Love's Location|| Luke Hemmings

di _zaynsbabe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


Capitolo uno.


Il mio primo viaggio in Germania. Scrissi in alto, su un diario dalle pagine completamente bianche. Non avevo mai pensato che avrei deciso di partire per l’estero, da sola. Decidere di viaggiare da sola a soli sedici anni era una cosa che portava a pensare molto, la mia mente ossessionata dal programmare le cose aveva fatto sì che tutti non vedessero l’ora che io la smettessi di parlare di ciò. Avevo assillato tutti con quel viaggio, seriamente. Tutti continuavano a dire che dovevo smettere di farmi mille problemi e di imparare ad aspettare e di godermi ciò che sarebbe successo, senza pensarci troppo. Tutto sommato credevo sarebbe stata una buona idea decidere di partire, potevo approfittarne per migliorare la mia conoscenza nella lingua che stavo studiando e mi sarei anche divertita. Ero arrivata ormai a circa un’ora prima dalla partenza e non resistevo alla voglia di iniziare a scrivere ciò che mi passava per la mente su un diario qualunque, un diario che avrei portato con me durante il viaggio, dove vi avrei condiviso tutto ciò che avrei fatto e avrei provato. Mi piaceva avere un diario su cui scrivere tutto ciò che mi passava per la mente, ero stata abituata sin da bambina ad averne uno, mi aiutava ad esternare meglio le mie emozioni e ad aprirmi considerando che non ero il tipo di bambina che si concedeva spesso un ‘cuore a cuore’ con qualcuno. Controllai mentalmente che non avessi dimenticato nulla, per la quarta volta di fila ormai e appuntai sul diario qualche frase su come mi sentivo. Avrei portato con me un bagaglio in più, un bagaglio che avrei lasciato poi in Germania, un bagaglio nel quale avrei lasciato parti di me delle quali avrei dovuto sbarazzarmi. Avrei lasciato in quel bagaglio la Michela ansiosa, la Michela che a volte si perdeva troppo a pensare prima di agire, la Michela troppo timida per agire e godersi la vita. Avrei lasciato quel bagaglio in Germania e sarei tornata come una persona nuova, diversa, cambiata. Ero pronta. Pronta per quella nuova esperienza. Pronta per staccarmi dal mio solito ed accogliente, anche se da un po’ di tempo caotico, ambiente familiare. Pronta a dare vita ad una nuova me.
“Il gate numero 8 per il volo numero 9871 chiuderà tra trenta minuti” -Una voce metallica risuonò nell’enorme stanza d’attesa in aeroporto. Alzai lo sguardo dal mio diario e mi accorsi che già una decina di persone si erano messe in fila nella zona d’imbarco. Mi alzai con cautela dalla sedia in plastica blu, raccogliendo la mia borsa a tracolla da terra e posizionandomela in spalla. Presi il mio trolley e mi diressi verso la fila, entrandone a farne parte.  La voce metallica ripeté la frase in un inglese poco comprensibile. Avevo passato da sola le ultime due ore, i miei genitori erano rimasti con me fino al check-in, li avevo salutati con le lacrime agli occhi, il pianto di mia madre era contagioso. Okay, un po’ era anche dovuto al fatto che mi sarebbero mancati, ma li avrei comunque rivisti. Avevamo Skype e poi sarei stata lì solo quindici giorni e mio fratello sarebbe stato con loro, pensai. Mi guardai intorno ritrovandomi ad osservare una coppia di tedeschi parlarsi all’orecchio e sorridere tenendosi per mano, immagino stessero tornando dal loro viaggio di nozze, entrambi avevano la fede al dito ed erano abbastanza giovani. La ragazza mi notò e mi sorrise, ricambiai il sorriso intenerita dal loro modo di tenersi vicino l’uno all’altra e distolsi lo sguardo. Passai i restanti trenta minuti a cercare di capire se le due donne dietro di me stessero litigando, sembravano sorelle ed entrambe avevano uno stretto accento britannico, almeno era quello che avevo intuito.
“Prego, potete avvicinarvi” - disse un’hostess di terra ad uno dei primi signori della fila aprendo il passaggio. Tornò dietro al bancone facendo oscillare la sua lunga coda di cavallo.  Fummo presto trasferiti tutti su una delle navette e portati all’aereo. Era enorme, più grande di come lo avevo immaginato. Un po’ mi intimidiva. Poggiai il mio bagaglio nell’apposito portabagagli sulla mia testa e mi sedetti. Posto F23. Fila vicino il finestrino, non potevo scegliere di meglio. Una signora sui quaranta anni si venne a sedere accanto a me dopo aver posato a sua volta il suo bagaglio. Mi accennò un “Hi” sorridendo e si allacciò la cintura. Il terzo posto fu occupato da quello che presumo fosse suo marito, il quale però si limitò a sedersi evitando il contatto visivo. L’aereo si riempì ed iniziò a far funzionare i motori, posizionandosi vicino la pista per il decollo, mentre le hostess e gli stewardess iniziavano a spiegare le varie norme di sicurezza. Allacciai la cintura di sicurezza. Stavo per partire. Osservai il decollo attraverso il finestrino e quando fummo ormai tra le nuvole osservai il panorama. Stavo davvero lasciando l’Italia. Misi le cuffiette addormentandomi con le note di ‘I’m a mess’ di Ed Sheeran che risuonavano nella mia mente. 


Avrei bigogno di sapere se avete qualche consiglio per migliorare la storia, accetto anche critiche. Mi piacerebbe sapere se vale la pena continuare a scriverla. Grazie per aver letto.

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


Capitolo due.


Mi svegliai per quella che sembrò essere una turbolenza, ero ancora assonnata per confermarlo. Guardai lo schermo del mio cellulare, era passata un'ora. Parole di 'Spaces' dei One Direction risuonavano nella mia mente. Abbassai il volume della musica e mi guardai intorno. Il mio sguardo si soffermò su un ragazzo seduto su un'altra fila, un posto più avanti rispetto al mio, mi sorrise. Ricambiai il sorriso imbarazzata e mi sistemai gli occhiali sul naso. Presi il diario dalla mia borsa e iniziai a scrivere ciò che mi passava per la mente. Scrissi del volo, dell'essermi addormentata subito sull'aereo per la stanchezza, scrissi della coppia in aeroporto e del modo in cui si tenevano stretti, scrissi del panorama che riuscivo a vedere attraverso il finestrino e di quanto sembrasse carino il ragazzo che mi aveva appena sorriso. Il mio sguardo vagò ancora una volta per l'aereo osservando i vari volti dei passeggeri ormai addormentati, le hostess continuavano a fare avanti e indietro lungo il corridoio che separava le due file di poltroncine. Di fronte a me, attaccato sulla parte posteriore del sedile c'era un volantino con sopra le norme di sicurezza e persi qualche minuto ad osservarlo, ricordandomi della dimostrazione vista prima che mi addormentassi. Cercai di allungare le gambe quasi intorpidite per lo spazio ristretto nel mio posto, la signora accanto a me mi osservava sorridendo.

"It's not so comfortable, right?" -mi disse alzando un sopracciglio, divertita dalla situazione. 

"Yes, right" -ridacchiai unendo le braccia sul petto rassegnata. 
La signora ridacchiò punzecchiandomi con il gomito senza una ragione precisa. Alzai lo sguardo e il ragazzo che mi aveva sorriso stava continuando a fissarmi. Sentendomi leggermente a disagio poggiai la testa al finestrino e iniziai a guardare di nuovo il panorama, come avevo fatto prima di addormentarmi. Passai la restante ora a guardare fuori dal finestrino e a pensare a ciò che avevo appena fatto. Ero partita. Numerose nuvole simili a batuffoli di cotone erano sparse nel cielo, sembrava tutto così compatto, sicuro, sembrava quasi un altro mondo, simile ai mondi fatati che mi venivano descritti nelle favole raccontate quando ero bambina. Pensieri di una me bambina si sparsero nella mia mente. Non avrei mai immaginato che mi sarebbe piaciuto viaggiare. Se lo avessi raccontato alla me bambina avrebbe iniziato a ridere. Sognavo di diventare un'insegnante di matematica. Eppure ai miei sedici anni mi ero ritrovata su un aereo a sognare di scappare dalla mia città, di vivere nuove esperienze e di pensare ad un futuro diverso. L'aereo iniziò a perdere quota lasciando il tappeto di nuvole che avevo osservato fino a quel momento. Numerosi boschi di sempreverdi davano l'idea di un panorama quasi disabitato. Era così diverso dall'Italia. La Germania sembrava così bella vista dall'alto, così bella che crebbi di essermene innamorata prima ancora di visitarla. 
"Sono innamorato di città dove non sono mai stato e di persone che non ho mai incontrato"- Città di Carta, John Green
Appuntai questa frase sul mio diario. Era una delle mie citazioni preferite e si trovava in uno dei miei libri preferiti. 
Una voce metallica iniziò a parlare ancora una volta in un inglese poco comprensibile e partì un brano strumentale simile ad un inno. Eravamo atterrati. Mi alzai dal mio sedile e la signora affianco a me fece lo stesso. Presi il mio trolley dal portabagagli e mi diressi al di fuori dell'enorme veicolo. Scendendo le scalette si alzò un vento leggero che mi fece rabbrividire. Ci dovevano essere una ventina di gradi, era freddo, paragonato ai quaranta gradi che vi erano in Italia. Andai a recuperare il mio bagaglio da stiva e mi diressi verso l'uscita dell'aeroporto. Fu li che vidi un ragazzo stare in piedi di fronte la porta d'uscita, aveva in mano un cartello con su scritto "Annika". Aveva i capelli di media lunghezza sistemati sotto un cappello da baseball. Gli occhi verdi del ragazzo si illuminarono. Vidi la ragazza andargli incontro. Sembrava non si vedessero da tanto. Un brivido percorse la mia schiena. L'unica relazione che ebbi nella mia vita fu con un ragazzo al quale non importava nulla di me. Aveva deciso di avermi come sua ragazza solo per far vedere che ne avesse una, un po' come fanno i ragazzini alle scuole medie. Io non la pensavo come lui però. Io mi ero innamorata di lui. Mi aveva fatto dimenticare come ci si sentiva ad essere importanti per qualcuno. Decisi di partire anche per quel motivo, volevo imparare a dare più importanza a me stessa. Feci un respiro profondo cercando di scacciare pensieri di lui che mi confessava che non significavo nulla, che nulla di me gli era mai importato. Avevo chiuso con lui, dovevo dimenticare ciò che aveva fatto e quella era l'occasione giusta. Ero partita per cambiare me stessa e lo avrei fatto.


Avrei bigogno di sapere se avete qualche consiglio per migliorare la storia, accetto anche critiche. Mi piacerebbe sapere se vale la pena continuare a scriverla. Grazie per aver letto.

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


Capitolo tre 


Spostando lo sguardo intorno a me, vidi in lontananza mio zio e la sua compagna. Non erano cambiati affatto dall'ultima volta che li avevo visti. Erano venuti in Italia durante il periodo natalizio quello stesso anno, o meglio, l'anno precedente, per fare una sorpresa ai miei nonni che non vedevano da un sacco di tempo. Mio zio era andato a vivere in Germania dopo aver divorziato con la sua prima moglie e si era messo insieme ad una ragazza tedesca della sua stessa età, portando con se sua figlia. La sua ex moglie non era il tipo di madre a cui importava molto dei figli. Mia cugina, Sara, mi adorava, diceva che io ero la sua cugina preferita e cercava di essere simile a me anche nelle piccole cose. Ricordi di mia cugina prima che partisse, si fecero spazio nella mia mente. Avvolsi saldamente le mie mani sul manico delle due valigie e iniziai a camminare nella loro direzione. Un sorriso caldo si fece spazio sulle labbra di entrambi dopo avermi abbracciata.

"Com'è andato il viaggio?" -mio zio prese la valigia apparentemente più grande e iniziò a camminare poggiando un braccio sulle mie spalle.

"Bene direi, ho dormito per metà del viaggio" -ridacchiai portandomi dietro il trolley mentre camminavo.

Mio zio si fermò davanti la sua macchina peccaminosamente pulita e posò nel bagagliaio le mie valigie. Entrata in macchina mi domandai se fosse un reato poggiare i piedi sui tappetini posizionati al di sotto dei sedili in pelle. Rabbrividii al contatto con la pelle dura e fredda del sedile, i miei leggins non erano abbastanza spessi per riscaldare le mie gambe. La compagna di mio zio, Larissa, si voltò verso di me sorridendomi, per vedere se stessi bene, non appena fummo in autostrada. Alcune ciocche bionde le ricadevano sul volto, incorniciandolo. Era davvero bella e mi rendeva difficile credere che avesse superato ormai i quaranta anni. Non mostrava accenni di rughe sul viso e da quello che ero riuscita a percepire dal suo vestitino a fiori, si manteneva perfettamente in forma. Ricambiai il suo sorriso confermandole che stessi bene. In realtà mi sentivo più che bene. Ero atterrata da poco e l'adrenalina per il cambiamento di Stato faceva ancora parte del mio corpo, rendendomi impossibile smettere di pensare a ciò. Poggiai la testa al finestrino e iniziai ad osservare il panorama. Nonostante fossero le undici di mattina, c'erano già numerose macchine in viaggio davanti a noi. Mi persi per le due ore seguenti a guardare le distese d'erba e alberi, che caratterizzavano lo sfondo del paesaggio che potevo ammirare dalla macchina. Niente montagne, pensai. Ancora una volta la mia mente stava annotando tutto ciò che potevo osservare. Iniziai a vedere le case, le scuole, i negozi e altri edifici, eravamo quasi arrivati, questione di minuti e sarei stata a casa di mio zio, avrei preso il mio diario dalla borsa e vi avrei scritto qualche frase sul mio stato d'animo, sull'adorare i paesaggi e su quanto il clima fosse diverso. Il mio pensiero divenne presto realtà quando mio zio parcheggiò nel vialetto di quello che presunsi fosse un condominio. Quattro balconi erano posizionati sulla facciata dell'edificio, affiancati da file di finestre di uguali dimensioni. Un giardino di medie dimensioni occupava lo spazio di fronte l'edificio, un paio di tavoli da picnic erano posizionati al di sotto di un nocciolo,situato in un angolo del giardino, rendendo il tutto più accogliente. Ai lati del giardino campeggiavano piante di rose e vari arbusti, il tutto circondato da una siepe sempreverde di media altezza. Accanto al giardino vi era il vialetto dove erano parcheggiate alcune macchine, compresa quella di mio zio. Scesi dall'auto continuando a guardarmi intorno. Dalla'altra parte della strada vi era un'enorme distesa d'erba che portava ad un bosco attraverso un piccolo sentiero. 

"Ecco, questa sarà la tua nuova stanza" -mio zio si fece spazio davanti a me ed aprì una delle porte all'interno dell'appartamento. 

Fui sorpresa nel vedere che ci fosse un solo letto nella stanza, pensavo di dover condividere la stanza con mia cugina. Mi girai intorno, era perfetta per me. Numerosi libri erano esposti in una piccola libreria lasciata semi vuota in alcuni punti. 

"So che ti piace leggere, perciò ti ho lasciato dello spazio nel caso volessi poggiare qui i tuoi libri" -mio zio si avvicinò alla libreria poggiando una mano sullo scaffale semi vuoto. 

Annuii in approvazione. Accanto alla libreria vi era il letto e al di sopra di esso vi erano un piumone estivo bianco e delle lenzuola lilla. Spostando lo sguardo notai che la piccola libreria separava il letto da una piccola scrivania bianca, sulla quale vi era un computer, il modem del wi-fi e un portamatite. Dall'altra parte della stanza vi era un enorme armadio a muro bianco. Larissa continuava ad osservarmi sorridendo mentre osservavo ogni centimetro della stanza. 

"Ah, e qui puoi posare i tuoi vestiti" -mio zio aprì una delle ante dell'armadio mettendo in mostra le numerose stampelle vuote all'interno di esso -"Questo di solito è il mio studio, quindi ho provato a renderlo il più accogliente possibile"

"Mi piace un sacco" -l'adrenalina continuava ad accumularsi nel mio corpo, facendo sembrare la mia voce un gridolino- "Grazie"- sfodero il mio sorriso migliore, sinceramente contenta.

"Ora puoi iniziare a sistemare la tua roba, tra una diecina di minuti sarà di ritorno Sara da casa di sua nonna, così possiamo mangiare, non vedeva l'ora di vederti!" -chiusero la porta dietro di loro.

Aprii la finestra sorprendendomi nel trovare il balcone. Dalla parte opposta del balcone, sulla mia sinistra, una signora stava stendendo i panni. I suoi capelli biondi erano raccolti dietro la nuca in una coda disordinata. Alzò lo sguardo incontrando il mio e sorrise passandosi una mano nei capelli. 

"Guten Morgen!" -Buongiorno. Mi salutò con la mano piena di mollette.

"Guten Morgen" -le sorrisi poggiando le braccia incrociate sulla ringhiera.

"Sei la nipote di Dario?" -capii nella sua parlata veloce in tedesco.

"Si, piacere di conoscerla" -risposi nella sua lingua.  Un leggero movimento di tende dietro la signora attirò la mia attenzione. Un ragazzo senza maglietta raggiunse la signora fuori il balcone. 

"Mamma, dov'è la mia maglietta verde?" -capii, aveva la voce rauca. La signora con cui stavo parlando fino a qualche secondo prima mi diede una veloce occhiata sorridendomi, segno che mi stava congedando silenziosamente. Come immaginavo entrò nell'appartamento provocando altro movimento tra le tende. Il ragazzo rimase sul balcone e notando la mia presenza, un sorriso imbarazzato si fece spazio sulla sua bocca.
"Hi" - strofinò una mano dietro il collo. 
"Hallo" -tolsi le braccia dalla ringhiera. Stavo arrossendo per l'imbarazzo e dovevo fare in modo che non lo notasse. 
"Ehm.. Io devo andare" -tentai di tradurlo in tedesco accompagnando le parole con gesti confusi delle mani. Ero troppo impegnata ad osservarlo per pensare bene. Aveva i capelli biondi ancora bagnati, segno che avesse appena fatto una doccia. 
"Oh okay"- il ragazzo ridacchiò notando la mia difficoltà nel tradurre. O magari aveva notato il rossore sulle mie guance e la cosa lo faceva ridere di me. Senza dire altro entrai in quella che sarebbe stata la mia stanza. Feci un respiro profondo e mi gettai sul letto, tentando di eliminare le tracce di imbarazzo dalle mie guance e di dimenticare l'accaduto.

Avrei bigogno di sapere se avete qualche consiglio per migliorare la storia, accetto anche critiche. Mi piacerebbe sapere se vale la pena continuare a scriverla. Grazie per aver letto.

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


Capitolo quattro


Mi allungai per prendere il diario nella borsa poggiata accanto a me sul letto e una volta preso ciò che mi serviva la rilasciai a terra. Mi rotolai per finire a pancia in giù sul letto e appuntai sul diario tutto ciò che mi era successo in quelle poche ore. Il viaggio, la bellezza dei paesaggi, le case nella città, il fatto che mio zio vivesse vicino un bosco, la bellezza della casa seppur di media grandezza. Diedi una veloce occhiata alla libreria dietro di me e dovetti frenare l'istinto di prendere ogni singolo libro e leggere di cosa parlava. La cosa bella dei libri è che non ci si aspetta mai cosa vi è raccontato all'interno. Alcuni si soffermano a leggere la trama, ma la storia in se per se non è quello. La storia narrata in un libro è ogni singola pagina scritta, ogni parola, ogni frase utilizzata. Scrivere un libro è faticoso e richiede impegno e abilità nel saper scrivere, immaginazione, esperienze ma soprattutto Emozioni... Scrivere un libro deve portare soddisfazioni, perciò perché scartarne uno leggendone solo la trama? Adoravo ogni genere di libro. Anche se trovavo un libro un po' più faticoso da leggere, alla fine di esso ne trovavo sempre un legame con me stessa. In tutte le storie che leggiamo c'è sempre un pezzo di noi. A volte sono proprio quelle storie a rendere ciò che siamo, sono quelle storie che ci fanno crescere, ci fanno vivere realtà improbabili, ma soprattutto ci fanno sognare. Mi piaceva leggere. Leggere mi portava a credere ancora nell'amore, nell'amicizia e in quei valori che al giorno d'oggi vanno a dissolversi sempre di più. A molte persone non piace leggere, forse perché sono troppo legati alla realtà, o forse semplicemente non hanno trovato ancora il libro adatto a loro. Io sono una di quelle che leggerebbe di tutto. Non passava estate che non trovassi qualcosa da mettere sotto gli occhi. Rimasi ad osservare per un momento la libreria e,senza una ragione precisa, tornai a pensare al mio incontro imbarazzante di qualche minuto prima. Scrissi sul diario del comportamento gentile della signora della porta accanto e del ragazzo dal sorriso impacciato. Il suono del campanello della porta mi fece sobbalzare. Finii per gettare il diario di fronte a me e mi diressi frettolosamente fuori dalla stanza, mia cugina era arrivata. Sentii delle voci infondo al corridoio, l'unica cosa che riuscivo a vedere erano i miei zii di spalle. Mi avvicinai a loro e nel momento in cui si voltarono verso di me, la vidi. Quella che ricordavo come una bambina dai codini biondi mi stava salutando in modo impacciato con la mano. Non era più una bambina ormai, era una ragazza, una donna. I suoi codini biondi erano stati rimpiazzati da un'unica coda alta, lasciando alcuni ciuffetti sul viso, incorniciandolo. Se non avessi saputo che quella era mia cugina, avrei giurato che fosse una bambola di porcellana. In otto anni era cambiata tantissimo, il suo fisico snello ora aveva un accenno di curve sui fianchi, il suo petto non era più quello di una bambina, e la sua altezza confermava il tutto, era quasi più alta di me. Avevamo solo un anno di differenza e per quanto ricordassi, eravamo inseparabili, finché all'età di sette anni partì con il padre per andare a vivere in Germania. Le sorrisi, anche io ero in imbarazzo. Pensieri di noi due che giocavamo con le bambole insieme, mi attraversarono la mente.

"Allora, Sara, ti ricordi di Michela?" -mio zio mise un braccio dietro le mie spalle costringendomi a guardare sua figlia negli occhi.

"Certo" -Sara si sistemò uno dei ciuffetti di capelli dietro un'orecchio.

"Parla ancora in italiano vedo" -sorrisi sorpresa.

"Si, papà mi parla in italiano, mamma in tedesco" -masticò la parola mamma come se la stesse pronunciando per la prima volta. I suoi occhi si incupirono.

"Non avrò troppi problemi nel farmi capire allora" -rilasciai un respiro di sollievo.
"Allora, avete fame?" -Larissa si decise a parlare dopo un lungo minuto di silenzio. Il suo parlare in tedesco era diverso da come tutti descrivevano la lingua, la sua voce era dolce e gentile, cosa che stava a pennello con il suo aspetto rassicurante e materno. Mi chiesi se anche lei avesse voluto dei figli, anche se Sara era già come una figlia per lei.  Minuti dopo, il pranzo era in tavola,vari tipi di pasta campeggiavano su di essa. 
"Qui si chiamano Nudeln, ma non sono come in Italia"- affermò mio zio riempiendosi il piatto. Ridacchiai per ciò che aveva appena detto e mi ritrovai sotto l'attenzione di Sara che continuava ad osservare ogni mio movimento, proprio come quando eravamo ancora delle bambine. Mi sorrise divertita dalla situazione e riempì a sua volta il piatto. 
Durante il pranzo mio zio e Larissa avevano discusso di una festa che avrebbero dovuto fare quel fine settimana, non essendo d'accordo su quali amici invitare. Rimasi ad osservare i due, ridendo quando Larissa si voltava verso di me per esprimere la sua disapprovazione in quanto detto da mio zio. Finimmo di mangiare e aiutai Larissa e Sara a sparecchiare. Dopo il rumore assordante dei piatti che sbattevano una volta messi in lavastoviglie, il silenzio prese parte nella casa. Larissa e mio zio andarono in camera a riposare subito dopo aver sistemato, congedando me e Sara che ci trovavamo nel salotto. 
Sara era, per quello che ricordavo, una bambina più estroversa di me, quindi non le servì molto tempo per avvicinarsi a me e chiedermi di com'era stato il viaggio. Le raccontai che quello era stato il mio primo viaggio da sola e della costante paura di dimenticare qualcosa di importante in Italia e tra una chiacchierata e l'altra finimmo per addormentarci. In quel breve tempo sognai di essere tornata sull'aereo e di essere seduta vicino al ragazzo che mi aveva sorriso prima di atterrare.

 


Avrei bigogno di sapere se avete qualche consiglio per migliorare la storia, accetto anche critiche. Mi piacerebbe sapere se vale la pena continuare a scriverla. Grazie per aver letto.

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