Pokémon: beyond the boundaries

di almost_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno: Risveglio ***
Capitolo 2: *** Capitolo due: Attesa ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre: Fiamme ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro: Decisioni ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque: Tenebre ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei: Partenza ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette: In Salita ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto: Cominciare ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove: Turbamenti ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci: Confronti ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici: Notte ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno: Risveglio ***


N.B. questa fan fiction è da considerarsi come seguito delle serie Pokémon precedenti, fatta eccezione per “Bianco e Nero”, che considero come serie a parte e della quale non saranno presenti riferimenti di alcun tipo.
 
 

Capitolo uno: Risveglio

 
Quella mattina la collina era spazzata dal vento.
Una donna la stava risalendo a fatica, premendosi forte sul collo lo scialle di stoffa spessa. Lanciò uno sguardo preoccupato in direzione del bosco alle sue spalle, le cui fronde ululavano impetuose. Vicino a lei un piccolo Pidgey sbatteva faticosamente le ali per non essere spazzato via. Era ancora buio, ma il cielo stava cominciando a tingersi di rosso e presto, sperava la donna, sarebbe spuntato il sole.
Con un ultimo, lungo sospiro giunse in cima alla collina, sul dorso della quale suo marito era già intento a curare il loro orto, per limitare i danni che quelle forti correnti avrebbero potuto causare.
«Hiroshi!» lo chiamò a gran voce, per sovrastare il fischiare del vento.
L’uomo sollevò il volto, mostrando gli occhi piccoli e scuri ancora appannati dal sonno e una folta barba dorata. Era forte, ben piantato, con i muscoli pronunciati e tesi a lottare contro le raffiche impetuose.
«Azumi! Non è un po’ presto per te?» gridò in risposta alla moglie, dopo averla riconosciuta.
«Kaede è sparito! L’ho chiamato per la colazione, ma in camera sua non c’era! L’ho cercato dappertutto, non riesco a trovarlo! Mi farà impazzire quel ragazzo!»
Hiroshi ridacchiò davanti alla preoccupazione della donna.
«Cos’hai da ridere a quel modo? Sai che sono tempi duri, questi! Se si fosse cacciato in qualche guaio? È ancora buio, potrebbe essersi perso!»
«Stai tranquilla, Azumi, l’ho incrociato appena alzato che stava andando al dojo con Satoru e Aruya; sai come è fatto, quando si mette in testa qualcosa non ci si può far nulla. Lascialo fare e riposati, qui ci penso io.»
La donna sospirò, stringendosi addosso lo scialle per proteggere la gola. Pidgey le svolazzava attorno, felice di vederla sollevata. Kaede era ingenuo e cocciuto, e quando la faceva stare in pensiero a quel modo era tutto figlio di suo padre…


«Kyaaaa!»
Una ragazzina dai corti capelli color carota piombò a terra con un tonfo sordo.
«Kaede, maledetto, mi hai fatto male!» protestò, rialzandosi agilmente e massaggiandosi il fondoschiena indolenzito, per poi agitare i pugni contro un ragazzo mingherlino, con grandi occhi nocciola e i capelli color del grano.
«Scusa, Aruya! La prossima volta starò più attento, te lo prometto!» rispose lui, passandosi una mano dietro alla nuca.
«Certo che dovrai stare più attento, perché sarò io a buttarti per terra! L’avrei fatto anche stavolta, se non avessi barato…»
«Ah, sì? E come avrei fatto, sentiamo!»
«Ehi, fate meno baccano voi due.» Un terzo ragazzo, con un ginocchio poggiato sul pavimento morbido, interruppe la nuova forma di karate che stava imparando. Si sollevò lentamente, sistemandosi il kimono. Era più alto e robusto di Kaede, con occhi azzurri uguali a quelli di Aruya, ma capelli rossi privi delle striature dorate della ragazza e più tendenti al vermiglio. «Durante i combattimenti ci si deve concentrare.»
«Per te parlare è facile, Satoru, sei il migliore qui» disse Kaede, sorridendo e asciugandosi il sudore dalla fronte.
«Comunque non sei giusto, fratellone, è stato Kae a cominciare!» protestò Aruya.

Il dojo era immerso nella quiete della prima mattina, vuoto tranne che per i tre ragazzi, che avevano fatto di quella stanza raccolta e spoglia la loro fuga dalla realtà.
Era lì che si erano conosciuti i due fratelli Takeo e Kaede, quando erano poco più che infanti, e da allora erano stati inseparabili.
Avrebbero continuato ad allenarsi in solitudine, in comunione gli uni con gli altri, ancora per molto, se non fosse stato per un rumore lontano di passi e uno sbadiglio, a cui seguì logicamente l’entrata di un uomo alto e calvo, che i tre conoscevano bene. Dietro di lui si stagliava scuro e minaccioso il profilo del suo Hitmonlee.
«Eccovi, furfanti!» esclamò, sospirando. «I vostri genitori sono preoccupati, vi stanno cercando. Insomma, venire al dojo a quest’ora del mattino. Come avete fatto ad entrare? Lasciamo perdere. Tornate subito alle vostre case, e ripresentatevi ad un orario decente.»
I tre ragazzi salutarono rispettosamente chinandosi in avanti e pronunciando all’unisono: «Ci perdoni, sifu Isao, siamo profondamente pentiti!»
«Va bene, va bene, ma che non si ripeta.»

Dopo essersi cambiati uscirono dalla palestra, notando che le raffiche dell’alba erano ormai divenute una piacevole brezza e il cielo era rischiarato. I negozi cominciavano ad aprire, le vie del paesello si riempivano di persone e Pokémon a piedi o in bici, e dalla pasticceria della madre di Aruya e Satoru già arrivavano le prime zaffate di caldo profumo di leccornie.

«Secondo me il sifu se la prende troppo» commentò Aruya, sommessamente.
«Siete voi che siete troppo piccoli e non abbastanza forti: fossi stato da solo magari mi avrebbe lasciato allenare.»
«Eppure, Satoru, sei stato tu a chiederci di venire con te.» 
Il rosso sorrise, ammettendo la sua colpa davanti al biondo.
«E poi sei solo un anno più grande di noi» notò la sorella.

Un Pichu correva sul bordo del marciapiede e per poco Kaede non lo calpestò.
«Quasi dimenticavo!» esclamò poi. «Mio fratello Tadashi è riuscito ad evolvere il suo Shinx in un Luxio proprio ieri sera.»
«Non ho mai visto un Pokémon evolversi» disse la ragazza.
«Nemmeno io, Tadashi ce l’ha solo raccontato ieri a cena. Papà gli ha detto che è stato bravo, mamma invece non era tanto contenta. Secondo lei è meglio non avere troppo a che fare con i Pokémon, di questi tempi.»
«Anche nostra madre dice così» aggiunse Satoru, serio. «Dice che qui a Borgo Silvano siamo gli ultimi della regione di Kérehon che continuano ad allenare Pokémon, e che è soltanto perché siamo un piccolo villaggio che non dà nell’occhio che non passiamo guai. Che stupidaggine, sottrarre i Pokémon alle persone.»
«È una cosa disgustosa!» commentò Aruya. «Ormai io e Kaede abbiamo tredici anni, e tu addirittura quattordici, fratellone! Eppure non ci hanno ancora dato il nostro primo Pokémon, e non siamo ancora partiti. Tutto per colpa di quel maledetto…»
«Abbassa la voce!» le intimò Satoru. «Se urli contro al Tiranno ci guarderanno tutti, non facciamoci notare.»
La strada, infatti, era piena di passanti frettolosi. Affamati, i tre decisero di far colazione nella pasticceria della madre dei fratelli.
«Tadashi mi ha detto anche» cominciò Kaede prima d’entrare, con aria assorta, facendo voltare gli amici davanti a lui. «Che lavorare al laboratorio del professor Oshizami sta diventando pericoloso. Stanno facendo ricerche su un tema molto delicato, pare, e se lo si venisse a sapere a Kérehon potrebbero passare guai seri. Mia madre vorrebbe che lui lasciasse il suo posto di assistente. Ma lui non ha intenzione di arrendersi.»
«Fa bene, secondo me» approvò Satoru.
«Mi piacerebbe sapere di cosa si tratta!» esclamò Aruya. «Vorrei tanto diventare anch’io assistente del professore…»
«Eppure pare che Oshizami non voglia più dare Pokémon ai ragazzi, proprio perché è diventato troppo pericoloso» spiegò Kaede, imbronciato, mentre prendevano posto ad un tavolo vicino al bancone.
Il locale era quasi vuoto e l’odore di ciambelle calde riempiva l’aria.
La madre di Aruya e Satoru era molto giovane, e aveva i loro stessi capelli rossi. Era rimasta vedova molti anni prima, e da allora badava ai bambini e alla pasticceria senza l’aiuto di nessuno.
In poco tempo fu da loro col suo solito sorriso.
«Buongiorno ragazzi! Aruya, Satoru, se proprio volete uscire all’alba senza avvertire abbiate almeno l’accortezza di rifarvi i letti… E insomma, Satoru, non ti sei nemmeno pettinato!»
«Mamma! Non ci sgridare davanti a Kaede!» protestò Aruya, mentre il fratello si arruffava ancor di più i capelli rossi e ribelli. Il biondo ridacchiò.
«Molto bene, se non avete bisogno di me e dei miei rimproveri allora non avete neanche bisogno dei miei dolci, non è vero?» La donna incrociò le braccia e alzò il mento, vittoriosa.
«Scusaci mamma, saremo rispettosissimi e non ti daremo fastidio mai, mai, mai più!»
Guardò i figli di sottecchi, dall’alto in basso, poi il suo volto si addolcì e disse con un sorriso: «Uhm, così va meglio. Porto come al solito il ventaglio alla vaniglia per Aruya, la ciambella al cioccolato per Satoru e il cornetto alla crema per Kaede?»
«Magari!» esclamarono il biondo e la ragazza.
«Ehi, io muoio di fame, ho bisogno di almeno tre ciambelle al cioccolato giganti» disse Satoru.
«Ma insomma, non è un po’ troppo?»
«Poche storie donna, devo crescere, io.»
La madre scosse la testa rassegnata dirigendosi in cucina, dove un Chansey l’attendeva per aiutarla ai fornelli. Il figlio era capace di mangiare per almeno quattro persone, e per placare il suo appetito si trovava a fare la spesa quasi ogni giorno. Il fisico slanciato e muscoloso del ragazzo, poi, metteva a tacere ogni suo consiglio sul tentare di limitarsi.

«Sai Kaede, diventerò molto più forte di te, a karate, e ti batterò senza esitare» disse a un tratto Aruya, sgranocchiando il suo ventaglio alla vaniglia.
«Finora non è mai successo. Siamo sempre in parità. Il sifu dice che quando combattiamo abbiamo un equilibrio perfetto.»
«E infatti è per questo, no? Io e te siamo rivali, e un giorno capiremo chi è più forte.»
«Va bene allora, ma non pensare che ti lascerò vincere così facilmente.»
I due si sorrisero, complici della sfida appena lanciata. Satoru sbuffò, divertito, con le guance piene di ciambelle al cioccolato, sapendo di essere molto più abile di entrambi.
In quel momento la porta cigolò, per aprirsi e richiudersi lentamente. Apparentemente sembrava che nessuno fosse entrato, ma poi da sotto al tavolo dei ragazzi fece capolino un Pokémon di forma simile a un gatto, con grandi occhi scuri, le orecchie larghe e appuntite, il pelo color smeraldo più folto e scuro sul collo e all’attaccatura della coda, che partiva slanciata e sottile per poi biforcarsi alla fine.
«Nekochi*!» esclamò Kaede, riconoscendo il Pokémon con cui aveva vissuto fin da bambino. Difatti non era della sua famiglia, eppure era sempre vissuto nel loro orto, tenendo compagnia ai genitori e ai piccoli durante il lavoro. Li seguiva spesso, Kaede in particolar modo. Dopo aver strofinato il muso sulle ginocchia del ragazzo, Nekochi spalancò la bocca e i suoi denti piccoli e affilati consegnarono nelle mani di Kaede un foglietto di carta stropicciato.
«E questo?»
I ragazzi si strinsero attorno al biglietto, curiosi.

“A Kaede – e ai tuoi amici, con cui non ho dubbi che ti trovi -
Vorrei che oggi mi raggiungeste a Bosco Smeriglio, vorrei mostravi una cosa. Non parlate con nessuno, venite dritti da me.
Tadashi” 
 

*Pokémon inventato da me. Possiamo considerarlo della “settima generazione”, volendo.
NOTE DELL'AUTORE
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, è la prima fan fiction che provo a scrivere nel fandom di Pokémon. È un capitolo puramente introduttivo e mi auguro di non avervi annoiato, la storia “prenderà piede” per davvero soltanto dal secondo.
Sono graditissimi consigli, pareri e, ovviamente, critiche. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, perché è una ff in cui sto riversando molte energie.
Al prossimo capitolo,
Almost_k

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Capitolo 2
*** Capitolo due: Attesa ***


 -Un ringraziamento speciale a Blue Eich, che mi indirizza sulla retta via sorbendosi con grande pazienza tutto ciò che scrivo in anteprima-
 
 
 

Capitolo due: Attesa

 
«Chissà cosa vorrà farci vedere tuo fratello, Kae… Sono emozionatissima!»
Aruya, Satoru e Kaede, ricevuto il biglietto di Tadashi, non avevano perso tempo e si erano subito messi in marcia verso il luogo dell’appuntamento: Bosco Smeriglio. Camminavano da una mezzora per le stradine di Borgo Silvano, con gli animi in fermento.
«Tu non sospetti niente?» chiese Satoru all’amico.
«E chi lo sa» fece quello, pensieroso. «Tada non lo si capisce mai… Previdente com’è non sarà di sicuro nulla pericoloso, però.»
«Non sarebbe bellissimo se il professor Oshizami avesse finalmente deciso di darci i nostri primi Pokémon?» Aruya era la più entusiasta di tutti, ma a quelle parole sue fratello sbuffò, ricordando tutte le volte che i tre amici erano stati cacciati a male parole dal suo laboratorio a causa delle loro insistenti richieste.
«Non fantasticare troppo, tu. Mamma ne brontolerebbe per mesi. E dubito che il professore darebbe un Pokémon da allenare ad una bambinella come te.»
La ragazza mise il broncio e, incrociando le braccia indispettita, bofonchiò: «Guarda che non sarebbe affatto strano! Tra poco compirò tredici anni, io.»
Dal canto suo, Kaede moriva dalla curiosità e doveva trattenersi per non affrettare troppo il passo e aspettare gli amici. Ammirava molto suo fratello Tadashi, ma raramente lui l’aveva coinvolto in uno dei “misteri” con cui si confrontava quotidianamente.
La possibilità che gli venisse affidato il suo primo Pokémon, poi, lo mandava in fibrillazione. Per tutta la vita aveva sognato di diventare allenatore e lasciare Borgo Silvano, e a lungo aveva fantasticato sulle sue avventure oltre le colline e i boschi ben conosciuti, aldilà dei quali non si era mai spinto. I vicoli raccolti del paese, le foreste brune e fresche e il laghetto dove suo padre andava a pescare: quella era tutta la sua realtà.
Che da quel giorno potesse cambiare qualcosa?
Passando accanto a casa sua si rammentò di non avere con sé una cosa assolutamente necessaria, e salendo di corsa su per le scale urlò ai due fratelli: «Aspettatemi un momento solo, torno subito!»
Aruya e Satoru non ebbero neanche il tempo di stupirsi, che il loro amico stava già precipitosamente ruzzolando giù dalle scale, con un quaderno di appunti e una matita stretti tra le mani.
Il rosso scosse la testa divertito e la ragazza esclamò: «Ah, ecco cos’era che dovevi prendere! Non riesci proprio a separarti da quella roba, eh?»
«Certo che no! Se dovessimo scoprire qualcosa di emozionante non mi perdonerei mai di non aver immortalato il momento!» spiegò Kaede, con un sorriso a trentadue denti, mettendo i preziosi oggetti nello zaino e riprendendo la sua frenetica marcia a capo dei tre.
Era molto affezionato al suo quaderno da disegno: vi raffigurava ogni cosa che lo colpisse, in particolar modo i Pokémon che incontrava, e col tempo stava diventando sempre più abile e fine con i suoi tratti veloci e precisi.



La luce filtrava appena dalle ampie fronde scure che si aprivano sopra di lui. Poteva udire stormi di Pidgey e di Starly vociare allegri tra i rami, accompagnando il canto dolce del fiume lontano. L’autunno era alle porte, e già le prime foglie rosse si staccavano, morte, dai loro alberi, per andare a formare uno scricchiolante tappeto colorato sul suolo umido e fangoso.
Tadashi lasciò che una brezza delicata gli andasse a scompigliare i lunghi capelli castani, mentre si premeva sul naso fino gli occhiali rettangolari, che parzialmente coprivano i suoi occhi, verdi come le chiome degli alberi ch'erano intenti ad ammirare.
Era alto, per i suoi diciassette anni, eppure si sentiva minuscolo, avvolto nel suo camice bianco da laboratorio, in confronto alle sequoie svettanti oltre il suo sguardo. Camminava tranquillo nella quiete della natura, mentre un Luxio lo seguiva, silenzioso. Magro e col volto affilato, la figura di Tadashi era esile, ma bastava guardarlo negli occhi per comprendere l’intensità e la forza che possedeva. Le sue mani lunghe e curate sollevarono un piccolo orologio: era già da un’ora che aspettava, Kaede avrebbe fatto meglio a sbrigarsi, o non sarebbe arrivato in tempo…



«Ehi, voi tre!»
Satoru, Aruya e Kaede erano appena giunti di corsa al recinto che segnava l‘ingresso al bosco, quando si fermarono bruscamente, per poi voltarsi.
A chiamarli era stato un giovane robusto e bellissimo, con intensi occhi blu incorniciati da capelli mossi e neri, che li scrutava con un sorriso beffardo. Il camice bianco lo contraddistingueva come assistente del Professor Oshizami, e un Poochyena ringhiava minaccioso al suo fianco.
«Dove credete di andare?»
«Al bosco, a fare una gita» risposte senza esitazione Satoru, in tono di sfida.
«Beh, non è posto per i mocciosi, questo. Il professor Oshizami per oggi ha intenzione di compiere degli studi speciali in un’area particolarmente interessante…»
«Vorrà dire che staremo attenti a stare alla larga da quest’area così interessante» ribatté Kaede.
Il ragazzo accarezzò il suo Poochyena e reclinò il capo, sogghignando con le labbra carnose in un modo che non prometteva nulla di buono. Era Ichirou, un ricco figlio di papà: un tempo la sua famiglia gestiva la produzione di Poké Ball, e le poche presenti al villaggio erano fornite da loro. Il suo talento negli incontri Pokémon, poi, dava ulteriore adito alla sua arroganza, e spesso si divertiva a stuzzicare i tre ragazzi.
«Non credo di poter correre il rischio di lasciarvi andare, mi spiace.»
Già gli amici digrignavano i denti, impotenti, quando una giovane alta e formosa corse loro incontro, con i vaporosi capelli turchini svolazzanti, anche lei in camice bianco.
«Ichirou!» chiamò, sorridendo e agitando un braccio. «Non c’è problema: Tadashi ha chiesto un permesso ad Oshizami per far assistere i bambini all’esperimento!»
Subito il ragazzo cambiò atteggiamento, passandosi una mano tra i capelli, e storcendo la bocca sibilò: «Per stavolta vi è andata bene; vedete di sbrigarvi.»
Kaede, Satoru e Aruya non se lo fecero ripetere due volte e, nonostante fossero risentiti dall’essere stati appellati “bambini”, si affrettarono ad inoltrarsi nel bosco.
«Ichirou è un bastardo antipatico e viziato» sputò Aruya, arrabbiata.
«I tipi come lui è meglio lasciarli perdere. Fa tanto il figo, ma è prepotente solo con chi non ha modo di difendersi. È un codardo. Ama metterci nei guai da sempre, ma un giorno, se lo becco senza il suo Poochyena, gli faccio vedere io…» Satoru pareva estremamente serio, stringendo i pugni a quel modo e mostrandosi in tutta la sua minacciosa statura. Nonostante Ichirou avesse superato i diciotto anni, il rosso sarebbe stato tranquillamente in grado di batterlo in un combattimento aperto.
«Quando avremo i nostri Pokémon non ci sarà bisogno di prendersi a botte, lo batteremo in una sfida a modo suo» notò Kaede, sorridendo. «Meno male che è intervenuta Nivene, oggi…»
Aruya storse il naso.
«Fa sempre la maestrina, quella!»
«Perché è molto intelligente!»
«Non è vero, la difendi solo perché ha un seno grande! Voi maschi mi fate schifo.»
A fermare il litigio tra i due, intervenne la figura lontana di Tadashi, che assieme al suo Luxio stava venendo loro incontro.
«Eccovi, finalmente! Come mai ci avete messo tanto?»
«Ichirou ci ha intralciati» spiegò Satoru, sbuffando.
Tadashi si sfregò il mento, imbarazzato. «Scusatelo. Dà fastidio a voi solo per fare dispetto a me. Sono stato più veloce di lui nell’evolvere il mio Pokémon e non l’ha presa bene.»
«Se lo merita, quell’arrogante!» esclamò Aruya «E tu sei stato bravissimo, Tada!»
«Grazie, ma adesso non c’è tempo da perdere. Seguitemi.»
Detto questo fece rientrare il suo Luxio nella Poké Ball e cominciò a far strada tra le altre sequoie, inoltrandosi sempre di più nel fitto bosco.
«Dov’è che ci stai portando, fratellone?» chiese Kaede, mentre un Butterfree selvatico gli ronzava sopra alla nuca.
«Aspetta e vedrai, fratellino.»
«Ichirou ci ha detto che il professor Oshizami voleva compiere uno studio su un’area del bosco. Si tratta di questo?» s’informò Satoru.
«Beh, in effetti è così. Devo ammettere che io stesso ero contrario a portarvi, perché è uno studio molto delicato. Ma è stato il professore ad insistere, deve avervi presi in simpatia.»
«O magari si è accorto della nostra incredibile intelligenza e presto ci darà dei Pokémon!» suggerì Aruya con trasporto, rischiando di inciampare subito dopo in una radice.
«Non sperarci troppo.» Tadashi sorrise «Il professore sarebbe felice di accontentarvi, ma di questi tempi non sono decisioni da prendere alla leggera, se il Tiranno ne venisse a conoscenza… Ah, eccoci arrivati!» Si fermò all’improvviso, davanti ad un cespuglio particolarmente largo e folto.
«Ma cosa…?» cominciò Kaede, perplesso.
Tadashi scostò rami e foglie dell’arbusto, in modo tale da scoprire un’entrata bassa e stretta tra le piante, grande appena quanto bastava perché vi passassero uno per volta.
«Andate» li incoraggiò.
Uno dopo l’altro la attraversarono, Satoru con qualche difficoltà, e si ritrovarono in una piccola radura circondata dagli alberi, le cui fronde si univano da una parte all’altra di essa, tanto estese da oscurare il sole.
Quando Tadashi li raggiunse, li trovò basiti e con le bocche spalancate: nell’oscura penombra, dei grandi massi emanavano un bagliore violaceo e si sollevavano da terra come per magia. Alcuni, a mezz’aria, si frantumavano in mille piccoli frammenti che ricadevano sul suolo erboso. I rumori della foresta, il canto dei Pokémon e lo stormire del vento tra gli alberi, sembravano non toccare quel luogo, avvolto nel silenzio e nella quiete.
«U… Uwaaaaa!» esclamò Aruya, incantata.
«Ma… Come è possibile?» chiese Satoru, con le pupille dilatate tanto da inghiottire le iridi chiare.
Kaede aveva già tirato fuori il quaderno da disegno, e raggomitolato in un angolo d’erba correva veloce con la matita sul foglio.
«Non lo sappiamo ancora» rispose Tadashi, con le sopracciglia inarcate. «Il professore mi ha incaricato di scoprire di più sul fenomeno. Ha detto che farmi accompagnare da qualcuno mi avrebbe aiutato a riflettere. Più apprendo i metodi di quell’uomo, più mi lasciano sorpreso…»
«È bellissimo» sussurrò il fratello minore, alzando gli occhi dal quaderno.
«Sì, lo è. Si presenta solo di prima mattina. E la cosa più interessante è che l’energia che muove queste pietre sembrerebbe la stessa prodotta dai Pokémon.»
«La stessa energia dei Pokémon?» ripeté Aruya, basita.
«Esatto. È possibile che i Pokémon producano energia in eccesso durante la notte, che la foresta accumula e libera a questo modo. È una ricerca estremamente importante, e potrebbe essere connessa ai nostri studi…»
«Di quali studi parli?» lo sguardo di Satoru era determinato, ma Tadashi esitò.
«Non siamo più bambini, vogliamo saperlo!» proruppe Kaede «Cosa fai quando ti chiudi al laboratorio? Perché siete tutti sospettosi, costantemente? Perché il Tiranno non deve venire a conoscenza dei vostri studi? E perché sottrae i Pokémon agli esseri umani?». Le curiosità erano tante, e troppo delicate per essere soddisfatte.
Tadashi abbassò lo sguardo. Quei tre non si sarebbero arresi facilmente, ma sapeva di non poter rivelare le ricerche del professore. Dei ragazzi si fidava, ma era consapevole che si trattava di argomenti talmente pericolosi che anche solo esserne a conoscenza diventava una minaccia.
Prima che potesse trovare un modo per rispondere e placare i loro animi, si udirono delle grida lontane. Tadashi sollevò il volto e tutti tesero le orecchie. 
I massi tremarono e caddero assieme a terra, privi del bagliore violaceo che li avvolgeva fino a poco prima. Kaede ripose in fretta nello zaino il quaderno da disegno e si alzò, sentendo il cuore battere violentemente nelle orecchie. Cos’era quella sensazione? Paura?
I quattro si allontanarono dalla radura, correndo freneticamente verso l’uscita del bosco. 
Le urla si facevano più forti.
Da lontano, oltre le cime degli alberi, scorsero fiamme e fumo nero salire a spirali a sporcare il cielo chiaro. L’aria si fece acre. 
«Vie-viene… Da Borgo Silvano…» mormorò Aruya.
Gocce di gelido sudore scesero lungo la schiena di Kaede.
«Il villaggio.» Lo sguardo di Satoru era lontano. «…Stanno bruciando il villaggio!»
 

 
NOTE DELL’AUTORE
Grazie a tutti coloro che hanno letto il secondo capitolo; spero vi sia piaciuto, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, sia di come la trama sta evolvendo sia dei personaggi.
Un ringraziamento particolare a Blue Eich e ad anonymous_prongs che hanno recensito il primo capitolo.
Ho molte incertezze sul mio modo di scrivere, essendo questa la prima long che pubblico, ma spero di riuscire a proseguire ad aggiornare con costanza evolvendo al meglio la trama che ho in mente.
Grazie in anticipo a tutti coloro che vorranno lasciarmi una loro opinione.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo tre: Fiamme ***


-Un’altra dedica speciale a Blue Eich, che continua gentilmente a supervisionare il mio lavoro-
 

 

Capitolo tre: Fiamme

 
Le fiamme divampavano ovunque l’occhio potesse scorgere.
Urla, grida, paura.
Né sole né cielo erano più visibili, e una spessa patina scura di fumo inglobava quel che restava di Borgo Silvano.
Morte.
Distruzione.
Il Centro Pokémon in macerie, così come la Scuola e il Municipio.
Le case in cenere.
Aruya gridò, mentre grosse lacrime le appannavano la vista.
Il respiro di Satoru era affannoso, pareva quasi un animale in gabbia, ferito, con lo sguardo pieno d’odio che cercava una via di fuga, o il colpevole di quel crimine spaventoso.
Kaede non riusciva più a respirare. Tutto attorno a lui appariva talmente irreale da fargli pensare di trovarsi in un brutto sogno. Lo zaino gli scivolò dalle spalle, mentre si lanciava in corsa verso la porta di pietra d’entrata al paese, in parte distrutta anch’essa. Sarebbe riuscito a superarla, se Tadashi non l’avesse agguantato, stretto forte nonostante il suo dimenarsi, e non l’avesse trascinato lontano.
«Dobbiamo… Dobbiamo andarcene di qui!» ansimò, trattenendo a fatica il fratello.
Infatti, quella situazione incomprensibile, immersa in una quiete agghiacciante, non era durata a lungo: già si udivano nuove urla, e in lontananza alcuni Tyranitar agitavano le code massicce, devastando, mentre dei Charizard alimentavano il fuoco con i loro Lanciafiamme.
Satoru afferrò per un braccio Aruya e si mise in spalla lo zaino lasciato cadere da Kaede, ancora in preda al panico; poi assieme a Tadashi corse nuovamente verso il bosco, senza voltarsi, senza timore. Ma con gli occhi pieni di lacrime.
Superarono un’alta siepe, al sicuro tra gli alberi e circondata da arbusti.
Il rosso, affannato, dovette tappare a forza la bocca dell’amico, per nascondere le urla che altrimenti li avrebbero fatti scoprire. 
Aruya si reggeva la testa fra le mani tremanti. Ogni respiro le pareva una coltellata.
Tadashi si assicurò che i ragazzi fossero ben nascosti tra le piante. Poi si sporse oltre il loro rifugio, per osservare ancora una volta il massacro in corso. 
Prendendo un profondo respiro, si voltò verso Satoru. «Li proteggerai tu, giusto?»
Non era una domanda, nonostante suonasse come tale, e il rosso, annuendo con le pupille dilatate, nelle quali si riflettevano alte e spettrali le fiammate lontane, capì che non avrebbe potuto fare nulla per fermarlo.
“Speriamo solo che l’incendio non arrivi fino al bosco.”
Luxio uscì dalla Poké Ball di Tadashi e con lo stesso coraggio allenatore e Pokémon si lanciarono tra le fiamme divampanti.
«Tadashi!» Satoru non riuscì a trattenere l’urlo di Kaede, che da terra protese una mano nel vuoto, quasi a voler raggiungere suo fratello.
L’ultima cosa che Kaede udì, prima di perdere i sensi, fu il crepitare violento del fuoco, macabro sottofondo ai ruggiti dei Tyranitar e dei Charizard e alle grida disperate degli abitanti di Borgo Silvano.


Tosse secca e spezzata accompagnata da forti colpi sulla schiena. Il mondo apparve come una massa informe di colori sfocati, a Kaede, appena socchiuse le palpebre pesanti. Si portò una mano alla testa: il dolore lì era tanto forte che gli pareva potesse esplodere da un momento all’altro. Stordito, tentò d’alzarsi, ma delle mani ferme gli impedirono di perdere l’equilibrio e lo fecero stendere nuovamente.
«Piano, Kaede.»
I contorni si delinearono e poté riconoscere il viso provato e stanco di Satoru.
L’aria era acre, fuligginosa, e scendeva ruvida fino ai suoi polmoni.
«Come stai?» Riconobbe anche il profilo preoccupato di Aruya, ma i suoi occhi erano così spenti che quasi non pareva lei.
«I-Io…» Fece un colpo di tosse. La sua voce era roca, e soffiarla fuori dalle labbra gli sembrava una fatica mastodontica. «Bene, credo.» Lentamente riuscì ad alzarsi.
Il bosco era buio, doveva essersi fatta sera. Oltre agli arbusti, le macerie e i resti inceneriti di ciò che era stato Borgo Silvano erano le ultime testimonianze che gli avvenimenti di quella mattina non erano stati solo un incubo. Il fumo denso e grigio, ricordo delle fiamme, saliva in spirali fino al cielo. Distolse lo sguardo, sentendo una fitta proprio al centro del petto.
Il suo mondo era stato distrutto.
Cosa ne era, di lui, una volta che tutto quello che l’aveva da sempre circondato crollava?
«Kaede, sei sveglio.»
«Tadashi!» Vedere la sagoma magra di suo fratello venire verso di lui fu come prendere una boccata d’aria fresca.
Il camice del ragazzo era sporco e strappato, gli abiti si erano anneriti e i capelli sempre ordinati erano arruffati. Sulle braccia e sul viso aveva riportato tagli e graffi, alcuni dei quali sarebbero divenuti cicatrici. Però stava bene, ed era quello l'importante.
«Cosa… Cos’è successo?»
Il fratello abbassò lo sguardo.
Si voltò verso i suoi amici, affamato di spiegazioni. Esitarono, e le parole morirono loro in gola.
«Aruya… Satoru…»
Nessuno sembrava in grado di trasmettere quel peso, farlo gravare anche su di lui.
Il labbro gli tremò. Non avrebbe pianto.
Non avrebbe pianto. Si passò una mano sugli occhi. Non poteva lasciare che lo si abbattesse così, il bisogno di sapere era più forte della paura.
«Ditemi cos’è successo!» esplose.
Il fratello e gli amici alzarono gli occhi, al tempo stesso stupefatti e addolorati, ma ancora una volta non risposero.
«E che palle! Te lo spiegherò io, moccioso, dato che questi codardi non si sentono all’altezza.»
A parlare era stato Ichirou, appoggiato ad un albero dietro Kaede. Il ragazzo sobbalzò, non avendolo notato.
Come Tadashi, anche lui era coperto di fango e fuliggine e i suoi abiti erano strappati e bruciati agli orli. Il suo volto emanava lo stesso fascino distratto di sempre, nonostante i capelli spettinati e le macchie di sangue.
«Gli scagnozzi del Tiranno, quegli stronzi, hanno distrutto Borgo Silvano.»
«Sono riusciti a fuggire prima che potessimo fare qualsiasi cosa» aggiunse Tadashi, cupo. «Ma anche raggiungerli non sarebbe servito a nulla: erano troppi.»
«Ma… I Pokémon… Avevano dei Pokémon, con loro» mormorò Aruya. «Il Tiranno non li ha sottratti a tutti gli allenatori?»
«Certo, ma quel bastardo non è stupido. Alle sue guardie ne è concesso uno a testa, per “mantenere l’ordine e assicurare la giustizia”.» Ichirou sbuffò. «Vengono usati come armi da combattimento.»
Una collera sorda cominciò a insinuarsi in Kaede. Come si potevano condannare i Pokémon ad un destino simile?
«Sono riuscito a salvare il tuo quaderno, Kae.» Satoru gli porse gentilmente lo zaino, contenente il suo tesoro più prezioso. Lo strinse con un mezzo sorriso, sussurrando un «Grazie» dal sapore agrodolce.
«E… tutti gli altri?» chiese poi, con voce tremante.
«Molti si sono messi in salvo sul traghetto a vapore che risale il fiume. Hanno cercato rifugio tra le montagne. Mamma e papà dovrebbero essere tra loro, Kae: la collina è lontana dal paese, si saranno subito accorti che qualcosa non andava» spiegò Tadashi.
Kaede sospirò di sollievo, ringraziando il cielo e le stelle per quella fievole speranza.
«Molti altri, però, non sappiamo che fine abbiano fatto» disse Aruya. «Probabilmente, sono stati tanti i…»
«…Morti» terminò Ichirou. «Io stesso ho scorto il corpo dell’infermiera Joey sotto le macerie del Centro Pokémon, che…»
«Non è necessario aggiungere altro!» lo fermò Tadashi, duramente. Il collega alzò il mento con arroganza, quasi a volerlo provocare.
«Il vero guaio è che gli scagnozzi del Tiranno hanno rapito il professor Oshizami» continuò Satoru.
«Con tutta l’esperienza che ha, non pensavo che quel vecchiaccio sarebbe caduto nelle loro mani così facilmente» commentò Ichirou.
«Smettila di fare lo strafottente e porta rispetto per il tuo maestro!» s’infuriò Satoru, mettendo l’altro a tacere. «Anche Nivene si è salvata: sta cercando superstiti e controllando se è rimasto qualcosa di utile» spiegò poi. «La stiamo aspettando da un po’.»



I minuti divennero ore, che parvero giorni e vite intere.
Kaede si era un poco tranquillizzato nel sapere che probabilmente la sua famiglia stava bene, ma un tormento angoscioso e straziante gli montava nel petto non appena chiudeva gli occhi e tornavano chiare e prepotenti davanti a lui le immagini di Borgo Silvano devastato.
Era tutta colpa del Tiranno. La fama oscura di quell’uomo gli aveva sempre incusso timore, ma era una preoccupazione lontana, quasi fittizia. Le minacce sul suo conto non gli erano mai parse vere, e in qualche modo provava pietà per quell’individuo solo, privo di amore e di Pokémon. Adesso, erano rimasti solo odio e collera. 
Per passare il tempo, Kaede prese a sfogliare il suo quaderno da disegno. La nostalgia era forte nel veder raffigurati dal suo tratto incerto la pasticceria della madre di Satoru e Aruya, il dojo dove si allenavano, la sua camera calda con il piccolo Nekochi steso sul suo letto, quella volta che era riuscito a seguirlo fino a casa…
Nekochi, chissà che fine aveva fatto. Il dolore tornò, assieme al timore che potesse essere capitato qualcosa al suo amico Pokémon. Erano legati fin da quando era bambino, e l’aveva perso di vista proprio quella mattina. Se solo fosse venuto con loro nel bosco…
A distoglierlo da quei pensieri, arrivò lo scricchiolio delle foglie sotto dei rapidi passetti.
Voltandosi, i cinque ragazzi scorsero Nivene di ritorno dalle sue esplorazioni. Doveva aver perso il suo camice da laboratorio, perché indossava soltanto dei pantaloni stretti e strappati e una scollata camicetta stropicciata, che ne esaltava il seno abbondante. La sua nuvola di capelli turchini era vaporosa come al solito, nonostante le fiamme e il trambusto di quel giorno. Dietro di lei, un piccolo Phanpy si affannava a seguirla.
«Trovato qualcosa, Nivene, o soltanto macerie?» chiese Ichirou da lontano.
La ragazza arrivò fin da loro, stringendo le gambe e portandosi una mano al petto, sospirando per la corsa. Osservandola in quella posa femminile e delicata, Kaede non ebbe difficoltà a realizzare il motivo del perché molti a Borgo Silvano fossero innamorati di lei. 
«Non c’è nessuno, purtroppo» comunicò, affranta.
«Sei proprio sicura? Hai visto bene dappertutto?» s’informò Aruya.
«Certo, sciocca bambina, non prendo certo sottogamba queste faccende, io.»
Aruya storse il naso e incrociò le braccia, mentre Tadashi domandava: «Notizie sul professor Oshizami?»
«Neanche l’ombra. Temo che non sia riuscito a ribellarsi, a quest’ora probabilmente sarà già al cospetto del Tiranno.»
Gli sguardi di tutti si rabbuiarono.
«Sapevamo che sarebbe potuto succedere…» disse Tadashi, con voce rauca. «Che stupidi siamo stati… Mettere in pericolo tutti, solo per delle ricerche!»
«È inutile piangersi addosso» commentò Satoru, alzandosi dal masso sul quale era seduto. «Dobbiamo reagire: ci sarà pure qualcosa che possiamo fare»
Kaede e Aruya si scambiarono un’occhiata di fugace intesa: entrambi erano d’accordo con l’amico e sentivano rinato in loro il desiderio di farsi valere e salvare il professor Oshizami.
«Il bambino pel di carota ha ragione» approvò Nivene, mentre il suo Phanpy l’aiutava ad aprire una grande valigia che si era portata dietro. «La buona notizia è che tra il Centro Pokémon e il Laboratorio ho trovato questa: era del professore.»
«Probabilmente l’ha lasciata là di proposito per aiutarci» notò Tadashi.
«Per aiutarci a salvargli la pelle, vorrai dire» precisò Ichirou, con una punta di scherno.
I ragazzi si strinsero attorno alla borsa: al suo interno vi erano Poké Ball, bacche e provviste, cianfrusaglie, coperte, qualche soldo, alcune pozioni e due sottili apparecchi blu, simili a dei palmari.
«Ecco qua!» esclamò Nivene, afferrandone uno ed aprendolo. Aveva forma ovale, con un quadrante nella metà superiore e svariati tasti in quella inferiore.
«Cosa sarebbe?» domandò Aruya.
«Un Pokégear!» esclamò Tadashi.
«E a cosa può servirci?» chiese Kaede, perplesso, mentre Ichirou sbuffava, reclinando il capo, come a voler deridere la sua inesperienza.
«Con questo possiamo metterci in contatto con qualcun altro» spiegò il fratello «Ci sarà molto utile per trovare aiuto.»
«E chi sarà disposto ad aiutarci?» fece Satoru, scettico.
«Una persona ci sarebbe.»
I tre assistenti si guardarono, seri.
Avevano capito di chi si trattava, lo stesso professor Oshizami nutriva per lui una grande stima. Tuttavia era una persona eccentrica, consultata dagli studiosi solo in caso di grande necessità. Ma del resto, se non era un caso di grande necessità quello…
«Insomma, di chi si tratta?» li sollecitò Aruya.
«Del professor Samuel Oak» rispose Tadashi con gli occhi verdi lontani, nascosti dagli occhiali scivolati sul naso fino, mentre Nivene schiacciava frettolosamente i pulsanti del Pokégear.
Ichirou rise sommessamente. Chiedere aiuto a quello squilibrato poteva solo voler dire che si trovavano in una situazione davvero disperata.
 


 
NOTE DELL’AUTORE
Ecco finito anche il terzo capitolo; spero vi sia piaciuto, vi ho dedicato particolari energie.
Un grande ringraziamento a darken_raichu, che ha recensito il secondo capitolo, e a Persej Combe, che ha recensito il primo.

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro: Decisioni ***


-Come sempre la dedica speciale va a Blue Eich, che nonostante tutti i miei complessi continua ad aiutarmi e ad instradarmi per migliorare-
 

 
 

Capitolo quattro: Decisioni



Il Pokégear emise un lungo suono, acuto e stridulo. Le orecchie di Kaede fischiarono: quell’affare doveva essere piuttosto vecchio.
Nivene premette rapidamente qualche altro tasto e il rumore s’interruppe, per essere sostituito da quello ritmato e regolare che segnava una chiamata in corso.
I ragazzi trepidarono in quei pochi secondi d’attesa.
Una luce bianca tremò sul quadrante superiore, andando poi a scemare in un delinearsi di forme e colori sempre più definiti.
Dallo schermo, un volto rugoso e squadrato, incorniciato da corti capelli grigi, sorrideva benevolo con gli occhi chiusi.
«Salve, amici! Cosa posso fare per voi?» chiese, allegro, alzando le palpebre per scoprire due piccole iridi scure «Nivene, Tadashi, che piacere risentirvi! Come vanno gli studi col professor Oshizami? Ichirou lavora ancora al laboratorio, o siete riusciti a cacciarlo? Ah, vi avevo già messi al corrente dei risultati della mia nuova ricerca su quanto la musica classica influenzi positivamente l’umore dei Pokémon?»
«Professor Oak, ci scusi ma non credo che avremo tempo per queste cose, ora» borbottò Nivene in fretta, mentre Ichirou, al suo fianco, sbruffava. Vicino a lui anche il suo Poochyena prese a ringhiare: era chiaro che entrambi non avessero grande simpatia per lo studioso.
«C’è una faccenda più urgente di cui dobbiamo occuparci.»
«Più importante della musica? Cosa sarebbe? Progressi nello studio delle pietre violacee levitanti?»
«No, professore» intervenne Tadashi, in tono grave «Borgo Silvano è stato distrutto e bruciato dal Tiranno.»
«Distrutto?» Lo sgomento si dipinse sul volto di Samuel Oak, che prese a grattarsi nervosamente il mento ben rasato. «E il professor Oshizami che provvedimenti pensa di adottare?»
«Il professore è stato rapito» spiegò Nivene.
«Rapito? Questo sì che è un guaio…»
Ichirou si trovò a pensare che probabilmente quel vecchiaccio li stesse prendendo per il culo, dal tono poco preoccupato che ostentava.
Subito, tuttavia, il suo atteggiamento mutò, e il suo sguardo penetrante si fece serio. «Non avrete intenzione di andarlo a salvare?»
«È esattamente ciò che intendiamo fare. Il professore ci ha insegnato tutti i suoi trucchi e siamo diventati tra i più abili allenatori di Kérehon, sotto la sua guida.» Tadashi pareva determinato.
Oak sospirò. Se dei giovani si mettono in testa qualcosa, in special modo giovani talentuosi, nessuno è in grado di fermarli.
«Lo capisco, ragazzi miei, e apprezzo il vostro coraggio e le vostre buone intenzioni. Tuttavia non dovete sottovalutare il Tiranno. La sua forza va oltre ogni aspettativa e io stesso non sarei capace di batterlo, in un combattimento di Pokémon.»
Kaede rimase stupefatto: se nemmeno gli esperti di Pokémon gli erano superiori, doveva essere una persona dalla potenza straordinaria.
«Noi non abbiamo paura» disse Satoru, con decisione.
«Uh? E tu chi sei, ragazzo?»
«Takeo Satoru. E ho appena visto il mio paese bruciare per ordine di una persona che crede di poter prendere ciò che vuole con la forza, ma…»
«…Non possiamo permettergli di far male al professor Oshizami!» terminò Aruya.
«La prego, professor Oak, ci dica come fare per salvarlo» aggiunse Kaede, guardando dritto negli occhi l’uomo dall’altra parte del piccolo schermo tremolante.
Vedendo tutta quella determinazione, l’anziano sorrise. Quei ragazzi gliene ricordavano tanto degli altri, di molti anni prima… «Siete consapevoli che sarà un viaggio difficile, faticoso e ricco d’insidie? Potreste non tornare tutti. E voi tre, giovani come siete, rischiereste di maturare troppo in fretta.»
Prima che gli amici potessero ribattere alcunché, Tadashi intervenne con impeto: «Non se ne parla neanche, professore! Loro tre non partiranno. Non li metterò in pericolo più di quanto non abbiamo già fatto con le nostre ricerche.»
«Masahiro Tadashi, mi stupisco di te. Dovresti saperlo meglio di tutti che la forza dei più giovani, carica di speranze e sogni, è quella che spesso riesce a sconfiggere anche il più potente dei rivali. E, se non vado errato, tu ricevesti il tuo primo Pokémon in tenerissima età.»
Il ragazzo scosse il capo, rischiando che gli occhiali gli scivolassero dal naso, non potendo accettare che suo fratello corresse un rischio simile. «Però…»
«Non c’è un però, ragazzo mio. Dovrete essere vigili, attenti, e dare il meglio di voi: questo senza dubbio. Ma siete gli unici in grado di compiere un’impresa simile e tutti i possibili aiuti sono indispensabili. Confido che sarai tu, Tadashi, a vegliare su di loro durante il viaggio.»
Un silenzio carico di tensione e d’importanza scese fra loro. Interrotto dopo poco da Ichirou, che sbuffando chiese: «Ma quindi, cosa dovremmo fare per salvare la pelle ad Oshizami?»
«Dovrete, caro Ichirou, cercare due antiche reliquie.»
«Due reliquie?» fece Nivene, interessata.
«Esattamente. Sono ricerche ancora incerte, che stavamo compiendo io e il vostro professore e delle quali non vi avevamo ancora messo al corrente. Anche i curiosi movimenti delle rocce a Bosco Smeriglio sembrerebbero connessi ad esse.»
«Di cosa si tratta?» chiese Kaede.
«Si tratta di resti millenari in cui è contenuta parte della stessa energia posseduta dai Pokémon. Uniti assieme, essi sprigionano un incredibile potere, che va ad aumentare quello dei Pokémon.»
«Caspita» commentò Satoru a mezza voce.
«Una di esse si trova sepolta in un ghiacciaio all’estremo nord della regione di Kérehon, ci arriverete guadando i fiumi. Vi avverto che per accedere al ghiacciaio servono allenatori molto forti. L’ubicazione della seconda, invece, è tutt’ora sconosciuta. Alcuni miei collaboratori, grandi esperti di Pokémon, stanno tuttavia facendo ricerche in proposito e forse potranno dirvi di più. Si nascondono nei pochi “villaggi liberi” rimasti, fuori dal controllo del Tiranno, com’era Borgo Silvano.»
«Siamo disposti a partire» dichiarò Nivene, sicura.
«Molto bene. Quello più vicino a voi lo troverete andando ad est: Altura Smeralda. Lì vi attenderà Brock, uno degli esperti a me più fidati. Lo informerò io stesso del vostro arrivo.»
«Grazie mille, professore» disse Tadashi.
«Di nulla, ragazzi. Buona fortuna, ma mi raccomando: prestate attenzione. Sono sicuro che riuscirete nella vostra impresa. Se aveste bisogno di qualcosa, non esitate a chiamarmi.»
I ragazzi annuirono. I colori sullo schermo del Pokégear andarono sfocandosi e la luce si spense con un ultimo tremito.
Il silenzio circondò nuovamente i giovani, interrotto dal canto frastagliato di qualche stormo di Starly e dallo spirare del vento tra le fronde alte. 
Il sole stava tramontando e i contorni si fecero sempre più scuri e meno distinti. Cominciava a far freddo.
«Propongo di dividerci in due gruppi» cominciò Ichirou. «Io e Nivene andremo a questo fantomatico ghiacciaio. Del resto sono necessari allenatori molto forti per accedervi…» Si passò una mano tra i capelli neri, con un sorriso arrogante. «Tadashi invece può restare a badare ai bambini.»
«Ma…» fece Nivene con disappunto, guardando intensamente il terzo dei tre assistenti. Che provasse qualcosa per lui?
Tadashi distolse bruscamene lo sguardo, imbarazzato.
«Non sono bambini, Ichirou. Non ho difficoltà a prendermi questa responsabilità. Li istruirò per diventare allenatori, come il professor Oshizami ha fatto con noi.»
«Se come maestro avranno un contadinotto come te, non nutrirei grandi speranze.»
Tadashi abbassò gli occhi e si strinse nelle spalle.
«Insomma, Ichirou! Tada è il migliore, tra noi tre!» Nivene intervenne in sua difesa e il bruno sbuffò.
«Quindi, noi ci dirigeremo ad Altura Smeralda?» domandò Kaede con le sopracciglia inarcate. Sentiva dentro di sé una gran voglia di farsi valere e di aiutare il professor Oshizami, ma allo stesso tempo la paura era tanta.
«Immagino di sì» rispose Satoru.
«Ma… Noi non abbiamo Pokémon!» fece notare Aruya. «Come faremo a diventare allenatori?»
«Il professore ha pensato anche a questo» disse Nivene, notando che il suo Phanpy indicava con forza con la piccola proboscide le Pokéball nella borsa.
Tadashi si chinò a prenderle, notando un importante dettaglio: erano soltanto due.
I ragazzi se ne accorsero e si lanciarono occhiate intense e preoccupate.
«Prendetele voi» affermò infine Kaede. «So che Tadashi mi difenderà, qualunque cosa accada. Ne avete più bisogno voi, è giusto così.»
«Ma, Kae, non possiamo…» cominciò Aruya. Avevano sempre fatto tutto assieme, fin da quando erano infanti, i due fratelli non potevano cominciare la loro avventura diversamente da Kaede!
Ma il biondo scosse piano la testa. Satoru strinse con affettuosa forza la spalla della sorella, dicendo: «Ha deciso così; sai che è cocciuto.»
Esitando, si avvicinarono a Tadashi, che ad ognuno porse una Pokéball.
Con trepidazione fecero uscire dalle sfere i loro primi Pokémon: da quella di Aruya saltò fuori un vispo Eevee dal pelo folto, mentre da quella di Tadashi si liberò uno slanciato Riolu.
Anche in un momento drammatico come quello, l’emozione era tale che i ragazzi risero, abbracciando i nuovi compagni. Sembravano fatti apposta per loro, e già si intuivano i legami indissolubili che li avrebbero uniti.
Kaede li guardava, in disparte. Era felice per loro, ma un velo di tristezza copriva i suoi occhi: da quel momento Aruya sarebbe stata più avanti di lui.
Sentì una mano posarsi sul suo capo e arruffargli i capelli. Voltandosi, vide suo fratello Tadashi sorridergli dall’alto.
«Sei stato molto maturo, sono fiero di te. Vedrai, troveremo un Pokémon anche per te.» 
I fratelli Takeo ancora accarezzavano i loro nuovi amici, che avevano appena cominciato a conoscere, quando tutti si accorsero che era ormai calata la notte.
«Sarebbe impossibile partire stasera» fece notare Ichirou.
«Accampiamoci qui, per stanotte. Partiremo domattina» propose Tadashi.
«Mi sembra giusto. Fortunatamente il professore ci ha anche lasciato le coperte…» commentò Nivene scrutando il contenuto della valigia. «Domani ognuno partirà per la sua strada: meglio dividersi adesso ciò che abbiamo. Ogni gruppo prenderà un Pokégear, così potremo mantenerci in contatto.»
La decisione fu subito accolta e Satoru, aiutato da un entusiasta Riolu, accese un piccolo fuoco per scaldarli nel sonno, mentre Tadashi divideva le provviste.
Kaede stringeva forte il suo quaderno da disegno, ultimo ricordo rimastogli di quello che la sua vita era stata fino a quel momento. Si sentiva emozionato per la partenza, eppure tanta amarezza riempiva il suo cuore. Si trovò a riflettere sul perché gli uomini fossero tanto crudeli e non si impegnassero per vivere in armonia, invece che per distruggersi a vicenda.
Il debole fuocherello acceso da Satoru tremolava davanti al suo sguardo, che in esso rivedeva le fiamme alte e devastanti che avevano avvolto Borgo Silvano.
Si passò una mano sul viso. Era stanchissimo. Con un ultimo sbadiglio, si stese sulla coperta che Nivene gli porse, e si addormentò senza neanche accorgersene, col cuore pieno di dubbi e aspettative. 

Da qualche parte, nel bosco buio, un piccolo Nekochi correva con tutte le forze che aveva, senza preoccuparsi della fatica, della fame, o della paura che quel grande mondo gli incuteva: correva incontro al ragazzo che era sempre stato al suo fianco e che sapeva di dover aiutare. Correva incontro a un amico. Non era lontano, lo percepiva. Presto, sarebbe stato da lui…
 

 

NOTE DELL’AUTORE
Ed ecco anche il quarto capitolo; spero vi sia piaciuto, sarei curioso di sapere cosa ne pensate. Temo che il mio Oak sia un po’ troppo OOC, ma ditemi voi. In generale, mi sto impegnando per sviluppare in capitoli la trama che ho già scritto, ma se avete consigli, opinioni o critiche da farmi sono ovviamente molto apprezzati.
Stavolta i ringraziamenti speciali sono un po’ più lunghi del solito, e vanno a ShadowMewtwo99 per aver recensito il primo e il secondo capitolo, ad anonymous_prongs per aver recensito il terzo, a Giandra per il primo, e ovviamente a Persej Combe per il secondo e per il terzo!
Grazie a tutti, mi siete molto d’aiuto!
  

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque: Tenebre ***


-Come al solito ringrazio Blue Eich, quella meravigliosa persona sempre al mio fianco  nell’affrontare l’ardua sfida della scrittura-
 
 

 

Capitolo cinque: Tenebre

 
Le tenebre della notte erano ormai calate sui ragazzi accampati nel bosco, avvolti dalla quiete del sonno.
O quasi.
In solitudine, una figura forte e slanciata si muoveva flessuosa e precisa, lasciando che le ombre scivolassero eleganti sulla sua pelle, impegnata in quella danza di battaglia: Satoru, che ripassava la forma di karate che aveva imparato all’alba assieme ai suoi amici. Il suo ginocchio tremò e lui rischiò di perdere l’equilibrio: non si sarebbe mai più allenato in quella palestra assieme a loro.
Il combattimento l’aveva sempre distratto dalle preoccupazioni, sgomberandogli la mente da ogni problema. Ma quella notte non sarebbe bastato.
Non si arrese e continuò la sua lotta immaginaria. A Borgo Silvano era diventato il più forte in assoluto sul dojo, e nemmeno i più grandi riuscivano a sconfiggerlo.
Cosa ne era stato di tutti coloro che conosceva? E di sua madre? Mise più impegno nei suoi movimenti, cominciando a sentire dolore ai muscoli tesi.
Suo padre era morto di malattia quando Aruya stava per nascere. Non lo ricordava neanche. Tutto ciò che gli rimaneva di lui, era un grande vuoto nell’anima. Fin da piccolo si era fatto forza, impegnandosi per non far soffrire sua madre e aiutandola con Aruya.
Non era ancora pronto per badare a sua sorella, però. Non era pronto per affrontare il mondo da solo. 
Il dolore, non ai muscoli, ma al cuore, lo portò a sbilanciarsi in avanti e a cadere rovinosamente sul suolo umido e freddo.
«Eri molto bravo.»
Con un’esclamazione di stupore si alzò da terra e si voltò: Tadashi lo fissava, assorto, avvolto nel suo giaciglio, oltre il fuoco acceso la sera prima e ormai spento.
Solo la luce della luna che filtrava dalle alte chiome del bosco era rimasta a rischiarare quella notte scura. I suoi raggi si riflettevano pallidi sugli occhiali del ragazzo.
«Da quanto sei sveglio?» chiese Satoru, passandosi una mano sulla fronte per asciugarla dal sudore.
«Da un po’. Volevo vegliare su di voi: temevo che non sareste riusciti a dormire.»
La fredda brezza notturna scompigliò i capelli dei due ragazzi, ululando fra le fronde degli alberi.
Satoru si guardò attorno nella penombra, per poi grattarsi il mento, perplesso.
«Dove sono finiti Nivene e Ichirou?»
«Se ne sono andati.» Tadashi si strinse nelle spalle. «Questa non è la prima volta che mi sveglio. Nivene era contraria a che io non andassi con loro. Abbiamo alzato un po’ troppo i toni, e abbiamo finito per svegliare Ichirou. Temo di aver fatto arrabbiare Nivene: ha detto che preferiva partire subito, visto che non avevo voglia di passare il tempo con loro.»
«E Ichirou?»
«Ne è stato piuttosto felice. Ha ovviamente colto l’occasione per insultarmi un po’, prima di seguire Nivene. Credo provi qualcosa per lei.»
Satoru respirò a pieni polmoni l’aria fredda della notte, che lo faceva sentire vivo.
«Lei ama te. È evidente. Lo sai, non è vero?»
Tadashi esitò. «Sì. Ma per adesso l’amore non m’interessa. Meno che mai in una situazione del genere.»
Il rosso lo guardò di sbieco, intuendo che l’argomento era chiuso. «E queste ricerche che fate col professor Oshizami? Sono state quelle ad attirare l’attenzione del Tiranno, no? Ormai abbiamo il diritto di sapere di cosa si tratta.»
Tadashi abbassò lo sguardo. «Un giorno, forse, ve lo dirò. Ma non oggi.»
Satoru rimase in silenzio. Il karate gli aveva insegnato il rispetto per i più grandi e per i più saggi, e aveva sempre stimato Tadashi. Storse solo un poco il naso per la delusione, poi lentamente si alzò e si infilò nel suo sacco a pelo. Vi trovò Riolu che, rannicchiato in un angolino caldo, dormiva profondamente.
«Capisco. Buonanotte, allora.»
Tadashi rimase a vegliare sui tre ragazzi ancora a lungo. Temeva per suo fratello, temeva per la regione di Kérehon, e per il Tiranno. L’unica cosa di cui apparentemente non si preoccupava era se stesso. Lui sapeva bene cosa voleva dire, soffrire. Un gelido brivido di paura e disgusto percorse la sua schiena mentre gli tornavano alla mente i ricordi più remoti della sua infanzia.
Voci, urla, mani, troppe mani, lacrime, dolore, dolore dappertutto…
Chiuse gli occhi per fermare tutti quei pensieri e intrappolarli in un angolino della sua mente. Era un periodo lontano, chiuso ormai da tempo, per il quale non doveva più soffrire.
Rialzò le palpebre, fissando le sue iridi chiare sul volto innocente di Kaede, illuminato dalla pallida penombra. Non avrebbe permesso anche a lui di provare tutto quel dolore.
Con un sospiro si passò una mano sulla fronte, togliendosi gli occhiali. Poi, dopo essersi sistemato meglio nella sua coperta, scivolò anch’egli nel dolce oblio del sonno.


La prima impressione di Kaede fu che qualcuno stesse tentando di fasciargli il viso con una benda molto appiccicosa. Intontito dal sonno, socchiuse un occhio appannato. Le chiazze di colori si univano e confondevano tra loro, nella fioca semioscurità dell’alba. Pian piano i contorni si delinearono e le figure divennero riconoscibili.
Con suo immenso stupore, riconobbe a pochi centimetri dal suo viso il piccolo Nekochi, col pelo color smeraldo pieno di fango e foglie, che gli leccava gioiosamente la faccia.
«Nekochi!» esclamò con tutto il fiato che aveva in petto, allungando un braccio intorpidito per accarezzarlo.
Il suo amico Pokémon si beò di quel tenero tocco, strusciando le orecchie larghe contro le dita del ragazzo e cominciando a fare le fusa.
Nekochi, Nekochi stava bene! Kaede, dimentico di ogni preoccupazione, scoppiò in una risata liberatoria. Aveva tanto temuto che qualcosa fosse successo a quel piccolino! Il Pokémon gli mordicchiò le mani con affetto, complice di quella travolgente felicità. 
«Kae, che diamine succede?!» Un’imbronciata Aruya emerse dal suo sacco a pelo con i capelli color carota tutti scompigliati. Affianco a lei, il suo Eevee scrutava il ragazzo con lo stesso sguardo contrariato. «È l’alba! Che cavolo hai da gridare, a quest’ora?»
Ma la sua espressione risentita per la svegliataccia mutò subito notando il Pokémon tra le braccia del suo amico.
«Ma non mi dire!»
«Proprio così!»
Nekochi si strofinò contro di lui. L’odore confortante e ben conosciuto del ragazzo lo appagava e ricompensava di tutta la fatica che aveva fatto quella notte per raggiungerlo. Era stanchissimo, eppure appena era riuscito a trovarlo la calma e la tranquillità l’avevano avvolto. Era al sicuro, adesso. Era a casa.
«Ma insomma» bofonchiò Satoru, sepolto sotto al suo sacco a pelo, per poi tirarsi su anch'egli, con un grande sbadiglio. «Che state combinando?»
«Nekochi è tornato!» annunciò Kaede, allegro.
Il rosso sbatté le palpebre e un largo sorriso comparve sul suo volto. Vicino a lui anche Riolu fece capolino, con gli occhietti impastati dal sonno.
«È una grande notizia!»
Balzò agilmente fuori dal letto e cominciò a stiracchiarsi, sbadigliando ancora.
«Questo vuol dire che adesso anche Kae ha il suo Pokémon!» notò Aruya, entusiasta.
Kaede e Nekochi si guardarono con aria interrogativa.
«Non intenderai dire… Credi veramente che potrei…»
«Ma certo, stupido! Il professor Oshizami ci ha lasciato un sacco di Poké Ball vuote nella sua valigia. Sono sicura che Nekochi muore dalla voglia che tu diventi il suo allenatore!» continuò la ragazza, imperterrita.
Il Pokémon in braccio al ragazzo, per tutta risposta, si strofinò su di lui con più foga, mugugnando allegro: «Nekooo!»
Kaede rise, arruffandogli il pelo smeraldino fra le orecchie.
«Ma insomma… Siete già svegli?»
Colti di sorpresa, i ragazzi notarono Tadashi, seguito dal suo Luxio, in piedi poco distante da loro, che trasportava dei ceppi di legno.
«Tada!» esclamò Kaede, alzandosi. «Dov’eri?»
«Ero andato a prendere della legna, per scaldare le provviste lasciateci dal professore» spiegò il fratello, sistemandosi meglio gli occhiali sul naso. «Ma quello non è Nekochi?» chiese in seguito, sorpreso.
«Esatto!»
Riolu si spinse fuori dal sacco a pelo, seguito da Eevee, e insieme si avvicinarono al nuovo arrivato. I tre si scrutarono per un po’, ma subito iniziarono a giocare a rincorrersi sull’erba umida, mordicchiandosi a vicenda e agitando le code per provocarsi scherzosamente. Poco dopo, li raggiunse anche Luxio.
«Pare che abbiano fatto amicizia» osservò Satoru, con un sorriso.
«Il fatto che Nekochi ci abbia raggiunto significa che Kaede può diventare il suo Allenatore, vero?» chiese Aruya, con gli occhi azzurri colmi di speranza.
«Beh, non saprei, immagino di sì, se entrambi lo desiderano» rispose Tadashi, posando la legna e grattandosi il mento.
Kaede spalancò gli occhi. Sentiva il cuore battergli forte e veloce nel petto, quasi pronto ad esplodere. Il suo primo Pokémon. Era tutta la vita che aspettava quel momento. Tante volte l’aveva sognato, in quell’ingenua speranza di un bambino che ha voglia di mettersi alla prova. Finalmente, il suo desiderio stava per realizzarsi.
Nekochi aveva smesso di giocare con i suoi nuovi amici e lo guardava intensamente dal basso. Kaede ricambiò quello sguardo carico di sogni e domandò con voce tremante: «Allora, Nekochi… vorresti diventare il mio Pokémon?» Si piegò sulle ginocchia, avvicinandosi a lui con in mano la Poké Ball che Tadashi gli aveva porto. Subito un fascio di luce rossa avvolse il Pokémon, facendolo entrare nella sfera: essa tremò, per poi richiudersi saldamente.
Anche il cuore del ragazzo tremò, trepidante d’emozione. Rapidamente lanciò in aria la Poké Ball, chiamando: «Vieni fuori, Nekochi!»
Il Pokémon non esitò e subito riprese a giocare con gli altri, felice che il suo amico e compagno di sempre fosse finalmente diventato il suo Allenatore.
«Sai, Kaede, Nekochi è un Pokémon speciale» disse Tadashi, scrutando la valigia del professore per capire cosa vi fosse dentro di commestibile.
«Speciale?»
«Sì. Viene chiamato “Pokémon Gatto Empatico”, perché riesce subito a capire i sentimenti delle persone e a reagire di conseguenza. Dovresti ritenerti fortunato.»
Satoru, come la sera prima, accese un fuocherello e vi gettò parte dei ceppi per alimentarlo. Le tenebre della notte cominciavano a lasciare il posto alle prime luci dell’alba e i colori, lentamente, tornavano a dipingere il mondo.
«Sai cosa succede adesso, Kae?» fece Aruya, con aria combattiva. «Succede che siamo di nuovo rivali!»
«Puoi contarci!»
«Eevee ed io ti faremo vedere quanto diventeremo forti: ti batterò di sicuro!»
«Non esserne così sicura! Nekochi ed io ci alleneremo senza sosta e vi supereremo!»
«E chi li ferma, adesso» commentò Tadashi scaldando alla meglio delle pagnotte farcite di bacche e tirando fuori dalla borsa alcuni Pokébigné.
«Chissà» disse Satoru, accarezzando il suo Riolu e sgranocchiando una grande fetta di pane. Aruya e Kaede, senza perder tempo, decisero di sfidarsi alla loro prima lotta Pokémon. Il rosso li guardava con apprensione mentre ordinavano con inesperienza le mosse ai loro piccoli compagni di viaggio. Appena possibile sarebbero partiti e i pensieri di Satoru erano popolati dagli stessi tormenti di Tadashi: sarebbe riuscito a proteggerli?
Il sole spuntò oltre la collina, illuminando il bosco e ciò che restava di Borgo Silvano.
 


 
NOTE DELL’AUTORE
Salve a tutti, eccovi anche il quinto capitolo.
Potrebbe sembrare di “troppo” per la narrazione, lo ammetto: eppure finora è uno di quelli a cui ho dedicato maggiore impegno. Non so se sono pienamente soddisfatto del risultato, ma avrei tenuto molto alla sua buona riuscita.
Come sempre sono particolarmente ben accetti consigli e critiche.
Stavolta i ringraziamenti speciali vanno a Nodi per aver recensito il primo e il secondo capitolo, a White Pika Girl e herr per il primo, ad anonymous_prongs e AshKetchup per il quarto e a Giandra per il terzo e per il quarto.
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 6
*** Capitolo sei: Partenza ***


 -Come sempre ringrazio di cuore Blue Eich, il mio “Professor Oak” personale di scrittura-
 

 
 

Capitolo sei: Partenza

 
«Ehi, fratellone, che tipo di Pokémon è Nekochi?»
Era ormai un paio d’ore che i ragazzi si erano messi in marcia e fin dall’inizio che quella domanda frullava nella testa di Kaede.
Si erano lasciati Bosco Smeriglio alle spalle già da molto e avevano preso a risalire il fiume che costeggiava la collina sotto un pallido sole d’inizio autunno. Kaede non era mai stato così lontano da casa, prima.
La sfida di quella mattina tra lui ed Aruya era stata bruscamente interrotta dopo le prime mosse da un irritato Tadashi che aveva costretto tutti quanti a far colazione, prima di occuparsi di qualunque altra cosa. Tra la fretta di partire e il dolore nel dire definitivamente addio a Borgo Silvano, avevano deciso di rimandare il combattimento.
Kaede si era tuttavia reso conto, da quei pochi, semplici attacchi che era riuscito a lanciare ad Eevee, di non avere idea di quale fosse il tipo del suo Nekochi.
«Ti dirò, neanche io ne sono a conoscenza.»
La risposta di suo fratello lo lasciò basito.
«Che cosa?» chiese Aruya, incredula. «Com’è possibile? Ogni Pokémon è di qualche tipo, giusto?»
Nekochi e il suo allenatore, che camminavano fianco a fianco, si lanciarono un’occhiata perplessa.
«Giusto. Tuttavia, le cose sono un po’ più complesse di così. Vedi, Kérehon è una regione popolata dalle più svariate specie di Pokémon: vi si possono trovare in egual misura Pokémon originari di Kanto come di Sinnoh. Eppure negli ultimi anni nuovi Pokémon stanno comparendo, mai visti prima: Nekochi è uno di loro, e non si è ancora riusciti a classificarli.»
Il compagno di Kaede agitò la coda lunga e biforcuta, pavoneggiandosi nel suo essere speciale, e per poco non urtò Riolu. Quello gli lanciò un’occhiataccia, per avvisarlo di stare più attento.
«Insomma, Nekochi, non vantarti in modo così palese» gli intimò il suo allenatore, con dolcezza.
«In ogni caso, Kae, appena arrivati continueremo la nostra battaglia» disse Aruya, dopo un po’ che camminavano.
«Senza dubbio! Ehi, Tada, come si chiama la città in cui siamo diretti?»
«Oleanopoli. Il villaggio indicatoci dal professor Oak, Altura Smeralda, non è distante da lì. Tuttavia sarebbe troppo lunga da fare a piedi fin laggiù, facendo una piccola sosta potremo rifocillarci e ripartire più carichi. Dovremo anche comprare dei vestiti di ricambio, o quelli che abbiamo finiranno per logorarsi. Dovremo fare attenzione, però: Oleanopoli è sotto il controllo del Tiranno. Questo significa…» il tono del ragazzo fu irremovibile, mentre scrutava suo fratello e l’amica da sotto gli occhiali sottili «…che è assolutamente vietato farci vedere con i Pokémon.»
Il volto di Aruya si rabbuiò, e i corti capelli sempre arruffati parvero lisciarsi dalla delusione, mentre mugugnava: «Questo significa che dovremo rimandare ancora la nostra lotta?»
«Ovviamente sì. Potrete combattere appena arriveremo ad Altura Smeralda, non preoccuparti. Prima sarebbe troppo pericoloso.»
«Ma allora scusa, Tadashi, non stiamo correndo un rischio lasciandoli camminare vicino a noi?» chiese Satoru dal fondo della fila, con le guance piene di pane alle bacche.
«Fratellone, non parlare con la bocca piena! E smettila di mangiare, o finirai tutte le nostre provviste!» fece Aruya, con disappunto.
Il maggiore strinse le spalle larghe, bofonchiando: «Tanto, arrivati ad Oleanopoli potremo rifocillarci per bene… Abbiamo un po’ di soldi, vero, Tadashi? Uhm, e potresti passarmi un altro di quei panini al salame?»
Tadashi sospirò, prendendo dalla borsa ciò che il rosso aveva chiesto e passandoglielo con un lancio preciso. Quel ragazzo era senza speranze.
«Fortunatamente per noi, Satoru, il professor Oshizami ci ha lasciato anche dei soldi. Ma non sono illimitati, e se non staremo attenti non avremo nemmeno di che mangiare.» Il castano gli lanciò un’occhiata d’ammonimento; Satoru, nonostante fosse tre anni più giovane di lui, lo superava già di svariati centimetri in altezza. Quanto ancora aveva intenzione di crescere? Poi, scuotendo la testa, continuò: «Comunque, per rispondere alla tua domanda: effettivamente sarebbe meglio se tenessimo i Pokémon nelle loro sfere, tuttavia stiamo camminando fuori dai sentieri e sarebbe difficile individuarci. Anche i nostri piccoli amici hanno bisogno di rimanere liberi per un po’.»
«Capisco.» Il rosso annuì, facendo scivolare un grande Pokébigné nelle zampe tese del suo Riolu: era evidente che anche lui fosse affamato.
Kaede si sistemò meglio lo zaino sulle spalle, saltando un sassolino davanti a lui. Sentiva, da qualche parte oltre la collina alla sua destra, lo scorrere rapido del fiume, melodioso sottofondo al loro cammino. I suoi pantaloni e le sue scarpe erano già tutti infangati, ma non ci faceva caso, troppo preso dalle inquietudini e dalle aspettative che il viaggio appena iniziato portava con sé.
Nascondere i Pokémon avrebbe fatto vivere lui e i suoi amici come dei fuorilegge? Quanto sarebbero stati lontani da casa? E quale sarebbe stata la loro casa, adesso che Borgo Silvano era stato distrutto? Ma la domanda che lo turbava sopra ogni altra era: sarebbero riusciti a tornare tutti, salvi?
L’angoscia che gli torceva le viscere si fece più lieve non appena Nekochi si strusciò affettuosamente contro una sua gamba. Gli sorrise dall’alto. Doveva essere forte. Per i Pokémon, per i suoi amici, e per Kérehon.


«Tadaaaaa… Sono stanca!»
«Non manca molto, Aruya, tenta di resistere.»
«Io ho fame, Masahiro-san!»
«Sta’ buono, Satoru, appena arrivati compreremo qualcosa da mangiare. E non chiamarmi per cognome.»
«Ehi, fratellone…»
«Kaede, giuro che se chiedi qualcosa anche tu, vi lascio qui tutti e tre e continuo da solo!»
Gli amici ridacchiarono assieme ai loro Pokémon, mentre il più grande tra loro si pigiava gli occhiali sul naso, sospirando. Luxio scosse il capo con disapprovazione, complice del suo allenatore.
«Comunque non sei affatto giusto, Tada.»
«Aruya, ti prego di non ricominciare, che… Oh, guardate, siamo arrivati.»
Risalita un’ennesima collina, si aprì finalmente sotto di loro la città di Oleanopoli, situata nella vasta valle ai piedi del colle. Il vento lì era più forte e più freddo che a Borgo Silvano, data l’altitudine, e i ragazzi dovettero stringersi nei loro abiti leggeri per non tremare. Tadashi si pentì di aver buttato via il suo vecchio camice da laboratorio, perché non destasse sospetti.
Con riluttanza i quattro fecero rientrare nelle Pokéball i loro piccoli compagni di viaggio, poi con un po’ d‘apprensione si addentrarono aldilà dell’alta cinta muraria che segnava l’ingresso al centro abitato.

Le vie erano spoglie e strette, le botteghe si aprivano sporadiche e piccole, con poca merce esposta nelle vetrine appannate. Il cielo era coperto di nuvole biancastre, che illuminavano con luce spettrale le vecchie case di mattoni grigiastri. Neanche un’anima si intravedeva per le strade, e il vento che fischiava forte tra esse era l’unico suono udibile. 
«Che bel posto» commentò Satoru, immobile come gli altri davanti a quel tetro spettacolo.
Tadashi scosse il capo, per farsi forza, e riprese la marcia avanti al gruppo.
«Andiamo; dobbiamo sbrigarci se vogliamo arrivare entro stasera ad Altura Smeralda.»
Quella cittadina incuteva a Kaede una profonda inquietudine. La desolazione e la tristezza che emanava andavano oltre ogni sua possibile immaginazione. Si sentiva piccolo, solo e sconfortato. Era questo che avveniva ai luoghi in cui il Tiranno aveva sottratto i Pokémon agli allenatori? Era quello il destino a cui il mondo intero sarebbe andato incontro se non fossero riusciti a salvare il professor Oshizami?
Prese un profondo respiro. Il suo sguardo spaesato incrociò quello identico di Aruya: bastò un attimo e i due capirono di star provando le stesse emozioni. Facendosi forza a vicenda, andarono dietro a Satoru, che si stava dirigendo spedito verso una locanda.
«Dove state andando?» domandò Tadashi, accigliato, accorgendosi che non lo stavano più seguendo.
«Ho fame» spiegò il rosso, con un’alzata di spalle, fermandosi ad un passo dall’entrata del locale. I due più piccoli per poco non gli andarono addosso.
«Facciamo così: Aruya, Kaede, voi andrete a comprare del cibo, che basti per mangiare fino a stasera» disse il maggiore dopo un attimo di riflessione, porgendo un po’ di soldi ai due ragazzi. «Mi affido al vostro senso del giudizio. Satoru, tu invece verrai con me. O saresti capace di finire da solo tutte le scorte…»
Satoru alzò le spalle, sbuffando. «E dov’è che andiamo, di bello?»
«A vedere se riusciamo a trovare un negozio di vestiti. Ce ne servono dei nuovi. Conosci le taglie di Aruya, vero?»
«Uhm, fammi pensare… Sicuramente non dobbiamo preoccuparci dei reggiseni, non penso ne abbia bisogno. Camice da uomo, forse, con le spalle che si ritrova» fece Satoru, pensieroso.
Il volto della ragazza si fece rosso quasi quanto i suoi capelli. «Che diamine, Tada, come ti viene in mente di chiedere una cosa così! E tu sei uno stupido, Satoru!»
Kaede ridacchiò, mentre Tadashi si affrettò ad aggiungere: «Scusami, hai ragione. Non preoccuparti, ci presterò attenzione io.»
Poi si allontanò, seguito dal rosso che mugugnava un innocente: «Non mi pare di aver detto nulla di male, insomma…»
Kaede aspettò che il vento ululasse a gran voce tra le stradine di mattoni. I suoi capelli color del grano si alzarono in tutte le direzioni, mentre un brivido freddo lo attraversava dalla testa ai piedi. Dunque si girò verso l’amica, ancora imbarazzata.
«Andiamo, che dici?»
«Sì, andiamo.» Aruya alzò gli occhi da terra, ritrovando la sua solita espressione agguerrita.
«E se provi a sfottermi per quello che ha detto Satoru, giuro che ti prendo a pugni.»
Kaede rise, facendosi strada verso un piccolo alimentari dall’altro lato della via. 
«Ho sempre trovato molto eleganti le donne con le camicie da uomo.»
Il suo cranio rischiò di spezzarsi in due sotto ad un sonoro ceffone.
Mettersi contro alla ragazza non era la cosa più intelligente da fare, annotò mentalmente, accarezzandosi la testa dolorante. Ma, forse, avrebbe dovuto pensarci molti anni prima, quando si erano conosciuti alla palestra di karate di Borgo Silvano e neanche andavano a scuola.
Kaede si chiese, in un attimo che parve durare in eterno, cosa sarebbe stata la sua vita senza Aruya e Satoru. Gli balenò davanti agli occhi l’immagine di un mondo grigio e cupo, come quella spoglia cittadina. Scacciò quel pensiero, precedendo l’amica nella piccola bottega alimentare.
Non c’era tempo da perdere: il loro viaggio era appena iniziato e loro avevano ancora tanta strada da fare.
 
 






 
NOTE DELL’AUTORE
Eccoci qui col sesto capitolo. Grazie a tutti coloro che l’hanno letto e che stanno seguendo la storia.
Questo è un poco più corto dei precedenti; è stato scritto per fare da “ponte”, per così dire, tra un avvenimento e l’altro. Aggiornerò presto con il settimo, così da non lasciarvi troppo a lungo in sospeso.
So che è più lento degli altri, spero di non avervi annoiati troppo.
Grazie in particolar modo a francs_moony, anonymous_prongs e White Pika girl per aver recensito il quinto capitolo, alla cara Persej Combe per il quarto e per il quinto e ovviamente a Nodi per il terzo e per il quarto! Siete tutti fantastici, davvero. A presto!

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Capitolo 7
*** Capitolo sette: In Salita ***


 -Ancora una volta super ringraziamenti a Blue Eich, che nonostante abbia problemi tecnici da risolvere è riuscita a correggere grossa parte del mio lavoro-
 
 

 

Capitolo sette: In Salita

 
Scaffali… Troppi scaffali.
«Masahiro-san… Come facciamo a trovare qualcosa da mettere con tutto questo casino?»
«Satoru, ti ho già detto di non chiamarmi per cognome. Basterà applicarsi un attimo, da qualche parte qua in mezzo ci saranno degli abiti che vadano bene per noi.»
Tadashi scrutò le alte pile di vestiti ammucchiati per quella stanza stretta e polverosa. Non era certo il miglior negozio in cui fosse entrato, ma era l’unico che avevano trovato ad Olenopoli e si sarebbero dovuti accontentare. Da ciò che poteva vedere, i capi d’abbigliamento esposti erano piuttosto vecchi, tutti su tonalità scure o spente. 
«Io penso ad Aruya e Kaede. Tu vedi se riesci a trovare qualcosa che ti entri. Tieni presente che serviranno almeno un paio di camicie, dei pantaloni e un maglione.»
«D’accordo. Cerco qualcosa anche per te?»
«Va bene. Ma tentiamo di non dare nell’occhio prendendo abiti troppo appariscenti.»
«Tanto, con quello che vendono qui, sarebbe difficile pure volendo.»
Il vecchio proprietario stava seduto su una sedia di legno prossima allo spezzarsi sotto al suo peso massiccio; con gli occhi chiusi e il mento reclinato sul petto, sembrava quasi assopito.
Vagando tra gli scaffali, Tadashi si trovò a pensare ad Ichirou e Nivene. Una dolorosa morsa gli strinse il petto. Aveva combinato un bel guaio. Adocchiò una camicetta beige, che forse poteva andar bene per Aruya.
Niente nella sua vita stava andando per il verso giusto. Come al solito, si trovava ad avere fin troppe responsabilità. Quella volta, tuttavia, da lui dipendeva anche il futuro delle persone a cui teneva di più in assoluto: non avrebbe permesso che capitasse loro qualcosa di male.
Tra uno scaffale e l’altro, scorse Satoru a petto nudo, con le larghe spalle e l’addome scolpito ricoperti da muscoli tesi, in procinto di provare un maglione.
Distolse lo sguardo bruscamente e come una condanna le parole di Ichirou gli tornarono alla mente.
“Tu… Mi disgusti.”
Non doveva distrarsi. Non doveva pensare a niente. Doveva solo andare avanti.


«Ma quanto ci mettono?» Un’Aruya particolarmente imbronciata stava seduta sul bordo del marciapiede, aspettando a gambe incrociate.
«Tra un po’ dovrebbero aver fatto, dai…» Kaede spostava il peso da un piede all’altro, reggendo due buste piene di cibo, impaziente.
Dalle nuvole argentee che coprivano la città cominciavano ad arrivare brontolii minacciosi.
«Ci pensi mai, Kae?» chiese la ragazza, dopo un po’. «A quanto siamo fortunati a stare a questo mondo?»
Kaede, stupito da quell’improvvisa riflessione, guardò l’amica, senza capire dove volesse arrivare.
«Quante probabilità c’erano che noi nascessimo e ci incontrassimo?» continuò lei. «Insomma, questo mondo è un casino, sì, però siamo noi uomini che lo rendiamo tanto difficile da vivere. Sarebbe così bello, se un giorno potessimo tutti accontentarci di ciò che abbiamo, senza combatterci più…»
«…Un mondo in cui anche i Pokémon possano vivere liberi e in armonia» concluse Kaede, pensieroso. «È per questo, no? È per questo che abbiamo cominciato il nostro viaggio. Sono sicuro che ci riusciremo, facendoci forza a vicenda.»
Aruya gli sorrise dalla sua scomoda posizione ai piedi del marciapiede.
«Mi raccomando, Kaede, non arrendiamoci mai.»

Il vento fischiò, gelido, inumidito da una tempesta che si intuiva stesse per scoppiare.
«Ehi, eccoli lì!»
Satoru e Tadashi vennero di corsa verso di loro, con gli zaini gonfi e straripanti. Il rosso portava una maglietta nera sotto ad un pesante maglione a v, mentre l’altro indossava un lungo pastrano scuro sopra ad una camicia verde, con un fazzoletto grigio a proteggergli il collo.
«Finalmente!» Aruya si alzò agilmente da terra.
«Scusate se ci abbiamo messo tanto» disse Tadashi, porgendo al fratello una felpa blu e alla ragazza un cardigan vermiglio. «Non abbiamo trovato di meglio. Sono un po’ vecchi, ma per ora andranno bene. Il resto degli abiti è nei nostri zaini.»
«Trovato il cibo?» s’informò subito Satoru.
«Certo, stupido» bofonchiò Aruya.
«Sembra che stia per mettersi a piovere, dovremmo andare» notò Kaede, indicando il cielo scuro e ringhiante.
«Kaede ha ragione. Satoru, mangerai più tardi. Non c’è un minuto da perdere.» Tadashi pareva più preoccupato del solito e parlò in un tono concitato che non ammetteva repliche.
«Abbiamo sentito, fuori dalla bottega di vestiti, due donne che dicevano che gli scagnozzi del Tiranno hanno cominciato a ispezionare le città di Kérehon per dei controlli» spiegò Satoru, accigliato, seguendo il castano che già si era messo in marcia alla testa del gruppo. «Se qualcuno verrà trovato in possesso di Pokémon…»
«Cosa?» sollecitò la sorella.
«Non lo sappiamo.»
Kaede deglutì, mentre il battito del suo cuore accelerava. Gli sarebbe tanto piaciuto avere al suo fianco Nekochi. Poteva sentirlo, attraverso la Pokéball, attraverso lo zaino, attraverso i loro stessi corpi: era vicino. Ma che non potesse camminargli accanto lo turbava.
Forse non era forte quanto avrebbe voluto, Kaede, eppure sapeva che non era il momento quello di vacillare. Il viaggio sarebbe stato lungo e loro non avevano ancora idea di cosa potesse essere il vero pericolo.
Il cielo ringhiò, più minaccioso di prima.
Uscendo dalla porta incastrata tra le alte mura di quella tetra cittadina, Kaede sentì il suo naso bagnato da una prima gocciolina di pioggia. Un brivido gli corse lungo tutto il corpo, mentre si affrettava a lasciare quel luogo cupo e desolato.


«Sapete cosa? Quel posto faceva davvero schifo.» Satoru aveva ripreso a mangiare e il suo umore era notevolmente migliorato. I ragazzi risero alla sua affermazione.
«Era un po’ lugubre, sì.» Anche Tadashi sorrise, lanciando uno sguardo d’apprensione ad Oleanopoli, lontana, sopra alla quale infuriava una tempesta che oscurava il cielo per chilometri.
I quattro viaggiatori erano ormai su un’altra collina, più alta della precedente, bagnata da un sole tiepido che riscaldava l’umore di tutti, nonostante salendo di quota le temperature si stessero facendo più rigide.
«Tra poco saremo ad Altura Smeralda, vero?» chiese Aruya, entusiasta. «E lì, Kae, potremo continuare la nostra sfida!»
Il biondo annuì, felice, prendendo un panino dalla grande busta di cibo che Satoru aveva tra le braccia.
«Da adesso possiamo fare uscire di nuovo i nostri piccoli amici» decretò Tadashi, dopo aver superato una radura tra due colli.
«Davvero?» domandarono all’unisono Aruya e Kaede. Senza perdere tempo, lanciarono in aria le loro Pokéball e subito Eevee e Nekochi ne balzarono fuori, contenti di potersi sgranchire le zampe.
Anche Luxio e Riolu uscirono dalle sfere dei loro Allenatori, seguendo i compagni con allegria.
Nekochi balzò agilmente sulla spalla di Kaede, che lo accarezzò ridendo.
«Sai, amico mio» disse, guardandolo apertamente. «Scopriremo di che tipo sei, te lo prometto. Insieme, diventeremo più forti che mai.»
«Nekoooo!»
«E noi lo stesso!» aggiunse Aruya, stringendo un pugno, con Eevee al suo fianco.
«Ci saremmo anche noi, sapete.» Satoru, dal fondo della fila, alzò un braccio, mentre con l’altro reggeva una lunga fetta di candido formaggio. Riolu ruggì con aria agguerrita, lanciandosi in corsa in testa al gruppo.
«È un bene che abbiate tanta buona volontà, ma non esagerate» commentò Tadashi, accarezzando il suo Luxio. «Allenare i propri Pokémon è molto più difficile di quanto possiate immaginare. E voi non avete ancora iniziato.»
«Ma se tu ci insegnassi, Tada!» fece Aruya, con impeto.
«La preghiamo, Maestro-Masahiro, ci mostri la via della potenza» aggiunse Satoru, chinandosi in avanti con un guizzo divertito nello sguardo.
«Non chiamarmi così, insomma.» Il bruno si premette gli occhiali sugli occhi verde smeraldo, sospirando. «Siete incorreggibili, voi tre.»
«Ma ci aiuterai a diventare bravi Allenatori, vero?» chiese Kaede, molto più serio degli amici. 
Il fratello intuì l’importanza delle sue parole. «Certo che lo farò. È una promessa. Diventerete gli Allenatori migliori che Kérehon abbia mai visto.»
I ragazzi si guardarono, emozionati e preoccupati al tempo stesso.
«Appena arrivati ad Altura Smeralda, cominceremo il vostro allenamento. Il vostro e quello dei vostri Pokémon, s’intende. Anche Brock mi aiuterà ad istruirvi.»
«Che tipo è?» domandò Satoru, rincorrendo divertito il suo Riolu.
«Lo conosco di fama, ma non l’ho mai visto. So che è un allevatore di Pokémon molto esperto, tra i migliori che ci siano. Conosce segreti su di loro che nessun altro studioso è ancora riuscito nemmeno ad intuire.»
«Uhaaa…» commentò Aruya, colpita.
Kaede lanciò uno sguardo a Nekochi, ancora sulla sua spalla. I due s’intesero subito: avrebbero dato il meglio di loro. Entrambi non vedevano l’ora di cominciare e di conoscere questo famoso esperto di Pokémon.
La marcia proseguì. I vestiti nuovi erano slargati e prudevano a contatto con la pelle, ma perlomeno tenevano i ragazzi al caldo. Continuarono a salire, e le colline presto divennero montagne.
A Kaede facevano male i piedi, ma non ci badava. Cominciava ad imbrunire e se loro non avessero raggiunto Altura Smeralda in tempo avrebbero passato una notte terribilmente rigida, per la quale non erano attrezzati.
I Pokémon continuavano a correre attorno ai loro Allenatori, nonostante la stanchezza, per incoraggiarli a proseguire.
«Ecco!» esclamò infine Tadashi, fermandosi di lato ad un bosco ed indicando un alto pendio roccioso. «Oltre quel passo dovrebbe esserci Altura Smeralda.»
Il sole stava tramontando e la luce rossastra che macchiava il cielo era poca per affrontare una scalata del genere.
«Come faremo a raggiungerla?» domandò Aruya, con apprensione.
Tadashi incrociò le braccia, pensieroso. Arrampicarsi era pericoloso, ma passare lì la notte lo sarebbe stato ancora di più…
Kaede si guardò nervosamente attorno. «Ci sarà pure un modo per aggirarlo!»
Più cercava con lo sguardo attento un’altra via, più si rendeva conto che solo quella era percorribile.
«Al diavolo» fece Satoru dopo un po’. «Vieni, Riolu.»
Il Pokémon seguì prontamente l’Allenatore, che si dirigeva spedito verso il pendio.
«Dove credi di andare?» gridò Tadashi, dietro di lui.
«In esplorazione. Non possiamo fermarci prima ancora di aver iniziato.»
«Fratellone, fermati!» urlò Aruya, mentre l’altro già studiava con le mani la ripida parete rocciosa.
«Satoru, è pericoloso ed è buio ormai, non…» tentò Kaede correndo dietro all’amico.
Ignorando gli altri, il rosso si issò tra i massi, con Riolu al suo fianco. I suoi muscoli lunghi e tesi erano visibili anche da sotto lo spesso maglione scuro che indossava. 
Tadashi, Aruya e Kaede trattennero il fiato, mentre i loro Pokémon guardavano dal basso la scena senza sapere come intervenire. 
Il sudore scendeva caldo lungo braccia e schiena di Satoru, ansimante per lo sforzo. Riolu balzò agilmente su una sporgenza sopra di lui, per aiutarlo dall’alto.
Il cuore di Kaede batteva all’impazzata. Cosa si era messo in testa quello stupido? 
Il piede dell’amico scivolò su un sasso troppo liscio, lanciandosi nel vuoto, mentre Satoru, graffiandosi a sangue le mani, si aggrappava meglio alla roccia per non perdere l’equilibrio. I ragazzi gridarono. Tadashi non era mai stato così spaventato in vita sua. 
Satoru era salito solo di pochi metri, ma il dolore agli arti già pareva insopportabile. Affannato, stava per riprendere la sua scalata, quando una voce lontana richiamò tutti alla realtà.
«Ehi, tu, scendi subito di lì.»
Un uomo alto, con i capelli bruni disordinati e gli occhi talmente piccoli che parevano stretti a due fessure, comparve dietro ai ragazzi, con le braccia incrociate.
Con la coda dell’occhio lo scorse anche Satoru, immobile sul ripido pendio.
«Chi… Chi è lei?» chiese Kaede, ripresosi dallo spavento iniziale.
«Adesso non è importante. Insomma, ragazzo, scendi o no? Si sta facendo notte.»
Satoru esitò un istante. Si rese conto dell’altezza che ancora avrebbe dovuto affrontare, del dolore che sentiva su tutto il corpo, e della follia in cui si era lanciato. 
Con un profondo respiro, ridiscese con molta attenzione fino ai suoi compagni di viaggio, seguito da Riolu.
«Non sai che è pericoloso avventurarsi sulle montagne a quest’ora?» fece lo sconosciuto con aria severa. «C’è un’altra strada per superare il pendio, molto più pratica. Posso mostrarvela, se volete.»
«Magari! Noi, vede, dobbiamo raggiungere Altura Smeralda subito e mio fratello…» iniziò Aruya.
«Chi è lei?» la interruppe bruscamente Tadashi. Dopo il sollievo iniziale, si era infatti reso conto che quell’uomo li aveva visti in compagnia di Pokémon: se fosse stato uno scagnozzo del Tiranno, per loro sarebbe stata la fine. 
Lo straniero lo scrutò con la sua espressione indecifrabile. «È rilevante?»
Kaede intuì le preoccupazioni del fratello e il suo cuore mancò un battito. Si mise davanti a Nekochi, come a volerlo proteggere.
«Per noi lo è.» ribatté Tadashi, alzando il mento.
Satoru ancora ansimava per la fatica e osservava accigliato il confronto tra i due.
Lo sconosciuto, contro ogni aspettativa, ridacchiò. Poi alzò lo sguardo sui volti dei quattro ragazzi, tesi e sulla difensiva. Quanto gli erano mancati, gli occhi agguerriti di chi ama i Pokémon e sarebbe disposto a tutto pur di difenderli!
«Il professor Oak mi aveva avvisato che si trattava di ragazzi testardi...»
Un’ombra di stupore si dipinse sui visi dei viaggiatori.
«Sta dicendo che lei è…» iniziò Kaede, trepidante d’emozione.
«Brock, esperto di Pokémon. Molto piacere!»
Tese un braccio in avanti con impeto, in attesa che Tadashi lo stringesse, in un gesto carico di importanza, che in un attimo fece realizzare ai ragazzi che il gioco dell’infanzia era finito: il momento di crescere era arrivato. 
 
 
 









 
NOTE DELL’AUTORE
Ciao ragazzi!
Questo settimo capitolo sarebbe dovuto essere un tutt'uno col sesto, ma poi ho temuto che fosse troppo lungo e ho preferito dividerli.
Comunque beh, finalmente i ragazzi arrivano in prossimità di Altura Smeralda e compare il personaggio di Brock, uno di quelli a cui da piccolo ero più affezionato.
Come sempre saranno graditissimi pareri, opinioni, consigli, critiche e chi più ne ha più ne metta.
I ringraziamenti speciali stavolta vanno a francs_moony, anonymous_prongs, White Pika girl e Persej Combe per aver recensito il sesto capitolo, a Mad_Dragon per il primo e al grande Nodi per il quinto e per il sesto. Non so cosa farei senza di voi.
A presto!

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Capitolo 8
*** Capitolo otto: Cominciare ***


 -Come sempre la dedica è per la fantastica Blue Eich, mentre i ringraziamenti speciali vanno a Nodi, White Pike girl, francs_moony, anonymous_prongs e ovviamente a Persej Combe per aver recensito il capitolo precedente; grazie mille, il vostro sostegno è importante!-
 
 
 
 

Capitolo otto: Cominciare

 
«Eevee, usa Azione, adesso!»
«Attento, Nekochi, è dietro di te!»
Il lungo campo sterrato sul quale i Pokémon stavano combattendo sembrava accorciarsi ogni qualvolta gli sguardi di Aruya e Kaede s’incontravano, l’uno azzurro l’altro nocciola, illuminati dalla stessa luce determinata.
La polvere si sollevò con uno sbuffo mentre Eevee scivolava a terra, in seguito al balzo all’indietro dell’avversario.
«Bravissimo! E adesso vai, Attacco Rapido!»
Nekochi si lanciò a gran velocità contro Eevee, ancora al suolo, e con forza la colpì. Quella ruggì, arrabbiata, rialzandosi a fatica col pelo sporco di terra e un bel livido sul fianco. Nekochi abbassò le larghe orecchie verde smeraldo, stordito dal rumore, perdendo la concentrazione.
«Svelta, Eevee, usa Morso!»
Rispondendo prontamente all’ordine dell’Allenatrice, Eevee addentò il nemico, che ululò di dolore, accasciandosi.
«Accidenti!» La mente di Kaede correva veloce e disperata a ripassare le mosse del suo piccolo amico. Strinse i denti: non poteva arrendersi!
«Eevee, Morso, ancora!»
«Schivalo, Nekochi!»
Con uno sforzo per lui sovrumano, il Pokémon riuscì a scansarsi di lato mentre l’altra gli si gettava nuovamente addosso. Sentiva le zampe stanche ed il respiro affannoso, ma non poteva deludere il suo Allenatore.
«Bravissimo! Adesso, vai: Graffio!»
Nekochi tirò fuori gli artigli e con un lampo sferzò Eevee sul punto in cui prima l’aveva colpita. Quella ringhiò, arretrando.
Dopo un attimo di tregua che parve durare in eterno, i due si scagliarono nuovamente l’uno contro l’altra, con più grinta di prima: Morso e Graffio si alternavano senza sosta. Non avevano nessuna intenzione di cedere e continuavano, ignorando il dolore e la fatica che toglievano loro il respiro.
Uno da un lato e una dall’altro, i loro Allenatori lanciavano grida d’incoraggiamento. Kaede, a denti stretti, sentiva salire dentro di sé un’adrenalina tale che sarebbe stato capace di scendere sul campo e combattere lui stesso.
Per Aruya, pugni serrati e mento alto, sembrava lo stesso.
«E ora…» cominciarono a dire all’unisono.
«Fermi così!»
La voce di Brock parve riportarli alla realtà. I Pokémon si bloccarono, ansimanti ed esausti, e si accasciarono al suolo.
«Eevee!»
«Nekochi!»
Gli Allenatori corsero verso di loro, sorreggendo i loro corpicini stanchi e pelosi fra le braccia.
«Sei stato bravissimo, amico mio.»
«Hai combattuto bene, Eevee, sono fiera di te.»
Brock sorrise, avvicinandosi. Poi la sua espressione mutò, divenendo più severa.
«Ma insomma, come vi viene in mente di portare allo stremo i vostri Pokémon in questo modo?»
I ragazzi alzarono gli sguardi su di lui, perplessi.
«Ma… Come? Non è così che funziona una lotta?» domandò Aruya, imbronciata.
Brock sospirò.
«Non avete minimamente pensato alla Difesa. Non si può combattere solamente attaccando, a meno che non sia parte di una strategia. Ma voi due non avete una strategia, immagino… O mi sbaglio?»
Kaede e Aruya abbassarono i volti, imbarazzati.
«Non dovete preoccuparvene, adesso. Per quello ci sarà tempo: soltanto gli Allenatori più esperti ne elaborano una.» Ridacchiò, vedendoli affranti. «Ehi, cosa sono quelle facce? Come prima volta siete stati molto bravi. Non conosco altri ragazzi che avrebbero saputo fronteggiarsi come avete fatto voi! E i vostri Pokémon sembravano pronti a tutto. Dovreste esserne orgogliosi!»
Due larghi sorrisi illuminarono i volti dei giovani.
«Lo siamo!» esclamarono all’unisono, lanciandosi poi un’occhiata complice.
«Molto bene. Il rapporto di fiducia tra Pokémon e Allenatore è la componente più importante in assoluto nelle sfide! In ogni caso, vi servirà solo un po’ più di pratica. Non dovete portare i Pokémon allo stremo delle forze, facendoli solo attaccare. Senza Difesa, non hanno tempo per riprendersi. Avete capito?»
Aruya e Kaede annuirono, pensierosi. Allenare i loro piccoli compagni di viaggio era molto più difficile di quanto avessero previsto!
«Ma, quindi… Chi ha vinto?» chiese poi la ragazza.
«Per adesso, penso proprio nessuno di voi!» Brock rise di gusto, ricordando quanto i più giovani trovassero stimolante competere tra loro. «Avete ancora molto da imparare. Essere rivali va bene, ma concentratevi anche su voi stessi.»


Uscendo dal Centro Pokémon, Kaede si fermò ad ammirare la vista di cui Altura Smeralda godeva. I monti si alzavano ai suoi lati, come per fare gara a chi fosse arrivato più in alto, e guardando in basso, tra le ripidi pareti scoscese che circondavano la cittadina, s’intravedevano le valli verdi e fiorite dove pascolavano mandrie di Miltank. Il cielo limpido era macchiato solo da qualche nuvola candida, un ruscello lontano cantava, correndo fra le rocce, e stormi di Pidgeot e gruppi di Furret facevano capolino dagli alti pini tra i monti. 
Kaede si strinse attorno alla gola la sciarpa di lana arancione datagli da Brock. 
A pieni polmoni respirò la gelida aria della montagna, lasciando che lo pervadesse. 
«Nekooo!» mugugnò il Pokémon al suo fianco, di nuovo in forze, beandosi dello stesso piacere. Il ragazzo lo accarezzò, con un sorriso.
«Stiamo facendo un ottimo lavoro, amico mio.»
Era ormai il secondo giorno, quello, che erano giunti ad Altura Smeralda accompagnati da Brock. Dopo avergli mostrato un passaggio nascosto tra le montagne, l’uomo aveva raccontato di come il Professor Oak l’avesse in precedenza avvertito del loro arrivo.
Giunti in città, aveva cucinato per loro un’ottima cena – che Satoru aveva gustato fin troppo abbondantemente – e li aveva ospitati a casa sua. C’erano stati un po’ stretti, ma già dal giorno seguente avevano trovato un comodo alloggio non distante da lui. Ed ecco che, finalmente, erano iniziati gli allenamenti.
«Ehi, Aruya, Kaede, com’è andata?»
I due amici si voltarono, vedendo Satoru correre entusiasta verso di loro.
«Bene, credo» fece la ragazza. «Avrei vinto facilmente, se Brock non ci avesse fermati.»
«Ehi, non è affatto vero! Ti avrei battuta di certo.»
Satoru sogghignò vedendoli darsi le spalle, imbronciati.
Si lanciò su entrambi, stringendoli in un abbraccio stritolante.
«Ahia! Mi fai male!» urlò la sorella.
«Così soffochiamo, Satoru!»
«Che bello vedervi di buonumore.»
Il rosso finalmente li liberò dalla sua morsa, per agitare un braccio in direzione di Tadashi, che stava venendo loro incontro. 
«Masahiro-san! Buongiorno!»
«La smetterai mai?» fece quello pigiandosi gli occhiali sul naso, contrariato. Il suo Luxio ringhiò con lieve disappunto verso Satoru. Dunque Tadashi si rivolse ai ragazzi, allegro. «Ho appena incontrato Brock! Dice che state mettendo molto impegno nell’esercitarvi e che avete buone possibilità di diventare ottimi Allenatori.»
«Veramente?» fecero i due in coro. Il maggiore annuì.
«E il mio turno quando arriva?» domandò Satoru, incrociando le braccia. 
«Rio, Riolu!» ribadì il Pokémon al suo fianco.
«Pazienza, Satoru. Toccherà anche a te. Oggi pomeriggio, immagino. Dopo pranzo… O magari preferisci saltarlo e cominciare subito?»
«Ma guardate un po’, Masahiro-san che fa battute!»
I ragazzi risero, mentre Tadashi scuoteva il capo, divertito.
«Venite. Sono stato al mercato e ho preso uova, formaggi e verdure del posto. Vengono direttamente dalle fattorie, dovremmo approfittarne… Vi preparerò un pranzo coi fiocchi, vi va?»
«Altroché! Tutti a casa, forza, forza!» Satoru si mise in marcia spedito verso il piccolo appartamento in cui erano alloggiati, trascinando per una manica del lungo cappotto lo “chef”.
«Ehi, ehi, più piano!» fece quello, tentando di raddrizzarsi per bene e stare al passo.
«Sei incorreggibile, fratellone!»
Kaede, dopo l’allenamento di quella mattina, sentiva davvero il bisogno di un buon pasto per recuperare le energie. Accarezzò Nekochi, agilmente balzato sulla sua spalla, e seguì gli amici. Altura Smeralda era incantevole. Osservava gli uomini e i Pokémon camminare fianco a fianco, i negozi luminosi e i bambini che correvano per le strade, facendo a gara fra loro. La differenza, in confronto ad Oleanopoli, era palese. Quasi gli sembrava di essere tornato a Borgo Silvano. Una morsa dolorosa e nostalgica gli strinse il petto, mentre ripensava alla sua casa distrutta.
«Insomma, Kae, ti sei addormentato?» la voce di Aruya arrivò lontana alle sue orecchie. Si accorse di essersi fermato in mezzo alla strada. Scuotendo il capo, raggiunse gli amici avanti a lui.
«Eccomi, scusate.»
«Tutto apposto?» chiese Tadashi.
«Certo, nessun problema.»
«Meno male, muoio di fame!» esclamò Satoru.

Brock osservava da lontano quel quartetto. Era impossibile non notarli, ad Altura Smeralda: per quella cittadina tranquilla, il gruppo faceva decisamente baccano. 
Ma era giusto così. Gli Allenatori dovevano essere pieni di vita e di forze, per realizzare i loro sogni. Per maturare, il tempo c’era… Anzi, Brock temeva proprio che a quei ragazzi ne sarebbe servito molto di più. Meglio lasciare che si godessero l’infanzia, per quanto ancora possibile.
Kaede e Aruya partivano bene. Avrebbe cominciato quel pomeriggio anche con l’altro, Satoru. Il Professor Oak aveva grande stima di Tadashi, e lui stesso conversandoci a cena aveva potuto verificare il suo alto livello di competenza.
Avevano buone possibilità. Quel Kaede si portava addirittura dietro Nekochi… Non poteva negare di esserne incuriosito. 
Ma, nonostante tutte le buone speranze che nutriva per loro, le preoccupazioni sul loro futuro continuavano a tormentarlo, come anche la paura per il Tiranno e per Altura Smeralda, che tanto a lungo si era impegnato a proteggere.
Sarebbe riuscito, ad istruire per bene i ragazzi? Sarebbe riuscito, a difendere ciò che amava? 
Ripensò alla sua gioventù, ai suoi viaggi, quando era ancora alle prime armi come Allevatore di Pokémon. L’amarezza di un rimpianto gli salì alla gola, per quel giovane che non era riuscito a salvare…
Con loro sarebbe stato diverso. Non sarebbe caduto negli stessi errori. 
«Quant’è difficile, amico mio…» Sospirò e alzò gli occhi al cielo turchino, incorniciato dai monti, accarezzando il Crobat che svolazzava sopra le sue spalle.
Avrebbe avuto modo di rimediare agli sbagli del passato?

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Capitolo 9
*** Capitolo nove: Turbamenti ***


 -Ringraziamenti e arcobaleni sempre tutti dedicati alla mia cara beta Blue Eich-
 
 
 

 

Capitolo nove: Turbamenti

 
«Eilà… È ora di svegliarsi.»
La voce arrivò a Satoru come da un altro mondo. Aprì lentamente un occhio, poi l’altro. Colori sfocati si delinearono in forme indistinte davanti a lui, nella penombra. Qualcosa si spalancò con un rumore metallico e la luce invase la sua camera ancora intiepidita dal sonno.
Con un ruggito lui e Riolu si voltarono dall’altro lato del letto, premendosi il cuscino sopra alla testa. 
«Che tu possa crepare, Masahiro-san!»
«Vedo che ti sei alzato di buon umore.»
Coi muscoli intorpiditi e la bocca impastata, Satoru si tirò a sedere sul materasso, dopo che i suoi occhi si furono abituati alla luce del giorno. 
Sbatté le palpebre, per fissare poi lo sguardo vitreo sul volto sorridente di Tadashi, incorniciato dai capelli castani ben pettinati.
«Ti preparo la colazione, che ne dici?»
«Lo chiedi pure?» Sbadigliò, stiracchiandosi.
Riolu balzò oltre le coperte, pronto a cominciare una nuova giornata. Il suo Allenatore si arruffò la caotica chioma vermiglia e, con qualche fatica in più, lo seguì giù per le scale.

«Dove sono Aruya e Kaede?» chiese, quando gli zuccheri della sua abbondante tazza di latte e cereali cominciarono ad entrargli in circolo nel corpo.
«Hanno deciso di esplorare la zona per cercare nuovi Pokémon.»
«Non sei preoccupato?»
Tadashi, seduto al tavolo della cucina affianco a lui, strinse le spalle.
«Certo. Ma dovranno imparare anche a proteggersi da soli, e questo è il luogo migliore per farlo.»
Satoru, riacquistata la lucidità, notò che l’altro non portava gli occhiali. Il suo viso, così, era completamente… Diverso. Appariva meno rigoroso, gli intensi occhi verdi sembravano più grandi, esaltati dal colorito pallido, e il volto ormai squadrato da una prima maturità era più libero. Quasi sconfinato. Satoru non seppe spiegarselo, eppure in quel momento Tadashi gli trasmetteva un’incredibile sicurezza.
Quello forse se ne accorse, perché distolse lo sguardo e inforcò gli occhiali, scostandosi un ciuffo di capelli castani dalla fronte.
«Come hai trovato l’allenamento con Brock, ieri sera?»
«Non male.» Satoru si lanciò nuovamente sulla sua tazza di cereali. «Ma era del tutto diverso da quello di Aruya e Kaede.»
«Certamente. Loro si sono sfidati ad una lotta, tu invece hai provato ad allenarti assieme al tuo Pokémon.»
«Fin qui c’ero arrivato. Ma mi chiedevo il perché. Insomma… Mi sono divertito. Ho combattuto con Riolu come fossi a karate, senza fargli usare attacchi, provando assieme le forme e i passi.» Satoru alzò gli occhi, con le sopracciglia inarcate. «È che non vedo come questo possa servirgli contro gli altri Pokémon.»
Tadashi sorrise.
«Cos’è quella faccia? Mi stai prendendo in giro?»
«Ma no! È che sono felice che tu, come Aruya e Kaede, abbiate tanto da imparare. All’inizio, è come scoprire un nuovo mondo.» L’espressione di Tadashi tornò seria. «Vedi, il tuo Riolu è un Pokémon di tipo Lotta. Questo vuol dire che gli attacchi che imparerà si baseranno soprattutto sul contatto fisico. Probabilmente, Brock deve aver intuito la tua bravura nel karate e ha deciso che farvi allenare assieme era la scelta migliore.»
«Sarà, ma sono esausto!» Satoru si accasciò sul tavolo di legno, sconfortato che la scatola di cereali fosse già finita. Poi, perplesso, si raddrizzò. «Che intendi dire con “deve aver intuito”?»
Tadashi cedette sotto al suo sguardo inquisitore.
«Va bene, ammetto di avergliene parlato io, ma solo perché ritenevo che un allenamento del genere sarebbe stato perfetto per voi.»
«Ecco, dov’era la fregatura…»
«Insomma! Brock pareva entusiasta, da come mi ha parlato di voi…»
Satoru non fece in tempo a ribattere che la porta si spalancò con forza e l’atmosfera fino a quel momento tranquilla venne bruscamente spezzata.
«Buongiorno!» gridarono Aruya e Kaede entrando di corsa assieme ad Eevee e Nekochi.
«Ehi ehi, toglietevi le scarpe, siete pieni di fango!» 
«Scusaci, Tada!» fece la ragazza, calciandosi via le calze dai piedi.
«Non potete neanche immaginare quant’è bello là fuori!» esclamò Kaede, stringendo un pugno, con gli occhi che brillavano per l’entusiasmo.
«Nekoooo!»
«Abbiamo incontrato dei Pokémon fantastici!» aggiunse Aruya «C’erano Teddiursa e Sentret e Butterfly e Geodude e…»
«Piano, diamine, così non capisco una mazza!»
«Tu che ne sai, Satoru, dormivi! Uh, ma… Fratellone, sei ancora in pigiama?»
Il rosso mise il broncio, esalando un disperato: «Ho bisogno di altri cereali!»
«Non adesso! Forza, forza, vieni con noi! Ti facciamo vedere il bosco.»
Kaede gli venne incontro, provando a sollevarlo di peso dalla sedia: non fece neanche in tempo a iniziare che con un gemito mollò la presa, senza forze.
«Ma quanti muscoli hai?» ansimò asciugandosi il sudore dalla fronte. Il maglione spesso che portava, poi, non aiutava di certo.
«Sei tu che ne hai troppo pochi.»
«Su, Satoru, non farti pregare: esplorare il bosco è un’esperienza da non perdere.» Tadashi si beccò un’occhiataccia.
«Tu non vieni?»
«No. Ho delle faccende da sbrigare. E poi alcune cose di cui discutere con Brock. Ricerche, niente di che.»
«Le stesse ricerche per le quali il Tiranno ha distrutto Borgo Silvano?» il tono di Aruya era serio.
Il ragazzo esitò, sistemandosi meglio gli occhiali sul naso.
«Ormai dovresti parlarcene» fece Kaede, guardando apertamente il fratello, che abbassò gli occhi.
Cosa avrebbe dovuto dire loro? Era un bene che sapessero? O avrebbero solo rischiato di passare ancora più guai di quanto già non stessero facendo?
Fortunatamente, Satoru intervenne in suo aiuto.
«Che rompipalle che siete! Fatemi vedere questo bosco e non perdiamo tempo.» 
Si tirò in piedi con un balzo e corse in camera sua, situata nel sottotetto, per cambiarsi. S’infilò velocemente un paio di pantaloni pesanti, una camicia di flanella e un maglione di lana e ridiscese con lo zaino in spalla e Riolu affianco. 
«Su, andiamo.»
«Ma, fratellone…»
«Non fare la bimbetta viziata.»
«Eppure sarebbe il momento che Tada…» cominciò Kaede, scrutando il fratello oltre le larghe spalle dell’amico.
«Masahiro-san è il più grande fra noi e farà quello che gli pare e piace. Finiamola, adesso, e mettiamoci in marcia, non voglio far tardi a pranzo.»
Tadashi lanciò un’occhiata di ringraziamento al rosso, mentre quello trascinava i ragazzi fuori di casa. I due in un attimo si intesero e la porta sbatté dietro ai giovani Allenatori e ai loro Pokémon.
Satoru poteva sembrare un ragazzo impulsivo e testardo, ma lentamente Tadashi stava iniziando a conoscere un altro lato del suo carattere, più responsabile e maturo. Quella mattina, era riuscito a stupirlo.
Sospirò, massaggiandosi gli occhi da sotto gli occhiali. Si sentiva terribilmente stanco, come non lo era mai stato in vita sua. E pensare che non aveva neanche diciotto anni! Si comportava come un vecchio nostalgico e brontolone.
Tirò controvoglia fuori il Pokégear dalla tasca della giacca. Lo fissò intensamente. Non aveva alcuna voglia di sentire di nuovo Nivene e Ichirou, ma era consapevole di doverli informare dei progressi del viaggio. 
«Vieni fuori, Luxio.» 
Dalla Sfera Poké, accompagnato da un fascio di luce rossa, uscì il suo fidato compagno Pokémon. 
«Lux, Luxio.»
Gli si avvicinò teneramente, strofinando il muso sulla sua mano tesa e addentando il Pokébigné che l’Allenatore gli porgeva.
Rincuorato da quel contatto, Tadashi lo carezzò ancora, scompigliandogli il pelo blu scuro tra le orecchie. Aveva bisogno di tanto coraggio e una buona dose di forza di volontà, che solo Luxio probabilmente gli avrebbe potuto infondere in quel momento.
La vergogna lo pervadeva ogni volta che ripensava all’ultima conversazione avuta con i suoi colleghi.
Strinse i denti.
Vergogna. Era giusto che lui si vergognasse. Non era degno di nulla. Era destinato a soffrire.
Dolore.
Spalancò gli occhi, stringendosi le spalle fino a farsi male. Luxio lo guardò preoccupato dal basso, senza sapere come confortarlo.
Indegno. Schifoso. Non meritava di esistere.
Ansimò, scuotendo il capo. Come un lampo di luce tra la nebbia, gli tornò alla mente il Professor Oshizami, che era stato la sua salvezza: le pacche sulla schiena date tra un incoraggiamento e l’altro, i fazzoletti porti tra le lacrime, le parole rassicuranti.
“Non pensarci. Dimenticati di tutto il male che ti hanno fatto. Tadashi, tu sei meraviglioso! E nessuno quanto te ha il diritto di stare al mondo.” 
Il respirò tornò regolare, come anche il ritmo del suo cuore. Si asciugò il sudore dalla fronte, rilassando i muscoli tesi. 
«Luxio… Luxio!»
Sorrise al suo compagno Pokémon. «Non preoccuparti, amico mio, sto bene.»
Senza più esitare, schiacciò il pulsante di chiamata sul Pokégear, che si accese con una luce tremolante.
Neanche due squilli, che il volto strafottente di Ichirou apparve sullo schermo.
«Toh guarda, chi si vede. Il contadinotto.»
«Buongiorno, Ichirou. Come sta andando, da voi?»
«Ah, splendidamente. Siamo diretti a una merda di ghiacciaio per salvare la pelle ad un Professore che non sa neanche badare a se stesso. Sui fiumi che risaliamo è pieno di zanzare. Nivene ti odia, poi ti ama, poi non si capisce. Blatera tutto il giorno di te. È una rottura di palle.»
Gli occhi azzurro cielo di Ichirou, attraverso il Pokégear, si fissarono dritti in quelli verdi di Tadashi, che subito li abbassò.
«Mi dispiace di starvi creando disturbo.»
«Se ti fosse dispiaciuto non avresti fatto questo casino.» Il bruno sbuffò.
«Lo so.» Tadashi si sentì rimpicciolire. Ma doveva farsi forza. «Noi, comunque, siamo ad Altura Smeralda, abbiamo trovato Brock.»
«Oh-ho, molto bravi. Vi manderò i fiori di congratulazioni appena ritirato il premio come miglior sopportatore di rompipalle! Stai solo facendo il baby-sitter, cosa vuoi, un applauso?»
Tadashi alzò nuovamente lo sguardo, risentito. Luxio ringhiò accanto a lui, sollevando le orecchie con rancore. «Quando fai così, sei insopportabile.»
«Ma davvero, contadinotto?»
Ichirou si scostò dagli occhi una ciocca di capelli neri e mossi, mentre si passava la lingua sulle labbra, con malizia. Tadashi deglutì.
«Eppure non pensavo proprio che le cose stessero così…»
Il battito del castano accelerò, mentre la sua temperatura aumentava. Quella voce melliflua voleva solo metterlo alla prova, niente di più. Doveva essere forte. Non doveva cedere. Aveva già combinato abbastanza guai, non poteva…
Ichirou rise, con la solita espressione di scherno dipinta sul bel volto. Sapeva d’averlo in pugno.


«Insomma, ripetetemi cos’è che c’è in questo bosco.»
«Sei proprio scemo, Satoru, te l’ho già detto!»
«Eevee, vee!»
«Su, sorellina, un po’ di flessibilità…»
Nonostante la buona volontà dei due più piccoli, la momentanea pigrizia di Satoru li aveva trattenuti ad Altura Smeralda per un bel po’ di tempo. Si grattò la testa, con aria svogliata, mugugnando: «Oggi ho sonno, non capisco bene le cose.»
«Ce ne siamo accorti» commentò Kaede, sospirando e cercando gli occhi di Nekochi per avere sostegno. Il suo piccolo amico rizzò il pelo smeraldo e tirò in alto il nasino nero per manifestare il suo disappunto.
Usciti dalla città, si erano appena addentrati lungo il sentiero tra le rocce che portava alle montagne, quando un fruscio alle loro spalle li fece voltare.
Ciò che videro davanti a loro li impietrì basiti sul posto, con le pupille dilatate e le bocche aperte. I loro Pokémon abbassarono le orecchie e arretrarono ringhiando, intimoriti. 
Le orecchie di Kaede cominciarono a pulsare e il cuore a premergli con forza sulla gola, mentre un brivido gelido lo attraversava dalla testa ai piedi. Tutto parve fermarsi.
«Cos’è… Quello
 







 
 
 
 
NOTE DELL’AUTORE
Buongiorno carissimi!
Eccovi qui anche il nono capitolo. Ho voluto incentrarlo soprattutto sui pensieri dei personaggi, ma nel prossimo vedremo un po’ d’azione. Per Tadashi dovrete aspettare un po’ di più, ma tutto a suo tempo.
Come sempre grazie mille a francs_moony, White Pika girl, anonymous_prongs, al grande Nodi e alla carissima Persej Combe per aver recensito il capitolo precedente! Il vostro sostegno è molto importante per me e vi sono grato per star seguendo in modo così appassionato la mia storia.
A presto!

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Capitolo 10
*** Capitolo dieci: Confronti ***


 -La dedica è sempre tutta per la cara Blue Eich-
 
 

 
                                                                                                                           

Capitolo dieci: Confronti

 
Da una grotta, a lato del sentiero, stava lentamente uscendo ciò che doveva essere un Pokémon: enorme e possente, appariva come una catena di massi grigi legati l’uno all’altro e un lungo corno gli spuntava al centro del capo, tra gli occhi infossati e sottili. Ruggì, avanzando in tutta la sua vigorosa statura, e la terrà tremò.
«Que… Quello è…» balbettò Aruya.
«…Un Onix» terminò Kaede, impietrito. Aveva visto quel bestione illustrato tra le pagine di appunti su cui studiava suo fratello Tadashi, quando erano ancora a Borgo Silvano.
L’Onix spostò lo sguardo su di loro, ruotando il capo massiccio.
«Arretriamo… Molto lentamente…» Satoru si mise in testa al gruppo, spalancando le braccia, e cominciò ad indietreggiare. Gli altri due lo imitarono, terrorizzati da quell’imponente figura. I loro Pokémon tentarono di farsi il più piccoli possibile; nessuno si sentiva in grado di reggere il confronto con Onix.
Quello, all’inizio, parve non notarli. Poi replicò il capo, ostile, torcendo il busto in avanti. Gli amici si fermarono nuovamente, senza sapere come avrebbe reagito. Dopo un attimo di quiete, in cui Kaede sentì il suo respiro affannoso andare a confondersi col battito frenetico del suo cuore, il Pokémon ruggì un’altra volta e fece scattare la coda petrosa in avanti.
Kaede, Aruya e Satoru gridarono, spostandosi per evitare la frana creata in alto, alla loro destra, da quel potente attacco.
«Venite, presto!» chiamò Kaede rivolto ai Pokémon, prima di scappare assieme agli amici, correndo più veloce che poteva. Il sudore gli colava gelido sulla fronte, appiccicandogli i capelli al volto. Non aveva idea di che strada avessero preso o di dove conducesse; disperato, gettava occhiate ai suoi fianchi, per assicurarsi che i suoi amici e Nekochi gli fossero vicini. Onix era sempre dietro di loro, ad inseguirli ruggendo, fin troppo rapido per il suo peso.
«Satoru!» gridò Aruya, affannata, fermandosi col fiato spezzato.
«Aru! Corri! È dietro di te!» urlò Kaede, spaventato.
«Non ce la faccio…»
La ragazza si appoggiò alla parete rocciosa accanto a lei, sentendo le forze abbandonarla.
«Aruya!» chiamò Satoru, disperato, vedendo Onix appropinquarsi a lei minaccioso. Si bloccò sul posto, imitato da Kaede e dai Pokémon.
Il cuore gli martellava nel petto tanto forte da fargli male. Non poteva permettere che accadesse qualcosa di male a sua sorella. Se l’era ripromesso all’inizio del viaggio: l’avrebbe protetta a tutti i costi.
«Al diavolo!» Si lanciò in corsa verso la ragazza, mentre Onix sollevava già la massiccia coda, pronto a colpire.
«Riolu, Palmoforza!»
Con un agile balzo il Pokémon si appoggiò alla parete rocciosa e sollevò le zampe verso Onix, facendone scaturire un’onda d’urto che andò dritta contro di lui, bloccandone l’attacco. Il nemico si voltò, senza aver quasi sentito il colpo, ma ugualmente inferocito.
Il respiro di Kaede tornò regolare. In un attimo, si accorse di ciò che stava succedendo. Una sola parola gli risuonava nelle orecchie e nel cuore: “Aruya!”
«Coraggio, Nekochi!» In fretta raggiunse Satoru, assieme al suo fidato compagno. «Attacco Rapido, adesso!»
Prontamente il suo piccolo amico eseguì l’ordine, lanciandosi all’attacco. Stavolta Onix accusò il colpo, ruggendo dal dolore.
Aruya parve riprendersi, perché si rimise in piedi, abbandonando la parete a cui era appoggiata, per urlare con la sua solita grinta: «Vai, Eevee, è il nostro turno: Azione!»
Onix si mosse, infastidito, mentre il volpino gli si gettava contro. Per quanto ci provasse, non riusciva a capire da dove venissero gli attacchi. Innervosito, agitò la coda possente e sferzò il monte, causando un’altra frana.
I ragazzi la evitarono per miracolo, scansandosi agilmente.
Col fiatone, si guardarono per un attimo, spaventati eppure uniti da una complice eccitazione. Onix barcollò, provato dall’attacco che aveva scagliato lui stesso. Subito, i ragazzi si intesero.
«Eevee, Colpocoda!» 
«Riolu, Calciobasso!»
Onix tentennò sotto le mosse scagliate dagli avversari, accasciandosi stordito contro la parete di roccia.
Kaede capì in un attimo ciò che avrebbe dovuto fare. Vide Nekochi mettersi in posizione, alzare la coda biforcuta, tirare indietro le orecchie e inarcare la schiena. Un bagliore verde chiaro s’irradiò attorno a lui, circondandolo, prima soffuso, poi sempre più intenso.
«E quella che mossa sarebbe…?» L’Allenatore spalancò gli occhi: il suo Pokémon ruggì e un’ondata di luce color smeraldo divampò dal suo corpicino, colpendo in pieno Onix, che cadde a terra con un boato, sollevando una gran polvere che oscurò per un attimo la visuale.
Il bagliore attorno a Nekochi si disperse e il Pokémon poté riprendere fiato. Le polveri si sollevarono, mostrando il corpo lungo e massiccio di Onix riverso accanto alla montagna, privo di forze.
L’avevano sconfitto.
Kaede quasi non ci credeva. Aveva vinto contro un Pokémon! C’era riuscito davvero! Gli amici si guardarono, ancora frastornati. Assieme scoppiarono a ridere, sollevati, liberandosi della paura che li aveva pervasi fino a un momento prima.
«Siamo stati mitici!» esclamò Satoru, stringendo un pugno.
«È vero, eravamo fortissimi!» esultò Aruya, gettando le braccia verso il cielo.
«E voi tutti siete stati bravissimi» aggiunse Kaede, sorridendo con orgoglio ai loro Pokémon.
«Eevee-vee!»
«Rio-riolu!»
«Nekoooo!»
Gli Allenatori presero fra le braccia i loro piccoli compagni, accarezzandoli. Poi tirarono fuori le Poké Ball, facendoli rientrare: avevano diritto ad un meritato riposo.
L’eccitazione era ancora tanta nei ragazzi, ma sentendo l’Onix steso a terra mugugnare nell’incoscienza, decisero che era meglio andarsene il più in fretta possibile.
Ripreso fiato un’ultima volta, ripartirono in direzione di Altura Smeralda, ripercorrendo il sentiero per cui Onix li aveva inseguiti, ansiosi di raccontare la loro avventura a Tadashi. 


«Cosa avete fatto?!»
Lo sguardo severo del fratello congelò Kaede, che da lui si sarebbe aspettato una reazione completamente diversa.
«È pericoloso! Brock deve avervelo detto per forza che il sentiero ad ovest non è percorribile da Allenatori inesperti! Cosa pensavate di fare?»
«Stai fraintendendo, Masahiro-san…»
«Al diavolo tu e i tuoi “Masahiro-san”, Satoru! È una cosa seria!»
«Mi fai paura così, Tada…» balbettò Aruya. Vedere il più grande tanto inferocito, con i lineamenti induriti dalla preoccupazione e distorti in un’espressione di rabbia, era qualcosa di più che raro.
«Cosa credete, che mi piaccia farvi la predica? Vi ho atteso preoccupato tutto il giorno… Con che coraggio vi presentate a quest’ora?»
«Ma c’è ancora luce, fratellone…»
«Però è quasi ora di cena, Kaede! Se vi foste imbattuti nelle pattuglie del Tiranno, eh? Sapete che sono tempi duri, questi. Non vi avrei mai fatti tanto irresponsabili; specialmente tu, Satoru… Pensavo di poterti dare fiducia.»
Gli occhi verdi di Tadashi, coperti dagli occhiali, si fissarono delusi in quelli del rosso. Lui non distolse lo sguardo, ma non per sfidarlo. Piuttosto, lo scrutò, con fare quasi inquisitorio. Infatti, dietro alla preoccupazione e alla rabbia, sul volto dell’altro aveva scorto tanta tristezza, un dolore sincero impresso nei lineamenti delicati, assieme a… Vergogna?
Fu Tadashi ad abbassare gli occhi. Che Satoru avesse intuito qualcosa?
Il rosso alzò il mento e reclinò il capo, perplesso ed incuriosito. Tuttavia, non disse nulla.
«In ogni caso, non riprovate mai più ad andare in luoghi del genere da soli. Un conto è il bosco fuori Altura Smeralda, un altro la Cava Oscura. Mi sono spiegato?»
Kaede e Aruya annuirono, rossi per l’imbarazzo. Anche Satoru assentì, sentendosi un po’ in colpa per quanto avvenuto. Del resto era il più grande fra i tre ed avrebbe dovuto fare di più per proteggerli.
Gli amici salirono nelle loro camere, aspettando la cena con gli entusiasmi smorzati dalla sgridata. Avevano sbagliato, questo sì, ma avrebbero voluto qualche lode in più da parte del maggiore.
Quello, nel frattempo, si passò una mano sugli occhi, senza sapere cosa pensare. Non avrebbe dovuto rimproverarli in quel modo. Si erano messi nei guai, ma erano anche riusciti ad uscirne incolumi con le loro forze. Il nervosismo per la conversazione avuta quella mattina con Ichiorou si era unito allo spavento per i giovani compagni di viaggio, creando così quella reazione esagerata. 
Perché andava sempre tutto storto?



«Ehilà!» Un Brock entusiasta spalancò la porta dell’ingresso con energia, presentandosi per cena su invito di Tadashi. «Ragazzi!» chiamò, allegro. I tre amici si affacciarono dalle scale, felici di vederlo.
«Ciao Brock!» esclamarono all’unisono, mentre Eevee, Riolu e Nekochi li raggiungevano con un gran baccano.
«Ben arrivato» fece Tadashi, dalla cucina, finendo di preparare le ultime cose.
«Non puoi neanche immaginare quello che ci è successo oggi!» cominciò Aruya, scendendo rapidamente al piano inferiore.
«Fatemi indovinare…» la frenò l’adulto. «Avete sconfitto un Onix vicino alla Cava Oscura!»
I ragazzi rimasero impietriti davanti a lui, senza sapere cosa ribattere. Si udì un gran rumore di cocci infranti, seguito da Tadashi che, con i capelli arruffati e le sopracciglia inarcate, si affacciava nel soggiorno.
«Brock, non starai dicendo…»
«Ho assistito a tutta la scena! Siete stati favolosi, sono molto fiero dei miei allievi!» Unì le mani, deliziato, con gli occhi a fessura che brillavano per l’orgoglio.
«Veramente?» chiesero assieme Aruya e Kaede, mentre due grandi sorrisi si allargavano sui loro volti.
«Certamente!»
«Come sarebbe a dire?» Il disappunto si dipinse sul viso di Tadashi. «Hai lasciato che corressero un pericolo simile?!»
«Devono pur imparare a cavarsela da soli, Masahiro» rispose Brock, in tono serio. «Il vostro sarà un viaggio pericoloso, devono essere in grado di affrontare le difficoltà sul loro cammino, anche quelle che all’inizio appaiono insormontabili.» 
«Eravamo davvero forti, eh?» fece Satoru, con una smorfia superba.
«Altroché! Non me lo sarei mai aspettato… Cioè, no, non è che non avessi fiducia in voi, eh…» Brock prese a gesticolare, imbarazzato. I ragazzi alzarono gli occhi al cielo, incrociando indispettiti le braccia.
Poi l’uomo si ricompose, grattandosi gli ispidi capelli castani, e riprese: «In ogni caso, siete stati molto bravi. Unita assieme, la vostra forza è ancora maggiore. Al momento degli attacchi combinati non potevo credere di aver davanti degli Allenatori in erba… Il Forzempatica di Nekochi finale, poi, era senza pari! Non pensavo che già conoscesse quella mossa…»
«Il che cosa?» lo interruppe Kaede, perplesso.
«Neko, Nekoooo?»
«Forzempatica. È l’Attacco Speciale di Nekochi. Non lo sapevi…?»
Pokémon e Allenatore scossero i capi, stupiti.
«Oh, beh, alla fine è proprio così che si scoprono i punti di forza!» Brock ridacchiò. «È un’Abilità che si manifesta quando Nekochi entra in piena simbiosi con i sentimenti dell’Allenatore. Più essi provano uguali emozioni e i loro animi sono vicini, più l’Attacco risulta potente.»
«Uahh…» esalò Kaede. Dunque guardò intensamente il suo Pokémon, esclamando: «Nekochi, sei incredibile!»
«Nekooo!»
«Ehi, ehi, anche noi siamo stati bravi!» precisò Aruya, agitando le braccia, imbronciata.
«Eevee, vee!»
«Senza dubbio!» Brock sorrise. Quei due Allenatori pieni di grinta gli ricordavano terribilmente i volti del suo passato; volti lontani, che suscitavano nell’Allevatore di Pokémon tanta nostalgia…

Tadashi scrutava pensieroso Aruya e Kaede ridere assieme all’uomo. Cosa si era messo in testa Brock? Era forse impazzito, ad aver fatto correre loro un rischio simile, quella mattina? Si ricordò le parole che egli stesso gli aveva rivolto la sera prima.
“Vedi, Masahiro, si stanno verificando strani fenomeni ad Altura Smeralda. Potrebbero essere collegati agli studi sulle pietre di Bosco Smeriglio che conducevi assieme al Professor Oshizami. La Natura sta cominciando a comportarsi in modo strano… E anche i Pokémon… L’Equilibrio, l’Equilibrio si sta spezzando…”
Non aveva aggiunto altro, lasciando Tadashi pieno di dubbi e timori. Cosa stava succedendo? Kérehon era diventata pericolosa. Forse troppo, per i suoi giovani compagni di viaggio.
Sospirò. Magari non era la persona giusta per farsi carico di tutte quelle responsabilità. Magari aveva ragione Ichirou: lui era solo un debole. L’amarezza gli salì alla gola.
Reclinando il capo, si accorse che Satoru lo stava fissando. I suoi occhi azzurri lo trafissero, come a volergli guardare nell’anima, mentre il vociare allegro di Kaede, Aruya e Brock si faceva lontano, dall’altro lato del soggiorno.
Il rosso gli si avvicinò, con passo fermo. Tadashi non sapeva cosa dire per fermarlo. Forse, non voleva davvero farlo. 
Arrivato a una spanna dal suo volto, Satoru si protese in avanti e gli sussurrò soltanto: «Tu non mi inganni, Masahiro-san. Potrai riuscirci con Kaede e Aruya, loro sono ancora ingenui. Ma io… Io sono riuscito a vederti
Per Tadashi fu come essere attraversato da una scossa. 
Le richieste della cena da parte dei ragazzi gli arrivarono confuse, mentre si dirigeva in cucina per prendere le portate accuratamente preparate nel pomeriggio. Per poco non fece cadere i vassoi, tanto gli tremavano le mani.
Che fosse stato scoperto?
 






 
 
 
 
NOTE DELL’AUTORE
Eccovi dunque il decimo capitolo, spero vi sia piaciuto.
Ringraziamenti speciali come al solito a francs_moony, White Pika girl, anonymous_prongs, Nodi e Persej Combe per aver recensito il capitolo precedente; mi rendete davvero fiero di avere lettori fantastici come voi!
Volevo avvisarvi che adesso che l’anno “lavorativo” è ufficialmente ricominciato gli aggiornamenti saranno meno frequenti, forse mi troverò costretto ad interrompere la storia. Tra scuola e allenamenti in piscina avrò poco tempo libero, ma vedremo.
Un carissimo saluto e a presto, grazie a tutti coloro che mi seguono con entusiasmo.

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Capitolo 11
*** Capitolo undici: Notte ***


 
 
 

 
Capitolo undici: Notte

 
Aruya non riusciva proprio a prendere sonno, quella notte.
Si girava e rigirava tra le coperte, fissando il soffitto, con gli occhi che rifiutavano di chiudersi. La sua camera era al secondo piano, accanto a quella di Kaede; sopra di loro, nel sottotetto, era incastrata quella di suo fratello Satoru, di cui spesso si sentivano le imprecazioni per le testate date. Tadashi invece dormiva al primo  piano, nella stanza adiacente a soggiorno e cucina. Quella casa era fin troppo larga per loro quattro.
La ragazza, nella penombra, lanciò uno sguardo ad Eevee, profondamente assopita su un cuscino di piuma accanto al letto. La accarezzò piano, per non svegliarla, e sorrise sentendola mugugnare nel sonno.
Quella era stata una giornata piena di emozioni.
La battaglia contro Onix non l’avrebbe scordata mai, per il resto della vita. L’adrenalina in corpo, la sintonia con il suo Pokémon, la felicità per la vittoria… Anche la paura era stata tanta, ma lei e i suoi amici erano riusciti a lottare nonostante tutto.
Aruya sapeva che non dovevano scordarsi del vero motivo per il quale erano partiti: il Tiranno. Nella sua fantasia lo immaginava come una figura alta, avvolta nell’ombra, con un ghigno minaccioso in volto. Al solo pensarci, le vennero i brividi.
Si picchiettò la fronte e scosse la testa, dandosi della stupida. Non doveva mica preoccuparsi, in quel momento! Era ovvio essere spaventati, ma doveva impegnarsi al massimo nell’allenamento, così da diventare forte. La più forte di tutti. Avrebbe sconfitto il Tiranno e tutti gli Allenatori l’avrebbero presa ad esempio. Avrebbe vinto anche contro Kaede… 
A quella speranza, un po’ di tristezza le salì nel cuore. Ci sarebbe riuscita davvero? Si ricordò di quella mattina, quando Onix era riuscito a raggiungerla, e si sentì sprofondare. Se Kaede e Satoru non l’avessero aiutata, chissà cosa le sarebbe successo… Ripensò al ragazzo e al suo passo svelto, ai suoi capelli color del grano che sfrecciavano avanti a lei, seminandola… Anche durante i loro ultimi giorni a Borgo Silvano aveva cominciato a notare alcune differenze fra lei e Kaede, nel dojo di karate. I muscoli dell’amico stavano crescendo più dei suoi e presto l’avrebbe superata in altezza.
Sarebbe più riuscita a reggere il confronto con lui?
Eevee si stiracchiò nel sonno, con un dolce brontolio.
Non doveva darsi per vinta! Nelle lotte Pokémon sarebbe stata lei la migliore, per forza! Erano rivali e non  poteva permettere che Kaede l’avesse vinta tanto facilmente.
Nell’impeto di quei pensieri, non si accorse neanche di essersi alzata a sedere sul letto, con i pugni stretti e i capelli corti tutti in disordine. Sospirando e rinunciando a dormire, poggiò i piedi sul pavimento di legno, che scricchiolò in modo sinistro sotto al suo peso. Si tirò in piedi di scatto, spaventata. Quanto erano vecchie quelle travi?
Non fece in tempo a riprendersi, che un lieve bussare si udì da dietro la porta chiusa della sua camera.
«Chi… chi è?» chiese perplessa, schiarendosi la gola.
L’uscio si aprì con un cigolio e lei poté riconoscere stagliata nella penombra la sagoma magra di Kaede, in pigiama, con i capelli color grano arruffati e l’album da disegno stretto tra le mani.
«Non riesci a dormire neanche tu, Aru?» domandò, strofinandosi un occhio cerchiato.
«Kae!»                       
La ragazza non si curò di essere anche lei in pigiama e accese la lampada sul suo comodino, per rischiarare l’atmosfera. Era così felice che l’amico l’avesse raggiunta! Mai come in quel momento aveva sentito il bisogno di compagnia e nello sguardo di Kaede vedeva lo stesso desiderio. Sembravano sintonizzati, loro due.
«Come mai sveglio?»
«Disegnavo Onix!» Il ragazzo le mostrò l’album da disegno, con un gran sorriso. «Sono ancora troppo emozionato, per dormire!»
Aruya sgranò gli occhi davanti alla perfetta rappresentazione del Pokémon che li aveva attaccati quella mattina. Ogni dettaglio, ogni sfumatura erano perfetti.
«Che c’è? Non ti piace?» fece Kaede, vedendola immobile davanti all’illustrazione.
«Ma come ti viene in mente! Sei bravissimo, Kae!»
Il ragazzo alzò le sopracciglia, non aspettandosi quei complimenti.
«Dov’è che hai imparato?»
«Ho imparato da me, credo.»
«Sei incredibile.»
 Aruya sfogliò le pagine addietro, mentre l’amico faceva spallucce.
Vide Nekochi ed Eevee addormentati l’uno sull’altro, Satoru che mangiava avidamente le frittelle preparate da Tadashi, Brock che mostrava loro il suo Vulpix. Vide anche Borgo Silvano distrutto, e una fitta dolorosa le attraversò il petto.
Chiuse l’album, porgendolo all’amico.
«Eppure non è giusto! Perché io non so disegnare?»
Kaede rise.
«È solo questione di pratica! Ma non sono poi tanto bravo…»
«Non fare il modesto, che sei insopportabile.»
Il ragazzo si grattò la testa, imbarazzato.
«Kae, tu… Com’è che disegni?»
«Com’è che disegno, dici?» Il ragazzo si sedette sul letto, accanto all’amica. «Sai… Ho sempre pensato che esista un qualcosa, chi sa dove, che ci lega: uomini, Pokémon, animali… alberi e piante, addirittura! Se ci si ferma ad osservare un momento, si riesce a vedere il suono della vita, che unisce tutto, come un dolce sottofondo.»
«E quindi?»
«Quindi beh, io vorrei tentare di disegnarlo. Per farlo un po’ più mio, per sentirlo un po’ più vero. Disegnare è come rapire l’anima delle cose, in fondo. Vorrei poter arrivare a toccare questa grande e unica anima, senza aver bisogno di cercarla col disegno: vorrei poter chiudere gli occhi, e trovarla.»
Tra i due calò il silenzio. Non un silenzio imbarazzato, però. Uno di quelli intimi, complici, che soltanto persone davvero vicine tra loro possono condividere.
Aruya aveva percepito l’importanza nelle parole del migliore amico. Non le importava di non saper disegnare bene quanto lui, non le importava che da quel punto di vista l’avesse superata. In quel momento dentro di lei sentiva solo calore, un sentimento che non aveva mai provato prima, incredibilmente dolce. Guardò il profilo di Kaede al suo fianco: aveva un’aria sognante e trasandata, col pigiama stropicciato e i capelli scompigliati, eppure non le era mai parso così bello.
Bello? Si diede un ceffone, improvvisamente disgustata da quei pensieri stupidi.
«Tutto apposto?» fece il ragazzo, preoccupato.
«Sì, lascia perdere.» Scosse la testa, imbarazzata. Ma che diamine andava a pensare?
Si sistemò meglio fra le coperte e sbadigliò, sentendo le palpebre appesantirsi.
«Ti domandi mai come ci siamo finiti in questa situazione?» fece Kaede «Insomma, solo l’altro giorno eravamo a Borgo Silvano che sognavamo i nostri primi Pokémon. E adesso siamo in viaggio come Allenatori per salvare il Professor Oshizami! Ci avresti mai creduto?»
«Ovvio che no! Scemo come sei non ti ci avrei mai visto in una missione così pericolosa!»
Kaede rise. Poi, stiracchiandosi, sbadigliò anche lui.
«Lo sai, Aru, nonostante tutto sono felice che di star viaggiando assieme a te.»
Fu l’ultima cosa che Aruya udì, prima che gli occhi le si chiudessero con dolcezza, facendola scivolare in un sonno tranquillo.
 
 
«Voi due… Che cavolo avete combinato, stanotte…?»
La ragazza alzò le palpebre offuscate dalla stanchezza, sentendo la voce del fratello.
Si rizzò a sedere di soprassalto, accorgendosi di essersi addormentata accanto a Kaede, che ancora le russava accanto. Una coltre di rossore le offuscò la vista.
«Non è assolutamente come sembra!»
Satoru li fissava scettico a braccia incrociate.
«Non siete un po’ troppo giovani, per fare certe cose?»
«Ma che diamine dici, stupido! E tu svegliati, cretino!» Kaede si svegliò di soprassalto ricevendo un sonoro ceffone, che per poco non gli staccò la testa dal collo.
«Ma che cos…? Uh, buongiorno, Satoru!»
«Buongiorno? Tenti forse di rabbonirmi? Non ti basterà mica un “buongiorno”, dopo quello che hai fatto alla mia innocente sorellina…»
«Come? Io? Ma…»
«Piantala, insomma! Kaede non ha fatto proprio un bel niente! Si è solo addormentato qua, questo rincretinito…»
«Come no, dicono tutti così…» Satoru scoppiò a ridere, mentre dalle scale arrivava la voce divertita di Tadashi: «Dai, non torturarli, come risveglio sei riuscito ad imbarazzarli abbastanza.»
«Mi sa che hai ragione, Masahiro-san! Questi innocentelli non sarebbero mai in grado di fare certe zozzerie…»
Aruya stava diventando più rossa dei suoi capelli, tanto che pareva pronta ad esplodere da un momento all’altro. Kaede sembrava solo molto confuso.
«Basta, su. Venite a fare colazione?»
«Subito, Masahiro-san!»
Satoru fu il primo a correre giù per le scale, seguito da Riolu e Kaede, incurante del fraintendimento mattutino. Subito li raggiunse Nekochi, affamato.
Anche Eevee si svegliò, tirandosi su con un brontolio.
«Ben svegliata» la salutò Aruya con un sorriso, accarezzandole il pelo morbido tra le orecchie. «Raggiungiamo quegli idioti.»
«Eevee, vee!» 
 
 
Il tavolo della colazione era imbandito con uova strapazzate, bacon, cereali e pancake appena sfornati da Tadashi. Satoru si era già servito abbondanti porzioni di ogni cosa. La sorella si sedette affianco a lui, con una tazza di latte caldo fra le mani. Kaede sbadigliò, addentando il suo pancake.
«Ce n’è anche per voi!» annunciò allegramente Tadashi rivolto a Nekochi, Luxio, Riolu ed Eevee, porgendo grandi ciotole di Poffin e Pokémelle.
I Pokémon gli vennero incontro felici e affamati, esalando versi d’approvazione.
«Oggi riprenderete l’allenamento, giusto?» chiese il maggiore, accarezzando Luxio.
«Proprio così!» rispose Kaede, finalmente sveglio.
«Io e Riolu avremo molto lavoro da fare» disse Satoru con le guance piene di uova strapazzate.
«Ci impegneremo anche noi!» esclamò Aruya, piena di forze.
«Mi raccomando.» Tadashi sorrise. Tutta quella grinta aveva dato la carica anche a lui, facendogli dimenticare la conversazione avuta con Ichirou il giorno prima e i pensieri tormentati che gli frullavano per la testa. Si sentiva pronto per riprendere le ricerche che aveva interrotto a Borgo Silvano. Era importante che ci si concentrasse per bene: da esse potevano dipendere le sorti dell’intera regione di Kérehon…
 
I pancake non erano ancora stati finiti che un bussare frenetico e deciso si udì dalla porta di casa.
Tadashi andò ad aprire, perplesso. Chi poteva essere, a quell’ora del mattino?
Brock comparve oltre la soglia col respiro affannoso, piegandosi sulle ginocchia. Sembrava uscito da una lunga corsa, e il suo Crobat gli svolazzava sopra la spalla agitato.
«Brock! Cos’è successo?» chiese Satoru, alzandosi assieme agli amici e correndo all’ingresso.
L’uomo riprese faticosamente fiato, portandosi una mano al petto. Si raddrizzò, guardando negli occhi Tadashi.
«Masahiro… La montagna… Sta succedendo tutto come avevamo previsto…»
I ragazzi fissavano senza capire il maggiore tra loro, che si premette gli occhiali sul naso con una smorfia preoccupata.
«Davvero, Brock…»
Nekochi mordicchiò ansiosamente la gamba dell’Allenatore, intuendo il pericolo. Kaede, col respiro improvvisamente fattosi affannoso, non riusciva a decifrare l’espressione di spavento sul volto del fratello.
«Sai cosa vuol dire questo, vero?» fece l’uomo, serio.
«Cosa sta succedendo?» domandò Aruya con le sopracciglia inarcate.
«Vogliamo saperlo!» esclamò Satoru.
«Ma è proprio questo il problema. Non lo sappiamo» il tono di Brock era grave.
«Però, ragazzi…» cominciò Tadashi, abbassando lo sguardo. «Faremo meglio a star pronti.»
Un brivido rizzò i capelli sulla nuca di Kaede. Nekochi gli morse con più forza la caviglia.
Allenatore e Pokémon si guardarono intensamente: nuovi guai erano in arrivo.
 
 
 


   

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