Sympathy for the Devil

di Giulz87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preludio: Stories ***
Capitolo 2: *** Primo Interludio: The Locked Room ***
Capitolo 3: *** Secondo Interludio: Known Unknowns ***
Capitolo 4: *** Terzo Interludio: Days gone Bye ***
Capitolo 5: *** Postludio: What the world owes me ***



Capitolo 1
*** Preludio: Stories ***


Nome:  Giulz87/Giulz In Wonderland
Titolo: Sympathy for the Devil
Fandom: Thor
Rating: Arancione
Genere: Avventura, Agnst, Dark
Numero capitoli: 5
Note: Questa What if? nasce come variante del film Thor: The Dark World, una storia in cui Darcy Lewis non rimane sulla terra ma giunge su Asgard insieme a Thor e all’amica di sempre, Jane Foster.
 


Preludio: “Stories”


 
Seduta sul cordolo della grande finestra, Darcy osservava il regno.
La sera era scesa e aveva spento anche quel giorno, un impegno che non le era stato richiesto ma che si trovava ad affrontare contro ogni logica e previsione, perché come sempre si era trovata dove non doveva, troppo vicina a quegli amici che l’avevano coinvolta in un viaggio inaspettato, un varco aperto dal custode dei Nove Mondi con l’intento di proiettare i loro corpi su quel suolo chiamato Asgard. Una realtà che i suoi occhi stavano adulando, che idoleggiavano nutrendosi di uno splendore impossibile, l’intreccio perfetto tra un medioevo dimenticato e un bagliore vibrante, una tecnologia sconosciuta ed evoluta che sembrava ricordarle di quel divario eterno tra mortali ed immortali.
Le storie di quel posto erano storie sull’inizio e sulla fine, storie di divinità che combattevano per l’intera umanità. Erano parole di speranza, erano racconti mitologici che si materializzavano nel presente. Erano…
 
…erano stati risucchiati da una forza colorata, un’energia che si tingeva di arcobaleno e che si lasciava alle spalle il ricordo della rugiada, della pioggia che s’infrangeva sulla pelle mentre i loro piedi si staccavano dal fango e dalla polvere con una velocità disarmante, con un impeto inatteso capace di portarli a molti anni luce di distanza.
“Ma che ficata!”
Darcy aveva pronunciato quell’esclamazione cercando di mantenere l’equilibrio.
Il suo corpo vibrava e palpitava al ritmo del suo stesso cuore, un organo impazzito che in quel momento sembrava schizzarle fuori dal petto, un rintocco che le rimbombava nelle orecchie isolandola da tutto ciò che la circondava.
“Dobbiamo rifarlo.”
La voce di Jane aveva spezzato il flusso dei suoi pensieri ricercandone l’attenzione. Solo allora aveva notato la presenza di una quarta persona, di una figura guerriera e possente che poco più tardi si sarebbe identificata come il Dio Bianco, la sentinella, colui che proteggeva e difendeva il ponte leggendario, la via tremula che univa cielo e terra.
 
Darcy abbassò lo sguardo sulle sue mani contemplandone il chiarore, raggi lunari che la sfioravano senza però riuscire a toccarla davvero.
Le stelle sembravano sospese al di sopra dei monumenti e delle costruzioni, mura che sfumavano l’oro, l’arancio e il grigio. Tinte che simulavano e si fondevano in altre vite. Vite come la sua, in attesa di un qualcosa di più grande.
A volte ripensava al quotidiano, al suo quieto vivere e a quello che poteva essere catalogato come un’avventura. Ma quello era il passato, un tempo che si era infranto sopra il vetro del suo furgone appena un anno addietro. Attimi fluidi che le avevano mostrato il vero significato di quel termine, un vocabolo che si vestiva di promesse e di scommesse, che legava il certo con l’incerto in un qualcosa d’inflessibile, qualcosa che aveva lo strano potere di trasformare il bene, d’intossicarlo e di opprimerlo con un voto solenne di paura. 
Quello era il giusto significato di avventura, il livello più elevato dell’ignoto.
Forse la sua storia partiva proprio da lì, da quel pellegrinaggio inatteso. Perché le storie potevano iniziare dappertutto, potevano cancellare quello che era stato e creare nuovi presupposti per continuare. Potevano iniziare in luoghi inaspettati, in posti inimmaginabili e tra secondi eterni che inquadravano lo spazio senza riuscire a catturarlo. E come nel suo caso potevano iniziare per disobbedienza, per inseguire una scintilla di curiosità che le nasceva dal cuore. Un cuore che si vestiva di stupida ironia e che ne mascherava le apprensioni. Una mente alimentata da un folle desiderio di sapere che l’avrebbe portata nei meandri del regno, in un antro dimenticato dove cominciava anche un’altra storia, una di quelle che iniziavano dalle ceneri dei giorni andati, da un bisogno infantile orribilmente insoddisfatto e sgretolato. Perché a volte le storie iniziavano con l’unico intento d’intrecciarsi.
Darcy sgusciò fuori dalla stanza scrutando il lungo corridoio. Il rumore dei suoi passi si perse tra le pareti decorate, disegni scolpiti che narravano l’importanza di quel luogo e di chiunque vi abitasse. Era un’arte strana quella che l’avvolgeva, era come trovarsi in un enorme museo dove i sospiri e le meraviglie si continuavano gli uni con le altre, dove l’incompreso trovava almeno un po’ di comprensione.
E mentre il tempo scorreva e lo stupore aumentava, i passaggi s’incrociavano e davano vita ad altri passaggi, finché immobile non si era ritrovata a girare su se stessa, le ciglia aggrottate e le labbra corrucciate. Si era persa e non sapeva dove andare.
“Cazzo.”
Quello che era stato poco più di un bisbiglio si era perso nell’aria.
Per un attimo il pensiero di Odino le aveva sfiorato la mente strappandole un lamento. Il Padre di Tutti era stato chiaro e perentorio riguardo al loro soggiorno. E andarsene a spasso per il palazzo non era certo negli accordi.
“Se vuoi tornare indietro devi andare a destra, tutto dritto fino al quarto bivio e poi nuovamente a destra. Troverai la tua camera ad aspettarti proprio dove l’hai lasciata, mia cara.”
Frigga sorrideva a pochi metri di distanza.
Era un sorriso sincero il suo, era un’espressione familiare e risoluta allo stesso tempo, era una donna che sfidava se stessa e che pareva allontanare ogni sorta timore. Era forza, eleganza e saggezza insieme. Era un tempio di magia che si levava al di sopra del mondo.
“Sì, Signora! Credo proprio che coglierò il suggerimento.”
Darcy le era passata accanto facendo un lieve cenno con la testa, un ringraziamento silenzioso che era svanito con l’immagine della legittima sovrana di Asgard, con un sussurro rimasto ad aleggiare e che aveva tutta l’aria di essere un suggerimento.
Ma nel caso volessi proseguire, ti consiglierei le scale sulla sinistra.”
L’indice si era posato sulla bocca con un movimento spontaneo, un gesto riflessivo con cui aveva imboccato la grande gradinata.

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Capitolo 2
*** Primo Interludio: The Locked Room ***


N.d.A. Salve a tutti! Ecco il secondo capitolo di questa storia… che spero possa piacervi e spronarvi a proseguire con la lettura. Gli aggiornamenti saranno sempre di sabato, uno a settimana. I capitoli sono già pronti, quindi potete considerarla come una specie di promessa!
Infine ci tengo a ringraziare tutti coloro che hanno inserito la storia fra le ricordate, le seguite e le preferite. Grazie a chi ha recensito e grazie anche a chi legge soltanto.
A presto. Giulia


 
Primo Interludio:The Locked Room”



La mano si era posata sul libro che teneva in grembo, un tocco gentile e di pura nostalgia che si perdeva tra i ritocchi di un tempo ormai andato, un tempo che pareva essersi fermato.
Era un vecchio volume quello che aveva davanti, uno scritto che parlava di antica magia, angoli usurati che persino al tatto sapevano di consumato, di un qualcosa di perso e quasi dimenticato, di giorni andati che provava a rammentare, attimi di felicità che sembravano attraversarlo, che fuggivano veloci senza che riuscisse ad afferrarli. Erano secondi eterni che si trasformavano nell’essenza di quello che era stato, nella figura di una madre che attenta e scrupolosa cercava di tramandargli ciò che per lei era importante, un pezzo di se stessa e la sostanza di un incanto.
Loki aveva alzato lo sguardo e aveva cercato il proprio riflesso nel vetro, pareti di cristallo che lo intrappolavano e che parlavano di sofferenza, una conseguenza dettata e firmata da colui che lo aveva rinnegato ed ingannato.
L’immagine che vedeva era quella di un uomo seduto, di un dio caduto, un ritratto opaco dai contorni indefiniti. A volte riusciva a fissare se stesso per ore mentre il suo pensiero correva lontano, mentre la sua coscienza elaborava quella che era stata come una promessa –torna a casa- una richiesta spergiurata e subito dimenticata, tre parole cancellate e sprofondate nel fango molle di un onore sconsacrato.
Qualche volta una sensazione di malessere lo coglieva impreparato. Era come se il suo corpo implodesse in un rigurgito straziato, come se il respiro si bloccasse all’interno del suo stomaco contratto, come se la sua mente fosse costretta a vagare nell’oblio di un incubo circolare. Come se ancora fosse in grado di sentire il terrore irradiarsi sulla pelle, un retro gusto di bile capace di donargli almeno un po’ pace. Perché la paura era anche quello, era la sana consapevolezza di avere ancora un qualcosa per cui lottare.
Catturato quel pensiero, il dio si era alzato, aveva sospirato piano e aveva ascoltato i battiti del suo cuore stanco. E nel silenzio si era avvicinato al suo riflesso cercando di toccarlo, poggiando un pugno serrato su quel muro invisibile che si nutriva del suo stesso tormento, un flaccido lamento che non l’avrebbe mai abbandonato.
Poi un rumore alle spalle lo aveva risvegliato.
“Umani! Per quanto possano inseguire il luminoso richiamo della libertà, si troveranno sempre rannicchiati nel pallido buio, smarriti in un antro dimenticato dal tempo. Proprio come te. ”
Loki si era voltato. Aveva sussurrato quell’espressione come fosse una sentenza, un verdetto non risparmiato e gettato a occhi chiusi verso l’inaspettato. Aveva ispirato a pieni polmoni, una vibrazione e un odore che sapevano di donna e di mortale.
“Bel soliloquio! C’era una domanda implicita?”
Darcy era in piedi oltre il vetro, lo fissava a bocca aperta senza tradire il suo stupore, senza distogliere lo sguardo da quello che sembrava essere l’apice del suo traguardo. Quello era uno scherzo del destino, un spazio volubile in cui si trovava intrappolata con il più sadico degli assassini.
“Non c’era niente che non volessi dire.”
“Darcy. Io sono Darcy Lewis.”
La pausa concessa dal suo interlocutore l’aveva spinta a proseguire.
“Immagino che tu sia una delle mortali giunte ad Asgard al seguito di quello stolto villano.”
Loki abbozzò l’ombra di un sorriso, un ghigno silenzioso che aveva mutato i suoi lineamenti rendendoli più sprezzanti e meno cupi. Aveva fatto qualche passo verso di lei, lentamente. E lentamente l’aveva guardata come nessuno prima d’ora, come chi s’interroga pur sentendosi al di sopra.
“Se per stolto villano intendi Thor… hai fatto centro. E tu devi essere Loki. Ti ho visto in televisione.”
“Perspicace.”
“Lo sono!”
Darcy aveva osservato la prigione e aveva permesso alle cose intorno di entrarle nella mente. Le pareti di pietra decorate, l’interno delle celle, tutte spoglie eccetto quella del dio dinanzi. La sua era curata, era piena di oggetti utili e disutili, una poltrona su cui soffermarsi a riflettere e un comodo letto su cui riposare. Un piccolo mondo in cui espiare.
Quella stanza era stata il suo unico riferimento per mesi, dopo tutto quell’odio riversato sulla sua città, dopo tutto quel caos generato solo per alleviare a se stesso una sofferenza millenaria. In quel luogo aveva permesso alla sua testa di fermarsi, una tregua imposta con l’unico intento di recuperare almeno un po’ di lucidità. Un armistizio che probabilmente non avrebbe messo fine alle ostilità.
“Mi dispiace.”
“Fai bene a dispiacerti, mortale. A quest’ora chissà cosa avrei potuto fare come sovrano del tuo patetico mondo.”
Loki fece un gesto sollevando il mento in alto.
“Non fare lo stronzo, bellimbusto. Il mio dispiacere era reale.”
“Anche la mia considerazione lo era.”
Le sue labbra si erano allargate e per un attimo aveva avuto l’impulso maligno di spaventarla, di ripagare con una moneta diversa quella comprensione e quell’umanità che aveva provato per lui. Ma poi quel pensiero se n’era andato e Loki era tornato a sedersi, aveva osservato il suo stesso disegno e aveva parlato.
“Di cosa sei dispiaciuta esattamente? Avanti, Darcy, sto ascoltando.”
Non poteva immaginare che quello che era un gioco si sarebbe trasformato in qualcos’altro.



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Capitolo 3
*** Secondo Interludio: Known Unknowns ***


N.d.A. Buongiorno! Come anticipato ecco il nuovo aggiornamento… colgo ancora l’occasione per ringraziare chi segue questa storia e chi ha lasciato un commento. Mi fate davvero felice… quindi grazie! Spero che questo secondo interludio possa piacervi e che possa essere all’altezza delle vostre aspettative. Detto questo, buona lettura e al prossimo sabato! Giulia


 
Secondo Interludio: “Known Unknowns”

 
La notte precedente era stata una doccia gelida.
Darcy aveva lasciato la prigione gettandosi tutto alle spalle, cercando di dimenticare quell’incontro che le aveva stillato l’amaro dentro, che aveva consumato la sua comprensione trasformandola in qualcos’altro, in una rabbia crescente che le divorava la mente e l’anima.
Aveva camminato a passo svelto verso le sue stanze ed ogni tanto aveva rallentato. Lo aveva fatto quando il pensiero di ciò che era stato l’aveva sorpresa torturandola, quando il ricordo del dio l’aveva colta impreparata e quando le sue parole erano riaffiorate nella sua testa senza alcuna possibilità di appello.
Senza remore né morale.
Il resto del tempo lo aveva trascorso insonne, girandosi e rigirandosi in un letto che non riusciva a sentire come proprio, fissando fuori dalla grande finestra astri celesti che sembravano rifletterne il pensiero. E come da copione ogni buon proposito della sera si era spento al mattino, insieme alla luce di un sole che sorgeva.
Così aveva atteso le tenebre e con esse si era avventurata nei meandri di quel regno, in quell’antro dimenticato dove ancora una volta aveva espiato.
Aveva eluso nuovamente l’attenta sorveglianza ed era scesa piano, un passo senza peso udibile solamente alle orecchie più scaltre.
E poi si era fermata.
Il silenzio ancora una volta più vuoto di quel che ricordasse.
“Tu pensi che la tua vita si basi su una menzogna. Pensi che le persone che ami –o che amavi- ti abbiamo manipolato per i loro scopi. Pensi di non avere più una famiglia e sei fermamente convinto di essere solo. Ma non è così. Odino non sarà certo il padre dell’anno, ma hai l’affetto di tua madre. E che tu lo ammetta o no, hai Thor.”
Lei era comparsa dietro al vetro e il dio ne aveva assaporato la presenza.
Aveva preso fiato, un sospiro che le si era bloccato in gola e che l’aveva convinta di affogare, una sensazione di malessere che aveva cercato di scacciare lanciando lo sguardo in un punto imprecisato della stanza.
La prigione, le mura, i detenuti, erano ancora al loro posto. Perfino l’odore acre della polvere era lo stesso. E Loki era ancora Loki, era il caos che rideva sguaiatamente ai margini di un ordine non troppo definito.
Darcy ne aveva osservato la figura silente e inespressiva e si era seduta. La schiena contro la parete di cristallo e la mani che nervosamente le accarezzavano le gambe tremanti. Gli occhi socchiusi e i nervi tesi, aspettando un qualcosa che non sarebbe mai arrivato. Aspettando…
 
…aspettando di capirne l’intensione aveva elaborato quella strana richiesta e titubante aveva cercato di formulare una risposta.
“È stato un momento di debolezza, tutto qui. Un -mi dispiace- senza alcun valore. E se te lo stai chiedendo, sì! Ho ancora il profondo sospetto che in qualche modo tu te lo sia meritato.”
“Ognuno vive nel mondo che merita! Una filosofia interessante!”
Loki aveva estrapolato un concetto che Darcy non era sicura di avere pronunciato, un pensiero che le aveva dipinto in faccia un’espressione aggrottata.
Si erano guardati da lontano ed entrambi si erano chiesti cosa e quando.
Lei aveva metabolizzato quella specie di aforisma e una finestra della sua mente si era aperta sul passato. Aveva ripensato ai suoi studi e a dove l’avevano portata, a quell’incontro voluto dal destino che le aveva permesso di conoscere quante infinite realtà esistessero, quante possibilità il genere umano ignorava restando confinato nei limiti della Terra. E per quanto si sentisse lusingata non riusciva a sentirsi fortunata.
La conoscenza era avventura e l’avventura era l’ignoto, un senso di pericolo che mai come allora sentiva vibrare sulla pelle.
“Immagino che non sia del tutto vero.”
Darcy fece una pausa lasciando che l’uomo assimilasse quello che gli aveva appena detto. Si era guardata la punta delle scarpe e in quel momento aveva compreso che qualunque cosa avesse confessato a proposito della sua esperienza sarebbe stata vana.
“Che cos’è quello che vedo, Signorina Lewis? È compassione, forse?”
Il tono era carico di una tranquilla e inesorabile minaccia. I rumori sommessi facevano da colonna sonora a quel dio che si diceva padrone del caos, a quell’essere quasi immortale a cui tutto a un tratto aveva ritenuto inutile mentire.
“Non penso di dovertelo spiegare, sai? Credo che tu conosca la sensazione, anche se ti atteggi diversamente. La mia insegnante di psicologia diceva sempre…”
La mano aperta si era infranta sul vetro e lei aveva trattenuto il respiro. Aveva osservato l’uomo allontanare nuovamente l’arto, l’alone che aveva lasciato dissolversi nello stesso modo della marea al mattino. Poi Loki aveva allargato le labbra scoprendo un’espressione a metà tra il sadico e l’infastidito, un istinto omicida che si era riversato nel suo sguardo.
“Non lo stavo chiedendo, Darcy.”
La voce era ferma e precisa, trasudava ricatto e il fatto che il dio fosse rinchiuso non ne affievoliva l’insidia.
“Sì, Dio dell’Inganno! La mia è compassione verso un uomo che vorrebbe perdonare ma non perdona. Verso un uomo che finge di non sapere cosa sia la pena mentre muore nella sua stessa autocommiserazione. Un tormento inutile e insensato, aggiungerei.”
Lo sguardo della donna si era ammorbidito prima di proseguire.
“Per tutto questo mi dispiace.”
Occhi negli occhi, Loki era tornato vicino alla parete che li separava.
“Il fatto che abbiano avvolto la mia intera esistenza nella menzogna, che mi abbiano usato come merce di scambio per un’utopia di pace, che mi abbiano indotto a credere di non essere degno di un trono perché c’era qualcun altro pronto a diventare re… di questo dovresti dispiacerti, Darcy.”
“E che ho detto? Tu hai chiarito l’antefatto e io le conseguenze!”
Con una scrollata di spalle, Darcy aveva allentato la tensione.
Quella conversazione si era vestita di una serietà inaspettata, una profondità che la spaventava perché dimenticava l’ironia, quel velo di superficialità che la difendeva dal resto del mondo.
“Quello che ti sfugge è che un giorno non lontano queste pareti spariranno e io finirò quello che avevo cominciato. Verrò a cercarti e quando avrò messo in ginocchio il tuo infimo popolo –allora, solo allora- sarai davvero dispiaciuta, Darcy. Le urla e le grida si macchieranno di sangue e l’unica cosa che ti domanderai sarà: dove sono quelli che un tempo chiamavo amici? Dove sono gli Avengers, ora? E prima di ucciderti sarò io stesso a mostrarti il loro ineluttabile destino. Un fato di sofferenza e morte.”
Loki aveva parlato con la forza dell’odio, un’energia che aveva temporaneamente accantonato in un angolo buio della mente, una veemenza riesumata che emergeva quando le illusioni svanivano di colpo, quando il dolore batteva il senso del perdono.
“È davvero gentile da parte tua. Sai, Thor dice che sei suo fratello. Lo dice davvero e ci crede quando lo fa. Ma dice anche che sei irragionevole. E io inizio a pensare che sia vero. E –se posso- aggiungerei anche stronzo!”
Darcy si era avviata verso l’uscita lasciandosi alle spalle la beffa amara dell’inizio e della fine, di una conoscenza che toccandola l’aveva in qualche modo segnata.
 
Dopo le sue parole erano rimasti in silenzio. Loki non si era mosso, nessuna minaccia e nessun lamento. Aveva chiuso i suoi pensieri in un antro della mente lasciando ogni considerazione sospesa. E poi si era voltato dando le spalle alle sue spalle, osservando per un lungo attimo la sua stessa immagine riflessa. Una figura ancora una volta opaca, un ritratto torbido almeno quanto il suo animo.
E alla fine quando lei aveva deciso di andarsene era rimasto solo.
Solo con quella che era la proiezione di se stesso.

 

 

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Capitolo 4
*** Terzo Interludio: Days gone Bye ***


N.d.A. Buongiorno a tutti! Come sempre ringrazio chi si è aggiunto alle seguite, alle ricordate e alle preferite. Siete in molti e mi rendete davvero felice! Ma, bando alle ciance… ecco il nuovo capitolo on line. Che altro dire? Beh, sempre come sempre –scusate il pessimo gioco di parole- spero che sia all’altezza delle aspettative e che vi piaccia. Al prossimo sabato. Giulia
 
 
Terzo Interludio: “Days Gone Bye”

 
Lei non era più tornata e la sera, come tutte le sere, era arrivata ed era andata a spegnere la luce di un sole che ormai poteva solo immaginare, raggi caldi e vibranti di cui rammentava solo il ricordo lontano.
Loki sedeva immerso nella lettura, ascoltava il suo stesso respiro perdersi nell’aria immota della stanza, perdersi in quelle che credeva delle salde convinzioni, certezze che alimentavano il suo cuore e che creavano nella sua testa ragioni più o meno logiche.
E poi qualcuno era arrivato, qualcuno dal passo incerto che con voce ferma gli aveva comunicato un risvolto inaspettato. Qualcosa che cambiava le sue prospettive, forme fino ad allora definite che improvvisamente si dissolvevano in quella che era la morte di sua madre.
Il mondo aveva improvvisamente smesso di girare e le pareti sembravano stringersi attorno alla sua figura sempre più sfiancata e stanca.
Lo facevano ad ogni sospiro, ogni grido che lasciava andare, uno sfogo che aveva il potere di lenire la sua sofferenza per qualche manciata di secondi, attimi che scivolavano via senza donargli ciò che bramava davvero.
Neppure sanguinare era stato d’aiuto. Il pensiero di Frigga tornava a tormentarlo con un senso di colpa impossibile da allontanare, con parole e concetti che sfioravano la sua mente e che s’intrecciavano al ricordo dell’ultimo incontro con la mortale.
Erano sensazioni che morivano in un’empatia immeritata, perché lui era il male. Doveva essere il male.
Nessun rimpianto e nessun ripensamento.
Loki lo aveva promesso a se stesso quando si era lasciato cadere nel vuoto cosmico, un buco nero simile a un’esplosione nucleare, un vortice di stelle che lo aveva portato al cospetto di Thanos, colui che gli aveva offerto finalmente un regno, un’opportunità per dimostrare a chi lo aveva umiliato il suo valore.
E quando era tornato lei non lo aveva giudicato.
Frigga aveva avuto come una sorta di speranza, aveva continuato a vedere in lui quel contorto ragazzino dal cuore immacolato, quella stessa persona che aveva combattuto e giocato al fianco di Thor per anni.
Ma chiunque fosse se n’era andato.
Quello che aveva subito era un’alchimia perfetta di tradimento e di ingiustizia, una ferita che si trasformava in languida pena.
Tu eri un ragazzo molto dolce, Loki. Prepotente ma dolce. E quello che hai passato, quello che hai subito, ti ha fatto così male che adesso desideri solo ferire le altre persone, come se tu volessi diffonderlo quel male. Eri un ragazzo buono che si è trasformato in un uomo non molto buono. E adesso devi solo capire come tornare indietro.
La voce di sua madre era svanita insieme al suo sorriso amaro. E ancora una volta aveva pianto.
Le lacrime erano scivolate sulle sue labbra portando un sapore di sale, un retrogusto dolciastro che lo aveva colto impreparato.
E poi lei era tornata.
Contro ogni logica e previsione era tornata.
“Vorrei dirti che mi dispiace, ma non lo farò perché tu me lo farai pesare. Oppure mi insulterai e mi minaccerai. O magari tutte e tre le cose! Quindi ti dico quello che devo dirti e basta, chiaro?”
Darcy era in piedi e lo fissava, aveva tenuto quella domanda sospesa prima che il suo interlocutore decidesse di formulare una risposta.
E dopo una breve pausa aveva continuato.
“Thor sta venendo qui. Te lo ricordi il tuo non fratello? Alto, biondo, muscoloso? Beh, vuole chiederti aiuto per non so quale missione suicida e pensa di poter contare su di te. Lui vuole poter contare su di te. Anche se tutti gli stanno dicendo di non farlo. Anche se pensa che tu possa tradirlo. Lui lo farà lo stesso. Quindi tu… cerca di non farlo.”
“Ti sfugge il punto, Darcy. Tradire Thor non è altro che il mio ruolo nella storia. Un inganno che si cela nel richiamo di ciò che sono.”
“Beh, anche a te sfugge il punto, bellimbusto! Perché –che tu ci creda o no- a volte la parte peggiore di noi può essere anche la migliore.”
Darcy sentiva le gambe come indipendenti dalla sua volontà, lo stomaco contratto dai crampi e quando fu certa di riavere il controllo si voltò per andarsene.
Loki non l’aveva guardata, aveva continuato a fissare un punto imprecisato della stanza e l’unica concessione che le aveva fatto era stata un lieve ed impercettibile cenno di assenso, un gesto che per molti poteva non valere niente ma che per lei aveva detto tutto.
“Magari dovresti farti trovare un po’ meglio di così. Sembri sull’orlo di… no, a dire il vero, sembri immerso in una crisi di nervi. Cosa decisamente poco positiva. Ma ora è meglio che vada perché mi stai fissando in modo truce! E non si fissa non modo truce qualcuno che ti aiuta!”
Il tono a metà fra il sarcastico e il tremante si era spento con il rumore dei suoi passi mentre il dio era rimasto immobile, forse intrappolato in quella che era l’attesa più importante della sua vita.
Una scelta che lo riportava indietro.



PS. So che anche questo capitolo non è lungo, cercate di perdonarmi!
Note: Come avrete capito, siamo al punto (nel film) in cui Loki, Thor, Jane e –nel mio caso- Darcy, si preparano alla battaglia finale contro Malekith. Battaglia finale che vedrà il suo epilogo nel prossimo capitolo!


 

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Capitolo 5
*** Postludio: What the world owes me ***


N.d.A. Salve a tutti! Ebbene eccomi qui con l’ultimo capitolo di questa What if . Ringrazio moltissimo chi ha seguito questa storia e chi la ricorderà! Non ho molto altro da dire prima che leggiate, solo spero che ne apprezziate la conclusione! E, per il resto, vi aspetto nelle note post capitolo. A dopo, quindi!
 
 
 
Postludio: “What the world owes me”


 
Darcy aveva cominciato a camminare.
Camminava lenta e si sentiva come un autostoppista colto da una grandinata. Quello che provava non poteva essere ignorato e non poteva essere nascosto. Erano sensazioni che le scivolavano sulla pelle, emozioni che si erano accese nell’iniquità del tempo presente.
Avevano lasciato Asgard con l’aiuto di Lady Sif e dei tre guerrieri e grazie a Loki avevano raggiunto Svartalfaheimr, il regno degli Elfi Oscuri.
Lei si era occupata di Jane, sempre più sopraffatta dal potere dell’Aether, un’energia malvagia che la divorava da dentro, mentre i due fratelli si erano confrontati e scontrati trovando infine una sorta di compromesso.
E poi erano scesi in battaglia, una guerra che aveva visto il Dio del Caos spegnersi fra le braccia di Thor, in un gesto altruista con cui aveva pagato l’aspro prezzo di quella che chiamavano lealtà.
Le urla di dolore del loro compagno erano risuonate in quell’attimo e nei mille anni dopo, nella consapevolezza di aver perso un qualcosa di appena ritrovato.
Darcy aveva osservato il suo volto privo di vita, un corpo freddo che rivelava le sue vere discendenze. Aveva sentito il cuore batterle in gola, un pianto soffocato per quell’uomo che segretamente aveva iniziato almeno un po’ a comprendere.
Aveva incrociato le braccia come per fermare un malessere crescente, aveva guardato Jane senza essere sicura di vederla e insieme si erano riunite al Dio del Tuono, a un frammento del suo stesso cordoglio.
“Che cosa facciamo adesso?”
Lei aveva ascoltato la richiesta dell’amica senza parlare e aveva seguito l’eco della sua voce perdersi nella grotta che avevano scelto come riparo, un rifugio dal vento e da quello che era stato.
Poi era uscita di nuovo all’aperto, si era appoggiata alle rocce sporgenti e li aveva lasciati padroni di una decisone da prendere, una soluzione che li avrebbe potati lontani.
“Un attimo! Questa è la mia suoneria! Il mio cellulare deve essere qui, da qualche parte!”
Jane si era inoltrata nella penombra con passi svelti e decisi. Passi che si erano persi come fruscii nel rumore di altri passi. Finché i mormorii erano cessati e il silenzio era arrivato, una quiete improvvisa che aveva risvegliato i suoi sensi dal torpore.
“Jane? Thor? Dove siete finiti?”
La brezza gelida che s’infrangeva sulle rocce fu l’unica risposta che le sue orecchie riuscirono a udire.
Rimase ad ascoltare e solo dopo si concesse uno scatto d’ira e di sgomento.
Darcy era rimasta sola.
 
Era rimasta sola quando un bagliore verde l’aveva quasi toccata.
Si era voltata e aveva sorriso in modo diverso dal solito, in una maniera che s’illuminava di speranza. Aveva corso verso quella luce improvvisa e quando le era arrivata vicina aveva sussultato.
Non c’era niente ad aspettarla, neppure quel corpo senza vita che si era aspettata di trovare. Aveva chiuso gli occhi mentre ispirando a pieni polmoni si era concessa di riflettere, mentre nel buio cercava la risposta che mancava. E quando aveva sollevato le palpebre l’aveva trovata perché Loki era di fronte a lei, una sagoma di morte che riaffiorava alla vita.
Il dio l’aveva guardata con quell’espressione risoluta che ogni volta era come un vuoto d’aria, un respiro che si spezzava e moriva in un altro sospiro.
“Sei vivo.”
Il sussurro si era perso nello spazio. Non sapeva cosa cercare sul suo volto e nell’incertezza si era avvicinata. Aveva appoggiato le mani sul suo petto ignorandone la possibile reazione, lo aveva fatto provando ad immaginarne i pensieri e nel suo sguardo aveva colto l’essenza del presagio che ogni essere umano si portava appresso. In lui albergavano la stanchezza e il dolore, stati d’animo che solo chi aveva ingannato in nome di un diritto negato poteva comprendere.
E nel vortice di quelle percezioni le labbra avevano sfiorato le altre labbra. Un tocco lieve con cui era rimasta immobile per sempre, finché staccandosi il tempo era tornato normale.
Loki l’aveva lasciata fare e dopo era tornato a baciarla. Aveva portato le dita affusolate fra i suoi capelli e il contatto era diventato vero, un misto di saliva, passione e pensieri contrastanti. E come l’aveva cercata l’aveva allontanata.
“Perché sei ancora qui?”
“Dobbiamo trovare gli altri. Non so dove siano finiti. Credo che in qualche modo abbiano raggiunto la Terra.”
Darcy aveva usato il tono più fermo che conosceva, aveva fatto qualche passo verso la grotta e all’improvviso aveva deciso di fermarsi.
Dentro di lei c’era un contrasto fatto di disillusioni e di sogni, come chi si era alzato una mattina comprendendo in un solo momento la differenza tra realtà e aspettative, tra normalità e perversione.
L’uomo alle sue spalle portava una maschera e dietro ad essa nascondeva il suo vero essere, sprazzi di umanità che si annerivano nell’attesa di una rivalsa da sempre troppo agognata, una rivincita a cui ancora non era pronto a rinunciare.
“Tu non verrai, vero?”
“No.”
Quel monosillabo conteneva molti significati, forse un mondo intero.
“Che cosa farai adesso? Mi ucciderai?”
Loki l’aveva guardata e non aveva trovato traccia di rammarico nei suoi occhi, un senso d’inquietudine che forse avrebbe preferito trovare. Era un istante che si componeva di specchi, frammenti che riflettevano il suo lato oscuro e frammenti che si dipingevano di un intento svelato, un’intenzione che non era certo di poter attuare.
L’unica verità era che avrebbe voluto essere altrove.
“Heimdall.”
L’uomo aveva pronunciato quel nome con un tono di sentenza, come chi aveva osservato il suo stesso pensiero prima di trasformalo in parola.
Darcy aveva assimilato quella decisone trovandosi avvolta da un albore che sapeva di arcobaleno, una luce che li aveva avvolti portandoli dove tutto era cominciato, su quel ponte colorato dove cielo e terra s’incontravano. E una volta fermi Loki era stato rapido. Con un movimento della mano aveva pietrificato il Dio Bianco, un velo di smeraldo che lo aveva intrappolato.
E lei ci aveva provato.
“Torna sulla Terra. Vieni via con me. Dopo tutto quello che hai fatto per Thor, per tua madre e per noi, non posso credere che per te questo non sia importante.”
Le sue labbra si erano allargate con l’amarezza tipica di conosceva la risposta.
E nella consapevolezza aveva continuato.
“So che una parte di te vorrebbe farlo, ma so che non lo farai perché l’altra parte è così autodistruttiva, così arrabbiata, che non potrebbe mai scegliere qualcosa di diverso da un trono. L’altra parte non può fare a meno di ciò che significherebbe.”
Loki aveva focalizzato il bene e il male e in quel confine si era consumato. Nel silenzio aveva osservato la nascita di un paio di lacrime spontanee, gocce di sale che rigavano le guance della donna che aveva davanti.
Nella penombra aveva allungato una mano e con il pollice ne aveva cancellata una. Poi aveva deglutito scoprendo quanto fosse diventato difficile farlo.
“Io l’ho fatto per me.”
“Non è vero. Ma va bene lo stesso.”
Al seguito di quella confessione il dio aveva socchiuso le palpebre e con un movimento fluido delle dita aveva annullato tutti i suoi ricordi, reminescenze ormai lontane di quello che era stato. Memorie che si perdevano in un arco celeste diretto verso Midgard, un biglietto di sola andata verso quella che era la sua casa.
E un attimo più tardi Darcy era sparita.
Lui si era voltato verso Asgard, le gambe pesanti e il cuore tremante, una strada che minacciava di condurlo all’apice del suo destino.
Per Loki sarebbe stato facile tornare.
Riunirsi a quel fratello ritrovato, a quella fiducia persa e riacquistata, con quella donna che lo aveva cercato e aiutato senza chiedere nulla in cambio, sarebbe stato semplice.
Ma rinunciare a ciò che aveva sempre bramato sarebbe stato insopportabile.
E il fato era anche quello, era la consapevolezza di non poter partire per un viaggio sapendo cosa lasciava alle spalle.
Non è vero. Ma va bene lo stesso.
Il Dio dell’Inganno aveva catturato quel pensiero e per un istante ci aveva anche creduto, prima di annullarlo e di convertirlo in quella che era un’utopia lontana.
Forse lo aveva tenuto sospeso per lei, perché quello era ciò che voleva ricordare. Qualcosa che avrebbe potuto regalarle insieme a quella vita che aveva deciso di lasciarle. O forse perché semplicemente l’idea di seguirla lo aveva sfiorato almeno una volta, quel tanto che bastava per insinuare in lui un senso di malessere, un sentimento sbagliato che mai lo avrebbe abbandonato.
E mentre scacciava quella disforia sfiancante il suo corpo mutava, le sue sembianze quelle di qualcun altro, quelle di un sovrano presto rimpiazzato e dimenticato.
Era il Padre di Tutti e finalmente poteva regnare.
Una scelta intrapresa perché infondo il mondo glie lo doveva.



 
 
Note: Bene! Adesso alcune spiegazioni sono d’obbligo! Come avrete capito e letto, questa What if  ha ripercorso in maniera –più o meno fedele- la pellicola originale di Thor: The Dark World, solo con la piccola eccezione che Darcy questa volta è approdata su Asgard insieme al dio del tuono e all’amica Jane.
Ecco, dato il presupposto, ci tenevo che la conclusione rispecchiasse quella del film. Ovvero volevo l’inganno e volevo Loki sul trono! Una fine doverosa per il personaggio! E, già che ci siamo, vi condivido anche altre due bellissime immagini: immagine1, immagine2.
Comunque, per questo motivo principale, con Darcy non poteva accadere niente di più oppure niente di diverso. Lui doveva scegliere il trono. Se così non avesse fatto… non sarebbe stato Loki!

In ogni caso, anch’io come voi, speravo e volevo una conclusione meno sofferta, più un lieto fine, per questo ho deciso di tralasciare volutamente alcuni spezzoni della battaglia contro Malekith. Vi starete chiedendo: e che c’entra?
Bé, semplice, li ho serbati per la one shot che intendo scrivere adesso! Una storia che sarà la conclusione effettiva di questa What if. Non sto a darvi adesso i particolari, ma conto di pubblicarla fra un paio di sabati, fra quindici giorni al massimo. La pubblicherò unendola a questa con la voce ‘serie’. Che ne dite? Vi piace l’idea? Adesso ho parlato fin troppo, quindi lascio a voi la sentenza, sperando di sapere il vostro parere sulla storia! A presto. Giulia


PS.
Questa immagine di Loki e Darcy potete considerarla un po' il trailer della one shot!

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