I feel my memories fade with time

di Drunk on Love
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Thailandia ***
Capitolo 3: *** Di rabbia e di dolore ***
Capitolo 4: *** Tregua ***
Capitolo 5: *** Tempesta perfetta ***
Capitolo 6: *** Panico ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***
Capitolo 8: *** Lettera a Matt ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 
Il declino iniziò quando ci rendemmo conto che la nostra favola era diventata una realtà, con tutte le sue conseguenze.
Sai Bri, spesso mi chiedo com’è stato possibile che tutti i nostri sogni e tutti i nostri incubi fossero diventati realtà. E la cosa che più mi spaventava, era che entrambi coincidevano.
 
Ricordo ancora il primo bacio. Io ero impacciato, insicuro, così mi lasciai guidare da te.
Dopotutto, eri tu quello tosto.
Mi lasciai guidare anche la prima volta che facemmo l’amore.
Mi sentivo protetto dal mondo intero, perché tu eri lì e mi stringevi.
Purtroppo, ricordo anche fin troppo bene la prima volta che Valary ci ha scoperti. Fu un brutto periodo, ricordi?
Forse in quel momento avremmo dovuto fermarci, dire basta, perché erano coinvolte altre persone oltre a noi due, persone che avevano e che avremmo continuato a far soffrire.
Ma, come si dice, la carne è debole.
Ora mi sento così debole senza di te.
 
Fa freddo qui, non è rimasto più nessuno.
Mi chiedo come te la stia passando, e spero che tu abbia trovato pace.
Brian, anche se fa male da morire, continuo a chiamare il tuo nome, continuo a sognarti, continuo a sperare di rivederti e a rimpiangere questa fine così amara.


Angolo autrice
Salve, sono tornata con una nuova storia.
Era più che altro una promessa ad un'amica ed un esperimento. Questo è solo il prologo.
Ho già un paio di capitoli pronti, devo solo rileggerli un po'.
Spero che la storia vi piaccia e che mi facciate sapere in ogni caso cosa ne pensate.

-Drunk on Love-

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Capitolo 2
*** Thailandia ***


Thailandia
 
“Go to Thailand, fall in love with a man.”
 
Matt si svegliò insolitamente presto, quella mattina.
Si strofinò gli occhi sbadigliando, poi guardò l’ora dall’orologio elettronico  appoggiato sul comodino di fianco a letto.
“Le cinque e mezza?!” si meravigliò.
Dopotutto, era andato a dormire solo un paio d’ore prima.
Ma ormai era sveglio e non riusciva a riprendere sonno, per cui decise di alzarsi.
Tirò su la tapparella della finestra e si affacciò.
Per un momento credette di essere in paraidso, poi si ricordò che era semplicemente in Thailandia.
Era in pausa dal tour, alloggiava con la sua band in un albergo lontano da occhi indiscreti, in mezzo alla natura.
Si godette l’aurora che pian piano iniziò a tingere di un arancione delicato quella fresca mattina primaverile.
Restò fermo appoggiato al davanzale per molto tempo, prima di accorgersi che qualcuno lo fissava.
Sentendosi osservato, si voltò per controllare nella sua stanza, ma non c’era davvero nessuno.
Subito sentì un “psst” provenire da fuori, e automaticamente girò la testa alla sua destra: affacciato alla finestra accanto alla sua, c’era Brian.
“Ehy, mi hai fatto spaventare” disse Matt a bassa voce, quasi per paura di farsi sentire.
Brian fece una delle sue risate a mezza voce, poi lo guardò con occhi che sorridevano.
Matt non aveva mai pensato che il suo chitarrista potesse apparire così bello illuminato dai raggi candidi dell’alba.
“Scusa” sussurrò Brian, distogliendolo dai suoi pensieri.
“Come mai sei sveglio?” gli chiese timidamente Matt, giusto per avere qualcosa di cui parlare, e quindi una scusa per continuare a guardarlo.
“Stavo per chiederti la stessa cosa” rispose Brian, piegando leggermente la testa di lato.
Matt scrollò le spalle.
“Mi sono svegliato,” disse solo, “e tu?”
Brian sospirò e spostò lo sguardo sulla natura davanti a lui, poi lo riportò su Matt.
“Io non ho proprio dormito.”
Rimasero a chiacchierare per circa un paio d’ore, finchè Brian non si stufò del fatto di parlare dalla finestra.
“Perché non vieni qui?” chiese quindi a Matt, ottenendo come un risposta un “” fin troppo immediato che lo fece sorridere, mentre le guance del cantante si tinteggiarono leggermente di rosso.
Poco dopo si trovarono quindi seduti per terra nella stanza di Brian, a fissarsi senza sapere cosa dire.
Matt non lo sapeva, ma anche Brian provava quacosa. Amore, certo, ma non era semplicemente quello.
La connessione che Brian sentiva di avere con Matt non l’aveva mai provata prima. Ogni fibra del suo corpo gli diceva, gli urlava che Matt era l’unico. Era lui.
Per cui, per entrambi fu quasi naturale quello che successe dopo, come se sapessero esattamente cosa fare.
Erano rimasti per qualche minuto in silenzio, poi Brian allungò una mano verso il volto di Matt.
Gli accarezzò dolcemente le labbra con le sue dita affusolate, poi ci appoggiò le proprie per qualche secondo, prima di staccarsi e guardarlo sorridendo.
Era stato un bacio casto, senza pretese.
Matt fu sorpreso da quel gesto, ma subito sorrise di rimando.
Era proprio come nelle favole, dove l’amore è puro, innocente. In quel momento, Brian e Matt si sentivano in pace.
 
La giornata passò piuttosto in fretta.
Jimmy e Zacky torturarono Johnny per l’intero pomreiggio, fin quando quest’ultimo non si rifugiò dietro quell’armadio che era Matt, il quale pose fine alle sue sofferenze.
Brian passò gran parte della giornata a strimpellare qualche nota sulla sua acustica, cercando un nuovo ritmo.
Matt si era fermato ogni tanto ad ascoltarlo, come se il ritmo cercato da Brian fosse quello del suo cuore.
Quella sera la trascorsero, come al solito, nel bar dell’albergo. Ma mentre Zacky, Jimmy e Johnny si ubriacarono quasi subito, Matt e Brian vollero volutamente restare lucidi, e si limitarono a bere pochi bicchieri di birra.
 
La notte era limpida, ma Brian e Matt erano troppo impegnati a scoprire l’uno il corpo dell’altro, per badare alle stelle.
Dopo il bacio innocente che si erano scambiati quella mattina, i sospiri e i gemiti che riempivano il silenzio di quella notte erano decisamente meno casti.
Il risveglio fu però la parte più bella: erano ancora abbracciati, quando Matt socchiuse gli occhi.
Brian sembrava così tranquillo, il respiro regolare.
Matt osservò la fragilità di quel momento e ne assaporò la delicatezza, aspettando il risveglio di Brian.
Si sentiva stranamente tranquillo, come se nulla potesse rompere l’incantesimo di quell’istante.
Doveva essere quel posto. Forse tutta quella pace là fuori lo aveva contagiato interiormente.
Sentiva di avere il cuore leggero, e che la consapevolezza di Brian stretto ancora a sé gli desse la forza di respirare.
Matt respirava. Respirava grazie a Brian.
 

Nota: la frase all'inizo è una citazione di Jared Leto.

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Capitolo 3
*** Di rabbia e di dolore ***


Di rabbia e di dolore
 
“Ain’t been sober since maybe October
Of the last year.”
 
La desolazione che regnava in quella casa era raggelante.
Lui se n’era andato.
I pochi mobili rimasti erano coperti da un telone bianco. Per terra, esattamente al centro di quella che un tempo era la camera da letto, c’era un libro aperto, le pagine che svolazzavano guidate dal vento che entrava dalla finestra.
E non un libro a caso.
L’aveva regalato a Matt il giorno del suo ventinovesimo compleanno. E ora era lì, semidistrutto al suolo.
Arrivò al centro della stanza e raccolse il ibro, chiedendosi se Matt stesse meglio ora.
Alla fine, Valary li aveva scoperti. Non la prese troppo bene, ovviamente.
Dopotutto, trovare tuo marito e il suo migliore amico a letto insieme –e in piena azione- non dev’essere facile da digerire.
Aveva dato un ultimatum a Matt: o avrebbe lasciato Brian, o lei se ne sarebbe andata con i bambini.
La scelta di Matt era parsa ovvia, eppure sì che a Brian faceva male.
Ora era lì, nella casa in cui Matt abitava con la sua famiglia fino a pochi mesi prima. Teneva stretto il libro fragile fra le mani tremanti.
Brian era ubriaco. Lo era da quella sera di esattamente cinque mesi prima, la sera in cui Matt gli disse che doveva restare con la sua famiglia, per il bene di tutti. Di tutti, tranne che quello di Brian.
Era passato molto tempo, ma la ferita era ancora aperta e sanguinava copiosamente.
Preso da uno scatto d’ira, Brian scaraventò il libro fuori dalla finestra, finendo di romperlo.
Forse l’unica cosa che gli impediva di piangere era l’alcool.
Decise che l’unico modo per liberarsi di tutta quell’amarezza era vomitare.
Si trascinò nel vecchio bagno di Matt e si infilò due dita in gola, aspettando che l’anima gli uscisse dalla bocca.
 
Erano cinque mesi che Matt non riusciva a sorridere. Vedeva Brian raramente, e solo nello studio di registrazione.
Voleva parlargli, chiedergli scusa, anche solo guardarlo negli occhi un’altra volta ancora.
Ma Brian registrava sempre da solo e se ne andava appena finiva il proprio lavoro. Inoltre era sempre ubriaco e,  certe volte, aggressivo.
Quella mattina, Matt arrivò presto allo studio, nella speranza di riuscire a trovare il chitarrista.
E così fu. Era proprio in una delle sale, con la chitarra appoggiata sulle ginocchia, intento a provare un assolo.
Aspettò in silenzio che terminasse, mentre le note che uscivano dallo strumento gli facevano venire la pelle d’oca.
Brian uscì dalla sala poco dopo e si trovò di fronte a Matt, la causa di tutto quel dolore.
“Bri..” sussurrò quest’ultimo, ma non fece in tempo a pronunciare altro.
Brian gli sferrò un forte pugno sullo zigomo sinistro che lo stese. Poi iniziò a piangere.
Versò tutte le lacrime che in quei cinque mesi aveva represso con l’alcool.
Matt cacciò un urlo di dolore appena si portò la mano sulla guancia per tastarla. Poi guardò Brian con occhi lucidi. Non dissero nulla.
Il chitarrista sembrava in preda ad un attacco di panico: il suo volto era completamente bagnato e faticava a respirare. Era come se stesse affogando nelle sue stesse lacrime.
Matt si alzò in fretta, incurante di qualche rivolo di sangue che gli scivolava caldo e denso sulla guancia, e strinse forte Brian.
Dopo cinque mesi di lontananza, quell’abbraccio sembrava fuori luogo. Eppure entrambi ne avevano un vitale bisogno.
Brian non riusciva a calmarsi né a controllare il proprio respiro.
“Aiuto! Aiuto!” urlò Matt, non sapendo cosa fare.
Le ginocchia di Brian cedettero, costringendo il cantante ad accasciarsi al suolo con lui.
In quel momento arrivò Jimmy che, vedendo la scena, si fiondò veloce verso i due, sciogliendo il loro abbraccio e stringendo Brian a sé.
“Presto, trova un sacchetto di carta!” esclamò, cercando di stringere il chitarrista il più possibile, in modo da rilassargli i nervi.
Matt rimase per qualche endo immobile, paralizzato dal paura, finché Jim non lo fulminò con  lo sguardo, intimandogli di fare in fretta.
 
Brian  si calmò solo un quarto d’ora dopo, stretto ancora fra le braccia protettive del suo migliore amico.
Matt non gli si era più avvicinato, ma era rimasto ad osservarlo tutto il tempo.
“Dovresti farti medicare” sussurrò Jimmy per rompere il silenzio, accennando alla ferita alla guancia di Matt, che continuava a sanguinare.
Matt non voleva andarsene e lasciare Brian in quello stato. Non di nuovo.
Jimmy sembrò leggergli nel pensiero.
“Vai, resto io con lui. Non rimane solo” disse.
Brian era in uno stato di dormiveglia, quindi non riusciva a distinguere la realtà dai sogni. Aveva lo sguardo addolorato e boccheggiava per respirare regolarmente. Matt si sentì colpevole come mai prima d’allora.
“Digli che mi dispiace” mormorò, prima di lasciare lo studio.
Fuori c’erano Zacky e Johnny, ancora all’oscuro di tutto, che facevano colazione con delle ciambelle.
Appena videro il cantante assunsero un’espressione preoccupata.
“Che ti è successo?” gli chiesero in coro avvicinandosi a lui.
“Niente, sto bene. Chi di voi ha la macchina?” domandò in fretta Matt.
“Io” rispose prontamente Zacky.
“Allora accompagnami in ospedale.”


Nota: la citazione a inizio capitolo è presa dalla canzone "Breathe 2 A.M"

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Capitolo 4
*** Tregua ***


Tregua
 
“We're not broken just bent
And we can learn to love again.”
 

Erano passate tre settimane da quell’episodio nella sala di registrazione.
Brian aveva cercato di evitare Matt il più possibile, ma era evidente che gli mancava molto. Dopotutto la loro storia era durata quasi un anno.
Ed era proprio a questo che pensava Brian, mentre si fumava una sigaretta nel salone di casa propria, quando Jimmy lo chiamò al cellulare.
“Ehy, tutto bene?” chiese il batterista con la solita voce amichevole.
Brian rispose con un mugugno per dire che no, non stava bene.
“Senti Bri, mi ha appena chiamato il manager: dice che dobbiamo partire per girare un promo in Asia” disse quindi Jimmy, sbrigativo.
“Quando?” chiese Brian, la voce che sembrava provenisse dall’oltretomba.
“Domani. Fai le valige” detto questo, il batterista riattaccò.
“Fai le valige,” ripetè Brian a sé stesso, “Come se dovessi portarmi chissà che.”
In effetti, il suo bagaglio consisteva in qualche maglietta e due paia di jeans.
Si alzò di malavoglia dal divano e si diresse verso la sua camera da letto. D’improvviso la casa gli sembrava troppo grande. In fondo lui era solo, non aveva bisogno di una casa a due piani. Probabilmente l’avrebbe venduta.
Mentre tirava fuori una valigia dall’armadio ripensò alla destinazione della band: Asia.
 
Doveva essere uno scherzo di pessimo gusto giocato dal destino. Ultimamente il fato se la prendeva troppo spesso con il povero Brian.
Quando Jimmy gli consegnò il biglietto aereo, lui rimase a bocca aperta leggendo la loro meta: Thailandia.
Si chiese se non ci fosse Matt dietro tutto questo.
Proprio Matt arrivò in quel momento, seguito da Zacky e Johnny. Sembrava a disagio, e teneva stretto fra le mani il suo biglietto. Questo un po’ tranquillizzò Brian; l’espressione sulla faccia del cantante gli confermava che lui non c’entrava assolutamente niente.
In realtà Matt era preoccupato.
Era da tanto che voleva parlare con Brian, dirgli che amava lui, che aveva dovuto lasciarlo per restare con i propri figli. Ma più guardava l’espressione ferita di Brian, più si innamorava e più il coraggio gli veniva meno.
Forse quel soggiorno in Thailandia era quello di cui aveva bisogno. Ora aveva l’occasione di chiarirsi con Brian, e non se la sarebbe fatta sfuggire per nulla al mondo.
 
Arrivarono in Thailandia con tre ore di ritardo, quindi erano tutti sfiniti. L’albergo non distava molto dall’aeroporto.
Appena lo raggiunsero, Matt si diresse in fretta verso la sua camera. Appoggiò la valigia per terra e aprì la finestra.
Non ci aveva fatto caso, ma aveva lasciato la porta aperta.
Brian passava di lì per raggiungere la propria stanza, ma si fermò sull’uscio di quella di Matt e lo osservò in silenzio. Le sue grandi spalle era quasi tutto ciò che riusciva a vedere.
“L’altro albergo era più bello” disse dopo un po’, facendo sobbalzare Matt, che si girò non appena sentì la voce del chitarrista.
Non sapeva cosa dire; aveva paura che se avesse detto la cosa sbagliata, Brian se ne sarebbe andato.
Se l’avesse fatto, non ci sarebbero state altre occasioni di aggiustare le cose.
“Decisamente” disse infine, quasi sussurrando.
Matt non riusciva a decifrare lo sguardo di Brian: sembrava che si constringesse con tutte le sue forze a restare fermo lì, a non scappare, o a non prendere di nuovo a pugni il cantante.
“Perché non entri?” chiese incerto Matt, supplicandolo con lo sguardo.
Brian sembrò esitare, sospirò un paio di volte, ma poi si convinse e varcò l’uscio, chiudendosi la porta alle spalle. Guardava a terra.
Matt restò qualche minuto in silenzio, soppesando le parole, cercando quelle giuste da usare.
“Scusami” disse infine, convenendo che quella fosse l’unica parola adeguata.
“Scusami” ripetè Brian, continuando a fissarsi le scarpe. Matt non capiva.
Lo guardò interrogavito.
“Per il pugno” spiegò il chitarrista, provando ad abbozzare un mezzo sorriso, anche se gli risultò estremamente difficile. Lo sguardo di Matt si addolcì.
“Me lo meritavo” disse.
“Sì, te lo meritavi” affermò Brian, alzando finalmente lo sguardo sul cantante.
“Era da tanto che volevo parlarti” iniziò questi, ancora con la paura che Brian potesse andare via da un momento all’altro.
“Lo so.”
“Sai che amo te.”
“Lo so.”
Matt strinse i pugni. Preferiva il Brian che lo prese a pugni, piuttosto che questo pupazzo di carne che si trovava di fronte.
“Amo anche i miei figli, però” provò a provocarlo. Brian restò impassibile.
“Lo so.”
“La smetti con questo lo so ? Non hai niente da dire?” scoppiò Matt, afferrando il chitarrista per il colletto della camicia che portava e sollevandolo di poco da terra.
A Brian faceva male quella vicinanza. Il contatto con l’uomo che amava lo faceva soffrire, perché non aveva scelto lui.
“Non sai quante cose ho da dire” rispose.
“E allora dille, dannazione!” esclamò il cantante, scuotendolo.
Gli occhi di Brian si fecero lucidi. Provava a parlare, ma non ci riusciva. Voleva sputargli in faccia tutto il dolore che gli aveva fatto provare, ma le parole gli morivano in gola prima ancora di uscirne.
Matt sentiva che le cose non potevano continuare così, doveva fare qualcosa.
D’istinto, lasciò il colletto di Brian lentamente e portò le mani vicino al suo viso, accarezzandolo dolcemente. E poi lo baciò.
Troppe volte le loro labbra si erano cercate senza però trovarsi, da troppo tempo i loro corpi bramavano quello dell’altro.
Troppe parole non dette, troppi sguardi non rivelati.
Tutte queste emozioni scoppiarono in un istante e si liberarono con quel bacio tanto a lungo desiderato da entrambi.
Fecero l’amore come non l’avevano mai fatto prima.
Era comse si stessero riscoprendo nuovamente. La lontananza gli aveva insinuato una brama aggressiva dentro, sotto la pelle, nelle ossa.
In quei minuti si sentirono padroni del mondo e allo stesso tempo schiavi di sé stessi e delle loro debolezze.
Ma erano insieme, e questa era l’unica cosa che gli importava.
Sentivano che le cose sarebbero andate bene, stavolta.
Forse era davvero la Thailandia a fargli quell’effetto.


Nota: la frase all'inizio è presa dalla canzone "Just give me a reason".

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Capitolo 5
*** Tempesta perfetta ***


Tempesta perfetta
 
“Saw the tears run down your face,
Guess we saw the signs too late,
Now the wind is gone, you're drifting all alone.”
 
Matt e Brian si erano ritrovati da qualche settimana ormai, ed era ora che il cantante parlasse con la madre dei suoi figli.
Incontrò Valary in un bar nel centro della calda Hollywood. Pensò che in un luogo pubblico, lei non avrebbe potuto ucciderlo.
“Ciao Val” la salutò, facendola accomodare ad un tavolino dentro il locale.
“Ciao. Sembravi nervoso al telefono, è successo qualcosa?” chiese subito lei, aggrottando le sopracciglia in un’epressione quasi preoccupata.
Matt scosse la testa.
“No, non è successo niente,” disse, “ma dovevo parlarti.”
Dallo sguardo di lui, Valary capì tutto. Non le ci volle molto; una moglie lo sa sempre.
Il mondo sembrò crollarle addosso per la seconda volta. In fondo sapeva che quel giorno sarebbe arrivato: non poteva continuare a costringere l’uomo che amava a restarle accanto, quando lui –era evidente- non ricambiava i suoi sentimenti.
La donna sospirò, poi chiuse gli occhi, aspettando le parole di Matt come una pugnalata dritta al petto.
“So che lo sai” cominciò quindi lui, cercando i suoi occhi.
Valary deglutì, poi lo guardò.
“Lo so” disse, con la voce rotta, sforzandosi di trattenere le lacrime.
“Ti chiedo scusa. Ero convinto di amare te, ma poi..” Matt si bloccò un momento, non riuscendo a trovare le parole giuste, “..poi ho visto Brian all’alba in Thailandia” concluse.
Valary però aveva smesso di ascoltarlo. Era come se tutti i suoni le arrivassero lontani e ovattati.
Tirò su col naso, poi si alzò.
“Fai quello che vuoi. Va’ da lui, sii felice. Non te lo impedirò, stavolta” disse tutto in fretta, per paura che se si fosse fermata sarebbe scoppiata a piangere.
Non lasciò neanche il tempo a Matt di risponderle qualcosa, che se ne andò veloce dal bar.
Matt era dispiaciuto per lei, dopotutto avevano passato una vita insieme e avevano due figli.
D’altro canto si sentiva più leggero, ed ora era finalmente libero di passare l’eternità con la sua vera metà.
Ora niente sarebbe andato storto.
 
Brian si stava dirigendo a Santa Monica Boulevard, West Hollywood, dove aveva appuntamento con Matt al St. Joey’s Cafè.
Era a piedi, aveva voglia di fare una passeggiata. Dopotutto era presto, non aveva alcuna fretta.
Camminava con la sguardo perso nel vuoto, pensando a quanto la sua vita fosse cambiata in quelle poche settimane.
Aveva smesso di bere, con l’aiuto di Matt, ed era dimagrito di molto, essendosi sgonfiato dall’alcool.
Era anche uscito da quella sorta di depressione e non aveva avuto più episodi di iperventilazione.
Tutto sommato era felice. Certo, cinque mesi  di sofferenza non passano in un batter d’occhio, ma lui e Matt stavano lavorando sul loro rapporto.
Avevano deciso che il prossimo passo sarebbe stato dirlo a Valary, e Matt lo aveva fatto.
Cosa poteva andare storto, ora?
Finalmente Brian Haner Jr. poteva dire di essere sereno. Il fato sembrava aver smesso di prendersela con lui.
Lo pensava davvero, peccato che non ci è dato conoscere i veri piani del destino.
 
Matt aspettava al Joey’s da circa mezz’ora.
Strano, si disse, di solito Brian non è mai così in ritardo. Non quando aveva appuntamento con lui.
Fissò lo schermo del suo cellulare, indeciso se chiamare il chitarrista o aspettare ancora un po’.
Non ce la faceva più ad aspettare, quindi lo chiamò.
Ricompose il numero diverse volte, ma Brian continuava a non rispondere.
Matt iniziò a preoccuparsi, quindi chiamò Jimmy: se neanche lui sapeva dove fosse Brian, allora c’era da allarmarsi.
“Pronto?”
“Jimmy, sono Matt.”
“Ehy, come va? Valary non ti ha staccato la testa a morsi?” fece il batterista, ridacchiando.
“No, no.. senti Jim, per caso Brian è lì con te?”
“No, perché?”
Ecco, le parole che Matt sperava con tutto il cuore di non sentire.
“L’ho chiamato non so quante volte, non risponde. Lo sto aspettando da tre quarti d’ora ormai” disse di getto.
“Sta’ calmo, vedrai che fra poco ti raggiunge. Starà bloccato nel traffico, tutto qui” cercò di tranquillizzarlo Jimmy.
Matt guardò in direzione della strada: a quell’ora non c’era traffico.
“Lo aspetto un altro po’, ma se non lo vedo arrivare che faccio?” chiese al batterista, agitato.
“Se non lo vedi arrivare chiamami, che lo cerchiamo insieme, okay?”
“Va bene. Grazie, Jim” disse Matt, prima di riattaccare.
Ora erano in due ad essere preoccupati.
 
Buffo come la vita ci metta sempre e comunque di fronte al nostro passato. Non importa quanto lontano, oscuro e tremendo, tornerà sempre a tormentarci. Anche se è un passato che non ci appartiene.
Brian era a una ventina di metri dal Joey’s, quando incontrò suo padre.  Non era sorpreso di vederlo, dopotutto erano in ottimi rapporti e si divertivano spesso insieme.
La sua faccia, però, non era quella che Brian era abituato a vedere: lo sguardo era cupo e triste, gli occhi gonfi come se avesse appena smesso di piangere.
“Brian..” mormorò con voce spezzata.
“Papà, che è successo?” gli chiese preoccupato Brian, avvicinandosi a lui.
“Dobbiamo parlare.”


Nota: la citazione a inizio capitolo è presa dalla canzone "She's an Anchor".

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Capitolo 6
*** Panico ***


Panico
 
“Sit and drink pennyroyal tea,
Distill the life that’s inside of me.”
 
“Morbo di Huntington.”
Brian non aveva idea di cosa si trattasse, quindi non sembrò spaventato dalle parole del padre. Voleva solo cercare di capire.
“Che significa?” chiese quindi.
“È una malattia ereditaria. Riduce la capacità di camminare, parlare e ragionare. Si finisce con l’essere dipendenti da qualcuno per sopravvivere” concluse il padre.
Brian continuava a non capire.
“Perché me ne stai parlando?” domandò.
“Me l’hanno diagnosticata stamattina” fece Brian Senior, guardandolo dritto negli occhi.
Al chitarrista sembrò che gli mancasse la terra da sotto i piedi.
Guardava il padre e sperava con tutto il cuore che stesse solo scherzando, o almeno che la malattia non fosse così grave come diceva.
“Be’..troveremo un modo..una cura..” iniziò, ma venne subito interrotto.
“Non esiste una cura attualmente.”
In quel momento, Brian si accorse che suo padre non sembrava agitato, o almeno non per sé stesso. Sembrava aver accetato la cosa, essersi rassegnato.
“Stavi venendo a casa mia a dirmelo?” chiese di getto.
L’uomo annuì.
“Perché? Perché non mi hai avvisato che venivi?” Brian cominciava ad avere il fiato corto, e cercava di fare lunghi respiri, ma il cuore gli batteva all’impazzata.
“Perché non è per me che sono preoccupato” rispose il padre.
È una malattia ereditaria.
Brian capì.
“Vuoi dire..vuoi dire che ce l’ho anche io” sussurrò.
Non era una domanda, e Brian Senior abbassò lo sguardo.
“Vorrei che ti facessi visitare. Non è sicuro al 100% che ce l’abbia anche tu.”
Brian faticava a respirare, il muscolo cardiaco sembrava volergli schizzare fuori dal petto.
All’improvviso si mise a correre. Veloce. Senza fermarsi.
Doveva vedere Matt, questa era l’unica cosa a cui pensava.
Arrivò in poco tempo al bar, dove trovò Matt in piedi, fuori, guardarsi nervosamente intorno con il cellulare in mano per controllare l’ora.
“Matt!” urlò appena gli fu abbastanza vicino.
Il cantante si girò di scatto e lo raggiunse.
“Finalmente! Ero preoccupato, dove sei stato?” gli chiese abbracciandolo.
“Mi dispiace, è che..”
“Scusa un attimo, mando un messaggio a Jim, era preoccupato anche lui” lo interruppe Matt, digitando velocemente sul cellulare.
Mandato il messaggio, Matt guardò con un sorriso sollevato Brian, il quale aveva smesso di avere l’affanno.
“Dicevi?”
Brian pensò che per  il momento sarebbe stato meglio non dirgli nulla, dopotutto non era neanche sicuro di essere malato.
“Niente,” disse infine, “scusa il ritardo.”
Si sedettero al tavlino dove Matt aveva aspettato Brian e ordinarono qualcosa da bere.
 
L’attesa nella sala d’aspetto dell’ospedale fu angosciante.
Per fortuna, dopo circa mezz’ora, arrivarono i risultati delle analisi.
Brian sentì solo le parole “mi dispiace” che pronunciò il medico. Si sentì completamente svuotato della vita che aveva dentro.
Non provò niente, in quel momento. Né rabbia, né dolore, né tristezza. Assolutamente niente.
O forse provò tutto, ma la sua mente era troppo incasinata per definirlo.
Ringraziò il medico e se ne andò.
Erano le undici di mattina, probabilmente Matt stava ancora dormendo.
Tornò nella casa che avevano preso in affitto sul Laurel Canyon, lontano dalla vita pubblica, e salì in camera da letto.
Come aveva immaginato, Matt era ancora steso sul letto, con le gambe avvolte nel lenzuolo e il busto scoperto.
Si avvicinò piano e lo osservò senza fare rumore.
La notte precedente, le dita affusolate del chitarrista avevano percorso tutto il corpo dell’amante, e i suoi occhi attenti avevano colto ogni particolare.
Voleva essere sicuro che, finché non si fosse manifestata la malattia, avrebbe ricordato ogni minimo dettaglio dell’amore della sua vita.
Gli lasciò un delicato bacio sulla testa, facendo attenzione a non svegliarlo, e uscì dalla stanza.
Scese in cucina, prese una bottiglia chiusa di vodka da un mobile e, dopo aver lasciato una lettera sull’angolo cottura, uscì di casa.
Lasciò le chiavi all’interno.
 
Matt si svegliò verso mezzogiorno.
Si girò su un fianco, aspettandosi di trovare Brian al suo fianco, ma nel letto c’era solo lui.
Si alzò, pensando che fosse al piano di sotto, e andò con calma in bagno.
Dopo una doccia calda, si asciugò e andò in cucina per fare colazione.
“Brian?” chiamò, ma non arrivò nessuna risposta.
Mentre frugava nella dispensa in cerca di qualcosa da ingerire, notò una busta chiusa proprio di fronte a lui.
Lesse il nome Matt, e la prese.
Dopo averla aperta, lesse la lettera che c’era all’interno.
Stavolta l’attacco di panico l’ebbe Matt. Tentava di respirare, ma l’ossigeno proprio non gli entrava. I polmoni avevano smesso di funzionare.


Nota: la frase a inizio capitolo è presa dalla canzone "Pennyroyal Tea".

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Capitolo 7
*** Epilogo ***


Epilogo
 
Sai Matt, forse non avrei dovuto reagire così. Probabilmente avrei dovuto dirlo.
Ma anche ora, a distanza di anni, non me ne pento.
Se fossi stata un’altra persona, avrei tenuto il segreto per me e mi sarei goduto tutti questi anni con te, ma non sono mai stato bravo a mentirti.
 
Ricordo ancora ogni cosa: le tue parole, la tua voce, il tuo corpo, la tua risata e il tuo pianto.
E le ricorderò sempre, o almeno finché la malattia non mi porterà via anche quello.
Non suono più da tempo, non riesco più a premere le dita sulle corde.
È buffo, ho sempre dato per scontato di poter suonare per il resto della mia vita. Ora ho imparato che non devo mai dare nulla per scontato.
Matt, non credo di avertelo mai detto, ma l’ho sussurrato al vento ogni giorno e ogni notte da quando ci siamo separati.
Da quando io me ne sono andato. Ti amo.
 
Il mio unico rimpianto è quello di non aver avuto l’occasione di suonare un’ultima volta con tutti voi.
Mi mancate molto, sai?
Penso spesso a voi, a tutti i ricordi preziosi che mi avete regalato. Sono l’unica cosa che mi tiene in vita.
Anche se sono lontano, continuo ad aggrapparmi a voi.
 
Non provo rimorso per non averti detto la verità, perché so che avresti sofferto molto di più vedendomi morire lentamente ma progressivamente.
Nonostante faccia ancora male, e il tempo non aiuti a lenire il dolore, penso a te ogni giorno, Matt.
E ti sogno. Ogni notte.
Forse questa è la mia croce da portare per averti fatto così tanto male.

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Capitolo 8
*** Lettera a Matt ***


Lettera a Matt
 
Sono troppo vigliacco e spaventato per parlarti di persona, per questo ti scrivo una lettera, anche se so che non renderà la cose più facili.
Io me ne vado, ma tu non c’entri niente.
È tutta colpa mia, perché non sono abbastanza forte da mentire. Né abbastanza debole da restarti accanto.
Volevo davvero che le cose tra noi funzionassero, ma evidentemente non era destino.
Forse, in un’altra vita, riusciremo a stare insieme, magari per sempre, ma non in questa.
Per favore, non pensare che io sia una persona senza cuore, perché mi si spezza mentre ti scrivo.
Ero così felice che le cose si fossero finalmente sistemate, che potessimo iniziare una vita insieme.
Chissà perché le cose non vanno MAI come ti aspetti che vadano. Sono dispiaciuto di dover essere io ad infrangere il nostro sogno.
Non posso dirti il motivo per cui me ne sto andando, ma, credimi, è meglio così per entrambi.
E so che posso sembrare sfacciato, ma ti chiedo di farmi un favore: vai avanti. Non rimanere aggrappato a me come io rimarrò aggrappato a te.
Continua a cantare, racconta di noi, se vuoi, urla in un microfono tutta la rabbia che hai dentro e sputami in faccia tutto il rancore che proverai nei miei confronti dopo aver finito di leggere questa lettera.
Non fermarti.
Di’ ai ragazzi che mi mancheranno tanto, e che gli vorrò sempre un gran bene, davvero.
Ho lasciato detto a mio padre tutte le mie decisioni riguardo alla band, inclusa una lista con alcuni candidati per sostituirmi. Per favore, dacci un’occhiata.
All’inizio sarai arrabbiato, e non ti piaceranno, ma sono sicuro che troverai il chitarrista giusto.
Non cercatemi.
Non provateci nemmeno, vi prego. Se anche uno solo di voi mi trovasse, io non ce la farei a continuare per la mia strada.
Mi dispiace, Matt. Non puoi immaginare quanto sia difficile per me, ma credimi: quando dico addio, lo faccio per il bene di tutti. Soprattutto per il tuo.
Soffriresti di più se ti restassi accanto.
Non sono bravo ad esprimermi, tu lo sai, ma sto cercando di fare del mio meglio.
Tu sei quello che mi mancherà più di tutti. Penserò sempre a te, ogni secondo della mia vita.
Vorrei che esistesse una maniera più facile per dirti addio.
La verità è che non c’è una scorciatoia. In qualsiasi modo io decida di dirtelo, farà molto male ad entrambi.
Credo ancora fermamente che tu sia l’amore della mia vita, e che lo sarai sempre, e il fatto di non poter stare con te mi distruggerà lentamente e dolorosamente, più di qualsiasi..malattia.
Addio Matt, promettimi che non ti farai più male di quanto te ne stia facendo io ora.
Promettimi che continuerai ad andare per la tua strada, che sarà molto più luminosa e dritta senza di me.
Addio Matt.
 
Con tutto l’amore del mondo e del mio cuore a brandelli,
Brian.

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