Trentasei domande per innamorarsi.

di Internettuale
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Prima parte. ***
Capitolo 3: *** Seconda parte. ***
Capitolo 4: *** Terza parte. ***
Capitolo 5: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Autrice: Internettuale
Titolo: Trentasei domande per innamorarsi.
Coppia: Will/Nico
Rating: Giallo
Genere: Romantico, commedia, sentimentale
Note: Ecco a voi la mia prima Solangelo ispirata ad un esperimento sociale, relamente condotto da varie persone, che vi illustrerò precisamente nella storia. I capitoli saranno, almeno per il momento, solo quattro e io spero con tutto il cuore che possa piacervi. 
 
Trentasei domande per innamorarsi.
 
Uno stato di avvilimento, di profondo abbattimento morale, lo travolgeva del tutto, soffocando le trepidazioni che, fino a poco tempo fa, egli aveva ardentemente nutrito.
La sua mente si muoveva a un ritmo frenetico, eppure il suo corpo era immobilizzato da quello che era accaduto in quei quarantacinque minuti: quel ragazzo era riuscito, sorprendentemente, ad anestetizzare l’emisfero sinistro del suo cervello, e questo fu una rivelazione di sentimenti sconosciuti prima di allora.
Trattenuto dalla paura di commettere un errore, rimase fisso nella sua postazione, nel parcheggio di uno di quei bar alternativi dall’esistenza temporanea mentre osservava andar via, forse per sempre, Nico Di Angelo, che lo salutava con un cenno del capo indifferente.
 Il cielo plumbeo e minaccioso aggravava sempre più la sua sensibilità ed egli riusciva a distinguere l’odore pungente e agliaceo dell’acquazzone; una percezione morbida, pacata e umida lo rivestiva ma non lo attraversava.
Will si domandava come fosse stato possibile pensare che tutto sarebbe stato solo un esperimento sociale quando c’era di mezzo l’amore.
 
Nelle ultime settimane si discuteva molto di un saggio, pubblicato sul New York Times, sulla possibilità di creare intimità e senso di vicinanza tra sconosciuti o conoscenti. Questo saggio faceva riferimento a un esame condotto dal professor Arthur Aron e dai suoi assistenti. Aron aveva intenzione di scoprire se fosse possibile, creando un contesto propedeutico in laboratorio, indurre un rapporto di profonda amicizia o amore fra due completi estranei, o amici superficiali, in meno di un'ora.
Procedeva così: i due volontari entravano in una stanza vuota e si sedevano uno di fronte all’altro, iniziando a porsi reciprocamente una lista di trentasei domande, fornita da Aron. Arrivati in fondo alla lista, i volontari dovevano guardarsi negli occhi per quattro minuti.
Il test divenne popolare perché due dei partecipanti selezionati si sposarono dopo avervi preso parte e soprattutto perché recentemente lo misero in pratica, sostenendo che questa sperimentazione funzionava.
Will era così elettrizzato ed esaltato per questo esperimento, tanto da pensare di metterlo in pratica; ovviamente non puntava a trovare l’amore, voleva solo soddisfare la sua curiosità.
Cosicché iniziò la caccia al volontario, impresa ardua da realizzare, che gli costò qualche accusa di molestia.
Dapprima incominciò a girovagare per il Campo Mezzosangue alla ricerca di qualche volontario, ma i suoi amici lo osservavano straniti e contrariati per questa sua idea abbastanza folle, ignorando volutamente ogni sua parola e richiesta. Inoltre l’esperimento aveva esito positivo solo con gli sconosciuti o con conoscenti, perciò era inutile domandare ai suoi amici.
 Così decise di bussare a ogni cabina del Campo che, secondo il suo accorto parere, potesse essere minimamente interessata al test, iniziando da quella di Afrodite.
Scoprì abbastanza tardi che la sua non era stata un’idea geniale: cercare di coinvolgere i figli di Afrodite in un esperimento d’intimità non era vantaggioso né per la sua autostima né per il suo viso, che finì con l’essere imbrattato di make-up scadente per le restanti sei ore.
Puntò allora ai figli di Atena, sperando di trovare menti affini alla sua, ma si sbagliava: inizialmente si mostrarono tutti interessati, eppure Will oltrepassò l’uscio della Cabina di Atena con tanti libri sullo studio della Psicologia e nessun volontario.
Così tentò un nuovo approccio la sera, quando annunciò al falò la sua idea anche ai semidei che potrebbero non sembrare interessati ad argomenti del genere e che frequentava sporadicamente, nella speranza di trovare qualcuno che non lo prendesse per un folle.
«Ragazzi! Ragazzi, vi prego, ascoltatemi. C’è qualcuno disposto ad aiutarmi in un esperimento sociale sull’intimità? Prediligo i ragazzi biondi, con i capelli neri, macri, bellissimi, sex *. Okay, sto delirando, chiedo venia. », il figlio di Apollo spiegò con entusiasmo l’esperimento ai semidei. «Allora, qualcuno è interessato?»
Le scarsissime aspettative di Will furono confermate dall’evidente disinteressamento dei ragazzi e pertanto, seppure a malincuore, decise di abbandonare questo esperimento che tanto lo aveva incuriosito.
Dopo un paio di canzoni, tutti iniziarono ad avviarsi verso le loro cabine e il ragazzo rimase a osservare deluso il fuco che lentamente si estingueva, quando una voce interruppe il corso dei suoi pensieri.
«Mi offro come volontario.»
L’affermazione proveniva da un angolino non rischiarato e inizialmente egli si allarmò, giacché pensava di esser solo e poiché quel debole sussurro, seppur carico d’imbarazzo, lo aveva colto alla sprovvista; tuttavia Will poté tirare un sospiro di sollievo quando il ragazzo svelò il suo volto accostandosi al figlio di Apollo, diffondendo luce sulla sua figura con il tenue bagliore del fuoco.
Puntò il suo sguardo agghiacciante negli occhi di Will, che gli tese la mano senza timore.
«Will Solace.», gli disse il figlio di Apollo con un sorriso.
«Nico Di Angelo.», rispose il ragazzo stringendo con forza la mano di Will.
Le sue mani erano gelide e di un bianco spettrale, ed egli pareva la persona meno adatta per un esperimento del genere. Ciò non fece altro se non alimentare l’interesse del ragazzo.
Gli rispiegò in cosa consisteva precisamente l’esperimento e lo informò sul luogo e l’ora del loro incontro, Nico non obbiettò.
«Ti aspetto, a domani. Buonanotte, Nico.»
Il figlio di Ade accennò un debole sorriso, molto simile a una smorfia dolorosa. «Buonanotte, Solace.»
 
*Citazione di Enrico Pasquale Pratticò. Perdonatemi, ma non potevo non farlo.
 

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Capitolo 2
*** Prima parte. ***


Ipoteticamente avrebbe dovuto essere totalmente onesto su questioni personali con un completo estraneo, ipoteticamente; ma Nico Di Angelo non era un semplice conoscente.
«Sei in ritardo.», affermò il ragazzo con fermezza, osservando con aria di rimprovero Will.
Gli occhi castani e dal luccichio selvaggio, infossati e circondati da occhiaie visibili, incorniciavano un viso dal colorito cereo e cadaverico; i lunghi capelli corvini erano irti e disordinati, la corporatura fragile era dolorosamente sottile. Indossava una maglia scura con sopra disegnati vari teschi e dei pantaloni appesi liberamente alla sua figura scheletrica.
Pareva la vera personificazione dell’entusiasmo.
«Scusami. Ho dovuto aiutare …»
«Non m’interessano le tue scuse. La mia era una semplice constatazione. », lo interruppe bruscamente Nico.
Will gli rivolse un sorriso spontaneo ed elettrizzato, e con fare impulsivo ed energico gli prese la mano e lo condusse al piano superiore della caffetteria, vuota a quell’ora del mattino.
Le alte vetrate illuminavano delicatamente l’ambiente, che comunicava familiarità e calore. L’odore del caffè e delle brioche appena sfornate circondava i due ragazzi, che si erano accomodati sui divanetti di pelle, mentre ordinavano due croissant e del caffè.
Will prese il suo registratore e lo poggiò sul tavolino di legno. « Iniziamo l’esperimento.»
Nico si strofinò le mani sporche di zucchero a velo, e prese in mano la copia del questionario che il figlio di Apollo gli aveva consegnato.
« Chi vorresti avere come ospite a cena, se potessi scegliere tra tutte le persone al mondo?»
Will rise lievemente, a fior di labbra. « Se fosse vivo, cenerei con Oscar Wilde: adoro i suoi romanzi e la sua personalità. Lo stesso vale per Robin Williams, riesce a emozionarmi in ogni suo film. Però entrambi, purtroppo, sono scomparsi. Perciò scelgo Keira Knightley.»
Nico sorrise d’imbarazzo; osservò con interesse la sua tazza vuota e, con un lieve mormorio, replicò: «Sono indeciso tra Dante e Taylor Swift.»
Il figlio di Apollo sgranò gli occhi, confuso. «Cosa?»
« Apparentemente non hanno nulla in comune, eppure mi piacerebbe molto cenare con loro. Dante lo ammiro per il suo grande lavoro e la sua arte poetica. Taylor Swift scrive canzoni orecchiabili e mi piace come persona, nonostante tutti la rappresentino come una folle.»
Will era una delle persone meno giudicanti e più inclusive, ecco perché si limitò ad accogliere sorridendo quell’affermazione.
«Ti piacerebbe essere famoso? Per che cosa?»
Nico proferì con inflessibilità una risposta negativa. «Non adoro essere sempre in primo piano.»
Will annuì con decisione. « La penso anch’io come te. Non desidero la fama e la gloria.»
Il figlio di Apollo guardò le altre domande, constatando che quelle del primo cluster erano studiate per tracciare superficialmente la persona con cui si stava conversando: elenchi di qualità che si vorrebbero avere, descrizione del proprio giorno perfetto, confessioni su piccole paure, mancanze o difetti.
Nico era sincero e modesto, rispondeva con riservatezza e ascoltava pazientemente le risposte di Will.
Eppure il figlio di Apollo comprendeva sempre più il suo sentirsi isolato, amareggiato, duro e carico di risentimento verso il mondo esterno, per l’inabilità altrui di comprendere e ammirare i suoi talenti. Era eccessivamente e dolorosamente cosciente dei suoi difetti e dei suoi pregi, inclusa l’inadeguatezza del saper comunicare le proprie idee in modo efficace agli altri, per semplificare la comprensione reciproca e l’approvazione di cui tanto aveva bisogno. Will percepiva il suo sentirsi senza direzione e senza scopo, pieno d’immense visioni e obiettivi ideali, ma comprendeva anche quanto egli fosse incapace di convincere chiunque dei suoi meriti.
« Hai un presentimento segreto sul modo in cui morirai?», domandò con gravità Nico.
«Ho come l’impressione che morirò a lezione di scherma al Campo: una lama del mio avversario penetrerà la maschera e, trapassando l’occhio, entrerà nel cervello. Come accadde a Vladimir Smirnov, insomma
Will osservò con drammaticità il volto di Nico, che però a stento riuscì a trattenere una risata: «Credo che Chirone non permetterebbe mai una cosa del genere.»
Il figlio di Apollo arrossì lievemente: «È abbastanza bizzarro, lo so. Quando non so che fare, m’immagino il mio futuro. Sono strano.»
In un momento di debolezza, Nico rispose: «Mi piacciono le cose strane.»
Cliché.
«Per quanto mi riguarda», proseguì il figlio di Ade, riacquistando compostezza, «credo che morirò di depressione.»
Will esaminò il ragazzo con un accenno di compassione, mentre le labbra si piegavano in una smorfia comprensiva.
Pronunciò la domanda successiva: «Elenca tre cose che tu e il tuo partner sembra abbiate in comune.»
Il figlio di Ade posò attentamente lo sguardo su Will. « Non trovo nulla che possa accomunarci.»
Nico non riusciva a mentire facilmente, l’espressione autentica era il suo modo naturale di operare.
Will sorrise con una punta di nervosismo nella voce: «Non essere così tassativo e radicale. Siamo entrambi spontanei e sinceri, tolleranti e aperti al cambiamento. Mi sbaglio? E tutti e due apprezziamo l’arte e la musica.»
Poi, come se volesse giustificare queste sue parole pronunciate con entusiasmo e slancio, egli aggiunse: «Sto imparando a conoscerti e per ora trovo qualche affinità nel nostro modo di essere. Non sono frasi studiate o menzogne: penso realmente tutto ciò.»
Successivamente, come se non volesse che Nico rispondesse, Will recitò speditamente la domanda successiva.
In realtà il ragazzo non era consapevole se fosse dovuto alle dinamiche dell'esperimento o da ciò che aveva detto in precedenza, ma da come procedevano le cose e dal clima disteso che si era creato, si sorprese a considerare che, in effetti, avessero moltissime analogie. Giorni dopo, quando ripensò a mente fredda all’esperimento, non seppe esattamente dire cosa li legasse, ma in quel preciso istante gli parve che andassero d’accordo. E quando passarono tre mesi dall’esperimento, Will si sentì ancora un po’ stupido ad ammettere che lui e il ragazzo tenebroso potessero condividere dei pensieri e delle emozioni che riuscirono a farlo infatuare a tal punto.
«Prenditi quattro minuti e racconta al tuo partner la storia della tua vita il più possibile in dettaglio.»
Nico sospirò avvilito e iniziò il suo racconto.
Era nato nei primi anni del 1930 a Venezia, in Italia, prima che Ade e i suoi fratelli stipulassero il patto del non avere più una stirpe semidivina.
Sua madre era italiana, figlia di un diplomatico di Washington D.C., ed egli era vissuto per un po’ di tempo nella penisola, questo giustificava il suo saper parlare fluentemente l’italiano.
Uno dei suoi primi ricordi era quello del sorriso di sua madre, mentre entrambi passeggiavano sul Canal Grande di Venezia. Verso l’inizio della seconda guerra mondiale, la famiglia Di Angelo si trasferì negli Stati Uniti e, in seguito alla morte di sua madre, lui e sua sorella si spostarono in un Hotel a Las Vegas.
Il ragazzo parlava di sua sorella Bianca con un accenno di dolore velato dal suo cinismo studiato, e raccontò a Will della sua morte e di come ella fosse l’unica persona, in principio, a volergli bene per com’era realmente.
Accennò vagamente il nome di un ragazzo, Percy Jackson, con un ghigno amaro e funesto dipinto sul cadaverico volto.
Will sorrise al ricordo di quel nome: era uno dei ragazzi più amati al Campo ed era stato proprio il figlio di Apollo, tempo prima, a guarire Annabeth Chase da un pugnale avvelenato, ella era in questo periodo la ragazza del figlio di Poseidone.
In definitiva, la vita di Nico di Angelo non era una delle esistenze più serene.
Egli viveva in un mondo di significati nascosti e di possibilità. Will riusciva ad avvertire il suo essere caloroso ma al tempo stesso oscuro e contorto. Egli manteneva un posto speciale nel cuore per gli individui che si trovavano vicino al suo vero essere, persone in grado di vedere i suoi doni e la profondità delle sue azioni; Nico si preoccupava per i sentimenti delle persone, e cercava di essere più gentile possibile per evitare di far male a qualcuno. Egli era molto sensibile al conflitto e non lo tollerava molto bene. Situazioni prolungate di ostilità lo guidavano da uno stato di pace a uno stato di agitazione o rabbia carica. Il ragazzo, difatti, tendeva a interiorizzare i conflitti nel suo corpo, con possibili problemi di salute quando si combinavano con il troppo stress; ciò preoccupò notevolmente Will.
Quando Nico terminò il suo racconto, il figlio di Apollo iniziò la sua storia.
« Sono nato il cinque luglio a Chicago, in una calda e afosa giornata d’estate. Mia madre si credeva una poetessa e si comportava come un’accesa nazionalista, anche se lavorava come indossatrice; con la mia nascita decise di abbandonare la sua carriera e di dedicarsi completamente a me. Ovviamente non eravamo una famiglia dalle condizioni agiate, i miei nonni provvedevano al nostro sostentamento. Mi ricordo che passavo la maggior parte del mio tempo nei campi con i miei nonni materni, domandandomi dove si trovasse mio padre. La sua assenza era per me una costante fonte di depressione e ansia. E, infatti, nonostante tutti adesso mi vedano come una persona estroversa, simpatica e brillante, da bambino sono sempre stato un solitario. Preferivo rincorrere il corso dei miei pensieri e non ascoltare le voci degli altri ragazzi, che comunemente mi appellavano con epiteti non molto lusinghieri.»
Il ragazzo distolse lo sguardo da Nico, e con un mormorio proseguì il suo racconto. «Tempo fa ho letto cosa provoca l’assenza di un padre nella vita di suo figlio: questi bambini tendono ad avere difficoltà a concentrarsi a scuola e difficoltà di apprendimento, alcuni psichiatri ritengono l’assenza del padre quantomeno concausa di disturbi con deficit di attenzione e con iperattività.» Sorrise come se volesse dire: “Descrizione più dettagliata non esiste.”
« Collezionavo dei vecchi libri di poesia, e questa mia passione non m’incitava di certo alla condivisione con gli altri bambini. Quando i miei nonni cessarono di vivere, io e mia madre ci trasferimmo in città: la nostra vita si complicò. Ricordo ancora come volessi aiutarla e di come decisi di andare a consegnare i giornali, prima di seguire le lezioni scolastiche. Crescendo, notai che tutte le ragazze provavano un certo interesse nei miei confronti, mentre i ragazzi tendevano a essere invidiosi di me. Tutto peggiorò quando mi accorsi di provare interesse nei confronti di un ragazzo che spesso era maltrattato come me. Provavo una certa empatia nei suoi confronti, ma ciò segnò l’inizio del mio tormento. I bulli si accorsero di questo mio trasporto …»
Will posò il suo sguardo sul pavimento lucidato, mentre una lacrima solitaria gli attraversò il volto.
« Era una caccia al diverso. Un giorno, quando entrai in classe, notai sulla lavagna la scritta: “Se sei frocio non venire a scuola, vai a curarti!”. Non dimenticherò mai i loro risolini, quelle parole sono ancora oggi incise nella mia mente, scolpite in un’immagine che non riesco a cancellare. Ciò che mi sorprese fu l’omertà del Preside e dei professori, nessuno mi difese. Però tutto questo non terminò, pochi giorni dopo ritrovai sul portone di casa mia la scritta “Frocio Solace”. Non bastarono una spugna bagnata e gli abbracci di mia madre per lavare quegli insulti, tutto ciò non basta quando i tuoi stessi coetanei divengono i tuoi aggressori. In seguito le parole divennero violenza fisica, nei corridoi della mia scuola. E se prima ero solo emarginato, ora iniziarono a seguirmi per darmi una lezione. I lividi che mi lasciarono sul collo e sulla schiena non potranno mai essere paragonati alle lacrime di mia madre, alle sue preghiere colme di afflizione. Arrivarono i miei tredici anni e con essi un nuovo amico, che si rivelò essere il satiro che mi portò al Campo. Ogni sera, prima di addormentarmi, ricordo il profumo di mia madre, la stessa donna che si fece forza per proteggere il mio cammino. Forse l’unica donna che amerò per sempre.»

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Capitolo 3
*** Seconda parte. ***


Nico fissò il figlio di Apollo con commozione, mentre egli si asciugava le lacrime e si soffiava il naso con un fazzoletto di carta.
Will sorrideva malvolentieri, forzatamente: stringeva i denti per sopportare il dolore e il peso dei ricordi, e Nico si sorprese nel notare quanto in realtà quei sorrisi illuminassero tutto quello che lo circondava, seppure fossero carichi d’inquietudine; anche se curvava leggermente le labbra rosee, una piccola luce rischiarava e ravvivava il cuore solitario, iroso e mesto del figlio di Ade.
Le gote ceree istantaneamente s’imporporarono e il suo sguardo s’infuocò, quando la mente comprese la vera natura del pensiero che il ragazzo aveva faticosamente formulato.
«Passiamo alla seconda parte.», disse Will, sfiorando con le dita la mano di Nico.
« Se potessi vedere in una sfera di cristallo la verità su te stesso, la tua vita, il futuro o qualsiasi altra cosa, che cosa vorresti sapere?», domandò il figlio di Ade con fermezza.
« Mi piacerebbe sapere come sarà la mia vita in futuro: scoprire se sono diventato ciò che desidero essere, sapere chi amerò e che lavoro farò. Magari ciò mi aiuterebbe a non commettere errori e a soffrire meno.»
Nico incurvò le labbra in una smorfia di protesta. « Non credi che siano gli errori a forgiare la personalità di un individuo, Solace? Sbagliare ci insegna a non commettere nuovamente degli abbagli che ci hanno fatto tormentare … e il dolore si può trasformare in forza di volontà. La sofferenza, il rancore, gli insuccessi e tutti questi sentimenti con concezione negativa ci aiutano, correggimi se sbaglio, ad andare avanti.»
Will, soddisfatto per aver attirato con le sue parole il ragazzo, replicò: «Non ti sbagli, certo. Ma scommetto che anche tu, se una persona ti offrisse questa possibilità, accetteresti di poter guardare il tuo futuro. L’uomo ha da sempre nutrito questa insaziabile curiosità di conoscere ogni cosa di se stesso, del mondo e del proprio futuro: è una sua necessità.»
«Ma la curiosità, a volte, uccide.»
« E la soddisfazione dell’aver scoperto qualcosa che poco tempo prima ignoravi ti riporta in vita.»
Il silenzio calò per un momento tra i due: Will osservava con un sorriso soddisfatto e con aria di sfida Nico, mentre il figlio di Ade tentava in tutti modi di non rispondere maleducatamente al giovane.
Alla fine il figlio di Apollo abbassò le armi e, ridendo, si consegnò al nemico: « Non condivido pienamente la tua opinione, però la rispetto. Sono curioso di sapere, in ogni caso, cosa vedresti tu nella sfera di cristallo.»
« Mi piacerebbe osservare le persone al mio funerale.»
Il volto di Will passò, in un breve momento, dalla meraviglia e dall’interdetto, ad un divertimento sincero e travolgente.
« Sei il vero ritratto della gioia, Nico Di Angelo.», esclamò con allegria e ironia il figlio di Apollo.
«Sono serio! Tutti, a un funerale, ricordano il defunto come una delle persone più oneste, dabbene e umane. Non riesci a cavar dalle loro bocche un briciolo di sincerità e autenticità. Pare come se il defunto fosse un uomo dalle virtù  e dalle gesta eroiche, che ha consacrato la sua vita al servizio degli altri. Non ha un difetto, una qualche imperfezione. E io sono curioso …», il figlio di Apollo alzò un sopracciglio e sorrise lievemente, « Sono curioso di sapere cosa le persone diranno di me. Quasi nessuno mi conosce per davvero, è come se tutti mi temessero … E allora chi dirà che sono stato un uomo onesto, dabbene e umano? Chi piangerà per me? Chi potrà affermare con sincerità ciò che io ero realmente?»
« Potrei farlo io», affermò con franchezza Will.
Il figlio di Apollo si sentì avvampare il viso non appena si rese conto di averlo detto ad alta voce: le fiamme consumavano il suo corpo ed era abbastanza difficile per egli comunicare e respirare in quel momento, con tutta quella cenere nei polmoni. Soffocava per l’imbarazzo.
« Effettivamente sei una delle poche persone che può comprendermi.», ammise il figlio di Ade, oscurando l’alba di un sorriso. «Ti conosco da quanto? Venti minuti? Eppure mi conosci meglio dei miei amici. È una delle cose più tristi e assurde che abbia mai detto.»
Per sdrammatizzare, Will replicò: « Ho i miei seri dubbi, Nico. Possiamo parlare del fatto che morirai di depressione e vorresti essere presente al tuo funerale
 
Continuarono con il secondo cluster, dove le domande si fecero sempre più serie e personali.
Quel genere di domande che non porresti mai a delle persone che hai appena incontrato e che, volesse il divino Apollo, vorresti affascinare: poiché sono profonde e intricate, in un modo che corre il rischio di indurre monotonia e gravezza in una chiacchierata superficiale e interessante come dovrebbe essere quella fra due conoscenti.
In quel momento, invece, pareva tutto ordinario e comune.
Will provava una strana forma di preoccupazione, aspettativa e aspirazione nel rispondere a quelle domande che lo relazionavano a Nico: forse perché era ben cosciente del fatto che col tempo si sarebbe dovuto creare tra i due un senso di familiarità e confidenza sempre più crescente, ed egli aspettava con timore quell’attimo.
«Qual è il tuo ricordo più caro?», domandò pacatamente Nico.
 Egli rifletté per un paio di minuti, poi il suo sguardo si illuminò: « Era un giorno di primavera, credo fosse fine aprile, e mia madre decise di accompagnarmi alla fiera del paese. I raggi del sole erano caldi e tutto sapeva di vitalità e vivacità. Camminavamo mano per la mano, quando vidi ad una bancarella un arco con delle frecce e me ne innamorai. Da sempre avevo avuto questa passione e quel momento fu per me una vera e propria illuminazione. Potevo diventare un arciere! Un piccolo Robin Hood che difende i deboli. Mia madre decise che era troppo pericoloso: un bambino di nove anni, un arco e delle frecce non erano una combinazione ideale. Rimasi profondamente deluso da questo suo rifiuto, infatti mi ricordo che mi trascinavo sconsolatamente per la fiera e che mia madre soffriva in silenzio per questo mio cambiamento d’umore. Capì solo il giorno dopo il vero motivo del perché mia madre non volesse comprarlo: eravamo troppo non eravamo così benestanti da poter permetterci un arco professionale e delle lezioni. Mi sentivo in colpa per essere stato così leggero e ottuso, cosa che mi si addice ben poco, che incominciai a piangere mentre abbracciavo il mio lupo di nome Byron, in quel momento la mia unica consolazione. Un uomo mi vide singhiozzare nel giardino di casa e si avvicinò a me, Byron incominciò a scodinzolare e ad ululare. L’uomo era biondo, alto, con capelli biondi e occhi azzurri: mi assomigliava in una maniera inspiegabile e mi ricordo che provavo l’impressione di averlo già incontrato altre volte,  e infatti non mi sbagliavo. Egli mi domandò se sapessi dove si trovasse  mia madre e se potessi chiamarla, così feci. Lei arrivò e divenne rossa come un peperone, come se il sole le avesse ustionato ogni centimetro di pelle. Mio padre- lo compresi solo quando lo incontrai per la prima volta, dopo aver scoperto di essere un semidio- si offrì come mio insegnante e mi regalò un bellissimo arco. Le giornate passate sotto il sole con quest’uomo, che credevo essere uno sconosciuto, sono il ricordo più sereno e luminoso che conservo nel mio cuore. Mi affezionai particolarmente a mio padre ed imparai ad amarlo.»
Nico si accorse di come gli occhi di Will diffondessero luce ogni volta che parlava di sua madre o suo padre: quel suo sguardo era più splendente del sole, troppo abbagliante e di una rara bellezza per essere guardato dai suoi occhi senza luce, occhi che non suscitavano alcuna impressione.
Il figlio di Ade cercò qualche ricordo spensierato, ma si accorse che solo pochi potevano essere definiti tali e solo uno era degno di essere raccontato.
«Soggiornavo al Lotus Hotel con mia sorella Bianca in quel periodo, ovviamente non riesco a ricordare che giorno o che anno fosse. Rammento soltanto che vidi la pubblicità di un gioco con delle carte e delle statuette- si chiamava Mythomagic- e che mi innamorai di quella propaganda. Desideravo con tutto me stesso collezionare tutte quelle figurine e passare interi pomeriggi a giocare con mia sorella, così ogni mattina mi sedevo davanti alla televisione e aspettavo quella pubblicità …»
«Sei sempre stato un bimbo speciale», disse ironicamente Will, interrompendo Nico.
Il figlio di Ade lo raggelò con il suo sguardo.
«Così Bianca decise di regalarmi due bustine di quel gioco: posso giurarti che fu il giorno più bello della mia vita. Entusiasmato stappai la prima busta e vi ritrovai dentro le statuette dei due gemelli: Apollo e Artemide. Nel giro di due secondi, ero il bambino più raggiante  e contento della terra. Soffocai Bianca con i miei abbracci e le sbaciucchiai il volto;  lei rideva e ricambiava il mio affetto con altrettanti baci. Per ringraziarla, decisi di regalarle la statuetta di Artemide, inconsapevole di quello che sarebbe accaduto in futuro. L’immagine di mia sorella risplende nella mia mente con vitalità, lei è il mio ricordo più bello. Rammenterò per sempre i suoi abbracci e i suoi sorrisi, il suo modo di parlare e di rimproverarmi, l’odore dei suoi capelli e i suoi occhi che diffondevano luce quando dicevo qualcosa di buffo. Era la ragazza più dolce che io conoscessi: era per me madre, sorella e amica. Ma questo è il momento che più mi è rimasto impresso, questo è il giorno che ricorderò per sempre.»
Le dita di Will incontrarono la pelle esangue di Nico per donargli solidarietà, incoraggiamento e conforto; esse incominciarono, inconsciamente, ad accarezzare la mano tremante del giovane e a seguire il disegno delle sue venature. La mano di Will strinse il polso di Nico, che ardeva per la dolcezza di quel contatto, come le sue guance che bruciavano allegramente.
Nico si ritirò all'istante da quella vicinanza e nervosamente sfogliò il questionario, tentando , invano, di non rivelare il suo rossore al giovane figlio di Apollo. « Qual è il tuo ricordo peggiore?»
Il suo irrigidimento fece capire a Will di aver invaso, senza chiedergli il permesso o essere stato invitato, il suo spazio personale.
Abbattuto, non dovette neanche pensarci molto, aveva già la sua risposta: «So quanto possa sembrare inspiegabile dirlo, ma il ricordo che più mi ha segnato non riguarda i bulli, la scuola o i lividi sulla mia pelle; risale all’incirca a tre anni fa e per me è ancora doloroso parlarne. Da bambino desideravo ardentemente un animale con cui passare il mio tempo, visto che non possedevo molti amici e trascorrevo  i giorni in compagnia dei miei nonni. Così, il giorno del mio quinto compleanno, mia madre mi organizzò una festa ed io ero convinto che lei mi avesse regalato un cucciolo, ma mi sbagliavo. Rimasi profondamente deluso da tutto ciò, poiché avevo veramente bisogno di qualcuno che potesse proteggermi e rasserenarmi, tanto che incominciai a singhiozzare fino a quando la festa non finì. Mia madre era dispiaciuta e amareggiata, mi aveva detto che non avevamo abbastanza soldi per comprarci e mantenere un cane, però io non volevo prestarle attenzione. Il giorno dopo mi portò a prendere un gelato e imbronciato incominciai a gustarmelo, cosciente del fatto che fosse solo un palliativo alla mia sofferenza. Un giovane dall’aria affascinante stava passeggiando con un cucciolo di lupo e mia madre lo stava osservando con aria stranita, come se avesse identificato il volto dello sconosciuto; egli si avvicinò al nostro tavolo e posò sulle mie gambe il lupetto, che subito iniziò a leccarmi il volto e a scodinzolare. Quell’uomo era indubbiamente mio padre ma allora non lo capì. Mia madre era emozionata e le sue guance si erano colorate di rosso, ella invano riuscì a spiaccicare una parola di senso compiuto. Apollo mi sorrise e mi scompigliò i capelli biondi, mi augurò buon compleanno e disse: “Figliolo, non piangere. Questo è il mio regalo per il tuo compleanno. Servirà a proteggere te e tua madre.” Si alzò e stampò  sulle nostre guance un sonoro bacio, ciò inevitabilmente provocò l’iperventilazione di mia madre. Il cucciolo di lupo era talmente contento, che finì col fare i bisogni sul nostro divano. Decisi di chiamarlo Byron, come il poeta inglese, e da quel giorno la mia vita migliorò. È incredibile in che modo un animale possa colmare sentimenti d’affidabilità, di fedeltà, di tenerezza spesso commuovente! Amava giocare e mi trasmetteva sentimenti come la tranquillità e sostegno, con lui ogni mia tensione svaniva. Nei momenti di solitudine, Byron era sempre pronto ad offrirmi la sua compagnia e il suo amore … dopo la mia famiglia, era il mio unico sostegno morale. Divenni responsabile, incrementò il mio senso di affetto e di empatia. Mi insegnò ciò che la scuola non poteva- e soprattutto non sapeva – spiegarmi: valori positivi come la lealtà, il rispetto e l’amore per me stesso, per gli altri e per gli animali. Qualità che mi porterò dietro per tutta la vita e che mi rendono una persona migliore. Ma la Morte aspettava silenziosa la vita del mio migliore amico e, dopo sette anni di attesa, decise che era arrivato il momento per agire. Era la domenica di Pasqua e un uomo investì Byron con la sua macchina. In quel momento dentro di te non c’è niente, è come se la tua parte migliore ti avesse abbandonato. Non ti senti vivo, il dolore ti opprime e l’unica modo per ricordarti che tu esisti ancora è guardarti allo specchio e osservare impassibile la sofferenza che consuma il tuo volto, i tuoi occhi e il tuo cuore … ma  tutto ciò non basta. Forse erano solo i baci della buonanotte di mia madre a ricordarmi che ero vivo. La tua infanzia è finita con lui. Quel giorno compresi il valore di una vita e cosa fosse realmente la morte. Passarono all’incirca due mesi da quella domenica, e io li trascorsi ad osservare la strada dalla mia finestra, aspettando il suo ritorno. Alla fine il dolore svanisce col tempo, ma il ricordo rimane sempre. Quando incontrai mio padre, circa un anno fa, capì che Byron era realmente il mio custode: più volte mi aveva difeso dai mostri e protetto dalla morte. Più ci ripenso e più mi domando perché abbia avuto una morte così banale, ma non trovo le risposte. Spero solo che lui abbia vissuto una vita felice e che sia stato consapevole del fatto che io e mia madre lo amavamo con tutto il nostro cuore.»
Nico, in un momento di debolezza, provò l’impulso di asciugare le lacrime del giovane; ma un misto di pudore, timidezza e controllo arrestarono sia quell’azione calorosa e avventata sia delle parole rassicuranti, che rimasero sospese nei suoi pensieri, mentre egli indeciso ritirava l’esitante mano che seguiva i comandi di un incerto sentimento.
«Il mio ricordo peggiore è strettamente legato alla figura di un personaggio ben noto al Campo Mezzosangue: Percy Jackson.».
Il suo volto si adombrò e parve assumere un’espressione dolorosa, infelice, oscura. Si morse il labbro inferiore e poggiò i pugni stretti sulle gambe chiuse, incurvò le spalle e puntò lo sguardo su uno dei riccioli ribelli di Will; egli muoveva nervosamente una gamba, come se stesse tenendo il ritmo dei battiti del suo cuore, e si spostava agitatamente sulla sedia: il figlio di Apollo capì quanto questa rievocazione lo addolorasse.
«Possiamo anche andare avanti, Nico. Apprezzo il tuo sforzo di essere sincero con me e di aprirti, ma se questo ti rende infelice … Semplicemente non voglio che tu lo sia.»
«No.», affermò con decisione. «Solace, tu mi hai appena raccontato uno dei tuoi momenti più infelici. Ti sei fidato di me.»
Il figlio di Apollo interruppe il ragazzo e con indifferenza, replicò: «Hai una faccia amica»
«Cosa… la mia faccia?»
Le due espressioni insieme non avevano senso: Faccia amica. Nico Di Angelo. Quando mai?
«Certo che sei lento di comprendonio» affermò Will.*
Nico spalancò gli occhi sconcertato: fece per replicare, ma intese che quello non era il momento adatto per questionare.
Egli pareva sul punto di vomitare: i fiori che adornavano il tavolo appassirono, come se i suoi pensieri filtrassero veleno, rancore, odio.
«Il mio ricordo più brutto è stato scorgere, intravedere e osservare Percy Jackson che, giorno dopo giorno, s’innamorava di Annabeth Chase. È per questo che sono fuggito dal Campo Mezzosangue, è per questo che sto sempre da solo. Mi nascondo tra i morti, terrorizzato dalle mie stesse emozioni. Ero geloso di Annabeth Chase. Odio me stesso. Odio Percy Jackson. La persona che idolatravo e per cui avevo una cotta da anni, la persona a cui più tenevo al mondo, si era invaghita della sua migliore amica, alleata e amante… come se non bastasse, lui non nutriva fiducia di me. Non mi considerava un suo vero amico. Non ero niente.»
La sua voce s’incrinò, il suo sguardo si scheggiò. « Non provo più gli stessi sentimenti. Ho perso le speranze … Ero solo un ragazzino suggestionabile.»**
Un sovrumano silenzio assordante, carico d’incertezza, delusione e rammarico invase il piano superiore di quel locale, condannando, per un breve momento, la felicità dei due ragazzi.
 
«Elencate alternandovi cinque caratteristiche positive dell’altro.»
Nico evitò di guardare negli occhi Will, controllando e inibendo il sorriso, muovendo lateralmente e verso il basso la testa, toccandosi la fronte e le rosse gote con le mani. « Mi piace il modo in cui ti rapporti con le persone. Come ti sforzi a farle sentire a loro agio, come cerchi di creare un legame tra loro e te, come le consoli.»
Will alzò un sopracciglio, mentre un sorriso ravvivava il suo volto. « Sono quattro.»
«Rientrano tutte nella stessa categoria, Solace. Non montarti la testa.»
« Mi piace la tua riservatezza e il fatto che tu sia bravo ad ascoltare. Il tuo fingere di credere che degli altri non t’importi niente, quando invece sei altruista, comprensivo e sensibile. Sei intuitivo, spontaneo e complesso.»
Nico lo ammirò meravigliato: «Sono più di cinque qualità. Come hai fatto?»
«Non è così difficile. Ora tocca a te»
«È difficile starti accanto o guardarti negli occhi quando sorridi. È come se il sole mi accecasse.»
« Vorrei scompigliare i tuoi capelli neri o giocare con loro. Mi piacciono particolarmente.»
« Le mie orecchie sono sintonizzate sulla tua voce.  Ti si può riconoscere in un mare di altri timbri. Il tuo accento fa sembrare tutti gli altri suoni disarmonici, poco intonati.»
« Adoro le tue guance che arrossiscono e il modo in cui cerchi di nascondere il tuo sorriso.»
Nico diventò rosso e si maledì mentalmente per averlo fatto.
« I tuoi occhi sono così blu da poterci annegare.»
« Sei devoto e protettivo nei confronti delle persone che ami.»
Credo che tu mi piaccia. Questa doveva essere la quinta affermazione di Nico, ma egli si limitò a dire: « I tuoi riccioli biondi sembrano oro.»
Mi piaci anche tu. Questa poteva essere la replica alla sua affermazione ma Will si contenette e sorrise. « Mi piace la tua testardaggine.»
 
* Citazione tratta da Il Sangue dell’Olimpo, capitolo LVI, pagina 459.
** Tratto da La casa di Ade, capitolo XXXVI

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Capitolo 4
*** Terza parte. ***


 
 
«Ognuno dica tre frasi con il “noi”. Per esempio: “Siamo entrambi in questa stanza e ci sentiamo …”», disse Nico, con un accenno di disappunto.
Will tamburellò le dita sottili sulla superficie di legno. « Entrambi ci sentiamo elettrizzati, meravigliati e affascinati.»
«Affascinati?», domandò, sorpreso, il figlio di Ade.
Il ragazzo farfugliò qualche scusa racimolata in un istante nella sua mente: « Affascinati dall'esperimento
Il ché era in parte attendibile e credibile, giacché il figlio di Apollo era realmente attratto da Nico Di Angelo, e ciò voleva significare che l’esperimento funzionava per davvero.
« Siamo entrambi in questa stanza e ci sentiamo …», Nico cercò di spingere e incoraggiare i propri sentimenti, « emozionati, appagati e spensierati.»
Will strabuzzò gli occhi, colto alla sprovvista dalle affermazioni del giovane. «Tu sei felice
Nico velò il suo sorriso, coprendosi il volto con le mani. « Solace, credo possa bastare...»
Il figlio di Apollo afferrò le sue mani, liberando il volto del ragazzo dal timore del rivelare il proprio ego.
« Guardami, Nico!», gli ordinò il giovane con un sorriso raggiante, « È stupefacente!».
Egli abbassò lo sguardo, si accomodò i capelli e si morse un labbro; come se fosse in conflitto con ciò che provava intimamente e ciò che voleva sembrare all'esterno.
« Non pensavo che anche tu possedessi il dono del sarcasmo», bofonchiò contrariato.
Will osservò con perplessità Nico. « Non ero affatto ironico.»
Il figlio di Ade non volle proseguire quella conversazione, così lesse senza indugio la seconda domanda: «Completa questa frase: “Vorrei avere qualcuno con cui poter condividere…”».
Will si morse un labbro, indeciso. « Ho tante passioni.»
«Credo che tu possa riferirle quasi tutte, non c’è un limite.»
«Alcune sono imbarazzanti.», replicò ridacchiando Will.
«Mai quanto te.»
Il giovane si finse offeso, mettendo la mano sul cuore e assumendo un’espressione dolente. «Pensavo che entrambi potessimo rientrare nella stessa categoria di persone disagiate e imbarazzanti per la società!»
Nico cercò di non ridere dinanzi  a quello spettacolino mal allestito. « Solace! Abbiamo pochi minuti a disposizione! Non perdere tempo.»
«Ti adoro quando t’impegni per non sorridere.»
 
Il figlio di Apollo cercò di mettere tutto se stesso in quelle parole, in quelle passioni che non aveva mai rivelato a nessuno, ma che si potevano estrarre dalla sua personalità vivace e colorata. Non voleva mentire, né sembrare interessante agli occhi di quel ragazzo – anche se lo desiderava ardentemente-, voleva semplicemente essere Will Solace.
« Vorrei qualcuno con cui ascoltare tutti i vinili dei Beatles che ho collezionato, qualcuno con cui fotografare le spiagge al tramonto o all'alba. Mi piacerebbe suonargli delle canzoni con la mia chitarra, parlare con lui di poesia e di letteratura, oppure guardare con lui i programmi sulle malattie misteriose e sulle deformazioni del corpo. Sarebbe fantastico disegnare il suo volto e regalargli tutti i vasi di ceramica che ho modellato in questi anni, anche se so che li utilizzerà per darmeli in testa quando si arrabbierà con me. Vorrei cantare con lui, ad alta voce, tutte le canzoni della Disney e dei miei musical preferiti. Sarebbe bello anche leggere le stesse fan fiction, mentre viaggiamo verso mete sconosciute.»
Nico non era il tipo di ragazzo stupido che si sarebbe seduto su una sedia e avrebbe cantato alla sua cotta canzoni sulle stelle*; ma c’era qualcosa nel magnetismo di Will che lo avrebbe costretto a farlo.
Era, sorprendentemente, attratto da lui in quel particolare momento: nessuna spiegazione logica, nessuna frase che lo aveva illuminato sulla vera natura dei suoi sentimenti. Solo irrazionalità e attrazione.
O qualcosa che superava l’ordinaria attrazione.
Will non era i suoi sedici anni, né i suoi capelli biondi né la taglia della sua maglia.
Will non era Will Solace, né le fossette sulle guance né le sue rughe di espressione.
Will era un insieme di tutte le frasi che aveva letto nelle poesie e nei libri, era le parole che recitava, la voce che cantava il suo vero io senza problemi, senza vergogna.
Will era la dolcezza sconfinata della sua risata ed era anche le lacrime versate per sua madre e per il suo cane.
Era le canzoni che voleva urlare forte, i posti in cui voleva viaggiare o in cui era già stato.
Era ciò in cui credeva, ciò per cui lottava. Era tutte le persone che amava, le foto nella sua camera, l’arte che creava.
Non era bellezza, né ricchezza né intelligenza. Era molto di più.
Will Solace era questo: un insieme di luci, colori e sfumature diverse.
Era ciò che Nico aveva imparato a conoscere e ad amare.
Lo capì in quel momento, nulla di speciale. Niente fuochi di artificio, nessun coro angelico che gli annunciasse la notizia.
 Nico vide con la mente se stesso, disteso sul letto di Will, mentre entrambi si tenevano per mano e ascoltavano Here Comes the Sun, dei Beatles.  Vide la sua immagine ritratta nelle fotografie che Will aveva appena scattato sulla spiaggia di Long Island, il sole che tramontava. Concepì con la fantasia l’immagine del ragazzo che gli cantava e suonava canzoni d’amore. Desiderò che Will gli parlasse animatamente delle sue poesie e dei suoi romanzi preferiti. Sognò il momento in cui i due si sarebbero accoccolati su un divano mentre in TV trasmettevano “Malattie Misteriose”. Vide tutte queste cose e si sentì diverso.
Aveva appena immaginato se stesso felice.
E poi scivolò, trasportato dall'entusiasmo e da un velato interesse, nella più totale sincerità.
« Vorrei qualcuno che assaggiasse i gelati che preparo. È una mia passione che ho tenuto nascosta quasi da sempre, perché me ne vergognavo. Mi piacerebbe condividere la mia passione con l’arte, andare con questo qualcuno a una mostra d’arte. Desidererei partecipare ad aventi culturali e imparare insieme a parlare una nuova lingua. M’interesserebbe discutere di filosofia, dei classici del cinema e dei romanzi storici che ho letto. Sarebbe grandioso poter condividere l’esperienza dell’andare a un concerto di hard rock. Un altro mio segreto è questo: dipingo. Non sono eccezionale, ma mi rilassa farlo … Bene, mi piacerebbe mostrare i miei dipinti a quel qualcuno.»
«Mi piacerebbe condividere tutte queste cose con te.», dichiarò schietto Will.
«Davvero?». Nico si sentiva entusiasmato e sorpreso.
«Perché non dovrei? Magari un giorno mi mostrerai qualcosa, no?»
Il figlio di Ade arrossì e mille farfalle scheletriche presero il volo nel suo stomaco**. «Certo.»
 
«Spiega al tuo partner le cose di te che sarebbe importante che sapesse, se diventaste molto amici»
«In Inverno sono quasi sempre depresso.»
Nico sollevò le sopracciglia, interessato. «Per quale assurdo motivo?»
«Le giornate si accorciano e subito fa buio. Freddo, neve, pioggia, grigiore. Tutti questi fenomeni spenti e sconfortati mi demoralizzano.»
Will ammirò il cielo dalla finestra del caffè: il sole era alto in cielo, qualche nuvola lattea lo accerchiava. A volte il semidio credeva che il cielo rispecchiasse il suo stato d’animo.
«A me piace l’inverno. I temporali estivi mi rendono felice. », affermò sereno Nico.
«A te piace la malinconia, è diverso.»
Il figlio di Ade curvò le labbra in una smorfia terrificante. «Non sopporto quando le persone iniziano a sparare cazzate in italiano.»
«Non riesco a fingere, la mia mimica facciale non me lo permette.»
« A volte disegno persone … svestite.»
Will irruppe in una risata che irradiò calore al volto di Nico. « Nutro il forte bisogno di piacere a tutti.»
«Egocentrico …», sibilò il figlio di Ade, sprezzante.
«Depresso.», replicò il ragazzo, sorridente.
 
«Di’ al tuo partner che cosa ti piace di lui; sii molto onesto, e di’ anche cose che in genere non diresti a una persona che hai appena conosciuto.» Il figlio di Apollo ridacchiò. «Le cose si fanno imbarazzanti.»
« Adoro i tuoi occhi e il tuo sguardo, soprattutto quando mi guardi fisso negli occhi e cerchi di creare un legame con me, sei naturalmente portato a comprendermi. Adoro il tuo entusiasmo, la tua energia. Tu riesci ad accendermi.», dichiarò con rapidità e pudore il ragazzo.
«Grazie.», ribatté, in un soffio, il figlio di Apollo.
Nico alzò le spalle, come se quelle parole, pronunciate con così tanta impazienza e urgenza, non contassero nulla per lui.
In realtà, in quel preciso istante, la sua lucidità era appena andata a donne di facili costumi, il sangue pulsava in maniera inadeguata, scorrendo velocemente in tutti quei capillari che ricoprivano le sue orecchie e le sue gote, e il sudore rivestiva il suo volto emaciato.
«Sono affascinato dalle curve delle tue labbra. Le tue labbra sono voluttuose, ingannevoli, serrate, screpolate, smorte. Mi piace il tuo accento, il tuo modo di sussurrare ciò in cui credi. Adoro le tue mani nervose e impazienti. Mi piace il tuo collo affusolato, la tua pelle morbida e cerea. Adoro il modo in cui credi di avere sempre ragione, ignorando le opinioni altrui. Ma ciò che più mi piace è la tua rarità. Sei raro, Nico Di Angelo.»
In quel preciso istante gli occhi di Will si appoggiarono su tutto il volto di Nico di Angelo, gridandogli il vero desiderio delle sue labbra.
I suoi occhi non si facevano paranoie, lo dichiararono senza porsi alcuno scrupolo.
Quei suoi occhi colsero all’improvviso Nico, lo aprirono a metà e poi pretesero di rammendarlo, di guarirlo.
Tutto perdeva energia per amplificare le emozioni di quel momento, una sensazione fuori da ogni concetto logico.
Ma la paura, la timidezza, il timore di essere rifiutato, di rovinare il loro rapporto e di correre troppo interferirono quel bacio, ponendo fine a quell'attimo che lo precede.
Per Will Solace era semplice amare: gli bastava lasciarsi andare e procedere con naturalezza.
Ma per Nico non era così.
Il figlio di Ade desiderava rimanere il più distaccato possibile dalla sua unica fonte di felicità, o dolore.
Nico aveva paura che la gioia potesse durare un attimo e poi svanire completamente; per questo motivo non voleva essere trasportato dalla bellezza di quel sentimento effimero.
Nico aveva paura di essere abbandonato, allontanarsi lo tutelava dal coinvolgimento emotivo e dalle sofferenze.
Nico aveva paura di essere stato illuso in quei pochi minuti da Will, aveva paura che egli fosse diverso dall’idea iniziale che si era prestabilito.
Nico aveva paura di sbagliare, di non essere all’altezza.
Nico aveva paura del proprio corpo, della propria sessualità.
Nico aveva paura di perdere i propri spazi e la propria individualità.
Nico aveva paura di non saper gestire le proprie emozioni.
Nico aveva paura, era terrorizzato, minacciato, sconvolto, intimidito da quell’impulso.
Terrori, angosce, timori che attanagliavano la mente del ragazzo e la imprigionavano nella loro stretta mortale.
 
«Parla di un tuo problema personale e chiedi al partner un consiglio su come lui o lei affronterebbe questo problema. Chiedigli anche di descriverti come gli sembra che tu ti senta rispetto al problema di cui hai scelto di parlare.»
Eccola, l’ultima domanda.
Will era in uno stato di agitazione che minacciava il suo stato di equilibrio.
Una forte apprensione -dovuta al timore, all’incertezza, all’attesa del risultato finale- lo consumava; un peso gravava sul suo stomaco, che accresceva il suo senso di accoramento e dispiacere.
Il ragazzo nutriva il desiderio ardente e tormentoso di ritornare all’inizio di tutto; e ripensava, con uno stato d’animo melanconico, a quando credeva che non ci si potesse innamorare nell’arco temporaneo di quarantacinque minuti.
Il figlio di Apollo voleva parlare di questo: dell’ansia, del dolore improvviso e della consapevolezza che tutto stava per concludersi.
Ma Will decise che non era opportuno.
«Sono bravo ad aiutare gli altri, ma non riesco a chiedere aiuto per me stesso. »
«Lo avevo capito.», disse Nico, esprimendosi con calma. « Non credi che per aiutare gli altri, prima di tutto dovresti aiutare te stesso? Credo che tu vada avanti col pilota automatico: ti svegli, aiuti i semidei feriti, vai a lezione al campo, ritorni in infermeria, affronti delle missioni suicide, pensi a come aiutare i tuoi amici, e poi speri che tutto vada per il meglio. Tutte queste azioni sono incapaci di lasciare alcuno spazio alla tua coscienza. A volte siediti con te stesso e pensa. Incomincia ad avere fiducia nelle tue capacità e smettila di nutrire il bisogno di essere amato da tutti. Non è possibile, sarai sempre antipatico relativamente a qualcuno. Sebbene tu non voglia deludere chi ti sta accanto, rammenta che chi ti vuole bene dovrebbe desiderare di vederti raggiante. Fino a quando la tua intera esistenza sarà basata sull’accontentare i desideri degli altri, e sull'essere quello che gli altri vogliano che tu sia, non saprai mai chi sei veramente. Fai quello che vuoi fare. Riprendi in mano i tuoi acquarelli, organizza un viaggio, pianifica una cena con qualcuno. Questo non vuol dire negare il tuo aiuto agli altri. Servire gli altri, e il Campo, è il modo migliore per trovare, e dare, un valore al nostro posto nel mondo. Ma soprattutto: cerca una persona di cui ti fidi e che abbia un profondo senso di sé, qualcuno che sia sempre disposto ad aiutarti, anche se tu non gli hai domandato nulla.»
Ed ecco che quel senso dolce di tristezza riavvolse Will, imbozzolato in un passato che non ritorna.
Nico aprì la bocca per ammettere il suo problema, quando il figlio di Apollo lo interruppe.
«Nico, conosco perfettamente il tuo problema.» Il figlio di Ade ammutolì.
« Quando hai un pensiero negativo, bloccalo. Sostituiscilo con un pensiero felice, per quanto questo possa sembrarti stupido. Annota tutti i tuoi pensieri cattivi, così potrai avere il controllo della tua mente. Complimentati con te stesso per le tue capacità e non sottovalutarti, non hai idea di quanto tu possa essere fantastico. Sostituisci gli aspetti belli con quelli brutti, non viceversa. Non permettere agli eventi negativi di affliggerti: ricorda che si tratta solo di un singolo episodio in una catena di eventi, molti dei quali sono stati sicuramente migliori di quanti non fossero peggiori. Vai all’aperto, porca puttana! È stato dimostrato che la luce del sole svolge un ruolo importante nel ridurre la malinconia e può aiutare a superarla. Trascorri almeno trenta minuti ogni giorno sotto il sole, senza occhiali, e godi dei benefici offerti gratuitamente dalla vitamina D. Cerca di andare a dormire ogni sera allo stesso orario. Dedica del tempo da trascorrere con persone che ti trasmettono positività. Prenditi cura di un essere vivente – la pet-therapy funziona - e recupera la passione per un vecchio hobby. Rilassati e concediti dei momenti di tenerezza: Il contatto fisico, comprese le coccole e il sesso, rilasciano dei prodotti chimici nel cervello che aumentano la felicità e riducono l'ansia. E ricorda: trova delle persone nella tua vita, che siano amici o amanti, che hanno un impatto positivo su di te. Tutti questi sono ordini del dottore.»
Con queste parole, Will rispose all’ultima domanda del quesito.
 
Terminarono l’esperimento con una gravità solenne, poiché avevano condiviso emozioni, parole, immagini, suoni, qualcosa d’importante, con qualcuno con cui, molto probabilmente, tutto si era concluso lì, in quel bar alternativo.
Entrambi si guardarono negli occhi per completare l’esperimento, facendo riaffiorare l’imbarazzo che entrambi avevano condiviso nell’attimo che precede il bacio.
Nico s’immerse negli occhi blu di Will, che trafissero la mente del ragazzo: erano profondi come il cielo e la loro intensità era quasi tangibile.
I suoi occhi trattenevano le lacrime e il dolore, e il figlio di Ade desiderò che il tempo scadesse il prima possibile, che quei quattro minuti interminabili e ostici non gli facessero cambiare idea.
 
 
 
Will sapeva che l’esperimento aveva funzionato, almeno su di sé. Ma questo maledetto esperimento aveva anche lasciato rimpianto nel cuore di Will e la consapevolezza che le dinamiche amorose, che allestiamo e simuliamo arduamente, sono riassunte in trentasei domande uniformate.
Non capiva, però, perché su Nico non avesse avuto effetto l’esperimento.
Eppure a Will sembrava che qualcosa fosse cambiato per quel ragazzo in quei quarantacinque minuti, il figlio di Apollo sperava che anche Nico potesse essersi innamorato.
Uno stato di avvilimento, di profondo abbattimento morale, lo travolgeva del tutto, soffocando le trepidazioni che, fino a poco tempo fa, egli aveva ardentemente nutrito.
La sua mente si muoveva a un ritmo frenetico, eppure il suo corpo era immobilizzato da quello che era accaduto in quei quarantacinque minuti: quel ragazzo era riuscito, sorprendentemente, ad anestetizzare l’emisfero sinistro del suo cervello, e questo fu una rivelazione di sentimenti sconosciuti prima di allora.
Trattenuto dalla paura di commettere un errore, rimase fisso nella sua postazione, nel parcheggio di uno di quei bar alternativi dall’esistenza temporanea mentre osservava andar via, forse per sempre, Nico Di Angelo, che lo salutava con un cenno del capo indifferente.
 Il cielo plumbeo e minaccioso aggravava sempre più la sua sensibilità ed egli riusciva a distinguere l’odore pungente e agliaceo dell’acquazzone; una percezione morbida, pacata e umida lo rivestiva ma non lo attraversava.
Will si domandava come fosse stato possibile pensare che tutto sarebbe stato solo un esperimento sociale quando c’era di mezzo l’amore.
 
* Tratto da Stuck on the puzzle, di Alex Turner.
** Tratto da Il Sangue dell’olimpo, pagina 459.
 
 
Piccola nota dell’autrice:
La storia non si è conclusa, ovviamente.
Quindi pubblicherò un ultimo capitolo in cui scriverò l’epilogo finale.
Vi ringrazio per il supporto e vi chiedo scusa per avervi fatto aspettare tanto.
Baci,
Internettuale. 

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Capitolo 5
*** Epilogo. ***


Will stava percorrendo il bagnasciuga semideserto della spiaggia di Long Island, nel momento in cui il sole faceva capolino tra le pigre nuvole che coprivano il cielo, quando notò un uomo vestito da clown.
Egli s’incamminava, visibilmente confuso, nella direzione del figlio di Apollo, in mano due palloncini gonfiati a elio.
Mentre il ragazzo si avvicinava, notò che i due oggetti avevano disegnati sopra delle facce, e ballonzolavano in aria sopra il loro proprietario.
Will affondava i piedi nella sabbia bagnata dalla pioggia mattutina e l’aria frizzante gli pizzicava la pelle scoperta, ma tutta la sua attenzione era focalizzata sul pugno dell’uomo, che stringeva saldamente i fili intrecciati dei due palloncini: ciononostante Will temeva che uno dei due fili si slegasse e si librasse nel cielo.
Quando finalmente si raggiunsero, Will scoprì che l’uomo si era perso e gli indicò una strada per ritornare indietro.
Questo banale episodio, però, non fece che occupare la mente di Will per tutta la giornata, soprattutto quando si distese insonne nel suo letto. Egli continuava a vedere quei palloncini.
Pensava all’esperimento ormai concluso, ed era come se qualcuno avesse tagliato con delle cesoie i fili esattamente nel punto in cui erano annodati insieme. Dopo, era come se i palloncini non avessero più alcun motivo per rimanere uniti.
Era terribile, per Will, credere che niente sarebbe mai stato più come un tempo; che Nico Di Angelo non lo avrebbe più salutato con quel suo gesto indifferente di chinare il capo, che non avrebbe mai visto i suoi dipinti.
Sentì con certezza che la scomparsa dalla sua vita del figlio di Ade avrebbe mutato tutto quello che lo circondava.
Doveva fare qualcosa: non gli piaceva essere risucchiato nell’oscurità solo perché aveva a che fare con le tenebre.
 
Erano passate, all’incirca, due settimane da quando l’esperimento era terminato, e quel giorno Will decise di compiere una scelta azzardata.
«Agli dei!», enunciò Chirone, alzando il calice.
Tutti sollevarono il bicchiere, ripetendo solenni l’invocazione. Austin e Will si diressero verso il braciere di bronzo, rovesciando una porzione di cibo nelle fiamme.
«Padre», parlò sottovoce Will, «Infondimi coraggio e aiutami con Nico.»
Austin lo squadrò con sospetto. «Che ti succede, Will?»
Il ragazzo scrollò le spalle, non voleva parlarne.
Egli si sentiva solo e disconnesso dal mondo, si comportava come Nico.
Era ansioso, stressato ed emotivo: incominciava ad agire in maniera irrazionale, illogica.
I suoi fratelli mangiavano tra una chiacchiera e un sorso di Sunny D, mentre Will masticava la sua insalata con noncuranza e preoccupazione.
Poi, come se Apollo avesse udito la sua preghiera, Will si alzò e si diresse sicuro verso Nico, che sedeva solo, in disparte.
Giocava svogliatamente con il suo cibo, mentre sbuffava in silenzio.
Il figlio di Apollo pensò che molto probabilmente non si sarebbe mai accorto della presenza del giovane in passato, che sarebbe per sempre rimasto all’oscuro della sua esistenza.
S’infilò sulla panca accanto a Nico. «Che cosa vuoi, Solace?»
Will sembrava timido accanto al ragazzo, conquistato dalla sua vicinanza, e sorrideva.
Era vicino, dopo tanto tempo, a Nico. «È proibito, Solace.»
Il tono della sua voce era nervoso. «Perché sei qui?»
I ragazzi del Campo li osservavano meravigliati, bisbigliando e ridacchiando.
Chirone si schiarì la gola, il cuore di Will sussultò.
«Che cosa vuoi, Solace
Silenzio. Un altro colpo di tosse.
«Ti devo parlare.»
«Solace …»
«È importante.»
Il tempo scade.
Nico puntò il suo sguardo arrabbiato negli occhi del giovane, il volto imporporato.
Prese una mela, le tirò un morso e con un sorriso terrificante affermò: «Una mela al giorno toglie il medico di torno.»
 
La sensazione di ansia divenne prepotente, facendogli perdere la sua prontezza di spirito e il fascino che da sempre aveva posseduto. Il suo sorriso era nervoso, la risata meno naturale.
Incominciava a divenire lunatico- una montagna russa emotiva - piangeva per cose banali: teneva i suoi sentimenti imbottigliati e l’insignificante era in grado di farli scoppiare.
Rinunciò a prendersi cura di se stesso e del mondo che lo circondava, nessuna motivazione lo spingeva a compiere ciò che amava.
Era arrabbiato: con sé, con i suoi amici, con l’intero Campo Mezzosangue.
Quell’amore, nato nel giro di soli quarantacinque minuti, era aggressivo, incontenibile, contraddittorio e irriconoscente nei suoi confronti.
Nico non capiva cose stesse accadendo a Will: la sua era un’impressione, una sensazione viscerale, ma il tutto rimaneva nebuloso per lui.
Oppure semplicemente fingeva di non comprendere.
Nico doveva imparare ad ammirare il momento presente per come arrivava. Anziché continuare a interrogarsi e pianificare il suo futuro, doveva afferrare l’istante e sperimentare l’avvenire, l’incerto; meravigliarsi dei piaceri semplici dell’esistenza che aveva ignorato e disprezzato in precedenza.
Il figlio di Ade poteva spendere interi anni per imparare a vivere sul momento prima di riuscire a farlo in modo maturo, se non fosse stato per le Antesterie.
 
 
Le Antesterie sono delle feste celebrate in onore di Dioniso, che durano all’incirca tre giorni e che nella Grecia classica erano prevalentemente un omaggio al piacere del vino.
La festa iniziava ufficialmente al tramonto; durante il giorno si trasportava tutto nella zona del santuario, solo allora si onorava il dio con le prime libagioni.
In questi giorni avevano luogo anche competizioni di bevute di vino con il proprio boccale, anche i bambini e gli schiavi prendevano parte. I
In un clima di allegria domestica e di stordimento, si sviluppava un secondo aspetto, più tenebroso: il tema dell’infestazione.
Si diceva che in questi giorni i fantasmi popolassero le città, spiriti chiamati dai Cari, considerati gli antichi dimoranti dell'Attica. Perciò, per proteggersi, cospargevano le porte di pece, si compravano rametti di biancospino per proteggersi dai fantasmi ma soprattutto tutti i templi erano chiusi, tutti i santuari bloccati; durante questo giorno si usavano maschere ed erano allestiti dei cortei con dei carri.
Chirone, non volendo vedere i suoi semidei ubriachi, decise saggiamente di utilizzare del vino analcolico, anche se questo turbò evidentemente il Signor D.
Così i semidei iniziarono a cospargere le porte delle loro cabine con la pece, raccolsero rami di biancospino e realizzarono dei costumi per l’evento.
Il crepuscolo annunciò il loro arrivo nell’anfiteatro del Campo, dove l’aroma ricco e complesso del vino si mescolava all’intenso, soave e dolcissimo profumo dei fiori di biancospino.
Un tappeto di foglie lobate ricopriva la pavimentazione e fiori bianchi con antere rosse, raggruppati in corimbi, abbellivano l’ambiente; alberi glabri, lisci e di colore bruno-grigiastro circondavano l’anfiteatro, donandogli quell’atmosfera arcana e incantata tipica delle foreste.
Botti di legno facevano scorrere fiumi color rosso sangue, mentre i figli di Apollo suonavano e intonavano varie canzoni, la più cantata era Chandelier di Sia, e ogni semidio era irriconoscibile con la sua maschera occultatrice.
La presenza del vino analcolico aveva spento, però, l’atmosfera: la maggior parte dei mezzosangue desiderava eccedere.
Con immensa gioia, i loro desideri furono realizzati dai figli di Dioniso che resero il tutto molto più effervescente e vivace, aggiungendo, con l’aiuto dei figli di Hermes, furtivamente dell’alcool.
Nico era astemio e, dopo due abbondanti bicchieri di vino, riconobbe a se stesso di essere brillo: i suoi sensi inibitori erano andati a farsi una passeggiata e la sua unica consolazione era la maschera raccapricciante che lo avvolgeva e nascondeva.
La musica ad alto volume ricopriva le voci dei campeggiatori e le luci intermittenti confondevano ancora di più Nico, che si sentiva isolato ed escluso.
Decise, allora, di evocare uno scheletro con cui intrattenersi in pista, una scelta che non avrebbe mai fatto da sobrio.
Trascinò il morto al centro dell’area ma questo non aveva la minima intenzione di dimenarsi con il ragazzo, pertanto Nico esordì con una serie d’insulti- urlati con un tono della voce altissimo- e cominciò a gesticolare furiosamente.
La carcassa, visibilmente offesa, stava per rincasare nell’Ade, ciò nonostante Nico si fiondò su di lui e lo colpì con energia, suscitando il riso di chi lo fissava.
Uno spettacolo ben allestito, che il figlio di Apollo osservò con divertimento finché non si rese conto di chi si celasse sotto quel costume, quando gli occhi persi, tristi e sfuggenti di Nico Di Angelo si posarono in quelli del ragazzo con insistenza, turbando intimamente Will.
Il figlio di Apollo non amava molto bere, riteneva saggiamente che l’alcool non fosse uno strumento per divertirsi, che ci fossero altri mille modi nel mondo per svagarsi.
Inoltre reggeva l’alcool in una maniera impressionante, infatti, tre bicchieri di vino lo resero leggermente brillo: era cosciente di ciò che stava accadendo, si sentita solo lievemente più libero.
Dopo aver assistito alla commedia di Nico, si trasformò in una creatura ancor più triste e pensierosa. Si sedette su una gradinata dell’anfiteatro e osservò con distacco la festa, rimuginando sul ragazzo tenebroso.
Contrariamente da come si potrebbe credere, Nico era uno di quegli ubriachi affettuosi e allegri, leggermente arrabbiati per essere stati rifiutati da un morto.
Iniziò a cantare con trasporto una canzone italiana, mentre in molti lo osservavano sorpresi, con gli occhi sgranati e in silenzio: qualcuno aveva persino pensato di abbassare il volume delle casse.
La melodia della canzone, che ricordava molto gli anni quaranta, svegliò Will dal suo stato di demoralizzazione attuale. 
 
* Non dimenticar le mie parole,
caro tu non sai cos'è l'amor,
è una cosa bella come il sole,
più del sole dà calor.

Scende lentamente nelle vene
e pian piano giunge fino al cuor,
nascono così le prime pene
con i primi sogni d'or.

Ogni cuore innamorato
si tormenta sempre più,
tu che ancor non hai amato
forse non mi sai capire, tu.

Non dimenticar le mie parole,
caro t'amo tanto, da morir,
tu per me sei forse più del sole,
non mi fare mai soffrir.

Ma io t'ho sempre amata
come amar non so di più,
tu però sei tanto ingrata
forse non mi sai capir tu.

Nico possedeva una voce intonata, calda e armoniosa, che per qualche istante riuscì ad affascinare chiunque lo stesse ascoltando in quel momento, ma quell’attimo di meraviglia si frantumò in mille pezzi, quando il ragazzo stramazzò al suolo, di faccia per terra.
Le risate dei campeggiatori riecheggiavano in modo ovattato nella testa di Will, che focalizzò tutta la sua attenzione e apprensione nella direzione del figlio di Ade, che si sollevava a rilento e rideva di sé con gli altri semidei.
Il suo sguardo era vuoto, vitreo e perso, come il suo cervello in quel momento: Nico non riusciva a reggersi saldamente su due piedi, barcollava e si dimenava sgraziatamente, era oltremodo confuso e stupido.
Will, in quel momento, pensò che Nico fosse sciocco, insignificante e sgradevole; lo riteneva più intelligente, profondo e maturo.
 
Dunque il ragazzo, impossessato da una delusione non comune, decise di incamminarsi verso la strada che conduceva alla spiaggia, sperando che questa fosse aperta e che non ci fosse nessuna arpia nei paraggi.
L’aria pungente gli procurò alcuni brividi e il cielo, pieno e risplendente di stelle, lo osservava e lo proteggeva, abbracciandolo.
Il figlio di Apollo avvertì qualche rumore e, confidando nel suo istinto da semidio costantemente in pericolo, prese la prima pietra che si ritrovò al cospetto e decise di usarla come arma per difendersi da un eventuale attacco di un mostro.
Avanzò silenziosamente in direzione degli strepiti e ciò che vide scatenò in lui una tempesta di emozioni contrastanti.
Il figlio di Ade, spogliatosi del suo costume – quindi seminudo e privo di alcuna maschera- tentava con determinazione di scavalcare il cancello ornato da frecce appuntite, che miravano verso la cupola stellata.
Will corse, senza un minimo di esitazione, verso l’ubriaco; guidato, più che altro, dal suo istinto medico che da un romanticismo forzato.
Afferrò con forza le caviglie di Nico, che iniziò ad agitarsi e a scalciare, e tentò in tutti modi di impedire la sua scalata verso una lesione grave o, perfino, la morte.
Il salvatore riuscì ad afferrare la sua vita, stringendo il braccio in tensione muscolare contro la pelle nuda e gelida dei fianchi dell’ebbro ragazzo.
Lo spinse, ubriaco di rabbia e senza sforzo, contro il pavimento ricoperto di sabbia: sentiva l’irritazione, la delusione e l’apprensione crescergli nel petto ed esplodere.
«Cosa ti è preso, Di Angelo?». Il tono della sua voce era abbastanza alto.
Nico si allontanò da Will, con disprezzo. «Non mi trattare come un bambino. Non lo sono.»
«Sei un immaturo, cazzo, ecco cosa sei.»
«Smettila di far finta di preoccuparti o di provarci. Non ho bisogno del tuo aiuto né dell’aiuto di nessun altro.»
«Potevi farti male.»
«Non sarebbe accaduto. Smettila di trattarmi così
 «Io mi preoccupo per te, ingrato del cazzo!».
Stava usando troppe parole volgari. Stava alzando troppo il tono della voce. Stava esagerando.
«Ti ho detto che sto bene. Puoi andare via adesso?»
Will ignorò la richiesta di Nico. «Che cosa volevi fare? Romperti la testa? Morire?»
«Mandarti a ‘fanculo. Ecco cosa voglio fare.»
Il figlio di Apollo si avvicina con calma al ragazzo, poggia la mano sinistra tremante sulla sua spalla e lo colpisce con forza sulla guancia destra.
L’impronta della sua mano è un segno che Will vorrebbe cancellare immediatamente.
Gli occhi spenti e vuoti di Nico si riempirono di lacrime colme di dolore e amarezza: non riusciva a concepire perché il figlio di Apollo lo avesse percosso.
Assalì con lo sguardo i sentimenti del suo salvatore, il quale, all'istante, si sentì trafitto dalle mille frecce che ornavano il cancello alle sue spalle, che miravano tutte al suo cuore.
I sensi di colpa lo fecero crollare sulle sue ginocchia e la consapevolezza di aver errato lo colpì, con la stessa energia con cui lui aveva ferito Nico, sul volto, causando il pianto del ragazzo.
Ma la rabbia e la delusione erano ancora lì nel suo petto e bastava poco per far in modo che la bomba fosse detonata.
Per gradi, Nico sentì l’effetto dell’alcol svanire, grazie al dolore, allo sconforto e al volto preoccupato e sofferente di Will.
Avvertì un conato di vomito e il figlio di Apollo lo aiutò a sollevarsi.
Will tirò su col naso. « Resisti.»
Procedettero celermente verso i bagni del Campo e il figlio di Ade lì rigettò buona parte di tutto quello che aveva ingerito.
Rimase lì per un'altra mezzora e aspettò, paziente, il ragazzo, che rimetteva l’anima.
Quando finalmente i conati parvero attenuarsi, Will aiutò Nico a lavarsi, gli prestò il suo costume, per proteggerlo dal freddo della notte, e gli riempì tantissimi bicchieri d’acqua, per reidratare l’organismo.
Il figlio di Apollo lo soccorse con persistenza e bontà, sperando che Nico potesse rimettersi presto.
Lo guidò alla cabina di Ade e lo posò sul suo letto, aprì le finestre per ventilare la stanza e posò un lenzuolo sul corpo gracile e debole del ragazzo.
Gli accarezzò i capelli corvini, tentando di trattenere le lacrime: si era preoccupato più del dovuto, aveva assunto un comportamento esasperante ed eccessivo agli occhi di Nico.
Si guardò intorno per ammirare la stanza e ritrovò quei dipinti che Nico celava con apprensione: erano fatti veramente bene e rimase ad osservarli lì per un po’, cercando il suo volto in una tela.
L’unica cosa familiare che riconobbe fu la sala del bar dove si incontrarono per l’esperimento; sorrise, malinconico.
Nico sussurrò qualcosa, fiaccamente. « Non è meraviglioso, eh?»
Il figlio di Ade aveva indicato il cielo buio, cupo e tenebroso, reso sorprendente dalle piccole sfere luminose ammiccanti.   
«Già, lo è.»
«Grazie, Will.»
Il ragazzo rimase in silenzio.
«Io da oggi voglio vivere. Mi aiuterai?»
 
Will raggiunse i suoi amici in spiaggia, i quali potevano essere sia brilli sia felici, il ragazzo non trovava differenze.
Si poggiò silenziosamente su una brandina e continuò ad ammirare quel cielo meraviglioso, domandosi il perché di tutto quel dolore.
Io, da oggi, voglio vivere. Mi aiuterai?
Come aveva potuto minimamente pensare che ubriacarsi lo avrebbe reso vivo?
L’immagine di Nico in preda alla confusione mentale sfiorò la sua mente: il suo volto devastato dal voltastomaco, la risata inespressiva e gli occhi spenti, opachi, che ammiravano senza sentimento il volto di Will; la sua muta richiesta di aiuto e la sua incapacità nello stare in piedi e nel parlare.
L’alcol è confusione mentale, nausea, spossatezza; è qualcosa che ti permette di esistere un solo istante e poi ti demolisce del tutto. 
L’alcol è dipendenza. Non è libertà, benessere o piacere.
Will poteva capire l’essere leggermente brilli, ma ridursi in quel modo era per lui inconcepibile.
«Will, sei particolarmente silenzioso oggi. Che ti è successo?», domandò Austin, curioso.
Il ragazzo si limitò ad alzare le spalle.
Ripresero a parlare di un argomento che interessava loro molto e Will percepì solo qualche frase.
«La parte che più mi piace di Austin è il suo sorriso.», asserì allegra una figlia di Dioniso. Il ragazzo la ringraziò, imbarazzato.
Tutti posarono il loro sguardo su Will.
«Qual è la parte di Will che più vi piace?»
Il silenzio calò, sorprendentemente.
Will si sarebbe aspettato una serie di complimenti infiniti, data la sua somiglianza concreta con il padre, ma l’invidia riuscì ad azzittire i semidei e a rendere ancora più sconfortato il ragazzo.
Austin azzardò con un: «… Il suo naso?»
Will si sentì punto nell’orgoglio e stava quasi per rispondere ai suoi amici con irritazione, quando un’immagine gli sfiorò la mente: Nico di Angelo che non la smetteva di elencare tutte le caratteristiche che gli piacevano di lui- in nessuna di queste, però, c’era il suo naso.
Allora in quel preciso momento, il ragazzo comprese che era seriamente innamorato del figlio di Ade.
E che se non fosse stato per l’esperimento, si sarebbero comunque incontrati e Will si sarebbe in ogni caso invaghito di Nico.
E trovava tutto questo meraviglioso: sentirsi destinato e appartenete a qualcuno, rendersi conto di essere prigioniero di un’emozione che riesce ad abbatterti e risollevarti in un niente, avere coscienza del fatto che si è pervasi di passione e di sentimenti travolgenti.
Will era attratto, coinvolto, pieno di ammirazione e di meraviglia: viveva d’amore.
Ecco, allora, che arrivò la giustificazione al suo dolore e percepì lo splendore della distesa infinita e gelida della sabbia, la bellezza sconfinata di un mare che travolge e rilassa, ravviva e sopprime!
Doveva insegnare a Nico la vera libertà, il vero benessere e il vero piacere.
Avrebbe compiuto di tutto, qualunque cosa, per far in modo che anche Nico potesse apprezzare tutto questo, che anch’egli potesse vivere d’amore!
 
Un conato di vomito destò Nico dal suo sonno, il quale ritrovò accanto al suo letto una bacinella in cui rigettò tutto.
Si domandò chi mai avesse posto lì l’oggetto, quando l’immagine di due occhi azzurri preoccupati travolse la sua mente.
«Oh, merda! Merda, merda.»
Non ricordava perfettamente, e soprattutto in ordine cronologico, cosa fosse avvenuto in quella serata, ma nella sua mente risplendeva l’immagine di Solace che gli accarezzava il volto e lo soccorreva.
Ma non furono quei dolci ricordi a far imprecare il giovane semidio, bensì le parole dure che gli aveva rivolto a un certo punto della festa.
In quei giorni passati lontani da lui, Nico fingeva di essersi dimenticato di quanto fosse perfetto quel ragazzo.
Più pensava a lui, più i ricordi riaffioravano nella sua mente e più si convinceva del fatto che Will meritasse delle scuse.
Il suo tormentarsi in merito era la conferma del suo amore velato nei confronti del figlio di Apollo.
Era difficile ammetterlo, eppure doveva accettarla come una verità assoluta.
Si era convinto che Will non lo avrebbe abbandonato, non si sarebbe allontanato da lui.
Aveva compreso che quell’esperimento non era solo un’illusione, che Will combaciava all’idea che Nico si era fatto di lui.
In quel periodo, in cui il ragazzo aveva cercato di ignorarlo, aveva imparato ad amare se stesso e il proprio corpo: non aveva più tanta paura della sua sessualità.
Non era ancora totalmente in grado di saper gestire i suoi impulsi e le sue emozioni, ma era certo che Will lo avrebbe sostenuto, senza sosta.
In quell’istante, il figlio di Ade racchiudeva in sé il significato del saper cogliere l’attimo e stava giusto per metterlo in pratica.
I terrori, le angosce e i timori che tormentavano la mente del ragazzo e la imprigionavano nella loro stretta letale si erano dissolti, lasciando spazio e libertà, temporaneamente, al coraggio, al sollievo e alla speranza.
 
I campeggiatori che osservarono - per almeno cinque giorni - la scena dall’esterno, non poterono che sorprendersi e divertirsi gratuitamente.
Da sempre la mente umana è un variegato di contraddizioni, timidezza e coraggio, ciò non fa che rendere ancora più contorta la nostra esistenza; in particolar modo rese ancor più difficile e confuso il rapporto amoroso tra i due semidei.
Nico desiderava enormemente rivelare i propri sentimenti a Will ma - ahimè!- il giovane soffriva troppo d’amore per essere abbastanza riflessivo e coerente riguardo quest’argomento, nonostante si fosse ripromesso più volte di riferire i propri sentimenti.
Mille pensieri sconclusionati occupavano la sua mente, come: “Proverà ancora qualcosa per me, nonostante sia passato tanto tempo?”
Così si limitava a sedere, ogni giorno, sulle gradinate dell’infermeria e, quando Will stava per finire il suo turno, si alzava e se ne andava, deciso a rimandare il momento delle sue scuse, e dalla sua appassionata confessione, al giorno successivo.
D’altro canto potremmo accusare anche Will di vigliaccheria, il quale aveva garantito a se stesso di insegnare a Nico ad amare la vita, a viver d’amore.
Ma vi sfido a confessare il vostro interesse a un ragazzo che pare in soggezione di fronte a voi o che assume un’aria menefreghista nei vostri confronti; o che pare non incoraggiarvi comportandosi in maniera seria e silenziosa.
O che mangia una mela per scacciarvi.
I due poveri disgraziati erano, dunque, l’uno all’oscuro delle intenzioni dell’atro!
Se non fosse stato per i semidei notevolmente interessati a questa faccenda, i ragazzi avrebbero continuato per mesi in questo modo, finché uno dei due non si fosse nuovamente innamorato di un altro o si fosse snervato dell’intera questione.
Quindi, sei giorni dopo l’incidente dell’alcol, un amico di Will decise di fargli notare, con falsa indifferenza, che Nico Di Angelo “Sta sempre seduto davanti all'infermeria e se ne va poco prima che tu finisca il turno, come se dovesse dirti qualcosa ma non ci riuscisse.”
Will ci meditò su e arrivò alla conclusione che quel suo atteggiamento qualcosa doveva pur dimostrare: voler chiarire, voler ritornare amici o voler scusarsi.
 
Decise, il mercoledì successivo, di finire il turno un’ora prima e così fece.
Quando aprì la porta dell’infermeria, con il suo camice verde e i riccioli biondi spettinati, Nico sobbalzò per la sorpresa e lo spavento, rivelando la propria inquietudine al ragazzo.
Will, prendendo dal suo animo tutta l’audacia che possedeva, occupò posto accanto al figlio di Ade, su un gradino sporco e levigato dal tempo.
Erano le sette di sera, il sole svaniva senza fretta per cedere il posto all’oscurità e le mani di Nico sudavano per l’ansia.
L’immensa e sgargiante foresta incontrava i loro occhi, dando loro l’idea di forza, robustezza e smisurata gioia.
L’infuocato tramonto riaccendeva il loro tormento e la loro sofferenza e accelerava il battito dei loro cuori.
Un insieme di verde, arancio, rosa e azzurro circondava le loro figure timidamente, infondendo loro nervosismo e serenità - notevolmente due sensazioni contrastanti.
L’inebriante e pungente odore degli alberi abbracciava i loro sensi, leggermente distratti dai chiassosi e melodiosi rumori della vita al Campo.
Il caldo appiccicoso incollò i capelli corvini di Nico alla sua fronte fredda, che egli discostò seccamente con la mano tremante.
Will intavolò una conversazione sul più e sul meno con il semidio, dando inizio a una carrellata di sorrisi teneri, parole dette con troppa veemenza e sguardi presi d’amore: nulla mancava alla descrizione della sindrome d’innamoramento, tranne la verità.
Nico imprigionò il suo sguardo sul volto di Will: nonostante la sua dentatura non fosse perfetta - possedeva uno spazio leggero tra i due incisivi - reputava il suo sorriso oggetto di una meritata e degna contemplazione, poiché capace di appagare l’animo e i sensi.
Le orecchie erano a sventola, ma arrossivano per la vicinanza con il figlio di Ade, i capelli biondi parevano ramati grazie alla sfera infuocata e gli occhi azzurri erano fissi su di lui, attraversando il suo cuore come una specie di melodia armoniosa.
Era il momento giusto, lo sapevano entrambi.
«Sei stato tu a tagliare il mio nervo frenico? Perché mi hai tolto il fiato.»
Pronunciò quelle parole come se fossero una battuta, nonostante fossero un modo per rompere il ghiaccio e dare inizio a una conversazione più profonda.
«Forse dovrei darti una respirazione bocca a bocca per far in modo che i tuoi parametri vitali ritornino normali.»
«Eri tu quello che doveva arrossire, non io!», replicò il figlio di Apollo, con gli occhi sbarrati per la risposta inaspettata e accogliendo la frase con una risata. «Però … mi piace questo tuo contrastarmi.»
«Volevo scusarmi con te per quella sera. Non volevo ridurmi così.»
Il figlio di Apollo alzò le spalle e accettò le sue scuse, facendogli promettere che non si sarebbe più ubriacato in quel modo.
«Credo che, comunque, si sia capito.», asserì con calma Will.
Nico rispose con un sopracciglio alzato. «Cosa si è capito?»
«Dire che mi piaci sminuirebbe l’intera storia. Provo qualcosa di molto simile all’amore, ed è così evidente che mi vergogno un po’ nel confessartelo.»
«Provo lo stesso per te, non so come tu abbia fatto a non accorgertene.»
«Eri sempre serio con me! Sembrava che volessi uccidermi.», ribatté con entusiasmo il ragazzo.
«Beh, a volte lo volevo veramente.»
Nico posò la mano sudata, calda - per la prima volta viva - su quella di Will, mentre un sorriso comunicava al mondo il suo attuale stato di letizia, luce e luminosità.
 
Fine.
 
* Emilio Livi – Non dimenticar le mie parole.
 
Piccola nota dell’autrice:
 
Ringrazio tutti vivamente per aver seguito la mia storia ed aver avuto pazienza, visto l’aggiornamento molto lento.
Ringrazio chiunque abbia recensito – le vostre recensioni mi riempiono di gioia – e chiunque abbia messo la storia tra le preferite, le seguite o le ricordate: mi rendete così contenta e appagata.
Ovviamente il sogno di ogni autore è quello di poter essere acclamato e lusingato, ma io mi limiterò a chiedervi, con gentilezza, di consigliare questa storia. Quanta vanità in queste parole, no?
 
Grazie di cuore! A una nuova storia.
 
Baci, Internettuale.   

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