonati e di conseguenza anche i ricordi delle vite precedenti. Alcuni, più ricettivi e con nostro sangue meno diluito riescono ancora ad individuare minuscoli frammenti di vite passate. Ma spesso li scambiano per sogni.
A volte mi fanno pena.
In media un'anima nuova normale ha circa 80-90 vite, io sono nata decisamente povera, anzi pensavano che non ce l'avrei nemmeno fatta, ero data per spacciata.
Quando mi hanno messo nella culla avevo scritto sul braccio un misero 19. Due giorni dopo sono morta, come del resto pronostico. Sono un'anima giovane.
Mi ricorderò sempre i bei visi dei miei primi e veri genitori. Li ho amati tanto. Ma ormai sono morti.
I miei nuovi genitori mi hanno detto che una volta scrivevo un diario, così ho deciso di riprendere l'abitudine. Non l'ho mai fatto ed è stato un esperimento interessante. Ma non lo rifarò più.
Ci sono esseri umani che tentano di farci cose brutte per carpire i nostri segreti, pensando di poter vivere per sempre. Ma nessuno può vivere per sempre, è contro natura, e lei non perdona mai chi tenta di scavalcarla.

Chiusi il diario.
Rimasi un poco a contemplare lo spesso strato di neve che copriva i dintorni della casa e le lande.
Ero preoccupata. Sapevo che lui mi avrebbe trovata. Oh, al diavolo, tanto valeva chiamarlo per nome, ERIAM! Quello stupido essere che voleva tanto prendermi. E perché poi?! Non ero nemmeno nata da una linea di sangue particolarmente pregiata di Anime, anzi. E poi non ero nemmeno una delle prede più ambite, non avevo centinaia di vite! Tanto i Cacciatori avevano tempo per tormentarci, non invecchiavano mai. Eppure, nonostante nascessi sempre in luoghi diversi, lui mi trovava sempre, forse anche in quella landa desolata sarebbe riuscita a fare sua un'altra sua vita.
Chiusi gli occhi, stufa di questo continuo fuggi fuggi.
Misi il diario nuovo nello zaino e me lo caricai sulle spalle. Mi dispiaceva andarmene, ma ora più che mai ero affezionata a quella vita. Non volevo che me ne strappasse ancora. Io volevo vivere una vita normale, non tutte, me ne bastava anche solo una.
Mi toccai le labbra. Quanti baci mi aveva rubato!
Ero ancora seduta sul morbido letto, mi allacciai gli scarponi. Erano super-avanzati mega-galattici stivali che mi avrebbero fatta sopravvivere anche nella tremenda steppa russa.
Erano davvero amorevoli, si vedeva che mi volevano bene. Sentii una fitta di senso di colpa, che sparì quando mi ricordai che era solo per sopravvivenza. Mi dispiacque però. Avevano appena ritrovato loro figlia e questa se ne andava.
Versai solo una lacrima e poi, asciugatala, mi alzai per andare a salutare la famiglia che non mi ero mai goduta.
Stavano facendo colazione, tutti insieme, radiosi.
Quando mi videro si voltarono e il sorriso che avevano sulle labbra si smorzò, lasciando nei loro occhi solo dolore.
Mi trattenni, mostrando solo impassibilità, o non sarei più riuscita ad andarmene. Deglutii e cominciai a parlare. Avevo provato per un'ora per essere sicura di non avere perdite dai miei rubinetti negli occhi.
«Io... so che mi avete aspettata tanto e... ve ne sono grata, ma devo andare via. Devo farmi nuovi ricordi per ritrovare i vecchi e... stando in casa...non ci riuscirò.» piegai la testa in avanti «Vi voglio bene, davvero, so che ve ne voglio, ma... io voglio potervi ricordare, vedere come eravate, ripescare i nostri bei momenti.» alzai la testa e sorrisi.
Mia madre stava piangendo già dopo le prime cinque parole.
Mio padre, mi guardava, pallido, e con gli occhi lucidi.
Mia sorella -come suonava bene- mi guardava affranta.
Li abbracciai tutti, lentamente, uno dopo l'altro.
«Amore, prometti che torni presto e che mi scriverai...» disse mia madre.
«Promesso.» Com'era brutto mentire.
«Ti voglio tanto, tanto, tanto bene.» disse mia sorella, e mi strinse più forte, quasi volesse farmi sentire tutto ciò che pensava, tutto ciò che provava, passarmi tutti i suoi ricordi. E anch'io la strinsi per ringraziarla.
«Fa attenzione piccola mia» mi disse mio padre accarezzandomi i capelli.
Diedi un ultimo sguardo dietro di me e uscii di casa. Attraversai il prato innevato e mi diressi verso la fermata dei pullman. Sarei andata a nord da un vecchio amico.
Una persona che da secoli era in vita e che aiutava noi, anime perseguitate.
Sperando di arrivarci.









Spazio Autrice:
Scusatemi davvero davvero per questa lunghissima assenza! Non credo ci siano parole... *si prostra a terra aspettando di venir capestata*


ATTENZIONE! Per contattarmi, tutti i miei dati sono sulla Bio del Profilo EFP! Grazie

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