Il giorno in cui sparì il Cavaliere Nero di VeronicaFranco (/viewuser.php?uid=394920)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Io ti conosco ***
Capitolo 2: *** È stata Madamigella Oscar a mandarvi ***
Capitolo 3: *** Il vostro cuore, io non lo vedo ***
Capitolo 4: *** Sono uno di voi! ***
Capitolo 5: *** È solo il vostro sangue ***
Capitolo 6: *** Io credo nella vita ***
Capitolo 7: *** Posso innamorarmi di te? ***
Capitolo 8: *** Volevo chiedervi se avete freddo ***
Capitolo 9: *** Voi... siete un mostro ***
Capitolo 10: *** Devo portare avanti la MIA missione ***
Capitolo 11: *** Quando la maschera cade... ***
Capitolo 12: *** Non lo farebbe mai ***
Capitolo 13: *** Infangare la purezza di una sposa ***
Capitolo 14: *** Seguimi ***
Capitolo 15: *** Il ricordo del Terrore ***
Capitolo 16: *** Un amico ci ha salvato ***
Capitolo 17: *** Chi vuole la giustizia, se la faccia ***
Capitolo 18: *** Sei pronta per essere libera ***
Capitolo 19: *** Vento di Primavera ***
Capitolo 20: *** Epilogo (o Introduzione?) ***
Capitolo 1 *** Io ti conosco ***
–
Non pensavo mi avresti lasciato andare. Grazie.
–
Se devi ringraziare qualcuno, ringrazia André.
–
Come, André?
–
Già. E se permetti, credo si sia dimostrato più
uomo lui del Cavaliere Nero.
***
La
carrozza si fermò bruscamente. Bernard si svegliò
in un ansito strozzato. Prima di lui, si era svegliato un dolore
violento al petto e alla spalla, estremità di una ferita che
lo percorreva da parte a parte. La portiera si aprì subito
dopo, e da essa sbucò la faccia del conducente, piuttosto
serio in volto.
–
Da qui in poi non posso proseguire.
–
… perché?
–
La via dove dovete andare è oltre quest’angolo. Ma
è troppo stretta, e la carrozza non passa.
L’uomo
aveva parlato in fretta, e rivelava, nei toni, una certa ansia. Tsk,
pensò Bernard. Questo
ha voglia di tornare a casa, altro che scortarmi. Quel Colonnello
femmina deve passargli una buona pagnotta…
–
… lascia stare. – disse bruscamente. –
Proseguo a piedi…
–
Ve la sentite?
–
Sì, sì, torna pure a casa… e dammi del
tu, non sono un dannato nobile…
Bernard
si mosse, cercando di ignorare la fitta lancinante che gli veniva dal
petto e dalla spalla. Un bel buco, frutto di una pallottola sparata ad
arte: non l’aveva ucciso, ma l’aveva immobilizzato
per giorni. E anche in quel momento gli impediva i movimenti,
sì che se si fosse trovato nei guai, l’avrebbero
preso in men che non si dica.
Se
fossero stati popolani, avrebbe potuto dire che era uno di loro. Non
gli avrebbero creduto facilmente, a vederlo scendere da una carrozza,
ma lui avrebbe potuto chiedere l’intercessione dei suoi
amici; inoltre, conosceva a menadito tutte le sofferenze seminate tra i
vicoli di Parigi come roveti affamati di sangue. Non ci avrebbe messo
molto a far valere le sue ragioni, grazie alla sofferenza che egli
stesso condivideva da una vita con la povera gente.
Ma
se fossero stati nobili a intercettarlo, guardie di qualche tipo? Gli
ripugnava invocare ancora la protezione del Colonnello donna. Anche se
le doveva la vita, non poteva tornare da lei con la coda tra le gambe.
Il
conducente l’accompagnò fuori
dall’abitacolo, e fu l’ultima cortesia che gli
concesse. Poi ripartì al galoppo, lasciandolo completamente
solo nell’ombra della sera.
Bernard
si appoggiò al muro e avanzò lentamente, pallido
riflesso del giovane gagliardo che si era sentito di essere con quei
panni addosso.
Perché
già, il Colonnello l’aveva lasciato con gli abiti
scuri, come a rimarcare chi lui fosse, anche se non aveva avuto alcuna
remora a nasconderlo perfino al Generale Jarjayes.
–
Al diavolo. – ringhiò Bernard, respirando
affannosamente. Anche stare in piedi era un'impresa. –
Penserò a lei più tardi. Ora devo
trovare… quella casa…
In
realtà, non gli ci volle molto. Il vicolo era quello giusto,
e poche erano le porte che vi si affacciavano, una più
povera dell’altra. Bernard cercò il segno che,
secondo quanto gli era stato detto da Oscar, le donne della casa
avevano lasciato fuori dalla porta per lui. Eccolo: un nastro rosso
attorno alla maniglia.
Bernard
prese un respiro, bussò.
Attese
qualche minuto, ma non ricevette risposta. Guardò oltre, la
finestra del pianterreno e quella del piano di sopra. Le imposte erano
tutte chiuse, povere e logore di muffa: il legno aveva patito le piogge
continue di quell’inverno implacabile.
Provò
a bussare più forte. Accostò l’orecchio
alla porta, e attese ancora. A un tratto, udì un suono di
passi leggeri, appena appena percettibili attraverso lo stipite.
Qualcuno si era fermato, dall’altra parte; e
nell’improvviso silenzio che seguì, composto, da
entrambi i lati, di fiato trattenuto, orecchie tese e molta esitazione,
Bernard si sentì incomprensibilmente agitato.
–
Chi è? – disse una voce di ragazza, vicinissima:
anche lei doveva essersi accostata al legno, per sentire meglio.
Bernard
si allontanò dalla porta per dire il proprio nome, privo,
però, di cognome.
Dall’altra
parte, di nuovo un attimo di silenzio. Poi scattò una
serratura, e dalla fessura Bernard intravide un paio d’occhi
luminosi, accesi di un sospiro di candela.
–
Mi manda lei.
– sussurrò lui, subito versando quella rivelazione
nello spazio franco che si era creato al confine dell’ignoto.
La
ragazza socchiuse gli occhi, e nonostante gli mostrasse solo uno
scorcio di viso, Bernard notò un sorriso fugace, un brillio
diverso nelle sue pupille.
–
Siete Bernard… Chatelet? – sussurrò
anche lei.
–
Sì.
La
porta si aprì di colpo, lasciandogli lo spazio necessario.
Bernard si guardò intorno, come se dovesse aspettarsi un
agguato; poi, appoggiandosi come poté, si
intrufolò dentro. La ragazza fu lesta a richiudere dopo di
lui.
Bernard
si ritrovò in un piccolo ambiente dall’odore
stantìo. Non c’erano finestre in
quell’atrio, solo vari oggetti (scodelle, pentole
dall’aria abbandonata), e più avanti una porticina
che immetteva in un corridoio.
– Venite con me. – fu l’invito di lei.
Tre
porte, per quel corridoio: la ragazza si diresse con sicurezza verso
quella in fondo, ignorando le prime due. Da una di esse, subito dopo il
loro passaggio, sbucò una signora dal volto paffuto, che
prese a squadrare il nuovo venuto con tanto d’occhi.
–
È lui, Rosalie?
–
Sì, Lucille.
–
In effetti, non ha una bella cera. – disse la donna, e
Bernard riconobbe il dubbio nei suoi occhi e nella sua voce.
– Ti aiuto a sistemarlo… avete bagaglio, signore?
–
… no. – disse Bernard.
–
… no? Rosalie… ma… – la voce
di Madame Lucille suonò preoccupata. –
… la tua amica… aveva detto che ce
l’avrebbe mandato fornito di tutto…
l’occorrente… lei sa in che condizioni siamo, e
una terza bocca da sfamare…
–
Va tutto bene, Lucille. – assicurò Rosalie
bruscamente, aprendo la stanza in fondo al corridoio, senza voltarsi.
– Me ne farò carico io… ho messo da
parte qualcosa, in questi ultimi giorni. Tu torna a dormire…
basto io, qui.
Madame
Lucille borbottò qualcosa di incomprensibile, poi
rientrò nella sua stanza.
Bernard,
a quel punto, si sentì mortificato.
A
dire il vero, avrebbe dovuto avere qualcosa con sé. Oscar
l’aveva rifornito anche di una borsa. Ma, vuoi per
la fretta, vuoi per volontà di non esserle debitore
oltre il necessario, Bernard non l’aveva portata con
sé, e il conducente della carrozza non gliel’aveva
fatto presente. Dentro c’era del denaro, evidentemente.
Denaro che serviva per il suo sostentamento.
–
Cercherò di ripagarvi quanto prima. –
biascicò, confuso e dolorante; stare in piedi troppo tempo
gli riusciva ancora penoso. Si sentiva sempre più debole.
Rosalie
portò la candela a rischiarare la piccola stanza dove
l’aveva condotto.
–
Non datevi pensiero di questo, adesso. Questo è il letto
dove dormirete. – disse ancora lei, posando la candela su una
cassetta di legno a fianco del letto. – Cambio le lenzuola.
– aggiunse, e si mise all’opera.
–
Lasciate stare… – disse Bernard, puntellandosi a
una sedia lì accanto. – Vanno bene quelle che ci
sono… – aggiunse, ma Rosalie arrossì
immediatamente.
–
Oh, no! – protestò vivacemente. –
Abbiate un attimo di pazienza. – poi, con una nota di dubbio:
– Volete dell’acqua? Qualcosa da
mangiare… ?
–
No… sto bene. – disse lui, ormai pallido e
sfinito. La carrozza, la passeggiata forzata e tutto quello stare in
piedi l’avevano condotto al limite. Se ne accorse, e ne
provò fastidio.
–
Allora sedetevi… ho quasi finito.
Bernard
si accomodò con movimenti incerti e scattosi, ricadendo
sulla sedia con un rantolo di dolore. Rosalie gli lanciò
un’occhiata attenta, poi tornò a dargli le spalle
e occuparsi del letto.
Bernard
la osservò in silenzio. Da quando era entrato, aveva avuto
una sensazione strana, al cospetto di quella ragazza dagli occhi
gentili. Era oltremodo graziosa, una figura esile ma formosa, un viso
dai lineamenti molto dolci e belle, piccole labbra. Capelli raccolti,
che brillavano d’oro alla luce lieve della candela; mani
piccole e sapienti nel loro lavoro; piedi calzati di poveri zoccoli, ma
caviglie sottili, vestite di calze bianche nonostante l'evidente
povertà degli abiti.
La
conosceva? Non riusciva a ricordare dove e quando l’avesse
vista, ma si sentiva tutto pervaso d’inquietudine, e diede la
colpa alla ferita che non voleva rimarginare,
all’autorità di Oscar François de
Jarjayes che l’aveva graziato rendendolo un verme (e un
inerme), al dubbio di quella frase sibillina: “Devi
ringraziare André”.
Però
era piacevole osservare quella fanciulla muoversi attorno al letto con
attenzione, preparando il giaciglio che l’avrebbe accolto. Si
sentiva accettato, nonostante i dubbi di Madame Lucille; sentiva che
poteva rilassarsi, che sarebbe stato al sicuro.
Chiuse
gli occhi, deglutì, e il torpore iniziò a
giocarsi la sua lucidità. Sempre più stanco,
scivolò da esploratore nel regno di Morfeo, e lì,
tutt’a un tratto, semplice come una carezza, vennero i
ricordi a tenergli compagnia.
Sua
madre stava preparando il suo letto con lenzuola pulite. Lui era ancora
un bambino, e lei era tutto, per lui. Era bella, dolce come un angelo.
Quand’era triste, lui cercava di rallegrarla e di riportarle
il sorriso, e spesso ci riusciva, almeno nei suoi primi ricordi.
Ma
a un tratto, Bernard corrugò la fronte.Sua madre camminava in mezzo alla strada, vestita di bianco;
ma non sembrava più lei. O meglio, aveva i capelli
più scuri, e non riusciva più a vederla in viso.
Non c’era più alcuna stanza e alcun giaciglio.
Solo una donna traballante che usciva da un vicolo verso una via
principale; e una carrozza che, senza pietà, giungeva a
calpestare il suo povero corpo. Lui, col cuore in gola e il respiro
mozzato, non era più un bambino, ma un ragazzo di quindici
anni, che aveva appena iniziato a studiare giurisprudenza grazie a una
piccola borsa di studio. E aveva appena assistito a un omicidio.
La
carrozza assassina apparteneva a una nobildonna. Maledetta
puttana… L’aveva investita! Credeva che essere
nobile le desse il diritto di fare quello che le pareva? Scendesse
subito! Chiedesse scusa, almeno!
Non
era colpa sua, diceva. Era stata la donna a comparire
all’improvviso davanti alla carrozza.
Aspettate!
Non potete andarvene così! ASPETTATE! VOI L’AVETE
UCCISA!
Se
avete delle lagnanze, venite a Versailles!
MAMMA!
Mamma, non lasciarmi!
Mamma,
non lasciarmi.
Era
stato un bambino quando l’aveva pianto per la prima e unica
volta.
C’era
un’altra bambina a piangere sul cadavere di sua madre. Ma
Bernard ne comprendeva lo strazio con tutto se stesso. Una bambina con
gli occhi blu e i capelli biondi, che piangeva così
forte…
Non
puoi stare qui a piangere per sempre.
Le
aveva messo la mano sulla spalla.
Fa
male, ma tua madre non tornerà.
Era
stato duro, doveva esserlo. Non aveva dovuto impararlo a sue spese, che
i morti non ritornano?
Mi
chiamo Bernard Chatelet. Sto studiando per diventare giornalista. Se
hai bisogno di aiuto…
Grazie,
ma non ce n’è bisogno.
Ehi!
Aspetta! Dove vai!
Quegli
occhi, prima annegati di dolore e poi freddi come un
pugnale… come aveva potuto dimenticarli?
–
Monsieur Bernard? Monsieur Bernard!
Rosalie
lo stava chiamando. Bernard lanciò un sospiro,
riaprì gli occhi. Vide il viso di Rosalie vicino al suo,
preoccupato.
–
Io ti conosco. – mormorò. – Ti
conosco… vero?
Lei
non rispose. Piuttosto sorrise un poco e con aria indulgente, come se
lo stesse, in fondo, canzonando d’averci messo tanto a
capire. Ma a Bernard non importò. Si fece aiutare a mettersi
a letto, lento perché dolorante e placido perché
stupito. Si appoggiò alla spalla di lei per muovere quei
pochi passi; la stessa spalla magra che aveva a suo tempo cercato di
scaldare, quando lei era poco più d’una
bambina pelle e ossa. Una spalla forte, però, ora come
allora.
Rosalie lo ricoprì fino al petto. Gli sussurrò se
stesse comodo. Bernard annuì.
–
Allora, buonanotte. Chiamatemi se avete bisogno. Sono nella stanza
accanto... e il mio nome lo conoscete.
Bernard sorrise. –
Grazie... Rosalie.
La ragazza si portò dietro la candela. Con lei, Bernard vide
ritirarsi tutte le luci della stanza, e rimase al buio.
______________
Note.
- Questa sarà
una storia di pochi capitoli: l'aggiornerò saltuariamente,
tra un capitolo di Rivoluzione e l'altro!
- Trovo che ricevere dei disegni
sia come ricevere un piccolo mondo in sé compiuto. Ho pensato a lungo a come
sdebitarmi per tutti i regali inestimabili che Ilanak ha realizzato
fino a oggi per le mie pagine (l'ultimo, recentissimo, lo
posterò nel prossimo capitolo di Rivoluzione): spero
che questa piccola storia, che meditavo da un po', valga come piccolo,
ma sentitissimo, Grazie!
:***
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** È stata Madamigella Oscar a mandarvi ***
La notte
di Bernard fu lunga e faticosa. Dormì poco, cercando di
recuperare almeno le forze che il trambusto del giorno prima e il
piccolo viaggio gli avevano succhiato. Il letto che Rosalie gli aveva
destinato non era comodo come quello di Palazzo Jarjayes; oltretutto,
era inverno fitto e non c’erano bracieri accesi per
scaldarlo, né sufficienti coperte. Ne aveva addosso un paio,
logore, che non potevano proteggerlo dal freddo implacabile
d’inizio febbraio. Oltretutto, tuoni lontani annunciavano
temporali violenti.
Rosalie,
la tua amica aveva detto che ce l’avrebbe mandato fornito di
tutto l’occorrente. Lei sa in che condizioni siamo, e una
terza bocca da sfamare…
Le
parole di Madame Lucille, pronunciate da lei con tristezza e
preoccupazione sincera, gli bruciavano dentro. Ma la mortificazione si
tramutò presto in fastidio. Cosa aveva creduto di fare,
Oscar François de Jarjayes, affidandolo a due povere donne,
pretendendo anche di pagargli vitto e alloggio?
Quando
aveva visto i vicoli in cui l’avevano condotto, si era
rallegrato in cuor suo, pur dolorante com’era: era saggio
rimanere così nascosto finché le acque non si
fossero calmate e la sua ferita guarita. E dopo, dopo avrebbe pensato a
cosa fare; giacché la promessa estortagli da Oscar, di
ritirarsi dall’impresa del Cavaliere Nero e comprare i fucili
rubati, anche a un prezzo ridicolo come quello che lei gli aveva
fissato, era ancora tutta da mantenere. Avrebbe dovuto parlarne con i
suoi compagni. Lui non aveva facoltà di decidere anche per
loro, né possedeva denaro suo con cui portare a termine
l’acquisto. E poi: era vero, Oscar l’aveva battuto,
ma per un caso. Sarebbe risultato Bernard il vincitore, se solo lei non
avesse avuto l’aiuto di André.
Quell’André che Bernard aveva ferito
all’occhio… quel placido cagnolino che
scodinzolava dietro al Colonnello, e si era fatto ferire pur di
catturare il Cavaliere Nero, la speranza della povera gente.
Ma
poi, a un passo dalla denuncia, pronta a ricevere tutti gli onori per
aver mandato in rovina il Cavaliere Nero, il Colonnello femmina, il
Cane della Regina, si era tirata indietro. Avrebbe dovuto consegnarlo
alla corrotta giustizia del Re, invece era passata sopra a tutto. Non
aveva fatto accenno nemmeno al ferimento del suo servo
André. Magari non le importava nulla di lui, dopotutto era
solo il suo servo, e lei un’aristocratica. Ma
quelle ultime parole con cui l’aveva congedato,
“Devi ringraziare André – È
stato più uomo del Cavaliere Nero”, svelavano
quantomeno un forte ascendente del servo sulla padrona.
Insomma,
Bernard non riusciva a dormirci. Si era ritirato dai giochi per poter
guarire, ma aveva troppe domande ancora per calmarsi.
D’un
tratto, il giovane udì un fruscio oltre la porta socchiusa.
Aprì gli occhi nel buio pesto, e scoprì che un
debole chiarore si avvicinava, squarciando la tenebra. Poi, la porta
iniziò a muoversi e gemere. Subito chiuse gli occhi, e finse
di dormire. Movimenti leggeri, piccoli passi: Rosalie, la fanciulla
dagli occhi luminosi, già, l’unica piacevole
sorpresa di quella convalescenza forzata.
Bernard
aguzzò i sensi. Aveva le palpebre ben chiuse, ma
percepì il chiarore della candela sul viso. La presenza di
Rosalie era molto vicina. Poi, sulla cassetta a fianco del letto
rintoccò un fragile suono di oggetti sul legno.
La
tentazione di aprire gli occhi era forte, ma Bernard si era incaponito
a fingersi addormentato, come un bambino. Avrebbe potuto fingere anche
il proprio risveglio, ma non si risolveva a farlo. Non aveva voglia di
parlare; e soprattutto, ma questo non poteva ammetterlo a se stesso, si
sentiva a disagio.
Rosalie
era rimasta ferma, intanto. La cosa durò diversi istanti.
Perché non se ne andava? Cos’era successo? Madame
Lucille si era imposta per mandarlo via? C’erano
novità da parte di Oscar? L’avevano trovato?
All’improvviso,
Bernard si sentì toccare a un braccio, sussultò,
spalancò gli occhi. Si spaventò veramente, teso
com’era, anche se il contatto era stato minimo e gentile. O
forse fu proprio quella gentilezza che fece letteralmente tremare il
giovane. Come una corda di violino che, pizzicata, fa vibrare anche
quella vicina, Bernard infuse lo stesso timore anche a Rosalie: la
ragazza mandò un piccolo grido e ritrasse la mano
immediatamente, come se si fosse scottata.
Rosalie
prese un lungo respiro, le labbra schiuse e gli occhi sgranati sul
volto di Bernard, le mani giunte sul petto.
–
Scusatemi. – sussurrò lei, dopo un istante, e si
addolcì in viso, – Non volevo
disturbarvi… vi ho svegliato.
–
… no. No, non dor… non mi disturbate. –
anche Bernard prese un respiro più profondo, e distolse
subito gli occhi da Rosalie.
–
Vi ho portato dell’acqua. – disse lei, indicando
con un cenno la brocca e il bicchiere di legno che aveva appoggiato
sulla cassetta a fianco del letto. – Avrei dovuto lasciarvela
prima. Scusatemi se non ci ho pensato.
–
Oh… grazie. – disse Bernard, volgendo il capo
verso quel punto. Si accorse d’avere sete, effettivamente;
l’arsura dei pensieri aveva seccato la sua bocca, anche se
col freddo si era sentito più intirizzito che altro, e non
ci aveva pensato. D’istinto, cercò di mettersi a
sedere, di tendere il braccio, ma fu brusco e ricadde sul letto, con
una smorfia.
–
Aspettate. Vi aiuto… – disse subito Rosalie,
chinandosi verso di lui, tutta sollecita.
–
Non preoccupatevi… – ribatté Bernard,
puntellandosi su un gomito e issandosi con più cautela.
Rosalie lo prevenne, prendendo il bicchiere e riempiendolo; glielo
porse, e vedendolo traballante sui gomiti, scosse il capo. –
Ve lo tengo io. Fate piano.
–
Ma io…
Non
ci furono altre parole. Rosalie accostò il bicchiere di
legno al viso di Bernard, con tutta la cura possibile.
Aspettò che lui appoggiasse le labbra al bordo, poi lo
inclinò lentamente. Bernard prese un sorso, poi un altro,
sempre brevi, sempre piccoli; la pazienza della ragazza
l’aveva contagiato. Si saziò d’acqua, ma
si fece via via più torvo. Quando avrebbe smesso di fare
l’invalido? Non poteva abituarsi a quel trattamento; doveva
rimettersi il prima possibile…
Staccò
le labbra dal bicchiere bruscamente, versò le ultime gocce.
Rosalie sussultò, rimise subito il bicchiere dritto e si
scostò. Bernard ricadde sul letto, con un sospiro e una
fitta, sorda, alla ferita.
–
Grazie. – le disse.
–
… avete bisogno di qualcos’altro? –
chiese ancora lei, esitante.
–
No.
Rosalie
aspettò ancora un attimo. Poi parlò con voce
più bassa, lo sguardo fisso davanti a sé.
– … il vaso da notte è sotto il letto.
Potete raggiungerlo, se ne avete bisogno?
Bernard
la osservò, mentre lei non guardava. Sorrise anche,
perché lei sembrava in evidente imbarazzo.
–
Madamigella Oscar mi ha parlato della vostra ferita. – si
giustificò infatti la ragazza, – So che vi muovete
con difficoltà…
–
Sono arrivato da voi camminando. – assicurò
Bernard, cui la menzione di Oscar aveva riacceso i pensieri di prima.
– Se ne avrò bisogno, saprò mettermi in
piedi.
Rosalie
lo contemplò senza parole. Bernard fece un sorriso
sarcastico.
–
Non vi incomoderò per questo, né per altre cose.
Non temete.
Rosalie
continuò a tacere. Si guardò intorno.
Trovò, buttato sull’unica sedia della stanza, il
mantello scuro che nel capitolo precedente la pigra narratrice non ha
tolto di dosso a Bernard, prima di metterlo a dormire. Rosalie lo
raccolse e non chiese nulla: lo dispose, semplicemente, sul corpo del
giovane, sopra le due vecchie coperte che non erano riuscite a
scaldarlo fino a quel momento.
Lui
provò un’immediata sensazione di conforto, un poco
più di calore. Rivolse a Rosalie un’occhiata
intensa, ma lei evitò di incrociare i suoi occhi. Si
schermì dicendo:
–
È molto fredda questa stanza, di notte… e
purtroppo non ho altre coperte per voi. Spero che così
stiate meglio.
–
… sto molto meglio, sì.
Rosalie
abbozzò un sorriso a fior di labbra. Si avvicinò
alla candela e la raccolse. Stava già voltandosi per andare.
–
Un momento. – chiamò Bernard.
Rosalie
si fermò di profilo, poi volse ancora il viso nella sua
direzione.
Bernard
la osservò nello squarcio di luce che l’inglobava;
si rese conto che la ragazza, in quel momento, aveva indosso un abito
semplice e una vestaglia di lana grezza, che non potevano bastarle. Gli
parve di vederla tremare, e tenere la candela ben vicina al corpo e al
cuore. O forse fu solo la suggestione del viso di lei, così
pallido, liscio come fredda porcellana.
–
… ditemi. – lo incoraggiò lei. Bernard
si riscosse.
–
… sapete della mia ferita. Cos’altro vi ha
detto… il Colonnello Jarjayes?
–
Che avete bisogno di quiete e di aiuto.
–
Vi ha detto perché?
Rosalie
sorrise con dolcezza. Scosse il capo. – No.
Bernard
aggrottò la fronte. – E voi… vi siete
fidata a ricoverare uno sconosciuto in casa vostra?
–
È stata Madamigella Oscar a mandarvi. – disse
Rosalie con tranquillità, come se quella risposta potesse
chiudere il discorso.
Bernard
non trovò subito cosa replicare. Chiuse la bocca e
inghiottì. Osservò ancora il viso di Rosalie, i
suoi lineamenti resi luce dalla candela soffusa; era cresciuta tanto, e
Bernard avrebbe voluto chiederle come mai conoscesse Oscar, lei che era
vissuta a Parigi e che ai nobili doveva la morte di sua madre.
–
… potrei essere chiunque, anche un ricercato.
E voi mi accogliete senza fare domande? Solo perché ve
l’ha detto… tsk… Madamigella Oscar?
Rosalie
non badò alla smorfia di sarcasmo di Bernard. Sorrise di
nuovo, in modo sornione stavolta: un tocco di luce nuova, il segno che
Rosalie aveva ancora, nascosto sotto la gentilezza,
l’orgoglio che lui le aveva visto un tempo. La ragazza
rispose solamente: – Sì.
Bernard
non si sentì affatto rassicurato, al contrario. A tal punto
Oscar aveva potere, dunque? Aveva blandito anche quella ragazza, e
peggio, si permetteva di metterla in pericolo?
Rosalie
parve intuire il rumore dei suoi pensieri.
–
Madamigella Oscar non mi farebbe mai del male, e non
permetterà che ne facciano a voi. Abbiate fiducia, Monsieur
Bernard Chatelet.
Questa
era bella. Era proprio a quella santa
Oscar che Bernard doveva il buco alla spalla!
–
Fiducia!? – esclamò lui, alzando la voce. Rosalie
si mise un dito davanti alla bocca, allarmata. – Vi prego,
non gridate… Lucille ha il sonno leggero, ed era molto
stanca… e anche io… è il caso vi lasci
riposare. Domattina vi porterò qualcosa da
mangiare… dormite, e se avete bisogno…
...
chiamatemi.
Rosalie si eclissò con quel sottinteso, simile a una stella
quando lascia la scia d’un desiderio. E Bernard, contrariato
e confuso, tornò a pensare più volte, quella
notte, al sorriso sicuro di lei, alla stima che nutriva per Oscar; e
pensò che come l’aveva ferito l’aveva
salvato, quella stessa Oscar, e che le si era arreso e non si riconosceva più per questo,
e avrebbe voluto sfidare quella donna a duello e prendersi la sua
rivincita; se avesse potuto, avrebbe sfidato a duello tutti i nobili
di Versailles. Tutti li avrebbe feriti a un occhio, o accecati del
tutto. Forse perfino uccisi… perché quando
pensava al male che continuavano a spargere impunemente,
all’arroganza con cui si portavano per le strade, ah, tremava
di sdegno.
La
gente aveva fame, dannazione. Le lacrime erano innumerevoli. La Francia
era lo zimbello d’Europa, e i continui debiti distruggevano
gli innocenti, e lasciavano impuniti i carnefici. Ah, che gli importava
che Oscar François fosse un’eccezione, il sistema
era marcio fin nel suo cuore dorato, con quella dannata corona su
quella testa sconsiderata!
Strinse
i pugni e si agitò, cercando di spostarsi su un fianco.
Gemette, e si accorse d’avere tanti nervi addosso da non
poter fermare due lacrime traditrici.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Il vostro cuore, io non lo vedo ***
7 0ttobre: AAA Avviso ai naviganti parallelo a quello dell'altra mia ff "Rivoluzione"! A causa del ritardo dall'altra parte, l'aggiornamento di questa storia, anziché giorno 11 ottobre, slitta a giorno 18 ottobre. Grazie sempre a chi legge e mi aspetta! Un bacione!
Quando
il giorno arrivò, Rosalie entrò in punta di
piedi, aprì la finestra cautamente e sbirciò
Bernard. Scoprì che il giovane era sveglio, gli occhi fissi
al soffitto: eppure, non aveva mosso un muscolo quando
l’aveva vista arrivare.
– Buongiorno… – disse lei, con tono
gentile. – Avete potuto riposare?
La risposta era no, ma Bernard la tenne per sé. I tormenti
della notte l’avevano reso scontroso. Gli parve di non
riuscire a trarre piacere nemmeno dalla vista di un sorriso amichevole
come quello di Rosalie. Anzi: a ripensarla amica di Oscar, si
sentì come tradito. Stette in silenzio, dopo un –
’giorno – smozzicato.
Rosalie indugiò su di lui, dubbiosa. Poi si
allontanò di nuovo, e tornò con un vassoio e una
ciotola fumante. Bernard la seguì con la coda
dell’occhio mentre gli si avvicinava ancora.
– Ce la fate a mettervi seduto? – chiese lei,
sempre con tono gentile.
Bernard si sistemò a sedere lentamente, con estrema fatica e
rinnovato dolore. Dovette adagiarsi sui cuscini di nuovo, solo un poco
più dritto di prima. Il dolore si rilassò,
Bernard prese un lungo sospiro. Poi la osservò diretto,
inquisitore. Rosalie se ne accorse ed evitò il suo sguardo,
senza però desistere dal proprio servizio.
Gli porse il vassoio, glielo appoggiò sulle ginocchia.
Bernard osservò il piatto fumante. Una brodaglia in cui
navigavano poche verdure, una patata e, accanto, una crosta di pane
vecchio di giorni. Il pasto più lauto che Rosalie era
riuscita a rimediare.
Si volse a lei di nuovo, fissandola intensamente. La ragazza
abbassò gli occhi, desolata. – Non abbiamo altro,
purtroppo. Mi rendo conto che non è il pasto ideale per chi
deve rimettersi in forze. Ma…
– Perdonatemi, Rosalie. – la interruppe lui.
– Non volevo mettervi a disagio. Ma non posso chiedervi
questo.
– ... questo, Monsieur Chatelet?
– È colpa mia. – ammise lui, e strinse i
denti per un attimo. – Ho lasciato sulla carrozza
la borsa che mi ha dato il Colonnello Jarjayes.
Rosalie si accese di un nuovo sorriso. – Ah, è
andata così.
Bernard non si aspettava di vederla così lieta. Si
affrettò ad aggiungere: – Perché
desidero ripagarvi personalmente di quanto state facendo. Non voglio
essere in debito ancora con quella donna.
Rosalie stette ad ascoltarlo, il cucchiaio sospeso sul brodo,
l’atteggiamento tranquillo. Bernard continuò,
nervoso, con le sue specifiche:
– Ma pensavo di poter aspettare, e ripagarvi una volta
guarito. Così, invece…
Rosalie intinse di nuovo il cucchiaio nel brodo. – Non fatelo
freddare… – lo interruppe. – Anche se
è poca cosa, è meglio che lo prendiate, vi
farà più bene che rimanere completamente digiuno.
– e detto questo, porse ancora il cucchiaio pieno a Bernard.
Lui lo rifiutò, voltando il capo, lo sguardo molto duro.
– Ho deciso di tornare a casa mia. Posso camminare un poco,
come ieri sera.
– … ieri sera vi siete affaticato troppo. Prima il
viaggio, poi la… passeggiata fino a qui. La ferita
è troppo fresca. Rimanete qui ancora qualche giorno.
– E approfittare del poco cibo che avete? –
inveì lui, e troncò la domanda con un gemito
soffocato: scuotendosi bruscamente, aveva svegliato la ferita alla
spalla.
Rosalie lo guardò agitarsi come un gatto legato al
guinzaglio, e si allarmò. Posò il piatto ancora
caldo sulla cassetta di fianco al letto, tese le mani e
sembrò volerlo toccare, quantomeno trattenerlo nei suoi
spiriti bollenti. – Così non guarirete
mai… Calmatevi, vi prego!
– Lasciatemi andare via! Vi sono troppo di peso.
– Capisco come vi sentite, ma non è il
momento…
– Certo che lo è… –
ansimò lui, affatto rassegnato a rimanere fermo.
– Non vi conviene uscire di qui, così ferito: se
vi trovassero e vi arrestassero, non potreste fuggire.
Bernard la guardò subito, spaventato. – Come
sapete che…
Lei scosse il capo, abbozzò un sorriso gentile.
– No, non sapevo nulla. Ma ieri notte avete detto una cosa
che mi ha fatto pensare… e dalla vostra espressione di
adesso, ho avuto conferma che la mia ipotesi era giusta.
Potrei essere chiunque,
anche un ricercato. E voi mi accogliete senza fare domande?
– … – Bernard, battuto, si
accasciò contro il cuscino e strizzò gli occhi.
Dunque Rosalie aveva capito tutto, e lui, ingenuo, le aveva fornito la
verità su un piatto d’argento. Ma non si diede per
vinto. Con voce lenta, gli occhi ben chiusi, disse: –
… vedete, dunque, che la vostra Madamigella è una
vecchia volpe… che non esita a mettervi in pericolo?
– Il brodo si sta freddando. – disse Rosalie, sorda
come pochi a quel genere di discorsi. Riprese ciotola e cucchiaio e
offrì un nuovo boccone a Bernard, con sguardo meno gentile e
un piglio più pratico e deciso.
Lui rifiutò il cibo, si esasperò. –
È mai possibile che vi abbia accecato fino a questo punto,
quella donna?
– Non mi ha accecato. – rispose lei, con tono
più freddo.
– Eravate fiera e coraggiosa… che cosa vi ha
fatto, che debiti
dovete scontare, con lei?
– Non vi riguarda. – la voce di Rosalie
virò sulla sfida, ma Bernard non colse le nubi
all’orizzonte. – Monsieur Chatelet, per
favore…
– Già! Crede di comprarsi le persone con quelle
sue moine, ma è un demonio, e voi non potete fingere di non
saperlo!
– Monsieur Chatelet! – Rosalie posò di
fretta il piatto sulla cassetta, rovesciando pure parte del contenuto,
e si alzò in piedi, di scatto.
Bernard la fronteggiò con uno sguardo sicuro e strafottente.
Non poteva essere nel torto, pensava. Rosalie era solo una delle tante
vittime del Comandante Jarjayes. Ma la ragazza non solo non voleva
rendersene conto, aveva anche occhi infiammati di rabbia, come aveva
già visto una volta, tanti anni fa. (Sì, quegli
occhi erano tornati. Per un motivo bizzarro e incomprensibile a
Bernard, erano tornati vivi e ardenti. Per un attimo, il giovane si
crogiolò in una sensazione appagante, tutta di stomaco,
più fisica che mentale. Quegli occhi così
espressivi, così densi di passione. Quella fanciulla
così genuina, così pronta a combattere, una vera
figlia del popolo… sì, il cuore di Bernard
godette in segreto di quella vista e si eccitò di rimando,
come fa la stoppa asciutta toccata da un fuoco già acceso.)
– Se il prezzo della verità è il vostro
odio, sono pronto a pagarlo… – disse, mostrandosi
rassegnato come un profeta in patria – … pur di
aprirvi gli occhi, Rosalie.
– … voi non sapete niente. – rispose
lei, pugni e denti stretti. – Con che diritto parlate di
verità?
Bernard fu sincero, allora, e serio e grave nei toni. –
… cosa dovrei sapere? Spiegatemelo, ho bisogno di sapere, voglio sapere.
Ma Rosalie non volle concedere più alcuna diplomazia.
– Se fosse così, mi avreste chiesto spiegazioni prima di trarre
giudizi. Invece accusate e basta, per di più la persona che
vi ha salvato. Madamigella Oscar mi ha parlato di “un giovane
di buon cuore, coraggioso, generoso anche se avventato, che aveva
bisogno di un luogo in cui riposare da molti affanni e
pericoli”…
(… Bernard stava zitto, prima torvo, poi via via
stupito…)
– … e mi ha scritto che il resto me
l’avreste raccontato voi, se e come avreste voluto, e che lei
ci avrebbe protetto tutti quanti. Ma io non sono più tanto
sicura che il giovane di cui mi ha scritto siate voi…
avventato sì, eccome!, ma il vostro cuore io non lo vedo,
è troppo pieno di rancore!
Bernard sentì quelle parole scalfirgli la determinazione, ma
cercò di non cedere. E anzi, con voce bassa e stentata
disse: – … non vi ha scritto, però, chi mi ha procurato
questa ferita…
Rosalie rifletté lentamente, come se stesse ricomponendo
incerti tasselli – … ma certo…
è stata lei... – sussurrò.
Meditò ancora, e infine sgranò gli occhi, e
sentenziò: – … il Cavaliere Nero che
stava cercando… siete voi. Ma certo, certo!
Bernard sussultò, come un cane di grossa taglia che, fuor di
sospetto, un cucciolo di gatto ha colpito agli occhi con i piccoli
artigli.
Rosalie continuò, calcando le parole con rabbia crescente,
trattenuta tra i denti e i piccoli pugni:
– L’ho curata io stessa. È stato due settimane fa. È caduta davanti alla mia porta. Era ferita alla
testa e perdeva molto sangue. Ha dormito in questo letto dove siete
voi… e non si risvegliava più, e io tremavo di
paura, e ho odiato con tutto il mio cuore chi le aveva fatto del
male… anche se era inevitabile… anche se
era… – alzò la voce, in uno scatto,
– … il Cavaliere Nero!
Silenzio. L’aria aveva tremato come al movimento di uno
schiaffo.
Rosalie abbassò i pugni lentamente, fermò il
proprio tremito, deglutì. La rabbia fisica si
indurì in uno sguardo aspro e ostile.
Bernard cercò parole per fermare quel silenzio che gli
franava addosso, ma non ne aveva più.
In quel momento, bussarono alla porta.
Lucille si sporse d’impeto dallo spiraglio, senza neanche
aspettare permessi: pareva giuliva.
– Rosalie! Sono arrivati!
Rosalie si voltò a osservare Lucille. Il suo viso
cambiò espressione, e per un attimo lasciò cadere
la tensione e la rabbia. Incerta, biascicò: –
Arrivati… ?
– È incredibile! – scoppiò di
nuovo Lucille, che quasi gridava dalla contentezza. –
Continuano a portare cose… ah, che meraviglia! È
talmente tanta roba che non riusciremo a farcela stare nella credenza!
Che Dio la benedica! Che Dio la benedica!
Rosalie si mosse verso di lei, lo sguardo ancora incerto, ma il primo
sorriso di chi assiste, piano piano, all’avverarsi di una
speranza. In quel momento, Madame Lucille disse: – Ora vado
ad aiutarli! Ti lascio con il signore, se gli occorre qualcosa ci pensi
tu?
– Il signore… chi?
Lucille si volse indietro. – Prego, entrate pure! –
Poi spalancò la porta e introdusse l’ospite nella
piccola stanza. Era un uomo in carne, imparruccato e
dall’aria solenne, ben vestito. Portava una valigetta.
– Dottor Lassonne! – esclamò la ragazza,
e subito gli andò incontro. Fece un piccolo inchino, rapido
e compito. – Benvenuto.
L’uomo fece un gran sorriso, affatto sorpreso di vederla.
– Madamigella Rosalie… è un piacere
rivedervi dopo tanto tempo.
– È passato molto tempo, è vero.
– la voce di Rosalie si tinse di una malinconia rosata, di
quelle che non soffrono rimpianto.
– Da quel terribile raffreddore di Madame Grandier.
– Sì… – e Rosalie si perse
ancora in qualche ricordo. Bernard stette a osservarla, muto. Non era
stato inserito nel dialogo dei due, ma soprattutto, comprese quanto
fosse carico di allusioni a un’altra vita; lui conosceva
Lassonne da una manciata di giorni, perché l’aveva
curato una volta in casa di Oscar, ma le parole che lui e Rosalie si
rivolgevano indicavano una più profonda confidenza, e,
soprattutto, lei sembrava cambiata. Dalla offesa fierezza che gli aveva
opposto pochi attimi prima, eccola tornata soave, fresca e lieta.
Bernard, grande intruso della sua vita, non previsto e forse non
voluto, assistette a quegli scambi con vaga tensione.
In quel momento Lassonne si rivolse a lui.
– Come vi sentite oggi, Signore?
– … me… meglio. –
balbettò Bernard, distogliendo immediatamente lo sguardo.
Dalla finestra si vedeva il tetto della casa vicina, cadente ma abitato
da voli di passeri. Presto sarebbero arrivate le rondini,
pensò Bernard: si stupì
dell’incongruenza della sua mente. In quel gelido inverno la
primavera tardava anche solo a sognarsi.
– Non mi sembra, a giudicare dal vostro viso. –
replicò il Dottore, e anziché chiedere a lui, si
volse a Rosalie. – Ha dormito?
Rosalie abbassò lo sguardo a terra. – Un
po’… credo.
Bernard si aspettò che lei tornasse a guardarlo. La attese,
anzi, la cercò con gli occhi. Niente: la ragazza si era di
nuovo chiusa in una posa dignitosa e offesa.
– Non abbastanza, temo. – riprese Lassonne.
Osservò il piatto della minestra che era stato in buona
parte rovesciato. Lo analizzò con una smorfia, poi
parlò ancora a Rosalie. – Con i viveri che vi ho
portato, potrete preparare pietanze più nutrienti.
È fondamentale che il paziente mangi regolarmente,
e… – indugiò sulla ragazza, sorridendo
mesto. – … anche voi, Madamigella
Rosalie… Madamigella Oscar non mi ha raccomandato altro che
questo. I viveri sono per tutti: il vostro ospite, voi e la vostra
padrona di casa.
Rosalie riprese il suo sorriso soave e nostalgico. Annuì,
con serena delizia. – Riferitele, vi prego, che le siamo
immensamente grati. Non sappiamo come ringraziarla, e ringraziare voi.
Lassonne annuì a sua volta. – Adesso è
il caso che controlli la ferita e cambi le bende.
– Sì. Vi lascio…
– … no, Madamigella, se vi è possibile,
vi chiederei il favore di restare. Avrò bisogno di
assistenza. Dell’acqua, innanzitutto.
– Sì… subito. – disse
Rosalie, dopo un attimo di esitazione.
Bernard, annichilito, combatteva tra lo stupore, la
curiosità e la desolazione. Non era riuscito a distrarsi un
istante da tutto quel dialogo, e spesso lo sguardo, suo malgrado, era
andato in cerca di Rosalie, del suo viso a tratti fiore, a tratti
fiamma. Percepiva, in cuor suo, il peso di una colpa che non sapeva
definire, e un disagio crescente man mano che gli istanti passavano e
lei si comportava con freddezza.
– Signore, vi ho portato del laudano. Per aiutarvi a dormire,
nel caso il dolore sia troppo.
Bernard restò immobile, una pietra, un burattino. Lassonne
non si diede pena di interrogarlo, per il momento.
– Dovete mettervi seduto. Vi aiuto.
Bernard si lasciò issare a sedere, facendo qualche smorfia a
denti stretti per il dolore che si svegliava ancora, con fitte
sferzanti.
Poi la porta si aprì ancora. Rosalie tornò
dentro, si accostò alla porta e vi appoggiò la
schiena, per chiuderla. Recava un vassoio e una bacinella
d’acqua. Aveva uno sguardo severo e infastidito.
Lassonne lo aiutò a togliersi la camicia scura. Poi prese a
spogliarlo delle bende, con accorta perizia. Il freddo della stanza e
del mattino invernale andò a mordere la pelle nuda di
Bernard, e ancor di più il punto in cui, sulla spalla, egli
percepiva il buco rosso e tumefatto che Oscar gli aveva lasciato per
ricordo. Percepirlo, non vederlo: quella vigliacca gli aveva sparato
alle spalle, contro ogni aspettativa. L'aveva giudicata incapace di
farlo, eppure l'aveva fatto, l'aveva quasi ucciso.
–
Ora scendi da cavallo. Aspettiamo André.
–
E se rifiutassi?
–
Cosa?
–
Vuoi spararmi? No... non credo proprio che lo farai.
–
... !
–
Me ne vado. Ci sono molte cose che devo ancora fare.
Ci rivedremo.
–
Fermo!
–
Tra tutti i nobili che ho conosciuto, tu sei uno dei migliori. Non
spareresti mai alle spalle a un uomo disarmato.
–
Dipende da chi è...
Poi
uno sparo, la spinta di un colpo secco, lancinante, alla spalla. Era
caduto da cavallo, e l'aveva maledetta con gli occhi: cane, cane della
Regina! Ricordava il durissimo impatto con la terra, il dolore esploso
dalla spalla al centro del petto. I sensi annebbiati, il vento crudele.
E lei, quella dannata, aveva gridato ancora qualcosa; Bernard non
ricordava bene cosa, ma aveva sentito presto anche la voce di
André, prima di svenire del tutto.
"Un giovane
di buon cuore, coraggioso, generoso anche se avventato, che aveva
bisogno di un luogo in cui riposare da molti affanni e pericoli."
Prima
gli sparava e quasi l'ammazzava, e dopo tesseva le sue lodi
per lettera? Cane della Regina, vigliacca, ipocrita.
Bernard sbirciò Rosalie. Lei attendeva ordini con lo sguardo
fisso a terra, spento.
Come aveva fatto, la donna Colonnello, a ridurre così quella
figlia del popolo? A farla così innamorare di
sé? Perché Rosalie le portava una devozione cieca
e adorante che somigliava a sincero amore. Le brillavano gli occhi,
quando parlava di lei. L'aveva difesa con tale veemenza, quello
sgricciolo di fanciulla... e anche lui, si rese conto, era stato
lì lì per sottovalutare il Colonnello, per
crederla migliore di tutti gli altri.
Per ammirarla.
Bernard si fece torvo, lasciò stare il viso di Rosalie.
Tollerò le cure con stoica fermezza.
Quando il Dottore terminò le medicazioni e rimise Bernard
disteso, diede la sua diagnosi.
– Ci vorrà almeno un altro mese per guarire del
tutto. E anche se siete ormai fuori pericolo, dovrete attenervi
scrupolosamente alle mie istruzioni. La ferita resta comunque molto
seria.
Poi il Dottore si rivolse a Rosalie. – Occorre riposo
assoluto. Per calmare il dolore e permettere il sonno, dategli questo.
5 gocce al massimo, in base all’entità del dolore.
– E consegnò a Rosalie una boccettina. –
Questo invece è l’unguento per la medicazione.
– gliene porse un’altra. Lei esitò.
– Non preoccupatevi, tornerò io a controllare le
bende tra due giorni. Non sarà necessario che lo usiate voi.
Ma ve lo lascio comunque. Inoltre, vi stilerò un elenco
degli alimenti da somministrargli.
– Bene. – disse Rosalie.
– Arrivederci, Signore.
Bernard non rispose.
Rosalie
uscì con il Dottore dalla stanza. L’ultima cosa
che Bernard vide prima che la porta si chiudesse furono i suoi capelli
di miele, e uno scorcio del suo viso diafano, fisso in
un’espressione neutra.
_________________
Note.
- Come al solito, per le cure mediche del tempo ho preferito tenermi
sul vago, non avendone granché competenza. Per la menzione
all’uso del laudano, ho fatto un’ammiccatina al
magnifico “Gigante armato” di Pamina71.
- Prossimo aggiornamento tra due domeniche, as always. Grazie a chi
passa di qui, come sempre! Un bacione!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Sono uno di voi! ***
Bernard rimase solo
per tutto il
resto della mattinata.
Osservò le ore scorrere lungo il soffitto, e il sole farsi
un po’ più caldo man
mano che si avvicinava mezzogiorno. Dalla finestra entrava un raggio
che, pian
piano, percorse tutta la coperta che celava il suo corpo.
Misurò il tempo dal
volgersi di quel raggio.
A volte, quando la
stanchezza
prendeva il sopravvento,
chiudeva gli occhi per sonnecchiare. Poi si riaveva
all’improvviso e osservava con insistenza la porta e la
stanza intera, nella tacita speranza di non essere
solo.
Dopo la medicazione
di Lassonne, si
era sentito così
stordito da non percepire più niente; né la fame,
né la sete, né altri bisogni.
Pensava, in segreto. Pensava senza riposo.
All’ora di
pranzo, la porta
finalmente si aprì. Bernard si
volse di scatto.
Non era Rosalie. La
stazza generosa
di Madame Lucille si
parò nella cornice della porta, e si introdusse nella stanza
con fare allegro.
Portava un vassoio con un piatto di zuppa di carne e verdure, che dal
profumo e
dall’aspetto faceva invidia a un ristorante del Palais Royal.
– Ecco...
–
disse, sedendosi accanto al letto. – Ce la fate
a mangiare da solo?
Bernard si mise
faticosamente a
sedere, puntellandosi su un
braccio solo. Lucille si affrettò a mettergli dietro la
schiena il cuscino, in
modo da offrirgli un sedile più comodo. Bernard
tornò a rilassarsi, con un
lungo sospiro.
Provò a
portare da
sé il cucchiaio alla bocca, con molta
fatica. Mangiò, tutto sommato, di gusto, anche se
lentamente. Accompagnò gli
ultimi bocconi con del pane fresco che Madame Lucille gli
spezzò prontamente.
Il sollievo del cibo
fu immediato.
Meno, quello dello
spirito.
–
Dov’è… Madamigella Rosalie?
Lucille fece un gran
sorriso, poi
scosse la testa.
–
È andata al
mercato. È una ragazza così cara… dice
sempre
che mi affatico troppo anche per lei, così mi ha proposto di
darle il cambio e
di restare io a casa con voi, perché potessi riposarmi.
Anche se è arrivato tutto
questo bendidio, non è saggio chiudere ai clienti…
–
Voi… lavorate
al mercato?
–
Sì…
vendo fiori. Ho un panchetto...
–
Anche… anche
Rosalie?
– No, lei
cuce.
È giovane, ma è già molto brava. Ogni
tanto,
nonostante la crisi, riesce a vendere qualcosa… una camicia,
un paio di calzoni.
E questo ci aiuta a tenerci a galla… anche se le tasse sono
altissime, e così
il prezzo di ogni cosa. Per non parlare di stoffe e filo…
è sempre più
difficile per lei procurarsi del buon materiale. Ma con quello che
è arrivato
oggi qui, sono sicura tornerà con una bella spesa, e
potrà lavorare a nuovi
vestiti. Sui fiori, invece, non ci spero granché. I poveri
non comprano fiori…
vorrei avere un nuovo negozio, in una buona zona di Parigi, per
attirare
clienti migliori! Con i ricami di Rosalie e la mia esperienza, le
nostre
composizioni sarebbero degne perfino della casa di un nobile! Ha un
occhio
magico e un ottimo gusto, quella ragazza… ma
tant’è, verranno tempi migliori,
vogliamo sperare.
Madame Lucille
parlava a ruota
libera. Bernard la ascoltò
con attenzione crescente. Si figurò Rosalie alle prese con
fiori, clienti,
ricami, leggiadra e dolce come acqua di fonte.
–
Quando… quando
tornerà? – chiese, con voce spenta.
– Al
tramonto.
Bernard tacque.
Aveva un grandissimo
desiderio di rivederla.
Non meditava di chiederle scusa, non ancora. Ma gli pesava molto aver
ricevuto
proprio da lei parole dure, e quel sospeso lo rendeva triste e
frustrato.
Continuava a immaginarsela, vivida come un bocciolo tra i rovi, lei con
tutto
il suo mistero.
Rosalie non
tornò che a
sera, molto dopo il tramonto
invernale. Le sette erano suonate da un pezzo, quando Bernard
udì la voce della
ragazza venire dal corridoio, intrecciarsi a quella di Madame Lucille.
Sembrava
allegra e vivace, e questo lo sollevò molto. Presto, si
disse, lei sarebbe
comparsa alla porta. Lui le avrebbe parlato con gentilezza, avrebbe
cercato di
farle capire che non era arrabbiato con lei. Le avrebbe anche chiesto
come mai
nutrisse tanta fiducia in Oscar. C’erano troppe cose che
desiderava sapere, e
il riposo forzato (appesantito, non alleggerito, dalla logorrea
interminabile
di Madame Lucille) non aveva fatto che eccitarlo ancora di
più all’azione.
Ma Rosalie non venne
mai. Bernard
sentì ancora le due voci, sempre acute e ridenti, provenire
dalla stanza vicina; ma in quella
ilarità non fu
incluso. Dopo un poco, Madame Lucille tornò da lui in una
scena assai simile a
quella del pranzo. Lo aiutò in vario modo, gli
somministrò un pasto a base di
uova, carote e piselli, tastò la sua fronte e poi lo
riaccomodò tra le coperte.
Appena la donna fece
mostra di congedarsi, Bernard non trattenne più le domande.
–
Madamigella Rosalie
è a casa, vero?
–
Sì.
– Il
lavoro… ?
–
È andata bene,
oggi. Ha venduto cinque mazzi di fiori, e
comprato tre rotoli di stoffe nuove! Con queste, ha intenzione
di…
–
Dov’è, adesso? Sta riposando? –
tagliò corto Bernard, e
Madame Lucille lo guardò stranita.
– No! Si
è
già rimessa al lavoro.
–
Potreste…
–
Sì?
–
… ecco, dirle
che vorrei parlarle?
–
Certamente. –
disse Madame Lucille, sparecchiando. Uscì,
lasciando silenzio; Bernard tese l’orecchio per percepire,
dall’altra stanza,
l’eco delle voci delle due donne. Gli parve di cogliere un
sommesso brusìo.
Dopo pochi istanti, i passi tondi di Madame Lucille risuonarono fino
alla
porta. La donna si affacciò con viso spiacente.
–
Ecco… mi ha
detto che non può raggiungervi, è molto
occupata con il lavoro… è una cosa urgente?
Potete dire a me, se volete…
Bernard si
sentì come il
viandante zuppo d’acqua che si
ritrova, di colpo, picchettato di grandine. Solo una stanza li
separava, ma Rosalie aveva deciso di non cedere al suo invito; di non
vederlo.
–
Oh… no, non
è urgente. Non preoccupatevi. Volevo solo…
salutarla.
– Grazie,
riferirò. – disse Madame Lucille, sorridendo di
nuovo. – Se non avete bisogno d’altro, vi do la
buonanotte.
–
Buo…
buonanotte.
Nella notte, Bernard
dovette alzarsi.
A fatica, cauto per
non svegliare il dolore alla spalla, cercò
dell’acqua. La trovò sul proprio
comodino, se ne servì a tentoni. Guardò la
finestra, da cui filtrava ben poca
luce. Fuori, si udivano suoni lontani di cani che abbaiavano. Si
guardò
intorno, poi, gli occhi enormi nella penombra, e notò che la
porta
della stanza in cui si trovava era
socchiusa. Se ne accorse perché, nell’aria scura e
gelida del corridoio, era
possibile discernere una ferita di luce che proveniva dalla porta della
stanza
adiacente.
Quel segno di vita
lo
chiamò come una falena. Possibile che lei fosse ancora
sveglia...
Si mosse lentamente,
più
silenzioso che poté: tutta la casa
era immersa in una quiete profonda e orgogliosa, che gli parve
sacrilego
rovinare.
La porta della sua
stanza
cigolò, lui stesso trasalì e cercò
di tenerla a bada. Si aggrappò al muro e procedette fino
all’orlo dello
spiraglio luminoso.
Gettò uno
sguardo dentro
la porta socchiusa.
La vide di spalle.
Capelli color
miele, un abito di rosa
stinto. Era proprio Rosalie.
Bernard mosse la
porta con cautela,
riuscendo a non farla
cigolare. Si appoggiò allo stipite.
La ragazza si era
addormentata sul
lavoro. La candela era
rimasta accesa, continuando a consumarsi, ma lei giaceva in un riposo
sfinito,
appoggiata alle proprie braccia e al tavolo, con un vecchio scialle
scomposto
sulle spalle e i capelli. Dormiva profondamente, il corpicino sottile
che
ondeggiava fragile al suono del respiro. La bocca schiusa in
un’espressione
malinconica, gli occhi stretti. Sotto di lei e sulle sue ginocchia, un
lenzuolo
di lino cui aveva iniziato a fare l’orlo.
Bernard non fece
parola. La
osservò segretamente, mandando a
memoria l’ennesima novità del suo viso:
l’abbandono del sonno, la tenerezza
dell’essere scoperti e indifesi e inconsapevoli. Il modo in
cui portava i capelli, stretti alla base del collo, che era bianco e
sottile tra il nastro e il
colletto.
Quando
incrociò la candela che arrossava i riflessi dei capelli di
lei, Bernard si sentì come abbagliato. Strizzò
gli occhi e volse il capo, esitante. Allora scorse, in quella cucina
disadorna,
un angolo arredato da un giaciglio poverissimo, un lettino ottenuto con
della
paglia e disposto al livello del suolo. Fu una vista che lo
impressionò un
poco. Si figurò la fanciulla costretta alla durezza del
suolo, fiera e
dignitosa pur nella privazione. La immaginò, così
soave com’era nel sonno,
sdraiata e racchiusa in se stessa, gli occhi chiusi e la bocca nascosta
tra gli
abiti e le coperte.
Bernard era sempre
più confuso. Tese una mano
verso di lei, quasi
senza pensare. Non poteva lasciarla così, le avrebbe reso il
suo letto, perché
era chiaro, ormai, che il letto di cui lui aveva approfittato
appartenesse a
lei… e quei suoi capelli morbidi, quelle guance arrossate
dal freddo, quella
sua serena inconsapevolezza… desiderava toccarla e
scuoterla, guardarla negli
occhi, ringraziarla e spiegarle quanto si sentisse a disagio.
Che non
poteva
permettere che lei fosse così generosa con lui, donandogli
tutto il poco che aveva. Che
non avrebbe più
offeso la “sua” Oscar, se non le faceva piacere,
anche se, ostinato, restava dell’idea
che quella donna avesse traviato Rosalie.
Aveva bisogno di
dirle qualcosa,
qualunque cosa.
Ma proprio in quel
momento, Rosalie
si mosse nel sonno;
strinse le palpebre, si lamentò vaga e scosse le spalle.
Bernard saltò come un
grillo, e subito una piccola fitta alla spalla lo ammonì di
non fare movimenti bruschi. Cercò di
scivolare via dallo
stipite, reggendosi con una mano il punto dolorante. Uscì
appena in tempo, e si appostò dietro la porta della cucina.
Rosalie, in quel
momento,
sbadigliò piano. Bernard la sentì
muoversi in delicati fruscii. Sul soffitto della cucina vide danzare
ombre; la
ragazza si era alzata, si stava avvicinando al suo misero giaciglio.
Bernard immaginò la ragazza che si
sedeva e si rannicchiava sotto la coperta. Poi, un soffio
violento: Rosalie
spense la candela, e Bernard piombò nell’ombra
più nera.
Suonò
mezzanotte.
Bernard rimase per
qualche minuto in
silenzio, circondato
dall’ombra. Attese un tempo ragionevole perché
Rosalie potesse riaddormentarsi.
Poi, forse esasperato da quella giornata priva di parole, forse
spaventato da
quello che sentì di provare, andò a cercare il
suo mantello. In un tempo lento,
lentissimo, percorse il buio e arrivò all’atrio.
Aprì la porta. Fuori c’era la
notte sua alleata, uno spicchio di luna e la coscienza della
libertà. Vi si abbandonò.
Il suo piano prese
forma proprio
mentre il freddo lo
aggrediva con mani implacabili. Il quartiere del Tempio non era troppo
lontano
dal convento dei Carmelitani. Lì avrebbe potuto chiedere
ospitalità e aiuto per
raggiungere, presso Rue Saint-Honoré, il convento di San
Giacomo. E una volta
arrivato laggiù, avrebbe potuto chiedere di vedere
Robespierre. Avrebbe mandato
un avviso a Rosalie il giorno dopo, quando tutto questo si sarebbe
compiuto.
Sì, era l’idea migliore.
Camminava
appoggiandosi alle pareti
delle case, con passo
lento ma fermo. Il suo cuore bruciava, preso da un ardore di cui non
sapeva
riconoscere tutti i segni. Sapeva soltanto che doveva fuggire da quella
casa e
non approfittare più di alcuna ospitalità,
ritrovare i suoi compagni e
riprendere la missione per cui tanto aveva lottato. Avrebbe cercato di
rispettare i patti con Oscar, perché era un uomo di parola.
Ma avrebbe
ricominciato da capo con un altro nome, un’altra apparenza.
Non poteva
permettere più che Rosalie, o qualunque altra fanciulla,
vivesse in simili
condizioni, che ci vivessero i bambini, e i vecchi, le madri di
famiglia e tutti gli uomini
che
trascorrevano il giorno impiegati in lavori durissimi. Non poteva
restare
insensibile al grido di dolore dei Francesi, non ci riusciva.
L’anima gli
sanguinava di pietà.
Finalmente
sbucò in Rue du
Temple. Continuò la sua ostinata
passeggiata, sempre rasente i muri, lo sguardo a terra, perso nei
propri
pensieri. Allora udì delle voci sparse. Alzò il
capo per
localizzarne l’origine. Un gruppo di persone si era riunito
in fondo alla strada, parandosi lungo il
suo
percorso. Erano cittadini di Parigi, a occhio e croce una ventina.
Avevano con loro
torce,
forconi, bastoni.
Uno di quegli uomini
lo
notò prima degli altri.
– Arriva
qualcuno!
Bernard si
fermò,
impietrito.
–
È un nobile?
– sentì chiedere.
– Non ha
galoppini
né carrozza… forse si è
perso… –
risposero altri.
– No!,
–
gridò Bernard, mentre la folla si avvicinava,
compatta nel suo unisono che pareva farsi minaccioso – non
sono un nobile!
Un attimo, e la
miccia fu innescata.
– Lui dice
così… ma guardate com’è
vestito pulito…
– Che
c’è, bello, sei uscito da un festino?
–
Barcolla! Sarà
ubriaco…
Bernard
indietreggiò.
– Sono uno di voi… lasciatemi passare,
vi prego!
Non
c’erano preghiere da
fare, però. La folla l’aveva
puntato.
– Dacci i
tuoi soldi,
amico, subito…
– Anche se
non sei un
nobile, sei più vestito di noi…
– Abbiamo
freddo, maledizione! Maledetti nobili e ricchi!
– Il
mantello è
mio! È per mio figlio!
– Io
voglio la sua camicia!
– Guardate
che begli
stivali ha!
–
Prendiamolo.
Bernard si
trovò braccato,
così dal nulla. I popolani lo
incalzarono senza fretta, come una squadra di gatti che accerchia un
topo. Lui
correva come poteva: poco tempo prima sarebbe stato capace di ben
altro,
saltare sui tetti, scattare via come una scheggia, ma non gli era
possibile,
nelle sue condizioni. E loro erano sempre dietro, lentamente,
costantemente. Li
sentiva ridere alle sue spalle. Si voltò a controllare
quanto fossero vicini. Vide
il delirio di quei visi bagnati dalla luce delle fiamme, la loro folle
sicurezza di poterlo prendere, giocando con lui fino a distruggerlo.
– SONO UNO
DI VOI!
– lanciò di nuovo, muovendosi a scatti,
agitando il pugno: così facendo, però, li
eccitò come mosconi all’odore del
sangue. Uno di loro lanciò una sassata, che lo
colpì in piena fronte, vicino
alla tempia sinistra.
La voce gli si
spezzò in
gola. Sentì un rivolo caldo
scendere giù dalla tempia, sporcargli il viso, inzuppargli
il mantello. Tamponò
la ferita con una mano. Un liquido appiccicoso gli macchiò
il palmo e gli
raggiunse le labbra, col suo sapore ferroso. Bernard riprese a correre,
atterrito. Si gettò, claudicante, nel vicolo da cui era
uscito prima, e
continuò a dire, tra un rantolo e un altro, – Sono
uno… di voi… uno… di voi, DI VOI,
dannazione!
Sperò che
la folla non si
avventurasse nei vicoli stretti.
Ma la caccia all’uomo era appena iniziata. Alcuni gli
andarono dietro, sempre crudelmente
calmi, sempre inesorabili. Altri si mossero per intercettarlo
dall’altra parte dell’isolato.
Bernard voltò un altro angolo, li perse di vista. Li sentiva
però, disciplinati
nella loro furia contenuta, come la preda sente sul collo il respiro
del
predatore.
Il terrore, il buio
lo accecarono.
Inciampò, cadde, la terra
gli sbatté addosso, gridò: dalla spalla venne una
fitta atroce, umida come il
sangue che gli stava ubriacando i sensi.
Non era credente, e
avrebbe invocato
Dio solo per maledirlo.
Il dolore gli impediva però di gridare, pure di pensare. Si
sentì perduto.
A un tratto, un
corpo caldo e sottile
lo avvolse. Un
sussurro: qualcuno lo chiamava, lo scuoteva febbrile.
–
Monsieur
Bernard! Dio mio… Monsieur Bernard!
Una voce soave, anche nel pericolo...
Rosalie fece
più in fretta
che poté, bianca di paura a sua
volta. Si passò un braccio di Bernard attorno alle spalle,
lo assicurò al
proprio abbraccio. Lo supplicò di alzarsi, di fare in
fretta. Bernard annuì
confuso, si issò in piedi allacciato a lei. Barcollava, ma
Rosalie lo resse
saldamente. Lo condusse tra i vicoli, ansimando insieme a lui,
trasalendo a
ogni gemito di dolore che veniva da lui.
– Ci
siamo! Un piccolo
sforzo ancora! Coraggio! Coraggio!
Erano ansiti
concitati, quelli di
Rosalie, mentre le voci di
quegli uomini si assottigliavano in echi che, sebbene sembrassero
allontanarsi,
a volte arrivavano ancora, come gli ultimi tuoni di un nubifragio.
La porta di casa
apparve come la
soglia del paradiso.
Vi si tuffarono
dentro. Rosalie
chiuse di scatto abbassando
la sbarra, un suono secco. Poi un silenzio attonito, un sospiro
profondo.
Bernard si lasciò cadere a terra, reggendosi la spalla con
una mano, stordito
dal dolore, scosso da singhiozzi improvvisi e sfrenati. Rosalie cadde
in
ginocchio accanto a lui, ansante.
–
Sono… uno di
loro… allora perché…
perché… – mormorò
Bernard, ferito nel corpo e nello spirito. Tremava come se delirasse.
Rosalie gli si
avvicinò al
buio. Tese lenta le braccia,
cercandolo. Lo trovò, lo avvolse con cauta delicatezza.
– Va tutto
bene…
tutto bene… siamo salvi… –
mormorò, il
piccolo corpo teso e fremente, spavento e sollievo insieme. Bernard
aveva in
bocca e al naso il sentore del sangue, ma il calore della fanciulla lo
raggiunse con fragranza di zefiro.
Di scatto, lui
l’abbracciò più forte, quasi disperato.
Era
bisognoso di quel calore, come un magnete cerca il ferro. Era
impreparato a quel
bisogno, aveva cercato di fuggirlo, di spegnerlo; ma quando si
trovò tra le
braccia di Rosalie, sentì di nuovo il cuore infiammarsi, le
lacrime premere al
confine degli occhi; e finalmente si abbandonò alla
dolcezza, pianse, pianse
bene e a lungo, e liberò sul petto della fanciulla tutta la
sua fragilità, la
sua pietà, la sua paura.
_________________
Note.
- Eccomi, lievemente in anticipo (sul
ritardo,
uahahahahahah!) perché domani sarò un
po’ incasinè! Grazie a chi mi ha
aspettato per questa storiellina!
- Cercavo un lavoro da far fare a
Madame Lucille, mi è
venuta l'ideuzza che avete letto e ho chiesto come sempre supporto a
Santa Madame Anna. Dunque ho avuto
conferma che le nostre due donnine tra fiori e ricami se la
cavicchiavano, ma la situazione non era affatto rosea. Certi giorno
solo minestra senza niente, come ben sappiamo.
In ogni caso, finalmente un certo monumento è in
preparazione! Come potete
vedere ci sono ancora le
impalcature e lo stanno ultimando, ma eccolo:
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** È solo il vostro sangue ***
– Ah!
– scattò Bernard, appena l’unguento gli
toccò la
ferita.
–
Oddio… perdonatemi. Vi faccio male? – La voce di
Rosalie
seguì di rimando, un sussurro preoccupato.
Bernard strinse i
denti. – No… no.
– Ancora
un poco di pazienza… ho quasi finito.
Bernard chiuse gli
occhi. Rosalie continuò a medicarlo alla
spalla, così come aveva visto fare al dottor Lassonne la
mattina stessa. Dopo
la corsa tra i vicoli e la caduta, la ferita del giovane si era
riaperta, e la
ragazza aveva pensato bene di porre subito rimedio, perché
Lassonne sarebbe
tornato solo dopo due giorni.
Bernard
scoprì, così, che al mattino lei era stata ben
vigile, al contrario di quanto aveva creduto; aveva assistito alla sua
medicazione
con silenziosa diligenza, mandando a mente tutto ciò che
doveva essere fatto.
Quasi si aspettasse da lui colpi di testa come quello che aveva appena
compiuto. Anche quand’era stata in collera con lui, lei gli
era rimasta vicina…
E anche in quel
momento era lì, seduta sul bordo del letto
accanto a lui; percorreva con le sue piccole mani il contorno della
ferita di
Bernard, usando l’unguento lasciatole dal dottore. Era stato
quello a fargli
male, perché il tocco di lei, di per sé, era come
un soffio di piuma.
Bernard non sapeva
come intendere quella delicatezza. Un
segno di cura e attenzione per non aggravare il suo dolore
fisico… o timidezza?
Bernard non poteva saperlo. Se la fanciulla in quel momento avesse
pudore per
quanto stava facendo (lui si era denudato il torace, per forza di
cose), e se
il viso di lei fosse arrossato d’imbarazzo, lui non poteva
vederlo perché stava
chino sul petto, chiuso in se stesso e stordito di freddo, emozioni e
stupore;
era timido più di lei, forse, dopo tutto quello che era
accaduto quella notte.
–
Perché… siete fuggito? – le
sentì chiedere, dopo un lungo
silenzio.
Bernard accolse
quella voce con un piccolo sorriso. Parlò
senza troppe riflessioni, con un velo di amarezza in cuore. –
... perché ho
tante cose da portare avanti. Non posso fermarmi.
–
… se quegli uomini vi avessero raggiunto, – e
sulla voce
di Rosalie pesò un poco di rimprovero – come
avreste portato avanti queste
vostre cose?
Bernard decise di
non rispondere a quelle parole. Disse,
piuttosto: – … finora vi ho dato solo disagi. E
continuo a darvene.
–
L’unico vero disagio che mi avete dato è stato
quello di
stanotte. Quando ho sentito la porta aprirsi… e poi vi ho
trovato nel vicolo,
così ferito, io…
Rosalie tacque di
colpo. Bernard attese un poco, poi,
vedendo che lei non parlava:
–
… voi… cosa?
–
… lo farete ancora? Fuggirete e rischierete la vita?
Bernard trattenne un
attimo respiro e parole. Poi, lento,
ancora timido, chiese a fil di voce:
–
… temete per me?
Rosalie pure
esitò, e le sue mani si fermarono un attimo. Poi
rispose:
–
… se l’uomo che mi ha affidato Madamigella Oscar
fosse… se
gli fosse accaduto qualcosa, come avrei potuto perdonarmelo? Certo che
temo per
voi.
Bernard contenne la
delusione in un sospiro impercettibile. –
È vero… voi avete una responsabilità
con… Oscar.
Frattanto, Rosalie
aveva quasi concluso la medicazione. La
ragazza tenne lo sguardo basso, fisso sul proprio compito, mentre
fasciava
saldamente il petto e la spalla di Bernard. Lui la lasciò
fare, l’aiutò
spostando il braccio come il dolore gli permetteva. Sbirciò
ogni suo movimento,
e ogni volta che lei compariva al suo fianco seguendo
l’avvolgersi delle bende,
la osservava dritta in viso, anche sfuggente com’era.
Contemplò i suoi occhi
grandi, le sue guance che gli parvero, in quella penombra, rosse e
accese, la
sua piccola bocca disegnata a cuore, stretta in
un’espressione neutra e
concentrata.
Finito di fasciarlo,
Rosalie lo aiutò a vestire la camicia.
Anche in quel momento, di tanto in tanto lui poteva cogliere su di
sé il tocco
rapido delle mani di lei, che appena lo sfioravano, già
fuggivano come passeri.
Tuttavia, Bernard non si sentì rifiutato e respinto da
quelle minuscole fughe.
Al contrario.
La barriera tra di
loro era crollata. Quando, poco prima,
erano riusciti a guadagnare il riparo della casa, si erano abbracciati.
Nell’atrio,
lei l’aveva cullato e consolato, l’aveva accolto
delicatamente al seno con
quella sua forza gracile e commovente. E pure in quel momento, mentre
lei lo
curava e stava a discreta distanza, anche se cercavano di dimenticare
quella
stretta disperata cui si erano abbandonati, Bernard aveva fame di
scoprire
Rosalie in ogni scorcio ed espressione, di decifrare il blu dei suoi
occhi –
così grandi, così profondi –, di sapere
cosa lei provasse, sempre, in ogni
istante. Di continuare a rimanerle vicino, così vicino da
sentire il suo
profumo.
Come se avesse udito
i suoi pensieri, Rosalie alzò prima il
mento e il viso, solo alla fine lo sguardo. Proprio quegli occhi blu,
grandi e
profondi, si fermarono in quelli del giovane. Bernard si
sentì investito da
quella stessa luce calda che lei spandeva ovunque, e se ne fece rapire.
Sorrise
inconsapevolmente: il viso di lei, così vicino, gli dava
agio di guardare ogni
dettaglio. Così si accorse che, lungo il collo e sugli abiti
di Rosalie, la sua
pelle e la stoffa erano sporcate da una macchia porpora, che
già si seccava in
marrone.
Sgranò
gli occhi, si allarmò. – Siete ferita… !
–
È solo il vostro sangue. – sussurrò
Rosalie, distogliendo,
schiva, gli occhi da quelli del giovane. Fissò piuttosto la
propria attenzione
alla ferita fresca che lui aveva a un angolo della fronte; aveva smesso
di
sanguinare, ma metà del volto di Bernard era cosparso da una
poltiglia rappresa
e appiccicosa, dal sapore di ferro e polvere.
–
È stata… una pietra. –
ricordò lui, capendo il senso di
quell’occhiata.
Rosalie intinse nel
catino una pezza pulita. La bagnò e la
strizzò con energia. Mani piccole, pensò Bernard,
ma così capaci di decisione o
di discrezione, a seconda del bisogno.
– Vi
pulisco il viso… – spiegò lei, e mosse
la mano
sinistra. Sfiorò il mento di Bernard e si ritrasse di nuovo,
con quel suo
piccolo istinto di passero. Lui si chinò per aiutarla, per
incoraggiare quel
contatto. Rosalie gli tenne il viso in punta di dita (dita fresche,
gentilissime) e Bernard sentì presto il refrigerio
dell’acqua sulla guancia. Chiuse
gli occhi per un poco, godendosi quella delicatezza.
Il panno faceva un
piccolo attrito con la peluria leggera
che gli stava crescendo sotto gli zigomi, troppo rada per appartenere a
un
uomo, ma già evidente, segno che il ragazzo Bernard non
esisteva più.
Bernard si riscosse
solo un attimo, quando sentì il panno
sfiorargli la ferita. Anche Rosalie sussultò, e lui
aprì subito gli occhi.
Godette dello sguardo turbato di lei, della visione delle sue labbra
socchiuse
per l’incertezza.
– Non mi
fate male. – la rassicurò. –
È stato solo un
attimo.
Rosalie risolse il
dubbio in un sorriso. Era quello che
Bernard aspettava: il suo sorriso gentile e caldo, con altra luce ad
aggiungersi al brillare dei suoi occhi. Si arrese al piacere di quella
vista,
indugiò lungo la soglia dello stupore, grato come il suolo
è grato alla pioggia
autunnale. Le parlò ancora, sollevato, un poco impacciato.
– Il
destino… gioca strani scherzi. Proprio io, soccombere
al Popolo… è… quasi comico.
– Se
avessero saputo chi siete… non vi avrebbero mai fatto
questo.
– Lo so.
Non è loro, la colpa.
La ragazza tacque,
negli occhi un velo di malinconia. Dopo
qualche istante, Bernard tornò serio.
–
Rosalie… – la chiamò per nome.
– … vi prego… ditemi chi è
Oscar per voi.
“Chi
è Oscar per voi”, le disse proprio
così. Non aveva
ragionato sulle parole da usare, ma così uscirono, istintive
e per questo
sagge.
Colse nel segno.
Rosalie tornò a lui immediatamente,
sgranando un poco gli occhi. E diventò seria, solenne, e il
viso diafano le si
colorò di un rossore nuovo e vivace, e la bocca rise come
per Bernard non aveva
ancora mai fatto.
–
È la persona cui devo tutto. – gli
spiegò, appunto seria e
solenne, e aggiunse, gli occhi pieni di stelle: – La persona
che amo di più al
mondo… da quando sono morte la mamma… e mia
sorella.
Bernard
percepì nel proprio cuore una fitta indistinta, una
sferzata di un sentimento incomprensibile, l’ennesimo che
arrivò ad abitare il
suo animo in quei giorni. Si stava popolando di ospiti sconosciuti,
Bernard, di
sensazioni del tutto nuove. Non le capiva, non sapeva gestirle. Non
poteva,
così, nemmeno esprimerle.
– Capisco.
– disse soltanto.
Rosalie gli
fasciò il capo, per dare conforto anche alla
ferita della fronte. La ragazza sembrava aver tratto dalle proprie
stesse
parole per Oscar un’energia nuova, euforica.
Raddoppiò le attenzioni su
Bernard, ma, nel toccarlo, non si ritrasse più, non
tremò di timidezza. Lo
maneggiò con sapiente distacco da infermiera. Lo
accomodò tra le coperte come
si fa con un bambino malato, e a lui sembrò così
distante a quel punto, così
ricompresa nella propria serena, lontana cortesia.
Lui, al contrario,
non poté accomodare il cuore come lei gli
rimboccava il letto.
Un attimo prima che
lei si scostasse dal suo giaciglio,
Bernard cercò la mano di Rosalie,
l’afferrò.
Lei
sussultò, smise di essere lontana. Lo guardò con
sorpresa
e una nota d’allarme.
– Non
fuggirò più. – le disse, lo sguardo
grave e la bocca
serrata in una promessa.
Rosalie si
rilassò, addolcì il sorriso. – Ne sono
felice.
– Ti devo
la vita, Rosalie.
– Forse la
dovete a Madamigella Oscar, ma a me...
–
… la devo a entrambe voi.
Rosalie si
schermì. – … perché parlate
sempre di debiti e di
crediti, Monsieur Bernard? – Poi, con un sorriso sicuro,
aggiunse: – Un uomo
come voi, che ha dato tanto alla povera gente, dovrebbe conoscere il
valore di
un dono.
Bernard, rapito,
sentì che lei gli stringeva la mano a sua
volta, la vide chinarsi verso di lui. Per un attimo il suo cuore
volò, pur
indebolito da tante emozioni e prove fisiche; si perse negli occhi
caldi e
dolci di lei. Poi lei sussurrò, proprio come si fa con i
bambini, il suo
profumo vicino al viso smarrito del giovane:
–
Riposate. Dovete essere molto, molto stanco. Io sarò nella
stanza vicina.
Rosalie sciolse
delicatamente la presa delle loro mani,
allontanandosi gentile, radiosa, come se non provasse la stessa
stanchezza.
Poi, uscì senza chiudere la porta.
Bernard fu commosso
fino alla radice del cuore. Pianse
ancora un poco, con una dolcezza impensabile, con le labbra chiuse e
asperse di
sale. Furono solo poche gocce amorose agli occhi, l’ultima
pulizia alla ferita
dell’anima. Il sonno lo raccolse, allora, in un abbraccio
morbido e geloso.
Bernard
riposò davvero, quella notte.
Da quel momento i
giorni si distesero, e nella piccola casa
del quartiere del Tempio, una delle tante, l’unica che
portava un fazzoletto
rosso alla maniglia, la serenità ebbe una terza anima.
Rosalie non era mai
stata persona buia, e nemmeno Madame Lucille. Sebbene non le legasse
alcun
legame di sangue, sembravano allegramente zia e nipote. Bernard le
osservava
spesso senza intervenire, ma risentiva profondamente
dell’aria di armonia che
regnava in casa; specie dopo i doni di Oscar, sciolta
l’immediata
preoccupazione di cibo e indumenti per proteggersi dal freddo, le due
donne si
diedero a una euforica letizia, e i giorni di pace si susseguirono
costanti.
Lassonne tornava
regolarmente. Come previsto, ci volle un
mese intero perché Bernard recuperasse le forze in modo
convincente; ma il
riposo forzato non lo indispettì più. Spesso, di
giorno, Madame Lucille andava
al mercato, come di consueto. Erano i momenti che lui preferiva.
Rosalie veniva nella
sua stanza, portandosi del lavoro, e si
facevano reciproca compagnia. Loro due, soli.
Presto, Bernard
venne a capo del grande mistero di Oscar e Rosalie.
La ragazza gli raccontò cos’era accaduto anni
prima, quando lui l’aveva
accompagnata al cimitero per l’ultimo saluto alla madre, e
l’aveva persa di
vista.
– Ero
ossessionata dalla ricerca della donna della carrozza,
– raccontò lei, e Bernard seduto sul letto,
attento, – e così andai lungo la
strada per Versailles. Cercavo la Reggia… e quando vidi un
palazzo… io non
avevo mai visto un palazzo di nobili, prima di allora!, pensai che
fosse
quello. Invece era la casa di Madamigella Oscar. Scavalcai il
muro…
E qui Rosalie si
tacque, lo sguardo lontano e nostalgico.
–
Tu… scavalcare il muro? – chiese Bernard sorpreso,
e si
figurò la dimora dei Jarjayes.
–
… sì, perché fate quella faccia?
– rise lei.
–
Be’… non immaginavo che tu…
ecco… ma non volevo dire che…
insomma. – farfugliò lui, imbarazzato. –
E poi… ?
Rosalie riprese il
tono trasognato di prima. – … e poi
arrivò una carrozza. Io mi ero nascosta nel
giardino… ed ero così fuori di me…
–
prese a sussurrare – … così disperata
che… credo di aver perso del tutto la
testa. Vidi scendere una donna bionda, con un vestito a
fiori… e credetti
fosse… colei che cercavo.
C’erano
punti di incertezza, nel racconto della ragazza.
Attimi in cui lo sguardo di lei si incupiva, percorso da emozioni
contrastanti.
Bernard restava ad ascoltare, affamato di dettagli, un po’
perché giornalista,
un po’ perché continuava a subire il mistero della
natura di Rosalie. Lo
affascinava scoprire in lei la furia e l’orgoglio, e vederli
poi sfumare nella
consueta dolcezza. Quella fanciulla era una creatura così
viva che
semplicemente osservarla era per lui fonte di stupore costante, di
gioia vera e
propria. Era come vedere, in Rosalie, un ideale realizzato, una
creatura di
viva perfezione. Non trovava mai nulla, in lei, che non gli piacesse; e
anche
se lei tratteneva gli artigli come fanno i gatti, non aveva mai sentore
di una
creatura da cui guardarsi. Anzi, percepiva l’ardore
sottinteso della ragazza,
la virtù, il coraggio. E sentiva di apprezzare queste cose
come si ama il sole
o il vento: qualcosa di innato, inspiegabile, connaturato
all’essere umano.
–
… e non era lei, naturalmente. – disse infine
Bernard,
ansioso di conoscere la continuazione.
Rosalie
alzò lo sguardo su di lui, poi annuì
solennemente. –
No, infatti. Era la madre di Madamigella Oscar.
– Oh. E
cosa accadde?
Rosalie
tornò seria e pensierosa. Sembrava valutare se
parlare o meno.
–
… puoi fidarti di me, Rosalie. – disse Bernard,
incoraggiante. Poi, però, abbassò lo sguardo.
– Ma… se non vuoi dirlo…
Lei scosse il capo.
– È che… mi vergogno ancora tanto.
È
stata un’azione così sciocca…
– la ragazza osservò attentamente il volto di
Bernard. Lui la stava ascoltando, discreto e partecipe, e alla fine lei
si
risolse. – L’ho assalita, Monsieur Bernard.
– disse in un fiato. – Volevo
ucciderla. Mi fermò Madamigella Oscar.
Bernard
spalancò gli occhi e la bocca. Andò con la
memoria
al giorno in cui aveva visto Rosalie piangere sua madre. Ai suoi occhi
di
ghiaccio, duri di determinazione. Era poco più di una
bambina, e si era
allontanata da lui senza ascoltarlo, senza accettare il suo aiuto. Ne
scopriva
il motivo, dunque. Ardeva dal desiderio di vendetta…
Lei chinò
il capo, distolse subito lo sguardo. Si affrettò a
scusarsi. – So che è terribile… e non
è stata l’unica volta che ho agito senza
pensare. Ho desiderato cose… veramente orribili. Non ne sono
orgogliosa…
–
E… Oscar?
– Oh,
lei… lei era arrabbiata, ma poi… mi ha portato in
casa. Lei e André mi hanno chiesto cosa mi fosse successo.
Raccontai tutto…
pensai che mi avrebbero fatta frustare, se fosse andata
bene… altrimenti… non
so. Piangevo, e non sapevo più cosa fare. Non
c’era niente al mondo che fosse
rimasto in piedi, per me. Avevo perduto tutto. Ogni persona che
amavo… ogni
desiderio di vivere.
Rosalie
guardò il cielo e il tetto vicino, dalla finestra.
Era mezzogiorno, e il sole scaldava. Lei aveva gli occhi umidi come
stelle,
come se stesse per piangere, la voce incrinata in un sussurro tremante.
– E
lei… lei mi mise una mano su una spalla… e mi
disse che…
se volevo… se volevo io… io potevo rimanere con
lei. Se non avevo nessuno al
mondo, io potevo… vivere in quella casa con lei. Avrei avuto
la possibilità di
entrare a Corte… avrei potuto cercare l’assassina
di mia madre, io… – Rosalie
piangeva e rideva insieme, senza sapersi trattenere. Bernard, zitto,
pendeva
dalle sue labbra, diviso tra consolarla e ascoltare ancora. Poi lei
proruppe in
luce piena.
– E
io… io le dissi di sì!
Bernard rimase
profondamente impressionato. Contemplava la
felicità genuina di Rosalie e si chiedeva se in vita sua
avesse mai sentito il
cuore traboccare in quel modo. Pensò ai giorni ombrosi della
sua infanzia, a
sua madre che sfioriva nel disprezzo altrui, a suo padre assente e
ingrato. E
perfino in quei giorni in cui seguiva Monsieur Robespierre,
l’uomo che gli
aveva dato scopo, direzione, e un’idea chiara di cosa andasse
perseguito in
quel mondo ingiusto, Bernard non poteva dire d’aver provato
una gioia tanto
intensa quanto quella che si irradiava dal viso di Rosalie. Si sentiva
un po’
triste di questo, ma non quanto avrebbe pensato. Si permise per Oscar
pensieri
più tiepidi. Chinò il capo e…
– Ora
capisco molte cose. – disse semplicemente.– Ora so
perché non sei più tornata a casa. Ti ho cercata,
sai, i giorni dopo l’incidente.
Le tue vicine di casa… forse una era proprio Madame
Lucille... mi hanno detto
di non averti più vista.
Rosalie
tornò a lui, gli occhi ancora umidi,
meravigliosamente accesi, come le guance.
–
Perdonatemi. Non credevo mi avreste cercata. Però ho
ricordato
sempre il vostro nome… e la vostra generosità.
– Una
generosità inutile, perché hai trovato molto di
meglio
di qualunque cosa io avrei potuto offrirti. – ammise lui con
voce malinconica,
in un modo che a Rosalie parve dolente, e che le pesò.
Tant’è che si affrettò a
dirgli:
– Oh, no:
voi mi avete dato tanta forza…
–
… ma come mai adesso vivi qui? Perché non sei
rimasta con
Oscar?
Rosalie
esitò, poi sorrise. – Il mio posto è
qui.
Bernard
sentì il cuore scaldarsi. – Qui?
– Qui, tra
la povera gente.
–
Preferisci questo posto agli agi di un palazzo? – le chiese,
ma le credeva già.
– Ho visto
Versailles, sapete. Ho conosciuto i nobili.
–
… davvero?
–
Madamigella Oscar e la sua famiglia… sono veramente pochi
i nobili come loro. Il resto… il resto…
Non
c’è bisogno di dire quanto queste parole, su
tutte,
infiammarono Bernard.
– Ti
prometto che i tempi cambieranno, Rosalie. – disse, e
gli occhi gli brillarono. – Verrà un giorno
migliore per tutti noi. La gente
vivrà nella gioia. Non saremo più sottomessi e
schiavi.
Rosalie lo
ascoltò a sua volta, il viso che tornava chiaro e
luminoso. – È credendo in questo… che
avete deciso di essere il Cavaliere Nero.
Non è vero?
–
Sì, Rosalie. Tutti noi… tutti noi abbiamo il
diritto
naturale di essere felici.
Rosalie lo stava
fissando. Bernard le sorrise intensamente,
l’animo innescato a una sicurezza sfacciata, che non capiva
da dove venisse.
Era ferito, vincolato a una promessa, ricercato: ma non era finito, per
lui, il
tempo di sperare sinceramente.
– Ecco
perché Madamigella Oscar mi ha parlato tanto bene di
voi… – sussurrò la fanciulla,
timidamente.
– Oh, mi
stupisce che l’abbia fatto. Come mi stupisce che mi
abbia lasciato andare… e tutto quello che mi hai
raccontato… su di te.
Rosalie
annuì con dolcezza. – Anche io stentavo a credere
che esistesse una persona simile. I primi tempi a palazzo Jarjayes mi
dicevo
che prima o poi avrei scontato quella fortuna, in qualche modo. Ma no,
non è
mai successo. Madamigella Oscar mi ha insegnato il francese, la storia,
la
geografia, la matematica. Mi ha insegnato la spada, un pochino di
pianoforte…
– Un
momento… la spada? – Bernard era sbigottito.
–
Certamente… perché potessi vendicarmi…
e diventassi più
forte.
Le sorprese, per
Bernard, continuavano. Aveva un cuore
ostinato e una mente ribelle, ma nei giorni successivi, a furia di
sentir
parlare di Oscar in luce così positiva, sarebbe arrivato
addirittura a provare
rammarico di non averla conosciuta meglio, passando in quella sua casa
elegante
e nobile qualche giorno in più. E approvava davvero quello
che stava sentendo:
al posto di Oscar, forse, avrebbe voluto pure insegnare a Rosalie la
spada,
come difendersi… e come vendicarsi.
La vendetta,
già. Neppure una creatura pura come Rosalie ne
era immune, dunque.
– Vuoi
ancora vendicarti? – le chiese, già credendo di
infiammarla ancora.
– No.
– disse invece lei, secca, dura come la spina di una
rosa. Anche questo, però, parve giusto a Bernard; adatto a
lei, detto in quel
modo, con quella forza. Quell’incantevole forza.
–
… perché? – le chiese, dopo aver
riflettuto in silenzio.
–
… perché non voglio che l’odio per lei
mi distrugga. –
sussurrò la ragazza.
Bernard
chinò lo sguardo al lavoro che le mani piccole di
lei stavano intessendo. Abili, veloci, erano mani capaci di costruire,
non di
distruggere.
–
… Monsieur Bernard? – chiamò a un
tratto la ragazza, e il
giovane si riscosse.
–
Sì… Rosalie?
– Se avete
bisogno di avvisare quei vostri amici… posso comprare
della carta e dell’inchiostro. E consegnare per voi quello
che vorrete scrivere
loro.
Bernard si
trovò subito allettato dalla proposta della
ragazza. Aveva bisogno di parlare con Robespierre, era assolutamente
vero, e
anche con Louis Saint-Just. Ma aveva rifiutato l’idea di
usare terze persone,
specie Rosalie.
– Non
è necessario. – disse, senza guardarla.
– Appena
guarirò del tutto, li raggiungerò.
–
… devono essere preoccupati.
–
Può darsi. – disse, ma immaginò che lo
avessero dato per
disperso.
– E il
lavoro al giornale? Il vostro capo vi starà cercando.
Bernard non rispose,
ma era chiaro che fosse d’accordo con
Rosalie. Si stava crogiolando nel riposo, che sciocco!, quando
c’erano così
tante cose in sospeso.
– Non
è un problema, per me. Davvero. –
assicurò Rosalie. –
Vi aiuterò io. Dove vi aspettano?
Bernard non seppe se
rivelare la verità. C’era il rischio di
compromettere Rosalie, a coinvolgerla nei giri dei ribelli. Non poteva
farlo.
Ma era necessario che Robespierre e Desmoulins, e anche Saint-Just,
sapessero
che era vivo e stava bene. Certo erano, in quel momento, terribilmente
preoccupati.
D’un
tratto, Rosalie posò una mano su quella del giovane. Bernard
trasalì.
– Posso
farlo davvero. Sono io che ve lo chiedo. Nessun
disturbo!
___________
Note.
- Be',
questa settimana "Rivoluzione" è saltata, ma almeno
c'è il premio di consolazione! Mi sono infatti resa conto
che molti lettori mi seguono su due fronti... e allora, visto che
questo capitolo era pronto, perché non postarlo? In questo
modo le pubblicazioni sono invertite: oggi "Cavaliere Nero", e tra una
settimana ce la dovremmo fare con "Rivoluzione"!
Grazie
dunque a chi apprezzerà questo cambio di programma, e un
abbraccio strizzosissimo a chi mi segue... soprattutto tre donnine
pranzerecce!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Io credo nella vita ***
– Monsieur
Robespierre è un uomo alto, dal viso severo.
Indossa una parrucca, di solito. Vero?
Bernard si
stupì molto di scoprire che Rosalie aveva
perfettamente in mente la fisionomia di Robespierre.
– Quando
l’hai incontrato? – le chiese.
–
L’ho visto da lontano, al processo di… di Jeanne.
E
Madamigella Oscar mi ha detto il suo nome.
Bernard, dopo diversi giorni di permanenza in casa con
Rosalie, sapeva ormai tutto anche dei rapporti della ragazza con la
defunta
Jeanne Valois de la Motte. Ennesima sorpresa, ennesimo compiacimento:
ma per
rispetto della tristezza di Rosalie, non si dilungò molto a
discutere della
donna che era stata capace, con un intrigo non si sa bene quanto reale,
di
gettare discredito sulla Famiglia Reale e sulla Regina in modo
particolare. Il
processo per l’Affare della Collana aveva aiutato moltissimo
la propaganda
antimonarchica, e anzi, aveva fornito a Bernard proprio il giusto clima
e la
giusta determinazione per cominciare le sue scorrerie come Cavaliere
Nero. Si
ricordava ancora, lui, il giorno successivo alla condanna della
Contessa de La
Motte: l’indignazione, la rabbia cieca verso i nobili che
dilapidavano i loro
beni. La decisione di cambiare ogni cosa, a partire dalle fondamenta, e
ridistribuire la ricchezza così assurdamente
squilibrata… doveva tutto a
Jeanne, ma Bernard non lo disse apertamente a Rosalie.
Le
raccontò, piuttosto, perché aveva pensato a quel
nome
come copertura, e perché avesse deciso di vestirsi di nero.
– Un re
inglese, Riccardo…
– Cuore di
Leone?
–
Oh… bene, esatto! Come fai a saperlo?
– I libri
di Madamigella Oscar.
–
Ah… sì, certo. Ehm. Dicevo, proprio quel re
tornò in
patria da reietto, e prima di riuscire a riprendere il potere che gli
spettava
di diritto contro il fratellastro Giovanni…
–
… Senzaterra?
–
Sì! Dicevo, ecco… lui… decise di
travestirsi da Cavaliere
Nero e ostacolare i piani di aristocratici perfidi e senza scrupoli. Al
suo
fianco un uomo onesto che era stato suo soldato in Terra
Santa…
–
… per le Crociate, vero?
– Proprio
così, esatto! Ecco, l’amico di Riccardo (il nostro
Cavaliere Nero) si chiamava Robert di Locksley, detto Robin Hood.
Rubava ai
ricchi per dare ai poveri.
– E dunque
vi siete ispirato a loro due?
– Ammetto
di sì… ma io sono francese. Orgogliosamente.
–
disse Bernard, con gli occhi fieri.
Rosalie rise senza
suono, coprendosi le labbra con la mano.
Bernard si sentì confuso.
–
… cosa c’è?
– Niente.
– sorrise lei, gli occhi luccicanti nel giorno. –
È solo che quando dite certe cose, sembrate…
– e si zittì, subito pentendosi di
quanto si fosse lasciata scappare.
–
… sì? Sembro cosa? – incalzò
Bernard, incuriosito.
–
… ecco… – si imbarazzò lei,
e lo guardò di sottecchi, come
timorosa di farlo arrabbiare – … un bambino. Un
bambino felice, pieno… di
desideri e di sogni. È una cosa molto bella…
anche se forse vi ho offeso, ma credetemi,
non volevo!
Bernard chiuse le
labbra e il sorriso, e la guardò vago, il
pensiero fermo sul rossore delle sue guance, sul suo timido imbarazzo.
– A quanto
pare, allora, posso sembrare un bambino…
anch’io…
Il giovane
abbassò la voce e tacque, infine. La guardò con
gentilezza, gli occhi lucidi di ricordi.
Rosalie chinò il
capo.
–
Parlo… sempre troppo. È sempre stato un mio
difetto, anche
da Madamigella Oscar… – si lamentò.
Bernard scosse il capo.
– No,
Rosalie. È un piacere… sentirti parlare.
Rosalie lo
guardò tra le lunghe ciglia, ancora di sottecchi,
curiosa e contenta d’aver ricevuto quel complimento. Bernard
imparò a usare
lodi e complimenti per produrre sul viso della ragazza
quell’espressione pulita e fresca,
e poi indugiava a contemplarla, mai sazio.
Questo discorso fu
uno dei tanti; ma appunto, bisogna tornare
a quando, ormai di comune accordo, Bernard e Rosalie si misero a
discutere
dell’opportunità di inviare la ragazza a parlare
con Robespierre. Si pensò di far passare le informazioni
tramite una lettera scritta da Bernard.
Rosalie sosteneva
che lei dovesse solo consegnare questa
lettera, aspettare la risposta e tornare da lui. Ma Bernard si
rivelò
contrario. – E se per qualunque motivo la lettera fosse
trovata? Saresti
la prima a rimetterci… e io non voglio. Assolutamente no. Non voglio
che tu sia coinvolta.
– Ah, ma
sono già coinvolta! – lo canzonò lei,
osservandolo
tra le lunghe ciglia, tutta sorriso.
Bernard
tentennò, consapevole che era proprio così.
Mandandolo da Rosalie, Oscar aveva scelto di proteggere lui,
d’accordo,
mettendo però lei a rischio. Continuava a essere una cosa
che gli stonava e non
gli piaceva affatto… anche se dannatamente sensata, e
portatrice di parecchi
benefici per lui.
Rosalie non si
arrese.
– Potreste
scrivere semplicemente come Bernard Chatelet,
giornalista, aggredito da banditi durante la notte e quindi
convalescente
presso di me. E dite a me le cose essenziali che il Cavaliere Nero
direbbe ai
suoi compagni. Le riporterò fedelmente… a voce.
–
…
– I vostri
compagni non ci tradirebbero, no?
– No, non
lo farebbero. Ma… è una faccenda delicata.
–
Perché?
Bernard ci
pensò su, osservò Rosalie e il suo sguardo
luminoso, denso di aspettative. Allora le disse, lentamente e con tono
spento:
– Io e i
miei compagni ci siamo impadroniti di una partita
di fucili destinati all’esercito. Li abbiamo rubati al
Generale Jarjayes.
Oscar… si è offerta di venderceli a un prezzo
stracciato. In cambio del mio
rilascio… e per impedire che i miei compagni continuassero a
essere ricercati.
– prese un lungo sospiro. – È
l’unico modo per scagionarli. Ma quella somma
dev’essere pagata… altrimenti ci ritroveremo alle
calcagna, se non Oscar, il
Generale Jarjayes in persona.
–
… capisco. – sussurrò Rosalie.
– … e voi temete che non
accettino.
– Proprio
così.
– Lo
faranno, se servirà a scagionarli… e scagionare
anche
voi.
–
Oh… no, Rosalie. – sospirò Bernard.
– Per me è diverso. Io
non posso restituire ciò che ho rubato e disperso tra le
varie case dei
poveri... non potrei nemmeno volendo, perché si tratta di
innumerevoli case e
famiglie… e anche se volessi, non lo farei comunque.
Vendendo una collana certe
madri hanno sfamato i loro figli per settimane… forse anche
per mesi.
–
… avete ragione. Ecco perché Madamigella Oscar mi
ha
detto, testualmente, di tenervi con me “finché la
situazione non sarà
favorevole”. Lei vuole che le acque si calmino intorno a voi,
così che siate
dimenticato, e…
Bernard
lanciò un’occhiata obliqua a Rosalie.
–
… credi che la povera gente dimenticherà il
Cavaliere
Nero? – chiese, con l’ombra dell’antica
stizza, che tuttavia non volle
riversare contro la ragazza. Parlò con tono spento e sordo,
stringendo i pugni
sulle lenzuola man mano che il discorso procedeva, e lui rivelava i
suoi più
intimi pensieri: – … o non si sentirà
piuttosto tradita, se io sparisco? Come
posso abbandonarla?
Rosalie
contemplò il volto del giovane con aria pensierosa. Lui
continuò.
– Ho dato
la mia parola a Oscar che non esisterà più un
Cavaliere Nero, perché se si scoprisse che mi ha avuto in
casa e mi ha lasciato
andare sarebbe molto grave, per lei. Non sono un vigliacco e un
ingrato, non
approfitterò del suo gesto per tradirla. Ormai ho capito che
è stata sincera
generosità, la sua. E ho capito anche che non
potrò comunque raggiungere tutte
le persone che hanno bisogno del Cavaliere Nero. Ma io non posso
permettere che
la gente muoia ancora per le strade… che i bambini piangano
perché non possono
mangiare neanche un tozzo di pane, per giorni… mentre
quei… quei figli di
puttana, i nobili… – si morse la lingua, e
guardò Rosalie con occhi ardenti.
Lei continuava a
osservarlo, lieve, discreta, immersa in
pensieri lontani dall’ira, ma seri e severi insieme. E poi si
sciolse in un
piccolo sorriso.
–
Ora… non sembrate più un bambino.
Lui distolse lo
sguardo da lei, e ricacciò in gola le altre
cose che voleva dire. Rosalie aggiunse, con tono soffice:
–
… io vi capisco, Monsieur Bernard. Oh, se vi
capisco… e
sono sicura che esista ancora, per voi, la possibilità di
fare qualcosa di
grande per il Popolo. E non per pochi, singoli fortunati: dovreste
pensare a
qualcosa che aiuti tutti… qualcosa di definitivo.
– Quando
guarirò… ho pensato che sceglierò un
altro nome. Lascerò
perdere quello di Cavaliere Nero… dopotutto, come ti ho
già detto, sono
francese, non inglese. – Bernard cercò di
sorridere, e rivolse a Rosalie il
frutto di quello sforzo; ma lei restò muta e riflessiva, e
dopo pochi istanti
gli disse, con occhi calmi e sinceri:
–
… ma cosa accadrebbe se in questo tentativo voi…
perdeste
la vita?
Bernard
abbassò lo sguardo, rifletté a sua volta. Chiuse
gli
occhi.
– Varrebbe
la pena dare la vita per una giusta causa. Per
questa giusta causa.
Bernard aveva
parlato solennemente, con tutta la sua fede. E
si aspettò lode da Rosalie, o quantomeno pieno accordo.
Invece…
–
… è una cosa orribile, quella che avete detto.
– sussurrò
lei. Bernard la guardò di nuovo, spalancando gli occhi per
lo stupore. Lei era
molto seria, lo fissava con gli occhi blu intensi e dolenti.
–
Perché disprezzate tanto la vita, Monsieur Bernard?
Nessuna causa può essere così giusta da reclamare
la morte di un uomo.
–
… tu non daresti la vita per ciò in cui credi,
Rosalie?
Non ti faresti anche imprigionare, e condannare a morte, per la tua
vendetta?
Colpita da quella
domanda, Rosalie si richiuse in se stessa,
la fronte aggrottata e gli occhi stretti, come i piccoli denti bianchi.
–
… un tempo… l’avrei fatto. –
mormorò. – Ma… –
alzò di
nuovo lo sguardo e incontrò quello di Bernard. Per un
attimo, la sua fierezza
cozzò con quella del giovane, come in un duello di spade le
lame degli
avversari. Un duello amichevole, non mortale; ma un duello importante,
di
quelli che decidono chi è superiore moralmente, non
fisicamente. – … ma io
credo di poter dare alla Francia molto di più vivendo, che
morendo.
–
…
–
… io credo nella vita, Monsieur Bernard. Come Madamigella
Oscar. E voglio vivere… nonostante tutto. –
vibrò quell’ultimo colpo, Rosalie,
con gli occhi umidi di possibile pianto, che però non
versò. Sentirsi come
Oscar, credere in ciò in cui credeva Oscar, la rendeva
sempre splendida e
forte; Bernard non sapeva mai come ribattere. E dunque tacque, forse
pure
offeso nell’intimo di sé, riattizzato nei suoi
dubbi e nella sua irruenza.
Eppure la seguì con gli occhi mentre usciva, mormorando
parole di saluto,
dicendo che era ora di andare a consegnare la lettera che lui aveva
scritto a
Robespierre.
Robespierre…
in cosa credeva, lui? Nella vita, come Oscar?
Bernard se lo chiese tutto il tempo in cui Rosalie fu fuori. Non seppe
darsi
una vera risposta… o non volle.
***
Il convento dei
Padri Giacobini si trovava in rue
Saint-Honoré. Robespierre vi si recava spesso, ed era solito
trascorrere il
tempo nella biblioteca. Ma Rosalie non lo trovò. Gli fu
indicato il Palazzo
Reale.
Allora, armata della
consueta pazienza, la ragazza proseguì
fin laggiù, nel quartiere elegante che per volere del Duca
d’Orleans era stato
tirato a lucido e ospitava taverne, caffè e ristoranti.
Nonché il famoso
salotto dove Oscar François de Jarjayes, nel gennaio di
quell’anno, aveva
indagato sul Cavaliere Nero. Bernard sosteneva che il Duca fosse
estraneo ai
suoi movimenti; d’altronde, la presenza del padrone di casa
non era necessaria
a che avvenissero incontri, discussioni e dibattiti tra gli
intellettuali che
frequentavano il Palazzo e il quartiere. Anzi, spesso il Duca rimaneva
in ombra
e ascoltava solo dall’alto delle scale: passava il proprio
tempo altrove, nelle
ale del Palazzo abitate esclusivamente da lui e dalla sua famiglia, e a
Versailles. Quello che lui aveva fatto era stato semplicemente aprire
le porte
ai giovani, per molti segno di una fede antimonarchica, per altri solo
un gesto
liberale.
Così
Rosalie si trovò all’entrata del Palazzo, che
ormai
volgeva il crepuscolo a metà del pomeriggio invernale.
Chiese di entrare. I
guardiani del cancello, di fronte alla sua giovane età e ai
suoi abiti umili, la derisero un poco.
– Ehi,
bellezza, non è il mercato, questo.
– Devo
parlare con Monsieur Robespierre. – rispose lei,
incerta. Si chiese se fosse il caso di fare anche il nome di Bernard,
ma si
trattenne.
– Ah! Ora
capisco tutto. – fece il guardiano più robusto,
ridendo più forte. – Ehi, la porto io. –
disse ai suoi compagni. I quali
risero, a voce alta e ruvida, commentando: – Questa
è la più carina, finora!
Ebbravo Bonbon!
– Vieni,
da questa parte. – disse l’uomo che la scortava.
Rosalie
provò una vaga sensazione di inquietudine, ma
proseguì comunque. Presto entrarono nel Palazzo; e di
lì proseguirono per i
corridoi, attraverso i quali alcuni servitori portavano agli ospiti
vassoi di
cibo e bevande. Il guardiano si accodò a loro, e arrivati
alla soglia del
salotto, si fermò e si voltò verso la ragazza.
– Te lo
chiamo subito, tu aspetta qui.
Rosalie lo vide
sparire dentro al seguito dei servitori.
Appena la porta si schiudeva appena, dalla sala sentiva provenire un
brusio
vivace e costante, con sottofondo di musiche. Si sporse per sbirciare
nello
spiraglio rimasto aperto. Era tutto scintillante, lì dentro,
tutto ordinato,
elegante; gruppi di giovani parlavano animatamente, e c’era
chi dipingeva, chi
suonava in un angolo il pianoforte e il violino, chi rideva
apertamente.
Localizzò anche il guardiano del cancello, che si era
accostato a un giovane
seduto comodamente in un divano insieme ad altri. Li osservò
scambiarsi poche
parole, poi il giovane scattò in piedi, salutò i
compagni e si diresse verso la
porta del salotto. Rosalie smise subito di origliare, si
irrigidì e scattò
indietro. Attese qualche secondo, e poi ecco, la porta si
aprì del tutto e il
guardiano e il giovane si trovarono di fronte a lei.
– Ecco,
Monsieur Bonbon, – lo canzonò il primo.
– La
fanciulla che chiede di voi.
– Ah, non
chiamarmi in quel modo! – disse il
giovane, lanciando al guardiano un’occhiataccia. –
Il mio nome è Augustin,
specie con le belle madamigelle. – e subito
addolcì lo sguardo verso Rosalie, e
la contemplò con curiosità. Il guardiano
ridacchiò.
Rosalie aveva
assistito a tutto questo con stupore, e prima
di parlare aveva preferito aspettare. Ma a quel punto, appurato che
dalla porta
non sarebbe più uscito nessuno, si schermì.
–
Perdonate… io cercavo Monsieur Robespierre.
– E
l’avete trovato, dolce fanciulla.
Rosalie lo
osservò con occhi enormi. –
Io cercavo… Maximilien Robespierre…
– Ah.
– il tono di voce di Augustin parve deluso. –
Dunque
cercate mio fratello.
–
Sì, lui. – mormorò Rosalie, sollevata.
– Perdonatemi per
l’equivoco.
– Non
è colpa vostra, è quest’asino di
Arsène. – disse,
rivolgendosi al guardiano, che intanto aveva riso tra sé e
sé.
– Colpa
vostra piuttosto, Monsieur Augustin! È così
scontato
ormai, vedervi in compagnia di una bella ragazza… direi
l’esatto opposto per
Monsieur Maximilien.
– Ah,
piantala! E torna al cancello, di qui in poi
l’accompagno io. – borbottò Augustin,
pur con tono ilare e l’aria nient’affatto
offesa. – Dunque, Madamigella… Madamigella?
–
Oh… Rosalie Larmorlière. – disse lei,
inchinandosi con
garbo. Augustin la osservò con evidente compiacimento. Le
offrì il braccio, con
galanteria.
– Prego,
Madamigella Rosalie. Vi scorterò io tra le insidie
di questi corridoi.
Rosalie
esitò, ma poi, avvezza a certi modi mondani,
accettò
l’appoggio con garbo. – Insidie, dite?
– Un
palazzo di nobili nasconde sempre qualche insidia, –
ridacchiò. – Anche se qui un uomo del Terzo Stato
può trovarsi spesso a proprio
agio, non lo nego. Ditemi, perché cercate mio fratello?
Rosalie si
trattenne. Era decisa a non dire niente a nessuno
che non fosse Maximilien Robespierre. Probabilmente di suo fratello
poteva
anche fidarsi, ma chi poteva dirlo?
– Ve ne
parlerà lui stesso, se lo riterrà opportuno.
–
disse, chinando il capo.
Augustin rise.
– Va bene, va bene. E in fondo, preferisco il
mistero alla piatta verità. Almeno nel vostro
caso… – e di nuovo la osservò
compiaciuto. Era un dongiovanni, Augustin Robespierre,
un amante delle gioie
della vita; Rosalie poté intuirlo, e così tenne
la presa sul suo braccio più
lieve che poté, per non incoraggiarlo. Tenne anche il viso
basso, velato di un
certo sottile rossore; tratti che rivelavano la sua freschezza e la
rendevano
ancora più bella, suo malgrado.
Augustin
parlò ancora, ma da lei ottenne solo risposte brevi
o silenzi sapienti. Infine, usciti tra le strade del quartiere, si
ritrovarono
davanti a un ristorante molto elegante, dall’insegna: Le Grand
Véfour. Allora
Rosalie lasciò il braccio di Augustin con grazia, per
precederlo oltre la
soglia.
All’interno,
tra i tavoli, gli specchi e i candelieri
scintillanti, molti uomini sedevano e discorrevano consumando
tè, caffè, dolci,
o il preludio della cena. Augustin Robespierre portò Rosalie
a un tavolo,
attorno al quale sedevano Robespierre Maggiore (finalmente) e altri due
uomini,
uno parecchio giovane. Tutti e tre si voltarono verso i nuovi giunti, e
Maximilien salutò il fratello.
– Cosa fai
qui, Augustin? Mi avevi detto che saresti rimasto
al Palazzo con Girard.
– Infatti
c’ero. Ma questa Madamigella ha chiesto di
parlarti.
Maximilien
mostrò stupore, poi un poco di sospetto.
– Se avete
bisogno di aiuto, il mio studio di avvocato è
aperto domattina, alle ore…
– No,
signore, perdonatemi. – disse Rosalie, e si chinò
ancora per presentarsi. – Sono qui per una questione
differente e molto importante… vorrei
parlarvene in privato, per favore.
–
… – Maximilien osservò i suoi compagni
e il fratello, il
quale aveva assunto un’espressione canzonatoria e bonaria.
– E sia. Camille,
Saint-Just, vi prego di scusarmi per qualche minuto.
Si
congedò dai compagni, e il suo posto fu preso
dall’allegro Augustin. Raggiunse un tavolo appartato,
prossimo alla finestra.
Rosalie avrebbe preferito una stanza privata, ma non
commentò. Era comunque abbastanza lontano da tutte le altre
orecchie.
– Non vi
potrò concedere più di due minuti. Dite in fretta
quello che avete da dire. – disse M. Robespierre, osservando
la ragazza con
sguardo penetrante.
Lei si
intimidì un poco, poi disse: – Si tratta di
Monsieur
Bernard Chatelet.
Lo sguardo di
Robespierre cambiò in un istante. Da freddo
diventò stupito, poi preoccupato, poi partecipe; e
ascoltò fino alla fine le parole di Rosalie.
– Monsieur
Bernard è stato ferito. L’ho accolto in casa mia.
È stato liberato da Madamigella… dal Colonnello
Oscar François de Jarjayes, che l'aveva catturato. Ora
Monsieur Bernard ha scritto queste righe
per il capo del suo giornale, – e mostrò,
tirandola fuori dal mantello, la
lettera accuratamente ripiegata, – e ha mandato me per
aggiornarvi sul resto.
–
… il Colonnello Jarjayes ha fatto questo?
–
Sì.
– A che
prezzo?
–
… nessuno… o meglio, ha chiesto che i fucili
rubati siano
comprati… al prezzo di… – e
rivelò la cifra. Robespierre rimase pensieroso. Si
guardò intorno; dei suoi compagni nessuno sembrava guardare
lui e Rosalie, e
gli altri avventori erano impegnati nei loro discorsi.
Allungò la mano e prese
la lettera.
– Uno
degli uomini che era seduto con me è il capo del
giornale in cui Bernard scrive. Gli farò leggere questa
lettera.
–
Oh… bene, grazie Monsieur Robespierre.
– Per
quanto riguarda il resto… – Robespierre sorrise,
finalmente, con aria sollevata. – … sono felice
che sia salvo. L’avevo
avvertito che le sue azioni, per quanto nobili negli intenti,
l’avrebbero
potuto portare a correre troppi pericoli.
– Dunque
la proposta dei fucili…
–
… non spetta a me decidere; non sono io colui che ha
organizzato le scorrerie del Cavaliere Nero insieme a Bernard. Anzi, ho
scoperto che la cosa fosse in corso solo dopo qualche tempo; il ragazzo
ha
deciso per sé, come in fondo spetta a ogni essere umano,
dotato di libero
arbitrio. Ma gli farò il favore di riportare la cosa ai suoi
compagni.
– Grazie,
Monsieur Robepierre. – disse Rosalie, il cuore
fiducioso.
– Venite
qui nel pomeriggio di dopodomani. Spero di avere la
risposta. Ora, vogliate scusarmi…
Robespierre si
alzò dalla sedia. Rosalie fece altrettanto.
– Oh,
sì, certo. Grazie, grazie ancora.
Augustin
Robespierre, quando il fratello lo raggiunse, si
alzò subito per tornare da Rosalie. Ma la ragazza si
dileguò prima che lui potesse
farlo; prese la via dell’uscita, salutò
l’inserviente che incontrò sulla porta
e andò fuori, sul portico. Seguì veloce la strada
coperta dalle volte, fino all’angolo,
contenta di avere notizie fresche per Bernard e ansiosa di riferirgliele.
Quando
svoltò, non si accorse di incrociare i passi di una giovane
serva che usciva in quel momento,
insieme a una signora alta e compita, da un negozio di alta sartoria
che faceva angolo sotto il portico; senza volerlo Rosalie
urtò la ragazza, che rovesciò per terra il pacco
che stava portando.
– Attenta
a dove vai! – gridò la servetta.
Rosalie si trattenne
un istante, rammaricata; si offrì di raccogliere il
pacco, ma quella, stizzita, la guardò imbronciata e glielo
impedì.
Intervenne la
signora compita. – Accidenti! Per fortuna
il pacco non si è rovinato, e nemmeno il vestito al suo
interno… Santo Cielo,
proprio davanti alla carrozza della cliente, doveva accadere!
Avrà visto?
Ed entrambe, serva e
signora, lanciarono un’occhiata
all’altro lato della strada, dove era in attesa una carrozza
con le tendine
tirate.
– Vi
chiedo perdono… – sussurrò Rosalie, poi
scosse il capo. –
Sono contenta però che non sia successo niente. Arrivederci!
– e corse via,
recuperando il passo e l’allegria di poco prima.
Le due donne si
avvicinarono alla carrozza, con modi
affettati e grandi sorrisi. – Ecco, Signora, perdonate
l’attesa…
– COCCHIERE. Partiamo IMMEDIATAMENTE!
– gridò una voce di donna dall’interno.
Detto fatto, i
cavalli si impennarono per una frustata e la
carrozza partì, schizzò di fango le due donne, le
travolse; quelle gridarono, e
nell’urto violento il pacco che portavano si aprì,
rovesciando al suolo un
abito azzurro a fiori dorati.
– Oh,
dannazione! – si lamentò la servetta, cercando di
asciugarsi il viso con le mani infangate, ottenendo di sporcarlo ancora
di
più. – È sempre la stessa storia, anzi,
da quando la Regina l’ha fatta Duchessa
è ancora peggio!
– ZITTA,
Lalie! – strillò la signora compita.
– Ma
Madame Bertin! Io… non è giusto che…
Madame Rose Bertin
si alzò in piedi; rimase compita pur con
tutte le chiazze di fango che aveva addosso, e si ripulì gli
occhialetti,
inforcandoli rigida. – Non voglio mai più sentirti
dire una sola parola contro
una cliente. Soprattutto se è di quel rango. Se accade di
nuovo ti licenzio.
Hai capito? Quella Duchessa vive a Versailles… al confronto
tu meriti di stare nel fango!
La servetta
borbottò qualcosa, ma non osò replicare.
Lanciò un'occhiata ostile alla strada.
Dopo il passaggio di
Rosalie e la partenza sparata della
carrozza, si era fatto un grande silenzio; la notte era ormai calata, e
i
lampioni furono accesi poco a poco, fiochi e intimiditi dal freddo.
_____________
Note.
- La storia del
Cavaliere Nero (ovvero Riccardo Cuordileone) e di
Robin Hood sarà raccontata pochi decenni dopo, nei primi
anni dell’Ottocento,
da Sir Walter Scott, scozzese, nel romanzo storico (ma per me anche
epico-cavalleresco) Ivanhoe.
Più che
fare un anacronismo, ho voluto immaginare che Bernard avesse letto
fonti che
poi Sir Scott utilizzerà per il suo romanzo: questo
perché il nostro
giornalista ha davvero troppo in comune con il Cavaliere Nero di Scott
(come
soprannome, quantomeno) e con Robin Hood (come azioni e missione). Che
la Ikeda
si sia ispirata? Sarebbe splendido!
- Ho fatto un
piccolo anticipo, domani giornata too much trottolosa! Un bacione e
tutto il mio affetto a chi legge, as always!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Posso innamorarmi di te? ***
Rosalie tornò da Maximilien Robespierre, come convenuto,
dopo due giorni, ovvero il 19 febbraio.
Andò
direttamente allo studio dell’avvocato, non al Palazzo
Reale come la prima volta; e tornò in breve tempo da Bernard.
Il giovane
l’aspettava impaziente. Appena udì la porta di
casa aprirsi e richiudersi, posò il giornale che stava
leggendo sulla cassetta
che fungeva da comodino, e attese che Rosalie entrasse nella sua
stanza. La
ragazza impiegò qualche istante in più, Bernard
la sentì passare prima dalla
cucina. Poi eccola entrare dalla porta socchiusa, con un sorriso
delicato e il
mantello ancora indosso.
– Eccomi,
Monsieur Bernard. – disse, a mo’ di saluto.
– Eccoti.
– sorrise lui. – Allora… ? –
aggiunse, malcelando
l’impazienza.
Rosalie gli
allungò una lettera. Poi si diresse di nuovo
verso la cucina, cominciando a slacciarsi il mantello. –
Preparo del tè caldo.
Bernard
annuì distratto, le mani che già aprivano il
foglio
sigillato.
Rosalie prese due
tazze, mise l’acqua sul fuoco e imburrò
due fette di pane. Mentre attendeva che l’acqua bollisse,
mise a posto le
provviste che si era procurata sulla via del ritorno: pane, uova,
perfino un
bel pezzo di carne. Andò a riporre il resto dei soldi nel
luogo segreto in cui
lei e Lucille tenevano il denaro mandato da Oscar: un bauletto chiuso a
chiave,
nascosto sotto una botola coperta dal suo giaciglio di paglia. Appena
l’ebbe
fatto, sospirò. Il denaro scorreva via come acqua, come
sabbia in un pugno. Ce
n’era ancora a sufficienza per un mese, ma era impressionante
vedere come
andasse via.
Quando si era
abituata agli agi di Palazzo Jarjayes, aveva
provato un benessere infinito. Era il Paese di Cuccagna, quello, la
meraviglia
delle meraviglie. Aveva scambiato quella villa per Versailles, una
volta; ma
per quel che la riguardava, qualunque povero di Parigi avrebbe fatto lo
stesso.
Vivere da nobili
significava possedere la terra sotto i
piedi, ovvero una costante sicurezza. Vivere da poveri era diverso. Era
come
volare sempre tra correnti e temporali, e non toccare mai la terra.
“Guardate
gli uccelli del cielo: non lavorano e non filano.
Eppure il Padre vostro che è nei Cieli li nutre.”
Quella frase dei
Vangeli le era sembrata piena di crudele
ironia, un tempo, quand’era bambina. Se lei non avesse
lavorato, se sua madre
non avesse lavorato, non avrebbero mangiato nulla. Ma il tempo le aveva
rivelato che era tutto vero: quando aveva avuto bisogno, davvero
bisogno, era
comparsa nella sua vita Madamigella Oscar. E anche adesso era tornata,
quando
disperava di poter mangiare ogni giorno. Oscar. Il suo
Salvatore…
Rosalie,
ho lasciato
la tua stanza esattamente com’era prima. È sempre
pronta per il tuo ritorno.
A ricordare quelle
parole, sul volto della ragazza volò un
sorriso. Cosa stava facendo in quel momento, Madamigella Oscar?
Rosalie aveva deciso
che non sarebbe tornata da lei. L’aveva
fatto con consapevolezza, nonostante la dolcezza con cui ripensava alla
sua
giovinezza laggiù, a Palazzo Jarjayes. Perché
amava poter camminare sulle
proprie gambe, ormai. Non poteva dirlo apertamente a Madamigella Oscar,
ma si
sarebbe sentita terribilmente in colpa a lasciare Madame Lucille e
approfittare
della terra sotto i piedi, quando Parigi, tutta Parigi soffriva tanto.
Rosalie
sentiva d’essere portata a una vita semplice, e a
conquistarsi con il duro
lavoro un pochino di benessere.
Ma ancora una volta
Madamigella Oscar l’aveva aiutata. Il
suo Salvatore; il suo… amore.
Rosalie sorrise di
nuovo, stavolta con un poco di tristezza.
L’aveva
amata da subito. Da quando l’aveva vista per la
prima volta in quella carrozza, che aveva accostato con
l’intenzione di
vendersi. Quanti anni aveva avuto, Rosalie? 11, 12?
Quell’uomo così grasso e
brutto, quel nobile ubriaco che aveva incontrato prima, le aveva fatto
capire
che era abbastanza graziosa per… per quello.
“Ti riempirò di soldi, se verrai con
me!” Forse, superato lo spavento, gli
avrebbe perfino detto di sì… se il suo servitore
non l’avesse allontanato.
Soldi,
maledetti
soldi, eppure ne ho bisogno!, aveva pianto dal profondo del
cuore.
Che
importa, si
era detta poi. Se non compro il cibo e le
medicine, la mamma morirà.
Lo
fanno tante ragazze,
si era detta ancora, asciugandosi le lacrime. Devo
essere coraggiosa. Forse avrebbe trovato una persona di buon
cuore.
Basterà
che io chiuda
gli occhi. Sopporterò. Sarà un attimo,
si disse. Ma chi l’avrebbe voluta?
Se solo lei fosse stata bella come Jeanne… Dio mio, Jeanne.
Jeanne, che l’aveva
fatta picchiare a sangue… Rosalie si era sentita perduta.
In quel momento era
comparsa la carrozza dei Jarjayes. Le
era corsa dietro, gridando; la carrozza si era fermata.
Un’occasione! Rosalie
aveva avuto troppa paura per pensare; era riuscita appena a fare la
domanda
umiliante e terribile, Vorreste comprarmi
per una notte?
Di certo era
riuscita a porgerla perché dentro la carrozza
c’era quell’angelo biondo. Aveva provato immenso
sollievo, dentro di sé, che
l’uomo a cui darsi per la prima volta fosse così
giovane, e così bello, e così
cortese da aver fatto fermare la carrozza per lei. Ma era stato il
pensiero di
un attimo.
Quel giovane
bellissimo era scoppiato a ridere. Che
vergogna!, al solo ricordarlo, Rosalie poteva ancora arrossire. E poi
la
rivelazione spiazzante: Io sono una donna!
All’inizio
aveva pensato che era stata ingiusta, la vita, a
far sì che l’amore della sua vita nascesse donna.
C’era
stato un tempo, infatti, in cui Rosalie poteva
avvampare fino alla radice dei capelli, per uno sguardo di Madamigella
Oscar.
C’era stato perfino un tempo in cui aveva sognato cose che la
facevano
svegliare di soprassalto, in un sentimento di vergogna misto a gioia ed
eccitazione, e che non aveva rivelato a nessuno, nemmeno al confessore.
Era colpa del fatto
che Madamigella Oscar si muoveva e si
vestiva come un uomo, certamente. Non c’era altra
spiegazione. E poi c’era la
gratitudine immensa che provava per lei. Oscar le aveva donato
l’onore, la
gioia, la sicurezza, l’istruzione, la voglia di vivere. Era
enorme, ciò che
Rosalie le doveva. Non c’era niente di strano nel fatto che,
dopo tutto quello
che aveva fatto per lei, la ragazza sentisse di amarla dal
più profondo del
cuore. Anche senza bisogno di contatto alcuno; senza le cose che gli
innamorati
fanno gli uni con gli altri.
Allo stesso modo,
aveva pensato Rosalie, anche Madamigella
Oscar amava la Regina, e la Regina lei. Ma simili legami non erano
facili da
comprendere; al punto che Jeanne si era permessa di infamarle e di dire
che
quell’amore fosse sporco e licenzioso. Lei, Madamigella
Oscar, che non si era
mai permessa nemmeno di sfiorare Rosalie, se non per aiutarla, o
consolarla!
Era stato assurdo, ma la gente ci aveva creduto.
Se avesse potuto,
Rosalie avrebbe gridato a tutti come
stavano le cose, al processo. Che la donna più crudele di
Versailles, sporca e
vergognosa, era la Contessa… anzi, Duchessa di Polignac, e
per atti molto più
terribili che un legame d’amore; e avrebbe spiegato a tutti
il sentimento profondo
che si poteva provare per Madamigella Oscar, lo stesso che certamente
provava
anche la Regina. Tutte le dame finivano per amare Madamigella Oscar.
Anche la
sua sorellina, Charlotte, le aveva voluto più bene che a
chiunque.
E ora che era
cresciuta, Rosalie aveva capito che cosa
significava amarla. Non poteva farlo come moglie, certo. Ma non ce
n’era
nemmeno bisogno, non più. Era un amore di cuore,
d’anima e mente; niente che
passasse per il corpo. Madamigella Oscar si amava come una santa; come
una
Pulzella d’Orleans del presente.
Bastava avere
l’anima piena di lei. Voler essere come lei,
muoversi nel mondo piena di tutti i doni che lei le aveva fatto. Essere
una
persona degna della sua stima. Così le avrebbe dimostrato
l’amore che provava. Amore,
esatto, ché non si poteva definire in altro modo.
Questo andava
pensando Rosalie, quando si accorse che
l’acqua bolliva ormai da così tanto tempo da
essere già evaporata per metà.
Portò il
tè a Bernard, su di un vassoio. Lo trovò
sdraiato,
lo sguardo perso alla finestra, l’espressione cupa e torva.
– Monsieur
Bernard? Va tutto bene… ? – esitò lei,
appoggiando il vassoio accanto al letto.
Lui chiuse gli
occhi, prese un lungo respiro e la guardò.
– Sembra
che i miei compagni… non vogliano acquistare i
fucili.
Rosalie
restò interdetta. – Ma come…
– Dicono
che non ci sono i soldi. Che non possiamo
permettercelo. Che sarebbe da vigliacchi.
–
Ma… non possono essere così ciechi. Sanno bene
che è
l’unico modo per scagionare voi… e loro.
– Loro non
vogliono essere scagionati. E questo lo capisco.
Siamo fuorilegge.
– Voi
siete il loro capo… vi daranno ascolto!
– Pochi di
loro sanno chi sono in realtà. Si sono fidati di
me perché avevo una maschera, perché ero al di
sopra delle parti. Ma se tolgo
la maschera… ci vorrà poco perché la
mettano a qualcun altro. Magari più
efficiente di me, nella lotta al Potere… Uno che invece di
fare patti con i
nobili, continui a combatterli… e li odii,
com’è giusto che sia… – la
voce di
Bernard era stentata, malinconica. A Rosalie parve di vederla, la cappa
oscura
di pensieri che l’aveva preso e stretto in una morsa.
–
… questo lo pensa anche Monsieur Robespierre?
– No.
Questo lo penso io. Ma sono sicuro che anche lui
direbbe così. Sai perché non mi ha appoggiato
subito, e si è chiamato fuori? Mi
ha detto che non tutti, in certe situazioni, sanno mantenere il sangue
freddo.
Che ci vuole poco a cadere nell’eccesso. Lui è
contrario alle azioni dirette e
illegali. Lui è convinto di poter cambiare le cose restando
dentro le leggi. E
mi chiedo adesso se non abbia ragione…
– E
lui… non può aiutarvi adesso? I vostri compagni
sono
anche loro suoi seguaci, no?
– Ha detto
che cercherà un finanziatore. – disse Bernard, a
mezza voce.
– Oh!
È una buona cosa, no… ?
– Se
qualcuno si facesse carico della spesa, accettando di
essere nostro complice, i miei compagni lo lascerebbero fare senza
troppi
complimenti, ne sono certo. E tutto finirebbe lì. Ma chi si
farebbe carico
della spesa senza denunciarci? O correndo il rischio di essere
denunciato e
scoperto a sua volta?
–
… bisognerebbe trovare un uomo ricco… borghese, o
nobile,
di buon cuore…
– Di buon
cuore! Ah, Rosalie! Sarà già tanto che troviamo
un
uomo ricco disposto ad aiutarci! Ma che lo faccia per il cuore, ah, no,
non
credo. Anche allora, ci chiederà in cambio qualcosa.
– Bernard strinse il
pugno, lo sollevò. – Dannazione, da questo giro di
debiti e crediti non se ne
esce! – calò il colpo sulle lenzuola, battendo
forte, coi denti stretti. – Non
se ne esce! – ripeté a voce costretta, e
alzò la mano per colpire ancora.
Rosalie si mosse
d’istinto, a quel crescendo. Posò la mano
su quella di Bernard, chiusa dolorosamente a pugno, la trattenne. Lui
si
irrigidì, come se fosse stato appena toccato dalla
tramontana. Lei non
desistette.
–
Coraggio, Monsieur Bernard. – sussurrò.
– Voi avete
fiducia in Monsieur Robespierre?
Bernard
abbassò lo sguardo, cercò le parole. Avevo lo
sguardo lontano, mesto. – È… come un
padre, per me.
– Allora
continuate a credere in lui. Troverà qualcuno che
paghi i fucili. Lo farà per voi. Sarete scagionato. Sarete
libero di
ricominciare!
Bernard
restò ancorato agli occhi di lei. Essere
scagionato…
era quella, dunque, la cosa più importante? Già,
perché altrimenti si sarebbe
disperato tanto? E la sua causa, e i compagni, e la povera gente? E
Rosalie che
lo fissava in quel suo modo sicuro e tranquillo, come se tutto andasse
bene,
come se potesse continuare ad andare bene? E quei suoi occhi vivi, quel
sorriso
di labbra piccole e rosse come ciliegie? Strinse i denti, Bernard.
– State
sereno. – disse lei, e di rimando strinse più
forte
la sua mano. – State pensando troppo.
– Rosalie,
io… – Bernard sentì le parole
scalpitare per
uscire. Il groppo alla gola lo stava soffocando.
– Ora
bevete il tè. E mangiate! Dopo, se desiderate scrivere
la risposta, io la consegnerò…
Rosalie si mosse per
sciogliere la presa, e prendere la
tazza per porgergliela. Ma non ci riuscì. Bernard le tenne
la mano, le impedì
di scivolare via, così Rosalie diede un piccolo strattone
involontario. Lui la contemplò,
ancorando lo sguardo al suo. Lei fu stupita, dapprima; ma pian piano
sostenne
quello sguardo; con curiosità ma anche con un velo di
disagio. Non erano occhi
da forsennato, anche se Bernard era pieno di pensieri. Né da
persona disperata
o furiosa. Erano occhi tristi e assorti. Occhi che chiedevano e
ringraziavano
insieme, che ammiravano, contemplavano, scoprivano. Occhi di bambino in
quanto
smarriti, d’uomo in quanto malinconici. E la mano calda di
lui strinse ancora
di più quella di lei, la tirò verso di
sé. La portò a fargli toccare il cuore.
Come se non bastasse già che la guardasse in quel modo, che
pareva frugarle
dentro. Rosalie, appena percepì il calore del corpo di
Bernard sotto la stoffa
della camicia, avvampò di colpo sulle guance e
abbassò lo sguardo.
–
Il… il tè, Monsieur Bernard… si sta
freddando. – sussurrò,
confusa.
–
… sì. – disse il giovane, e
sembrò svegliarsi come da un
sogno. Le lasciò la mano, strinse ancora il pugno; ma non
con rabbia, stavolta.
Voleva solo mantenere all’interno del palmo il tepore della
pelle di lei.
Trascorse
un’altra settimana. Bernard riusciva ormai ad
alzarsi, muoversi per casa, sedere per lungo tempo al tavolo, mentre
Rosalie
cuciva.
Il giornalista
riprese a scrivere. Carta e penna gliele
procurò lei, e così lui ne approfittò.
Sempre lei gli comprò le riviste che lui
consultò giorno dopo giorno, e che a volte le leggeva ad
alta voce, o che lei
leggeva ad alta voce a lui. Poi elaborava le sue riflessioni sulla
carta, e
l’ardore della sua penna tornò, in un guizzo
improvviso.
– Sai,
credevo di non saper più scrivere, –
confidò a
Rosalie un giorno, alla fine di una pagina lunga e appassionata che
l’aveva
preso interamente, mentre il silenzio laborioso di lei gli aveva fatto
da
sottofondo.
– Invece
non è vero… – gli rispose lei, come se
lo sapesse
già.
– Bene,
io… non so, ma non mi sentivo così ispirato da
tanto
tempo. – le disse, e la osservò sorridere assorta,
mentre continuava il suo
ricamo.
Proprio
così. Da quando aveva preso in mano l’impresa del
Cavaliere Nero, aveva scritto quasi ogni giorno; ma l’aveva
fatto di getto,
senza provare alcun gusto, come una rigida necessità. Aveva
usato parole crude
e violente, giuste, certo, ma aspre e sempre più dure. Nel
silenzio della casetta
di Rosalie, invece, gli sembrò che le parole potessero
risuonargli dentro
come un tempo, come un discorso vibrato nell’aria di
un’assemblea con molti
partecipanti. Parole dolci, suadenti, via via più potenti,
in cui credeva con
tutto il proprio cuore.
Giustizia. Coraggio.
Dignità. Uguaglianza.
Queste parole, che
erano state feroci, le riscopriva
squisite. Le onorò a lungo e con passione, quel pomeriggio,
con l’inchiostro e
la mente e l’anima.
Ed ecco che alla
fine della pagina, con l’articolo davanti
stilato quasi a occhi chiusi, si trovò ammirato, allucinato;
grato a quella
fanciulla che, tessendo silenziosa, sembrava ricucire passo passo ogni
singolo
strappo del tempo, con pazienza inesauribile.
Ormai pranzavano a
tavola, insieme. A sera li raggiungeva
Madame Lucille; e anche se Bernard si era affezionato anche a lei, si
trovò a
preferire di gran lunga la compagnia di Rosalie soltanto.
Quand’era solo con
lei, riusciva a parlare liberamente, serenamente. Sentiva il bisogno di
dirle tante
cose, di parlarle sempre. Lei lo ascoltava gentilmente, con dolcezza, e
cuciva intanto,
attenta a tutto, al proprio lavoro e alle parole di lui. Quando non
cuciva, cucinava;
e Bernard iniziò ad aiutarla, in modo molto maldestro.
Quanto alla
questione dei fucili, Bernard mandò a
Robespierre una risposta. Gli rese grazie per
l’interessamento, e si augurò che
il finanziatore fosse trovato presto. Cercò
d’avere fiducia, come Rosalie gli
aveva suggerito. E per qualche giorno non parlò del proprio
futuro, anche se
iniziò a pensarci costantemente. Solo, accanto
all’idea di combattere ancora si
affiancò sempre più spesso l’immagine
di una vita tranquilla. Tranquilla come
quella che viveva a fianco di Rosalie.
Arrivò il
1° marzo. Era passato mezzogiorno; imbruniva più
tardi, ormai, e il sole era sempre più tiepido, a
quell’ora. Ma poiché quel
giorno pioveva, l’aria era scura e greve, e il suono della
pioggia esterna rendeva
più intimo e caldo lo spazio della cucina con il suo
braciere.
Bernard era
pensieroso. Rosalie non era ancora tornata. Gli
aveva detto che usciva per delle commissioni, e che sarebbe tornata in
tempo
per la visita del Dottor Lassonne.
Ma il Dottore era
arrivato, l’aveva visitato e se n’era
già
andato. Con ottime notizie, oltretutto: Bernard si era quasi del tutto
ristabilito.
– Tra una
settimana potremo togliere definitivamente le
bende. – gli disse, prima di andarsene. Bernard era stato
felice di saperlo.
Rimasto solo,
però, nel momento in cui lo sguardo si posò
sul letto che aveva occupato fino ad allora, e i fiori alle finestre; e
la
cassetta accanto al letto, coperta di giornali, fogli, calamaio e una
tazza di
tè; e la cucina povera e funzionale, con il piccolo
giaciglio di Rosalie (che
nei giorni era stato sostituito con un lettino, opera di un carpentiere
vicino
alla casa, grazie al denaro di Oscar); nel momento in cui
guardò tutte queste
cose, Bernard si sentì preso da una fortissima malinconia.
Questa gli afferrò
la bocca dello stomaco e lo morse avidamente.
Finalmente si
avvicinava il giorno di tornare a vivere.
Andare al giornale, correre per la città in cerca di
notizie; ascoltare i
discorsi pubblici, e gli insegnamenti di Robespierre, frequentare il
Palazzo
Reale di Parigi e il salotto liberale del Duca d’Orleans,
fare tutto ciò che
faceva prima… voleva ancora tutte queste cose, certamente.
Erano il centro del
suo fuoco, la direzione della sua passione. Stare nel mezzo della
realtà e
descriverla.
Ma era combattuto. E
via via che il tempo scorreva, iniziò
anche a preoccuparsi. Perché Rosalie non tornava? Non
riuscì a concentrarsi su
nulla, che fosse un articolo da leggere, o da scrivere;
iniziò a camminare per
il corridoio in lungo e largo, senza sosta.
Poi, finalmente, la
porta si aprì con uno scatto. Bernard si
voltò, andò a passo rapido nell’atrio.
Rosalie, bagnata di pioggia, le guance
scarlatte per il tocco del freddo, lo accolse esclamando:
– Il
finanziatore! Il finanziatore è stato trovato! Monsieur
Bernard!
Bernard la raggiunse
subito.
– Hai
visto Robespierre? – disse, incredulo: secondo i
patti, Rosalie avrebbe dovuto raggiungere l’avvocato due
giorni dopo nel suo
studio, data scelta perché Robespierre contava di avere
risposte sicure entro
il 3 marzo; ma la ragazza aveva prevenuto i tempi, come
spiegò subito.
–
Sì! Passavo davanti al Palazzo Reale, e così ho
cercato
Monsieur Robespierre... Non potevo credere che non avesse…
ancora notizie, e
volevo portarvene una davvero buona… ! – Rosalie
parlava a sussulti, perché per
arrivare aveva dovuto certo correre sotto la pioggia battente;
posò a terra il
paniere che reggeva sotto il mantello, con i viveri e il pane fresco.
– E mi ha
detto che aspettava solo di vedermi per farvelo sapere, che la somma
dei fucili
c’è tutta, che è stata già
versata in modo anonimo sul conto del padre di
Madamigella Oscar! È tutto risolto!
Bernard la
contemplava, muto. Lei aveva i capelli fradici,
il viso umido e lucente d’acqua, e gli occhi chiari e limpidi
come mari;
brillavano nella penombra come luci irrequiete, a ogni suo movimento. Perché sei così felice?,
si chiese
Bernard.
– Non
siete felice, Monsieur Bernard! – esclamò e chiese
lei, tutto insieme. – Oh… ditemi del Dottore.
È già stato qui, vero?
–
Sì…
Forse
perché sei
incredibilmente generosa, perché hai potuto farmi del
bene…
– Mi
dispiace da morire non esserci stata… avremmo potuto
dare la notizia anche a Madamigella Oscar, tramite il Dottore.
– disse Rosalie,
smorzando un poco l’euforia.
…
o perché ne hai
fatto alla tua Madamigella Oscar?
–
Purtroppo ho ritardato perché ho parlato con Monsieur
Robespierre… ma voi… state bene? – si
preoccupò a un tratto Rosalie, vedendo
che Bernard taceva e la fissava, sempre più ansioso,
tormentato; spaventato.
– Sto
benissimo, Rosalie. Sono guarito, ormai. – disse lui,
evitando i suoi occhi. Anzi, sembrò voler tornare indietro,
alla sua stanza,
tutto in un colpo.
– Se
è vero… – disse lei, andandogli dietro
appena lo vide
sottrarsi. – … non siete felice? Potrete
finalmente andare via, tornare a…
Bernard
sentì come un vaso di vetro frangersi contro le
pareti del proprio cuore.
– Sei
felice… che vada via? – le chiese, dandole le
spalle.
–
… no! Non intendevo questo, ma…
– Ma
sarà meglio per tutti. Hai ragione. – disse lui,
senza
voltarsi.
Rosalie gli si
accostò, titubante; però aveva occhi sicuri
quando cercò quelli di lui, e gli disse:
–
… a me dispiace che andiate via. Mi sono abituata a
prendermi cura di voi, ed è stato bello avere la vostra
compagnia finora.
Potrete tornare da noi ogni volta che vorrete.
–
Dici… davvero, Rosalie? – mormorò lui,
e un sorriso iniziò
a rianimarlo.
– Certo.
Siete un nostro buon amico. E siete l’eroe del
popolo, un uomo coraggioso, generoso e degno di tutta la mia stima.
Bernard prese i
complimenti, ma tacque. Era ricaduto nella
serena contemplazione di lei, della sua freschezza; dei suoi occhi
grandi e
intensi, sfacciatamente sinceri; della sua piccola bocca che si muoveva
dolce,
accarezzando una parola dopo l’altra e sussurrando bianco di
condensa
nell’atrio freddo…
– Siete
davvero una brava persona. Ma ne ero sicura. Madamigella
Oscar non vi avrebbe mai mandato da me, altrimenti. Lei aveva ragione
su tutto…
Un impulso, le mani di Bernard si mossero quasi da sole. Travolsero la
schietta
sincerità di Rosalie e le trattennero il viso freddo di
pioggia. La ragazza
percepì, con un sussulto, il calore di quelle mani gentili
percorrerle le
guance, fermarle i movimenti. Restò impietrita a fissare
anche lei gli occhi di
Bernard, che la investirono di sentimenti. Commozione, frustrazione,
bisogno,
malinconia… e la voce di lui si unì a quei sensi,
bassa e infiammata, a
sussurrarle, a un soffio dalla bocca:
–
Posso… innamorarmi di te?
Glielo chiese come
un bambino; ma la baciò come un uomo,
premendo avidamente labbra su labbra.
____________
Note.
- Il riferimento
è naturalmente al manga, al momento in cui,
seduta al capezzale di Bernard e dopo aver sentito tutta la sua triste
storia,
Rosalie piange di commozione; e lui la guarda intenerito e le chiede,
appunto, “Posso…
innamorarmi di te?”. Il bacio viene subito dopo. Nel manga
tutta la scena è a
Palazzo Jarjayes, da cui Rosalie parte proprio per sposare Bernard.
Lì lei
torna a Palazzo Jarjayes, dopo il periodo trascorso presso la Contessa
di
Polignac. Ma io ho preferito nettamente la versione
dell’anime, che vede
Rosalie umile, coraggiosa e capace di camminare sulle proprie gambe ben
prima
di sposarsi.
- Come al solito, ho
preferito postare con calma oggi che di furia domani. A chi passa di
qui, Grazie
di seguirmi in questo racconto!
Un abbraccio a tutti!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Volevo chiedervi se avete freddo ***
Rosalie non riuscì a muoversi per qualche istante. Sentiva
il calore avido del bacio di Bernard premere sulle labbra, mentre le
sue mani
le tenevano il viso in una morsa gentile. Per qualche istante ancora,
resistette
con la forza della sorpresa a quella bocca che chiedeva con insistenza
una
risposta. Bernard aveva gli occhi chiusi e stretti,
l’espressione quasi
dolorosa; quel bacio pareva fosse nato da un bisogno violento,
più che dalla
dolcezza, e ben presto, appena percepì da lei una stupita
arrendevolezza,
diventò esigente e ancora più affamato.
Baciò ancora, con schiocco leggero e
poi ancora più impresso; la portò verso la
parete, ubriaco nei sensi di
quell’odore nuovo, misto all’odore della pioggia,
di pelle fresca e dolce. La
spinse, anche se nella foga non dimenticò d’essere
cauto; di nuovo affondò le
labbra per prendere quelle di lei, e nel farlo non attese
più risposte; forzò
la sua riluttanza fino a osare il confine del sorriso, verso il pieno
possesso
della bocca di lei, delle sue labbra piccole e carnose e del sapore
prezioso
del suo respiro.
E quello fu un
errore, perché l’arrendevolezza di Rosalie
era più figlia dello sbigottimento che del piacere; ella non
capiva, perché non
si era preparata a quel momento, quali invisibili corde possano muovere
i
sensi, i sentimenti e dunque la gioia di baci vogliosi e voluttuosi,
quali
quello che Bernard stava assaporando, bontà sua. Ci fu un
attimo di resa
completa, è vero, fu quando lui sussurrò
– Oh, Rosalie – un attimo prima di
bloccarla contro il muro. Ma quando a quella voce piena di febbre
seguì
l’ardore di un bacio vero, un bacio di saliva e di
inconfessabile audacia,
Rosalie tremò e reagì come una fanciulla digiuna
d’amore: si irrigidì, cercando
di fuggire.
Lo fece con
timidezza, dapprima, attonita com’era dinanzi
alle sensazioni, mai conosciute prima, che le esplosero in corpo, alle
mani
calde che le fermavano il viso. Per
questo non seppe imporsi con la stessa foga con cui il giovane aveva
preso
d’assalto il suo respiro. Si ribellò con un debole
mugolio, gli occhi strizzati
in una smorfia. Bernard, cieco e sordo a quei segnali,
seguitò a pascersi del
sapore di Rosalie, non accennò a lasciare la sua conquista;
fu per passione,
per ubriacatura d’amore, non certo per violenza, ma non si
possono mettere
insieme acqua e ferro incandescente senza aspettarsi crepitii e
ribellioni.
Rosalie si irrigidì di più. Alla cieca, oppose le
mani al petto di Bernard e
spinse, causandogli involontariamente una fitta per via della ferita
alla
spalla. Solo allora il giovane si staccò da lei, ansante,
con un gemito di
dolore, e in quel momento, appena Rosalie fu libera di parlare, tra i
loro
ansimi si frappose, flebile, un – No – che
ebbe la forza di un colpo di
pistola. Bernard aprì a fatica gli occhi, riemergendo
dall’oblio dei sensi e
forzandosi di guardare la ragazza in viso. La trovò rigida,
i denti stretti, le
labbra anche, umide dei baci suoi e del sale della pioggia; lei aveva
gli occhi
chiusi in un’espressione dolente, e ottenuta un poco di
libertà, mosse le
guance contro le mani di lui, per distogliere il viso e sottrarre la
bocca ad
altri baci.
Bernard si accorse
di quanto il proprio corpo fosse stretto
a quello di lei, di come la costringesse al muro; di come le sue
guance, fredde
di pioggia ma calde al contatto ruvido delle sue mani, fossero premute
tra i suoi
palmi come in una forzatura; e i suoi occhi tremanti, spaventati,
rivelavano
più di ogni cosa il turbamento di lei.
Sgranò
gli occhi, e il suo atto, nato dal fuoco dolce del
cuore, gli parve irrispettoso, enorme, irreparabile; non seppe
pentirsene, ma
si accorse che non avrebbe dovuto, che si era spinto oltre il giusto.
– Dio
mio… perdonami. – disse, quasi spaventato.
–
Perdonami, ti prego.
La lasciò
andare con lento timore, allibito e cauto, mentre
nel suo stesso spirito si agitava la consapevolezza di ciò
che era successo.
– Io ti
amo. – disse, prima che lei riuscisse a parlargli. Rosalie schiuse gli occhi, grandi e azzurri, sul viso addolorato di lui.
– L’ho
capito adesso con chiarezza. – disse ancora il giovane, in un solo
fiato. – Se… se ti ho
fatto qualcosa che non volevi, ti prego di perdonarmi, ma…
ma credimi, io ti
amo.
Rosalie
abbassò gli occhi, incapace di guardarlo in viso, le
guance che arrossivano suo malgrado, lì dove Bernard
l’aveva toccata. Si portò
le mani alle labbra e fissò il pavimento, gli occhi grandi e
spauriti.
– Ti amo
perché sei dolce. Perché sei forte.
Perché sei
generosa. – continuò lui, a raffica, non sapeva
frenarsi. Le parole, solo le
parole potevano puntellare i suoi sentimenti in un quadro razionale e
ordinato;
ma i sensi fioccavano come foglie d’autunno, al vento
inclemente del sentimento
che lo andava cuocendo, nemmeno fosse una delle minestre che avevano
preparato
insieme, sullo stesso fuoco. – … perché
sei bella.
Rosalie stette
immobile, le guance ardenti come tizzoni, i
capelli umidi e ancora un poco gocciolanti; il paniere e il suo
contenuto stava
ancora ai suoi piedi, la pioggia scorreva ancora fuori dalla finestra,
di tanto
in tanto suonavano tuoni lontani. Appena ne udì uno, il suo
viso scattò verso
la porta.
–
… ma… ma se il mio amore ti offende,
io… – Bernard strinse
i pugni, frustrato da tutto quel silenzio, avvampato dal rossore di lei
tanto
quanto ne fu spaventato. – … Dio mio,
perché non dici niente?
Rosalie
inspirò profondamente, cercò di calmarsi. Aveva
ancora sulle labbra l’umido bruciore del bacio inatteso. Il
cuore le stava
battendo come se le potesse scoppiare in petto, o in alternativa
scappare via e
andarsene in giro senza di lei. L’intimità di un
bacio, di un abbraccio; di una
dichiarazione sparata dal cuore da parte del giovane di fronte a lei;
queste
cose annientarono ogni sua azione, a onta del coraggio che aveva sempre
dimostrato. Era pronta a una vita di stenti, ad amare silenziosamente
Madamigella Oscar come una sacra reliquia, ma cos’era quello?
Cos’era
quel sentimento che si abbatteva sui sensi come un
fulmine, e annebbiava la coscienza e la veglia? Cos’era quel
pulsare di sangue
e odori nuovi, quella pelle liscia e ruvida, quel sapore umido e
sfacciato che
le aveva rubato il respiro?
– Mi odii?
Ti ho fatto del male? – incalzò Bernard, sempre
più frastornato.
– No!
– disse subito lei, alzò gli occhi su quelli di
lui, li
scoprì pieni di paura. – No, io… non vi
odio.
–
… ma non mi ami. – sussurrò Bernard. Il
bollore dei sensi
precipitò poco a poco in un sordo bruciare, che lo scottava
intimamente,
lasciando ferite invisibili allo spirito.
–
… mi conoscete da così poco. –
sussurrò anche Rosalie,
scuotendo il capo. – Come potete dire… dire di
amarmi? E come potrei io?
Bernard strinse i
senti.
–
… io lo sento, Rosalie. Ti amo
per ogni cosa che…
–
… vi prego, non dite così. Non posso
ascoltarvi…
–
Perché? Non mi credi? Rosalie, se tu non vuoi, allora
io…
E stava per dirle
che l’avrebbe lasciata in pace, che
ovviamente non l’avrebbe forzata mai, che si sarebbe
accontentato di esserle
amico, e nient’altro. Ma appena quel pensiero percorse la sua
mente, capì che
era falso, tremendamente: lui non avrebbe mai potuto rinunciare a lei.
Lui
voleva lei, la voleva il suo corpo, la voleva il suo spirito; quel
calore
gentile, quella pace dell’anima e quel fuoco dei sensi erano
suoi, di Rosalie.
Non potevano appartenere a nessun’altra, allo stesso modo
nessun’altra glieli
avrebbe potuti suscitare in quel modo. Non poteva scappare da quel
sentimento, Bernard,
perché lo legava a lei. Sia che lei l’amasse, sia
che lei non l’amasse… e provò
frustrazione per questo, appena lo comprese.
–
… io non posso amarvi come voi mi amate, non
posso…
Il cuore di Bernard
insorse. – Ma tu mi ami, Rosalie. Io
l’ho sentito… poco fa l’ho sentito.
– Vi
prego, smettetela di parlare di queste cose. Non so
cosa sia accaduto… ma… vi prometto che non
farò nulla per farvi credere ancora
che…
–
Rosalie… perché mi hai aiutato, perché
mi hai salvato… se
non provi niente per me?
– Non
è vero… io…
Bernard le colse le
mani. Lei si irrigidì di nuovo,
allarmata al contatto, o forse solo trepidante. Lui stava bevendo il
fiele
della delusione a sorsi generosi. Ma non riuscì a scagliare
la propria rabbia
contro di lei. Se la prese con se stesso, fu più facile.
– Ho
rovinato tutto. Ho rovinato tutto... – mormorò. Le
lasciò
le mani, allora. Poi la guardò ancora una volta; lei aveva
di nuovo gli occhi
bassi. – Dimentica tutto. Se puoi. – la
pregò, e poi si allontanò. Verso la sua
stanza, le riviste, i suoi pensieri grevi e ora più che mai
confusi; pensieri
di un giovane che assaggiato l’amore ne temeva il potere
devastante; pensieri
di uomo che non era abituato a gestire questioni fragili come uova, non
ancora.
E nemmeno Rosalie
sapeva farlo. Pur abituata a maneggiare questioni
delicate e complesse, e conoscere ogni angolo di sé,
nondimeno rimase attonita
a osservare il paniere ai suoi piedi, anche dopo che Bernard la
lasciò sola. Si
toccò le labbra, dove il sapore del bacio non si era ancora
estinto. Ripensò a
quell’attimo, e le si aggrovigliarono le viscere. Se non
l’avesse fermato, fin
dove si sarebbe spinto, lui?
Cercò di
non fare alcun rumore, quando ripose il contenuto
del paniere in cucina. Ma quando si scaldò al braciere,
ricordò che nella
stanza di Bernard non c’era alcun fuoco. Era freddo,
certamente; forse doveva
invitarlo a scaldarsi a quel fuoco, come ogni pomeriggio. Forse avrebbe
dovuto
fargli comprendere che non era arrabbiata con lui. Pensava di averlo
forse
illuso, di certo si era mostrata da subito troppo accondiscendente.
“È
che ho visto troppe volte Madamigella Oscar insieme ad
André, e per loro era normale stare insieme così,
senza timidezza”, si disse,
per spiegarsi l’origine del malinteso. “Devo avere
imitato lei, e così…”
Ma si accorse subito
che il paragone non reggeva. Mai la
troppa amicizia aveva giustificato un comportamento meno che decoroso,
in
André.
O meglio, non
davanti agli altri. Non davanti a lei.
I servi di casa
Jarjayes avevano, a volte, accennato a
qualcosa di diverso; ma il timore della punizione del Generale non
aveva mai
permesso troppi pettegolezzi sulla figlia del padrone, futuro Conte
Jarjayes.
Eppure, Rosalie si
ritrovò a pensare che quelle voci di voci
di voci forse avevano un perché; se il vivere fianco a
fianco generava tale
turbamento di sensi e mente, non era possibile che Oscar e
André non avessero mai…
Ma
cosa vado a pensare,
si disse, scuotendo il capo con forza. Osservò la porta
della cucina, che
dava sul corridoio. Lei stava lì a pensare a Oscar e
André, mentre Bernard si
macerava di certo nel rimorso, al freddo per di più. Non
poteva lasciare che l’equivoco
creasse disarmonia tra di loro. Non si sentiva a proprio agio; si era
impegnata
a fondo perché il suo ospite ritrovasse la
serenità, si rifiutava dunque di
vanificare gli sforzi per una cosa come un… equivoco.
Bernard avrebbe
capito che non era amore, quello che nasce
in poche settimane di convivenza forzata. Certo, si può
provare una forte
simpatia per le persone che si riconoscono affini, ma da quello al
parlare d’amore!
Così
Rosalie, costruita ad arte la motivazione dell’incontro,
bussò alla porta della stanza di Bernard, chiusa fitta.
Dall’interno
non venne nessuna risposta, però.
– Monsieur
Bernard. – disse Rosalie, e la voce le tremò
d’incertezza,
– Volevo chiedervi se avete freddo…
Attese qualche
istante. Nessuna risposta ancora. Ripeté la
domanda.
– Monsieur
Bernard. – chiamò di nuovo.
E nulla. Quel
silenzio le mise timore. Premette la maniglia
e, con cautela, gettò uno sguardo dentro.
Temette di non
trovare nessuno, dall’altra parte. Ma non era
così. Seduto sul letto, Bernard stava esaminando con tutta
la propria
attenzione un giornale, alla luce fioca di una candela posta a fianco,
sulla
cassetta che fungeva da tavolino. E anche quando lei si sporse per
parlargli,
non distolse lo sguardo da ciò che stava leggendo.
– Monsieur
Bernard…
Bernard
deglutì. Nemmeno allora alzò gli occhi.
–
… io… volevo chiedervi se…
– Sto
bene. Non ho bisogno di nulla. – disse lui, secco, con
un tono duro che ferì Rosalie.
– Ma
è molto freddo…
Bernard tacque,
immobile.
– Monsieur
Bernard, io volevo dirvi che… per prima… non fa
nulla, davvero.
– Ne sono
contento.
– Ho
già dimenticato.
– Bene.
– Bene.
– disse la ragazza, e sentì le guance accalorarsi
ancora. Si ritrasse e chiuse la porta con una certa foga.
Quello scambio la
mise di pessimo umore, la stizzì
letteralmente. Al dispiacere seguì, fresco come una rosa
d’aprile, il
disappunto. E senza che lei potesse comprenderne le radici, sotto la
terra del
cuore.
Per questo, quando
furono le otto di sera e Madame Lucille
mancava ancora da casa, decise di affrontare di nuovo il temporale.
Magari la
donna stava aspettando che smettesse di piovere, e Rosalie poteva
scortarla e
portarle un mantello caldo, quello più logoro che tenevano
come riserva.
Sarebbe stato un bel conforto, lungo il tragitto per casa. E forse, si
disse
anche, quell’acqua forte e gelida avrebbe scavato via il
rossore persistente
delle guance, e tutto l’imbarazzo che provava. Con Madame
Lucille in casa, poi,
sarebbe stato più facile anche affrontare la cena. E
Bernard.
Scrisse due righe di
avviso, poi si rivestì. Andò nell’atrio
e uscì. Badò che la porta di casa sbattesse per
bene alle sue spalle.
La pioggia aveva
diminuito la propria intensità, ma non
aveva smesso.
Rosalie
superò i vicoli, tenendosi rasente il muro, a capo
chino e coperto. Rabbrividì per il freddo, l’acqua
le rigò le guance e le bagnò
le labbra. Era una sensazione desolante, alla quale oppose il
freschissimo ricordo
del pomeriggio. Un evento così straordinario,
pensò, nella sua giovane vita di
fanciulla. Forse si ammorbidì un poco, nel gelo della sera,
a pensare a quel
calore vivo e a quella dolcezza nascosta nella foga del bacio.
Era stato davvero
così difficile da tollerare? Strano,
certamente, ma non fastidioso. Né tantomeno crudele. Bernard
non era un bruto.
Forse, anche se parlare d’amore era eccessivo, poteva credere
al suo
attaccamento, alla sua tenerezza. Se solo fosse stato meno orgoglioso,
si
disse, avrebbero potuto passeggiare insieme, sotto quella pioggia,
oppure
sarebbero rimasti accanto al fuoco a ridere di
quell’incidente…
–
Perdonatemi, Madamigella… – Svoltato
l’angolo di una via,
udì la voce di un uomo provenire da terra. Era curvo,
coperto da un fitto
mantello, e teneva davanti a sé un tazza di latta piena per
metà di pioggia,
dentro cui annegavano un paio di monete. Lo udì tossire,
raschiarsi la gola nel
farlo.
– Fate la
carità… a un uomo malato… Madamigella.
Rosalie si
fermò del tutto, il viso assorto e dolente sulla
figura di quell’uomo. Frugò sotto il mantello, in
cerca di una moneta.
– Non
dovreste rimanere fuori con questa pioggia, se siete
malato, signore… – cercò di
raccomandargli, e si chinò per donargli la moneta.
In quel momento, la
mano dell’uomo scattò in avanti e le
afferrò il polso. La moneta le cadde dal palmo e
tintinnò al suolo, nella
pioggia fangosa.
Si
consumò tutto in pochi istanti.
Le piombarono
addosso da dietro. L’abbracciarono in una
morsa violenta e forte, circondandole i gomiti. Rosalie
gridò, si divincolò
con forza, ma senza risultato. La pioggia ammorbidì la
disperazione della sua
voce, finché una mano implacabile tappò le
suppliche e i richiami. Vide, con
gli occhi sbarrati, l’elemosinante alzarsi, dopo averla
lasciata all’aggressione
del compagno, e nuove figure comparirgli al fianco, altri due uomini.
Quattro
in tutto, che si scambiarono poche parole.
– Presto.
La carrozza è qui dietro l’angolo.
– Stai
ferma! E non ti succederà niente. – Rosalie si
oppose
alla corsa dell’uomo che la teneva imprigionata con braccia
di ferro, fece
ostruzione, si fece trascinare piuttosto che obbedire a quella
minaccia. Nel
trasporto di quella ribellione, arrivò a pestare i piedi
dell’uomo, calciò uno
stinco e lo disorientò. Appena sentì la mano davanti alla bocca
allentare la presa, morse forte, e un altro
grido sostituì il suo.
–
Maledetta piccola troia! – imprecarono gli altri due, e le
furono addosso.
– Stronza.
– ansimò l’altro, guardandosi la mano e
il segno
del morso, con un pezzo di pelle strappata a sangue. – Mi ci
ha lasciato i denti!
Ma io ti ammazzo, puttanell…
– Fermo!
Dobbiamo consegnarla intera. – intimò il quarto,
il
falso elemosinante. – Hai dimenticato il compenso?
L’uomo che
era stato morso si calmò.
Nel frattempo, la
fiera rivolta di Rosalie si concluse in una
disfatta. La costrinsero a terra, le legarono polsi e caviglie,
concedendole
qualche istante prezioso per gridare, gridare con tutte le sue forze.
Confidarono certo nel temporale, nel fatto di essere in tanti,
nell’egoismo dei
poveri e nell’uomo che faceva da vedetta. Poi le imposero un
bavaglio. Uno di
loro la caricò sulle spalle. Rosalie percepì
l’umiliante tocco di due mani che,
per reggerla bene, si concessero il viscido piacere di tastarla.
Gridò contro
il bavaglio, chiamò il nome di Oscar, il nome di Bernard.
Tra le lacrime e la
pioggia, vide il vicolo che portava alla sua casa allontanarsi. Poi la
caricarono su una carrozza, lungo una via priva di testimoni.
L’ultimo che
entrò nell’abitacolo gridò qualcosa al
vetturino.
La carrozza si
lanciò furiosa nel temporale, e il cielo
sembrò ruggire di rimando.
______
Note.
-
Salve, sono il “Lato Martin” di Veronica Franco! Ho
preso
possesso di lei, MWAHAHAHAHAHAH! Eravamo stati troppo tranquilli, eh??
:P D’altronde
il rating è arancione per un motivo… che non
è quello eVotico!
Scherzi a parte, chiedo venia per questa improvvisata: mi sono accorta
che non
riuscirò a postare il capitolo 54 di Rivoluzione se non nel
week-end, ma non
volevo che rallentasse la pubblicazione di questo (che era
già pronto), né
postarne due in una sola domenica! Così, come a volte
è già successo, ho invertito
le date di pubblicazione delle due long che al momento sono sotto le
mie
grinfie. Quindi Rivoluzione
dovrebbe "uscire" tra giorno 6 e giorno 8 dicembre, e il
prossimo Cavaliere giorno 13, senza ritardi sul
ritmo complessivo. Lo dico
per chi segue entrambe le storie! Per chi invece segue solo questa,
confido che
l’anticipo sia gradito, e che l’attesa per il
prossimo, che sarà inferiore alle
solite due settimane, conforti la “trepidazione”
per la sorte della nostra
povera Rosalie. (E qui ci sarebbe da rispondermi: buuuuuh e
chissenefrega di
Rosalie!)
In ogni
caso… un abbraccio fortissimo a chi mi aspetta sempre!
Grazie di esserci!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Voi... siete un mostro ***
Sono
un idiota.
Se lo andava ripetendo tra un pensiero affannato e un altro, il giornalista Bernard Chatelet.
Fuori pioveva, la
sera stava avvolgendo ogni cosa d’umido e
freddo. La primavera sembrava lontana. E lui aveva il corpo in fiamme,
il cuore
che batteva solennemente d’una urgenza prima sconosciuta.
Soffriva per il
bacio con cui si era deliziato, prima. Il
sapore di Rosalie e la sua dolcezza erano come li aveva immaginati: un
miele
speziato e caldo, capace d’innamorarlo nell’intimo
di sé, fin nelle viscere,
svegliando quell’istinto possente che compete a un uomo.
Ma come aveva potuto
agire senza preoccuparsi di ciò che lei
provasse? Si era condannato al suo rifiuto, osando rivelarle il suo sentimento per
lei. E quel sentimento era affamato e ingordo, continuava a pascersi
della sua
mente e gli toglieva la serenità.
Non aveva mai
sentito, prima, il cuore rapito dall’amore,
Bernard. Nel tempo, aveva imparato cose utili, e il suo mentore,
Robespierre,
gli aveva insegnato a non cedere alle lusinghe dell’amore
senza tener vigile il
pensiero: ché sono insidiose, sirene rapaci, e chi non si
tura le orecchie al
loro richiamo diviene facilmente schiavo e sconfitto.
Un altro amore,
più grande e intenso, quello per la
Giustizia, sarebbe stato il vero sfogo ai bisogni dell’anima;
per i sensi,
c’erano molti luoghi in cui cercare ristoro, e molte donne
capaci di impegnare
una notte senza chiederti l’intera vita.
Bernard,
però, non era più sicuro di cosa sentisse.
Credeva
d’aver vissuto, in compagnia di Rosalie, la pace tanto
agognata. Dolce
preparare il cibo insieme, aspettando la loquacissima Madame Lucille, e
poi
lanciarsi occhiate divertite per tutti i pettegolezzi che lei
riversava, tra un
boccone e l’altro, a tavola; dolce osservare la fanciulla
cucire serenamente mentre
lui scriveva con passione; dolce raccontare e ascoltare; quegli occhi
azzurri e
grandi, dolci; dolci le sue mani calde e piccole; dolcissima la sua
bocca che
parlava gentile… e che si era spezzata come un frutto
d’autunno nel bacio di
poche ore prima, tremito dei sensi di Bernard.
Bernard strinse i
pugni. Avrebbe dovuto trattenerla,
quand’era venuta a vedere se avesse freddo. Scusarsi; invece
le aveva parlato
con arroganza, con dolore, e senza affrontare il suo sguardo. Aveva
temuto che,
a guardarla negli occhi, gli venisse ancora voglia di abbracciarla e
scoprirla,
strappandole il respiro e la sua voce sottile, dolce...
Dolce,
così dolce!, che si sentiva ribollire il sangue a
ricordare.
Era uscita, e poco
dopo erano suonate le otto di sera. Dove
poteva essere andata, con quella pioggia? Ma pochi minuti dopo, la
porta si era
riaperta e qualcuno era entrato, così si era
tranquillizzato. In cucina, udì dei
rumori conosciuti, qualcuno che preparava la cena. Gli si strinse il
cuore. Se
non avessero avuto alcun litigio… se lui non avesse perso la
testa, quel
pomeriggio, e con un bacio non avesse rovinato tutto…
sarebbe stato con lei, in
cucina, a giocare con la zuppa e farla ridere per quant’era
imbranato.
Quando
un’anima è sola, e si è costruita
intorno mura
accorte di ghiaccio, e torri da cui scoprire anzitempo i pericoli, non
si fa
cogliere mai di sorpresa da chicchessia.
Solo
dall’amore, si fa cogliere di sorpresa. Perché,
proprio
quando un uomo è convinto di avere solide difese, e di non
avere bisogno di
alcun amore, ecco che questo nasce al di qua delle mura, dentro la
fortezza,
non fuori!, ed è una disfatta atroce, perché
sembra di combattere una guerra
civile dentro il proprio cuore, tra ragione e sentimento.
Comunque vada, a
perdere sarà l’uomo stesso. E così
Bernard
si sentiva sconfitto; ma anche bisognoso come un bimbo.
Un’altra
cosa appartiene ai cuori solitari, ed è la
struggente tenerezza di scoprire l’armonia con un altro
cuore. Bernard era
sorpreso, attonito per quel potere magnetico che lo attirava a Rosalie.
Adorava
il loro modo di stare insieme, la loro serenità. Per questo
soffriva: sentiva
che non sarebbe più potuto rimanere da solo. Non ci sarebbe
riuscito, senza
ammazzare quella parte di sé, dolce e calda, che era nata
semplicemente perché
all’orizzonte era arrivata lei. Lui non voleva ammazzare
quella parte di sé.
Non voleva tornare indietro, e anche se amava combattere e
l’ardore di Giustizia
era ancora vivo in lui, sentiva di sospirare anche il riposo del cuore,
il
senso di casa. Rosalie era entrambe le cose, e lui la desiderava.
A un tratto,
qualcuno bussò alla porta. Bernard, che era
seduto senza soluzione sul bordo del letto, e contemplava spento la
candela
fioca, si drizzò tutto.
–
A… avanti. – disse di slancio. Stavolta avrebbero
parlato.
Sarebbe stato più uomo e meno vigliacco. Doveva farsi forza.
La porta si
aprì, e subito Bernard si protese verso chi
stava entrando.
Ma al posto di
Rosalie, la figura robusta di Madame Lucille
si stagliò nella cornice della porta, con viso allegro.
– La cena è servita,
ragazzi! – disse, prima ancora di accorgersi che Bernard era
solo.
–
… buonasera, Madame Lucille… –
mormorò lui, sulla
difensiva. E guardò dietro di lei, credendo che Rosalie
comparisse insieme alla
donna.
Lucille
strabuzzò gli occhi. – Oh, siete solo…
che strano,
credevo che foste insieme… dunque non ho voluto
disturbarvi… – ammise, facendo
pure un sorrisetto.
– Ma
Rosalie non è qui. – disse Bernard, aggrottando la
fronte.
– Lo
vedo… – disse Madame Lucille, spegnendo il sorriso
e
facendosi molto pensierosa. – Dov’è
andata? Lo sapete?
–
… no. – disse Bernard, a denti stretti.
– Come
sarebbe a dire? Siete stato qui finora.
–
Io… ho sentito la porta, prima… credo sia uscita
allora.
Poi ho sentito un altro colpo… ero convinto fosse rientrata.
Magari era venuta
a prendervi al mercato, con questa pioggia…
–
… aveva detto qualcosa del genere, ma non doveva, povera
ragazza… fuori con questo tempaccio… –
guardò dalla finestra, visibilmente
preoccupata, adesso.
– Madame
Lucille, quanto tempo ci vuole per raggiungere il
mercato?
– Un
quarto d’ora circa…
– E voi da
quanto tempo siete qui?
–
Un’ora… forse un poco di meno…
– Allora
perché non è già qui? –
scattò Bernard, che dava
sfogo all’ansia facendo gran voce.
–
… si sarà attardata da qualche vicina?
Avrà cercato un riparo
per non prendere tutta la pioggia?
–
… dov’è il mio mantello? –
chiese Bernard, alzandosi in
piedi all’improvviso.
– Che cosa
avete intenzione di fare? Voi siete stato male,
avete delle ferite… – disse Madame Lucille,
cercando di placarlo. – Andrò io a
cercarla…
– Sto
benissimo, sono guarito ormai. – sbottò lui,
parandosi
di fronte alla donna e sovrastandola in altezza. – Vi prego,
datemi il mantello.
Madame Lucille
tentennò, poi annuì gravemente. –
Va… bene.
Bernard
vagò inutilmente sotto la pioggia. Si inzuppò i
vestiti, fino alla radice della ferita che stava appena rimarginandosi.
Ignorò
il disagio, il dolore sordo al petto, ogni cosa, per frugare tutti i
vicoli
intorno.
La pioggia lo
protesse da eventuali attacchi di bande armate
di bastoni; ma al contempo isolò ogni suo tentativo, e man
mano che avanzava, o
tornava sui suoi passi, cercando la via del mercato e osservando senza
sosta i
baracchini vuoti, la speranza gli tremò in cuore. Lo
sconforto lo riempì come l’acqua
un vaso, quando da giorni i fiori vi marciscono dentro e nessuno la
cambia.
Una campana lontana
suonò, nella pioggia di ovatta, le dieci.
In quel momento,
Bernard alzò il viso al cielo che piangeva,
e proruppe in un grido.
ROSALIE!
***
Nella stanza
c’era un camino acceso. Rosalie, bagnata di
pioggia e di lacrime, stette a lungo in silenzio, in un angolo di
quella stanza
dai lussuosi arredi, col suo baldacchino di seta e ricami dorati, le
sue tende,
la sua opulenza. Osservava il fuoco da lontano, abbandonata al suolo ad
abbracciarsi tutta. Aveva ancora i polsi e le caviglie rossi per le
corde con
cui l’avevano legata, e gli stessi abiti che portava quando
l’avevano rapita poche
ore prima, sporchi di fango perché per immobilizzarla
l’avevano costretta a
terra, mentre la pioggia scendeva.
Non c’era
altra luce che quel camino. Gli oggetti preziosi
rimandavano riflessi sinistri, tutt’intorno a lei. Rosalie li
aveva riconosciuti
tutti. Di quella maledetta stanza conosceva ogni angolo. Non era a
Versailles,
ma nel palazzo dei Polignac: quello che abitavano prima che la Contessa
entrasse nelle grazie della Regina. E quella era stata la stanza della
bambina
Charlotte.
La porta,
d’un tratto, si aprì. Rosalie non mosse un
muscolo, spenta in viso mentre contemplava la danza delle fiamme. Non
guardò
nemmeno chi fosse entrato, apatica. Il fruscio di una gonna lunga e di
uno
strascico prezioso le rivelò chi fosse, molto prima di
guardare.
Dopo una breve
pausa, colei che era entrata si avvicinò
ancora. Si fermò di fronte a lei, e Rosalie poté
vedere l’orlo dell’abito blu,
dalla fantasia a fiori, che avrebbe riconosciuto tra mille.
– Alzati.
Sei fradicia, sporca… e ridicola.
La voce di Yolande
Martine Gabrielle de Polignac era
suadente anche negli insulti. Rosalie ebbe un moto di rabbia,
impercettibile.
Strinse le palpebre tra loro, per un istante; sotto la bocca chiusa,
strinse i
denti.
– Ti hanno
dovuto portare a forza, mi hanno detto.
Rosalie
restò immobile. Non c’era argine
all’odio, se non il
silenzio. In esso si rifugiò, cercando di ignorare ogni
parola, e perfino la
presenza di quella donna nella
stanza.
– Se ti
hanno ferita, saranno puniti. – disse Yolande, con
voce grave.
Rosalie cedette, la
voce sgorgò spontanea da ogni buon
proponimento. – … e come… ? Li
pagherete meno di quanto avete promesso? –
disse, le parole dense di sarcasmo che sibilavano tra i denti.
– Bene.
Credevo ti avessero tagliato la lingua. – replicò
Yolande, con un sorriso soddisfatto.
Rosalie si morse le
labbra.
– Alzati,
ho detto. – ripeté la Duchessa. – Devi
ripulirti.
Poi farò portare la cena.
La ragazza chiuse
gli occhi, restando a terra, le braccia
intrecciate tra loro e le gambe piegate su un lato. Aveva freddo,
eccome,
tremava: ma non avrebbe obbedito.
–
Prendetela e spogliatela. – ordinò allora Yolande.
Due donne
in abiti da cameriera uscirono dalla tenda che nascondeva la porticina
della
servitù. Rosalie fu raccolta da terra, tirata per le
braccia. Delle due donne,
una era particolarmente robusta, ed ebbe facilmente ragione di lei.
Senza
badare alle sue grida e alla sua resistenza, le strapparono di dosso i
vestiti.
Rosalie si ritrovò nuda al cospetto della Duchessa, tremando
come una foglia
per il freddo, con gli occhi bassi e rossi di vergogna.
Cercò di coprirsi con
le mani e le braccia, quantomeno i seni e la propria natura di donna; e
in quel
momento due lacrime ardenti le solcarono il viso, tristi fiori
dell’umiliazione.
Yolande
osservò le tracce dei cordami ai polsi e alle
caviglie. Fece una smorfia di disappunto.
– Avevo
dato istruzioni precise che non ti torcessero un
capello. Ma evidentemente li hai costretti tu a queste misure
drastiche.
Rosalie
alzò gli occhi sul volto di sua madre. Sentì la
rabbia soffocarla, la frustrazione avvelenarle il respiro. Yolande
sostenne il
suo sguardo, contemplandola con occhi di ghiaccio.
Le due cameriere
predisponevano il bagno, nel frattempo.
Versarono acqua calda in una vasca e la miscelarono con altra fredda,
prepararono profumi e unguenti e panni puliti.
Rosalie ristette al
freddo tutto quel tempo, sotto gli occhi
penetranti di Yolande, e non vi fu bisogno di parlarsi per sapere
ciò che
provavano in quel momento. Una odiava, e digrignava rabbia tra i denti.
L’altra
trionfava, e sorrideva con la pace di un fiocco di neve che scivola al
suolo.
– Signora
Duchessa, il bagno è pronto. – avvisò
una delle
due donne.
Yolande si
scostò. – Bene. Procedete.
Rosalie
tentò di sfuggire alle mani delle due ancelle,
quando si avvicinarono di nuovo. Ma Yolande
l’ammonì.
– A cosa
ti serve fare così, cara? È solo un bagno.
La donna
più robusta afferrò Rosalie per le spalle, e la
condusse verso la vasca.
–
Lasciatemi! – gridò Rosalie, divincolandosi.
L’ancella
si impegnò a fondo per costringerla a raggiungere
la vasca, e vi riuscì con qualche sforzo.
– Cosa
c’è? Non ti aggrada il trattamento? Scommetto che
preferiresti
farti servire dalla tua amica.
Rosalie
guardò Yolande con gli occhi sgranati. La Duchessa
parlò con tranquillità, come se stesse
discorrendo durante una partita a carte.
– Si chiamava
Amelie, non è vero?
Rosalie
sentì il cuore stringersi. Conosceva troppo bene
quella donna, per non decifrarne le parole.
–
Cosa… avete fatto… ad Amelie?
Yolande rise.
– È viva, non temere! È tornata a casa
sua.
Credo che ormai… le siano spariti anche i segni delle
frustate, dalla schiena.
Rosalie si
sentì sprofondare. Amelie...
***
Era stata Amelie a
parlarle di Charlotte. La contessina, che
era stata una fanciulla altezzosa a Corte, troppo presto abituata
all’Alta
Società, in casa era un fiore delicato, i cui capricci
potevano essere
facilmente perdonati. Giocava ancora con le bambole, di nascosto da sua
madre,
e spesso sua compagna di giochi era proprio Amelie, che aveva appena
sedici
anni. Amelie aveva voluto bene alla contessina.
Poi era accaduto il
peggio. A undici anni, Charlotte fu
promessa sposa a Roland de Guise, un uomo di quarant’anni.
Amelie aveva
raccontato a Rosalie che al ritorno dalla cena di fidanzamento,
avvenuta al
palazzo del Duca, Charlotte pianse tutta la notte, senza riuscire ad
addormentarsi se non abbracciata a lei. Charlotte confidò ad
Amelie che quando
il Duca la guardava lei aveva paura. Amelie cercava di consolarla, ma
era
inutile. La ragazzina diventava sempre più intrattabile.
Gridava spesso a sua
madre che non voleva sposarsi, che non voleva quell’uomo. La
Duchessa, allora
Contessa, intimava allora ad Amelie di lasciarle sole. E quando Amelie
tornava
dentro per completare la toeletta della contessina, la trovava spenta.
Charlotte diventò taciturna, e per nascondere le occhiaie
dell’insonnia sul suo
viso, Amelie doveva coprirle il viso di belletto. E la ragazzina teneva
sempre con
sé una rosa bianca, che si sgualciva inesorabilmente.
Rosalie sapeva anche
da chi l’avesse presa, quella rosa
bianca.
–
Rosalie! Che
succede? Non sei andata al ballo con Oscar?
–
No, André. Quella
donna, Madame Polignac, sarà anche lei a Versailles questa
sera. Più la vedo,
più sento di odiarla. E oggi è
l’anniversario della morte di mia madre. Non so cosa
potrei fare, se la vedessi oggi.
–
Allora buonanotte,
Rosalie.
–
Buonanotte, André…
no, aspetta!
–
… sì?
–
Porteresti… un fiore
a Madamigella Oscar? Per me. Per favore, dille che sto bene, e non sono
triste.
–
… va bene, Rosalie.
A domani, allora.*
E così,
André aveva scelto una rosa bianca. Oscar la portava
già al petto, quando incontrò Charlotte presso
una fontana, nei giardini di
Versailles.
Oscar poi si
confidò con André, a casa. “Charlotte
piangeva
a dirotto. Le ho lasciato la rosa bianca che mi hai portato
tu.”
“Povera
contessina,” disse André di rimando,
“tutti parlano
del suo prossimo matrimonio con Roland de Guise… ma lei
è così piccola ancora”.
Quando aveva sentito
queste cose, Rosalie, si era
arrabbiata. L’odiosa contessina aveva preso la rosa bianca,
il suo dono per
Oscar!
Poi ci fu la
scoperta orribile delle proprie origini, la
consapevolezza che Madame Polignac non fosse solo la causa della morte
di
Nicole Lamorlière, la sua balia, la sua insostituibile madre
adottiva; Madame
Polignac era quella Martine Gabrielle che l’aveva data alla
luce e abbandonata
alla nascita, affidandola a Nicole.
Come
può Dio avermi
fatto questo?
Così
aveva gridato il cuore di Rosalie, e solo con molta
fatica e sofferenza si era calmato.
Poi, poi, tante cose
erano accadute, turbini d’anima e
pensiero, finché… Charlotte si uccise. Dopo un
incontro privato con Roland de
Guise, pettegolezzo, questo, che in seguito corse di bocca in bocca tra
la
servitù e i nobili, soffocato solo dal potere della
Polignac.
Tutti, anche Rosalie
stessa, avevano visto precipitare
Charlotte dopo aver lanciato, dall’alto del tetto…
una rosa bianca.
Rosalie provava
ancora un dolore acutissimo, a quel ricordo.
Non poteva credere d’aver avuto così tanto in
comune con Charlotte e non
essersene accorta. Una sorella che avrebbe potuto forse amare, se solo
la sorte
fosse stata diversa…
Dopo qualche tempo,
dopo lo scandalo dell’Affare della
Collana e la fuga di Jeanne, la Duchessa di Polignac colse
l’occasione
favorevole per ricattare Rosalie. Vieni a
vivere con me, o io racconterò a tutti che la tua
Madamigella Oscar protegge la
sorella di Jeanne Valois.
Dunque Madame
Polignac sapeva che Jeanne era figlia di
Nicole Lamorlière; sapeva che Rosalie era cresciuta con lei.
All’inizio,
Rosalie si spiegò il ricatto di Madame Polignac
come un atto di gelosia e perfidia. Poi, però,
pensò che potesse esserci anche
un fondo di verità: forse era vero che dopo la morte di
Charlotte, Yolande si
sentisse molto sola. E non aveva altra arma che il ricatto, per
avvicinare la…
figlia a sé.
Così
Rosalie aveva deciso il bene di tutti. Più di ogni
cosa, seguendo Madame Polignac Rosalie avrebbe protetto Oscar,
liberandola
dalla sua scomoda presenza e dalle ritorsioni della Duchessa. Per
sempre.
Arrivata al palazzo
dei Polignac (non a Corte, Yolande
ritenne saggio non rivelarla subito agli altri nobili), Rosalie aveva
conosciuto il luogo in cui Charlotte aveva passato
l’infanzia. Letto i suoi
diari, osservato le sue bambole, pur senza giocarci. Era vissuta in un
opulento
reliquiario, dove ogni oggetto raccontava della sua piccola
sorellastra, figlia
della sua madre naturale e di un padre diverso.
Ma era stata
l’unica dolcezza di quei giorni. Yolande non
era cambiata. Non frequentava mai quel palazzo, impegnata
com’era presso la
Regina. L’abbandonò una seconda volta, visitandola
solo di rado, come fosse una
pura formalità.
Rosalie non poteva
amarla, con dolore sapeva di non poterci
riuscire. Inoltre, più imparava su Charlotte, più
odiava quella donna che l’aveva
data alla luce, come se già non bastasse che avesse ucciso
Nicole Lamorlière, l’unica
che considerasse madre, e minacciato la serenità di
Madamigella Oscar.
Poi, una mattina,
durante la toeletta mattutina Amelie le sussurrò,
concitata e spaventata, cosa aveva sentito dal resto della
servitù. Roland de
Guise, il… fidanzato di Charlotte, avrebbe avuto presto una nuova sposa.
Fuggire era stata
l’unica soluzione. Grazie ad Amelie, che
di notte le aveva aperto le uscite della servitù.
***
Ora, Yolande aveva
ritrovato Rosalie. E a farne le spese era
stata proprio Amelie, purtroppo.
–
Voi… siete un mostro. – disse Rosalie, incapace di
gridare, ormai, nuda e intirizzita, sfinita.
– Vorresti
incolpare me? Tu
hai causato dolore a quella ragazza. Cosa credevi, che non mi sarei
chiesta chi
ti avesse aiutata a fuggire? Che non l’avrei interrogata? Se
tu fossi stata
meno ribelle e più saggia, lei sarebbe ancora qui a
servirti. Magari avresti
potuto portarla con te nella tua nuova
casa, e la sua famiglia avrebbe prosperato. Invece adesso
nessuno l’accetterà
mai più a servizio. Davvero triste, spero che la sua povera
mamma malata...
– VOI
siete un mostro! VOI! – gridò Rosalie, e
scoppiò in lacrime
strazianti. Si accasciò, la donna di servizio dovette
prenderla in braccio per
adagiarla nella vasca. Rosalie si abbatté del tutto,
mischiò le proprie lacrime
all’acqua che doveva lavarla.
Yolande la
osservò piangere. Poi, senza aspettare che smettesse:
–
Tornerò per la cena tra un’ora. Mi aspetto da te
una
condotta impeccabile. Non vorrei che questi mesi tra i bifolchi ti
avessero
fatto dimenticare le maniere appropriate.
Yolande fece qualche
passo, fino alla porta. Poi, un attimo
prima di uscire, si volse a sorriderle.
–
Bentornata a casa, figlia mia.
____________________
Note.
* Il dialogo tra
Rosalie e André è preso dalla puntata 19,
ma con qualche aggiunta finale, per inserire il motivo della rosa
bianca
misteriosamente appuntata sul petto di Oscar all’incontro con
Charlotte.
- Anche qui,
approfitto del capitolo per fare gli auguri!
Buone Feste a tutti! Fino al 4 gennaio sarò altalenante: non
credo di
riuscire ad aggiornare con previsioni precise, anzi, probabilmente
sarò in vacanza anche con la scrittura… ma
chissà, qualcosina potrebbe comparire :D In quel caso,
sarà una
sorpresa! Un abbraccio enorme a chi segue questa storielluzza, lascia
un
saluto, un commento positivo o critico... o anche soltanto un pensiero
pensato. :***
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Devo portare avanti la MIA missione ***
Pioggia, gelo, un
macigno nel cuore. Queste cose aggredirono
Bernard fin nelle ossa, mentre la sua corsa tra i vicoli lo conduceva
lontano,
dal quartiere del Tempio a quelli attigui, per strade che gli parvero
un
labirinto.
Chiamava Rosalie a
gran voce, come si invoca Dio in un
deserto. Ma poiché nessuno rispondeva, e quel ruggire non
aveva alcun esito, la
frustrazione lo abbatté sempre di più.
Gli venne a un
tratto la speranza che, mentre lui si dannava
tanto a cercare, Rosalie fosse già tornata a casa; che
burla, aver perso ore e
coraggio per le strade e in quel freddo, mentre lei era già
al sicuro… ma
Bernard temeva che una simile fortuna non si potesse avverare. Era un
presentimento funesto, il suo. Qualcosa doveva essere accaduto; e
Bernard
pregava che non fosse niente di irreparabile, e che Rosalie comparisse
ad ogni
nuovo angolo a cui svoltava, per poterla abbracciare come
un’altra volta,
quando la salvatrice era stata lei e lui l’incauto.
Un freddo terrore lo
bagnò, poi, quando ricordò la sua
recente esperienza con gli uomini del popolo che l’avevano
aggredito. Com’era
vestita, Rosalie, quand’era uscita di casa? Era troppo in
ordine? Perfino tra i
poveri c’erano gerarchie, e sebbene la fanciulla non
ostentasse abiti ricchi,
teneva a un certo decoro, a gonne senza toppe, a mantelli senza buchi
(retaggio, forse, di una vita condotta per metà negli stenti
e per metà negli
agi migliori); era più che sufficiente perché la
derubassero. E bella com’era,
era possibile anche che…
Dio
mio, fa’ che io la
trovi.
Erano anni che non
pregava, Bernard. Ma nominò Dio a ogni
istante di quella corsa, immerso nella luce della lanterna che accecava
tutto
intorno a sé, permettendogli di scorgere solo pochi metri
per volta.
Nella foga,
urtò qualcosa. Diede un calcio involontario a un
oggetto piccolo, il cui suono metallico andò a impattare
contro il muro di una
casa. Si chinò a raccoglierlo. Era una tazza di latta, da
cui fuoriuscirono due
monete da un soldo. Bernard fece una smorfia, e lasciò
cadere tazza e
contenuto. Ma proprio lì accanto, al riparo dal battere
della pioggia, la luce
della lanterna gli svelò un luccichio per terra. Uno scudo
d’argento ammiccava
nella fanghiglia prossima al muro. Bernard raccolse anche quello,
profondamente
colpito.
Due soldi di bronzo
erano più o meno il prezzo di un
giornale, poca cosa per un uomo tutto sommato benestante, come Bernard;
ma se
si pensava che altrettanto costava all’incirca una libbra di
pane,
indispensabile razione giornaliera di cibo per chi viveva nella
miseria… ecco che
due soldi di bronzo non erano più così vili da
essere abbandonati. E se già
pareva strano che un mendicante fosse sparito senza quei 2 soldi, era
praticamente assurdo che qualcuno avesse perduto o lasciato a terra lo
scudo
d’argento, che equivaleva a ben 120 di quei soldi!*
Su questa base,
Bernard immaginò che chi avesse
“dimenticato” il denaro non ne avesse davvero
bisogno; chi l’aveva offerto,
invece, doveva essere una persona benestante, che poteva separarsi da
una somma
simile senza paura. In ogni caso una persona generosa.
Gli venne in mente solo una possibilità, e il pensiero fu
doloroso e dolce insieme.
Riprese la sua
corsa, con lo scudo d’argento in una mano e
la lanterna ad accecare ogni altro vicolo, tranne la via di casa.
– Allora?
– Bernard fu accolto da una Madame Lucille in
preda all’ansia più nera. Fu ancora peggio quando
la donna lo guardò in viso,
fradicio e stravolto da far paura, e al suo seguito non comparve
nessuno.
– Oh, Dio
benedetto… dove può essere? Cosa le
sarà capitato?
Santo Cielo, povera cara, povera cara!
A contrasto
dell’agitazione della donna, Bernard si fermò
presso il braciere della cucina, muto e pallido come uno spettro.
– Sono
tornato nella speranza che lei fosse venuta qui, nel
frattempo. – mormorò, con tono meccanico.
– Tornerò subito a cercarla. Ma
prima…
–
… aspettate… mangiate qualcosa,
almeno… cambiatevi gli
abiti, e…
– Non
c’è tempo. Dovete dirmi dove tenete il denaro che
Oscar ha mandato a Rosalie.
Madame Lucille
esitò. Poi, di fronte all’espressione dura di
Bernard e ai suoi occhi accesi, cedette. Si mise in ginocchio presso il
piccolo
giaciglio che Rosalie aveva occupato, in cucina, per lasciare a Bernard
il
letto della propria stanza. Lo spostò, facendo strisciare la
struttura di legno
al suolo. Bernard la aiutò immediatamente. Ed ecco, a
ridosso del muro, una
botola chiusa da un lucchetto, che Madame
Lucille aprì con una chiave. – Ecco…
Aprirono la cassa
contenuta all’interno della botola. Madame
Lucille ne trasse alcuni sacchetti, con il denaro contato
all’interno.
Bernard prese alcune
monete, tutti scudi d’argento. Esaminò
quello che aveva trovato a terra, e quelli che appartenevano al piccolo
tesoro
donato da Oscar.
L’istinto
gli diceva che l’unico indizio che aveva trovato
avesse legami con Rosalie; era una speranza minima, perché i
soldi si
assomigliano tutti e chissà, in quel quartiere
c’erano altri poveri abbastanza
benestanti da tenere denaro simile. Ma se c’era qualcosa
fuori posto, anche minima,
che gli desse una pista, doveva scovarla. Si diede a confrontare le
monete tra
loro con febbrile attenzione.
Testa:
l’effigie del Re, contornata da una sigla che
significava “Luigi XVI Re di Francia e Navarra”.
Croce: il simbolo della corona
di Francia, incastonata tra due rami d’alloro.
Erano monete
piuttosto recenti: 1787, lesse Bernard… ed ebbe
una sorpresa. La stessa data era impressa sia sulla moneta che aveva
trovato
nel fango, sia sulle altre donate da Oscar!
E non solo. Bernard
quasi saltò di gioia quando vide, sotto
lo stemma della corona, il simbolo “AR” impresso su
tutte le monete, sia quella
trovata a terra, sia quelle del piccolo tesoro*.
–
“AR”, non “A”. Dunque questi
scudi non sono stati coniati
a Parigi. “AR” è il marchio di zecca di
un’altra città… ma quale?
–
Co… come dite? – balbettò Madame
Lucille, che di tutte
quelle elucubrazioni aveva capito ben poco.
Bernard la
guardò, ma non badò a lei. Il suo sguardo era
lontano, perso nel suo ragionamento. – Forse Metz?
No… – sussurrò tra sé e
sé.
– Metz batte moneta col simbolo “AA”.
“AR”… ma certo! – la voce gli
vibrò di
trionfo. – È Arras.
Arras, la
città dei Robespierre, nell’Artois, nel Nord della
Francia. Gli scudi donati da Oscar recavano tutti il marchio di Arras.
Come
mai, si chiese Bernard?
–
Non… non riesco a capirvi. – fece Madame Lucille,
frastornata.
Bernard si
alzò in piedi. Le lanciò un’occhiata
diretta, con
un ghigno nervoso, a metà tra la gioia e l’ansia.
– Ho
trovato questo scudo a un angolo della strada, poco
lontano da qui, abbandonato per terra. Ha la stessa data di conio e lo
stesso
marchio di zecca degli altri scudi che tenete in casa. Da dove vengono?
Sono
tutti di Oscar?
–
… sì… sia gli scudi, che le altre
monete… non avevamo più
denaro da parte, quando Madamigella Oscar ci ha mandato il suo
dono…
Bernard
osservò le due monete da un soldo che aveva trovato
dentro la latta abbandonata. Le date erano molto più
indietro: 1740 una, 1757
l’altra. Ed entrambe avevano “A” come
segno di zecca: erano state coniate a
Parigi, dunque. Il mendicante poteva essere di Parigi…
– Non
è un segno così definitivo…
– mormorò Bernard,
riflettendo. – Il denaro è sempre in movimento. Ma
che tutti gli scudi di
questo gruzzolo siano dell’anno scorso, e coniati ad Arras,
ci dà abbastanza
certezza che anche quello scudo fosse di Rosalie…
– una piccola pausa, poi
aggiunse – Arras, chissà perché.
Immagino che un nobile possa ottenere
facilmente grandi somme di denaro di nuovo conio. Madame Lucille,
– chiamò, e
la donna si chinò verso di lui, sollecita, – vi
risulta che la famiglia di
Oscar… i Jarjayes… abbia possedimenti ad Arras?
–
No… non saprei proprio. Non sapevo nemmeno che si
chiamasse così, la famiglia di quella nobile signora.
– Rosalie
ha vissuto presso di loro per molti anni. Forse
loro potrebbero…
Madame Lucille
strabuzzò gli occhi. – Presso di loro! Cielo!
Dite davvero?
– Me
l’ha raccontato lei stessa. Ma voi… non lo
sapevate? –
si stupì Bernard a sua volta.
Madame Lucille
scosse il capo. – Io no… non so nulla di
questo.
Bernard
dedicò un pensiero alla riservatezza di Rosalie:
possibile che a Madame Lucille, sua benefattrice, non avesse raccontato
nulla
del passato? A Madame Lucille no, ma a lui, Bernard,
sì…
– E
voi… non le avete mai chiesto niente del suo passato, da
quando è venuta ad abitare qui?
–
Ecco… ho pensato non fosse il caso. Era… molto
provata, e…
– Provata?
Perché? Quanto tempo fa è successo? –
incalzò
Bernard, ma poi, accorgendosi d’aver messo in soggezione la
donna, cercò di
rilassarsi. – Vi prego. Ditemi quello che sapete.
–
Ecco… io so solo che, una mattina, ormai più di
sei mesi
fa, lei venne a bussare alla mia porta. Era l’alba, io mi ero
alzata presto per
andare al lavoro. Aveva camminato tutta la notte, povera cara. Non mi
disse da
dove veniva, ma era stravolta. Sembrava aver scampato un terribile
pericolo.
Era scossa, poco mancò che piangesse. Ricordo
però che aveva un abito scuro, di
magnifica fattura: semplice, senza disegni, ma c’era seta,
c’era velluto. Il
giorno dopo, fece quel vestito a pezzi: ci ricavò una
mantella e un abito più
leggero. Me li fece vendere al mercato, e disse che il ricavato sarebbe
stato
mio, per ripagarmi del disturbo. Io però le chiesi se avesse
un posto dove
andare, mi disse di no, che non sarebbe più tornata
indietro. Allora la presi
in casa con me, come una figlia…
Bernard
ascoltò ogni parola con gli occhi sgranati e il viso
via via più perplesso. Quella che Madame Lucille le stava
dipingendo era una
vera e propria fuga. Ma da dove era fuggita Rosalie? Dalla casa di
Oscar?
Impossibile, dopo tutte le note d’amore che la ragazza le
aveva riservato.
Rosalie non era fuggita dalla casa di Oscar; ma allora da dove?
–
… ma come mai adesso
vivi qui? Perché non sei rimasta con Oscar?
–
Il mio posto è qui.
–
Qui?
–
Qui, tra la povera
gente.
–
Preferisci questo
posto agli agi di un palazzo?
–
Ho visto Versailles,
sapete. Ho conosciuto i nobili.
–
… davvero?
–
Madamigella Oscar e
la sua famiglia… sono veramente pochi i nobili come loro. Il
resto… il resto…
Bernard ricordava
molto bene la rabbia di Rosalie, quando
gli aveva raccontato quelle cose. E non solo…
–
Vuoi ancora vendicarti?
–
No.
–
…
perché?
–
…
perché non voglio che l’odio per lei mi
distrugga.
C’era un
buco, nel passato di Rosalie. La ragazza si era
confidata, ma non abbastanza; e Bernard sospettò che fosse
proprio in
quell’ombra oscura che si celava la chiave del mistero.
– Che
sia… che sia andata da quella Madamigella che abbiamo
curato? Visto che ha abitato con lei, forse… –
stava intanto azzardando Madame
Lucille, con un’ombra di speranza in viso.
Bernard avrebbe
voluto condividere quella speranza. Forse la
ragazza era solo fuggita da lui, dal suo bacio, dai suoi sentimenti, e
ritrovato la sua adorata Oscar; ma perché farlo adesso,
pensò? Perché non farlo
sei mesi prima, invece di bussare alla porta di Madame Lucille? Bernard
strinse
nel pugno lo scudo d’argento che teneva insieme il fragile
filo della sua
ricerca. No, si disse sconsolato. Non era il caso d’essere
ingenui.
– Vi
avrebbe avvisato, se fosse andata da Oscar. No… è
accaduto qualcosa di più grave.
Madame Lucille
gemette. – Ma allora… dovremo subito denunciare
la sparizione…
– Avete un
coltello? – tagliò corto Bernard.
– Mio
Dio… cosa volete fare? – chiese Madame Lucille,
mentre
il giovane, senza aspettare risposta, si mise a frugare tra i cassetti.
Appena
trovò ciò che cercava, Bernard si sedette. Si
guardò
intorno. Sul braciere c’era ancora la pentola dello stufato,
che brontolava
sommessa; sul tavolo, il cesto del lavoro di Rosalie. Il giovane gli
gettò
un’occhiata addolorata, poi agguantò un lembo del
mantello, tagliò e tirò. Con
lo strappo, ottenne una lunga fascia scura. Mentre Madame Lucille lo
fissava
attonita, Bernard ricavò due buchi. Poi, con movimenti
rapidi, portò la fascia
al viso, i buchi all’altezza degli occhi. Legò le
estremità sopra la nuca,
fittamente.
Madame Lucille, nel
vederlo in quello stato, si tenne il
cuore con una mano, e con l’altra si coprì la
bocca.
Quando fu pronto,
Bernard si alzò, e nei buchi della
maschera gli occhi gli brillarono di sinistra determinazione.
– Prendo
in prestito il coltello. – disse.
– Dove
andate… ?
–
Tornerò con lei. O non tornerò affatto.
– Oh,
Monsieur Bernard! Chiamiamo la Guardia, non fate
sciocchezze…
–
Chiamatela voi se volete, Madame Lucille. – disse lui,
tetro. – So che non mi tradirete.
– Non vi
tradirò. – ammise la donna, seria. – Ma
sarà
rischioso, e voi siete stato molto male.
Bernard sorrise,
addolcì la fronte in un’espressione triste.
– Se non riesco a ritrovarla… a cosa mi
è servito diventare il Cavaliere Nero?
Il Cavaliere Nero
camminò sotto il temporale per un altro
lungo tratto di strada. Prima seguì una strada parallela a
Rue du Temple, poi
svoltò appena si trovò nei pressi dei
Carmelitani. Tagliò per i vicoli,
superando Rue Denis e Rue Martin in corsa. Nel frattempo, la pioggia
gli diede
una tregua. Questo lo rese più furtivo, attento che non ci
fossero pattuglie
della Guardia Parigina: la sua lanterna lo avrebbe reso facilmente un
bersaglio. Presto riuscì a scorgere la sagoma luccicante del
Palazzo Reale, che
dormiva poco ogni notte, per via del fervore dei suoi salotti.
Il Cavaliere Nero
spense la lanterna e tentò la consueta via
di un cancello secondario.
– Chi va
là? – gridò un guardiano.
– Aprite!
– ribatté il Cavaliere, mostrandosi alla luce con
la maschera che, da sempre, gli faceva da lasciapassare. Riconobbe
Caron, un
uomo che l’aveva sempre aiutato, insieme agli altri della
banda. Era di guardia
proprio la notte in cui Oscar l’aveva portato via,
puntandogli una pistola alla
schiena.
– Sono io.
– rincarò il Cavaliere.
Caron, dal suo
canto, sgranò gli occhi. Chiamò altri
guardiani, riparati all’interno delle scuderie vicine.
– Venite! Il… Cavaliere
Nero è tornato.
Il Cavaliere fu
fatto entrare, finalmente. Riconobbe, oltre
a Caron, altri tre dei suoi antichi compagni. – Ho bisogno di
un cavallo. –
disse, senza troppi convenevoli. Si diresse alle scuderie. –
Gli altri dove
sono?
– Sono
fuori. Mentre tu non c’eri, abbiamo continuato il
lavoro… – disse Caron, poi diede
un’occhiata agli altri.
Il Cavaliere,
intanto, varcata la soglia delle scuderie
cercava già tra i cavalli.
Caron gliene
indicò uno. – Ecco il tuo solito. Spartacus.
È
tornato qui, la notte in cui sei sparito…
Il Cavaliere fece un
ghigno compiaciuto. Già, Spartacus.
Prima si chiamava in qualche modo stupido: era stato lui a
ribattezzarlo per le
sue imprese.
I cavalli a
disposizione della banda non appartenevano al
Duca d’Orleans, che aveva scuderie private nella parte del
palazzo che abitava
lui solo. La maggior parte di quei cavalli era stata rubata. Ma alcuni
erano
doni, a quanto pareva, di borghesi ricchi, banchieri, avvocati,
mercanti,
anonimi ma favorevoli, in segreto, alle cause dei ribelli. Bernard si
chiese se
il finanziatore dei fucili fosse nel novero di questi benefattori
segreti.
Intanto, i quattro
che lo accompagnavano lo osservavano con
attenzione. – Ti abbiamo creduto morto. – disse uno
di loro. – Quando il falso Cavaliere
Nero è uscito con quel Colonnello, e tu sei uscito dopo di
loro per
riacciuffarli, non sei più tornato qui. Solo Spartacus
l’ha fatto. Pensavamo
che dopo ti avessero presto. E che ora fossi in prigione… o
giustiziato.
Bernard
rifletté. Avrebbe dovuto metterli a parte del fatto
che a uscire con Oscar era stato lui stesso, e che il Cavaliere Nero
all’inseguimento era André? E valeva la pena
informarli d’essere stato sì
prigioniero, ma di averla scampata grazie al patto con Oscar?
–
È stata una sorpresa venire a sapere da Monsieur
Robespierre che eri vivo. – disse un altro dei quattro.
– Se non ce l’avesse
detto lui, che si trattava del vero Cavaliere Nero… non ci
avremmo creduto. –
aggiunse quello, con toni allusivi.
–
Già! – sbottò un terzo, chiamato Joly.
– Che cosa
significa che hai voluto comprare i fucili? Hai corrotto il Colonnello, o è stato lui a corrompere te?!
– Mi
ricordo… voi non li avreste voluti comprare, mi è
stato
riferito. – sibilò il Cavaliere Nero, mentre
legava saldamente i finimenti di
Spartacus.
– Era una
cosa troppo assurda, perché venisse da te. –
sputò
fuori con rabbia Joly.
– Veniva
da me. Il Colonnello non c’entra nulla. – disse
Bernard, senza sapere fin dove potesse spingersi con la
verità e con i
sotterfugi. – Sono scappato a stento da quei due maledetti.
Sono stato nascosto
per guarire da una ferita. Mi hanno sparato, e per poco non mi hanno
ucciso.
I quattro erano
ancora indecisi. Bernard constatò con
dispiacere che, nei due mesi d’assenza, il gruppo si era
staccato dalla sua
autorità, e il credito solenne che veniva offerto prima a
ogni sua
dichiarazione, o azione… era sfumato in sospetto.
–
L’accordo dei fucili è servito a scagionarci.
– concluse,
sebbene tutto quel racconto non tenesse in piedi nemmeno ai suoi stessi
occhi.
– Me ne
infischio di scagionarci! Noi dobbiamo derubare
quella gente, non pagarla! – sbraitò Joly, che era
sempre stato una testa
calda.
– Non
c’è bisogno di gridare, amico…
– disse il Cavaliere
Nero, con tono gentile.
– Io non
prendo più ordini da te, hai capito?! –
inveì
quello, ma il Cavaliere fu più veloce.
In un lampo,
brandì il coltello che teneva nascosto sotto il
mantello, e inchiodò il ribelle al muro della scuderia.
Spartacus nitrì e si
agitò, disturbato dal grido dell’uomo e
dall’assalto. Gli altri tre scattarono
sull’attenti, ma era troppo tardi: il Cavaliere teneva
l’uomo in scacco, una
mano sul suo petto e l’altra forte sul coltello, con la lama
appoggiata alla
gola e pronta a sgozzarlo.
– Calma,
ragazzi. Forse la mia assenza vi ha destabilizzato
un po’. Vi consiglio la calma.
–
… t… traditore… – disse
Joly, stringendo i denti. Gli
altri tre stavano immobili, incapaci di intervenire finché
il coltello del
Cavaliere insidiava il collo di Joly.
– Voi mi
state tradendo, non io. Chi di voi si è impegnato a
cercarmi, quando sono sparito? Con che entusiasmo avete accolto i miei
ordini,
dal mio letto di convalescenza? Sono quasi morto per la nostra causa,
ma voi
l’avete già dimenticato… –
disse il Cavaliere, sicuro come era stato un tempo,
freddo e preciso anche nell’aggressività.
–
Noi… abbiamo continuato anche senza di te… come
potevamo
sapere dove fossi? Ce l’hai sempre detto anche tu…
che se ti fosse accaduto
qualcosa, la tua vita non era importante. La cosa più
importante era la
missione. – disse Caron, e Joly si ammansì sotto
il coltello che lo minacciava.
Bernard si accorse che era vero. Le
nostre vite non sono importanti, aveva sempre detto loro. Nemmeno la mia. La
Giustizia vivrà oltre di noi!
Con parole come
quelle, era stato capace di fomentare i suoi
compagni e affrontare con loro rischi sempre maggiori, uscendone
vittoriosi. Ma
d’un tratto, quelle parole gli suonarono stridenti.
– Perché disprezzate
tanto la vita, Monsieur Bernard? Nessuna causa può essere
così giusta da
reclamare la morte di un uomo.
Rosalie. Si stava
gingillando con quei quattro, mentre lei era
in pericolo. Non c’era tempo da perdere.
–
Dunque… non posso più contare su di voi?
– chiese, freddo.
Gli altri presero
coraggio.
–
È così, Cavaliere Nero. Ora siamo capaci di
andare avanti
anche senza di te. E non ci basta più derubarli. Noi li
vogliamo tutti morti!
– Puoi
restare con noi, se vuoi. – aggiunse Caron, cercando
di smorzare i toni. – Ti presenteremo al nuovo capo
e…
– No,
grazie. – disse il Cavaliere Nero, con una smorfia di
disgusto. – Devo portare avanti la mia
missione.
Lasciò
andare Joly, ma prima lo spinse contro i compagni.
Ottenne di disorientarli, il tempo sufficiente per saltare in sella.
– Addio.
– disse, amareggiato. Diede un colpo di tacchi, e
Spartacus partì. Il Cavaliere Nero lo incitò al
galoppo. Previde di non
ricevere una buona accoglienza ai cancelli, ma con sua sorpresa, questi
erano
aperti. Il giovane si chiese come mai, visto che poco prima Caron li
aveva
diligentemente richiusi. Poco male, si disse: approfittò di
quel colpo di
fortuna e via, per le strade che specchiavano il cielo in ampie
pozzanghere.
Trovare Palazzo
Jarjayes non gli fu difficile. Conosceva il
punto in cui si trovava anche prima di venirvi ospitato: come Cavaliere
Nero aveva
studiato attentamente le ubicazioni dei vari palazzi nobiliari di
Parigi e
dintorni. Se non aveva mai osato rubare in casa di Oscar prima di
essere
catturato, il motivo era semplice: non sarebbe stato saggio rischiare
di
intrappolarsi nella tana del lupo. Inoltre, il suo luogo ideale
d’azione erano
le feste nei palazzi e la loro confusione; in casa Jarjayes, invece, il
regime
era più austero. Non venivano mai dati balli di un certo
tipo, solo cene e
pranzi privati, con pochi convenuti.
Lasciata indietro la
lanterna, il giovane si orientò con il
cielo, man mano che le nuvole permettevano alla luna, quasi piena, di
mostrarsi.
Non fu un tragitto agevole comunque, perché la luce era poca
e sporadica, ma lui
non si perse d’animo. Galoppò a perdifiato, si
lasciò sulla destra il Bois de
Boulogne, attraversò la Senna tramite il ponte che portava
al Parco di
Saint-Cloud, che costeggiò; poi andò avanti, e si
immerse nella Foresta di Fausses-Reposes.
In quella corsa
notturna gli parve di sdoppiarsi. Pensava a
Rosalie con intensità, ed era Bernard; ma con il vento che
gli strattonava i
capelli umidi, e l’energia del cavallo al galoppo sotto la
sella, il Cavaliere
Nero tornava in auge, con tutta la sua dignità.
Così era stato poco prima, tra
gli antichi compagni: a parlare non era mai stato il Giornalista, il
Giornalista si era limitato a pensare e riflettere, e guidarlo in
segreto. Il
Cavaliere Nero aveva fatto ogni altra cosa.
La ferita gli
doleva, la corsa a cavallo non lo aiutava in
quel senso. Bernard pensò che quello che Oscar aveva
trapassato con un colpo di
pistola, in fondo, fosse il simulacro dell’antico Cavaliere
Nero, il ladro di un
tempo. Ma quella notte non agiva come ladro.
La sua missione, in
quel momento, non aveva più alcuna
rivendicazione altisonante, né un pubblico. Era una missione
segreta, personale,
tutta di Bernard. Per intraprenderla aveva vestito il fantoccio del
Cavaliere
Nero, mentre l’interno, svuotato del passato, si era riempito
di qualcosa di
nuovo. L'amore, certo; l'amore per Rosalie.
Così la
forma aderiva alla sostanza, il corpo vestiva il
cuore.
Finalmente, dopo
circa due ore di folle galoppata e
intervalli forzati per orientarsi, il giovane scorse la sua
destinazione.
La villa dei
Jarjayes era immersa nella più profonda quiete.
Bernard si mosse con cautela. Legò il cavallo a un albero
vicino, si avvicinò
al muro di cinta.
–
Ero ossessionata dalla ricerca della
donna della carrozza, e così andai lungo la strada per
Versailles. Cercavo la
Reggia… e quando vidi un palazzo… io non avevo
mai visto un palazzo di nobili,
prima di allora!, pensai che fosse quello. Invece era la casa di
Madamigella
Oscar. Scavalcai il muro…
– Tu… scavalcare
il muro?
– … sì, perché fate quella
faccia?
– Be’… non immaginavo che tu…
ecco… ma non volevo dire che… insomma. E
poi… ?
Era doloroso
ricordare i racconti di Rosalie e la sua
dolcezza. Ma al tempo stesso, Bernard si rese conto che la memoria gli
offriva
minuscoli indizi; accendeva intuizioni, apriva molti
“se”. Gli sarebbe stato
impossibile scovare tutte le risposte da solo. Aveva bisogno di aiuto.
Scavalcò
il muro, con il cuore rivolto a Rosalie.
______________
Note.
* Madama Wikipedia
mi ha fornito l’immagine per il marchio
di zecca: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/6/6c/PrivyMark.jpg.
Si trattava di una piccolissima lettera, o una sigla, impressa insieme
alle
altre immagini sul lato croce della moneta, che indicava dove quella
moneta era
stata coniata. Arras ebbe una zecca fino al 1789, pare che con la
Rivoluzione
sia stata chiusa. Valori e nomi delle monete dell’epoca li ho
pescati qua e là
nel web, su Wikipedia ma non solo. E ho scoperto che esistevano i soldi
di
bronzo, gli scudi d’argento e i luigi d’oro, oltre
alla più diffusa livre,
la lira, il cui valore equivaleva
a 20 soldi. Se uno scudo d’argento valeva 6 lire, 6x20 = 120
soldi. Almeno credo...
Sulla data di conio,
dopo consulto con la fida Madame Anna,
ho scoperto che le zecche
francesi non battevano moneta a intervalli precisi, né
tantomeno tutti gli
anni. Quindi la data così ravvicinata delle monete del
gruzzolo di Oscar non è
necessariamente quella: se avrò modo di approfondire la
questione numismatica e
questo 1787 risultasse inverosimile, lo cambierò prontamente
in una data
migliore, tanto la cosa che importa davvero è che siano tutte dello stesso anno (quale che sia) e vengano da AR-Arras! Chi ne sa più di me mi segnali
senz’altro le correzioni da fare, gliene sarei grata!
-
Beni, riprende il ritmo dei miei fine settimana pubblicosi, iniziando
dal CavalierO! Grazie
sempre a chi segue questa storia, e non solo questa. Un abbraccio!!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Quando la maschera cade... ***
Bernard si
aggirò furtivo tra le siepi ben tagliate del giardino dei
Jarjayes, gli alberi sempreverdi e le sagome delle statue ornamentali.
Badò a
eventuali custodi esterni, procedendo con il passo felpato che
l’aveva reso
ladro.
Se avesse avuto
l’agio di aspettare, si sarebbe mostrato col
sole, al mattino, come un ospite... o forse nemmeno in quel caso
l’avrebbe
fatto: Oscar gli aveva interdetto il ritorno. Era probabile che il
Generale
Jarjayes non avrebbe mai accolto di buon grado il sospettato principale
dei
furti alla nobiltà di Parigi, nonché della
sparizione delle armi dell’esercito
trafugate dai ribelli.
Come aveva
giustificato al Padre, Oscar, l’acquisto dei
fucili a prezzo stracciato? Come si era difesa dall’eventuale
accusa di aver
armato dei ribelli? Nobile e limpida com’era, Bernard aveva
finito, in quei
giorni, per chiedersi spesso cosa mai fosse passato per la testa di
quella
donna, oltre alla generosità. E si era ritrovato anche a
pensare alle sue
parole di commiato. “Devi ringraziare
André”, gli aveva detto. Ringraziare
André per essere stato liberato: perché?
Rosalie non citava
spesso André, nei suoi racconti del tempo
felice in casa Jarjayes, ma quando lo faceva, lui era sempre accanto a
Oscar.
Bernard aveva ormai compreso che l’uomo che seguiva Oscar
ovunque, il suo
attendente e aiutante nello sconfiggere il Cavaliere Nero, fosse
qualcuno di
speciale.
In quel momento,
però, un altro pensiero gli suggerì ancora
maggiore cautela. Quello che stava facendo era un perfetto azzardo. Non
poteva
togliersi la maschera, perché senza l’avrebbero
riconosciuto; non poteva
nemmeno aspettare e proporsi come un ospite qualunque, non solo
perché, appunto,
aveva dei trascorsi poco chiari in quella casa, ma soprattutto
perché ogni ora
di indugio dava modo ai presentimenti più angosciosi di
avverarsi. Rosalie era
ancora smarrita nel mistero, per quel che Bernard poteva sapere, e il
tempo
scorreva in una corsa inclemente.
Il giovane
osservò la fontana spenta di fronte all’entrata
principale. Un vialetto ben lastricato conduceva, di lato, ad alcuni
piccoli
edifici che fungevano da dependances.
Uno di essi doveva essere la scuderia.
Al piano superiore
della casa, poi, c’erano vari balconi.
Bernard ricordava d’aver dormito effettivamente in una stanza
con balcone,
dalle ampie vetrate. Ne ricordava ancora il mobilio sobrio e raffinato:
una
stanza per gli ospiti, dunque, situata nella parte anteriore
della
casa. Poteva provare a intercettare quella. E da lì,
attraverso le finestre,
provare a cercare la stanza di Oscar. Oppure entrare con meno rumore
possibile
e cercare gli alloggi della servitù, dove avrebbe potuto
trovare André.
D’un
tratto, però, si accorse che una delle finestre del
primo piano, a lato della casa, era illuminata. Non aveva balcone, ma
ugualmente si trovava al piano superiore. Qualcuno era sveglio, anche
in
quell’ora nera. Che fosse Oscar? O sua madre… o
suo padre?
Si
arrampicò su un albero posto dirimpetto alla facciata
laterale della casa. Si nascose nel fogliame e nell’ombra, da
cui spiò
l’interno rischiarato da quella luce. Per lunghi istanti, non
vide niente e
nessuno. Solo un mobile, il lato di un baldacchino. La candela che
rischiarava
la finestra delineava intorno a sé sagome immote.
Poi, finalmente,
Bernard scorse un movimento. Alla finestra
si affacciò l’ombra curva di un uomo dai capelli
corti. Bernard sgranò gli
occhi.
Sussurrò:
– André…
Lo vide vestirsi,
prendere il giustacuore e indossarlo sulla
camicia. Poi lo vide chinarsi sulla candela all’orlo della
finestra, per
spegnerla di botto.
Il Cavaliere Nero
scese subito dall’albero, attento a ogni
suono. Si appostò tra le siepi.
Dopo qualche
istante, dal retro della casa vide uscire la
stessa figura.
Quella figura
avanzò verso le scuderie. La luna lo bagnava
appena appena d’argento, ma non ci si poteva sbagliare: era
proprio André.
Eppure Bernard esitò, quando vide che l’uomo
procedeva a passo incerto. Colpa
del buio? C’era la luna. Perciò cos’era
quel passo da ubriaco?
Quando
André entrò nelle scuderie, lasciò
l’entrata
socchiusa. Bernard corse, cercando di non fare rumore, verso quello
spiraglio.
Lo varcò, entrando silenzioso sulla scia
dell’altro.
Lo trovò
prossimo a un cavallo. Si stava chinando per
raccogliere la sella che gli avrebbe fatto indossare. Bernard
udì l’uomo
mormorare qualcosa, una sorta di litania dalle parole smozzicate.
– Addio…
Mylene…
non essere triste… Il mio… pugno…
è più spaventoso… delle pallottole dei
nemici…
André stava rivestendo
il cavallo
con perizia, ma la sua voce era alterata e stanca, come se giungesse
alla fine
di un grido. E nella luce della lanterna che si era acceso, il volto
gli
appariva sorridente, forse troppo. Il Cavaliere Nero decise di farsi
avanti.
Fece rumore pestando bene i passi, perché l’altro
potesse sentirlo nelle pause
di quel suo canto sommesso.
Così
fu. André
rallentò il movimento, il sorriso sparì dal suo
profilo. Si volse di scatto,
con il volto spezzato tra la coscienza e il buio. Un folto ciuffo di
capelli
gli celava metà viso, lasciando solo un occhio a scrutare
l’ombra, sgranato.
Quello sguardo incompleto, simile al terrore di un uomo in preda a un
incubo,
colpì Bernard al cuore.
Poi
André lo
riconobbe. Lo sguardo allucinato si calmò, il sorriso
poté affiorare, ironico,
sulle labbra dell’attendente.
– Sei
tu… – lo salutò, e parve lieto.
– … il Cavaliere Nero!
Credevo fossi qualcun altro. – aggiunse, e
sogghignò subito dopo.
–
Sì, sono io… André. –
rispose Bernard, osservandolo con la
massima attenzione, e poi scrutando la porta alle sue spalle.
– Aspetti qualcun
altro? – si informò, speranzoso. – Ho
bisogno di parlare con Oscar.
André, in un attimo, si incupì. –
Lei…
–
Sì, lei. Portami nella sua stanza.
–
… impossibile…
Bernard
aggrottò la fronte.
– Devi
farlo. Devo vederla, è una questione della
massima…
André
mormorò, accarezzando il manto del cavallo:
–
… è in Normandia…
Bernard tacque.
–
Cos’hai detto… ? – mormorò
poi, annientato.
– In
Normandia… per un mese. – ripeté
l’altro, con un tocco
sadico nella voce.
– Ma io
devo vederla… subito!
André
ridacchiò perfino. – … sarebbe folle
pensare che
tornerà… subito… no… non
verrà, lei. No… – sussurrò,
e la tristezza gli divorò
la voce. – … solo un pazzo potrebbe pensarlo.
Bernard
tremò. Sospettò l’effetto del vino,
nella voce di
André. L’altro prese di nuovo a sorridere in modo
malsano, lo sguardo che
tremava, di contro le mani attente e ferme nello stringere i nodi della
sella.
–
André… tu sei ubriaco.
– Lo sono?
Ma sì, dev’essere come dici… non
è la terra che trema,
sono solo io. – André strinse un’altra
correggia della sella. Il cavallo nitrì
e mosse il capo, lasciandosi comunque bardare. – Ci siamo
quasi, amico… portami
al solito posto, eh? Un vero uomo vuole soloooooo…
una bella lotta! Non è
vero, Jules? – e poi
scoppiò a ridere. Una risata forzata, che si chiuse in un
ghigno. – Così,
Mylene… le tue labbraaaaa…
Di colpo,
André smise di cantare. Il suo viso tornò tetro.
Bernard continuava a
fissarlo attonito. André lasciò passare
il tempo senza quasi muoversi dal suo posto. A un soffio dal cavallo,
ritto in
piedi e con i pugni stretti, pensava, osservando cose invisibili con la
rigidità dei folli.
Bernard
avanzò verso di lui. Lo agguantò per una spalla,
lo
voltò tenendolo per il bavero. Lo scosse forte.
–
André! Che diavolo... !
André gli
rimase appeso tra le mani. Gli sorrise perfino. L’alito
gli odorava in effetti di vino. Ma lo sguardo sembrava calmo, privo di
quella
completa confusione che prende gli ubriachi. – Ehi, amico,
calmati. Ti senti
forte perché hai una maschera? Non credere… se
metti una
maschera, devi stare attento… te la possono sempre
strappare… come hai fatto tu con me. E io con te…
Bernard trattenne il
respiro. – André... riprenditi,
dannazione.
– Dammi
ascolto, ti dico. Non si deve mai fingere… quando la
maschera cade, tu rimani orbo… e pazzo…
André
rise. Bernard lo strattonò più forte. –
ANDRE’! Che stai dicendo? ORBO? Che significa orbo?
Ancora un
sorrisetto, e André parlò con tono sognante,
guardando in alto con l’unico occhio sano.
–
… il mio occhio è morto… viva il mio
occhio. Che non l’ha
vista andare via… via per sempre… da me.
Bernard lo
fissò inorridito. La sofferenza di André gli si
riversò nello spirito, come una pallottola rovente nelle
carni. Quell’uomo non
era così ubriaco, realizzò il giovane. Era
distrutto, piuttosto, e plateale
nella follia, più desideroso di assecondarla che realmente
affetto da essa. Ma
una parte di lui era vigile, dannatamente vigile. La parte che lui non
aveva
accecato… o l’altra, piuttosto?
In un impeto crudo e
generoso insieme, Bernard lo tirò via
dal fianco del cavallo. Un abbeveratoio pieno, lì vicino,
era stato disposto
accanto alla mangiatoia dei cavalli. Quasi senza incontrare resistenza,
Bernard
calò il viso di André nell’acqua,
tenendolo per i capelli e il capo. Allo schiaffo
con l’acqua André subito soffocò, si
agitò convulsamente; Bernard lo lasciò
andare immediatamente, tirandolo fuori in un unico movimento.
André prese un
respiro avidissimo, poi tossì forte. Si appoggiò
al bordo dell’abbeveratoio,
ansante, il viso e i capelli che grondavano copiosamente.
–
… perdonami, André. – disse Bernard,
tremando a sua volta,
le mani bagnate. – Perdonami.
Passò
qualche istante, tra il silenzio contrito di Bernard e
il raschiare della tosse di André.
– Che cosa
vuoi, Bernard. – disse infine l’attendente, la
voce malferma.
–
Cercavo… Oscar. – ammise Bernard, a capo chino.
–
… non è qui.
Bernard
cercò il viso di André. Contemplò con
vivo
dispiacere il suo profilo, che gli si offriva proprio dalla parte
cieca.
– Il tuo
occhio... Io... io...
– Non ce
l’ho con te. – mormorò André.
– Tu mi
hai lasciato andare… nonostante quello che ti ho
fatto. – sussurrò Bernard. Tutto gli parve
finalmente netto, come sotto un
chiaro sole primaverile. L’animo gli tremò di
gratitudine, di rispetto… di
pietà.
André
scosse il capo. – Ti sei battuto meglio di me. – Poi chiese di nuovo, la
voce spenta ma lo
sguardo vigile, fisso su un punto dell’acqua. – Che
cosa volevi… da lei?
Bernard chiuse gli
occhi. Li riaprì, deciso.
–
… ho bisogno di sapere… di Rosalie.
– Cosa.
– Non ha
vissuto sempre con voi, non è vero?
André
guardò Bernard con occhio stanco. Poi si asciugò
il viso
con una manica.
–
… no. Per qualche tempo è andata a
stare… da sua madre.
Bernard non
riuscì a credere alle proprie orecchie.
–
… sua… madre?
– La
Duchessa di Polignac.
– Non
è possibile. La madre di Rosalie è morta sotto le
ruote di una carrozza…
–
… la carrozza della Duchessa di Polignac, già. La
donna uccisa
era solo la sua madre adottiva. La sua vera madre ne è stata
l’assassina.
Bernard vide il
quadro farsi in mille pezzi, nella sua
mente. Ricordò il momento di cui era stato spettatore: lo
strazio della piccola
Rosalie, il rantolo morente di Nicole Lamorlière,
l’alterigia crudele della
Duchessa, allora solo Contessa…
Se
avete delle
lagnanze, mi troverete a Versailles!
Bernard chiuse di
nuovo gli occhi. Cercò di digerire tutte
quelle notizie e scioglierle in un colpo solo.
–
È orribile. – mormorò soltanto.
André
fece un altro sorriso, amaro e consapevole insieme,
mostrando i denti.
– Per il
Destino, noi siamo burattini.
Passò un
altro istante nel silenzio reciproco.
–
André... – disse allora Bernard. –
… devo chiederti…
un’altra cosa.
André
attese, spento.
–
… i Jarjayes… ricevono denaro… da
Arras?
L’altro
annuì. – I possedimenti dei Jarjayes sono per la
maggior parte ad Arras.
A
quell’ultimo tassello, Bernard si sentì percorrere
da un
brivido. Tutto si era ricomposto, finalmente. Tutto tornava e risuonava
insieme. Ed era una melodia in cui dolore e speranza rintoccavano
insieme, come
oscuri gemelli.
Un’ora
dopo, Bernard e André osservavano i cancelli di
Versailles da un punto riparato tra i boschi. Bernard, che non si era
mai
spinto fin laggiù, contemplava lo splendore prossimo della
Reggia con l’aria
guardinga e attonita di una belva alla sua prima caccia.
– Gli
appartamenti di Madame Polignac sono nell’Ala di
Mezzo, al pianterreno. – gli spiegò
André.
– Spiegami
come arrivarci.
–
È impossibile che tu ci arrivi dall’esterno. A
Versailles
ci sono 700 stanze e più di 2000 finestre. Nel tempo che
impiegherai a trovare
quella giusta ti troveranno e ti cattureranno, specie se indossi quella
maschera.
– La
maschera… la toglierò.
– Ti
troveranno comunque. Credi che tutti possano entrare
liberamente?
– Ma se
Rosalie fosse stata portata qui? Io devo
raggiungerla. – scandì Bernard, i pugni stretti.
André
tacque. Osservò Bernard e il suo trasporto, senza
commentare. Si chiuse in meditazione, e non disse altro per qualche
istante.
– Non puoi
farmi entrare in qualche modo? – rincarò Bernard,
impaziente. – Nascondermi tra i servi, o che altro?
André
continuò a pensare.
–
… la Duchessa non risiede sempre qui a Palazzo. Ha
viaggiato spesso, ultimamente. Potresti essere completamente sulla
pista
sbagliata.
Bernard
imprecò.
–
Aspettami qui. – disse invece André, raccogliendo
le
redini di Jules con una certa calma.
– Dove
vai? – esclamò Bernard.
André
salì in sella. – Vai a cercare un riparo, e prova
a
dormire un poco. Ci ritroveremo qui all’alba.
Bernard
cercò di fermarlo. – Devi prima dirmi cosa hai
intenzione di fare…
André
sorrise appena. – Vado a chiedere a qualcuno.
Bernard
osservò André sfilare davanti a lui, con il
cavallo
al passo.
L’attendente
del Colonnello Jarjayes condusse Jules sulla via principale. Di lì si avviò verso i
cancelli. Chiunque vi fosse di guardia,
lo lasciò passare oltre le sbarre dorate.
______________
Note.
-
André va canticchiando, mentre sella Jules (pare che il cavallo di André si chiami Alexander nell'originale, ma ormai in "Rivoluzione" ho inventato questo nome, e così preferisco lasciarlo!), la canzone di Mylene,
già sentita a Parigi dai Soldati della Guardia della
Compagnia B in una delle sue prime ubriacature famose, poche notti
prima dello Strappo (episodio 28).
-
Mi sono collegata all'anime, dove Oscar, all'indomani dallo Strappo e
in attesa di prendere servizio con il nuovo incarico di Comandante
della Guardia Parigina, decide di prendere letteralmente le distanze da
André per un mese di ritiro in Normandia. Qualcuno di voi,
dunque, aveva profetizzato a dovere!!
-
Un saluto affettuoso a chi continua a seguire questa storiuzza :****
Grazie fanciulle! Ed eventualmente fanciulli!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Non lo farebbe mai ***
“Prova a
dormire”, gli aveva detto André. Si può
ben
immaginare quanto Bernard, intirizzito e in allarme per gli eventi di
quella
notte, sia davvero riuscito a dormire fino all’alba. Era
agitato, nel modo
particolare che precede l’azione: concentrato, le emozioni
che battevano forte
come il suo cuore, badava a ogni suono, a ogni movimento.
Venne
l’alba. Una luce soffusa salì lentamente
dall’orizzonte, per scivolare negli spazi oscuri del bosco,
come un’anima di
vita sul mondo addormentato. Bernard si mosse con quella luce, a
cavallo.
André fu
di parola. Bernard lo trovò che lo aspettava al
luogo convenuto, poco distante dai cancelli di Versailles, ben celato
dagli
alberi del demanio circostante.
– Allora?
– gli chiese immediatamente, appena gli fu al
fianco.
André
scosse il capo. – Madame Polignac non è a
Versailles
in questi giorni.
– Cosa,
ma… allora… dove…
– Vieni
con me. – disse André, già pronto ad
andare. Si
fermò un attimo, – Ma prima… togliti la
maschera.
Bernard si
portò una mano al viso. Toccò la stoffa scura,
pensieroso. Affrontare senza filtri lo sguardo di André gli
parve d’improvviso
disagevole. Una cosa è guardare qualcuno negli occhi, con un
altro paio
d’occhi; ma concentrare l’attenzione
sull’unico occhio vivo di André, o
curiosare involontariamente nell’anomala ombra che gli rapiva
metà viso, era
diverso, specie nella consapevolezza d’essere causa di quella
maschera perenne
sul volto dell’altro.
–
Sarà una giornata senza nuvole. Ti potrebbe vedere
qualcuno… e se risalisse a me, sarebbe stato tutto vano,
finora. – rincarò
André, il quale fissava sì Bernard, ma senza
alcun giudizio palese. La parte
d’anima che il suo volto mostrava appariva placida, come
rassegnata; e così le
sue azioni erano pacate, senza entusiasmo, come rallentate. Una mesta
gentilezza era tutto ciò che rimaneva della sua
vitalità, e anche una certa
serietà, dal momento che era venuto a conoscenza della
sparizione di Rosalie.
–
… sì. – disse Bernard, e si
sfilò la maschera dal viso.
André, senza nemmeno guardarlo, partì al galoppo.
Il giornalista lo seguì
immediatamente.
Presto il sole si
mostrò, cacciando via la notte e la
pioggia. Lungo il tragitto, André e Bernard incontrarono
pozzanghere e fango,
ma i cavalli ressero fino alla fine. Bernard notò che
stavano procedendo verso
nord, lasciandosi Parigi sulla destra; così il sole che
sorgeva veniva da quel
punto, dalla capitale addormentata, le sue case e i suoi monumenti.
Passarono la Senna
nella zona di Val d’Oise. André si
muoveva senza alcun ripensamento, e Bernard si sentì
rassicurato: con un solo
occhio, l’altro era comunque capace di seguire il percorso a
cavallo, poteva
vedere, poteva guidarlo perfino. Anche se non si scambiarono nemmeno
una parola
in quel viaggio, Bernard provò verso André
assoluta fiducia; non gli fece più
domande, facendosi portare come un ragazzino dalla mano di un genitore.
Passato il fiume,
salirono ancora più a nord. I cartelli ai
lati delle strade indicavano la prossima cittadina di
Saint-Leu-la-Forêt. André
non condusse Bernard tra le sue vie; piuttosto, dopo circa due ore di
galoppo
sfrenato, i due lasciarono la campagna per un boschetto. Dopo i primi
alberi il
cavallo di André proseguì al passo; ancora pochi
minuti, e i due giunsero a
vedere, tra gli alberi e le radure del confine boscoso, i cancelli di
un
palazzo.
– Questa
è la foresta di Montmorency. – disse allora
André,
a voce bassa. – E quella villa è la dimora dei
Polignac.
Bernard
allungò lo sguardo ai cancelli, ai muri di cinta,
alle aiuole e gli alberi che un po’ soffocavano, anche dentro
il confine del
palazzo, la sagoma elegante della costruzione. Modesta, a due piani,
una
gradinata d’ingresso, qualche finestra: da lì non
si vedeva molto di più.
– Tu
credi… che Rosalie sia qui?
– La
Duchessa di Polignac è qui.
–
… ho capito.
Bernard
rimirò i cancelli con volto duro. Se Rosalie era
lì…
se le era stato fatto del male…
–
… tu mi hai parlato di una sparizione improvvisa.
– gli
disse André, fissandolo intensamente. – E non
credi che sia stata lei ad
andarsene di sua volontà.
–
È così. – disse Bernard, con amarezza.
– Quelle monete…
– Una
volta… – lo interruppe André,
accigliandosi. – …
Rosalie fuggì da casa, nel cuore della notte, rubando una
pistola e un cavallo.
Ci aspettavamo che lo facesse, un giorno o l’altro. Aveva
appena scoperto la
verità sulle sue origini, la verità sulla morte
della sua madre adottiva.
Soffriva profondamente per questo. Quella notte venne qui.
Puntò la pistola
contro la Duchessa.
Bernard si riscosse,
costernato.
–
Rosalie… ha fatto questo… –
mormorò, ricordando quello che
lei stessa aveva lasciato trapelare, della sua gioventù.
L’attentato a Madame
Jarjayes, poi sfumato in una dolorosa confessione, bastava a
confermargli che
Rosalie era capace anche di queste cose: di colpi di testa, e di
irruenza, e di
sangue caldo, ardente… inevitabilmente, il giovane ne
provò tenerezza.
– Lo ha
fatto. – convenne André. – Ma proprio un
istante
prima di premere il grilletto, io e… –
André perse per un attimo la voce, si
corresse – … noi
la vedemmo fermarsi.
Si accasciò a terra, sconfitta dal pensiero di non riuscire
a uccidere… la sua
vera madre.
Bernard sorrise
teneramente anche a quella scena, che gli si
dipinse davanti agli occhi con nitida freschezza.
– Non
è nella sua natura fare del male… –
commentò, forse
più a se stesso.
André
continuò, come se non l’avesse udito. –
Pochi mesi fa,
durante il Processo della Collana, da un giorno all’altro
venne a stare qui.
Per noi fu… una
sorpresa, un vero
colpo. Ci eravamo profondamente affezionati a lei, e lei sembrava
ricambiare
questo sentimento di tutto cuore. Non ci spiegammo il
motivo… finché non
trovammo, nella sua stanza, una lettera di Jeanne Valois.
Bernard
sgranò gli occhi, poi annuì ancora. –
Sua sorella
adottiva. Di lei mi ha parlato…
– Rosalie
abbandonò la nostra
casa per non mettere… Oscar in
una
posizione difficile. Era rischioso che il Comandante delle Guardie
Reali
ospitasse in casa sua la sorella della donna ritenuta il criminale
più
pericoloso dell’intero Regno… – la voce
di André passò dalla mestizia
all’esitazione, poi a un certo evidente sarcasmo. Poi, di
nuovo malinconia. –
Non so se fu eccesso di zelo, il suo. Ma da allora, mi sono sempre
chiesto come
avesse potuto, quella ragazza, ingoiare e distruggere dentro di
sé l’odio
irriducibile nei confronti di Madame Polignac. Forse era cambiato
qualcosa.
Forse erano riuscite, madre e figlia, a trovare un dialogo…
Poi abbiamo
scoperto… poco tempo fa, come immaginerai… che
Rosalie era fuggita da questa
casa. – André osservò il cancello, le
sue alte sbarre. – Come da una prigione.
Bernard
sospirò. – Perché questo lungo
discorso, André? Dove
vuoi arrivare?
–
L’unico motivo che avrebbe per venire qui di sua spontanea
volontà è… completare la sua vendetta.
– Non lo
farebbe mai. – disse Bernard bruscamente.
– Eppure,
anni fa, avrebbe potuto… – lanciò
André.
– Anni fa.
Non oggi. Non più. – Bernard lo disse con totale
sicurezza. André si rilassò un poco,
annuì. Sorrise come se, in fondo, nemmeno
lui avesse davvero creduto del tutto a quella eventualità.
– Bene. Allora
esploriamo la seconda possibilità. Che sia stata portata qui
con la forza, come
credi tu.
Bernard
deglutì. – André. Ogni istante che
passa è prezioso.
– gli ricordò. – Ti prego, facciamo in
fretta…
André si
fece serio. – Se è vero quello che ho udito dalla
servitù di Versailles, non è ancora accaduto
nulla di irreparabile. Ben inteso,
nessuno mi ha dato informazioni dettagliate, io non ho osato chiedere
più del
giusto, e perfino i servitori più loquaci sono stati
reticenti. Eppure… ho
sentito parlare di… preparativi.
–
… preparativi?
–
“La Duchessa vorrà fare i preparativi
lontano dalla Corte, stavolta”.
Ho udito questa frase, tale e quale, da chi credeva di
non essere udito. Mentre venivamo qui, ho continuato a pensarci.
– Che
diavolo…
– Bisogna
indagare ancora, Bernard. Se qualcosa si sta
muovendo, ho idea che la presenza di Rosalie in questo palazzo non sia
casuale.
–
… entrerò subito dal muro di cinta. E
lì scoprirò la
verità.
– Bernard.
C’è sempre la terza
possibilità…
Bernard scese
lentamente da cavallo, stringendo i denti alle
parole di André.
–
… ovvero che Rosalie sia scomparsa per un altro motivo, e
che siamo ben lontani dal trovarla.
Bernard prese le
redini di Spartacus. Sorrise, a quel punto.
– Grazie
di tutto, André. Da qui in poi farò da solo.
–
… vuoi andare da solo? – André
aggrottò la fronte,
restando in sella.
–
Sì. Non posso coinvolgerti in questa mia… caccia.
– La
Duchessa di Polignac è la donna più potente di
Francia,
dopo la Regina. Pertanto, intoccabile.
– Che
mondo di merda, vero, André? –
sogghignò Bernard. – Ma
non mi interessa. Chiunque sia stato ad aver rapito Rosalie…
– aggiunse, tetro
– … io la salverò.
– Se ti
scoprissero, ogni cosa sarà stata vana finora.
Oscar… potrebbe essere accusata d’averti coperto.
– Lo so.
I due si guardarono
negli occhi. André, dall’alto della
sella, soppesò le intenzioni di Bernard con ferma
intensità. L’altro, dal suo
canto, sostenne quello sguardo incompleto, così offeso dalla
solitudine, così ardente
nel suo dolore silenzioso; e gli restituì lo sguardo con la
forza della sua
determinazione, come a dirgli, senza esitazioni, “Puoi
fidarti di me”.
André
attese ancora un istante, poi scandì, lentamente:
–
Buona fortuna… Bernard.
Bernard si
congedò da lui con un cenno del braccio, e un sorriso
commosso.
***
All’interno
della villa che sorgeva presso la foresta di
Montmorency, la colazione fu consumata in un silenzio gelido. Non si
udì
nemmeno il consueto suono di posate e piatti, che avrebbe almeno dato
un soffio
di vitalità alla tavola. Madame Polignac mangiò
poco. Rosalie non mangiò
affatto. Quando al Duca di Polignac, era fisso a Corte; i benefici
ottenuti per
intercessione di Sua Maestà la Regina, in primis la carica
di Ministro delle
Poste, lo vedevano molto attaccato alla forma (non alla sostanza: si
sapeva che
quella carica fosse totalmente inadatta a quell’uomo).
Rosalie sapeva ben
poco di lui, a stento che volto avesse.
In ogni caso non era lui, suo padre. Madame Polignac l’aveva
partorita dopo una
liason con un altro uomo, prima di
sposarsi con Polignac. A Rosalie non era mai venuta la
curiosità di indagare
sull’identità di suo padre, ad ogni
modo. Né poteva venirle in quel momento,
mentre osservava senza alcun piacere il piatto davanti a lei,
l’uovo sodo nel
suo portauovo, il pane, i dolci che abbondavano al centro della tavola.
Yolande sedeva molto
lontano da lei, all’altro capo del
tavolo, e si comportava come se non la vedesse.
Naturalmente,
Rosalie non aveva dormito. Si era accorta
presto che le finestre della sua stanza erano serrate da catenacci. Non
le era
stato permesso parlare con nessuno che non fossero le due robuste e
sgraziate
cameriere che l’avevano strigliata come un cavallo. Quelle
stesse donne avevano
passato la notte nella stanza, sorvegliando il baldacchino dentro il
quale la
ragazza si era rintanata, cedendo a lacrime mute e ardenti, pregando
con un’intensità
tale da sentirsi spezzare il cuore.
Della prigione
mancavano forse gli stracci e il grigiume, ma
Rosalie aveva spento gli occhi all’oro e
all’abbondanza che le mettevano
davanti. Sfinita per la notte insonne, per il rapimento, per
l’odio che la
divorava come un demonio, quel mattino chiedeva soltanto silenzio.
– Hai
libero accesso alla biblioteca, se lo desideri. E al
pianoforte del salotto. – disse d’un tratto Madame
Polignac, finendo di bere il
suo tè.
Rosalie non mosse un
muscolo. Pensava, nel torpore della
stanchezza, a molte cose che le allontanavano la voce di Yolande, quel
suo tono
insopportabilmente mellifluo.
La ragazza
pensò alla casa della sua infanzia, poi a quella
della sua giovinezza, poi a quella in cui fino al giorno prima lottava
per
diventare una donna, una cittadina orgogliosa di Parigi. La casa di
Lucille e
del lavoro onesto, la casa della miseria felice e del nuovo incontro
con Oscar.
La casa piena di conforto, dove aveva potuto accudire, fino a vederlo
guarito,
il giovane Bernard Chatelet.
Quando il
viaggiatore sale sulla nave, l’avventura lo
trasforma in un temerario, e la terra gli diventa odiosa. Ma Rosalie
era un
naufrago, ormai, sperduto e lontano dal suolo carissimo. E come un
naufrago lei
anelava alla terra da cui era partita, alle sue asprezze, alle sue
dolcezze;
ricordava l’espressione addolorata di Bernard un attimo dopo
averla presa tra
le braccia, il timore d’averla spaventata, e raffigurava
quell’attimo con tinte
delicate e calde. Quanto era stato diverso sentirsi strappare alla
terra e alla
vita, rinchiudere in una carrozza da uomini dagli occhi malvagi. Come
aveva
potuto temere un bacio appassionato, quando il vero orrore era stato
aver
chiusa la bocca, strozzare le grida d’aiuto contro vincoli
crudeli, avere paura
anche per la propria stessa vita?
Si coprì
le labbra con una mano. Ricordò il calore, la dolcezza
nascosta nel fuoco. Non sarebbe stata la prima
volta, in quel giorno interminabile, che avrebbe ripensato a
ciò che sembrava
perduto. Per lei, rammentare la genuinità di Bernard era
come ricordare che esisteva ancora purezza, al mondo, un sentire libero
e schietto; che si poteva essere coraggiosi, che non si doveva cedere
ad alcun carnefice.
Rosalie
guardò la finestra, il sole che si faceva più
caldo e
accogliente. Dov'era, lui? Aveva notato la sua assenza? Era
preoccupato? Quanto avrebbe voluto rassicurarlo, e rassicurare Madame
Lucille...
La voce di Yolande
si insinuò in quell’istante, come la luce
quando si intrufola nello squarcio di un telo volto a coprire il sole.
– Se vuoi
stare al sole, mi farai compagnia in giardino.
Stavo per uscire per una passeggiata.
Rosalie tacque.
– Quanta
remissività. Mi fa piacere che la notte ti abbia
portato consiglio. – continuò Madame Polignac,
concedendosi un po’ di sorriso,
un po’ di trionfo. – E vedrai, mia cara, ti
abituerai di nuovo a questa vita.
Mi ringrazierai perfino, per le grandi cose che ho in serbo per te.
–
… se davvero volete che vi ringrazi… liberatemi
adesso. –
mormorò Rosalie. Tenne gli occhi bassi, anch’essi
stanchi
e mesti. – … e vi perdonerò per ogni
cosa mi abbiate fatto finora… o che avete
intenzione di farmi ancora.
Yolande
posò il tovagliolo, si alzò in piedi e
osservò la
figlia dall’altra parte del tavolo, con viso ironico.
– Ne ho
abbastanza di questi assurdi piagnistei. Io ti sto
donando una vita priva di stenti, una vita nell’abbondanza.
Sarai signora di
castelli, avrai accesso libero a Versailles, sarai qualcuno. Ma tu non
vuoi
capire…
–
… Charlotte.
Yolande
sgranò gli occhi, impietrita, come se quel nome
avesse lanciato un incantesimo sul suo corpo, sulla sua stessa anima.
Rosalie
alzò lentamente il viso e gli occhi rossi, stanchi
di pianto. – Nemmeno lei voleva capire, non è vero?
Yolande
voltò le spalle a Rosalie. La ragazza continuò,
ridendo
perfino, assecondando in cuor suo la via dell’insania.
– Perché le avete fatto
così male? Perché ne fate a me? Perché
ci avete odiato così tanto, Madame
Polignac?
La donna, ritta in
piedi e col capo chino, si lasciò colpire
alle spalle senza contrattaccare. Rosalie incalzò quel
momento di apparente
debolezza.
– Forse
sareste felice se anch’io scegliessi la stessa strada
di Charlotte, per liberarmi? Perché se quella è
l’unica via, io…
– Va bene.
Fallo. – replicò Yolande, la voce una staffilata
stretta tra i denti, come un morso. – Lanciati nel vuoto,
fa’ quello che
desideri.
Rosalie strinse i
pugni e sentì gli occhi, che credeva
asciutti, inondarsi di altre lacrime. Bruciavano, e bruciava
l’anima ferita.
– Io avrei
voluto amarvi. – sussurrò, tremando. –
Lo avrei
voluto, invece… voi vorreste togliermi tutto ciò
che di buono sento di provare…
vorreste rendermi come voi.
Yolande
alzò il mento, raddrizzò la schiena. Volse lo
sguardo indietro, a Rosalie. – Esistono due tipi di persone.
I deboli, e i
forti. – poi abbassò di nuovo lo sguardo, e un
dolore insaziabile,
inconsolabile, fece capolino negli occhi truccati di lei, bellissimi,
com’era
melodiosa la sua voce. – Charlotte… pensavo fosse
pronta, che fosse forte. Ha
avuto paura… ma io… non avrei mai permesso che
quell’uomo l’avesse prima del
tempo.
Rosalie strinse i
pugni fino a farsi sbiancare le nocche. –
Lei è stata forte. Più forte di voi. –
poi aggiunse, con tono lento e cupo: – Prego…
di esserlo… altrettanto.
Yolande sorrise
velenosa, cacciando via in un colpo solo l’unico
barlume di tenerezza che avesse mai mostrato. Parlò con
sfida, con disgusto. –
Non temere, Rosalie. Dopo il matrimonio, avrai facoltà di
fare quello che
desideri. Ma prima… obbedirai a tua madre.
– Voi non
siete mia madre. – sibilò la ragazza, mutando il
viso dolente in un’espressione ferina, le guance rosse
dall’umiliazione.
– Il
documento di adozione è pronto. Se non mi vuoi come
madre, sono comunque la tua tutrice. E la tua tutrice ti esorta a
riposare e
prepararti: stasera abbiamo un invito ufficiale.
Vedendo Rosalie
ammutolita di nuovo, Yolande addolcì i toni.
– Non vuoi venire, dunque, a fare una passeggiata in giardino?
Rosalie non
l’ascoltò più. Si avviò di
corsa lontano da
quella donna, gli occhi ciechi. La sua fuga fu prontamente interrotta
dalle due
cameriere, che la intercettarono prima che potesse salire le scale
verso la sua
camera. E la condussero, con solennità d’aguzzine,
lungo le stesse scale, verso
la stessa camera, togliendole perfino l’arbitrio di
rinchiudersi da sola nella
propria gabbia.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Infangare la purezza di una sposa ***
Nemmeno durante il
pomeriggio Rosalie riuscì a dormire. Se
ne stava immobile sul letto, gli occhi fissi al pesante tendaggio del
baldacchino.
Passato il primo
momento, quello in cui il rapimento e la
forzata permanenza a palazzo Polignac l’avevano aizzata alla
rabbia, la ragazza
realizzò che non poteva permettersi di ribellarsi
apertamente, se voleva
trovare spiragli di salvezza. Doveva tenere a bada la propria irruenza
e il
dolore, fingere remissività. Ma era certo che non avrebbe
permesso a nessuno di
imporle alcunché. Tantomeno un matrimonio con un uomo
detestabile. E se
avessero cercato di costringerla a forza, Rosalie avrebbe trovato il
modo di
rispondere con la stessa forza.
Era in una tale
prostrazione d’animo che pensò davvero che
si sarebbe uccisa, piuttosto che venire disonorata. Come Lucrezia nella
storia
di Roma, secondo il racconto che Madamigella Oscar le aveva fatto.
In quei pensieri, il
ricordo di Bernard tornò a bussare al
limite della sua coscienza, e la intristì.
Proprio a lui,
Rosalie aveva detto che vale la pena vivere
sempre, vivere oltre gli ideali fissi; solo Dio può dare e
togliere la vita.
Così Madamigella Oscar le aveva insegnato, e lei voleva di
tutto cuore
continuare a incarnare quell’insegnamento.
Però…
Il suo cuore le
rimandò l’immagine della giovanissima,
orgogliosa Charlotte. Una fanciulla ben più giovane di lei,
ma al contempo
fiera come un’adulta. Le parve una piccola madonna
vincitrice. E di nuovo,
l’insofferenza per le catene che gravavano il suo collo,
invisibili e
soffocanti, mandò una sferzata di disperazione.
Però,
quante volte Rosalie aveva pensato che Charlotte non
avrebbe compiuto alcuna follia se avesse avuto chi l’amasse
davvero, chi
potesse proteggerla. Se avesse avuto con sé Madamigella
Oscar… oppure un uomo
come Bernard.
Di nuovo, Rosalie si
immaginò il giornalista scoprire della
sua sparizione. Cercò di smorzare l’euforia della
speranza, di non credere
troppo alla possibilità che lui potesse trovarla, lontana
com’era. Cercò di
immaginare di potersi liberare da sola, come era già
successo. Lei doveva
impegnarsi da sola a salvarsi, non poteva dipendere dagli altri.
Ma intanto, il suo
cuore vibrò di dolcezza per quel giovane,
e pregando nel proprio silenzio chiese al Cielo di condurre a lui un
segno,
quale che fosse, della stessa speranza.
Ci
rivedremo, Bernard,
mormorò tra le lacrime che, a tradimento,
solcarono il suo viso pallido più
volte, in quel pomeriggio. E ogni volta si accorse che non era
più solo una
speranza, bensì una promessa, una vocazione. Ci
rivedremo, si diceva, e diceva al giovane lontano.
E si
impegnò a maggior ragione a calmare il cuore, a
predisporre la propria resistenza. Come un’onda di marea
travolge il candore di
una spiaggia e lo nasconde alla vista, così lei nascose
dentro di sé tutta la
propria forza, per preservarla al momento opportuno.
Al tramonto, Yolande
la trovò ancora a letto. Contemplò la
figlia apatica, il suo sguardo privo di vitalità, e scosse
il capo con
disapprovazione.
Le due cameriere che
avevano condotto Rosalie in stanza,
sorvegliandola senza posa, furono infine congedate per permettere loro
il
riposo. Al loro posto ne giunsero altre due, più giovani ed
esili delle prime,
cui Yolande diede ordine di preparare la Duchessina.
Rosalie si
adattò alle cure, passiva. Quasi non vide il
proprio riflesso nello specchio mentre veniva truccata;
sopportò senza battere
ciglio lo strizzarsi del corsetto intorno alla vita; si sottopose alla
tortura
della pettinatura, e della vestizione, tutto come fosse assonnata.
Yolande rimase
in silenzio a osservare ogni cosa, attenta a correggere il minimo
errore.
L’abito
che Rosalie si trovò a indossare era blu, rigato di
fantasie di fiorellini gialli e bianchi. L’acconciatura fu
impreziosita da
perle e fili d’oro. Orecchini preziosi le fecero splendere il
viso, e i
cosmetici celarono le occhiaie e ravvivarono di rosso le guance
pallide.
Così
conciata, Rosalie fu invitata a guardarsi. Per un
momento, cedette allo stupore. Aveva dimenticato il peso del trucco e
degli
ornamenti, e non ricordava quanto fossero stranianti. Si vide
trasformata in un
soprammobile, almeno così pensò; e decise di
acconsentire a quel suo nuovo
stato, imponendosi di non parlare.
Finalmente, Yolande
rivelò quale fosse l’occasione per cui
l’aveva agghindata in quel modo.
– Il Duca
de Guise ha organizzato una festa, questa notte.
Noi vi prenderemo parte. Saranno presenti molti altri signori
d’altissimo
rango. – la Duchessa non si profuse in raccomandazioni, ma
Rosalie colse
l’intento ammonitore nel tono della donna. E
ricordò anche quel nome, così
funesto per la storia di quella casa. Fu più difficile
mantenersi forte e
spenta, ma con tutta la forza d’animo che le era rimasta, la
ragazza
resistette.
Rosalie
indossò il mantello ornato di pelliccia. Ogni gesto
che compì fu meccanico e rigido: colpa del corsetto, degli
abiti, delle scarpe
scomode, dell’ira repressa.
Quando
uscì dal portone principale del palazzo, l’aria
gelida della sera le sfiorò il viso. Si chinò a
raccogliere la gonna per non
inciampare sulla ghiaia del viale; per un attimo, il suo sguardo
vagò intorno,
al giardino che un poco ricordava, alle ombre oscure nascoste dagli
alberi. Salì
sulla carrozza, lentamente. Madame Polignac la seguì subito
dopo.
Il tragitto fu
più breve di quanto Rosalie avrebbe desiderato.
La ragazza lanciò sguardi smarriti fuori, alle stelle
accecate dalle lanterne
della carrozza stessa, alla notte limpida e pulita; alla luna, rotonda
signora
delle speranze, che si specchiava sul fiume. Presto scorse il castello
del Duca*,
che torreggiava verso il cielo, imponente sulla riva. L’animo
di Rosalie si
strinse, fragile, nella morsa dell’ansia.
Quanti volti avrebbe
dovuto affrontare, primo tra tutti
quello del Duca? Quante domande avrebbe dovuto tollerare?
Guardò di sottecchi
Madame Polignac, che osservava distrattamente fuori, senza rivolgerle
la
parola.
Scesero dalla
carrozza e subito furono accolte dai
servitori, che presero i loro mantelli.
Furono introdotte
nell’atrio spazioso del castello. Rosalie
si guardò intorno furtivamente, rimirò lo sfarzo
e la grandezza con crescente
terrore. Questo esplose in tremito quando una voce si fece udire in
un’eco
profonda, e rivelò l’arrivo del padrone di casa.
–
Duchessa… – salutò Roland de Guise,
comparendo dalle
scale, con fare sussiegoso e sensibilmente addolorato. – Sono
lieto abbiate
accettato il mio invito: non ci speravo… – e
mentre il Duca si inchinava alla
Duchessa, prendendole la mano in un bacio accennato, Rosalie prese a
fissarlo.
Era quello, l’uomo che avrebbe dovuto sposare Charlotte?
Camminava e si muoveva
con affettazione; era alto, imponente nel fisico dalle ampie spalle,
goffo nei
passi come nei gesti infagottati in abiti raffinatissimi. Una parrucca
incipriata incorniciava il suo volto lascivo, bianco di belletto, dalle
labbra carnose
e sensuali, delineate da due baffi sottili e ben tagliati. Aveva
un’espressione
maliziosa e allusiva anche mentre offriva omaggio all’ospite,
una dama del
rango di Madame Polignac, come se in fondo suggerisse nei suoi
confronti
pensieri poco onesti.
Poi,
d’improvviso, il Duca si volse a Rosalie, e la sorprese
a fissarlo. Negli occhi, scuri e rotondi, guizzò una luce di
compiacimento, e
un sorriso vago accompagnò il nuovo saluto.
– Questa
giovane dev’essere Madamigella Rosalie…
– e la
squadrò in ogni particolare, che fosse del volto, degli
abiti, e d’altro. – Mio
Dio, non c’è alcun dubbio.
Rosalie ritrasse
immediatamente la mano, quando quell’uomo
accennò a prenderla. Indietreggiò con una
sicurezza che parve premeditata;
Madame Polignac si indignò.
– Rosalie,
cara. Le vostre maniere?
Roland de Guise,
tuttavia, accolse di buon grado la ritrosia
della ragazza. Gli occhi scuri gli si animarono di nuova cupidigia.
– Non
datevi pensiero, cara Duchessa. Non m’ingannavate, nel
dirmi che ella condivide lo spirito della nostra cara, rimpianta
fanciulla…
Il paragone con
Charlotte, pronunciato da quelle labbra e in
quel modo, punse Rosalie fin nel profondo.
– Non
nominatela. Non nominatela nemmeno… –
sibilò a denti
stretti la ragazza, gli occhi tremanti di disprezzo, e Guise trattenne
le sue
risatine per un attimo. La curiosità fece capolino nel tono
allusivo del suo
sguardo, tanto che Rosalie credette che egli potesse essere stato
colpito dalle
sue parole, che ne sentisse il peso, il rimprovero. Era falso: egli
piuttosto
abbandonò il compiacimento per abbracciare
l’arroganza, e il suo nuovo sorriso
fu pieno, mostrò i denti in modo forzato e aggressivo.
– Mi sono
sbagliato. Evidentemente, c’è
dell’altro… c’è di più. – il Duca si
volse a Madame
Polignac, che era rimasta in silenzio, lo sguardo come distratto.
– Ma prego,
Madame Polignac, venite pure, voi e la deliziosa Duchessina
ribelle… i nostri
amici ci aspettano per la cena. La festa inizierà subito
dopo… vi divertirete
di certo. Sarà rigorosamente in maschera… !
– Oh, caro
Duca, tutta Versailles elogia le vostre feste in
maschera… – continuò Madame Polignac,
affabile.
Rosalie
osservò il portone alle sue spalle. Era stato
irrimediabilmente richiuso. La ragazza si impresse nella memoria, per
come
poté, la disposizione delle stanze; cercò
finestre, aperture, e l’asfissia di
quel luogo sconosciuto e per lo più avvolto
dall’ombra minacciò il suo
coraggio.
Poi, mentre seguiva
a pugni stretti Guise e Madame Polignac
nella sala da pranzo, si figurò sua sorella minore, il suo
cuore di sgricciolo
sovrastato da quelle stesse stanze, corridoi e saloni.
Allora si riscosse,
e a testa alta varcò il confine tra
quiete e battaglia.
Durante la cena,
quasi nessuno rivolse la parola a Rosalie,
a eccezione di Guise. Ricevette molti sguardi, sì, ma
nient’altro. Inoltre, Madame
Polignac e Rosalie risultarono essere le uniche donne. Gli altri
invitati erano
aristocratici dell’età del Duca o più
anziani, i volti arcigni e deformati
dalla cipria.
Gran parte della
conversazione gravitò intorno ai
pettegolezzi di Corte, amanti, favori, alleanze e compravendite di
immobili,
oggetti e promesse spose. Più di una volta, Rosalie
sentì addosso lo sguardo
del Duca, specie quando l’argomento toccato aveva allusioni e
doppi sensi di
pessimo gusto, infiorettati da belle parole e metafore. Più
volte si sentì venir
rosso alle guance, suo malgrado: non il rossore timido
dell’innocenza, ma
quello di chi si sente bruciare l’anima e vorrebbe urlare
fuori rabbia e
frustrazione. Certo il belletto lo nascondeva, ma Rosalie non era
capace di
celare le proprie emozioni dal viso: i suoi occhi parlavano pure, e
in modo
chiaro.
Guise ne
approfittò. – Ma un momento, amici miei, stiamo
mettendo in grave imbarazzo la deliziosa Duchessina. Non è
così, mia cara?
Rosalie
alzò lo sguardo dal suo piatto. A fronte del viso
arrossito e degli occhi colmi di disgusto, riuscì a parlare
con calma.
– Stavo
per chiedervi di scusarmi. Non mi sento molto bene.
Madame Polignac, al
suo fianco, le rispose gelida. – Non
credo che stiate così male da volerci lasciare, cara.
Il Duca rise.
– Suvvia, Madame Polignac, non rimproveratela.
Io non la biasimo affatto: ci si aspetta questo genere di comportamento
da una
giovane sposa. – Rosalie sentì come un tuffo al
cuore. – Soprattutto se la sua
età non è più così fresca
da non far sorgere dubbi sulla sua… purezza.
Un coro di risatine
condì quella battuta infelice.
Rosalie, allora, non
seppe tacere. Lanciò al Duca uno
sguardo sottile, gli occhi blu densi di sfida:
– E a voi
piace, piuttosto, infangare la purezza di una
sposa, di una bambina sposa.
Il colpo fu
improvviso, immediato. Rosalie sentì il dolore,
la guancia in fiamme, il viso le si ribaltò su un lato, e
quasi la fece cadere
dalla sedia. Madame Polignac, furiosa, aveva rotto il silenzio e
l’immobilità,
per farle quello.
– Vi
chiedo perdono a suo nome, Duca de Guise. –
mormorò la
donna, livida di rabbia, il braccio alzato e la mano rossa. –
Vi prego di
perdonarci: evidentemente stasera la Duchessina è molto
indisposta.
Guise
restò immobile, il viso tetro. Che l’allusione di
Rosalie l’avesse colpito, e in negativo, stavolta era certo.
Non già per il
tema (come potrebbe un uomo che commette il male con gusto e coscienza,
sentire
offensive le accuse su quello stesso male?), quanto per il tono con cui
aveva
parlato Rosalie.
– Non
dovete preoccuparvi, Madame Polignac. Ma vi prego,
restate: la festa sta per iniziare, e la Duchessina potrà
trovare ristoro in
una delle stanze per gli ospiti. La migliore del castello.
Lì riceverà le cure
adeguate al suo malessere… – il Duca concluse con
un sorriso untuoso.
Rosalie strinse i
denti. Si tenne il viso dov’era stato
colpito: scottava. Non si curò degli sguardi che la
compativano o la
rimproveravano, o al contrario la contemplavano con divertimento.
Cercò gli
occhi di sua madre. E le indirizzò un disprezzo tale da
sentirsi sporcare
tutta, il viso stravolto in una maschera d’odio puro, come
non voleva che
accadesse. Se pianse, pianse per se stessa, per ciò che era
venuto fuori da lei
dopo quello schiaffo; per l’orrido sentore di marcio che la
invadeva tutta,
come una peste.
Yolande si chiuse in
una barriera impenetrabile. Per Rosalie
non c’era, e non ci sarebbe stata mai, una breccia in quella
gelida fortezza che
era l’animo di Madame Polignac.
Rosalie fu condotta
dai servitori ai piani superiori, in una
stanza arredata in modo squisito. La tappezzeria dorata, i mobili di
legno
pregiato, decorazioni, suppellettili raffinate, non mancava nulla di
ciò che un
povero avrebbe definito Sogno. Ma Rosalie, brutta di rancore e di
dolore, non
guardò nulla di tutto ciò. Subito chiese alle
cameriere di essere lasciata
sola. Quando quelle uscirono, corse alla finestra.
La parete cadeva a
strapiombo sul fiume, e culminava in
scogli aguzzi che emergevano dalle acque. Il castello, fatto di pietra
e di
guglie medievali, era infatti una vera e propria rocca: non era
possibile
lanciarsi da quella finestra senza rischiare la vita. L’unica
via d’uscita era
dalla porta per cui era entrata. Subito Rosalie si avvicinò
con cautela alla
soglia. Aprì la porta. Due servitori, fermi presso gli
stipiti, si voltarono a
guardarla.
– Avete
bisogno di qualcosa, Madamigella? – le chiesero.
Rosalie scosse il
capo, livida. In fretta, si richiuse
dentro.
Era stata ingenua.
Era chiaro che non le avrebbero lasciato
spazio per gironzolare sola per il castello. Né sarebbe
stato facile eludere
quella sorveglianza.
Doveva pensare a
qualcosa. Fintanto che Yolande era lontana,
e il Duca con lei, doveva trovare una via di fuga. Rosalie
aprì di nuovo la
finestra. Il vento la investì, a quell’altezza, le
scompigliò i boccoli
elaborati. Si sporse con cautela, vide delle finestre accanto alla sua.
Studiò
ogni possibile appoggio esterno, e la luna le rivelò una
mensola sottile, sotto
di lei, che percorreva tutta la superficie della parete del castello.
Chissà se
sarebbe stato possibile rimanere in piedi e in equilibrio su quello
spazio
minimo. Forse con una corda… ma al solo guardare
giù, Rosalie si sentì
confondere dalle vertigini, e il cuore prese a martellarle nel petto.
Si guardò
dietro. Le lenzuola, i legami delle tende, tutto
poteva aiutarla a fabbricare una corda di fortuna.
Era folle, ma non
c’era modo di uscire dalla follia se non
con altra follia. Il peggio sarebbe stato sfracellarsi sugli scogli
sottostanti; ebbene, era comunque preferibile a restare prigioniera di
quella
gente.
Con una
determinazione di ferro, Rosalie si accinse
all’impresa. Nodo dopo nodo, iniziò a costruirsi
la via della salvezza.
Era trascorsa quasi
un’ora in quella occupazione febbrile, e
Rosalie ormai aveva raccolto abbastanza materiale per una fune
sufficiente a
raggiungere la finestra vicina; quando d’un tratto la porta
si aprì, senza
avvisi. Rosalie gridò di sorpresa, cercò di
nascondere subito ciò che stava
facendo.
Spaventata,
guardò il nuovo giunto. Un uomo mascherato, con
in mano un candelabro, restò ritto sulla soglia a
osservarla.
Nonostante la
maschera, lei lo riconobbe con sgomento: il
Duca de Guise, con gli abiti che indossava prima, la stessa mole
imponente e il
sorriso lascivo.
Rosalie
indietreggiò, tenendo le corde di fortuna tra le
mani. Si appigliò a un comò, cercò a
tentoni dietro di sé. Il Duca si richiuse
la porta alle spalle, con tranquillità.
–
È un peccato che non possiate venire di sotto, mia
cara… –
disse l’uomo, con tono mellifluo. – Una festa in
maschera è una cosa
divertente… non so se voi, da dove venite, ne abbiate mai
vista una…
–
… andatevene. Non sto bene, andatevene.
– Non
tanta fretta, piccolina… vedete, io apprezzo molto il
fuoco delle popolane, e apprezzo anche le donne ribelli… ma
vorrei che capiste
fin dall’inizio la differenza tra gioco e dispiacere. Come
mia futura moglie, è
una lezione importante.
Il Duca si tolse la
maschera, la gettò per terra. Osservò la
finestra aperta, da cui provenivano venti gelidi, e i cordami
improvvisati
preparati da Rosalie. Rise di un pensiero malefico.
–
Quand’è gioco, siamo in due a
divertirci… mentre il mio
dispiacere diventerà anche il vostro, inevitabilmente.
Rosalie
trovò qualcosa dietro di sé, la mano destra
tastò un
vaso privo di fiori. Lo scagliò, tremando di paura, contro
il Duca. Questi si
scansò, e alcune candele si spensero nel movimento. Il duca
gettò il candelabro
sul pavimento di pietra, con rabbia. E allora fu quasi buio, e la sua
caccia
diventò feroce e furibonda.
Egli corse addosso a
Rosalie, pazzo di vino e di lussuria.
Lei, nell’ombra, cercò lo spiraglio della luna, la
finestra aperta, il salto
che l’avrebbe salvata. Si affacciò,
gridò, il Duca l’agguantò per la vita.
Con
mani dure e crudeli l’uomo tirò i nastri del
corsetto, strappò senza pietà. Lei
si divincolò con tutte le sue forze, gridò
ancora, la voce rotta dall’orrore.
Il Duca la
trascinò verso il letto, ve la gettò sopra, le
soffocò le grida premendole il capo contro il cuscino. Le
tenne la nuca e i riccioli
in una morsa ferrea. Le saltò addosso, rovesciando strati di
gonna e seta,
cercando la sua nuda pelle.
Rosalie si
sentì morire. La coscienza le volò via dal petto,
sentì i sensi abbandonarla, il cuore spaccarsi come un
frutto tagliato a metà.
E proprio in quel
momento, mentre tutto intorno a lei
turbinava e la presenza mostruosa del Duca schiacciava il suo corpo
disperato,
sentì un rantolo soffocato, la presa sui suoi capelli
allentarsi di colpo.
Stordita,
strisciò tra le coperte violate. Sentì il peso di
quell’uomo alleggerire le sue membra, lasciarla andare. Si
sdraiò su un fianco,
ansimando. Guardò nell’ombra, per quello che la
luna e una candela superstite
potevano mostrarle, laddove si stava consumando una lotta furiosa di
scatti,
silenzi e singulti di fiato.
Rosalie vide Roland
de Guise in ginocchio sul letto, già
mezzo svestito e trattenuto al collo da una corda, la stessa che lei
aveva
intrecciato con pazienza e mezzi di fortuna. Il Duca tremava nel
disperato
tentativo di liberarsi e prendere aria, gli occhi di fuori, la lingua
di fuori.
C’era qualcuno dietro di lui che lo teneva in scacco, che lo
strozzava senza
pietà. Era una sagoma scura, che quasi non si distingueva
dall’ombra: aveva il
viso coperto a sua volta da una maschera, la bocca serrata nello sforzo
di
uccidere.
__________
Note.
* Il castello del
Duca: nell’episodio 19 dell’anime di Lady
Oscar, la scena in cui il Duca e la Polignac cenano insieme a Charlotte
e altri
“invitati oscuri” è ambientata in un
castello di forma medievale, molto alto,
in pietra e fornito di torri. Si affaccia su un fiume e si intravedono
scogli
aguzzi in prossimità della riva. Non so quale castello sia,
ma in ogni caso mi
sono riallacciata all’anime.
-
È un po’ straniante postare un capitolo come
questo dopo
lo Sugar Love che ha riempito questa giornata romanticosa…
mwahahahah! A chi
legge e ama questa storielluzza, un po’ di cuori
supplementari (direi che ne
abbiamo bisogno, dopo questo Duca orribilissimo).
PS. Chiedo un
parere, proprio sul Duca orribilissimo e
affini: secondo voi dovrei cambiare il rating della storia, da
arancione a
rosso? Avevo previsto che ci fossero scene un po’ crude, ma
dovrebbero
rientrare nell’arancione, perché le fermo prima
dell’irreparabile! Questa è
quella che sento più cattiva, ma non ce ne saranno di
peggiori. Beni, grazie in
ogni caso dell’attenzione e un abbraccione!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Seguimi ***
Nota del 07/04! Per chi aspetta il Cavaliere, grazie per la pazienza e chiedo scusa per il ritardo! La storia riprenderà questa domenica 10 aprile, i capitoli saranno pubblicati ogni domenica. Un abbraccio e a prestissimo!
Il volto del Duca
trasfigurò in orrore. Paonazzo, egli
annaspò con la lingua di fuori; dalla gola stretta in un
vincolo senza pietà
veniva un suono gorgogliante, come una fontana rotta. Roland de Guise
era
ridotto a un animale agonizzante, senza memoria di fasti, ricchezze e
vizi.
Rosalie, libera
ormai dall’incombere di quell’uomo, poté
vedere il volto dell’assalitore che sbucava dalle spalle
della vittima, i suoi denti
stretti, il mento liscio, gli occhi furibondi dietro la maschera scura.
E fu più
forte di lei, con il viso rigato di lacrime,
chiamare il suo nome.
– Bernard!
Monsieur Bernard!
A quella voce
accorata, il Cavaliere Nero ebbe
un’esitazione. Il Duca rantolava con gli ultimi scatti
nervosi, prossimo a
un’orribile fine. Sarebbe bastato stringere ancora i cordami
attorno al suo
collo per spezzare del tutto la sua vita. Le forze lo aiutavano, la
furia
scorreva in lui come sangue in corsa; fargli del male era un pensiero
dilagante, voracissimo, piacevole...
La voce di Rosalie
suonò ancora, come un ruscello purissimo
nel fango di una palude.
– Vi
prego, fermatevi! Fermatevi…
Di colpo, Bernard
lasciò andare il Duca. Questi si chinò su
se stesso, mezzo strangolato. Tossì e ansimò,
bevendo a fiotti aria scomposta;
non poté però evitare che Bernard lo colpisse
violentemente alla nuca. Il Duca
stramazzò in avanti. Il Cavaliere Nero mosse il suo corpo
come un fantoccio e
lo strappò via dal letto, incurante che impattasse al suolo
con violenza.
Respirava forte,
Bernard, le mani tremanti. Rosalie lo
contemplava stravolta, i capelli spettinati, gli abiti scomposti.
–
Stai… stai bene? – sussurrò lui,
deglutendo.
–
Bernard… Oh, Bernard!
Rosalie gli tese le
braccia, gli occhi stretti tra le
lacrime. Subito il giovane l’attirò a
sé. Il cuore che scoppiava al pari di
quello di lei, le accarezzò i capelli, la strinse forte al
petto, tremò per lei.
– Dimmi
che sono arrivato in tempo…
–
Sì… sto bene, sto bene… grazie
a voi, io… – la fanciulla rideva e piangeva
insieme, a voce dirotta.
Bernard le colse il
viso con le mani, le asciugò le lacrime
con i pollici e la guardò con intensità.
Cercò conferme, e le trovò nel sorriso
commosso e tremante di lei, nella gioia dilagante con cui lei
tornò a
stringerlo e a rannicchiarsi sul suo petto.
– Rosalie,
piccola mia Rosalie… Hai avuto paura, ma ora… ora
ci sono io. – mormorò il giovane, con un sollievo
crescente che si spargeva per
il petto e l’anima come un buon sorso di vino. Infine, la sua
voce prese toni
determinati. – Abbi fiducia in me. Io ti farò
uscire di qui.
Rosalie
calmò il pianto e le emozioni (rabbia, ansia,
terrore, meraviglia e gioia: quanti cambi, in pochissimo tempo!), prese
lunghe
boccate di respiro. Annuì, ridendogli ancora, abbracciandolo
tutto intorno alla
vita, senza pudori o remora alcuna. Quel giovane era la salvezza, e lei
lo
sentiva, poteva aggrapparsi a lui, poteva affidarsi.
Bernard attese
ancora un attimo, le sorrise finalmente, gli
occhi accesi di tenerezza dietro la maschera scura. Poi
tornò serio e cauto,
osservando la porta che, per fortuna, nessuno aveva tentato
d’aprire.
– Dobbiamo
fare in fretta. – mormorò. – Prima che
qualcuno
venga quassù.
–
Ho… ho fatto una corda…
– Lo so.
– Bernard annuì, poi osservò il corpo
abbandonato
del Duca, la sua gola arrossata per la stretta delle corde fatte di
lenzuola e
nappe preziose, e vide con disgusto le brache di lui calate fino alle
ginocchia.
Per un attimo, il
sangue gli tornò alla testa. Lottò con il
gusto sopraffino di ammazzarlo davvero, gettandolo dalla finestra
mentre era
svenuto. Ma la mano di Rosalie era nella sua; lei era salva, e questo
sgonfiò la
sua ira.
– Useremo
la tua corda per immobilizzarlo e nasconderlo.
Quando lo troveranno, saremo lontani. – promise il giovane.
Si chinò verso il
Duca, e si diede con grande attenzione a quel compito.
– Da
dove… da dove usciremo? La finestra… –
sussurrò
Rosalie, osservando l’apertura da cui giungevano aliti gelidi
di vento.
– Non
possiamo tentare la via del tetto, da questo piano. È
troppo scoscesa, c’è molto vento. – non
disse, Bernard, che per quella scalata
aveva rischiato molte volte di precipitare di sotto, tra le rocce e le
acque
nere del fiume. – In due non ce la faremo mai. Dobbiamo
uscire per i corridoi… anche
se sarà comunque rischioso. – il giovane
accompagnò quelle parole con una
stretta decisa delle corde intorno al corpo del Duca.
–
… va bene. – annuì Rosalie. –
Sono pronta.
Bernard le sorrise
per un attimo. Poi serrò la mascella,
tornò serio e rigido. Impose al Duca un bavaglio impietoso,
poi lo nascose
all’interno dell’armadio, spingendovelo dentro
senza alcuna delicatezza.
Nel frattempo,
Rosalie andò allo specchio, raccolse da terra
il candelabro, ormai mezzo spento, e si guardò. Vide i segni
delle lacrime che
rigavano la cipria e il belletto delle guance, il viso stravolto e gli
occhi
sgranati, il rossetto sbavato sulla bocca. Si asciugò del
tutto i segni
dell’orrore, cercò di pettinarsi con le mani i
capelli.
– Rosalie.
Dammi il candelabro… – fece Bernard, trattenendo
le ante dell’armadio con entrambe le braccia. Rosalie gli
venne accanto,
comprese presto: incastrò il braccio principale del
candelabro nelle maniglie
delle due ante, sì da impedire a chi vi era rinchiuso di
uscirne facilmente.
Fu una buona idea,
perché subito dopo udirono i lamenti
dell’uomo che andava ridestandosi, sordi e lontani come un
curioso pigolare.
Bernard
sospirò forte. Prima d’avere ripensamenti, prese
Rosalie per mano e si accostò alla porta. La socchiuse,
guardò fuori.
–
Aspettate. Esco prima io… – sussurrò
lei, mentre
dall’armadio venivano deboli colpi, come calci.
Rosalie si
mostrò nel corridoio. Non videro nessuno. Questa
fortuna li incoraggiò. Bernard venne pure allo scoperto, e
insieme, mano nella
mano, i due giovani procedettero lungo quella scia di pietra grigia,
addobbata
in stile arcaico e medievale.
Quando giunsero
all’angolo, udirono due voci.
– Non si
sente più nulla… – stava dicendo un
uomo.
– Questo
è strano. Di solito non è così.
Sarà il caso di
andare a vedere… ?
–
Perché il Duca ci faccia frustare, dopo? Abbiamo ordine di
non disturbarlo finché non ci chiamerà lui. E io
di qui non mi muovo.
Bernard
agì in fretta. Uscì dall’angolo e si
avventò sul
primo dei due servitori, che vigilavano il nulla con occhi spenti. Lo
colpì
alla nuca, e questi si afflosciò al suolo. Il secondo,
terrificato, si mosse
per dare l’allarme. Bernard lo vide indietreggiare,
prepararsi a una corsa
rapidissima… quando ricevette un colpo netto in testa da
un’elegante scarpetta da damigella.
Bernard si volse
sbalordito verso Rosalie. Non ebbe tempo di
esclamare nulla, che il secondo servitore si mosse ancora, stordito ma
non
fermato dal colpo.
Fu un attimo: prima
che questi fuggisse, Bernard lo agguantò
per il collo, lo sbatté al muro e sibilò:
– Non ti
ammazzo, per ora. Ma tu adesso ci guiderai fuori, o
sarà peggio per te.
Rosalie si
liberò anche dell’altra scarpa. I suoi passi
furono,
allora, più sicuri e veloci.
Bernard procedeva
avanti, tenendo in scacco il servitore,
con il pugnale piantato tra le costole che premeva e pungeva abbastanza
da
terrorizzarlo.
Andarono spediti
fino alle scale. Dal piano di sotto
giungeva musica, chiacchiericcio, voci delle più diverse: un
frastuono
godereccio la cui eco preoccupò Bernard. – Da che
parte, per non incontrare
nessuno?
–
Non… non si può non incontrare
nessuno… – ansimò il
prigioniero. – Durante le feste… il Castello
è frequentato in ogni piano, e… e…
– Forza!
Parla! – sbraitò Bernard.
– Ecco,
gli ospiti… solo alcuni ospiti… vengono qui e si
servono delle stanze per…
In quel momento,
udirono il suono di uno scalpiccio e di
piccole grida femminili. Qualcuno si stava avvicinando di corsa.
Subito cercarono di
nascondersi dietro una statua d’angolo,
ma era tardi: non potevano celarsi in tre in uno spazio così
piccolo e scoperto,
e chi stava arrivando correva di buona lena, ridendo a crepapelle.
Si trattava di una
donna. Questa emerse dall’oscurità del
corridoio, ansante, passò loro accanto e li
superò. Li vide tutti e tre, ma
subito li ignorò, eccitatissima e tutta intenta a fissare il
punto da cui era venuta.
Bernard e Rosalie la osservarono attoniti. La donna aveva le spalle
scoperte e
il corsetto aperto lungo la schiena, e si teneva le mani sulla
scollatura procace.
Era truccata all’eccesso, quasi una maschera grottesca: le
labbra gonfiate dal
rossetto, nei ovunque sul viso pallido come calce. Era coronata
d’alloro tra i
boccoli incipriati.
A un tratto, la
donna rise forte. – Non mi prenderete! – le
sentirono dire, con una voce simile a uno squittio e un accento
marcato, quello che si parlava nei quartieri degradati di Parigi.
Di colpo,
un’altra voce le rispose, più roca e bassa, dai
meandri del corridoio.
–
Vieni… vieni, tesoro…
La donna
saltò sul posto, rise di nuovo sguaiatamente. Con
una mano sollevò la gonna e riprese a correre, senza
più guardarsi indietro.
A quel nuovo
annuncio, Bernard si appiattì al muro insieme
al servitore, chiamò Rosalie accanto a sé.
–
Ti prendo… cosa
credi… lo sento, il tuo profumo… vieni, mia cara
Dafne, vieni dal tuo Apollo…
Un uomo basso e
tozzo avanzava barcollando, tastando davanti
a sé l’aria senza riuscire ad afferrare nulla. Era
bendato, realizzarono
Bernard e Rosalie. Bendato e con addosso camicia e culottes, incurante
di loro
perché non poteva vederli, e perché dalla voce e
dai movimenti si poteva ben
capire che fosse ubriaco.
Il servo, in quella,
gemette. Bernard fu lesto a chiudergli
la bocca. Lasciarono che quell’Apollo
avanzasse, finché non scomparve anche lui dietro a Dafne.
Bernard allora diede
uno strattone al servitore.
– Che
diavolo sta succedendo, qui?
–
È… è il gioco… del
Nascondino… – rantolò il servo, con una
smorfia di dolore per la stretta di Bernard.
–
… nascondino?
– In
quest’ala… vengono gli ospiti
più… quelli che amano i
giochi del Duca… gli altri… stanno solo al primo
piano… non possono salire qui…
Bernard contenne una
smorfia di disgusto, e per un attimo
rilasciò la tensione con cui stava trattenendo
quell’uomo.
D’un
tratto, udirono di nuovo echi di corse e risate.
Il servitore, al
colmo del terrore, chiamò – AIUTO! – e
si
divincolò per sfuggire a Bernard. Il Cavaliere Nero non ebbe
scelta: rese al
servitore la libertà a modo suo, colpendolo alla testa con
vigore.
Le voci si fecero
più vicine. Chi si stava divertendo in
quell’ala del castello non avrebbe tardato a farsi vedere.
– Dannazione, e
adesso dove…
Con un gesto rapido,
Rosalie prese la mano di Bernard.
– Venite
con me. Ricordo la strada che ho fatto prima.
Bernard, stupefatto,
si lasciò afferrare e tirare.
Rosalie si
tuffò nella penombra dei corridoi con ansia
febbrile, ma il suo passo non esitò. Una mano alla gonna, i
piedi scalzi, l’altra
mano stretta in quella di Bernard, guardò dritto davanti a
sé, tenendo mente e
cuore in apnea. Bernard osservò i capelli di lei scuotersi
nella corsa, la sua
figura sottile fremere a ogni salto. Si fece più deciso e
corse a sua volta senza più esitazioni.
Incontrarono, in
qualche angolo, amanti lascivi e
abbandonati tra i corridoi, che non si curarono affatto di chi passava.
Una di
quelle coppie parve quella di… Apollo e Dafne, ma i due
fuggitivi non rimasero
a sincerarsi che fosse così.
Percorsero una
galleria surreale di figure crude e violente,
statue vive di un mondo dissoluto che nell’ombra traeva i
suoi piaceri e con
essi ungeva anime e corpi, ineluttabilmente. V’erano infine
porte socchiuse da
cui provenivano echi animaleschi.
E in quella fiera
senza morale e domande, essi correvano,
candida lei, nero lui, stringendosi ancora di più
l’uno all’altra; fuggivano,
ma nessuno se ne accorgeva; avevano il fiato corto, ma nessuno li
ascoltava. Passarono
tra la melma senza farsene insozzare.
Rosalie si trattenne
di colpo in prossimità delle scale. I
due avanzarono con più cautela. Gettarono uno sguardo di
sotto, sporgendosi
dalla balaustra. La musica alta e raffinata copriva il suono delle loro
voci, e
di tutte le voci del piano superiore.
–
Dannazione. Ci sono dei servitori di guardia alla fine
delle scale... – constatò Bernard.
Rosalie, invece,
osservava il viavai di invitati. – Ma certo!
– esclamò la ragazza, contemplando le figure che
sfilavano davanti alle scale. –
Il Duca l’aveva detto…
Bernard la
guardò interrogativo. Lei gli mostrò, con un
cenno della mano, l’entrata del salone che si poteva
contemplare dalla
balaustra.
Allora, Bernard
capì. Tutti gli invitati portavano maschere.
Ignari del bailamme dei piani
superiori, quei nobili ritenevano già trasgressivo,
evidentemente, concedere
danze a sconosciuti e intrecciare conversazioni dietro il velo di un
ventaglio;
giocavano d’azzardo ai salottini e ai tavolini; negli angoli
baciavano
conosciuti amanti con il vezzo di fingersi qualcun altro, o cercavano
novità
che il giorno dopo avrebbero rinnegato.
Rosalie
guardò allusiva il viso di Bernard, i suoi occhi coperti
di nero.
Lo stesso pensiero
passò per la mente di entrambi.
Bernard
gettò un’altra occhiata di sotto, poi alle sue
spalle. – Dobbiamo fare in fretta, prima che diano
l’allarme. Ma è un’idea del
tutto folle, scendere tra loro... ci scopriranno.
Rosalie
intrecciò più forte le dita a quelle del giovane.
Tremava
come un passero, ma aveva sul viso delicato un’espressione
decisa.
– Non ho
paura, se voi siete con me.
Bernard
l’abbracciò di slancio. Lei gli si
abbandonò, con un’arrendevolezza
che profumava di fiducia.
–
Allora… seguimi. – le sussurrò
all’orecchio.
Abbracciati, presero
a scendere le scale. Bernard cinse le
spalle di Rosalie, coprendola con il suo stesso mantello.
Avanzò spedito, con
lei al fianco, una mano ferma sull’impugnatura del coltello.
I servitori che
sorvegliavano il passaggio delle scale li
osservarono. I due giovani sfilarono loro davanti, sembrarono
proseguire…
Uno dei servitori, a
quel punto, li indicò. Bernard si fermò,
con i denti stretti.
–
Permettete, Signore… venite dal piano superiore? Il vostro
nome?
Bernard si
abbassò lievemente, pronto a scattare.
Rosalie,
però, fu più veloce. Si aggrappò del
tutto a lui, gli
prese il viso tra le mani. Con gesti timidi, le labbra piccole e calde
che
tremavano, si issò in punta di piedi e posò un
bacio sulla sua guancia, all’angolo
della bocca. Non osò altro, e non vi fu nulla di insinuante
in quel suo gesto, ma
Bernard si sentì come tramortito.
Rosalie, allora,
volse al servitore che aveva parlato un
sorriso lieve. Non parlò, si limitò a guardarlo,
gli occhi blu grandi e soavi,
il viso fin troppo arrossato per essere finzione.
L’uomo che
li aveva indicati si ritrasse confuso. – Non… non
potete salire al piano superiore senza il permesso del Duca…
sono le regole…
–
… oh. Vi chiedo perdono, non lo sapevamo. Scendiamo
subito…
Rosalie
restò stretta a Bernard fino all’ultimo gradino,
il
capo sulla sua spalla. Lui aspirò il profumo dei suoi
capelli, la serrò per la
vita e non disse una parola. I servitori li lasciarono passare senza
più
domande.
Varcata la soglia
del salone, i due giovani rimasero uniti,
le mani strette. Iniziarono a muoversi a zig-zag tra le frotte dei
festanti.
Era Bernard a
guidare, a quel punto. Gli individui intorno a
loro apparvero come fantasmi curiosi: li osservavano, alcuni, dietro le
maschere sontuose, e a Rosalie mancò spesso il coraggio; ma
la mano di Bernard
era calda e grande, e il Cavaliere Nero era avvezzo ai grandi salotti e
alle
feste come quelle. La maschera sul viso come tutti loro, il cuore pieno
della presenza
di Rosalie, li guardava in faccia senza paura alcuna. In passato aveva
rubato
loro soldi, collane, orecchini, arrivando anche vicinissimo, le mani
leste
sotto i giustacuori; ripeté quella consuetudine, ma il
tesoro che portava via a
quel mondo era immensamente più prezioso.
All’improvviso
Rosalie, che non indossava altre maschere che
il vivo pallore delle emozioni, credette che il cuore le si fermasse
quando
scorse, in un angolo, la Duchessa di Polignac attorniata da un nugolo
di dame.
La donna rideva,
ignara di loro, ignara di lei. Se Bernard
non fosse arrivato, ugualmente avrebbe riso mentre sua figlia
sopportava il
supplizio del suo carnefice?
La ragazza
chinò il capo; versò l’ultima lacrima
per sua
madre.
Bernard
sentì che lei rallentava, le strinse un poco di
più
la mano, le sorrise incoraggiante, – Ancora poco…
… e
quella sala interminabile sarebbe rimasta alle loro
spalle, poiché l’uscita si avvicinava inesorabile,
prossima all’atrio, l’ultimo
ostacolo.
Rosalie
allungò il passo, sentì il cuore batterle nel
petto
al ritmo della musica e del chiacchiericcio martellante, sorrise anche
lei a
Bernard…
–
ALLARMI!
Un grido
suonò di rimando intorno a loro, poi si spense con
la musica e tutte le voci. Rosalie trattenne il fiato, Bernard
raggelò.
–
ALLARMI! IL
CAVALIERE NERO È QUI! HA PRESO IL DUCA!
__________
Note.
- Salve! Ho tardato
un po’ con questo capitolo, e prima di
oggi non ho saputo dare previsioni concrete sulla pubblicazione
perché è un
periodo piuttosto pieno e faticoso, sono in ritardo spesso anche con Rivoluzione. Ma finalmente sono arrivata
anche qui! La prossima pubblicazione arriverà più
o meno tra un paio di
settimane.
Grazie immensamente
a chi segue questa storia nata per caso,
per curiosità e per affetto. Un abbraccio a tutti voi!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Il ricordo del Terrore ***
Una maschera bianca.
La stessa che il Duca, ebbro di vino
e lussuria, portava sul volto e ha gettato per terra prima di attaccare
la
ragazza.
Una maschera bianca per terra.
Bernard l’ha ignorata.
Lui ha già la sua maschera, certo.
Ingenua, la maschera di Bernard,
quella di un criminale bambino.
Invece, se vuoi essere
l’Ombra, devi
indossare quella
maschera bianca: la stessa del Male che estirperai dal
mondo.
Nel salone da ballo
si scatenò il caos. Chi prese a frugarsi
addosso cercando il portafogli, chi si tastava i gioielli alle
orecchie, al
collo. Come un miccia, la notizia della presenza del Cavaliere Nero al
castello
serpeggiò ed esplose in un unico terrore.
Bernard e Rosalie,
giunti a pochi passi dall’uscita, furono
rallentati, poi fermati, dall’onda della folla. Qualcuno
spintonò Rosalie e
calpestò gli orli della sua gonna, facendole perdere
l’equilibrio. Bernard la
trasse a sé e l’abbracciò, e i due
furono isola nella marea di quanti,
concitati, avevano perso la calma.
Per un attimo,
Bernard credette che fossero accerchiati, che
quel premere e incalzare fosse contro loro due. Invece,
l’attenzione di tutti
era rivolta all’altro ingresso, da cui era comparso il
servitore che, con un
grido, aveva dichiarato che il Cavaliere Nero “aveva preso il
Duca”.
– STATE
CALMI, SIGNORI, VI PREGO! – gridava intanto
qualcuno, cercando di superare il vociare assordante. –
RESTATE QUI, PER LA
VOSTRA INCOLUMITÀ!
– Ma
dov’è il Cavaliere Nero? Che è successo
al Duca! –
chiedevano altri, gridando a loro volta, come fossero un coro a canone.
–
Guardate! GUARDATE! – esclamarono altri ancora, quelli
più
vicini all’ingresso delle scale, da cui i servitori cercavano
di allontanarli.
– AIUTO!
FERMATELO!
– HA IL
DUCA IN OSTAGGIO!
– Non sono il Cavaliere Nero.
Che mi abbiate sentito o no, è la
verità.
Al Cavaliere Nero devo un favore, però.
Ha semplificato il mio compito, mi ha fatto trovare l’uomo
che cercavo impacchettato
e pronto allo scopo. E ora sono qui, con questo pubblico. È
una buona tribuna
per il mio… discorso.
–
No, non è il Cavaliere Nero! Ma allora
– chi
è? Chi è
– che ha
preso il Duca?
– Povero
Duca, mio Dio!
– Cosa gli
farà?
– Lascia
subito andare il Duca!
– Sei
circondato, morirai!
Bernard sentiva
queste voci lontane all’altro capo della
sala, confuse tra le altre, e non sapeva cosa stesse succedendo fuori
da quella
stanza, presso le scale. Ma il tremito di Rosalie tra le braccia fu per
lui uno
sprone a non farsi troppe domande. Doveva uscire, e al più
presto, insieme a
lei, dalla seconda porta del salone: quella che portava
all’ingresso principale
del castello.
– Vieni.
– sussurrò alla ragazza, cercando di aprirsi un
varco nella folla assiepata presso l’uscita sicura.
Rosalie
annuì, le guance accaldate per la foga, il timore
negli occhi grandi. Per mano, avanzarono a fatica tra la gente imbizzarrita.
È un discorso senza parole, il mio.
Mentre salite per le scale, e mi
circondate, e vorreste prendermi, io vi mostro il vostro Duca mezzo
nudo che
rantola come un suino. Vi trattenete, credete che lo lascerò
vivere per aprirmi
la strada e fuggire. Che sciocchezza. Perché sarei entrato
qui, dunque?
– Vuoi denaro? Te lo daremo. Ma
lascia stare il Duca… – chi me lo chiede, un
servitore, un nobile? Nemmeno lo
guardo.
Non sono venuto qui per
rubare. Io
non sono il Cavaliere Nero.
A un tratto, Rosalie
si sentì tirare dalla parte opposta.
Qualcuno la afferrò per il polso con violenza. Rosalie
gridò di sorpresa e
dolore quando sentì la morsa premere, e le unghie
dell’assalitore stringere la
carne.
Si volse,
sbigottita: Yolande de Polignac era dietro di lei
e le ghermiva il braccio, il viso livido di rabbia.
Guardatemi bene tutti.
Ora vi insegnerò
la Giustizia.
Il grido di molte
persone seccò l’aria. Si udì un suono
unico raggiungere il suo apice e spegnersi, come se la folla diventasse
una
creatura singola e composita, dalle molte voci sincrone, che urlava di
paura,
poi tratteneva il fiato, infine faceva silenzio.
In controcanto si
udì un tonfo lontano e fioco, qualcosa
che, cadendo, impattava al suolo e disegnava un lago di tomba rossa.
Questo per quanti
erano in prossimità delle scale.
All’interno
della sala, invece, nessuno vide il corpo del
Duca cadere, ferito a morte da un coltello, e concludere la sua
esistenza
terrena in una tosse convulsa, color del vino.
Nessuno lo vide, ma la notizia si sparse come fuoco su paglia. Allora venne il vero
caos, la fuga forsennata verso l’altra
uscita, poiché la Morte era entrata nel palazzo.
Questa è la Giustizia.
Arriverà quando non
l’aspettate.
In un ballo, in un letto, mentre
bevete vino e mangiate fino a scoppiare.
Arriverà per ciascuno di voi, uno per
uno.
Il riscatto del Popolo
è appena iniziato.
–
Lasciatemi andare! Lasciatemi! – gridò Rosalie.
Bernard si
volse allarmato verso di lei. In quel momento, un odore acre di fumo si sparse dalle scale all’interno della
sala, e un nuovo
grido percorse ogni spazio:
–
AL FUOCO!
Ora possiamo andare via. Tutti
quanti.
Addio, condannati a morte.
–
Il criminale ha appiccato il fuoco!
– Ha
ucciso il Duca!
– Il fuoco!
– Viene
anche dall’altro ingresso!
– Il
criminale non era solo!
– Siamo
circondati!
Bernard
sentì la presa della mano di Rosalie allentarsi.
Vide la fanciulla annegare tra volti e abiti e corpi. Non si accorse subito che era un altro
l’impedimento di lei, non
vide Yolande tirare la fanciulla come fosse all’altro capo di
una fune.
– Non
lasciarmi! – ruggì verso Rosalie.
Sentì,
allora, quella piccola mano resistere.
In un impeto,
l’afferrò con tutte le sue forze.
Allontanò
con violenza chi premeva contro di lui, si protese per abbracciare
ancora una
volta la fanciulla. Spinse via anche Yolande con la stessa forza, in un
colpo
solo e perentorio. Le unghie della donna tracciarono sul braccio di
Rosalie un
ultimo disperato segno di possesso, strappando alla ragazza un grido
che sbiadì
nel panico generale.
Non mi troverete più.
Brucerete, o vi salverete portando
con voi il mio ricordo.
Il ricordo del Terrore.
– Signori!
Mantenete la calma!
A nulla valsero i
richiami di chi cercava di disciplinare la
fuga di tante persone. Tutti spingevano, calpestavano e cercavano di
mettersi
in salvo.
Alcuni servitori e
nobili che si trovavano all’ingresso del
castello, infatti, cercavano di frenare la corsa degli ospiti:
strappavano
maschere e chiedevano conto nel disperato tentativo di localizzare i
colpevoli
che, ormai era evidente, si erano introdotti alla festa con il puro
scopo di
uccidere il Duca e appiccare quell’incendio.
Fu un ribollire di
correnti impazzite, e in quel marasma erano Bernard e Rosalie disperatamente stretti
l’uno all’altra,
in fuga da Yolande che premeva tra la folla per raggiungerli, in fuga
dal fuoco
e dal rischio di essere scoperti.
La ragazza gemette.
Il giovane la guardò un attimo, pallida,
accerchiata com’era lui, il cuore che batteva furioso da
petto a petto. La
serrò a sé con tenerezza, le accarezzò
il viso. Egli era pure spaventato, si
sentiva in trappola, l’angoscia lo minava da dentro; ma per
quel battere
congiunto, per quel tremito condiviso, capì che non poteva
arrendersi nemmeno
in quel momento.
Si guardò
intorno, i denti stretti. Si accorse, allora, che
erano abbastanza vicini a una finestra. La finestra era aperta, alta e
lunga,
culminava a punta.
A spallate si fece
strada fino ad essa, senza sciogliere mai
l’abbraccio di Rosalie.
Si sporse,
trattenendo il fiato. Subito l’aria gelida della
notte lo colpì, le voci violente alle spalle si attutirono
al tocco della
notte. L’odore del fumo e dell’incendio
uscì all’aperto, e fu possibile a Bernard
notare altro fumo uscire dalle finestre del piano superiore e della
torre,
rischiarato dal tremore delle fiamme ingorde che lo generavano.
Poi vide il lago
nero pochi metri più sotto, che specchiava le
luci degli incendi sulle piccole onde.
Bernard
sentì il cuore stringersi e le membra infiacchirsi.
La paura lo divorò all’improvviso, lo fece
impallidire e fermare, priva di
ragione. Un lampo lontano lo accecò, una voce di bambino*
risuonò nel
suo spirito.
Mamma, dove stiamo
andando? Perché piangi, mamma?
Che
freddo, che
freddo! L’acqua del fiume è tanto fredda! Mi
sembra di non avere più le mani e
i piedi! Mamma! Mamma, aiuto!
– Bernard!
– ansimò Rosalie. – Bernard!
Il richiamo di
Rosalie lo riportò al presente.
–
Fermateli! Quei due laggiù! – gridava qualcuno
alle loro
spalle. Era una voce di donna.
Bernard
sentì il corpo caldo di Rosalie, così stretto al
suo, sussultare di timore, vide il viso di lei percorso
dall’angoscia.
Nel frattempo la
calca, che non cercava altro che appigli e
colpevoli su cui sfogare il terrore del momento, aveva frainteso il
richiamo
accorato di Yolande e si stava facendo avanti minacciosa.
–
È stato lui, allora!
–
Prendetelo!
– Ha
rapito una ragazza!
Bernard si
chinò, abbracciò le ginocchia e le spalle di
Rosalie e la sollevò da terra, rapido. Scostò via
ricordi, voci, fumo. Si mosse
senza pensare più a nulla.
– Tieniti
forte. – sussurrò, anche se non ce n’era
bisogno. Sentì
Rosalie cingergli il collo e aggrapparsi a lui con fiducia,
appoggiandogli il
viso su una spalla.
Nel tempo di un
battito di cuore, Bernard salì sul bordo
della finestra. Guardò di nuovo, sotto di sé, le
acque nere che danzavano
placide al vento freddo. Non c’erano scogli, né
asperità.
Saltò.
______________
Note.
* Riferimento
diretto alla storia di Bernard nel manga, Volume 10 della vecchia
edizione Granata, che si può trovare ai seguenti link:
http://www.mangaeden.com/it/it-manga/lady-oscar---le-rose-di-versailles/10/16/
http://www.mangaeden.com/it/it-manga/lady-oscar---le-rose-di-versailles/10/17/
- Rieccomi infine
con il Cavaliere, per i suoi ultimi
capitoli! Come scrivevo qualche giorno fa, la cadenza torna
settimanale, ogni
domenica. Grazie
a chi ha aspettato e a chi leggerà!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Un amico ci ha salvato ***
L’acqua
impattò addosso ai due giovani come un muro.
Bernard si sentì ghermire come da avide, gelide mani che lo
tiravano verso il
profondo. Rosalie diventò, tra le sue braccia, un corpo
impazzito, simile al
guizzare di un pesce sbattuto fuori dal suo elemento. Ma lei non era
fuori, vi
era immersa, e gli abiti che indossava iniziarono a pesare come pietre.
Si
agitò, la fanciulla, colpendo senza volerlo lo stesso
Bernard, quando si sentì
sprofondare e l’acqua ghiacciata le entrò in bocca
e nelle narici. Fu una lotta
di corpi e onde, un disperato tendersi all’aria e perderla
subito dopo in un
tappo d’orrore. Bernard annaspò insieme a Rosalie,
cercò di tenersi a galla
mentre tutto il corpo si irrigidiva per il freddo; i suoi movimenti non
risposero più a ragione e armonia, ma a una disperata
ricerca di spiragli di
vita.
Bernard
non sapeva nuotare. Le acque profonde dove i piedi non toccavano il
fondo erano
per lui mostruose. Il fiume recava al suo spirito ricordi tombali; il
suo
sguardo non amava la Senna, né alcun corso
d’acqua, anche se crescendo si era
abituato a osservare le onde cittadine, dicendosi d’essere
cresciuto e di aver
superato le paure di bambino.
Tuttavia,
in quel momento il passato si ridestò in lui.
Ricordò d’essere stato tra le
braccia di sua madre, serrato come nella morsa di una catena, costretto
a bere
acqua fino a perdere il fiato, mentre la gonna di lei si gonfiava, e il
suo
corpo, orrore maggiore di tutti, restava fermo, percorso solo da
convulsi,
involontari scatti per ogni attimo in più senza respiro. Sua
madre si era
donata alla morte con caparbia certezza; non aveva permesso a se stessa
di
salvarsi; e più di tutto, non l’avrebbe permesso
al suo piccolo Bernard.
Era
diventato adulto, il giovane, chiedendosi spesso perché.
Certo sua
madre, bellissima e dolce com’era, aveva sofferto in modo
insopportabile il
disonore in cui suo padre l’aveva gettata, cacciandola via di
casa insieme a
lui.
Non
erano
sposati, i suoi genitori; Bernard non era altro che il bastardo di un
nobile,
sua madre una mantenuta. La donna aveva affrontato le critiche e il
biasimo di
tutti in cambio del benessere per la propria famiglia, per il bimbo
soprattutto. Era una donna perduta, ma finché colui che
l’aveva desiderata
continuava a trattarla da amante, e le offriva un tetto sicuro, era
capace di
accettare ogni cosa. Forse, si era anche detto Bernard, sua madre amava
quell’uomo.
Poi,
un
giorno, lui si stancò di lei e la lasciò per
strada, priva di ogni conforto, di
denaro e perfino del rispetto dei suoi familiari e di tutti gli amici.
Amici
dannati, erano stati al suo fianco finché lei aveva avuto
denaro da prestare,
benefici da fare; quando perse tutto, la abbandonarono.
Cos’era strano, dunque, nel suo dolore suicida?
Quanta disperazione aveva avuto quella povera donna, si diceva sempre
Bernard,
per aver tentato anche di uccidere lui, il suo piccolo,
anziché lasciarlo alla
prospettiva di mendicare per le strade e crepare, più in
là, di stenti!
L’acqua
del fiume conosceva tutte queste cose, e le ripeté a Bernard
mentre il giovane
tentava di tenersi abbracciato a Rosalie, di non lasciarla. I due
scesero sotto
il pelo dell’acqua, trascinati dagli abiti, gelati nelle
membra. Per un attimo,
a Bernard parve di essere ancora bambino ancorato a un corpo di donna;
ma Rosalie
lottava per l’aria, lottava per la vita; non si arrendeva
alla forza che la
voleva annegare.
D’un
tratto Bernard, in mezzo alla disperazione e all’angoscia,
provò odio. Un odio
profondo verso colei che avrebbe dovuto salvarlo, che avrebbe dovuto
scegliere
di vivere con lui, di affrontare il mondo nonostante tutto. Il giovane
si
chiese (anche se non era la mente a ragionare, era piuttosto il cuore a
farlo
per essa) perché sua madre non aveva avuto coraggio, e
soprattutto perché era
stata così egoista da volerlo distruggere con lei.
Ricordò le lacrime
strazianti che l’avevano cambiato per sempre, prima del
salto, e le successive,
quelle che versò inconsolabile su un feretro ornato di
gigli.
Perché
lui era vivo, Bernard! Era sopravvissuto a quel gesto di violenza,
sfuggendo
dalle braccia della madre mentre lei diventava fantoccio molle e
danzante tra i
flutti. L’aveva fatto per istinto, abbandonando la sua
zavorra di carne e di
seta, quando aveva percepito quelle braccia dure sciogliersi senza
più vita.
C’era stato chi l’aveva soccorso, accorrendo alle
grida che il bambino lanciò
mentre beveva il fiume; quelle stesse persone si curarono di farlo
riprendere,
di dargli del cibo e di accompagnarlo al funerale di sua madre.
In quel giorno, davanti a quel feretro ornato di gigli, Bernard aveva
perso
ogni innocenza.
Da
quel
crudele battesimo tra le onde della Senna, egli si era votato a
un’esistenza
senza speranze. Allevato da lontani parenti per solidarietà,
conosciuto
Saint-Just e frequentato il collegio con lui, il suo odio era diventato
granitico: nei confronti di suo padre, innanzitutto, dei nobili, di chi
commetteva ingiustizie. Ogni suo sforzo era stato finalizzato a
cambiare il
corso delle cose, a impedire la sofferenza che si era portata via sua
madre.
Così si era dimenticato di lei, si era dimenticato di
arrabbiarsi soprattutto
con lei; perché il male che ci infliggono gli altri non
possiamo cambiarlo, ma
quello che dipende da noi ci appartiene, e la scelta di vivere o
morire, odiare
o amare, comprendere o combattere è solo nostra.
Sua madre aveva tentato di ucciderlo. Anziché vendicarsi
sull’uomo che l’aveva
fatta soffrire, o ricominciare una vita lontano, senza più
dipendere
dall’amante, aveva scelto di farsi del male e di fare del
male a Bernard, che
non aveva colpe.
Tutte
queste cose Bernard le avrebbe portate alla ragione giorni dopo,
riflettendo su
ciò che aveva provato in quel tuffo nel passato.
Mentre annaspava con Rosalie in mezzo alle acque, invece, un pensiero
solo
trionfò su tutti.
Non posso morire qui.
Aveva ancora tante cose da fare. Aveva Rosalie da far vivere, e
finché lei non
fosse stata salva, non avrebbe avuto pace.
La chiamò, – Rosalie! Rosalie! – tra un
sorso soffocato e un altro; si accorse
che lei non rispondeva più, e il suo corpo, sfinito dalla
lotta contro le
correnti ghiacciate, era ormai un peso morto. – No! NO!
Rosalie! Resisti!
Dannazione, RESI… – e di nuovo giù, una
boccata d’acqua gli prese il respiro.
–
BERNARD!
Un grido, come da un altro mondo.
– La CORDA, Bernard! PRENDI LA CORDA!
L’acqua nelle orecchie, gli occhi sbarrati e la maschera che
lo accecava,
Bernard non riconobbe la voce, ma comprese la direzione della sua
salvezza.
Gettò una manata a destra, a sinistra, il peso di Rosalie
che lo tirava giù e
la speranza che lo sollevava.
Trovò la corda a pelo d’acqua,
l’afferrò. Era viva, era forte. Poteva
aggrapparsi. Qualcuno all’altro capo, vigile,
iniziò a tirare. Bernard si
strinse addosso Rosalie, le braccia che sembravano staccarglisi dal
corpo, ma
la determinazione intatta e vittoriosa.
C’era
una
barca al centro del fiume. Al buio, non l’aveva notata prima
di lanciarsi.
L’unica luce possibile era il riverbero del maniero in
fiamme, che disegnava
sagome incerte. Ma si accorse che nella barca era un uomo, e
quell’uomo
riavvolgeva la corda con pazienza, finché Bernard non
toccò il legno.
– Coraggio! – gli sentì dire.
– Un ultimo sforzo!
A quella voce vicina, Bernard sentì il cuore, già
provato, scoppiare di gioia.
André. Era André!
***
L’odore
forte del fieno arrivò alle sue narici. Rosalie
percepì il calore di qualcuno
che, tenendola per le spalle e le ginocchia, l’adagiava su
una superficie
morbida; si sforzò di aprire gli occhi.
Una luce lieve sfiorava il viso di Bernard, chino su di lei e privo di
maschera.
La ragazza lo contemplò un istante, poi schiuse le labbra
per parlare, ma si
sentiva molto debole e infreddolita.
– Monsieur Bernard…
– Finalmente ti sei svegliata. –
sussurrò lui, accomodandole una sorta di
coperta improvvisata, ottenuta con spessi sacchi trovati sul posto. La
guardò
teneramente, con un sorriso tirato sul volto pallido.
– Dove siamo…
– Non molto lontano dal castello di Guise. Non è
sicuro restare in questa zona,
ma avranno altro a cui pensare per qualche ora. Così avrai
il tempo di riprenderti…
– Cos’è successo… ?
– Hai perso i sensi… sei quasi annegata, nel lago.
Bernard deviò lo sguardo da lei verso la lanterna che li
rischiarava. Prese uno
sguardo cupo e duro, che Rosalie riconobbe come familiare, e che le
strappò
perfino un sorriso.
– Voi… mi avete salvata.
Bernard chiuse gli occhi.
– Un amico ci ha salvato entrambi.
La ragazza si guardò intorno per un attimo, ma non vide
nessuno lì con loro, a
eccezione di un cavallo legato a una trave. Il fienile sembrava deserto
e
polveroso.
– Un amico… ?
Bernard tacque, ostinato. Allora Rosalie si accorse che stava rigido, a
denti stretti e
con i capelli umidi, e tremava in silenzio. Tutte le
coperture asciutte che
aveva, le aveva destinate a lei, così come il fieno.
– Voi avete freddo…
Bernard scosse il capo. – Non preoccuparti. Ora riposa.
Dobbiamo tornare a
Parigi al più presto.
Rosalie prese un lungo respiro. Era effettivamente sfinita. Le doleva
molto il
braccio destro, lì dove Madame Polignac aveva affondato le
unghie. Aveva anche
lei qualche brivido, ma il fieno confortava il suo corpo, e
d’un tratto si rese
conto di non indossare più i pesanti abiti di prima. Sotto
le coperte aveva
solo la sottoveste; il resto era stato appeso, grondante,
perché si asciugasse.
L’imbarazzo la travolse per un attimo. Poi sbirciò
Bernard, chino su se stesso,
mesto e stanco.
– Almeno… riposate anche voi…
Bernard le sorrise debolmente. – Uno di noi deve restare
sveglio.
Rosalie cercò di dire che no, non era giusto, che voleva che
anche lui si
ristorasse; ma gli occhi si chiusero da soli, e presto
scivolò in un oblio
sereno, dove il calore della lanterna e il sorriso di Bernard le
facevano
compagnia.
***
All’alba,
Rosalie trovò Bernard vigile. Se lui avesse dormito, non
poteva dirlo; ma il
giovane era attivo e pronto ad agire.
Aveva acceso un piccolo fuoco grazie alla candela della lanterna, un
po’ di
fieno e legna di attrezzi trovati lì dentro: gli abiti
fradici si erano un poco
asciugati e l’ambiente rischiarato. Fuori, l’alba
aveva portato una luce
pallida e incerta.
Bernard diede le spalle a Rosalie per tutto il tempo in cui lei si
rivestì.
Taceva, lui, come perduto in un mondo lontano e greve.
– Sono pronta. – disse Rosalie, dopo aver
indossato, per come poté, gli abiti
umidi e pesanti, ed essersi allacciata il corsetto alla buona, con nodi
maldestri per la scomodità dell’impresa.
Indossò, su quelle imprecisioni che la
rendevano forse poco decorosa, il mantello che Bernard aveva usato come
guanciale per il suo giaciglio. Bernard non l’aveva, prima,
come non aveva la
lanterna; Rosalie immaginò, a ragione, che l’amico
che li aveva aiutati avesse
rifornito il giovane anche di quelle cose.
Galopparono
in silenzio nel giorno neonato. La bruma che saliva della terra celava
sagome e
contorni, ma Bernard ebbe poche esitazioni sulla via da prendere.
Teneva
Rosalie davanti a sé sulla sella, le braccia attorno a lei,
le mani strette
alle redini. I loro corpi, un unico calore; né vi fu
imbarazzo, tra di loro,
ogni volta che uno scossone li avvicinava ancora, facendoli tremare
insieme,
abbracciati.
***
Lasciarono
il cavallo presso il Palazzo Reale. Bernard lo liberò presso
i cancelli, certo
che qualcuno l’avrebbe recuperato.
Tolta
la
maschera, aveva addosso i suoi abiti neri, il suo mantello; Rosalie gli
camminava a fianco, il suo manto stretto sul collo.
Le
strade
iniziavano ad animarsi in quel momento. Bernard era sfinito, ma
mantenne un
incedere sicuro per tutto il tempo in cui scortò Rosalie
verso il quartiere del
Tempio, dov’era la casa di Madame Lucille.
Lei
gli
si fece più vicina. Gli prese la mano, la strinse in un
gesto che pareva
antico di anni, e si era perfezionato, invece, in una sola notte.
Bernard
rispose alla stretta con calore, sorrise tra sé, ma non
guardò il viso di lei.
I
due
procedettero per un altro poco senza parlare, così vicini, e
zoppicanti, e
lenti, come spiriti di un altro mondo.
–
… forse
tu e Madame Lucille potreste andare ad abitare da un’altra
parte, almeno per
qualche tempo. – disse poi Bernard, rompendo il silenzio.
–
…
–
La
donna che ti ha fatto rapire potrebbe cercarti ancora.
Rosalie abbassò lo sguardo.
– Vi è rimasta una parte dei soldi di Oscar.
Usateli per questo. Posso aiutarvi
a cercare una nuova sistemazione.
–
… e
voi, Monsieur Bernard?
–
… è
tempo che io torni a casa mia, Rosalie. Al mio lavoro.
La
mano
di Rosalie fremette. – Non siete ancora guarito del
tutto… avete ancora bisogno
di riposo.
Bernard si lasciò scaldare il cuore dalla voce di lei,
dall’ansia che vi
sentiva nascosta, come un sole tra nuvole fresche.
–
Se in
questi due giorni sono riuscito a fare tutto quello che ho
fatto… – e qui il
giovane un poco assunse i toni dell’orgoglio, del piacere di
un’impresa
conclusa come lui voleva, con gioia – … vuol dire
che sono davvero guarito.
– … dunque, andrete via.
–
Appena ti
saprò al sicuro. Sì.
Rosalie
abbassò
lo sguardo ai passi dei suoi piedi scalzi e intirizziti. Le calze che
indossava
erano ormai nere di terra.
Sei felice che vada via? Non erano
trascorsi nemmeno due giorni da quando Bernard, triste e deluso, le
aveva fatto
quella domanda.
A
Rosalie
parve d’avergli risposto da una vita precedente, da un sonno
allucinato.
A me dispiace che andiate via. Mi sono
abituata a prendermi cura di voi, ed è stato bello avere la
vostra compagnia
finora. Potrete tornare da noi ogni volta che vorrete.
La
ragazza ricordò l’ingenuità con cui
aveva detto quelle cose a Bernard. Frasi
leggere, quasi casuali. Frasi gentili, ma prive dei brividi che la
percorrevano
in quel momento alla prospettiva di non vederlo più, di non
poter sentire più
quella stretta calda tra le dita.
E
un’altra
cosa ricordò, anch’essa sbiadita nella
tranquillità con cui si muovevano lungo
la via, come se non dovessero più aspettarsi attacchi e
persecuzioni.
Io ti amo, Rosalie.
La
ragazza si sentì arrossire dal nulla, nella caligine dei
pensieri che
mescolavano emozioni a ricordi, a stanchezza e sollievo. Bernard non
parve accorgersi
di nulla. Egli contemplava la strada come un naufrago in cerca della
terra, rassegnato
a vagolare prima di raggiungerla, con gli occhi rossi di sonno mancato,
il viso
stravolto e spento. E un sorriso pallido, ma reale, sulle labbra.
Non
poteva
avere dubbio, Rosalie, che i sentimenti del giovane fossero immutati.
Ogni
rischio da lui corso per liberarla era, da solo, una prova
d’amore infinito.
Ogni abbraccio, ogni tenerezza erano intrisi d’amore. Ma era
un amore così
tranquillo, così discreto, da impallidire di fronte
all’irruenza di quel bacio
improvviso che tanto l’aveva turbata, appena due giorni prima.
–
Monsieur Bernard, io…
–
Siamo
arrivati.
Era
così. Sbucarono dai vicoli e trovarono la porta dalla
maniglia decorata di rosso: per loro, ormai, segno di casa.
***
–
Mio
Dio! Rosalie! Cara Rosalie!
Madame
Lucille travolse la ragazza in un abbraccio impetuoso, e la tenne forte
per un
istante.
Rosalie
rise, l’accolse e ricambiò con altrettanto
trasporto.
–
Lucille, mi dispiace che siate stata preoccupata, mi dispiace
così tanto.
Madame
Lucille, però, non si lasciò troppo andare a quel
momento di gioia. Subito
adocchiò Bernard, che era pallido e lacero come un cencio, e
lo guardò con
timore. Sciogliendo l’abbraccio di Rosalie, gli
sussurrò con voce sottilissima.
–
Monsieur Bernard, oddio, ascoltate, voi dovete andare, in cucina ci
sono…
Una
voce
giovane e maschile, dalle spalle della donna, risuonò
nell’atrio. – Ehi,
ragazzi. A quanto pare, il caso si è
risolto da solo.
Madame
Lucille si riscosse, spaventata. Si girò verso il nuovo
giunto, un uomo alto e
possente dal sorriso sghembo, che a sua volta era accompagnato da due
uomini,
uno basso, il viso pieno di lentiggini, l’altro smilzo e dal
naso lungo. Tutti
e tre erano in divisa: dei soldati.
Rosalie
guardò Lucille, smarrita.
–
Cosa è
successo… chi sono loro?
Lucille,
a capo chino, disse: – Soldati della Guardia… tu
non tornavi, e nemmeno
Monsieur… Monsieur Bernard. Così li ho chiamati,
e mi stavano chiedendo
informazioni sulla tua sparizione… – A-allora
possiamo anda-dare via, Alain… ? –
chiese il ragazzo giovane, quello con le lentiggini, al compagno
più alto.
Il
soldato
di nome Alain, però, stava osservando con attenzione i modi
di Lucille e l’espressione
sperduta di Rosalie: il nervosismo di entrambe non aveva ragione
d’essere, a
meno che non ci fosse qualcosa di strano
nell’aria… Il suo sguardo si fermò,
infine, su quello di Bernard. Quest’ultimo, pallido e
provato, con gli abiti sporchi
per il viaggio, mantenne un’espressione impenetrabile, quasi
ostile.
I
due
giovani si fronteggiarono per un istante lungo e silenzioso.
–
Prima
di andare via, Gerard… – sentenziò
infine il soldato Alain, rivolto al compagno
lentigginoso – … dovremo comunque fare delle
domande a questi signori.
____________
Note.
-
Con un
pochino di ritardo, sorry, è arrivato ancora il Cavaliere!
Ultimi capitoli,
anche se non so ancora definire bene quanti ne manchino: il numero
oscilla da
due a quattro, in base a come gestirò le cose che voglio
ancora inserire e
quanto spazio mi prenderanno. La prossima volta, comunque, dovrebbe
essere tra
il 24 e il 25 aprile, se tutto va bene! Intanto, un abbraccio grande a
tutti!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** Chi vuole la giustizia, se la faccia ***
Un interrogatorio,
dunque. Bernard aveva scampato l’arresto
per mesi, per ritrovarsi di fronte quei soldati proprio sulla soglia
della
nuova vita.
Forse fu la
stanchezza, forse la gioia di sapere Rosalie
ormai completamente al sicuro; forse la sensazione di aver preso il
proprio
cuore, averlo crivellato di colpi, ucciso e poi fatto risorgere alla
fine di un
lunghissimo viaggio; in ogni caso, egli si dispose a parlare con
atteggiamento
rassegnato e sereno. Avrebbe perfino ammesso su due piedi di essere
stato il
Cavaliere Nero; non lo fece perché l’immagine di
André lo fermò in tempo.
André.
Erano passate solo
poche ore, ma ci aveva ripensato
costantemente, mentre vegliava Rosalie addormentata, mentre preparava
il
cavallo per galoppare con lei fino a Parigi, nell’ora pallida
dell’alba. Per
strada, passeggiando fino a casa come se niente fosse successo, eppur
laceri
come due sopravvissuti a una battaglia mortale.
Sua madre e
André, ecco a cosa aveva continuato a pensare
incessantemente, spento fuori e vivo dentro, come un calderone sul
fuoco.
André…
Bernard si rivide di
nuovo nel fienile, il corpo esanime di
Rosalie tra le braccia e André che lo aiutava a entrare,
faceva posto, gli
forniva coperte e utensili. Ricordò che avevano parlato con
voce sommessa, per
non svegliare la ragazza. Era stato Bernard a rompere il silenzio, con
ardente
trasporto.
–
André. Io… non potrò
mai… mai ringraziarti abbastanza. Non riesco nemmeno a
credere che al mondo
possa esistere qualcuno… nobile come te.
–
Io non sono nobile.
–
Hai capito cosa
intendo.
–
Non è come pensi,
Bernard.
–
Mi hai salvato la
vita due volte. Due volte, André.
–
Tu hai fatto molto
di più di me, in questa vita.
–
Io non…
–
Ti ho ammirato
sinceramente, Bernard, anche mentre ti davo la caccia. Anche mentre
fingevo di
essere te. Ti ho ammirato, e ho provato rammarico per non poterti
aiutare nella
tua missione.
–
Tu! Tu non mi
avresti aiutato! Hai bevuto di nuovo, amico?
–
Parlo delle imprese
del Cavaliere Nero. Della forza che hai dato alla gente. Io credo
che tu
abbia svegliato l’animo di molti. Hai riportato
speranza… hai dato speranza
anche a me. La speranza di un mondo giusto, un mondo dove potremo
essere… tutti
uguali.
–
…
–
Hai fatto molto per
la gente. Vorrei che tu continuassi a farlo. Anche senza la maschera,
puoi
farlo.
–
Sai, André… il
Cavaliere Nero, da stanotte, non esiste più.
–
Hai deciso, alla
fine.
–
Tutto quello che
farò d’ora in poi, sarà opera di
Bernard Chatelet. Non mi nasconderò più dietro
una maschera. Non sono degno di fare il giustiziere. Sono solo un uomo.
E come
tale combatterò.
–
È per lei che hai
preso questa decisione, non è vero? Per Rosalie.
–
Io… l’amo, André.
Per lei sono pronto a dare qualunque cosa. La vita… la mia
maschera.
–
Già. Per la donna
che si ama si darebbe tutto. La libertà… la pace
dell’anima… perfino un misero
occhio.
–
André… Cristo, André. Tu e
Oscar…
–
Non sono venuto qui,
stanotte, per altruismo. Certo, volevo che Rosalie si salvasse. Ma
soprattutto,
dovevo impedire che ti prendessero. E vi seguirò ancora,
finché non sarete
salvi. Se ti scoprono, Oscar è condannata. Non sono
così… nobile.
– André! Dove vai?
–
Ti saluto, amico.
–
Hai detto che
saresti rimasto con noi.
–
Vi seguirò da
lontano. Ti prego, non dire a Rosalie che mi hai visto.
–
Ma perché?
–
Ti prego, Bernard.
In
quell’accorata richiesta, André era rimasto chino,
il
volto di profilo, che guardava un punto indefinito.
Perché
era voluto andare via in quel modo, in silenzio,
senza volere alcun grazie… soprattutto da Rosalie?
Bernard
immaginò la risposta. Quell’uomo sbandato,
sbiadito
e spento che aveva avuto il coraggio di entrare nella tana del nemico
per
liberare Oscar, la sua Oscar; che
era
capace di pensare a lei comunque, anche se lontana, e aiutare gli amici
in sua
vece, come un vicario; che soffriva per un amore impossibile che lo
straziava
continuamente… non avrebbe potuto tollerare le domande
inevitabili di Rosalie,
il viso felice di lei quando parlava di Oscar, e i probabili infiniti
ricordi
legati al passato.
Bernard
intuì che il passato, per André Grandier, era un
calvario
assassino. Egli era un uomo nel mezzo della sua disperazione; ma quale
uomo
disperato salva qualcun altro come tu hai fatto, amico? Quale uomo
disperato
riesce a percepire la sofferenza altrui e il bisogno altrui, per porvi
rimedio?
Così
Bernard tenne chiusa la bocca e si preparò a un
difficile percorso di risposte evasive, di mezze verità.
Alain lo fissava
attentamente, nel frattempo: pareva avesse fiutato su di lui
l’evidenza di
qualche segreto, e si preparava a chiedere.
In quel momento,
però, la dolce voce di Rosalie coprì la
domanda del soldato. Ella si fece avanti, ponendosi tra i due uomini,
le spalle
a Bernard e il viso, chiaro e soave, rivolto ad Alain.
– Vi
racconterò tutto, signore.
Si accomodarono in
cucina. I due soldati, Gerard e Paul,
sedettero a terra, a gambe incrociate. Alain e Rosalie si posero uno di
fronte
all’altra, intorno al tavolo centrale. La ragazza dispose la
sedia di Bernard
accanto alla sua, e così il giovane si sedette a sua volta.
Madame Lucille mise
a bollire del tè, e ascoltò in piedi tutto quello
che Rosalie rivelò.
–
L’altra notte… ho incontrato un uomo
incappucciato, che chiedeva
l’elemosina. Io ho provato a dargli una moneta, ma proprio in
quel momento mi
ha afferrata e… mi ha portata via.
Bernard strinse i
pugni. Rosalie parlava a capo chino, ma la
voce non le tremava affatto.
– Che
mezzo ha usato, Madamigella? – chiese il soldato.
– Una
carrozza.
Alain strinse gli
occhi in due fessure.
– Dove vi
ha portato?
– Non
saprei dire. Avevo gli occhi coperti da una benda.
Quando me l’hanno tolta, ero in un palazzo nobile.
– Non
sapreste nemmeno dire quale, vero?
–
C’era… il fiume, fuori dalla finestra.
– Quanto
tempo c’è voluto per raggiungere questo posto?
–
Non… non saprei davvero. Credo molto…
però era ancora
notte quando sono arrivata.
–
Prego… continuate.
Rosalie
esitò. Guardò i due soldati seduti a terra,
incerta.
Uno di loro guardava per aria, scavandosi una narice con il dito.
L’altro
ascoltava con gli occhi spalancati, i denti storti sotto le lentiggini
che gli
chiazzavano il viso.
– Gerard.
Paul. Aspettatemi fuori. – fece Alain, con
immediato stupore di Rosalie. I due soldati si tirarono su e uscirono
rumorosamente (Paul strascicando i piedi, Gerard sbattendo contro il
tavolo).
Allora Alain
guardò di nuovo Rosalie, in silenzio, negli
occhi scuri un invito a continuare.
– Mi
hanno… fatto indossare abiti ricchi, e… volevano
che mi
unissi alla loro… festa. Hanno tentato…
di… – di nuovo, Rosalie chiuse la bocca.
Non per semplice reticenza o vergogna. Quel suo silenzio fu anzi
eloquente e
voluto, e i suoi occhi chiari cercarono il volto di Alain, diretti e
colmi. L’orrore
della violenza che aveva rischiato di subire diventò, sul
viso soave della
fanciulla, una ferma accusa.
Bernard aveva smesso
di controllare le espressioni del
proprio viso. Non si accorse d’aver stretto i denti in modo
feroce, indignato
come se scoprisse quei dettagli per la prima volta.
Dal suo canto, Alain
sostenne gli occhi accesi di Rosalie
con attenzione, perfino con gentilezza.
– Ho
capito. – disse, e si rivolse a Bernard per un attimo,
in tempo per scoprirlo così, nudo nelle emozioni e nella
rabbia. – E come siete
riuscita a fuggire, Madamigella? – chiese ancora, senza
distogliere lo sguardo
dal giornalista.
–
… mi sono opposta, e… sono fuggita tra i
corridoi… –
tentennò Rosalie.
– Da sola?
–
Sì! – dichiarò la ragazza, senza alcun
indugio. Non le era
sfuggita l’attenzione crescente con cui Alain si rivolgeva a
Bernard. Ma non poté impedirla: era
lui, ormai, che Alain puntava.
– Signore,
voi che merito avete in questa vicenda?
Bernard stava per
rispondere. Mosse le labbra, ma:
– Mi ha
trovata per strada, mentre fuggivo. – si intromise
Rosalie. – Qui a Parigi, poco fa. Mi ha riportata a
casa…
Alain
annuì con un mezzo sorriso.
– Le cose,
dunque, sono andate così.
Bernard tacque, ma i
pugni restavano stretti.
– Potrei
avere un colloquio privato con questo signore? –
chiese infine Alain.
Sia Rosalie che
Madame Lucille (la quale, con il tè ormai
freddo, aspettava che essi finissero, il viso immerso nel dispiacere)
esitarono
sensibilmente.
– Signore,
non ce n’è bisogno, vi ho già detto
tutto…
– Madame
Lucille, per favore. Potreste medicare la ferita al
braccio di Rosalie? – replicò invece Bernard, con
voce insospettabilmente
calma.
Le due donne si
decisero infine a lasciar fare agli eventi.
Sebbene titubante, Rosalie si alzò. Nel passare accanto a
Bernard, poco mancò
che gli accarezzasse la spalla (un istinto taciuto e messo a bada, ma
improvviso in lei, innegabile); si allontanò con
un’ultima occhiata dalla
soglia a entrambi gli uomini.
Essi rimasero seduti
uno di fronte all’altro, in silenzio,
finché Rosalie non chiuse la porta.
Appena uscita, a
denti stretti sussurrò:
– Mio Dio.
Non può finire così. Non deve.
– Stai
calma, cara. Andrà tutto bene. Non è detto che
scoprano chi è. – disse Lucille, seppure i suoi
toni tradissero ansia.
Rosalie giunse le
mani. Il cuore le batteva forte in petto.
***
– Mi
chiamo Bernard Chatelet. – esordì il giornalista,
il
corpo e la postura abbandonati alla stanchezza, ma la voce ferma.
– Non vi
ho chiesto il vostro nome. – replicò Alain. Poi si
alzò e andò a versarsi un po’ di
tè. – Immagino che quella brava donna non
abbia vino da offrirci… – mormorò,
curiosando tra gli scaffali esposti. – Anche
se non dovrei bere in servizio, lo so, lo so.
Bernard rimase assai
colpito dalla risposta dell’altro. –
Non volete il mio nome? Pensavo mi steste interrogando.
– Non vi
sto interrogando. Credetemi, ve ne accorgereste se
lo facessi, e non sarebbe qui. Quanto al nome,
saprei scoprire anche
quello, se servisse. Ma ora non mi interessa. – Alain si
accomodò di nuovo,
tenendo la tazza tra le mani grandi, che pareva sparire tra le dita.
– Io
voglio solo sapere dove e quando siete andato a salvare quella ragazza.
Bernard
assottigliò lo sguardo. – Cosa vi fa pensare che
l’abbia
salvata io?
– Lo stato
dei vostri abiti. E guardatevi, avete una pessima
cera. Da come vi muovete, sembrate avere anche qualche problema alla
spalla.
Bernard strinse i
denti e chiuse gli occhi. Parlare, non
parlare: le due alternative erano impraticabili entrambe.
– I miei
ricordi sono molto confusi. – mormorò, cercando di
prendere tempo.
– Io credo
che ricordiate benissimo, invece. E anche quella
ragazza ricorda benissimo. Ma… – Alain bevve un
sorso, fece un smorfia, tirando
fuori la lingua. – … ’zo, è
bollente!
Bernard
aggrottò la fronte. Il soldato si prendeva tempo per
ustionarsi la lingua, non voleva il suo nome, non aveva chiesto nemmeno
quello
di Rosalie (anche se Madame Lucille gliel’aveva fornito di
già, con ogni
probabilità).
– Ohi
ohi… – borbottò Alain, e sorrise.
– … dicevamo? Ah,
sì. Facciamo una cosa veloce e diretta. Avete ucciso
qualcuno?
– No.
Alain
rimirò Bernard in silenzio per diversi istanti, soppesandone
la risposta e l’espressione.
– Ne siete
sicuro?
–
Sì. – disse Bernard, a denti stretti.
– Bene.
Allora potete andare.
– Come
sarebbe a dire?
– Se non
avete ucciso nessuno, mi basta così. A meno che…
–
la voce di Alain mutò. In un attimo solo, diventò
cupa e severa, come una minaccia.
– … non abbiate mentito.
Bernard
sospirò profondamente.
– Non ho
ucciso nessuno… no. Anche se avrei voluto farlo.
– Un
nobile?
–
Sì.
– Un
intoccabile, scommetto.
–
Sì.
– Allora
io non vi ho nemmeno visto qui. Stamattina
Madamigella Rosalie è tornata a casa. Era sparita perché si
era perduta, o era andata a fare una visita.
Bernard
osservò incredulo Alain alzarsi e darsi una
sistemata alla giacca. Poi il soldato si diresse alla porta, senza
più degnarlo
di uno sguardo.
– Un
momento… mi lasciate andare così?
Alain si
fermò sulla soglia, ridacchiò.
– Cosa
c’è? Avete altri peccati da confessare? Ci tenete
tanto a farvi sbattere in prigione?
Bernard tacque,
mordendosi la lingua. Di fronte alla
disinvoltura dell’altro, era smarrito come un ragazzino.
Alain sorrise, in
modo amaro stavolta, privo di divertimento.
– Non
è passato molto tempo da quando ho spaccato la faccia
al nobile che voleva toccare mia sorella. Il mio…
ex-Comandante.
Bernard
sgranò gli occhi.
Alain
continuò, riaccendendo il sorrisetto. – Quella
ragazza, Rosalie… mi ha ricordato immediatamente il viso di
mia sorella, quando
sono venuti a prendermi a casa per interrogarmi.
Bernard
sentì il sollievo riempirlo come un buon sorso di
vino. In quello stesso giorno, ecco che un altro uomo del Popolo lo
salvava,
perché in lui si riconosceva.
–
Ora… ho capito. – mormorò, senza altre
parole.
– Che
volete farci, signore. È un mondo disgustoso,
perciò… “Chi
vuole la giustizia, se la faccia”. –
ghignò il soldato. Aprì la porta, e
rischiò di scontrarsi con Rosalie che,
vicinissima alla porta, aveva forse potuto ascoltare almeno le ultime
battute
che si erano scambiati. L’imponente soldato
sussultò, la scansò e la resse, per
evitare che la ragazza cadesse.
– Occhio,
madamigella! Non siete scampata a una brutta
avventura per crollarmi addosso.
–
Scu… scusatemi. – balbettò Rosalie,
arrossendo.
Alain la
scostò delicatamente da sé. –
È tutto a posto
adesso, Madamigella.
Poi il soldato fece
un saluto a Madame Lucille. – Abbiamo
finito. Come vi dicevo, il caso si è risolto da solo.
– Grazie
al Cielo. – convenne la donna, con un saluto
gemello.
Rosalie rimase a
osservare il soldato allontanarsi, le mani
giunte sul petto, come a custodire il cuore che minacciava di uscirle
dal
petto. Si volse con ansia a Bernard, e lo trovò sulla porta
della cucina, il
viso consapevole e attento alla sagoma del grosso soldato che cercava
l’uscita.
–
Aspettate! – gridò a un tratto Bernard, e
sfuggì a Rosalie
e Madame Lucille per raggiungere Alain.
– Mh?
– fece l’altro, già pronto a uscire, la
mano sulla
maniglia del piccolo portone, l’espressione di chi non aveva
previsto di
fermarsi ancora.
–
… chi ha agito una volta, potrebbe agire ancora. –
sentenziò
Bernard, e tacque.
Alain
sogghignò. – … le osterie da queste
parti non sono poi
così male. Almeno la birra non sembra piscio…
Paul! Gerard! Dove siete finiti,
sfaticati! – gridò poi, spalancando la porta di
casa. I due giovani lo
aspettavano fuori, e appena lo videro gli corsero incontro.
–
Facciamoci un giro per il quartiere. – spiegò
Alain. – E
già che ci siamo, teniamo in conto di farlo anche i prossimi
giorni. Non sia
mai che troviamo un modo per ammazzare la noia.
– Ma
Alain, – gli risposero i compagni, quasi in coro, e
Gerard proseguì con un balbettio: –
D’A-D’Agout… sa-sarà
d’accordo? Abb-biamo
l-la rivi-vista…
– Chi se
ne frega se D’Agout sarà d’accordo! E
pure della
rivista, chi diavolo se ne frega! – replicò
gloriosamente Alain, e ridendo a
voce alta si diresse con loro all’angolo, scordandosi di
chiudere il portoncino.
Il soldato prese a
intonare, senza pudore alcuno, una vecchia
canzone popolare, la cui eco suonò tra i vicoli e si spense
in lontananza solo
dopo che egli si perse di vista.
– Ti lamenti, ma
che ti lamenti? Prendi il bastone e tira fuori i denti!
____________
Note.
- In ritardo
infinito con le risposte alle recensioni,
almeno sono di parola con la pubblicazione! È davvero un
periodo senza respiro,
però ringrazio con affetto chi mi ha lasciato il segno della
sua lettura e del
suo gradimento. Mi metterò in pari immediatamente!
- Le canticchiate di
Alain (“Chi vuole la giustizia se la
faccia” e “Ti lamenti ecc.”) sono
direttamente ispirate dalla - per me -
bellissima Malarazza, canzone
popolare siciliana di rivolta e di accusa contro il potere schiavista dei padroni. Tra le sue
molte versioni, segnalo quelle
di Domenico Modugno, di Roy Paci e Carmen Consoli; per ascoltarla e
leggerne il testo, ecco la versione di Ginevra di Marco: http://parliamoitaliano.altervista.org/malarazza/.
- Il capitolo 18 NON sarà la conclusione, non ancora! Se
tutto va come
previsto, metterò la parola fine al capitolo 20. Intanto un
abbraccio ancora a
chi è arrivato qui, e al prossimo week-end!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** Sei pronta per essere libera ***
Dopo aver riposato
nel letto di Madame Lucille, Rosalie le raccontò
tutte le sue disavventure. La donna si emozionò molto nel
sentire cosa Bernard
avesse fatto e come fosse riuscito, apparentemente dal nulla, a trovare
Rosalie, pur così lontana da Parigi.
Bernard
però non rimase sveglio a prendersi lodi e
complimenti. Nella stanza attigua, sprofondò in un sogno di
incubi sommessi e
ovattati, simili al sibilo di una tormenta dagli spifferi di una
finestra mal chiusa. Gli incubi non gli impedirono il riposo,
né di
abbandonarsi alla serenità d’aver compiuto la sua
missione: salvare Rosalie; il
resto poteva aspettare, anche il ricordo orribile del corpo molle della
madre
tra le onde, quello gelido della pelle di lei tra i gigli della bara,
quello
tristissimo di André e del peso del suo cuore, quello del
maniero in fiamme da
cui erano fuggiti, che si stagliava alto e sinistro su uno specchio
d’acqua
nera. Tutto questo era vivo nei sogni ma innocuo, come dietro un sicuro
bozzolo di vetro, racchiuso nel passato. Bernard si
svegliò che era quasi sera: aveva un
sorriso lieve sulle labbra, lo stesso con cui era giunto al mattino in
quella
casa, forte del tesoro
che aveva portato con sé.
Il…
tesoro era già all’opera ai fornelli. Bernard le
si
avvicinò alle spalle, e si accorse di non essere stato
udito. Rosalie aveva la
caratteristica, già notata altre volte e che in futuro
avrebbe mantenuto, di
immergersi tanto a fondo nei propri pensieri da non uscirne se non
richiamata; e così fu, perché quando Bernard
sussurrò, incerto,
– Rosalie?
la ragazza
sussultò in un piccolo grido, e si portò la mano
al petto. Appena si accorse di lui, sorrise canzonando la propria
reazione,
–
Scusatemi: ero sovrappensiero,
e i loro sguardi si
toccarono. In quel momento si
riconobbero, si dissero qualcosa senza parole; e fu, a sorpresa, tenero
e denso
di complicità, al punto che Rosalie sentì venir
rosso alle guance, e Bernard
distolse lo sguardo e chinò il capo, pensieroso.
– Ti sei
già rimessa al lavoro…
Rosalie si
addolcì. – Sto bene. Mi sono riposata abbastanza.
E qualcuno doveva pur occuparsi della cena… voi avete
riposato?
Bernard
ignorò la domanda. – Dov’è
Madame Lucille? – chiese,
guardandosi intorno.
– Al
mercato. – rispose Rosalie, tornando a occuparsi di
ciò
che ribolliva nella pentola. Rigirò il cucchiaio e diede a
Bernard le spalle,
accorgendosi che il rossore le accaldava ancora il viso. –
Tornerà tardi anche stasera... ha
perso troppe ore di lavoro, vuole recuperare il più
possibile.
–
… le hai detto qualcosa… della proposta che ti ho
fatto?
–
… quale proposta? – disse lei, stranita.
–
… lasciare questa casa. Impedire che ti trovino ancora.
–
spiegò Bernard. Uno spirito malizioso forse avrebbe compreso
che Rosalie aveva
inteso tutt’altro da quella semplice domanda, ma non era il
caso di Bernard.
–
Oh… sì. – disse in fretta la ragazza,
tornando a osservare la
zuppa fumante.
– E lei?
–
Lei… mi ha detto che non vorrebbe separarsi da me, ma non
può lasciare questa casa. Non finché Jean non
tornerà.
– Jean?
Rosalie annuì. – È suo figlio. Un
giovane che, tre anni fa, è partito in cerca
di fortuna senza lasciare spiegazioni. Come fece mia sorella
Jeanne… ironia
della sorte, hanno quasi lo stesso nome. – La ragazza sorrise
con tristezza.
– Lo
capisco. – disse Bernard, e si sentì stupito e
triste a
sua volta, per quel dettaglio della vita di Lucille che non aveva mai
conosciuto. Né l’aveva chiesto: la buona donna li
aveva ospitati entrambi, in
fondo, lui e la stessa Rosalie, e non si era mai premurato, Bernard, di
conoscerla meglio.
Rosalie si chiuse in
un silenzio denso di pensieri. Il
giovane attese un poco, ma vedendola di nuovo assorta, parlò
per primo.
– Ti
aiuterò a trovare una nuova casa. – promise,
serio. Poi
più sereno: – Per il momento, però,
lascia che ti aiuti almeno con la cena. Vai
a sederti, ci penso io qui.
– No,
davvero. Non è faticoso, e mi piace farlo...
–
Permettimi. – Bernard tese la mano, cercò di
prenderle il
cucchiaio. Rosalie tentò di resistere, ma appena
sentì la mano di lui che
sfiorava la sua, indietreggiò e si sottrasse, come
intimidita. Bernard prese il
suo posto, lo sguardo come distratto; la sbirciò solo un
attimo, e si accorse
che Rosalie evitava di guardarlo a sua volta, e che il rossore di prima
era
tornato dolce sulle sue guance, insieme a un morbido, triste sorriso.
– Come
va… la tua ferita?
Rosalie
esitò. – … sono soltanto dei graffi.
Guariranno
presto.
– La donna
che te li ha procurati… chi era? – le chiese,
diretto.
–
… Madame Polignac.
Bernard trattenne il
fiato, poi riprese a rimestare la zuppa.
–
… la donna che voleva darti in sposa al Duca de Guise.
–
mormorò, e piano sollevò lo sguardo sul viso
della fanciulla, ne sondò le
emozioni. Trovò fiorite, ancora una volta, tutte le
contraddizioni che ardevano
nello spirito di Rosalie. Trovò l’odio per i
nobili e per la madre che aveva
desiderato ciò che di peggio poteva desiderare, per la
figlia; e anche
qualcos’altro, un senso di battaglia e di cruda
determinazione, cose che amava
in lei tanto quanto il candore di giglio e il rossore sulle guance.
– Per
qualche giorno è meglio che tu non esca di casa.
Finché non avrai una nuova sistemazione. – le
disse ancora, con aria
comprensiva.
Rosalie fece un
piccolo movimento, tentò di parlare di
getto, ma poi si morse le labbra, si frenò.
–
… io resterò qui con te fino ad allora. Non
dovrai temere
nulla. – rincarò il giovane.
Di nuovo, il viso di
Rosalie fu specchio di sorpresa, di
tristezza e frustrazione.
Lui, dal suo canto,
cercò di essere pacato e rassicurante.
– Ci aiuteranno anche quei soldati, vedrai che…
–
… Monsieur Bernard, io… – lo interruppe
Rosalie,
guardandolo con occhi vitrei, blu come piccoli laghi avidi di cielo.
– … io non
voglio più che vi disturbiate per me.
Lo disse in modo
perentorio, quasi severo.
Bernard smise
qualunque cosa stesse facendo. Si volse a lei,
furono uno di fronte all’altra, e lui la guardò
intensamente. Molte parole gli
vennero alle labbra, ma si limitò a pensarle: le
mutò in discorsi più discreti,
soffocando sul nascere ogni impeto.
È
naturale, per me,
proteggerti. – Non è un disturbo.
– So che
se avessi bisogno, mi aiutereste ancora… – disse
Rosalie, abbassando il capo.
Lo
farò sempre, lo
farò comunque. – Lo farei. –
replicò lui, con una sicurezza che fece
vacillare la ragazza per un istante.
–
… ma credo che l’unica soluzione, per me, sia
lasciare
Parigi.
– Cosa?
– Bernard sentì il cuore stringersi, e i pensieri
esplosero
in un No che si riversò
nei lineamenti
del suo volto, rendendolo affranto.
– Quella
donna ha preparato un documento con cui vanta su di
me diritti di madre. Porto il cognome di suo marito, ormai. Sotto
questa luce,
è legale perfino che mi abbia fatto rapire, riconducendomi a
sé. – la ragazza
fece una smorfia disgustata. – Non aspetterò che
lo faccia ancora.
– Deve
solo provarci… – iniziò Bernard
incollerito, e si
accorse di aver alzato la voce, dando respiro ai pensieri. Si
fermò in quel
momento, si impose di parlare lentamente. – …
Parigi conta seicentomila
abitanti. Non potrà trovarti così facilmente.
–
L’ha già fatto una volta, e ha i mezzi per farlo
ancora. –
disse Rosalie, scuotendo il capo.
– Tu ami
Parigi. Tu vuoi vivere qui, me l’hai detto una
volta.
–
È la verità. – sussurrò la
ragazza, più cupa. E di nuovo,
guardò il giovane alzando il mento, in un modo orgoglioso e
solenne che lo
spiazzò. Non più rossore, non più
dolori, solo una quieta consapevolezza. – Ma amo
soprattutto la mia libertà.
Bernard ebbe un
sussulto, si sentì ardere ancora, con
piacere, con gratitudine. Questo sapeva fare Rosalie, sempre, senza
stancarsi:
scuoterlo, ricordargli cos’era inestimabile al mondo, vivere
quella preziosità
al massimo grado.
– Ascolta,
Rosalie. – disse Bernard di slancio, e sentì
l’impulso di sfiorarle il viso, di fissare ancora
più da vicino quegli occhi
grandi, con tutte le loro emozioni. Si trattenne, strinse i pugni.
– Se lasci
Parigi, sarà ancora più facile per lei confondere
le sue tracce se dovesse trovarti
di nuovo. Ha agito in segreto finora, continuerà a
farlo…
– Allora
cosa dovrei fare? – replicò lei con veemenza,
stringendo i pugni davanti al petto. – Accettare di chiudermi
in casa sperando
che non mi trovi mai più? Vivere nel timore e
nell’ombra?
Rosalie tacque,
anche se avrebbe voluto aggiungere altro. Dirgli,
per prima cosa, che aveva molta più paura di quanta volesse
ammettere, perché
se la Polignac l’avesse presa un’ultima volta, era
certa, le sarebbe stato
davvero impossibile fuggire.
Ancora, dirgli che
non voleva lasciarlo, ma che non poteva
ammetterlo a voce alta. Né gli avrebbe rivelato che mentre
lui dormiva, fino a
poco prima, era andata spesso a controllarlo, spiando la forma del suo
sorriso
nel sonno, se fosse lieta, o mesta, o spenta. E che le era parso un
uomo bello,
come non aveva pensato mai, come le sembrava anche in quel momento.
Era così
confusa. Non l’avrebbe mai voluto accanto a sé per
il bisogno di essere protetta, questo no. Si diceva che doveva
camminare anche
stavolta sulle proprie gambe, e imparare a fare a meno di lui, come con
Oscar.
Doveva lasciarlo libero. Non poteva aggrapparsi a lui sperando che la
salvasse
sempre: una certa rettitudine morale, l’orgoglio glielo
impedivano. Ma anche se
sapeva di essere nel giusto, qualcosa mancava al ragionamento, e
proprio quel vuoto
le stringeva l’anima in una morsa. Si era ripromessa di non
essere mai egoista
con nessuno, di donarsi al mondo; ma avrebbe volentieri piantato i
piedi come
una bambina, implorando Bernard di starle vicino.
Soffocata da quel
nodo di emozioni Rosalie rimase ferma,
le labbra tremanti, tanto silenzio per così tanto cuore.
Bernard
ascoltò il suo silenzio e chiuse gli occhi. Disse
soltanto, con voce calda come una carezza:
– No, non
puoi, hai ragione. – un attimo, e aggiunse: –
Domani…
chiederemo a Madame Lucille di restare qui al mio posto. Io
andrò a parlare con
Robespierre.
Rosalie
sgranò gli occhi. – Monsieur
Robespierre… ?
Bernard
annuì. – Se quello che mi hai raccontato
è vero, lui
scoprirà come stanno le cose. È un avvocato, ha
diretto accesso a molte più informazioni
di quante possa io. E se esiste un cavillo, qualcosa che ti
permetterà di
essere libera una volta per tutte da quella donna… noi lo
troveremo.
– Voi
credete… che sarà possibile sfuggirle?
– fece la
ragazza, incredula.
– Non
è più tempo di fuggire da lei. È tempo
di affrontarla.
Rosalie distolse lo
sguardo, non replicò nulla. Ma apparve
chiaro, sul suo viso di luna, quanto quelle parole l’avessero
colpita.
Bernard si mosse, un
passo ancora: fu vicino a lei tanto da
poterla toccare. In uno slancio le prese le mani nelle sue, le
sollevò e si
chinò verso il suo viso, con espressione triste e partecipe.
–
È una battaglia cui non puoi sottrarti. Anche se si tratta
di tua madre.
Rosalie strinse le
palpebre in un’espressione sofferente. Celò
lo sguardo per un istante, ma le loro mani rimasero strette.
– Credimi,
so cosa stai provando. – sussurrò Bernard, con
dolore. – Non puoi amarla… ma non puoi neppure
odiarla.
A quelle parole
Rosalie tornò a lui, come se avesse appena
pronunciato un incantesimo.
–
Perché… perché doveva essere lei?
– gli chiese Rosalie, ingoiando
il dolore: come se lui potesse risponderle. –
Perché non quella Nicole che mi
ha allevato… che io ho amato?
– Non lo
so. – ammise Bernard, con tono carezzevole. – Ma tu
sei forte, immensamente forte. Sei pronta… per essere
libera.
Rosalie si
sentì sopraffatta. Accadeva di nuovo: Bernard era
dentro di lei, le parlava da troppo vicino per non sentirlo. La stretta
delle
mani, dei loro sguardi, i respiri che si sfioravano, tutto
ciò era la forma
esteriore di un abbraccio reciproco e profondo, avvenuto con
naturalezza
estrema.
Poi i loro confini
si assottigliarono. Vi fu un attimo, soffice
come nebbia, in cui a Bernard parve che lei socchiudesse gli occhi e
muovesse
il viso ancora più vicino, contemplando tra le ciglia le sue
labbra come nell’attimo
che precede un bacio. E Rosalie credette, all’opposto, che
fosse lui a fissarla
come se volesse annullare di nuovo le distanze: basta parole, basta
indugi, l’avrebbe
baciata ancora, stavolta senza che lei nutrisse il desiderio di
fermarlo.
Non arrivarono a
scoprire chi dei due avesse iniziato quel lieve
movimento: Madame Lucille irruppe in casa con allegria, annunciandosi
sulla soglia
e spezzando il filo caldo che stava avvicinando i loro respiri.
***
– Eccoti.
Finalmente.
Il volto di
Maximilien Robespierre si aprì a una sincera
soddisfazione, quando vide Bernard varcare la soglia del salotto
d’Orleans.
Lasciò cadere la conversazione con il suo vicino, Monsieur
Camille Desmoulins,
il quale a sua volta si alzò all’arrivo del
giovane, con le braccia larghe e un
gran sorriso.
Bernard, alla vista
dei suoi mentori, si sentì sollevato. La
sua andatura, dapprima incerta, diventò sicura; si mosse tra
i gruppetti di
altri giovani, intellettuali, artisti che riempivano la sala puntando i
due
uomini. Quando si trovò di fronte a loro, ebbe
l’impressione di essere tornato
indietro nel tempo, in un luogo e in una compagnia che aveva
dimenticato. Ci
stava bene, ma si sentiva anche estraneo e mutato: come
l’uomo che, dopo aver
vissuto tutta la vita in un luogo, allo scoprirne un altro diventa
viaggiatore,
e non ha più un unico cuore, ma uno per ogni volo compiuto
fuori dal nido.
–
R-ragazzo! – esordì Desmoulins, i cui difetti
di pronuncia
non riuscivano a sminuire la grandezza della sua penna e
l’abilità
dell’argomentazione. – Abbia-biamo s-senti-to la
tua mancanz-za. T-ti sei
ri…stabilito?
Bernard si
illuminò di sorpresa per un attimo, lanciò
un’occhiata a Robespierre: questi osservava i due,
l’amico e il pupillo, con
molta tranquillità. Quella posa rassicurò il
giovane.
–
Sì, signore. Ora sto bene, e vorrei tornare a lavorare a
pieno regime.
– Ma
c-certo. Abbiamo bi-bisogno della tu-tu…a ener…
energi-a.
– A questo
proposito… – Bernard prese dal giustacuore un
foglio ripiegato, lo porse a Desmoulins – … vorrei
sottoporvi questo pezzo.
Desmoulins prese il
foglio e lo spiegò con compiacimento,
annuendo con vigore. – N-non p-potevo chiede-re di-di
ppiù. – Poi lesse a mente
il titolo, e scorse rapidamente l’intero foglio. –
“Co-cosa ci ha l-lascia-to
il Ca-valie…rre Ne…nero.” M-ma questo
è…
–
… è una riflessione su cosa sia stato il
Cavaliere Nero
per tutti noi, ora che non esiste più.
– S-sia
st-stato… da m-mesi non se ne è
p-più… sa-saputo
nulla. V-voi pensa-sate che s-sia mo-morto?
– Mi
sembra l’ipotesi più probabile, signore.
– disse
Bernard, con espressione neutra; Robespierre fece solo un piccolo
sorriso agli
angoli delle labbra, e dal suo canto Desmoulins osservò il
suo giovane
giornalista con occhi attenti ed espressione arguta; poi si tese verso
di lui e
si rilassò subito dopo, come se avesse qualcosa da dire e
decidesse, all’ultimo
minuto, di tacere.
– S-se
l-lo di-dite voi, ci cre…derò. –
Desmoulins
ridacchiò. – Lo l-leggerò
imme…diata-tamen…te.
Robespierre sorrise.
Fu allora che Bernard gli si accostò. –
Vorrei parlarvi in privato... al più presto. – gli
sussurrò. L’avvocato non
sembrò sorpreso. Posò una mano sulla spalla di
Bernard, prendendo l’iniziativa.
– Vieni,
ragazzo, lasciamo Camille alla sua lettura…
Si fermarono presso
una finestra dall’ampia vetrata, che
dava sul cancello interno del Palazzo Reale. Il brusio del salotto era
tale che
le loro voci poterono scivolare nel riserbo, con naturalezza.
– Si
tratta di Rosalie. La ragazza che vi ha portato le mie
lettere, mentre ero convalescente.
L’avvocato
sembrò sorpreso. – Sì… mi
ricordo di lei.
Bernard
spiegò per sommi capi di cosa si trattasse. Chi
fosse coinvolto nella vicenda, senza lesinare nomi importanti. Quando
ebbe finito,
il volto di Robespierre era molto serio.
– E tu
dici che quella donna avrebbe già predisposto un
documento?
–
Sì.
– La
ragazza l’ha firmato?
Bernard scosse il
capo. – No. Gliel'ho chiesto. A meno che non abbiano
falsificato la sua firma, lei non ha mai firmato alcun documento.
Robespierre fece un
sorriso freddo. – Molto bene. Mi informerò con chi
di dovere se esiste qualcosa di simile a nome Polignac. Ti
farò sapere quanto prima.
– Grazie.
– disse subito Bernard, sollevato. –
C'è speranza che sia ritenuto nullo?
–
È presto per dirlo. Ma tutto torna a nostro favore.
–
Robespierre annuì tra sé e sé.
– Nello stato attuale delle cose, la Duchessa di
Polignac ha perso molto credito a Corte. Si dice che la Regina non la
onori più
come un tempo. Certi pettegolezzi riferiscono di un suo amante svedese
che l’avrebbe
messa in guardia contro la sua antica… amica. Non
è strano che la Polignac
cerchi proprio adesso alleanze più solide con gli altri
Duchi, secondi in
potere soltanto alla Famiglia Reale… Anzi, è
così prevedibile da far sorridere. Ma se davvero avesse
fatto ricorso a mezzi illeciti per accaparrarsi nuove alleanze,
c'è materiale per l'ennesimo scandalo ai suoi danni. E dopo
l'Affare della Collana e le disgustose accuse che le pendono sul capo,
immagino che quella donna sia più vulnerabile che mai...
Bernard non rispose.
Si chiuse nei suoi pensieri, senza più ascoltare.
Robespierre stette a osservare il giovane, studiandone il
profilo.
– A
proposito. Hai incontrato
Oscar François de Jarjayes.
–
Sì. – disse Bernard, ritornando al presente.
– Che cosa
te ne è sembrato?
– Tra i
nobili, è una perla rara. – rivelò il
giovane, franco.
– Questo
è tutto da dimostrare. Mi sembra ieri il giorno in
cui ci incontrammo ad Arras e parlammo della Regina
Edonista… poco mancò mi
schiaffeggiasse, quando l’ho definita così.
Bernard
ascoltò l’aneddoto con stupore, ma scosse il capo.
–
Le persone possono cambiare.
– Io
sostengo di no. Non si va mai oltre certi limiti.
C’è
chi nasce con una missione, chi con un’altra. La missione di
Jarjayes è quella
di proteggere la Famiglia Reale… la nostra è
quella di salvare la Francia dal
veleno della Famiglia Reale.
–
… e se la nostra missione fosse semplicemente…
quella di
dare voce al Popolo?
L’avvocato
soppesò l'espressione seria del giovane, poi annuì. – Hai
ragione,
Bernard. Dare voce al Popolo è uno dei modi con cui
salveremo la Francia. Il
tuo lavoro è indispensabile per questo. –
Robespierre strinse le palpebre. –
Dunque è vero? Non indosserai più quella maschera?
–
È vero, Robespierre. – ammise Bernard.
Robespierre
annuì compiaciuto. Guardò lontano, oltre la
finestra.
– Mi
sembra ieri il giorno in cui ti ho incontrato.
Ascoltasti il mio discorso ai giovani studenti del Louis Le Grand senza
dire
una parola. Fosti il primo ad applaudire quando ebbi finito. Gli altri
avevano
paura di darmi ragione, avevano paura di ammettere a se stessi che
volevano
cambiare le cose una volta per tutte. Avevano paura di agire, perfino
di
ascoltare. Tu no. Tu eri pronto all’azione come
all’ascolto. – lo sguardo di
Robespierre indugiò sul volto di Bernard, seguì i
suoi tratti e si concentrò
sugli occhi. – Mi dicesti che volevi diventare un
giornalista, denunciare ogni
ingiustizia e sopruso perché fosse evidente che le cose
dovevano cambiare…
–
… fu allora che mi presentasti a Desmoulins.
–
L’ho fatto. E non me ne sono affatto
pentito. Da allora
hai migliorato il tuo stile, hai imparato ad argomentare i tuoi
discorsi. Hai
perduto ogni dubbio, e sai parlare in pubblico come pochi. –
Robespierre
addolcì l’espressione, sempre guardando il giovane
negli occhi. – Queste
qualità sono preziose. Sono lieto che tu non voglia
più buttarle al vento.
Buttarle al vento... Bernard
per un attimo chinò il capo. Pensò lontano.
Ricordò
un episodio in particolare, che risaliva a uno dei primi furti come
Cavaliere Nero.
Aveva appena
lasciato cadere attraverso uno stretto
lucernaio una collana di perle: si trattava di una misera casa posta
sul livello della
strada, ovvero una cantina umida che sapeva abitata da una povera
famiglia del quartiere. Era notte,
il vicolo era buio e poco frequentato: non si aspettava che lo
sentissero. Ma qualcuno, scoprì, era sveglio in quella
casa. Sentì un grido di gioia, il grido di una donna, –
Dio ti benedica, chiunque tu sia!
– e di rimando
un colpo di
tosse raschiante, e la voce di un bambino. –
Mamma, perché piangi?
Quel grido, la tosse
del bambino, il pianto della donna, furono un
marchio nel suo cuore.
Bernard non aveva mai voluto per sé un riconoscimento,
sapeva che quella missione (rubare ai ricchi per dare ai poveri) poteva
riuscire soltanto nell’anonimato. Tuttavia
aveva dovuto parlarne con Robespierre, e anche allora, nonostante il
suo
mentore avesse apprezzato la nobiltà del gesto, si era
sentito dire che
rischiava troppo, che presto o tardi l'avrebbero scoperto.
Robespierre parlava
sempre di agire, ma non aveva
approvato quel genere di azione.
L’aveva lasciato libero di scegliere e non l’aveva
ostacolato in alcun modo, ma non l’aveva neppure aiutato,
finché non si era
trattato di pagare i fucili scontati che Oscar François de
Jarjayes aveva
offerto loro.
– A
proposito… chi ha pagato per i fucili, Robespierre?
–
… non saprei dirti chi sia. Ha donato la somma tramite un
intermediario.
–
Ho diritto di saperlo, Robespierre. Mi ha riscattato.
– Abbi
fiducia, giovane Bernard. Un giorno sarà possibile
parlarne senza temere di farsi perseguitare. L’uomo che ha
pagato la somma è
aristocratico, ti basti sapere questo. – concesse Robespierre. – E se la trama della nobiltà ha
tarli così grossi, ciò
significa che l’era del Popolo sta per arrivare. Se solo riuscissimo ad arrivare
agli Stati Generali…
Bernard si
trovò a ridere.
Gli occhi gli brillarono di gioia.
– Gli
Stati Generali! Possibile?
–
È presto per gioire, amico mio. Ma qualcosa si sta
muovendo. Lentamente, l’ottusità del Re e dei
ministri si sta scontrando con
l’inevitabile. La cerchia del Re ha licenziato il ministro
Calonne per non
dover pagare le tasse di propria tasca, hanno proposto che sia ancora
il Popolo
massacrato a pagare i buchi mostruosi nel bilancio statale. La corda
troppo
tirata si spezzerà… a meno che non siano
convocati gli Stati Generali.
Robespierre guardava
lontano, dalla finestra. Come molte
volte, a Bernard egli pareva una sfinge, antica e nobile, che
contemplava il
futuro con saggezza; delle molte cose che Robespierre esprimeva a
parole, il
giovane sentiva che non una sarebbe sfuggita al destino. Ciò
che il suo mentore
prevedeva, si sarebbe avverato un giorno, era come una dolce certezza.
E di
rimando il suo cuore rispondeva, e la felicità di un Nuovo
Mondo lo ubriacava
come vino. Egli non vedeva l’ora di esserci già,
in quel Nuovo Mondo, e così
accadde anche in quel momento, si trovò rapito a contemplare
lo stesso
invisibile paesaggio sociale immaginato da Robespierre. Ma se altre
volte aveva
digrignato i denti pregando per la distruzione dei nobili, quel giorno
sentì
l’assenza di quel sentimento. Piuttosto, immaginò
la povera gente prospera
lungo le strade, intenta ai suoi lavori, e le madri con i loro figli
mano nella
mano, e i padri che scherzavano nelle osterie la sera, in una
città illuminata
dalla Giustizia. E tra tutti coloro che popolavano quel sogno un
po’ infantile,
che non osò rivelare a Robespierre, si accorse di immaginare
una fanciulla che
camminava leggiadra per strada, dei fiori in mano, gli abiti senza
strappi e
senza buchi, i capelli color miele gioiosi al vento. E
immaginò, sognando a
occhi aperti, un giovane che, con dei fogli sottobraccio, le veniva
incontro
(il giovane era tale e quale a lui, Bernard), e…
–
Cha-chate-te-let! L-lo pubblichi-chiamo.
Desmoulins irruppe
nel silenzio di Robespierre e Bernard,
con toni solenni. Egli guardava il giovane con stupore, come se lo
vedesse per
la prima volta.
– Siete
si… si… sicuro c-che sia vo-vostro? Se-sembra
scr-ritto da un’altra pe… persona.
Bernard sorrise e
ringraziò.
– Forse
avete ragione, signore. Forse l'autore è davvero un'altra
persona.
_________
Note.
- Buonasera! Il mio grazie
immenso va sempre a Madame
Anna e a Pamina71
per la consulenza tecnica sui miei soliti dubbi amletici in
materia storica. Stavolta le ho stressate su questioni di diritto
civile settecentesco @_@ Povere!
- Breve nota per chi, non avendo letto Rivoluzione, non sa come ho "usato" Desmoulins: Camille Desmoulins, personaggio storico che sarebbe alla base della caratterizzazione fittizia di Bernard, era amico e compagno di studi di Robespierre, anche se le circostanze storiche li portarono in seguito su fronti contrapposti. Scrisse diversi articoli e fondò dei giornali, tra cui "Le vieux Cordelier" nel 1793. Poiché l'anime vuole che Bernard lavori per lo stesso giornale qualche anno prima, nel 1788, mi sono accodata all'anacronismo "d'autore". - E grazie a tutti voi come sempre di
leggere e aspettare
questa storielluzza, che è ormai a un passo dalla sua fine.
Nelle mie
previsioni mancano due capitoli, uno la prossima settimana e uno quella
ancora dopo! Un abbraccio
intanto a chi ha seguito con affetto fin qui!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** Vento di Primavera ***
Al suo ritorno al
quartiere del Tempio, Bernard incrociò i
Soldati del giorno prima. Se ne stavano a ridere, scanzonati, fuori
dall’osteria che faceva angolo tra la via principale e i
vicoli. Riconobbe
Alain, di cui non ricordava il nome, e stette a contemplarlo un poco,
così
spavaldo come sembrava. L’altro, di punto in bianco,
mostrò di averlo notato.
Gli rivolse un’occhiata divertita, gli fece un cenno con la
mano, perfino
l’occhiolino.
Bernard non si
fermò con loro, ma in cuor suo ringraziò che
essi fossero così zelanti nella loro guardia, e al tempo
stesso così scomposti
da non sembrare affatto lì per un motivo preciso.
Giunto di fronte
alla porta con la maniglia rossa, bussò.
Stranamente, non gli
fu aperto. Subito si preoccupò, bussò
ancora. Non ricevendo ascolto, si lanciò
all’angolo, svoltando sul lato destro
della casa, che scendeva poi in una piccola scalinata (quel punto del
quartiere
poggiava su un piccolo pendio); c’era una finestra che dava
sul vicolo stretto,
quella della stanza di Lucille. Bernard si avvicinò ad essa,
studiando al tempo
stesso la facilità con cui chiunque avrebbe potuto, volendo,
introdursi
all’interno tramite quell’esile ostacolo.
Guardò dentro. La finestra aveva
vetri opachi, attraverso i quali vide Madame Lucille e Rosalie intente
a
discutere tra loro. Non poteva sentire le parole, ma gli fu chiaro che
il
discorso fosse fitto e intimo, perché Madame Lucille sedeva
davanti a Rosalie e
le teneva una mano, come se la consolasse. Poi le disse
qualcos’altro, Rosalie
alzò gli occhi, il viso stupito, e Madame allargò
le braccia e continuò a
parlare animatamente: a Bernard arrivarono solo echi ovattati, parole
storpiate
dal filtro del vetro, irriconoscibili. A quel punto, Rosalie si
portò una mano
alle labbra, come in imbarazzo; e da ultimo, con un colpo
d’occhio
involontario, notò Bernard alla finestra e lanciò
un grido che, se anche non fu
possibile da percepire all’esterno, al giovane parve
perfettamente chiaro.
Madame Lucille si volse, allarmata, notò il giovane e si
rilassò; venne ad
aprirgli la finestra, ridendo.
– Monsieur
Bernard. Volete metterci paura? – disse,
affacciandosi.
Il giovane,
piuttosto stranito, ammise: – Ho bussato alla
porta, prima.
– Oh.
Possibile che non vi abbiamo sentito? Vengo subito ad
aprirvi.
Madame Lucille
chiuse la finestra e si avviò verso l’atrio.
Bernard percorse il perimetro esterno della casa, svoltando di nuovo
l’angolo,
e si trovò di fronte la donna, che gli sorrideva
particolarmente gioviale.
– Ho fatto
prima che ho potuto, Madame Lucille. Grazie di
avermi aspettato.
– Non
c’è di che, Monsieur Bernard. Prego…
Gli fece spazio per
entrare; poi si rivolse a Rosalie, che
era comparsa dietro di lei all’imboccatura del corridoio.
– Ora
vado, cara. Ci vedremo stasera.
La donna raccolse la
sua mantella e andò ad abbracciare
Rosalie. La ragazza si fece stringere, ma lasciò lo sguardo
su Bernard,
incerto.
Lucille si
separò da lei con un altro sorriso, passò davanti
a Bernard e lo salutò calorosamente.
Uscita lei, Rosalie
aspettò che Bernard chiudesse la porta.
– Quella
finestra… forse sarebbe meglio chiuderla anche di
giorno. – disse Bernard, togliendosi il mantello.
Rosalie non rispose
nulla. Appeso il mantello Bernard le
venne incontro, ed entrambi si diressero in cucina. Lì la
ragazza iniziò a
prendere uova e cibo da scaldare dalla credenza, pane dalla madia.
Ravvivò il
fuoco dei fornelli, tutto in un silenzio irreale. Bernard si chiese di
cosa
stessero parlando con Lucille, quando le aveva interrotte.
– Ho visto
Robespierre. – rivelò il giovane, senza aspettare
domande da parte di lei. – Mi ha promesso il suo appoggio.
Presto avremo la
risposta.
Rosalie
annuì in silenzio, finalmente con un sorriso.
Di riflesso, anche
l’espressione di Bernard si distese. Si
avvicinò a lei, come ogni giorno, per guardarla cucinare o
aiutarla. O anche
solo per condividere gesti piccoli e insignificanti, nei quali
ritrovare la
pace di una sintonia, di una comunione. Era, questa, l’unica
cosa che si concedeva
a pieno titolo senza chiedere permessi.
Rosalie, al suo
accostarsi, tenne il capo chino, il viso
incerto. Si concentrò unicamente sui gesti meccanici della
cucina, deglutendo
di tanto in tanto.
– Ascolta,
Rosalie. Se tu volessi trasferirti adesso… forse
ho un’idea su dove… – mormorò
Bernard.
Rosalie si
fermò un istante, rifletté. –
È meglio di no, per
il momento.
–
… perché?
– Non
voglio lasciare Madame Lucille sola contro dei
possibili assalitori. Ho beneficiato della sua ospitalità, e
non dovrei avere
scrupoli a lasciarla sola adesso, che potrebbe rischiare per me?
–
… già, lo capisco.
– Se voi
volete tornare a casa, Monsieur Bernard, vi prego,
non pensate a…
– Una
settimana. – troncò Bernard, serio. –
Aspetteremo una
settimana. Va bene?
Quel fragile
ultimatum era un appello più a se stesso che al
caso. Ricacciò indietro tutto quello che voleva dire, e
osservò Rosalie annuire
debolmente, come distratta.
In breve tempo le
uova furono pronte, le verdure stufate e
scaldate, il pane affettato. Si disposero a consumare il loro pranzo
frugale,
senza dirsi più nulla.
E pian piano quel
silenzio tra loro diventava come la
finestra era stata prima: una barriera, trasparente ma viva, attraverso
la
quale parole e contatti svanivano, resi nulla.
Bernard
sentì addosso tutto il disagio di non sapere cosa
dire, e scelse il silenzio a sua volta.
Rosalie si
arroccò nei propri pensieri, e ad ogni istante
che passava le pareva di non avere più voce. Non si
rilassò, anzi, si tese come
una corda di violino; ad ogni movimento di Bernard alzava il capo,
credeva
fosse l’inizio di un discorso, scopriva di no, dunque si
ritraeva immota e
delusa, come il gioco dell’onda che non riesce a raggiungere
una conchiglia al
limite della risacca.
Il silenzio, quando
non è cosciente o causato dalla volontà,
è lieve e caldo come un abbraccio. Un silenzio voluto,
ferito o imbarazzato,
preoccupato o troppo pieno di voci per poter esplodere in liberazione,
è invece
una tortura, più o meno discreta.
Ebbero il tempo di
riordinare la cucina, mentre il silenzio
imperversava. Compirono gesti ormai collaudati e noti, e con quelli
comunicarono; sì che il silenzio, a un tratto,
imparò a farsi significato, e
anziché aspettarsi parole, ragionevoli o dissennate,
entrambi sentirono meglio
ciò che i loro corpi dicevano. Bernard si avvicinava a
Rosalie, tendeva le
mani; lei gli passava un piatto bagnato. Lui lo asciugava, lo posava
nella
credenza. La volta dopo, Rosalie non si limitava a porgere il piatto,
ma
aggiungeva uno sguardo, un sorriso; per caso, le loro mani si
sfioravano; il
tocco fu sfuggente e discreto all’inizio, cercato e
trattenuto la volta
successiva, e quella dopo ancora.
Poteva bastare, a
Bernard? Dopo il fuoco che aveva sentito di
fronte a lei, potevano quelle briciole bastare? Si stupì
egli stesso: sì. Non
nutriva speranza in qualcosa di più, anche se sentiva che,
se solo avesse avuto
modo, la passione per lei sarebbe dilagata. Si accorse di avere occhi
per ogni
particolare, di conoscere di lei dettagli minuti e deliziosi. Amava
ancora il
tocco gentile di quelle mani delicate, i riccioli morbidi dei suoi
capelli.
Solo guardarla in viso gli procurava benessere, con quelle guance rosa,
la
bocca piccola e soave, la cui dolcezza egli ricordava lucidamente, come
se ne
avesse ancora il sapore sulle labbra.
Non era cambiato
nulla, in lui. Come mai poteva, allora,
restare così sereno, felice già della fiducia che
lei gli accordava, della sua
palpabile gratitudine?
Forse lo sapeva; era
il pensiero di lei tra le grinfie di
Guise, su quel letto immondo, di quella forza che aveva minacciato di
rapirla;
di quell’uomo che aveva osato calpestare ciò cui
Bernard si accostava con
ammirata tenerezza. Poi ricordava gli abbracci della salvezza, tutti,
in quella
stanza e per quelle scale e in quel salone, e quella finestra, e nella
lunga
galoppata verso casa: erano stati quelli a dargli pace nel suo slancio.
Gli
abbracci l’avevano calmato e forgiato come neve sul metallo
rovente.
Forse era
già oltre, Bernard, dentro la fortezza del cuore
di lei. Ed era tutto tanto caldo e calmo, laggiù, che non
provava più il
desiderio di possedere, di conquistare. Glielo diceva
l’animo, e la pelle:
Rosalie non lo respingeva, non lo distanziava. Era con lui. Erano
vicini,
insieme. Creature danzanti, come se fili invisibili li legassero: a
ciò che uno
faceva, l’altra rispondeva. Alle parole il silenzio, a uno
sfiorare un altro,
gentile. Questo, per lui, era già felicità, prato
fiorito, deserto dimenticato.
E per Rosalie? Il
contrario. Il cerchio si chiudeva, perché
era lei, ormai, a non avere certezze quando si trattava di Bernard.
Stare
seduti vicini, quel pomeriggio, ciascuno dedito alle solite occupazioni
(ricamo
lei, scrittura lui), non sembrava più una dolce
consuetudine, bensì un tormento
sottile, imprevisto.
Non
sei sicura che
egli provi ancora gli stessi sentimenti? Le aveva chiesto
Lucille, poco
prima. Ma cara, quale uomo avrebbe
affrontato tutti quei pericoli, se non ti amasse?
Forse sarebbe stato
vero per qualunque altro uomo, pensava
Rosalie, che diventa eroe solo per chi ama. Ma Bernard aveva un cuore
molto più
grande, lei lo sapeva, e non aveva mai avuto bisogno di innamorarsi di
qualcuno
per aiutarlo, scalando mura di castelli e introducendosi tra mille
nemici, per
fuggire poi come per magia, svanendo nel nulla. Perfino Madamigella
Oscar aveva
avuto difficoltà ad arrestarlo…
Ma
converrai, Rosalie,
che è assurdo. Come potrebbe Monsieur Bernard, per come lo
conosciamo, dire un
giorno che ti ama, due giorni dopo salvarti la vita, e ora non provare
più
nulla?
Rosalie
sbirciò Bernard, seduto accanto a lei. Sembrava
completamente assorto in quello che stava scrivendo, la penna scorreva
sul foglio
senza intoppi. La intingeva spesso nella china e mai, mai che guardasse
in viso
Rosalie. Vicini? Sempre, nonostante tutto. Ma nient’altro che
avesse un colore
più deciso, che somigliasse alla passione dichiarata da lui
pochi giorni prima.
La
domanda che devi
farti non riguarda lui. Riguarda te. Cosa provi per lui?
Una domanda
così semplice; la risposta non era semplice.
Rosalie
tentò davvero di rispondere, elencò nella sua
mente
tutte le caratteristiche che facevano di Bernard una persona
cara… cara a lei, in
primo luogo. Poi riportò alla
mente i ricordi, le chiacchierate, la dolcezza. Gli sguardi. Gli
abbracci,
tanti ormai. I baci. Due baci, così diversi tra loro.
L’ultimo gliel’aveva dato
lei, sulla guancia, naturalmente: era stato un caso che sfiorasse la
bocca.
Solo un caso. Mentre il primo…
Come ogni volta che
ci ripensava, lo stomaco le si contorse.
Era struggente pensare che a fianco dell’uomo coraggioso e
affidabile esistesse
un Bernard irruento e passionale, fatto di fuoco e di desideri,
giovane, così
giovane: non era di per sé qualcosa che lei temesse, no, non
era colpa di
Bernard se lei sfuggiva.
Era proprio lei,
Rosalie, l’ostacolo. Lei percepiva, ormai,
il bruciore dei suoi sensi che lo chiamavano, prima deboli e fiochi,
silenti
nei giorni dell’inizio, poi esplosi, per quel bacio e nella
mancanza durante la
prigionia. Il bisogno di lui era ormai più che spirituale.
Era completo, fisico
e spirituale. Era come sentire gli effetti di un farmaco a distanza di
giorni.
E l’orrore
del Duca, sfumato nel sollievo, nell’abbraccio
successivo con Bernard... L’odore del giovane bevuto come
acqua.
Aveva passato la
notte immersa nell’odore di Bernard.
Lui, infatti, si era
rifiutato di dormire ancora nel letto
di Rosalie. “È tuo, devi riprenderlo.
Dormirò io in cucina”. Dopo molte
insistenze, c’era riuscito.
Non aveva cambiato
le lenzuola, Rosalie.
Si era sdraiata tra
le coperte con circospezione. Poi, non
vista da nessuno, appena aveva posato la testa sul cuscino, era stata
circondata da quel sentore diverso e ormai noto; aveva sprofondato
bocca e naso
sul guanciale, si era riempita di sensazioni. Il sonno e la veglia si
erano
uniti come in un sogno a occhi aperti. E se l’era immaginato
lì con lei,
Bernard, come non poteva ammettere a nessuno.
Per questo, appena
lui era uscito al mattino, aveva cercato
Lucille; per questo, al massimo della confusione, le aveva chiesto
consiglio.
Le aveva rivelato il nodo morale che sentiva: non poteva chiedergli di
amarla,
né sperare sempre nel suo aiuto.
Perché
no?
Domanda semplice,
risposta impossibile.
Mia
cara ragazza, sii
sincera con te stessa! Forse non ti è poi così
indifferente, dico bene?
Rosalie si punse un
dito. Fece una smorfia di dolore,
osservò il sangue uscire dalla pelle come una piccolissima
perla rossa. Cercò
di nuovo lo sguardo di Bernard: nulla, lui scriveva ancora, cavalcando
l’onda
dell’ispirazione, apparentemente cieco a tutto il resto.
***
La settimana
volò, senza che le cose sostanzialmente
cambiassero. Il responso di Robespierre si faceva attendere, e questo
rafforzava tra Bernard e Rosalie un clima sospeso, in cui la speranza
dell’uno
si infrangeva con la tensione dell’altra, come un nodo ben
stretto. Ogni giorno
di quella settimana, Bernard si recò al Palazzo Reale nel
primo pomeriggio; e
ogni giorno tornò, al tramonto, senza nessuna risposta
concreta. Per fortuna
non furono avvistati movimenti loschi nei dintorni, e la clausura
forzata di
Rosalie si rivelò inutile, almeno a prima vista.
Al Palazzo Reale,
Bernard ritrovò i suoi amici. Augustin
“BonBon” Robespierre fu il più caloroso,
lo reintrodusse nella cricca con
profusione di pacche sulle spalle e sorrisi; Didier Girard, aspirante
notaio di
Arras, fu forse più timido, ma non meno gentile; e poi ci fu
Louis Saint-Just,
al quale non occorrevano molte parole, mai.
Nel riconoscere il
profilo di quest’ultimo, comodamente
sprofondato su uno dei divani del salotto d’Orleans (era
l’ottavo giorno dal
salvataggio di Rosalie), Bernard gli si fece incontro.
– Hai
l’aria di aver appena fatto qualcosa di grosso,
cugino. – lo apostrofò, fingendosi serio e
rammaricato.
Saint-Just
aguzzò il sorriso come la lama di un rasoio, e
gli dedicò un’occhiata di plateale stanchezza:
– Se non
mi muovo io, ristagneremo nel feudalesimo, mio
caro…
– Ah,
sì? – lo canzonò Bernard. – E
cosa avresti mai fatto
di così grosso… a parte far pubblicare
un’opera oscena che ammicca a De Sade?
–
L’hai letta, dunque? – ridacchiò
Saint-Just, e gli
brillarono gli occhi tra le ciglia. Il tocco effeminato dei lineamenti
e il
timbro suadente della voce ne facevano un uomo di fascino ambiguo, ma
quei particolari
a Bernard non apparivano inquietanti, abituato com’era a
tutte le mezze verità
e le affilate dichiarazioni del parente.
– No. E
non la leggerò. Preferisco dedicarmi a qualcosa di
più edificante.
Saint-Just
assottigliò lo sguardo, che si tinse di malizia.
– Ho
saputo cosa hai deciso. Robespierre è tutto contento.
– E tu no,
non è vero?
–
… tu sei libero di fare come desideri. Io, dal mio canto,
trovo che non sia saggio lasciare i nobili troppo tranquilli.
Potrebbero
pensare che stiamo dormendo… che non sappiamo esattamente
dove vivono, e cosa
fanno alle nostre spalle. Si cullerebbero che non possiamo
raggiungerli… Il
Cavaliere Nero era utile, per tutti loro. Ci mancherà molto.
–
… anche se è sparito, non è morto.
–
Sì, sì, ho letto il tuo articolo. Molto ispirato,
te lo
concedo. – Saint-Just
si frugò addosso,
estrasse dal giustacuore un ritaglio di giornale. – “Non
è
più tempo di aspettare dall’alto un aiuto esterno.
Questa idea appartiene ai
bambini o ai religiosi. ‘Verrà un Padre che ci
salverà, un Figlio che ci
salverà’, implorano loro. No: siamo noi i padri e
i figli di noi stessi. Noi,
gente comune, siamo i veri artefici del nostro destino. Noi soli, come
singoli
e come popolo, possiamo salvare la Francia dal naufragio in cui la
gettano ogni
giorno questi folli che si credono ancora, nel XVIII secolo, unti dal
Signore.”
Bernard sorrise,
scuotendo il capo. Indicò la parte
conclusiva della colonna a lui dedicata.
– Io
preferisco l’ultimo pezzo.
Saint-Just lesse
dove l’indice di Bernard toccava il foglio.
– “Ci prenderemo tutti per
mano. A testa
alta, i nostri stracci come onoreficenze, marceremo incontro a una
nuova vita.
Siamo tutti Francesi, prima che essere uomini e donne, nobili e poveri,
credenti e non credenti. Il Cavaliere Nero voleva questo:
l’Uguaglianza. Ebbene,
dimostriamogli che non è morto. Noi siamo suoi eredi.
Gloriosamente, come lui
voleva, noi saremo Uguali.” – Saint-Just
fece una risatina. – Molto…
idilliaco, questo tuo mondo futuro.
Bernard si strinse
nelle spalle. – Non è il tuo stesso mondo
futuro?
– Di
sicuro i miei mezzi per raggiungerlo non potranno
essere i tuoi, amico mio: tu parli di dividere i beni e ridistribuirli,
seguendo l’esempio del Cavaliere Nero… io dico che
chi ha troppo, per chi non
ha niente, è un ladro. Un ladro di
felicità… – la voce di Saint-Just
stentò, si
affievolì, si perse. E poi tornò, secca e dura
come una coltellata. – Questo mi
toglie ogni compassione. Ogni pietà.
– Un ladro
di felicità… – Bernard
rifletté su ciò che aveva
visto nel Castello de Guise. Pensò a Madame Polignac, e a
Rosalie che da giorni
sedeva al tavolo da lavoro, senza fermarsi mai, il viso mesto come il
canto di
un uccellino in gabbia.
– Bernard!
– intervenne Augustin Robespierre, affacciandosi
alle loro spalle, le mani appoggiate sul bordo del sofà.
– Mi spiace rovinare
la vostra riunione familiare, ma Maximilien ti cerca. Lo trovi al Cafè.
– Vado
immediatamente. A dopo. – Bernard si avviò
all’uscita
a passo svelto.
Saint-Just lo
osservò andare via, senza una parola.
– La
vacanza gli ha giovato. Lo vedo bene, il buon vecchio
Bernard. – rise Augustin. – Dev’essere
stata la ragazza che ha conosciuto.
–
Già… – Saint-Just si fece svolazzare il
foglio davanti
agli occhi, osservandone i caratteri minuti. – …
dev’essere stata lei.
***
– Era
tutto vero.
Così
esordì Robespierre, quando Bernard si sedette davanti a
lui tra i tavoli del Café
affollati
per la sera. E Bernard ebbe un tuffo al cuore, temendo il peggio.
– Questo
significa che il documento esiste… che quella donna
ha ancora potere su Rosalie?
Robespierre sorrise
debolmente, scuotendo il capo. – Il
documento non è mai stato firmato, proprio come lei ti ha
raccontato. La
pratica burocratica è stata avviata già
dall’anno scorso, ma non è stata mai
portata a termine. Immagino che stavolta avrebbero fatto di tutto per
farla
firmare, volente o nolente.
–
Dannazione. – sibilò Bernard, stringendo i pugni e
appoggiando il viso contro di essi, sulle labbra.
– Cosa
c’è, ragazzo?
– Se le
cose stanno così, non la lascerà in pace.
– Io credo
che lo farà. – replicò Robespierre,
cupo.
Bernard
sollevò lo sguardo, gli occhi sgranati. –
… come
fate a dirlo?
– Ho
pensato che sarebbe bastato farle presente che, nel
caso portasse a termine quello che ha intenzione di fare,
ciò verrebbe reso immediatamente
pubblico dai giornali. Con tutte le conseguenze che ciò
avrà sulla sua
immagine, già duramente compromessa dai passati scandali.
– Che
cosa? Le avete detto questo? Come?
– Ho
mandato uno dei nostri a questo scopo.
– Chi?
Robespierre chiuse
gli occhi, li riaprì con espressione
seria. – Saint-Just.
Bernard
restò a bocca aperta. – Gli avete raccontato di
Rosalie?
– No. Non
ho fatto nomi, né gli ho rivelato che tu fossi
coinvolto nella vicenda. Ma mi sono rivolto a lui perché
andasse a… sì, inibire
i piani della Duchessa. Sai che non apprezzo i colpi di mano; ma
minacciarla di
uno scandalo era l’unico modo per impedirle di andare a
fondo. Tu eri troppo
compromesso; e io ho bisogno di te, ora più che mai. Ho
bisogno che tu sia con
me, senza rischi.
–
È per questo che avete chiesto di fare una cosa simile a
Saint-Just… e non a me.
Robespierre
annuì. – Negli ultimi tempi, quando ho disperato
di vederti tornare, Saint-Just si è subito offerto di
aiutarmi; prima a
cercarti, poi a svolgere gli incarichi che avrei altrimenti affidato a
te.
–
Incarichi… ?
Robespierre
guardò fisso davanti a sé: era rivolto a
Bernard, ma ben presto sembrò estraniarsi dal presente, e
parlò come
sovrappensiero, lentamente.
– Nel caso
di aperti soprusi di alcuni nobili… Saint-Just è
andato di persona, insieme ad alcuni dei nostri… a
protestare apertamente per
convincere quei nobili a cambiare atteggiamento. Finora è
sempre riuscito nel
suo intento… – Robespierre si riebbe dai pensieri
e tornò al presente. La sua
espressione si fece lucida, molto seria. – Saint-Just ha un
modo di fare molto…
efficace, a quanto pare. I nobili che ha incontrato si sono ritirati
dalle loro
pretese sulla povera gente. E così sembra aver fatto anche
la Duchessa di
Polignac. Saint-Just è andato fino a Montmorency, per
parlarle.
Bernard
rifletté. – Sapeva dove trovarla, dunque.
– disse, e
la sua era una constatazione priva di malizia; gli vennero subito in
mente le
ore trascorse nel giardino della Villa dei Polignac, nascosto e attento
a ogni
voce, a ogni cosa si mostrasse alle finestre. Così aveva
visto Rosalie
affacciarsi al finestrone di una stanza del primo piano al mattino, che
pareva
un lume fioco e stanco; aveva visto le due cameriere che le facevano da
carceriere trascinarla lontano dai vetri; aveva assistito con il cuore
in gola
al momento in cui l’avevano caricata dopo il tramonto,
sorvegliandola
attentamente, sulla carrozza che poi era partita per il Castello di
Guise.
Sarebbe intervenuto già in quel momento, se non
l’avessero scoperto proprio
allora, ed egli era stato costretto a perdere tempo con alcuni
servitori e far
perdere loro le sue tracce, mentre la carrozza che portava via la
ragazza
guadagnava tempo su di lui.
– Cosa ha
detto la Duchessa, dunque? – aggiunse il giovane,
dopo qualche istante.
–
Saint-Just sostiene di averla convinta dopo pochi minuti.
– Tuttavia, l’espressione di Robespierre
tornò pensierosa. – I suoi compagni…
non so. Sono stati evasivi, non mi hanno riferito nulla di preciso sul
come e
il quando.
–
… sarebbe magnifico che la Duchessa si fosse convinta con
così poco. Ma la tentazione di imparentarsi a quel mostro di
Guise deve essere
forte… temo più di un’intimidazione di
Saint-Just. Quella donna in Francia è seconda
solo alla Regina, questo l’ha resa superba oltre ogni dire.
– mormorò, e
ricordava bene, Bernard, come la donna si fosse accanita sulla figlia
per non
farla fuggire, e come, molti anni prima, avesse declinato la
responsabilità
della morte di Nicole Lamorlière. “Se avete delle
lagnanze, venite a
Versailles”… ridicolo, pensò Bernard,
che una persona si credesse onnipotente.
– Quel
mostro di Guise… – Robespierre osservò
il giovane e
scosse il capo, con un sorriso che pareva sollevato. –
Già, tu non puoi
saperlo, Bernard.
– Cosa?
– Il Duca
de Guise è morto.
Bernard fu davvero
colpito. Impiegò qualche istante a
realizzare quel fatto. Quell’animale, quella
bestia… morto? Dopo quello che
aveva tentato di fare a Rosalie, alla sorella di Rosalie, a
chissà quante altre
fanciulle? Non è possibile umanamente negare che Bernard
gioì in cuor suo. A
suo onore, però, c’è il fatto che non
mosse un muscolo. Il viso non rivelò il
sollievo che provava; la soddisfazione non attraversò il suo
sguardo.
– Come
è accaduto. – chiese, con tono meccanico.
Robespierre
valutò la genuina sorpresa di Bernard, e ne
sorrise lievemente, come rincuorato. – Un incidente al
Castello, pare, durante
una festa in maschera. È caduto dal piano superiore. Ho
chiesto a Saint-Just di
indagare per saperne di più.
– Non
posso crederci… allora…
– Penso
che nessuno, d’ora in poi, darà fastidio a quella
ragazza. – assicurò Robespierre, con lo stesso
sorriso paterno di poco prima. –
E se qualcuno dovesse tornare a farsi avanti… noi saremo
pronti.
***
Come corse, Bernard!
Non si curò di niente e di nessuno,
urtò dei passanti, rischiò di farsi mettere sotto
da una carrozza e si fece
abbaiare contro da due randagi.
Raggiunse il
quartiere del Tempio, si tuffò nei vicoli;
bussò alla porta di Lucille una, due, tre volte, fortissimo.
Gli aprì
Rosalie, e Bernard si volse a lei con gioia pura,
l’avrebbe certo abbracciata subito; ma si trattenne appena la
vide turbata, il
viso soave rigato di lacrime, e la bocca tremante, come se fosse
incerta
tra risata e pianto.
–
Cosa… cosa sta succedendo…
– Monsieur
Bernard… non ci crederete… – disse lei,
la voce
resa sottile dalla commozione. – Jean è tornato!
È tornato poco fa! Madame
Lucille è di là con lui, e io… Santo
Cielo. – ruppe in un pianto copioso e
generoso, che lasciò Bernard di stucco. Sentiva le lacrime
incessanti di Madame
Lucille provenire dall’altra stanza, e la voce di un ragazzo,
calda e commossa,
che ripeteva – Mamma, non fare così… ci
sono qui io, adesso. Avrò cura di te.
Bernard si mosse
rapido. Prese immediatamente la mantella di
Rosalie, appesa a lato dell’ingresso, e vi avvolse la
fanciulla. Appoggiò le
mani sulle sue spalle, mentre lei si riaveva, attonita per quel gesto,
e lo
guardava con occhi smarriti e dubbiosi.
–
Lasciamoli soli. – sussurrò, e lei si
guardò indietro, gli
occhi sgranati.
– Ma,
Monsieur Bernard…
– La
settimana di reclusione è finita. C’è
ancora il sole.
Vuoi fare una passeggiata con me? – le disse con calore. Non
sapeva nemmeno lui
come gestire quell’euforia dorata; la notizia della
felicità di Madame Lucille
aveva sparso legna sul fuoco della sua speranza. Prese la mano di
Rosalie e la
strinse, e lei chinò il capo, aggiunse alla stretta anche
l’altra mano. Se
aveva dei dubbi, li fugò il sorriso sicuro di Bernard. La
fanciulla prese un’espressione
consapevole: c’erano risposte per lei. Si avviò
con lui, chiudendo
rispettosamente la porta dietro di sé.
Presero il sole del
tramonto come uccelli notturni, ovvero come
un’alba speciale, al contrario. Rosalie si animò
presto al suono dei negozi che
chiudevano, al via-vai di gente che camminava per le strade;
iniziò a
sorridere, cancellando le tracce di sale dalle guance rosee, e i suoi
occhi blu
si soffermarono su Bernard, pieni di domande.
Lui se ne accorse.
Teneramente la guardò, sorrise. –
Robespierre… credo abbia risolto il tuo caso.
–
Come… – esclamò subito lei,
stringendogli più forte la
mano.
Bernard
raccontò mentre camminava al suo fianco. Disse poche
cose, precise e nette, e Rosalie smise un poco di sorridere, si
accigliò,
sospirò e tremò; quando giunsero al Lungosenna,
lasciò la mano di Bernard per
affacciarsi sul fiume. Respirò a fondo. Giunse le mani e
mosse le labbra, come
in una preghiera fatta di parole di vento.
Lui non attese. Le
posò le mani sulle spalle, premette i
palmi in una carezza presente e viva. Tacque finché la
sentì china e fragile,
con quelle spalle sottili, i capelli di lei che gli toccavano le mani e
le
scaldavano, mossi dal vento invernale.
–
È finita. – le sussurrò.
–
È davvero finita… ? – le
sentì chiedere, con tono
spezzato.
– Sei
libera, Rosalie. Sei libera da tutto e da tutti.
– Dio mio.
– ansimò lei, e si volse un poco indietro,
guardandolo con gli occhi lucidi. – Quanto vorrei che fosse
vero.
–
È così. – ribadì Bernard. La
guardò intensamente. – Sta a
te volerlo.
Rosalie chiuse gli
occhi, e sembrava che, nonostante il
sollievo, non riuscisse a gioire. – Grazie per tutto quello
che avete fatto per
me. Ora siete libero anche voi.
Bernard strinse i
denti, distolse lo sguardo.
– Vorrei
mostrarti quel posto che ti dicevo. – mormorò,
vago.
– Se vuoi.
Rosalie
annuì con un movimento leggero.
***
La casa in Saint
Germain des Prés, dove Bernard condusse
Rosalie, era una palazzina a due piani che si stendeva dal pianterreno
a una piccola
soffitta. Accanto vi erano altre palazzine simili, tutte addossate
l’una all’altra
come edifici di un presepe.
Bernard estrasse una
chiave, aprì la porta e condusse
Rosalie all’interno. C’era una piccola sala da
pranzo, con un divano e una
finestra che dava sul vicolo. Accanto, la porticina della cucina velata
da una
tenda. Poco oltre, piccole scale conducevano di sopra.
Rosalie si
guardò intorno, un poco sorrise. C’erano libri,
fogli
ovunque, stipati sul tavolo principale senza lasciare spazio ad altro.
Ce n’erano
persino sul divano. La casa appariva polverosa alla luce crepuscolare,
ma tutta
quella carta scritta le conferiva una sorta di anima segreta, che
rispecchiava
perfettamente il suo padrone.
– Io vivo
qui. O meglio, ci vivevo… prima di diventare il Cavaliere
Nero.
– Lo
immaginavo.
– Forse
sarei dovuto passare prima a dare una ripulita. –
disse lui deglutendo, senza poter nascondere un filo
d’imbarazzo. Poi aprì le
tende della finestra, lasciando entrare l’arancio
dell’ultimo sole.
Prese un respiro, si
volse a lei. La raggiunse in pochi
passi, si fermò al suo cospetto. Rosalie giunse le mani sul
petto, gli occhi
vaghi che, dopo un piccolo peregrinare, trovarono di nuovo quelli del
giovane.
– Sono
giorni che ci penso. – mormorò lui, come
rassegnato. –
Se tu volessi venire ad abitare qui… se ti piace,
ovviamente… io ne sarei
felice. Avrei anche… da offrirti un lavoro.
Rosalie si
mostrò stupita, ma poi rise, gettando un’occhiata
alle pile di carte. – In effetti… una donna di
servizio potrebbe esservi utile.
Bernard
sgranò gli occhi, dubbioso se lei fosse seria o
scherzasse.
– Rosalie.
Non ti chiederò mai di diventare la mia
domestica. – disse, piccato. Strinse i denti e
sospirò. Fece un’espressione
mesta. – Per il lavoro… intendevo al mio giornale.
E per il resto…
Rosalie
sentì lo stomaco contrarsi di nuovo. Nella voce di
Bernard udì immediatamente il tocco incerto che aveva
atteso, che aveva
sperato. Era grave e profondo, quasi roco. Il cuore prese a batterle
con rapida
precisione, le labbra si schiusero, gli occhi brillarono nei raggi
dubbiosi del
tramonto.
Bernard prese un
ultimo respiro. Poi chiese, con fermezza: –
… vuoi sposarmi, Rosalie?
Rosalie chiuse gli
occhi. Le tremò la voce, sì che non
riuscì a rispondergli subito. Bernard si affrettò
a dire: – Non occorre che tu
mi dia una risposta adesso, aspetterò, e se non vuoi non te
lo chiederò mai p…
–
Sì. – disse lei con un filo di voce, controcanto a
quel
piccolo fiume di giustificazioni.
Bernard tacque di
colpo. – Sì… ? –
sussurrò.
–
Sì, Monsieur Bernard. – ripeté Rosalie,
e pian piano
sorrise come un boccio di rosa, le labbra soavi intorno a parole
rotonde.
Bernard non
poté trattenersi. Le prese il viso tra le mani
con delicatezza, le si accostò turbato e devoto, gli occhi
quasi tristi per la
sorpresa e la gioia, le labbra incredule. – Dunque tu
mi… tu mi ami, Rosalie?
Rosalie
deglutì, e si sentì come fuori di sé,
la voce
ridotta a un refolo d’emozione. – Come voi mi
amate. Lo giuro.
Bernard
accarezzò il viso di lei e vi accostò il proprio,
ridendo come se dovesse piangere; e poi sospirando, per abbandonarsi a
lei.
Quando
lui posò le labbra sulle sue, Rosalie chiuse gli
occhi. E mentre imparava il miele e il sale della passione, si accorse
che non
c’era più un passato da rimpiangere, né
un futuro da temere. C’era solo la Primavera,
infinita e radiosa, che le scorreva nel sangue con l’ardore
di quei baci.
____________
Note.
- Buongiorno e buon week-end!
Piccolo anticipo di
pubblicazione, causa impegni impossibili. Come promesso, siamo ormai
arrivati
al capolinea. Per ora non dico di più, ma ci ritroviamo la prossima settimana per
l’Epilogo. Un
abbraccio grandissimo a chi mi ha seguito fin qui!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** Epilogo (o Introduzione?) ***
Da
quando la Senna
è diventata così nera?
Dov’è
Parigi, la città dei fiori?
Ciascuno
combatte per
un pezzo di pane.
Un
tempo la gente
cantava di fiori
e
gli amanti
sussurravano dolci sciocchezze.
Ora
dove scorre la
Senna?*
Gennaio sfarinava
fiocchi di neve su
Parigi gelata.
L’estate
precedente era
stata disastrosa per le campagne.
Pioggia e grandine avevano continuato il loro lavoro impietoso anche in
autunno;
e ora, d’inverno, si diceva che l’acqua gelava nei
bicchieri perfino nella
Reggia del sovrano.
I Parigini,
però, da
qualche tempo non sembravano temere quel
freddo crudele. Ogni giorno c’erano uomini che, agli angoli
delle strade, si
radunavano in gruppi e parlavano con ardore del tempo che sarebbe
venuto.
Se ne discuteva
ovunque, anche nelle
baracche dei compagni
del reggimento. Tra una partita a carte e un’altra, si
vagheggiava sempre di un’imminente
svolta nel futuro della Francia, in particolare della Capitale. Ovunque
era un
grande fermento, che spesso sfociava in episodi di aperta violenza,
cruccio dei
reggimenti impegnati nella sicurezza delle strade.
Le ronde erano
sfiancanti, non
mancavano mai i problemi, né
le scaramucce con bande di sciacalli che svaligiavano i negozi.
Ciò accadeva di
giorno come di notte.
Appena due mesi
prima, a novembre,
André era quasi morto in
uno di quei sommovimenti.
I ricordi della
notte di Saint
Antoine erano cupi e folli:
se li trascinava dietro come una zavorra, e non cercava in alcun modo
di
dimenticarli. Gli servivano per restare lucido in ogni momento, pronto
a
qualunque pericolo: abbassare la guardia poteva significare la morte,
per sé e
per chi amava.
Da
quell’episodio,
tuttavia, non aveva più ricevuto l’ordine
di partecipare a una ronda notturna che non contasse almeno una decina
di
persone, tra cui lo stesso Comandante. Questa assiduità
rendeva il servizio più
duro e stancante, ma in ogni caso più sicuro. Dieci
cavalieri armati potevano
ancora scoraggiare le folle inferocite che si aggiravano per Parigi,
così
nessuno dei camerati si era lamentato. A dirla tutta, non si
lamentavano più di
nulla. L’assenza di Alain gravava sull’umore di
tutti come un ulteriore
strascico di stanchezza, ma proprio quando sembrava che la vita
militare fosse
troppo dura, arrivava una licenza, una nuova recluta venuta da
chissà dove a
rinfoltire le file dei soldati, un ulteriore miglioramento delle
condizioni
della mensa che (ormai si sapeva) non era dovuto ai Generali superiori,
ma al
loro Comandante.
Ma anche
così, con un
ritmo accorto e sempre ben studiato di
sforzo e di riposo, con la truppa pronta e ben addestrata, la
situazione
tendeva a peggiorare. I popolani erano sempre più aggressivi
a causa dello
stato di disperazione in cui versavano; presto, temeva
André, non sarebbero
bastati nemmeno venti uomini per una sola ronda.
Il clima, poi, era
particolarmente
effervescente in
quell’inverno 1788. L’ipotesi che venissero imposte
nuove tasse cacciava fuori
una rabbia nuova, ma tra le possibili soluzioni previste per sanare il
bilancio
pubblico ve n’era una che tutti desideravano come fosse la
salvezza.
Agli angoli delle
strade i semplici
raduni fiorivano ogni
giorno in comizi veloci, che raccoglievano folle sempre più
grandi e le
dissipavano subito dopo: all’inizio si spegnevano
all’avvicinarsi dei soldati,
poi gli oratori diventarono più spavaldi e non
cercarono più di
andarsene di fronte alle divise.
I Soldati della
Guardia della
Compagnia B ricevettero dal
Comandante l’ordine di non disperdere le piccole folle e i
loro capi, se si
trattava di discussioni pacifiche e prive di violenza. Solo nel caso di
disordine palese che rischiasse di ferire qualcuno, o di attacchi alle
carrozze
dei nobili (che però, sempre più rare osavano le
vie di Parigi), l’intervento
era doveroso.
Non aveva mai potuto
ascoltare
nessuno di quei discorsi,
André. Per questo motivo, appena ricevette una licenza di
alcuni giorni (non
richiesta, piuttosto donata), evitò di declinare come faceva
di solito, e ne
approfittò per cercare, tra le vie di Parigi,
l’occasione giusta.
Non dovette
aspettare molto. Ecco,
nella zona del Louvre, in
pieno giorno, sentì un applauso provenire da vicino. Si
mosse rapido, e vide un
piccolo affollamento stipato presso un angolo della strada.
C’erano diversi
cartelli, con gli slogan consueti: Vogliamo
gli Stati Generali! Più potere al Terzo Stato!
Quelle parole
vennero ripetute a voce
alta da un uomo con un
mantello scuro, che parlava da una posizione sopraelevata, come su una
tribuna.
André si fece spazio per poter sentire meglio: tutti
sembravano assorti ed
entusiasti, e la voce dell’uomo, chiara e vibrante, si faceva
spazio anch’essa
tra il fitto scrosciare degli assensi e degli applausi.
– L’Ancien
Régime sta
per crollare! ** – La voce era estremamente
familiare. Ma anche il piglio,
i movimenti composti ma imperativi; e quell’ardore mai del
tutto contenuto, che
diventava pura passione accalorando la folla, sì che non
sembrava più d’essere
sotto la neve, al gelo, ma al primo giorno in cui la primavera rompe il
ghiaccio…
– Ma
quello è
Bernard. – realizzò André in un
sussurro.
– Non
ci saranno più
differenze tra Primo, Secondo e Terzo Stato!
Uno scroscio di
applausi travolse la
scoperta di André.
Bernard non si lasciò lusingare dai consensi:
portò il suo discorso avanti,
cavalcando quell’onda. Il giovane non appariva certo come un
demagogo;
piuttosto una guida naturale, che alle lodi dona il giusto peso e non
si lascia
abbattere dai dissensi. André non riusciva a scorgere tra
tutte quelle persone
avversari di qualche tipo, anzi, sembravano tutti lì per
gioire dei discorsi di
libertà; ma, presenti o meno che fossero eventuali
detrattori silenti, Bernard
continuava a parlare senza temere alcun ostacolo e dissenso, forte di
ciò in
cui credeva.
– Un
giorno non
lontano, tutti noi potremo vivere nell’uguaglianza!
Perché tutti gli uomini
sono nati uguali! – lanciò il
giornalista, e un tripudio generale consacrò
quell’affermazione.
André
chiuse gli occhi,
quello vivo e quello morto, e per un
attimo provò una sorta di ebbrezza. I gelidi tocchi di neve
che gli sfiorarono
la bocca si sciolsero sulle sue labbra calde. Gli altri lo coronarono
come
perle.
Al termine del
discorso, Bernard
scese dalla tribuna e
sembrò sparire in mezzo alla folla. André
cercò di fendere la calca che subito
si fece pressante intorno al giornalista, ma gli fu impossibile vincere
la
barriera di voci, corpi, applausi; si ritrovò respinto, e
per almeno un quarto
d’ora quel luogo si mutò in un grumo umano, denso
di discorsi, strette di mano
e presentazioni. Il Popolo fa
amicizia…
pensò, così dal nulla, e si trovò a
sorridere nonostante disperasse, ormai, di
ritrovare Bernard.
Si
allontanò dalla calca
con un poco di fatica, e stava per
andare via del tutto, quando notò Bernard ai margini della
folla, che insieme a
un compagno portava un tavolo (doveva essere stata quella, la sua
tribuna),
sulla soglia di una bottega di falegname che si apriva sulla piazzetta,
il cui
proprietario lo attendeva con occhi sgranati ed entusiasti. Dopo
calorosi saluti,
ecco che Bernard iniziò ad allontanarsi a sua volta, seguito
da due uomini.
André circumnavigò la folla festante, che nel
frattempo si preparava a fare una
lunga processione per i Lungosenna, con cartelli e slogan; e corse
dietro al
giornalista.
Riuscì a
raggiungerlo che
era ormai sul Pont Neuf imbiancato
di neve.
– Bernard!
Fermati, Bernard!
Dei tre uomini, uno
si
fermò, si volse immediatamente.
–
André.
André, sei tu! – esclamò quello,
passando in un
lampo dalla sorpresa alla gioia.
André gli
corse incontro,
si fermò a pochi passi da lui.
– Ho
appena ascoltato il
tuo discorso. – rivelò con calore –
È stato meraviglioso.
Bernard rise.
– Grazie.
– gli tremò anche un poco la voce:
un’emozione genuina, molto più giovane della sua
arringa alla folla, si fece
strada nei toni. – Sai… sono molto contento di
rivederti. – disse, e si
illuminò a un pensiero improvviso. –
Ehi… Perché non vieni a casa mia? È
qui
vicino. Voglio farti incontrare qualcuno…
Non appena misero
piede in casa,
Bernard prese il mantello
di André. Andando ad appenderlo, si congedò un
attimo per entrare in cucina.
André udì un sommesso brusìo di parole
sussurrate, poi Bernard tornò nella sala
principale.
–
Prego…
accomodati. Sta arrivando anche il caffè…
– e il
giornalista diede un’occhiata alla tenda che copriva la porta
della cucina.
Di lì a
poco, quasi senza
porre tempo in mezzo, si udì uno
scalpiccio veloce; dalla tenda venne fuori una ragazza vestita
d’arancio, i
lunghi capelli biondi stretti in una morbida coda sulla nuca. Portava
un
vassoio, tazze e brocca, ma soprattutto aveva occhi vivaci e un sorriso
a piena
bocca. Gridò quasi, quando vide André ritto
presso la finestra.
–
André!
André, tu qui? Benvenuto!
Quella voce sottile,
fresca come un
soffio di primavera,
impietrì André e gli donò la seconda
grande sorpresa della giornata.
– Rosalie?
Era proprio lei.
Pareva quasi
più alta, gli occhi grandi e
il piglio leggiadro di sempre. Non appena si avvicinò a
Bernard, questi appoggiò
un braccio sulle sue spalle e sorrise a sua volta.
– Sono
anni che non ci
vediamo, vero, André? – fece la
giovane, e André rise, stupito ancora e lieto, molto.
– No, sono
secoli, secondo
me… Ma perché non hai scritto,
perché non ci ha fatto avere tue notizie? Non
capisco… – una pausa – …
ma… come
mai vi conoscete? Perché mi hai portato qui, Bernard?
– André li contemplò un
istante nella luce chiara del giorno innevato, ridenti e caldi come
fiori
gemelli; d’un tratto, come un lampo, comprese. –
Oh… ma certo! Siete marito e
moglie, vero!
Bernard
annuì con voce
gentile. Cercò poi lo sguardo di
Rosalie, e lo trovò. – Sì, ci siamo
sposati dopo la mia parentesi come
Cavaliere Nero. – Rosalie allora chinò il capo,
con un sorriso riservato e
dolce.
André
provò un
grande senso di pace, a quella notizia.
Ricordò ogni cosa, e ogni cosa immerse nel vivo ritratto del
presente. E come
non aveva fatto a suo tempo, esternò una gioia genuina, che
era tutta risata,
come più gli si addiceva. – Ne sono davvero
contento. Congratulazioni!
– Grazie.
–
sussurrò Rosalie, con dolcezza. Il viso della
ragazza, però, prese un’espressione malinconica.
– Ascolta… come sta
Madamigella Oscar?
– Sta
bene, Rosalie.
– rispose André, di slancio. – Ma forse
tu non sai che ha chiesto di lasciare la Guardia Reale. È
Comandante dei
Soldati della Guardia, adesso.
Al solo parlarne, e
nominarla, la
ragazza si commosse, gli
occhi le si riempirono di lacrime.
André,
che la conosceva
bene, la canzonò con gentilezza e la
rassicurò con decisione.
– No, non
piangere,
Rosalie. Ti garantisco che niente è cambiato
da allora. Niente e nessuno…
In quel momento, il
corteo popolare
che era partito dalla
stessa piazzetta del comizio passò vicino alla casa. Si
udì gridare, a più
riprese, come in un coro scoordinato:
–
Gli Stati Generali! Vogliamo
la convocazione degli Stati Generali! Più potere al Terzo
Stato!
Quelle
rivendicazioni distrassero
André, che guardò fuori
dalla finestra, pensieroso.
–
Già.
– sentì dire a Bernard. – Niente e
nessuno… finora.
Ma un cambiamento sta per arrivare.
Rosalie
lasciò il fianco
del marito. Si avvicinò ad André,
posò il vassoio con tazze e caffè sul tavolo.
L’arrivo della folla, e quel
vociare appassionato, sembravano averle messo addosso una certa fretta.
–
André,
– gli disse, – ora purtroppo devo uscire, devo
andare al lavoro. Ma tu fa’ come se fossi a casa tua, ti
prego.
– Certo,
Rosalie. Sei molto
gentile. Grazie.
André
osservò
Rosalie muoversi leggera verso la porta,
prendere il suo mantello, indossarlo; Bernard le si fece accanto, si
salutarono
con un bacio sulla guancia e uno sguardo caldo. Sulla porta, la ragazza
rivolse
un ultimo sorriso all’ospite.
– Per
favore,
André, porta i miei saluti a Madamigella
Oscar!
–
Sì.
– rispose lui, serio. – Dobbiamo trovare il modo di
rivederci tutti…
La ragazza rise e
fece cenno di
sì col capo. Poi chiuse la
porta dietro di sé.
André si
volse di nuovo a
Bernard. Scoprì che il giovane lo
stava fissando intensamente.
– Rosalie
sta lavorando
all’organizzazione di Robespierre
insieme a me, adesso. – spiegò. – Ci
è di grandissimo aiuto. È appena andata a
preparare volantini e cartelloni per la prossima manifestazione.
André
annuì,
prendendo una tazza di caffè. – Voi
due…
sembrate molto felici.
Seguì un
istante di
silenzio. André chinò il capo ed evitò
lo sguardo dell’altro che lo puntava con tutta la sua
intensità, pieno di
aspettative. – Ascolta, André. – disse
Bernard. – Perché non ti unisci a noi? So
che condividi le nostre stesse idee, tu…
– Lo sai,
Bernard.
– troncò André, di colpo rigido e
reticente. – A dispetto delle mie idee, il mio compito
è un altro. – e si
voltò, quasi infastidito, come se si fosse accorto troppo
tardi d’aver varcato
un limite sbagliato. Guardò fuori dalla finestra.
– Non
posso credere che tu
sia contento così… – tentò
ancora
Bernard, con impazienza crescente. – … come un
semplice servitore. Senza poter
esprimere liberamente tutto ciò che desideri. –
Erano parole pensate a lungo,
trattenute a lungo. Per questo uscirono così dirette e
sicure.
André
intuì i
ricordi non detti, il sostrato condiviso. Una
chiacchierata in un fienile prossimo a un Castello degli Orrori e un
Lago
Oscuro che voleva risucchiare ogni cosa, vita amore speranze. Un
salvataggio
provvidenziale, e una fuga…
– Un
caffè molto
buono. – mormorò, senza curarsi di far
apparire quelle parole per quello che erano: un brusco e voluto cambio
di
discorso, un ammonimento... e un sospiro. – È
modesto, ma pieno d’amore…
Bernard non si
contentò di
quell’evasione. Incalzò André con
viso serio. – Allora perché stavi ascoltando il
mio discorso? Perché eri in
mezzo a quella gente, oggi?
André,
sempre dandogli le
spalle, rispose con voce secca. – Oggi
non ero di servizio. Avevo un po’ di tempo libero. Questo
è tutto.
Bernard
contemplò
l’uomo che aveva di fronte, pur così di
spalle, con un’aria di incredulità e di
rimprovero. Forse avrebbe detto altro,
se non fosse arrivato qualcuno a bussare, alla porta, con veemenza:
–
Bernard! Bernard! È
giunta notizia che il Re ha convocato gli Stati Generali!
Il giornalista quasi
saltò
per la gioia. – Davvero?
Magnifico! – esultò e corse dai compagni, a
chiedere spiegazioni maggiori.
André
rimase alla
finestra, il viso di colpo mutato in
tristezza. Ascoltò spezzoni dei discorsi di quegli uomini di
Robespierre come
per caso, come se in fondo non gli importasse; eppure il suo orecchio
era
particolarmente attento a ogni dettaglio, e quando udì
Bernard esclamare: –
Dobbiamo correre da Robespierre! – si affrettò a
voltarsi. Posò la tazza ormai
vuota sul tavolo, e fece per andare anche lui alla porta, prima che lo
facesse
Bernard.
– Grazie
dell’ospitalità, Bernard. Ringrazia ancora Rosalie
per il caffè…
–
André.
– gli si affiancò il giornalista, e sembrava ormai
del tutto sollevato, senza più ombre nel rivolgersi a lui.
Gli parlò con
calore. – Io non smetterò di aspettarti. So che un
giorno combatteremo dalla
stessa parte della barricata. – gli tese la mano, un invito,
un saluto. – Non
vedo l’ora che quel giorno arrivi.
André
esitò un
attimo sulla soglia, sotto gli sguardi
silenti dei due compagni di Bernard, di Bernard stesso. Alla fine
sciolse i
dubbi in sorriso, salutò Bernard con affetto, pur senza
accoglierne la mano. –
Arrivederci… amico mio.
***
A
mezzogiorno,André
tornò a Palazzo Jarjayes. Pranzò con
Nonna Marie, nella cucina di casa. Bevve e mangiò di gusto.
– Ti
piace, caro?
– gli chiese la Nonna, come faceva
quand’era bambino.
André
sorrise. –
Sì. Mi mancava molto il tuo arrosto, Nonna.
La vecchietta
contemplò il
nipote con aria incerta, come se
lo studiasse ben oltre la sua risposta.
– Tornerai
in Caserma
già stasera, vero?
–
Sì. La licenza
è finita. – disse.
–
… posso
chiederti un favore, vero?
– Certo,
Nonna.
–
Porteresti un poco di
dolce a Oscar? Ha detto che stasera
non tornerà a casa.
–
… va bene,
Nonna.
– Sono
preoccupata per lei,
André. – mormorò, ma lasciò
intendere come, a un tempo, si preoccupasse per lui. – La
vita militare, in
quella sudicia caserma… e gli orari impossibili, e i soldati
così grezzi… e
l’aggressione che vi è toccata qualche mese fa,
poi…
– Se fosse
concesso, ti
inviterei a vedere gli addestramenti
ogni mattino. E la rivista, e tutte le ronde presiedute da Oscar. Ti
passerebbe
di certo la preoccupazione. – ammiccò
André, con aria leggera e indulgente. Era
una maschera, naturalmente; ma André era ben deciso a non
far capire alla Nonna
quanto fosse d’accordo con lei. Piuttosto aggiunse, con un
tono d’orgoglio che,
stavolta, non poté proprio cancellare: – Oscar sa
quello che fa, credimi.
A quella risposta,
la Nonna
rassegnò ogni lamentela, ma
André la udì borbottare tra sé e
sé, subito dopo, quando si alzò per togliergli
il piatto vuoto davanti e prendere proprio il dolce.
– No, per
me niente dolce.
Grazie, Nonna. – disse.
Aiutò la
Nonna a
sparecchiare, poi andò al piano di sopra a
cambiarsi.
L’uomo che
ridiscese
nell’atrio non indossava più abiti
borghesi e composti, ma una divisa blu: era il Soldato Grandier.
La Nonna gli venne
incontro
porgendogli una scatola. André
l’abbracciò per un attimo, poi si
congedò da lei con un sorriso vago e rilassato.
Andò alle stalle a prendere il fido Jules***.
***
–
André? Avanti.
La voce di Oscar lo
raggiunse
attraverso la porta. André
entrò senza attendere oltre, abituato a farsi indovinare,
ormai, dal semplice
modo di bussare.
Si aspettava di
trovarla alla
scrivania, a firmare carte
come al suo solito. Invece lei guardava fuori dalla finestra, verso il
cortile
della Caserma, i lunghi capelli biondi sfiorati dalla sola candela che
illuminava il suo ufficio; capelli lunghi, ormai, come non erano mai
stati, non
più tagliati dal giorno in cui si era allontanata per sempre
dalla Corte, per
scarsa cura di sé o per mancanza di tempo.
La divisa blu
spiccava contro quel
biondo, mentre
aggiungevano oro su oro le sue rifiniture e gli alamari, più
la fascia chiara stretta
alla vita sottile; la spada pendeva
inerte lungo il fianco sinistro, nella sua guaina.
Oscar beveva del
tè caldo,
uno dei pochi lussi che aveva
potuto portare con sé nelle baracche della Compagnia.
André
posò la
scatola sul ripiano della scrivania, accanto
ad alcuni fogli. – Da parte della Nonna. – disse
solamente.
Il Comandante
sorseggiò il
tè, senza voltarsi. Poi si udì il
suono lieve della tazza che poggiava sul piattino.
–
André… hai sentito degli Stati Generali?
–
…
sì. Oggi… sai, ho visto Bernard Chatelet.
Il silenzio di Oscar
fu eloquente,
per André. Aveva colto
subito di chi si trattasse, anche se non lo vedeva da più di
un anno; anche se
non ne avevano parlato mai più dopo il rilascio.
–
È in gran
forma. – disse André, sorridendo e contemplando
la schiena di Oscar dorata di riccioli. – È un
grande trascinatore di folle. E
poi… ho visto Rosalie.
Oscar si
voltò verso di
lui. André trattenne le parole, il
tempo di incrociare il suo sguardo.
Quando ebbe la
completa attenzione di
lei, rivelò: – … ci
crederesti? Bernard e Rosalie… sono marito e moglie.
Alla luce della
candela, gli occhi di
Oscar parvero
accendersi come diamanti al sole.
– Marito e
moglie… – ripeté, come se a farlo
potesse imparare
a crederci; ma tutto, nel suo viso, lasciava intendere
perplessità.
– Mi sono
sembrati molto
felici. – aggiunse André, con tono
di dolcezza. – Rosalie mi ha chiesto di portarti i suoi
saluti.
–
… la piccola
Rosalie… – lo sguardo di Oscar vagò
verso la scatola
portata da André, posta accanto alla candela.– Era
così fragile, così indifesa…
– Oscar socchiuse gli occhi, celando la loro luce tra le
ciglia. – … eppure
piena di coraggio. Bernard… quel giovane irruento e
indomabile… saprà avere
cura di lei? – sussurrò, con un tono intimo e
delicato che non poteva
appartenere a un Comandante, né poteva essere ascoltato da
un Soldato.
André
annuì, la
sua voce fu più alta di un sussurro, più
sicura. – Sì. Ne sono assolutamente certo.
Oscar
ricambiò il suo
sguardo deciso. – Avrai ragione tu. –
mormorò.
– Se
è tutto,
Comandante, io mi ritiro nelle camerate. –
annunciò André, non senza un pizzico di quella
tenera ironia che gli
apparteneva sempre. Non era come Alain, lui, non rideva di cose
estreme, né in
modo estremo. Era caldo, piuttosto, anche quand’era triste. E
a volte si
scopriva a scherzare, suo malgrado, sui ruoli costituiti, sul fatto che
non
potesse più chiamarla, in pubblico, soltanto Oscar, ma
dovesse attenersi
all’etichetta militare.
Oscar stette a
contemplarlo, seria e
attenta. Si risolse
solo dopo qualche istante a dire
–
È tutto. Puoi
andare.
André si
mise
sull’attenti, portandosi una mano alla fronte
e battendo i tacchi.
–
Comandante…
Si volse,
cercò la
maniglia della porta.
– Ah,
aspetta. Ancora una
cosa. Hai ricevuto notizie di
Alain?
André
scosse il capo, con
un sospiro profondo e addolorato.
– No.
– Va bene.
–
disse Oscar, rassegnata. Poi abbozzò un
sorriso. – Buonanotte, André.
André
uscì
lentamente, e da ultimo la guardò in un ultimo scorcio.
– … buonanotte, Oscar.
Rimasta sola, il
Comandante
posò la tazza e il piattino
sulla scrivania. Proprio lì, accanto alla scatola di Nonna
Marie, c’era una
lettera cui André non aveva badato. Recava il sigillo reale
e la firma della
Regina, ed era di quella mattina stessa.
“Oscar,
amica mia, mio
figlio Joseph chiede continuamente di voi. Vi prego, non appena vi
sarà
possibile, di raggiungerci a Meudon. Non sono in grado di negare a mio
figlio
alcun piacere, nello stato di salute in cui si trova. Egli desidera
vedervi con
tutto il cuore; così io.”
Non
c’erano altre
spiegazioni, né Sua Maestà Antonietta si
dilungava sulle condizioni del Principe. Ma Oscar conosceva la
calligrafia di
Sua Maestà, i suoi svolazzi, la sua delicatezza. Niente che
potesse essere messo
a confronto con il tremito che aveva guidato quelle poche righe.
Il Comandante
tornò alla
finestra. L’aprì di slancio,
offrendosi alla gelida aria esterna.
Il Principe Joseph,
la Regina.
Gli Stati Generali,
il Re.
Rosalie e Bernard.
La scomparsa di
Alain dopo la morte
di Diane.
André.
La candela fu rapita
da un soffio di
vento invernale, nella
stanza si fece buio di colpo.
Oscar
soffiò candida
condensa nell’aria. A occhi chiusi
ascoltò i rumori ovattati della Caserma a riposo. Dalle
camerate le giunsero
gli echi vivaci dei suoi uomini, che a quell’ora,
anziché dormire, giocavano a
carte o si perdevano in concitati discorsi politici. Non avevano timore
di dire
ciò che pensavano, ormai, perché sapevano che lei
non li avrebbe mai puniti per
averlo fatto.
Quella sera le parve
di udire molte
volte, e in molte
tonalità, quasi fossero un canto, le parole
Libertà
e
Uguaglianza.
Una di quelle voci,
avrebbe giurato,
era di André.
_____________
* Canto
dell’Eco di Parigi
nell’introduzione all’episodio 33
dell’anime, secondo la versione giapponese.
** Le parole di
Bernard alla folla e
tutto il dialogo
successivo sono un collage tra la versione originale giapponese della
scena dell’episodio
33 e la traduzione italiana. Laddove la nostra versione mi pareva
più bella e
incisiva di quella originale, l’ho preferita, e viceversa. A
volte ho ritoccato
le battute, invece, per renderle più aderenti al mio
racconto.
*** Il cavallo di
André si
chiama Alexandre (fa il paio con
César, Cesare e Alessandro! XD), ma io, quando ne parlai in Rivoluzione, non lo sapevo ancora.
Così
inventai, per pura assonanza, che si chiamasse Jules.
Jules&César,
Giulio&Cesare… mwahahahahah!
Nata come regalo,
questa storia
finisce come un regalo. :D
E ora…
*DLIN DLON*
Capolinea! Qui si scende, signore e
signori!
Purtroppo,
aggiungerei, qui si
scende. Anche se tante cose,
come molte di voi hanno notato, sono preludio di quanto ho scritto e
scriverò
nell’altra mia long, anzi, longhissima (!) Rivoluzione.
È stato
molto bello
cimentarmi in questa storia, scegliendo
una coppia di protagonisti di norma osteggiata e poco approfondita. Una
piccola
sfida con me stessa, per tanti motivi, che mi sento felice
d’aver compiuto.
Dedico questo
Epilogo, che spero vi
sia piaciuto, a tutte le
lettrici che mi sono state vicine dando fiducia non tanto alla coppia o
al
rating, ma all’idea di fondo e al mio scrivere, con tutti i
suoi difetti e
possibilità. Sono felice di questo affetto, non scontato e
non dovuto, che
spero di poter rendere almeno un po’ con questa storia e con
le successive.
Grazie con tutto il cuore!
vostra
VeronicaFranco
Vi lascio con due
immagini
sorprendenti della fan-artist Donau (*________*!!!) segnalatemi qualche giorno fa dalla pupa Orny81. Anche se si ispirano certamente
al manga (in cui Bernard
rapiva Rosalie invece di Oscar), sembrano molto in sintonia anche con
questa
storia, vero!! *O*
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3230540
|