Il giorno in cui sparì il Cavaliere Nero

di VeronicaFranco
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Io ti conosco ***
Capitolo 2: *** È stata Madamigella Oscar a mandarvi ***
Capitolo 3: *** Il vostro cuore, io non lo vedo ***
Capitolo 4: *** Sono uno di voi! ***
Capitolo 5: *** È solo il vostro sangue ***
Capitolo 6: *** Io credo nella vita ***
Capitolo 7: *** Posso innamorarmi di te? ***
Capitolo 8: *** Volevo chiedervi se avete freddo ***
Capitolo 9: *** Voi... siete un mostro ***
Capitolo 10: *** Devo portare avanti la MIA missione ***
Capitolo 11: *** Quando la maschera cade... ***
Capitolo 12: *** Non lo farebbe mai ***
Capitolo 13: *** Infangare la purezza di una sposa ***
Capitolo 14: *** Seguimi ***
Capitolo 15: *** Il ricordo del Terrore ***
Capitolo 16: *** Un amico ci ha salvato ***
Capitolo 17: *** Chi vuole la giustizia, se la faccia ***
Capitolo 18: *** Sei pronta per essere libera ***
Capitolo 19: *** Vento di Primavera ***
Capitolo 20: *** Epilogo (o Introduzione?) ***



Capitolo 1
*** Io ti conosco ***


– Non pensavo mi avresti lasciato andare. Grazie.
– Se devi ringraziare qualcuno, ringrazia André.
– Come, André?
– Già. E se permetti, credo si sia dimostrato più uomo lui del Cavaliere Nero.



***

La carrozza si fermò bruscamente. Bernard si svegliò in un ansito strozzato. Prima di lui, si era svegliato un dolore violento al petto e alla spalla, estremità di una ferita che lo percorreva da parte a parte. La portiera si aprì subito dopo, e da essa sbucò la faccia del conducente, piuttosto serio in volto.
– Da qui in poi non posso proseguire.
– … perché?
– La via dove dovete andare è oltre quest’angolo. Ma è troppo stretta, e la carrozza non passa.
L’uomo aveva parlato in fretta, e rivelava, nei toni, una certa ansia. Tsk, pensò Bernard. Questo ha voglia di tornare a casa, altro che scortarmi. Quel Colonnello femmina deve passargli una buona pagnotta…
– … lascia stare. – disse bruscamente. – Proseguo a piedi…
– Ve la sentite?
– Sì, sì, torna pure a casa… e dammi del tu, non sono un dannato nobile…
Bernard si mosse, cercando di ignorare la fitta lancinante che gli veniva dal petto e dalla spalla. Un bel buco, frutto di una pallottola sparata ad arte: non l’aveva ucciso, ma l’aveva immobilizzato per giorni. E anche in quel momento gli impediva i movimenti, sì che se si fosse trovato nei guai, l’avrebbero preso in men che non si dica.
Se fossero stati popolani, avrebbe potuto dire che era uno di loro. Non gli avrebbero creduto facilmente, a vederlo scendere da una carrozza, ma lui avrebbe potuto chiedere l’intercessione dei suoi amici; inoltre, conosceva a menadito tutte le sofferenze seminate tra i vicoli di Parigi come roveti affamati di sangue. Non ci avrebbe messo molto a far valere le sue ragioni, grazie alla sofferenza che egli stesso condivideva da una vita con la povera gente.
Ma se fossero stati nobili a intercettarlo, guardie di qualche tipo? Gli ripugnava invocare ancora la protezione del Colonnello donna. Anche se le doveva la vita, non poteva tornare da lei con la coda tra le gambe.
Il conducente l’accompagnò fuori dall’abitacolo, e fu l’ultima cortesia che gli concesse. Poi ripartì al galoppo, lasciandolo completamente solo nell’ombra della sera.

Bernard si appoggiò al muro e avanzò lentamente, pallido riflesso del giovane gagliardo che si era sentito di essere con quei panni addosso.
Perché già, il Colonnello l’aveva lasciato con gli abiti scuri, come a rimarcare chi lui fosse, anche se non aveva avuto alcuna remora a nasconderlo perfino al Generale Jarjayes.
– Al diavolo. – ringhiò Bernard, respirando affannosamente. Anche stare in piedi era un'impresa. – Penserò a lei più tardi. Ora devo trovare… quella casa…
In realtà, non gli ci volle molto. Il vicolo era quello giusto, e poche erano le porte che vi si affacciavano, una più povera dell’altra. Bernard cercò il segno che, secondo quanto gli era stato detto da Oscar, le donne della casa avevano lasciato fuori dalla porta per lui. Eccolo: un nastro rosso attorno alla maniglia.
Bernard prese un respiro, bussò.
Attese qualche minuto, ma non ricevette risposta. Guardò oltre, la finestra del pianterreno e quella del piano di sopra. Le imposte erano tutte chiuse, povere e logore di muffa: il legno aveva patito le piogge continue di quell’inverno implacabile.
Provò a bussare più forte. Accostò l’orecchio alla porta, e attese ancora. A un tratto, udì un suono di passi leggeri, appena appena percettibili attraverso lo stipite. Qualcuno si era fermato, dall’altra parte; e nell’improvviso silenzio che seguì, composto, da entrambi i lati, di fiato trattenuto, orecchie tese e molta esitazione, Bernard si sentì incomprensibilmente agitato.
– Chi è? – disse una voce di ragazza, vicinissima: anche lei doveva essersi accostata al legno, per sentire meglio.
Bernard si allontanò dalla porta per dire il proprio nome, privo, però, di cognome.
Dall’altra parte, di nuovo un attimo di silenzio. Poi scattò una serratura, e dalla fessura Bernard intravide un paio d’occhi luminosi, accesi di un sospiro di candela.
– Mi manda lei. – sussurrò lui, subito versando quella rivelazione nello spazio franco che si era creato al confine dell’ignoto.
La ragazza socchiuse gli occhi, e nonostante gli mostrasse solo uno scorcio di viso, Bernard notò un sorriso fugace, un brillio diverso nelle sue pupille.
– Siete Bernard… Chatelet? – sussurrò anche lei.
– Sì.
La porta si aprì di colpo, lasciandogli lo spazio necessario. Bernard si guardò intorno, come se dovesse aspettarsi un agguato; poi, appoggiandosi come poté, si intrufolò dentro. La ragazza fu lesta a richiudere dopo di lui.
Bernard si ritrovò in un piccolo ambiente dall’odore stantìo. Non c’erano finestre in quell’atrio, solo vari oggetti (scodelle, pentole dall’aria abbandonata), e più avanti una porticina che immetteva in un corridoio.
– Venite con me. – fu l’invito di lei.

Tre porte, per quel corridoio: la ragazza si diresse con sicurezza verso quella in fondo, ignorando le prime due. Da una di esse, subito dopo il loro passaggio, sbucò una signora dal volto paffuto, che prese a squadrare il nuovo venuto con tanto d’occhi.
– È lui, Rosalie?
– Sì, Lucille.
– In effetti, non ha una bella cera. – disse la donna, e Bernard riconobbe il dubbio nei suoi occhi e nella sua voce. – Ti aiuto a sistemarlo… avete bagaglio, signore?
– … no. – disse Bernard.
– … no? Rosalie… ma… – la voce di Madame Lucille suonò preoccupata. – … la tua amica… aveva detto che ce l’avrebbe mandato fornito di tutto… l’occorrente… lei sa in che condizioni siamo, e una terza bocca da sfamare…
– Va tutto bene, Lucille. – assicurò Rosalie bruscamente, aprendo la stanza in fondo al corridoio, senza voltarsi. – Me ne farò carico io… ho messo da parte qualcosa, in questi ultimi giorni. Tu torna a dormire… basto io, qui.
Madame Lucille borbottò qualcosa di incomprensibile, poi rientrò nella sua stanza.
Bernard, a quel punto, si sentì mortificato.
A dire il vero, avrebbe dovuto avere qualcosa con sé. Oscar l’aveva rifornito anche di una borsa. Ma, vuoi per la fretta, vuoi per volontà di non esserle debitore oltre il necessario, Bernard non l’aveva portata con sé, e il conducente della carrozza non gliel’aveva fatto presente. Dentro c’era del denaro, evidentemente. Denaro che serviva per il suo sostentamento.
– Cercherò di ripagarvi quanto prima. – biascicò, confuso e dolorante; stare in piedi troppo tempo gli riusciva ancora penoso. Si sentiva sempre più debole.
Rosalie portò la candela a rischiarare la piccola stanza dove l’aveva condotto.
– Non datevi pensiero di questo, adesso. Questo è il letto dove dormirete. – disse ancora lei, posando la candela su una cassetta di legno a fianco del letto. – Cambio le lenzuola. – aggiunse, e si mise all’opera.
– Lasciate stare… – disse Bernard, puntellandosi a una sedia lì accanto. – Vanno bene quelle che ci sono… – aggiunse, ma Rosalie arrossì immediatamente.
– Oh, no! – protestò vivacemente. – Abbiate un attimo di pazienza. – poi, con una nota di dubbio: – Volete dell’acqua? Qualcosa da mangiare… ?
– No… sto bene. – disse lui, ormai pallido e sfinito. La carrozza, la passeggiata forzata e tutto quello stare in piedi l’avevano condotto al limite. Se ne accorse, e ne provò fastidio.
– Allora sedetevi… ho quasi finito.
Bernard si accomodò con movimenti incerti e scattosi, ricadendo sulla sedia con un rantolo di dolore. Rosalie gli lanciò un’occhiata attenta, poi tornò a dargli le spalle e occuparsi del letto.
Bernard la osservò in silenzio. Da quando era entrato, aveva avuto una sensazione strana, al cospetto di quella ragazza dagli occhi gentili. Era oltremodo graziosa, una figura esile ma formosa, un viso dai lineamenti molto dolci e belle, piccole labbra. Capelli raccolti, che brillavano d’oro alla luce lieve della candela; mani piccole e sapienti nel loro lavoro; piedi calzati di poveri zoccoli, ma caviglie sottili, vestite di calze bianche nonostante l'evidente povertà degli abiti.
La conosceva? Non riusciva a ricordare dove e quando l’avesse vista, ma si sentiva tutto pervaso d’inquietudine, e diede la colpa alla ferita che non voleva rimarginare, all’autorità di Oscar François de Jarjayes che l’aveva graziato rendendolo un verme (e un inerme), al dubbio di quella frase sibillina: “Devi ringraziare André”.
Però era piacevole osservare quella fanciulla muoversi attorno al letto con attenzione, preparando il giaciglio che l’avrebbe accolto. Si sentiva accettato, nonostante i dubbi di Madame Lucille; sentiva che poteva rilassarsi, che sarebbe stato al sicuro.
Chiuse gli occhi, deglutì, e il torpore iniziò a giocarsi la sua lucidità. Sempre più stanco, scivolò da esploratore nel regno di Morfeo, e lì, tutt’a un tratto, semplice come una carezza, vennero i ricordi a tenergli compagnia.

Sua madre stava preparando il suo letto con lenzuola pulite. Lui era ancora un bambino, e lei era tutto, per lui. Era bella, dolce come un angelo. Quand’era triste, lui cercava di rallegrarla e di riportarle il sorriso, e spesso ci riusciva, almeno nei suoi primi ricordi.
Ma a un tratto, Bernard corrugò la fronte.Sua madre camminava in mezzo alla strada, vestita di bianco; ma non sembrava più lei. O meglio, aveva i capelli più scuri, e non riusciva più a vederla in viso. Non c’era più alcuna stanza e alcun giaciglio. Solo una donna traballante che usciva da un vicolo verso una via principale; e una carrozza che, senza pietà, giungeva a calpestare il suo povero corpo. Lui, col cuore in gola e il respiro mozzato, non era più un bambino, ma un ragazzo di quindici anni, che aveva appena iniziato a studiare giurisprudenza grazie a una piccola borsa di studio. E aveva appena assistito a un omicidio.
La carrozza assassina apparteneva a una nobildonna. Maledetta puttana… L’aveva investita! Credeva che essere nobile le desse il diritto di fare quello che le pareva? Scendesse subito! Chiedesse scusa, almeno!
Non era colpa sua, diceva. Era stata la donna a comparire all’improvviso davanti alla carrozza.
Aspettate! Non potete andarvene così! ASPETTATE! VOI L’AVETE UCCISA!
Se avete delle lagnanze, venite a Versailles!

MAMMA! Mamma, non lasciarmi!
Mamma, non lasciarmi.
Era stato un bambino quando l’aveva pianto per la prima e unica volta.
C’era un’altra bambina a piangere sul cadavere di sua madre. Ma Bernard ne comprendeva lo strazio con tutto se stesso. Una bambina con gli occhi blu e i capelli biondi, che piangeva così forte…
Non puoi stare qui a piangere per sempre.
Le aveva messo la mano sulla spalla.
Fa male, ma tua madre non tornerà.
Era stato duro, doveva esserlo. Non aveva dovuto impararlo a sue spese, che i morti non ritornano?
Mi chiamo Bernard Chatelet. Sto studiando per diventare giornalista. Se hai bisogno di aiuto…
Grazie, ma non ce n’è bisogno.
Ehi! Aspetta! Dove vai!
Quegli occhi, prima annegati di dolore e poi freddi come un pugnale… come aveva potuto dimenticarli?

– Monsieur Bernard? Monsieur Bernard!
Rosalie lo stava chiamando. Bernard lanciò un sospiro, riaprì gli occhi. Vide il viso di Rosalie vicino al suo, preoccupato.
– Io ti conosco. – mormorò. – Ti conosco… vero?  
Lei non rispose. Piuttosto sorrise un poco e con aria indulgente, come se lo stesse, in fondo, canzonando d’averci messo tanto a capire. Ma a Bernard non importò. Si fece aiutare a mettersi a letto, lento perché dolorante e placido perché stupito. Si appoggiò alla spalla di lei per muovere quei pochi passi; la stessa spalla magra che aveva a suo tempo cercato di scaldare, quando lei era poco più d’una bambina pelle e ossa. Una spalla forte, però, ora come allora.
Rosalie lo ricoprì fino al petto. Gli sussurrò se stesse comodo. Bernard annuì.

– Allora, buonanotte. Chiamatemi se avete bisogno. Sono nella stanza accanto... e il mio nome lo conoscete.
Bernard sorrise.
– Grazie... Rosalie.
La ragazza si portò dietro la candela. Con lei, Bernard vide ritirarsi tutte le luci della stanza, e rimase al buio.



______________
Note.
- Questa sarà una storia di pochi capitoli: l'aggiornerò saltuariamente, tra un capitolo di Rivoluzione e l'altro!
- Trovo che ricevere dei disegni sia come ricevere un piccolo mondo in sé compiuto. Ho pensato a lungo a come sdebitarmi per tutti i regali inestimabili che Ilanak ha realizzato fino a oggi per le mie pagine (l'ultimo, recentissimo, lo posterò nel prossimo capitolo di Rivoluzione): spero che questa piccola storia, che meditavo da un po', valga come piccolo, ma sentitissimo, Grazie! :***

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Capitolo 2
*** È stata Madamigella Oscar a mandarvi ***


La notte di Bernard fu lunga e faticosa. Dormì poco, cercando di recuperare almeno le forze che il trambusto del giorno prima e il piccolo viaggio gli avevano succhiato. Il letto che Rosalie gli aveva destinato non era comodo come quello di Palazzo Jarjayes; oltretutto, era inverno fitto e non c’erano bracieri accesi per scaldarlo, né sufficienti coperte. Ne aveva addosso un paio, logore, che non potevano proteggerlo dal freddo implacabile d’inizio febbraio. Oltretutto, tuoni lontani annunciavano temporali violenti.
Rosalie, la tua amica aveva detto che ce l’avrebbe mandato fornito di tutto l’occorrente. Lei sa in che condizioni siamo, e una terza bocca da sfamare…
Le parole di Madame Lucille, pronunciate da lei con tristezza e preoccupazione sincera, gli bruciavano dentro. Ma la mortificazione si tramutò presto in fastidio. Cosa aveva creduto di fare, Oscar François de Jarjayes, affidandolo a due povere donne, pretendendo anche di pagargli vitto e alloggio?
Quando aveva visto i vicoli in cui l’avevano condotto, si era rallegrato in cuor suo, pur dolorante com’era: era saggio rimanere così nascosto finché le acque non si fossero calmate e la sua ferita guarita. E dopo, dopo avrebbe pensato a cosa fare; giacché la promessa estortagli da Oscar, di ritirarsi dall’impresa del Cavaliere Nero e comprare i fucili rubati, anche a un prezzo ridicolo come quello che lei gli aveva fissato, era ancora tutta da mantenere. Avrebbe dovuto parlarne con i suoi compagni. Lui non aveva facoltà di decidere anche per loro, né possedeva denaro suo con cui portare a termine l’acquisto. E poi: era vero, Oscar l’aveva battuto, ma per un caso. Sarebbe risultato Bernard il vincitore, se solo lei non avesse avuto l’aiuto di André. Quell’André che Bernard aveva ferito all’occhio… quel placido cagnolino che scodinzolava dietro al Colonnello, e si era fatto ferire pur di catturare il Cavaliere Nero, la speranza della povera gente.
Ma poi, a un passo dalla denuncia, pronta a ricevere tutti gli onori per aver mandato in rovina il Cavaliere Nero, il Colonnello femmina, il Cane della Regina, si era tirata indietro. Avrebbe dovuto consegnarlo alla corrotta giustizia del Re, invece era passata sopra a tutto. Non aveva fatto accenno nemmeno al ferimento del suo servo André. Magari non le importava nulla di lui, dopotutto era solo il suo servo, e lei un’aristocratica. Ma quelle ultime parole con cui l’aveva congedato, “Devi ringraziare André – È stato più uomo del Cavaliere Nero”, svelavano quantomeno un forte ascendente del servo sulla padrona.

Insomma, Bernard non riusciva a dormirci. Si era ritirato dai giochi per poter guarire, ma aveva troppe domande ancora per calmarsi.
D’un tratto, il giovane udì un fruscio oltre la porta socchiusa. Aprì gli occhi nel buio pesto, e scoprì che un debole chiarore si avvicinava, squarciando la tenebra. Poi, la porta iniziò a muoversi e gemere. Subito chiuse gli occhi, e finse di dormire. Movimenti leggeri, piccoli passi: Rosalie, la fanciulla dagli occhi luminosi, già, l’unica piacevole sorpresa di quella convalescenza forzata.
Bernard aguzzò i sensi. Aveva le palpebre ben chiuse, ma percepì il chiarore della candela sul viso. La presenza di Rosalie era molto vicina. Poi, sulla cassetta a fianco del letto rintoccò un fragile suono di oggetti sul legno.
La tentazione di aprire gli occhi era forte, ma Bernard si era incaponito a fingersi addormentato, come un bambino. Avrebbe potuto fingere anche il proprio risveglio, ma non si risolveva a farlo. Non aveva voglia di parlare; e soprattutto, ma questo non poteva ammetterlo a se stesso, si sentiva a disagio.
Rosalie era rimasta ferma, intanto. La cosa durò diversi istanti. Perché non se ne andava? Cos’era successo? Madame Lucille si era imposta per mandarlo via? C’erano novità da parte di Oscar? L’avevano trovato?
All’improvviso, Bernard si sentì toccare a un braccio, sussultò, spalancò gli occhi. Si spaventò veramente, teso com’era, anche se il contatto era stato minimo e gentile. O forse fu proprio quella gentilezza che fece letteralmente tremare il giovane. Come una corda di violino che, pizzicata, fa vibrare anche quella vicina, Bernard infuse lo stesso timore anche a Rosalie: la ragazza mandò un piccolo grido e ritrasse la mano immediatamente, come se si fosse scottata.
Rosalie prese un lungo respiro, le labbra schiuse e gli occhi sgranati sul volto di Bernard, le mani giunte sul petto.
– Scusatemi. – sussurrò lei, dopo un istante, e si addolcì in viso, – Non volevo disturbarvi… vi ho svegliato.
– … no. No, non dor… non mi disturbate. – anche Bernard prese un respiro più profondo, e distolse subito gli occhi da Rosalie.
– Vi ho portato dell’acqua. – disse lei, indicando con un cenno la brocca e il bicchiere di legno che aveva appoggiato sulla cassetta a fianco del letto. – Avrei dovuto lasciarvela prima. Scusatemi se non ci ho pensato.
– Oh… grazie. – disse Bernard, volgendo il capo verso quel punto. Si accorse d’avere sete, effettivamente; l’arsura dei pensieri aveva seccato la sua bocca, anche se col freddo si era sentito più intirizzito che altro, e non ci aveva pensato. D’istinto, cercò di mettersi a sedere, di tendere il braccio, ma fu brusco e ricadde sul letto, con una smorfia.
– Aspettate. Vi aiuto… – disse subito Rosalie, chinandosi verso di lui, tutta sollecita.
– Non preoccupatevi… – ribatté Bernard, puntellandosi su un gomito e issandosi con più cautela. Rosalie lo prevenne, prendendo il bicchiere e riempiendolo; glielo porse, e vedendolo traballante sui gomiti, scosse il capo. – Ve lo tengo io. Fate piano.  
– Ma io…
Non ci furono altre parole. Rosalie accostò il bicchiere di legno al viso di Bernard, con tutta la cura possibile. Aspettò che lui appoggiasse le labbra al bordo, poi lo inclinò lentamente. Bernard prese un sorso, poi un altro, sempre brevi, sempre piccoli; la pazienza della ragazza l’aveva contagiato. Si saziò d’acqua, ma si fece via via più torvo. Quando avrebbe smesso di fare l’invalido? Non poteva abituarsi a quel trattamento; doveva rimettersi il prima possibile…
Staccò le labbra dal bicchiere bruscamente, versò le ultime gocce. Rosalie sussultò, rimise subito il bicchiere dritto e si scostò. Bernard ricadde sul letto, con un sospiro e una fitta, sorda, alla ferita.
– Grazie. – le disse.
– … avete bisogno di qualcos’altro? – chiese ancora lei, esitante.
– No.
Rosalie aspettò ancora un attimo. Poi parlò con voce più bassa, lo sguardo fisso davanti a sé. – … il vaso da notte è sotto il letto. Potete raggiungerlo, se ne avete bisogno?
Bernard la osservò, mentre lei non guardava. Sorrise anche, perché lei sembrava in evidente imbarazzo.
– Madamigella Oscar mi ha parlato della vostra ferita. – si giustificò infatti la ragazza, – So che vi muovete con difficoltà…
– Sono arrivato da voi camminando. – assicurò Bernard, cui la menzione di Oscar aveva riacceso i pensieri di prima. – Se ne avrò bisogno, saprò mettermi in piedi.
Rosalie lo contemplò senza parole. Bernard fece un sorriso sarcastico.
– Non vi incomoderò per questo, né per altre cose. Non temete.
Rosalie continuò a tacere. Si guardò intorno. Trovò, buttato sull’unica sedia della stanza, il mantello scuro che nel capitolo precedente la pigra narratrice non ha tolto di dosso a Bernard, prima di metterlo a dormire. Rosalie lo raccolse e non chiese nulla: lo dispose, semplicemente, sul corpo del giovane, sopra le due vecchie coperte che non erano riuscite a scaldarlo fino a quel momento.
Lui provò un’immediata sensazione di conforto, un poco più di calore. Rivolse a Rosalie un’occhiata intensa, ma lei evitò di incrociare i suoi occhi. Si schermì dicendo:
– È molto fredda questa stanza, di notte… e purtroppo non ho altre coperte per voi. Spero che così stiate meglio.
– … sto molto meglio, sì.
Rosalie abbozzò un sorriso a fior di labbra. Si avvicinò alla candela e la raccolse. Stava già voltandosi per andare.
– Un momento. – chiamò Bernard.
Rosalie si fermò di profilo, poi volse ancora il viso nella sua direzione.
Bernard la osservò nello squarcio di luce che l’inglobava; si rese conto che la ragazza, in quel momento, aveva indosso un abito semplice e una vestaglia di lana grezza, che non potevano bastarle. Gli parve di vederla tremare, e tenere la candela ben vicina al corpo e al cuore. O forse fu solo la suggestione del viso di lei, così pallido, liscio come fredda porcellana.
– … ditemi. – lo incoraggiò lei. Bernard si riscosse.
– … sapete della mia ferita. Cos’altro vi ha detto… il Colonnello Jarjayes?
– Che avete bisogno di quiete e di aiuto.
– Vi ha detto perché?
Rosalie sorrise con dolcezza. Scosse il capo. – No.
Bernard aggrottò la fronte. – E voi… vi siete fidata a ricoverare uno sconosciuto in casa vostra?
– È stata Madamigella Oscar a mandarvi. – disse Rosalie con tranquillità, come se quella risposta potesse chiudere il discorso.
Bernard non trovò subito cosa replicare. Chiuse la bocca e inghiottì. Osservò ancora il viso di Rosalie, i suoi lineamenti resi luce dalla candela soffusa; era cresciuta tanto, e Bernard avrebbe voluto chiederle come mai conoscesse Oscar, lei che era vissuta a Parigi e che ai nobili doveva la morte di sua madre.
– … potrei essere chiunque, anche un ricercato. E voi mi accogliete senza fare domande? Solo perché ve l’ha detto… tsk… Madamigella Oscar?
Rosalie non badò alla smorfia di sarcasmo di Bernard. Sorrise di nuovo, in modo sornione stavolta: un tocco di luce nuova, il segno che Rosalie aveva ancora, nascosto sotto la gentilezza, l’orgoglio che lui le aveva visto un tempo. La ragazza rispose solamente: – Sì.
Bernard non si sentì affatto rassicurato, al contrario. A tal punto Oscar aveva potere, dunque? Aveva blandito anche quella ragazza, e peggio, si permetteva di metterla in pericolo?
Rosalie parve intuire il rumore dei suoi pensieri.
– Madamigella Oscar non mi farebbe mai del male, e non permetterà che ne facciano a voi. Abbiate fiducia, Monsieur Bernard Chatelet.
Questa era bella. Era proprio a quella santa Oscar che Bernard doveva il buco alla spalla!
– Fiducia!? – esclamò lui, alzando la voce. Rosalie si mise un dito davanti alla bocca, allarmata. – Vi prego, non gridate… Lucille ha il sonno leggero, ed era molto stanca… e anche io… è il caso vi lasci riposare. Domattina vi porterò qualcosa da mangiare… dormite, e se avete bisogno…

... chiamatemi. Rosalie si eclissò con quel sottinteso, simile a una stella quando lascia la scia d’un desiderio. E Bernard, contrariato e confuso, tornò a pensare più volte, quella notte, al sorriso sicuro di lei, alla stima che nutriva per Oscar; e pensò che come l’aveva ferito l’aveva salvato, quella stessa Oscar, e che le si era arreso e non si riconosceva più per questo, e avrebbe voluto sfidare quella donna a duello e prendersi la sua rivincita; se avesse potuto, avrebbe sfidato a duello tutti i nobili di Versailles. Tutti li avrebbe feriti a un occhio, o accecati del tutto. Forse perfino uccisi… perché quando pensava al male che continuavano a spargere impunemente, all’arroganza con cui si portavano per le strade, ah, tremava di sdegno.
La gente aveva fame, dannazione. Le lacrime erano innumerevoli. La Francia era lo zimbello d’Europa, e i continui debiti distruggevano gli innocenti, e lasciavano impuniti i carnefici. Ah, che gli importava che Oscar François fosse un’eccezione, il sistema era marcio fin nel suo cuore dorato, con quella dannata corona su quella testa sconsiderata!
Strinse i pugni e si agitò, cercando di spostarsi su un fianco. Gemette, e si accorse d’avere tanti nervi addosso da non poter fermare due lacrime traditrici.


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Capitolo 3
*** Il vostro cuore, io non lo vedo ***


7 0ttobre: AAA Avviso ai naviganti parallelo a quello dell'altra mia ff "Rivoluzione"! A causa del ritardo dall'altra parte, l'aggiornamento di questa storia, anziché giorno 11 ottobre, slitta a giorno 18 ottobre. Grazie sempre a chi legge e mi aspetta! Un bacione!


Quando il giorno arrivò, Rosalie entrò in punta di piedi, aprì la finestra cautamente e sbirciò Bernard. Scoprì che il giovane era sveglio, gli occhi fissi al soffitto: eppure, non aveva mosso un muscolo quando l’aveva vista arrivare.
– Buongiorno… – disse lei, con tono gentile. – Avete potuto riposare?
La risposta era no, ma Bernard la tenne per sé. I tormenti della notte l’avevano reso scontroso. Gli parve di non riuscire a trarre piacere nemmeno dalla vista di un sorriso amichevole come quello di Rosalie. Anzi: a ripensarla amica di Oscar, si sentì come tradito. Stette in silenzio, dopo un – ’giorno – smozzicato.
Rosalie indugiò su di lui, dubbiosa. Poi si allontanò di nuovo, e tornò con un vassoio e una ciotola fumante. Bernard la seguì con la coda dell’occhio mentre gli si avvicinava ancora.
– Ce la fate a mettervi seduto? – chiese lei, sempre con tono gentile.
Bernard si sistemò a sedere lentamente, con estrema fatica e rinnovato dolore. Dovette adagiarsi sui cuscini di nuovo, solo un poco più dritto di prima. Il dolore si rilassò, Bernard prese un lungo sospiro. Poi la osservò diretto, inquisitore. Rosalie se ne accorse ed evitò il suo sguardo, senza però desistere dal proprio servizio.
Gli porse il vassoio, glielo appoggiò sulle ginocchia. Bernard osservò il piatto fumante. Una brodaglia in cui navigavano poche verdure, una patata e, accanto, una crosta di pane vecchio di giorni. Il pasto più lauto che Rosalie era riuscita a rimediare.
Si volse a lei di nuovo, fissandola intensamente. La ragazza abbassò gli occhi, desolata. – Non abbiamo altro, purtroppo. Mi rendo conto che non è il pasto ideale per chi deve rimettersi in forze. Ma…
– Perdonatemi, Rosalie. – la interruppe lui. – Non volevo mettervi a disagio. Ma non posso chiedervi questo.  
– ... questo, Monsieur Chatelet?
– È colpa mia. – ammise lui, e strinse i denti per un attimo. – Ho lasciato sulla carrozza la borsa che mi ha dato il Colonnello Jarjayes.
Rosalie si accese di un nuovo sorriso. – Ah, è andata così.
Bernard non si aspettava di vederla così lieta. Si affrettò ad aggiungere: – Perché desidero ripagarvi personalmente di quanto state facendo. Non voglio essere in debito ancora con quella donna.
Rosalie stette ad ascoltarlo, il cucchiaio sospeso sul brodo, l’atteggiamento tranquillo. Bernard continuò, nervoso, con le sue specifiche:
– Ma pensavo di poter aspettare, e ripagarvi una volta guarito. Così, invece…
Rosalie intinse di nuovo il cucchiaio nel brodo. – Non fatelo freddare… – lo interruppe. – Anche se è poca cosa, è meglio che lo prendiate, vi farà più bene che rimanere completamente digiuno. – e detto questo, porse ancora il cucchiaio pieno a Bernard. Lui lo rifiutò, voltando il capo, lo sguardo molto duro.
– Ho deciso di tornare a casa mia. Posso camminare un poco, come ieri sera.
– … ieri sera vi siete affaticato troppo. Prima il viaggio, poi la… passeggiata fino a qui. La ferita è troppo fresca. Rimanete qui ancora qualche giorno.
– E approfittare del poco cibo che avete? – inveì lui, e troncò la domanda con un gemito soffocato: scuotendosi bruscamente, aveva svegliato la ferita alla spalla.
Rosalie lo guardò agitarsi come un gatto legato al guinzaglio, e si allarmò. Posò il piatto ancora caldo sulla cassetta di fianco al letto, tese le mani e sembrò volerlo toccare, quantomeno trattenerlo nei suoi spiriti bollenti. – Così non guarirete mai… Calmatevi, vi prego!
– Lasciatemi andare via! Vi sono troppo di peso.
– Capisco come vi sentite, ma non è il momento…
– Certo che lo è… – ansimò lui, affatto rassegnato a rimanere fermo.
– Non vi conviene uscire di qui, così ferito: se vi trovassero e vi arrestassero, non potreste fuggire.
Bernard la guardò subito, spaventato. – Come sapete che…
Lei scosse il capo, abbozzò un sorriso gentile.
– No, non sapevo nulla. Ma ieri notte avete detto una cosa che mi ha fatto pensare… e dalla vostra espressione di adesso, ho avuto conferma che la mia ipotesi era giusta.
Potrei essere chiunque, anche un ricercato. E voi mi accogliete senza fare domande?
– … – Bernard, battuto, si accasciò contro il cuscino e strizzò gli occhi. Dunque Rosalie aveva capito tutto, e lui, ingenuo, le aveva fornito la verità su un piatto d’argento. Ma non si diede per vinto. Con voce lenta, gli occhi ben chiusi, disse: – … vedete, dunque, che la vostra Madamigella è una vecchia volpe… che non esita a mettervi in pericolo?
– Il brodo si sta freddando. – disse Rosalie, sorda come pochi a quel genere di discorsi. Riprese ciotola e cucchiaio e offrì un nuovo boccone a Bernard, con sguardo meno gentile e un piglio più pratico e deciso.
Lui rifiutò il cibo, si esasperò. – È mai possibile che vi abbia accecato fino a questo punto, quella donna?
– Non mi ha accecato. – rispose lei, con tono più freddo.
– Eravate fiera e coraggiosa… che cosa vi ha fatto, che debiti dovete scontare, con lei?
– Non vi riguarda. – la voce di Rosalie virò sulla sfida, ma Bernard non colse le nubi all’orizzonte. – Monsieur Chatelet, per favore…
– Già! Crede di comprarsi le persone con quelle sue moine, ma è un demonio, e voi non potete fingere di non saperlo!
– Monsieur Chatelet! – Rosalie posò di fretta il piatto sulla cassetta, rovesciando pure parte del contenuto, e si alzò in piedi, di scatto.
Bernard la fronteggiò con uno sguardo sicuro e strafottente. Non poteva essere nel torto, pensava. Rosalie era solo una delle tante vittime del Comandante Jarjayes. Ma la ragazza non solo non voleva rendersene conto, aveva anche occhi infiammati di rabbia, come aveva già visto una volta, tanti anni fa. (Sì, quegli occhi erano tornati. Per un motivo bizzarro e incomprensibile a Bernard, erano tornati vivi e ardenti. Per un attimo, il giovane si crogiolò in una sensazione appagante, tutta di stomaco, più fisica che mentale. Quegli occhi così espressivi, così densi di passione. Quella fanciulla così genuina, così pronta a combattere, una vera figlia del popolo… sì, il cuore di Bernard godette in segreto di quella vista e si eccitò di rimando, come fa la stoppa asciutta toccata da un fuoco già acceso.)
– Se il prezzo della verità è il vostro odio, sono pronto a pagarlo… – disse, mostrandosi rassegnato come un profeta in patria – … pur di aprirvi gli occhi, Rosalie.
– … voi non sapete niente. – rispose lei, pugni e denti stretti. – Con che diritto parlate di verità?
Bernard fu sincero, allora, e serio e grave nei toni. – … cosa dovrei sapere? Spiegatemelo, ho bisogno di sapere, voglio sapere.
Ma Rosalie non volle concedere più alcuna diplomazia. – Se fosse così, mi avreste chiesto spiegazioni prima di trarre giudizi. Invece accusate e basta, per di più la persona che vi ha salvato. Madamigella Oscar mi ha parlato di “un giovane di buon cuore, coraggioso, generoso anche se avventato, che aveva bisogno di un luogo in cui riposare da molti affanni e pericoli”…
(… Bernard stava zitto, prima torvo, poi via via stupito…)
– … e mi ha scritto che il resto me l’avreste raccontato voi, se e come avreste voluto, e che lei ci avrebbe protetto tutti quanti. Ma io non sono più tanto sicura che il giovane di cui mi ha scritto siate voi… avventato sì, eccome!, ma il vostro cuore io non lo vedo, è troppo pieno di rancore!
Bernard sentì quelle parole scalfirgli la determinazione, ma cercò di non cedere. E anzi, con voce bassa e stentata disse: – … non vi ha scritto, però, chi mi ha procurato questa ferita…
Rosalie rifletté lentamente, come se stesse ricomponendo incerti tasselli – … ma certo… è stata lei... – sussurrò. Meditò ancora, e infine sgranò gli occhi, e sentenziò: – … il Cavaliere Nero che stava cercando… siete voi. Ma certo, certo!
Bernard sussultò, come un cane di grossa taglia che, fuor di sospetto, un cucciolo di gatto ha colpito agli occhi con i piccoli artigli.
Rosalie continuò, calcando le parole con rabbia crescente, trattenuta tra i denti e i piccoli pugni:
– L’ho curata io stessa. È stato due settimane fa. È caduta davanti alla mia porta. Era ferita alla testa e perdeva molto sangue. Ha dormito in questo letto dove siete voi… e non si risvegliava più, e io tremavo di paura, e ho odiato con tutto il mio cuore chi le aveva fatto del male… anche se era inevitabile… anche se era… – alzò la voce, in uno scatto, – … il Cavaliere Nero!
Silenzio. L’aria aveva tremato come al movimento di uno schiaffo.
Rosalie abbassò i pugni lentamente, fermò il proprio tremito, deglutì. La rabbia fisica si indurì  in uno sguardo aspro e ostile.
Bernard cercò parole per fermare quel silenzio che gli franava addosso, ma non ne aveva più.

In quel momento, bussarono alla porta.
Lucille si sporse d’impeto dallo spiraglio, senza neanche aspettare permessi: pareva giuliva.
– Rosalie! Sono arrivati!
Rosalie si voltò a osservare Lucille. Il suo viso cambiò espressione, e per un attimo lasciò cadere la tensione e la rabbia. Incerta, biascicò: – Arrivati… ?
– È incredibile! – scoppiò di nuovo Lucille, che quasi gridava dalla contentezza. – Continuano a portare cose… ah, che meraviglia! È talmente tanta roba che non riusciremo a farcela stare nella credenza! Che Dio la benedica! Che Dio la benedica!
Rosalie si mosse verso di lei, lo sguardo ancora incerto, ma il primo sorriso di chi assiste, piano piano, all’avverarsi di una speranza. In quel momento, Madame Lucille disse: – Ora vado ad aiutarli! Ti lascio con il signore, se gli occorre qualcosa ci pensi tu?
– Il signore… chi?
Lucille si volse indietro. – Prego, entrate pure! – Poi spalancò la porta e introdusse l’ospite nella piccola stanza. Era un uomo in carne, imparruccato e dall’aria solenne, ben vestito. Portava una valigetta.
– Dottor Lassonne! – esclamò la ragazza, e subito gli andò incontro. Fece un piccolo inchino, rapido e compito. – Benvenuto.
L’uomo fece un gran sorriso, affatto sorpreso di vederla. – Madamigella Rosalie… è un piacere rivedervi dopo tanto tempo.
– È passato molto tempo, è vero. – la voce di Rosalie si tinse di una malinconia rosata, di quelle che non soffrono rimpianto.
– Da quel terribile raffreddore di Madame Grandier.
– Sì… – e Rosalie si perse ancora in qualche ricordo. Bernard stette a osservarla, muto. Non era stato inserito nel dialogo dei due, ma soprattutto, comprese quanto fosse carico di allusioni a un’altra vita; lui conosceva Lassonne da una manciata di giorni, perché l’aveva curato una volta in casa di Oscar, ma le parole che lui e Rosalie si rivolgevano indicavano una più profonda confidenza, e, soprattutto, lei sembrava cambiata. Dalla offesa fierezza che gli aveva opposto pochi attimi prima, eccola tornata soave, fresca e lieta. Bernard, grande intruso della sua vita, non previsto e forse non voluto, assistette a quegli scambi con vaga tensione.
In quel momento Lassonne si rivolse a lui.
– Come vi sentite oggi, Signore?
– … me… meglio. – balbettò Bernard, distogliendo immediatamente lo sguardo. Dalla finestra si vedeva il tetto della casa vicina, cadente ma abitato da voli di passeri. Presto sarebbero arrivate le rondini, pensò Bernard: si stupì dell’incongruenza della sua mente. In quel gelido inverno la primavera tardava anche solo a sognarsi.
– Non mi sembra, a giudicare dal vostro viso. – replicò il Dottore, e anziché chiedere a lui, si volse a Rosalie. – Ha dormito?
Rosalie abbassò lo sguardo a terra. – Un po’… credo.
Bernard si aspettò che lei tornasse a guardarlo. La attese, anzi, la cercò con gli occhi. Niente: la ragazza si era di nuovo chiusa in una posa dignitosa e offesa.
– Non abbastanza, temo. – riprese Lassonne. Osservò il piatto della minestra che era stato in buona parte rovesciato. Lo analizzò con una smorfia, poi parlò ancora a Rosalie. – Con i viveri che vi ho portato, potrete preparare pietanze più nutrienti. È fondamentale che il paziente mangi regolarmente, e… – indugiò sulla ragazza, sorridendo mesto. – … anche voi, Madamigella Rosalie… Madamigella Oscar non mi ha raccomandato altro che questo. I viveri sono per tutti: il vostro ospite, voi e la vostra padrona di casa.
Rosalie riprese il suo sorriso soave e nostalgico. Annuì, con serena delizia. – Riferitele, vi prego, che le siamo immensamente grati. Non sappiamo come ringraziarla, e ringraziare voi.
Lassonne annuì a sua volta. – Adesso è il caso che controlli la ferita e cambi le bende.
– Sì. Vi lascio…
– … no, Madamigella, se vi è possibile, vi chiederei il favore di restare. Avrò bisogno di assistenza. Dell’acqua, innanzitutto.
– Sì… subito. – disse Rosalie, dopo un attimo di esitazione.
Bernard, annichilito, combatteva tra lo stupore, la curiosità e la desolazione. Non era riuscito a distrarsi un istante da tutto quel dialogo, e spesso lo sguardo, suo malgrado, era andato in cerca di Rosalie, del suo viso a tratti fiore, a tratti fiamma. Percepiva, in cuor suo, il peso di una colpa che non sapeva definire, e un disagio crescente man mano che gli istanti passavano e lei si comportava con freddezza.
– Signore, vi ho portato del laudano. Per aiutarvi a dormire, nel caso il dolore sia troppo.
Bernard restò immobile, una pietra, un burattino. Lassonne non si diede pena di interrogarlo, per il momento.
– Dovete mettervi seduto. Vi aiuto.
Bernard si lasciò issare a sedere, facendo qualche smorfia a denti stretti per il dolore che si svegliava ancora, con fitte sferzanti.
Poi la porta si aprì ancora. Rosalie tornò dentro, si accostò alla porta e vi appoggiò la schiena, per chiuderla. Recava un vassoio e una bacinella d’acqua. Aveva uno sguardo severo e infastidito.
Lassonne lo aiutò a togliersi la camicia scura. Poi prese a spogliarlo delle bende, con accorta perizia. Il freddo della stanza e del mattino invernale andò a mordere la pelle nuda di Bernard, e ancor di più il punto in cui, sulla spalla, egli percepiva il buco rosso e tumefatto che Oscar gli aveva lasciato per ricordo. Percepirlo, non vederlo: quella vigliacca gli aveva sparato alle spalle, contro ogni aspettativa. L'aveva giudicata incapace di farlo, eppure l'aveva fatto, l'aveva quasi ucciso.

– Ora scendi da cavallo. Aspettiamo André.
– E se rifiutassi?
– Cosa?
– Vuoi spararmi? No... non credo proprio che lo farai. 
– ... !
– Me ne vado. Ci sono molte cose che devo ancora fare. Ci rivedremo.
– Fermo!
– Tra tutti i nobili che ho conosciuto, tu sei uno dei migliori. Non spareresti mai alle spalle a un uomo disarmato.
– Dipende da chi è...

Poi uno sparo, la spinta di un colpo secco, lancinante, alla spalla. Era caduto da cavallo, e l'aveva maledetta con gli occhi: cane, cane della Regina! Ricordava il durissimo impatto con la terra, il dolore esploso dalla spalla al centro del petto. I sensi annebbiati, il vento crudele. E lei, quella dannata, aveva gridato ancora qualcosa; Bernard non ricordava bene cosa, ma aveva sentito presto anche la voce di André, prima di svenire del tutto.
"Un giovane di buon cuore, coraggioso, generoso anche se avventato, che aveva bisogno di un luogo in cui riposare da molti affanni e pericoli."

Prima gli sparava e quasi l'ammazzava, e dopo tesseva le sue lodi per lettera? Cane della Regina, vigliacca, ipocrita.
Bernard sbirciò Rosalie. Lei attendeva ordini con lo sguardo fisso a terra, spento.
Come aveva fatto, la donna Colonnello, a ridurre così quella figlia del popolo? A farla così innamorare di sé? Perché Rosalie le portava una devozione cieca e adorante che somigliava a sincero amore. Le brillavano gli occhi, quando parlava di lei. L'aveva difesa con tale veemenza, quello sgricciolo di fanciulla... e anche lui, si rese conto, era stato lì lì per sottovalutare il Colonnello, per crederla migliore di tutti gli altri.
Per ammirarla.
Bernard si fece torvo, lasciò stare il viso di Rosalie. Tollerò le cure con stoica fermezza.

Quando il Dottore terminò le medicazioni e rimise Bernard disteso, diede la sua diagnosi.
– Ci vorrà almeno un altro mese per guarire del tutto. E anche se siete ormai fuori pericolo, dovrete attenervi scrupolosamente alle mie istruzioni. La ferita resta comunque molto seria.
Poi il Dottore si rivolse a Rosalie. – Occorre riposo assoluto. Per calmare il dolore e permettere il sonno, dategli questo. 5 gocce al massimo, in base all’entità del dolore. – E consegnò a Rosalie una boccettina. – Questo invece è l’unguento per la medicazione. – gliene porse un’altra. Lei esitò. – Non preoccupatevi, tornerò io a controllare le bende tra due giorni. Non sarà necessario che lo usiate voi. Ma ve lo lascio comunque. Inoltre, vi stilerò un elenco degli alimenti da somministrargli.
– Bene. – disse Rosalie.
– Arrivederci, Signore.
Bernard non rispose.

Rosalie uscì con il Dottore dalla stanza. L’ultima cosa che Bernard vide prima che la porta si chiudesse furono i suoi capelli di miele, e uno scorcio del suo viso diafano, fisso in un’espressione neutra.







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Note.
- Come al solito, per le cure mediche del tempo ho preferito tenermi sul vago, non avendone granché competenza. Per la menzione all’uso del laudano, ho fatto un’ammiccatina al magnifico “Gigante armato” di Pamina71.
- Prossimo aggiornamento tra due domeniche, as always. Grazie a chi passa di qui, come sempre! Un bacione!

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Capitolo 4
*** Sono uno di voi! ***


Bernard rimase solo per tutto il resto della mattinata. Osservò le ore scorrere lungo il soffitto, e il sole farsi un po’ più caldo man mano che si avvicinava mezzogiorno. Dalla finestra entrava un raggio che, pian piano, percorse tutta la coperta che celava il suo corpo. Misurò il tempo dal volgersi di quel raggio.

A volte, quando la stanchezza prendeva il sopravvento, chiudeva gli occhi per sonnecchiare. Poi si riaveva all’improvviso e osservava con insistenza la porta e la stanza intera, nella tacita speranza di non essere solo.

Dopo la medicazione di Lassonne, si era sentito così stordito da non percepire più niente; né la fame, né la sete, né altri bisogni. Pensava, in segreto. Pensava senza riposo.

 

All’ora di pranzo, la porta finalmente si aprì. Bernard si volse di scatto.

Non era Rosalie. La stazza generosa di Madame Lucille si parò nella cornice della porta, e si introdusse nella stanza con fare allegro. Portava un vassoio con un piatto di zuppa di carne e verdure, che dal profumo e dall’aspetto faceva invidia a un ristorante del Palais Royal.

– Ecco... – disse, sedendosi accanto al letto. – Ce la fate a mangiare da solo?

Bernard si mise faticosamente a sedere, puntellandosi su un braccio solo. Lucille si affrettò a mettergli dietro la schiena il cuscino, in modo da offrirgli un sedile più comodo. Bernard tornò a rilassarsi, con un lungo sospiro.

Provò a portare da sé il cucchiaio alla bocca, con molta fatica. Mangiò, tutto sommato, di gusto, anche se lentamente. Accompagnò gli ultimi bocconi con del pane fresco che Madame Lucille gli spezzò prontamente.

Il sollievo del cibo fu immediato. Meno, quello dello spirito.

– Dov’è… Madamigella Rosalie?

Lucille fece un gran sorriso, poi scosse la testa.  

– È andata al mercato. È una ragazza così cara… dice sempre che mi affatico troppo anche per lei, così mi ha proposto di darle il cambio e di restare io a casa con voi, perché potessi riposarmi. Anche se è arrivato tutto questo bendidio, non è saggio chiudere ai clienti…

– Voi… lavorate al mercato?

– Sì… vendo fiori. Ho un panchetto...

– Anche… anche Rosalie?

– No, lei cuce. È giovane, ma è già molto brava. Ogni tanto, nonostante la crisi, riesce a vendere qualcosa… una camicia, un paio di calzoni. E questo ci aiuta a tenerci a galla… anche se le tasse sono altissime, e così il prezzo di ogni cosa. Per non parlare di stoffe e filo… è sempre più difficile per lei procurarsi del buon materiale. Ma con quello che è arrivato oggi qui, sono sicura tornerà con una bella spesa, e potrà lavorare a nuovi vestiti. Sui fiori, invece, non ci spero granché. I poveri non comprano fiori… vorrei avere un nuovo negozio, in una buona zona di Parigi, per attirare clienti migliori! Con i ricami di Rosalie e la mia esperienza, le nostre composizioni sarebbero degne perfino della casa di un nobile! Ha un occhio magico e un ottimo gusto, quella ragazza… ma tant’è, verranno tempi migliori, vogliamo sperare.

Madame Lucille parlava a ruota libera. Bernard la ascoltò con attenzione crescente. Si figurò Rosalie alle prese con fiori, clienti, ricami, leggiadra e dolce come acqua di fonte.

– Quando… quando tornerà? – chiese, con voce spenta.

– Al tramonto.

Bernard tacque. Aveva un grandissimo desiderio di rivederla. Non meditava di chiederle scusa, non ancora. Ma gli pesava molto aver ricevuto proprio da lei parole dure, e quel sospeso lo rendeva triste e frustrato. Continuava a immaginarsela, vivida come un bocciolo tra i rovi, lei con tutto il suo mistero. 

 

Rosalie non tornò che a sera, molto dopo il tramonto invernale. Le sette erano suonate da un pezzo, quando Bernard udì la voce della ragazza venire dal corridoio, intrecciarsi a quella di Madame Lucille. Sembrava allegra e vivace, e questo lo sollevò molto. Presto, si disse, lei sarebbe comparsa alla porta. Lui le avrebbe parlato con gentilezza, avrebbe cercato di farle capire che non era arrabbiato con lei. Le avrebbe anche chiesto come mai nutrisse tanta fiducia in Oscar. C’erano troppe cose che desiderava sapere, e il riposo forzato (appesantito, non alleggerito, dalla logorrea interminabile di Madame Lucille) non aveva fatto che eccitarlo ancora di più all’azione.

Ma Rosalie non venne mai. Bernard sentì ancora le due voci, sempre acute e ridenti, provenire dalla stanza vicina; ma in quella ilarità non fu incluso. Dopo un poco, Madame Lucille tornò da lui in una scena assai simile a quella del pranzo. Lo aiutò in vario modo, gli somministrò un pasto a base di uova, carote e piselli, tastò la sua fronte e poi lo riaccomodò tra le coperte.

Appena la donna fece mostra di congedarsi, Bernard non trattenne più le domande.

– Madamigella Rosalie è a casa, vero?

– Sì.

– Il lavoro… ?

– È andata bene, oggi. Ha venduto cinque mazzi di fiori, e comprato tre rotoli di stoffe nuove! Con queste, ha intenzione di…

– Dov’è, adesso? Sta riposando? – tagliò corto Bernard, e Madame Lucille lo guardò stranita.

– No! Si è già rimessa al lavoro.

– Potreste…

– Sì?

– … ecco, dirle che vorrei parlarle?

– Certamente. – disse Madame Lucille, sparecchiando. Uscì, lasciando silenzio; Bernard tese l’orecchio per percepire, dall’altra stanza, l’eco delle voci delle due donne. Gli parve di cogliere un sommesso brusìo. Dopo pochi istanti, i passi tondi di Madame Lucille risuonarono fino alla porta. La donna si affacciò con viso spiacente.

– Ecco… mi ha detto che non può raggiungervi, è molto occupata con il lavoro… è una cosa urgente? Potete dire a me, se volete…

Bernard si sentì come il viandante zuppo d’acqua che si ritrova, di colpo, picchettato di grandine. Solo una stanza li separava, ma Rosalie aveva deciso di non cedere al suo invito; di non vederlo.

– Oh… no, non è urgente. Non preoccupatevi. Volevo solo… salutarla.

– Grazie, riferirò. – disse Madame Lucille, sorridendo di nuovo. – Se non avete bisogno d’altro, vi do la buonanotte.

– Buo… buonanotte.

 

Nella notte, Bernard dovette alzarsi. A fatica, cauto per non svegliare il dolore alla spalla, cercò dell’acqua. La trovò sul proprio comodino, se ne servì a tentoni. Guardò la finestra, da cui filtrava ben poca luce. Fuori, si udivano suoni lontani di cani che abbaiavano. Si guardò intorno, poi, gli occhi enormi nella penombra, e notò che la porta della stanza in cui si trovava era socchiusa. Se ne accorse perché, nell’aria scura e gelida del corridoio, era possibile discernere una ferita di luce che proveniva dalla porta della stanza adiacente. 

Quel segno di vita lo chiamò come una falena. Possibile che lei fosse ancora sveglia...

Si mosse lentamente, più silenzioso che poté: tutta la casa era immersa in una quiete profonda e orgogliosa, che gli parve sacrilego rovinare.

La porta della sua stanza cigolò, lui stesso trasalì e cercò di tenerla a bada. Si aggrappò al muro e procedette fino all’orlo dello spiraglio luminoso.

Gettò uno sguardo dentro la porta socchiusa.

La vide di spalle. Capelli color miele, un abito di rosa stinto. Era proprio Rosalie.

Bernard mosse la porta con cautela, riuscendo a non farla cigolare. Si appoggiò allo stipite.

La ragazza si era addormentata sul lavoro. La candela era rimasta accesa, continuando a consumarsi, ma lei giaceva in un riposo sfinito, appoggiata alle proprie braccia e al tavolo, con un vecchio scialle scomposto sulle spalle e i capelli. Dormiva profondamente, il corpicino sottile che ondeggiava fragile al suono del respiro. La bocca schiusa in un’espressione malinconica, gli occhi stretti. Sotto di lei e sulle sue ginocchia, un lenzuolo di lino cui aveva iniziato a fare l’orlo.

Bernard non fece parola. La osservò segretamente, mandando a memoria l’ennesima novità del suo viso: l’abbandono del sonno, la tenerezza dell’essere scoperti e indifesi e inconsapevoli. Il modo in cui portava i capelli, stretti alla base del collo, che era bianco e sottile tra il nastro e il colletto.

Quando incrociò la candela che arrossava i riflessi dei capelli di lei, Bernard si sentì come abbagliato. Strizzò gli occhi e volse il capo, esitante. Allora scorse, in quella cucina disadorna, un angolo arredato da un giaciglio poverissimo, un lettino ottenuto con della paglia e disposto al livello del suolo. Fu una vista che lo impressionò un poco. Si figurò la fanciulla costretta alla durezza del suolo, fiera e dignitosa pur nella privazione. La immaginò, così soave com’era nel sonno, sdraiata e racchiusa in se stessa, gli occhi chiusi e la bocca nascosta tra gli abiti e le coperte.

 

Bernard era sempre più confuso. Tese una mano verso di lei, quasi senza pensare. Non poteva lasciarla così, le avrebbe reso il suo letto, perché era chiaro, ormai, che il letto di cui lui aveva approfittato appartenesse a lei… e quei suoi capelli morbidi, quelle guance arrossate dal freddo, quella sua serena inconsapevolezza… desiderava toccarla e scuoterla, guardarla negli occhi, ringraziarla e spiegarle quanto si sentisse a disagio. Che non poteva permettere che lei fosse così generosa con lui, donandogli tutto il poco che aveva. Che non avrebbe più offeso la “sua” Oscar, se non le faceva piacere, anche se, ostinato, restava dell’idea che quella donna avesse traviato Rosalie.

Aveva bisogno di dirle qualcosa, qualunque cosa.

 

Ma proprio in quel momento, Rosalie si mosse nel sonno; strinse le palpebre, si lamentò vaga e scosse le spalle. Bernard saltò come un grillo, e subito una piccola fitta alla spalla lo ammonì di non fare movimenti bruschi. Cercò di scivolare via dallo stipite, reggendosi con una mano il punto dolorante. Uscì appena in tempo, e si appostò dietro la porta della cucina.

Rosalie, in quel momento, sbadigliò piano. Bernard la sentì muoversi in delicati fruscii. Sul soffitto della cucina vide danzare ombre; la ragazza si era alzata, si stava avvicinando al suo misero giaciglio. Bernard immaginò la ragazza che si sedeva e si rannicchiava sotto la coperta. Poi, un soffio violento: Rosalie spense la candela, e Bernard piombò nell’ombra più nera.

 

Suonò mezzanotte.

Bernard rimase per qualche minuto in silenzio, circondato dall’ombra. Attese un tempo ragionevole perché Rosalie potesse riaddormentarsi. Poi, forse esasperato da quella giornata priva di parole, forse spaventato da quello che sentì di provare, andò a cercare il suo mantello. In un tempo lento, lentissimo, percorse il buio e arrivò all’atrio. Aprì la porta. Fuori c’era la notte sua alleata, uno spicchio di luna e la coscienza della libertà. Vi si abbandonò.

 

Il suo piano prese forma proprio mentre il freddo lo aggrediva con mani implacabili. Il quartiere del Tempio non era troppo lontano dal convento dei Carmelitani. Lì avrebbe potuto chiedere ospitalità e aiuto per raggiungere, presso Rue Saint-Honoré, il convento di San Giacomo. E una volta arrivato laggiù, avrebbe potuto chiedere di vedere Robespierre. Avrebbe mandato un avviso a Rosalie il giorno dopo, quando tutto questo si sarebbe compiuto. Sì, era l’idea migliore.

 

Camminava appoggiandosi alle pareti delle case, con passo lento ma fermo. Il suo cuore bruciava, preso da un ardore di cui non sapeva riconoscere tutti i segni. Sapeva soltanto che doveva fuggire da quella casa e non approfittare più di alcuna ospitalità, ritrovare i suoi compagni e riprendere la missione per cui tanto aveva lottato. Avrebbe cercato di rispettare i patti con Oscar, perché era un uomo di parola. Ma avrebbe ricominciato da capo con un altro nome, un’altra apparenza. Non poteva permettere più che Rosalie, o qualunque altra fanciulla, vivesse in simili condizioni, che ci vivessero i bambini, e i vecchi, le madri di famiglia e tutti gli uomini che trascorrevano il giorno impiegati in lavori durissimi. Non poteva restare insensibile al grido di dolore dei Francesi, non ci riusciva. L’anima gli sanguinava di pietà.

 

Finalmente sbucò in Rue du Temple. Continuò la sua ostinata passeggiata, sempre rasente i muri, lo sguardo a terra, perso nei propri pensieri. Allora udì delle voci sparse. Alzò il capo per localizzarne l’origine. Un gruppo di persone si era riunito in fondo alla strada, parandosi lungo il suo percorso. Erano cittadini di Parigi, a occhio e croce una ventina. Avevano con loro torce, forconi, bastoni.

 

Uno di quegli uomini lo notò prima degli altri.

– Arriva qualcuno!

Bernard si fermò, impietrito.

– È un nobile? – sentì chiedere.

– Non ha galoppini né carrozza… forse si è perso… – risposero altri.

– No!, – gridò Bernard, mentre la folla si avvicinava, compatta nel suo unisono che pareva farsi minaccioso – non sono un nobile!

Un attimo, e la miccia fu innescata.

– Lui dice così… ma guardate com’è vestito pulito…

– Che c’è, bello, sei uscito da un festino?

– Barcolla! Sarà ubriaco…

Bernard indietreggiò. – Sono uno di voi… lasciatemi passare, vi prego!

Non c’erano preghiere da fare, però. La folla l’aveva puntato.

– Dacci i tuoi soldi, amico, subito…

– Anche se non sei un nobile, sei più vestito di noi…

– Abbiamo freddo, maledizione! Maledetti nobili e ricchi!

– Il mantello è mio! È per mio figlio!

– Io voglio la sua camicia!

– Guardate che begli stivali ha!

– Prendiamolo.

 

Bernard si trovò braccato, così dal nulla. I popolani lo incalzarono senza fretta, come una squadra di gatti che accerchia un topo. Lui correva come poteva: poco tempo prima sarebbe stato capace di ben altro, saltare sui tetti, scattare via come una scheggia, ma non gli era possibile, nelle sue condizioni. E loro erano sempre dietro, lentamente, costantemente. Li sentiva ridere alle sue spalle. Si voltò a controllare quanto fossero vicini. Vide il delirio di quei visi bagnati dalla luce delle fiamme, la loro folle sicurezza di poterlo prendere, giocando con lui fino a distruggerlo.

– SONO UNO DI VOI! – lanciò di nuovo, muovendosi a scatti, agitando il pugno: così facendo, però, li eccitò come mosconi all’odore del sangue. Uno di loro lanciò una sassata, che lo colpì in piena fronte, vicino alla tempia sinistra. 

La voce gli si spezzò in gola. Sentì un rivolo caldo scendere giù dalla tempia, sporcargli il viso, inzuppargli il mantello. Tamponò la ferita con una mano. Un liquido appiccicoso gli macchiò il palmo e gli raggiunse le labbra, col suo sapore ferroso. Bernard riprese a correre, atterrito. Si gettò, claudicante, nel vicolo da cui era uscito prima, e continuò a dire, tra un rantolo e un altro, – Sono uno… di voi… uno… di voi, DI VOI, dannazione!

Sperò che la folla non si avventurasse nei vicoli stretti. Ma la caccia all’uomo era appena iniziata. Alcuni gli andarono dietro, sempre crudelmente calmi, sempre inesorabili. Altri si mossero per intercettarlo dall’altra parte dell’isolato. Bernard voltò un altro angolo, li perse di vista. Li sentiva però, disciplinati nella loro furia contenuta, come la preda sente sul collo il respiro del predatore.

Il terrore, il buio lo accecarono. Inciampò, cadde, la terra gli sbatté addosso, gridò: dalla spalla venne una fitta atroce, umida come il sangue che gli stava ubriacando i sensi.

Non era credente, e avrebbe invocato Dio solo per maledirlo. Il dolore gli impediva però di gridare, pure di pensare. Si sentì perduto.

 

A un tratto, un corpo caldo e sottile lo avvolse. Un sussurro: qualcuno lo chiamava, lo scuoteva febbrile.
– Monsieur Bernard! Dio mio… Monsieur Bernard!
Una voce soave, anche nel pericolo...

 

Rosalie fece più in fretta che poté, bianca di paura a sua volta. Si passò un braccio di Bernard attorno alle spalle, lo assicurò al proprio abbraccio. Lo supplicò di alzarsi, di fare in fretta. Bernard annuì confuso, si issò in piedi allacciato a lei. Barcollava, ma Rosalie lo resse saldamente. Lo condusse tra i vicoli, ansimando insieme a lui, trasalendo a ogni gemito di dolore che veniva da lui.

– Ci siamo! Un piccolo sforzo ancora! Coraggio! Coraggio!

Erano ansiti concitati, quelli di Rosalie, mentre le voci di quegli uomini si assottigliavano in echi che, sebbene sembrassero allontanarsi, a volte arrivavano ancora, come gli ultimi tuoni di un nubifragio.

 

La porta di casa apparve come la soglia del paradiso.

Vi si tuffarono dentro. Rosalie chiuse di scatto abbassando la sbarra, un suono secco. Poi un silenzio attonito, un sospiro profondo. Bernard si lasciò cadere a terra, reggendosi la spalla con una mano, stordito dal dolore, scosso da singhiozzi improvvisi e sfrenati. Rosalie cadde in ginocchio accanto a lui, ansante.

– Sono… uno di loro… allora perché… perché… – mormorò Bernard, ferito nel corpo e nello spirito. Tremava come se delirasse.

Rosalie gli si avvicinò al buio. Tese lenta le braccia, cercandolo. Lo trovò, lo avvolse con cauta delicatezza.

– Va tutto bene… tutto bene… siamo salvi… – mormorò, il piccolo corpo teso e fremente, spavento e sollievo insieme. Bernard aveva in bocca e al naso il sentore del sangue, ma il calore della fanciulla lo raggiunse con fragranza di zefiro.

Di scatto, lui l’abbracciò più forte, quasi disperato. Era bisognoso di quel calore, come un magnete cerca il ferro. Era impreparato a quel bisogno, aveva cercato di fuggirlo, di spegnerlo; ma quando si trovò tra le braccia di Rosalie, sentì di nuovo il cuore infiammarsi, le lacrime premere al confine degli occhi; e finalmente si abbandonò alla dolcezza, pianse, pianse bene e a lungo, e liberò sul petto della fanciulla tutta la sua fragilità, la sua pietà, la sua paura.

 

 

 

 

 

 

_________________

Note.
- Eccomi, lievemente in anticipo (sul ritardo, uahahahahahah!) perché domani sarò un po’ incasinè! Grazie a chi mi ha aspettato per questa storiellina!
- Cercavo un lavoro da far fare a Madame Lucille, mi è venuta l'ideuzza che avete letto e ho chiesto come sempre supporto a Santa Madame Anna. Dunque ho avuto conferma che le nostre due donnine tra fiori e ricami se la cavicchiavano, ma la situazione non era affatto rosea. Certi giorno solo minestra senza niente, come ben sappiamo.
In ogni caso, finalmente un certo monumento è in preparazione! Come potete vedere ci sono ancora le impalcature e lo stanno ultimando, ma eccolo:

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Capitolo 5
*** È solo il vostro sangue ***


– Ah! – scattò Bernard, appena l’unguento gli toccò la ferita.

– Oddio… perdonatemi. Vi faccio male? – La voce di Rosalie seguì di rimando, un sussurro preoccupato.

Bernard strinse i denti. – No… no.

– Ancora un poco di pazienza… ho quasi finito.

Bernard chiuse gli occhi. Rosalie continuò a medicarlo alla spalla, così come aveva visto fare al dottor Lassonne la mattina stessa. Dopo la corsa tra i vicoli e la caduta, la ferita del giovane si era riaperta, e la ragazza aveva pensato bene di porre subito rimedio, perché Lassonne sarebbe tornato solo dopo due giorni.

Bernard scoprì, così, che al mattino lei era stata ben vigile, al contrario di quanto aveva creduto; aveva assistito alla sua medicazione con silenziosa diligenza, mandando a mente tutto ciò che doveva essere fatto. Quasi si aspettasse da lui colpi di testa come quello che aveva appena compiuto. Anche quand’era stata in collera con lui, lei gli era rimasta vicina…

E anche in quel momento era lì, seduta sul bordo del letto accanto a lui; percorreva con le sue piccole mani il contorno della ferita di Bernard, usando l’unguento lasciatole dal dottore. Era stato quello a fargli male, perché il tocco di lei, di per sé, era come un soffio di piuma.

Bernard non sapeva come intendere quella delicatezza. Un segno di cura e attenzione per non aggravare il suo dolore fisico… o timidezza? Bernard non poteva saperlo. Se la fanciulla in quel momento avesse pudore per quanto stava facendo (lui si era denudato il torace, per forza di cose), e se il viso di lei fosse arrossato d’imbarazzo, lui non poteva vederlo perché stava chino sul petto, chiuso in se stesso e stordito di freddo, emozioni e stupore; era timido più di lei, forse, dopo tutto quello che era accaduto quella notte.

– Perché… siete fuggito? – le sentì chiedere, dopo un lungo silenzio.

Bernard accolse quella voce con un piccolo sorriso. Parlò senza troppe riflessioni, con un velo di amarezza in cuore. – ... perché ho tante cose da portare avanti. Non posso fermarmi.

– … se quegli uomini vi avessero raggiunto, – e sulla voce di Rosalie pesò un poco di rimprovero – come avreste portato avanti queste vostre cose?

Bernard decise di non rispondere a quelle parole. Disse, piuttosto: – … finora vi ho dato solo disagi. E continuo a darvene.

– L’unico vero disagio che mi avete dato è stato quello di stanotte. Quando ho sentito la porta aprirsi… e poi vi ho trovato nel vicolo, così ferito, io…

Rosalie tacque di colpo. Bernard attese un poco, poi, vedendo che lei non parlava:

– … voi… cosa?

– … lo farete ancora? Fuggirete e rischierete la vita?

Bernard trattenne un attimo respiro e parole. Poi, lento, ancora timido, chiese a fil di voce:

– … temete per me?

Rosalie pure esitò, e le sue mani si fermarono un attimo. Poi rispose:

– … se l’uomo che mi ha affidato Madamigella Oscar fosse… se gli fosse accaduto qualcosa, come avrei potuto perdonarmelo? Certo che temo per voi.

Bernard contenne la delusione in un sospiro impercettibile. – È vero… voi avete una responsabilità con… Oscar.

Frattanto, Rosalie aveva quasi concluso la medicazione. La ragazza tenne lo sguardo basso, fisso sul proprio compito, mentre fasciava saldamente il petto e la spalla di Bernard. Lui la lasciò fare, l’aiutò spostando il braccio come il dolore gli permetteva. Sbirciò ogni suo movimento, e ogni volta che lei compariva al suo fianco seguendo l’avvolgersi delle bende, la osservava dritta in viso, anche sfuggente com’era. Contemplò i suoi occhi grandi, le sue guance che gli parvero, in quella penombra, rosse e accese, la sua piccola bocca disegnata a cuore, stretta in un’espressione neutra e concentrata.

Finito di fasciarlo, Rosalie lo aiutò a vestire la camicia. Anche in quel momento, di tanto in tanto lui poteva cogliere su di sé il tocco rapido delle mani di lei, che appena lo sfioravano, già fuggivano come passeri. Tuttavia, Bernard non si sentì rifiutato e respinto da quelle minuscole fughe. Al contrario.

La barriera tra di loro era crollata. Quando, poco prima, erano riusciti a guadagnare il riparo della casa, si erano abbracciati. Nell’atrio, lei l’aveva cullato e consolato, l’aveva accolto delicatamente al seno con quella sua forza gracile e commovente. E pure in quel momento, mentre lei lo curava e stava a discreta distanza, anche se cercavano di dimenticare quella stretta disperata cui si erano abbandonati, Bernard aveva fame di scoprire Rosalie in ogni scorcio ed espressione, di decifrare il blu dei suoi occhi – così grandi, così profondi –, di sapere cosa lei provasse, sempre, in ogni istante. Di continuare a rimanerle vicino, così vicino da sentire il suo profumo.

Come se avesse udito i suoi pensieri, Rosalie alzò prima il mento e il viso, solo alla fine lo sguardo. Proprio quegli occhi blu, grandi e profondi, si fermarono in quelli del giovane. Bernard si sentì investito da quella stessa luce calda che lei spandeva ovunque, e se ne fece rapire. Sorrise inconsapevolmente: il viso di lei, così vicino, gli dava agio di guardare ogni dettaglio. Così si accorse che, lungo il collo e sugli abiti di Rosalie, la sua pelle e la stoffa erano sporcate da una macchia porpora, che già si seccava in marrone.

Sgranò gli occhi, si allarmò. – Siete ferita… !

– È solo il vostro sangue. – sussurrò Rosalie, distogliendo, schiva, gli occhi da quelli del giovane. Fissò piuttosto la propria attenzione alla ferita fresca che lui aveva a un angolo della fronte; aveva smesso di sanguinare, ma metà del volto di Bernard era cosparso da una poltiglia rappresa e appiccicosa, dal sapore di ferro e polvere.

– È stata… una pietra. – ricordò lui, capendo il senso di quell’occhiata.

Rosalie intinse nel catino una pezza pulita. La bagnò e la strizzò con energia. Mani piccole, pensò Bernard, ma così capaci di decisione o di discrezione, a seconda del bisogno.

– Vi pulisco il viso… – spiegò lei, e mosse la mano sinistra. Sfiorò il mento di Bernard e si ritrasse di nuovo, con quel suo piccolo istinto di passero. Lui si chinò per aiutarla, per incoraggiare quel contatto. Rosalie gli tenne il viso in punta di dita (dita fresche, gentilissime) e Bernard sentì presto il refrigerio dell’acqua sulla guancia. Chiuse gli occhi per un poco, godendosi quella delicatezza.

Il panno faceva un piccolo attrito con la peluria leggera che gli stava crescendo sotto gli zigomi, troppo rada per appartenere a un uomo, ma già evidente, segno che il ragazzo Bernard non esisteva più.

Bernard si riscosse solo un attimo, quando sentì il panno sfiorargli la ferita. Anche Rosalie sussultò, e lui aprì subito gli occhi. Godette dello sguardo turbato di lei, della visione delle sue labbra socchiuse per l’incertezza.

– Non mi fate male. – la rassicurò. – È stato solo un attimo.

Rosalie risolse il dubbio in un sorriso. Era quello che Bernard aspettava: il suo sorriso gentile e caldo, con altra luce ad aggiungersi al brillare dei suoi occhi. Si arrese al piacere di quella vista, indugiò lungo la soglia dello stupore, grato come il suolo è grato alla pioggia autunnale. Le parlò ancora, sollevato, un poco impacciato.

– Il destino… gioca strani scherzi. Proprio io, soccombere al Popolo… è… quasi comico.

– Se avessero saputo chi siete… non vi avrebbero mai fatto questo.

– Lo so. Non è loro, la colpa.

La ragazza tacque, negli occhi un velo di malinconia. Dopo qualche istante, Bernard tornò serio.

– Rosalie… – la chiamò per nome. – … vi prego… ditemi chi è Oscar per voi.

“Chi è Oscar per voi”, le disse proprio così. Non aveva ragionato sulle parole da usare, ma così uscirono, istintive e per questo sagge.

Colse nel segno. Rosalie tornò a lui immediatamente, sgranando un poco gli occhi. E diventò seria, solenne, e il viso diafano le si colorò di un rossore nuovo e vivace, e la bocca rise come per Bernard non aveva ancora mai fatto.

– È la persona cui devo tutto. – gli spiegò, appunto seria e solenne, e aggiunse, gli occhi pieni di stelle: – La persona che amo di più al mondo… da quando sono morte la mamma… e mia sorella.

Bernard percepì nel proprio cuore una fitta indistinta, una sferzata di un sentimento incomprensibile, l’ennesimo che arrivò ad abitare il suo animo in quei giorni. Si stava popolando di ospiti sconosciuti, Bernard, di sensazioni del tutto nuove. Non le capiva, non sapeva gestirle. Non poteva, così, nemmeno esprimerle.

– Capisco. – disse soltanto.

Rosalie gli fasciò il capo, per dare conforto anche alla ferita della fronte. La ragazza sembrava aver tratto dalle proprie stesse parole per Oscar un’energia nuova, euforica. Raddoppiò le attenzioni su Bernard, ma, nel toccarlo, non si ritrasse più, non tremò di timidezza. Lo maneggiò con sapiente distacco da infermiera. Lo accomodò tra le coperte come si fa con un bambino malato, e a lui sembrò così distante a quel punto, così ricompresa nella propria serena, lontana cortesia.

Lui, al contrario, non poté accomodare il cuore come lei gli rimboccava il letto.

Un attimo prima che lei si scostasse dal suo giaciglio, Bernard cercò la mano di Rosalie, l’afferrò.

Lei sussultò, smise di essere lontana. Lo guardò con sorpresa e una nota d’allarme.

– Non fuggirò più. – le disse, lo sguardo grave e la bocca serrata in una promessa.

Rosalie si rilassò, addolcì il sorriso. – Ne sono felice.

– Ti devo la vita, Rosalie.

– Forse la dovete a Madamigella Oscar, ma a me...

– … la devo a entrambe voi.

Rosalie si schermì. – … perché parlate sempre di debiti e di crediti, Monsieur Bernard? – Poi, con un sorriso sicuro, aggiunse: – Un uomo come voi, che ha dato tanto alla povera gente, dovrebbe conoscere il valore di un dono.

Bernard, rapito, sentì che lei gli stringeva la mano a sua volta, la vide chinarsi verso di lui. Per un attimo il suo cuore volò, pur indebolito da tante emozioni e prove fisiche; si perse negli occhi caldi e dolci di lei. Poi lei sussurrò, proprio come si fa con i bambini, il suo profumo vicino al viso smarrito del giovane:

– Riposate. Dovete essere molto, molto stanco. Io sarò nella stanza vicina.

Rosalie sciolse delicatamente la presa delle loro mani, allontanandosi gentile, radiosa, come se non provasse la stessa stanchezza. Poi, uscì senza chiudere la porta.

Bernard fu commosso fino alla radice del cuore. Pianse ancora un poco, con una dolcezza impensabile, con le labbra chiuse e asperse di sale. Furono solo poche gocce amorose agli occhi, l’ultima pulizia alla ferita dell’anima. Il sonno lo raccolse, allora, in un abbraccio morbido e geloso.

Bernard riposò davvero, quella notte.

 

 

Da quel momento i giorni si distesero, e nella piccola casa del quartiere del Tempio, una delle tante, l’unica che portava un fazzoletto rosso alla maniglia, la serenità ebbe una terza anima. Rosalie non era mai stata persona buia, e nemmeno Madame Lucille. Sebbene non le legasse alcun legame di sangue, sembravano allegramente zia e nipote. Bernard le osservava spesso senza intervenire, ma risentiva profondamente dell’aria di armonia che regnava in casa; specie dopo i doni di Oscar, sciolta l’immediata preoccupazione di cibo e indumenti per proteggersi dal freddo, le due donne si diedero a una euforica letizia, e i giorni di pace si susseguirono costanti.

Lassonne tornava regolarmente. Come previsto, ci volle un mese intero perché Bernard recuperasse le forze in modo convincente; ma il riposo forzato non lo indispettì più. Spesso, di giorno, Madame Lucille andava al mercato, come di consueto. Erano i momenti che lui preferiva.

Rosalie veniva nella sua stanza, portandosi del lavoro, e si facevano reciproca compagnia. Loro due, soli.

 

Presto, Bernard venne a capo del grande mistero di Oscar e Rosalie. La ragazza gli raccontò cos’era accaduto anni prima, quando lui l’aveva accompagnata al cimitero per l’ultimo saluto alla madre, e l’aveva persa di vista.

– Ero ossessionata dalla ricerca della donna della carrozza, – raccontò lei, e Bernard seduto sul letto, attento, – e così andai lungo la strada per Versailles. Cercavo la Reggia… e quando vidi un palazzo… io non avevo mai visto un palazzo di nobili, prima di allora!, pensai che fosse quello. Invece era la casa di Madamigella Oscar. Scavalcai il muro…

E qui Rosalie si tacque, lo sguardo lontano e nostalgico.

– Tu… scavalcare il muro? – chiese Bernard sorpreso, e si figurò la dimora dei Jarjayes.

– … sì, perché fate quella faccia? – rise lei.

– Be’… non immaginavo che tu… ecco… ma non volevo dire che… insomma. – farfugliò lui, imbarazzato. – E poi… ?

Rosalie riprese il tono trasognato di prima. – … e poi arrivò una carrozza. Io mi ero nascosta nel giardino… ed ero così fuori di me… – prese a sussurrare – … così disperata che… credo di aver perso del tutto la testa. Vidi scendere una donna bionda, con un vestito a fiori… e credetti fosse… colei che cercavo.

C’erano punti di incertezza, nel racconto della ragazza. Attimi in cui lo sguardo di lei si incupiva, percorso da emozioni contrastanti. Bernard restava ad ascoltare, affamato di dettagli, un po’ perché giornalista, un po’ perché continuava a subire il mistero della natura di Rosalie. Lo affascinava scoprire in lei la furia e l’orgoglio, e vederli poi sfumare nella consueta dolcezza. Quella fanciulla era una creatura così viva che semplicemente osservarla era per lui fonte di stupore costante, di gioia vera e propria. Era come vedere, in Rosalie, un ideale realizzato, una creatura di viva perfezione. Non trovava mai nulla, in lei, che non gli piacesse; e anche se lei tratteneva gli artigli come fanno i gatti, non aveva mai sentore di una creatura da cui guardarsi. Anzi, percepiva l’ardore sottinteso della ragazza, la virtù, il coraggio. E sentiva di apprezzare queste cose come si ama il sole o il vento: qualcosa di innato, inspiegabile, connaturato all’essere umano.

– … e non era lei, naturalmente. – disse infine Bernard, ansioso di conoscere la continuazione.

Rosalie alzò lo sguardo su di lui, poi annuì solennemente. – No, infatti. Era la madre di Madamigella Oscar.

– Oh. E cosa accadde?

Rosalie tornò seria e pensierosa. Sembrava valutare se parlare o meno.

– … puoi fidarti di me, Rosalie. – disse Bernard, incoraggiante. Poi, però, abbassò lo sguardo. – Ma… se non vuoi dirlo…

Lei scosse il capo. – È che… mi vergogno ancora tanto. È stata un’azione così sciocca… – la ragazza osservò attentamente il volto di Bernard. Lui la stava ascoltando, discreto e partecipe, e alla fine lei si risolse. – L’ho assalita, Monsieur Bernard. – disse in un fiato. – Volevo ucciderla. Mi fermò Madamigella Oscar.

Bernard spalancò gli occhi e la bocca. Andò con la memoria al giorno in cui aveva visto Rosalie piangere sua madre. Ai suoi occhi di ghiaccio, duri di determinazione. Era poco più di una bambina, e si era allontanata da lui senza ascoltarlo, senza accettare il suo aiuto. Ne scopriva il motivo, dunque. Ardeva dal desiderio di vendetta…

Lei chinò il capo, distolse subito lo sguardo. Si affrettò a scusarsi. – So che è terribile… e non è stata l’unica volta che ho agito senza pensare. Ho desiderato cose… veramente orribili. Non ne sono orgogliosa…

– E… Oscar?

– Oh, lei… lei era arrabbiata, ma poi… mi ha portato in casa. Lei e André mi hanno chiesto cosa mi fosse successo. Raccontai tutto… pensai che mi avrebbero fatta frustare, se fosse andata bene… altrimenti… non so. Piangevo, e non sapevo più cosa fare. Non c’era niente al mondo che fosse rimasto in piedi, per me. Avevo perduto tutto. Ogni persona che amavo… ogni desiderio di vivere.

Rosalie guardò il cielo e il tetto vicino, dalla finestra. Era mezzogiorno, e il sole scaldava. Lei aveva gli occhi umidi come stelle, come se stesse per piangere, la voce incrinata in un sussurro tremante.

– E lei… lei mi mise una mano su una spalla… e mi disse che… se volevo… se volevo io… io potevo rimanere con lei. Se non avevo nessuno al mondo, io potevo… vivere in quella casa con lei. Avrei avuto la possibilità di entrare a Corte… avrei potuto cercare l’assassina di mia madre, io… – Rosalie piangeva e rideva insieme, senza sapersi trattenere. Bernard, zitto, pendeva dalle sue labbra, diviso tra consolarla e ascoltare ancora. Poi lei proruppe in luce piena.

– E io… io le dissi di sì!

Bernard rimase profondamente impressionato. Contemplava la felicità genuina di Rosalie e si chiedeva se in vita sua avesse mai sentito il cuore traboccare in quel modo. Pensò ai giorni ombrosi della sua infanzia, a sua madre che sfioriva nel disprezzo altrui, a suo padre assente e ingrato. E perfino in quei giorni in cui seguiva Monsieur Robespierre, l’uomo che gli aveva dato scopo, direzione, e un’idea chiara di cosa andasse perseguito in quel mondo ingiusto, Bernard non poteva dire d’aver provato una gioia tanto intensa quanto quella che si irradiava dal viso di Rosalie. Si sentiva un po’ triste di questo, ma non quanto avrebbe pensato. Si permise per Oscar pensieri più tiepidi. Chinò il capo e…

– Ora capisco molte cose. – disse semplicemente.– Ora so perché non sei più tornata a casa. Ti ho cercata, sai, i giorni dopo l’incidente. Le tue vicine di casa… forse una era proprio Madame Lucille... mi hanno detto di non averti più vista.

Rosalie tornò a lui, gli occhi ancora umidi, meravigliosamente accesi, come le guance.

– Perdonatemi. Non credevo mi avreste cercata. Però ho ricordato sempre il vostro nome… e la vostra generosità.

– Una generosità inutile, perché hai trovato molto di meglio di qualunque cosa io avrei potuto offrirti. – ammise lui con voce malinconica, in un modo che a Rosalie parve dolente, e che le pesò. Tant’è che si affrettò a dirgli:

– Oh, no: voi mi avete dato tanta forza…

– … ma come mai adesso vivi qui? Perché non sei rimasta con Oscar?

Rosalie esitò, poi sorrise. – Il mio posto è qui.

Bernard sentì il cuore scaldarsi. – Qui?

– Qui, tra la povera gente.

– Preferisci questo posto agli agi di un palazzo? – le chiese, ma le credeva già.

– Ho visto Versailles, sapete. Ho conosciuto i nobili.

– … davvero?

– Madamigella Oscar e la sua famiglia… sono veramente pochi i nobili come loro. Il resto… il resto…

Non c’è bisogno di dire quanto queste parole, su tutte, infiammarono Bernard.

– Ti prometto che i tempi cambieranno, Rosalie. – disse, e gli occhi gli brillarono. – Verrà un giorno migliore per tutti noi. La gente vivrà nella gioia. Non saremo più sottomessi e schiavi.

Rosalie lo ascoltò a sua volta, il viso che tornava chiaro e luminoso. – È credendo in questo… che avete deciso di essere il Cavaliere Nero. Non è vero?

– Sì, Rosalie. Tutti noi… tutti noi abbiamo il diritto naturale di essere felici.

Rosalie lo stava fissando. Bernard le sorrise intensamente, l’animo innescato a una sicurezza sfacciata, che non capiva da dove venisse. Era ferito, vincolato a una promessa, ricercato: ma non era finito, per lui, il tempo di sperare sinceramente.

– Ecco perché Madamigella Oscar mi ha parlato tanto bene di voi… – sussurrò la fanciulla, timidamente. 

– Oh, mi stupisce che l’abbia fatto. Come mi stupisce che mi abbia lasciato andare… e tutto quello che mi hai raccontato… su di te.  

Rosalie annuì con dolcezza. – Anche io stentavo a credere che esistesse una persona simile. I primi tempi a palazzo Jarjayes mi dicevo che prima o poi avrei scontato quella fortuna, in qualche modo. Ma no, non è mai successo. Madamigella Oscar mi ha insegnato il francese, la storia, la geografia, la matematica. Mi ha insegnato la spada, un pochino di pianoforte…

– Un momento… la spada? – Bernard era sbigottito.

– Certamente… perché potessi vendicarmi… e diventassi più forte.

Le sorprese, per Bernard, continuavano. Aveva un cuore ostinato e una mente ribelle, ma nei giorni successivi, a furia di sentir parlare di Oscar in luce così positiva, sarebbe arrivato addirittura a provare rammarico di non averla conosciuta meglio, passando in quella sua casa elegante e nobile qualche giorno in più. E approvava davvero quello che stava sentendo: al posto di Oscar, forse, avrebbe voluto pure insegnare a Rosalie la spada, come difendersi… e come vendicarsi.

La vendetta, già. Neppure una creatura pura come Rosalie ne era immune, dunque.

– Vuoi ancora vendicarti? – le chiese, già credendo di infiammarla ancora.

– No. – disse invece lei, secca, dura come la spina di una rosa. Anche questo, però, parve giusto a Bernard; adatto a lei, detto in quel modo, con quella forza. Quell’incantevole forza.

– … perché? – le chiese, dopo aver riflettuto in silenzio.

– … perché non voglio che l’odio per lei mi distrugga. – sussurrò la ragazza.

Bernard chinò lo sguardo al lavoro che le mani piccole di lei stavano intessendo. Abili, veloci, erano mani capaci di costruire, non di distruggere.

– … Monsieur Bernard? – chiamò a un tratto la ragazza, e il giovane si riscosse.

– Sì… Rosalie?

– Se avete bisogno di avvisare quei vostri amici… posso comprare della carta e dell’inchiostro. E consegnare per voi quello che vorrete scrivere loro.

Bernard si trovò subito allettato dalla proposta della ragazza. Aveva bisogno di parlare con Robespierre, era assolutamente vero, e anche con Louis Saint-Just. Ma aveva rifiutato l’idea di usare terze persone, specie Rosalie.

– Non è necessario. – disse, senza guardarla. – Appena guarirò del tutto, li raggiungerò.

– … devono essere preoccupati.

– Può darsi. – disse, ma immaginò che lo avessero dato per disperso.

– E il lavoro al giornale? Il vostro capo vi starà cercando.

Bernard non rispose, ma era chiaro che fosse d’accordo con Rosalie. Si stava crogiolando nel riposo, che sciocco!, quando c’erano così tante cose in sospeso.

– Non è un problema, per me. Davvero. – assicurò Rosalie. – Vi aiuterò io. Dove vi aspettano?

Bernard non seppe se rivelare la verità. C’era il rischio di compromettere Rosalie, a coinvolgerla nei giri dei ribelli. Non poteva farlo. Ma era necessario che Robespierre e Desmoulins, e anche Saint-Just, sapessero che era vivo e stava bene. Certo erano, in quel momento, terribilmente preoccupati.

D’un tratto, Rosalie posò una mano su quella del giovane. Bernard trasalì.

– Posso farlo davvero. Sono io che ve lo chiedo. Nessun disturbo!





___________

Note.

- Be', questa settimana "Rivoluzione" è saltata, ma almeno c'è il premio di consolazione! Mi sono infatti resa conto che molti lettori mi seguono su due fronti... e allora, visto che questo capitolo era pronto, perché non postarlo? In questo modo le pubblicazioni sono invertite: oggi "Cavaliere Nero", e tra una settimana ce la dovremmo fare con "Rivoluzione"!
Grazie dunque a chi apprezzerà questo cambio di programma, e un abbraccio strizzosissimo a chi mi segue... soprattutto tre donnine pranzerecce!

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Capitolo 6
*** Io credo nella vita ***


– Monsieur Robespierre è un uomo alto, dal viso severo. Indossa una parrucca, di solito. Vero?

Bernard si stupì molto di scoprire che Rosalie aveva perfettamente in mente la fisionomia di Robespierre.

– Quando l’hai incontrato? – le chiese.

– L’ho visto da lontano, al processo di… di Jeanne. E Madamigella Oscar mi ha detto il suo nome.

Bernard, dopo diversi giorni di permanenza in casa con Rosalie, sapeva ormai tutto anche dei rapporti della ragazza con la defunta Jeanne Valois de la Motte. Ennesima sorpresa, ennesimo compiacimento: ma per rispetto della tristezza di Rosalie, non si dilungò molto a discutere della donna che era stata capace, con un intrigo non si sa bene quanto reale, di gettare discredito sulla Famiglia Reale e sulla Regina in modo particolare. Il processo per l’Affare della Collana aveva aiutato moltissimo la propaganda antimonarchica, e anzi, aveva fornito a Bernard proprio il giusto clima e la giusta determinazione per cominciare le sue scorrerie come Cavaliere Nero. Si ricordava ancora, lui, il giorno successivo alla condanna della Contessa de La Motte: l’indignazione, la rabbia cieca verso i nobili che dilapidavano i loro beni. La decisione di cambiare ogni cosa, a partire dalle fondamenta, e ridistribuire la ricchezza così assurdamente squilibrata… doveva tutto a Jeanne, ma Bernard non lo disse apertamente a Rosalie.

Le raccontò, piuttosto, perché aveva pensato a quel nome come copertura, e perché avesse deciso di vestirsi di nero.

– Un re inglese, Riccardo…

– Cuore di Leone?

– Oh… bene, esatto! Come fai a saperlo?

– I libri di Madamigella Oscar.

– Ah… sì, certo. Ehm. Dicevo, proprio quel re tornò in patria da reietto, e prima di riuscire a riprendere il potere che gli spettava di diritto contro il fratellastro Giovanni…

– … Senzaterra?

– Sì! Dicevo, ecco… lui… decise di travestirsi da Cavaliere Nero e ostacolare i piani di aristocratici perfidi e senza scrupoli. Al suo fianco un uomo onesto che era stato suo soldato in Terra Santa…

– … per le Crociate, vero?

– Proprio così, esatto! Ecco, l’amico di Riccardo (il nostro Cavaliere Nero) si chiamava Robert di Locksley, detto Robin Hood. Rubava ai ricchi per dare ai poveri.

– E dunque vi siete ispirato a loro due?

– Ammetto di sì… ma io sono francese. Orgogliosamente. – disse Bernard, con gli occhi fieri.

Rosalie rise senza suono, coprendosi le labbra con la mano. Bernard si sentì confuso.

– … cosa c’è?

– Niente. – sorrise lei, gli occhi luccicanti nel giorno. – È solo che quando dite certe cose, sembrate… – e si zittì, subito pentendosi di quanto si fosse lasciata scappare.

– … sì? Sembro cosa? – incalzò Bernard, incuriosito.

– … ecco… – si imbarazzò lei, e lo guardò di sottecchi, come timorosa di farlo arrabbiare – … un bambino. Un bambino felice, pieno… di desideri e di sogni. È una cosa molto bella… anche se forse vi ho offeso, ma credetemi, non volevo!

Bernard chiuse le labbra e il sorriso, e la guardò vago, il pensiero fermo sul rossore delle sue guance, sul suo timido imbarazzo.

– A quanto pare, allora, posso sembrare un bambino… anch’io…

Il giovane abbassò la voce e tacque, infine. La guardò con gentilezza, gli occhi lucidi di ricordi.

Rosalie chinò il capo.

– Parlo… sempre troppo. È sempre stato un mio difetto, anche da Madamigella Oscar… – si lamentò. Bernard scosse il capo.

– No, Rosalie. È un piacere… sentirti parlare.

Rosalie lo guardò tra le lunghe ciglia, ancora di sottecchi, curiosa e contenta d’aver ricevuto quel complimento. Bernard imparò a usare lodi e complimenti per produrre sul viso della ragazza quell’espressione pulita e fresca, e poi indugiava a contemplarla, mai sazio.

 

Questo discorso fu uno dei tanti; ma appunto, bisogna tornare a quando, ormai di comune accordo, Bernard e Rosalie si misero a discutere dell’opportunità di inviare la ragazza a parlare con Robespierre. Si pensò di far passare le informazioni tramite una lettera scritta da Bernard.

Rosalie sosteneva che lei dovesse solo consegnare questa lettera, aspettare la risposta e tornare da lui. Ma Bernard si rivelò contrario. – E se per qualunque motivo la lettera fosse trovata? Saresti la prima a rimetterci… e io non voglio. Assolutamente no. Non voglio che tu sia coinvolta.

– Ah, ma sono già coinvolta! – lo canzonò lei, osservandolo tra le lunghe ciglia, tutta sorriso.

Bernard tentennò, consapevole che era proprio così. Mandandolo da Rosalie, Oscar aveva scelto di proteggere lui, d’accordo, mettendo però lei a rischio. Continuava a essere una cosa che gli stonava e non gli piaceva affatto… anche se dannatamente sensata, e portatrice di parecchi benefici per lui.

Rosalie non si arrese.

– Potreste scrivere semplicemente come Bernard Chatelet, giornalista, aggredito da banditi durante la notte e quindi convalescente presso di me. E dite a me le cose essenziali che il Cavaliere Nero direbbe ai suoi compagni. Le riporterò fedelmente… a voce.

– …

– I vostri compagni non ci tradirebbero, no?

– No, non lo farebbero. Ma… è una faccenda delicata.

– Perché?

Bernard ci pensò su, osservò Rosalie e il suo sguardo luminoso, denso di aspettative. Allora le disse, lentamente e con tono spento:

– Io e i miei compagni ci siamo impadroniti di una partita di fucili destinati all’esercito. Li abbiamo rubati al Generale Jarjayes. Oscar… si è offerta di venderceli a un prezzo stracciato. In cambio del mio rilascio… e per impedire che i miei compagni continuassero a essere ricercati. – prese un lungo sospiro. – È l’unico modo per scagionarli. Ma quella somma dev’essere pagata… altrimenti ci ritroveremo alle calcagna, se non Oscar, il Generale Jarjayes in persona.

– … capisco. – sussurrò Rosalie. – … e voi temete che non accettino.

– Proprio così.

– Lo faranno, se servirà a scagionarli… e scagionare anche voi.

– Oh… no, Rosalie. – sospirò Bernard. – Per me è diverso. Io non posso restituire ciò che ho rubato e disperso tra le varie case dei poveri... non potrei nemmeno volendo, perché si tratta di innumerevoli case e famiglie… e anche se volessi, non lo farei comunque. Vendendo una collana certe madri hanno sfamato i loro figli per settimane… forse anche per mesi.

– … avete ragione. Ecco perché Madamigella Oscar mi ha detto, testualmente, di tenervi con me “finché la situazione non sarà favorevole”. Lei vuole che le acque si calmino intorno a voi, così che siate dimenticato, e…

Bernard lanciò un’occhiata obliqua a Rosalie.

– … credi che la povera gente dimenticherà il Cavaliere Nero? – chiese, con l’ombra dell’antica stizza, che tuttavia non volle riversare contro la ragazza. Parlò con tono spento e sordo, stringendo i pugni sulle lenzuola man mano che il discorso procedeva, e lui rivelava i suoi più intimi pensieri: – … o non si sentirà piuttosto tradita, se io sparisco? Come posso abbandonarla?

Rosalie contemplò il volto del giovane con aria pensierosa. Lui continuò.

– Ho dato la mia parola a Oscar che non esisterà più un Cavaliere Nero, perché se si scoprisse che mi ha avuto in casa e mi ha lasciato andare sarebbe molto grave, per lei. Non sono un vigliacco e un ingrato, non approfitterò del suo gesto per tradirla. Ormai ho capito che è stata sincera generosità, la sua. E ho capito anche che non potrò comunque raggiungere tutte le persone che hanno bisogno del Cavaliere Nero. Ma io non posso permettere che la gente muoia ancora per le strade… che i bambini piangano perché non possono mangiare neanche un tozzo di pane, per giorni… mentre quei… quei figli di puttana, i nobili… – si morse la lingua, e guardò Rosalie con occhi ardenti.

Lei continuava a osservarlo, lieve, discreta, immersa in pensieri lontani dall’ira, ma seri e severi insieme. E poi si sciolse in un piccolo sorriso.

– Ora… non sembrate più un bambino.

Lui distolse lo sguardo da lei, e ricacciò in gola le altre cose che voleva dire. Rosalie aggiunse, con tono soffice:

– … io vi capisco, Monsieur Bernard. Oh, se vi capisco… e sono sicura che esista ancora, per voi, la possibilità di fare qualcosa di grande per il Popolo. E non per pochi, singoli fortunati: dovreste pensare a qualcosa che aiuti tutti… qualcosa di definitivo.

– Quando guarirò… ho pensato che sceglierò un altro nome. Lascerò perdere quello di Cavaliere Nero… dopotutto, come ti ho già detto, sono francese, non inglese. – Bernard cercò di sorridere, e rivolse a Rosalie il frutto di quello sforzo; ma lei restò muta e riflessiva, e dopo pochi istanti gli disse, con occhi calmi e sinceri:

– … ma cosa accadrebbe se in questo tentativo voi… perdeste la vita?

Bernard abbassò lo sguardo, rifletté a sua volta. Chiuse gli occhi.

– Varrebbe la pena dare la vita per una giusta causa. Per questa giusta causa.

Bernard aveva parlato solennemente, con tutta la sua fede. E si aspettò lode da Rosalie, o quantomeno pieno accordo. Invece…

– … è una cosa orribile, quella che avete detto. – sussurrò lei. Bernard la guardò di nuovo, spalancando gli occhi per lo stupore. Lei era molto seria, lo fissava con gli occhi blu intensi e dolenti.

– Perché disprezzate tanto la vita, Monsieur Bernard? Nessuna causa può essere così giusta da reclamare la morte di un uomo.

– … tu non daresti la vita per ciò in cui credi, Rosalie? Non ti faresti anche imprigionare, e condannare a morte, per la tua vendetta?

Colpita da quella domanda, Rosalie si richiuse in se stessa, la fronte aggrottata e gli occhi stretti, come i piccoli denti bianchi.

– … un tempo… l’avrei fatto. – mormorò. – Ma… – alzò di nuovo lo sguardo e incontrò quello di Bernard. Per un attimo, la sua fierezza cozzò con quella del giovane, come in un duello di spade le lame degli avversari. Un duello amichevole, non mortale; ma un duello importante, di quelli che decidono chi è superiore moralmente, non fisicamente. – … ma io credo di poter dare alla Francia molto di più vivendo, che morendo.

– …

– … io credo nella vita, Monsieur Bernard. Come Madamigella Oscar. E voglio vivere… nonostante tutto. – vibrò quell’ultimo colpo, Rosalie, con gli occhi umidi di possibile pianto, che però non versò. Sentirsi come Oscar, credere in ciò in cui credeva Oscar, la rendeva sempre splendida e forte; Bernard non sapeva mai come ribattere. E dunque tacque, forse pure offeso nell’intimo di sé, riattizzato nei suoi dubbi e nella sua irruenza. Eppure la seguì con gli occhi mentre usciva, mormorando parole di saluto, dicendo che era ora di andare a consegnare la lettera che lui aveva scritto a Robespierre.

Robespierre… in cosa credeva, lui? Nella vita, come Oscar? Bernard se lo chiese tutto il tempo in cui Rosalie fu fuori. Non seppe darsi una vera risposta… o non volle.

 

***

Il convento dei Padri Giacobini si trovava in rue Saint-Honoré. Robespierre vi si recava spesso, ed era solito trascorrere il tempo nella biblioteca. Ma Rosalie non lo trovò. Gli fu indicato il Palazzo Reale.

Allora, armata della consueta pazienza, la ragazza proseguì fin laggiù, nel quartiere elegante che per volere del Duca d’Orleans era stato tirato a lucido e ospitava taverne, caffè e ristoranti. Nonché il famoso salotto dove Oscar François de Jarjayes, nel gennaio di quell’anno, aveva indagato sul Cavaliere Nero. Bernard sosteneva che il Duca fosse estraneo ai suoi movimenti; d’altronde, la presenza del padrone di casa non era necessaria a che avvenissero incontri, discussioni e dibattiti tra gli intellettuali che frequentavano il Palazzo e il quartiere. Anzi, spesso il Duca rimaneva in ombra e ascoltava solo dall’alto delle scale: passava il proprio tempo altrove, nelle ale del Palazzo abitate esclusivamente da lui e dalla sua famiglia, e a Versailles. Quello che lui aveva fatto era stato semplicemente aprire le porte ai giovani, per molti segno di una fede antimonarchica, per altri solo un gesto liberale.

Così Rosalie si trovò all’entrata del Palazzo, che ormai volgeva il crepuscolo a metà del pomeriggio invernale. Chiese di entrare. I guardiani del cancello, di fronte alla sua giovane età e ai suoi abiti umili, la derisero un poco.

– Ehi, bellezza, non è il mercato, questo.

– Devo parlare con Monsieur Robespierre. – rispose lei, incerta. Si chiese se fosse il caso di fare anche il nome di Bernard, ma si trattenne.

– Ah! Ora capisco tutto. – fece il guardiano più robusto, ridendo più forte. – Ehi, la porto io. – disse ai suoi compagni. I quali risero, a voce alta e ruvida, commentando: – Questa è la più carina, finora! Ebbravo Bonbon!

– Vieni, da questa parte. – disse l’uomo che la scortava.

Rosalie provò una vaga sensazione di inquietudine, ma proseguì comunque. Presto entrarono nel Palazzo; e di lì proseguirono per i corridoi, attraverso i quali alcuni servitori portavano agli ospiti vassoi di cibo e bevande. Il guardiano si accodò a loro, e arrivati alla soglia del salotto, si fermò e si voltò verso la ragazza.

– Te lo chiamo subito, tu aspetta qui.

Rosalie lo vide sparire dentro al seguito dei servitori. Appena la porta si schiudeva appena, dalla sala sentiva provenire un brusio vivace e costante, con sottofondo di musiche. Si sporse per sbirciare nello spiraglio rimasto aperto. Era tutto scintillante, lì dentro, tutto ordinato, elegante; gruppi di giovani parlavano animatamente, e c’era chi dipingeva, chi suonava in un angolo il pianoforte e il violino, chi rideva apertamente. Localizzò anche il guardiano del cancello, che si era accostato a un giovane seduto comodamente in un divano insieme ad altri. Li osservò scambiarsi poche parole, poi il giovane scattò in piedi, salutò i compagni e si diresse verso la porta del salotto. Rosalie smise subito di origliare, si irrigidì e scattò indietro. Attese qualche secondo, e poi ecco, la porta si aprì del tutto e il guardiano e il giovane si trovarono di fronte a lei.

– Ecco, Monsieur Bonbon, – lo canzonò il primo. – La fanciulla che chiede di voi.

– Ah, non chiamarmi in quel modo! – disse il giovane, lanciando al guardiano un’occhiataccia. – Il mio nome è Augustin, specie con le belle madamigelle. – e subito addolcì lo sguardo verso Rosalie, e la contemplò con curiosità. Il guardiano ridacchiò.

Rosalie aveva assistito a tutto questo con stupore, e prima di parlare aveva preferito aspettare. Ma a quel punto, appurato che dalla porta non sarebbe più uscito nessuno, si schermì.

– Perdonate… io cercavo Monsieur Robespierre.

– E l’avete trovato, dolce fanciulla.

Rosalie lo osservò con occhi enormi. – Io cercavo… Maximilien Robespierre…

– Ah. – il tono di voce di Augustin parve deluso. – Dunque cercate mio fratello.

– Sì, lui. – mormorò Rosalie, sollevata. – Perdonatemi per l’equivoco.

– Non è colpa vostra, è quest’asino di Arsène. – disse, rivolgendosi al guardiano, che intanto aveva riso tra sé e sé.

– Colpa vostra piuttosto, Monsieur Augustin! È così scontato ormai, vedervi in compagnia di una bella ragazza… direi l’esatto opposto per Monsieur Maximilien.

– Ah, piantala! E torna al cancello, di qui in poi l’accompagno io. – borbottò Augustin, pur con tono ilare e l’aria nient’affatto offesa. – Dunque, Madamigella… Madamigella?

– Oh… Rosalie Larmorlière. – disse lei, inchinandosi con garbo. Augustin la osservò con evidente compiacimento. Le offrì il braccio, con galanteria.

– Prego, Madamigella Rosalie. Vi scorterò io tra le insidie di questi corridoi.

Rosalie esitò, ma poi, avvezza a certi modi mondani, accettò l’appoggio con garbo. – Insidie, dite?

– Un palazzo di nobili nasconde sempre qualche insidia, – ridacchiò. – Anche se qui un uomo del Terzo Stato può trovarsi spesso a proprio agio, non lo nego. Ditemi, perché cercate mio fratello?

Rosalie si trattenne. Era decisa a non dire niente a nessuno che non fosse Maximilien Robespierre. Probabilmente di suo fratello poteva anche fidarsi, ma chi poteva dirlo?

– Ve ne parlerà lui stesso, se lo riterrà opportuno. – disse, chinando il capo.

Augustin rise. – Va bene, va bene. E in fondo, preferisco il mistero alla piatta verità. Almeno nel vostro caso… – e di nuovo la osservò compiaciuto. Era un dongiovanni, Augustin Robespierre, un amante delle gioie della vita; Rosalie poté intuirlo, e così tenne la presa sul suo braccio più lieve che poté, per non incoraggiarlo. Tenne anche il viso basso, velato di un certo sottile rossore; tratti che rivelavano la sua freschezza e la rendevano ancora più bella, suo malgrado.

Augustin parlò ancora, ma da lei ottenne solo risposte brevi o silenzi sapienti. Infine, usciti tra le strade del quartiere, si ritrovarono davanti a un ristorante molto elegante, dall’insegna: Le Grand Véfour. Allora Rosalie lasciò il braccio di Augustin con grazia, per precederlo oltre la soglia.

All’interno, tra i tavoli, gli specchi e i candelieri scintillanti, molti uomini sedevano e discorrevano consumando tè, caffè, dolci, o il preludio della cena. Augustin Robespierre portò Rosalie a un tavolo, attorno al quale sedevano Robespierre Maggiore (finalmente) e altri due uomini, uno parecchio giovane. Tutti e tre si voltarono verso i nuovi giunti, e Maximilien salutò il fratello.

– Cosa fai qui, Augustin? Mi avevi detto che saresti rimasto al Palazzo con Girard.

– Infatti c’ero. Ma questa Madamigella ha chiesto di parlarti.

Maximilien mostrò stupore, poi un poco di sospetto.

– Se avete bisogno di aiuto, il mio studio di avvocato è aperto domattina, alle ore…

– No, signore, perdonatemi. – disse Rosalie, e si chinò ancora per presentarsi. – Sono qui per una questione differente e molto importante… vorrei parlarvene in privato, per favore.

– … – Maximilien osservò i suoi compagni e il fratello, il quale aveva assunto un’espressione canzonatoria e bonaria. – E sia. Camille, Saint-Just, vi prego di scusarmi per qualche minuto.

Si congedò dai compagni, e il suo posto fu preso dall’allegro Augustin. Raggiunse un tavolo appartato, prossimo alla finestra. Rosalie avrebbe preferito una stanza privata, ma non commentò. Era comunque abbastanza lontano da tutte le altre orecchie.

– Non vi potrò concedere più di due minuti. Dite in fretta quello che avete da dire. – disse M. Robespierre, osservando la ragazza con sguardo penetrante.

Lei si intimidì un poco, poi disse: – Si tratta di Monsieur Bernard Chatelet.

Lo sguardo di Robespierre cambiò in un istante. Da freddo diventò stupito, poi preoccupato, poi partecipe; e ascoltò fino alla fine le parole di Rosalie.

– Monsieur Bernard è stato ferito. L’ho accolto in casa mia. È stato liberato da Madamigella… dal Colonnello Oscar François de Jarjayes, che l'aveva catturato. Ora Monsieur Bernard ha scritto queste righe per il capo del suo giornale, – e mostrò, tirandola fuori dal mantello, la lettera accuratamente ripiegata, – e ha mandato me per aggiornarvi sul resto.

– … il Colonnello Jarjayes ha fatto questo?

– Sì.

– A che prezzo?

– … nessuno… o meglio, ha chiesto che i fucili rubati siano comprati… al prezzo di… – e rivelò la cifra. Robespierre rimase pensieroso. Si guardò intorno; dei suoi compagni nessuno sembrava guardare lui e Rosalie, e gli altri avventori erano impegnati nei loro discorsi. Allungò la mano e prese la lettera.

– Uno degli uomini che era seduto con me è il capo del giornale in cui Bernard scrive. Gli farò leggere questa lettera.

– Oh… bene, grazie Monsieur Robespierre.

– Per quanto riguarda il resto… – Robespierre sorrise, finalmente, con aria sollevata. – … sono felice che sia salvo. L’avevo avvertito che le sue azioni, per quanto nobili negli intenti, l’avrebbero potuto portare a correre troppi pericoli.

– Dunque la proposta dei fucili…

– … non spetta a me decidere; non sono io colui che ha organizzato le scorrerie del Cavaliere Nero insieme a Bernard. Anzi, ho scoperto che la cosa fosse in corso solo dopo qualche tempo; il ragazzo ha deciso per sé, come in fondo spetta a ogni essere umano, dotato di libero arbitrio. Ma gli farò il favore di riportare la cosa ai suoi compagni.

– Grazie, Monsieur Robepierre. – disse Rosalie, il cuore fiducioso.

– Venite qui nel pomeriggio di dopodomani. Spero di avere la risposta. Ora, vogliate scusarmi…

Robespierre si alzò dalla sedia. Rosalie fece altrettanto.

– Oh, sì, certo. Grazie, grazie ancora.

Augustin Robespierre, quando il fratello lo raggiunse, si alzò subito per tornare da Rosalie. Ma la ragazza si dileguò prima che lui potesse farlo; prese la via dell’uscita, salutò l’inserviente che incontrò sulla porta e andò fuori, sul portico. Seguì veloce la strada coperta dalle volte, fino all’angolo, contenta di avere notizie fresche per Bernard e ansiosa di riferirgliele.

Quando svoltò, non si accorse di incrociare i passi di una giovane serva che usciva in quel momento, insieme a una signora alta e compita, da un negozio di alta sartoria che faceva angolo sotto il portico; senza volerlo Rosalie urtò la ragazza, che rovesciò per terra il pacco che stava portando.

– Attenta a dove vai! – gridò la servetta.

Rosalie si trattenne un istante, rammaricata; si offrì di raccogliere il pacco, ma quella, stizzita, la guardò imbronciata e glielo impedì.

Intervenne la signora compita. – Accidenti! Per fortuna il pacco non si è rovinato, e nemmeno il vestito al suo interno… Santo Cielo, proprio davanti alla carrozza della cliente, doveva accadere! Avrà visto?

Ed entrambe, serva e signora, lanciarono un’occhiata all’altro lato della strada, dove era in attesa una carrozza con le tendine tirate.

– Vi chiedo perdono… – sussurrò Rosalie, poi scosse il capo. – Sono contenta però che non sia successo niente. Arrivederci! – e corse via, recuperando il passo e l’allegria di poco prima.

 

Le due donne si avvicinarono alla carrozza, con modi affettati e grandi sorrisi. – Ecco, Signora, perdonate l’attesa…

COCCHIERE. Partiamo IMMEDIATAMENTE! – gridò una voce di donna dall’interno.

Detto fatto, i cavalli si impennarono per una frustata e la carrozza partì, schizzò di fango le due donne, le travolse; quelle gridarono, e nell’urto violento il pacco che portavano si aprì, rovesciando al suolo un abito azzurro a fiori dorati.

– Oh, dannazione! – si lamentò la servetta, cercando di asciugarsi il viso con le mani infangate, ottenendo di sporcarlo ancora di più. – È sempre la stessa storia, anzi, da quando la Regina l’ha fatta Duchessa è ancora peggio!

– ZITTA, Lalie! – strillò la signora compita.

– Ma Madame Bertin! Io… non è giusto che…

Madame Rose Bertin si alzò in piedi; rimase compita pur con tutte le chiazze di fango che aveva addosso, e si ripulì gli occhialetti, inforcandoli rigida. – Non voglio mai più sentirti dire una sola parola contro una cliente. Soprattutto se è di quel rango. Se accade di nuovo ti licenzio. Hai capito? Quella Duchessa vive a Versailles… al confronto tu meriti di stare nel fango!

La servetta borbottò qualcosa, ma non osò replicare. Lanciò un'occhiata ostile alla strada.

Dopo il passaggio di Rosalie e la partenza sparata della carrozza, si era fatto un grande silenzio; la notte era ormai calata, e i lampioni furono accesi poco a poco, fiochi e intimiditi dal freddo.

 

 

 

 

 

_____________

Note.

- La storia del Cavaliere Nero (ovvero Riccardo Cuordileone) e di Robin Hood sarà raccontata pochi decenni dopo, nei primi anni dell’Ottocento, da Sir Walter Scott, scozzese, nel romanzo storico (ma per me anche epico-cavalleresco) Ivanhoe. Più che fare un anacronismo, ho voluto immaginare che Bernard avesse letto fonti che poi Sir Scott utilizzerà per il suo romanzo: questo perché il nostro giornalista ha davvero troppo in comune con il Cavaliere Nero di Scott (come soprannome, quantomeno) e con Robin Hood (come azioni e missione). Che la Ikeda si sia ispirata? Sarebbe splendido!

- Ho fatto un piccolo anticipo, domani giornata too much trottolosa! Un bacione e tutto il mio affetto a chi legge, as always!

 

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Capitolo 7
*** Posso innamorarmi di te? ***



Rosalie tornò da Maximilien Robespierre, come convenuto, dopo due giorni, ovvero il 19 febbraio.

Andò direttamente allo studio dell’avvocato, non al Palazzo Reale come la prima volta; e tornò in breve tempo da Bernard.

Il giovane l’aspettava impaziente. Appena udì la porta di casa aprirsi e richiudersi, posò il giornale che stava leggendo sulla cassetta che fungeva da comodino, e attese che Rosalie entrasse nella sua stanza. La ragazza impiegò qualche istante in più, Bernard la sentì passare prima dalla cucina. Poi eccola entrare dalla porta socchiusa, con un sorriso delicato e il mantello ancora indosso.

– Eccomi, Monsieur Bernard. – disse, a mo’ di saluto.

– Eccoti. – sorrise lui. – Allora… ? – aggiunse, malcelando l’impazienza.

Rosalie gli allungò una lettera. Poi si diresse di nuovo verso la cucina, cominciando a slacciarsi il mantello. – Preparo del tè caldo.

Bernard annuì distratto, le mani che già aprivano il foglio sigillato.

 

Rosalie prese due tazze, mise l’acqua sul fuoco e imburrò due fette di pane. Mentre attendeva che l’acqua bollisse, mise a posto le provviste che si era procurata sulla via del ritorno: pane, uova, perfino un bel pezzo di carne. Andò a riporre il resto dei soldi nel luogo segreto in cui lei e Lucille tenevano il denaro mandato da Oscar: un bauletto chiuso a chiave, nascosto sotto una botola coperta dal suo giaciglio di paglia. Appena l’ebbe fatto, sospirò. Il denaro scorreva via come acqua, come sabbia in un pugno. Ce n’era ancora a sufficienza per un mese, ma era impressionante vedere come andasse via.

Quando si era abituata agli agi di Palazzo Jarjayes, aveva provato un benessere infinito. Era il Paese di Cuccagna, quello, la meraviglia delle meraviglie. Aveva scambiato quella villa per Versailles, una volta; ma per quel che la riguardava, qualunque povero di Parigi avrebbe fatto lo stesso.

Vivere da nobili significava possedere la terra sotto i piedi, ovvero una costante sicurezza. Vivere da poveri era diverso. Era come volare sempre tra correnti e temporali, e non toccare mai la terra.

“Guardate gli uccelli del cielo: non lavorano e non filano. Eppure il Padre vostro che è nei Cieli li nutre.”

Quella frase dei Vangeli le era sembrata piena di crudele ironia, un tempo, quand’era bambina. Se lei non avesse lavorato, se sua madre non avesse lavorato, non avrebbero mangiato nulla. Ma il tempo le aveva rivelato che era tutto vero: quando aveva avuto bisogno, davvero bisogno, era comparsa nella sua vita Madamigella Oscar. E anche adesso era tornata, quando disperava di poter mangiare ogni giorno. Oscar. Il suo Salvatore…

Rosalie, ho lasciato la tua stanza esattamente com’era prima. È sempre pronta per il tuo ritorno.

A ricordare quelle parole, sul volto della ragazza volò un sorriso. Cosa stava facendo in quel momento, Madamigella Oscar?

Rosalie aveva deciso che non sarebbe tornata da lei. L’aveva fatto con consapevolezza, nonostante la dolcezza con cui ripensava alla sua giovinezza laggiù, a Palazzo Jarjayes. Perché amava poter camminare sulle proprie gambe, ormai. Non poteva dirlo apertamente a Madamigella Oscar, ma si sarebbe sentita terribilmente in colpa a lasciare Madame Lucille e approfittare della terra sotto i piedi, quando Parigi, tutta Parigi soffriva tanto. Rosalie sentiva d’essere portata a una vita semplice, e a conquistarsi con il duro lavoro un pochino di benessere.

Ma ancora una volta Madamigella Oscar l’aveva aiutata. Il suo Salvatore; il suo… amore.

Rosalie sorrise di nuovo, stavolta con un poco di tristezza.

L’aveva amata da subito. Da quando l’aveva vista per la prima volta in quella carrozza, che aveva accostato con l’intenzione di vendersi. Quanti anni aveva avuto, Rosalie? 11, 12? Quell’uomo così grasso e brutto, quel nobile ubriaco che aveva incontrato prima, le aveva fatto capire che era abbastanza graziosa per… per quello. “Ti riempirò di soldi, se verrai con me!” Forse, superato lo spavento, gli avrebbe perfino detto di sì… se il suo servitore non l’avesse allontanato.

Soldi, maledetti soldi, eppure ne ho bisogno!, aveva pianto dal profondo del cuore.

Che importa, si era detta poi. Se non compro il cibo e le medicine, la mamma morirà.

Lo fanno tante ragazze, si era detta ancora, asciugandosi le lacrime. Devo essere coraggiosa. Forse avrebbe trovato una persona di buon cuore.

Basterà che io chiuda gli occhi. Sopporterò. Sarà un attimo, si disse. Ma chi l’avrebbe voluta? Se solo lei fosse stata bella come Jeanne… Dio mio, Jeanne. Jeanne, che l’aveva fatta picchiare a sangue… Rosalie si era sentita perduta.

In quel momento era comparsa la carrozza dei Jarjayes. Le era corsa dietro, gridando; la carrozza si era fermata. Un’occasione! Rosalie aveva avuto troppa paura per pensare; era riuscita appena a fare la domanda umiliante e terribile, Vorreste comprarmi per una notte?

Di certo era riuscita a porgerla perché dentro la carrozza c’era quell’angelo biondo. Aveva provato immenso sollievo, dentro di sé, che l’uomo a cui darsi per la prima volta fosse così giovane, e così bello, e così cortese da aver fatto fermare la carrozza per lei. Ma era stato il pensiero di un attimo.

Quel giovane bellissimo era scoppiato a ridere. Che vergogna!, al solo ricordarlo, Rosalie poteva ancora arrossire. E poi la rivelazione spiazzante: Io sono una donna! 

 

All’inizio aveva pensato che era stata ingiusta, la vita, a far sì che l’amore della sua vita nascesse donna.

C’era stato un tempo, infatti, in cui Rosalie poteva avvampare fino alla radice dei capelli, per uno sguardo di Madamigella Oscar. C’era stato perfino un tempo in cui aveva sognato cose che la facevano svegliare di soprassalto, in un sentimento di vergogna misto a gioia ed eccitazione, e che non aveva rivelato a nessuno, nemmeno al confessore.

Era colpa del fatto che Madamigella Oscar si muoveva e si vestiva come un uomo, certamente. Non c’era altra spiegazione. E poi c’era la gratitudine immensa che provava per lei. Oscar le aveva donato l’onore, la gioia, la sicurezza, l’istruzione, la voglia di vivere. Era enorme, ciò che Rosalie le doveva. Non c’era niente di strano nel fatto che, dopo tutto quello che aveva fatto per lei, la ragazza sentisse di amarla dal più profondo del cuore. Anche senza bisogno di contatto alcuno; senza le cose che gli innamorati fanno gli uni con gli altri.

Allo stesso modo, aveva pensato Rosalie, anche Madamigella Oscar amava la Regina, e la Regina lei. Ma simili legami non erano facili da comprendere; al punto che Jeanne si era permessa di infamarle e di dire che quell’amore fosse sporco e licenzioso. Lei, Madamigella Oscar, che non si era mai permessa nemmeno di sfiorare Rosalie, se non per aiutarla, o consolarla! Era stato assurdo, ma la gente ci aveva creduto.

Se avesse potuto, Rosalie avrebbe gridato a tutti come stavano le cose, al processo. Che la donna più crudele di Versailles, sporca e vergognosa, era la Contessa… anzi, Duchessa di Polignac, e per atti molto più terribili che un legame d’amore; e avrebbe spiegato a tutti il sentimento profondo che si poteva provare per Madamigella Oscar, lo stesso che certamente provava anche la Regina. Tutte le dame finivano per amare Madamigella Oscar. Anche la sua sorellina, Charlotte, le aveva voluto più bene che a chiunque.

E ora che era cresciuta, Rosalie aveva capito che cosa significava amarla. Non poteva farlo come moglie, certo. Ma non ce n’era nemmeno bisogno, non più. Era un amore di cuore, d’anima e mente; niente che passasse per il corpo. Madamigella Oscar si amava come una santa; come una Pulzella d’Orleans del presente.

Bastava avere l’anima piena di lei. Voler essere come lei, muoversi nel mondo piena di tutti i doni che lei le aveva fatto. Essere una persona degna della sua stima. Così le avrebbe dimostrato l’amore che provava. Amore, esatto, ché non si poteva definire in altro modo.

Questo andava pensando Rosalie, quando si accorse che l’acqua bolliva ormai da così tanto tempo da essere già evaporata per metà.

 

Portò il tè a Bernard, su di un vassoio. Lo trovò sdraiato, lo sguardo perso alla finestra, l’espressione cupa e torva.

– Monsieur Bernard? Va tutto bene… ? – esitò lei, appoggiando il vassoio accanto al letto.

Lui chiuse gli occhi, prese un lungo respiro e la guardò.

– Sembra che i miei compagni… non vogliano acquistare i fucili.

Rosalie restò interdetta. – Ma come…

– Dicono che non ci sono i soldi. Che non possiamo permettercelo. Che sarebbe da vigliacchi.

– Ma… non possono essere così ciechi. Sanno bene che è l’unico modo per scagionare voi… e loro.

– Loro non vogliono essere scagionati. E questo lo capisco. Siamo fuorilegge.

– Voi siete il loro capo… vi daranno ascolto!

– Pochi di loro sanno chi sono in realtà. Si sono fidati di me perché avevo una maschera, perché ero al di sopra delle parti. Ma se tolgo la maschera… ci vorrà poco perché la mettano a qualcun altro. Magari più efficiente di me, nella lotta al Potere… Uno che invece di fare patti con i nobili, continui a combatterli… e li odii, com’è giusto che sia… – la voce di Bernard era stentata, malinconica. A Rosalie parve di vederla, la cappa oscura di pensieri che l’aveva preso e stretto in una morsa.

– … questo lo pensa anche Monsieur Robespierre?

– No. Questo lo penso io. Ma sono sicuro che anche lui direbbe così. Sai perché non mi ha appoggiato subito, e si è chiamato fuori? Mi ha detto che non tutti, in certe situazioni, sanno mantenere il sangue freddo. Che ci vuole poco a cadere nell’eccesso. Lui è contrario alle azioni dirette e illegali. Lui è convinto di poter cambiare le cose restando dentro le leggi. E mi chiedo adesso se non abbia ragione…

– E lui… non può aiutarvi adesso? I vostri compagni sono anche loro suoi seguaci, no?

– Ha detto che cercherà un finanziatore. – disse Bernard, a mezza voce.

– Oh! È una buona cosa, no… ?

– Se qualcuno si facesse carico della spesa, accettando di essere nostro complice, i miei compagni lo lascerebbero fare senza troppi complimenti, ne sono certo. E tutto finirebbe lì. Ma chi si farebbe carico della spesa senza denunciarci? O correndo il rischio di essere denunciato e scoperto a sua volta?

– … bisognerebbe trovare un uomo ricco… borghese, o nobile, di buon cuore…

– Di buon cuore! Ah, Rosalie! Sarà già tanto che troviamo un uomo ricco disposto ad aiutarci! Ma che lo faccia per il cuore, ah, no, non credo. Anche allora, ci chiederà in cambio qualcosa. – Bernard strinse il pugno, lo sollevò. – Dannazione, da questo giro di debiti e crediti non se ne esce! – calò il colpo sulle lenzuola, battendo forte, coi denti stretti. – Non se ne esce! – ripeté a voce costretta, e alzò la mano per colpire ancora.

Rosalie si mosse d’istinto, a quel crescendo. Posò la mano su quella di Bernard, chiusa dolorosamente a pugno, la trattenne. Lui si irrigidì, come se fosse stato appena toccato dalla tramontana. Lei non desistette.

– Coraggio, Monsieur Bernard. – sussurrò. – Voi avete fiducia in Monsieur Robespierre?

Bernard abbassò lo sguardo, cercò le parole. Avevo lo sguardo lontano, mesto. – È… come un padre, per me.

– Allora continuate a credere in lui. Troverà qualcuno che paghi i fucili. Lo farà per voi. Sarete scagionato. Sarete libero di ricominciare!

Bernard restò ancorato agli occhi di lei. Essere scagionato… era quella, dunque, la cosa più importante? Già, perché altrimenti si sarebbe disperato tanto? E la sua causa, e i compagni, e la povera gente? E Rosalie che lo fissava in quel suo modo sicuro e tranquillo, come se tutto andasse bene, come se potesse continuare ad andare bene? E quei suoi occhi vivi, quel sorriso di labbra piccole e rosse come ciliegie? Strinse i denti, Bernard.

– State sereno. – disse lei, e di rimando strinse più forte la sua mano. – State pensando troppo.

– Rosalie, io… – Bernard sentì le parole scalpitare per uscire. Il groppo alla gola lo stava soffocando.

– Ora bevete il tè. E mangiate! Dopo, se desiderate scrivere la risposta, io la consegnerò…

Rosalie si mosse per sciogliere la presa, e prendere la tazza per porgergliela. Ma non ci riuscì. Bernard le tenne la mano, le impedì di scivolare via, così Rosalie diede un piccolo strattone involontario. Lui la contemplò, ancorando lo sguardo al suo. Lei fu stupita, dapprima; ma pian piano sostenne quello sguardo; con curiosità ma anche con un velo di disagio. Non erano occhi da forsennato, anche se Bernard era pieno di pensieri. Né da persona disperata o furiosa. Erano occhi tristi e assorti. Occhi che chiedevano e ringraziavano insieme, che ammiravano, contemplavano, scoprivano. Occhi di bambino in quanto smarriti, d’uomo in quanto malinconici. E la mano calda di lui strinse ancora di più quella di lei, la tirò verso di sé. La portò a fargli toccare il cuore. Come se non bastasse già che la guardasse in quel modo, che pareva frugarle dentro. Rosalie, appena percepì il calore del corpo di Bernard sotto la stoffa della camicia, avvampò di colpo sulle guance e abbassò lo sguardo.

– Il… il tè, Monsieur Bernard… si sta freddando. – sussurrò, confusa.

– … sì. – disse il giovane, e sembrò svegliarsi come da un sogno. Le lasciò la mano, strinse ancora il pugno; ma non con rabbia, stavolta. Voleva solo mantenere all’interno del palmo il tepore della pelle di lei.

 

 

Trascorse un’altra settimana. Bernard riusciva ormai ad alzarsi, muoversi per casa, sedere per lungo tempo al tavolo, mentre Rosalie cuciva.

Il giornalista riprese a scrivere. Carta e penna gliele procurò lei, e così lui ne approfittò. Sempre lei gli comprò le riviste che lui consultò giorno dopo giorno, e che a volte le leggeva ad alta voce, o che lei leggeva ad alta voce a lui. Poi elaborava le sue riflessioni sulla carta, e l’ardore della sua penna tornò, in un guizzo improvviso.

– Sai, credevo di non saper più scrivere, – confidò a Rosalie un giorno, alla fine di una pagina lunga e appassionata che l’aveva preso interamente, mentre il silenzio laborioso di lei gli aveva fatto da sottofondo.

– Invece non è vero… – gli rispose lei, come se lo sapesse già.

– Bene, io… non so, ma non mi sentivo così ispirato da tanto tempo. – le disse, e la osservò sorridere assorta, mentre continuava il suo ricamo.

Proprio così. Da quando aveva preso in mano l’impresa del Cavaliere Nero, aveva scritto quasi ogni giorno; ma l’aveva fatto di getto, senza provare alcun gusto, come una rigida necessità. Aveva usato parole crude e violente, giuste, certo, ma aspre e sempre più dure. Nel silenzio della casetta di Rosalie, invece, gli sembrò che le parole potessero risuonargli dentro come un tempo, come un discorso vibrato nell’aria di un’assemblea con molti partecipanti. Parole dolci, suadenti, via via più potenti, in cui credeva con tutto il proprio cuore.

Giustizia. Coraggio. Dignità. Uguaglianza.

Queste parole, che erano state feroci, le riscopriva squisite. Le onorò a lungo e con passione, quel pomeriggio, con l’inchiostro e la mente e l’anima.

Ed ecco che alla fine della pagina, con l’articolo davanti stilato quasi a occhi chiusi, si trovò ammirato, allucinato; grato a quella fanciulla che, tessendo silenziosa, sembrava ricucire passo passo ogni singolo strappo del tempo, con pazienza inesauribile.

 

Ormai pranzavano a tavola, insieme. A sera li raggiungeva Madame Lucille; e anche se Bernard si era affezionato anche a lei, si trovò a preferire di gran lunga la compagnia di Rosalie soltanto. Quand’era solo con lei, riusciva a parlare liberamente, serenamente. Sentiva il bisogno di dirle tante cose, di parlarle sempre. Lei lo ascoltava gentilmente, con dolcezza, e cuciva intanto, attenta a tutto, al proprio lavoro e alle parole di lui. Quando non cuciva, cucinava; e Bernard iniziò ad aiutarla, in modo molto maldestro.

Quanto alla questione dei fucili, Bernard mandò a Robespierre una risposta. Gli rese grazie per l’interessamento, e si augurò che il finanziatore fosse trovato presto. Cercò d’avere fiducia, come Rosalie gli aveva suggerito. E per qualche giorno non parlò del proprio futuro, anche se iniziò a pensarci costantemente. Solo, accanto all’idea di combattere ancora si affiancò sempre più spesso l’immagine di una vita tranquilla. Tranquilla come quella che viveva a fianco di Rosalie.

 

Arrivò il 1° marzo. Era passato mezzogiorno; imbruniva più tardi, ormai, e il sole era sempre più tiepido, a quell’ora. Ma poiché quel giorno pioveva, l’aria era scura e greve, e il suono della pioggia esterna rendeva più intimo e caldo lo spazio della cucina con il suo braciere.

Bernard era pensieroso. Rosalie non era ancora tornata. Gli aveva detto che usciva per delle commissioni, e che sarebbe tornata in tempo per la visita del Dottor Lassonne.

Ma il Dottore era arrivato, l’aveva visitato e se n’era già andato. Con ottime notizie, oltretutto: Bernard si era quasi del tutto ristabilito.

– Tra una settimana potremo togliere definitivamente le bende. – gli disse, prima di andarsene. Bernard era stato felice di saperlo.

Rimasto solo, però, nel momento in cui lo sguardo si posò sul letto che aveva occupato fino ad allora, e i fiori alle finestre; e la cassetta accanto al letto, coperta di giornali, fogli, calamaio e una tazza di tè; e la cucina povera e funzionale, con il piccolo giaciglio di Rosalie (che nei giorni era stato sostituito con un lettino, opera di un carpentiere vicino alla casa, grazie al denaro di Oscar); nel momento in cui guardò tutte queste cose, Bernard si sentì preso da una fortissima malinconia. Questa gli afferrò la bocca dello stomaco e lo morse avidamente.

Finalmente si avvicinava il giorno di tornare a vivere. Andare al giornale, correre per la città in cerca di notizie; ascoltare i discorsi pubblici, e gli insegnamenti di Robespierre, frequentare il Palazzo Reale di Parigi e il salotto liberale del Duca d’Orleans, fare tutto ciò che faceva prima… voleva ancora tutte queste cose, certamente. Erano il centro del suo fuoco, la direzione della sua passione. Stare nel mezzo della realtà e descriverla.

Ma era combattuto. E via via che il tempo scorreva, iniziò anche a preoccuparsi. Perché Rosalie non tornava? Non riuscì a concentrarsi su nulla, che fosse un articolo da leggere, o da scrivere; iniziò a camminare per il corridoio in lungo e largo, senza sosta.

Poi, finalmente, la porta si aprì con uno scatto. Bernard si voltò, andò a passo rapido nell’atrio. Rosalie, bagnata di pioggia, le guance scarlatte per il tocco del freddo, lo accolse esclamando:

– Il finanziatore! Il finanziatore è stato trovato! Monsieur Bernard!

Bernard la raggiunse subito.

– Hai visto Robespierre? – disse, incredulo: secondo i patti, Rosalie avrebbe dovuto raggiungere l’avvocato due giorni dopo nel suo studio, data scelta perché Robespierre contava di avere risposte sicure entro il 3 marzo; ma la ragazza aveva prevenuto i tempi, come spiegò subito.

– Sì! Passavo davanti al Palazzo Reale, e così ho cercato Monsieur Robespierre... Non potevo credere che non avesse… ancora notizie, e volevo portarvene una davvero buona… ! – Rosalie parlava a sussulti, perché per arrivare aveva dovuto certo correre sotto la pioggia battente; posò a terra il paniere che reggeva sotto il mantello, con i viveri e il pane fresco. – E mi ha detto che aspettava solo di vedermi per farvelo sapere, che la somma dei fucili c’è tutta, che è stata già versata in modo anonimo sul conto del padre di Madamigella Oscar! È tutto risolto!

Bernard la contemplava, muto. Lei aveva i capelli fradici, il viso umido e lucente d’acqua, e gli occhi chiari e limpidi come mari; brillavano nella penombra come luci irrequiete, a ogni suo movimento. Perché sei così felice?, si chiese Bernard.

– Non siete felice, Monsieur Bernard! – esclamò e chiese lei, tutto insieme. – Oh… ditemi del Dottore. È già stato qui, vero?

– Sì…

Forse perché sei incredibilmente generosa, perché hai potuto farmi del bene…

– Mi dispiace da morire non esserci stata… avremmo potuto dare la notizia anche a Madamigella Oscar, tramite il Dottore. – disse Rosalie, smorzando un poco l’euforia.

… o perché ne hai fatto alla tua Madamigella Oscar?

– Purtroppo ho ritardato perché ho parlato con Monsieur Robespierre… ma voi… state bene? – si preoccupò a un tratto Rosalie, vedendo che Bernard taceva e la fissava, sempre più ansioso, tormentato; spaventato.

– Sto benissimo, Rosalie. Sono guarito, ormai. – disse lui, evitando i suoi occhi. Anzi, sembrò voler tornare indietro, alla sua stanza, tutto in un colpo.

– Se è vero… – disse lei, andandogli dietro appena lo vide sottrarsi. – … non siete felice? Potrete finalmente andare via, tornare a…

Bernard sentì come un vaso di vetro frangersi contro le pareti del proprio cuore.

– Sei felice… che vada via? – le chiese, dandole le spalle.

– … no! Non intendevo questo, ma…

– Ma sarà meglio per tutti. Hai ragione. – disse lui, senza voltarsi.

Rosalie gli si accostò, titubante; però aveva occhi sicuri quando cercò quelli di lui, e gli disse:

– … a me dispiace che andiate via. Mi sono abituata a prendermi cura di voi, ed è stato bello avere la vostra compagnia finora. Potrete tornare da noi ogni volta che vorrete.

– Dici… davvero, Rosalie? – mormorò lui, e un sorriso iniziò a rianimarlo.

– Certo. Siete un nostro buon amico. E siete l’eroe del popolo, un uomo coraggioso, generoso e degno di tutta la mia stima.

Bernard prese i complimenti, ma tacque. Era ricaduto nella serena contemplazione di lei, della sua freschezza; dei suoi occhi grandi e intensi, sfacciatamente sinceri; della sua piccola bocca che si muoveva dolce, accarezzando una parola dopo l’altra e sussurrando bianco di condensa nell’atrio freddo…

– Siete davvero una brava persona. Ma ne ero sicura. Madamigella Oscar non vi avrebbe mai mandato da me, altrimenti. Lei aveva ragione su tutto…
Un impulso, le mani di Bernard si mossero quasi da sole. Travolsero la schietta sincerità di Rosalie e le trattennero il viso freddo di pioggia. La ragazza percepì, con un sussulto, il calore di quelle mani gentili percorrerle le guance, fermarle i movimenti. Restò impietrita a fissare anche lei gli occhi di Bernard, che la investirono di sentimenti. Commozione, frustrazione, bisogno, malinconia… e la voce di lui si unì a quei sensi, bassa e infiammata, a sussurrarle, a un soffio dalla bocca:

– Posso… innamorarmi di te?

Glielo chiese come un bambino; ma la baciò come un uomo, premendo avidamente labbra su labbra.

 

 

 

 

 

____________

Note.

- Il riferimento è naturalmente al manga, al momento in cui, seduta al capezzale di Bernard e dopo aver sentito tutta la sua triste storia, Rosalie piange di commozione; e lui la guarda intenerito e le chiede, appunto, “Posso… innamorarmi di te?”. Il bacio viene subito dopo. Nel manga tutta la scena è a Palazzo Jarjayes, da cui Rosalie parte proprio per sposare Bernard. Lì lei torna a Palazzo Jarjayes, dopo il periodo trascorso presso la Contessa di Polignac. Ma io ho preferito nettamente la versione dell’anime, che vede Rosalie umile, coraggiosa e capace di camminare sulle proprie gambe ben prima di sposarsi.

- Come al solito, ho preferito postare con calma oggi che di furia domani. A chi passa di qui, Grazie di seguirmi in questo racconto! Un abbraccio a tutti!

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Capitolo 8
*** Volevo chiedervi se avete freddo ***



Rosalie non riuscì a muoversi per qualche istante. Sentiva il calore avido del bacio di Bernard premere sulle labbra, mentre le sue mani le tenevano il viso in una morsa gentile. Per qualche istante ancora, resistette con la forza della sorpresa a quella bocca che chiedeva con insistenza una risposta. Bernard aveva gli occhi chiusi e stretti, l’espressione quasi dolorosa; quel bacio pareva fosse nato da un bisogno violento, più che dalla dolcezza, e ben presto, appena percepì da lei una stupita arrendevolezza, diventò esigente e ancora più affamato. Baciò ancora, con schiocco leggero e poi ancora più impresso; la portò verso la parete, ubriaco nei sensi di quell’odore nuovo, misto all’odore della pioggia, di pelle fresca e dolce. La spinse, anche se nella foga non dimenticò d’essere cauto; di nuovo affondò le labbra per prendere quelle di lei, e nel farlo non attese più risposte; forzò la sua riluttanza fino a osare il confine del sorriso, verso il pieno possesso della bocca di lei, delle sue labbra piccole e carnose e del sapore prezioso del suo respiro.

E quello fu un errore, perché l’arrendevolezza di Rosalie era più figlia dello sbigottimento che del piacere; ella non capiva, perché non si era preparata a quel momento, quali invisibili corde possano muovere i sensi, i sentimenti e dunque la gioia di baci vogliosi e voluttuosi, quali quello che Bernard stava assaporando, bontà sua. Ci fu un attimo di resa completa, è vero, fu quando lui sussurrò – Oh, Rosalie – un attimo prima di bloccarla contro il muro. Ma quando a quella voce piena di febbre seguì l’ardore di un bacio vero, un bacio di saliva e di inconfessabile audacia, Rosalie tremò e reagì come una fanciulla digiuna d’amore: si irrigidì, cercando di fuggire.

Lo fece con timidezza, dapprima, attonita com’era dinanzi alle sensazioni, mai conosciute prima, che le esplosero in corpo, alle mani calde che le fermavano il viso.  Per questo non seppe imporsi con la stessa foga con cui il giovane aveva preso d’assalto il suo respiro. Si ribellò con un debole mugolio, gli occhi strizzati in una smorfia. Bernard, cieco e sordo a quei segnali, seguitò a pascersi del sapore di Rosalie, non accennò a lasciare la sua conquista; fu per passione, per ubriacatura d’amore, non certo per violenza, ma non si possono mettere insieme acqua e ferro incandescente senza aspettarsi crepitii e ribellioni. Rosalie si irrigidì di più. Alla cieca, oppose le mani al petto di Bernard e spinse, causandogli involontariamente una fitta per via della ferita alla spalla. Solo allora il giovane si staccò da lei, ansante, con un gemito di dolore, e in quel momento, appena Rosalie fu libera di parlare, tra i loro ansimi si frappose, flebile, un ­– No – che ebbe la forza di un colpo di pistola. Bernard aprì a fatica gli occhi, riemergendo dall’oblio dei sensi e forzandosi di guardare la ragazza in viso. La trovò rigida, i denti stretti, le labbra anche, umide dei baci suoi e del sale della pioggia; lei aveva gli occhi chiusi in un’espressione dolente, e ottenuta un poco di libertà, mosse le guance contro le mani di lui, per distogliere il viso e sottrarre la bocca ad altri baci.

Bernard si accorse di quanto il proprio corpo fosse stretto a quello di lei, di come la costringesse al muro; di come le sue guance, fredde di pioggia ma calde al contatto ruvido delle sue mani, fossero premute tra i suoi palmi come in una forzatura; e i suoi occhi tremanti, spaventati, rivelavano più di ogni cosa il turbamento di lei.

Sgranò gli occhi, e il suo atto, nato dal fuoco dolce del cuore, gli parve irrispettoso, enorme, irreparabile; non seppe pentirsene, ma si accorse che non avrebbe dovuto, che si era spinto oltre il giusto.

– Dio mio… perdonami. – disse, quasi spaventato. – Perdonami, ti prego.

La lasciò andare con lento timore, allibito e cauto, mentre nel suo stesso spirito si agitava la consapevolezza di ciò che era successo.

– Io ti amo. – disse, prima che lei riuscisse a parlargli. Rosalie schiuse gli occhi, grandi e azzurri, sul viso addolorato di lui. – L’ho capito adesso con chiarezza. – disse ancora il giovane, in un solo fiato. – Se… se ti ho fatto qualcosa che non volevi, ti prego di perdonarmi, ma… ma credimi, io ti amo.

Rosalie abbassò gli occhi, incapace di guardarlo in viso, le guance che arrossivano suo malgrado, lì dove Bernard l’aveva toccata. Si portò le mani alle labbra e fissò il pavimento, gli occhi grandi e spauriti.

– Ti amo perché sei dolce. Perché sei forte. Perché sei generosa. – continuò lui, a raffica, non sapeva frenarsi. Le parole, solo le parole potevano puntellare i suoi sentimenti in un quadro razionale e ordinato; ma i sensi fioccavano come foglie d’autunno, al vento inclemente del sentimento che lo andava cuocendo, nemmeno fosse una delle minestre che avevano preparato insieme, sullo stesso fuoco. – … perché sei bella.

Rosalie stette immobile, le guance ardenti come tizzoni, i capelli umidi e ancora un poco gocciolanti; il paniere e il suo contenuto stava ancora ai suoi piedi, la pioggia scorreva ancora fuori dalla finestra, di tanto in tanto suonavano tuoni lontani. Appena ne udì uno, il suo viso scattò verso la porta.

– … ma… ma se il mio amore ti offende, io… – Bernard strinse i pugni, frustrato da tutto quel silenzio, avvampato dal rossore di lei tanto quanto ne fu spaventato. – … Dio mio, perché non dici niente?

Rosalie inspirò profondamente, cercò di calmarsi. Aveva ancora sulle labbra l’umido bruciore del bacio inatteso. Il cuore le stava battendo come se le potesse scoppiare in petto, o in alternativa scappare via e andarsene in giro senza di lei. L’intimità di un bacio, di un abbraccio; di una dichiarazione sparata dal cuore da parte del giovane di fronte a lei; queste cose annientarono ogni sua azione, a onta del coraggio che aveva sempre dimostrato. Era pronta a una vita di stenti, ad amare silenziosamente Madamigella Oscar come una sacra reliquia, ma cos’era quello?

Cos’era quel sentimento che si abbatteva sui sensi come un fulmine, e annebbiava la coscienza e la veglia? Cos’era quel pulsare di sangue e odori nuovi, quella pelle liscia e ruvida, quel sapore umido e sfacciato che le aveva rubato il respiro?

– Mi odii? Ti ho fatto del male? – incalzò Bernard, sempre più frastornato.

– No! – disse subito lei, alzò gli occhi su quelli di lui, li scoprì pieni di paura. – No, io… non vi odio.

– … ma non mi ami. – sussurrò Bernard. Il bollore dei sensi precipitò poco a poco in un sordo bruciare, che lo scottava intimamente, lasciando ferite invisibili allo spirito.

– … mi conoscete da così poco. – sussurrò anche Rosalie, scuotendo il capo. – Come potete dire… dire di amarmi? E come potrei io?

Bernard strinse i senti.

– … io lo sento, Rosalie. Ti amo per ogni cosa che…

– … vi prego, non dite così. Non posso ascoltarvi…

– Perché? Non mi credi? Rosalie, se tu non vuoi, allora io…

E stava per dirle che l’avrebbe lasciata in pace, che ovviamente non l’avrebbe forzata mai, che si sarebbe accontentato di esserle amico, e nient’altro. Ma appena quel pensiero percorse la sua mente, capì che era falso, tremendamente: lui non avrebbe mai potuto rinunciare a lei. Lui voleva lei, la voleva il suo corpo, la voleva il suo spirito; quel calore gentile, quella pace dell’anima e quel fuoco dei sensi erano suoi, di Rosalie. Non potevano appartenere a nessun’altra, allo stesso modo nessun’altra glieli avrebbe potuti suscitare in quel modo. Non poteva scappare da quel sentimento, Bernard, perché lo legava a lei. Sia che lei l’amasse, sia che lei non l’amasse… e provò frustrazione per questo, appena lo comprese.

– … io non posso amarvi come voi mi amate, non posso…

Il cuore di Bernard insorse. – Ma tu mi ami, Rosalie. Io l’ho sentito… poco fa l’ho sentito.

– Vi prego, smettetela di parlare di queste cose. Non so cosa sia accaduto… ma… vi prometto che non farò nulla per farvi credere ancora che…

– Rosalie… perché mi hai aiutato, perché mi hai salvato… se non provi niente per me?

– Non è vero… io…

Bernard le colse le mani. Lei si irrigidì di nuovo, allarmata al contatto, o forse solo trepidante. Lui stava bevendo il fiele della delusione a sorsi generosi. Ma non riuscì a scagliare la propria rabbia contro di lei. Se la prese con se stesso, fu più facile.

– Ho rovinato tutto. Ho rovinato tutto... – mormorò. Le lasciò le mani, allora. Poi la guardò ancora una volta; lei aveva di nuovo gli occhi bassi. – Dimentica tutto. Se puoi. – la pregò, e poi si allontanò. Verso la sua stanza, le riviste, i suoi pensieri grevi e ora più che mai confusi; pensieri di un giovane che assaggiato l’amore ne temeva il potere devastante; pensieri di uomo che non era abituato a gestire questioni fragili come uova, non ancora.

 

E nemmeno Rosalie sapeva farlo. Pur abituata a maneggiare questioni delicate e complesse, e conoscere ogni angolo di sé, nondimeno rimase attonita a osservare il paniere ai suoi piedi, anche dopo che Bernard la lasciò sola. Si toccò le labbra, dove il sapore del bacio non si era ancora estinto. Ripensò a quell’attimo, e le si aggrovigliarono le viscere. Se non l’avesse fermato, fin dove si sarebbe spinto, lui?

Cercò di non fare alcun rumore, quando ripose il contenuto del paniere in cucina. Ma quando si scaldò al braciere, ricordò che nella stanza di Bernard non c’era alcun fuoco. Era freddo, certamente; forse doveva invitarlo a scaldarsi a quel fuoco, come ogni pomeriggio. Forse avrebbe dovuto fargli comprendere che non era arrabbiata con lui. Pensava di averlo forse illuso, di certo si era mostrata da subito troppo accondiscendente.

“È che ho visto troppe volte Madamigella Oscar insieme ad André, e per loro era normale stare insieme così, senza timidezza”, si disse, per spiegarsi l’origine del malinteso. “Devo avere imitato lei, e così…”

Ma si accorse subito che il paragone non reggeva. Mai la troppa amicizia aveva giustificato un comportamento meno che decoroso, in André.

O meglio, non davanti agli altri. Non davanti a lei.

I servi di casa Jarjayes avevano, a volte, accennato a qualcosa di diverso; ma il timore della punizione del Generale non aveva mai permesso troppi pettegolezzi sulla figlia del padrone, futuro Conte Jarjayes.

Eppure, Rosalie si ritrovò a pensare che quelle voci di voci di voci forse avevano un perché; se il vivere fianco a fianco generava tale turbamento di sensi e mente, non era possibile che Oscar e André non avessero mai…

Ma cosa vado a pensare, si disse, scuotendo il capo con forza. Osservò la porta della cucina, che dava sul corridoio. Lei stava lì a pensare a Oscar e André, mentre Bernard si macerava di certo nel rimorso, al freddo per di più. Non poteva lasciare che l’equivoco creasse disarmonia tra di loro. Non si sentiva a proprio agio; si era impegnata a fondo perché il suo ospite ritrovasse la serenità, si rifiutava dunque di vanificare gli sforzi per una cosa come un… equivoco.

Bernard avrebbe capito che non era amore, quello che nasce in poche settimane di convivenza forzata. Certo, si può provare una forte simpatia per le persone che si riconoscono affini, ma da quello al parlare d’amore!

Così Rosalie, costruita ad arte la motivazione dell’incontro, bussò alla porta della stanza di Bernard, chiusa fitta.

 

Dall’interno non venne nessuna risposta, però.

– Monsieur Bernard. – disse Rosalie, e la voce le tremò d’incertezza, – Volevo chiedervi se avete freddo…

Attese qualche istante. Nessuna risposta ancora. Ripeté la domanda.

– Monsieur Bernard. – chiamò di nuovo.

E nulla. Quel silenzio le mise timore. Premette la maniglia e, con cautela, gettò uno sguardo dentro.

Temette di non trovare nessuno, dall’altra parte. Ma non era così. Seduto sul letto, Bernard stava esaminando con tutta la propria attenzione un giornale, alla luce fioca di una candela posta a fianco, sulla cassetta che fungeva da tavolino. E anche quando lei si sporse per parlargli, non distolse lo sguardo da ciò che stava leggendo.

– Monsieur Bernard…

Bernard deglutì. Nemmeno allora alzò gli occhi.

– … io… volevo chiedervi se…

– Sto bene. Non ho bisogno di nulla. – disse lui, secco, con un tono duro che ferì Rosalie.

– Ma è molto freddo…

Bernard tacque, immobile.

– Monsieur Bernard, io volevo dirvi che… per prima… non fa nulla, davvero.

– Ne sono contento.

– Ho già dimenticato.

– Bene.

– Bene. – disse la ragazza, e sentì le guance accalorarsi ancora. Si ritrasse e chiuse la porta con una certa foga.

Quello scambio la mise di pessimo umore, la stizzì letteralmente. Al dispiacere seguì, fresco come una rosa d’aprile, il disappunto. E senza che lei potesse comprenderne le radici, sotto la terra del cuore.

 

Per questo, quando furono le otto di sera e Madame Lucille mancava ancora da casa, decise di affrontare di nuovo il temporale. Magari la donna stava aspettando che smettesse di piovere, e Rosalie poteva scortarla e portarle un mantello caldo, quello più logoro che tenevano come riserva. Sarebbe stato un bel conforto, lungo il tragitto per casa. E forse, si disse anche, quell’acqua forte e gelida avrebbe scavato via il rossore persistente delle guance, e tutto l’imbarazzo che provava. Con Madame Lucille in casa, poi, sarebbe stato più facile anche affrontare la cena. E Bernard.

Scrisse due righe di avviso, poi si rivestì. Andò nell’atrio e uscì. Badò che la porta di casa sbattesse per bene alle sue spalle.

 

La pioggia aveva diminuito la propria intensità, ma non aveva smesso.

Rosalie superò i vicoli, tenendosi rasente il muro, a capo chino e coperto. Rabbrividì per il freddo, l’acqua le rigò le guance e le bagnò le labbra. Era una sensazione desolante, alla quale oppose il freschissimo ricordo del pomeriggio. Un evento così straordinario, pensò, nella sua giovane vita di fanciulla. Forse si ammorbidì un poco, nel gelo della sera, a pensare a quel calore vivo e a quella dolcezza nascosta nella foga del bacio.

Era stato davvero così difficile da tollerare? Strano, certamente, ma non fastidioso. Né tantomeno crudele. Bernard non era un bruto. Forse, anche se parlare d’amore era eccessivo, poteva credere al suo attaccamento, alla sua tenerezza. Se solo fosse stato meno orgoglioso, si disse, avrebbero potuto passeggiare insieme, sotto quella pioggia, oppure sarebbero rimasti accanto al fuoco a ridere di quell’incidente…

– Perdonatemi, Madamigella… – Svoltato l’angolo di una via, udì la voce di un uomo provenire da terra. Era curvo, coperto da un fitto mantello, e teneva davanti a sé un tazza di latta piena per metà di pioggia, dentro cui annegavano un paio di monete. Lo udì tossire, raschiarsi la gola nel farlo.

– Fate la carità… a un uomo malato… Madamigella.

Rosalie si fermò del tutto, il viso assorto e dolente sulla figura di quell’uomo. Frugò sotto il mantello, in cerca di una moneta.

– Non dovreste rimanere fuori con questa pioggia, se siete malato, signore… – cercò di raccomandargli, e si chinò per donargli la moneta.

In quel momento, la mano dell’uomo scattò in avanti e le afferrò il polso. La moneta le cadde dal palmo e tintinnò al suolo, nella pioggia fangosa.

 

Si consumò tutto in pochi istanti.

Le piombarono addosso da dietro. L’abbracciarono in una morsa violenta e forte, circondandole i gomiti. Rosalie gridò, si divincolò con forza, ma senza risultato. La pioggia ammorbidì la disperazione della sua voce, finché una mano implacabile tappò le suppliche e i richiami. Vide, con gli occhi sbarrati, l’elemosinante alzarsi, dopo averla lasciata all’aggressione del compagno, e nuove figure comparirgli al fianco, altri due uomini. Quattro in tutto, che si scambiarono poche parole.

– Presto. La carrozza è qui dietro l’angolo.

– Stai ferma! E non ti succederà niente. – Rosalie si oppose alla corsa dell’uomo che la teneva imprigionata con braccia di ferro, fece ostruzione, si fece trascinare piuttosto che obbedire a quella minaccia. Nel trasporto di quella ribellione, arrivò a pestare i piedi dell’uomo, calciò uno stinco e lo disorientò. Appena sentì la mano davanti alla bocca allentare la presa, morse forte, e un altro grido sostituì il suo.

– Maledetta piccola troia! – imprecarono gli altri due, e le furono addosso.

– Stronza. – ansimò l’altro, guardandosi la mano e il segno del morso, con un pezzo di pelle strappata a sangue. – Mi ci ha lasciato i denti! Ma io ti ammazzo, puttanell…

– Fermo! Dobbiamo consegnarla intera. – intimò il quarto, il falso elemosinante. – Hai dimenticato il compenso?

L’uomo che era stato morso si calmò.

Nel frattempo, la fiera rivolta di Rosalie si concluse in una disfatta. La costrinsero a terra, le legarono polsi e caviglie, concedendole qualche istante prezioso per gridare, gridare con tutte le sue forze. Confidarono certo nel temporale, nel fatto di essere in tanti, nell’egoismo dei poveri e nell’uomo che faceva da vedetta. Poi le imposero un bavaglio. Uno di loro la caricò sulle spalle. Rosalie percepì l’umiliante tocco di due mani che, per reggerla bene, si concessero il viscido piacere di tastarla. Gridò contro il bavaglio, chiamò il nome di Oscar, il nome di Bernard. Tra le lacrime e la pioggia, vide il vicolo che portava alla sua casa allontanarsi. Poi la caricarono su una carrozza, lungo una via priva di testimoni. L’ultimo che entrò nell’abitacolo gridò qualcosa al vetturino.

La carrozza si lanciò furiosa nel temporale, e il cielo sembrò ruggire di rimando.

 

 

 

 

 

 

 

______

Note.

- Salve, sono il “Lato Martin” di Veronica Franco! Ho preso possesso di lei, MWAHAHAHAHAHAH! Eravamo stati troppo tranquilli, eh?? :P D’altronde il rating è arancione per un motivo… che non è quello eVotico!
Scherzi a parte, chiedo venia per questa improvvisata: mi sono accorta che non riuscirò a postare il capitolo 54 di Rivoluzione se non nel week-end, ma non volevo che rallentasse la pubblicazione di questo (che era già pronto), né postarne due in una sola domenica! Così, come a volte è già successo, ho invertito le date di pubblicazione delle due long che al momento sono sotto le mie grinfie. Quindi Rivoluzione dovrebbe "uscire" tra giorno 6 e giorno 8 dicembre, e il prossimo Cavaliere giorno 13, senza ritardi sul ritmo complessivo. Lo dico per chi segue entrambe le storie! Per chi invece segue solo questa, confido che l’anticipo sia gradito, e che l’attesa per il prossimo, che sarà inferiore alle solite due settimane, conforti la “trepidazione” per la sorte della nostra povera Rosalie. (E qui ci sarebbe da rispondermi: buuuuuh e chissenefrega di Rosalie!)

In ogni caso… un abbraccio fortissimo a chi mi aspetta sempre! Grazie di esserci!

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Capitolo 9
*** Voi... siete un mostro ***


Sono un idiota.

Se lo andava ripetendo tra un pensiero affannato e un altro, il giornalista Bernard Chatelet.

Fuori pioveva, la sera stava avvolgendo ogni cosa d’umido e freddo. La primavera sembrava lontana. E lui aveva il corpo in fiamme, il cuore che batteva solennemente d’una urgenza prima sconosciuta.

 

Soffriva per il bacio con cui si era deliziato, prima. Il sapore di Rosalie e la sua dolcezza erano come li aveva immaginati: un miele speziato e caldo, capace d’innamorarlo nell’intimo di sé, fin nelle viscere, svegliando quell’istinto possente che compete a un uomo.

Ma come aveva potuto agire senza preoccuparsi di ciò che lei provasse? Si era condannato al suo rifiuto, osando rivelarle il suo sentimento per lei. E quel sentimento era affamato e ingordo, continuava a pascersi della sua mente e gli toglieva la serenità.

Non aveva mai sentito, prima, il cuore rapito dall’amore, Bernard. Nel tempo, aveva imparato cose utili, e il suo mentore, Robespierre, gli aveva insegnato a non cedere alle lusinghe dell’amore senza tener vigile il pensiero: ché sono insidiose, sirene rapaci, e chi non si tura le orecchie al loro richiamo diviene facilmente schiavo e sconfitto.

Un altro amore, più grande e intenso, quello per la Giustizia, sarebbe stato il vero sfogo ai bisogni dell’anima; per i sensi, c’erano molti luoghi in cui cercare ristoro, e molte donne capaci di impegnare una notte senza chiederti l’intera vita.

 

Bernard, però, non era più sicuro di cosa sentisse. Credeva d’aver vissuto, in compagnia di Rosalie, la pace tanto agognata. Dolce preparare il cibo insieme, aspettando la loquacissima Madame Lucille, e poi lanciarsi occhiate divertite per tutti i pettegolezzi che lei riversava, tra un boccone e l’altro, a tavola; dolce osservare la fanciulla cucire serenamente mentre lui scriveva con passione; dolce raccontare e ascoltare; quegli occhi azzurri e grandi, dolci; dolci le sue mani calde e piccole; dolcissima la sua bocca che parlava gentile… e che si era spezzata come un frutto d’autunno nel bacio di poche ore prima, tremito dei sensi di Bernard.

Bernard strinse i pugni. Avrebbe dovuto trattenerla, quand’era venuta a vedere se avesse freddo. Scusarsi; invece le aveva parlato con arroganza, con dolore, e senza affrontare il suo sguardo. Aveva temuto che, a guardarla negli occhi, gli venisse ancora voglia di abbracciarla e scoprirla, strappandole il respiro e la sua voce sottile, dolce...

Dolce, così dolce!, che si sentiva ribollire il sangue a ricordare.

 

Era uscita, e poco dopo erano suonate le otto di sera. Dove poteva essere andata, con quella pioggia? Ma pochi minuti dopo, la porta si era riaperta e qualcuno era entrato, così si era tranquillizzato. In cucina, udì dei rumori conosciuti, qualcuno che preparava la cena. Gli si strinse il cuore. Se non avessero avuto alcun litigio… se lui non avesse perso la testa, quel pomeriggio, e con un bacio non avesse rovinato tutto… sarebbe stato con lei, in cucina, a giocare con la zuppa e farla ridere per quant’era imbranato.

 

Quando un’anima è sola, e si è costruita intorno mura accorte di ghiaccio, e torri da cui scoprire anzitempo i pericoli, non si fa cogliere mai di sorpresa da chicchessia.

Solo dall’amore, si fa cogliere di sorpresa. Perché, proprio quando un uomo è convinto di avere solide difese, e di non avere bisogno di alcun amore, ecco che questo nasce al di qua delle mura, dentro la fortezza, non fuori!, ed è una disfatta atroce, perché sembra di combattere una guerra civile dentro il proprio cuore, tra ragione e sentimento.

Comunque vada, a perdere sarà l’uomo stesso. E così Bernard si sentiva sconfitto; ma anche bisognoso come un bimbo.

Un’altra cosa appartiene ai cuori solitari, ed è la struggente tenerezza di scoprire l’armonia con un altro cuore. Bernard era sorpreso, attonito per quel potere magnetico che lo attirava a Rosalie. Adorava il loro modo di stare insieme, la loro serenità. Per questo soffriva: sentiva che non sarebbe più potuto rimanere da solo. Non ci sarebbe riuscito, senza ammazzare quella parte di sé, dolce e calda, che era nata semplicemente perché all’orizzonte era arrivata lei. Lui non voleva ammazzare quella parte di sé. Non voleva tornare indietro, e anche se amava combattere e l’ardore di Giustizia era ancora vivo in lui, sentiva di sospirare anche il riposo del cuore, il senso di casa. Rosalie era entrambe le cose, e lui la desiderava.

 

A un tratto, qualcuno bussò alla porta. Bernard, che era seduto senza soluzione sul bordo del letto, e contemplava spento la candela fioca, si drizzò tutto.

– A… avanti. – disse di slancio. Stavolta avrebbero parlato. Sarebbe stato più uomo e meno vigliacco. Doveva farsi forza.

La porta si aprì, e subito Bernard si protese verso chi stava entrando.

Ma al posto di Rosalie, la figura robusta di Madame Lucille si stagliò nella cornice della porta, con viso allegro. – La cena è servita, ragazzi! – disse, prima ancora di accorgersi che Bernard era solo.

– … buonasera, Madame Lucille… – mormorò lui, sulla difensiva. E guardò dietro di lei, credendo che Rosalie comparisse insieme alla donna.

Lucille strabuzzò gli occhi. – Oh, siete solo… che strano, credevo che foste insieme… dunque non ho voluto disturbarvi… – ammise, facendo pure un sorrisetto.

– Ma Rosalie non è qui. – disse Bernard, aggrottando la fronte.

– Lo vedo… – disse Madame Lucille, spegnendo il sorriso e facendosi molto pensierosa. – Dov’è andata? Lo sapete?

– … no. – disse Bernard, a denti stretti.

– Come sarebbe a dire? Siete stato qui finora.

– Io… ho sentito la porta, prima… credo sia uscita allora. Poi ho sentito un altro colpo… ero convinto fosse rientrata. Magari era venuta a prendervi al mercato, con questa pioggia…

– … aveva detto qualcosa del genere, ma non doveva, povera ragazza… fuori con questo tempaccio… – guardò dalla finestra, visibilmente preoccupata, adesso.

– Madame Lucille, quanto tempo ci vuole per raggiungere il mercato?

– Un quarto d’ora circa…

– E voi da quanto tempo siete qui?

– Un’ora… forse un poco di meno…

– Allora perché non è già qui? – scattò Bernard, che dava sfogo all’ansia facendo gran voce.

– … si sarà attardata da qualche vicina? Avrà cercato un riparo per non prendere tutta la pioggia?

– … dov’è il mio mantello? – chiese Bernard, alzandosi in piedi all’improvviso.

– Che cosa avete intenzione di fare? Voi siete stato male, avete delle ferite… – disse Madame Lucille, cercando di placarlo. – Andrò io a cercarla…

– Sto benissimo, sono guarito ormai. – sbottò lui, parandosi di fronte alla donna e sovrastandola in altezza. – Vi prego, datemi il mantello.

Madame Lucille tentennò, poi annuì gravemente. – Va… bene.

 

Bernard vagò inutilmente sotto la pioggia. Si inzuppò i vestiti, fino alla radice della ferita che stava appena rimarginandosi. Ignorò il disagio, il dolore sordo al petto, ogni cosa, per frugare tutti i vicoli intorno.

La pioggia lo protesse da eventuali attacchi di bande armate di bastoni; ma al contempo isolò ogni suo tentativo, e man mano che avanzava, o tornava sui suoi passi, cercando la via del mercato e osservando senza sosta i baracchini vuoti, la speranza gli tremò in cuore. Lo sconforto lo riempì come l’acqua un vaso, quando da giorni i fiori vi marciscono dentro e nessuno la cambia.

Una campana lontana suonò, nella pioggia di ovatta, le dieci.

In quel momento, Bernard alzò il viso al cielo che piangeva, e proruppe in un grido.

ROSALIE!

 

 

 

***

 

 

Nella stanza c’era un camino acceso. Rosalie, bagnata di pioggia e di lacrime, stette a lungo in silenzio, in un angolo di quella stanza dai lussuosi arredi, col suo baldacchino di seta e ricami dorati, le sue tende, la sua opulenza. Osservava il fuoco da lontano, abbandonata al suolo ad abbracciarsi tutta. Aveva ancora i polsi e le caviglie rossi per le corde con cui l’avevano legata, e gli stessi abiti che portava quando l’avevano rapita poche ore prima, sporchi di fango perché per immobilizzarla l’avevano costretta a terra, mentre la pioggia scendeva.

Non c’era altra luce che quel camino. Gli oggetti preziosi rimandavano riflessi sinistri, tutt’intorno a lei. Rosalie li aveva riconosciuti tutti. Di quella maledetta stanza conosceva ogni angolo. Non era a Versailles, ma nel palazzo dei Polignac: quello che abitavano prima che la Contessa entrasse nelle grazie della Regina. E quella era stata la stanza della bambina Charlotte.

 

La porta, d’un tratto, si aprì. Rosalie non mosse un muscolo, spenta in viso mentre contemplava la danza delle fiamme. Non guardò nemmeno chi fosse entrato, apatica. Il fruscio di una gonna lunga e di uno strascico prezioso le rivelò chi fosse, molto prima di guardare.

Dopo una breve pausa, colei che era entrata si avvicinò ancora. Si fermò di fronte a lei, e Rosalie poté vedere l’orlo dell’abito blu, dalla fantasia a fiori, che avrebbe riconosciuto tra mille.

– Alzati. Sei fradicia, sporca… e ridicola.

La voce di Yolande Martine Gabrielle de Polignac era suadente anche negli insulti. Rosalie ebbe un moto di rabbia, impercettibile. Strinse le palpebre tra loro, per un istante; sotto la bocca chiusa, strinse i denti.

– Ti hanno dovuto portare a forza, mi hanno detto.

Rosalie restò immobile. Non c’era argine all’odio, se non il silenzio. In esso si rifugiò, cercando di ignorare ogni parola, e perfino la presenza di quella donna nella stanza.

– Se ti hanno ferita, saranno puniti. – disse Yolande, con voce grave.

Rosalie cedette, la voce sgorgò spontanea da ogni buon proponimento. – … e come… ? Li pagherete meno di quanto avete promesso? – disse, le parole dense di sarcasmo che sibilavano tra i denti.

– Bene. Credevo ti avessero tagliato la lingua. – replicò Yolande, con un sorriso soddisfatto.

Rosalie si morse le labbra.

– Alzati, ho detto. – ripeté la Duchessa. – Devi ripulirti. Poi farò portare la cena.

La ragazza chiuse gli occhi, restando a terra, le braccia intrecciate tra loro e le gambe piegate su un lato. Aveva freddo, eccome, tremava: ma non avrebbe obbedito.

– Prendetela e spogliatela. – ordinò allora Yolande. Due donne in abiti da cameriera uscirono dalla tenda che nascondeva la porticina della servitù. Rosalie fu raccolta da terra, tirata per le braccia. Delle due donne, una era particolarmente robusta, ed ebbe facilmente ragione di lei. Senza badare alle sue grida e alla sua resistenza, le strapparono di dosso i vestiti. Rosalie si ritrovò nuda al cospetto della Duchessa, tremando come una foglia per il freddo, con gli occhi bassi e rossi di vergogna. Cercò di coprirsi con le mani e le braccia, quantomeno i seni e la propria natura di donna; e in quel momento due lacrime ardenti le solcarono il viso, tristi fiori dell’umiliazione.

Yolande osservò le tracce dei cordami ai polsi e alle caviglie. Fece una smorfia di disappunto.

– Avevo dato istruzioni precise che non ti torcessero un capello. Ma evidentemente li hai costretti tu a queste misure drastiche.

Rosalie alzò gli occhi sul volto di sua madre. Sentì la rabbia soffocarla, la frustrazione avvelenarle il respiro. Yolande sostenne il suo sguardo, contemplandola con occhi di ghiaccio.

Le due cameriere predisponevano il bagno, nel frattempo. Versarono acqua calda in una vasca e la miscelarono con altra fredda, prepararono profumi e unguenti e panni puliti.

Rosalie ristette al freddo tutto quel tempo, sotto gli occhi penetranti di Yolande, e non vi fu bisogno di parlarsi per sapere ciò che provavano in quel momento. Una odiava, e digrignava rabbia tra i denti. L’altra trionfava, e sorrideva con la pace di un fiocco di neve che scivola al suolo.

– Signora Duchessa, il bagno è pronto. – avvisò una delle due donne.

Yolande si scostò. – Bene. Procedete.

Rosalie tentò di sfuggire alle mani delle due ancelle, quando si avvicinarono di nuovo. Ma Yolande l’ammonì.

– A cosa ti serve fare così, cara? È solo un bagno.

La donna più robusta afferrò Rosalie per le spalle, e la condusse verso la vasca.

– Lasciatemi! – gridò Rosalie, divincolandosi.

L’ancella si impegnò a fondo per costringerla a raggiungere la vasca, e vi riuscì con qualche sforzo.

– Cosa c’è? Non ti aggrada il trattamento? Scommetto che preferiresti farti servire dalla tua amica.

Rosalie guardò Yolande con gli occhi sgranati. La Duchessa parlò con tranquillità, come se stesse discorrendo durante una partita a carte.

– Si chiamava Amelie, non è vero?

Rosalie sentì il cuore stringersi. Conosceva troppo bene quella donna, per non decifrarne le parole.

– Cosa… avete fatto… ad Amelie?

Yolande rise. – È viva, non temere! È tornata a casa sua. Credo che ormai… le siano spariti anche i segni delle frustate, dalla schiena.

 

Rosalie si sentì sprofondare. Amelie...

 

***

 

Era stata Amelie a parlarle di Charlotte. La contessina, che era stata una fanciulla altezzosa a Corte, troppo presto abituata all’Alta Società, in casa era un fiore delicato, i cui capricci potevano essere facilmente perdonati. Giocava ancora con le bambole, di nascosto da sua madre, e spesso sua compagna di giochi era proprio Amelie, che aveva appena sedici anni. Amelie aveva voluto bene alla contessina.

 

Poi era accaduto il peggio. A undici anni, Charlotte fu promessa sposa a Roland de Guise, un uomo di quarant’anni. Amelie aveva raccontato a Rosalie che al ritorno dalla cena di fidanzamento, avvenuta al palazzo del Duca, Charlotte pianse tutta la notte, senza riuscire ad addormentarsi se non abbracciata a lei. Charlotte confidò ad Amelie che quando il Duca la guardava lei aveva paura. Amelie cercava di consolarla, ma era inutile. La ragazzina diventava sempre più intrattabile. Gridava spesso a sua madre che non voleva sposarsi, che non voleva quell’uomo. La Duchessa, allora Contessa, intimava allora ad Amelie di lasciarle sole. E quando Amelie tornava dentro per completare la toeletta della contessina, la trovava spenta. Charlotte diventò taciturna, e per nascondere le occhiaie dell’insonnia sul suo viso, Amelie doveva coprirle il viso di belletto. E la ragazzina teneva sempre con sé una rosa bianca, che si sgualciva inesorabilmente.

 

Rosalie sapeva anche da chi l’avesse presa, quella rosa bianca.

 

– Rosalie! Che succede? Non sei andata al ballo con Oscar?

– No, André. Quella donna, Madame Polignac, sarà anche lei a Versailles questa sera. Più la vedo, più sento di odiarla. E oggi è l’anniversario della morte di mia madre. Non so cosa potrei fare, se la vedessi oggi.

– Allora buonanotte, Rosalie.

– Buonanotte, André… no, aspetta!

– … sì?

– Porteresti… un fiore a Madamigella Oscar? Per me. Per favore, dille che sto bene, e non sono triste.

– … va bene, Rosalie. A domani, allora.*

 

E così, André aveva scelto una rosa bianca. Oscar la portava già al petto, quando incontrò Charlotte presso una fontana, nei giardini di Versailles.

Oscar poi si confidò con André, a casa. “Charlotte piangeva a dirotto. Le ho lasciato la rosa bianca che mi hai portato tu.”

“Povera contessina,” disse André di rimando, “tutti parlano del suo prossimo matrimonio con Roland de Guise… ma lei è così piccola ancora”.

 

Quando aveva sentito queste cose, Rosalie, si era arrabbiata. L’odiosa contessina aveva preso la rosa bianca, il suo dono per Oscar!

 

Poi ci fu la scoperta orribile delle proprie origini, la consapevolezza che Madame Polignac non fosse solo la causa della morte di Nicole Lamorlière, la sua balia, la sua insostituibile madre adottiva; Madame Polignac era quella Martine Gabrielle che l’aveva data alla luce e abbandonata alla nascita, affidandola a Nicole.

 

Come può Dio avermi fatto questo?

Così aveva gridato il cuore di Rosalie, e solo con molta fatica e sofferenza si era calmato.

 

Poi, poi, tante cose erano accadute, turbini d’anima e pensiero, finché… Charlotte si uccise. Dopo un incontro privato con Roland de Guise, pettegolezzo, questo, che in seguito corse di bocca in bocca tra la servitù e i nobili, soffocato solo dal potere della Polignac.

Tutti, anche Rosalie stessa, avevano visto precipitare Charlotte dopo aver lanciato, dall’alto del tetto… una rosa bianca.

 

Rosalie provava ancora un dolore acutissimo, a quel ricordo. Non poteva credere d’aver avuto così tanto in comune con Charlotte e non essersene accorta. Una sorella che avrebbe potuto forse amare, se solo la sorte fosse stata diversa…

 

Dopo qualche tempo, dopo lo scandalo dell’Affare della Collana e la fuga di Jeanne, la Duchessa di Polignac colse l’occasione favorevole per ricattare Rosalie. Vieni a vivere con me, o io racconterò a tutti che la tua Madamigella Oscar protegge la sorella di Jeanne Valois.

Dunque Madame Polignac sapeva che Jeanne era figlia di Nicole Lamorlière; sapeva che Rosalie era cresciuta con lei.

All’inizio, Rosalie si spiegò il ricatto di Madame Polignac come un atto di gelosia e perfidia. Poi, però, pensò che potesse esserci anche un fondo di verità: forse era vero che dopo la morte di Charlotte, Yolande si sentisse molto sola. E non aveva altra arma che il ricatto, per avvicinare la… figlia a sé.

Così Rosalie aveva deciso il bene di tutti. Più di ogni cosa, seguendo Madame Polignac Rosalie avrebbe protetto Oscar, liberandola dalla sua scomoda presenza e dalle ritorsioni della Duchessa. Per sempre.

 

Arrivata al palazzo dei Polignac (non a Corte, Yolande ritenne saggio non rivelarla subito agli altri nobili), Rosalie aveva conosciuto il luogo in cui Charlotte aveva passato l’infanzia. Letto i suoi diari, osservato le sue bambole, pur senza giocarci. Era vissuta in un opulento reliquiario, dove ogni oggetto raccontava della sua piccola sorellastra, figlia della sua madre naturale e di un padre diverso.

Ma era stata l’unica dolcezza di quei giorni. Yolande non era cambiata. Non frequentava mai quel palazzo, impegnata com’era presso la Regina. L’abbandonò una seconda volta, visitandola solo di rado, come fosse una pura formalità.

Rosalie non poteva amarla, con dolore sapeva di non poterci riuscire. Inoltre, più imparava su Charlotte, più odiava quella donna che l’aveva data alla luce, come se già non bastasse che avesse ucciso Nicole Lamorlière, l’unica che considerasse madre, e minacciato la serenità di Madamigella Oscar.

 

Poi, una mattina, durante la toeletta mattutina Amelie le sussurrò, concitata e spaventata, cosa aveva sentito dal resto della servitù. Roland de Guise, il… fidanzato di Charlotte, avrebbe avuto presto una nuova sposa.

 

Fuggire era stata l’unica soluzione. Grazie ad Amelie, che di notte le aveva aperto le uscite della servitù.

 

***

 

Ora, Yolande aveva ritrovato Rosalie. E a farne le spese era stata proprio Amelie, purtroppo.

 

– Voi… siete un mostro. – disse Rosalie, incapace di gridare, ormai, nuda e intirizzita, sfinita.

– Vorresti incolpare me? Tu hai causato dolore a quella ragazza. Cosa credevi, che non mi sarei chiesta chi ti avesse aiutata a fuggire? Che non l’avrei interrogata? Se tu fossi stata meno ribelle e più saggia, lei sarebbe ancora qui a servirti. Magari avresti potuto portarla con te nella tua nuova casa, e la sua famiglia avrebbe prosperato. Invece adesso nessuno l’accetterà mai più a servizio. Davvero triste, spero che la sua povera mamma malata...

– VOI siete un mostro! VOI! – gridò Rosalie, e scoppiò in lacrime strazianti. Si accasciò, la donna di servizio dovette prenderla in braccio per adagiarla nella vasca. Rosalie si abbatté del tutto, mischiò le proprie lacrime all’acqua che doveva lavarla.

Yolande la osservò piangere. Poi, senza aspettare che smettesse:

– Tornerò per la cena tra un’ora. Mi aspetto da te una condotta impeccabile. Non vorrei che questi mesi tra i bifolchi ti avessero fatto dimenticare le maniere appropriate.

Yolande fece qualche passo, fino alla porta. Poi, un attimo prima di uscire, si volse a sorriderle.

– Bentornata a casa, figlia mia.

 

 

 

 

____________________

Note.

* Il dialogo tra Rosalie e André è preso dalla puntata 19, ma con qualche aggiunta finale, per inserire il motivo della rosa bianca misteriosamente appuntata sul petto di Oscar all’incontro con Charlotte.

- Anche qui, approfitto del capitolo per fare gli auguri! Buone Feste a tutti! Fino al 4 gennaio sarò altalenante: non credo di riuscire ad aggiornare con previsioni precise, anzi, probabilmente sarò in vacanza anche con la scrittura… ma chissà, qualcosina potrebbe comparire :D In quel caso, sarà una sorpresa! Un abbraccio enorme a chi segue questa storielluzza, lascia un saluto, un commento positivo o critico... o anche soltanto un pensiero pensato. :***

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Capitolo 10
*** Devo portare avanti la MIA missione ***


Pioggia, gelo, un macigno nel cuore. Queste cose aggredirono Bernard fin nelle ossa, mentre la sua corsa tra i vicoli lo conduceva lontano, dal quartiere del Tempio a quelli attigui, per strade che gli parvero un labirinto.

Chiamava Rosalie a gran voce, come si invoca Dio in un deserto. Ma poiché nessuno rispondeva, e quel ruggire non aveva alcun esito, la frustrazione lo abbatté sempre di più.

Gli venne a un tratto la speranza che, mentre lui si dannava tanto a cercare, Rosalie fosse già tornata a casa; che burla, aver perso ore e coraggio per le strade e in quel freddo, mentre lei era già al sicuro… ma Bernard temeva che una simile fortuna non si potesse avverare. Era un presentimento funesto, il suo. Qualcosa doveva essere accaduto; e Bernard pregava che non fosse niente di irreparabile, e che Rosalie comparisse ad ogni nuovo angolo a cui svoltava, per poterla abbracciare come un’altra volta, quando la salvatrice era stata lei e lui l’incauto.

Un freddo terrore lo bagnò, poi, quando ricordò la sua recente esperienza con gli uomini del popolo che l’avevano aggredito. Com’era vestita, Rosalie, quand’era uscita di casa? Era troppo in ordine? Perfino tra i poveri c’erano gerarchie, e sebbene la fanciulla non ostentasse abiti ricchi, teneva a un certo decoro, a gonne senza toppe, a mantelli senza buchi (retaggio, forse, di una vita condotta per metà negli stenti e per metà negli agi migliori); era più che sufficiente perché la derubassero. E bella com’era, era possibile anche che…

Dio mio, fa’ che io la trovi.

Erano anni che non pregava, Bernard. Ma nominò Dio a ogni istante di quella corsa, immerso nella luce della lanterna che accecava tutto intorno a sé, permettendogli di scorgere solo pochi metri per volta.

 

Nella foga, urtò qualcosa. Diede un calcio involontario a un oggetto piccolo, il cui suono metallico andò a impattare contro il muro di una casa. Si chinò a raccoglierlo. Era una tazza di latta, da cui fuoriuscirono due monete da un soldo. Bernard fece una smorfia, e lasciò cadere tazza e contenuto. Ma proprio lì accanto, al riparo dal battere della pioggia, la luce della lanterna gli svelò un luccichio per terra. Uno scudo d’argento ammiccava nella fanghiglia prossima al muro. Bernard raccolse anche quello, profondamente colpito.

Due soldi di bronzo erano più o meno il prezzo di un giornale, poca cosa per un uomo tutto sommato benestante, come Bernard; ma se si pensava che altrettanto costava all’incirca una libbra di pane, indispensabile razione giornaliera di cibo per chi viveva nella miseria… ecco che due soldi di bronzo non erano più così vili da essere abbandonati. E se già pareva strano che un mendicante fosse sparito senza quei 2 soldi, era praticamente assurdo che qualcuno avesse perduto o lasciato a terra lo scudo d’argento, che equivaleva a ben 120 di quei soldi!*

Su questa base, Bernard immaginò che chi avesse “dimenticato” il denaro non ne avesse davvero bisogno; chi l’aveva offerto, invece, doveva essere una persona benestante, che poteva separarsi da una somma simile senza paura. In ogni caso una persona generosa. Gli venne in mente solo una possibilità, e il pensiero fu doloroso e dolce insieme.

Riprese la sua corsa, con lo scudo d’argento in una mano e la lanterna ad accecare ogni altro vicolo, tranne la via di casa.

 

– Allora? – Bernard fu accolto da una Madame Lucille in preda all’ansia più nera. Fu ancora peggio quando la donna lo guardò in viso, fradicio e stravolto da far paura, e al suo seguito non comparve nessuno.

– Oh, Dio benedetto… dove può essere? Cosa le sarà capitato? Santo Cielo, povera cara, povera cara!

A contrasto dell’agitazione della donna, Bernard si fermò presso il braciere della cucina, muto e pallido come uno spettro.

– Sono tornato nella speranza che lei fosse venuta qui, nel frattempo. – mormorò, con tono meccanico. – Tornerò subito a cercarla. Ma prima…

– … aspettate… mangiate qualcosa, almeno… cambiatevi gli abiti, e…

– Non c’è tempo. Dovete dirmi dove tenete il denaro che Oscar ha mandato a Rosalie.

Madame Lucille esitò. Poi, di fronte all’espressione dura di Bernard e ai suoi occhi accesi, cedette. Si mise in ginocchio presso il piccolo giaciglio che Rosalie aveva occupato, in cucina, per lasciare a Bernard il letto della propria stanza. Lo spostò, facendo strisciare la struttura di legno al suolo. Bernard la aiutò immediatamente. Ed ecco, a ridosso del muro,  una botola chiusa da un lucchetto, che Madame Lucille aprì con una chiave. – Ecco…

Aprirono la cassa contenuta all’interno della botola. Madame Lucille ne trasse alcuni sacchetti, con il denaro contato all’interno.

Bernard prese alcune monete, tutti scudi d’argento. Esaminò quello che aveva trovato a terra, e quelli che appartenevano al piccolo tesoro donato da Oscar.

L’istinto gli diceva che l’unico indizio che aveva trovato avesse legami con Rosalie; era una speranza minima, perché i soldi si assomigliano tutti e chissà, in quel quartiere c’erano altri poveri abbastanza benestanti da tenere denaro simile. Ma se c’era qualcosa fuori posto, anche minima, che gli desse una pista, doveva scovarla. Si diede a confrontare le monete tra loro con febbrile attenzione.

Testa: l’effigie del Re, contornata da una sigla che significava “Luigi XVI Re di Francia e Navarra”. Croce: il simbolo della corona di Francia, incastonata tra due rami d’alloro.

Erano monete piuttosto recenti: 1787, lesse Bernard… ed ebbe una sorpresa. La stessa data era impressa sia sulla moneta che aveva trovato nel fango, sia sulle altre donate da Oscar!

E non solo. Bernard quasi saltò di gioia quando vide, sotto lo stemma della corona, il simbolo “AR” impresso su tutte le monete, sia quella trovata a terra, sia quelle del piccolo tesoro*.

– “AR”, non “A”. Dunque questi scudi non sono stati coniati a Parigi. “AR” è il marchio di zecca di un’altra città… ma quale?

– Co… come dite? – balbettò Madame Lucille, che di tutte quelle elucubrazioni aveva capito ben poco.

Bernard la guardò, ma non badò a lei. Il suo sguardo era lontano, perso nel suo ragionamento. – Forse Metz? No… – sussurrò tra sé e sé. – Metz batte moneta col simbolo “AA”. “AR”… ma certo! – la voce gli vibrò di trionfo. – È Arras.

Arras, la città dei Robespierre, nell’Artois, nel Nord della Francia. Gli scudi donati da Oscar recavano tutti il marchio di Arras. Come mai, si chiese Bernard?

– Non… non riesco a capirvi. – fece Madame Lucille, frastornata.

Bernard si alzò in piedi. Le lanciò un’occhiata diretta, con un ghigno nervoso, a metà tra la gioia e l’ansia.

– Ho trovato questo scudo a un angolo della strada, poco lontano da qui, abbandonato per terra. Ha la stessa data di conio e lo stesso marchio di zecca degli altri scudi che tenete in casa. Da dove vengono? Sono tutti di Oscar?

– … sì… sia gli scudi, che le altre monete… non avevamo più denaro da parte, quando Madamigella Oscar ci ha mandato il suo dono…

Bernard osservò le due monete da un soldo che aveva trovato dentro la latta abbandonata. Le date erano molto più indietro: 1740 una, 1757 l’altra. Ed entrambe avevano “A” come segno di zecca: erano state coniate a Parigi, dunque. Il mendicante poteva essere di Parigi…

– Non è un segno così definitivo… – mormorò Bernard, riflettendo. – Il denaro è sempre in movimento. Ma che tutti gli scudi di questo gruzzolo siano dell’anno scorso, e coniati ad Arras, ci dà abbastanza certezza che anche quello scudo fosse di Rosalie… – una piccola pausa, poi aggiunse – Arras, chissà perché. Immagino che un nobile possa ottenere facilmente grandi somme di denaro di nuovo conio. Madame Lucille, – chiamò, e la donna si chinò verso di lui, sollecita, – vi risulta che la famiglia di Oscar… i Jarjayes… abbia possedimenti ad Arras?

– No… non saprei proprio. Non sapevo nemmeno che si chiamasse così, la famiglia di quella nobile signora.

– Rosalie ha vissuto presso di loro per molti anni. Forse loro potrebbero…

Madame Lucille strabuzzò gli occhi. – Presso di loro! Cielo! Dite davvero?

– Me l’ha raccontato lei stessa. Ma voi… non lo sapevate? – si stupì Bernard a sua volta.

Madame Lucille scosse il capo. – Io no… non so nulla di questo.

Bernard dedicò un pensiero alla riservatezza di Rosalie: possibile che a Madame Lucille, sua benefattrice, non avesse raccontato nulla del passato? A Madame Lucille no, ma a lui, Bernard, sì…

– E voi… non le avete mai chiesto niente del suo passato, da quando è venuta ad abitare qui?

– Ecco… ho pensato non fosse il caso. Era… molto provata, e…

– Provata? Perché? Quanto tempo fa è successo? – incalzò Bernard, ma poi, accorgendosi d’aver messo in soggezione la donna, cercò di rilassarsi. – Vi prego. Ditemi quello che sapete.

– Ecco… io so solo che, una mattina, ormai più di sei mesi fa, lei venne a bussare alla mia porta. Era l’alba, io mi ero alzata presto per andare al lavoro. Aveva camminato tutta la notte, povera cara. Non mi disse da dove veniva, ma era stravolta. Sembrava aver scampato un terribile pericolo. Era scossa, poco mancò che piangesse. Ricordo però che aveva un abito scuro, di magnifica fattura: semplice, senza disegni, ma c’era seta, c’era velluto. Il giorno dopo, fece quel vestito a pezzi: ci ricavò una mantella e un abito più leggero. Me li fece vendere al mercato, e disse che il ricavato sarebbe stato mio, per ripagarmi del disturbo. Io però le chiesi se avesse un posto dove andare, mi disse di no, che non sarebbe più tornata indietro. Allora la presi in casa con me, come una figlia…

Bernard ascoltò ogni parola con gli occhi sgranati e il viso via via più perplesso. Quella che Madame Lucille le stava dipingendo era una vera e propria fuga. Ma da dove era fuggita Rosalie? Dalla casa di Oscar? Impossibile, dopo tutte le note d’amore che la ragazza le aveva riservato. Rosalie non era fuggita dalla casa di Oscar; ma allora da dove?

 

– … ma come mai adesso vivi qui? Perché non sei rimasta con Oscar?

– Il mio posto è qui.

– Qui?

– Qui, tra la povera gente.

– Preferisci questo posto agli agi di un palazzo?

– Ho visto Versailles, sapete. Ho conosciuto i nobili.

– … davvero?

– Madamigella Oscar e la sua famiglia… sono veramente pochi i nobili come loro. Il resto… il resto…

 

Bernard ricordava molto bene la rabbia di Rosalie, quando gli aveva raccontato quelle cose. E non solo…

 

– Vuoi ancora vendicarti?

– No.

– … perché?

– … perché non voglio che l’odio per lei mi distrugga. 

 

C’era un buco, nel passato di Rosalie. La ragazza si era confidata, ma non abbastanza; e Bernard sospettò che fosse proprio in quell’ombra oscura che si celava la chiave del mistero.

– Che sia… che sia andata da quella Madamigella che abbiamo curato? Visto che ha abitato con lei, forse… – stava intanto azzardando Madame Lucille, con un’ombra di speranza in viso.

Bernard avrebbe voluto condividere quella speranza. Forse la ragazza era solo fuggita da lui, dal suo bacio, dai suoi sentimenti, e ritrovato la sua adorata Oscar; ma perché farlo adesso, pensò? Perché non farlo sei mesi prima, invece di bussare alla porta di Madame Lucille? Bernard strinse nel pugno lo scudo d’argento che teneva insieme il fragile filo della sua ricerca. No, si disse sconsolato. Non era il caso d’essere ingenui.

– Vi avrebbe avvisato, se fosse andata da Oscar. No… è accaduto qualcosa di più grave.

Madame Lucille gemette. – Ma allora… dovremo subito denunciare la sparizione…

– Avete un coltello? – tagliò corto Bernard.

– Mio Dio… cosa volete fare? – chiese Madame Lucille, mentre il giovane, senza aspettare risposta, si mise a frugare tra i cassetti.

Appena trovò ciò che cercava, Bernard si sedette. Si guardò intorno. Sul braciere c’era ancora la pentola dello stufato, che brontolava sommessa; sul tavolo, il cesto del lavoro di Rosalie. Il giovane gli gettò un’occhiata addolorata, poi agguantò un lembo del mantello, tagliò e tirò. Con lo strappo, ottenne una lunga fascia scura. Mentre Madame Lucille lo fissava attonita, Bernard ricavò due buchi. Poi, con movimenti rapidi, portò la fascia al viso, i buchi all’altezza degli occhi. Legò le estremità sopra la nuca, fittamente.

Madame Lucille, nel vederlo in quello stato, si tenne il cuore con una mano, e con l’altra si coprì la bocca.

Quando fu pronto, Bernard si alzò, e nei buchi della maschera gli occhi gli brillarono di sinistra determinazione.

– Prendo in prestito il coltello. – disse.

– Dove andate… ?

– Tornerò con lei. O non tornerò affatto.

– Oh, Monsieur Bernard! Chiamiamo la Guardia, non fate sciocchezze…

– Chiamatela voi se volete, Madame Lucille. – disse lui, tetro. – So che non mi tradirete.

– Non vi tradirò. – ammise la donna, seria. – Ma sarà rischioso, e voi siete stato molto male.

Bernard sorrise, addolcì la fronte in un’espressione triste. – Se non riesco a ritrovarla… a cosa mi è servito diventare il Cavaliere Nero?

 

 

Il Cavaliere Nero camminò sotto il temporale per un altro lungo tratto di strada. Prima seguì una strada parallela a Rue du Temple, poi svoltò appena si trovò nei pressi dei Carmelitani. Tagliò per i vicoli, superando Rue Denis e Rue Martin in corsa. Nel frattempo, la pioggia gli diede una tregua. Questo lo rese più furtivo, attento che non ci fossero pattuglie della Guardia Parigina: la sua lanterna lo avrebbe reso facilmente un bersaglio. Presto riuscì a scorgere la sagoma luccicante del Palazzo Reale, che dormiva poco ogni notte, per via del fervore dei suoi salotti.

Il Cavaliere Nero spense la lanterna e tentò la consueta via di un cancello secondario.

– Chi va là? – gridò un guardiano.

– Aprite! – ribatté il Cavaliere, mostrandosi alla luce con la maschera che, da sempre, gli faceva da lasciapassare. Riconobbe Caron, un uomo che l’aveva sempre aiutato, insieme agli altri della banda. Era di guardia proprio la notte in cui Oscar l’aveva portato via, puntandogli una pistola alla schiena.

– Sono io. – rincarò il Cavaliere.

Caron, dal suo canto, sgranò gli occhi. Chiamò altri guardiani, riparati all’interno delle scuderie vicine. – Venite! Il… Cavaliere Nero è tornato.

Il Cavaliere fu fatto entrare, finalmente. Riconobbe, oltre a Caron, altri tre dei suoi antichi compagni. – Ho bisogno di un cavallo. – disse, senza troppi convenevoli. Si diresse alle scuderie. – Gli altri dove sono?

– Sono fuori. Mentre tu non c’eri, abbiamo continuato il lavoro… – disse Caron, poi diede un’occhiata agli altri.

Il Cavaliere, intanto, varcata la soglia delle scuderie cercava già tra i cavalli.

Caron gliene indicò uno. – Ecco il tuo solito. Spartacus. È tornato qui, la notte in cui sei sparito…

Il Cavaliere fece un ghigno compiaciuto. Già, Spartacus. Prima si chiamava in qualche modo stupido: era stato lui a ribattezzarlo per le sue imprese.

I cavalli a disposizione della banda non appartenevano al Duca d’Orleans, che aveva scuderie private nella parte del palazzo che abitava lui solo. La maggior parte di quei cavalli era stata rubata. Ma alcuni erano doni, a quanto pareva, di borghesi ricchi, banchieri, avvocati, mercanti, anonimi ma favorevoli, in segreto, alle cause dei ribelli. Bernard si chiese se il finanziatore dei fucili fosse nel novero di questi benefattori segreti.

 

Intanto, i quattro che lo accompagnavano lo osservavano con attenzione. – Ti abbiamo creduto morto. – disse uno di loro. – Quando il falso Cavaliere Nero è uscito con quel Colonnello, e tu sei uscito dopo di loro per riacciuffarli, non sei più tornato qui. Solo Spartacus l’ha fatto. Pensavamo che dopo ti avessero presto. E che ora fossi in prigione… o giustiziato.

Bernard rifletté. Avrebbe dovuto metterli a parte del fatto che a uscire con Oscar era stato lui stesso, e che il Cavaliere Nero all’inseguimento era André? E valeva la pena informarli d’essere stato sì prigioniero, ma di averla scampata grazie al patto con Oscar?

– È stata una sorpresa venire a sapere da Monsieur Robespierre che eri vivo. – disse un altro dei quattro. – Se non ce l’avesse detto lui, che si trattava del vero Cavaliere Nero… non ci avremmo creduto. – aggiunse quello, con toni allusivi.

– Già! – sbottò un terzo, chiamato Joly. – Che cosa significa che hai voluto comprare i fucili? Hai corrotto il Colonnello, o è stato lui a corrompere te?!

– Mi ricordo… voi non li avreste voluti comprare, mi è stato riferito. – sibilò il Cavaliere Nero, mentre legava saldamente i finimenti di Spartacus.

– Era una cosa troppo assurda, perché venisse da te. – sputò fuori con rabbia Joly.

– Veniva da me. Il Colonnello non c’entra nulla. – disse Bernard, senza sapere fin dove potesse spingersi con la verità e con i sotterfugi. – Sono scappato a stento da quei due maledetti. Sono stato nascosto per guarire da una ferita. Mi hanno sparato, e per poco non mi hanno ucciso.

I quattro erano ancora indecisi. Bernard constatò con dispiacere che, nei due mesi d’assenza, il gruppo si era staccato dalla sua autorità, e il credito solenne che veniva offerto prima a ogni sua dichiarazione, o azione… era sfumato in sospetto.

– L’accordo dei fucili è servito a scagionarci. – concluse, sebbene tutto quel racconto non tenesse in piedi nemmeno ai suoi stessi occhi.

– Me ne infischio di scagionarci! Noi dobbiamo derubare quella gente, non pagarla! – sbraitò Joly, che era sempre stato una testa calda.

– Non c’è bisogno di gridare, amico… – disse il Cavaliere Nero, con tono gentile.

– Io non prendo più ordini da te, hai capito?! – inveì quello, ma il Cavaliere fu più veloce.

In un lampo, brandì il coltello che teneva nascosto sotto il mantello, e inchiodò il ribelle al muro della scuderia. Spartacus nitrì e si agitò, disturbato dal grido dell’uomo e dall’assalto. Gli altri tre scattarono sull’attenti, ma era troppo tardi: il Cavaliere teneva l’uomo in scacco, una mano sul suo petto e l’altra forte sul coltello, con la lama appoggiata alla gola e pronta a sgozzarlo.

– Calma, ragazzi. Forse la mia assenza vi ha destabilizzato un po’. Vi consiglio la calma.

– … t… traditore… – disse Joly, stringendo i denti. Gli altri tre stavano immobili, incapaci di intervenire finché il coltello del Cavaliere insidiava il collo di Joly.

– Voi mi state tradendo, non io. Chi di voi si è impegnato a cercarmi, quando sono sparito? Con che entusiasmo avete accolto i miei ordini, dal mio letto di convalescenza? Sono quasi morto per la nostra causa, ma voi l’avete già dimenticato… – disse il Cavaliere, sicuro come era stato un tempo, freddo e preciso anche nell’aggressività.

– Noi… abbiamo continuato anche senza di te… come potevamo sapere dove fossi? Ce l’hai sempre detto anche tu… che se ti fosse accaduto qualcosa, la tua vita non era importante. La cosa più importante era la missione. – disse Caron, e Joly si ammansì sotto il coltello che lo minacciava.
Bernard si accorse che era vero. Le nostre vite non sono importanti, aveva sempre detto loro. Nemmeno la mia. La Giustizia vivrà oltre di noi!

Con parole come quelle, era stato capace di fomentare i suoi compagni e affrontare con loro rischi sempre maggiori, uscendone vittoriosi. Ma d’un tratto, quelle parole gli suonarono stridenti.

 

Perché disprezzate tanto la vita, Monsieur Bernard? Nessuna causa può essere così giusta da reclamare la morte di un uomo.

 

Rosalie. Si stava gingillando con quei quattro, mentre lei era in pericolo. Non c’era tempo da perdere.

– Dunque… non posso più contare su di voi? – chiese, freddo.

Gli altri presero coraggio.

– È così, Cavaliere Nero. Ora siamo capaci di andare avanti anche senza di te. E non ci basta più derubarli. Noi li vogliamo tutti morti!

– Puoi restare con noi, se vuoi. – aggiunse Caron, cercando di smorzare i toni. – Ti presenteremo al nuovo capo e…

– No, grazie. – disse il Cavaliere Nero, con una smorfia di disgusto. – Devo portare avanti la mia missione.

Lasciò andare Joly, ma prima lo spinse contro i compagni. Ottenne di disorientarli, il tempo sufficiente per saltare in sella.

– Addio. – disse, amareggiato. Diede un colpo di tacchi, e Spartacus partì. Il Cavaliere Nero lo incitò al galoppo. Previde di non ricevere una buona accoglienza ai cancelli, ma con sua sorpresa, questi erano aperti. Il giovane si chiese come mai, visto che poco prima Caron li aveva diligentemente richiusi. Poco male, si disse: approfittò di quel colpo di fortuna e via, per le strade che specchiavano il cielo in ampie pozzanghere.

 

Trovare Palazzo Jarjayes non gli fu difficile. Conosceva il punto in cui si trovava anche prima di venirvi ospitato: come Cavaliere Nero aveva studiato attentamente le ubicazioni dei vari palazzi nobiliari di Parigi e dintorni. Se non aveva mai osato rubare in casa di Oscar prima di essere catturato, il motivo era semplice: non sarebbe stato saggio rischiare di intrappolarsi nella tana del lupo. Inoltre, il suo luogo ideale d’azione erano le feste nei palazzi e la loro confusione; in casa Jarjayes, invece, il regime era più austero. Non venivano mai dati balli di un certo tipo, solo cene e pranzi privati, con pochi convenuti.

Lasciata indietro la lanterna, il giovane si orientò con il cielo, man mano che le nuvole permettevano alla luna, quasi piena, di mostrarsi. Non fu un tragitto agevole comunque, perché la luce era poca e sporadica, ma lui non si perse d’animo. Galoppò a perdifiato, si lasciò sulla destra il Bois de Boulogne, attraversò la Senna tramite il ponte che portava al Parco di Saint-Cloud, che costeggiò; poi andò avanti, e si immerse nella Foresta di Fausses-Reposes.

 

In quella corsa notturna gli parve di sdoppiarsi. Pensava a Rosalie con intensità, ed era Bernard; ma con il vento che gli strattonava i capelli umidi, e l’energia del cavallo al galoppo sotto la sella, il Cavaliere Nero tornava in auge, con tutta la sua dignità. Così era stato poco prima, tra gli antichi compagni: a parlare non era mai stato il Giornalista, il Giornalista si era limitato a pensare e riflettere, e guidarlo in segreto. Il Cavaliere Nero aveva fatto ogni altra cosa.

La ferita gli doleva, la corsa a cavallo non lo aiutava in quel senso. Bernard pensò che quello che Oscar aveva trapassato con un colpo di pistola, in fondo, fosse il simulacro dell’antico Cavaliere Nero, il ladro di un tempo. Ma quella notte non agiva come ladro.

La sua missione, in quel momento, non aveva più alcuna rivendicazione altisonante, né un pubblico. Era una missione segreta, personale, tutta di Bernard. Per intraprenderla aveva vestito il fantoccio del Cavaliere Nero, mentre l’interno, svuotato del passato, si era riempito di qualcosa di nuovo. L'amore, certo; l'amore per Rosalie.

Così la forma aderiva alla sostanza, il corpo vestiva il cuore.

 

Finalmente, dopo circa due ore di folle galoppata e intervalli forzati per orientarsi, il giovane scorse la sua destinazione.

La villa dei Jarjayes era immersa nella più profonda quiete. Bernard si mosse con cautela. Legò il cavallo a un albero vicino, si avvicinò al muro di cinta.

– Ero ossessionata dalla ricerca della donna della carrozza, e così andai lungo la strada per Versailles. Cercavo la Reggia… e quando vidi un palazzo… io non avevo mai visto un palazzo di nobili, prima di allora!, pensai che fosse quello. Invece era la casa di Madamigella Oscar. Scavalcai il muro…
– Tu… scavalcare il muro?
– … sì, perché fate quella faccia?
– Be’… non immaginavo che tu… ecco… ma non volevo dire che… insomma. E poi… ?

Era doloroso ricordare i racconti di Rosalie e la sua dolcezza. Ma al tempo stesso, Bernard si rese conto che la memoria gli offriva minuscoli indizi; accendeva intuizioni, apriva molti “se”. Gli sarebbe stato impossibile scovare tutte le risposte da solo. Aveva bisogno di aiuto.

Scavalcò il muro, con il cuore rivolto a Rosalie.

 

 

 

 

 

 

______________

Note.

* Madama Wikipedia mi ha fornito l’immagine per il marchio di zecca: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/6/6c/PrivyMark.jpg. Si trattava di una piccolissima lettera, o una sigla, impressa insieme alle altre immagini sul lato croce della moneta, che indicava dove quella moneta era stata coniata. Arras ebbe una zecca fino al 1789, pare che con la Rivoluzione sia stata chiusa. Valori e nomi delle monete dell’epoca li ho pescati qua e là nel web, su Wikipedia ma non solo. E ho scoperto che esistevano i soldi di bronzo, gli scudi d’argento e i luigi d’oro, oltre alla più diffusa livre, la lira, il cui valore equivaleva a 20 soldi. Se uno scudo d’argento valeva 6 lire, 6x20 = 120 soldi. Almeno credo...

Sulla data di conio, dopo consulto con la fida Madame Anna, ho scoperto che le zecche francesi non battevano moneta a intervalli precisi, né tantomeno tutti gli anni. Quindi la data così ravvicinata delle monete del gruzzolo di Oscar non è necessariamente quella: se avrò modo di approfondire la questione numismatica e questo 1787 risultasse inverosimile, lo cambierò prontamente in una data migliore, tanto la cosa che importa davvero è che siano tutte dello stesso anno (quale che sia) e vengano da AR-Arras! Chi ne sa più di me mi segnali senz’altro le correzioni da fare, gliene sarei grata!

- Beni, riprende il ritmo dei miei fine settimana pubblicosi, iniziando dal CavalierO! Grazie sempre a chi segue questa storia, e non solo questa. Un abbraccio!!

 

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Capitolo 11
*** Quando la maschera cade... ***


Bernard si aggirò furtivo tra le siepi ben tagliate del giardino dei Jarjayes, gli alberi sempreverdi e le sagome delle statue ornamentali. Badò a eventuali custodi esterni, procedendo con il passo felpato che l’aveva reso ladro.

Se avesse avuto l’agio di aspettare, si sarebbe mostrato col sole, al mattino, come un ospite... o forse nemmeno in quel caso l’avrebbe fatto: Oscar gli aveva interdetto il ritorno. Era probabile che il Generale Jarjayes non avrebbe mai accolto di buon grado il sospettato principale dei furti alla nobiltà di Parigi, nonché della sparizione delle armi dell’esercito trafugate dai ribelli.

Come aveva giustificato al Padre, Oscar, l’acquisto dei fucili a prezzo stracciato? Come si era difesa dall’eventuale accusa di aver armato dei ribelli? Nobile e limpida com’era, Bernard aveva finito, in quei giorni, per chiedersi spesso cosa mai fosse passato per la testa di quella donna, oltre alla generosità. E si era ritrovato anche a pensare alle sue parole di commiato. “Devi ringraziare André”, gli aveva detto. Ringraziare André per essere stato liberato: perché?

Rosalie non citava spesso André, nei suoi racconti del tempo felice in casa Jarjayes, ma quando lo faceva, lui era sempre accanto a Oscar. Bernard aveva ormai compreso che l’uomo che seguiva Oscar ovunque, il suo attendente e aiutante nello sconfiggere il Cavaliere Nero, fosse qualcuno di speciale.

In quel momento, però, un altro pensiero gli suggerì ancora maggiore cautela. Quello che stava facendo era un perfetto azzardo. Non poteva togliersi la maschera, perché senza l’avrebbero riconosciuto; non poteva nemmeno aspettare e proporsi come un ospite qualunque, non solo perché, appunto, aveva dei trascorsi poco chiari in quella casa, ma soprattutto perché ogni ora di indugio dava modo ai presentimenti più angosciosi di avverarsi. Rosalie era ancora smarrita nel mistero, per quel che Bernard poteva sapere, e il tempo scorreva in una corsa inclemente.

 

Il giovane osservò la fontana spenta di fronte all’entrata principale. Un vialetto ben lastricato conduceva, di lato, ad alcuni piccoli edifici che fungevano da dependances. Uno di essi doveva essere la scuderia.

Al piano superiore della casa, poi, c’erano vari balconi. Bernard ricordava d’aver dormito effettivamente in una stanza con balcone, dalle ampie vetrate. Ne ricordava ancora il mobilio sobrio e raffinato: una stanza per gli ospiti, dunque, situata nella parte anteriore della casa. Poteva provare a intercettare quella. E da lì, attraverso le finestre, provare a cercare la stanza di Oscar. Oppure entrare con meno rumore possibile e cercare gli alloggi della servitù, dove avrebbe potuto trovare André.

D’un tratto, però, si accorse che una delle finestre del primo piano, a lato della casa, era illuminata. Non aveva balcone, ma ugualmente si trovava al piano superiore. Qualcuno era sveglio, anche in quell’ora nera. Che fosse Oscar? O sua madre… o suo padre?

Si arrampicò su un albero posto dirimpetto alla facciata laterale della casa. Si nascose nel fogliame e nell’ombra, da cui spiò l’interno rischiarato da quella luce. Per lunghi istanti, non vide niente e nessuno. Solo un mobile, il lato di un baldacchino. La candela che rischiarava la finestra delineava intorno a sé sagome immote.

Poi, finalmente, Bernard scorse un movimento. Alla finestra si affacciò l’ombra curva di un uomo dai capelli corti. Bernard sgranò gli occhi.

Sussurrò: – André…

Lo vide vestirsi, prendere il giustacuore e indossarlo sulla camicia. Poi lo vide chinarsi sulla candela all’orlo della finestra, per spegnerla di botto.

Il Cavaliere Nero scese subito dall’albero, attento a ogni suono. Si appostò tra le siepi.

Dopo qualche istante, dal retro della casa vide uscire la stessa figura.

 

Quella figura avanzò verso le scuderie. La luna lo bagnava appena appena d’argento, ma non ci si poteva sbagliare: era proprio André. Eppure Bernard esitò, quando vide che l’uomo procedeva a passo incerto. Colpa del buio? C’era la luna. Perciò cos’era quel passo da ubriaco?

Quando André entrò nelle scuderie, lasciò l’entrata socchiusa. Bernard corse, cercando di non fare rumore, verso quello spiraglio. Lo varcò, entrando silenzioso sulla scia dell’altro.

Lo trovò prossimo a un cavallo. Si stava chinando per raccogliere la sella che gli avrebbe fatto indossare. Bernard udì l’uomo mormorare qualcosa, una sorta di litania dalle parole smozzicate.

  Addio… Mylene… non essere triste… Il mio… pugno… è più spaventoso… delle pallottole dei nemici…
André stava rivestendo il cavallo con perizia, ma la sua voce era alterata e stanca, come se giungesse alla fine di un grido. E nella luce della lanterna che si era acceso, il volto gli appariva sorridente, forse troppo. Il Cavaliere Nero decise di farsi avanti. Fece rumore pestando bene i passi, perché l’altro potesse sentirlo nelle pause di quel suo canto sommesso.

Così fu. André rallentò il movimento, il sorriso sparì dal suo profilo. Si volse di scatto, con il volto spezzato tra la coscienza e il buio. Un folto ciuffo di capelli gli celava metà viso, lasciando solo un occhio a scrutare l’ombra, sgranato. Quello sguardo incompleto, simile al terrore di un uomo in preda a un incubo, colpì Bernard al cuore.

Poi André lo riconobbe. Lo sguardo allucinato si calmò, il sorriso poté affiorare, ironico, sulle labbra dell’attendente.

– Sei tu… – lo salutò, e parve lieto. – … il Cavaliere Nero! Credevo fossi qualcun altro. – aggiunse, e sogghignò subito dopo.

– Sì, sono io… André. – rispose Bernard, osservandolo con la massima attenzione, e poi scrutando la porta alle sue spalle. – Aspetti qualcun altro? – si informò, speranzoso. – Ho bisogno di parlare con Oscar.

André, in un attimo, si incupì. – Lei…

– Sì, lei. Portami nella sua stanza.

– … impossibile…

Bernard aggrottò la fronte.

– Devi farlo. Devo vederla, è una questione della massima…

André mormorò, accarezzando il manto del cavallo:

– … è in Normandia…

Bernard tacque.

– Cos’hai detto… ? – mormorò poi, annientato.

– In Normandia… per un mese. – ripeté l’altro, con un tocco sadico nella voce.

– Ma io devo vederla… subito!

André ridacchiò perfino. – … sarebbe folle pensare che tornerà… subito… no… non verrà, lei. No… – sussurrò, e la tristezza gli divorò la voce. – … solo un pazzo potrebbe pensarlo.

Bernard tremò. Sospettò l’effetto del vino, nella voce di André. L’altro prese di nuovo a sorridere in modo malsano, lo sguardo che tremava, di contro le mani attente e ferme nello stringere i nodi della sella.

– André… tu sei ubriaco.

– Lo sono? Ma sì, dev’essere come dici… non è la terra che trema, sono solo io. – André strinse un’altra correggia della sella. Il cavallo nitrì e mosse il capo, lasciandosi comunque bardare. – Ci siamo quasi, amico… portami al solito posto, eh? Un vero uomo vuole soloooooo… una bella lotta! Non è vero, Jules? – e poi scoppiò a ridere. Una risata forzata, che si chiuse in un ghigno. –  Così, Mylene… le tue labbraaaaa…

Di colpo, André smise di cantare. Il suo viso tornò tetro.

Bernard continuava a fissarlo attonito. André lasciò passare il tempo senza quasi muoversi dal suo posto. A un soffio dal cavallo, ritto in piedi e con i pugni stretti, pensava, osservando cose invisibili con la rigidità dei folli.

Bernard avanzò verso di lui. Lo agguantò per una spalla, lo voltò tenendolo per il bavero. Lo scosse forte.

– André! Che diavolo... !

André gli rimase appeso tra le mani. Gli sorrise perfino. L’alito gli odorava in effetti di vino. Ma lo sguardo sembrava calmo, privo di quella completa confusione che prende gli ubriachi. – Ehi, amico, calmati. Ti senti forte perché hai una maschera? Non credere… se metti una maschera, devi stare attento… te la possono sempre strappare… come hai fatto tu con me. E io con te…

Bernard trattenne il respiro. – André... riprenditi, dannazione.

– Dammi ascolto, ti dico. Non si deve mai fingere… quando la maschera cade, tu rimani orbo… e pazzo…

André rise. Bernard lo strattonò più forte. – ANDRE’! Che stai dicendo? ORBO? Che significa orbo?

Ancora un sorrisetto, e André parlò con tono sognante, guardando in alto con l’unico occhio sano.

– … il mio occhio è morto… viva il mio occhio. Che non l’ha vista andare via… via per sempre… da me.

Bernard lo fissò inorridito. La sofferenza di André gli si riversò nello spirito, come una pallottola rovente nelle carni. Quell’uomo non era così ubriaco, realizzò il giovane. Era distrutto, piuttosto, e plateale nella follia, più desideroso di assecondarla che realmente affetto da essa. Ma una parte di lui era vigile, dannatamente vigile. La parte che lui non aveva accecato… o l’altra, piuttosto?

In un impeto crudo e generoso insieme, Bernard lo tirò via dal fianco del cavallo. Un abbeveratoio pieno, lì vicino, era stato disposto accanto alla mangiatoia dei cavalli. Quasi senza incontrare resistenza, Bernard calò il viso di André nell’acqua, tenendolo per i capelli e il capo. Allo schiaffo con l’acqua André subito soffocò, si agitò convulsamente; Bernard lo lasciò andare immediatamente, tirandolo fuori in un unico movimento. André prese un respiro avidissimo, poi tossì forte. Si appoggiò al bordo dell’abbeveratoio, ansante, il viso e i capelli che grondavano copiosamente.

– … perdonami, André. – disse Bernard, tremando a sua volta, le mani bagnate. – Perdonami.

 

Passò qualche istante, tra il silenzio contrito di Bernard e il raschiare della tosse di André.

– Che cosa vuoi, Bernard. – disse infine l’attendente, la voce malferma.  

– Cercavo… Oscar. – ammise Bernard, a capo chino.

– … non è qui.

Bernard cercò il viso di André. Contemplò con vivo dispiacere il suo profilo, che gli si offriva proprio dalla parte cieca.

– Il tuo occhio... Io... io...

– Non ce l’ho con te. – mormorò André.

– Tu mi hai lasciato andare… nonostante quello che ti ho fatto. – sussurrò Bernard. Tutto gli parve finalmente netto, come sotto un chiaro sole primaverile. L’animo gli tremò di gratitudine, di rispetto… di pietà.

André scosse il capo. – Ti sei battuto meglio di me. –  Poi chiese di nuovo, la voce spenta ma lo sguardo vigile, fisso su un punto dell’acqua. – Che cosa volevi… da lei?

Bernard chiuse gli occhi. Li riaprì, deciso.

– … ho bisogno di sapere… di Rosalie.

– Cosa.

– Non ha vissuto sempre con voi, non è vero?

André guardò Bernard con occhio stanco. Poi si asciugò il viso con una manica.

– … no. Per qualche tempo è andata a stare… da sua madre.

Bernard non riuscì a credere alle proprie orecchie.

– … sua… madre?

– La Duchessa di Polignac.

– Non è possibile. La madre di Rosalie è morta sotto le ruote di una carrozza…

– … la carrozza della Duchessa di Polignac, già. La donna uccisa era solo la sua madre adottiva. La sua vera madre ne è stata l’assassina.

Bernard vide il quadro farsi in mille pezzi, nella sua mente. Ricordò il momento di cui era stato spettatore: lo strazio della piccola Rosalie, il rantolo morente di Nicole Lamorlière, l’alterigia crudele della Duchessa, allora solo Contessa…

Se avete delle lagnanze, mi troverete a Versailles!

 

Bernard chiuse di nuovo gli occhi. Cercò di digerire tutte quelle notizie e scioglierle in un colpo solo.

– È orribile. – mormorò soltanto.

André fece un altro sorriso, amaro e consapevole insieme, mostrando i denti.

– Per il Destino, noi siamo burattini. 

Passò un altro istante nel silenzio reciproco.

– André... – disse allora Bernard. – … devo chiederti… un’altra cosa.

André attese, spento.

– … i Jarjayes… ricevono denaro… da Arras?

L’altro annuì. – I possedimenti dei Jarjayes sono per la maggior parte ad Arras.

A quell’ultimo tassello, Bernard si sentì percorrere da un brivido. Tutto si era ricomposto, finalmente. Tutto tornava e risuonava insieme. Ed era una melodia in cui dolore e speranza rintoccavano insieme, come oscuri gemelli.

 

 

Un’ora dopo, Bernard e André osservavano i cancelli di Versailles da un punto riparato tra i boschi. Bernard, che non si era mai spinto fin laggiù, contemplava lo splendore prossimo della Reggia con l’aria guardinga e attonita di una belva alla sua prima caccia.

– Gli appartamenti di Madame Polignac sono nell’Ala di Mezzo, al pianterreno. – gli spiegò André.

– Spiegami come arrivarci.

– È impossibile che tu ci arrivi dall’esterno. A Versailles ci sono 700 stanze e più di 2000 finestre. Nel tempo che impiegherai a trovare quella giusta ti troveranno e ti cattureranno, specie se indossi quella maschera.

– La maschera… la toglierò.

– Ti troveranno comunque. Credi che tutti possano entrare liberamente?

– Ma se Rosalie fosse stata portata qui? Io devo raggiungerla. – scandì Bernard, i pugni stretti.

André tacque. Osservò Bernard e il suo trasporto, senza commentare. Si chiuse in meditazione, e non disse altro per qualche istante.

– Non puoi farmi entrare in qualche modo? – rincarò Bernard, impaziente. – Nascondermi tra i servi, o che altro?

André continuò a pensare.

– … la Duchessa non risiede sempre qui a Palazzo. Ha viaggiato spesso, ultimamente. Potresti essere completamente sulla pista sbagliata.

Bernard imprecò.

– Aspettami qui. – disse invece André, raccogliendo le redini di Jules con una certa calma.

– Dove vai? – esclamò Bernard.

André salì in sella. – Vai a cercare un riparo, e prova a dormire un poco. Ci ritroveremo qui all’alba.

Bernard cercò di fermarlo. – Devi prima dirmi cosa hai intenzione di fare…

André sorrise appena. – Vado a chiedere a qualcuno.

Bernard osservò André sfilare davanti a lui, con il cavallo al passo.

L’attendente del Colonnello Jarjayes condusse Jules sulla via principale. Di lì si avviò verso i cancelli. Chiunque vi fosse di guardia, lo lasciò passare oltre le sbarre dorate.






______________

Note.

- André va canticchiando, mentre sella Jules (pare che il cavallo di André si chiami Alexander nell'originale, ma ormai in "Rivoluzione" ho inventato questo nome, e così preferisco lasciarlo!), la canzone di Mylene, già sentita a Parigi dai Soldati della Guardia della Compagnia B in una delle sue prime ubriacature famose, poche notti prima dello Strappo (episodio 28).  

- Mi sono collegata all'anime, dove Oscar, all'indomani dallo Strappo e in attesa di prendere servizio con il nuovo incarico di Comandante della Guardia Parigina, decide di prendere letteralmente le distanze da André per un mese di ritiro in Normandia. Qualcuno di voi, dunque, aveva profetizzato a dovere!! 

- Un saluto affettuoso a chi continua a seguire questa storiuzza :**** Grazie fanciulle! Ed eventualmente fanciulli!

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Capitolo 12
*** Non lo farebbe mai ***


“Prova a dormire”, gli aveva detto André. Si può ben immaginare quanto Bernard, intirizzito e in allarme per gli eventi di quella notte, sia davvero riuscito a dormire fino all’alba. Era agitato, nel modo particolare che precede l’azione: concentrato, le emozioni che battevano forte come il suo cuore, badava a ogni suono, a ogni movimento.

Venne l’alba. Una luce soffusa salì lentamente dall’orizzonte, per scivolare negli spazi oscuri del bosco, come un’anima di vita sul mondo addormentato. Bernard si mosse con quella luce, a cavallo.

André fu di parola. Bernard lo trovò che lo aspettava al luogo convenuto, poco distante dai cancelli di Versailles, ben celato dagli alberi del demanio circostante.

– Allora? – gli chiese immediatamente, appena gli fu al fianco.

André scosse il capo. – Madame Polignac non è a Versailles in questi giorni.

– Cosa, ma… allora… dove…

– Vieni con me. – disse André, già pronto ad andare. Si fermò un attimo, – Ma prima… togliti la maschera.

Bernard si portò una mano al viso. Toccò la stoffa scura, pensieroso. Affrontare senza filtri lo sguardo di André gli parve d’improvviso disagevole. Una cosa è guardare qualcuno negli occhi, con un altro paio d’occhi; ma concentrare l’attenzione sull’unico occhio vivo di André, o curiosare involontariamente nell’anomala ombra che gli rapiva metà viso, era diverso, specie nella consapevolezza d’essere causa di quella maschera perenne sul volto dell’altro.

– Sarà una giornata senza nuvole. Ti potrebbe vedere qualcuno… e se risalisse a me, sarebbe stato tutto vano, finora. – rincarò André, il quale fissava sì Bernard, ma senza alcun giudizio palese. La parte d’anima che il suo volto mostrava appariva placida, come rassegnata; e così le sue azioni erano pacate, senza entusiasmo, come rallentate. Una mesta gentilezza era tutto ciò che rimaneva della sua vitalità, e anche una certa serietà, dal momento che era venuto a conoscenza della sparizione di Rosalie.

– … sì. – disse Bernard, e si sfilò la maschera dal viso. André, senza nemmeno guardarlo, partì al galoppo. Il giornalista lo seguì immediatamente.

 

 

Presto il sole si mostrò, cacciando via la notte e la pioggia. Lungo il tragitto, André e Bernard incontrarono pozzanghere e fango, ma i cavalli ressero fino alla fine. Bernard notò che stavano procedendo verso nord, lasciandosi Parigi sulla destra; così il sole che sorgeva veniva da quel punto, dalla capitale addormentata, le sue case e i suoi monumenti.

Passarono la Senna nella zona di Val d’Oise. André si muoveva senza alcun ripensamento, e Bernard si sentì rassicurato: con un solo occhio, l’altro era comunque capace di seguire il percorso a cavallo, poteva vedere, poteva guidarlo perfino. Anche se non si scambiarono nemmeno una parola in quel viaggio, Bernard provò verso André assoluta fiducia; non gli fece più domande, facendosi portare come un ragazzino dalla mano di un genitore.

Passato il fiume, salirono ancora più a nord. I cartelli ai lati delle strade indicavano la prossima cittadina di Saint-Leu-la-Forêt. André non condusse Bernard tra le sue vie; piuttosto, dopo circa due ore di galoppo sfrenato, i due lasciarono la campagna per un boschetto. Dopo i primi alberi il cavallo di André proseguì al passo; ancora pochi minuti, e i due giunsero a vedere, tra gli alberi e le radure del confine boscoso, i cancelli di un palazzo.

– Questa è la foresta di Montmorency. – disse allora André, a voce bassa. – E quella villa è la dimora dei Polignac.

Bernard allungò lo sguardo ai cancelli, ai muri di cinta, alle aiuole e gli alberi che un po’ soffocavano, anche dentro il confine del palazzo, la sagoma elegante della costruzione. Modesta, a due piani, una gradinata d’ingresso, qualche finestra: da lì non si vedeva molto di più.

– Tu credi… che Rosalie sia qui?

– La Duchessa di Polignac è qui.

– … ho capito.

Bernard rimirò i cancelli con volto duro. Se Rosalie era lì… se le era stato fatto del male…

– … tu mi hai parlato di una sparizione improvvisa. – gli disse André, fissandolo intensamente. – E non credi che sia stata lei ad andarsene di sua volontà.

– È così. – disse Bernard, con amarezza. – Quelle monete…

– Una volta… – lo interruppe André, accigliandosi. – … Rosalie fuggì da casa, nel cuore della notte, rubando una pistola e un cavallo. Ci aspettavamo che lo facesse, un giorno o l’altro. Aveva appena scoperto la verità sulle sue origini, la verità sulla morte della sua madre adottiva. Soffriva profondamente per questo. Quella notte venne qui. Puntò la pistola contro la Duchessa.

Bernard si riscosse, costernato.

– Rosalie… ha fatto questo… – mormorò, ricordando quello che lei stessa aveva lasciato trapelare, della sua gioventù. L’attentato a Madame Jarjayes, poi sfumato in una dolorosa confessione, bastava a confermargli che Rosalie era capace anche di queste cose: di colpi di testa, e di irruenza, e di sangue caldo, ardente… inevitabilmente, il giovane ne provò tenerezza.

– Lo ha fatto. – convenne André. – Ma proprio un istante prima di premere il grilletto, io e… – André perse per un attimo la voce, si corresse – … noi la vedemmo fermarsi. Si accasciò a terra, sconfitta dal pensiero di non riuscire a uccidere… la sua vera madre.

Bernard sorrise teneramente anche a quella scena, che gli si dipinse davanti agli occhi con nitida freschezza.

– Non è nella sua natura fare del male… – commentò, forse più a se stesso.

André continuò, come se non l’avesse udito. – Pochi mesi fa, durante il Processo della Collana, da un giorno all’altro venne a stare qui. Per noi fu… una sorpresa, un vero colpo. Ci eravamo profondamente affezionati a lei, e lei sembrava ricambiare questo sentimento di tutto cuore. Non ci spiegammo il motivo… finché non trovammo, nella sua stanza, una lettera di Jeanne Valois.

Bernard sgranò gli occhi, poi annuì ancora. – Sua sorella adottiva. Di lei mi ha parlato…

– Rosalie abbandonò la nostra casa per non mettere… Oscar in una posizione difficile. Era rischioso che il Comandante delle Guardie Reali ospitasse in casa sua la sorella della donna ritenuta il criminale più pericoloso dell’intero Regno… – la voce di André passò dalla mestizia all’esitazione, poi a un certo evidente sarcasmo. Poi, di nuovo malinconia. – Non so se fu eccesso di zelo, il suo. Ma da allora, mi sono sempre chiesto come avesse potuto, quella ragazza, ingoiare e distruggere dentro di sé l’odio irriducibile nei confronti di Madame Polignac. Forse era cambiato qualcosa. Forse erano riuscite, madre e figlia, a trovare un dialogo… Poi abbiamo scoperto… poco tempo fa, come immaginerai… che Rosalie era fuggita da questa casa. – André osservò il cancello, le sue alte sbarre. – Come da una prigione.

Bernard sospirò. – Perché questo lungo discorso, André? Dove vuoi arrivare?

– L’unico motivo che avrebbe per venire qui di sua spontanea volontà è… completare la sua vendetta.

– Non lo farebbe mai. – disse Bernard bruscamente.

– Eppure, anni fa, avrebbe potuto… – lanciò André.

– Anni fa. Non oggi. Non più. – Bernard lo disse con totale sicurezza. André si rilassò un poco, annuì. Sorrise come se, in fondo, nemmeno lui avesse davvero creduto del tutto a quella eventualità. – Bene. Allora esploriamo la seconda possibilità. Che sia stata portata qui con la forza, come credi tu.

Bernard deglutì. – André. Ogni istante che passa è prezioso. – gli ricordò. – Ti prego, facciamo in fretta…

André si fece serio. – Se è vero quello che ho udito dalla servitù di Versailles, non è ancora accaduto nulla di irreparabile. Ben inteso, nessuno mi ha dato informazioni dettagliate, io non ho osato chiedere più del giusto, e perfino i servitori più loquaci sono stati reticenti. Eppure… ho sentito parlare di… preparativi.

– … preparativi?

– “La Duchessa vorrà fare i preparativi lontano dalla Corte, stavolta”. Ho udito questa frase, tale e quale, da chi credeva di non essere udito. Mentre venivamo qui, ho continuato a pensarci.

– Che diavolo…

– Bisogna indagare ancora, Bernard. Se qualcosa si sta muovendo, ho idea che la presenza di Rosalie in questo palazzo non sia casuale.

– … entrerò subito dal muro di cinta. E lì scoprirò la verità.

– Bernard. C’è sempre la terza possibilità…

Bernard scese lentamente da cavallo, stringendo i denti alle parole di André.

– … ovvero che Rosalie sia scomparsa per un altro motivo, e che siamo ben lontani dal trovarla.

Bernard prese le redini di Spartacus. Sorrise, a quel punto.

– Grazie di tutto, André. Da qui in poi farò da solo.

– … vuoi andare da solo? – André aggrottò la fronte, restando in sella.

– Sì. Non posso coinvolgerti in questa mia… caccia.

– La Duchessa di Polignac è la donna più potente di Francia, dopo la Regina. Pertanto, intoccabile.

– Che mondo di merda, vero, André? – sogghignò Bernard. – Ma non mi interessa. Chiunque sia stato ad aver rapito Rosalie… – aggiunse, tetro – … io la salverò.

– Se ti scoprissero, ogni cosa sarà stata vana finora. Oscar… potrebbe essere accusata d’averti coperto.

– Lo so.

I due si guardarono negli occhi. André, dall’alto della sella, soppesò le intenzioni di Bernard con ferma intensità. L’altro, dal suo canto, sostenne quello sguardo incompleto, così offeso dalla solitudine, così ardente nel suo dolore silenzioso; e gli restituì lo sguardo con la forza della sua determinazione, come a dirgli, senza esitazioni, “Puoi fidarti di me”.

André attese ancora un istante, poi scandì, lentamente: – Buona fortuna… Bernard.

Bernard si congedò da lui con un cenno del braccio, e un sorriso commosso.

 

 

***

 

 

All’interno della villa che sorgeva presso la foresta di Montmorency, la colazione fu consumata in un silenzio gelido. Non si udì nemmeno il consueto suono di posate e piatti, che avrebbe almeno dato un soffio di vitalità alla tavola. Madame Polignac mangiò poco. Rosalie non mangiò affatto. Quando al Duca di Polignac, era fisso a Corte; i benefici ottenuti per intercessione di Sua Maestà la Regina, in primis la carica di Ministro delle Poste, lo vedevano molto attaccato alla forma (non alla sostanza: si sapeva che quella carica fosse totalmente inadatta a quell’uomo).

Rosalie sapeva ben poco di lui, a stento che volto avesse. In ogni caso non era lui, suo padre. Madame Polignac l’aveva partorita dopo una liason con un altro uomo, prima di sposarsi con Polignac. A Rosalie non era mai venuta la curiosità di indagare sull’identità di suo padre, ad ogni modo. Né poteva venirle in quel momento, mentre osservava senza alcun piacere il piatto davanti a lei, l’uovo sodo nel suo portauovo, il pane, i dolci che abbondavano al centro della tavola.

Yolande sedeva molto lontano da lei, all’altro capo del tavolo, e si comportava come se non la vedesse.

 

Naturalmente, Rosalie non aveva dormito. Si era accorta presto che le finestre della sua stanza erano serrate da catenacci. Non le era stato permesso parlare con nessuno che non fossero le due robuste e sgraziate cameriere che l’avevano strigliata come un cavallo. Quelle stesse donne avevano passato la notte nella stanza, sorvegliando il baldacchino dentro il quale la ragazza si era rintanata, cedendo a lacrime mute e ardenti, pregando con un’intensità tale da sentirsi spezzare il cuore.

Della prigione mancavano forse gli stracci e il grigiume, ma Rosalie aveva spento gli occhi all’oro e all’abbondanza che le mettevano davanti. Sfinita per la notte insonne, per il rapimento, per l’odio che la divorava come un demonio, quel mattino chiedeva soltanto silenzio.

– Hai libero accesso alla biblioteca, se lo desideri. E al pianoforte del salotto. – disse d’un tratto Madame Polignac, finendo di bere il suo tè.

Rosalie non mosse un muscolo. Pensava, nel torpore della stanchezza, a molte cose che le allontanavano la voce di Yolande, quel suo tono insopportabilmente mellifluo.

La ragazza pensò alla casa della sua infanzia, poi a quella della sua giovinezza, poi a quella in cui fino al giorno prima lottava per diventare una donna, una cittadina orgogliosa di Parigi. La casa di Lucille e del lavoro onesto, la casa della miseria felice e del nuovo incontro con Oscar. La casa piena di conforto, dove aveva potuto accudire, fino a vederlo guarito, il giovane Bernard Chatelet.

Quando il viaggiatore sale sulla nave, l’avventura lo trasforma in un temerario, e la terra gli diventa odiosa. Ma Rosalie era un naufrago, ormai, sperduto e lontano dal suolo carissimo. E come un naufrago lei anelava alla terra da cui era partita, alle sue asprezze, alle sue dolcezze; ricordava l’espressione addolorata di Bernard un attimo dopo averla presa tra le braccia, il timore d’averla spaventata, e raffigurava quell’attimo con tinte delicate e calde. Quanto era stato diverso sentirsi strappare alla terra e alla vita, rinchiudere in una carrozza da uomini dagli occhi malvagi. Come aveva potuto temere un bacio appassionato, quando il vero orrore era stato aver chiusa la bocca, strozzare le grida d’aiuto contro vincoli crudeli, avere paura anche per la propria stessa vita?

Si coprì le labbra con una mano. Ricordò il calore, la dolcezza nascosta nel fuoco. Non sarebbe stata la prima volta, in quel giorno interminabile, che avrebbe ripensato a ciò che sembrava perduto. Per lei, rammentare la genuinità di Bernard era come ricordare che esisteva ancora purezza, al mondo, un sentire libero e schietto; che si poteva essere coraggiosi, che non si doveva cedere ad alcun carnefice.

Rosalie guardò la finestra, il sole che si faceva più caldo e accogliente. Dov'era, lui? Aveva notato la sua assenza? Era preoccupato? Quanto avrebbe voluto rassicurarlo, e rassicurare Madame Lucille... 

La voce di Yolande si insinuò in quell’istante, come la luce quando si intrufola nello squarcio di un telo volto a coprire il sole.

– Se vuoi stare al sole, mi farai compagnia in giardino. Stavo per uscire per una passeggiata.

Rosalie tacque.

– Quanta remissività. Mi fa piacere che la notte ti abbia portato consiglio. – continuò Madame Polignac, concedendosi un po’ di sorriso, un po’ di trionfo. – E vedrai, mia cara, ti abituerai di nuovo a questa vita. Mi ringrazierai perfino, per le grandi cose che ho in serbo per te.

– … se davvero volete che vi ringrazi… liberatemi adesso. – mormorò Rosalie. Tenne gli occhi bassi, anch’essi stanchi e mesti. – … e vi perdonerò per ogni cosa mi abbiate fatto finora… o che avete intenzione di farmi ancora.

Yolande posò il tovagliolo, si alzò in piedi e osservò la figlia dall’altra parte del tavolo, con viso ironico.

– Ne ho abbastanza di questi assurdi piagnistei. Io ti sto donando una vita priva di stenti, una vita nell’abbondanza. Sarai signora di castelli, avrai accesso libero a Versailles, sarai qualcuno. Ma tu non vuoi capire…

– … Charlotte.

Yolande sgranò gli occhi, impietrita, come se quel nome avesse lanciato un incantesimo sul suo corpo, sulla sua stessa anima.

Rosalie alzò lentamente il viso e gli occhi rossi, stanchi di pianto. – Nemmeno lei voleva capire, non è vero?

Yolande voltò le spalle a Rosalie. La ragazza continuò, ridendo perfino, assecondando in cuor suo la via dell’insania. – Perché le avete fatto così male? Perché ne fate a me? Perché ci avete odiato così tanto, Madame Polignac?

La donna, ritta in piedi e col capo chino, si lasciò colpire alle spalle senza contrattaccare. Rosalie incalzò quel momento di apparente debolezza.

– Forse sareste felice se anch’io scegliessi la stessa strada di Charlotte, per liberarmi? Perché se quella è l’unica via, io…

– Va bene. Fallo. – replicò Yolande, la voce una staffilata stretta tra i denti, come un morso. – Lanciati nel vuoto, fa’ quello che desideri.

Rosalie strinse i pugni e sentì gli occhi, che credeva asciutti, inondarsi di altre lacrime. Bruciavano, e bruciava l’anima ferita.

– Io avrei voluto amarvi. – sussurrò, tremando. – Lo avrei voluto, invece… voi vorreste togliermi tutto ciò che di buono sento di provare… vorreste rendermi come voi.

Yolande alzò il mento, raddrizzò la schiena. Volse lo sguardo indietro, a Rosalie. – Esistono due tipi di persone. I deboli, e i forti. – poi abbassò di nuovo lo sguardo, e un dolore insaziabile, inconsolabile, fece capolino negli occhi truccati di lei, bellissimi, com’era melodiosa la sua voce. – Charlotte… pensavo fosse pronta, che fosse forte. Ha avuto paura… ma io… non avrei mai permesso che quell’uomo l’avesse prima del tempo.

Rosalie strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche. – Lei è stata forte. Più forte di voi. – poi aggiunse, con tono lento e cupo: – Prego… di esserlo… altrettanto.

Yolande sorrise velenosa, cacciando via in un colpo solo l’unico barlume di tenerezza che avesse mai mostrato. Parlò con sfida, con disgusto. – Non temere, Rosalie. Dopo il matrimonio, avrai facoltà di fare quello che desideri. Ma prima… obbedirai a tua madre.

– Voi non siete mia madre. – sibilò la ragazza, mutando il viso dolente in un’espressione ferina, le guance rosse dall’umiliazione.

– Il documento di adozione è pronto. Se non mi vuoi come madre, sono comunque la tua tutrice. E la tua tutrice ti esorta a riposare e prepararti: stasera abbiamo un invito ufficiale.

Vedendo Rosalie ammutolita di nuovo, Yolande addolcì i toni. – Non vuoi venire, dunque, a fare una passeggiata in giardino?

Rosalie non l’ascoltò più. Si avviò di corsa lontano da quella donna, gli occhi ciechi. La sua fuga fu prontamente interrotta dalle due cameriere, che la intercettarono prima che potesse salire le scale verso la sua camera. E la condussero, con solennità d’aguzzine, lungo le stesse scale, verso la stessa camera, togliendole perfino l’arbitrio di rinchiudersi da sola nella propria gabbia.

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Capitolo 13
*** Infangare la purezza di una sposa ***


Nemmeno durante il pomeriggio Rosalie riuscì a dormire. Se ne stava immobile sul letto, gli occhi fissi al pesante tendaggio del baldacchino.

Passato il primo momento, quello in cui il rapimento e la forzata permanenza a palazzo Polignac l’avevano aizzata alla rabbia, la ragazza realizzò che non poteva permettersi di ribellarsi apertamente, se voleva trovare spiragli di salvezza. Doveva tenere a bada la propria irruenza e il dolore, fingere remissività. Ma era certo che non avrebbe permesso a nessuno di imporle alcunché. Tantomeno un matrimonio con un uomo detestabile. E se avessero cercato di costringerla a forza, Rosalie avrebbe trovato il modo di rispondere con la stessa forza.

Era in una tale prostrazione d’animo che pensò davvero che si sarebbe uccisa, piuttosto che venire disonorata. Come Lucrezia nella storia di Roma, secondo il racconto che Madamigella Oscar le aveva fatto.

In quei pensieri, il ricordo di Bernard tornò a bussare al limite della sua coscienza, e la intristì.

Proprio a lui, Rosalie aveva detto che vale la pena vivere sempre, vivere oltre gli ideali fissi; solo Dio può dare e togliere la vita. Così Madamigella Oscar le aveva insegnato, e lei voleva di tutto cuore continuare a incarnare quell’insegnamento. Però…

Il suo cuore le rimandò l’immagine della giovanissima, orgogliosa Charlotte. Una fanciulla ben più giovane di lei, ma al contempo fiera come un’adulta. Le parve una piccola madonna vincitrice. E di nuovo, l’insofferenza per le catene che gravavano il suo collo, invisibili e soffocanti, mandò una sferzata di disperazione.

Però, quante volte Rosalie aveva pensato che Charlotte non avrebbe compiuto alcuna follia se avesse avuto chi l’amasse davvero, chi potesse proteggerla. Se avesse avuto con sé Madamigella Oscar… oppure un uomo come Bernard.

Di nuovo, Rosalie si immaginò il giornalista scoprire della sua sparizione. Cercò di smorzare l’euforia della speranza, di non credere troppo alla possibilità che lui potesse trovarla, lontana com’era. Cercò di immaginare di potersi liberare da sola, come era già successo. Lei doveva impegnarsi da sola a salvarsi, non poteva dipendere dagli altri.

Ma intanto, il suo cuore vibrò di dolcezza per quel giovane, e pregando nel proprio silenzio chiese al Cielo di condurre a lui un segno, quale che fosse, della stessa speranza.

Ci rivedremo, Bernard, mormorò tra le lacrime che, a tradimento, solcarono il suo viso pallido più volte, in quel pomeriggio. E ogni volta si accorse che non era più solo una speranza, bensì una promessa, una vocazione. Ci rivedremo, si diceva, e diceva al giovane lontano.

E si impegnò a maggior ragione a calmare il cuore, a predisporre la propria resistenza. Come un’onda di marea travolge il candore di una spiaggia e lo nasconde alla vista, così lei nascose dentro di sé tutta la propria forza, per preservarla al momento opportuno.

 

 

Al tramonto, Yolande la trovò ancora a letto. Contemplò la figlia apatica, il suo sguardo privo di vitalità, e scosse il capo con disapprovazione.

Le due cameriere che avevano condotto Rosalie in stanza, sorvegliandola senza posa, furono infine congedate per permettere loro il riposo. Al loro posto ne giunsero altre due, più giovani ed esili delle prime, cui Yolande diede ordine di preparare la Duchessina.

Rosalie si adattò alle cure, passiva. Quasi non vide il proprio riflesso nello specchio mentre veniva truccata; sopportò senza battere ciglio lo strizzarsi del corsetto intorno alla vita; si sottopose alla tortura della pettinatura, e della vestizione, tutto come fosse assonnata. Yolande rimase in silenzio a osservare ogni cosa, attenta a correggere il minimo errore.

L’abito che Rosalie si trovò a indossare era blu, rigato di fantasie di fiorellini gialli e bianchi. L’acconciatura fu impreziosita da perle e fili d’oro. Orecchini preziosi le fecero splendere il viso, e i cosmetici celarono le occhiaie e ravvivarono di rosso le guance pallide.

Così conciata, Rosalie fu invitata a guardarsi. Per un momento, cedette allo stupore. Aveva dimenticato il peso del trucco e degli ornamenti, e non ricordava quanto fossero stranianti. Si vide trasformata in un soprammobile, almeno così pensò; e decise di acconsentire a quel suo nuovo stato, imponendosi di non parlare.

Finalmente, Yolande rivelò quale fosse l’occasione per cui l’aveva agghindata in quel modo.

– Il Duca de Guise ha organizzato una festa, questa notte. Noi vi prenderemo parte. Saranno presenti molti altri signori d’altissimo rango. – la Duchessa non si profuse in raccomandazioni, ma Rosalie colse l’intento ammonitore nel tono della donna. E ricordò anche quel nome, così funesto per la storia di quella casa. Fu più difficile mantenersi forte e spenta, ma con tutta la forza d’animo che le era rimasta, la ragazza resistette.

 

Rosalie indossò il mantello ornato di pelliccia. Ogni gesto che compì fu meccanico e rigido: colpa del corsetto, degli abiti, delle scarpe scomode, dell’ira repressa.

Quando uscì dal portone principale del palazzo, l’aria gelida della sera le sfiorò il viso. Si chinò a raccogliere la gonna per non inciampare sulla ghiaia del viale; per un attimo, il suo sguardo vagò intorno, al giardino che un poco ricordava, alle ombre oscure nascoste dagli alberi. Salì sulla carrozza, lentamente. Madame Polignac la seguì subito dopo.

 

Il tragitto fu più breve di quanto Rosalie avrebbe desiderato. La ragazza lanciò sguardi smarriti fuori, alle stelle accecate dalle lanterne della carrozza stessa, alla notte limpida e pulita; alla luna, rotonda signora delle speranze, che si specchiava sul fiume. Presto scorse il castello del Duca*, che torreggiava verso il cielo, imponente sulla riva. L’animo di Rosalie si strinse, fragile, nella morsa dell’ansia.

Quanti volti avrebbe dovuto affrontare, primo tra tutti quello del Duca? Quante domande avrebbe dovuto tollerare? Guardò di sottecchi Madame Polignac, che osservava distrattamente fuori, senza rivolgerle la parola.

 

Scesero dalla carrozza e subito furono accolte dai servitori, che presero i loro mantelli.

Furono introdotte nell’atrio spazioso del castello. Rosalie si guardò intorno furtivamente, rimirò lo sfarzo e la grandezza con crescente terrore. Questo esplose in tremito quando una voce si fece udire in un’eco profonda, e rivelò l’arrivo del padrone di casa.

– Duchessa… – salutò Roland de Guise, comparendo dalle scale, con fare sussiegoso e sensibilmente addolorato. – Sono lieto abbiate accettato il mio invito: non ci speravo… – e mentre il Duca si inchinava alla Duchessa, prendendole la mano in un bacio accennato, Rosalie prese a fissarlo. Era quello, l’uomo che avrebbe dovuto sposare Charlotte? Camminava e si muoveva con affettazione; era alto, imponente nel fisico dalle ampie spalle, goffo nei passi come nei gesti infagottati in abiti raffinatissimi. Una parrucca incipriata incorniciava il suo volto lascivo, bianco di belletto, dalle labbra carnose e sensuali, delineate da due baffi sottili e ben tagliati. Aveva un’espressione maliziosa e allusiva anche mentre offriva omaggio all’ospite, una dama del rango di Madame Polignac, come se in fondo suggerisse nei suoi confronti pensieri poco onesti.

Poi, d’improvviso, il Duca si volse a Rosalie, e la sorprese a fissarlo. Negli occhi, scuri e rotondi, guizzò una luce di compiacimento, e un sorriso vago accompagnò il nuovo saluto.

– Questa giovane dev’essere Madamigella Rosalie… – e la squadrò in ogni particolare, che fosse del volto, degli abiti, e d’altro. – Mio Dio, non c’è alcun dubbio.

Rosalie ritrasse immediatamente la mano, quando quell’uomo accennò a prenderla. Indietreggiò con una sicurezza che parve premeditata; Madame Polignac si indignò.

– Rosalie, cara. Le vostre maniere?

Roland de Guise, tuttavia, accolse di buon grado la ritrosia della ragazza. Gli occhi scuri gli si animarono di nuova cupidigia.

– Non datevi pensiero, cara Duchessa. Non m’ingannavate, nel dirmi che ella condivide lo spirito della nostra cara, rimpianta fanciulla…

Il paragone con Charlotte, pronunciato da quelle labbra e in quel modo, punse Rosalie fin nel profondo.

– Non nominatela. Non nominatela nemmeno… – sibilò a denti stretti la ragazza, gli occhi tremanti di disprezzo, e Guise trattenne le sue risatine per un attimo. La curiosità fece capolino nel tono allusivo del suo sguardo, tanto che Rosalie credette che egli potesse essere stato colpito dalle sue parole, che ne sentisse il peso, il rimprovero. Era falso: egli piuttosto abbandonò il compiacimento per abbracciare l’arroganza, e il suo nuovo sorriso fu pieno, mostrò i denti in modo forzato e aggressivo.

– Mi sono sbagliato. Evidentemente, c’è dell’altro… c’è di più. – il Duca si volse a Madame Polignac, che era rimasta in silenzio, lo sguardo come distratto. – Ma prego, Madame Polignac, venite pure, voi e la deliziosa Duchessina ribelle… i nostri amici ci aspettano per la cena. La festa inizierà subito dopo… vi divertirete di certo. Sarà rigorosamente in maschera… !

– Oh, caro Duca, tutta Versailles elogia le vostre feste in maschera… – continuò Madame Polignac, affabile.

Rosalie osservò il portone alle sue spalle. Era stato irrimediabilmente richiuso. La ragazza si impresse nella memoria, per come poté, la disposizione delle stanze; cercò finestre, aperture, e l’asfissia di quel luogo sconosciuto e per lo più avvolto dall’ombra minacciò il suo coraggio.

Poi, mentre seguiva a pugni stretti Guise e Madame Polignac nella sala da pranzo, si figurò sua sorella minore, il suo cuore di sgricciolo sovrastato da quelle stesse stanze, corridoi e saloni.

Allora si riscosse, e a testa alta varcò il confine tra quiete e battaglia.

 

Durante la cena, quasi nessuno rivolse la parola a Rosalie, a eccezione di Guise. Ricevette molti sguardi, sì, ma nient’altro. Inoltre, Madame Polignac e Rosalie risultarono essere le uniche donne. Gli altri invitati erano aristocratici dell’età del Duca o più anziani, i volti arcigni e deformati dalla cipria.

Gran parte della conversazione gravitò intorno ai pettegolezzi di Corte, amanti, favori, alleanze e compravendite di immobili, oggetti e promesse spose. Più di una volta, Rosalie sentì addosso lo sguardo del Duca, specie quando l’argomento toccato aveva allusioni e doppi sensi di pessimo gusto, infiorettati da belle parole e metafore. Più volte si sentì venir rosso alle guance, suo malgrado: non il rossore timido dell’innocenza, ma quello di chi si sente bruciare l’anima e vorrebbe urlare fuori rabbia e frustrazione. Certo il belletto lo nascondeva, ma Rosalie non era capace di celare le proprie emozioni dal viso: i suoi occhi parlavano pure, e in modo chiaro.

Guise ne approfittò. – Ma un momento, amici miei, stiamo mettendo in grave imbarazzo la deliziosa Duchessina. Non è così, mia cara?

Rosalie alzò lo sguardo dal suo piatto. A fronte del viso arrossito e degli occhi colmi di disgusto, riuscì a parlare con calma.

– Stavo per chiedervi di scusarmi. Non mi sento molto bene.

Madame Polignac, al suo fianco, le rispose gelida. – Non credo che stiate così male da volerci lasciare, cara.

Il Duca rise. – Suvvia, Madame Polignac, non rimproveratela. Io non la biasimo affatto: ci si aspetta questo genere di comportamento da una giovane sposa. – Rosalie sentì come un tuffo al cuore. – Soprattutto se la sua età non è più così fresca da non far sorgere dubbi sulla sua… purezza.

Un coro di risatine condì quella battuta infelice.

Rosalie, allora, non seppe tacere. Lanciò al Duca uno sguardo sottile, gli occhi blu densi di sfida:

– E a voi piace, piuttosto, infangare la purezza di una sposa, di una bambina sposa.

Il colpo fu improvviso, immediato. Rosalie sentì il dolore, la guancia in fiamme, il viso le si ribaltò su un lato, e quasi la fece cadere dalla sedia. Madame Polignac, furiosa, aveva rotto il silenzio e l’immobilità, per farle quello.

– Vi chiedo perdono a suo nome, Duca de Guise. – mormorò la donna, livida di rabbia, il braccio alzato e la mano rossa. – Vi prego di perdonarci: evidentemente stasera la Duchessina è molto indisposta.

Guise restò immobile, il viso tetro. Che l’allusione di Rosalie l’avesse colpito, e in negativo, stavolta era certo. Non già per il tema (come potrebbe un uomo che commette il male con gusto e coscienza, sentire offensive le accuse su quello stesso male?), quanto per il tono con cui aveva parlato Rosalie.

– Non dovete preoccuparvi, Madame Polignac. Ma vi prego, restate: la festa sta per iniziare, e la Duchessina potrà trovare ristoro in una delle stanze per gli ospiti. La migliore del castello. Lì riceverà le cure adeguate al suo malessere… – il Duca concluse con un sorriso untuoso.

Rosalie strinse i denti. Si tenne il viso dov’era stato colpito: scottava. Non si curò degli sguardi che la compativano o la rimproveravano, o al contrario la contemplavano con divertimento. Cercò gli occhi di sua madre. E le indirizzò un disprezzo tale da sentirsi sporcare tutta, il viso stravolto in una maschera d’odio puro, come non voleva che accadesse. Se pianse, pianse per se stessa, per ciò che era venuto fuori da lei dopo quello schiaffo; per l’orrido sentore di marcio che la invadeva tutta, come una peste.

Yolande si chiuse in una barriera impenetrabile. Per Rosalie non c’era, e non ci sarebbe stata mai, una breccia in quella gelida fortezza che era l’animo di Madame Polignac.

 

Rosalie fu condotta dai servitori ai piani superiori, in una stanza arredata in modo squisito. La tappezzeria dorata, i mobili di legno pregiato, decorazioni, suppellettili raffinate, non mancava nulla di ciò che un povero avrebbe definito Sogno. Ma Rosalie, brutta di rancore e di dolore, non guardò nulla di tutto ciò. Subito chiese alle cameriere di essere lasciata sola. Quando quelle uscirono, corse alla finestra.

La parete cadeva a strapiombo sul fiume, e culminava in scogli aguzzi che emergevano dalle acque. Il castello, fatto di pietra e di guglie medievali, era infatti una vera e propria rocca: non era possibile lanciarsi da quella finestra senza rischiare la vita. L’unica via d’uscita era dalla porta per cui era entrata. Subito Rosalie si avvicinò con cautela alla soglia. Aprì la porta. Due servitori, fermi presso gli stipiti, si voltarono a guardarla.

– Avete bisogno di qualcosa, Madamigella? – le chiesero.

Rosalie scosse il capo, livida. In fretta, si richiuse dentro.

Era stata ingenua. Era chiaro che non le avrebbero lasciato spazio per gironzolare sola per il castello. Né sarebbe stato facile eludere quella sorveglianza.

Doveva pensare a qualcosa. Fintanto che Yolande era lontana, e il Duca con lei, doveva trovare una via di fuga. Rosalie aprì di nuovo la finestra. Il vento la investì, a quell’altezza, le scompigliò i boccoli elaborati. Si sporse con cautela, vide delle finestre accanto alla sua. Studiò ogni possibile appoggio esterno, e la luna le rivelò una mensola sottile, sotto di lei, che percorreva tutta la superficie della parete del castello. Chissà se sarebbe stato possibile rimanere in piedi e in equilibrio su quello spazio minimo. Forse con una corda… ma al solo guardare giù, Rosalie si sentì confondere dalle vertigini, e il cuore prese a martellarle nel petto.

Si guardò dietro. Le lenzuola, i legami delle tende, tutto poteva aiutarla a fabbricare una corda di fortuna.

Era folle, ma non c’era modo di uscire dalla follia se non con altra follia. Il peggio sarebbe stato sfracellarsi sugli scogli sottostanti; ebbene, era comunque preferibile a restare prigioniera di quella gente.

Con una determinazione di ferro, Rosalie si accinse all’impresa. Nodo dopo nodo, iniziò a costruirsi la via della salvezza.

 

Era trascorsa quasi un’ora in quella occupazione febbrile, e Rosalie ormai aveva raccolto abbastanza materiale per una fune sufficiente a raggiungere la finestra vicina; quando d’un tratto la porta si aprì, senza avvisi. Rosalie gridò di sorpresa, cercò di nascondere subito ciò che stava facendo.

Spaventata, guardò il nuovo giunto. Un uomo mascherato, con in mano un candelabro, restò ritto sulla soglia a osservarla.

Nonostante la maschera, lei lo riconobbe con sgomento: il Duca de Guise, con gli abiti che indossava prima, la stessa mole imponente e il sorriso lascivo.

Rosalie indietreggiò, tenendo le corde di fortuna tra le mani. Si appigliò a un comò, cercò a tentoni dietro di sé. Il Duca si richiuse la porta alle spalle, con tranquillità.

– È un peccato che non possiate venire di sotto, mia cara… – disse l’uomo, con tono mellifluo. – Una festa in maschera è una cosa divertente… non so se voi, da dove venite, ne abbiate mai vista una…

– … andatevene. Non sto bene, andatevene.

– Non tanta fretta, piccolina… vedete, io apprezzo molto il fuoco delle popolane, e apprezzo anche le donne ribelli… ma vorrei che capiste fin dall’inizio la differenza tra gioco e dispiacere. Come mia futura moglie, è una lezione importante.

Il Duca si tolse la maschera, la gettò per terra. Osservò la finestra aperta, da cui provenivano venti gelidi, e i cordami improvvisati preparati da Rosalie. Rise di un pensiero malefico.

– Quand’è gioco, siamo in due a divertirci… mentre il mio dispiacere diventerà anche il vostro, inevitabilmente.

Rosalie trovò qualcosa dietro di sé, la mano destra tastò un vaso privo di fiori. Lo scagliò, tremando di paura, contro il Duca. Questi si scansò, e alcune candele si spensero nel movimento. Il duca gettò il candelabro sul pavimento di pietra, con rabbia. E allora fu quasi buio, e la sua caccia diventò feroce e furibonda.

Egli corse addosso a Rosalie, pazzo di vino e di lussuria. Lei, nell’ombra, cercò lo spiraglio della luna, la finestra aperta, il salto che l’avrebbe salvata. Si affacciò, gridò, il Duca l’agguantò per la vita. Con mani dure e crudeli l’uomo tirò i nastri del corsetto, strappò senza pietà. Lei si divincolò con tutte le sue forze, gridò ancora, la voce rotta dall’orrore.

Il Duca la trascinò verso il letto, ve la gettò sopra, le soffocò le grida premendole il capo contro il cuscino. Le tenne la nuca e i riccioli in una morsa ferrea. Le saltò addosso, rovesciando strati di gonna e seta, cercando la sua nuda pelle.

Rosalie si sentì morire. La coscienza le volò via dal petto, sentì i sensi abbandonarla, il cuore spaccarsi come un frutto tagliato a metà.

E proprio in quel momento, mentre tutto intorno a lei turbinava e la presenza mostruosa del Duca schiacciava il suo corpo disperato, sentì un rantolo soffocato, la presa sui suoi capelli allentarsi di colpo.

Stordita, strisciò tra le coperte violate. Sentì il peso di quell’uomo alleggerire le sue membra, lasciarla andare. Si sdraiò su un fianco, ansimando. Guardò nell’ombra, per quello che la luna e una candela superstite potevano mostrarle, laddove si stava consumando una lotta furiosa di scatti, silenzi e singulti di fiato.

Rosalie vide Roland de Guise in ginocchio sul letto, già mezzo svestito e trattenuto al collo da una corda, la stessa che lei aveva intrecciato con pazienza e mezzi di fortuna. Il Duca tremava nel disperato tentativo di liberarsi e prendere aria, gli occhi di fuori, la lingua di fuori. C’era qualcuno dietro di lui che lo teneva in scacco, che lo strozzava senza pietà. Era una sagoma scura, che quasi non si distingueva dall’ombra: aveva il viso coperto a sua volta da una maschera, la bocca serrata nello sforzo di uccidere.

 

 

 

 

 

 

 

__________

Note.

* Il castello del Duca: nell’episodio 19 dell’anime di Lady Oscar, la scena in cui il Duca e la Polignac cenano insieme a Charlotte e altri “invitati oscuri” è ambientata in un castello di forma medievale, molto alto, in pietra e fornito di torri. Si affaccia su un fiume e si intravedono scogli aguzzi in prossimità della riva. Non so quale castello sia, ma in ogni caso mi sono riallacciata all’anime.

- È un po’ straniante postare un capitolo come questo dopo lo Sugar Love che ha riempito questa giornata romanticosa… mwahahahah! A chi legge e ama questa storielluzza, un po’ di cuori supplementari (direi che ne abbiamo bisogno, dopo questo Duca orribilissimo).

PS. Chiedo un parere, proprio sul Duca orribilissimo e affini: secondo voi dovrei cambiare il rating della storia, da arancione a rosso? Avevo previsto che ci fossero scene un po’ crude, ma dovrebbero rientrare nell’arancione, perché le fermo prima dell’irreparabile! Questa è quella che sento più cattiva, ma non ce ne saranno di peggiori. Beni, grazie in ogni caso dell’attenzione e un abbraccione!

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Capitolo 14
*** Seguimi ***


Nota del 07/04! Per chi aspetta il Cavaliere, grazie per la pazienza e chiedo scusa per il ritardo! La storia riprenderà questa domenica 10 aprile, i capitoli saranno pubblicati ogni domenica. Un abbraccio e a prestissimo!




Il volto del Duca trasfigurò in orrore. Paonazzo, egli annaspò con la lingua di fuori; dalla gola stretta in un vincolo senza pietà veniva un suono gorgogliante, come una fontana rotta. Roland de Guise era ridotto a un animale agonizzante, senza memoria di fasti, ricchezze e vizi.

Rosalie, libera ormai dall’incombere di quell’uomo, poté vedere il volto dell’assalitore che sbucava dalle spalle della vittima, i suoi denti stretti, il mento liscio, gli occhi furibondi dietro la maschera scura.

E fu più forte di lei, con il viso rigato di lacrime, chiamare il suo nome.

– Bernard! Monsieur Bernard!

 

A quella voce accorata, il Cavaliere Nero ebbe un’esitazione. Il Duca rantolava con gli ultimi scatti nervosi, prossimo a un’orribile fine. Sarebbe bastato stringere ancora i cordami attorno al suo collo per spezzare del tutto la sua vita. Le forze lo aiutavano, la furia scorreva in lui come sangue in corsa; fargli del male era un pensiero dilagante, voracissimo, piacevole...

La voce di Rosalie suonò ancora, come un ruscello purissimo nel fango di una palude.

– Vi prego, fermatevi! Fermatevi…

 

Di colpo, Bernard lasciò andare il Duca. Questi si chinò su se stesso, mezzo strangolato. Tossì e ansimò, bevendo a fiotti aria scomposta; non poté però evitare che Bernard lo colpisse violentemente alla nuca. Il Duca stramazzò in avanti. Il Cavaliere Nero mosse il suo corpo come un fantoccio e lo strappò via dal letto, incurante che impattasse al suolo con violenza.

 

Respirava forte, Bernard, le mani tremanti. Rosalie lo contemplava stravolta, i capelli spettinati, gli abiti scomposti.

– Stai… stai bene? – sussurrò lui, deglutendo.

– Bernard… Oh, Bernard!

Rosalie gli tese le braccia, gli occhi stretti tra le lacrime. Subito il giovane l’attirò a sé. Il cuore che scoppiava al pari di quello di lei, le accarezzò i capelli, la strinse forte al petto, tremò per lei.

– Dimmi che sono arrivato in tempo…

– Sì… sto bene, sto bene… grazie a voi, io… – la fanciulla rideva e piangeva insieme, a voce dirotta.

Bernard le colse il viso con le mani, le asciugò le lacrime con i pollici e la guardò con intensità. Cercò conferme, e le trovò nel sorriso commosso e tremante di lei, nella gioia dilagante con cui lei tornò a stringerlo e a rannicchiarsi sul suo petto.

– Rosalie, piccola mia Rosalie… Hai avuto paura, ma ora… ora ci sono io. – mormorò il giovane, con un sollievo crescente che si spargeva per il petto e l’anima come un buon sorso di vino. Infine, la sua voce prese toni determinati. – Abbi fiducia in me. Io ti farò uscire di qui.

Rosalie calmò il pianto e le emozioni (rabbia, ansia, terrore, meraviglia e gioia: quanti cambi, in pochissimo tempo!), prese lunghe boccate di respiro. Annuì, ridendogli ancora, abbracciandolo tutto intorno alla vita, senza pudori o remora alcuna. Quel giovane era la salvezza, e lei lo sentiva, poteva aggrapparsi a lui, poteva affidarsi.  

Bernard attese ancora un attimo, le sorrise finalmente, gli occhi accesi di tenerezza dietro la maschera scura. Poi tornò serio e cauto, osservando la porta che, per fortuna, nessuno aveva tentato d’aprire.

– Dobbiamo fare in fretta. – mormorò. – Prima che qualcuno venga quassù.

– Ho… ho fatto una corda…

– Lo so. – Bernard annuì, poi osservò il corpo abbandonato del Duca, la sua gola arrossata per la stretta delle corde fatte di lenzuola e nappe preziose, e vide con disgusto le brache di lui calate fino alle ginocchia.

Per un attimo, il sangue gli tornò alla testa. Lottò con il gusto sopraffino di ammazzarlo davvero, gettandolo dalla finestra mentre era svenuto. Ma la mano di Rosalie era nella sua; lei era salva, e questo sgonfiò la sua ira.

– Useremo la tua corda per immobilizzarlo e nasconderlo. Quando lo troveranno, saremo lontani. – promise il giovane. Si chinò verso il Duca, e si diede con grande attenzione a quel compito.

– Da dove… da dove usciremo? La finestra… – sussurrò Rosalie, osservando l’apertura da cui giungevano aliti gelidi di vento.

– Non possiamo tentare la via del tetto, da questo piano. È troppo scoscesa, c’è molto vento. – non disse, Bernard, che per quella scalata aveva rischiato molte volte di precipitare di sotto, tra le rocce e le acque nere del fiume. – In due non ce la faremo mai. Dobbiamo uscire per i corridoi… anche se sarà comunque rischioso. – il giovane accompagnò quelle parole con una stretta decisa delle corde intorno al corpo del Duca.

– … va bene. – annuì Rosalie. – Sono pronta.

Bernard le sorrise per un attimo. Poi serrò la mascella, tornò serio e rigido. Impose al Duca un bavaglio impietoso, poi lo nascose all’interno dell’armadio, spingendovelo dentro senza alcuna delicatezza.

 

Nel frattempo, Rosalie andò allo specchio, raccolse da terra il candelabro, ormai mezzo spento, e si guardò. Vide i segni delle lacrime che rigavano la cipria e il belletto delle guance, il viso stravolto e gli occhi sgranati, il rossetto sbavato sulla bocca. Si asciugò del tutto i segni dell’orrore, cercò di pettinarsi con le mani i capelli.

 

– Rosalie. Dammi il candelabro… – fece Bernard, trattenendo le ante dell’armadio con entrambe le braccia. Rosalie gli venne accanto, comprese presto: incastrò il braccio principale del candelabro nelle maniglie delle due ante, sì da impedire a chi vi era rinchiuso di uscirne facilmente.

Fu una buona idea, perché subito dopo udirono i lamenti dell’uomo che andava ridestandosi, sordi e lontani come un curioso pigolare.

 

Bernard sospirò forte. Prima d’avere ripensamenti, prese Rosalie per mano e si accostò alla porta. La socchiuse, guardò fuori.

– Aspettate. Esco prima io… – sussurrò lei, mentre dall’armadio venivano deboli colpi, come calci.

Rosalie si mostrò nel corridoio. Non videro nessuno. Questa fortuna li incoraggiò. Bernard venne pure allo scoperto, e insieme, mano nella mano, i due giovani procedettero lungo quella scia di pietra grigia, addobbata in stile arcaico e medievale.

 

Quando giunsero all’angolo, udirono due voci.

– Non si sente più nulla… – stava dicendo un uomo.

– Questo è strano. Di solito non è così. Sarà il caso di andare a vedere… ?

– Perché il Duca ci faccia frustare, dopo? Abbiamo ordine di non disturbarlo finché non ci chiamerà lui. E io di qui non mi muovo.

 

Bernard agì in fretta. Uscì dall’angolo e si avventò sul primo dei due servitori, che vigilavano il nulla con occhi spenti. Lo colpì alla nuca, e questi si afflosciò al suolo. Il secondo, terrificato, si mosse per dare l’allarme. Bernard lo vide indietreggiare, prepararsi a una corsa rapidissima… quando ricevette un colpo netto in testa da un’elegante scarpetta da damigella.

Bernard si volse sbalordito verso Rosalie. Non ebbe tempo di esclamare nulla, che il secondo servitore si mosse ancora, stordito ma non fermato dal colpo.

Fu un attimo: prima che questi fuggisse, Bernard lo agguantò per il collo, lo sbatté al muro e sibilò:

– Non ti ammazzo, per ora. Ma tu adesso ci guiderai fuori, o sarà peggio per te.

Rosalie si liberò anche dell’altra scarpa. I suoi passi furono, allora, più sicuri e veloci.

 

Bernard procedeva avanti, tenendo in scacco il servitore, con il pugnale piantato tra le costole che premeva e pungeva abbastanza da terrorizzarlo.

Andarono spediti fino alle scale. Dal piano di sotto giungeva musica, chiacchiericcio, voci delle più diverse: un frastuono godereccio la cui eco preoccupò Bernard. – Da che parte, per non incontrare nessuno?

– Non… non si può non incontrare nessuno… – ansimò il prigioniero. – Durante le feste… il Castello è frequentato in ogni piano, e… e…

– Forza! Parla! – sbraitò Bernard.

– Ecco, gli ospiti… solo alcuni ospiti… vengono qui e si servono delle stanze per…

In quel momento, udirono il suono di uno scalpiccio e di piccole grida femminili. Qualcuno si stava avvicinando di corsa.

Subito cercarono di nascondersi dietro una statua d’angolo, ma era tardi: non potevano celarsi in tre in uno spazio così piccolo e scoperto, e chi stava arrivando correva di buona lena, ridendo a crepapelle.

 

Si trattava di una donna. Questa emerse dall’oscurità del corridoio, ansante, passò loro accanto e li superò. Li vide tutti e tre, ma subito li ignorò, eccitatissima e tutta intenta a fissare il punto da cui era venuta. Bernard e Rosalie la osservarono attoniti. La donna aveva le spalle scoperte e il corsetto aperto lungo la schiena, e si teneva le mani sulla scollatura procace. Era truccata all’eccesso, quasi una maschera grottesca: le labbra gonfiate dal rossetto, nei ovunque sul viso pallido come calce. Era coronata d’alloro tra i boccoli incipriati.

A un tratto, la donna rise forte. – Non mi prenderete! – le sentirono dire, con una voce simile a uno squittio e un accento marcato, quello che si parlava nei quartieri degradati di Parigi.

 

Di colpo, un’altra voce le rispose, più roca e bassa, dai meandri del corridoio.

– Vieni… vieni, tesoro…

La donna saltò sul posto, rise di nuovo sguaiatamente. Con una mano sollevò la gonna e riprese a correre, senza più guardarsi indietro.

A quel nuovo annuncio, Bernard si appiattì al muro insieme al servitore, chiamò Rosalie accanto a sé.

– Ti prendo… cosa credi… lo sento, il tuo profumo… vieni, mia cara Dafne, vieni dal tuo Apollo…

Un uomo basso e tozzo avanzava barcollando, tastando davanti a sé l’aria senza riuscire ad afferrare nulla. Era bendato, realizzarono Bernard e Rosalie. Bendato e con addosso camicia e culottes, incurante di loro perché non poteva vederli, e perché dalla voce e dai movimenti si poteva ben capire che fosse ubriaco.

Il servo, in quella, gemette. Bernard fu lesto a chiudergli la bocca. Lasciarono che quell’Apollo avanzasse, finché non scomparve anche lui dietro a Dafne.

Bernard allora diede uno strattone al servitore.

– Che diavolo sta succedendo, qui?

– È… è il gioco… del Nascondino… – rantolò il servo, con una smorfia di dolore per la stretta di Bernard.

– … nascondino?

– In quest’ala… vengono gli ospiti più… quelli che amano i giochi del Duca… gli altri… stanno solo al primo piano… non possono salire qui…

Bernard contenne una smorfia di disgusto, e per un attimo rilasciò la tensione con cui stava trattenendo quell’uomo.

D’un tratto, udirono di nuovo echi di corse e risate.

Il servitore, al colmo del terrore, chiamò – AIUTO! – e si divincolò per sfuggire a Bernard. Il Cavaliere Nero non ebbe scelta: rese al servitore la libertà a modo suo, colpendolo alla testa con vigore.

Le voci si fecero più vicine. Chi si stava divertendo in quell’ala del castello non avrebbe tardato a farsi vedere. – Dannazione, e adesso dove…

 

Con un gesto rapido, Rosalie prese la mano di Bernard.

– Venite con me. Ricordo la strada che ho fatto prima.

Bernard, stupefatto, si lasciò afferrare e tirare.

Rosalie si tuffò nella penombra dei corridoi con ansia febbrile, ma il suo passo non esitò. Una mano alla gonna, i piedi scalzi, l’altra mano stretta in quella di Bernard, guardò dritto davanti a sé, tenendo mente e cuore in apnea. Bernard osservò i capelli di lei scuotersi nella corsa, la sua figura sottile fremere a ogni salto. Si fece più deciso e corse a sua volta senza più esitazioni.

 

Incontrarono, in qualche angolo, amanti lascivi e abbandonati tra i corridoi, che non si curarono affatto di chi passava. Una di quelle coppie parve quella di… Apollo e Dafne, ma i due fuggitivi non rimasero a sincerarsi che fosse così.

Percorsero una galleria surreale di figure crude e violente, statue vive di un mondo dissoluto che nell’ombra traeva i suoi piaceri e con essi ungeva anime e corpi, ineluttabilmente. V’erano infine porte socchiuse da cui provenivano echi animaleschi.

E in quella fiera senza morale e domande, essi correvano, candida lei, nero lui, stringendosi ancora di più l’uno all’altra; fuggivano, ma nessuno se ne accorgeva; avevano il fiato corto, ma nessuno li ascoltava. Passarono tra la melma senza farsene insozzare.

 

Rosalie si trattenne di colpo in prossimità delle scale. I due avanzarono con più cautela. Gettarono uno sguardo di sotto, sporgendosi dalla balaustra. La musica alta e raffinata copriva il suono delle loro voci, e di tutte le voci del piano superiore.

– Dannazione. Ci sono dei servitori di guardia alla fine delle scale... – constatò Bernard.

Rosalie, invece, osservava il viavai di invitati. – Ma certo! – esclamò la ragazza, contemplando le figure che sfilavano davanti alle scale. – Il Duca l’aveva detto…

Bernard la guardò interrogativo. Lei gli mostrò, con un cenno della mano, l’entrata del salone che si poteva contemplare dalla balaustra.

Allora, Bernard capì. Tutti gli invitati portavano maschere. Ignari del bailamme dei piani superiori, quei nobili ritenevano già trasgressivo, evidentemente, concedere danze a sconosciuti e intrecciare conversazioni dietro il velo di un ventaglio; giocavano d’azzardo ai salottini e ai tavolini; negli angoli baciavano conosciuti amanti con il vezzo di fingersi qualcun altro, o cercavano novità che il giorno dopo avrebbero rinnegato.

 

Rosalie guardò allusiva il viso di Bernard, i suoi occhi coperti di nero.

Lo stesso pensiero passò per la mente di entrambi.

Bernard gettò un’altra occhiata di sotto, poi alle sue spalle. – Dobbiamo fare in fretta, prima che diano l’allarme. Ma è un’idea del tutto folle, scendere tra loro... ci scopriranno.

Rosalie intrecciò più forte le dita a quelle del giovane. Tremava come un passero, ma aveva sul viso delicato un’espressione decisa.

– Non ho paura, se voi siete con me.

Bernard l’abbracciò di slancio. Lei gli si abbandonò, con un’arrendevolezza che profumava di fiducia.

– Allora… seguimi. – le sussurrò all’orecchio.

 

Abbracciati, presero a scendere le scale. Bernard cinse le spalle di Rosalie, coprendola con il suo stesso mantello. Avanzò spedito, con lei al fianco, una mano ferma sull’impugnatura del coltello.

I servitori che sorvegliavano il passaggio delle scale li osservarono. I due giovani sfilarono loro davanti, sembrarono proseguire…

Uno dei servitori, a quel punto, li indicò. Bernard si fermò, con i denti stretti.

– Permettete, Signore… venite dal piano superiore? Il vostro nome?

Bernard si abbassò lievemente, pronto a scattare.

 

Rosalie, però, fu più veloce. Si aggrappò del tutto a lui, gli prese il viso tra le mani. Con gesti timidi, le labbra piccole e calde che tremavano, si issò in punta di piedi e posò un bacio sulla sua guancia, all’angolo della bocca. Non osò altro, e non vi fu nulla di insinuante in quel suo gesto, ma Bernard si sentì come tramortito.

Rosalie, allora, volse al servitore che aveva parlato un sorriso lieve. Non parlò, si limitò a guardarlo, gli occhi blu grandi e soavi, il viso fin troppo arrossato per essere finzione.

L’uomo che li aveva indicati si ritrasse confuso. – Non… non potete salire al piano superiore senza il permesso del Duca… sono le regole…

– … oh. Vi chiedo perdono, non lo sapevamo. Scendiamo subito…  

Rosalie restò stretta a Bernard fino all’ultimo gradino, il capo sulla sua spalla. Lui aspirò il profumo dei suoi capelli, la serrò per la vita e non disse una parola. I servitori li lasciarono passare senza più domande.

 

Varcata la soglia del salone, i due giovani rimasero uniti, le mani strette. Iniziarono a muoversi a zig-zag tra le frotte dei festanti.

Era Bernard a guidare, a quel punto. Gli individui intorno a loro apparvero come fantasmi curiosi: li osservavano, alcuni, dietro le maschere sontuose, e a Rosalie mancò spesso il coraggio; ma la mano di Bernard era calda e grande, e il Cavaliere Nero era avvezzo ai grandi salotti e alle feste come quelle. La maschera sul viso come tutti loro, il cuore pieno della presenza di Rosalie, li guardava in faccia senza paura alcuna. In passato aveva rubato loro soldi, collane, orecchini, arrivando anche vicinissimo, le mani leste sotto i giustacuori; ripeté quella consuetudine, ma il tesoro che portava via a quel mondo era immensamente più prezioso.

 

All’improvviso Rosalie, che non indossava altre maschere che il vivo pallore delle emozioni, credette che il cuore le si fermasse quando scorse, in un angolo, la Duchessa di Polignac attorniata da un nugolo di dame.

La donna rideva, ignara di loro, ignara di lei. Se Bernard non fosse arrivato, ugualmente avrebbe riso mentre sua figlia sopportava il supplizio del suo carnefice?

La ragazza chinò il capo; versò l’ultima lacrima per sua madre.

Bernard sentì che lei rallentava, le strinse un poco di più la mano, le sorrise incoraggiante, – Ancora poco…

… e quella sala interminabile sarebbe rimasta alle loro spalle, poiché l’uscita si avvicinava inesorabile, prossima all’atrio, l’ultimo ostacolo.

Rosalie allungò il passo, sentì il cuore batterle nel petto al ritmo della musica e del chiacchiericcio martellante, sorrise anche lei a Bernard…

 

– ALLARMI!

 

Un grido suonò di rimando intorno a loro, poi si spense con la musica e tutte le voci. Rosalie trattenne il fiato, Bernard raggelò.

 

– ALLARMI! IL CAVALIERE NERO È QUI! HA PRESO IL DUCA!

 

 

 

 

 

 

__________

Note.

- Salve! Ho tardato un po’ con questo capitolo, e prima di oggi non ho saputo dare previsioni concrete sulla pubblicazione perché è un periodo piuttosto pieno e faticoso, sono in ritardo spesso anche con Rivoluzione. Ma finalmente sono arrivata anche qui! La prossima pubblicazione arriverà più o meno tra un paio di settimane.

Grazie immensamente a chi segue questa storia nata per caso, per curiosità e per affetto. Un abbraccio a tutti voi!

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Capitolo 15
*** Il ricordo del Terrore ***


 

 

 

 

Una maschera bianca.

La stessa che il Duca, ebbro di vino e lussuria, portava sul volto e ha gettato per terra prima di attaccare la ragazza.

Una maschera bianca per terra. Bernard l’ha ignorata.

Lui ha già la sua maschera, certo.

Ingenua, la maschera di Bernard, quella di un criminale bambino.

Invece, se vuoi essere l’Ombra, devi indossare quella maschera bianca: la stessa del Male che estirperai dal mondo.

 

 

 

Nel salone da ballo si scatenò il caos. Chi prese a frugarsi addosso cercando il portafogli, chi si tastava i gioielli alle orecchie, al collo. Come un miccia, la notizia della presenza del Cavaliere Nero al castello serpeggiò ed esplose in un unico terrore.

 

Bernard e Rosalie, giunti a pochi passi dall’uscita, furono rallentati, poi fermati, dall’onda della folla. Qualcuno spintonò Rosalie e calpestò gli orli della sua gonna, facendole perdere l’equilibrio. Bernard la trasse a sé e l’abbracciò, e i due furono isola nella marea di quanti, concitati, avevano perso la calma.

Per un attimo, Bernard credette che fossero accerchiati, che quel premere e incalzare fosse contro loro due. Invece, l’attenzione di tutti era rivolta all’altro ingresso, da cui era comparso il servitore che, con un grido, aveva dichiarato che il Cavaliere Nero “aveva preso il Duca”.

– STATE CALMI, SIGNORI, VI PREGO! – gridava intanto qualcuno, cercando di superare il vociare assordante. – RESTATE QUI, PER LA VOSTRA INCOLUMITÀ!

– Ma dov’è il Cavaliere Nero? Che è successo al Duca! – chiedevano altri, gridando a loro volta, come fossero un coro a canone.

– Guardate! GUARDATE! – esclamarono altri ancora, quelli più vicini all’ingresso delle scale, da cui i servitori cercavano di allontanarli.

– AIUTO! FERMATELO!

– HA IL DUCA IN OSTAGGIO!

 

 

– Non sono il Cavaliere Nero.

Che mi abbiate sentito o no, è la verità.

Al Cavaliere Nero devo un favore, però. Ha semplificato il mio compito, mi ha fatto trovare l’uomo che cercavo impacchettato e pronto allo scopo. E ora sono qui, con questo pubblico. È una buona tribuna per il mio… discorso.

 

 

 – No, non è il Cavaliere Nero! Ma allora

– chi è? Chi è

– che ha preso il Duca?

– Povero Duca, mio Dio!

– Cosa gli farà?

– Lascia subito andare il Duca!

– Sei circondato, morirai!

Bernard sentiva queste voci lontane all’altro capo della sala, confuse tra le altre, e non sapeva cosa stesse succedendo fuori da quella stanza, presso le scale. Ma il tremito di Rosalie tra le braccia fu per lui uno sprone a non farsi troppe domande. Doveva uscire, e al più presto, insieme a lei, dalla seconda porta del salone: quella che portava all’ingresso principale del castello.

– Vieni. – sussurrò alla ragazza, cercando di aprirsi un varco nella folla assiepata presso l’uscita sicura.

Rosalie annuì, le guance accaldate per la foga, il timore negli occhi grandi. Per mano, avanzarono a fatica tra la gente imbizzarrita.

 

 

È un discorso senza parole, il mio.

Mentre salite per le scale, e mi circondate, e vorreste prendermi, io vi mostro il vostro Duca mezzo nudo che rantola come un suino. Vi trattenete, credete che lo lascerò vivere per aprirmi la strada e fuggire. Che sciocchezza. Perché sarei entrato qui, dunque?

– Vuoi denaro? Te lo daremo. Ma lascia stare il Duca… – chi me lo chiede, un servitore, un nobile? Nemmeno lo guardo.

Non sono venuto qui per rubare. Io non sono il Cavaliere Nero.

 

 

A un tratto, Rosalie si sentì tirare dalla parte opposta. Qualcuno la afferrò per il polso con violenza. Rosalie gridò di sorpresa e dolore quando sentì la morsa premere, e le unghie dell’assalitore stringere la carne.

Si volse, sbigottita: Yolande de Polignac era dietro di lei e le ghermiva il braccio, il viso livido di rabbia.

 

 

Guardatemi bene tutti.

Ora vi insegnerò la Giustizia.

 

 

Il grido di molte persone seccò l’aria. Si udì un suono unico raggiungere il suo apice e spegnersi, come se la folla diventasse una creatura singola e composita, dalle molte voci sincrone, che urlava di paura, poi tratteneva il fiato, infine faceva silenzio.

In controcanto si udì un tonfo lontano e fioco, qualcosa che, cadendo, impattava al suolo e disegnava un lago di tomba rossa.

 

Questo per quanti erano in prossimità delle scale.

All’interno della sala, invece, nessuno vide il corpo del Duca cadere, ferito a morte da un coltello, e concludere la sua esistenza terrena in una tosse convulsa, color del vino.

Nessuno lo vide, ma la notizia si sparse come fuoco su paglia. Allora venne il vero caos, la fuga forsennata verso l’altra uscita, poiché la Morte era entrata nel palazzo.

 

 

Questa è la Giustizia.

Arriverà quando non l’aspettate.

In un ballo, in un letto, mentre bevete vino e mangiate fino a scoppiare.

Arriverà per ciascuno di voi, uno per uno.

Il riscatto del Popolo è appena iniziato.

 

 

– Lasciatemi andare! Lasciatemi! – gridò Rosalie.

Bernard si volse allarmato verso di lei. In quel momento, un odore acre di fumo si sparse dalle scale all’interno della sala, e un nuovo grido percorse ogni spazio:
– AL FUOCO!

 

Ora possiamo andare via. Tutti quanti.

Addio, condannati a morte.

 


– Il criminale ha appiccato il fuoco!

– Ha ucciso il Duca!

– Il fuoco!

– Viene anche dall’altro ingresso!

– Il criminale non era solo!

– Siamo circondati!

Bernard sentì la presa della mano di Rosalie allentarsi. Vide la fanciulla annegare tra volti e abiti e corpi. Non si accorse subito che era un altro l’impedimento di lei, non vide Yolande tirare la fanciulla come fosse all’altro capo di una fune.

– Non lasciarmi! – ruggì verso Rosalie.

Sentì, allora, quella piccola mano resistere.

In un impeto, l’afferrò con tutte le sue forze. Allontanò con violenza chi premeva contro di lui, si protese per abbracciare ancora una volta la fanciulla. Spinse via anche Yolande con la stessa forza, in un colpo solo e perentorio. Le unghie della donna tracciarono sul braccio di Rosalie un ultimo disperato segno di possesso, strappando alla ragazza un grido che sbiadì nel panico generale.

 

 

Non mi troverete più.

Brucerete, o vi salverete portando con voi il mio ricordo.

Il ricordo del Terrore.

 

 

– Signori! Mantenete la calma!

A nulla valsero i richiami di chi cercava di disciplinare la fuga di tante persone. Tutti spingevano, calpestavano e cercavano di mettersi in salvo.

Alcuni servitori e nobili che si trovavano all’ingresso del castello, infatti, cercavano di frenare la corsa degli ospiti: strappavano maschere e chiedevano conto nel disperato tentativo di localizzare i colpevoli che, ormai era evidente, si erano introdotti alla festa con il puro scopo di uccidere il Duca e appiccare quell’incendio.

Fu un ribollire di correnti impazzite, e in quel marasma erano Bernard e Rosalie disperatamente stretti l’uno all’altra, in fuga da Yolande che premeva tra la folla per raggiungerli, in fuga dal fuoco e dal rischio di essere scoperti.

La ragazza gemette. Il giovane la guardò un attimo, pallida, accerchiata com’era lui, il cuore che batteva furioso da petto a petto. La serrò a sé con tenerezza, le accarezzò il viso. Egli era pure spaventato, si sentiva in trappola, l’angoscia lo minava da dentro; ma per quel battere congiunto, per quel tremito condiviso, capì che non poteva arrendersi nemmeno in quel momento.

 

Si guardò intorno, i denti stretti. Si accorse, allora, che erano abbastanza vicini a una finestra. La finestra era aperta, alta e lunga, culminava a punta.

A spallate si fece strada fino ad essa, senza sciogliere mai l’abbraccio di Rosalie.

Si sporse, trattenendo il fiato. Subito l’aria gelida della notte lo colpì, le voci violente alle spalle si attutirono al tocco della notte. L’odore del fumo e dell’incendio uscì all’aperto, e fu possibile a Bernard notare altro fumo uscire dalle finestre del piano superiore e della torre, rischiarato dal tremore delle fiamme ingorde che lo generavano.

Poi vide il lago nero pochi metri più sotto, che specchiava le luci degli incendi sulle piccole onde.

Bernard sentì il cuore stringersi e le membra infiacchirsi. La paura lo divorò all’improvviso, lo fece impallidire e fermare, priva di ragione. Un lampo lontano lo accecò, una voce di bambino* risuonò nel suo spirito.

 

Mamma, dove stiamo andando? Perché piangi, mamma?

Che freddo, che freddo! L’acqua del fiume è tanto fredda! Mi sembra di non avere più le mani e i piedi! Mamma! Mamma, aiuto!

 

– Bernard! – ansimò Rosalie. – Bernard!

Il richiamo di Rosalie lo riportò al presente.

– Fermateli! Quei due laggiù! – gridava qualcuno alle loro spalle. Era una voce di donna.

Bernard sentì il corpo caldo di Rosalie, così stretto al suo, sussultare di timore, vide il viso di lei percorso dall’angoscia.

 

Nel frattempo la calca, che non cercava altro che appigli e colpevoli su cui sfogare il terrore del momento, aveva frainteso il richiamo accorato di Yolande e si stava facendo avanti minacciosa.

– È stato lui, allora!

– Prendetelo!

– Ha rapito una ragazza!

Bernard si chinò, abbracciò le ginocchia e le spalle di Rosalie e la sollevò da terra, rapido. Scostò via ricordi, voci, fumo. Si mosse senza pensare più a nulla.

– Tieniti forte. – sussurrò, anche se non ce n’era bisogno. Sentì Rosalie cingergli il collo e aggrapparsi a lui con fiducia, appoggiandogli il viso su una spalla.

 

Nel tempo di un battito di cuore, Bernard salì sul bordo della finestra. Guardò di nuovo, sotto di sé, le acque nere che danzavano placide al vento freddo. Non c’erano scogli, né asperità.

 

Saltò.

 

 

 

 

 

 

 

______________

Note.

* Riferimento diretto alla storia di Bernard nel manga, Volume 10 della vecchia edizione Granata, che si può trovare ai seguenti link:

http://www.mangaeden.com/it/it-manga/lady-oscar---le-rose-di-versailles/10/16/

http://www.mangaeden.com/it/it-manga/lady-oscar---le-rose-di-versailles/10/17/

 

- Rieccomi infine con il Cavaliere, per i suoi ultimi capitoli! Come scrivevo qualche giorno fa, la cadenza torna settimanale, ogni domenica. Grazie a chi ha aspettato e a chi leggerà!

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** Un amico ci ha salvato ***


L’acqua impattò addosso ai due giovani come un muro.
Bernard si sentì ghermire come da avide, gelide mani che lo tiravano verso il profondo. Rosalie diventò, tra le sue braccia, un corpo impazzito, simile al guizzare di un pesce sbattuto fuori dal suo elemento. Ma lei non era fuori, vi era immersa, e gli abiti che indossava iniziarono a pesare come pietre. Si agitò, la fanciulla, colpendo senza volerlo lo stesso Bernard, quando si sentì sprofondare e l’acqua ghiacciata le entrò in bocca e nelle narici. Fu una lotta di corpi e onde, un disperato tendersi all’aria e perderla subito dopo in un tappo d’orrore. Bernard annaspò insieme a Rosalie, cercò di tenersi a galla mentre tutto il corpo si irrigidiva per il freddo; i suoi movimenti non risposero più a ragione e armonia, ma a una disperata ricerca di spiragli di vita.

Bernard non sapeva nuotare. Le acque profonde dove i piedi non toccavano il fondo erano per lui mostruose. Il fiume recava al suo spirito ricordi tombali; il suo sguardo non amava la Senna, né alcun corso d’acqua, anche se crescendo si era abituato a osservare le onde cittadine, dicendosi d’essere cresciuto e di aver superato le paure di bambino.

Tuttavia, in quel momento il passato si ridestò in lui. Ricordò d’essere stato tra le braccia di sua madre, serrato come nella morsa di una catena, costretto a bere acqua fino a perdere il fiato, mentre la gonna di lei si gonfiava, e il suo corpo, orrore maggiore di tutti, restava fermo, percorso solo da convulsi, involontari scatti per ogni attimo in più senza respiro. Sua madre si era donata alla morte con caparbia certezza; non aveva permesso a se stessa di salvarsi; e più di tutto, non l’avrebbe permesso al suo piccolo Bernard.

Era diventato adulto, il giovane, chiedendosi spesso perché. Certo sua madre, bellissima e dolce com’era, aveva sofferto in modo insopportabile il disonore in cui suo padre l’aveva gettata, cacciandola via di casa insieme a lui.

Non erano sposati, i suoi genitori; Bernard non era altro che il bastardo di un nobile, sua madre una mantenuta. La donna aveva affrontato le critiche e il biasimo di tutti in cambio del benessere per la propria famiglia, per il bimbo soprattutto. Era una donna perduta, ma finché colui che l’aveva desiderata continuava a trattarla da amante, e le offriva un tetto sicuro, era capace di accettare ogni cosa. Forse, si era anche detto Bernard, sua madre amava quell’uomo.

Poi, un giorno, lui si stancò di lei e la lasciò per strada, priva di ogni conforto, di denaro e perfino del rispetto dei suoi familiari e di tutti gli amici. Amici dannati, erano stati al suo fianco finché lei aveva avuto denaro da prestare, benefici da fare; quando perse tutto, la abbandonarono.
Cos’era strano, dunque, nel suo dolore suicida?
Quanta disperazione aveva avuto quella povera donna, si diceva sempre Bernard, per aver tentato anche di uccidere lui, il suo piccolo, anziché lasciarlo alla prospettiva di mendicare per le strade e crepare, più in là, di stenti!

L’acqua del fiume conosceva tutte queste cose, e le ripeté a Bernard mentre il giovane tentava di tenersi abbracciato a Rosalie, di non lasciarla. I due scesero sotto il pelo dell’acqua, trascinati dagli abiti, gelati nelle membra. Per un attimo, a Bernard parve di essere ancora bambino ancorato a un corpo di donna; ma Rosalie lottava per l’aria, lottava per la vita; non si arrendeva alla forza che la voleva annegare.

D’un tratto Bernard, in mezzo alla disperazione e all’angoscia, provò odio. Un odio profondo verso colei che avrebbe dovuto salvarlo, che avrebbe dovuto scegliere di vivere con lui, di affrontare il mondo nonostante tutto. Il giovane si chiese (anche se non era la mente a ragionare, era piuttosto il cuore a farlo per essa) perché sua madre non aveva avuto coraggio, e soprattutto perché era stata così egoista da volerlo distruggere con lei. Ricordò le lacrime strazianti che l’avevano cambiato per sempre, prima del salto, e le successive, quelle che versò inconsolabile su un feretro ornato di gigli.

Perché lui era vivo, Bernard! Era sopravvissuto a quel gesto di violenza, sfuggendo dalle braccia della madre mentre lei diventava fantoccio molle e danzante tra i flutti. L’aveva fatto per istinto, abbandonando la sua zavorra di carne e di seta, quando aveva percepito quelle braccia dure sciogliersi senza più vita.
C’era stato chi l’aveva soccorso, accorrendo alle grida che il bambino lanciò mentre beveva il fiume; quelle stesse persone si curarono di farlo riprendere, di dargli del cibo e di accompagnarlo al funerale di sua madre.
In quel giorno, davanti a quel feretro ornato di gigli, Bernard aveva perso ogni innocenza.

Da quel crudele battesimo tra le onde della Senna, egli si era votato a un’esistenza senza speranze. Allevato da lontani parenti per solidarietà, conosciuto Saint-Just e frequentato il collegio con lui, il suo odio era diventato granitico: nei confronti di suo padre, innanzitutto, dei nobili, di chi commetteva ingiustizie. Ogni suo sforzo era stato finalizzato a cambiare il corso delle cose, a impedire la sofferenza che si era portata via sua madre.
Così si era dimenticato di lei, si era dimenticato di arrabbiarsi soprattutto con lei; perché il male che ci infliggono gli altri non possiamo cambiarlo, ma quello che dipende da noi ci appartiene, e la scelta di vivere o morire, odiare o amare, comprendere o combattere è solo nostra.
Sua madre aveva tentato di ucciderlo. Anziché vendicarsi sull’uomo che l’aveva fatta soffrire, o ricominciare una vita lontano, senza più dipendere dall’amante, aveva scelto di farsi del male e di fare del male a Bernard, che non aveva colpe.

Tutte queste cose Bernard le avrebbe portate alla ragione giorni dopo, riflettendo su ciò che aveva provato in quel tuffo nel passato.
Mentre annaspava con Rosalie in mezzo alle acque, invece, un pensiero solo trionfò su tutti.
Non posso morire qui.
Aveva ancora tante cose da fare. Aveva Rosalie da far vivere, e finché lei non fosse stata salva, non avrebbe avuto pace.
La chiamò, – Rosalie! Rosalie! – tra un sorso soffocato e un altro; si accorse che lei non rispondeva più, e il suo corpo, sfinito dalla lotta contro le correnti ghiacciate, era ormai un peso morto. – No! NO! Rosalie! Resisti! Dannazione, RESI… – e di nuovo giù, una boccata d’acqua gli prese il respiro.

– BERNARD!
Un grido, come da un altro mondo.
– La CORDA, Bernard! PRENDI LA CORDA!
L’acqua nelle orecchie, gli occhi sbarrati e la maschera che lo accecava, Bernard non riconobbe la voce, ma comprese la direzione della sua salvezza. Gettò una manata a destra, a sinistra, il peso di Rosalie che lo tirava giù e la speranza che lo sollevava.
Trovò la corda a pelo d’acqua, l’afferrò. Era viva, era forte. Poteva aggrapparsi. Qualcuno all’altro capo, vigile, iniziò a tirare. Bernard si strinse addosso Rosalie, le braccia che sembravano staccarglisi dal corpo, ma la determinazione intatta e vittoriosa.

C’era una barca al centro del fiume. Al buio, non l’aveva notata prima di lanciarsi. L’unica luce possibile era il riverbero del maniero in fiamme, che disegnava sagome incerte. Ma si accorse che nella barca era un uomo, e quell’uomo riavvolgeva la corda con pazienza, finché Bernard non toccò il legno.
– Coraggio! – gli sentì dire. – Un ultimo sforzo!
A quella voce vicina, Bernard sentì il cuore, già provato, scoppiare di gioia.
André. Era André!

 

 

***

 

L’odore forte del fieno arrivò alle sue narici. Rosalie percepì il calore di qualcuno che, tenendola per le spalle e le ginocchia, l’adagiava su una superficie morbida; si sforzò di aprire gli occhi.
Una luce lieve sfiorava il viso di Bernard, chino su di lei e privo di maschera. La ragazza lo contemplò un istante, poi schiuse le labbra per parlare, ma si sentiva molto debole e infreddolita.
– Monsieur Bernard…
– Finalmente ti sei svegliata. – sussurrò lui, accomodandole una sorta di coperta improvvisata, ottenuta con spessi sacchi trovati sul posto. La guardò teneramente, con un sorriso tirato sul volto pallido.
– Dove siamo…
– Non molto lontano dal castello di Guise. Non è sicuro restare in questa zona, ma avranno altro a cui pensare per qualche ora. Così avrai il tempo di riprenderti…
– Cos’è successo… ?
– Hai perso i sensi… sei quasi annegata, nel lago.
Bernard deviò lo sguardo da lei verso la lanterna che li rischiarava. Prese uno sguardo cupo e duro, che Rosalie riconobbe come familiare, e che le strappò perfino un sorriso.
– Voi… mi avete salvata.
Bernard chiuse gli occhi.
– Un amico ci ha salvato entrambi.
La ragazza si guardò intorno per un attimo, ma non vide nessuno lì con loro, a eccezione di un cavallo legato a una trave. Il fienile sembrava deserto e polveroso.
– Un amico… ?
Bernard tacque, ostinato. Allora Rosalie si accorse che stava rigido, a denti stretti e con i capelli umidi, e tremava in  silenzio. Tutte le coperture asciutte che aveva, le aveva destinate a lei, così come il fieno.
– Voi avete freddo…
Bernard scosse il capo. – Non preoccuparti. Ora riposa. Dobbiamo tornare a Parigi al più presto.
Rosalie prese un lungo respiro. Era effettivamente sfinita. Le doleva molto il braccio destro, lì dove Madame Polignac aveva affondato le unghie. Aveva anche lei qualche brivido, ma il fieno confortava il suo corpo, e d’un tratto si rese conto di non indossare più i pesanti abiti di prima. Sotto le coperte aveva solo la sottoveste; il resto era stato appeso, grondante, perché si asciugasse.
L’imbarazzo la travolse per un attimo. Poi sbirciò Bernard, chino su se stesso, mesto e stanco.
– Almeno… riposate anche voi…
Bernard le sorrise debolmente. – Uno di noi deve restare sveglio.
Rosalie cercò di dire che no, non era giusto, che voleva che anche lui si ristorasse; ma gli occhi si chiusero da soli, e presto scivolò in un oblio sereno, dove il calore della lanterna e il sorriso di Bernard le facevano compagnia.

 

 

***

 

All’alba, Rosalie trovò Bernard vigile. Se lui avesse dormito, non poteva dirlo; ma il giovane era attivo e pronto ad agire.
Aveva acceso un piccolo fuoco grazie alla candela della lanterna, un po’ di fieno e legna di attrezzi trovati lì dentro: gli abiti fradici si erano un poco asciugati e l’ambiente rischiarato. Fuori, l’alba aveva portato una luce pallida e incerta.
Bernard diede le spalle a Rosalie per tutto il tempo in cui lei si rivestì. Taceva, lui, come perduto in un mondo lontano e greve.
– Sono pronta. – disse Rosalie, dopo aver indossato, per come poté, gli abiti umidi e pesanti, ed essersi allacciata il corsetto alla buona, con nodi maldestri per la scomodità dell’impresa. Indossò, su quelle imprecisioni che la rendevano forse poco decorosa, il mantello che Bernard aveva usato come guanciale per il suo giaciglio. Bernard non l’aveva, prima, come non aveva la lanterna; Rosalie immaginò, a ragione, che l’amico che li aveva aiutati avesse rifornito il giovane anche di quelle cose.

Galopparono in silenzio nel giorno neonato. La bruma che saliva della terra celava sagome e contorni, ma Bernard ebbe poche esitazioni sulla via da prendere. Teneva Rosalie davanti a sé sulla sella, le braccia attorno a lei, le mani strette alle redini. I loro corpi, un unico calore; né vi fu imbarazzo, tra di loro, ogni volta che uno scossone li avvicinava ancora, facendoli tremare insieme, abbracciati.

 

 

***

 

Lasciarono il cavallo presso il Palazzo Reale. Bernard lo liberò presso i cancelli, certo che qualcuno l’avrebbe recuperato.

Tolta la maschera, aveva addosso i suoi abiti neri, il suo mantello; Rosalie gli camminava a fianco, il suo manto stretto sul collo.

Le strade iniziavano ad animarsi in quel momento. Bernard era sfinito, ma mantenne un incedere sicuro per tutto il tempo in cui scortò Rosalie verso il quartiere del Tempio, dov’era la casa di Madame Lucille.

Lei gli si fece più vicina. Gli prese la mano, la strinse in un gesto che pareva antico di anni, e si era perfezionato, invece, in una sola notte. Bernard rispose alla stretta con calore, sorrise tra sé, ma non guardò il viso di lei.

I due procedettero per un altro poco senza parlare, così vicini, e zoppicanti, e lenti, come spiriti di un altro mondo.

– … forse tu e Madame Lucille potreste andare ad abitare da un’altra parte, almeno per qualche tempo. – disse poi Bernard, rompendo il silenzio.

– …

– La donna che ti ha fatto rapire potrebbe cercarti ancora.
Rosalie abbassò lo sguardo.
– Vi è rimasta una parte dei soldi di Oscar. Usateli per questo. Posso aiutarvi a cercare una nuova sistemazione.

– … e voi, Monsieur Bernard?

– … è tempo che io torni a casa mia, Rosalie. Al mio lavoro.

La mano di Rosalie fremette. – Non siete ancora guarito del tutto… avete ancora bisogno di riposo.
Bernard si lasciò scaldare il cuore dalla voce di lei, dall’ansia che vi sentiva nascosta, come un sole tra nuvole fresche.

– Se in questi due giorni sono riuscito a fare tutto quello che ho fatto… – e qui il giovane un poco assunse i toni dell’orgoglio, del piacere di un’impresa conclusa come lui voleva, con gioia – … vuol dire che sono davvero guarito.
– … dunque, andrete via.

– Appena ti saprò al sicuro. Sì.

Rosalie abbassò lo sguardo ai passi dei suoi piedi scalzi e intirizziti. Le calze che indossava erano ormai nere di terra.

Sei felice che vada via? Non erano trascorsi nemmeno due giorni da quando Bernard, triste e deluso, le aveva fatto quella domanda.

A Rosalie parve d’avergli risposto da una vita precedente, da un sonno allucinato.

A me dispiace che andiate via. Mi sono abituata a prendermi cura di voi, ed è stato bello avere la vostra compagnia finora. Potrete tornare da noi ogni volta che vorrete.

La ragazza ricordò l’ingenuità con cui aveva detto quelle cose a Bernard. Frasi leggere, quasi casuali. Frasi gentili, ma prive dei brividi che la percorrevano in quel momento alla prospettiva di non vederlo più, di non poter sentire più quella stretta calda tra le dita.

E un’altra cosa ricordò, anch’essa sbiadita nella tranquillità con cui si muovevano lungo la via, come se non dovessero più aspettarsi attacchi e persecuzioni.

Io ti amo, Rosalie.

La ragazza si sentì arrossire dal nulla, nella caligine dei pensieri che mescolavano emozioni a ricordi, a stanchezza e sollievo. Bernard non parve accorgersi di nulla. Egli contemplava la strada come un naufrago in cerca della terra, rassegnato a vagolare prima di raggiungerla, con gli occhi rossi di sonno mancato, il viso stravolto e spento. E un sorriso pallido, ma reale, sulle labbra.

Non poteva avere dubbio, Rosalie, che i sentimenti del giovane fossero immutati. Ogni rischio da lui corso per liberarla era, da solo, una prova d’amore infinito. Ogni abbraccio, ogni tenerezza erano intrisi d’amore. Ma era un amore così tranquillo, così discreto, da impallidire di fronte all’irruenza di quel bacio improvviso che tanto l’aveva turbata, appena due giorni prima.

– Monsieur Bernard, io…

– Siamo arrivati.

Era così. Sbucarono dai vicoli e trovarono la porta dalla maniglia decorata di rosso: per loro, ormai, segno di casa.

 

 

***

 

– Mio Dio! Rosalie! Cara Rosalie!

Madame Lucille travolse la ragazza in un abbraccio impetuoso, e la tenne forte per un istante.

Rosalie rise, l’accolse e ricambiò con altrettanto trasporto.

– Lucille, mi dispiace che siate stata preoccupata, mi dispiace così tanto.

Madame Lucille, però, non si lasciò troppo andare a quel momento di gioia. Subito adocchiò Bernard, che era pallido e lacero come un cencio, e lo guardò con timore. Sciogliendo l’abbraccio di Rosalie, gli sussurrò con voce sottilissima.

– Monsieur Bernard, oddio, ascoltate, voi dovete andare, in cucina ci sono…

Una voce giovane e maschile, dalle spalle della donna, risuonò nell’atrio. – Ehi, ragazzi. A quanto pare, il caso si è risolto da solo.

Madame Lucille si riscosse, spaventata. Si girò verso il nuovo giunto, un uomo alto e possente dal sorriso sghembo, che a sua volta era accompagnato da due uomini, uno basso, il viso pieno di lentiggini, l’altro smilzo e dal naso lungo. Tutti e tre erano in divisa: dei soldati.

Rosalie guardò Lucille, smarrita.

– Cosa è successo… chi sono loro?

Lucille, a capo chino, disse: – Soldati della Guardia… tu non tornavi, e nemmeno Monsieur… Monsieur Bernard. Così li ho chiamati, e mi stavano chiedendo informazioni sulla tua sparizione…
– A-allora possiamo anda-dare via, Alain… ? – chiese il ragazzo giovane, quello con le lentiggini, al compagno più alto.

Il soldato di nome Alain, però, stava osservando con attenzione i modi di Lucille e l’espressione sperduta di Rosalie: il nervosismo di entrambe non aveva ragione d’essere, a meno che non ci fosse qualcosa di strano nell’aria… Il suo sguardo si fermò, infine, su quello di Bernard. Quest’ultimo, pallido e provato, con gli abiti sporchi per il viaggio, mantenne un’espressione impenetrabile, quasi ostile.

I due giovani si fronteggiarono per un istante lungo e silenzioso.

– Prima di andare via, Gerard… – sentenziò infine il soldato Alain, rivolto al compagno lentigginoso – … dovremo comunque fare delle domande a questi signori.

 

 

 

 

 

 

 

 

____________

Note.

- Con un pochino di ritardo, sorry, è arrivato ancora il Cavaliere! Ultimi capitoli, anche se non so ancora definire bene quanti ne manchino: il numero oscilla da due a quattro, in base a come gestirò le cose che voglio ancora inserire e quanto spazio mi prenderanno. La prossima volta, comunque, dovrebbe essere tra il 24 e il 25 aprile, se tutto va bene! Intanto, un abbraccio grande a tutti!

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Capitolo 17
*** Chi vuole la giustizia, se la faccia ***


Un interrogatorio, dunque. Bernard aveva scampato l’arresto per mesi, per ritrovarsi di fronte quei soldati proprio sulla soglia della nuova vita.

Forse fu la stanchezza, forse la gioia di sapere Rosalie ormai completamente al sicuro; forse la sensazione di aver preso il proprio cuore, averlo crivellato di colpi, ucciso e poi fatto risorgere alla fine di un lunghissimo viaggio; in ogni caso, egli si dispose a parlare con atteggiamento rassegnato e sereno. Avrebbe perfino ammesso su due piedi di essere stato il Cavaliere Nero; non lo fece perché l’immagine di André lo fermò in tempo.

André.

Erano passate solo poche ore, ma ci aveva ripensato costantemente, mentre vegliava Rosalie addormentata, mentre preparava il cavallo per galoppare con lei fino a Parigi, nell’ora pallida dell’alba. Per strada, passeggiando fino a casa come se niente fosse successo, eppur laceri come due sopravvissuti a una battaglia mortale.

Sua madre e André, ecco a cosa aveva continuato a pensare incessantemente, spento fuori e vivo dentro, come un calderone sul fuoco.

André…

Bernard si rivide di nuovo nel fienile, il corpo esanime di Rosalie tra le braccia e André che lo aiutava a entrare, faceva posto, gli forniva coperte e utensili. Ricordò che avevano parlato con voce sommessa, per non svegliare la ragazza. Era stato Bernard a rompere il silenzio, con ardente trasporto.

 

– André. Io… non potrò mai… mai ringraziarti abbastanza. Non riesco nemmeno a credere che al mondo possa esistere qualcuno… nobile come te.

– Io non sono nobile.

– Hai capito cosa intendo.

– Non è come pensi, Bernard.

– Mi hai salvato la vita due volte. Due volte, André.

– Tu hai fatto molto di più di me, in questa vita.

– Io non…

– Ti ho ammirato sinceramente, Bernard, anche mentre ti davo la caccia. Anche mentre fingevo di essere te. Ti ho ammirato, e ho provato rammarico per non poterti aiutare nella tua missione.

– Tu! Tu non mi avresti aiutato! Hai bevuto di nuovo, amico?

– Parlo delle imprese del Cavaliere Nero. Della forza che hai dato alla gente. Io credo che tu abbia svegliato l’animo di molti. Hai riportato speranza… hai dato speranza anche a me. La speranza di un mondo giusto, un mondo dove potremo essere… tutti uguali.

– …

– Hai fatto molto per la gente. Vorrei che tu continuassi a farlo. Anche senza la maschera, puoi farlo.

– Sai, André… il Cavaliere Nero, da stanotte, non esiste più.

– Hai deciso, alla fine.

– Tutto quello che farò d’ora in poi, sarà opera di Bernard Chatelet. Non mi nasconderò più dietro una maschera. Non sono degno di fare il giustiziere. Sono solo un uomo. E come tale combatterò.

– È per lei che hai preso questa decisione, non è vero? Per Rosalie.

– Io… l’amo, André. Per lei sono pronto a dare qualunque cosa. La vita… la mia maschera.

– Già. Per la donna che si ama si darebbe tutto. La libertà… la pace dell’anima… perfino un misero occhio.

– André… Cristo, André. Tu e Oscar…

– Non sono venuto qui, stanotte, per altruismo. Certo, volevo che Rosalie si salvasse. Ma soprattutto, dovevo impedire che ti prendessero. E vi seguirò ancora, finché non sarete salvi. Se ti scoprono, Oscar è condannata. Non sono così… nobile.

André! Dove vai?

– Ti saluto, amico.

– Hai detto che saresti rimasto con noi.

– Vi seguirò da lontano. Ti prego, non dire a Rosalie che mi hai visto.

– Ma perché?

– Ti prego, Bernard.

 

In quell’accorata richiesta, André era rimasto chino, il volto di profilo, che guardava un punto indefinito.

Perché era voluto andare via in quel modo, in silenzio, senza volere alcun grazie… soprattutto da Rosalie?

Bernard immaginò la risposta. Quell’uomo sbandato, sbiadito e spento che aveva avuto il coraggio di entrare nella tana del nemico per liberare Oscar, la sua Oscar; che era capace di pensare a lei comunque, anche se lontana, e aiutare gli amici in sua vece, come un vicario; che soffriva per un amore impossibile che lo straziava continuamente… non avrebbe potuto tollerare le domande inevitabili di Rosalie, il viso felice di lei quando parlava di Oscar, e i probabili infiniti ricordi legati al passato.

Bernard intuì che il passato, per André Grandier, era un calvario assassino. Egli era un uomo nel mezzo della sua disperazione; ma quale uomo disperato salva qualcun altro come tu hai fatto, amico? Quale uomo disperato riesce a percepire la sofferenza altrui e il bisogno altrui, per porvi rimedio?

 

Così Bernard tenne chiusa la bocca e si preparò a un difficile percorso di risposte evasive, di mezze verità. Alain lo fissava attentamente, nel frattempo: pareva avesse fiutato su di lui l’evidenza di qualche segreto, e si preparava a chiedere.

In quel momento, però, la dolce voce di Rosalie coprì la domanda del soldato. Ella si fece avanti, ponendosi tra i due uomini, le spalle a Bernard e il viso, chiaro e soave, rivolto ad Alain.

– Vi racconterò tutto, signore.

 

Si accomodarono in cucina. I due soldati, Gerard e Paul, sedettero a terra, a gambe incrociate. Alain e Rosalie si posero uno di fronte all’altra, intorno al tavolo centrale. La ragazza dispose la sedia di Bernard accanto alla sua, e così il giovane si sedette a sua volta. Madame Lucille mise a bollire del tè, e ascoltò in piedi tutto quello che Rosalie rivelò.

– L’altra notte… ho incontrato un uomo incappucciato, che chiedeva l’elemosina. Io ho provato a dargli una moneta, ma proprio in quel momento mi ha afferrata e… mi ha portata via.

Bernard strinse i pugni. Rosalie parlava a capo chino, ma la voce non le tremava affatto.

– Che mezzo ha usato, Madamigella? – chiese il soldato.

– Una carrozza.

Alain strinse gli occhi in due fessure.

– Dove vi ha portato?

– Non saprei dire. Avevo gli occhi coperti da una benda. Quando me l’hanno tolta, ero in un palazzo nobile.

– Non sapreste nemmeno dire quale, vero?

– C’era… il fiume, fuori dalla finestra.

– Quanto tempo c’è voluto per raggiungere questo posto?

– Non… non saprei davvero. Credo molto… però era ancora notte quando sono arrivata.

– Prego… continuate.

Rosalie esitò. Guardò i due soldati seduti a terra, incerta. Uno di loro guardava per aria, scavandosi una narice con il dito. L’altro ascoltava con gli occhi spalancati, i denti storti sotto le lentiggini che gli chiazzavano il viso.

– Gerard. Paul. Aspettatemi fuori. – fece Alain, con immediato stupore di Rosalie. I due soldati si tirarono su e uscirono rumorosamente (Paul strascicando i piedi, Gerard sbattendo contro il tavolo).

Allora Alain guardò di nuovo Rosalie, in silenzio, negli occhi scuri un invito a continuare.

– Mi hanno… fatto indossare abiti ricchi, e… volevano che mi unissi alla loro… festa. Hanno tentato… di… – di nuovo, Rosalie chiuse la bocca. Non per semplice reticenza o vergogna. Quel suo silenzio fu anzi eloquente e voluto, e i suoi occhi chiari cercarono il volto di Alain, diretti e colmi. L’orrore della violenza che aveva rischiato di subire diventò, sul viso soave della fanciulla, una ferma accusa.

Bernard aveva smesso di controllare le espressioni del proprio viso. Non si accorse d’aver stretto i denti in modo feroce, indignato come se scoprisse quei dettagli per la prima volta.

Dal suo canto, Alain sostenne gli occhi accesi di Rosalie con attenzione, perfino con gentilezza.

– Ho capito. – disse, e si rivolse a Bernard per un attimo, in tempo per scoprirlo così, nudo nelle emozioni e nella rabbia. – E come siete riuscita a fuggire, Madamigella? – chiese ancora, senza distogliere lo sguardo dal giornalista.

– … mi sono opposta, e… sono fuggita tra i corridoi… – tentennò Rosalie.

– Da sola?

– Sì! – dichiarò la ragazza, senza alcun indugio. Non le era sfuggita l’attenzione crescente con cui Alain si rivolgeva a Bernard. Ma non poté impedirla: era lui, ormai, che Alain puntava.

– Signore, voi che merito avete in questa vicenda?

Bernard stava per rispondere. Mosse le labbra, ma:

– Mi ha trovata per strada, mentre fuggivo. – si intromise Rosalie. – Qui a Parigi, poco fa. Mi ha riportata a casa…

Alain annuì con un mezzo sorriso.

– Le cose, dunque, sono andate così.

Bernard tacque, ma i pugni restavano stretti.

– Potrei avere un colloquio privato con questo signore? – chiese infine Alain.

Sia Rosalie che Madame Lucille (la quale, con il tè ormai freddo, aspettava che essi finissero, il viso immerso nel dispiacere) esitarono sensibilmente.

– Signore, non ce n’è bisogno, vi ho già detto tutto…

– Madame Lucille, per favore. Potreste medicare la ferita al braccio di Rosalie? – replicò invece Bernard, con voce insospettabilmente calma.

Le due donne si decisero infine a lasciar fare agli eventi. Sebbene titubante, Rosalie si alzò. Nel passare accanto a Bernard, poco mancò che gli accarezzasse la spalla (un istinto taciuto e messo a bada, ma improvviso in lei, innegabile); si allontanò con un’ultima occhiata dalla soglia a entrambi gli uomini.

Essi rimasero seduti uno di fronte all’altro, in silenzio, finché Rosalie non chiuse la porta.

Appena uscita, a denti stretti sussurrò:

– Mio Dio. Non può finire così. Non deve.

– Stai calma, cara. Andrà tutto bene. Non è detto che scoprano chi è. – disse Lucille, seppure i suoi toni tradissero ansia.

Rosalie giunse le mani. Il cuore le batteva forte in petto.

 

 

***

 

 

– Mi chiamo Bernard Chatelet. – esordì il giornalista, il corpo e la postura abbandonati alla stanchezza, ma la voce ferma.

– Non vi ho chiesto il vostro nome. – replicò Alain. Poi si alzò e andò a versarsi un po’ di tè. – Immagino che quella brava donna non abbia vino da offrirci… – mormorò, curiosando tra gli scaffali esposti. – Anche se non dovrei bere in servizio, lo so, lo so.

Bernard rimase assai colpito dalla risposta dell’altro. – Non volete il mio nome? Pensavo mi steste interrogando.

– Non vi sto interrogando. Credetemi, ve ne accorgereste se lo facessi, e non sarebbe qui. Quanto al nome, saprei scoprire anche quello, se servisse. Ma ora non mi interessa. – Alain si accomodò di nuovo, tenendo la tazza tra le mani grandi, che pareva sparire tra le dita. – Io voglio solo sapere dove e quando siete andato a salvare quella ragazza.

Bernard assottigliò lo sguardo. – Cosa vi fa pensare che l’abbia salvata io?

– Lo stato dei vostri abiti. E guardatevi, avete una pessima cera. Da come vi muovete, sembrate avere anche qualche problema alla spalla.

Bernard strinse i denti e chiuse gli occhi. Parlare, non parlare: le due alternative erano impraticabili entrambe.

– I miei ricordi sono molto confusi. – mormorò, cercando di prendere tempo.

– Io credo che ricordiate benissimo, invece. E anche quella ragazza ricorda benissimo. Ma… – Alain bevve un sorso, fece un smorfia, tirando fuori la lingua. – … ’zo, è bollente!

Bernard aggrottò la fronte. Il soldato si prendeva tempo per ustionarsi la lingua, non voleva il suo nome, non aveva chiesto nemmeno quello di Rosalie (anche se Madame Lucille gliel’aveva fornito di già, con ogni probabilità).

– Ohi ohi… – borbottò Alain, e sorrise. – … dicevamo? Ah, sì. Facciamo una cosa veloce e diretta. Avete ucciso qualcuno?

– No.

Alain rimirò Bernard in silenzio per diversi istanti, soppesandone la risposta e l’espressione.

– Ne siete sicuro?

– Sì. – disse Bernard, a denti stretti.

– Bene. Allora potete andare.

– Come sarebbe a dire?

– Se non avete ucciso nessuno, mi basta così. A meno che… – la voce di Alain mutò. In un attimo solo, diventò cupa e severa, come una minaccia. – … non abbiate mentito.

Bernard sospirò profondamente.

– Non ho ucciso nessuno… no. Anche se avrei voluto farlo.

– Un nobile?

– Sì.

– Un intoccabile, scommetto.

– Sì.

– Allora io non vi ho nemmeno visto qui. Stamattina Madamigella Rosalie è tornata a casa. Era sparita perché si era perduta, o era andata a fare una visita.

Bernard osservò incredulo Alain alzarsi e darsi una sistemata alla giacca. Poi il soldato si diresse alla porta, senza più degnarlo di uno sguardo.

– Un momento… mi lasciate andare così?

Alain si fermò sulla soglia, ridacchiò.

– Cosa c’è? Avete altri peccati da confessare? Ci tenete tanto a farvi sbattere in prigione?

Bernard tacque, mordendosi la lingua. Di fronte alla disinvoltura dell’altro, era smarrito come un ragazzino.

Alain sorrise, in modo amaro stavolta, privo di divertimento.

– Non è passato molto tempo da quando ho spaccato la faccia al nobile che voleva toccare mia sorella. Il mio… ex-Comandante.

Bernard sgranò gli occhi.

Alain continuò, riaccendendo il sorrisetto. – Quella ragazza, Rosalie… mi ha ricordato immediatamente il viso di mia sorella, quando sono venuti a prendermi a casa per interrogarmi.

Bernard sentì il sollievo riempirlo come un buon sorso di vino. In quello stesso giorno, ecco che un altro uomo del Popolo lo salvava, perché in lui si riconosceva.

– Ora… ho capito. – mormorò, senza altre parole.

– Che volete farci, signore. È un mondo disgustoso, perciò… “Chi vuole la giustizia, se la faccia”. – ghignò il soldato. Aprì la porta, e rischiò di scontrarsi con Rosalie che, vicinissima alla porta, aveva forse potuto ascoltare almeno le ultime battute che si erano scambiati. L’imponente soldato sussultò, la scansò e la resse, per evitare che la ragazza cadesse.

– Occhio, madamigella! Non siete scampata a una brutta avventura per crollarmi addosso.

– Scu… scusatemi. – balbettò Rosalie, arrossendo.

Alain la scostò delicatamente da sé. – È tutto a posto adesso, Madamigella.

Poi il soldato fece un saluto a Madame Lucille. – Abbiamo finito. Come vi dicevo, il caso si è risolto da solo.

– Grazie al Cielo. – convenne la donna, con un saluto gemello.

Rosalie rimase a osservare il soldato allontanarsi, le mani giunte sul petto, come a custodire il cuore che minacciava di uscirle dal petto. Si volse con ansia a Bernard, e lo trovò sulla porta della cucina, il viso consapevole e attento alla sagoma del grosso soldato che cercava l’uscita.

– Aspettate! – gridò a un tratto Bernard, e sfuggì a Rosalie e Madame Lucille per raggiungere Alain.

– Mh? – fece l’altro, già pronto a uscire, la mano sulla maniglia del piccolo portone, l’espressione di chi non aveva previsto di fermarsi ancora.

– … chi ha agito una volta, potrebbe agire ancora. – sentenziò Bernard, e tacque.

Alain sogghignò. – … le osterie da queste parti non sono poi così male. Almeno la birra non sembra piscio… Paul! Gerard! Dove siete finiti, sfaticati! – gridò poi, spalancando la porta di casa. I due giovani lo aspettavano fuori, e appena lo videro gli corsero incontro.

– Facciamoci un giro per il quartiere. – spiegò Alain. – E già che ci siamo, teniamo in conto di farlo anche i prossimi giorni. Non sia mai che troviamo un modo per ammazzare la noia.

– Ma Alain, – gli risposero i compagni, quasi in coro, e Gerard proseguì con un balbettio: – D’A-D’Agout… sa-sarà d’accordo? Abb-biamo l-la rivi-vista…

– Chi se ne frega se D’Agout sarà d’accordo! E pure della rivista, chi diavolo se ne frega! – replicò gloriosamente Alain, e ridendo a voce alta si diresse con loro all’angolo, scordandosi di chiudere il portoncino.

Il soldato prese a intonare, senza pudore alcuno, una vecchia canzone popolare, la cui eco suonò tra i vicoli e si spense in lontananza solo dopo che egli si perse di vista.

Ti lamenti, ma che ti lamenti? Prendi il bastone e tira fuori i denti!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

____________

Note.

- In ritardo infinito con le risposte alle recensioni, almeno sono di parola con la pubblicazione! È davvero un periodo senza respiro, però ringrazio con affetto chi mi ha lasciato il segno della sua lettura e del suo gradimento. Mi metterò in pari immediatamente!

- Le canticchiate di Alain (“Chi vuole la giustizia se la faccia” e “Ti lamenti ecc.”) sono direttamente ispirate dalla - per me - bellissima Malarazza, canzone popolare siciliana di rivolta e di accusa contro il potere schiavista dei padroni. Tra le sue molte versioni, segnalo quelle di Domenico Modugno, di Roy Paci e Carmen Consoli; per ascoltarla e leggerne il testo, ecco la versione di Ginevra di Marco: http://parliamoitaliano.altervista.org/malarazza/.


- Il capitolo 18 NON sarà la conclusione, non ancora! Se tutto va come previsto, metterò la parola fine al capitolo 20. Intanto un abbraccio ancora a chi è arrivato qui, e al prossimo week-end!


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Capitolo 18
*** Sei pronta per essere libera ***


Dopo aver riposato nel letto di Madame Lucille, Rosalie le raccontò tutte le sue disavventure. La donna si emozionò molto nel sentire cosa Bernard avesse fatto e come fosse riuscito, apparentemente dal nulla, a trovare Rosalie, pur così lontana da Parigi.

Bernard però non rimase sveglio a prendersi lodi e complimenti. Nella stanza attigua, sprofondò in un sogno di incubi sommessi e ovattati, simili al sibilo di una tormenta dagli spifferi di una finestra mal chiusa. Gli incubi non gli impedirono il riposo, né di abbandonarsi alla serenità d’aver compiuto la sua missione: salvare Rosalie; il resto poteva aspettare, anche il ricordo orribile del corpo molle della madre tra le onde, quello gelido della pelle di lei tra i gigli della bara, quello tristissimo di André e del peso del suo cuore, quello del maniero in fiamme da cui erano fuggiti, che si stagliava alto e sinistro su uno specchio d’acqua nera. Tutto questo era vivo nei sogni ma innocuo, come dietro un sicuro bozzolo di vetro, racchiuso nel passato. Bernard si svegliò che era quasi sera: aveva un sorriso lieve sulle labbra, lo stesso con cui era giunto al mattino in quella casa, forte del tesoro che aveva portato con sé.

Il… tesoro era già all’opera ai fornelli. Bernard le si avvicinò alle spalle, e si accorse di non essere stato udito. Rosalie aveva la caratteristica, già notata altre volte e che in futuro avrebbe mantenuto, di immergersi tanto a fondo nei propri pensieri da non uscirne se non richiamata; e così fu, perché quando Bernard sussurrò, incerto,
– Rosalie?

la ragazza sussultò in un piccolo grido, e si portò la mano al petto. Appena si accorse di lui, sorrise canzonando la propria reazione,

– Scusatemi: ero sovrappensiero,

e i loro sguardi si toccarono. In quel momento si riconobbero, si dissero qualcosa senza parole; e fu, a sorpresa, tenero e denso di complicità, al punto che Rosalie sentì venir rosso alle guance, e Bernard distolse lo sguardo e chinò il capo, pensieroso.

– Ti sei già rimessa al lavoro…

Rosalie si addolcì. – Sto bene. Mi sono riposata abbastanza. E qualcuno doveva pur occuparsi della cena… voi avete riposato?

Bernard ignorò la domanda. – Dov’è Madame Lucille? – chiese, guardandosi intorno.

– Al mercato. – rispose Rosalie, tornando a occuparsi di ciò che ribolliva nella pentola. Rigirò il cucchiaio e diede a Bernard le spalle, accorgendosi che il rossore le accaldava ancora il viso. – Tornerà tardi anche stasera... ha perso troppe ore di lavoro, vuole recuperare il più possibile.

– … le hai detto qualcosa… della proposta che ti ho fatto?

– … quale proposta? – disse lei, stranita.

– … lasciare questa casa. Impedire che ti trovino ancora. – spiegò Bernard. Uno spirito malizioso forse avrebbe compreso che Rosalie aveva inteso tutt’altro da quella semplice domanda, ma non era il caso di Bernard.

– Oh… sì. – disse in fretta la ragazza, tornando a osservare la zuppa fumante.

– E lei?

– Lei… mi ha detto che non vorrebbe separarsi da me, ma non può lasciare questa casa. Non finché Jean non tornerà.

– Jean?
Rosalie annuì. – È suo figlio. Un giovane che, tre anni fa, è partito in cerca di fortuna senza lasciare spiegazioni. Come fece mia sorella Jeanne… ironia della sorte, hanno quasi lo stesso nome. – La ragazza sorrise con tristezza.

– Lo capisco. – disse Bernard, e si sentì stupito e triste a sua volta, per quel dettaglio della vita di Lucille che non aveva mai conosciuto. Né l’aveva chiesto: la buona donna li aveva ospitati entrambi, in fondo, lui e la stessa Rosalie, e non si era mai premurato, Bernard, di conoscerla meglio.

Rosalie si chiuse in un silenzio denso di pensieri. Il giovane attese un poco, ma vedendola di nuovo assorta, parlò per primo.

– Ti aiuterò a trovare una nuova casa. – promise, serio. Poi più sereno: – Per il momento, però, lascia che ti aiuti almeno con la cena. Vai a sederti, ci penso io qui.

– No, davvero. Non è faticoso, e mi piace farlo...

– Permettimi. – Bernard tese la mano, cercò di prenderle il cucchiaio. Rosalie tentò di resistere, ma appena sentì la mano di lui che sfiorava la sua, indietreggiò e si sottrasse, come intimidita. Bernard prese il suo posto, lo sguardo come distratto; la sbirciò solo un attimo, e si accorse che Rosalie evitava di guardarlo a sua volta, e che il rossore di prima era tornato dolce sulle sue guance, insieme a un morbido, triste sorriso.

– Come va… la tua ferita?

Rosalie esitò. – … sono soltanto dei graffi. Guariranno presto.

– La donna che te li ha procurati… chi era? – le chiese, diretto.

– … Madame Polignac.

Bernard trattenne il fiato, poi riprese a rimestare la zuppa.

– … la donna che voleva darti in sposa al Duca de Guise. – mormorò, e piano sollevò lo sguardo sul viso della fanciulla, ne sondò le emozioni. Trovò fiorite, ancora una volta, tutte le contraddizioni che ardevano nello spirito di Rosalie. Trovò l’odio per i nobili e per la madre che aveva desiderato ciò che di peggio poteva desiderare, per la figlia; e anche qualcos’altro, un senso di battaglia e di cruda determinazione, cose che amava in lei tanto quanto il candore di giglio e il rossore sulle guance.

– Per qualche giorno è meglio che tu non esca di casa. Finché non avrai una nuova sistemazione. – le disse ancora, con aria comprensiva.

Rosalie fece un piccolo movimento, tentò di parlare di getto, ma poi si morse le labbra, si frenò.

– … io resterò qui con te fino ad allora. Non dovrai temere nulla. – rincarò il giovane.

Di nuovo, il viso di Rosalie fu specchio di sorpresa, di tristezza e frustrazione.

Lui, dal suo canto, cercò di essere pacato e rassicurante.
– Ci aiuteranno anche quei soldati, vedrai che…

– … Monsieur Bernard, io… – lo interruppe Rosalie, guardandolo con occhi vitrei, blu come piccoli laghi avidi di cielo. – … io non voglio più che vi disturbiate per me.

Lo disse in modo perentorio, quasi severo.

Bernard smise qualunque cosa stesse facendo. Si volse a lei, furono uno di fronte all’altra, e lui la guardò intensamente. Molte parole gli vennero alle labbra, ma si limitò a pensarle: le mutò in discorsi più discreti, soffocando sul nascere ogni impeto.

È naturale, per me, proteggerti. – Non è un disturbo.

– So che se avessi bisogno, mi aiutereste ancora… – disse Rosalie, abbassando il capo.

Lo farò sempre, lo farò comunque. – Lo farei. – replicò lui, con una sicurezza che fece vacillare la ragazza per un istante.

– … ma credo che l’unica soluzione, per me, sia lasciare Parigi.

– Cosa? – Bernard sentì il cuore stringersi, e i pensieri esplosero in un No che si riversò nei lineamenti del suo volto, rendendolo affranto.

– Quella donna ha preparato un documento con cui vanta su di me diritti di madre. Porto il cognome di suo marito, ormai. Sotto questa luce, è legale perfino che mi abbia fatto rapire, riconducendomi a sé. – la ragazza fece una smorfia disgustata. – Non aspetterò che lo faccia ancora.

– Deve solo provarci… – iniziò Bernard incollerito, e si accorse di aver alzato la voce, dando respiro ai pensieri. Si fermò in quel momento, si impose di parlare lentamente. – … Parigi conta seicentomila abitanti. Non potrà trovarti così facilmente.

– L’ha già fatto una volta, e ha i mezzi per farlo ancora. – disse Rosalie, scuotendo il capo.

– Tu ami Parigi. Tu vuoi vivere qui, me l’hai detto una volta.

– È la verità. – sussurrò la ragazza, più cupa. E di nuovo, guardò il giovane alzando il mento, in un modo orgoglioso e solenne che lo spiazzò. Non più rossore, non più dolori, solo una quieta consapevolezza. – Ma amo soprattutto la mia libertà.

Bernard ebbe un sussulto, si sentì ardere ancora, con piacere, con gratitudine. Questo sapeva fare Rosalie, sempre, senza stancarsi: scuoterlo, ricordargli cos’era inestimabile al mondo, vivere quella preziosità al massimo grado.

– Ascolta, Rosalie. – disse Bernard di slancio, e sentì l’impulso di sfiorarle il viso, di fissare ancora più da vicino quegli occhi grandi, con tutte le loro emozioni. Si trattenne, strinse i pugni. – Se lasci Parigi, sarà ancora più facile per lei confondere le sue tracce se dovesse trovarti di nuovo. Ha agito in segreto finora, continuerà a farlo…

– Allora cosa dovrei fare? – replicò lei con veemenza, stringendo i pugni davanti al petto. – Accettare di chiudermi in casa sperando che non mi trovi mai più? Vivere nel timore e nell’ombra?

Rosalie tacque, anche se avrebbe voluto aggiungere altro. Dirgli, per prima cosa, che aveva molta più paura di quanta volesse ammettere, perché se la Polignac l’avesse presa un’ultima volta, era certa, le sarebbe stato davvero impossibile fuggire.

Ancora, dirgli che non voleva lasciarlo, ma che non poteva ammetterlo a voce alta. Né gli avrebbe rivelato che mentre lui dormiva, fino a poco prima, era andata spesso a controllarlo, spiando la forma del suo sorriso nel sonno, se fosse lieta, o mesta, o spenta. E che le era parso un uomo bello, come non aveva pensato mai, come le sembrava anche in quel momento.

Era così confusa. Non l’avrebbe mai voluto accanto a sé per il bisogno di essere protetta, questo no. Si diceva che doveva camminare anche stavolta sulle proprie gambe, e imparare a fare a meno di lui, come con Oscar. Doveva lasciarlo libero. Non poteva aggrapparsi a lui sperando che la salvasse sempre: una certa rettitudine morale, l’orgoglio glielo impedivano. Ma anche se sapeva di essere nel giusto, qualcosa mancava al ragionamento, e proprio quel vuoto le stringeva l’anima in una morsa. Si era ripromessa di non essere mai egoista con nessuno, di donarsi al mondo; ma avrebbe volentieri piantato i piedi come una bambina, implorando Bernard di starle vicino.

Soffocata da quel nodo di emozioni Rosalie rimase ferma, le labbra tremanti, tanto silenzio per così tanto cuore.

Bernard ascoltò il suo silenzio e chiuse gli occhi. Disse soltanto, con voce calda come una carezza:

– No, non puoi, hai ragione. – un attimo, e aggiunse: – Domani… chiederemo a Madame Lucille di restare qui al mio posto. Io andrò a parlare con Robespierre.

Rosalie sgranò gli occhi. – Monsieur Robespierre… ?

Bernard annuì. – Se quello che mi hai raccontato è vero, lui scoprirà come stanno le cose. È un avvocato, ha diretto accesso a molte più informazioni di quante possa io. E se esiste un cavillo, qualcosa che ti permetterà di essere libera una volta per tutte da quella donna… noi lo troveremo.

– Voi credete… che sarà possibile sfuggirle? – fece la ragazza, incredula.

– Non è più tempo di fuggire da lei. È tempo di affrontarla.

Rosalie distolse lo sguardo, non replicò nulla. Ma apparve chiaro, sul suo viso di luna, quanto quelle parole l’avessero colpita.

Bernard si mosse, un passo ancora: fu vicino a lei tanto da poterla toccare. In uno slancio le prese le mani nelle sue, le sollevò e si chinò verso il suo viso, con espressione triste e partecipe.

– È una battaglia cui non puoi sottrarti. Anche se si tratta di tua madre.

Rosalie strinse le palpebre in un’espressione sofferente. Celò lo sguardo per un istante, ma le loro mani rimasero strette.

– Credimi, so cosa stai provando. – sussurrò Bernard, con dolore. – Non puoi amarla… ma non puoi neppure odiarla.

A quelle parole Rosalie tornò a lui, come se avesse appena pronunciato un incantesimo.

– Perché… perché doveva essere lei? – gli chiese Rosalie, ingoiando il dolore: come se lui potesse risponderle. – Perché non quella Nicole che mi ha allevato… che io ho amato?

– Non lo so. – ammise Bernard, con tono carezzevole. – Ma tu sei forte, immensamente forte. Sei pronta… per essere libera.

Rosalie si sentì sopraffatta. Accadeva di nuovo: Bernard era dentro di lei, le parlava da troppo vicino per non sentirlo. La stretta delle mani, dei loro sguardi, i respiri che si sfioravano, tutto ciò era la forma esteriore di un abbraccio reciproco e profondo, avvenuto con naturalezza estrema.

Poi i loro confini si assottigliarono. Vi fu un attimo, soffice come nebbia, in cui a Bernard parve che lei socchiudesse gli occhi e muovesse il viso ancora più vicino, contemplando tra le ciglia le sue labbra come nell’attimo che precede un bacio. E Rosalie credette, all’opposto, che fosse lui a fissarla come se volesse annullare di nuovo le distanze: basta parole, basta indugi, l’avrebbe baciata ancora, stavolta senza che lei nutrisse il desiderio di fermarlo.

Non arrivarono a scoprire chi dei due avesse iniziato quel lieve movimento: Madame Lucille irruppe in casa con allegria, annunciandosi sulla soglia e spezzando il filo caldo che stava avvicinando i loro respiri.

 

 

 

***

 

 

– Eccoti. Finalmente.

Il volto di Maximilien Robespierre si aprì a una sincera soddisfazione, quando vide Bernard varcare la soglia del salotto d’Orleans. Lasciò cadere la conversazione con il suo vicino, Monsieur Camille Desmoulins, il quale a sua volta si alzò all’arrivo del giovane, con le braccia larghe e un gran sorriso.

Bernard, alla vista dei suoi mentori, si sentì sollevato. La sua andatura, dapprima incerta, diventò sicura; si mosse tra i gruppetti di altri giovani, intellettuali, artisti che riempivano la sala puntando i due uomini. Quando si trovò di fronte a loro, ebbe l’impressione di essere tornato indietro nel tempo, in un luogo e in una compagnia che aveva dimenticato. Ci stava bene, ma si sentiva anche estraneo e mutato: come l’uomo che, dopo aver vissuto tutta la vita in un luogo, allo scoprirne un altro diventa viaggiatore, e non ha più un unico cuore, ma uno per ogni volo compiuto fuori dal nido.

– R-ragazzo! – esordì Desmoulins, i cui difetti di pronuncia non riuscivano a sminuire la grandezza della sua penna e l’abilità dell’argomentazione. – Abbia-biamo s-senti-to la tua mancanz-za. T-ti sei ri…stabilito?

Bernard si illuminò di sorpresa per un attimo, lanciò un’occhiata a Robespierre: questi osservava i due, l’amico e il pupillo, con molta tranquillità. Quella posa rassicurò il giovane.

– Sì, signore. Ora sto bene, e vorrei tornare a lavorare a pieno regime.

– Ma c-certo. Abbiamo bi-bisogno della tu-tu…a ener… energi-a.

– A questo proposito… – Bernard prese dal giustacuore un foglio ripiegato, lo porse a Desmoulins – … vorrei sottoporvi questo pezzo.

Desmoulins prese il foglio e lo spiegò con compiacimento, annuendo con vigore. – N-non p-potevo chiede-re di-di ppiù. – Poi lesse a mente il titolo, e scorse rapidamente l’intero foglio. – “Co-cosa ci ha l-lascia-to il Ca-valie…rre Ne…nero.” M-ma questo è…

– … è una riflessione su cosa sia stato il Cavaliere Nero per tutti noi, ora che non esiste più.

– S-sia st-stato… da m-mesi non se ne è p-più… sa-saputo nulla. V-voi pensa-sate che s-sia mo-morto?

– Mi sembra l’ipotesi più probabile, signore. – disse Bernard, con espressione neutra; Robespierre fece solo un piccolo sorriso agli angoli delle labbra, e dal suo canto Desmoulins osservò il suo giovane giornalista con occhi attenti ed espressione arguta; poi si tese verso di lui e si rilassò subito dopo, come se avesse qualcosa da dire e decidesse, all’ultimo minuto, di tacere.

– S-se l-lo di-dite voi, ci cre…derò. – Desmoulins ridacchiò. – Lo l-leggerò imme…diata-tamen…te.

Robespierre sorrise. Fu allora che Bernard gli si accostò. – Vorrei parlarvi in privato... al più presto. – gli sussurrò. L’avvocato non sembrò sorpreso. Posò una mano sulla spalla di Bernard, prendendo l’iniziativa.

– Vieni, ragazzo, lasciamo Camille alla sua lettura…

Si fermarono presso una finestra dall’ampia vetrata, che dava sul cancello interno del Palazzo Reale. Il brusio del salotto era tale che le loro voci poterono scivolare nel riserbo, con naturalezza.

– Si tratta di Rosalie. La ragazza che vi ha portato le mie lettere, mentre ero convalescente.

L’avvocato sembrò sorpreso. – Sì… mi ricordo di lei.

Bernard spiegò per sommi capi di cosa si trattasse. Chi fosse coinvolto nella vicenda, senza lesinare nomi importanti. Quando ebbe finito, il volto di Robespierre era molto serio.

– E tu dici che quella donna avrebbe già predisposto un documento?

– Sì.

– La ragazza l’ha firmato?

Bernard scosse il capo. – No. Gliel'ho chiesto. A meno che non abbiano falsificato la sua firma, lei non ha mai firmato alcun documento.

Robespierre fece un sorriso freddo. – Molto bene. Mi informerò con chi di dovere se esiste qualcosa di simile a nome Polignac. Ti farò sapere quanto prima. 

– Grazie. – disse subito Bernard, sollevato. – C'è speranza che sia ritenuto nullo?

– È presto per dirlo. Ma tutto torna a nostro favore. – Robespierre annuì tra sé e sé. – Nello stato attuale delle cose, la Duchessa di Polignac ha perso molto credito a Corte. Si dice che la Regina non la onori più come un tempo. Certi pettegolezzi riferiscono di un suo amante svedese che l’avrebbe messa in guardia contro la sua antica… amica. Non è strano che la Polignac cerchi proprio adesso alleanze più solide con gli altri Duchi, secondi in potere soltanto alla Famiglia Reale… Anzi, è così prevedibile da far sorridere. Ma se davvero avesse fatto ricorso a mezzi illeciti per accaparrarsi nuove alleanze, c'è materiale per l'ennesimo scandalo ai suoi danni. E dopo l'Affare della Collana e le disgustose accuse che le pendono sul capo, immagino che quella donna sia più vulnerabile che mai...

Bernard non rispose. Si chiuse nei suoi pensieri, senza più ascoltare. Robespierre stette a osservare il giovane, studiandone il profilo. 

– A proposito. Hai incontrato Oscar François de Jarjayes.

– Sì. – disse Bernard, ritornando al presente.

– Che cosa te ne è sembrato?

– Tra i nobili, è una perla rara. – rivelò il giovane, franco.

– Questo è tutto da dimostrare. Mi sembra ieri il giorno in cui ci incontrammo ad Arras e parlammo della Regina Edonista… poco mancò mi schiaffeggiasse, quando l’ho definita così.

Bernard ascoltò l’aneddoto con stupore, ma scosse il capo. – Le persone possono cambiare.

– Io sostengo di no. Non si va mai oltre certi limiti. C’è chi nasce con una missione, chi con un’altra. La missione di Jarjayes è quella di proteggere la Famiglia Reale… la nostra è quella di salvare la Francia dal veleno della Famiglia Reale.

– … e se la nostra missione fosse semplicemente… quella di dare voce al Popolo?

L’avvocato soppesò l'espressione seria del giovane, poi annuì. – Hai ragione, Bernard. Dare voce al Popolo è uno dei modi con cui salveremo la Francia. Il tuo lavoro è indispensabile per questo. – Robespierre strinse le palpebre. – Dunque è vero? Non indosserai più quella maschera?

– È vero, Robespierre. – ammise Bernard.

Robespierre annuì compiaciuto. Guardò lontano, oltre la finestra.

– Mi sembra ieri il giorno in cui ti ho incontrato. Ascoltasti il mio discorso ai giovani studenti del Louis Le Grand senza dire una parola. Fosti il primo ad applaudire quando ebbi finito. Gli altri avevano paura di darmi ragione, avevano paura di ammettere a se stessi che volevano cambiare le cose una volta per tutte. Avevano paura di agire, perfino di ascoltare. Tu no. Tu eri pronto all’azione come all’ascolto. – lo sguardo di Robespierre indugiò sul volto di Bernard, seguì i suoi tratti e si concentrò sugli occhi. – Mi dicesti che volevi diventare un giornalista, denunciare ogni ingiustizia e sopruso perché fosse evidente che le cose dovevano cambiare…

– … fu allora che mi presentasti a Desmoulins.

– L’ho fatto. E non me ne sono affatto pentito. Da allora hai migliorato il tuo stile, hai imparato ad argomentare i tuoi discorsi. Hai perduto ogni dubbio, e sai parlare in pubblico come pochi. – Robespierre addolcì l’espressione, sempre guardando il giovane negli occhi. – Queste qualità sono preziose. Sono lieto che tu non voglia più buttarle al vento.

Buttarle al vento... Bernard per un attimo chinò il capo. Pensò lontano. Ricordò un episodio in particolare, che risaliva a uno dei primi furti come Cavaliere Nero.

Aveva appena lasciato cadere attraverso uno stretto lucernaio una collana di perle: si trattava di una misera casa posta sul livello della strada, ovvero una cantina umida che sapeva abitata da una povera famiglia del quartiere. Era notte, il vicolo era buio e poco frequentato: non si aspettava che lo sentissero. Ma qualcuno, scoprì, era sveglio in quella casa. Sentì un grido di gioia, il grido di una donna, – Dio ti benedica, chiunque tu sia!e di rimando un colpo di tosse raschiante, e la voce di un bambino. – Mamma, perché piangi?

Quel grido, la tosse del bambino, il pianto della donna, furono un marchio nel suo cuore. 
Bernard non aveva mai voluto per sé un riconoscimento, sapeva che quella missione (rubare ai ricchi per dare ai poveri) poteva riuscire soltanto nell’anonimato. Tuttavia aveva dovuto parlarne con Robespierre, e anche allora, nonostante il suo mentore avesse apprezzato la nobiltà del gesto, si era sentito dire che rischiava troppo, che presto o tardi l'avrebbero scoperto. 

Robespierre parlava sempre di agire, ma non aveva approvato quel genere di azione. L’aveva lasciato libero di scegliere e non l’aveva ostacolato in alcun modo, ma non l’aveva neppure aiutato, finché non si era trattato di pagare i fucili scontati che Oscar François de Jarjayes aveva offerto loro.

– A proposito… chi ha pagato per i fucili, Robespierre?

– … non saprei dirti chi sia. Ha donato la somma tramite un intermediario.

– Ho diritto di saperlo, Robespierre. Mi ha riscattato.

– Abbi fiducia, giovane Bernard. Un giorno sarà possibile parlarne senza temere di farsi perseguitare. L’uomo che ha pagato la somma è aristocratico, ti basti sapere questo. – concesse Robespierre. – E se la trama della nobiltà ha tarli così grossi, ciò significa che l’era del Popolo sta per arrivare. Se solo riuscissimo ad arrivare agli Stati Generali…

Bernard si trovò a ridere. Gli occhi gli brillarono di gioia. 

Gli Stati Generali! Possibile?

– È presto per gioire, amico mio. Ma qualcosa si sta muovendo. Lentamente, l’ottusità del Re e dei ministri si sta scontrando con l’inevitabile. La cerchia del Re ha licenziato il ministro Calonne per non dover pagare le tasse di propria tasca, hanno proposto che sia ancora il Popolo massacrato a pagare i buchi mostruosi nel bilancio statale. La corda troppo tirata si spezzerà… a meno che non siano convocati gli Stati Generali.

Robespierre guardava lontano, dalla finestra. Come molte volte, a Bernard egli pareva una sfinge, antica e nobile, che contemplava il futuro con saggezza; delle molte cose che Robespierre esprimeva a parole, il giovane sentiva che non una sarebbe sfuggita al destino. Ciò che il suo mentore prevedeva, si sarebbe avverato un giorno, era come una dolce certezza. E di rimando il suo cuore rispondeva, e la felicità di un Nuovo Mondo lo ubriacava come vino. Egli non vedeva l’ora di esserci già, in quel Nuovo Mondo, e così accadde anche in quel momento, si trovò rapito a contemplare lo stesso invisibile paesaggio sociale immaginato da Robespierre. Ma se altre volte aveva digrignato i denti pregando per la distruzione dei nobili, quel giorno sentì l’assenza di quel sentimento. Piuttosto, immaginò la povera gente prospera lungo le strade, intenta ai suoi lavori, e le madri con i loro figli mano nella mano, e i padri che scherzavano nelle osterie la sera, in una città illuminata dalla Giustizia. E tra tutti coloro che popolavano quel sogno un po’ infantile, che non osò rivelare a Robespierre, si accorse di immaginare una fanciulla che camminava leggiadra per strada, dei fiori in mano, gli abiti senza strappi e senza buchi, i capelli color miele gioiosi al vento. E immaginò, sognando a occhi aperti, un giovane che, con dei fogli sottobraccio, le veniva incontro (il giovane era tale e quale a lui, Bernard), e…

 

– Cha-chate-te-let! L-lo pubblichi-chiamo.

Desmoulins irruppe nel silenzio di Robespierre e Bernard, con toni solenni. Egli guardava il giovane con stupore, come se lo vedesse per la prima volta.

– Siete si… si… sicuro c-che sia vo-vostro? Se-sembra scr-ritto da un’altra pe… persona.

Bernard sorrise e ringraziò.

– Forse avete ragione, signore. Forse l'autore è davvero un'altra persona.

 

 

 

 

 

 

 

 

_________

Note.

- Buonasera! Il mio grazie immenso va sempre a Madame Anna e a Pamina71 per la consulenza tecnica sui miei soliti dubbi amletici in materia storica. Stavolta le ho stressate su questioni di diritto civile settecentesco @_@ Povere!

- Breve nota per chi, non avendo letto Rivoluzione, non sa come ho "usato" Desmoulins: Camille Desmoulins, personaggio storico che sarebbe alla base della caratterizzazione fittizia di Bernard, era amico e compagno di studi di Robespierre, anche se le circostanze storiche li portarono in seguito su fronti contrapposti. Scrisse diversi articoli e fondò dei giornali, tra cui "Le vieux Cordelier" nel 1793. Poiché l'anime vuole che Bernard lavori per lo stesso giornale qualche anno prima, nel 1788, mi sono accodata all'anacronismo "d'autore".

- E grazie a tutti voi come sempre di leggere e aspettare questa storielluzza, che è ormai a un passo dalla sua fine. Nelle mie previsioni mancano due capitoli, uno la prossima settimana e uno quella ancora dopo! Un abbraccio intanto a chi ha seguito con affetto fin qui!

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Capitolo 19
*** Vento di Primavera ***


Al suo ritorno al quartiere del Tempio, Bernard incrociò i Soldati del giorno prima. Se ne stavano a ridere, scanzonati, fuori dall’osteria che faceva angolo tra la via principale e i vicoli. Riconobbe Alain, di cui non ricordava il nome, e stette a contemplarlo un poco, così spavaldo come sembrava. L’altro, di punto in bianco, mostrò di averlo notato. Gli rivolse un’occhiata divertita, gli fece un cenno con la mano, perfino l’occhiolino.

Bernard non si fermò con loro, ma in cuor suo ringraziò che essi fossero così zelanti nella loro guardia, e al tempo stesso così scomposti da non sembrare affatto lì per un motivo preciso.

Giunto di fronte alla porta con la maniglia rossa, bussò.

Stranamente, non gli fu aperto. Subito si preoccupò, bussò ancora. Non ricevendo ascolto, si lanciò all’angolo, svoltando sul lato destro della casa, che scendeva poi in una piccola scalinata (quel punto del quartiere poggiava su un piccolo pendio); c’era una finestra che dava sul vicolo stretto, quella della stanza di Lucille. Bernard si avvicinò ad essa, studiando al tempo stesso la facilità con cui chiunque avrebbe potuto, volendo, introdursi all’interno tramite quell’esile ostacolo. Guardò dentro. La finestra aveva vetri opachi, attraverso i quali vide Madame Lucille e Rosalie intente a discutere tra loro. Non poteva sentire le parole, ma gli fu chiaro che il discorso fosse fitto e intimo, perché Madame Lucille sedeva davanti a Rosalie e le teneva una mano, come se la consolasse. Poi le disse qualcos’altro, Rosalie alzò gli occhi, il viso stupito, e Madame allargò le braccia e continuò a parlare animatamente: a Bernard arrivarono solo echi ovattati, parole storpiate dal filtro del vetro, irriconoscibili. A quel punto, Rosalie si portò una mano alle labbra, come in imbarazzo; e da ultimo, con un colpo d’occhio involontario, notò Bernard alla finestra e lanciò un grido che, se anche non fu possibile da percepire all’esterno, al giovane parve perfettamente chiaro. Madame Lucille si volse, allarmata, notò il giovane e si rilassò; venne ad aprirgli la finestra, ridendo.

– Monsieur Bernard. Volete metterci paura? – disse, affacciandosi.

Il giovane, piuttosto stranito, ammise: – Ho bussato alla porta, prima.

– Oh. Possibile che non vi abbiamo sentito? Vengo subito ad aprirvi.

Madame Lucille chiuse la finestra e si avviò verso l’atrio. Bernard percorse il perimetro esterno della casa, svoltando di nuovo l’angolo, e si trovò di fronte la donna, che gli sorrideva particolarmente gioviale.

– Ho fatto prima che ho potuto, Madame Lucille. Grazie di avermi aspettato.

– Non c’è di che, Monsieur Bernard. Prego…

Gli fece spazio per entrare; poi si rivolse a Rosalie, che era comparsa dietro di lei all’imboccatura del corridoio.

– Ora vado, cara. Ci vedremo stasera.

La donna raccolse la sua mantella e andò ad abbracciare Rosalie. La ragazza si fece stringere, ma lasciò lo sguardo su Bernard, incerto.

Lucille si separò da lei con un altro sorriso, passò davanti a Bernard e lo salutò calorosamente.

 

Uscita lei, Rosalie aspettò che Bernard chiudesse la porta.

– Quella finestra… forse sarebbe meglio chiuderla anche di giorno. – disse Bernard, togliendosi il mantello.

Rosalie non rispose nulla. Appeso il mantello Bernard le venne incontro, ed entrambi si diressero in cucina. Lì la ragazza iniziò a prendere uova e cibo da scaldare dalla credenza, pane dalla madia. Ravvivò il fuoco dei fornelli, tutto in un silenzio irreale. Bernard si chiese di cosa stessero parlando con Lucille, quando le aveva interrotte.

– Ho visto Robespierre. – rivelò il giovane, senza aspettare domande da parte di lei. – Mi ha promesso il suo appoggio. Presto avremo la risposta.

Rosalie annuì in silenzio, finalmente con un sorriso.

Di riflesso, anche l’espressione di Bernard si distese. Si avvicinò a lei, come ogni giorno, per guardarla cucinare o aiutarla. O anche solo per condividere gesti piccoli e insignificanti, nei quali ritrovare la pace di una sintonia, di una comunione. Era, questa, l’unica cosa che si concedeva a pieno titolo senza chiedere permessi.

Rosalie, al suo accostarsi, tenne il capo chino, il viso incerto. Si concentrò unicamente sui gesti meccanici della cucina, deglutendo di tanto in tanto.

– Ascolta, Rosalie. Se tu volessi trasferirti adesso… forse ho un’idea su dove… – mormorò Bernard.

Rosalie si fermò un istante, rifletté. – È meglio di no, per il momento.

– … perché?

– Non voglio lasciare Madame Lucille sola contro dei possibili assalitori. Ho beneficiato della sua ospitalità, e non dovrei avere scrupoli a lasciarla sola adesso, che potrebbe rischiare per me?

– … già, lo capisco.

– Se voi volete tornare a casa, Monsieur Bernard, vi prego, non pensate a…

– Una settimana. – troncò Bernard, serio. – Aspetteremo una settimana. Va bene?

Quel fragile ultimatum era un appello più a se stesso che al caso. Ricacciò indietro tutto quello che voleva dire, e osservò Rosalie annuire debolmente, come distratta.

 

In breve tempo le uova furono pronte, le verdure stufate e scaldate, il pane affettato. Si disposero a consumare il loro pranzo frugale, senza dirsi più nulla.

E pian piano quel silenzio tra loro diventava come la finestra era stata prima: una barriera, trasparente ma viva, attraverso la quale parole e contatti svanivano, resi nulla.

Bernard sentì addosso tutto il disagio di non sapere cosa dire, e scelse il silenzio a sua volta.

Rosalie si arroccò nei propri pensieri, e ad ogni istante che passava le pareva di non avere più voce. Non si rilassò, anzi, si tese come una corda di violino; ad ogni movimento di Bernard alzava il capo, credeva fosse l’inizio di un discorso, scopriva di no, dunque si ritraeva immota e delusa, come il gioco dell’onda che non riesce a raggiungere una conchiglia al limite della risacca.

Il silenzio, quando non è cosciente o causato dalla volontà, è lieve e caldo come un abbraccio. Un silenzio voluto, ferito o imbarazzato, preoccupato o troppo pieno di voci per poter esplodere in liberazione, è invece una tortura, più o meno discreta.

 

Ebbero il tempo di riordinare la cucina, mentre il silenzio imperversava. Compirono gesti ormai collaudati e noti, e con quelli comunicarono; sì che il silenzio, a un tratto, imparò a farsi significato, e anziché aspettarsi parole, ragionevoli o dissennate, entrambi sentirono meglio ciò che i loro corpi dicevano. Bernard si avvicinava a Rosalie, tendeva le mani; lei gli passava un piatto bagnato. Lui lo asciugava, lo posava nella credenza. La volta dopo, Rosalie non si limitava a porgere il piatto, ma aggiungeva uno sguardo, un sorriso; per caso, le loro mani si sfioravano; il tocco fu sfuggente e discreto all’inizio, cercato e trattenuto la volta successiva, e quella dopo ancora.

 

Poteva bastare, a Bernard? Dopo il fuoco che aveva sentito di fronte a lei, potevano quelle briciole bastare? Si stupì egli stesso: sì. Non nutriva speranza in qualcosa di più, anche se sentiva che, se solo avesse avuto modo, la passione per lei sarebbe dilagata. Si accorse di avere occhi per ogni particolare, di conoscere di lei dettagli minuti e deliziosi. Amava ancora il tocco gentile di quelle mani delicate, i riccioli morbidi dei suoi capelli. Solo guardarla in viso gli procurava benessere, con quelle guance rosa, la bocca piccola e soave, la cui dolcezza egli ricordava lucidamente, come se ne avesse ancora il sapore sulle labbra.

Non era cambiato nulla, in lui. Come mai poteva, allora, restare così sereno, felice già della fiducia che lei gli accordava, della sua palpabile gratitudine?

Forse lo sapeva; era il pensiero di lei tra le grinfie di Guise, su quel letto immondo, di quella forza che aveva minacciato di rapirla; di quell’uomo che aveva osato calpestare ciò cui Bernard si accostava con ammirata tenerezza. Poi ricordava gli abbracci della salvezza, tutti, in quella stanza e per quelle scale e in quel salone, e quella finestra, e nella lunga galoppata verso casa: erano stati quelli a dargli pace nel suo slancio. Gli abbracci l’avevano calmato e forgiato come neve sul metallo rovente.

Forse era già oltre, Bernard, dentro la fortezza del cuore di lei. Ed era tutto tanto caldo e calmo, laggiù, che non provava più il desiderio di possedere, di conquistare. Glielo diceva l’animo, e la pelle: Rosalie non lo respingeva, non lo distanziava. Era con lui. Erano vicini, insieme. Creature danzanti, come se fili invisibili li legassero: a ciò che uno faceva, l’altra rispondeva. Alle parole il silenzio, a uno sfiorare un altro, gentile. Questo, per lui, era già felicità, prato fiorito, deserto dimenticato.

 

E per Rosalie? Il contrario. Il cerchio si chiudeva, perché era lei, ormai, a non avere certezze quando si trattava di Bernard. Stare seduti vicini, quel pomeriggio, ciascuno dedito alle solite occupazioni (ricamo lei, scrittura lui), non sembrava più una dolce consuetudine, bensì un tormento sottile, imprevisto.

Non sei sicura che egli provi ancora gli stessi sentimenti? Le aveva chiesto Lucille, poco prima. Ma cara, quale uomo avrebbe affrontato tutti quei pericoli, se non ti amasse?

Forse sarebbe stato vero per qualunque altro uomo, pensava Rosalie, che diventa eroe solo per chi ama. Ma Bernard aveva un cuore molto più grande, lei lo sapeva, e non aveva mai avuto bisogno di innamorarsi di qualcuno per aiutarlo, scalando mura di castelli e introducendosi tra mille nemici, per fuggire poi come per magia, svanendo nel nulla. Perfino Madamigella Oscar aveva avuto difficoltà ad arrestarlo…

Ma converrai, Rosalie, che è assurdo. Come potrebbe Monsieur Bernard, per come lo conosciamo, dire un giorno che ti ama, due giorni dopo salvarti la vita, e ora non provare più nulla?

Rosalie sbirciò Bernard, seduto accanto a lei. Sembrava completamente assorto in quello che stava scrivendo, la penna scorreva sul foglio senza intoppi. La intingeva spesso nella china e mai, mai che guardasse in viso Rosalie. Vicini? Sempre, nonostante tutto. Ma nient’altro che avesse un colore più deciso, che somigliasse alla passione dichiarata da lui pochi giorni prima.

La domanda che devi farti non riguarda lui. Riguarda te. Cosa provi per lui?

Una domanda così semplice; la risposta non era semplice.

Rosalie tentò davvero di rispondere, elencò nella sua mente tutte le caratteristiche che facevano di Bernard una persona cara… cara a lei, in primo luogo. Poi riportò alla mente i ricordi, le chiacchierate, la dolcezza. Gli sguardi. Gli abbracci, tanti ormai. I baci. Due baci, così diversi tra loro. L’ultimo gliel’aveva dato lei, sulla guancia, naturalmente: era stato un caso che sfiorasse la bocca. Solo un caso. Mentre il primo…

Come ogni volta che ci ripensava, lo stomaco le si contorse. Era struggente pensare che a fianco dell’uomo coraggioso e affidabile esistesse un Bernard irruento e passionale, fatto di fuoco e di desideri, giovane, così giovane: non era di per sé qualcosa che lei temesse, no, non era colpa di Bernard se lei sfuggiva.

Era proprio lei, Rosalie, l’ostacolo. Lei percepiva, ormai, il bruciore dei suoi sensi che lo chiamavano, prima deboli e fiochi, silenti nei giorni dell’inizio, poi esplosi, per quel bacio e nella mancanza durante la prigionia. Il bisogno di lui era ormai più che spirituale. Era completo, fisico e spirituale. Era come sentire gli effetti di un farmaco a distanza di giorni.

E l’orrore del Duca, sfumato nel sollievo, nell’abbraccio successivo con Bernard... L’odore del giovane bevuto come acqua.

Aveva passato la notte immersa nell’odore di Bernard.

Lui, infatti, si era rifiutato di dormire ancora nel letto di Rosalie. “È tuo, devi riprenderlo. Dormirò io in cucina”. Dopo molte insistenze, c’era riuscito.

Non aveva cambiato le lenzuola, Rosalie.

Si era sdraiata tra le coperte con circospezione. Poi, non vista da nessuno, appena aveva posato la testa sul cuscino, era stata circondata da quel sentore diverso e ormai noto; aveva sprofondato bocca e naso sul guanciale, si era riempita di sensazioni. Il sonno e la veglia si erano uniti come in un sogno a occhi aperti. E se l’era immaginato lì con lei, Bernard, come non poteva ammettere a nessuno.

Per questo, appena lui era uscito al mattino, aveva cercato Lucille; per questo, al massimo della confusione, le aveva chiesto consiglio. Le aveva rivelato il nodo morale che sentiva: non poteva chiedergli di amarla, né sperare sempre nel suo aiuto.

Perché no?

Domanda semplice, risposta impossibile.

Mia cara ragazza, sii sincera con te stessa! Forse non ti è poi così indifferente, dico bene?

Rosalie si punse un dito. Fece una smorfia di dolore, osservò il sangue uscire dalla pelle come una piccolissima perla rossa. Cercò di nuovo lo sguardo di Bernard: nulla, lui scriveva ancora, cavalcando l’onda dell’ispirazione, apparentemente cieco a tutto il resto.

 

 

***

 

La settimana volò, senza che le cose sostanzialmente cambiassero. Il responso di Robespierre si faceva attendere, e questo rafforzava tra Bernard e Rosalie un clima sospeso, in cui la speranza dell’uno si infrangeva con la tensione dell’altra, come un nodo ben stretto. Ogni giorno di quella settimana, Bernard si recò al Palazzo Reale nel primo pomeriggio; e ogni giorno tornò, al tramonto, senza nessuna risposta concreta. Per fortuna non furono avvistati movimenti loschi nei dintorni, e la clausura forzata di Rosalie si rivelò inutile, almeno a prima vista.

 

Al Palazzo Reale, Bernard ritrovò i suoi amici. Augustin “BonBon” Robespierre fu il più caloroso, lo reintrodusse nella cricca con profusione di pacche sulle spalle e sorrisi; Didier Girard, aspirante notaio di Arras, fu forse più timido, ma non meno gentile; e poi ci fu Louis Saint-Just, al quale non occorrevano molte parole, mai.

Nel riconoscere il profilo di quest’ultimo, comodamente sprofondato su uno dei divani del salotto d’Orleans (era l’ottavo giorno dal salvataggio di Rosalie), Bernard gli si fece incontro.

– Hai l’aria di aver appena fatto qualcosa di grosso, cugino. – lo apostrofò, fingendosi serio e rammaricato.

Saint-Just aguzzò il sorriso come la lama di un rasoio, e gli dedicò un’occhiata di plateale stanchezza:

– Se non mi muovo io, ristagneremo nel feudalesimo, mio caro…

– Ah, sì? – lo canzonò Bernard. – E cosa avresti mai fatto di così grosso… a parte far pubblicare un’opera oscena che ammicca a De Sade?

– L’hai letta, dunque? – ridacchiò Saint-Just, e gli brillarono gli occhi tra le ciglia. Il tocco effeminato dei lineamenti e il timbro suadente della voce ne facevano un uomo di fascino ambiguo, ma quei particolari a Bernard non apparivano inquietanti, abituato com’era a tutte le mezze verità e le affilate dichiarazioni del parente.

– No. E non la leggerò. Preferisco dedicarmi a qualcosa di più edificante.

Saint-Just assottigliò lo sguardo, che si tinse di malizia.

– Ho saputo cosa hai deciso. Robespierre è tutto contento.

– E tu no, non è vero?

– … tu sei libero di fare come desideri. Io, dal mio canto, trovo che non sia saggio lasciare i nobili troppo tranquilli. Potrebbero pensare che stiamo dormendo… che non sappiamo esattamente dove vivono, e cosa fanno alle nostre spalle. Si cullerebbero che non possiamo raggiungerli… Il Cavaliere Nero era utile, per tutti loro. Ci mancherà molto.

– … anche se è sparito, non è morto.

– Sì, sì, ho letto il tuo articolo. Molto ispirato, te lo concedo. –  Saint-Just si frugò addosso, estrasse dal giustacuore un ritaglio di giornale. –  Non è più tempo di aspettare dall’alto un aiuto esterno. Questa idea appartiene ai bambini o ai religiosi. ‘Verrà un Padre che ci salverà, un Figlio che ci salverà’, implorano loro. No: siamo noi i padri e i figli di noi stessi. Noi, gente comune, siamo i veri artefici del nostro destino. Noi soli, come singoli e come popolo, possiamo salvare la Francia dal naufragio in cui la gettano ogni giorno questi folli che si credono ancora, nel XVIII secolo, unti dal Signore.”

Bernard sorrise, scuotendo il capo. Indicò la parte conclusiva della colonna a lui dedicata.

– Io preferisco l’ultimo pezzo.

Saint-Just lesse dove l’indice di Bernard toccava il foglio. – “Ci prenderemo tutti per mano. A testa alta, i nostri stracci come onoreficenze, marceremo incontro a una nuova vita. Siamo tutti Francesi, prima che essere uomini e donne, nobili e poveri, credenti e non credenti. Il Cavaliere Nero voleva questo: l’Uguaglianza. Ebbene, dimostriamogli che non è morto. Noi siamo suoi eredi. Gloriosamente, come lui voleva, noi saremo Uguali.” – Saint-Just fece una risatina. – Molto… idilliaco, questo tuo mondo futuro.

Bernard si strinse nelle spalle. – Non è il tuo stesso mondo futuro?

– Di sicuro i miei mezzi per raggiungerlo non potranno essere i tuoi, amico mio: tu parli di dividere i beni e ridistribuirli, seguendo l’esempio del Cavaliere Nero… io dico che chi ha troppo, per chi non ha niente, è un ladro. Un ladro di felicità… – la voce di Saint-Just stentò, si affievolì, si perse. E poi tornò, secca e dura come una coltellata. – Questo mi toglie ogni compassione. Ogni pietà.

– Un ladro di felicità… – Bernard rifletté su ciò che aveva visto nel Castello de Guise. Pensò a Madame Polignac, e a Rosalie che da giorni sedeva al tavolo da lavoro, senza fermarsi mai, il viso mesto come il canto di un uccellino in gabbia.

– Bernard! – intervenne Augustin Robespierre, affacciandosi alle loro spalle, le mani appoggiate sul bordo del sofà. – Mi spiace rovinare la vostra riunione familiare, ma Maximilien ti cerca. Lo trovi al Cafè.

– Vado immediatamente. A dopo. – Bernard si avviò all’uscita a passo svelto.

Saint-Just lo osservò andare via, senza una parola.

– La vacanza gli ha giovato. Lo vedo bene, il buon vecchio Bernard. – rise Augustin. – Dev’essere stata la ragazza che ha conosciuto.

– Già… – Saint-Just si fece svolazzare il foglio davanti agli occhi, osservandone i caratteri minuti. – … dev’essere stata lei.

 

 

***

 

– Era tutto vero.

Così esordì Robespierre, quando Bernard si sedette davanti a lui tra i tavoli del Café affollati per la sera. E Bernard ebbe un tuffo al cuore, temendo il peggio.

– Questo significa che il documento esiste… che quella donna ha ancora potere su Rosalie?

Robespierre sorrise debolmente, scuotendo il capo. – Il documento non è mai stato firmato, proprio come lei ti ha raccontato. La pratica burocratica è stata avviata già dall’anno scorso, ma non è stata mai portata a termine. Immagino che stavolta avrebbero fatto di tutto per farla firmare, volente o nolente.

– Dannazione. – sibilò Bernard, stringendo i pugni e appoggiando il viso contro di essi, sulle labbra.

– Cosa c’è, ragazzo?

– Se le cose stanno così, non la lascerà in pace.

– Io credo che lo farà. – replicò Robespierre, cupo.

Bernard sollevò lo sguardo, gli occhi sgranati. – … come fate a dirlo?

– Ho pensato che sarebbe bastato farle presente che, nel caso portasse a termine quello che ha intenzione di fare, ciò verrebbe reso immediatamente pubblico dai giornali. Con tutte le conseguenze che ciò avrà sulla sua immagine, già duramente compromessa dai passati scandali.

– Che cosa? Le avete detto questo? Come?

– Ho mandato uno dei nostri a questo scopo.

– Chi?

Robespierre chiuse gli occhi, li riaprì con espressione seria. – Saint-Just.

Bernard restò a bocca aperta. – Gli avete raccontato di Rosalie?

– No. Non ho fatto nomi, né gli ho rivelato che tu fossi coinvolto nella vicenda. Ma mi sono rivolto a lui perché andasse a… sì, inibire i piani della Duchessa. Sai che non apprezzo i colpi di mano; ma minacciarla di uno scandalo era l’unico modo per impedirle di andare a fondo. Tu eri troppo compromesso; e io ho bisogno di te, ora più che mai. Ho bisogno che tu sia con me, senza rischi.

– È per questo che avete chiesto di fare una cosa simile a Saint-Just… e non a me.

Robespierre annuì. – Negli ultimi tempi, quando ho disperato di vederti tornare, Saint-Just si è subito offerto di aiutarmi; prima a cercarti, poi a svolgere gli incarichi che avrei altrimenti affidato a te.

– Incarichi… ?

Robespierre guardò fisso davanti a sé: era rivolto a Bernard, ma ben presto sembrò estraniarsi dal presente, e parlò come sovrappensiero, lentamente.

– Nel caso di aperti soprusi di alcuni nobili… Saint-Just è andato di persona, insieme ad alcuni dei nostri… a protestare apertamente per convincere quei nobili a cambiare atteggiamento. Finora è sempre riuscito nel suo intento… – Robespierre si riebbe dai pensieri e tornò al presente. La sua espressione si fece lucida, molto seria. – Saint-Just ha un modo di fare molto… efficace, a quanto pare. I nobili che ha incontrato si sono ritirati dalle loro pretese sulla povera gente. E così sembra aver fatto anche la Duchessa di Polignac. Saint-Just è andato fino a Montmorency, per parlarle.

Bernard rifletté. – Sapeva dove trovarla, dunque. – disse, e la sua era una constatazione priva di malizia; gli vennero subito in mente le ore trascorse nel giardino della Villa dei Polignac, nascosto e attento a ogni voce, a ogni cosa si mostrasse alle finestre. Così aveva visto Rosalie affacciarsi al finestrone di una stanza del primo piano al mattino, che pareva un lume fioco e stanco; aveva visto le due cameriere che le facevano da carceriere trascinarla lontano dai vetri; aveva assistito con il cuore in gola al momento in cui l’avevano caricata dopo il tramonto, sorvegliandola attentamente, sulla carrozza che poi era partita per il Castello di Guise. Sarebbe intervenuto già in quel momento, se non l’avessero scoperto proprio allora, ed egli era stato costretto a perdere tempo con alcuni servitori e far perdere loro le sue tracce, mentre la carrozza che portava via la ragazza guadagnava tempo su di lui.

– Cosa ha detto la Duchessa, dunque? – aggiunse il giovane, dopo qualche istante.

– Saint-Just sostiene di averla convinta dopo pochi minuti. – Tuttavia, l’espressione di Robespierre tornò pensierosa. – I suoi compagni… non so. Sono stati evasivi, non mi hanno riferito nulla di preciso sul come e il quando.

– … sarebbe magnifico che la Duchessa si fosse convinta con così poco. Ma la tentazione di imparentarsi a quel mostro di Guise deve essere forte… temo più di un’intimidazione di Saint-Just. Quella donna in Francia è seconda solo alla Regina, questo l’ha resa superba oltre ogni dire. – mormorò, e ricordava bene, Bernard, come la donna si fosse accanita sulla figlia per non farla fuggire, e come, molti anni prima, avesse declinato la responsabilità della morte di Nicole Lamorlière. “Se avete delle lagnanze, venite a Versailles”… ridicolo, pensò Bernard, che una persona si credesse onnipotente.

– Quel mostro di Guise… – Robespierre osservò il giovane e scosse il capo, con un sorriso che pareva sollevato. – Già, tu non puoi saperlo, Bernard.

– Cosa?

– Il Duca de Guise è morto.

Bernard fu davvero colpito. Impiegò qualche istante a realizzare quel fatto. Quell’animale, quella bestia… morto? Dopo quello che aveva tentato di fare a Rosalie, alla sorella di Rosalie, a chissà quante altre fanciulle? Non è possibile umanamente negare che Bernard gioì in cuor suo. A suo onore, però, c’è il fatto che non mosse un muscolo. Il viso non rivelò il sollievo che provava; la soddisfazione non attraversò il suo sguardo.

– Come è accaduto. – chiese, con tono meccanico.

Robespierre valutò la genuina sorpresa di Bernard, e ne sorrise lievemente, come rincuorato. – Un incidente al Castello, pare, durante una festa in maschera. È caduto dal piano superiore. Ho chiesto a Saint-Just di indagare per saperne di più.

– Non posso crederci… allora…

– Penso che nessuno, d’ora in poi, darà fastidio a quella ragazza. – assicurò Robespierre, con lo stesso sorriso paterno di poco prima. – E se qualcuno dovesse tornare a farsi avanti… noi saremo pronti.

 

 

***

 

Come corse, Bernard! Non si curò di niente e di nessuno, urtò dei passanti, rischiò di farsi mettere sotto da una carrozza e si fece abbaiare contro da due randagi.

Raggiunse il quartiere del Tempio, si tuffò nei vicoli; bussò alla porta di Lucille una, due, tre volte, fortissimo.

Gli aprì Rosalie, e Bernard si volse a lei con gioia pura, l’avrebbe certo abbracciata subito; ma si trattenne appena la vide turbata, il viso soave rigato di lacrime, e la bocca tremante, come se fosse incerta tra risata e pianto.

– Cosa… cosa sta succedendo…

– Monsieur Bernard… non ci crederete… – disse lei, la voce resa sottile dalla commozione. – Jean è tornato! È tornato poco fa! Madame Lucille è di là con lui, e io… Santo Cielo. – ruppe in un pianto copioso e generoso, che lasciò Bernard di stucco. Sentiva le lacrime incessanti di Madame Lucille provenire dall’altra stanza, e la voce di un ragazzo, calda e commossa, che ripeteva – Mamma, non fare così… ci sono qui io, adesso. Avrò cura di te.

Bernard si mosse rapido. Prese immediatamente la mantella di Rosalie, appesa a lato dell’ingresso, e vi avvolse la fanciulla. Appoggiò le mani sulle sue spalle, mentre lei si riaveva, attonita per quel gesto, e lo guardava con occhi smarriti e dubbiosi.

– Lasciamoli soli. – sussurrò, e lei si guardò indietro, gli occhi sgranati.

– Ma, Monsieur Bernard…

– La settimana di reclusione è finita. C’è ancora il sole. Vuoi fare una passeggiata con me? – le disse con calore. Non sapeva nemmeno lui come gestire quell’euforia dorata; la notizia della felicità di Madame Lucille aveva sparso legna sul fuoco della sua speranza. Prese la mano di Rosalie e la strinse, e lei chinò il capo, aggiunse alla stretta anche l’altra mano. Se aveva dei dubbi, li fugò il sorriso sicuro di Bernard. La fanciulla prese un’espressione consapevole: c’erano risposte per lei. Si avviò con lui, chiudendo rispettosamente la porta dietro di sé.

 

Presero il sole del tramonto come uccelli notturni, ovvero come un’alba speciale, al contrario. Rosalie si animò presto al suono dei negozi che chiudevano, al via-vai di gente che camminava per le strade; iniziò a sorridere, cancellando le tracce di sale dalle guance rosee, e i suoi occhi blu si soffermarono su Bernard, pieni di domande.

Lui se ne accorse. Teneramente la guardò, sorrise. – Robespierre… credo abbia risolto il tuo caso. 

– Come… – esclamò subito lei, stringendogli più forte la mano.

Bernard raccontò mentre camminava al suo fianco. Disse poche cose, precise e nette, e Rosalie smise un poco di sorridere, si accigliò, sospirò e tremò; quando giunsero al Lungosenna, lasciò la mano di Bernard per affacciarsi sul fiume. Respirò a fondo. Giunse le mani e mosse le labbra, come in una preghiera fatta di parole di vento. 

Lui non attese. Le posò le mani sulle spalle, premette i palmi in una carezza presente e viva. Tacque finché la sentì china e fragile, con quelle spalle sottili, i capelli di lei che gli toccavano le mani e le scaldavano, mossi dal vento invernale.

– È finita. – le sussurrò.

– È davvero finita… ? – le sentì chiedere, con tono spezzato.

– Sei libera, Rosalie. Sei libera da tutto e da tutti.

– Dio mio. – ansimò lei, e si volse un poco indietro, guardandolo con gli occhi lucidi. – Quanto vorrei che fosse vero.

– È così. – ribadì Bernard. La guardò intensamente. – Sta a te volerlo.

Rosalie chiuse gli occhi, e sembrava che, nonostante il sollievo, non riuscisse a gioire. – Grazie per tutto quello che avete fatto per me. Ora siete libero anche voi.

Bernard strinse i denti, distolse lo sguardo.

– Vorrei mostrarti quel posto che ti dicevo. – mormorò, vago. – Se vuoi.

Rosalie annuì con un movimento leggero.

 

 

***

 

La casa in Saint Germain des Prés, dove Bernard condusse Rosalie, era una palazzina a due piani che si stendeva dal pianterreno a una piccola soffitta. Accanto vi erano altre palazzine simili, tutte addossate l’una all’altra come edifici di un presepe.

Bernard estrasse una chiave, aprì la porta e condusse Rosalie all’interno. C’era una piccola sala da pranzo, con un divano e una finestra che dava sul vicolo. Accanto, la porticina della cucina velata da una tenda. Poco oltre, piccole scale conducevano di sopra.

Rosalie si guardò intorno, un poco sorrise. C’erano libri, fogli ovunque, stipati sul tavolo principale senza lasciare spazio ad altro. Ce n’erano persino sul divano. La casa appariva polverosa alla luce crepuscolare, ma tutta quella carta scritta le conferiva una sorta di anima segreta, che rispecchiava perfettamente il suo padrone.

– Io vivo qui. O meglio, ci vivevo… prima di diventare il Cavaliere Nero.

– Lo immaginavo.

– Forse sarei dovuto passare prima a dare una ripulita. – disse lui deglutendo, senza poter nascondere un filo d’imbarazzo. Poi aprì le tende della finestra, lasciando entrare l’arancio dell’ultimo sole.

Prese un respiro, si volse a lei. La raggiunse in pochi passi, si fermò al suo cospetto. Rosalie giunse le mani sul petto, gli occhi vaghi che, dopo un piccolo peregrinare, trovarono di nuovo quelli del giovane.

– Sono giorni che ci penso. – mormorò lui, come rassegnato. – Se tu volessi venire ad abitare qui… se ti piace, ovviamente… io ne sarei felice. Avrei anche… da offrirti un lavoro.

Rosalie si mostrò stupita, ma poi rise, gettando un’occhiata alle pile di carte. – In effetti… una donna di servizio potrebbe esservi utile.

Bernard sgranò gli occhi, dubbioso se lei fosse seria o scherzasse.

– Rosalie. Non ti chiederò mai di diventare la mia domestica. – disse, piccato. Strinse i denti e sospirò. Fece un’espressione mesta. – Per il lavoro… intendevo al mio giornale. E per il resto…

Rosalie sentì lo stomaco contrarsi di nuovo. Nella voce di Bernard udì immediatamente il tocco incerto che aveva atteso, che aveva sperato. Era grave e profondo, quasi roco. Il cuore prese a batterle con rapida precisione, le labbra si schiusero, gli occhi brillarono nei raggi dubbiosi del tramonto.

Bernard prese un ultimo respiro. Poi chiese, con fermezza: – … vuoi sposarmi, Rosalie?

Rosalie chiuse gli occhi. Le tremò la voce, sì che non riuscì a rispondergli subito. Bernard si affrettò a dire: – Non occorre che tu mi dia una risposta adesso, aspetterò, e se non vuoi non te lo chiederò mai p…

– Sì. – disse lei con un filo di voce, controcanto a quel piccolo fiume di giustificazioni.

Bernard tacque di colpo. – Sì… ? – sussurrò.

– Sì, Monsieur Bernard. – ripeté Rosalie, e pian piano sorrise come un boccio di rosa, le labbra soavi intorno a parole rotonde.

Bernard non poté trattenersi. Le prese il viso tra le mani con delicatezza, le si accostò turbato e devoto, gli occhi quasi tristi per la sorpresa e la gioia, le labbra incredule. – Dunque tu mi… tu mi ami, Rosalie?

Rosalie deglutì, e si sentì come fuori di sé, la voce ridotta a un refolo d’emozione. – Come voi mi amate. Lo giuro.

Bernard accarezzò il viso di lei e vi accostò il proprio, ridendo come se dovesse piangere; e poi sospirando, per abbandonarsi a lei.

 

Quando lui posò le labbra sulle sue, Rosalie chiuse gli occhi. E mentre imparava il miele e il sale della passione, si accorse che non c’era più un passato da rimpiangere, né un futuro da temere. C’era solo la Primavera, infinita e radiosa, che le scorreva nel sangue con l’ardore di quei baci.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

____________

Note.

- Buongiorno e buon week-end! Piccolo anticipo di pubblicazione, causa impegni impossibili. Come promesso, siamo ormai arrivati al capolinea. Per ora non dico di più, ma ci ritroviamo la prossima settimana per l’Epilogo. Un abbraccio grandissimo a chi mi ha seguito fin qui!

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Capitolo 20
*** Epilogo (o Introduzione?) ***


Da quando la Senna è diventata così nera?

Dov’è Parigi, la città dei fiori?

Ciascuno combatte per un pezzo di pane.

Un tempo la gente cantava di fiori

e gli amanti sussurravano dolci sciocchezze.

Ora dove scorre la Senna?*

 

 

Gennaio sfarinava fiocchi di neve su Parigi gelata.

L’estate precedente era stata disastrosa per le campagne. Pioggia e grandine avevano continuato il loro lavoro impietoso anche in autunno; e ora, d’inverno, si diceva che l’acqua gelava nei bicchieri perfino nella Reggia del sovrano.

I Parigini, però, da qualche tempo non sembravano temere quel freddo crudele. Ogni giorno c’erano uomini che, agli angoli delle strade, si radunavano in gruppi e parlavano con ardore del tempo che sarebbe venuto.

Se ne discuteva ovunque, anche nelle baracche dei compagni del reggimento. Tra una partita a carte e un’altra, si vagheggiava sempre di un’imminente svolta nel futuro della Francia, in particolare della Capitale. Ovunque era un grande fermento, che spesso sfociava in episodi di aperta violenza, cruccio dei reggimenti impegnati nella sicurezza delle strade.

Le ronde erano sfiancanti, non mancavano mai i problemi, né le scaramucce con bande di sciacalli che svaligiavano i negozi. Ciò accadeva di giorno come di notte.

 

Appena due mesi prima, a novembre, André era quasi morto in uno di quei sommovimenti.

I ricordi della notte di Saint Antoine erano cupi e folli: se li trascinava dietro come una zavorra, e non cercava in alcun modo di dimenticarli. Gli servivano per restare lucido in ogni momento, pronto a qualunque pericolo: abbassare la guardia poteva significare la morte, per sé e per chi amava.

Da quell’episodio, tuttavia, non aveva più ricevuto l’ordine di partecipare a una ronda notturna che non contasse almeno una decina di persone, tra cui lo stesso Comandante. Questa assiduità rendeva il servizio più duro e stancante, ma in ogni caso più sicuro. Dieci cavalieri armati potevano ancora scoraggiare le folle inferocite che si aggiravano per Parigi, così nessuno dei camerati si era lamentato. A dirla tutta, non si lamentavano più di nulla. L’assenza di Alain gravava sull’umore di tutti come un ulteriore strascico di stanchezza, ma proprio quando sembrava che la vita militare fosse troppo dura, arrivava una licenza, una nuova recluta venuta da chissà dove a rinfoltire le file dei soldati, un ulteriore miglioramento delle condizioni della mensa che (ormai si sapeva) non era dovuto ai Generali superiori, ma al loro Comandante.

Ma anche così, con un ritmo accorto e sempre ben studiato di sforzo e di riposo, con la truppa pronta e ben addestrata, la situazione tendeva a peggiorare. I popolani erano sempre più aggressivi a causa dello stato di disperazione in cui versavano; presto, temeva André, non sarebbero bastati nemmeno venti uomini per una sola ronda.

Il clima, poi, era particolarmente effervescente in quell’inverno 1788. L’ipotesi che venissero imposte nuove tasse cacciava fuori una rabbia nuova, ma tra le possibili soluzioni previste per sanare il bilancio pubblico ve n’era una che tutti desideravano come fosse la salvezza.

Agli angoli delle strade i semplici raduni fiorivano ogni giorno in comizi veloci, che raccoglievano folle sempre più grandi e le dissipavano subito dopo: all’inizio si spegnevano all’avvicinarsi dei soldati, poi gli oratori diventarono più spavaldi e non cercarono più di andarsene di fronte alle divise.

I Soldati della Guardia della Compagnia B ricevettero dal Comandante l’ordine di non disperdere le piccole folle e i loro capi, se si trattava di discussioni pacifiche e prive di violenza. Solo nel caso di disordine palese che rischiasse di ferire qualcuno, o di attacchi alle carrozze dei nobili (che però, sempre più rare osavano le vie di Parigi), l’intervento era doveroso.

 

Non aveva mai potuto ascoltare nessuno di quei discorsi, André. Per questo motivo, appena ricevette una licenza di alcuni giorni (non richiesta, piuttosto donata), evitò di declinare come faceva di solito, e ne approfittò per cercare, tra le vie di Parigi, l’occasione giusta.

Non dovette aspettare molto. Ecco, nella zona del Louvre, in pieno giorno, sentì un applauso provenire da vicino. Si mosse rapido, e vide un piccolo affollamento stipato presso un angolo della strada. C’erano diversi cartelli, con gli slogan consueti: Vogliamo gli Stati Generali! Più potere al Terzo Stato!

Quelle parole vennero ripetute a voce alta da un uomo con un mantello scuro, che parlava da una posizione sopraelevata, come su una tribuna. André si fece spazio per poter sentire meglio: tutti sembravano assorti ed entusiasti, e la voce dell’uomo, chiara e vibrante, si faceva spazio anch’essa tra il fitto scrosciare degli assensi e degli applausi.

L’Ancien Régime sta per crollare! ** – La voce era estremamente familiare. Ma anche il piglio, i movimenti composti ma imperativi; e quell’ardore mai del tutto contenuto, che diventava pura passione accalorando la folla, sì che non sembrava più d’essere sotto la neve, al gelo, ma al primo giorno in cui la primavera rompe il ghiaccio…

– Ma quello è Bernard. – realizzò André in un sussurro.

Non ci saranno più differenze tra Primo, Secondo e Terzo Stato!

Uno scroscio di applausi travolse la scoperta di André. Bernard non si lasciò lusingare dai consensi: portò il suo discorso avanti, cavalcando quell’onda. Il giovane non appariva certo come un demagogo; piuttosto una guida naturale, che alle lodi dona il giusto peso e non si lascia abbattere dai dissensi. André non riusciva a scorgere tra tutte quelle persone avversari di qualche tipo, anzi, sembravano tutti lì per gioire dei discorsi di libertà; ma, presenti o meno che fossero eventuali detrattori silenti, Bernard continuava a parlare senza temere alcun ostacolo e dissenso, forte di ciò in cui credeva.

Un giorno non lontano, tutti noi potremo vivere nell’uguaglianza! Perché tutti gli uomini sono nati uguali! – lanciò il giornalista, e un tripudio generale consacrò quell’affermazione.

André chiuse gli occhi, quello vivo e quello morto, e per un attimo provò una sorta di ebbrezza. I gelidi tocchi di neve che gli sfiorarono la bocca si sciolsero sulle sue labbra calde. Gli altri lo coronarono come perle.  

 

Al termine del discorso, Bernard scese dalla tribuna e sembrò sparire in mezzo alla folla. André cercò di fendere la calca che subito si fece pressante intorno al giornalista, ma gli fu impossibile vincere la barriera di voci, corpi, applausi; si ritrovò respinto, e per almeno un quarto d’ora quel luogo si mutò in un grumo umano, denso di discorsi, strette di mano e presentazioni. Il Popolo fa amicizia… pensò, così dal nulla, e si trovò a sorridere nonostante disperasse, ormai, di ritrovare Bernard.

Si allontanò dalla calca con un poco di fatica, e stava per andare via del tutto, quando notò Bernard ai margini della folla, che insieme a un compagno portava un tavolo (doveva essere stata quella, la sua tribuna), sulla soglia di una bottega di falegname che si apriva sulla piazzetta, il cui proprietario lo attendeva con occhi sgranati ed entusiasti. Dopo calorosi saluti, ecco che Bernard iniziò ad allontanarsi a sua volta, seguito da due uomini. André circumnavigò la folla festante, che nel frattempo si preparava a fare una lunga processione per i Lungosenna, con cartelli e slogan; e corse dietro al giornalista.

Riuscì a raggiungerlo che era ormai sul Pont Neuf imbiancato di neve.

– Bernard! Fermati, Bernard!

Dei tre uomini, uno si fermò, si volse immediatamente.

– André. André, sei tu! – esclamò quello, passando in un lampo dalla sorpresa alla gioia.

André gli corse incontro, si fermò a pochi passi da lui.

– Ho appena ascoltato il tuo discorso. – rivelò con calore – È stato meraviglioso.

Bernard rise. – Grazie. – gli tremò anche un poco la voce: un’emozione genuina, molto più giovane della sua arringa alla folla, si fece strada nei toni. – Sai… sono molto contento di rivederti. – disse, e si illuminò a un pensiero improvviso. – Ehi… Perché non vieni a casa mia? È qui vicino. Voglio farti incontrare qualcuno…

 

Non appena misero piede in casa, Bernard prese il mantello di André. Andando ad appenderlo, si congedò un attimo per entrare in cucina. André udì un sommesso brusìo di parole sussurrate, poi Bernard tornò nella sala principale.

– Prego… accomodati. Sta arrivando anche il caffè… – e il giornalista diede un’occhiata alla tenda che copriva la porta della cucina.

Di lì a poco, quasi senza porre tempo in mezzo, si udì uno scalpiccio veloce; dalla tenda venne fuori una ragazza vestita d’arancio, i lunghi capelli biondi stretti in una morbida coda sulla nuca. Portava un vassoio, tazze e brocca, ma soprattutto aveva occhi vivaci e un sorriso a piena bocca. Gridò quasi, quando vide André ritto presso la finestra.

– André! André, tu qui? Benvenuto!

Quella voce sottile, fresca come un soffio di primavera, impietrì André e gli donò la seconda grande sorpresa della giornata.

– Rosalie?

Era proprio lei. Pareva quasi più alta, gli occhi grandi e il piglio leggiadro di sempre. Non appena si avvicinò a Bernard, questi appoggiò un braccio sulle sue spalle e sorrise a sua volta.

– Sono anni che non ci vediamo, vero, André? – fece la giovane, e André rise, stupito ancora e lieto, molto.

– No, sono secoli, secondo me… Ma perché non hai scritto, perché non ci ha fatto avere tue notizie? Non capisco… – una pausa – … ma… come mai vi conoscete? Perché mi hai portato qui, Bernard? – André li contemplò un istante nella luce chiara del giorno innevato, ridenti e caldi come fiori gemelli; d’un tratto, come un lampo, comprese. – Oh… ma certo! Siete marito e moglie, vero!

Bernard annuì con voce gentile. Cercò poi lo sguardo di Rosalie, e lo trovò. – Sì, ci siamo sposati dopo la mia parentesi come Cavaliere Nero. – Rosalie allora chinò il capo, con un sorriso riservato e dolce.

André provò un grande senso di pace, a quella notizia. Ricordò ogni cosa, e ogni cosa immerse nel vivo ritratto del presente. E come non aveva fatto a suo tempo, esternò una gioia genuina, che era tutta risata, come più gli si addiceva. – Ne sono davvero contento. Congratulazioni!

– Grazie. – sussurrò Rosalie, con dolcezza. Il viso della ragazza, però, prese un’espressione malinconica. – Ascolta… come sta Madamigella Oscar?

– Sta bene, Rosalie. – rispose André, di slancio. – Ma forse tu non sai che ha chiesto di lasciare la Guardia Reale. È Comandante dei Soldati della Guardia, adesso.

Al solo parlarne, e nominarla, la ragazza si commosse, gli occhi le si riempirono di lacrime.

André, che la conosceva bene, la canzonò con gentilezza e la rassicurò con decisione.

– No, non piangere, Rosalie. Ti garantisco che niente è cambiato da allora. Niente e nessuno…

In quel momento, il corteo popolare che era partito dalla stessa piazzetta del comizio passò vicino alla casa. Si udì gridare, a più riprese, come in un coro scoordinato:

– Gli Stati Generali! Vogliamo la convocazione degli Stati Generali! Più potere al Terzo Stato!

Quelle rivendicazioni distrassero André, che guardò fuori dalla finestra, pensieroso.

– Già. – sentì dire a Bernard. – Niente e nessuno… finora. Ma un cambiamento sta per arrivare.

Rosalie lasciò il fianco del marito. Si avvicinò ad André, posò il vassoio con tazze e caffè sul tavolo. L’arrivo della folla, e quel vociare appassionato, sembravano averle messo addosso una certa fretta.

– André, – gli disse, – ora purtroppo devo uscire, devo andare al lavoro. Ma tu fa’ come se fossi a casa tua, ti prego.

– Certo, Rosalie. Sei molto gentile. Grazie.

André osservò Rosalie muoversi leggera verso la porta, prendere il suo mantello, indossarlo; Bernard le si fece accanto, si salutarono con un bacio sulla guancia e uno sguardo caldo. Sulla porta, la ragazza rivolse un ultimo sorriso all’ospite.

– Per favore, André, porta i miei saluti a Madamigella Oscar!

– Sì. – rispose lui, serio. – Dobbiamo trovare il modo di rivederci tutti…

La ragazza rise e fece cenno di sì col capo. Poi chiuse la porta dietro di sé.

André si volse di nuovo a Bernard. Scoprì che il giovane lo stava fissando intensamente.

– Rosalie sta lavorando all’organizzazione di Robespierre insieme a me, adesso. – spiegò. – Ci è di grandissimo aiuto. È appena andata a preparare volantini e cartelloni per la prossima manifestazione.

André annuì, prendendo una tazza di caffè. – Voi due… sembrate molto felici.

Seguì un istante di silenzio. André chinò il capo ed evitò lo sguardo dell’altro che lo puntava con tutta la sua intensità, pieno di aspettative. – Ascolta, André. – disse Bernard. – Perché non ti unisci a noi? So che condividi le nostre stesse idee, tu…

– Lo sai, Bernard. – troncò André, di colpo rigido e reticente. – A dispetto delle mie idee, il mio compito è un altro. – e si voltò, quasi infastidito, come se si fosse accorto troppo tardi d’aver varcato un limite sbagliato. Guardò fuori dalla finestra.

– Non posso credere che tu sia contento così… – tentò ancora Bernard, con impazienza crescente. – … come un semplice servitore. Senza poter esprimere liberamente tutto ciò che desideri. – Erano parole pensate a lungo, trattenute a lungo. Per questo uscirono così dirette e sicure.

André intuì i ricordi non detti, il sostrato condiviso. Una chiacchierata in un fienile prossimo a un Castello degli Orrori e un Lago Oscuro che voleva risucchiare ogni cosa, vita amore speranze. Un salvataggio provvidenziale, e una fuga…

– Un caffè molto buono. – mormorò, senza curarsi di far apparire quelle parole per quello che erano: un brusco e voluto cambio di discorso, un ammonimento... e un sospiro. – È modesto, ma pieno d’amore…

Bernard non si contentò di quell’evasione. Incalzò André con viso serio. – Allora perché stavi ascoltando il mio discorso? Perché eri in mezzo a quella gente, oggi?

André, sempre dandogli le spalle, rispose con voce secca. – Oggi non ero di servizio. Avevo un po’ di tempo libero. Questo è tutto.

Bernard contemplò l’uomo che aveva di fronte, pur così di spalle, con un’aria di incredulità e di rimprovero. Forse avrebbe detto altro, se non fosse arrivato qualcuno a bussare, alla porta, con veemenza:

– Bernard! Bernard! È giunta notizia che il Re ha convocato gli Stati Generali!

Il giornalista quasi saltò per la gioia. – Davvero? Magnifico! – esultò e corse dai compagni, a chiedere spiegazioni maggiori.

André rimase alla finestra, il viso di colpo mutato in tristezza. Ascoltò spezzoni dei discorsi di quegli uomini di Robespierre come per caso, come se in fondo non gli importasse; eppure il suo orecchio era particolarmente attento a ogni dettaglio, e quando udì Bernard esclamare: – Dobbiamo correre da Robespierre! – si affrettò a voltarsi. Posò la tazza ormai vuota sul tavolo, e fece per andare anche lui alla porta, prima che lo facesse Bernard.

– Grazie dell’ospitalità, Bernard. Ringrazia ancora Rosalie per il caffè…

– André. – gli si affiancò il giornalista, e sembrava ormai del tutto sollevato, senza più ombre nel rivolgersi a lui. Gli parlò con calore. – Io non smetterò di aspettarti. So che un giorno combatteremo dalla stessa parte della barricata. – gli tese la mano, un invito, un saluto. – Non vedo l’ora che quel giorno arrivi.

André esitò un attimo sulla soglia, sotto gli sguardi silenti dei due compagni di Bernard, di Bernard stesso. Alla fine sciolse i dubbi in sorriso, salutò Bernard con affetto, pur senza accoglierne la mano. – Arrivederci… amico mio.

 

 

 

***

 

 

A mezzogiorno,André tornò a Palazzo Jarjayes. Pranzò con Nonna Marie, nella cucina di casa. Bevve e mangiò di gusto.

– Ti piace, caro? – gli chiese la Nonna, come faceva quand’era bambino.

André sorrise. – Sì. Mi mancava molto il tuo arrosto, Nonna.

La vecchietta contemplò il nipote con aria incerta, come se lo studiasse ben oltre la sua risposta.

– Tornerai in Caserma già stasera, vero?

– Sì. La licenza è finita. – disse.

– … posso chiederti un favore, vero?

– Certo, Nonna.

– Porteresti un poco di dolce a Oscar? Ha detto che stasera non tornerà a casa.

– … va bene, Nonna.

– Sono preoccupata per lei, André. – mormorò, ma lasciò intendere come, a un tempo, si preoccupasse per lui. – La vita militare, in quella sudicia caserma… e gli orari impossibili, e i soldati così grezzi… e l’aggressione che vi è toccata qualche mese fa, poi…

– Se fosse concesso, ti inviterei a vedere gli addestramenti ogni mattino. E la rivista, e tutte le ronde presiedute da Oscar. Ti passerebbe di certo la preoccupazione. – ammiccò André, con aria leggera e indulgente. Era una maschera, naturalmente; ma André era ben deciso a non far capire alla Nonna quanto fosse d’accordo con lei. Piuttosto aggiunse, con un tono d’orgoglio che, stavolta, non poté proprio cancellare: – Oscar sa quello che fa, credimi.

A quella risposta, la Nonna rassegnò ogni lamentela, ma André la udì borbottare tra sé e sé, subito dopo, quando si alzò per togliergli il piatto vuoto davanti e prendere proprio il dolce.

– No, per me niente dolce. Grazie, Nonna. – disse.

Aiutò la Nonna a sparecchiare, poi andò al piano di sopra a cambiarsi.

L’uomo che ridiscese nell’atrio non indossava più abiti borghesi e composti, ma una divisa blu: era il Soldato Grandier.

La Nonna gli venne incontro porgendogli una scatola. André l’abbracciò per un attimo, poi si congedò da lei con un sorriso vago e rilassato. Andò alle stalle a prendere il fido Jules***.

 

 

***

 

 

– André? Avanti.

La voce di Oscar lo raggiunse attraverso la porta. André entrò senza attendere oltre, abituato a farsi indovinare, ormai, dal semplice modo di bussare.

Si aspettava di trovarla alla scrivania, a firmare carte come al suo solito. Invece lei guardava fuori dalla finestra, verso il cortile della Caserma, i lunghi capelli biondi sfiorati dalla sola candela che illuminava il suo ufficio; capelli lunghi, ormai, come non erano mai stati, non più tagliati dal giorno in cui si era allontanata per sempre dalla Corte, per scarsa cura di sé o per mancanza di tempo.

La divisa blu spiccava contro quel biondo, mentre aggiungevano oro su oro le sue rifiniture e gli alamari, più la fascia chiara stretta alla vita sottile; la spada pendeva inerte lungo il fianco sinistro, nella sua guaina.

Oscar beveva del tè caldo, uno dei pochi lussi che aveva potuto portare con sé nelle baracche della Compagnia.

André posò la scatola sul ripiano della scrivania, accanto ad alcuni fogli. – Da parte della Nonna. – disse solamente.

Il Comandante sorseggiò il tè, senza voltarsi. Poi si udì il suono lieve della tazza che poggiava sul piattino.

– André… hai sentito degli Stati Generali?

– … sì. Oggi… sai, ho visto Bernard Chatelet.

Il silenzio di Oscar fu eloquente, per André. Aveva colto subito di chi si trattasse, anche se non lo vedeva da più di un anno; anche se non ne avevano parlato mai più dopo il rilascio.

– È in gran forma. – disse André, sorridendo e contemplando la schiena di Oscar dorata di riccioli. – È un grande trascinatore di folle. E poi… ho visto Rosalie.

Oscar si voltò verso di lui. André trattenne le parole, il tempo di incrociare il suo sguardo.

Quando ebbe la completa attenzione di lei, rivelò: – … ci crederesti? Bernard e Rosalie… sono marito e moglie.

Alla luce della candela, gli occhi di Oscar parvero accendersi come diamanti al sole.

– Marito e moglie… – ripeté, come se a farlo potesse imparare a crederci; ma tutto, nel suo viso, lasciava intendere perplessità.

– Mi sono sembrati molto felici. – aggiunse André, con tono di dolcezza. – Rosalie mi ha chiesto di portarti i suoi saluti.

– … la piccola Rosalie… – lo sguardo di Oscar vagò verso la scatola portata da André, posta accanto alla candela.– Era così fragile, così indifesa… – Oscar socchiuse gli occhi, celando la loro luce tra le ciglia. – … eppure piena di coraggio. Bernard… quel giovane irruento e indomabile… saprà avere cura di lei? – sussurrò, con un tono intimo e delicato che non poteva appartenere a un Comandante, né poteva essere ascoltato da un Soldato.

André annuì, la sua voce fu più alta di un sussurro, più sicura. – Sì. Ne sono assolutamente certo.

Oscar ricambiò il suo sguardo deciso. – Avrai ragione tu. – mormorò.

– Se è tutto, Comandante, io mi ritiro nelle camerate. – annunciò André, non senza un pizzico di quella tenera ironia che gli apparteneva sempre. Non era come Alain, lui, non rideva di cose estreme, né in modo estremo. Era caldo, piuttosto, anche quand’era triste. E a volte si scopriva a scherzare, suo malgrado, sui ruoli costituiti, sul fatto che non potesse più chiamarla, in pubblico, soltanto Oscar, ma dovesse attenersi all’etichetta militare.

Oscar stette a contemplarlo, seria e attenta. Si risolse solo dopo qualche istante a dire

– È tutto. Puoi andare.

André si mise sull’attenti, portandosi una mano alla fronte e battendo i tacchi.

– Comandante…

Si volse, cercò la maniglia della porta. 

– Ah, aspetta. Ancora una cosa. Hai ricevuto notizie di Alain?

André scosse il capo, con un sospiro profondo e addolorato. – No.

– Va bene. – disse Oscar, rassegnata. Poi abbozzò un sorriso. – Buonanotte, André.

André uscì lentamente, e da ultimo la guardò in un ultimo scorcio. – … buonanotte, Oscar.

 

Rimasta sola, il Comandante posò la tazza e il piattino sulla scrivania. Proprio lì, accanto alla scatola di Nonna Marie, c’era una lettera cui André non aveva badato. Recava il sigillo reale e la firma della Regina, ed era di quella mattina stessa.

“Oscar, amica mia, mio figlio Joseph chiede continuamente di voi. Vi prego, non appena vi sarà possibile, di raggiungerci a Meudon. Non sono in grado di negare a mio figlio alcun piacere, nello stato di salute in cui si trova. Egli desidera vedervi con tutto il cuore; così io.”

Non c’erano altre spiegazioni, né Sua Maestà Antonietta si dilungava sulle condizioni del Principe. Ma Oscar conosceva la calligrafia di Sua Maestà, i suoi svolazzi, la sua delicatezza. Niente che potesse essere messo a confronto con il tremito che aveva guidato quelle poche righe.

Il Comandante tornò alla finestra. L’aprì di slancio, offrendosi alla gelida aria esterna.

 

Il Principe Joseph, la Regina.

Gli Stati Generali, il Re.

Rosalie e Bernard.

La scomparsa di Alain dopo la morte di Diane.

André.

 

La candela fu rapita da un soffio di vento invernale, nella stanza si fece buio di colpo.

Oscar soffiò candida condensa nell’aria. A occhi chiusi ascoltò i rumori ovattati della Caserma a riposo. Dalle camerate le giunsero gli echi vivaci dei suoi uomini, che a quell’ora, anziché dormire, giocavano a carte o si perdevano in concitati discorsi politici. Non avevano timore di dire ciò che pensavano, ormai, perché sapevano che lei non li avrebbe mai puniti per averlo fatto.

Quella sera le parve di udire molte volte, e in molte tonalità, quasi fossero un canto, le parole

Libertà

e

Uguaglianza.

Una di quelle voci, avrebbe giurato, era di André.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_____________

* Canto dell’Eco di Parigi nell’introduzione all’episodio 33 dell’anime, secondo la versione giapponese.

** Le parole di Bernard alla folla e tutto il dialogo successivo sono un collage tra la versione originale giapponese della scena dell’episodio 33 e la traduzione italiana. Laddove la nostra versione mi pareva più bella e incisiva di quella originale, l’ho preferita, e viceversa. A volte ho ritoccato le battute, invece, per renderle più aderenti al mio racconto.

*** Il cavallo di André si chiama Alexandre (fa il paio con César, Cesare e Alessandro! XD), ma io, quando ne parlai in Rivoluzione, non lo sapevo ancora. Così inventai, per pura assonanza, che si chiamasse Jules. Jules&César, Giulio&Cesare… mwahahahahah!

 

Nata come regalo, questa storia finisce come un regalo. :D

E ora… *DLIN DLON* Capolinea! Qui si scende, signore e signori!

Purtroppo, aggiungerei, qui si scende. Anche se tante cose, come molte di voi hanno notato, sono preludio di quanto ho scritto e scriverò nell’altra mia long, anzi, longhissima (!) Rivoluzione.

È stato molto bello cimentarmi in questa storia, scegliendo una coppia di protagonisti di norma osteggiata e poco approfondita. Una piccola sfida con me stessa, per tanti motivi, che mi sento felice d’aver compiuto.

Dedico questo Epilogo, che spero vi sia piaciuto, a tutte le lettrici che mi sono state vicine dando fiducia non tanto alla coppia o al rating, ma all’idea di fondo e al mio scrivere, con tutti i suoi difetti e possibilità. Sono felice di questo affetto, non scontato e non dovuto, che spero di poter rendere almeno un po’ con questa storia e con le successive. Grazie con tutto il cuore!

 

vostra

VeronicaFranco

 

 

Vi lascio con due immagini sorprendenti della fan-artist Donau (*________*!!!) segnalatemi qualche giorno fa dalla pupa Orny81. Anche se si ispirano certamente al manga (in cui Bernard rapiva Rosalie invece di Oscar), sembrano molto in sintonia anche con questa storia, vero!! *O*

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