Pensieri di una squilibrata

di Vampilica
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una giornata a Milano ***
Capitolo 2: *** Spirito natalizio cercasi ***
Capitolo 3: *** Il restauro ***
Capitolo 4: *** Studio matto e disperato ***



Capitolo 1
*** Una giornata a Milano ***


Giornata a Milano
 
Sveglia alle 5.30 di mattina. Spalanco gli occhi e spengo quella musichetta infernale del cellulare. Come ogni giorno mi riprometto di cercare una sveglia decente, che magari intona una bella canzone briosa e piena di energia stimolante. Invece no, quella canzoncina idiota mi fa solo venir voglia di rotolarmi sotto le coperte e continuare a sbavare sul cuscino come facevo un attimo prima. Poi in un batter d’occhio ci ripenso, ricordandomi tutte le mie responsabilità che consistono nell’unico fatto di aver speso 700 euro per andare all’università. Che cazzo di idea. Allora scendo giù dalla scaletta del letto a castello e per poco non mi ammazzo, per via dei muscoli ancora flosci e dormienti. Ebbene sì. Io a vent’anni dormo ancora sul letto a castello. Uno dei difettucci della mia cazzutissima vita. Mi avvio in bagno faccio quel che devo fare, mi lavo, mi vesto, tento di mettermi il mascara e mi macchio le palpebre di nero. Truccarmi non è mai stato il mio forte, ma come dicono mia madre e mia sorella “E’ ora che ti dai un contegno”. Senza mascara spavento i bambini per strada. Quella roba appiccicosa sulle ciglia a quanto pare fa una bella differenza. Insomma dopo essermi data un filo di “contegno”, faccio colazione. Tazzone enorme al grado massimo con un filo di caffè e tanto latte fino al bordo. Dio che goduria. Poi rovisto nella credenza. Che palle non c’è niente di sfizioso. Agguanto una brioche all’albicocca dopo aver scartato quella vuota. E’ morbida e la marmellata è buona, ma finisce troppo in fretta. Prendo dei cracker, un’insalata già pronta e la bottiglietta d’acqua come pranzo al sacco. Poi mi fermo davanti alla credenza. Devo decidere in fretta. Mi sta chiamando la sento. “Vaffanculo!” dico ad alta voce e poi apro l’armadio e prendo la brioche vuota che avevo scartato. Esco di casa e l’azzanno come se fosse la prima cosa che mangiassi dopo mesi. Dio non sono normale.
Passeggio veloce, devo camminare un bel po’ per arrivare in fermata. Ebbene sì per andare a Milano prendo il pullman. A quanto pare va di moda andarci in treno. Io invece non sono alla moda, quindi prendo il bus per ripicca. In realtà non so come arrivare in stazione visto che non ho la macchina. Quindi alle 6.24 in punto salgo sul pullman e mi stampo il sorriso più sincero che ho in repertorio dicendo “Buongiorno” (con tanto brio) al conducente. Quello manco alza lo sguardo e borbotta qualcosa chiudendo le porte dietro di me. Che cafone. Mi siedo al solito posto, e guardo fuori dal finestrino. Non che ci sia molto da vedere. E’ ancora buio, la campagna è rivestita di nebbia, si vede poca gente in giro. Passiamo davanti a due paesi senza che nessuno salga sul bus, poi ad un tratto la luce invade il cielo e le persone invadono il pullman. La maggior parte è formata da scolari delle superiori. Ce n’è uno che sale tutti i giorni e parla con una ragazza tutto il contrario di lui. Insomma lui porta gli occhiali, ha tanti brufoli e una voce da “So-tutto-io”, tipico ragazzo NERD. Lei invece carina, ben curata, con qualche piercing. Mi chiedo che ci facciano loro due assieme. Ma è da un po’ che li trovo carini. Insomma una ragazza che caga un Nerd rompi balle. C’è qualcosa di più romantico? Dio se sono figlia di una società piena di pregiudizi.
Passano quaranta lentissimi minuti, in cui mi ripeto di non vomitare. Ho sempre sofferto di macchina, e ho scoperto da poco di soffrire anche il pullman. Mi scordo ogni mattina di non farmi tutto quel latte. Mannaggia. Tutta colpa di quei cazzo di conducenti che alle curve, alle rotonde e ai dossi vanno veloci; mentre sul rettilineo vanno pianissimo. Che rabbia. Insomma dopo le montagne russe arrivo alla prima stazione con la metro. Alleluia fratelli. Tutti vanno di corsa, si ammazzano per passare per primi e io tranquilla mi faccio le scale, e prendo il posto sulla banchina per entrare prima di tutti a sedermi. Quanto sono malvagia. Mi guardo a fianco per vedere con chi devo competere i posti liberi. A destra ho un gigante, un uomo sulla trentina. Sembra in forma, ma ha la ventiquattrore e sta leggendo il giornale mentre attendiamo il treno. Una bazzecola. A sinistra ho una ragazzina di forse dieci anni, con capelli lunghi sciolti che le coprono il viso e zaino in spalla. Perderà sicuramente tempo a spostarsi quella tenda dalla faccia. Allora oggi mi siedo!. Mi cancello quel pensiero dalla testa. Non si deve mai e poi mai essere felici per qualcosa che ancora non si ha. E’ una regola che mi sono imposta. Eccolo arriva il treno. Si aprono le porte. Quello a sinistra sta ancora chiudendo il giornale, quella a destra si leva i capelli dalla faccia. Entro, velocizzo il passo adocchiando il posto libero più esterno. Ed eccomi seduta!. Esulto, mi vien voglia di alzarmi e ballare. Sento nelle orecchie il pubblico che mi acclama. Sì ce l’ho fatta! Alzo le mani ai mie fan come una vera vincitrice. E poi..
“Scusi signorina, posso sedermi?”
 La vecchiettina malandata di turno. Un po’ incurvata con gli occhi dolci e gentili. “Ma certo” rispondo io senza pensarci. Mi alzo le lascio il posto. CAZZO. Mi appoggio alle porte chiuse e mi consolo dicendomi che sicuramente il karma mi premierà per la mia buona azione. Poi guardo la vecchiettina bella comoda sul posto che mi ero guadagnata. E a quel punto mi sembra meno curva e il suo viso è più giovane. Poi vedo i suoi polpacci forti e i piedi robusti abbastanza per reggerla mentre sta in piedi. La fisso incredula mentre apre il giornale, soddisfatta del suo posticino. Allora socchiudo gli occhi mandandole lo sguardo più fulminante che conosco. Bastarda. Distraggo la rabbia fissando la gente del treno. Una signora di mezza età è seduta in mezzo ad altre due che stanno sbirciando il libro che sta leggendo. Strabuzzo un attimo gli occhi per vedere il titolo. “Cinquanta sfumature di grigio”. Oh santi numi. Se lo leggono quelle signore, forse è ora che una lettrice affamata come me, lo legga. Ma le cose tanto porche non mi piacciono. A meno che le abbia scritte io. Rido maligna nella mia testa. Diciamo che mi diletto nella scrittura, non che mi riesca troppo bene. Mi manca ancora quella particella individuale, che hanno gli autori stimati. Anche se ormai la lettura del libro è diventata commerciale. Che sacrilegio. Siamo nell’era del vampiro. Anche se credo che tra poco grazie a “Cinquanta sfumature di grigio” entreremo nell’era del porno libro. Ora pure i libri si leggono per moda. Allora leggerò quel libro, solo quando non sarà più letto dalle signore in menopausa poco soddisfatte dei loro mariti ormai impotenti. O lo leggerò quando sarò una di loro. A quel pensiero mi vengono i brividi. Volto lo sguardo da un’altra parte. Una signora che si sta limando le unghie. Cosa che potrebbe fare a casa sua. E poi tutti o leggono o stanno al cellulare. Poca gente che chiacchiera col vicino. No proprio nessuno. E’ un po’ triste. Mi metto a leggere la copertina del giornale che tiene in mano uno che mi sta vicino. Cronaca, cronaca e che palle. Chissà se c’è il cruciverba.
Finalmente dopo venti minuti sono a Duomo. Da quando non è più ricoperto da ponteggi e cartelloni pubblicitari, devo proprio ammettere che è un capolavoro. Nessuno lo può negare. Agguanto il giornale gratis e salgo in superficie. Cammino e fisso le statue che decorano la chiesa. Cerco di memorizzarle, ma sono troppe. Attraverso la piazza, passando davanti all’entrata già sorvegliata da cinque militari in divisa mimetica. Dio se non li sopporto. Mi guardano. Ormai è un mese che li vedo e loro mi vedono, a me quasi viene d’istinto di salutarli, ma poi mi impongo il silenzio. Anche perché li trovo davvero antipatici. Ti guardano come se fossero i capi del mondo solo perché indossano una divisa verde. Continuo il mio percorso fino ad arrivare al tram che mi porta all’università. Mi distraggo leggendo il giornale. E cerco le soluzioni del cruciverba. Cazzo se è difficile. Finalmente arrivo all’università e passo una lunga giornata ad ascoltare lezioni interessanti, a parlare con delle ragazze che sono riuscita a conoscere, a fissare il vuoto e ripetermi di aver fatto la scelta più idiota di tutta la mia vita. Solo qualche mese prima, ero in un posto lontano ed ero felice nel pieno dell’ispirazione. Forse avrei scritto un nuovo libro che avrebbe segnato una nuova era. Mi ritrovo invece nella “Bella Italia”, paese che per quanto mi abbia visto nascere e crescere, mi sembra del tutto inadatto alla mia persona. C’è chi si sente nato nel corpo sbagliato, nella famiglia sbagliata, io mi sento nata nel posto sbagliato. Potrei anche aggiungere la famiglia. Ma mi accontento. D’altro canto nulla è perfetto nella vita e da soli bisogna cercare di perfezionarla. Il mio intento è quello di andare in un posto lontano e incontrare la mia famiglia durante le festività. Sono sicura che ci vorremmo molto più bene. Ne sono sicura anche perché l’ho già sperimentato. Durante le ore di pausa riesco a studiare un po’, poi vado all’ultima lezione e finalmente alle 18.05 il professore dice quel “ci vediamo domani” che mi autorizza a correre fino alla fermata del tram. Cerco di uscire il prima possibile, per non beccare il pienone. Ma non mi riesce mai. Tutte le persone che erano a lezione con me riescono a prendere il mio stesso tram. Che palle. Allora mentre la gente chiacchiera, io li fisso. E mi viene l’idea di accoppiare i ragazzi tra di loro. Nella mia facoltà sono tanti i gay, e si esprimono in tutta libertà e senza paura. E questa cosa mi piace un sacco. Ma sono convinta che la maggior parte di loro sia single. Ce ne sono due in particolare che mi hanno colpito. Uno vestito un po’ alla anni ottanta con i capelli biondi e ricci e un altro più piccolo di età, ma molto alto e magro, che si veste molto meglio di me. Loro due farebbero una coppia perfetta. Cerco di tenermi in equilibrio ad ogni frenata brusca del tram, ma sono completamente imbranata. Schiaccio il piede ad un tizio e vado addosso ad una signora. Eppure mi tenevo ad una sbarra con tutte e due le mani. Mistero. Arrivati a Duomo scendo e aumento il passo. Devo attraversare tutta la piazza per entrare in metro. E le distrazioni sono da ogni parte. Extra-comunitari che per vivere lanciano degli aggeggi blu nell’aria, che cercano di venderti, la chiesa illuminata dai lampioni, i turisti che ammirano la sera romantica. E i piccioni. Non esiste un animale più obbrobrioso. Svolazzano sopra la mia testa e io alzo gli occhi per controllare che non siano sulla mia stessa traiettoria, prima che mi lancino in volo qualche macchia bianca schifosa. Poi ci sono quelli a terra grassi, che beccano tra le fughe del pavimento per prendere quelle briciole incastrate, che nessun altro essere grigio come loro era riuscito a raggiungere. Ma i peggiori sono quelli che ti guardano mentre cammini veloce, e strabuzzano gli occhi fetenti, sicuri che hai qualcosa da mangiare. Mi metto a correre per qualche tratto, finché finalmente scendo giù dalle scale e scompaio negli anfratti sotterranei. Più che altro mi sommo alla massa di pendolari, studenti e esseri inutili che vanno a fare shopping. Tutti in fila per beccarsi il posto a sedere. Tutti ammassati sulla stessa linea per saltare sul treno e sedersi. Io neanche ci provo. Voglio solo andarmene a casa. Quindi salgo sul treno e mi appoggio alla parete senza dare fastidio a nessuno. Cerco di perdermi nei miei pensieri, ma vengo fermata da una discussione tra due signore.
“No, ma è un uomo per bene, c’è da fidarsi”
“Ah sì? E lo hai conosciuto su facebook?
“No, su un sito apposta. E’ anche controllato bene”
“Ah sì? E vi rivedrete?”
“Sì certo questa sera”
“Quasi, quasi mi iscrivo pure io su questo sito”
Le guardo, cercando di non farmi notare. Avrò sicuramente gli occhi spalancati. Mi do un contegno. Dio o chiunque decida le sorti di questo mondo di merda, fai in modo che io mai e poi mai sia così disperata da rivolgermi ad un sito internet per trovare un uomo. Non ho niente contro gli incontri su internet, davvero. Ma non per me. Ma poi chi se ne frega di sti cazzo di uomini. La stanchezza mi assale tutta di un colpo. Allora controllo l’orologio per essere sicura di prendere il pullman in orario, poi fisso il cartello con le fermate e inizio il conto alla rovescia. Ne mancano ancora 5..4..3.. il treno si svuota pian piano ..2..1.. Mi preparo davanti alle porte. Poi il treno si ferma e io mi fiondo sulle scale ed esco dalla metro, corro fino alla fermata dove il bus è già arrivato e finalmente ci salgo sopra e trovo addirittura un posto libero! Che soddisfazione. Poi ci ripenso. In realtà sul pullman trovo sempre un posto libero. Sbuffo, perché non è poi chissà che soddisfazione. Mi rilasso sul sedile e penso che potrei studiare, ma boccio l’idea perché soffro troppo il pullman. Potrei ricordare cosa ho studiato, ma sono troppo stanca. Potrei chiudere un po’ gli occhi così da avere la forza necessaria per mangiare quando arrivo a casa, ma ho paura di addormentarmi. E che palle non posso fare niente. Allora passo il tragitto a fissare fuori dal finestrino, cercando di ignorare i dossi e le curve veloci. Finché rimango da sola sul bus, e finalmente arriva la mia fermata. Sono le 19.50. Questa è la sera in cui andrò a letto presto. Cammino per le strade deserte del mio paese del cavolo, illuminate solo da qualche lampione ancora sano. E’ buio pesto, mi potrebbero rapire, violentare o uccidere e nessuno si accorgerebbe di nulla. Velocizzo il passo e mi dico che non c’è proprio nessuno, neanche maniaci assassini o serial killer. Poi finalmente sono a casa. Rispondo con qualche parola ai convenevoli dei miei genitori, e ingoio la mia cena guardando C.S.I. Poi posso andarmene a letto. Mi metto il pigiama e mi infilo sotto le coperte. Sono le 21.00 quando sono finalmente al calduccio e sdraiata sul materasso comodo, mi viene in mente che.. ho sete, devo fare la pipì, mi devo struccare, lavare i denti, preparare i vestiti per il giorno dopo,e soprattutto mettere la sveglia alle 5.30. Fanculo. Mi rialzo e faccio quello che devo fare, distraendomi vedendo qualche brufolo pronto per essere strapazzato. Poi guardo l’orologio. Sono le 10.45. Cazzo. Meno male che dovevo andare a letto presto.
 

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Capitolo 2
*** Spirito natalizio cercasi ***


Spirito natalizio cercasi
 
Siamo a dicembre. Inizia a fare più freddo, tanto che bisogna vestirsi in modo da impedire ad ogni striscia di pelle il contatto con l’aria gelata. Calze collant, calzettoni di lana, jeans, canottiera, t-shirt lunga, maglione, giubbotto imbottito, sciarpa di lana, cappello, e guanti. Mio padre mi fissa, con aria interrogativa.
“Stai andando a sciare?”
“No, vado all’università”
Poi mi guarda dall’alto in basso e con il dito indica i miei piedi.
“Ci vai in ciabatte?”
Mi guardo i piedi e riesco a trattenere un’imprecazione. Sono già in ritardo e allora mi infilo le scarpe con il mio completo-anti-freddo che mi soffoca e mi impedisce i movimenti. Alla fine esco di casa così accaldata, che sento il bisogno di levarmi qualcosa.
Ma dicembre non è solo il mese del freddo cane, ma anche un periodo di feste. Arriva il natale! Vedi per strada bambini tutti emozionati, genitori preoccupati per le proprie finanze e persone che anche quest’anno regaleranno una cravatta agli amici e un set di creme profumate alle amiche. Si sente odore di pino, profumo di cannella e di biscotti appena sfornati. Insegne luminose che ti augurano Buon Natale, fiocchi di neve quattro volte più grandi illuminati, palle di natale e Babbi Natale dappertutto. UN INCUBO.
In televisione ti fanno vedere la famigliola felice, che compra gli ingredienti per il cenone, con un bimbo di due anni seduto nel carrello che la mamma spinge e uno di quattro che cammina tranquillo dando la mano al suo papà. Passano per i corridoi del supermercato e i bambini ammirano i giocattoli sugli scaffali senza fare una piega. Poi il bambino che cammina, guarda in faccia il papà e gli indica una macchina telecomandata quattro volte più grande di lui e gli dice.
“Papà guarda! Babbo Natale mi porterà quel gioco!”
Ma la realtà la conosciamo tutti. Al centro commerciale si è testimoni del vero spirito natalizio. Gente che si fionda sulle montagne di panettone e pandoro convinti che costi meno della settimana prima, quando in realtà il prezzo è diminuito di 50 centesimi. Nonne che fanno scorte di farina, zucchero e uova per fare i dolci tipici natalizi. Padri che fissano gli alberi di Natale in esposizione per capire se sia meglio compare quello più grande in offerta o quello più piccolo che costa di meno. Madri che ancora non sanno chi inviteranno per la cena di Natale, che comprano ogni tipo di carne possibile immaginabile. Ma più eclatanti di tutti sono i bambini. Quegli esseri così piccoli e carini che due volte all’anno (Compleanno e Natale) sembrano posseduti. I genitori cercano di evitare il reparto giocattoli, ma loro hanno orecchie e occhi ben sviluppati. La mamma cerca di convincerli che i giochi lì non ci sono, il padre li distrae facendo loro vedere qualche dolcetto. Ma poi loro vedono in  lontananza quei due colori accesi, che a dicembre occupano tutto il supermercato. Il rosa e il blu. Allora si fiondano in quel corridoio e iniziano le urla.
“Papà, Papà! Per Natale voglio quello!”
“Mamma, mamma! Voglio anche questo!”
“Mamma, papà voglio tutto!”
I genitori disperati, sono costretti a tirare i loro figli per le braccia, mentre gridano, urlano e piangono. Li vedi tutti rossi in faccia coi lacrimoni che scendono giù dalle guance, il moccolo ben visibile e i denti scoperti come se ringhiassero. Poi passano dei nonni o persone che non hanno mai avuto figli che guardano il genitore in preda allo sclero totale per trascinare via il proprio figlio, e li senti dire.
“Ma guarda come tratta suo figlio quella!”
“Mio Dio che padre manesco”
Allora il genitore umiliato tira una sculacciata al figlio, si fionda alla cassa e si ripromette di ritornare da solo.
Assisto ogni anno a queste scene, quasi ridendo. Ormai la gente festeggia il Natale, senza più ricordarsi che festa sia. L’importante è avere il necessario per mangiare e il necessario da scartare. Così decidono le famiglie, ma finiscono sempre nell’esagerazione con tre regali per ogni persona e servendo antipasto, primo, secondo e due dolci. Alla fine gli unici ad essere felici sono i dietologi che dopo Natale e Capodanno si ritrovano con un bel po’ di pazienti.
Gli unici regali che mi sono ripromessa di fare quest’anno da vera risparmiatrice sono a madre, padre e sorella. Mia sorella. E’ da anni che mi viene da pensare che in realtà sia figlia di un folletto di Babbo Natale e che i miei genitori l’hanno trovata la vigilia di Natale fuori dalla porta, in un cestino di vimini avvolta in una copertina rossa. Lei adora il Natale. Inizia a canticchiare dal primo dicembre “Jingle Bells”, cerca regali su regali per persone che ha visto poche volte, impacchetta da sola i doni con carta natalizia e fiocchi d’oro, rossi e verdi e sforna biscotti di Natale da regalare ai vicini, con la casa che profuma di burro, cannella e cacao fino all’epifania. Tutti i giorni con un sorriso smagliante, mi chiede.
“Allora hai preso i regali di Natale?”
“No”
“Cosa pensi di regalare alla mamma? E al papà?”
“Non lo so”
“Su fai in fretta! Natale è alle porte!”
E poi si distrae a sfogliare una rivista sui biscotti natalizi con un sorriso smagliante stampato in faccia. In realtà un regalo ce l’ho ed è il suo. Una scatola con tre formine per biscotti: un fiocco di neve, un pupazzo di neve, e il biscottino Zenzy. Roba da far girare la testa ad ogni ragazza con manie da pasticcera.
Una tra le tante cose che non sono in grado di fare sono i pacchetti. Quando ancora facevo i regali di Natale alle amiche, loro erano sempre pronte a notare quanto fossi negata. Ma se uno butta via la carta dopo, perché spendere energie per far un capolavoro d’arte? Fatto sta, che quello per mia sorella è riuscito piuttosto male, per fortuna lei adora stracciare la carta e non le importa come il regalo sia impacchettato. Per lei l’importante è ricevere un regalo.
 Ma la cosa peggiore di tutte, sono le canzoni natalizie. Ovunque vado sento 700 volte le stesse canzoni! Jingle Bells rock, Last Christmas e Let it Snow. CHE PALLE. Le sento nei centri commerciali, per le strade mentre cammino, alla radio e a casa. Addirittura i tamarri mettono Jingle Bells a palla, mentre cazzeggiano in macchina. Poi il bello è che anche se il Natale è passato, quelle tre canzoni e tutte le altre romperanno i coglioni fino all’epifania.
Naturalmente a dicembre finisce anche un anno e ne inizia uno nuovo. Bisogna scriversi gli obbiettivi da raggiungere, i sogni e i desideri che si devono avverare. Tutte cose che finiscono nel dimenticatoio dopo tre settimane di duro lavoro ovviamente, come gli esempi significativi del “Studierò tutti i giorni, così da non dover correre il giorno prima della verifica”, “Quest’anno dimagrirò di venti chili ” e del “E’ l’anno buono! Scoperò con la mia ragazza”. Il mio proposito per l’anno nuovo? Sfogare il mio istinto omicida, uccidendo il Natale. 

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Capitolo 3
*** Il restauro ***


Il restauro
 
Mi capita spesso di passare numerosi weekend di seguito senza uscire la sera. Poi capita qualche sabato, che mi mandano un messaggio:
“Dai bella, facciamo serata stasera! Che hai bisogno di limonare!”, che in realtà sarebbe “Voglio uscire a limonare, sei la mia ultima possibilità”.
Entro nel panico. Non ho voglia di uscire, allora cerco una scusa. Non posso dirle che devo studiare, perché la sessione non è ancora iniziata. Non posso dirle che sono malata, perché su facebook c’è una mia foto di oggi, che attesta la mia sanità. Non posso neanche essere stanca, perché sa benissimo che non faccio un cazzo tutto il giorno. Mi tocca andare.
“Ok, volentieri”. Messaggio inviato.
Cerco di trattenere il mio urlo di disperazione nel mio Io Interiore, lasciando trapelare solo uno sbuffo apatico. Mi affaccio dalla mia camera e urlo.
“Mammaaa questa sera esco” e lei naturalmente mi urla di rimando dalla cucina.
“E con chi escii?”
“Con Assunta Maria”
“Va benee!”
Ora bisogna decidere che cavolo mettersi. Look rock, per nascondere col nero la cellulite in eccesso? O look battona-disponibile-allo-slinguazzamento?. Allora scavo e riscavo nell’armadio, e scopro di essere “gonfia”, perché i vestiti più carini mi vanno stretti e allora prendo il solito vestitino largo e comodo, che uso sempre per andare in discoteca. Sarebbe ora di comprarne uno nuovo, visto che in tutte le foto ho quel vestito, oppure potrei “sgonfiarmi” e mettere i vestiti che stanno prendendo polvere nell'armadio. Scaccio quel pensiero e passo alla fase successiva: super doccia completa e profumata. E’ importante andare in discoteca profumate alla massima potenza, per evitare di puzzare almeno per due ore di ballo sfrenato, o almeno fino a quando sarai troppo ubriaca per accorgerti che le tue ascelle scacciano le zanzare. Appena esco dalla doccia mia madre fa capolino dalla porta del bagno e facendomi vedere il cronometro, inizia la sua solita ramanzina.
“Quindici minuti in doccia! Non puoi continuare così!”
“Ci ho messo due minuti in meno dell’altra volta!”
Niente non la zittisce nemmeno questa confutazione, allora perdo mezz’ora di tempo per subirmi il cazziatone materno, per poi correre a trucco e parrucco. Controllo l’orologio e scopro di avere ancora due ore. Ma sì che vuoi che sia, ce la puoi fare, mi auto sprono a continuare imperterrita il percorso maledetto. 
Mi metto la maschera per il viso, cerco di depilarmi le parti che non saranno coperte dal vestito, poi mi spalmo una bella crema idratante ovviamente profumata. Ed ecco che poi fisso i miei ricci abusivi. Come domarli? Non posso lisciarli, perché sono una delle poche donne al mondo incapace di usare una piastra, anche se in giro mi piace raccontare un’altra storia.
“Ma perché non ti lisci qualche volta i capelli?”
“Perché non voglio rovinarli con la piastra o il calore del fono”
Ma tornando ai miei capelli, decido di lasciarli asciugare da soli. Arrivo all’ultima fase, il famigerato trucco, che dovrebbe rendere una stangona ogni donna. Opto per un trucco leggero che risalti i miei occhi, ovvero matita nera e mascara. All’improvviso noto una macchia sospetta sul mento, allora cerco di lavarla via, ma sotto le dita sento il tipico gonfiore da foruncolo.
“Brutto pezzo di un brufolo! Non ora, porca miseria! Vai via!” Disperata cerco il fondotinta comprato un mese prima, per nascondere la pellaccia da adolescente. E inizio ad applicarmelo a quintali in faccia.
“Tutto bene là dentro?” Sento mia madre che bussa e poi entra senza aspettare una risposta. Come al solito zero privacy.
“Sì tutto bene” rispondo seccata.
“Ma che cosa ti stai mettendo in faccia? Sembri quel lampione davanti alla casa della nonna”
Le mando un’occhiata piena d’odio mentre esce, e poi mi armo di struccante. In effetti ero arancione. Mi rimetto mascara e matita, poi spalmo una puntina di fondotinta sulla macchia bastarda e mi copro il viso con un po’ di cipria. Devo dire che il risultato non è niente male! Resisto alla voglia di farmi un “selfie”, e mi vesto con i capelli ancora umidi. Troppo umidi.
Controllo l’orologio. Un’ora, ho ancora un’ora. Solo un’ora? Panico. I capelli si devono asciugare da soli per forza, perché se usassi il fono farei concorrenza a Merida. Allora decido di mangiare qualcosa al volo, tanto per non bere un cocktail a stomaco vuoto. In realtà potrei anche saltare la cena, perché l’alcool lo reggo piuttosto bene, ma come dice sempre la nonna:
“Saltare i pasti è un reato perseguibile dalla legge”
Forse ha visto troppi gialli.. Mi mangio la mia insalatina mista e corro a lavarmi i denti. Ho ancora quaranta minuti. Che piffero faccio ora? Preparo borsa e scarpe. Pochette nera il meno ingombrante possibile con catenina a tracolla argentata. Ci butto dentro fazzoletti carta d’identità e venti euro. Con la coda dell’occhio vedo un pacchetto di cicche, e decido di prenderne due. Almeno avrò l’alito fresco a fine serata.
Ora tocca alle scarpe. Devono essere comode, ma eleganti, alte, ma sobrie. In realtà non credo che molta gente faccia caso alle scarpe. Opto per delle decolté nere senza plateau. Per essere una ragazza casa e scuola, so come rendermi decente per una serata. Pienamente fiera di me, sfilo davanti ai miei genitori.
“Mah..” Mio padre mi lancia un’occhiata per poi ritornare a leggere la sua rivista d’informatica.
“Ok”  Mentre mia madre non smette di fissarmi.
“Che cosa c’è?” Le dico esasperata dalla sua occhiata.
“Niente!” Scuote la testa alzando le spalle, per poi ritornare a lavare i piatti. È davvero insopportabile quando fa così!
Cerco di allontanare la smorfia di delusione dalla faccia, e mi siedo in attesa dell’arrivo della mia amica. Naturalmente io sono in perfetto orario, lei no.
 
Messaggio 1
Scusa sto partendo ora
 
Messaggio 2
C’è un po’ di traffico

Messaggio 3
5 minuti sono lì
 
Messaggio 4
Esci che sto arrivando
 
Dopo averla aspettata quaranta minuti in casa, e altri dieci fuori in piedi, mi riprometto di non fidarmi mai più delle sue parole. Naturalmente la mia smorfia esasperata ha di nuovo fatto capolino sulla mia faccia. La serata non è ancora iniziata e già mi sta disturbando a tal punto, che tornerei in casa a buttarmi sotto le coperte e leggere qualche fumetto online. Ma no, stasera mi sono fatta carina apposta per farmi fissare da qualcuno e aumentare la mia autostima. Appena arriva, salgo in macchina sforzandomi di sorridere.
“Scusa il ritardo, c’era un incidente, tanto traffico e ho quasi investito un gatto! Sono sconvolta!”
“Va bene non ti preoccupare” Dai ne ha passate tante, ha quasi investito un gatto.
“Sì e poi mi sono fermata da mia cugina, che doveva parlarmi del suo ragazzo. Sai lo ha mollato ed è davvero triste”
“Ok..”
“Dopo son dovuta tornare a casa a rifarmi il trucco, perché ho pianto con lei, davvero ero un disastro e..”
Evito di ricordarle che abita a dieci minuti da casa mia e assimilo in silenzio la sua vita ricca di colpi di scena, sesso di una sola notte, baci con il ragazzo di una sua amica, e i suoi genitori che non le danno i soldi per andare a Ibiza. Ha i miei stessi problemi ovviamente…
“E tu?” Eccola la fatidica domanda.
“E io cosa?” Che stupida che sono, fare finta di niente è un errore da principiante.
“Non fare finta di niente!” come non detto.
“Io, studio e questo è tutto”
“Dai vuoi dirmi che non c’è neanche un ragazzo?”
“Vale il cane della mia vicina?” Mi guarda con disapprovazione e poi sterza malamente per evitare un gatto sulla strada.
“Le tue battute stanno peggiorando!” Ha ragione, sto peggiorando. Cambio discorso riportando l’attenzione su di lei, finché non arriviamo alla discoteca. È molto carina, e con della musica decente. Ci fiondiamo subito ai drink, così da smaltirli in tempo per il ritorno a casa. Poi conosciamo dei ragazzi, che ci offrono da bere e io inizio a bere per entrambe. Poi tante luci, musica, balli, due cadute e la mia amica che mi porta a braccetto verso la macchina senza smettere di parlare. La guardo stranita cercando di cogliere le sue parole con le orecchie ovattate, ma riesco a capire solo “Lingue.. piercing e poi il culo.. gli ho dato.. speriamo che chiama!” sorrido e annuisco, entrando in macchina, ovviamente non senza sbattere la testa contro la portiera. Osservo il soffitto vedendo ancora le luci colorate della discoteca. Senza accorgermene mi ritrovo davanti a casa e dopo due tentativi riesco ad infilare la chiave nel buco giusto e ad aprire la porta.
“Ok, ora fai piano, concentrati” mi levo le scarpe per essere il più silenziosa possibile e cerco il bagno finendo in cucina.
“Concentrati!” mi ripeto sussurrando con fare severo. Trovato il bagno inizio a levarmi il trucco colato malamente e dopo aver usato tre dischetti mi fiondo a letto ancora mezza vestita e prima di addormentarmi non posso fare a meno di pensare che l’alcool non lo reggo affatto. 

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Capitolo 4
*** Studio matto e disperato ***


Studio matto e disperato

 
Ah, la vita universitaria. Una pacchia! Più libertà per viaggiare, si conosce nuova gente, si fanno serate ogni weekend, sbronzate e scopate indimenticabili.. NO. Chiunque abbia pensato o detto queste cose si sbagliava alla grande. L’agognata sessione estiva è cominciata e la mia vita è letteralmente in pausa per permettermi di studiare. Obiettivo: dare almeno quattro esami tra maggio e luglio.
Mi sento abbastanza carica, il mio cervello sembra piuttosto riposato e pronto a ricevere nuove informazioni. Prima di iniziare preparo i vari evidenziatori colorati e inserisco i post-it ad ogni capitolo dei quattro libri che devo preparare, poi stabilisco una tabella di marcia: circa 50 pagine al giorno. Ce la posso fare. Dopo solo due facciate..
Rumore di un tagliaerba.
Ignoralo, non esiste. Nessuno sta tagliando l’erba. È solo una tua impressione. Riprendo ad evidenziare le parole chiave di un bel giallo acceso.
Motosega, molto segante.
Continuo imperterrita, a leggere le righe, e a rileggerle perché la prima volta non ho capito nulla.
Citofono. Mamma urlante.
“E’ arrivata la Teresina! Scendi a salutarla!”
No, così non va assolutamente bene. Saluto la Teresina, con molto finto garbo e me ne ritorno in camera. Le loro risate superano anche la porta chiusa. Decido di provare con della musica rilassante. Mi infilo le cuffie e cerco “musica per studiare” su youtube, poi clicco sulla prima playlist. Soddisfatta riesco ad arrivare a cinque pagine. Poi..
Il cellulare vibra. Lo stesso cellulare che è rimasto silenzioso per giorni, ora vibra. Non guardare. Stai studiando, non puoi guardare! Va bene, solo una sbirciatina. Due messaggi da Pina. Non sarà nulla di importante. Torno sulle pagine del manuale, leggo una riga.. se fosse questione di vita o di morte? Magari ha bisogno di me perché è inciampata in bagno e si è rotta il piede, ma i suoi sono irraggiungibili. Afferro in fretta il cellulare.
 
 Messaggio 1
Tusa, fa caldo non mi va di studiare
Messaggio 2
Non dirmi che tu stai studiando
No, non sto studiando. Sto solo cercando di studiare! Ok, calma. La calma è tutto. Basta non rispondere, così da non instaurare una conversazione, che mi farebbe solo perdere tempo. Leggo un’altra riga e il cellulare vibra ancora.
Messaggio 3
Stai davvero studiando! NOOOOO
Tolgo la vibrazione dal cellulare e lo poso a faccia in giù, così anche se si illumina non lo vedo. Distrazione eliminata. Riesco ad andare avanti altre dieci pagine con la musica rilassante nelle orecchie, quando sento la mia suoneria. Eppure ero sicura di aver messo il silenzioso! Rispondo senza pensarci. È la Pina.
“Fa troppo caldo! Come puoi studiare?”
“Apro il libro e tento. Tenta anche tu!”
“Cos’è uno spot pubblicitario?”
“No, è un consiglio!”
“Andiamo a studiare al parco!”
“No, lo sai che non studiamo mai al parco”
“Eddai, lasciati tentare almeno una volta!”
“Questa volta no! Chiama qualcun altro!”
“Scontrosa!”
“Ciao!”
Chiudo la telefonata seccata. Qui c’è qualcuno che si vuole laureare in corso! Mi assicuro di mettere il cellulare in modalità silenzioso e torno sui libri. Ma la musica rilassante non funziona più.
Spengo la musica ormai diventata insopportabile, e faccio tre respiri profondi per richiamare la concentrazione. Ricomincio a leggere, ma vedo solo bla, bla, bla.. Forse ho bisogno di una pausa. Mi alzo, bevo e mangio una barretta energetica. La barretta funziona sempre. Controllo il cellulare. Cinque chiamate perse da mio padre! Lo richiamo.
“Finalmente!”
“Papà, ma dove sei?”
“Son i ba..”
“Non ho capito nulla, perché parli sottovoce?”
“Sono in bagno!”
“Sei in bagno?”
“Sì! Ed è finita la carta..”
“Ma perché non lo hai detto alla mamma?”
“Non posso c’è la Teresina! Non voglio che vada in giro a dirlo!”
“Ma tutti facciamo la ca..”
“Portami quella stra maledetta carta igienica che non sento più le chiappe!”
“Va bene..”
Prendo la “stra maledetta” carta igienica e la porto al mio vergognoso padre, poi mi risiedo alla mia scrivania per fare almeno una pagina. Non distrarti. Guardo il cellulare. Non distrarti! Giro il cellulare con lo schermo verso il tavolo. Sì ora va meglio, sto per sottolineare una nuova riga, quando mia madre spalanca la porta di camera mia.
“La Teresina se ne va, scendi a salutarla”
Urlo interiore: fanculo la Teresina!
 
Non sono per niente brava a destreggiarmi nello studio, ma ciò che conta è l’impegno, no? NO, muoviti e studia! Ok, evidenziatori sempre tutti presenti. Cellulare lontano, libri vicini. Almeno altre dieci pagine. Su, dai! Due pagine vanno via veloci, poi mi assale la stanchezza. Uno sbadiglio. Due sbadigli. Occhi che lacrimano. Resisti! Un’altra pagina finita, ma la mia testa comincia a ciondolare. Sono proprio una studentessa di merda. Mi concedo un riposino sul letto. Un riposino proprio veloce. Dopo appena cinque minuti, mia madre spalanca nuovamente la porta porgendomi il telefono di casa.
“E’ la Pina”
Innervosita prendo il telefono.
“Sono al parco”
“Bene, io sto studiando”
“Non è vero stai facendo il riposino”
“Come fai a saperlo?” dico stupita.
“Ti conosco polla, dalle quattro in poi non riesci più a concentrarti”
“Non è vero”
“Invece è verissimo!”
“Comunque ora mi alzo e mi metto a studiare”
“Tra massimo un’ora mi chiamerai per sapere se sono ancora al parco!”
“Ti sbagli! Ciao” metto giù il telefono animata da una nuova energia. Devo dimostrare alla Pina, che sono in grado di concentrarmi anche dopo le quattro. Una sfida. Io vinco sempre le sfide!
Nuova pagina. Un’altra pagina. Ma quante pagine devo fare ancora? Obiettivo 50 pagine. Un’altra pagina. Ma aspetta non ho capito niente. Rileggo la stessa pagina. Così proprio non va. Forse un’altra pausa? Bevo e mangio un’altra barretta. Guardo il cellulare. Tre messaggi dalla Pina.
Messaggio 1
C’è Stefano
Ma chi se ne frega di Stefano. Ma chi è questo Stefano?
Messaggio 2
Il ragazzo più bello del nostro misero paese è al parco
Non è poi così bello, ha solo un bel corpicino scolpito.
Messaggio 3
È senza maglietta
Maledetta tentatrice! Devo finire il mio obiettivo. Riprendo in mano l’evidenziatore, ma riesco solo a pensare alla schiena e agli addominali di Stefano. Cavolo! La disperazione mi assale. Poi penso alla data dell’esame, all’incirca ho ancora una settimana di tempo, esattamente otto giorni, e potrei fare qualche pagina anche questa sera. Il mio inconscio cerca di sovrastare i miei pensieri: “tanto studierai tutto il giorno prima dell’esame”. Non è vero. Non mi lascerò più distrarre da nessuno. “Le ultime parole famose”. Zitto inconscio!. Prendo il telefono e chiamo la Pina, dopo appena quaranta minuti dall’ultima chiamata.
“Sei ancora al parco?”

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