There's Light Behind Darkness

di GiuliaStark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** The world behind the rain ***
Capitolo 3: *** My Whole Life Like a Broken Puzzle ***
Capitolo 4: *** Our Friendship As a Pearl In The Ocean ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


~~PROLOGO


Mi hanno detto che dietro l’oscurità c'è sempre la luce, allora perché io continuo a vagare in questo buio perenne da… aspetta. Da quanto? Ormai credo tutta la vita. Da quando ne ho memoria non credo di aver mai avuto uno di quelli che il senso comune chiama ‘’giorni felici''; ma non ne sentivo la mancanza. Come ti può mancare qualcosa che neanche conosci? Odiavo i luoghi comuni, odiavo il fatto che la maggior parte delle persone si nascondesse dietro alle semplici frasi fatte che venivano un po’ troppo utilizzate per i miei gusti. Ho sempre avuto una convinzione: alle persone non importa davvero di te. Dopotutto perché dovrebbero? Ognuno ha i suoi problemi in cui annegare, perché preoccuparci di quelli degli altri? Perché far finta che ci interessi solo perché l'altro si aspetta così. Perché? La risposta dopotutto non è affatto complicata, anzi, tutt'altro, credo sia talmente palese che è per quello che viene ignorata. Siamo falsi. La maggior parte della popolazione mondiale di sicuro lo é. La falsità regna ovunque oggigiorno, risiede in ogni volto, sorriso, gesto, tutto… si è impadronita di qualsiasi cosa. Ha preso possesso anche delle parole, essendo la maggior forma di espressione, di certo non poteva lasciarsela sfuggire. Le parole sono lo strumento per eccellenza; rispecchiano ogni emozione, ogni gesto, tutto. Le parole sono belle ma possono anche far male, possono lodarti, come insultarti; potarti a credere o lasciarti disilluso. Erano le parole che avevano coperto la mia luce.




ANGOLO AUTRICE

ecco qua il primo stralcio della storia, è solo un piccolo prologo ma è indicativo per capire il personaggio. Questa storia è nata un pò per caso, di sera e non credevo neanche di pubblicarla ma grazie a delle persone speciali che mi hanno convinto, eccola qua! Spero vi piaccia e mi raccomando recensite in tanti per farmi sapere cosa ne pensate!!

GiuliaStark

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Capitolo 2
*** The world behind the rain ***


Angolo autrice

Ecco il primo capitolo, buona lettura e fatemi sapere cosa ne pensate !




~~POV SAVANNAH


Era una mattina come tutte le altre quando finalmente decisi di dare una svolta alla mia vita. Ne avevo un disperato bisogno ma non ne avevo mai avuto il coraggio. Ogni volta che cercavo di cambiar pagina c'era sempre qualcosa che me lo impediva portandomi a rimanere bloccata nello stesso circolo vizioso. Cos’era successo di diverso? Non lo so, non lo saprei spiegare nemmeno io ma ringrazio qualunque cosa sia stata. Fu così che in una plumbea giornata di tre mesi fa lasciai l'Irlanda e tutto ciò che mi legava ad essa per partire con direzione Londra. Perché proprio Londra? Perché non avevo scelta… non potevo permettermi un biglietto per L.A per inseguire il mio sogno, quindi lo misi in un cassetto e dopo averlo chiuso con cura lo lasciai lì nella speranza che, prima o poi, avessi trovato il coraggio di aprirlo di nuovo. Non credo mi sarebbe mancata la mia vecchia cittadina, lì avevo solo problemi, anzi, ne ero letteralmente sommersa e probabilmente fu questa la causa maggiore che mi aveva spinta ad andarmene verso qualcosa di migliore; Mullingar mi stava stretta ormai… era culla di ricordi troppo dolorosi da poter sostenere ed io ero stanca di metter su ogni volta dei sorrisi di circostanza. Ne volevo di veri. Volevo ridere a crepapelle, volevo sorridere piena di gioia per il semplice fatto che avevo cambiato aria, vita e mi ero ripresa la vecchia me. E invece? Nulla. Ero qua da tre mesi ed avevo ancora addosso lo stesso senso di agonia e costrizione che mi aveva spinta a partire. Ero piena di casini, io prima di tutto ne ero uno vivente. Non avevo mai avuto qualcosa di normale nella mia vita, ogni cosa doveva sempre complicarsi: le relazioni, le amicizie, i rapporti familiari e scolastici, perfino la relazione con me stessa. Tutto. Londra era la città adatta a me, era grigia, uggiosa, a volte malinconica altre piena di vita; mi rispecchiavo bene nella sua parte estremamente gotica e quasi triste, mi dava un certo senso di conforto, come se io e lei fossimo due vecchie amiche con lo stesso carattere. Amavo parlare con lei, la trattavo veramente come una persona, una consigliera… ormai mi era entrata dentro e si era amalgamata perfettamente alla mia anima nera. In qualche modo ci intendevamo alla perfezione, cosa che non accadeva con la mia precedente città, era come se un qualcosa mi seguisse e consigliasse. Un giorno durante i miei soliti giri esplorativi dei primi giorni avevo trovato un bellissimo caffè letterario dove mi rifugiavo ogni volta che le ombre prendevano il sopravvento su di me; lì mi sentivo protetta, al sicuro. Adoravo l’odore del caffè caldo misto al profumo delle pagine di un libro, mi avvolgevano trasportandomi in un altro mondo, avevano il potere di calmarmi e farmi pensare positivo. Per questo erano tre mesi esatti che frequentavo il piccolo caffè nel quartiere che affacciava sul lato sinistro del Tamigi; venivo qua ogni mattina alla stessa ora, mi sedevo allo stesso tavolo accanto la grande vetrata ed ordinavo la stessa colazione. Mi piaceva questa quotidianità, mi aiutava ad entrare in un luogo tutto mio; di tanto in tanto alzavo lo sguardo dal libro che stavo leggendo per puntarlo fuori: analizzavo ogni cosa e persona mi passava di fronte cercando di immaginare la sua storia passata, presente e futura. Osservavo le persone, adoravo farlo. Le osservavo e basta, da quando fin troppi mi avevano deluso non mi avvicinavo a nessuno più del dovuto per paura di essere ferita ancora una volta come un ingenua; non so perché rimanevo affascinata dall’osservare, forse perché dietro ad un vetro sentivo che nessuno poteva ferirmi… ero irraggiungibile per chiunque e mi piaceva. Scrutavo i volti e li decifravo come le parole incise sulle pagine dei libri che leggevo; delle volte li fotografavo anche se avevano un’espressione particolare dipinta sul volto. Ecco un’altra mia grande via di fuga: la fotografia. Attraverso un obbiettivo mi sentivo padrona delle cose che mi circondavano, come se potessi gestirle a modo mio e vedere solo ciò che volevo vedere; fotografare mi provocava fortissime emozioni perché ogni singola foto che scattavo rappresentava un particolare sentimento o istante della mia vita. Immortalavo di tutto. Dal passante frettoloso che si affrettava verso l’entrata della metro di Piccadilly Circus, ai bambini che giocavano ad Hide Park la domenica mattina, alla vecchietta che sedeva a pochi tavoli di distanza da me fino alla gente del sobborgo vicino il vecchio porto dove vivevo. Ma non fotografavo solo le persone, il più delle volte ciò che richiamava la mia attenzione era qualche oggetto, anche il più banale per me aveva un certo fascino ed una sua storia tutta da raccontare; uno degli effetti che amavo usare di più era il bianco e nero. Non c’era un motivo particolare, ma uno più di altri si avvicinava maggiormente: era così che il mondo mi appariva. Come una foto in bianco e nero dai contorni nitidi e contenuti sfocati. Forse lo prediligevo perché il bianco si può sempre trasformare in colore e dare quella luce che serviva, la luce che serviva a me per opacizzare la mia oscurità. Le foto erano la nostra memoria per questo le amavo così tanto, avevano il mistico potere di catturare ogni attimo, anche il più piccolo, e lasciarlo impresso per sempre. Ti ricordano, a distanza di anni, chi eri, cosa ti piaceva, le tue aspettative… ogni singola cosa. Tutti gli scatti che facevo li tenevo gelosamente stretti e nascosti, perché, si, rappresentavano scorci di vite altrui ma in ognuna c’era anche un po’ di me stessa, per questo ero spesso riluttante a farle vedere a qualcuno perché sembrava come se mi mettessi a nudo, spogliandomi dei miei scudi e mostrando la vera me. Se mai ci sarà qualcuno di davvero importante nella mia vita glielo farò capire mostrandogli i miei scatti. Oggi non era una giornata diversa dalle altre: mi alzai alle 08:30 precise, mi vestii ed alla fine mi incamminai verso il piccolo caffè per dare inizio alla solita giornata; era una tranquilla domenica di fine ottobre decorata con una dolce e silenziosa pioggerellina tipica Londinese che dava quel tocco vintage ad ogni cosa. La pioggia era un’altra cosa che amavo. Era come se lavasse via le cose brutte del mondo lasciandolo nuovamente puro dal marciume che lo abitava. Non so perché ma mi rassicurava, mi rigenerava… ed era una sensazione impagabile quando ti sfiorava la pelle con una carezza quasi materna. Era in giornate come queste che ritrovavo la vecchia me stessa che avevo abbandonato tanto tempo fa; era come se la pioggia mi scoprisse, lavando via la mia armatura contro il mondo e portandomi di nuovo alla fragilità. Quando ero a Mullingar, giornate come queste usavo trascorrerle davanti la finestra della mia camera seduta sulla vecchia sedia a dondolo, appartenuta a mia nonna tempo fa, avvolta in una coperta a sorseggiare cioccolata calda mentre osservavo il mondo fuori attraverso le goccioline d’acqua che lo purificavano. Avevo sempre pensato che ci fossero solo due cose che ti permettevano di guardare il mondo per quello che era realmente: l’obbiettivo di una macchina fotografica e l’acqua. Quale cosa migliore per osservare la vita se non attraverso la fonte stessa che la creava? L’acqua era forma di limpidezza, di verità visto che portava via con se ogni cosa; agiva da filtro. Attraverso di essa potevi veramente capire il senso delle cose perché ti apparivano com’erano realmente senza trucco e senza inganno. Forse per apparire tutti più sinceri e veri bisognava vivere in una bolla d’acqua. Fin da piccola avevo sempre avuto una certa attrazione per la pioggia ma prima di venire a Londra non avevo mai avuto il coraggio di innamorarmene; da quando ero qui invece mi ero lasciata trasportare da talmente tante cose diverse che mi sentivo in qualche modo cambiata, non sapevo se in meglio o in peggio… dopotutto non avevo nessuno che poteva dirmelo. Vagavo per le vie di Oxford Street mentre la pioggia continuava a venir giù lentamente e nel frattempo mi strinsi un po’ di più al giubbetto di pelle che indossavo mentre affondavo le mani nelle tasche per ricevere un po’ di calore. La domenica mattina la dedicavo interamente a me stessa visto che non dovevo lavorare; era come se rubassi del tempo e lo sfruttassi per le cose che amavo fare. Stamattina ad esempio avevo avuto l’idea di perdermi per i sobborghi, di scoprire nuovi scorci da immortalare con il mio obbiettivo, nuovi luoghi da scoprire di una Londra che diventava mia pezzo per pezzo, di arrivare a conoscerne ogni angolo, soprattutto quelli più remoti che frequentavano in pochi e questi diventavano per me come tesori a lungo perduti per poi essere ritrovati. Il vento mi scompigliava i lunghi capelli portandoli a svolazzare nella frizzante aria della mattina che mi arrivava fin alle ossa provocandomi dei piacevoli brividi che mi ricordavano che, in qualche modo, ero ancora viva, che nonostante tutto quello che avevo passato ero ancora in piedi. Si, forse ricoperta di cerotti, lividi e con uno strato ancora più spesso a difendermi, ma pur sempre in piedi, pur sempre pronta a combattere per le cose e le poche persone nelle quali credevo ancora. Non era stato facile lasciarmi il passato alle spalle, dimenticarmi di certi luoghi e persone, ma mi sentivo in dovere di farlo. Un dovere verso me stessa. Stavo veramente uno schifo per aver abbandonato tutto, ma l’alternativa era rimanerne soffocata; ogni cosa sembrava volermi sovrastare e il peso dei ricordi era troppo per delle spalle fragili come le mie. Tutto della mia vita era stato vissuto con immensa difficoltà, ma gli ultimi due anni furono i peggiori, sembrava che tutto il male di questo mondo si fosse concentrato in quel lasso di tempo deciso a sconvolgermi e cambiare la mia vita una volta per tutte. Inizialmente avevo ingenuamente pensato che tutto si sarebbe risolto, che prima o poi il dolore e le sofferenze sarebbero passate… tipo i temporali estivi: fanno tanto rumore, sono violenti e, si, lasciano anche danni, ma alla fine passano sempre. E invece avevo torto marcio. Il mio temporale mi perseguitava da molto tempo ormai e non aveva intenzione di andarsene. I miei nuvoloni neri mi facevano da scudo per il mondo, mi impedivano di avvicinarmi agli altri e di conseguenza agli altri di avvicinarsi a me. Lo consideravo un sollievo, almeno non dovevo passare tutta la procedura di conoscere qualcuno e sforzarmi di trovare il coraggio di fidarmi. Dall’altro lato invece bramavo fortemente di tornare a fidarmi, di provare quell’ebbrezza che ti dava il sapere di avere qualcuno accanto che tiene a te, di cui fidarti ciecamente ed al quale affideresti non solo i tuoi segreti ma anche la tua vita. Era una bella sensazione. Quasi afrodisiaca. Una volta avevo avuto anche io il dono di provarla, ma tutte le cose belle prima o poi finiscono. Ed anche quella finì dispersa al vento come cenere.

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Capitolo 3
*** My Whole Life Like a Broken Puzzle ***


~~Mi piaceva venire al porto prima di andare al lavoro, lo trovavo rilassante e motivante. Era questo il centro stesso della vita di Londra e non nelle vie affollate. Proveniva tutto da qua: cibo, vestiti, persone. Il porto era un centro di passaggio per tutto, come una specie di punto di partenza. La vita non smetteva mai perché c’era sempre un carico pronto ad attraccare e gente ad accoglierlo. Ero seduta a gambe incrociate su una vecchia panchina di legno corrosa dalla salsedine che affacciava direttamente sulla banchina del molo numero sette e fissavo pensierosa il mare; il vento soffiava leggero e mi arrossava leggermente le guance con la sua pungente carezza autunnale. Tutto aveva una sfumatura quasi fredda: le onde azzurro ghiaccio si muovevano lentamente con una danza ondulatoria seguendo sempre lo stesso ritmo. Avanti e indietro, avanti e indietro. E via così all’infinito. L’orizzonte aveva ancora quella sfumatura rosata dell’alba visto che era ancora molto presto, forse nemmeno le sette. Non sapevo perché mi svegliavo sempre a quest’ora della mattina, ma era come se non riuscivo a stare nel letto più di quelle ore necessarie che mi servivano per riposare. O forse era la casa. Probabilmente anche quella faceva la sua parte. Era davvero piccola, vecchia, cigolante e con uno strano odore ma era l’unica che con il lavoro che facevo mi potevo permettere di prendere in affitto. E poi sotto sotto mi piaceva. Era mia soltanto e questo già faceva da incentivo, poi avevo sempre avuto un debole per le cose vecchie. Davano quel tocco di vissuto che ti entrava dentro. Racchiudevano storie altrui, stralci di vite a metà viste attraverso un mobile, un vecchio televisore od uno strano oggetto appartenuto agli anni cinquanta che poteva essere benissimo un pezzo da museo. Come le fotografie che facevo. Quella casa cadeva letteralmente a pezzi; quando scoppiavano dei temporali entrava anche dell’acqua dal tetto, molte assi del pavimento erano da cambiare e le scale barcollavano un po’, ma ormai non riuscivo a separarmene. Dalla piccola mansarda che usavo come camera oscura per sviluppare le mie foto c’era una vista da mozzare il fiato: da lì il porto appariva in tutta la sua bellezza e maestosità, soprattutto quando calava il sole fino al livello dell’acqua e le prime luci venivano accese lungo gli attracchi. Era un momento magico quello, l’avrò fotografato come minimo un centinaio di volte, ma ogni sera era sempre uno spettacolo diverso. Sia l’alba che il tramonto avevano la caratteristica di essere diversi tutte le volte: i colori, le sfumature, l’emozione... cambiava tutto come se indossassero un vestito diverso per uscire e mostrarsi nella loro magnificenza. Amavo le piccole cose. I gesti mascherati, le emozioni nascoste da dover portare a galla ma più di tutti amavo la diversità, ovunque essa risiedeva. Al contrario di molti apprezzavo e rispettavo ciò che era differente dal senso comune. Al giorno d’oggi c’erano fin troppe cose uguali, troppe brutte copie di un’originalità quasi persa del tutto e che in pochi avevano il coraggio di far loro. La diversità era il colore di questo mondo, erano le sfumature che davano quel tanto di vitalità che bastava a caratterizzare anche la più piccola delle cose. Alzai lo sguardo al cielo ed incrociai qualche gabbiano che volava libero e tranquillo sulle banchine, con lo sguardo sempre rivolto verso il basso nella speranza di riuscire a prendere qualche pesce dimenticato a terra dai pescatori che svuotavano le reti appena arrivate dalla pesca mattutina. Sospirai e mi domandai come faceva la gente di qua a non accorgersi della magnificenza di questo posto, i più evitavano anche di passarci perché convinti che questo quartiere fosse uno dei più pericolosi. Si, probabilmente era vero dato che la maggior parte dei residenti erano immigrati e di sera si riempiva della peggior criminalità; ma era in queste ore che mostrava la sua bellezza ed innocenza. Come due facce di una stessa medaglia. Alle prime luci dell’alba appariva circondato da un’atmosfera rilassante, magica, quasi surreale come se riservasse questo spettacolo solo ai pochi che sapevano comprenderlo appieno senza farsi troppe domande sul poi ma concentrandosi solo sul momento. Il famoso ‘’Cogli l’Attimo’’. Mentre continuavo a perdermi nel momento sentii scricchiolare la panchina accanto a me, segno che qualcuno si era appena seduto:
- Buongiorno bambina – disse un marcato accento olandese.
Mi voltai e sorrisi in direzione del vecchietto seduto accanto a me. Si chiamava Sven, aveva settantacinque anni ed era un immigrato Olandese. La prima volta che lo conobbi fu dopo la prima settimana che mi ero trasferita qui; era una mattina molto simile a questa ed io ero seduta proprio su questa panchina. Allora venivo qua da un paio di giorni ed ogni volta lui c’era già, tutto indaffarato nel suo lavoro; se devo essere sincera non saprei spiegare il momento esatto in cui avevamo cominciato a parlare, ma credo fosse dovuto alla sigaretta che mi aveva chiesto. All’inizio ero intimorita dai suoi modi di fare ed il suo aspetto burbero, ma, giorno dopo giorno imparai a conoscerlo durante il piccolo rituale che avevamo insieme nel fumare e guardare il mare. Alla fine era una persona buona. Ciò che lo aveva reso così in apparenza era la crudeltà della vita. Mi raccontò d’essere figlio di due persone umili: il padre pescatore e la madre sarta. Aveva una sorella più piccola: Pola, una bambina minuta e cagionevole. La pesca era una cosa di famiglia, anche suo nonno aveva praticato lo stesso mestiere del padre e il suo bisnonno ancora prima di lui. Iniziò a lavorare assieme al padre fin da piccolissimo mentre la sorellina aiutava la madre in sartoria; erano tempi duri quelli: c’era poco lavoro e tanta povertà. Mi disse che quando scoppiò la guerra lui aveva sette anni mentre Pola cinque e la famiglia li mandò qui a Londra da alcuni parenti della madre. Non rividero più i loro genitori. Morirono durante la guerra. Quando mi aveva raccontato la storia, giunta a quella parte mi ero rattristata. Chissà come doveva essere vivere con solo un’immagine sfocata agli angoli remoti della tua mente delle persone che ti avevano cresciuto; sicuramente orribile. Non aveva quasi nulla di loro, solo ricordi frammentari. La pesca era tutto ciò che gli era rimasto, come una piccola eredità. Aveva lavorato qui al porto tutta la vita mentre la sorella aprì una piccola pasticceria; si era creato una bella famiglia per ricompensare al vuoto che i suoi genitori avevano lasciato. Conobbe sua moglie, Madison, un giorno al mercato mentre vendeva il pesce appena pescato, fu un colpo di fulmine da come mi disse; si sposarono nove mesi dopo essersi incontrati e tempo tre anni ebbero il loro primo figlio: Darren. Purtroppo la sorella morì due anni fa per un tumore. Ora era nonno, aveva un bella famiglia, viveva con la moglie in un bel quartiere residenziale in un appartamento regalatogli dal figlio e si godeva questa sua passione per il mare e la pesca. Era felice ed io lo ero per lui, ma ovviamente si portava sempre dietro il ricordo di un’infanzia sacrificata. Mi aveva presa a cuore; in realtà non ci dicevamo quasi nulla quando ci incontravamo ma bastavano i silenzi, erano quelli a parlare per noi. Anche io gli avevo raccontato parte della mia storia e lui era stato lì, ad ascoltare in silenzio a squadrare ogni mio singolo movimento o espressione. Mi stupii quando me ne accorsi perché era la stessa cosa che facevo anche io. Pensavo non esistessero più persone che avevano questa abitudine, oppure se ancora c’erano di certo non mi sarei mai sognata di incontrarne una. Era stato lui a trovarmi il lavoro in un vecchio negozio di vinili in centro e la casa dove abitavo. Gli dovevo tutto. Delle volte mi dava dei consigli, come un nonno saggio che ti insegnava i principi della vita e ciò che era giusto o sbagliato. Lo adoravo. Anche se non lo gridavo ai quatto venti, questo burbero vecchietto mi era entrato nel cuore; lui lo sapeva anche se non ne faceva mai parola ma a me andava bene così, l’importante era che capisse quanto per me contava questa nostra specie di amicizia visto che era l’unica che avevo da anni. Anche stavolta rimanemmo quasi tutto il tempo in silenzio a contemplare l’orizzonte che mano a mano era diventato sempre più azzurro segno che ormai per me era ora di andare al lavoro; così buttai la cicca a terra e salutai Sven per incamminarmi verso il centro. Prendevo il bus per sei fermate e poi la metropolitana per altre otto; il negozio era situato nei pressi Shoreditch. Amavo alla follia quel quartiere. Era il centro esatto dell’arte, della diversità e del colore; mi sarebbe piaciuto vivere lì perché mi rappresentava alla perfezione. Tutti i palazzi avevano murales che li abbellivano dandogli quel tocco di unicità che mancava troppo spesso nelle cose al giorno d’oggi. Erano pezzi d’arte esposta agli occhi del mondo, mirava al cuore e ti trasmetteva emozioni vere, emozioni quotidiane, sincere. Questi secondo me erano i veri artisti da lodare: quelli silenziosi, sconosciuti, che si accontentavano di un pezzetto di muro ed un po’ di vernice per esprimere quello che si portavano dentro. Era una galleria d’arte all’aperto sotto il cielo cupo di Londra a fare da spettatore. Il bello di questo quartiere non si fermava solo ai dipinti sui muri, ma era come una festa continua: i marciapiedi e le piazze si riempivano di artisti di strada, ognuno con il proprio talento messo a servizio degli altri, sotto l’occhio critico del pubblico. C’era il pittore sempre situato all’angolo con la vecchia farmacia che ritraeva o dipingeva qualunque cosa; una volta mi disse di aver dipinto perfino me, ma tutt’ora non mi aveva ancora mostrato il quadro. Dall’altro lato della strada, proprio vicino al fioraio, invece, c’era Jason il ballerino Argentino che danzava senza sosta per tutta la giornata il suo repertorio fino alla tarda serata. Era un quartiere magnifico. Molte delle foto che facevo provenivano da qua. Mi attirava come una calamita. Se avessi avuto anche io il coraggio avrei fatto lo stesso. Magari fare ciò che amavo mi avrebbe resa veramente felice. Continuai a camminare per la via principale mentre tenevo le mani in tasca e guardavo il cielo Londinese stranamente limpido, sospirai ed accelerai il passo per non far tardi a lavoro e nel mentre pensai alla giornata che mi avrebbe aspettata oggi. Non che mi dispiacesse il lavoro, anzi, amavo la musica vecchio stile ed ancora di più amavo i vinili, ma purtroppo le mie aspirazioni erano altre. Sapevo che non dovevo aspettarmi niente, che sognare non era per me, ma delle volte non potevo farne a meno. Immaginavo di potermi concentrare esclusivamente sulla fotografia o la scrittura e riuscire a cavar fuori qualcosa di produttivo che mi avrebbe permesso di acquistare una bella casa e vivere dignitosamente. Purtroppo come avevo già detto: sognare non è da tutti. È per le persone coraggiose ed io di certo non lo ero. Come si poteva chiamare una che era andata via dalla sua cittadina per non affrontare i problemi che aveva se non codarda? Arrivai al negozio e trovai Marcus, il proprietario, che aveva aperto da poco. Era un ragazzo di ventotto anni, alto, decisamente troppo alto, capelli castani ed occhi azzurri. Aveva una personalità adeguata a gestire un’attività simile: la musica era la sua vita e lo trasmetteva non solo attraverso il suo lavoro ma anche con il modo di vestire ed esprimersi soprattutto se l’argomento riguardava qualcuno dei suoi artisti preferiti. Sembravo io quando parlavo io di scrittura e fotografie. Suo padre, David Carry, veniva spesso qua in negozio ad aiutarci, o almeno così diceva lui; la verità era un’altra. Si era messo in testa che suo figlio doveva chiedermi di uscire. Ogni volta che c’era il signor Carry, cadevo in un profondo stato di imbarazzo visto che non faceva altro che lodarmi davanti al figlio creando ancora più tensione. In realtà non c’era mai molto lavoro, la gente passava e delle volte si fermava, condivideva pochi minuti della loro vita con noi e poi tornavano ognuno alle proprie esistenze. Delle volte entravano dei personaggi abbastanza particolari come ad esempio il ragazzo hippie che si metteva poco distante dalla nostra porta a strimpellare qualche nota con la sua vecchia e scordata chitarra acustica stracolma di adesivi presi durante i viaggi intrapresi. Avevo già detto quanto amavo questo quartiere e la sua gente? Probabilmente si, ma non era mai abbastanza:
- Buongiorno Marcus – dissi appena varcata la soglia d’entrata.
Lui si voltò e mi sorrise. Delle volte mi domandavo se prendeva veramente sul serio le parole del padre, sperai di no. Non per essere cattiva, Marcus era un bravo ragazzo ma non avrei augurato a nessuno di andarsi a prendere un disastro come me. Mi tenevo lontana dalle persone quanto bastava per tenermi al sicuro, per tenere protetti quei frammenti di un cuore spezzato ed incerottato che mi portavo dietro da tempo.
- Buongiorno a te – prese il pacchetto di sigarette dal bancone e me lo porse – Mi fai compagnia? – me lo chiedeva ogni mattina
- No grazie, ne ho fumata già una mentre venivo qui e poi sto cercando di smettere – ridacchiai – I soldi mi servono per altro –
- Spero che prima o poi accatterai – ridacchiò mentre scuoteva la testa e si posizionava una sigaretta tre le labbra.
Questa mattina non era diversa dalle altre: dopo il mio solito rifiuto a Marcus iniziai a sistemare i nuovi arrivi. C’era uno scatolone che conteneva dei vinili davvero quasi introvabili, pezzi che avevano fatto la storia della musica ed ora considerati dei piccoli tesori da custodire gelosamente. Li adoravo. Avevano un suono fantastico, puro, coinvolgente… vero. A Mullingar avevo una vasta collezione di vinili nella mia stanza, era la cosa di cui andavo più fiera in assoluto ma purtroppo quando dovetti andarmene fui costretta a venderli per ricavare qualche soldo con cui partire. Alcuni di essi erano un vecchio ricordo di mio nonno che mi li aveva regalati dalla sua discografia privata. Era un collezionista accanito, anche peggio di me. Mi mancava. Mi mancava quello stralcio di vita familiare che avevo vissuto quando erano ancora vivi i miei nonni, quando la famiglia era un legame vero, sincero e speciale. Ora si era perso tutto da anni ormai. Passai la maggior parte del tempo a riordinare il retro del negozio liberandomi di tutti gli scatoloni vuoti, mentre Marcus occupava il posto in cassa; quando ebbi finito e tornai dentro notai che quello che era appena uscito era già il decimo cliente in meno di tre ore:
- Oggi abbiamo avuto più clienti del solito – dissi sorpresa mentre mi sedevo sullo sgabello accanto a quello di Marcus per riposarmi un po’ dalla faticaccia che avevo appena fatto.
-  Già, probabilmente per quell’incontro di oggi pomeriggio –
- Che incontro? – domandai aggrottando le sopracciglia.
- Sinceramente non ne ho idea, credo qualche giovane artista emergente – annuii – Hai finito di là? –
- Si – sospirai esausta – Mi hai messo ai lavori forzati, eh? – scherzai un po’.
- Beh allora non ti piacerà affatto sapere che ce ne sono altri da sistemare – sorrise imbarazzato grattandosi la testa. Spalancai di botto gli occhi alla sua affermazione ma lui mi precedette - Tranquilla – ridacchiò – Vado io, tu dammi il cambio qui –
Sorrisi leggermente mentre lui si alzava e si dirigeva nel retro. Presi il giornale che era poggiato su un lato del bancone e lo aprii: era vecchio di due settimane. Ridacchiai scuotendo la testa ma iniziai comunque a sfogliarlo; passarono all’incirca una ventina di minuti quando la porta del negozio si aprì di nuovo con il suo solito scampanellio dovuto al sonaglino appeso sulla porta. Sollevai lo sguardo per incontrare quello del cliente ed accoglierlo ma quando incrociai i suoi occhi e riconobbi il suo viso rimasi completamente attonita:
- Niall…? – sussurrai con un filo di voce.
Mai e poi mai mi sarei sognata che questo giorno fosse arrivato. Era come fare un salto indietro nel passato e ritrovare quella parte di te che credevi aver perso per sempre e che ti eri arresa a riavere.  Eppure era lì, davanti a me, con il suo solito viso angelico, gli occhi azzurri, la carnagione chiara ed i suoi immancabili capelli biondi. Era lo stesso ragazzo che salutai tre anni fa prima che andasse a fare quel provino, solo un po’ più cresciuto. Per qualche secondo temetti di sognare, che tra poco mi sarei risvegliata nel mio letto dalla rete cigolante e che mi sarei accorta che faceva parte solo di un brutto tiro giocatomi dal mio inconscio più nascosto e profondo. Sbattei le palpebre un paio di volte ma lui non scomparve. Rimase proprio lì:
- Savannah..? – anche lui era senza parole – Che… che cosa ci fai qui!? – domandò avvicinandosi con ancora l’espressione incredula.
- Ehm.. ci lavoro – risposi cercando di evitare il suo sguardo.
- Io credevo che fossi a Mullingar! -
- Mi sono trasferita qui da poco – sussurrai abbassando lo sguardo fingendomi indaffarata.
- Come mai hai lasciato l’Irlanda? – domandò cercando il mio sguardo ma io puntualmente continuavo ad evitarlo.
- È complicato – sospirai e faci il giro del bancone.
In fondo in fondo speravo che se ne andasse, che tornasse alla sua vita e che continuasse per la sua strada. Non gli avevo mai dato la colpa per non avermi più cercata, beh forse un po’ si, ma semplicemente avevamo preso due strade differenti l’una dall’altro. A dirla tutta fu lui a cambiare strada, ma questo poco importava. Ormai eravamo due estranei. Io non sapevo cosa accadeva nella sua vita e lui non sapeva cosa accadeva nella mia ed era meglio così. E cosa gli avrei dovuto dire poi? Che da quando lui se ne era andato, tutto ciò che avevo intorno mi era crollato addosso come un castello di carte? A quale scopo poi? Farlo sentire in colpa per aver inseguito il suo sogno? No. Non era da me. Anche se non ci vedevamo o sentivamo da due anni non voleva dire che non tenessi a lui. Anzi, era tutto il contrario. Niall era e rimarrà sempre una delle persone più importanti della mia vita. Continuavo a dargli le spalle camminando per il negozio temendomi occupata:
- Sav.. – mi richiamò – Sono i passati due anni dall’ultima volta che ci siamo visti e tutto quello cha sai fare è tenermi a distanza?! – domandò. Potevo sentire la tristezza e la delusione nella sua voce. Mi dispiaceva, ma d’altronde che altro potevo fare per tenerlo lontano da mie guai? Lui ormai aveva la sua vita ed io non ero nessuno per impedirgli di viverla serenamente:
- Niall, cosa vuoi? – mi voltai verso di lui - Non lo vedi che sto lavorando?! –
Inarcò le sopracciglia e fece una risata sarcastica distogliendo lo sguardo dal mio:
- Ah si? Io non vedo nessuno – fece spallucce disinvolto e leggermente irritato. Era proprio testardo delle volte.
- Cosa vuoi? – domandai mentre distoglievo lo sguardo dal suo, non ce la facevo a reggerlo… mi sentivo come colpevole
- Cosa voglio?! – esclamò con dell’evidente sarcasmo nella voce – Voglio sapere perché la mia migliore amica da ben tutta la vita di punto in bianco è sparita per anni! –
Mi girai di scatto spalancando gli occhi a quelle parole; mi avvicinai lentamente a lui mentre un nodo cominciò a formarmisi alla base della gola rendendomi difficile perfino respirare:
- Sparita?! – cacciai fuori le parole con una risata seccata mentre distolsi per qualche istante lo sguardo – Io sparita… questa si che è bella! – esclamai irritata guardandolo nuovamente – Sei tu quello che è sparito, che si è reso irreperibile ogni volta che provavo a cercarti! Io sono rimasta sempre nello stesso posto… - sussurrai quasi con le lacrime agli occhi – Non sono io quella che se ne è andata… -
Non riuscivo a sostenere il suo sguardo, era più forte di me. Odiavo rinfacciargli il fatto che se ne era andato, ma, nonostante fossi estremamente fiera di lui, era la verità. Niall era andato via e con la sua partenza tutti i miei problemi mi sommersero trascinandomi in un tunnel buio e senza via d’uscita; lui era sempre stato la mia ancora di salvezza, il mio scoglio, tutto… e di colpo semplicemente non c’era più. Quando all’improvviso sentii due mani afferrarmi delicatamente il volto mi girai ed incontrai le iride azzurre e preoccupate di Niall, in quell’istante capii che ero scoppiata in lacrime senza neanche rendermene conto; mi staccai da lui e mi asciugai gli occhi con il dorso della mano ma lui si avvicinò nuovamente e mi abbracciò. Fu un abbraccio bisognoso, amichevole e protettivo. Mi erano mancati da morire i suoi abbracci, lui era l’unico che sapeva sempre come farmi sentire meglio, ma ero anche consapevole che era solo un piccolo momento passeggero. Quasi come un fotogramma o un piccolo tassello che non avrebbe cambiato affatto il disastro che c’era nella mia intera esistenza. Le nostre vite erano come due figure scomposte di un enorme puzzle, ma mentre il suo era ben ordinato e quasi completo, il mio, invece, era confuso, con pezzi da riordinare, altri che avevo perso ed altri ancora da trovare. Come potevo permettergli di rompere così quella bella immagine che, tassello dopo tassello, aveva creato con molta fatica? Per avere in cambio chi? Una vecchia amica incasinata a tal punto di impazzire? Decisamente no. Ci staccammo poco dopo e prima di dividerci completamente Niall mi stampò un bacio in fronte. Sapevo che percepiva la mia tensione ma in quel momento non sapevo come reagire o comportarmi, mi sembrava tutto frutto di un’illusione:
- Ehi… - mi prese il mento tra il pollice e l’indice e mi costrinse a guardarlo – Basta piangere ok? – sussurrò gentilmente con un sorriso.
- Sto bene – feci spallucce.
- No, non stai bene – scosse la testa con una risata sarcastica – Sei sempre la solita testarda – sorrise.
- Cosa ti importa se sto bene o meno?! – indurii lo sguardo – Se ti importava non avresti smesso di cercarmi senza darmi nemmeno una spiegazione –
Stava per dire qualcosa quando all’improvviso gli squillò il telefono; socchiuse gli occhi tirando un sospiro irritato e prima di rispondere mi guardò con sguardo dispiaciuto ma io mi limitai a scuotere la testa guardando altrove. Nel frattempo iniziai a fissare il vuoto cercando di capire perché il destino mi aveva giocato un tiro simile. Non avrei mai pensato che un giorno, quando meno me lo sarei aspettato, il passato fosse tornato a bussarmi alla porta. E invece era successo. Mi aveva messa in una situazione decisamente scomoda ponendomi, assieme la mia vita attuale, di fronte a ciò che avevo perso della mia vecchia esistenza. Mi era stato posto come una sfida, o come una cattiveria, dovevo ancora decidere quale tra due sarebbe stata la descrizione più accurata. Di una cosa ero certa, qualunque cosa fosse decantava palesemente le parole: “Lo lascerai andare o farai l’egoista? A te la scelta, buona fortuna”. Quando Niall agganciò il telefono capii che stava per salutarmi, così lo precedetti:
- Vai, torna a fare la rockstar e rendimi fiera di te – sussurrai con un accenno di sorriso.
- Davvero sei fiera di me? – domandò quasi incerto mentre si grattava la nuca.
- Certo – incrociai le braccia al petto e feci spallucce – Sempre stata e sempre lo sarò –
- Perché mi suona tanto come un addio? – disse mentre scuoteva la testa incredulo: aveva capito.
- Perché lo è Niall.. – sospirai passandomi una mano tra i capelli cercando di calmarmi e non scoppiare di nuovo in lacrime – Tu ormai hai la tua vita ed è stato un caso che le nostre strade si siano incrociate di nuovo dopo tutto questo tempo… - non riuscii a continuare perché mi interruppe.
- Io non voglio assolutamente dirti addio, non di nuovo, ok? – parlò con un tono di voce duro come per imporsi; non accennava affatto ad arrendersi e questo rendeva tutto ancora più difficile – Dannazione, ti ho ritrovata dopo due anni e che tu lo voglia o meno resterai sempre la mia migliore amica! –
- Niall… - sussurrai contrariata ma lui mi interruppe di nuovo.
- Stammi bene a sentire, staremo qui per altre due settimane – si voltò di scatto in cerca di qualcosa ed io seguii attentamente i suoi movimenti cercando di capire cosa volesse fare, poi prese una penna e scrisse qualcosa sul bordo del giornale che stavo leggendo. Quando ebbe finito strappò il piccolo pezzo dal resto della pagina e me lo mise in mano – Questo è il mio numero, chiamami, io e te dobbiamo risolvere fin troppe cose e non ho intenzione di salutarti finché non le abbiamo risolte tutte –
Annuii, ormai esasperata, ed infilai il foglietto in tasca senza nemmeno guardare Niall. Lui sapeva che non lo avrei chiamato, lo sentivo dalla tensione che emanava il suo corpo quando avevo preso con così tanta semplicità quel foglietto:
- Vai ora, non vorrei che ti dessero per disperso –
Annuì leggermente per poi avvicinarsi e poggiarmi un altro bacio sulla fronte, solo che questo durò più dell’altro. Come a voler suggellare questo incontro, come una specie di marchio o una promessa nascosta. All’improvviso la porta del retro si aprì facendoci voltare entrambi proprio mentre Marcus entrava nuovamente in negozio. Incrociai il suo sguardo e notai la sua perplessità; aveva riconosciuto Niall ed era abbastanza intelligente da capire che il nostro non era un comportamento adottato tra due estranei. Feci un passo indietro ed infilai le mani nelle tasche posteriori dei jeans mentre facevo saettare lo sguardo tra il pavimento in parquet e gli occhi di Niall:
- Promettimi che mi chiamerai – disse a voce bassa mentre lanciava delle occhiate a Marcus.
- Va bene, va bene... – risposi in tono sbrigativo.
Lui annuì leggermente ancora con quello strano sguardo dipinto sul volto che sicuramente non mi sarei più tolta dalla testa per tutta la giornata e, prima di chiudersi definitivamente la porta alle spalle, mi sorrise debolmente. Poi, come era venuto sparì, lasciandomi quella sensazione di vuoto come quando ti svegli da un bel sogno. Che avessi sognato per davvero? Infilai di corsa una mano nella tasca ed afferrai il foglietto dove aveva scritto il suo numero; non so per quanto tempo lo fissai, forse avevo paura che sarebbe scomparso tra le mie mani da un momento all’altro, ma invece era lì, tra le mie dita, e continuava a restarci:
- Tutto bene? – la voce di Marcus mi riportò alla realtà facendomi sobbalzare leggermente.
- Eh? – sembravo appena uscita da una specie di trance – Si, si… tutto bene – mi apprestai a dire.
- Sicura? – insistette aggrottando leggermente le sopracciglia non ancora pienamente convinto.
- Sicurissima – forzai un sorriso ma con scarsi risultati.
- Quello non era Niall Horan? –
- A quanto pare si – dissi con un sospiro
Forse Niall aveva ragione. Dovevamo incontrarci, parlare e chiarire. Non si poteva lasciare in sospeso una cosa così grande che aveva sparso solo che sofferenza; io in primis volevo capire perché lui attribuisse la colpa a me quando la versione della storia era un’altra. Cosa gli era stato raccontato? Che fosse stata una mossa già decisa senza renderlo partecipe? Lo avrei scoperto solo chiamandolo e chiamarlo implicava riaprire una vecchia ferita, strappare da sopra di essa i cerotti e lasciarla sanguinare nuovamente:
- Lo conoscevi? – mi voltai a guardarlo di sfuggita prima di distogliere nuovamente lo sguardo e puntarlo sulla porta d’entrata.
- Una volta si… -






ANGOLO AUTRICE
Salve a tutti spero che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto, come avete letto c'è stato l'inserimento della figura di Niall che nel prossimo sarà ancora più presente fino a sfociare all'incontro con i ragazzi ma soprattutto con Harry.
una piccola precisazione: la storia è ambientata quasi due anni fa, quindi Zayn sarà presene.
Un bacio a tutti e spero che mi farete sapere cosa ne pensate
A presto

GiuliaStark

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Capitolo 4
*** Our Friendship As a Pearl In The Ocean ***


~~Erano passati tre giorni da quando avevo incontrato Niall e da quella volta Marcus non aveva smesso di farmi domande al riguardo. Ovviamente non gli avevo raccontato del mio passato con lui. Era una cosa troppo personale per essere detta ad alta voce. Mi faceva soffrire ed odiavo mostrarmi debole davanti agli altri. Altri che non fossero Niall. Dovevo smetterla di pensare a lui, smetterla di sperare che avremmo riallacciato il rapporto perché non sarebbe stato così; ci sarebbero stati almeno un centinaio di equivoci ed impedimenti che avrebbero reso impossibile il nostro riavvicinamento. E poi cosa avrei fatto? Lui sarebbe andato in giro per il mondo con la sua band ed io sarei rimasta comunque qui in questa vecchia casa a vivere la mia quotidianità; che senso aveva farlo tornare nella mia vita se non ci sarebbe stato comunque? Pensavo troppo. Era quello che mi ripetevo sempre. Ma come fai a non rimuginarci allungo sulle cose quando hai ricevuto tante delusioni? Era una sorta di spirito di sopravvivenza che ti spingeva a metterti uno scudo davanti. Il mio scudo era la mia testa. Tutto passava da lì, ogni fatto, ogni informazione, ogni minimo avvenimento; il tutto poi veniva elaborato fino allo sfinimento e catalogato. Sembrava una catena di montaggio, ma era l’unica difesa che avevo. Purtroppo, o per fortuna, questa volta non sembrava voler funzionare. Come se un ingranaggio si fosse rotto ed avesse mandato in tilt tutto il meccanismo. Quindi ora mi ritrovavo bloccata in una specie di fase di stallo che ondeggiava tra il ‘’si, chiamalo accidenti’’ ed il ‘’no, ma sei pazza, cosa vuoi aspettarti? ’’. Vagavo nella mia insicurezza come se brancolassi nel buio. Seduta qui in questa vecchia poltrona nel soggiorno di casa mia, alle undici di sera, con i piedi poggiati sul tavolinetto da caffè e fissavo il pezzo di giornale dove sopra c’era scritto il numero di Niall ed accanto ad esso il mio cellulare. Io fissavo loro e loro fissavano me, sembrava una sfida a chi avesse ceduto prima. Non avrei mai scommesso sulla mia vittoria, perché già sentivo ogni fibra del corpo pronta a scattare ed afferrare entrambi; come sempre, ora era la testa a fermarmi. Se avessi detto che Niall non mi mancava neanche un po’, beh, sarei stata una bugiarda. Ma una di quelle grosse proprio. Da quando era partito per partecipare a quel benedetto programma non c’era stato giorno in cui non avessi sentito la sua mancanza e la stessa cosa valeva fino a prima di incontrarlo. Non potevo di certo cancellare un’amicizia lunga come la nostra, soprattutto se per me contava così tanto, purtroppo, però, ero letteralmente invasa dalla paura. Odiavo dirlo, ma io centravo poco con la vita attuale di Niall. Lui era, anche se sapevo non gli piaceva essere definito tale, un personaggio famoso. Ed io? Beh la sottoscritta era una semplice ragazza anonima che viveva in una città mille volte più grande di lei, più grande di quello che avrebbe voluto ed al quale era abituata. Delle volte mi sentivo sola contro il mondo, ma anche contro me stessa. Combattevo una battaglia sullo stesso fronte e ne stavo uscendo non solo pazza, ma anche sconfitta. Come puoi perdere contro te stessa? Potrei farci un manuale. Sospirai alzandomi dalla poltrona e passandomi le mani nei capelli cominciai a girovagare per casa come un animale in gabbia in cerca di qualche soluzione al mio dilemma. Salii le scale scricchiolanti ed entrai in camera mia. Sinceramente non sapevo cosa stessi facendo, ma iniziai ad aprire cassetti vari e rovistare tra gli scaffali finché, nell’ultimo cassetto sotterrato da una coperta di pile, non trovai quello che stavo cercando: una vecchia scatola di metallo, che prima conteneva biscotti, trovata molto tempo fa per caso nella cucina della casa a Mullingar. Sorrisi tra me e me, mi sedetti a terra a gambe incrociate e la aprii. Alle narici mi salì subito un profumo di pastafrolla e vaniglia: i biscotti che faceva mia nonna. Questa scatola racchiudeva tutti i ricordi che avevo di Niall: c’era il disegno che mi fece all’asilo, l’invito al suo compleanno per festeggiare i dodici anni, la bandierina londinese che mi aveva portato come souvenir durante la sua gita familiare, i biglietti del cinema, del bowling, gli scontrini e le tovagliette di Nando’s, il braccialetto che mi regalò a quattordici anni e tante tante foto. Tanti pezzi di noi e dei momenti passati assieme; mi scappò una piccola risata quando ne vidi una in particolare: eravamo a casa sua, nel giardino, durante la festa di compleanno di suo fratello Greg e Niall aveva in testa una stupidissima parrucca da clown tutta colorata. Sorridevamo entrambi. Eravamo felici, sereni, avevamo l’un l’altro e non ci preoccupavamo del futuro. Beh di cosa volevi preoccuparti a tredici anni? Un’altra foto attirò la mia attenzione: Niall davanti i cancelli per fare i casting di X-Factor ed io ero lì con lui tutta sorridente. Fu la nostra ultima foto. Sinceramente neanche ricordavo di averla fatta sviluppare, avevo rimosso quasi tutto di quel periodo perché mi era troppo doloroso ricordare. Allora non sapevo che sarebbe andata a finire così, ero solo una ragazza ingenua che faceva il tifo per il suo migliore amico affinché il suo sogno si fosse realizzato. Non so per quanto tempo rimasi a fissare quella foto se per secondi, minuti o perfino ore mentre mi lasciavo travolgere da tutti i ricordi che mi tornavano in mente. Alla fine sospirai e prima di alzarmi ripresi il braccialetto che avevo trovato dentro la scatola e lo infilai al polso, poi scesi di corsa le scale, cercando di non cadere, e mi precipitai ad afferrare in una mano il cellulare e nell’altra il numero. Lo guardai ancora per svariati secondi, ma poi invece di chiamarlo gli inviai un messaggio:
<< Ehi, Niall sono Savannah… >>
Mi sentii incredibilmente stupida. Mi sedetti sul divano e buttai il telefono sul cuscino affianco a me ed attesi. Forse non avrebbe risposto prima di domani mattina. Poteva essere stanco per i suoi impegni, oppure non avrebbe risposto proprio; mentre continuavo a rimuginarci su alla fine capii che il mio era solo un modo per autoconvincermi che non sarebbe accaduto nulla. In questo momento ero infestata dalla paura: paura di essere presa in giro, paura di star per commettere il più grande sbaglio della mia vita, ma soprattutto avevo paura che non sarei riuscita a riavere lo stesso rapporto che avevo prima con lui. Era una cosa che mi terrorizzava. Non avrei sopportato di perdere quella connessione che ci legava… sarebbe stato un duro colpo, come se non mi fosse rimasto nessun altro su cui contare. Mentre continuavo a farmi mille e più domande sentii il telefono vibrare; lo presi e lessi il numero di Niall sul display:
<< Ehilà! Prima che tu scriva altro… Non avevi detto che avresti chiamato? >> sbuffai con una mezza risata.
<< Oh, andiamo! Cosa ti cambia? >>
<< L’avevi promesso >> lo odiavo quando si divertiva cosi.
Sospirai pesantemente ed alla fine mi arresi componendo il numero, tempo qualche squillo e rispose con il suo solito e, molto marcato, accento Irlandese:
- Finalmente ti sei decisa a farti sentire – esclamò con una risata.
- Piantala… - borbottai mentre alzavo gli occhi al cielo ma fui bloccata da ciò che disse dopo.
- E non alzare gli occhi al cielo – ridacchiò.
- Non lo stavo facendo – bofonchiai cercando di mentire, ma lui mi conosceva fin troppo bene.
- Bugiarda… - lo sentii sorridere.
- E tu smettila di ridere o mi farai cambiare idea – risposi soffocando un sorriso.
- Ok, ok – si apprestò a dire – Non rido, promesso – si schiarì la voce prima di continuare – Allora, quando ci incontriamo? –
- Tu vuoi davvero incontrarmi? – domandai scettica.
- Sav… - sospirò pesantemente – Quante volte devo ripeterti che voglio sistemare le cose? –
- Va bene, va bene – mi morsi il labbro inferiore – Ma non voglio che sia in un luogo pubblico, se dovessero riconoscerti sarebbe la fine –
- Lo so…  - sembrò pensarci su per qualche minuto – Che ne dici di casa mia? – domandò.
- Ok… - giocherellavo insistentemente con il foglio di carta dove c’era scritto il numero di Niall e intanto cercavo di evitare al mio cervello di mandare tutto all’aria quando mi diceva di lasciar perdere.
- Che ne dici di domani nel pomeriggio, verso le quattro? – sentivo anche la sua insicurezza e sapere che provava le mie stesse emozioni mi tranquillizzò un po’.
- Va benissimo – annuii tra me e me.
- Ehm… - si schiarì nuovamente la voce – Bene, allora ti invio un messaggio con l’indirizzo preciso –
- Ok –
- Bene… allora a domani –
- A domani – annuii tra me e me.
- Buonanotte Sav – non risposi ed agganciai.
Per l’ennesima volta mi uscì un sospiro dalle labbra mentre con le mani ancora leggermente tremanti posavo il pezzo di carta al suo posto. Mi guardai attorno nel silenzio di quella casa e scossi la testa più volte. Odiavo il silenzio. Riuscivo a sentire il rumore assordante dei miei pensieri e, soprattutto a quest’ora, non era nulla di confortante. Era come vedere gli spettri dei miei silenzi prendere vita. Tutte le parole taciute e mai dette, tutti i sentimenti soffocati, i ricordi cancellati e la vita che mi ero lasciata alle spalle. Di notte tutto sembrava tornare a galla e spingere per riappropriarsi dello spazio che gli spettava e questo non faceva che alimentare l’oscurità in me. Mi faceva uscire fuori di testa. Mi sovrastava e rischiava di schiacciarmi sotto il suo peso, l’unica via di fuga era la musica. Quella era l’unica cosa abbastanza forte da coprire il rumore dei miei pensieri, delle mie paure e dei miei incubi. Salii nuovamente le scale per tornare nella mia stanza e mi distesi sul letto a fissare il soffitto con la musica nelle orecchie sperando che, prima o poi, avrebbe fatto tacere il caos che avevo in testa. Stasera però c’era qualcosa di diverso. Non smetteva. Nonostante avessi il volume al massimo la mia testa non taceva, anzi, sembrava perfino urlare più forte. Mi tolsi le cuffie e cercai qualcos’altro che mi avrebbe potuto dare sollievo, finché il mio sguardo non si posò di nuovo su quella benedetta scatola; mi avvicinai e come un automa l’afferrai poggiandola sul letto e svuotandola completamente del suo contenuto. Passai la maggior parte della notte a scavare tra i ricordi che vi erano là dentro, a passarli in rassegna uno ad uno riappropriandomene, a ricollegarli e riviverli, il tutto mentre mi lasciavo sfuggire qualche lacrima o risata a seconda della situazione. Solo quando vennero le prime ore dell’alba mi accorsi che tutto taceva non solo fuori, ma anche dentro di me; fu allora che misi tutto in ordine e, finalmente, mi addormentai. La mattina dopo ero di nuovo giù al porto sempre al molo numero sette, sempre sulla stessa panchina alla stessa ora e fissavo l’orizzonte. Oggi il cielo non era affatto limpido come in quest’ultima settimana, c’erano delle nuvole grigie che lo stavano mano a mano coprendo tutto gettando una piccola ombra sulla città e dandole quell’aspetto gotico che la caratterizzava e le apparteneva. Presi un’altra piccola boccata dalla sigaretta ed alzai lo sguardo al cielo sprofondando ancora di più nella panchina. Non c’era quasi nessuno al porto a parte me, Sven e qualche gabbiano affamato che svolazzava qua e là. Era strano vederlo così, ma con il rischio di pioggia i pescatori non uscivano in mare per non correre il pericolo di qualche incidente. Ormai grazie a Sven avevo imparato un sacco di cose sulla pesca visto che ogni volta che mi dava un consiglio, faceva un paragone o parlava in generale c’era sempre un qualche riferimento ad essa:
- Hai chiamato quel tuo amico? – mi domandò rompendo il silenzio.
- Si – aspirai altro fumo – Ieri sera – annuii.
- Brava bambina – sorrisi al nomignolo – E…? –
- E cosa? – domandai con una mezza risata voltandomi verso di lui.
- Ti si deve cavare proprio le parole di bocca eh!? – scosse la testa divertito – Sarebbe più facile prendere un pesce all’amo in un bosco – ecco i riferimenti alla pesca. Erano una sorta di sua firma personale, come se volesse rendere uniche le sue frasi.
- Ci vedremo oggi pomeriggio a casa sua – sussurrai.
- E non sei contenta? – domandò con una gutturale e roca.
- È complicato – feci spallucce.
- Sicura che non sei tu a complicarti le cose da sola? –
Sapevo che mi stava provocando, ma nelle sue parole c’era anche un pizzico di ciò che pensava e di come mi vedeva: una ragazza con mille problemi che se ne creava altri mille da sola. Beh, non aveva tutti i torti:
- Non è una cosa che escluderei del tutto – dissi tra le risate coinvolgendo anche lui.
Ci fu un momento di silenzio in cui entrambi ci limitammo a fissare il mare e le nuvole camminare frettolose sopra di noi:
- Non hai risposto alla mia domanda – parlò in tono serio con lo sguardo fisso su di me.
- Il problema è che non so cosa aspettarmi – sospirai buttando fuori del fumo – Lui ha la sua vita ed io, bene o male, ho la mia – mi passai una mano nei capelli.
- Ascolta bambina – mi poggiò la mano callosa sul braccio facendomi voltare – Veramente questa che hai la chiami vita? – sorrisi amaramente – Lui ci tiene a te, sei la sua più vecchia amica, l’unica che gli ricorda da dove viene e da come mi hai raccontato anche tu ci tieni – annuii distolsi lo sguardo – Se il tuffatore pensasse sempre allo squalo non metterebbe mai le mani sulla perla –
- La perla sarebbe l’amicizia con Niall? – domandai pensierosa.
- Proprio così –
Annuii e gettai la cicca nel secchio poco distante, poi mi voltai nuovamente verso Sven annuendo nuovamente facendogli intuire che avevo capito cosa voleva dirmi:
- Questa devo segnarmela – ridacchiai mentre mi sistemavo la borsa sulla spalla e lo salutavo.
Come ogni mattina passai nel solito caffè letterario per la colazione; quando ero in ritardo per il lavoro mi limitavo solo a prendere da mangiare, oggi invece avevo tutto il tempo che volevo visto che ad aprire il negozio era Marcus. Mi sedetti al solito posto e tirai fuori il libro che stavo leggendo ultimamente: ‘’La scimmia sulla schiena’’ di William Burroughs e mi persi tra le parole mentre mescolavo il mio cappuccino. Anche se oggi era stranamente più pieno del solito non ci badai più di tanto, quando leggevo entravo in uno spazio tutto mio e ogni cosa attorno a me scompariva del tutto lasciandomi sola con la storia che l’autore raccontava. Leggere mi faceva perdere la cognizione del tempo. Sarei potuta rimanere con un libro in mano per una giornata intera e non accorgermene nemmeno. Niall non aveva mai sopportato questo lato del mio carattere, diceva che lo escludevo da ciò che mi passava nella mente, dal piccolo mondo che mi ero creata e nel quale mi perdevo momentaneamente; io invece ridevo. Ridevo perché lui faceva la stessa cosa con la musica e non se ne accorgeva. Guardai al volo l’orologio a pendolo sulla parete di fronte e sbiancai. Era davvero tardi. Ecco, un ottimo esempio di come per me il tempo diventava assolutamente relativo quando mi perdevo nelle pagine di un libro. Mi alzai e raccolsi le mie cose in fretta, cercando di non far cadere nulla, infilai tutto in borsa e, dopo aver pagato e salutato Tommy e Sarah, i due camerieri, uscii dalla caffetteria per dirigermi a passo spedito verso la metropolitana. Quando arrivai trovai Marcus in piedi davanti la porta del negozio e non appena si girò lo vidi tirare un sospiro di sollievo prima di aprirsi in un gran sorriso:
- Credevo non ti facessi più vedere – ridacchiò infilando le mani nei jeans.
- Scusami – risposi con il fiatone mentre entravo di corsa in negozio poggiando la borsa sul bancone.
- Che fine avevi fatto? – domandò con un mezzo sorriso.
- Leggevo – feci spallucce e nel frattempo mi tolsi la giacca in pelle e la appesi sull’attaccapanni insieme alla borsa.
- Leggevi!? – non riuscì a trattenere una risata inarcando le sopracciglia confuso.
- Si, perché? –
- Sei un mistero – sorrise scuotendo la testa.
Non aggiunsi altro e lui capì che non era il caso continuare, così se ne andò a sistemare i nuovi arrivi nel retro mentre io mi misi alla cassa a sfogliare il giornale della mattina. La giornata passò più lentamente del dovuto, come se il tempo avesse rallentato la sua corsa prendendosela comoda. Fuori si alternava una leggera pioggerella a momenti di tregua ma questo non aveva influito sulla giornata lavorativa, anzi, oltre i soliti tre o quattro clienti giornalieri ne vennero di nuovi: una ragazza di non più di sedici anni, una signora ben distinta ed un vecchietto molto gentile e solare. Mi piaceva scrutare le persone che entravano qui dentro, ma a differenza di come facevo al caffè letterario, qui mi dilettavo ad indovinare quale tipo di musica preferivano solo servendomi del loro aspetto. Delle volte mi meravigliavo di quanto si possa capire su una persona solo osservandola. Salutai Marcus verso le tre del pomeriggio, il che voleva dire che dovevo sbrigarmi se volevo raggiungere la casa di Niall in tempo; fortunatamente l’indirizzo era una piccola via del centro del quartiere di Kensington non troppo distante da lì, così mi infilai giacca e borsa e mi incamminai a passo spedito verso la fermata dell’autobus. Nel frattempo il cielo si era fatto ancora più scuro e minaccioso e nel mentre ero lì ad aspettare venne giù un bello scroscio d’acqua che mi inzuppò dalla testa ai piedi. Amavo la pioggia e il modo in cui ti cadeva addosso accarezzandoti la pelle; la cosa più bella? Potevi piangere e nessuno se ne sarebbe accorto. Sfortunatamente stavolta era decisamente troppa ed io, come sempre, non avevo l’ombrello. Non appena salii sul bus mi sistemai in un sedile lontano da tutti e poggiai la fronte contro il vetro freddo seguendo con lo sguardo la scia delle goccioline d’acqua che correvano su di esso e nel frattempo guardavo il mondo fuori che girava senza tregua. Sei fermate dopo scesi abbandonando il tepore dell’autobus e gettandomi nuovamente nel freddo dell’esterno; mi strinsi le braccia al petto e continuai a camminare più in fretta possibile, cercando anche di non fare uno scivolone, sotto la pioggia battente; quando scorsi la via che Niall mi aveva indicato feci per imboccarla ma mi fermai di colpo vedendola occupata da alcune fan e fotografi. Sospirai facendo qualche passo indietro e chiamai Niall:
- Ehi, Sav, qualche problema? –
- Ehm si… - dissi mentre mi affacciavo nuovamente sulla stradina per vedere se la situazione era cambiata ma ottenendo scarsi risultati – Davanti casa tua c’è un invasione di gente -
- Ah si, cavolo – ridacchiò – Devono avermi visto quando sono entrato prima – fece una piccola pausa – Entra dal retro –
- Perché c’è un retro? – domandai scettica facendo qualche passo in avanti per controllare.
- Certo che c’è, ma non si nota – scoppiò in una risata – Gira l’isolato e conta esattamente 350 passi – trattenne una risata.
- Se mi stai prendendo in giro giuro che… -
- Ti assicuro che sono serissimo – mi interruppe.
- Sarà meglio per te – sorrisi tra me e me.
Attaccai il telefono e feci come mi aveva detto e in effetti c’era un piccolo cancelletto che affacciava sul retro delle case. Chi non era del quartiere non l’avrebbe mai saputo, per questo Niall diceva che era nascosto. Scossi la testa con ancora un sorriso sulle labbra ed entrai dirigendomi verso la casa che corrispondeva alla sua; salii i tre gradini e bussai alla porticina bianca ed attesi mentre continuavo a stringermi nei miei indumenti fradici e sentendo il freddo filtrarmi fin nelle ossa ghiacciandole tutte. Pochi secondi dopo la porta si aprì mostrando un Niall tutto sorridente:
- Guarda un po’ chi si vede – ridacchiò; alzai un sopracciglio e solo allora notò lo stato in cui ero – Ma che hai combinato? – domandò tra un sorriso ed uno sguardo preoccupato – Ti sei fatta il bagno in una pozzanghera? –
- Molto divertente – lo fulminai mentre entravo in casa.
- Ma tu il vizio di non portarti mai l’ombrello non te lo vuoi togliere, eh? – cercò di trattenere la risata al mio ennesimo sguardo fulminante.
- Una pioggia così non era nei miei programmi di oggi, ok? – sbuffai.
- Non cambi mai – scosse la testa con un mezzo sorriso.
- Nemmeno tu – bofonchiai mentre mi lasciavo abbracciare.
- Sei fradicia, forza – mi prese per mano – Troviamoti qualcosa da mettere e poi ti preparo una bevanda calda –
- Ma come siamo organizzati – lo stuzzicai ricevendo in cambio una linguaccia.
Mentre percorrevamo il corridoio mi guardai intorno notando lo stile con cui era arredata la casa: il pavimento era in parquet, le mura dell’ingresso bianche e decorate con dei quadri appesi, alcuni dei quali raffiguravano foto della famiglia di Niall; prima di salire al piano superiore intravidi in fondo al corridoio il salotto con un tavolo in mogano e sedie con intarsi sullo schienale in stile barocco, pareti color crema e ad illuminare il tutto una grande vetrata per metà coperta da una tenda bianca dal tessuto sottile che faceva filtrare la luce in modo quasi etereo nelle giornate assolate:
- Non dirmi che l’hai arredata tu la casa! – ridacchiai.
- Oh no, fortunatamente si è offerta mia madre e si è anche divertita –
- Immaginavo, tu non saresti mai stato capace – scosse la testa con un sorriso sul volto.
Mentre salivamo le scale mi accorsi che sulla parete alla mia destra erano appesi tutti i premi che avevano vinto durante la loro carriera: dischi di platino, multi platino, le copertine dei singoli più venduti e le foto del gruppo durante i momenti e gli eventi più importanti, dalla prima come band ad X-Factor a quella più recente. Rimasi lì a fissarli per non so quanto dimenticandomi per qualche minuto del freddo che ancora avevo addosso e pensando solo ad una cosa: avevo perso tantissimi momenti importanti per Niall e solo ora me ne stavo rendendo conto. Dovevo lottare di più e non arrendermi subito, ma ero stata un fallimento completo come amica:
- Sav? – fui risvegliata dai miei pensieri dal suono della voce di Niall – Tutto bene? – aggrottò la fronte squadrandomi attentamente.
- Si, si – feci un sorriso tirato - Benissimo – aggiunsi mentre riprendevo a salire le scale gettando un’ultima occhiata a quella parete.
Quando entrammo nella sua stanza sbiancai: era completamente nel caos più totale. Niall non era mai stato un ragazzo molto ordinato da bambino ma con gli anni una persona cambia, o almeno dovrebbe, lui invece era rimasto tale e quale. Da una parte la vedevo una cosa rassicurante ma dall’altra c’era il rischio che un giorno si sarebbe perso nel suo stesso disordine. La camera era ampia e spaziosa: le pareti erano state dipinte di un grigio molto chiaro, il letto si trovava nella parete di destra rispetto alla porta ed aveva un comodino posto ad entrambi i lati ed una chitarra acustica poggiata al muro lì accanto come se dovesse essere sempre pronta all’evenienza. Dal lato opposto una grande vetrata, con sotto una piccola cassapanca, occupava quasi tutta la parete dando luce alla stanza; a sinistra invece c’era una grande libreria con scrivania ed armadio incorporati che coprivano tutto il muro e il pavimento, dove, in teoria, doveva esserci la moquette era quasi del tutto ricoperto da cartacce, vestiti, borsoni e quant’altro:
- So cosa stai pensando – disse Niall grattandosi la nuca.
- Fammi capire – assunsi un tono sarcastico – Tu dormi qua dentro? – indicai la stanza.
- Beh in mia difesa posso dire che siamo tornati da poco e che non ho avuto molto tempo per riordinare – rispose facendo spallucce mentre io scuotevo la testa esasperata.
- Un giorno ti perderai qua dentro –
- E allora arriverai tu a salvarmi – ridacchiò alzando le sopracciglia.
- Non ci penso proprio – sorrisi – Il disastro è il tuo e ci combatti tu –
- Va bene, come non detto – sbuffò dirigendosi verso l’armadio – Cerchiamo qualcosa da metterti – iniziò a rovistare mentre mi guardavo attorno e notavo sempre più cose: altre chitarre acustiche, elettriche, custodie di mazze da golf e scarpe – Trovato! – esclamò lanciandomi un paio di pantaloni della tuta ed una maglietta – Dovrebbero starti – sorrise – Il bagno è in fondo al corridoio sulla sinistra, ci sono degli asciugamani puliti sul mobile appena entri –
- Grazie – poggiai la borsa a terra.
Uscii dalla stanza ed entrai nel bagno chiudendomi la porta alle spalle ed iniziai a togliermi i vestiti ancora bagnati scoprendo solo in quel momento quanto freddo avessi; afferrai un asciugamano e me lo passai prima sul corpo e dopo essermi infilata i vestiti asciutti, e larghi il doppio, passai ai capelli strofinandoli per togliere le ultime gocce di pioggia. Una volta terminato poggiai gli indumenti bagnati sul bordo della vasca da bagno e l’asciugamano nella cesta dei panni sporchi e tornai di nuovo da Niall che trovai impegnato a mettere un po’ d’ordine:
- Ho messo i vestiti ad asciugare se non ti dispiace –
- Oh no, tranquilla, fa come se fossi a casa tua – sorrise gentilmente.
Calò il silenzio. Non i silenzi che nascevano come pausa dopo una risata durante la quale riprendevi fiato, ma uno di quelli imbarazzanti dove non sapevi cosa dire o a cosa appellarti per cercare di neutralizzarlo. E allora che facevi? Sospiro e sbirciatina intorno era d’obbligo, e così feci. Era questa la mia paura più grande e man mano si stava realizzando, l’unica cosa in cui speravo era che, almeno stavolta, avrei avuto torto. Odiavo i silenzi tra le persone perché erano quelli che aprivano voragini profonde e non riparabili, che allontanavano fino a un punto di non ritorno rendendoti l’altro un completo estraneo:
- Come stai? – fu Niall alla fine a rompere il silenzio.
- Bene – sussurrai con in piccolo sorriso.
- Intendevo come stai veramente – si avvicinò invitandomi a sedermi sul letto accanto a lui.
Niall mi capiva alla perfezione, ma soprattutto era sempre stato l’unico al quale importava sul serio di me. Con le esperienze passate e le delusioni avute avevo imparato molte cose sulle persone ed una di quelle era che se qualcuno ti chiedeva come stavi, in realtà non voleva sapere la risposta. A Niall invece importava, glielo leggevo nello sguardo di rimprovero che mi aveva lanciato quando aveva capito che stavo mentendo:
- Me la cavo – feci spallucce – Ho un tetto sulla testa, un lavoretto e mi sono ambientata abbastanza bene – annuì silenzioso
- Dove vivi? –
- Vicino il porto –
- Stai scherzando spero – si voltò di scatto con sguardo estremamente serio.
- Ehm, no… - dissi un po’ insicura stringendomi nelle spalle.
- Quella è la zona più pericolosa della città! – esclamò ed io alzai gli occhi al cielo.
- Mi dispiace ma è l’unico posto che potevo permettermi! – risposi un po’ irritata.
- La prima cosa che faremo sarà trovare un appartamento nuovo per te – disse in tono serio mentre guardava davanti a se.
- Ah si? E come lo pagherei, sentiamo! –
- Consideralo un mio regalo – fece spallucce.
- No Niall – dissi con fermezza facendolo voltare verso di me – Apprezzo il gesto, davvero, ma voglio farcela da sola –
- Ed io per colpa tua perderò il sonno, questo lo sai, vero? – rispose con un mezzo sorriso.
- Sopravvivrai – feci spallucce trattenendo una risata.
- Testarda… - sussurrò scuotendo la testa e passandosi le mani sul viso.
Sospirò avvicinandosi di poco a me e mi sistemò una ciocca umida dietro l’orecchio per poi guardarmi con un leggero sguardo di rimprovero che mi fece sorridere leggermente. Era strano ritrovarmi qui con lui dopo due anni ma la parte che mi terrorizzava di più ancora doveva venire e più cercavo di evitarla, più la situazione sarebbe peggiorata. Mi prese una mano tra le sue:
- Oddio ma sei ghiacciata! – esclamò alzandosi di colpo in piedi – Prendi questa – mi mise una coperta sulle spalle – Ed io vado a farti un the –
- Attento a non bruciare la cucina – ridacchiai.
- Nah tranquilla, al massimo scatta l’allarme antincendio – sorrise mentre usciva dalla stanza.
Ridacchiai e scossi la testa riprendendo a guardarmi attorno; mi alzai e cominciai a curiosare in giro: sulla sua scrivania c’erano talmente tanti fogli da non riuscire a vedere nemmeno il colore del legno sottostante, erano testi di canzoni, frasi a caso, parole; tutti piccoli pezzi di Niall sparsi su un foglio bianco. In quel momento mi domandai come nascessero le loro canzoni, i loro testi e la musica, cosa lo ispirava e la storia che c’era dietro. Ancora una volta incolpai la distanza che ci aveva allontanato. Guardai tra gli scaffali e trovai altre foto alcune delle quali di famiglia, altre con i suoi amici, con la band e mentre continuavo a guardarle riempiendomi lo sguardo dei suoi ricordi ne trovai una che mi colpì più di tutte: era una foto di me e Niall. La stessa che avevo io e che fu scattata al compleanno di suo fratello. Presi la cornice tra le mani e la osservai da vicino sfiorando il vetro con la punta delle dita e sorridendo tra me e me. Non pensavo tenesse qualcosa di mio e scoprirlo mi aveva sorpresa ma ne ero rimasta anche molto contenta; era come se volesse sempre tenere aperta quella finestra, una specie di promemoria per non scordarsi di quei momenti, come se ancora sperava che magari un giorno ci saremmo incontrati di nuovo. Ed ora quel giorno sembrava essere arrivato:
- Che fai sbirci in giro? –
- Niall! – esclamai sobbalzando – Non ti hanno mai detto che non si entra così di soppiatto?! – poggiai la foto al suo posto.
- Lo terrò a mente – ridacchiò porgendomi la tazza fumante.
- Grazie – la presi ed iniziai a berla sentendo subito una sensazione di calore irradiarsi per tutto il corpo.
- Figurati – fece spallucce ed infilò le mani nelle tasche – Allora, trovato qualcosa di interessante? –
- Si – annuii – Quella vecchia foto – la indicai con un cenno della testa – Non credevo te la portassi dietro –
- Oh quella – sorrise – La porto sempre con me, dopotutto è uno dei momenti più belli che abbiamo trascorso assieme, no? –
- Già… - annuii bevendo altro the.
- Adesso però basta parlare a vuoto – si fece improvvisamente serio ed io, capendo cosa sarebbe arrivato, iniziai ad aver paura – Ti ho fatta venire qui per un motivo preciso e vorrei che tu mi dia delle risposte –
- Cosa vuoi che ti dica Niall? – sospirai in tono quasi esasperato tornando a sedermi sul letto e poggiando la tazza mezza vuota sul comodino.
- Vorrei che tu mi spiegassi cosa è successo – sussurrò sedendosi accanto a me.
Voleva che gli spiegassi tutto, ma da dove potevo cominciare? Ne erano successe di cose da quando lui era andato via, e poi non ero l’unica a dover spigare delle cose, anche lui non si era fatto più vivo dopo quel giorno e volevo proprio sapere il perché:
- Da quando sei andato via tutto è precipitato – ammisi guardando a terra – Avevo bisogno di te ma tu eri come sparito – sospirai.
- No, aspetta, io ti ho cercata – aggrottò le sopracciglia – Sei tu che non ti sei mai resa reperibile –
- Cosa!? – esclamai – Non sai quante giornate ho passato attaccata al telefono ascoltando nient’altro che la tua segreteria?! –
- Io ho fatto la stessa identica cosa – ribadì.
- Bugiardo! – stavolta mi alzai in piedi facendo cadere la coperta – Non ho più avuto tue notizie da dopo il programma! Né una telefonata, un messaggio, perfino una lettera sarebbe bastata ma niente! – la rabbia stava salendo.
- Non darmi del bugiardo – si alzò anche lui cercando di contenersi – Ti ho cercato ogni giorno, ogni momento che avevo libero chiedevo a qualcuno dei nostri collaboratori di mettermi in contatto con te ma puntualmente mi dicevano che non eri reperibile! –
- So perfettamente quello che dico Niall! – esclamai – A me non è arrivato niente da parte tua – lo guardai con determinazione negli occhi.
- È impossibile – scosse la testa più volte mentre poggiava le mani sui fianchi e si guardava attorno cercando di calmarsi; alla fine prese un respiro profondo – Ascolta Sav, con me puoi essere sincera – sospirò – Non mi arrabbierò se mi dirai che mi hai evitato spontaneamente –
Sgranai gli occhi e rimasi letteralmente immobile paralizzata dalle sue parole, Niall non mi credeva. Pensava stessi mentendo per rendergli la cosa più facile, per difendermi forse e pararmi dietro delle scuse; ma non stavo raccontando bugie e vedere che lui pensava il contrario mi fece male:
- Ma non l’ho fatto! – dissi con la disperazione nella voce mentre alcune lacrime di rabbia e frustrazione cominciarono a scendermi lungo le guance.
- E allora spiegami perché nessuno riusciva a rintracciarti! – stavolta urlò e dire che mi aveva sorpreso era poco.
- Non lo so Niall, ok!? – iniziai ad urlare anche io – Non lo so! – mi passai le mani tra i capelli – Non faccio più parte della tua vita da due anni, come pretendi che io sappia cosa succede!? Non ti ho più visto dalla fine del programma e tu non sai quanto ci sono stata male, quante volte ho provato a cercarti scontrandomi solo con una segreteria telefonica! Quante notti ho pianto perché la mia vita era una merda ed avevo bisogno di parlare con te! – feci una piccola pausa per riprendere fiato e nel mentre lasciai che altre lacrime mi scendessero giù fino al mento; Niall, d’altro canto, mi fissava attonito e con gli occhi sgranati – Sono stata una delusione come amica, lo sono sempre stata in tutto… forse avrei dovuto cercarti di più, essere più forte ma non ce l’ho fatta! E mi dispiace! Mi dispiace di non esserci stata in tutti i momenti importanti della tua carriera e per questo mi sento fottutamente in colpa! Darei qualsiasi cosa per tornare indietro nel tempo, ma non posso… - singhiozzai.
- È per questo che prima fissavi la parete con tutti i premi e le foto – sussurrò.
- Già… - annuii mentre mi asciugavo le lacrime – È stato come un pugno nello stomaco… ha solo reso tutto più reale, mi ha messo davanti gli occhi tutte le cose che mi sono persa – feci spallucce mentre evitavo il suo sguardo.
- Non so cosa pensare – scosse la testa.
- È colpa mia… non dovevo venire – chiusi gli occhi cercando di regolarizzare il respiro – Scusami… -
Feci per uscire dalla stanza ma Niall mi afferrò per un braccio facendomi voltare verso di lui; incontrai le sue iridi azzurre e mi si spezzò il cuore nel vederle immerse in un sottile strato di acqua. Non si meritava niente di tutto questo. Io non ero nessuno per rovinargli la vita così di punto in bianco:
- No – scosse la testa con fermezza – Non mi importa il perché o il come, ormai è passato… non voglio perderti ancora, intesi? – inarcò le sopracciglia aggrottando la fronte.
- Non posso Niall… - sussurrai – Tu non puoi – distolsi ancora lo sguardo semplicemente perché guardarlo negli occhi faceva troppo male – Non c’entro assolutamente nulla con la tua vita di adesso, sarei solo un intralcio –
- Ho detto di no! – ripeté con ancora più fermezza – Non posso lasciarti andare così, tu c’entri e centrerai sempre con la mia vita… - fece un piccolo sorriso – Sei la mia migliore amica, no? – annuii semplicemente forse troppo stanca per controbattere ancora e sospirai; ad un tratto Niall alzò il polso che ancora teneva stretto nella sua mano e se lo portò davanti agli occhi – Dove lo hai tirato fuori questo? – sentii un sorriso nella voce ed alzai gli occhi ricordandomi solo in quel momento del braccialetto che avevo al polso.
- Oh quello… - feci un sorriso leggero – Ovviamente l’ho tirato fuori dalla nostra scatola –
- Quella dove tua nonna metteva i biscotti alla vaniglia? – alzò la testa di scatto con un sorriso un po’ più grande.
- Proprio quella – annuii – Ho passato tutta la notte a guardarci dentro, a perdermi tra i nostri vecchi ricordi e mi sono perfino imbattuta in quella foto che tieni su quello scaffale – la indicai con un cenno della testa – È stato ripensare a quel momento e a quanto eravamo felici che mi ha dato il coraggio di chiamarti… - sospirai – Al solo pensiero che avrei potuto riavere quei ricordi indietro non ci ho pensato due volte, ho seguito il cuore anche se la testa mi diceva che avrei fatto un danno enorme, che avrei distrutto tutto quello che ti eri costruito con tanto impegno intrufolandomi con la mia vita incasinata… -
- Smettila – sussurrò scuotendo lentamente la testa mentre mi accarezzava delicatamente il braccio.
- Mi dispiace… -
- Cosa ti è successo? – continuò con lo stesso tono basso di prima – Perché sei andata via da Mullingar? –
Feci una risata amara e mi voltai liberandomi delicatamente dalla sua stretta per passarmi entrambe le mani nei capelli presa dalla frustrazione più totale. Da dove cominciare? Erano così tante le cose che erano accadute che mi sovrastavano togliendomi il respiro, ma Niall aveva il diritto di sapere… non mi rimanevano altri che lui:
- È cominciato tutto a precipitare poco dopo che tu sei entrato nel programma – sussurrai voltandomi verso di lui – Non sapevo a chi rivolgermi, con chi parlare e nel mentre le cose peggiorarono sempre di più. I miei litigavano sempre più spesso per motivi a me tutt’ora oscuri, ho provato a resistere, a non lasciarmi trasportare dagli eventi ma il programma era finito e tu eri lontano e tutto crollò su di me quando mia nonna morì di tumore nel giro di pochi mesi – gli occhi mi si riempirono nuovamente di lacrime – Mia madre cadde in depressione e mio padre si sentì tagliato fuori, ricominciò a bere – tirai su con il naso – All’inizio non mi preoccupai perché si trattava solo di qualche bicchiere, ma un giorno tornò a casa completamente ubriaco e cominciò a litigare nuovamente con mia madre, solo che stavolta più pesantemente – continuavo ad evitare il suo sguardo mentre sentivo quello di Niall bruciarmi addosso – Erano passati quasi tre mesi dall’ultima volta che avevo provato a chiamarti e quella sera cedetti e composi nuovamente il numero ma nulla… - scossi la testa – Come sempre partiva la segreteria o squillava a vuoto – presi un altro respiro asciugandomi le altre lacrime che continuavano a scendere senza tregua – Mi ero chiusa in camera per non sentire le urla ma era inutile… ho sentito ogni cosa… le urla di mio padre, le grida di mia madre… - mi fermai non riuscendo più a continuare per la tragicità dell’accaduto.
Niall si avvicinò e mi prese il volto tra le mani costringendomi a guardarlo negli occhi; era preoccupato e glielo si leggeva chiaramente non solo nello sguardo ma anche nei suoi gesti e nelle espressioni, ma la cosa che si vedeva più chiaramente era la paura di sapere cosa gli avrei detto dopo:
- Sav… continua – mi guardò negli occhi – Cosa è successo? –
 Presi un respiro profondo e continuai distogliendo ancora lo sguardo:
- Dopo un po’ salì in camera mia… aveva lo sguardo di fuoco come non glielo avevo mai visto in tutti questi anni e come picchiò mia madre se la prese anche con me – sospirai sentendo la presa di Niall spostarsi sulle mie spalle e stringerle mentre mi avvicinava a se – Non ricordo molto di quella sera… chiamarono di sicuro l’ambulanza perché ricordo le luci ed i medici ma poi buio… sono stata in ospedale una settimana per contusioni varie e quando mi hanno dimesso sono andata a vivere con mio nonno – non riuscii a dire altro perché nel giro di qualche secondo mi ritrovai pressata contro il suo petto in un abbraccio stritolatore tipico di Niall… mi erano mancati da morire.
Mi strinsi a lui come facevo da piccola quando c’era qualcosa che non andava o che mi faceva paura e mi lasciai trasportare dalla familiarità di quel gesto e dalla sicurezza che ogni volta mi dava. Niall aumentò la stretta mentre altre lacrime cominciarono a bagnare la sua maglietta e nel frattempo mi lasciò qualche bacio sulla testa. Mi dispiaceva avergli gettato questo peso addosso, ma, parlando egoisticamente, ora mi sentivo un po’ meglio, come se un piccolo peso mi fosse stato tolto non solo dalle spalle ma anche dal cuore:
- Mi dispiace baby… dovevo rendermi più reperibile o essere io di persona a chiamare, potevo venirti a trovare ma invece ero troppo preso dal resto che… - non lo lasciai finire.
- Niall, non è colpa tua, ok? Stavi vivendo il tuo sogno ed era giusto così, non puoi occuparti di me per sempre – feci un debole sorriso mentre gli asciugavo le lacrime.
- Sono il tuo migliore amico e da come ho capito sono l’unica persona che ti è rimasta a tenere a te – mi avvicinò di nuovo e mi stampò un bacio sulla fronte – Quindi prendermi cura di te sarà mio dovere – sorrise.
- Sono grande abbastanza da poterlo fare da sola – ridacchiai.
- No, no niente scuse – scosse la testa – Ci penso io a te – mi fece l’occhiolino e mi abbracciò nuovamente.
Sorrisi leggermente e rimasi ancora un po’ nella sua stretta d’acciaio; una volta che mi fui staccata da lui ci sedemmo nuovamente sul letto, entrambi con la schiena poggiata alla testiera del letto a contemplare il silenzio. Stavolta però era un altro tipo. Uno più calmo e meno pesante e ne fui immensamente grata. Niall mi raccontò un po’ di cose: quello che gli era successo ultimamente, le avventure in tour, l’amore dei fans, i premi e tante altre cose mentre io sorridevo felice di aver risolto, almeno in parte, il problema che ci portavamo dietro da anni. Lo ascoltavo e sorridevo. Sorridevo perché ero felice di vederlo felice, soprattutto del fatto che non aveva passato con me questi ultimi terribili due anni e che finalmente stava vivendo il suo sogno. Forse questa lontananza alla fine fu la cosa migliore, ma non glielo avrei mai detto perché sapevo come avrebbe inteso lui la cosa e di certo non volevo rattristarlo:
- Com’è vivere il proprio sogno? – domandai dopo qualche secondo di silenzio.
- È un’emozione indescrivibile – disse con un sorriso enorme sul volto mentre spostava lo sguardo sognante verso il soffitto mettendosi le mani dietro la nuca – È come sentirsi in cima al mondo, sei sempre entusiasta e felice anche se la stanchezza è molta, ma sinceramente non la senti perché stai facendo ciò che ami – annuii con un sorriso e mi guardai le mani poggiate in grembo – Ed i tuoi di sogni? – mi chiese voltandosi verso di me.
- Li ho dovuti mettere da parte – ridacchiai senza alcuna allegria – Non potevo dedicarmici, mi ero trasferita anche con quell’intento ma non ho avuto tempo e fortuna per inseguirli –
- Ce la farai – annuì – Credo in te Sav –
- Sono io che ho dei dubbi –
- Sono abbastanza fiducioso per entrambi – mi strinse la mano facendomi l’occhiolino.
Stavo per rispondere quando ad un certo punto la porta della camera di Niall si aprì di scatto facendoci sobbalzare entrambi, mi sporsi in avanti e nella stanza entrarono quattro ragazzi che riconobbi subito come i suoi amici e compagni di band. Per primi entrarono Louis e Zayn seguiti da Liam e per ultimo Harry con in mano il telefono dal quale era super preso. Quando mi notarono l’imbarazzo calò nella stanza zittendo tutti all’istante; in quei pochi secondi potei notare lo stesso sguardo in tutti e quattro i ragazzi e la stessa domanda in testa:
- Niall non ci avevi detto di avere compagnia! – esclamò Zayn mentre faceva il gomito a Liam.
- Bene bene, Niall con una ragazza! Questa si che è roba grossa! – esclamò Louis mentre si scambiava sguardi complici con gli altri. Sarei voluta sprofondare.
- Ragazzi, smettetela, non è il caso – disse in tono serio mentre si alzava dal letto ed io da sdraiata com’ero mi misi a sedere guardando ovunque tranne che nella direzione dei suoi amici.
- Chi è? – domandò quella che era la voce di Liam.
- Mi chiamo Savannah – dissi alzandomi in piedi decidendo di togliere tutti dall’imbarazzo.
Tutti mi guardarono in modo strano, con le sopracciglia inarcate, tutti tranne Harry che continuava a tenersi impegnato con il telefono, come se il mio nome non gli fosse affatto nuovo. Iniziarono a squadrarmi dall’altro in basso in quelli che sembrarono attimi eterni, ma alla fine Louis parlò:
- Quella Savannah!? – esclamò.
- Proprio lei - sospirò Niall passandosi nervosamente le mani nei capelli.
-  Aspettate – aggrottai le sopracciglia – Ora sono io quella confusa – incrociai le braccia al petto e mentre passavo in rassegna ciascuno di loro incrociai per una frazione di secondo le grandi e profonde iridi verdi di Harry – Che volete dire con ‘’quella Savannah’’? – mi voltai anche verso Niall ma lui evitò il mio sguardo.
- Beh… - mi voltai verso Zayn – Niall ci ha parlato di te – fece spallucce mentre infilava le mani nelle tasche dei jeans e si scambiava qualche sguardo con Liam e Louis.
- Hai parlato di me a loro? – mi girai di scatto verso Niall con le sopracciglia inarcate al massimo, lui fece un sorrisetto innocente e si grattò la nuca ancora in imbarazzo.
- Un po’ -
- Un po’!? – esclamò Louis quasi scandalizzato dalla risposta di Niall facendo ridacchiare gli altri compreso Harry – Da quando ti ha incontrata in quel benedetto negozio di dischi non ha smesso un attimo di parlare di te! – era letteralmente esasperato che mi strappò un mezzo sorriso – Non è vero ragazzi? –
- Si – annuì Liam assieme a Zayn – Non si stava un attimo zitto! Savannah di qua, Savannah di là – ridacchiò – Non ne potevamo più – scosse la testa mettendo le mani sui fianchi – Senza offesa ovviamente – sorrise cordiale.
- Tranquillo – scossi la testa con un piccolo sorriso.
- Ragazzi, adesso basta ok? – sbuffò Niall – Volevate mettermi in ridicolo e ci siete riusciti, contenti? – bofonchiò un po’ rosso in viso.
Si guardarono tutti e quattro per una frazione di secondo, poi scoppiarono a ridere tutti assieme; Harry partecipava poco visto che continuava ad essere preso da quel dannato cellulare, ma di tanto in tanto, anche se per poco, sentivo il suo sguardo addosso ma neanche il tempo di voltarmi che era già tornato ad occuparsi di quell’aggeggio. Niall era evidentemente in imbarazzo e la cosa da una parte mi dispiaceva, ma dall’altra mi divertiva oltre misura; era strano essere tornata nella sua vita da nemmeno due ore e già mi trovavo di fronte a quelli che ormai per lui non erano solo i suoi migliori amici e compagni d’avventura ma anche una sorta di fratelli:
- Beh visto che ci siamo facciamo le presentazioni come si deve – cominciò Niall dopo aver tirato un sospiro – Savannah ti presento Louis, Zayn, Liam ed Harry anche se credo non ce ne sia bisogno di indicarti quale sia ognuno di loro – borbottò.
- È un piacere – mi sorrise Louis.
- Il piacere è mio – feci un mezzo sorriso rimanendo ancora un po’ sulle mie.
Ad uno ad uno si avvicinarono e mi strinsero la mano a turno riservandomi tutti dei sorrisi gentili e cordiali; dire che mi sentivo in soggezione era riduttivo. Quando si avvicinò Harry si aprì in un ampio sorriso mentre stringeva la mia mano con vigore e mi guardava fissa negli occhi. Sorrisi leggermente e distolsi lo sguardo visto che il suo, perennemente fisso su di me, cominciava a mettermi in imbarazzo:
- Finalmente la famosa Savannah ha un volto - disse con la sua tipica voce roca e profonda.
- Già… - risposi con un sorriso leggermente tirato.
Harry continuava a squadrarmi da capo a piedi con uno strano sguardo ed un sorriso enigmatico dipinto sulle labbra finché non incrociò le braccia al petto e parlò di nuovo cercando di soffocare una risata:
- Ma quella è la mia maglietta – disse indicando l’indumento che avevo addosso, il tutto con ancora quel sorriso sghembo.
- Come la tua maglietta? – aggrottai le sopracciglia e guardai verso Niall che nel frattempo era scoppiato a ridere seguito dagli altri ragazzi.
- Si, la stavo cercando da giorni! – esclamò mentre anche lui ridacchiava leggermente guardando sia me che Niall.
- Niall! – lo richiamai avvicinandomi a lui mentre il biondino continuava a ridere sotto i baffi – Mi avevi detto che era tua! – ribadii lasciandogli un buffetto sul braccio che lo fece ridere molto di più e al tempo stesso incrementando la mia voglia di sprofondare al centro della terra – Non c’è niente da ridere – bofonchiai a denti stretti.
- Scusa tesoro, ma sai com’è c’è talmente tanta roba qua in giro che non ci capisco più nulla – fece spallucce fingendosi innocente – E poi a questo punto credo che tutte le mie magliette siano sporche – nel mentre sentivo le risate degli altri continuare.
- Diamine Horan, hai vent’anni e non sai farti un lavatrice da solo? – esclamai disperata alzando gli occhi al cielo.
- La vera domanda è, come ha fatto a finire addosso a te? – domandò Louis mentre alzava le sopracciglia in modo che lasciava abbastanza intendere i suoi pensieri e nel mentre guardò con circospezione e sospetto verso Niall che in compenso diventava sempre più frustrato minuto dopo minuto.
- Mi ha preso la pioggia mentre ero per strada per venire qui e quando sono arrivata Niall mi ha offerto un cambio – spiegai facendo spallucce ma evitando di guardare chiunque di loro troppo negli occhi.
- Se lo dite voi – Liam stuzzicò Niall facendogli l’occhiolino.
- Avanti Nialler, non essere timido! – ridacchiò Zayn.
- Siete degli idioti! – disse esasperato – Lo sapete questo? – esclamò ottenendo solo una risata da parte loro.
Tutti lo stavano fissando e nel mio inconscio girai lo sguardo incontrando nuovamente per pochi secondi quello di Harry che non smetteva di sogghignare e guardare la sua maglietta con sguardo divertito. Niall stava battibeccando con i suoi amici al riguardo del mio abbigliamento decisamente non consono ad uscire di casa per venire fin qua e nel mentre non faceva che sbuffare e zittirli rispondendo di tanto in tanto alle loro battute facendo sorridere un po’anche me. La situazione era divertente dovevo ammetterlo ma c’era un limite a tutto, così sbuffai e scossi la testa con ancora l’ombra di un sorriso sulle labbra:
- Io me ne tiro fuori – alzai le mani e feci per uscire dalla stanza quando la voce di Niall mi bloccò.
- Ah si? Brava! – esclamò mentre sentivo un sorriso farsi strada nella sua voce – Prima mi metti nei guai e poi te la dai a gambe levate –
- Ehi, non è colpa mia! – mi voltai ridacchiando.
- Ah no? – inarcò le sopracciglia mentre incrociava le braccia la petto – Chi è che dopo anni non ancora si toglie il vizio di non portarsi dietro l’ombrello in giornate come queste? – domandò retorico mentre sogghignava pensando di averla vinta su di me.
- E chi è che mi ha fatto venire fin qua? – incrociai anche io le braccia al petto ed imitai la sua stessa espressione – A quest’ora potevo essere a casa e invece no, sono qua con il mio migliore amico che a quanto ho visto – mi guardai attorno per la stanza – A vent’anni ancora non riesce a tenersi la stanza in ordine e, novità del giorno, nemmeno a farsi una lavatrice – sorrisi vittoriosa mentre tutti scoppiavano a ridere, compreso Niall, anche se cercava di fingersi offeso.
- La tua amica ha ragione Nialler – esclamò Zayn dando una pacca sulla spalla di Niall ed ottenendo da quest’ultimo uno sguardo storto.
- Vi odio tutti – bofonchiò facendo aumentare ancora di più le loro risate.
- Ti voglio bene anche io Niall – gli feci l’occhiolino e mi voltai per uscire dalla stanza con la sensazione dello sguardo di Harry che mi bruciava sulla schiena.
Uscii nel corridoio e tornai nel bagno dove mi misi nuovamente i miei abiti che, grazie al cielo, erano quasi del tutto asciutti. Me la presi con comodo e nel mentre pensai a quello che era appena successo: con mio grande sollievo il rapporto con Niall non sembrava cambiato, anzi, strano a dirsi ma forse si era anche rafforzato; era la questione dei suoi amici che mi preoccupava. Erano dei ragazzi simpatici e si vedeva, ma non sapevo se volevo entrare a far parte del gruppo di amicizie di Niall, ma riavere lui voleva dire automaticamente prendersi il pacchetto completo del resto della band. Qual era il mio problema? Semplicemente che non ero brava con le persone. Non ero portata a farmi degli amici, per non parlare dell’avere a che fare con i sentimenti. Ero negata per queste cose. Ovviamente non era sempre stato così, c’era stato un tempo in cui non mi serviva proteggermi dietro uno scudo ed un alto muro, ma ora invece, se volevo rimanere in piedi, era necessario. Mi serviva per proteggere quei pezzi che rimanevano del mio cuore e a contenere l’oscurità che, giorno dopo giorno, si faceva largo in me; l’unico sollievo era che con Niall quel muro veniva giù con facilità, senza nemmeno che io dovessi pensarci. La cosa che non avrebbe mai potuto curare era il buio in me. Era troppo radicato, troppo profondo per essere estirpato senza lasciar danno e coinvolgere Niall nel mio inferno era l’ultima cosa che volevo. Lui era ciò che ancora mi dava speranza per tornare, o almeno provarci, quella ragazza che ero una volta anche se ad essere sincera non ricordavo cosa volesse dire ridere, ma ridere davvero. Forse essermi riavvicinata a lui me lo avrebbe ricordato. Lo sperai con tutta me stessa, perché arrivata a questo punto davvero non sapevo più cosa mi avrebbe potuto aiutare. Sven diceva che la medicina più efficace per curare un cuore nero come il mio era l’amore; ma non quello che ti sa dare un famigliare, un amico o qualsiasi altra persona, no, l’amore inteso come innamorarsi di qualcuno. Quando me lo disse scoppiai a ridere e ancora ricordo perfettamente la strana espressione che fece lui alla mia reazione; il motivo era semplice: chi mai avrebbe amato una come me? Una che viveva con l’oscurità nell’anima e con il cuore in frantumi? Nessuno. Alla gente non piacciono i casi difficili, preferiscono le cose semplici e scontate, i cliché, le parole di circostanza e soprattutto i finti sorrisi. Lo avevo capito a mie spese ed ora avevo imparato la lezione. Forse era meglio così… alla fine, almeno, non avrei reso la vita difficile a nessuno. Uscii dal bagno e tornai nuovamente in stanza dove i ragazzi si erano accomodati per bene e nel momento che messi piede là dentro puntarono tutti lo sguardo su di me, cercai di ignorare la sensazione bruciante che avevo addosso e mi stampai un sorriso sul volto:
- Niall questi sono i tuoi pantaloni – li poggiai sul letto, poi mi voltai verso Harry – E questa è la tua maglietta – gliela porsi – Scusa per l’inconveniente – guardai Niall di sfuggita che in risposta alzò gli occhi al cielo – Ma a qualcuno – sottolineai la parola – Serve ancora la babysitter –
- Tranquilla nessun inconveniente – fece una risata roca ed un sorriso sghembo mentre si riprendeva la maglietta.
- Te ne stai già andando? – mi domandò Liam con un sorriso.
- Si – annuii – Si sta facendo tardi e soprattutto buio – indicai la finestra – E poi domani devo svegliarmi presto che tocca a me aprire il negozio –
- Dai, rimani un altro po’ – disse Niall quasi supplicandomi con lo sguardo.
- Vorrei, ma veramente, ora è meglio che vada –
- Va bene – annuì alzandosi dal letto.
- È stato un piacere conoscerti – disse Zayn alzando la mano per salutarmi.
- Anche per me ragazzi – sorrisi.
- Scusa per la brusca intrusione di prima – aggiunse Louis grattandosi la nuca leggermente imbarazzato.
- Non dovete scusarvi con me, dopotutto ero io l’intrusa –
- Sei amica di Niall, non puoi essere un’intrusa – disse Liam mentre Harry annuiva
Sorrisi ma non risposi, poi salutai tutti e scesi giù assieme a Niall fino a giungere davanti la porta sul retro dalla quale ero entrata visto che quella principale era ancora assediata di persone:
- Ma come fate a conviverci? – domandai facendo un cenno verso la porta.
- È una parte del nostro lavoro, le fans sono sempre ben accette, sono i fotografi la vera tortura – sospirò facendo spallucce mentre apriva la porta sul retro.
- Immagino – abbassai la testa – Bene, allora io vado – sorrisi leggermente e feci per uscire quando mi bloccò per una spalla.
- Aspetta – mi voltai per metà – Mi ha fatto piacere che ci siamo visti ed abbiamo parlato – sorrise.
- Anche a me – annuii ricambiando il sorriso.
- Promettimi che non te ne andrai più – era serio.
- Te lo prometto – lo abbracciai e sorrisi leggermente quando ricambiò la stretta.
- Ci vediamo presto allora –
- A presto –
Mentre mi voltavo per andar via notai, con la coda dell’occhio, Harry mentre scendeva le scale e vedendo che ero ancora lì mi sorrise; non ricambiai il sorriso per intero, mi limitai ad un cenno della testa ed infilandomi le mani nelle tasche del mio giacchetto in pelle mi voltai avviandomi verso casa con in testa un colore: verde.

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE
Salvee a tutte ecco il nuovo capitolo, spero vi piaccia e che mi farete sapere cosa ne pensate sulla storia, visto che non ci sono state ancora recenzioni sono curiosa di cosa ne pensate. Vi darò taaanti biscotti
un bacio ed un abbraccio

GiuliaStark

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