The dark into mind

di Small Wolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come un colpo di tamburo ***
Capitolo 2: *** La corsa ***
Capitolo 3: *** Come appeso a un filo ***
Capitolo 4: *** Con uno sguardo ***
Capitolo 5: *** Preghiera ***
Capitolo 6: *** Risveglio ***
Capitolo 7: *** Errore di memoria ***
Capitolo 8: *** Discreta Promessa ***
Capitolo 9: *** La mia fortuna ***
Capitolo 10: *** Di abbracci, alcol e foto ingiallite ***
Capitolo 11: *** Gelo ***
Capitolo 12: *** Qui per te ***
Capitolo 13: *** Lost It All ***
Capitolo 14: *** Demoni ***
Capitolo 15: *** Perdono ***
Capitolo 16: *** Parole gelate ***



Capitolo 1
*** Come un colpo di tamburo ***


SALVE A TUTTI! ECCOMI CON UNA NUOVA FIC SUI BVB :) LO SO CHE NE HO UN'ALTRA IN BALLO MA QUESTA LA DEVO PROPRIO SCRIVERE ALTRIMENTO NON STO TRANQULLA XD E' TROPPO CHE MI FRULLA IN TESTA.
ALLORA VORREI AVVISARE CHE QUESTA FIC TRATTA ARGOMENTI FORTI QUINDI SE QUALCUNO PENSA DI ESSERE TROPPO SENSIBILE A IMMAGINARSI DEI PERSONAGGI IN CERTI STATI  CHIEDO PER FAVORE DI NON LEGGERE. GRAZIE A TUTTI :) SPERO IN QUALCHE RECENSIONE! CIAU!


Da fuori si sentivano già le grida del pubblico. Centinaia di ragazzini impazziti, fermi sotto la sottile pioggerellina che cadeva al freddo del venticello autunnale, per sentire i loro idoli.
E lì, dietro le quinte del palco che per quella sera avrebbe accolto i Black Veil Brides, i preparativi per l'imminente concerto erano quasi terminati. Eppure tutto era ancora estremamente frenetico per gliorganizzatori e i truccatori di scena che si accingevano agli ultimi ritocchi al viso di Ashley, troppo puntiglioso per accontentarsi di venti minuti di preparazione.
Andy spiò da dietro le casse e il pannello che li divideva dai ragazini uralnti al di sotto del palco e vide la distesa di teste incappucciate e vicine, agitarsi, colme di desiderio di vederli tutti il prima possibile e troppo emozionate per sentire freddo. 
Sorrise appena alla vista di tanta dedizione, quando la mano energica di CC gli si schiafò dietro la schiena.
-Facciamo del nostro meglio, eh Andy?
Andy annuì e corrispose l'esperssione felice ed emozionata del batterista poi gli poggiò la mano sulla spalla e lo scosse lievemente.
-Certo, del nostro meglio.
-I fans ci aspettano!-esclamò Jake mentre passava  una delle due chitarre elettriche che aveva in mano a Jinxx, intento a rileggere una parte di un brano che non gli era mai andata molto a genio.
I passi frenetici del loro menager, Mr Milton, li raggiunsero con più energia del solito e la sua vocetta dal vago accento francese con la R moscia, bloccò tutto il loro entusiasmo quando, senza troppe cerimonie, annunciò che il concerto sarebbe stato sospeso per quella sera.
-Cosa?!-esclamarono in coro i cinque membri della band rock, distaccandosi dalle loro attività. Per fino Ashley si preoccupò di sollevare una palpebra e interrompere il lieve colorito scuoro che la sdignorina Taylor gli stava dando.
-Avete sentito bene, il concerto non si farà-ripetè il manager mentre si sistemava i piccoli occhiali tondi sul naso adunco.
Jinxx fu il primo a riscuotersi dal silenzio colmo di stupore che si era creato e, con la sua tipica freddezza, domandò quale fosse il motivo di un tale e improvviso cambio di programma.
Dal retro della tenda in fondo al retro palco, videro sbucare due uomini dalla corporatura massiccia che con passo severo severo e professionale si diressero verso di loro. 
-Signore, la bomba non aveva alcun innesco-fece l'unico biondo dei due che con gli occhi piccoli e azzurri e il pizzetto chiaro e regolare ricordava molto un generale tedesco.
-L-la bomba?!-tossicchiò Ashley, saltando in piedi dalla sedia da regista su cui si era accomodato.
L'uomo rimase un momento nterdetto, vedendosi arrivare addosso gli occhi degli artisti e dei diversi tecnici che avevano fermato il loro lavoro per preoccuparsi di sentire.
Mr Milton pernsò allora di intervenire con la sua schietta diplomazia e spiegò:
-Abbiamo ricevuto un pacco pochi minuti fa... era indirizzato al signor Biersack, conteneva una bomba in grado di far saltare una mano. Assieme all'esplosivo vi era un biglietto su cui si ordinava chiaramente di non presentarsi sul palco sta sera.
Andy sgranò gli occhi estrefatto e stordito dalla notizia mentre attorno a lui si espandeva il chiacchericcio impressionato dei presenti.
-M-ma... ma com'è possibile? C-come... Chi avrebbe potuto farmi una cosa così?
-Qualche fanatico oppure qualche giro sporco in band rivali... non ne abiamo idea sappiamo solo che questo è un avvertimento serio-aggiunse l'omino con le braccia incrociate sulla cravatta bordeaux e la testa semi pelata piegata verso il basso in una posa di riflessione.
-Quindi... questo maledetto pazzo vuole rovinarci-mormorò CC a bassa voce, stringendo le bacchette talmente forte da farsi venire le nocche delle dita bianche.
Il vocalist scosse lievemente la testa dai capeli neri intanto che si rialzava da perterra dove si era lasciato scivolare per paura che le ginocchia gli cedessero d'improvviso.
-No, non ci riuscirà!-sentenziò una volta in piedi-ma se questa sera non andiamo faremo la figura di chi ha paura e se lo dimostriamo questa sarà la fine della band.
-Lei è impazzito signor Biersack!-commentò il manager-Questa sera è pericoloso, quelli non scherzano!
-Non importa... io non mi tiro indietro. Siete d'accordo ragazzi?
Jake annuì convinto come anche Ashley e CC mentre solo Jinxx rimase immobile e in silenzio con la testa dai capelli disordinati, poggiata al manico della chitarra e gli occhi azzurri, dal taglio deciso, persi a rivalutare quella scelta affrettata.
Il coro che chiamava i loro nomi si fece via via più alto e la folla impaziente prese ad agitarsi più del solito.
-Non posso lasciarvi andare-disse Mr Milton, squadrando i cinque con aria determinata e nel frattempo preoccupata. Quando i suoi piccoli occh chiari arrivarono a quelli limpidi e decisi del vocalist, che conosceva dal lancio del suo primo album, cercò di trasmettergli tutta la sua apprensione anche se non bastò a mantenere la ragione del ragazzo su una pista più saggia.
-Le sente le loro grida?-chiese Andy con il dito teso verso la massa nervosa-io sono qua per ascoltarle... quesgli occhi persi sono stati anche miei e io non li abbandono.
Il silenzio si fece carico di tensione maquando al moretto si affiancarono a uno a uno i compagni con i rispettivi strumenti fra le braccia, l'uomo non potè che sospirare, sconfitto.
I ragazzi esibirono un breve sorriso mentre lui dava ordini ai due agenti di posizionare gli uomini della sicurezza in punti strategici.

Non appena uscirono sul palco li inestì una ventata sferzante, quasi di sfida, che per alcuni secondi fece avere dei seri ripensamenti a tutti quanti anche se vennero subito coperti dall'entusiasmo della folla urlante.
I dubbi di NAdy sparirono appena vide il viso di una ragazzina rigato di lacrime e, sorridendole, annunciò la prima canzone. Partita la musica,ogni genere di tensione iniziò a sciogliersi per lasciare spaio all'adrenalina e all'euforia del momento. 
Man mano che le note scorrevano, il cielo imbruniva e lo spettacolo entrava nel vivo.
Sul palco sembrva tornata la calma e il pubblico ignaro gridava o applaudiva i ragazzi scatenati e spensierati. Ash correva da una parte all'altr del palco mentre suonava il basso e attirava le attenzioni delle fans impazzite intanto che CC regolava il ritmo delle melodie e Jake e Jinxx si occupavano delle note e degli assoli, suonando schiena contro schiena.
Andy, invece, si perdeva nelle parole e negli sguardi felici dei ragazzi. Si inginocchiava al bordo del palco per stringere le loro piccole mani semi-guantate, per farsi afferrare il giubbino di pelle con le spille del gruppo o più semplicemente per concedere qualche occhiata sexy in giro.
Il tempo passò come la folata di vento precedente, ormai calma e quando gli occhi azzurri e contornati di nero del cantante si levarono alla luna piena, era già arrivato il tempo dellìultima canzone: Umbroken. Sceglievano sempre quella per il gran finale come se quelle parole forti e energiche del testo potessero essere n ottimo saluto e una promessa sincera da entrambe le parti.
La musica partì con l'attacco della batteria, seguita poco dopo dalle chitarre e dal basso. La voce poi, arrivò potente al microfono, dando un senso di libertà al suo possessore con lo sguardo perso sulla platea di gente, illuminata a scatti dai fari colorati e intermittenti che circondavano il grande palco metallico.
C'era come un chiasso ordinato, connesso solo al messaggio, i ragazzi si scatenavano mentre i fans cantavano a squarciagola con lui oppure gridavano i loro nomi. Il clima era talmente vivace e coinvolgente che perfino gli agenti della sicurezza si stavano rilassando e i loro occhi erano meno vigili e decisamente soddisfatti per l'ennesimo evento andato a buon fine. Forse, proprio per l'atmosfera allegra nessuno ebbe neanche per un secondo l'idea che qualcosa potesse andare storto. Tantomeno, nessuno si rese conto di ciò che accadde nel breve lasso di tempo in cui la voce di Andy si alternò all'assolo di Jake. In quel preciso istante, da un punto indefinito della folla, qualcuno tiròfuori una pistola e, presa velocemente la mira, premeè il grilletto in direzione del palco.

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Capitolo 2
*** La corsa ***


Nessuno si accorse dello sparo, camuffato dalle percussioni dei tamburi tanto meno del sibilo della pallottola che sorvolò le teste dei fans.
Alcuno dei presenti, neanche gli stessi uomini della security, capirono cosa accadde nel primo momento in cui la minuscola e letale arma  raggiunse il petto del vocalist, forandone la parte sinistra del giubbotto di pelle e quello che c'era sotto.
Ma appena Andy spalancò gli occhi e interruppe a metà l'allegro ritornello in un grido soffocato, portandosi una mano sul punto ferito, si scatenò il panico.
Tutti smisero di cantare e in brevissimo tempo le grida d'acclamazione divennero urla di terrore e sgomento.
Andy si tastò il petto imbrattato di sangue che gli colava anche dal labbro e neanche un due secondi dopo si sentì mancare. Vide solo il cielo che diventava un soffitto e le ginocchia che gli cederono sotto il lancinante dolore che provò poco prima che con la schiena sbattesse a terra e la testa colpire il piedistallo della batteria, trasformando tutto in nero.
Forse fu la volta che il maggior numero di persone gridarono il suo nome contemporaneamente.
-Andyyy!!!!!!!!-esclamò Jake, il più vicino mentre gli si buttava affianco-Andy!! Andy!!!
Jinxx afferrò il microfono a terra e si mise a chiamare un dottore e a invocare l'aiuto dei paramedici che si trovavano accanto alle ambulanze oltre le transenne che delineavano la zona dello spettacolo.
-Andy!!! 
-Oddio lo hanno colpito?!
-Chi può essere stato?!
-Oh no Andy!!
-Non vedo, che succede?! 
-Andyyy, Andyyy nooo!!!!!
Le voci del pubblico risultavano soffocate alle orecchie del diretto interessato che si vide immediatamente attorniato da dei visi. Andy sentiva solo il dolore al petto e ala testa che sanguinava poco sotto la nuca. Vedeva in modo offuscato il palco affollarsi e la gente correre in panico senza una meta precisa. Quando la testa gli ciondolò pesantemente da un lato, come se il collo non riuscisse a sostenerne il peso, vide un ragazzo che lo guardava con gli occhi sbarrati e lucidi, fermo in un angolo col basso che gli pendeva mollemente da una spalla. Poi il buio, di nuovo.
-Fate largo, fate largo!!-urlavano i cinque paramedici che sgomitavano fra le persone il lacrime mentre cercavano di proteggere gli strumenti medici e la barella dagli urti della folla.
Il capo della security intanto riafferrò il microfono deciso a ristabilire l'ordine il tutto mentre distribuiva comandi ai suoi sottoposti di bloccare tutte le uscite e di allontanare le persone dal palco. Così, preso il microfono, si affrettò a salire su una cassa amplificatrice.
-Calmatevi! Calmatevi!-gridava-fate silenzio! Silenzio! Se vi agitate ci renderete le cose difficili! Zitti!
Ma i fans non lo ascoltavano e continuavano a correre senza uno scopo, a chiamarsi a vicenda o peggio a riprendere la situazione generale con i cellulari oppure ad ammassarsi verso il palco per vedere il corpo inerte del loro idolo steso su una pozza di sangue scuro, circondato da altri tre componenti della band.
-Zitti! silenzio! state indietro dal palco! indietro!-ordinavano i buttafuori, spingendo le persone in masse compatte lontano dalla scena per lasciare più libertà ai paramedici di agire. Eppure, nonostante tutte le indicazioni strillate nei microfoni il caos non diminuì anzi aumentò progressivamente al punto che furono costretti a sparare dei colpi di pistola in aria per ammutolirli almeno un pò.
Le persone, atterrite, si ritraevano e il rumore delle urla lasciava spazio ai singhiozzi ma solo per pochi minuti prima di ristabilizzarsi. 
Nonostante tutto i quattro ragazzi della band non distolsero lo sguardo dal loro amico sdraiato a terra e ferito. Nessuno smise di guardare atterrito e con le guance bagnate l'intervento tempestivo dei paramedici che lo sollevavano di peso sulla barella, lo legavano e gli premevano una maschera trasparente sul naso sottile e le labbra spesse, imbrattate di rosso.
L'unico che rimase praticamente immobile a tutto quel trambusto fu Ashley, troppo scosso per pensare alle due braccia possenti di due uomini che lo tiravano indietro per far passare la barella da cui penzolava il braccio sinistro del suo amico.
Ash tremava alla vista delle sue lunghe dita affusolate e pesantemente abbandonate verso il basso, da cui gocciolava il sangue. Se ne accorse solo quando, dopo la partenza delle ambulanze a sirene spiegate, qualcuno gli porse un bicchiere d'acqua che a stento riuscì a reggere.

Andy aprì gli occhi di nuovo, il dolore era atroce e lui faticava a respirare. Sentiva il calore del sangue sulla maglia che un uomo in tuta arancio stava tagliando per scoprirgli il petto. 
Girò appena gli occhi circondati dalle occhiaie, il rumore delle sirene era assordante e l'odore del sangue gli faceva venire il vomito. Se non fosse stato troppo debole per levarsi la mascherina dal naso, l'avrebbe fatto volentieri.
-Sta perdendo troppo sangue-sentì dire da un secondo uomo-Avverti  l'ospedale di preparare quattro sacche di AB positivo e una sala operatoria-aggiunse rivolto a un infermiera bionda sulla quarantina.
Quando lei si abbassò per controllargli il polso i suoi occhi azzurri si richiusero pesanti.

Dopo poche ore, la piazza dove si era tenuto il concerto fu  sgomberata e al posto dei fans stavano arrivarono ondate di giornalisti e curiosi senza contare la polizia e la scientifica, intervenuta per trovare qualsiasi possibile indizio, nonostante fossero già le tre del mattino.
Intanto, prima della lunga operazione di evaquazione, i ragazzi si erano messi in una macchina di servizio dello staff ed erano corsi dietro alla vettura urlante. 
Jinxx il più stabile del gruppo era alla guida e seguiva da lontano la luce intermittente delle sirene che si alternava con le luci in un visibile contrasto cromatico.
Tutti erano in un silenzio pieno di parole non dette, di paure, di ansie e di insulti verso se stessi. Verso le loro teste troppo impavide per cedere al pericolo e a quell'impulsività che non erano riusciti a bloccare.
Forse, Anshley era l'unico che non pensava davvero a qualcosa ma aveva la mente vagante sulle immagini di poco prima e sulla sua reazione incredibilmente sconcertata. Non avrebbe mai creduto che proprio lui riuscisse a immobilizzarsi del tutto, che i suoni potessero azzerarsi e i movimenti attorno case apparirgli come un insieme confuso di colori indefiniti. E più ci rifletteva più rimaneva in quello stato di incredulità iniziale.
Quando imboccarono la via laterale per l'ospedale notarono era una grossa struttura moderna dalle pallide pareti color vedre acqua su cui erano incolonnate ordinatamente diverse finestre dalle veneziane azzurre. Al pronto soccorso si accedeva da un entrata posteriore attraverso una stradina larga abbastanza per far passare due ambulanze affiancate e che attraversava il giardinetto curato. Con stizza si accorsero che davanti alle porte scorrevoli del pronto soccorso c'era già uno stormo di giornalisti, Tg e paparazzi locali. Erano tutti lì come degli avvoltoi con le videocamere accese e le macchine fotografiche appese al colo per immortalare ogni momento.
-Maledetti impiccioni!-imprecò Jake mentre il secondo chitarrista frenava bruscamente la macchina a pochi metri dall'ambulanza. Prima ancora che la vettura si fermasse del tutto, CC scese, rischiando di cadere sull'asfalto, per andare in contro all'ambulanza già circondata dalle videocamere.
-Andatevene subito!! Andatevene subito, maledetti!!!-strillò quasi stupito di possedere ancora la voce e di riuscire a reggersi in piedi.
Immediatamente un buon numero di persone e di obbiettivi si puntarono su di lui, lasciando un pò più spazio alla barella.
Gli altri, capito il gioco di CC di attirare a se le telecamere, riuscirono a farsi breccia fra la gente rimasta che urlava domande a cui neanche con tempo e calma avrebbero voluto rispondere e ad entrare all'interno della struttura. 
Si affiancarono in fretta al lettino con le rotelle, spinto da due paramedici accanto al quale camminavano a passo spediti tre uomini in camice bianco.
-Ce la farà?-chiese Jake a uno dei tre dottori che erano venuti a prendere Andy all'entrata.
-Ora dobbiamo operare non sappiamo molto-gli rispose secco mentre continuava ad avanzare veloce per il lungo corridoio che conduceva alle sale operatorie d'emergenza.

Andy aprì lievemente gli occhi ma la vista gli risultava appannata e i rumori confusi e ovattati come da una specie di bolla. Qualcosa gli premeva sul naso e il contorno del mento, era fastidioso. Cercò con lo sguardo di ritrovare qualcuno che conoscesse fra le sette persone che muovevano quel letto su cui era legato ma la debolezza gli impedì di mettere bene a fuoco quei visi. Sentì pronunciare un nome da un ragazzo dagli occhi verdognoli e i capelli neri. Non ebbe il tempo di domandarsi come mai avesse dubbi sull'origine di quel nome che ancora una volta il buio ebbe la meglio.

Appena giunsero a una porta ad ante i due medici a capo la sbarrarono contemporaneamente con le mani libere e mentre i paramedici entravano di corsa oltre la soglia ne uscì un' infermierina dal viso infantile e i lunghi boccoli rossi che li bloccò.
-M-mi dispiace signori ma da qui non potete entrare...-mormorò con lo sguardo basso e le guance lievemente più rosate di prima.
-Come no?! Ma noi dobbiamo vederlo è nostro amico! Dobbiamo andare!-protestò il bassista in un monologo dettato dall'ansia del momento.
-Davvero, mi dispiace, ma adesso i dottori devono lavorare... per favore non superate la porta...
-Dannazione!-imprecò Jake che con gli occhi lucidi si voltò di schiena, prendendosi i capelli fra le lunghe dita affusolate.
Jinxx rimase a guardare il visino gentile e timoroso dell' infermierina contorcersi in un espressione di puro dispiacere e con la propria fredda logica, decise di intervenire.
-Ragazzi per favore, non è questo il momento di lagnarsi...
Le sue parole furono appena sussurrate ma bastarono a zittire i due amici e a far risollevare lo sguardo colmo di ringraziamento della giovane.
-E poi Andy non dovrà vederci in questo stato...
Jake annuì lievemente, passandosi le dita sugli occhi mentre il bassista lo guardò dritto per alcuni secondi, come un bambino alla ricerca di una speranza vana, per poi arrendersi e lasciarsi cadere su una delle tante sedie di plastica azzurra appoggiata contro il muro.
L'infermiera osservò la scena per poco tempo poi, con un inconsueta delicatezza che i medici no hanno, essendo abituati alle tragedie, si avvicinò a Ashley che afflitto stava abbandonato contro lo schienale. Si chinò verso di lui e, sfiorato il braccio tatuato, come per svegliarlo da un tremendo incubo, gli sorrise lieve.
-Vuole che le porti un bicchiere d'acqua?
Lui si voltò lentamente e annuendo, la ringraziò.
-G-grazie...
Lei si allontanò, lasciandoli tutti un pò storditi da tale disponibilità e tornò poco dopo con un bicchiere pieno d'acqua fresca che porse all'unico seduto dato che nè Jake nè Jinxx riuscivano a star fermi.
Passò poco tempo che il piccolo trio vedesse sbucare CC dalla porta del pronto soccorso, sorvegliata da alcuni agenti della sicurezza dell'ospedale per evitare calche.
Il batterista arrivò con passo deciso verso i compagni e i capelli lievemente svolazzanti per lo spostamento d'aria gli davano un aria ancora più trafelata.
-Avete notizie?-domandò con sgomento e un pallore inconsueto sulle guance.
Ashley scosse la testa bassa dai liscissimi capelli pece mentre giocherellava distrattamente con il bicchiere di plastica ormai vuoto.
-Qualcuno deve avvertire Juliet e i signori Biersack-osservò il chitarrista ritmico, sostenuto dalla parete.
-Ma Juliet non è qui a New York è partita 2 settimane fa per il tour sud americano col suo gruppo. Sarà in Brasile a quest'ora-mormorò Jinxx.
-Beh, qualcuno dovrà pur dirle di questo...-le parole morirono con la stessa spontaneità con cui erano nate dalle labbra sottili di Pitts-io avviso i genitori-aggiunse mentre componeva il numero di casa Biersack.
Rimasero alcuni secondi a guardarsi per decidere chi avrebbe dovuto chiamare Juliet finchè non fu CC ad afferrare l cellulare che aveva in una tasca del pantalone di pelle, consapevole del fatto che Ashley fosse in un mondo tutto suo e Jinxx in una delle sue fasi nevrotiche peggiori.

Quando la musichetta del cellulare le investì le orecchie, Juliet si girò su un fianco cercando di ignorarla. Non aveva idea di chi fosse, sapeva solo di essere appena tornata da un concerto sfiancante e che qualche sciocco, per un motivo indefinito, voleva parlarle. Si domandò se per caso fosse Andy che voleva darle il buon giorno e sbuffò scocciata al pensiero del fuso orario.
Si decise a roteare sul fianco e a trascinarsi fino al comodino accanto al letto della stanza d'hotel e guardò chi fosse. Sullo schermo luminoso apparve il nome di CC e insospettita rispose.
-CC se sei ubriaco va a casa a dormire eh!-mugugnò con gli occhi appiccicati dal sonno.
-Juliet non sono ubriaco ma... è successo una disgrazia! Andy... gli hanno sparato.

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Capitolo 3
*** Come appeso a un filo ***


Jinxx stava cercando di fare la parte del ragazzo calmo e riflessivo anche se in quel momento calmo e riflessivo erano gli ultimi aggettivi che gli si potevano dare.
Eppure tutti l'avevano visto come quello meno incline a perdersi nelle emozioni e talvolta l'unico del gruppo in grado di dare un freno alle loro continue trovate.
Quindi, quandoJ ake gli aveva fatto intendere che lui sarebbe stato l'unico con abbastanza fermezza mentale in grado di andare a prendere Juliet all'aereoporto non aveva potuto far altro che accettare. Si era preso addosso il carico di guidare fino alla meta e di spiegare a una ragazza ansiosa e innamorata che il suo ragazzo era in bilico fra la vita e la morte in una sala operatoria.
Stava ripensando a tutto questo quando il suo cellulare prese a suonare, interrompendo i suoi ragionamenti. Sbuffò frustrato e premè il tasto verde senza neanche badare a chi fosse.
-J-Jinxx?-mormorò una vocetta tremolante e speranziosa dall'altra parte del telefono.
-Sammy!-esclamò per la sorpresa, ricordandosi in un colpo che lei si trovava lì a New York quella sera, impegnata in un concertino con la sua band.
-Oddio!-urlò mentre scoppiava a piangere-Amore, stai bene?! Ho visto la notizia al TG quando eravamo al bar e...
-Si, sto bene-la interruppe-ora sto andando a prendere Juliet all'aereoporto, Andy è stato ferito al petto.
-Oh, Signore...
-Si... il suo volo dovrebbe arrivare fra mezz'ora.
-Fa una deviazione-gli ordinò.
-Cosa?
-Ti prego Jinxx, fa una deviazione e vienimi a prendere!
-Ma Sammy io...
-Jinxx ti prego!-insistè-Non tilascio solo in questa situazione! Sono al pub GoodNight sulla 55esima!
Lui non ebbe nemmeno il tempo di protestare che gli si chiuse la chiamata. Rimase qualche secondo sbalordito per il comportamento della sua dolce mogliettina prima di afferrare al volo una traversa per arrivare dove lei gli aveva indicato.
Si maledì mentalmente per averle dato retta quando si trovò nella via più trafficata della città che non dormiva mai. Alla fine, dopo alcune suonate di clacson e imprecazioni a denti stretti, vide finalmente l'insegna luminosa del locale e la figura minuta di Sammy venirgli in contro, correndo sul marciapiede. 
Bloccò di colpo la macchina, sferzando per evitare di prendere la vettura che aveva davanti e scese dall'auto. Non si preoccupò d'aver fermato tutta la carreggiata dietro di sè ma andò dritto verso di lei che gli si buttò al collo. 
-Jinxx!!-singhiozzò -stai bene, amore, stai bene! 
Lui premè le proprie labbra fini su quelle spesse di lei e si gustò il bacio veloce e carico di tensione che gli donò.
-Quando ho sentito la notizia al tg, dove non si capiva chi dei cinque fosse stato ferito ho pensato subito a te! Ho provato a chiamarti ma tu non rispondevi!
Lui la ascoltava intanto che le dita dalle lunghe unghie smaltate di nero gli stringevano i capelli e la maglietta nel modo conpulsivo di chi non riesce ancora a credere di avere con sè una cosa tanto importante e non persa per un disegno del fato.
-Pensavo di non rivederti mai più amore! Credevo che non ci saremmo abbracciati più! Ho pensato di tutto e non sapevo che fare...
Jinxx rimase in silenzio poi la strinse forte al suo petto per farle sentire tutto il suo amore e la sua protezione.
I clacson non li disturbarono troppo dalla loro stretta che fu comunque il chitarrista a interompere per primo.
-Sammy, dobbiamo andare, Juliet sarà qui a minuti.
Lei annuì e insieme partirono verso l'areoporto.

Non fecero in tempo a parcheggiare che Juliet saltò giù dall'auto e prese a correre verso la porta del pronto soccorso. Non servirono a nulla i richiami di Sammy nè il frenare frenetico diJinxx per evitare che uscisse con la machina ancora in movimento.
Durante tutto il tragitto Juliet aveva pianto e domandato di continuo cosa fosse successo di preciso e se avevano notizie. Sembrava non volersi rassegnare all'idea di non rivederlo mai più. Era rimasta sui sedili posteriori abbracciata alla Doll con la testa infossata contro il giubbotto di pelle di lei e i singhiozzi d'ansia e paura che inquinavano il silenzio dell'abitacolo.
Jinxx, invece, aveva giudato veloce, consapevoleche avrebbe per sempre avuto il peso di quegli attimi mancati se qualcosa fosse andato storto in quella sala operatoria.
La bionda si ritrovò davanti un gruppo di giornalisti ma non si curò di reprimere le lacrime davanti agli obbiettivi anzi li scansò in malo modo. Poi, mostrò alle guardie la sua carta d'identità e quando le fu aperta la porta, si precipitò lungo il corridoio. 
I suoi passi eccheggiavano fra le pareti verdine e strette, creando come un immaginario tic tac di orologio. In quel momento non pensava ad altro che alla voce calda del suo Andy, a quei ellissimoi occhi azzurri e luminosi ma soprattutto a ciò che si erano promessi. Rivide scorrere le immagini del loro primo incontro, avvenuto casualmente dietro le quinte di un palco, alcuni anni prima, la loro prima chiaccherata al cellulare avvenuta proprio quel giorno in cui era tanto furiosa e il tono pacato di Andy era riuscito a calmarla. E poi il susseguirsi di incontri, di piccoli gesti, quella mano grande che le portava i capelli biondini dietro l'orecchio, le labbra soffici che le si pggiavano sulla fronte in segno di protezione, un coctail vuoto che avevano bevuto in due. Scene rapide, saettate l'una dietro l'altra ma tutte con lo stesso significato, tutte come piccoli pezzi di un puzzle che aveva disegnato fino ad allora la loro vi ta insieme anche se qualche volta era difficile incastrare i pezzi e trovarli nelmucchio confuso di idee e ragioni differenti che li caratterizzavano. 
-Andy!-singhiozzò quando finalmente, svoltato l'angolo, vide gli altri ragazzi e due signori di mezza età che riconobe come i coniugi Biersack.
Gli altri la presero fra le braccia soprattutto Jake che la tenne stretta finchè lei non sollevò i grandi occhi verdi sulla figura terrorizzata della signora Biersack la quale strinse in un forte abbraccio.
-Come state?-domandò tremate ai due.
-Oh Juliet... speriamo in bene... il mio ragazzo...Disse il padre di Andy mentre se le portava entrambe contro il suo petto largo.
Jinxx avanzò mano nella mano con Sammy in una piccola corsa, chiedendo se avessero notizie, risposta che ovviamente fu negativa. Purtroppo la luce rossa al di sopra delle porte scorrevoli che delimitavano la sala operatoria era ancora accesa e indicava l'intervento in corso. Erano ormai da due ore lì dentro e l'attesa incminciava a divenire angosciante. 
Il mutismo di tutti, unito al ticchettare inesorabile dell'orologio da parete posto poco più su del tavolino di vetro, aggiungeva sempre più paura per la sorte del vocalist.
SEnza dire unaparola sulla propria ansia, ognuno si sistemò come potè sulle sedie, sperando di riuscire a chiudere occhio almeno per qualce minuto.
L'unico che proprio non riusciva a star fermo era Jake il cui vagare indiscreto innervosiva.
-E siediti!-esclamò a un tratto Ashley, scocciato di vederlo andare su e giù con le dita in bocca e le unghie rosicchiate per il nervosismo.
-Hei, che vuoi?!-esclamò il chitarrista con gli occhi rossi e un'espressione contorta dal dolore.
-Beh, mi stai facendo venire il mal di testa!-ribattè Ash con la voce inconscia dello stress.
-Ci sono cose più importanti ora del tuo mal di testa, Ashley...-mormorò Jake a denti stretti, sfoggiando un' occhiata di fuoco che intimava chiaramente al compagno di piantarla con quei modi inopportuni.
Ci furono alcuni secondi di silenzio ma prima che qualcuno potesse intervenire nuovamente la lucetta al di sopra delle porte si spense e dalla porta comparve un uomo dai lunghi baffi bianchi, gli occhi piccoli e azzurri che spiccavano sulla carnagione abbronzata e i capelli argentei e ondulati.
-Dottore-esclamarono all'unsuno i coniugi mentre si alzavano di scatto dalle sedie e andavano in contro al medico, avvolto nel suo camice bianco.
-Come sta?-intervenì Jinxx, alzando lo sguardo da una Sammy mezza addormentata sulla sua spalla per portarlo sul viso stanco del chirurgo.
L'uomo sospirò mentre si massaggiava gli occhi chiusi e prese a parlare.
-Ecco per ora il paziente è stabile. Abbiamo rimosso la pallottola con successo anche se questa si era conficcata nel polmone sinistro...
Il medico non fece caso al singhiozzo della donna dai capelli ricci che per somiglianza doveva essere la madre del ragazzo e continuò il suo discorso con professionalità.
-Il problema è che cadendo ha anche riportato un trauma cranico e non sappiamo che tipo di conseguenze potrebbero esserci... Inoltre il paziente non è fuori pericolo purtroppo.
-Che significa?-fece il padre di Andy, ripiombato improvvisamente nella disperazione all'udire tali parole.
-Significa che questa notte è decisiva, bisogna che la superi per dichiararlo fuori pericolo.
Nessuno emise suono. Nessuno riusciva a credere che la vita di Andy fosse ancorata alle poche ore di nottata che rimanevano. Se fossero sopraggiunte complicazioni probabilmente non ce l'avrebbe fatta e tutto sarebbe finito lì. I suoi sogni di gloria, il suo sorrido, la sua voglia di fare tutto in fretta, il suo amore per i fans, i Black Veil Brides.
Lo stesso filo di pensiero, comune a tutti, venne interrotto quando la porta della sala si aprì una seconda volta e ne apparve un letto con le rotelle che accoglieva Andy, addormentato di un sonno artificiale.
Juliet rabbrividì, come tutti, nel vederlo pallido, con una mascherina premutagli sul naso da un infermierna giovane dai flessuosi capelli ricci e rossi e il petto abbondantemente garzato. Le sue labbra, visibili grazie alla trasparenza della mascherina, apparivano appena rosate e non rosse come al solito, appena schiuse mentre quei grandi occhi erano chiusi e bagnati attorno alle ciglia lunghe, come se avesse pianto.
Tutti gli si precipitarono attorno, chi più chi meno, per accarezzargli la fronte sudata su cui erano appiccicati i capelli neri o per stringergli le mani inerti sulle coperte.
I suoi genitori furono i primi ad andargli incontro e a baciargli le dita inattive per godere ancora un pò di un calore incerto. 
-Per favore signori, fatelo portare nella stanza dopo potrete stargli vicino-disse il dottore mentre cercava di allontanare il disperato gruppetto di gente.
Fu dura per tutti allontanarsi nuovamente da lui e seguirlo solo da lontano ma per amor suo lo fecero. Arrivati al reparto di terapia intensiva venne loro ordinato di rimanere fuori dalla camera mentre gli infermieri preparavano i macchinari necessari per un monitoraggio continuo.
Alla fine, dopo alcuni minuti, il chirurgo uscì nuovamente dalla camera e disse che avrebbero potuto stargli accanto solo i parenti stretti e al limite un amico.
-Ragazzi, se non vi dispiace, vado io con Andy-mormorò Juliet con lo sgardo perso e disperato.
-Ma certo-acconsentirono.
-E' il tuo ragazzo non dovevi neppure chiedere-aggiunse Sammy mentre si aggrappava maggiormente al braccio muscoloso di suo marito. Non avrebbe potuto immaginare come si sarebbe comportata se al posto di Andy ci fosse stato Jinxx. 
Probabilmente non avrebbe mantenuto il contegno di Juliet nè sarebbe stata in grado di contenere il dolore in modo dignitoso come i genitori di Andy. Si sentiva un mostro in quel momento a pensare che alla fine era sollevata nel sapere il suo ragazzo lì con lei piuttosto che in un letto d'ospedale, incosciente e in pericolo di vita. Nonostante volesse bene a Andy e Juliet che per loro erano cari amici di famiglia, non poteva che ringraziare di non essere al posto di Julliet. 
Jinxx capì al volo il suo ragionamento, dettato da quella presa improvvisa e le sorrise lieve per farle capire che il suo comportamento non era nè squallido nè egoista ma solo e semplicemente umano.
-Juliet, io resterei lo stesso-borbottò CC-Se non disturbo.
-Anche io-aggiunse Jake.
-E io-fece Ash al seguito, poggiando una mano sulla spalla del chitarrista per fargli percepire le sue scuse.
Jake, in risposta, non potè che serrare le labbra per trattenere le lacrime. Lui e Ashley come tutti gli altri componenti della band, non avevano mai avuto un brutto rapporto nè tantomeno c'erano stati litigi per cose futili per ciò il fatto di aver alzato tanto la voce prima, denotava una certa tragicità della situazione.
La biondina annuì appena alle loro richieste e attese con loro che i genitori di Andy uscissero dalla camera per lasciarle posto. Rimasero due ore ad aspettare prima di vedere aprirsi la porta e vederne uscire i due coniugi, stravolti dal dolore e con gli occhi rossi e lucidi di chi aveva paura di perdere la cosa piùimportante della propria vita.
-P-posso entrare?-domandò Juliet mentre già si alzava. Nessuno rispose alla retorica, lasciandola passare.
Quando entrò nella camera che odorava di chiuso e disinfettante, portò subito i grandi occhi chiari su Andy, steso nel letto contro la parete alla sua destra, senza badare troppo al povero arredamento della camera. Non si curò del piccolo tavolino di ferro contro il muro di fronte al letto nè dell'armadio scuro adiacente a un piccolo bagno e neppure della finestrella da cui penetravano i raggi artificiali dei lampioni. 
Dedicò tutta la sua attenzione al ragazzo dormiente nel letto, si portò accanto a lui e gli prese una mano, quella del braccio libero dalla flebo. Poi, con delicatezza, gli carezzò la fronte coperta dalla fascia che gli avvolgeva x una striscia il capo e osservò nuovamente le labbra troppo chiare sotto la maschera che aveva sul naso. 
Nela camera regnava il silenzio più totale, interrotto a tratti dal rumore regolare che indicava il battito di Andy, trasportato a un monitor, su cui si disegnavano delle linee spezzate, da dei piccoli cavi che aveva appiccicati al petto nudo. La parte bassa di questo, verso la fine della cassa toracica, era invece garzato.
-Andy...-mormorò-amore.. stai tranquillo ci sono io, ci siamo tutti qua con te...
Continuava a sussurrargli all'orecchio nella vana speranza che lui la sentisse e con il fantasioso pensiero, dettato dalla disperazione, che lui si risvegliasse e le dicesse che andava tutto bene e che ogni cosa si sarebbe sistemata. Ma invece non andò così. Al posto della voce rassicurante del vocalist, la quale le trasmetteva sempre un incredibile calma, apparve il ronzio della macchina che gli controllava il battito. Essa, invece che emettere i classici bip regolari incominciò a creare un unico suono lungo e stridulo mentre sul monitor le linee spezzate divenivano più ravvicinate e asimmetriche.
-Andy? Oddio, che succede?-balbettò mentre alternava lo sguardo dal suo ragazzo alla macchina impazzita.
Prima ancora che potesse gridare aiuto entrarono due medici e la giovane nfermierina dai capelli rossi la stessa che aveva assistito Ashley e retto la maschera sul naso di Andy lungo il tragitto fino al reparto di terapia intensiva.
-Che succede?!-esclamò terrorizzata mentre i dottori si affaccendavano frenetici attorno al letto, coprendole la visuale.
-Che cazzo sta succedendo?!-insistè Juliet sempre più isterica intanto che e lacrime prendevano a colarle sulle guance fin sul collo bianco.
-Ora lei deve uscire-disse uno dei due medici, un giovane uomo dai capelli mossi neri come gli occhi e la barba incolta.
-No, aspettate vi prego! Devo stare qui con lui!
-Noi dobbiamo lavorare-asserì il secondo intanto che trascinava un carrellino con uno strano macchinario a piastere accanto al letto.
-Oddio no!
-Basta adesso! Signorina Jonson, la porti via!
Juliet si voltò un secondo verso la ragazza che con le mani un pò tremanti le prese le spalle e cercò di allontanarla dal triste spettacolo.
-Andy! Andy!! Andy!!-gridava mentre veniva trascinata verso la porta dalla ragazza. L'ultima immagine che vide prima che un paio di mani molto più robuste delle precedenti l'afferrassero e la porta si chiudesse, furono quelle piastre sul petto lievemente muscoloso di Andy.

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Capitolo 4
*** Con uno sguardo ***


Alla fine, come avevano previsto i medici, c'era stato un collasso ma non solo di una persona, bensì di due. Infatti, quando la signorina Jonson le chiuse la porta per evitarle la scena disperata di una rianimazione, Juliet si era lasciata cadere fra le braccia possenti di Ash. 
Si era risvegliata circa un'ora dopo su un lettino di emergenza, con una flebo ficcata nella piegatura del braccio sinistro.
La piccola infermierina che l'aveva trascinata fuori dalla stanza, era lì, seduta su uno sgabello di ferro sistemato accanto al lettino.
Juliet rimase un attimo spaesata dalla situazione ma appena rammentò la scena di prima, si mise a sedere sdi scatto.
-Dov'è Andy?! Dov'è come sta?! Come sta?!-domandò freneticamente alla ragazza.
-Il signor Biersack è stabile per ora... grazie al cielo sono riusciti a intervenire in fretta e prima che le cose peggiorassero.
La cantante scoppiò in un pianto sollevato, cambiando di colpo l'umore quando l'infermiera le mise una mano sulla spalla con l'intento di confortarla.
-Lasciami non mi toccare!-strillò, scrollandosela di dosso.
-M-mi scusi...- balbettò la ragazza, ritraendo la mano, piuttosto sbalordita da quella reazione. La signorina Jonson, comunemente chiamata Beth o Betty dalle sue poche amiche, era da sempre stata troppo ingenua e buona per comprendere appieno certi comportamenti.
-Come ti sei permessa?!-urlò Juliet in preda alla rabbia e allo stress- a portarmi fuori di lì in quel modo?! 
Beth rimase in silenzio mentre credeva che ogni singola parola di Juliet fosse ragionevole e non dettata dalla frenesia incosciente del momento. Rimase zitta e ingoiò tutte le parole che l'accusavano senza trovare le forze e le capacità per ribattere. Alla fine per lei, era sempre stata un'abitudine prendersi le colpe di altre menti scellerate, di azioni altrui ma era da molto tempo che non gliene rivolgeva più nessuno. Più precisamente, da quando aveva abbandonato quella casa popolata da un padre costantemente ubriaco e una madre distrutta dalla perita di un figlio per andare a vivere per conto suo in un modesto monolocale in periferia.
Ripensando a ogni istante passato, a ogni violenza subita che la voce martellante di Juliet le riportava alla mente, riuscì a trovare a stento la forza di obbiettare.
-Mi dispiace aver reagito così... ma l'ordine è partito da un mio superiore e inoltre i dottori dovevano agire senza distrazioni... mi capisce vero?
L'unica risposta che le arrivò fu uno schiaffo sulla guancia che le fece voltare il viso di lato. 
Beth rigirò lentamente il capo verso la faccia bagnata della bionda la ci mano tesa era ancora sospesa a mezz'aria. Poi si portò le dita allo zigomo rosso, sconvolta.
-Non provarci mai più!-aggiunse-Non provare mai più a portarmi via così dal mio ragazzo!
Beth si alzò di colpo dallo sgabello, rischiando di farlo cadere all'indietro e uscì dalla stanzetta con il viso rosso di un'inutile vergogna e le lacrime negli occhi scuri.
Cominciò a correre lontano da quella camera in cui era stata umiliata da una perfetta sconosciuta solo per aver svolto il suo lavoro. Stava ancora correndo quando si scontrò con qualcuno. 
Alzò i grandi occhi bruni, circondati dalle ciglia folte, e incrociò quelli nero carbone del ragazzo che aveva tranquillizzato nel corridoio alcune ore prima.
-M-mi scusi-balbettò mentre si passava le dita sulle guance per eliminare ogni traccia di pianto.
-Non si preoccupi-disse lui troppo stanco per rammentarle di stare più attenta e segretamente riconoscente per il gesto di prima.
Beth si allontanò ma neanche fatti due passi il ragazzo la rifermò.
-Mi scusi, dov'è la camera dove hanno portato Juliet SImms?
-Ah... la 27 al piano di sotto.
-Grazie... si sente bene?
Beth avrebbe tanto voluto dirgli che no, non si sentiva bene che non si era mai sentita bene da nessuna parte e che l'episodio di poco prima aveva minato la sua già precaria forza. Eppure il suo buon senso e la professionalità glielo impedirono.
-No, solo stanchezza, la ringrazio.
Ashley annuì, sollevato dal non dover stare ad ascoltar le sue lagne e tranquillo per aver reso quell'atto di gentilezza che lui considerava come un debito, mentre rimase a guardare la piccola schiena dritta, su cui oscillavano flessuosi dei capelli rossi dai lunghi boccoli e i fianchi stretti di lei ondeggiare a passi composti alla scalinata che conduceva all'atrio delle macchinette.
Rimase un attimo attonito poi decise di darsi una mossa e raggiungere Juliet per aggiornarla sulle ultime notizie. Il vederla isterica prima aveva avuto l'effetto di una scossa. Si era improvvisamente reso conto che in quel momento era l'unico in grado di poterla portare fuori dalla camera dove vi era Andy dato ke gli altri erano occupati a sostenere la signora Biersack o troppo sconvolti per riuscire a muoversi.
La trovò seduta sul lettino, intenta a togliersi l'ago della flebo dal braccio.
-Juliet, che stai facendo?
In un lampo, Ashley si ritrovò puntati addosso i limpidi occhi verdi della ragazza.
-Che c'è?-balbettò titubante con le fini sopracciglia contratte verso l'alto.
Lei sbuffò per fargli capire che aveva compreso benissimo a chi appartenesse quella stretta che l'aveva portata via dalla camera di Andy.
-Voglio andare da Andy-si lamentò mentre provava per l'ennesima volta a sfilarsi l'ago.
-Per ora non possiamo vederlo... dopo l'attacco hanno dovuto mettergli un tuo in gola per farlo respirare meglio e evitare altri collassi...
Juliet rimase immobile, chiusa nella sua disperazione mentre fissava le iridi pece del bassista illuminarsi di una lucidità inconsueta.

Passarono alcuni giorni ma la situazione di Andy era sempre la stessa. Non c'era stato alcun miglioramento o peggioramento e ciò contribuiva a creare una sorta di bilico che rendeva tutti nervosi. I branchi di fans che ogni giorno sostavano nel cortile dell'ospedale per  avere novità sulla salute del loro idolo e i paparazzi che si aggiravano in incognito, o anche in bella vista, da quelle parti in cerca di notizie succose, non aiutavano.
Più volte la pazienza dei ragazzi era stata messa a dura prova dalle fotografie di fans estenuanti e le insistenti domande dei cacciatori di scoop. Il padre di Andy, un mattino, aveva reagito male alla calca che non lo lasciava accedere all'entrata, rompendo il naso a un fotografo particolarmente insistente.
L'unico che aveva mantenuto un certo contegno come al solito era stato Jinxx che si limitava a sgomitare fra il gruppetto di camere, imprecando di tanto in tanto.
Probabilmente CC fu l'unico a concedere qualche parola più di na volta e a strappare qualche occhiata complice fra i giornalisti.
Eppure, in quel momento, nessuno dei conoscenti del ragazzo avrebbe voluto avere attorno gente come quella. Tutti pensavano solo a Andy e alla speranza che le cose proseguissero per il meglio. Le più ansiose sotto questo punto di vista erano la signora Biersack e Juliet che passavano la maggior parte di tempo con lui ed erano quelle che più spesso si davano i cambi per i turni di assistenza o di visita. 
Nonostante tutto, c'era un evidente sforzo di pensare in maniera positiva, di accennare a un sorrido e di pregare che andasse tutto bene. Anche per rendere questi pensieri  concreti i medici avevano dato il permesso di arredare la stanza con qualche vasetto di fiori colorati mentre la segreteria dell'ospedale non faceva che ricevere ogni giorno una miriade di peluche, disegni e dediche di fans da ogni parte del mondo e conservarli con pazienza prima di consegnarli ai genitori del vocalist.
Proprio quella sera di circa tredici giorni dopo l'accaduto, Juliet era seduta accanto al letto del suo ragazzo addormentato artificialmente dai farmaci, intenta a leggergli le poche righe di una lettera di una ragazzina di dodici anni che lo pregava di svegliarsi e di ritornare a cantare. Quelle parole erano talmente supplichevoli e innocenti che perfino la ragazza si commosse nel leggerle ad alta voce.
-Hai sentito tesoro?-domandò invano-Devi riprenderti eh, lo devi fare... lo vedi che ti aspettiamo tutti?
Gli strinse la mano inerte sulle lenzuola per fargli percepire il suo calore e la sua vicinanza.
Proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta e, senza attendere risposta, entrò.
Appena la bionda riconobbe il viso dai lineamenti dolci dell'infermiera che aveva schiaffeggiato, il suo sguardo si indurì d'istinto.
Dal canto suo Beth rimase sulla soglia, con un vassoio in mano su cui erano appoggiati una siringa e una boccetta di vetro, contenente un liquido trasparente, ferma a guardarla. I suoi grandi occhi scuri parevano voler chiedere il permesso per avvicinarsi.
Ci furono alcuni attimi in cui i loro sguardi rimasero uniti da un filo immaginario di rame dove la più piccola scintilla avrebbe potuto far scattare un circuito di corrente elettrica.
-Allora, che ci fai lì? Non entri?-domandò retoricamente la cantante, interrompendo quell'irritante gioco d'occhiate.
Beth si riscosse dalla sua indecisione e si avvicinò al letto Nella stanza si registrava un'incredibile tensione dato che quello era il primo giorno che le due si rivedevano dopo la sera dell'incidente. Infatti la rossa si era fatta cambiare i turni per evitare di rincontrare quella ragazza che era stata ingiusta nei suo confronti.
-Che cosa gli fai?-Chiese la Simms, giusto per avere qualcosa da dire e introdurre il discorso delle sue scuse. Aveva capito perfettamente di essersi comportata male e probabilmente era stato il gesto concreto dell'infermiera, di portarla via di lì, da allontanarla da Andy fisicamente a darle l'impressione di un secondo distacco forzato, come se ci fosse stata una seconda pallottola a dividerli.
La giovane assistente, che secondo Juliet non superava i 23 anni, si affaccendò attorno al letto e poi le rispose veloce e professionale.
-Questo che gli sto somministrando è un integratore di vitamine, dato che non può mangiare deve assumere nutrimento in un altro modo.
Juliet annuì tristemente col dubbio e la giusta paura che l'incoscienza di Andy sarebbe durata ancora se non a lungo abbastanza da distruggerle i nervi. Avrebbe tanto voluto sentire ricambiare la stretta della propria mano o sentire quelle battutine doppiosensate che le faceva quando era in vena di farla arrossire e tornare un pò bambino.
Il liquido che scorrè all'interno del tubicino trasparente collegato al braccio di lui la fece tornare bruscamente alla realtà.
-Lui sente... sente dolore?
Beth sollevò gli occhi dal braccio chiaro del paziente e scosse la testa, augurandosi di aver ragione. Nessuno aveva mai realmente saputo se le persone in quello stato sentissero e percepissero ciò che accadesse all'esterno, ne se provassero dolore fisico.
-Senti-mormorò Juliet, imbarazzata
-Si?
-Ecco, volevo chiederti scusa per la settimana scorsa... per quello schiaffo...
Beth rimase allibita mentre si sentiva rivolgere le scuse che in tutta la sua vita nessuno le aveva mai chiesto. Per nulla qualcuno si era scusato davanti a lei, neanche per uno schiaffo. Era cresciuta con la convinzione che fosse sempre lei a sbagliare e che non meritasse di essere perdonata. E invece, in quel momento capì quanto fosse stata sciocca a credere di avere sempre la colpa su tutto.
Così, mossa da un'inaspettata acidità per ripicca al suo stesso passato ingiusto e anche un pò alla sua stupidità ce solo allora si era accorta di possiedere in dosi elevate, le rispose freddamente e con un mezzo mugugno.
La cantante rimase alquanto stupita da quella reazione così distante e si inviperì nuovamente, pensando che forse non era valasa la pena di procurarsi tanta pena per una persona che alle sue scuse sentite e covate per giorni interi, rispondesse in quel modo vago.
-Bene, allora puoi andartene, voglio stare sola col mio ragazzo-le disse mentre accarezzava la fronte di Andy in un gesto puramente teatrale. Dovette ammettere a se stessa che in quell'istante si sentì un mostro a concedergli una carezza solo per sottolineare il fatto che lui fosse suo eppure la reazione immediata e visibilemente riaffranta della giovane le ripulì l'anima.
Beth uscì da quella camera prima che potè, offesa dal repentino cambiamento di Juliet e dal modo bramoso e fin troppo scenografico con cui aveva accarezzato i capelli scuri del ragazzo.
Prese a camminare velocemente verso il tetto dell'ospedale da cui si potevano scorgere i grattaceli vetrati di New York e udire i suono di clacson e di richiami provenire molti metri più in basso. Aveva voglia di prendere una boccata d'aria e uscire da quel luogo che l'aveva sempre oppressa.
Quando fu sullo spiazzo vuoto e bianco si diresse al muretto di cinta che la separava dal vuoto, incrociandovi le braccia sopra, socchiudendo le palpebre per godersi l'aria più leggera rispetto a quella piena di smog che alleggiava sui marciapiedi.
Si alzò in punta di piedi per provare a scorgere una striscia di mare fra gli alti palazzi grigi, di pochi metri superiori l'uno dall'altro. Pensò che in effetti quei palazzi rappresentassero ognuna delle persone che aveva conosciuto in vita sua a partire dai propri genitori. Erano tutti nascosti dietro a quella calce solidificata, sicuri di vedere tutti dietro le vetrate delle finestre specchio e non essere a loro volta scorti. 
Probabilmente era per la costrizione di un enorme arma qual'era la società in cui era cresciuta che anche lei si era costruita la sua piccola muratura in grado di proteggerla almeno un pò anche se, a suo dire, si trovava sempre troppi piani inferiore agli alti palazzoni che come nulla avrebbero potuto crollarle addosso e nasconderla sotto le loro macerie. Non era raro che dall'altro si staccassero pezzi di muratura in grado di sfondarle il tetto e farle piovere dentro casa.
Sospirò, colta da quelle malinconie che arrivavano ogni qualvolta riviveva episodi simili alla sua adolescenza e, alzando lo sguardo, fissò il cielo di un azzurro ancora puro nonostante fosse autunno. Vide due rondini svolazzare vicine, rincorrersi un pò per poi toccarsi appena col becco, distanziarsi e compiere una parentesi tonda per ciascuna per infine ricongiungersi più vicine. Come se quella distanza fra loro non fosse mai esistita. Le sarebbe tanto piaciuto avere qualcuno con cui vivere libera così, sicura che qualsiasi cosa fosse accaduta, in un modo o nell'altro, si sarebbe rincontrati. 
-Hei, Hei!
Una voce maschile la fece voltare indietro mentre poco lontano la guardava stupito Ashley colui che veniva più di rado all'ospedale, irritato forse da quel luogo.
Da una veloce analisi della sua corporatura muscolosa, gli occhi neri e mandorlati e i capelli scuri che gli ricadevano con un ciuffo sull'occhio sinistro, ricordò meglio che si trattava dello stesso ragazzo che sconvolto, non si reggeva in piedi la sera dell'incidente e a cui lei aveva offerto un bicchiere d'acqua.
-Oh, mi scusi... ha bisogno di qualcosa?
Ashley scosse il capo e si appoggiò con i gomiti al muretto, a discreta distanza dalla ragazza.
-Sto bene-affermò poco convinto mentre a occhi socchiusi  si massaggiava le tempie-Sono solo stanco.
Beth annuì apprensiva poi, vedendo le sue piccole smorfie di dolore li si avvicinò ulteriormente e gli sfiorò il bicipite muscoloso per attirarne l'attenzione.
-Vuole un'aspirina per il mal di testa? Magari le passa.
-Come ha fatto a capire che ho...
-Sono un'infermiera-tagliò corto per scartare eventuali complimenti inopportuni.
Rimase un pò stupito da quella improvvisa fretta ma accettò volentieri di seguirla nella stanza di sotto per prendere la medicina. Lo stress delle notti in bianco lo stavano esaurendo anche a livello fisico anche se cercava di darlo poco a vedere, per cercare di mostrarsi forte come tutti gli altri.
Jinxx e Sammy andavano spesso all'ospedale a volte anche solo per far distrarre Juliet e portarla nel giardinetto a prendere un pò di sole.
CC invece, cercava di tirare sempre su il morale e aveva assunto il ruolo di finto allegro per eccellenza. In fondo, chiunque lo conoscesse bene, era in grado di scorgergli negli occhi sempre un velo di malinconia e quell'insopportabile senso di impotenza che caratterizzava tutti.
Jake, infine, era il più problematico di tutti. Lui odiava gli ospedali, si sentiva schiacciato dall'odore di disinfettante che gli dava la nausea, dai singhiozzi soffusi in corridoio, stretti e tutti uguali, e del silenzio che assumeva il significato di "dignitoso" solo perchè non voleva prendere il connotativo di "impotente".
Aveva trascorso molto tempo in quel modo frustrante e rivivere nuovamente le stesse sensazioni, era straziante. Rivedere una persona a cui teneva come un fratello, ridotto in quello stato gli faceva riassaggiare la malinconia che aveva cercato tanto duramente di reprimere in fondo a se stesso, sotto un mare di note, sotto gli strilli della chitarra che urlava per lui.
Ashley ringraziò al bicchiere che gli  Beth gli pose. Buttò giù in un colpo la medicina, come fosse un bicchierino di vodka liscio.
-Adesso le passerà-gli disse la ragazza con fare professionale.
Il bassista stese le gambe e mise le mani incrociate dietro la testa, abbandonata all'indietro, sospirando.
In quell'istante, Beth rivide uno stralscio del suo passato, riflettè nell'espressione stremata del bassista il suo stesso timore e l'angoscia che suo fratello non si sarebbe mai ripreso, come poi era accaduto. Capiva perfettamente la paura che in quel momento quel ragazzo e i suoi amici stavano provando e per un secondo arrivò a invidiare la loro solidarietà reciproca. Forse fu per questo che esitò  momento a poggiargli la mano sulla spalla.
-Vedrà che andrà tutto bene.
Ash non riuscì a non fissarla negli occhi mentre glielo diceva per assicurarsi che fosse seria. Nonostante non fosse tipo da badare troppo allo sguardo delle persone, in special modo a quello delle ragazze, attirato da ben altro, fu comunque felice di aver rivolto la sua attenzione a quelle brillanti iridi brune.
Accortasi dello sguardo man mano sempre più magnetico del bassista, voltò il viso lievemente arrossato di lato.
-Forse è meglio se lei torni a casa adesso... si vede che è stanco.
-La ringrazio signorina...?
-Jonson-mormorò un pò dispiaciuta che lui non si fosse interessato prima a sapere come si chiamasse la persona che era stata tanto gentile con lui per tutto quel tempo.
Ridacchiò.
-Potrei sapere cosa c'è di tanto divertente nel mio cognome?-gli domandò delicatamente.
-Non ha un nome, lei?
Le guance si accesero ulteriormente di porpora.
-Sono Beth.
-Ashley Purdy-affermò il moro con disinvoltura e un pizzico di vanità-ma credo che il mio lo conosca già.
La giovane annuì con il capo chino, gesto che venne interpretato dal suo stanco ma ancora intraprendente interlocutore come timidezza.
Così, approfittò per levare il disturbo per davvero. 
-Allora io vado-annunciò mentre si dirigeva alla porta.
-A-arrivederci...
Ash si fermò sulla soglia con la mano poggiata sulla maniglia della porta semi aperta e si girò per mostrarle la sua più sincera gratitudine. Erano giorni che non accennava a un sorriso e quella ragazza, con la sua delicatezza e timidezza ci era riuscita molto meglio della sua vana convinzione interiore. 
-Grazie. 
Beth si rigirò verso la scrivania di ferro per nascondere le sue labbra sottili, stirate in un involontario sorriso mentre Ashley ridacchiava, scuotendo il capo, e si richiudeva definitivamente la porta alle spalle.

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Capitolo 5
*** Preghiera ***


La signora Morrison era sempre stata una donna severa riguardo al suo lavoro, intransigente ma soprattutto estremamente professionale e neutra nei confronti dei pazienti. Per questo, venti anni prima, era stata nominata capo reparto della terapia intensiva in uno dei più grandi ospedali di New York. Il suo polso di ferro e l precisione con cui faceva ogni cosa avevano fatto versare molte lacrime d'ansia prima ma salvato parecchie vite poi. Per lei, essere un medico significava combattere contro la morte ogni giorno sia quella dei malati che quella in cui rischiava di cadere tutte le volte che le cose non andassero nel verso giusto. Perciò non le erano mai state simpatiche quelle che prendevano ogni caso sul personale, quelle come Beth. I suoi piccoli occhi grigi e attenti avevano notato lo sguardo triste dell'ultima assunta ogni volta che passava davanti alla camera del signor Andy Biersack. Quindi, senza questioni personali ma per un insano istinto a fare di tutti i propri sottoposti una copia di se stessa, le aveva assegnato il giovane cantante come paziente personale. Sperava che così facendo Beth avrebbe imparato ad assumere un tono più neutro sia con lui che con tutti gli altri degenti. Alla richiesta di spiegazioni per quel improvviso cambiamento, le era stato risposto che era necessario che Andy avesse un'infermiera privata date le sue delicatissime condizioni, che infine non erano molto diverse da quelle degli altri pazienti chiusi in terapia intensiva. Era per questo che Beth si stava dirigendo proprio alla camera dell'interessato. Erano già passate tre settimane dalla notte dell'incidente e in tutto lei era entrata lì dentro solo due o tre paia di volte e le sue visite erano state sempre molto rapide. Eppure, nonostante la tensione, no le dispiaceva troppo stare da quelle parti. Si era resa conto di come si comportassero famiglia e amici quando un loro car stava male. Nel corso del tempo, e non solo grazie all'esempio della famiglia di Andy, aveva scoperto le tenerezze e le attenzioni di due genitori, l'amore morboso e addolorato di una ragazza e i piccoli gesti affettuosi degli amici. Ogni volta che faceva il giro delle stanze per i soliti controlli, si rendeva conto di come cambiassero o almeno provassero a cambiare le persone durante momenti tristi come quelli. Probabilmente era l'unico aspetto positivo del'ambiente e seconda ragione per la quale aveva deciso di laurearsi in medicina. La prima avrebbe per sempre riguardato suo fratello che si pentiva di non aver potuto far nulla per salvare, un senso di colpa che si portava dietro da quando aveva quattordici anni. Si riscosse dai suoi pensieri quando entrò nella camera di Andy. Si richiuse silenziosamente la porta alle spalle e si avvicinò al letto e, in un gesto di tenerezza, gli sfiorò la guancia pallida su cui era appiccicato dello scoth medico che teneva fermo il tubicino chiaro, infilato fra le labbra spesse. Vedere qual ragazzo così giovane, addormentato in quel sonno pericoloso, le fece venire i brividi. Per lei era come un bellissimo fiore imprigionato in un vaso invece che in un prato colorato. Inoltre, il contrasto con il ragazzo di prima, quello scherzoso nelle interviste e sorridente nelle foto era abissale. Le ricordava così tanto suo fratello, sempre energico e pieno di vita, un secondo padre che fungeva anche da madre e da migliore amico nei momenti bui e che infine, per un orribile gioco del destino, aveva perso. Le venne istintivo passargli i polpastrelli delle dita sulla garza che gli ricopriva la fronte, su cui cadevano a tratti ciuffi di capelli neri. Pensò per l'ennesima volta a quanto fosse inadatta a lavorare in quel posto col suo carattere troppo sensibile e altruista che andava contro la sua scelta, portata avanti con fatica. Gli stava ancora accarezzando la testa quando la porta si aprì e ne apparve la fidanzata del paziente. Beth si allontanò imbarazzata da Andy, borbottando un "buon giorno" d'accondiscendenza piuttosto che di educazione. -Che stavi facendo?-borbottò acida, squadrandola severamente con gli occhi stanchi e gonfi di tutte le lacrime che aveva versato. -I-io V-veramente stavo... -Non stavi facendo il tuo lavoro!-sbottò-Non provare ad approfittarti della situazione! Beth chinò la testa senza riuscire a dirle che non era nelle sue intenzioni dare quell'impressione e la ragazza la licenziò. -M-mi spiace-sibilò, capendo di essersi lasciata trasportare tropo dalle emozioni del momento. Sentì sbuffare ma no si voltò a guardarle l'espressione imbronciata. Passarono altri giorni e altre notti, le ore continuavano ad avanzare e a gettare tutti i parenti e gli amici del vocalist in un'angoscia crescente. Inoltre, a qualsiasi ora del giorno, era possibile scorgere dalla finestra di Andy vari gruppi di fans con cartelloni di incoraggiamento e di auguri. Lettere colorate che si innalzavano verso le finestre degli ultimi piani come fossero preghiere. I compagni di Band erano sempre più disperati e man mano che i giorni passavano, scemava anche la speranza che Andy si riprendesse. Eppure, nessuno voleva credere che quel bellissimo ragazzo, pieno di sogni e aspettative, con una parola dolce per tutti, potesse terminare il suo percorso in quel modo. Intanto la polizia continuava a dare la caccia al misterioso uomo che gli aveva sparato e di cui si erano perse le tracce. I telegiornali di tutta l'america, comprese le riviste locali, continuavano a mandare aggiornamenti sulla salute del cantante che poi erano sempre gli stessi. Un pomeriggio, Beth entrò nella camera di Andy per prendere accertamenti. Si spaventò un pò quando, seduto sullo sgabello accanto al letto, trovò Anshley, immobile e silenzioso. Lo aveva osservato bene i giorni precedenti e aveva notato in lui qualcosa che si potesse definire come una giovinezza sciupata. I suoi mandorlati occhi scuri parevano fossero diventati opachi mentre l'aspetto fisico diventava curiosamente sempre più composto e ordinato. Sembrava che, curando se stesso in modo tanto maniacale, potesse distogliere l'anima dal disordine che la caratterizzava. -B-buon giorno-salutò. Ash accennò a un piccolo gesto con la mano, senza staccare gli occhi da quello che era uno dei suoi migliori amici. Beth iniziò a visitare Andy, a segnare i parametri vitali e ad aggiornare la cartella clinica. Faceva tutto meccanicamente, così cme meccanicamente ashle la stava a guardare, alternando lo sguardo dalle sue piccole mani operose e il visetto concentrato, all'immobilità dell'amico. -Ho visto che ha fatto la notte lei ieri... è qui dall'altra sera Lui annuì con un mezzo sorriso triste. -E' l'unica cosa che posso fare-affermò con voce roca e un pò tremante-quando gli hanno sparato non ho saputo far altro che starmene fermo come un idiota a guardare gli altri che gli si precipitavano attorno... come uno stupido codardo Beth difficilmente avrebbe immaginato che la voce di un ragazzo muscoloso, pieno di tatuaggi, bello e famoso, potesse vibrare in quel modo. Così posò la cartella che teneva in mano sul tavolo di metallo e gli si sedè affianco su un'altra sedia. -Non so che fare... sono inutile. La ragazza fece correre la sua mano sulle coperte del letto fino a raggiungere le dita del bassista, conficcate convulsamente in un lembo della coperta accanto alla mano inerte di Andy. Il moro abbassò gli occhi, che aveva portato verso un punto del soffitto per non farle scorgere la loro lucidità, fin sulla piccola mano bianca sopra la propria. Si rese conto di aver allentato involontariamente la presa dalle coperte, quasi quella ragazza riuscisse a trasmettergli calma. Andò a fissarle il capo voltato di lato e rosso d'imbarazzo, girando il polso per far si che i loro palmi si incontrassero e le dita si intrecciassero. Rimasero alcuni secondi con le mani unite, in silenzio, ognuno preso a guardare un punto indefinito della stanza, in un muto conforto. Entrambi furono lieti che nessuno dei due prese l'iniziativa per un discorso, gustandosi quel silenzio pieno, interrotto dalla frequenza delle macchine che gli ricordavano regolarmente dove fossero. -Mi sento... inutile-sussurrò Ash ad un tratto, stupito dalla sua stessa voce. Beth si morse il labbro inferiore, conoscendo bene quella spiacevole sensazione e premè le punte delle dita fra le nocche del ragazzo. -Lei non prega mai?-mormorò. Lo sentì ridacchiare e poi sospirare. -Io non credo in Dio-aggiunse storcendo il nasino alla francese-e poi non so neanche una preghiera. -E' facile-gli disse-deve solo aprire il suo cuore e dire ciò che sente. Beth non seppe dove trovò la forza di alzarsi e mettersi dietro di lui, far scorrere le mani su i suoi avambracci fino ad arrivare a quei potenti e inutili arti abbronzati sulle lenzuola. Non seppe come riuscì a prendere e avvicinare le grandi mani l'una all'altra per farle congiungere, schiacciate fr le proprie. -Così, vede? Il bassista ebbe per la prima volta un fremito che non capì se derivasse dal piccolo seno della ragazza premuto contro la sua schiena un pò curva, dal fiato di lei che gli solleticava l'orecchio e il collo oppure da quel gesto così inusuale che non compiva dai tempi della prima comunione. Beth percepì un certo batticuore e si allontanò subito dal ragazzo. Emise un colpo di tosse per riprendersi e tornare al suo contegno. -I-io meglio se vada... ho ancora tre pazienti da controllare-mentì solo per prendere le distanze da quella situazione pesante. Si sentiva una sciocca egoista ad aver provato una sorta di piacere in un momento tanto difficile per quell'uomo. Inutili sensi di colpa tornarono a galla e la costrinsero a riassettare in fretta le sue cose per andar via. -Aspetti-la richiamò-per favore... rimanga qui a -Devo andare... -La prego!-con un tono di voce che si rese conto solo dopo, averla spaventata-cioè, volevo dire, potrebbe restare... solo un altro pò, Beth... Le grandi iridi scure e speranziose del bassista le lasciarono poca scelta così tornò accanto a lui e giunse le mani. -Mi aiuta lei? Beth annuì con gli occhi bruni socchiusi, facendoli socchiudere anche a lui, un pò scettico e poco convinto. -Avanti parli. -Cosa devo dire? -Ciò che si sente di dire. -Non credo mi ascolterà... Si spinse con la sedia più vicino a lui, toccandogli il bicipite con la spalla. -Mi creda. Ash deglutì e cercò la sua mano, unendole in un unico gesto.

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Capitolo 6
*** Risveglio ***


Quando Andy aprì gli occhi, la prima cosa che vide fu un soffitto bianco e illuminato da raggi di luce che si alternavano a delle strisce d'ombra, come il manto di una zebra. Provò a girare la testa per evitare la fonte della luce che proveniva dagli spiragli delle veneziane appese alla finestra alla sua destra, infastidendolo. Un forte dolore bloccò il suo intento a metà facendogli emettere un piccolo gemito. Qualcosa gli attraversava le guance e gli premeva una cosa di plastica trasparente sul naso e sulle labbra spesse. Alzò il braccio sinistro, quello libero dall'ago della flebo e si tastò il viso (a cui era stata applicata la mascherina al posto del tubo) per poi passare al petto. I polpastrelli, delle lunghe dita affusolate, strinsero dei piccoli cavi di plastica che dalla pelle erano collegati a un monitor su cui si disegnavano delle linee spezzate in corrispondenza di un suono regolare e ritmico. Capì subito di essere in un ospedale ma non ricordava il motivo. Anzi, non ricordava nulla. Ora che ci pensava bene non sapeva neppure il proprio nome. Iniziò a spaventarsi e a respirare male. Aveva paura, non capiva cosa gli stesse succedendo, voleva gridare, chiedere aiuto, ma la gola era troppo secca e le corde vocali si erano impigrite e parevano non aver voglia di vibrare per nessun motivo, neppure per il suo panico. Ci pensò, al posto loro, la macchinetta che aveva a fianco, incominciando a emettere suoni più veloci di quelli precedenti e anche più sconnessi, attirando l'attenzione di qualcuno nel corridoio. La porta si spalancò e lui vide una figura minuta e femminile venirgli in contro frettolosamente. Un viso giovane, quasi bambinesco, sovrastò il soffitto che passò in secondo piano e una mano gentile della stessa persona, girò con delicatezza il braccio senza l'ago. -Si calmi signor Biersack, si calmi-gli diceva con i grandi occhi scuri che si sforzavano di essere rassicuranti. Con una mano gli stringeva il braccio mentre con l'altra rovistava freneticamente in uno dei cassetti di metallo del letto vicino al letto. -A-ai... aiu... to...-ansimò anche se lei non parve sentirlo, presa com'era dal riempire la siringa con il liquido di una boccetta che le tremava fra le dita. -Stia tranquillo-balbettò prima di conficcargli la siringa nella pelle e premerne un'estremità per far affluire il liquido trasparente nella vena. Andy sentì un sonno improvviso afferrarlo, le palpebre essere trascinate verso gli zigomi come da delle pinzette invisibili intanto che anche il suono della macchina rallentava e incominciava a riessere regolare. Incominciò a vedere sfocato e l'ultima immagine che gli rimase impressa prima che gli occhi gli diventassero bianchi fu il viso angelico di quella ragazza e le sue labbra rosse e piene che mimavano parole di conforto. -E così si è svegliato, dottore?-esclamò la signora Biersack con un barlume di speranza negli occhi azzurri come quelli del figlio. Il caporeparto annuì grave, inarcando il labbro superiore sotto i baffi. -Si ma le ripeto che la signorina Jonson ha dovuto dargli un sedativo per calmarlo dallo shock iniziale quindi dovremmo trovare il modo di svegliarlo in maniera meno traumatica possibile. -Come crede di procedere?-chiese Juliet, facendo notare a tutti la sua presenza per la prima volta dopo il saluto iniziale. Era rimasta zitta tutto il tempo a guardare il dottore e i genitori di Andy, discutere sul presunto risveglio del suo ragazzo e a trafiggere con lo sguardo l'infermierina di terz ordine che aveva assistito per prima. Le era grata per aver agito immediatamente ma qualcosa di incomprensibile le rodeva ancora dentro. Si era per questo chiusa nel suo silenzio per evitare di sfidare i nervi. Il medico si schiarì la voce con un colpo di tosse: -Io preferirei ci fosse qualcuno che conosce quando toglieremo la dose giornaliera di sedativi. Probabilmente, se vedesse un amico si sentirebbe meno spaesato e non rischierebbe un secondo attacco di panico. La signora Biersack avrebbe voluto essere al posto di chiunque ad assistere suo figlio ma aveva capito al volo che il dottore aveva precisato la parola "amico" proprio perchè conosceva le reazioni delle madri e anche delle fidanzate isteriche. Alla fine arrivò il giorno di interrompere la dose quotidiana di farmaci, almeno quelli che lo tenevano addormentato. Quel pomeriggio erano tutti visibilmente agitati nonostante il desiderio di riavere Andy fra di loro fosse più forte di qualsiasi timore. Era ormai passato quasi un mese dalla notte dell'incidente e i medici avevano considerato abbastanza sanata la ferita che aveva nel petto. Il dolore sarebbe stato più sopportabile d'ora in avanti con l'aiuto di semplici antidolorifici. Era invece l'attività che andava ristabilita per farlo tornare a vivere autonomamente e soprattutto il trauma che si sarebbe portato per sempre dietro sarebbe dovuto essere trattato da degli esperti. Avevano deciso di far stare l'intera band nella camera di Andy mentre Beth sarebbe rimasta fuori dalla porta in caso di emergenza. Prima di entrare Ashley si trattenne a parlarle in corridoio. -Andrà tuto bene-lo rassicurò. Il bassista deglutì e annuì senza parlare per non far notare la sua voce tremante. La rossa gli sistemò il colletto della giacca di pelle nell'unico gesto che si osasse a compiere per consolarlo. Era consapevole che spesso i pazienti di ritorno da un incoscienza così lunga potevano riportare delle conseguenze e anche se tutti erano stati avvertiti e pregavano che ciò non fosse valido anche per Andy, le possibilità erano elevate. Il moro le chiuse i polsi fra le dita possenti e la fissò negli occhi, provocandole un lieve rossore sulle gote rosee. -Grazie-mormorò sì mentre le sue iridi esprimevano tutta la gratitudine per quel mese passato. Ash non era mai stato una persona a cui importassero i ringraziamenti tanto meno di vedere la gente preoccuparsi per lui. Fino a quel momento era stato convinto di poter star bene anche da solo, di riuscire a vivere la sua vita come voleva senza le inutili moine di qualcuno. Eppure, nell'ultimo periodo si era dovuto ricredere. Aveva ammesso a se stesso che le discrete premure di Beth avevano migliorato il suo umore perfino nei momenti più bui. Ogni suo sorriso, i caffè che gli aveva portato quando era lui a fare il turno di notte accanto all'amico e quella sera, vicino al letto di Andy, in cui lei l'aveva coperto con un pail senza accorgersi che in realtà fosse sveglio. Ogni sciocchezza gli era parsa fondamentale per la sua salute fisica e psichica e quell'incredibile benessere che per una volta non dipendeva dal sesso, era riuscito a trasmetterglielo una minuta infermierina senza nulla di particolare a parte due grandi occhi scuri e un sederino sodo. Lo aveva conquistato con i gesti dolci e il carattere accondiscendente, talmente innocente che non era neanche riuscito ad approfittarne per portarsela a letto. Per tutti questi motivi non riuscì a trattenersi dal fare una cosa che non era affatto consono fare: l'attirò a sè e l'abbracciò. Chiuse le sue braccia muscolose attorno al quel corpicino sottile e poggiò la testa sulla spallina rigida. Beth rimase immobile un pò schiacciata contro il petto muscoloso di lui e gli avambracci possenti e tatuati. Eppure, nonostante l'imbarazzo e il cuore che le batteva a mille si godè al massimo quella stretta, una delle poche sincere di tutta la sua vita. Infatti, gli abbracci che aveva ricevuto, si potevano contare sulle dita e li ricordava tutti. Ma fra questi non aveva mai avuto uno da un giovane bassista, famoso e donnaiolo che avrebbe guardato tutto tranne la sua seconda scarsa e preferito 100 volte qualcuna di più espansiva per divertirsi a modo suo. Rimase accanto a lui col fiato sospeso, confusa e felice per quel contatto che subito le mancò quando si ruppe. Appena il dottore le fece il cenno di entrare assieme ai quattro ragazzi, si allontanarono e si mossero compatti. Il dottore diede un orario indicativo per il possibile risveglio e li lasciò soli. Andy si sentì svegliare come da una voce che da lontano lo chiamava. Un ticchettio su qualcosa di metallico lo infastidiva. Schiuse lentamente gli occhi e incrociò per la seconda volta il soffitto, capendo che aveva già vissuto una scena simile anche se non ricordava quando. -Andy-sussurrò una voce. -Andy!-ripetè un'altra -E' sveglio -Si, si -Shh... fate silenzio-fece la prima voce che aveva parlato. In pochi secondi si trovò quattro volti attorno al letto su cui era steso, tutti chini a guardarlo, apprensivi. Li osservò tutti uno alla volta mentre loro gli prendevano le mani e gli sussurravano il suo nome, chiedendogli come stava. Il ragazzo ala sua sinistra, verso la porta, aveva gli occhi verdi e lucidi mentre quello accanto sembrava discretamente felice e esibiva un sorrisetto mentre lo scrutava con gli occhi ghiaccio. -Amico!-esclamò uno dei quattro, i capelli lunghi e neri che gli sfioravano le scapole-finalmente sei sveglio, non sai che paura ci hai fatto prendere! Andy contorse il viso coperto per metà dalla maschera e cercò di mettere a fuoco la situazione generale che appariva assolutamente confusa e senza senso. Ricollegò il fatto di essere in un ospedale dalle classiche pareti verdi pastello, il grande letto in cui era disteso e i monitor accanto che gli controllavano i parametri vitali. Poi, per quanto gli permettesse il dolore al petto e il mal di testa, cercò di capire chi fossero le quattro figura acanto a sè, senza successo. Quelle quattro paia di occhi non gli dicevano assolutamente nulla e neanche i loro gesti affettuosi. Di loro, fu Jake a percepire che qualcosa non andava. Era sempre stato il più sensibile di fronte agli umori altrui, l'unico che capisse sempre alla svelta le sensazioni di chi conosceva. Aveva la mania inconscia di osservare tutto con estrema precisione e meticolosità, collegando ogni azione a fatti e conseguenze corrispondenti. Per questo motivo era considerato il più empatico di tutti. E mentre gli altri continuavano a chiedergli come stava e a sospirare sollevati di vederlo con gli occhi aperti, seppur stanchi, Jake gli si avvicinò con le labbra al'orecchio dalla sua parte. -Andy-gli mormorò mentre la mano andava a carezzare la guancia pallida dell'amico-cosa c'è che non va? I tre fecero immediatamente silenzio, anche se a CC servì una gomitata di Ashley per tacere del tutto, intuendo ciò che aveva spinto il chitarrista ad agire. A quelle parole gli occhi color grigio per la scarsa luce della stanza di Andy si sgranarono e rimasero fissi sul muro di fronte, colti dal più totale spaesamento. Deglutì per cercare un pò di saliva con la quale schiarirsi la gola e poi, con la voce tremante e ovattata dalla mascherina, pronunciò all'orecchio di Jake le prime parole dopo il suo risveglio. Furono talmente flebili e terrorizzate che solo Pitts riuscì a coglierle mentre a Jinxx non sfuggì l'improvvisa contrazione delle dita di Jake fra le lenzuola. -Che cosa ha detto?-domandò Ashley, preoccupato dal'espressione di entrambi. Jake rimase un attimo impalato a fissare in faccia il batterista che chiedeva con i grandi occhi color cioccolato delle spiegazioni. Jinxx mise una mano sulla spalla del chitarrista melodico e poi lanciò una rapida occhiata all'amico nel letto. -Scommetto-mormorò-che non ci riconosce.

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Capitolo 7
*** Errore di memoria ***


La tac in effetti evidenziò una perdita totale della memoria. Andy avrebbe potuto riacquistare i ricordi ma solo in maniera lenta e progressiva mentre per adesso ognuna delle persone che venivano a trovarlo gli apparivano come perfetti estranei. 
Non riconosceva nessuna delle persone che ogni giorno gli parlavano. Era stato un enorme shok per lui, scoprire di non sapere niente di se stesso, di non riconoscere le persone con le quali aveva convissuto e di cui, in condizioni normali, avrebbe riconosciuto le espressioni, le voci a occhi chiusi o perfino la camminata.
Non rammentava alcun sentimento d'affetto perfino per i suoi genitori. Con quella donna dai capelli ricci e gli occhi azzurri, contornati da poche rughette, notava appena una somiglianza e con l'uomo alto e largo che era suo padre l'unica cosa in comune era il sorriso: tirato dai denti bianchi e allineati e le rughe di espressione che si formavano ai lati delle labbra spesse di entrambi. 
Eppure, non ricordava di aver visto un sorriso vero sulle labbra di suo padre, forse per quello gli appariva addirittura fastidiosa quell'espressione. Non ci credeva che quelle stirate di labbra fossero vere, erano sicuramente d'accondiscendenza. Forse perfino impietosite.
L'unica volta in cui aveva scorto meno malinconia nei suoi genitori, che facevano sempre gli allegri in sua presenza, era stato quando, mezz'ora dopo il suo risveglio e tutti gli accertamenti necessari, glieli avevano presentati.
I signori Biersack erano entrati e con le lacrime agli occhi si erano chinati su di lui per abbracciarlo. Sua madre aveva fatto attenzione a non stringerlo troppo forte ma il suo abbraccio era durato svariati minuti e le lacrime avevano bagnato la spalla nuda di Andy. 
Il padre gli aveva appoggiato la fronte contro la sua e, stringendogli leggermente i capelli, aveva sussurrato qualcosa come un "grazie" che suo figlio aveva interpretato come rivolto a quel Dio che sua madre aveva nominato per tutto il tempo in cui l'aveva tenuto contro di sè e che secondo loro l'aveva salvato.  
Aveva percepito una certa religiosità nella sua famiglia, talmente forte che quasi lo infastidiva. Probabilmente era ateo un tempo. 
Si era allontanato rigido da loro che lo guardavano con le lacrime agli occhi poichè dopo l'iniziale momento di enfasi era sopragginta la convinzione che in realtà Andy non ricordava niente di loro. 
Un motivo valido per ringraziare meno il Dio, aveva pensato il giovane paziente in un momento di nervosismo in cui il suo viso si era girato dal lato opposto ai visi speranziosi dei suoi genitori.
Lì, ogni speranza di riavere subito il vecchio ragazzo che tutti conoscevano, si erano spente come la fiamma di una candela troppo consumata x sostenerne ancora il calore.
Aveva socchiuso gli occhi non riuscendo ad accettare che una cosa così traumatica fosse accaduta proprio a lui. Anche adesso che erano passati alcuni giorni non si capacitava che quel ragazzo agile,bello e sorridente sulle riviste del Kerrang, fosse lo stesso sè che giaceva tutto il giorno in quel letto, nervoso e dolorante. Non c'era niente in comune con "l'altro" Andy, neppure la parlantina logorroica che aveva scoperto di avere dalla lettura di alcune interviste, che non erano mai troppe al giorno dato che gli veniva subito mal di testa ed era costretto a dormire.
Anche per questo motivo i suoi compagni di band, che aveva imparato a classificare per le caratteristiche generali, gli parlavano troppo a lungo anche se era stato consigliato dallo psicologo che lo avrebbe tenuto in cura finchè non avesse recuperato una certa stabilità psichica.
Si chiamava James Brown, uno dei cognomi più comuni nella sconfinata America del nord, e come qualsiasi buon americano era un uomo ancora sofisticato nonostante avesse superato la sessantina e i baffi bianchi toccassero con le punte i lobi delle orecchie. Sembrava un tipo buffo tanto che la prima volta che lo aveva visto, il vocalist non aveva trattenuto una risatina, la quale aveva rotto almeno un pò il ghiaccio fra loro.
Infatti Andy non pareva il ragazzo solare e spiritoso di prima, ma anzi, la sua personalità pareva del tutto mutata e in senso abbastanza negativo. Era scontroso, sempre stanco e quasi capriccioso certi momenti.
Il giorno che aveva incontrato Juliet poi, aveva mostrato il peggio di sè, dando prova a tutti del suo immenso cambiamento.
Era una mattina di una manciata di giorni dopo e quando Juliet l'aveva visto seduto nel letto per la prima volta, sveglio e col solo sondino sotto al naso, gli era corso in contro e l'aveva abbracciato, dandogli dei leggeri bacetti sulle guance.
-Andy...-aveva sussurrato con la voce strozzata dalla commozione, tenendogli il viso pallido fra le dita-Oddio, amore... amore... sei qua.
Si era staccata solo per chiuderlo di nuovo fra le proprie braccina sottili e ascoltare il battito naturale del suo cuore, sperando che sovrastasse i Bip della macchina collegati con dei cavetti che sporgevano dall'apertura del camice sul petto.
Lui era rimasto fermissimo con lo sguardo perso e apatico, talmente innaturale da fare paura. Fu allora, per via di quell'abbraccio tanto desiderato e non ricambiato, che la cantante si allontanò da lui con un'espressione perplessa e preoccupata.
Nessuno l'aveva avvertita dello stato del suo ragazzo e lei non aveva voluto attendere spiegazioni di Jake che sulla porta, aveva provato di fermarla prima che entrasse e commettesse qualche errore impulsivo come era poi accaduto.
-Andy, che succede, tesoro?-sussurrò agli spenti occhi azzurri mentre gli sfiorava col dorso del dito lo zigomo alto.
Un colpo di tosse la distraè dal volto inespressivo di lui per portare l'attenzione sull'uomo in camice che stava sulla soglia accanto a Jake e la guardava con un misto di malinconia e severità.
-Signorina Simms, può seguirmi un momento fuori?-le chiese.
Lei, in bilico sul bordo del letto, riportò lo sguardo decisamente ansioso su Andy e gli baciò la fronte prima di uscire dalla camera e lanciare un'occhiata interrogativa al chitarrista che intanto entrava e prendeva il suo posto.
Quando Juliet scoprì la realtà dei fatti si accasciò sulla sedia in corridoio, come se le forze l'avessero abbandonata di colpo e le gambe snelle non potessero sostenere il peso del macigno immaginario che gli era crollato in braccio. 
Si mise una mano sulla fronte mentre le iridi verdi diventavano lucide e le dita prendevano a tremare come il labbro inferiore. In meno di due minuti aveva saputo che l'uomo che amava con tutta se stessa non rammentava niente di lei e che non l'avrebbe fatto per molto tempo ancora. Era come dire che per lui quei tre anni e mezzo di amore non erano mai esistiti e che la donna che tanto spesso aveva premuto contro si sè sotto le lenzuola, tenuto per mano nello stage dei concerti e baciato poteva essere una qualunque. 
Il capire che non valeva più di una qualsiasi sconosciuta che si incontra alla fermata dell'autobus in una di quelle giornate frettolose e piene di imprevisti che non danno nemmeno il tempo alla gente di guardarsi in faccia o salutarsi, la uccise moralmente. 
-Vuol dire che... che lui non sa praticamente chi sono?-balbettò con la voce tremante in una domanda rivolta più a se stessa come un monito di non aspettarsi nulla una volta rientrata in quella camera.
-No signorina. Ma potrebbe accadere che le cose cambino, ci vorrà molta pazienza e tempo ma non è impossibile-aggiunse l'uomo, dandole una pacca sulla spalla scossa da lievi singhiozzi.
Lei annuì speranziosa e si asciugò le ciglia umide. Se ci fosse stata anche una minima possibilità che ricordasse, avrebbe fatto di tutto per avverarla. 
Questo le diede la forza di rimettersi in piedi, stringere la mano al medico e ritornale nella camera dove Andy sussurrava a Jake cose a bassa voce.
-Andy...
Quando lo sguardo del vocalist le si poggiò addosso, rabbrividì. Non aveva mai visto quell'espressione distaccata e fredda, mai almeno nelle iridi brillanti di lui.
Jake approfittò di quel minuto di silenzio per andarsene e lasciarli soli.
La bionda si sedè accanto al letto e cercò di prenderli la mano che lui ritraè con stizza. Quel gesto le fece mordere il labbro inferiore.
-Andy, io sono la tua ragazza... sono Juliet-mormorò già insicura di quel presente.
Il moro sbuffò con un lieve sorrisetto scettico:
-Non mi ricordo di te, come di nessun altro dal tronde.
Lei deglutì.
-Stiamo assieme da tre anni e passa e... io so tutto di te, sai? Il tuo colore preferito è il nero, canti nella band dei BvB ma sai anche suonare un pò di chitarra e la batteria, adori il tre freddo alla pesca mentre lo detesti caldo, dormi poco per il tuo lavoro ma in realtà adori stare accoccolato sotto le coperte e...
Lui la interruppe con una nuova occhiata gelida.
-Ma brava, credo che dovrai insegnarmi tutte queste cose su di me, peccato che ora mi irriti anche vederti-disse con voce secca, mossa dallo stress e dal nervosismo, dalla frenesia di quei giorni, dallo shock e dal dolore al petto.
Lei sussultò con il cuore a mille e la testa confusa. Sentiva solo un nodo in gola che per quanto deglutisse non si decideva ad andare giù e magari intoppare le viscere che non ne volevano sapere di stare ferme.
-I-io...
-Vattene-le ordinò-ho mal di testa. Vattene, non voglio sapere niente, non voglio sentire nessuno!
Juliet indietreggiò con le mani sulle labbra e le guance già bagnate. Non poteva credere che le avesse urlato addosso in modo così violento come se la colpa di quel disastro fosse sua. In quel momento non riusciva a concepire che fosse nervoso, amareggiato e tremendamente angosciato e che perfino il sentire qualcosa che lo riguardasse lo facesse andar e in bestia. Non voleva riconoscere di non essere più se stesso e quelle parole, che per lui erano state solo un elenco di abitudini comuni, avevano avuto l'effetto di provocare la sua precaria pazienza.
-Va!
A quell'ennesimo attacco di rabbia, Juliet lasciò la stanza e scappò fuori dalla stanza, scrollandosi violentemente dalla presa di Jake, rimasto ad origliare fuori dalla porta.
Il chitarrista rimase in bilico sulla soglia, sospirando. Da quel momento prevedeva un enorme, lunga e disastrosa serie di guai.


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Capitolo 8
*** Discreta Promessa ***


Passarono svariati giorni ma Andy non dava alcun segnale positivo. Era totalmente estraneo a ciò che gli capitava attorno, preso com'era a crogiolarsi nel suo dolore. Spesso non voleva vedere nessuno dei suoi amici  o parenti, menchè meno i propri genitori che lo irritavano col loro carattere apprensivo e dolce al limite dell'inopportuno. 
Detestava sentir parlare del vecchio se stesso dato che, depresso com'era, continuava a ripetere al signor Brown che non avrebbe mai ricordato e che sarebbe stato meglio per tutti se se ne fossero fatti una ragione in fretta. 
Era sempre talmente di cattivo umore che una mattina arrivò a strappare le lettere di alcuni fans che sua madre gli aveva portato, sperando che gli facessero piacere. Andy l'aveva guarata malissimo e dopo neppure tre righe di lettura era andato in bestia e aveva preso a gridare di non voler vedere "stronzate simili" come le aveva definite, facendo volare tutto per aria compreso il tavolino appoggiato sulle sue gambe. I frammenti delle lettere e dei disegni erano svolazzati sulle coperte e poi per terra sotto le sue grida arrabbiate. 
Sua madre non riusciva a riconoscerlo: il figlio che aveva messo al mondo 23 anni prima non sarebbe mai stato in grado di fare un gesto così cattivo e tanto meno di avere un atteggiamento così isterico davanti a lei. Andy era uno di quei personaggi che cercava di prendere ogni cosa sul ridere mentre in realtà soffriva profondamente e dal suo sguardo trapelava solo un'ombra di malinconia che i più non sapevano spiegarsi. Eppure adesso, quell'ombra pareva aver preso possesso di lui, superando ogni buon intento e motivo di calma x scatenarsi in tutta la sua aggressività. Era come se i traumi della adolescenza fossero tornati indietro, risvegliati dall'incidente. 
Nessuno sapeva davvero come trattare uno così irascibile. 
Fu Ashley, all'incirca una settimana dopo, a perdere definitivamente la pazienza. Era ora di pranzo così decise di rimanere a tenergli compagnia. Sotto consiglio di Beth voleva provare a superare il nervosismo che lo affliggeva e quindi, nonostante le proteste dell'amico, si era accomodato su una sedia e aveva preso una merendina, giusto per non sembrare un ebete nel fissarlo mangiare. 
fu strano, e accadde tutto velocemente.
loro due stavano cercando di conversare quando un inserviente bussò alla porta. 
-Scusate-disse a bassa voce mentre prendeva il tavolino e lo incastrava fra il materasso per permettere al paziente di mangiare comodamente seduto a letto.
-E' ora di pranzo-aggiunse-oggi minestra di verdure e come secondo pollo e purea. Se vuole abbiamo della frutta o in alternativa un dolce.
Ashley sorrise annuendo mentre Andy non faceva che guardarlo male. L'uomo, nonostante la corporatura robusta, pareva mite e gentile, tanto che fece finta niente alle occhiatacce che gli lanciava il vocalist.
Quando il pasto fu servito, uscì tranquillamente dalla stanza, trascinandosi dietro il carrello del cibo.
Andy sollevò il coperchietto posto sulla ciotola e storse il naso alla vista della poltiglia verdognola dall'odore di carote e altri ortaggi che vi era sotto.
Il bassista, notando la sua faccia inorridita scoppiò in una piccola risata, sperando di coinvolgerlo mentre invece, quel sorriso divertito non fece che provocare ancora di più la precaria pazienza del cantante.
-Lo trovi divertente?-domandò a bassa voce con i pugni chiusi e lo sguardo estremamente serio e fisso sul viso di Ash che man mano ricomponeva il sorriso e si faceva serio.
-Dico, ti diverti tanto?! Ti diverti a vedermi così, eh? Ti fa ridere il fatto che debba mangiarmi questo schifo tutti i giorni e sorbirmi questo posto da suicidio ogni momento per minimo tre settimane ancora?! 
Il povero bassista rimase un momento interdetto a fissarlo urlare e quando provò a rispondergli che sperava di farlo ridere, Andy disse la cosa che per tanto si era tenuto dentro e che scatenò l'ira del compagno di band.
-E in più devo vedere tutti i giorni gente di cui non mi importa niente e che viene qua a fare la carina con me, facendo finta che non ci sia alcun problema! Come se il fatto che non ho idea di chi siano non conti! Siete slo un branco di egoisti!
-Hei!-la voce di Ashley tuonò rigida e potente come nessuno l'aveva mai sentita, il suo sguardo si fece duro mentre goccioline di sudore gli imperlavano la fronte ambrata-Non permetterti mai più di dire una cosa simile nè di me nè degli altri! Guarda che qua l'egoista sei solo tu!
-Io?!
-Si tu! proprio tu che non ti accorgi quanto sia difficile starti accanto! Sei sempre furioso, urli di continuo e non hai idea di quanto tutti stiano cercando di mantenere la calma con te!
Gli occhi azzurri di Andy si sbarrarono, quasi stupiti e a contatto per la prima volta con la dura realtà. Si chiese se fino a quel momento avesse voluto evitare di vedere l'amore e la pazienza che i suoi parewnti e amici stavno avendo con lui solo per egoismo. Magari, facendo finta di nulla e mantenendo un comportamento rabbioso avrebbe avuto su chi scaricare la colpa. Probabilmente, pensò, aveva ragione Ashley a dire che l'egoista era solo lui.
Il ragazzo gli si avvicinò e gli strinse le mani attorno alle braccia anche se ebbe un certo riguardo per le sue ferite.
Lo fissò dritto negli occhi e, col tono di voce solo poco più basso di prima aggiunse:
-Hai idea di quante lacrime sta versando tua madre nel vederti così?! Lo sai che quando esce da quella porta il sorriso le muore in faccia e scoppia in lacrime?! Tuo padre è lì lì per l'esaurimento nervoso e Juliet...
-Juliet...
-Si Juliet è distrutta. E' disperata per colpa dei tuoi attacchi di rabbia! Sta soffrendo moltissimo a causa tua e non credere che Jake non mi abbia detto di ciò che è successo con lei. L'hai fatta piangere, hai fatto piangere quella che darebbe l'anima per te. 
Andy abbassò lo sguardo che intanto iniziava ad appannarsi di lacrime ma prima che ordinasse a Ash di sparire fecero irruzione nella camera Beth e l'inserviente di prima.
-Che succede?-chiese lui mentre apriva la porta e la lasciava passare.
Il bassista e l'infermiera si guardarono in viso in un lasso di tempo che a entrambi sembrò un eternità. Gli occhi di lui si illuminarono appena la videro per poi assumere un tono di dispiacere e scuse. Si distolsero da quelli interrogativi ma non del tutto estranei alla faccenda della rossa solo quando gli balenò in mente il desiderio di un suo abbraccio. Di avere quelle piccole braccia strette attorno al collo e il corpicino sottile premuto contro il suo, chinato verso di lei per i dislivelli di statura.
Non si spiegò quell'inusuale pensiero, poichè in genere quelli sulle ragazze avevano natura ben meno casta, ma le guance già lievemente arrossate per l'accaduto diventarono porpora quando gli passò accanto, sfiorandolo.
-Andy-la voce gentile della ragazza fu come una scossa che lo risvegliò dal suo stupore e lo riportò al nervosismo iniziale.
Andy era girato su un fianco con la coperta tirata fin quasi sulla testa e le spalle erano scosse da quelli che parevano singhiozzi. Sembrava un bambino e Ash si pentì, anche se non completamente, di avergli detto quelle cose in modo così brusco.
Non sopportando la vista del suo amico così cambiato e psicologicamente distrutto, uscì con un imprecazione a denti stretti, sbattendosi quasi la porta dietro.
Beth, dal canto suo, non sapendo cosa fare, ordinò a bassa voce all'inserviente di uscire dato che la pulizia del pavimento dai cocci e dal cibo le sembrava superflua per il momento. 
Si sedè timidamente sul bordo del letto e gli mise una mano sulla schiena, massaggiandoiela con ampi movimenti circolari. Voleva calmarlo, avendo sentito le parole di Ashley, eppure non sapeva cosa dire. Avrebbe voluto seguire il bassista fuori dalla stanza e domandargli perchè avesse usato quel tono così accusatorio e magari placare la confusione che aveva dentro.
Capiva benissimo che una situazione simile sarebbe stata difficile per chiunque e ancor più per i membri di una band famosa come la loro. Eppure, ripensandoci, non riusciva a non essere infastidita non tanto daciò che aveva detto il Purdy quanto per come aveva dimopstrato la sua frustrazione.
Quelle urla le avevano ricordato suo padre con la stessa voce roca di pianto che le gridava addosso di quanto fosse colpa sua la morte di suo fratello. E il pianto di Andy, quei singhiozzi soffocati, il dondolarsi su un fianco con le mani premute sugli occhi, le rammentava in modo incredibile lo stato in cui era caduta sua madre. Era esattamente così: depressa, distrutta e piagnucolosa. Non aveva trovato un motivo alla morte di suo figlio nè una seconda ragione per vivere. La piccola Beth, la quattordicenne dai capelli fuoco e la dolcezza immane non era stata sufficiente per dare ai suoi genitori una seconda speranza.
Suo fratello, quel ragazzo alto biondo e dal sorriso ammiccante, sempre così buono con lei, tanto giocherellone e protettivo, era morto portandosi nella tomba l'unica cosa che aveva salvato, con la sua nascita, il padre dall'alcolismo, 17 anni prima e che rendeva sua madre sorridente. 
Sembrava che tutto si stesse ripetendo che quell'impotenza di allora stesse riemergendo con tutti i suo terribili ricordi.
Quel giorno avrebbe tanto voluto abbracciare sua madre, stringerla a se per dirle che ci sarebbe stata invece era scappata in camera sua, piangendo.
Così, come se potesse recuperare, cercò di girararlo verso di se e quando fu voltato dalla sua parte lo strinse al suo petto.
-Per f-favore... signor Biersack... n-non faccia così...-sussurrò al suo orecchio-si calmi è tutto ok...
Sentì le mani grandi di Andy tirarle la divisa sui fianchi e il suo viso incavarsi fra il proprio collo e la spalla. Rimase così a piangere il più silenziosamente possibile finchè non cadde nel sonno.
Lei lo aiutò a stendersi e lo coprì bene prima di mettergli nella flebo un pò di tranquillante in modo che dormisse più a lungo e serenamente.
Appena uscì dalla stanza si trovò davanti il viso di Juliet, stanco di sonno con gli occhi rossi che fissava oltre la sua spalla il ragazzo nel letto.
-Posso... p-posso fare qualcosa?-balbettò a testa bassa sempre in imbarazzo quando la vedeva.
L'altra inarcò un sopracciglio sottile con aria di forzata sufficienza e scosse il capo. Beth annuì e fece per andarsene ma a metà corridoio l'altra la richiamò.
-Cosa è successo?-domandò la Simms con uno sguardo afflitto che tentava di rimanere lucido e non sfociare in una crisi di nervi. Era dal giorno del pessimo trattamento ricevuto da Andy che non si presentava all'ospedale e sfortunatamente era tornata proprio nel momento meno opportuno.
-Ho visto Ashley di sotto. Aveva una faccia inusuale, cosa è successo?
La giovane infermiera si mordicchiò il labbro e essendo scossa quanto loro tre preferì non raccontare l'accaduto.
-M-mi spiace... non sono tenuta a raccontarle... e inoltre adesso devo andare a pranzo.
Quando uscì dalla stanza il suo turno era finito e così pensò di andare fino nel giardino curato per farsi una passeggiata. Aveva assolutamente bisogno d'aria. 
Si sedè su una panchina verde lungo i vialetti che attraversavano come rii di cemento il verde dell'erba gelata e si strinse nelle braccia conserte, sospirando una nuvola opaca. L'accaduto di poco prima l'aveva sconvolta c'era stato troppo collegamento con il suo passato.
Ad un tratto sentì dei passi sulla ghiaia e dal nulla apparve Ashley che si sedè a mezzo metro da lei, senza dire nulla. 
Teneva lo sguardo fisso sul cancello lontano con le mani nelle tasche dei pantaloni di pelle e le gambe larghe, in una posizione di apparente rilassamento.
Nessuno dei due parò subito come se entrambi volessero studiare il silenzio altrui e intanto donarsi tempo prima di intervenire. Se ci fosse stata una lite nè Ash nè Beth si sarebbero voluti incolpare di averla scaturita.
Alla fine, la forza indicibile della ragazza ebbe la meglio sull'apparente maestosità del bassista e fu lei a proferir parola, andando, per giunta subito al dunque, senza eccessivi giri di parole. In fondo era sorpresa e anche un pò delusa dal comportamento che aveva udito.
-Che cosa ti è preso..?-chiese appena con lo sguardo fisso lontano quanto quello dell'uomo accanto a lei.
Ashley sospirò.
-I-io... io... non lo so. Avevo bisogno di dirgli quelle cose. Ne avevo bisogno, stavo impazzendo...
Lui non notò come per la prima volta le labbra colorate di rossetto della giovane si contrassero non di timidezza ma per rabbia ma percepì di aver sbagliato quando lei si alzò di scatto.
-Non... non è una scusa!-ebbe la forza di balbettare con gli occhi ridotti a fessure e i pugni chiusi convulsamente lungo il camice bianco e aperto sul davanti che lasciava intravedere i jeans di bassa fattura e il girocollo color prugna. 
Si stupirono entrambi per quella reazione mentre le gote di Beth assumevano lo stesso colore dei suoi capelli. Aveva reagito d'impulso come se potesse rivolgere quelle parole a suo padre. Eppure non si sentì in colpa anzi quasi le sembrava di essere più leggera. Così continuò.
-Non avresti dovuto trattarlo in quel modo lui... lui sta soffrendo molto, è completamente spaesato rispetto a voi... lui è solo! 
Senza accorgersene davvero lasciò che la voce incominciasse a vibrarle e che i muscoli tremassero sempre di più sottopelle. Incredibilmente, stava lasciando che una parte del suo dolore represso venisse a galla e lo stava facendo davanti a una delle ultime persone che si sarebbe mai immaginata. Insomma, si stava sfogando accanto a Ashley Purdy, si stava rendendo vulnerabile di fronte a uno conosciuto proprio per portare a suo vantaggio le debolezze delle ragazze. E nonostante tutto notava una certa forma di rispetto reciproco fra loro, come se ci fosse stato un muro che nessuno avrebbe osato scavalcare e se fosse stato per la paura di affezionarsi troppo o meno, questo non importava. Anche adesso che piangeva, con le piccole spalle scosse dai pugni del passato, Beth sentiva che Ash non avrebbe fatto proprio nulla per abusare della sua fragilità. E così accadde.
Lui si tirò in piedi e, invece di girarla e baciarla selvaggiamente come avrebbe fatto con qualsiasi altra di cui non gli importava nulla in particolare, le mise semplicemente le mani sulle spalle, come a voler calmare quegli scossoni e rimase con la fronte poggiata sui capelli della rossa, in una posa di discreta promessa. Voleva farle capire che aveva compreso i propri sbagli e anche la sua delicatezza  , che forse erano più simili di quanto credessero e che lui ci sarebbe stato a modo suo anche se questo voleva dire reprimere anni di superflue abitudini per non invadere i suoi spazi.

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Capitolo 9
*** La mia fortuna ***


Beth continuava a rimanere immobile con lo sguardo appannato e il cuore che batteva freneticamente. Stava inconsciamente attendendo una qualche mossa dal bassista. Avrebbe voluto sentire un suo tocco oppure un abbraccio ma gli arti superiori del Purdy non accennavano a movimento, per la prima volta in vita loro, titubanti. 
Per un paio di minuti fra loro ci fu un silenzio pieno di ricordi, di parole, di lacrime e voglie latenti che per quella di evoluzione non potevano prendere una piega meno nascosta.
Entrambi temevano di sfidarsi a vicenda, avendo paura che il precario equilibrio si frantumasse e schizzasse lontano in minuscoli cristalli, perdendosi per sempre assieme la riflesso che mostrava. Un riflesso troppo simile e distante al tempo stesso per essere concepito da qualcuno che non fossero loro due. Col passare delle settimane la discreta unione che era nata fra loro si era approfondita, dandogli la sensazione di sentirsi molto più completi l'uno con l'altra che con le proprie false convinzioni.
Ma tutto questo parve ugualmente non bastare all'animo troppo delicato della ragazza che, nonostante avesse in parte afferrato ciò che Ashley voleva trasmetterle con i suoi comportamenti, rimaneva ancora incline alla propria insicurezza che la faceva sempre scappare. Era diventata una cosa così automatica per lei, fuggire, che le sue gambe snelle si mossero da sole quasi il cervello non le comandasse.
E intanto che i suoi passi si facevano più veloci sulla ghiaia un pò del batticuore di prima disaccellerava, sostituito a poco a poco dalla sensazione di aver lasciato perdere per l'ennesima volta l'occasione di aprirsi del tutto.
Ashley rimase impalato a guardarla allontanarsi da se, così apparentemente impettita che quasi lo fece ricredere sulla vera natura dell'adorabile fanciulla dai capelli rossi e addirittura i rimproverarsi di non aver agito come il suo istinto mascolino gli suggeriva di fare da tempo.
Ma poi, come un fulmine a ciel sereno, rivide in quella snella e minuta figurina la stessa camminata affranta della sera dell'incidente quando per la prima volta aveva parlato con lei che gli si era riflessa nelle iridi con una guancia arrossata e e ciglia lunghe umide di lacrime. Rivide i capelli boccolosi ondeggiarle all'altezza della vita stretta e si rese conto che il non guardarla in viso per riconoscere la stessa espressione di allora non contava alcun che per lui, certo di quanto il suo passo sempre più lontano e apparentemente sicuro, fosse una mascherata mal riuscita e scontata.

Juliet era rimasta fuori dalla stanza di Andy a fissarlo dal vetro per un tempo relativamente breve ma così colmo d'ansia e indecisione che le risultò estremamente lungo.
Da quando aveva ricevuto quel trattamento così sgarbato e inusuale proprio da colui che amava non si era ripresentata in ospedale. Aveva solo avuto l'accortenza di chiamare tutte le sere la signora Biersack che le raccontava affranta le malinconiche novità senza però mai accennare alla richiesta di andarlo a trovare.
La madre di Andy era sempre stata una donna molto sensibile e particolarmente emotiva la quale non si sarebbe mai permessa di andare a infierire, anche inconsciamente, su una persona già provata persino se ciò avrebbe determinato maggiore sopportazione da parte sua. Questa caratteristica non era di certo sfuggita alla Simms che non aveva potuto non accorgersi di quel forzato silenzio e ce per questo, dopo giorni di riflessione e di pianti nella notte, si era decisa a tornare dal suo ragazzo. Voleva riconciliarsi con lui o almeno ritentare un nuovo approccio. Il suo cuore innamorato la spingeva a fare anche questo nonostante la ragione le suggerisse che andare lì ancora scossa com'era avrebbe innalzato le possibilità di un secondo rifiuto e quindi di una rottura totale.
Alla fine, capì che se non fosse entrata subti in quella camera, avrebbe perso tutta la convinzione che aveva accumulato in quel periodo tanto tormentato.
Così, aprendo la porta, fu soddisfatta di se nel vederlo dormire con il viso abbandonato di lato sul cuscino e i capelli quasi biondi dovuti alla tinta ormai scolorita, ritrovò un pò dell'innocenza del vecchio Andy che le infuse il giusto coraggio per avvicinarsi e sedersi affianco a lui. 
Lo guardò per diversi istanti correndo sulla sua pelle bianca, al limite del pallido, del viso angelico dalle labbra piene e le palpebre serrate come impertinenti rispetto la situazione, per poi correre sulle piegature della pelle del collo che parevano l'unica imperfezione  che ci vedeva per infine abbandonarsi al ritmo equilibrato del respiro il quale alzava e abbassava il petto ferito.
Le dita si diressero istintivamente sulla sua mano inerte mentre le labbra gli scoccavano un leggero bacio sulla fronte.
Avrebbe tanto  voluto passargli un pò dei loro ricordi assieme anche uno banale ma che li riguardasse entrambi. Fu così che le venne il colpo di genio di rovistare nella sua grande borsa beje in pan dan con i pantaloni e tirare fuori dalle insenature del portafoglio un vecchio quadrifoglio secco. Era molto che non perdeva tempo a guardare i petali ingialliti e il gambo rigido seppur quel piccolo affarino fosse una delle cose più significative che avesse mai ricevuto da lui.
Nella sua mente si proiettarono le immagini di quasi tre anni prima quando, dopo essersi rifugiati in una zona nascosta ai fans, Andy le aveva regalato il quadrifoglio dicendole che era lei la sua più grande fortuna. Rammentò il bacio che si erano scambiati e la frase che adesso era pronta ripetere ad alta voce mentre gli chiudeva le falangi attorno alla pianticella. 
-Ti amo, Andy-pronunciò in un mezzo singhiozzo nel tono che avrebbe utilizzato una donna adulta e consapevole dei propri sentimenti. Ora che non era più una ventenne vogliosa di fama e divertimento ma una persona realmente innamorata e cresciuta che avrebbe combattuto in tutti i modi pur di stare accanto all'uomo che amava.

Quando Andy si era svegliato, alcune ore dopo, si era ritrovato in mano un quadrifoglio secco che odorava vagamente di prato. In un primo momento aveva pensato di gettarlo ma poi qualcosa in se gli aveva impedito di zoppicare fino ala pattumiera e buttarlo. Osservando il raro quartetto di petali rinsecchiti, nella sua mente era scattato qualcosa che gli suggeriva che quell'affarino probabilmente era qualcosa di importante. Era talmente convinto che non aveva smesso di guardarlo neppure quando qualcuno aveva bussato alla porta ripetutamente, senza ricevere il permesso.
A tal proposito CC tamburellava nervosamente il piede, protetto dallo stivale a punta. Era venuto a trovarlo dopo che Ashley lo aveva chiamato distrutto, raccontandogli ciò che era accaduto in mattinata. 
Quando entrò, nonostante il rischio di un secondo attacco d'ira, lo trovò totalmente tranquillo quasi si fosse dimenticato della discussione col bassista e con lo sguardo curiosamente perso sul quadrifoglio.
Sussultò nel vedere il piccolo cosetto verde fra i polpastrelli del pollice e indice del vocalist, ricordando di come Juliet lo avesse rimproverato di averlo maneggiato senza il suo permesso e di come lui si fosse scusato dicendo di averlo trovato sul tavolo del suo camper da viaggio, durante il tour. Allora non aveva capito il motivo della reazione tanto scocciata ma adesso, avendo ritrovato il piccolo oggetto fra le dita di Andy, la sua mente veloce stava ricollegando quel cosetto a qualcosa che fin da subito era stato importante ed esclusivo a loro due, talmente intimo da superare l'amnesia e distogliere l'attenzione da tuto quanto non fosse cosa loro.
-Andy, Andy-lo richiamò per l'ennesima volta mentre gli si avvicinava.
Il biondo gli rivolse una rapida occhiata disinteressata per poi tornare a concentrarsi sull'oggetto.
-Cos'è?-domandò il batterista solo per ottenere la sua attenzione intanto che allungava il braccio verso la piantina secca. 
-No lascia!-esclamò Biersack, ritraendo la mano verso di sè in modo da creare con le dita una sorta di coppa protettiva per il suo misterioso tesoro.
-Scusa-borbottò-Mica volevo farci nulla...
Lo sguardo del cantante si addolcì improvvisamente e mostrò il suo primo sorriso spontaneo il quale ebbe una reazione quasi stordiente sul compagno di band tanto questo si era disabituato a vederlo con un'espressione serena. Di riflesso, restituì il gesto.
-CC, ti ricordi di questo?-e gli porse il quadrifoglio.
-Ma certo! Quello è di Juliet
-Di... di Juliet...?-il suo viso si dipinse di stupore e malinconia nel sentire pronunciare il nome della ragazza che aveva ferito e verso la quale sentiva una sorta di legame adesso che aveva saputo a chi appartenesse il quadrifoglio da cui si sentiva così attratto.
-E perchè adesso lo ho io?-sussurrò a bassa voce come se l'altro non ci fosse.
CC alzò le spalle, realmente ignaro della risposta rigirando il gamo fra i polpastrelli-però credo che sia una cosa legata con te... deve avertelo portato altrmenti non mi spiego come mai te lo sia ritrovato in mano.
Andy risucchiò il labbro inferiore, facendo sparire l'anellino, in una posa di riflessione.
-Già, per questo sento che dovrei tenerlo... quando l'ho visto ho avuto la sensazione che non avrei dovuto perderlo...
Il moro rovistò nelle tasche dei jeans scuri dalle catenine laterali e ne tirò fuori il cellulare poi, scordandosi del fato che si trovasse lì per conto di Ashley, glielo sventolò davanti al viso assorto.
-Che ne dici di chiamarla? 

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Capitolo 10
*** Di abbracci, alcol e foto ingiallite ***


Alla fine non l'aveva chiamata. Dopo un lungo sguardo al cellulare nero dell'amico, aveva liquidato la questione con una scusa da poco e per evitare ulteriori insistenze, il quadrifoglio era sparito in un angolo del cassetto del comodino.
Ora, seduto fra le coperte, non riusciva a togliersi dalla mente l'espressione delusa di CC nè l'episodio avvenuto diversi giorni prima con Ashley. Era già passata un altra metà settimana eppure il ricordo delle parole del bassista, della sua voce profonda e irritata, erano impressi nella sua mente come i sigilli si imprimono nella cera fresca. 
Prima la confusione e la rabbia l'avevano reso furioso e nervoso al limite del capriccio ma adesso era deciso a cambiare rotta. Quel suo comportamento aveva funzionato per i primi giorni ma poi era diventato insopportabile a tutti, perfino a se stesso. Anche se non lo aveva confessato a nessuno si era detestato per quel nuovo carattere e si era dato del bruto quando aveva visto Juliet correre in lacrime lontano da lui. Gli era parso, nel corso delle settimane, che gli amici avessero iniziato ad assumere un tono più neutro con lui e al tempo stesso più guardigno... nessuno di loro osava sfidare la sua ira, neppure i suoi genitori.
Quando venivano a trovarlo, suo padre si limitava a raccontargli qualcosa sulle Harley in garage, su come stessero andando i campionati di Hockey e sulle incessanti mail che riceveva dai fans anche se quest'argomento lo toccava ben poco, sapendo quanto a Andy infastidisse anche solo sfiorare il pensiero di ciò che era una volta. La sua rabbia a riguardo si era scatenata davanti a sua madre che aveva letteralmente terrorizzato quando aveva distrutto gridando le lettere e i disegni dei fans. 
Le aveva letto sul viso solcato da lievi rughette, la sorpresa di non riconoscere il suo stesso figlio e gli occhi turchini si erano spalancati e illuminati dalla luce del neon, apparivano come quelli di una bambina nel viso giovane di lei. Quello sguardo perso era stato l'unica cosa che aveva permesso all'ira di placarsi e dopo qualche minuto di imbarazzante silenzio, di chiederle scusa. Scuse grutturali e impacciate per togliersi un peso dalla coscienza e non sentirsi troppo in colpa nel vederla chinata ai piedi del letto mentre raccoglieva i resti del cartaceo.
Adesso lei era nel piccolo bagno della camera d'ospedale, intenta a raccogliere la biancheria sporca per portarla a casa, lavarla, stirarla e riconsergnarla al suo proprietario, con la cura e il silenzio premuroso che ogni madre mette nel lavoro che fa per i propri figli e lui sentì una voglia tremenda di abbracciarla. 
Non capì il motivo di quell'improvvisa voglia di sentirsi stretto fra le braccia di qualcuno vicino come una madre e quando la donna tornò assieme alla busta di panni sporchi, perse molto tempo a osservarla prima di trovare le parole necessarie.
-Mi fa strano-mormorò
-Cosa, Andy?
-Il fatto che tu sia mia madre. E' difficile provare qualcosa di forte verso una sconosciuta.
Lesse il dolore dipingersi per un attimo sul suo volto, fisso sull'espressione cupa del vocalist, ma altrettanto velocemente notò come la ricoprì con un lieve sorriso forzato.
-E' normale... credo che sia logico-gli sorrise nuovamente, cercando di convincersi che fosse tutto normale e che le cose dovessero andare così per forza. Il dolore doveva trovare una giustificazione.
-A me non piace... non mi piace tutto questo... ho paura di provare per sempre questa apatia... ho... ho paura...-si stupì di quanto si stesse rendendo vulnerabile-Però... non voglio vivere con questo sentimento...
Sua madre si sedè con discrezione sul bordo del materasso, guardandolo con dolcezza da dietro le lenti pulite degli occhiali e sorrise impercettibilmente nel vedere quell'angolatura trasversale della mascella come quando era bambino.
-Puoi...-iniziò con imbarazzo senza riuscire a terminare la frase.
-Andy-incalzò per attirare lo sguardo basso del figlio su di sè-Sono tua madre io non posso. Io devo e voglio, fare tutto il possibile per farti stare meglio.
Il biondo accolse con inaspettata dolcezza la carezza sulla sua guancia lievemente ruvida di barba nuova.
-Mamma...-sentì gli occhi riempirsi di lacrime ma ricacciò indietro i singhiozzi e voltò il viso dal lato opposto agli occhi apprensivi della donna.
Lei gli carezzò i capelli alla base del collo e con lentezza portò la testa di suo figlio contro la propria spalla, lasciando che respirasse in modo veloce per reprimere il pianto e conficcasse le unghie nelle proprie braccia con fare nervoso.
Andy non seppe per quanto tempo ebbe la forza di resistere alle lacrime ma appena la signora Biersack fu libera di andare scoppiò in un pianto dirotto, soffocando la disperazione e le emozioni represse in una serie di bestemmie fra i denti e coperte stropicciate tra i pugni.

Ashley non aveva ancora avuto modo di riconciliarsi con Andy ma la reazione di Beth e la sua coscienza gli avevano fatto capire di aver agito esageratamente d'impulso anche se la situazione era divenuta pressochè insostenibile.
Si era maledetto mille volte per non essere riuscito a trovare la maniera di trattenere la ragazza al suo fianco, l'unica che avesse voluto. Avrebbe avuto bisogno della dolcezza della piccola infermierina dai vestiti scadenti e il sorriso timido invece era rimasto solo fra le pareti dell'hotel che l'ospitava. Così durante quei giorni aveva richiesto una quantità industriale di vodka e birra fresca ed era rimasto a scolarsele in camera davanti ai pranzi che praticamente rimanevano intatti con evidente disperazione nelle cucine dell'hotel.
Si trovava mezzo ubriaco la mattina del sesto giorno dalla sfuriata con Andy quando qualcuno bussò alla porta di legno scuro della sua camera d'albergo.
-Oooooh...-si limitò a brofonchiare facendo salire l'intensità della voce man mano che la stizza per essere stato disturbato aumentava.
-Ash apri! Sono io-rispose una voce famigliare ma distorta abbastanza dall'alcol da non fargli capire a chi appartenesse.
-Io chi?-domandò mentre si massaggiava la testa posta a ciondoloni dal bordo del letto su cui il resto del corpo muscoloso giaceva a mò di stella marina affiancato da bottiglie vuote e giornalini di ragazze spogliate.
-Jake!-esclamò sorpreso il ragazzo dall'altra parte della porta-posso entrare?
Ashley sbuffò e provò a mettersi seduto ma un conato di vomito rallentò la solita agilità. Si premè una mano sulle labbra, aspettò che tutto tornasse al suo posto e finalmente si diresse traballante alla porta. 
Fece un pò fatica ad afferrare la maniglia e quando si riuscì quasi cadde in braccio a Jake che, colto di sorpresa, lo prese da sotto le braccia poco prima che si schiantasse sulla tappezzeria del corridoio.
-Hey, hey, hey! 
-Ah, Jake, non rompere-anticipò Ashley prima che l'amico potesse fargli una ramanzina sulle sue solite bevute.
Il chitarrista lo resse con un braccio attorno alla vita fino al letto disfatto poi fece largo le coperte dalle bottiglie e dai giornalini, sistemò alla bell'e meglio i cuscini e fece sdraiare Ashely.
-Forza idiota, stenditi. Sei fradicio di vodka.
-A chi hai dato dell'idiota tu, eh?!-strillò il Purdy mentre agitava con enfasi una lattina per aria- Io sto benissimo, molto meglio di tutti voi!
Jake rimase indietro finchè un nuovo conato non bloccò i movimenti bruschi dell'amico e lo costrinse ad appoggiarsi stancamente ai cuscini.
Nonostante fosse inebriato dal sapore scottante del liquore sentiva gli occhi verdi di Jake appiccicati alla sua penosa figura, a quel corpo abbandonato sul letto, malato di una malattia invisibile. Percepiva le pupille del suo amico squadrare con apprensione il viso affranto e il suo sguardo pieno di vuoto, i capelli spettinati che ricadevano a tratti davanti agli occhi opachi e la pelle ambrata e sudata. 
-Che vuoi?-disse quindi prima di inghiottire un sorso di birra.
-Ascolta Ash... anche se siamo tutti preoccupati e intristiti per il litigio che hai avuto con Andy... dobbiamo cercare di rimanere uniti e non mollare proprio adesso... sai che sta migliorando un pò? In questi giorni il suo carattere è molto più aperto...
Ashley sorrise senza gioia.
-Si vede-gracchiò con sottile sarcasmo-che ero io a irritarlo tanto. In fondo è sempre stato così... Aveva quella paura folle che gli rubassi la scena... lui voleva essere sempre il primo, lo sai Jake? E ha sempre sopportato poco il fatto che fossi al suo pari.
Jake scosse la testa, sperando fino in fondo che le parole del suo amico fossero dettate solo dall'ubriachezza e non da quei dubbi e verità che l'alcol è in grado di far emergere.
-Ash... Andy ci ha voluti bene come dei fratelli e noi per lui abbiamo fatto lo stesso.
Le dita di Ash si contrassero nella stoffa del lenzuolo e un secondo sbuffo uscì dalle sue labbra fini.
-Andy ha sempre avuto manie di protagonismo e quella detestabile inclinazione a voler avere sempre ragione... lui non ammetterebbe mai di essere in torto... ecco perchè si è incazzato tanto quando...
Interruppe le sue parole per alzarsi di scatto e correre al piccolo bagno della sua stanza, chinarsi sullo sciacquone e vomitare quel mare di birra che gli bloccava lo stomaco da ore.
Jake si schiaffò una mano in fronte e lo seguì, rimanendo sulla soglia della porta per evitare di essere troppo invadente seppur il proprio istinto gli suggerisse di andare a inginocchiarsi di fianco al bassista.
Ashley si asciugò un rivolo di bava col dorso del polso, tirò l'acqua e  abbandonò la schiena nuda e possente contro il muro dalle piastrelle di marmo.
-No... in realtà non sono arrabbiato solo con lui...-sussurrò a voce roca con le palpebre socchiuse-sono incazzato a morte con me.
Jake preferì lasciare che parlasse piuttosto che perdersi in consolazioni senza senso quindi incrociò le braccia sul petto e rimase in ascolto. Conosceva Ashley abbastanza bene da sapere che non era un tipo a cui piacesse divulgare troppo sulle proprie debolezze eppure se trovava il momento giusto e la persona adatta avrebbe potuto ammettere cose inimmaginabili. E la sbronza era sempre il momento giusto.
-Guardami... ho trent'anni e cosa sono? Un coglione, ecco cosa-una breve risata atona interruppe le sue parole-Un coglione che non riesce a fare niente per se stesso e per la gente che gli piace... un ubriacone da bar, un bassista di medio livello che scopa una notte e l'altra pure con puttane di tutti i tipi solo perchè quando trova la persona adatta non ha il coraggio di tenersela stretta...
Il chitarrista fece un profondo respiro e ricollegò quell'ultima frase agli episodi del mese ormai trascorso. A quella sua mania di osservare tutto non erano sfuggite le occhiate sempre più presenti fra Beth, l'infermierina timida, e Ashely, i loro ripetuti caffè alle macchinette quando il bassista abbandonava la camera dell'amico e si ritrovava casualmente nella zona caffè, puntuale per la pausa di lei, non aveva mancato di notare il modo di fare meno affabile e stranamente pulito del collega con la dolce ragazza e sentiva un pizzico di nostalgia a quelle battute sporche che in genere gli sentiva fare ma che nei riguardi della rossa dallo sguardo imbarazzato e un pò spaventato come quello di un cerbiatto non aveva mai fatto.
-Non è stata tutta colpa tua, Ash-riuscì a dire quando l'amico ribadì di essere proprio quell'idiota che gli aveva detto all'inizio.
-Ah, no? Non è colpa mia adesso?
-Ho detto che non è stata non che non lo sia ora per come ti sei ridotto.
Provò ad ammorbidire le sue parole con un breve sorriso per poi andarsi a sedere accanto a lui sul tappeto accanto al wc.
-E' dura per tutti-affermò con un tremito nella voce- e lo sarà ancora di più se Andy continuerà ad ostinarsi... ma il fatto che sia dura non significa che sia impossibile da superare.
-Superare... Jake, temo che potremmo scioglierci.
I capelli scuri cascarono in perfetto tempismo sul viso dell'ospite tanto da evitare di mostrare agli occhi disperati dell'amico la sua espressione da panico. Era una cosa a cui aveva pensato molto a lungo e di cui il manager, quel piccolo omino semi pelato con gli occhiali tondi sul naso adunco, aveva tirato in ballo spesso. 
Il contratto con la casa discografica era quasi terminato e loro avevano fatto in tempo a registrare appena cinque delle dodici canzoni in previsione prima dell'uscita del cd, inoltre, essendo così improbabili i miglioramenti e le future condizioni di salute del cantante era difficile anche stipulare una possibile risalita sul palco. 
A tal proposito Jinxx aveva continuato con più foga i propri pezzi da violinista mentre CC stava trovando un temporaneo impiego in una band esordiente ma piena di qualità a cui mancava un batterista per il momento mentre lui, Jake, aveva deciso di incidere dei brani di supporto per alcuni lavori supplementari.
L'unico dei quattro rimasti che ancora non sapeva come avrebbe potuto occupare il proprio talento e di conseguenza mantenersi con quella che era la passione per la musica era Ashley, sempre più depresso e in ansia per un futuro incerto.
-Potrebbe accadere, Ash... non dobbiamo dare nulla per scontato. Ma questo è il nostro lavoro, non possiamo fermarci. Sai una volta, scherzando, Andy mi disse una cosa.
Lo sguardo di Ashley si illuminò per qualche secondo.
-Mi disse che se mai fosse finito sotto un tram- e lì scoppiò a ridere per la lugubre ironia dell'amico- noi non avremmo dovuto buttarci assieme a lui. Mi disse che avremmo dovuto seguire il nostro amore per ciò che facevamo e lui era convinto quanto noi che la musica fosse la cosa giusta per cui lottare.
-Non parlare al passato!-gridò il bassista in un attacco di rabbia dovuto allo stordimento- Andy è vivo ed è qui con noi! Devi parlare al presente...
Jake si alzò da terra, facendo leva sulle braccia e poi gli porse la mano dall'alto del suo metro e 80.
-Scusami-mormorò col fare di chi deve trattare un malato mentale-questa è la differenza, Ash. Andy è con noi non sotto un tram... per questo dobbiamo fare in modo di lottare per noi come avrebbe voluto... ma anche per lui. Devi riprenderti, amico mio e trovare la forza di resistere. 
Un sorriso breve ma speranzioso si dipinse sulle labbra di Ashley che afferrò il polso di Jake e lasciò tirarsi su, barcollando per il disequilibrio dell'alcol.
Jake lo prese di nuovo per la vita poi dilatò le narici del naso lievemente incurvato.
-Prima di fare il grand uomo però dovresti darti una lavata.
L'altro sbarrò gli occhi.
-Puzzi di birra in modo disgustoso.
Ashely si lasciò andare a una risata liberatoria. Puzzava proprio tanto di birra ma presto avrebbe profumato di nuovo, si sarebbe avvolto in un dolce profumo: il profumo dell'orgoglio verso l'uomo che stava finalmente nascendo.

Il divanetto del piccolo appartamento che la Simms aveva affittato vicino all'ospedale in cui era ricoverato Andy era ricoperto di fazzoletti appallottolati pieni di lacrime e gridolini soffocati. Poteva ancora udirli in fondo al suo cuore, la proprietaria di quel disastro, ma adesso il pianto aveva lasciato posto a una cupa rassegnazione. Erano passati troppi giorni e lei si era davvero convinta che Andy avesse trovato quel quadrifoglio e, sgorbutico come sempre, lo avesse gettato nel primo cestino a disposizione. Non era molto aggiornata sugli ultimi avvenimenti. 
In quel momento stava rimettendo nelle bustine plastificate le foto del loro album insieme, minima parte di tutte quelle presenti sul computer di entrambi. 
Si soffermò per l'ennesima volta su quella che aveva da sempre giudicato come la più bella non perchè fosse davvero bella e in realtà la sua nascita era stata casuale una sera in cui Andy aveva provato a cimentarsi ai fornelli assieme a lei ma perchè era la più chiara e spudorata proiezione della loro vita insieme. Erano semplici e spontanei in quella foto come due anonimi amanti, meno truccati e acconciati rispetto gli scatti sul Kerrang o sulle riviste di Harley a cui le invitavano ma avevano quella vena di spiritosaggine e dolcezza tipica della loro intimità.
Stavano l'uno accanto all'altra, sorridenti, con i volti arrossati dai vapori della padella che Andy reggeva con entrambe le mani mentre lei, dal basso, gli schiacciava sulla fronte il ridicolo cappello da cuoco che si era messo per l'occasione.
Un singhiozzo le mozzò il fiato appena ricordò di come si fosse inventato quella scenetta solo per farla sorridere dopo una giornata di prove estenuanti e una litigata in famiglia e ripensò a quanto avesse fatto per farla stare bene. Da quando erano insieme era Andy a prendersi oltre che il carico del proprio stress sempre un pò nascosto anche di quello di lei molto meno latente e decisamente più esplosivo. Era lui quello controllato durante le liti e quasi sempre il primo che cedeva ai silenzi con qualche battuta sciocca o un abbraccio di sorpresa. Era Andy quello che passava le notti in bianco se a lei saliva la febbre, Andy che cercava di mostrare le sue scarse doti da tutto fare se qualcosa si rompeva in casa, Andy che si metteva accanto a lei per fare le foto anche se era stanco morto. Era Andy il suo salvatore, lo era stato dal primo loro incontro nel back stage di una gara di band in cui all'epoca erano stati sfidanti mentre adesso giaceva in un letto, sempre nervoso, triste e irascibile. E quando aveva avuto quell'atteggiamento con lei, Juliet si era sentita morire dentro tutta la meraviglia della loro relazione poichè non sarebbero bastati tanti abbracci o qualche battuta per far tornare tutto come prima, non questa volta.
Infilò la fotografia nella bustina e tentò di alzarsi dai cuscini ma il suono del cellulare sul mobiletto affianco alla lampada, bloccò il suo intento e per poco non le bloccò anche il cuore: per la prima volta dopo un tempo che le era parso indefinito, sullo schermo illuminato, lesse il nome del suo amore.

COMMENTO AUTRICE: 
Salve a tutti, sono sempre io, volevo scusarmi per l'immensa pausa, credetemi, mi dispiace. Avevo promesso che questa storia sarebbe ripartita e infatti riparità, questo è il nuovo capitolo e spero che vi piaccia :)
Grazie per aver letto il prossimo sarà fra una settimana al massimo!
Small Wolf




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Capitolo 11
*** Gelo ***


La neve aveva incominciato a cadere soffice da meno di qualche ora eppure le strade erano già impantanate di fanghiglia e la gente appariva ancora più diffidente e frettolosa del solito. I larghi marciapiedi di New York a stento erano stati coperti da un sottile strato di neve da quanto erano attraversati in massa da ondate di gente di tutti i tipi. 
Jinxx lottava con tutte le sue forze per mantenere la calma mentre spallate e gomitate sballottolavano malamente la sua piccola figura e creavano ostacoli fastidiosi alla vista svantaggiata da un altezza che aveva preoccupato la sua famiglia tanto quanto il naso storto. Vagava ormai da ore fra la gente nella vana speranza di arrivare in tempo il commissariato centrale dove lo aspettava il padre di Andy. Erano arrivate notizie sulle ricerche per l'attentato e il signor Chris aveva trovato solo Jinxx disponibile quel pomeriggio per andare a testimoniare nuovamente. Sfortunatamente la macchina lo aveva abbandonato in mezzo a un incrocio intrafficato e code di macchine e di insulti si erano susseguiti fino a che il motore non fosse ripartito, fermandosi con uno sbuffo stanco in uno dei parcheggi a pagamento che offriva la città. 
Quando poi si era reso conto di quanti isolati avrebbe dovuto attraversare per arrivare alla meta, tappa precedente all'allogetto dei Sammy, una risatina isterica aveva fatto breccia nella sua espressione statica e lui si era costretto a procedere in mezzo alla valanga di persone in transito alle sei del pomeriggio.
Si sentiva una stupida pecora in mezzo a un branco lento e goffo che vigili urbani tentavano disperatamente di ammaestrare e mantenere in ordine per evitare eccessivi chiassi. Eppure si sentiva sempre più oppresso in quella mischia, anche se cercava di andare ai margini della carovana, in qualche modo lo ributtavano sempre in mezzo. 
Jinxx non aveva mai sopportato l'essere attorniato da troppe persone, lo face sentire stranamente in ansia e ricopriva il suo volto di quell'espressione neutra con le labbra serrate che si lasciavano sfuggire appena poche parole. Perfino nei back stage dei concerti quando i fans lo inondavano di richieste, foto, domande d'autografo e abbracci lievemente invadenti, cercava di essere sfuggente e mantenere contegno, facendo cosa si aspettavano che facesse. 
Ma adesso era tutto molto peggio e i rumori confusi della città non aiutavano. I clacson suonavano susseguiti da stridii di gomme, la gente si chiamava, parlava, qualcuno urlava, un barbone chiedeva elemosina seduto accanto al suo vecchio Rex spelacchiato, le madri rimproveravano i bambini nervosi come gli adulti. Gli uomini d'affari erano riconoscibili dalle cravatte che sbucavano dai giubbotti lunghi e scuri, chiusi poco più in alto delle scarpe eleganti. I loro occhi calcolatori poi, lo mettevano in imbarazzo così che lo sguardo ghiaccio saettasse da un volto all'altro, da una luce all'altra delle insegne luminose, dei semafori, dei giubbottini arancioni di alcuni operai in un piccolo cantiere improvvisato al bordo di un marciapiede. 
Si strinse maggiormente nel giubbotto di pelle e infilò le mani nelle tasche profonde, procendendo sperare di non essere notato da nessuna delle ragazzine che gli sfrecciavano accanto lanciandogli degli sguardi perplessi ma troppo veloci per lasciare una vera traccia di dubbio.
Quando arrivò finalmente alle strisce pedonali, ringraziò che mancasse poco all'enorme municipio vetrato strutturato in acciaio con un bel tocco di moderno.
La gente si stabilì alle sponde opposte del marciapiede, attendendo con impazienza l'attivazione del semaforo verde che avevano rispettivamente di fronte. In mezzo ai due enormi gruppi di gente passavano macchine veloci e incolonnate le quali non si sarebbero fatti troppi scrupoli a passare su qualunque cosa avesse intralciato la loro frenetica attività.
Il chitarrista riuscì a emergere in testa alla coda e sbucare fra una madre con un pargolo di pochi anni, frignante in braccio e un massiccio omone pelato a cui arrivava appena oltre il gomito con tutta la testa e i capelli sparati a punte scure.
Deglutì e si preparò ad affrontare i noncuranti pedoni dall'altro lato della via e quando finalmente il rosso lasciò il posto al verde, le due colonne di persone si vennero incontro come eserciti nemici, scontrandosi in una serie di insulti e spinte. Jinxx notò l'omone dare una spallata possente a qualcuno di molto più piccolo che gli passava frettolosamente a fianco ma non riuscì a badare neanche se fosse un uomo o una donna che si ritrovò sulla sponda opposta, al sicuro sul marciapiede dall'altro lato. 
-Che modi!-sbottò come non aveva mai fatto ma nessuno parve dargli retta così come nessuno a parte lui si rese conto della figurina che con fatica tentava di alzarsi dalle strisce bianche e deserte, pronte per diventare la pista di nuove auto da lì a pochi secondi.
La gente era troppo impegnata a procedere per la propria strada per cogliere le lacrime negli occhi scuri e grandi di quella giovane dai capelli rosso fuoco.
-La Jonson-si disse Jinxx a bassa voce prima di alzare gli occhi sul semaforo che da verde si era fatto giallo.
-Signorina Jonson!-gridò con la voce possente, senza ottenere risultato oltre che uno sguardo terrorizzato-si alzi da lì!
Ma la ragazza appariva paralizzata sull'asfalto fangoso, gli occhi lucidi persi chissà dove e i capelli scompigliati dal vento gelido che come dita flessuose si era infilato fra gli altissimi grattacieli che li circondavano.
-Signorina!
Il semaforo scattò sul rosso ma prima che le auto potessero partire Jinxx si gettò in mezzo alla strada vuota, la sollevò ponendole una mano sotto le ginocchia e l'altra dietro la schiena e con una piccola corsa tornò sul marciapiede che aveva davanti.
La gente rimase sbalordita per pochi minuti e commenti spaventati si levarono dalla gente loro attorno ma nessuno dei due parve badarvi.
Beth tremava incontrollabilmente stretta attorno al giubbotto del chitarrista il quale senza dire una parola la depositò su una panchina della fermata del tram e si sedè accanto a lei.
-Signorina Jonson...-sussurrò.
Le grandi iridi quercia di lei si spostarono su quel viso dai lineamenti spigolosi e mascolini che l'aveva fissata con terrore durante la breve permanenza a terra e sembrarono riversargli addosso un dolore immenso e represso.
-B-Beth..-mormorò con un singhiozzo intanto che con le dita dalle unghie rosse quanto i capelli, si ripuliva le guance rosse dalle tracce di lacrime.
-Come si sente?-chiese dandosi dello stupido per la domanda ovvia.
Lei, lo guardò ancora per poco poi gli fece un sorrisino gentile ma chiaramente accondiscendente e si tirò in piedi.
-Va molto meglio signor..
-Sono Jinxx-le disse porgendole la mano-non abbiamo avuto modo di presentarci fino ad adesso.
Il tono del chitarrista appariva freddo e lievemente appena estraneo eppure dentro di lui si agitava un miscuglio di emozioni mai provate così in fretta. La ragazza che aveva salvato da un brutto incidente nel quale sguardo aveva letto un dolore pieno di richiesta di aiuto, si era ripresa nel giro di poco e adesso gli sorrideva con delicatezza e stringeva le sue dita, tentando di camuffare il tremolio della sua piccola mano.
-Sta tremando. Sicura di stare bene?
Lui notò che il suo sguardo la stava mettendo a disagio così distolse gli occhi maledettamente artici e le raccolse da terra una cartina che aveva notato sfuggire dalla tasca del vecchio giubbotto della ragazza mentre la sedeva sulla panca.
-Questa è sua?
Vide lo sguardo della fanciulla illuminarsi e le manine raggiungere con rapidità quella che appariva in tutto e per tutto una fotografia  di pochi anni addietro. Prima che gliela togliesse di mano, era riuscito a intravedere il volto di un ragazzo vagamente somigliante a Beth. Aveva scorto gli stessi occhi scuri e i lineamenti delicati da ragazzino, il naso piccolo e le labbra spesse mentre i capelli biondi e ribelli ricordavano insolitamente quelli di Andy senza la tinta nera. Anzi a ripensarci più che assomigliare all' infermierina quel giovane sorridente era una copia sputata di Andy all'età di 17 anni. 
-Mi scusi-borbottò lei mentre reinseriva la foto nella tasca.
-Non fa niente, si figuri... quel ragazzo...
-Il suo nome è Dennis... mio fratello...
il chitarrista annuì grave e notata la scia di tristezza accumulatasi nella voce di lei, evitò di fare altre domande. In fondo non era mai stato una persona invadente o troppo curiosa.
-Adesso è meglio che io vada-gli disse con voce delicata
-Si sente bene? Sicura di poter tornare a casa da sola?
-Si, la ringrazio-disse sorridendo, con le guance in fiamme per tutte quelle premure-e grazie molte per ciò che ha fatto oggi... mi ha davvero aiutata e prima se lei non fosse intervenuto.. io...
La voce le si incrinò e Jinxx le mise una mano sulla spalla coperta dal grezzo tessuto di panno.
-Si figuri.
Si stupì di se stesso quando lei si congedò con grazia per l'effetto che gli aveva fatto la piccola ragazza in grado di tirargli fuori una cortesia inusuale.
Il cellulare gli vibrò nella tasca dei jeans scuri e quando lo sollevò lesse il nome di Chris. Era in mostruoso ritardo.

La chiamata al cellulare era stata una cosa veloce e fredda, piena di imbarazzo per entrambi, le parole erano state dette con tentennamento, la voce tremante.
Eppure erano bastate poche frasi per far capire a Juliet che sarebbe stato il momento giusto per agire e farle trovare la forza di infilarsi un paio di jeans strappati, un maglioncino nero, cappotto e stivali col tacco prima di uscire di casa, senza trucco nè smalto, per precipitarsi all'ospedale.
Adesso stava camminando a passo svelto per i lunghi corridoi illuminati dai neon, ansiosa di vederlo. Appena arrivò davanti alla sua porta non si curò di bussare, in tensione com'era ed entrò.
Lesse lo stupore nello sguardo del suo ragazzo, seduto a letto con le braccia conserte e tese tanto che i muscoli stavano lievemente più in rilievo del solito.
Andy fu sollevato di non avere più i sensori dell' ecg attaccati al petto altrimenti avrebbero fatto risaltare il battito del suo cuore ancora di più. Era così veloce che pareva poterlo sentire.
Juliet era la prova vivente di come stesse cercando di rimediare ai suoi errori ed impegnarsi per tornare a ricordare e vederla lì, col fiatone, la faccia struccata e arrossata dalla fretta di arrivare e i capelli biondi disordinati gli diedero l'impressione che lei non aspettasse altro che vederlo. 
Ed effettivamente la Simms non si era curata dell'orgoglio, ne di sistemarsi come era solita fare. Anzi, aveva lasciato da parte i convevoli e si era trovata nella stanza di Andy a meno di dieci minuti dalla chiamata che le aveva fatto, chiedendole se fosse stata impegnata quel pomeriggio, un pò come era accaduto all'inizio della loro relazione quando nel pieno dell'imbarazzo, l'aveva invitata a uscire.
Passarono svariati secondi prima che, sparita l'adrenalina, Juliet si ritrovò a tentennare sulla soglia della porta. 
-V-vuoi sederti?-le chiese, notando la sua titubanza.
Juliet socchiuse la porta e si sedè accanto al letto, lentamente.
-Come ti senti?-gli domandò
Andy voltò il viso verso la finestra poco distante dal suo letto e rimase a guardare i fiocchi candidi scendere dal cielo color acciaio.
-Mia madre dice che mi piaceva la neve da bambino, lo sapevi?
Juliet rimase perplessa ma cercò di trattenere l'impazienza. Non era andata là per parlare dei suoi ricordi infantili ma sentire che le rivolgeva la parola tanto delicatamente la rincuorò.
-Si...
-Mi ci porteresti fuori? Sono sempre chiuso in questa stanza... vorrei sentire l'aria fredda addosso.
Juliet non capì il perchè di una richiesta simile ma acconsentì. Si avvicinò a lui, gli scoprì le gambe e gli offrì la spalla. Appena il peso del ragazzo si posò sul suo fianco ebbe un sussulto. Averlo così vicino dopo tanto le mise una sensazione indecifrabile addosso. Poi lo aiutò a sedersi sulla carrozzella e gli mise addosso il giubbotto pesante più una spessa coperta di lana e si assicurò che il punto leso stesse al riparo dato che non le erano sfuggiti i suoi piccoli lamenti nel cambiare posizione dal letto alla sedia. 
-Andy, non lo so se puoi uscire
Lui esibì una risata pestifera che le fece stirare le labbra in un lieve sorriso e sciolse un pò la tensione fra loro.
-Evadiamo.
Juliet fu abbastanza pazza da dargli ascolto e silenziosamente, facendo finta di nulla, lo spinse dalla parte opposta all'entrata del corridoio della lunga degenza fino ad arrivare a una porta di sicurezza che fungeva da uscita secondaria e si affacciava su una discesa di pietra che conduceva al giardino.
Andy ebbe un brivido appena il vento gelido gli si abbattè sul viso pallido e Juliet si chiese se non fosse stato troppo imprudente portarlo fuori.
-Vuoi che rientriamo?
Lui fece un cenno negativo con la testa mentre osservava i fiocchi diventare sempre più rari.
Con un pò di fatica fece avanzare la carrozzina lungo la discesa, abbastanza vicina al muretto di cinta da permettergli di allungare il braccio e passare la mano sulla neve gelida.
Lo vide sospirare mentre le sue dita rosse dal freddo distruggevano la patina bianca uniforme, infrangendosi con uno scricchiolio.
Quando arrivarono in giardino percorsero i vialetti spalati dagli inservienti e Juliet diresse la carrozzina vicino a un laghetto ghiacciato che avevano individuato. Durante le belle stagioni doveva essere pieno di rane. 
Lungo tutto il tragitto erano ripiombati nel silenzio e adesso la tensione pareva gelare le parole in gola più dell'inverno.
-Andy... io... ti domando scu..
-No- la interruppe-sono io che... che ti devo delle scuse.
la sua voce era apparsa categorica eppure il suo sguardo rimaneva risentito fisso sul ghiaccio azzurrino. Juliet preferì non toccarlo e rimanere immobile a guardare le nuvolette che si formavano davanti alle sue labbra schiuse, il respiro caldo a contatto con il clima gelido.
-Una volta la neve mi piaceva... mi piaceva il freddo, il vento gelido , giocare nel gelo... ma solo perchè non lo conoscevo a fondo...
La ragazza si scostò una ciocca bionda dalla fronte e si impose di non farsi sovrastare dal dolore per il suo amore.
-La verità è che esiste un tipo di freddo che ti entra nel cuore... è così gelido e non si scioglie mai... è una cortina di ghiaccio impenetrabile di cui non riesci a liberarti senti che... muori lentamente in quel freddo...
La voce tremò e senza che neanche se ne accorgesse le lacrime incominciarono a solcare come eserciti incolonnati le sue guance rosate dall'inverno e gli zigomi alti
-Per questo ti chiedo scusa! Mi dispiace avervi trascinati tutti in questo freddo, mi dispiace, mi dispiace...
Juliet rimase impressionata: nella sua mente c'era ancora il ragazzo spavaldo e tenero che aveva amato mentre questo Andy appariva così fragile, così bisognoso di cure e affetto da risultare quasi infantile. Per alcuni secondi fissò le mani di lui rimanere premute sugli occhi colmi di lacrime, le falangi strette attorno a ciuffi di capelli scoloriti e ribelli poi con delicatezza e lentezza, si inginocchiò di fronte alla sedia, senza curarsi degli aloni di acqua che si allargavano sui suoi jeans e gli mise le mani sopra le sue.
Con grazia e discrezione si fece strada fra le dita affusolate di lui e con altrettanto buon modo le allontanò dal viso, prendendole nel calore della propria pelle per scaldarle e fargli sentire il fuoco chele bruciava dentro e che era così forte da poter scaldare entrambi.
Gli occhi lucidi dei lui incontrarono l'armonia del verde intenso di quelli di Juliet e per un attimo parve che il grigio che aveva preso il posto dell'azzurro nelle iridi di Andy, a causa delle luci artificiali dell'ospedale, si colorassero del blu di cui erano state protagoniste un tempo. Senza che ne capisse il motivo, il vocalist sentì in quello sguardo qualcosa di estremamente consolatorio e famigliare come se non lo avesse visto una sola volta forse per questo le permise di accarezzargi la guancia col dorso delle dita curate e accettò il sorriso lieve che gli porse.
-Andrà tutto bene...-gli sussurrò-l'inverno non dura per sempre, Andy...
il suono del suo nome lo fece sorridere tristemente prima di costringerlo a voltare lo sguardo verso il cielo. 
-Guarda, è ricominciato a nevicare..-le disse-possiamo tornare dentro, al caldo... per favore?
Si rimise in piedi e tentò di non piangere.
-Certo... stiamo gelando.

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Capitolo 12
*** Qui per te ***


-Esatto signor Biersack, ha capito bene.
La voce del commissario di New York era profonda e professionale, per nulla titubante nel dare brutte notizie, neanche quando si trattava di annunciare a un padre che il proprio figlio fosse stato vittima di un unica persona, che avrebbe agito da sola e con una pistola poco precisa, da quanto era emerso dal calibro delle pallottole. 
-Quindi escludereste l'intervento di un sicario?-borbottò Jinxx che fino ad allora era rimasto seduto a braccia conserte su una delle due poltrone di cuoio nero davanti alla scrivania del commissario Geregory.
-Ci sentiamo di eliminare l'ipotesi. Mi creda, un professionista non avrebbe sbagliato. Avrebbe mirato direttamente alla testa o al cuore... inoltre non avrebbe mai rischiato tanto avvicinandosi al palco.
Chris Biersack era a dir poco senza fiato. Stava realizzando che suo figlio aveva rischiato di morire per mano di un pazzoide o un balordo di strada intento a farsi una reputazione fra i suoi compari con un colpo grosso.
-E inoltre-intervenne la voce di un sottoposto-un killer professionista avrebbe utilizzato un fucile da cecchino. 
Buttò sulla scrivania un sacchettino trasparente nel quale erano racchiuse due pallottole, ormai inoffensive, una delle quali ancora rossiccia del sangue che aveva attraversato. 
Le mani del signor Biersack afferrarono la plastica e portarono il suo contento davanti al naso con un sospiro tremante. Lo stomaco gli si contorceva al solo pensiero che una cosa piccola come quella avrebbe potuto portargli via il suo unico figlio, la cosa che lui e sua moglie amavano più di tutto. Gli occhi piccoli divennero lucidi di tensione e si rifiutò di tenere ancora in mano quelle minuscole eppure letali armi, in special modo quella che era quasi riuscita nel suo compito. 
Andy era in assoluto la persona più importante della vita sua e di sua moglie, l'avevano amato dal primo istante in cui si erano accorti di star per diventare una famiglia. Avevano osservato i suoi grandi occhi blu fin da piccoli determinati, curiosi e allegri che poi durante l'adolescenza avevano assunto una sfumatura un pò malinconica ma anche più forte e saggia fino a diventare parte di uno sguardo adulto e consapevole, dedito alla realizzazione di un obbiettivo e non più di un sogno di ragazzino. 
La possibilità che quelle iridi brillanti potessero non aprirsi più alla vita era stata in assoluto la cosa più straziante che avessero potuto anche se la situazione momentanea non era obbiettivamente buona, lasciava una speranza e dava a tutti la forza di andare in fondo alla questione. Per questo Chris si costrinse a prestare attenzione alle seguenti parole del commissario.
-Pensiamo che sia necessaria una piccola scorta per quando il ragazzo uscirà dall'ospedale... soprattutto perchè non ci sarà silenzio stampa anche se lo chiedessimo.
-Una scorta?-esclamò Biersack-la prego di riconsiderare l'idea, mio figlio sta passando una situazione psicologica molto delicata, lei è a conoscenza dei danni... mettergli una scorta vicino lo farebbe sentire solo più indifeso e spaventato.
Il commissario Gregory si alzò dalla sedia a rotelline e si spostò con le mani dietro la schiena verso la parete vetrata che dal sessantatreesimo piano del palazzo di giustizia osservava la distesa di grattacieli della città come fossero giocattoli per bambini.
-Capisco la situazione, mi creda-il suo tono si fece per qualche secondo più dolce del previsto ma poi il suo viso abbronzato dalla spessa cicatrice bianca che gli correva dalla tempia destra alla parte sinistra della mascella squadrata, si irrigidì-ma il nostro compito è mantenere solida l'incolumità del signor Andrew Biersack ancora prima del suo stato mentale. Almeno finchè non avremmo delle certezze in più su quanto accaduto.
Jinxx socchiuse gli occhi chiari e provò a ragionare per scendere a compromessi. Era sicuro che la vita di Andy avrebbe potuto essere in pericolo una volta usciti dall'ospedale ma l'animo del suo amico era fin troppo turbato per poter reggere anche alla presenza di poliziotti sotto casa. 
-Se questo vale per Andy allora noi potremmo essere in pericolo quanto lui-sibilò Jinxx furbamente.
Il sottoposto, un giovane uomo di venticinque anni con uno sguardo ancora inesperto, rimase interdetto di fronte a tale affermazione ma il suo capo non si fece impressionare eccessivamente.
-Signor Ferguson se preferisce potremmo provvedere anche a lei.
A nessuno dei 3 uomini in silenzio sfuggì il pizzico di acidità scaturito fra quelle poche parole ma se il commissario era un osso duro in fatto di parole taglienti, Jinxx lo era di più.
-La ringrazio, commissario Gregory, per la sua disponibilità ma deduco che l'individuo in questione potrebbe essere poco più di un pazzo... 
-Proprio perchè è un pazzo potrebbe non temere alcunchè. Mi creda Ferguson, ho letto centinaia di perizie psichiatriche di omicidi e le assicuro che nessuno di loro ha temuto la morte finchè non l'hanno seduto su una sedia elettrica. Se ci ha provato c'è la possibilità che lo rifaccia e noi dobbiamo stare pronti.
Jinxx si ritenne sconfitto e annuì lievemente facendo oscillare le punte dei capelli neri davanti alle palpebre socchiuse. 
Quando uscirono dall'ufficio li raggiunse la madre del vocalist e si fece spiegare tutto per filo e per segno. Avevano delle opzioni logiche dalla loro parte e prove. Inoltre la scientifica e la polizia stava indagando a fondo per scoprire il malvivente e le piste supposte lasciavano da sperare.
Eppure una forte tensione si rinnovò fra loro, costringendo tutti a non parlare granchè durante il viaggio verso casa. paradossalmente assieme alle speranze erano giunti nuovi dubbi e problemi.

Beth non riusciva a tenere niente fra le mani quella mattina. Sembrava che tutte le sue forze si fossero esaurite giorni prima, dopo l'incontro con Jinxx. Erano accadute fin troppe cose nel giro di poche ore, compreso il ricordo di suo fratello che le faceva sempre male, e coma al solito non era riuscita a gestire le sue emozioni. 
Ora, nella sala medicazioni del pronto soccorso non riusciva neppure a suture un taglio basilare per quanto profondo, tanto che il povero paziente che le era toccato, la osservava con aria terrorizzata. 
Con le dita tremanti aveva iniziato a disinfettare la ferita ma quando era passata all'ago per i punti, la mente si era riempita più di prima e lei non era riuscita a lavorare davvero. Sentiva il filo speciale passare malamente sotto la carne, come se il suo talento nel curare le ferite più superficiali si fosse estinto e, all'ennesimo lamento dell'uomo, aveva pregato una collega di prendere il suo posto dato che si sentiva poco bene.
Uscì e si sentì lievemente meglio, lontana dalla vista del sangue. Da quando suo fratello era morto in pronto soccorso, davanti ai suoi occhi di quattordicenne, pieno di sangue e ferite ovunque, aveva scelto di fare il medico per poter rimediare al quello che da incidente era passato come un suo errore poichè la morte di un figlio speciale doveva essere giustificata, almeno secondo il contorto inconscio di due genitori increduli. E lei, la sorellina minore che quel giovanotto allegro e amorevole aveva voluto tanto bene, era diventata la cavia perfetta per le ire di suo padre e la disperazione di sua madre.
Quando un anno prima prese la mini-laurea in medicina nessuno dei due genitori si presentò ma lei non si pentì neanche una volta di aver preso la scelta di salvare delle vite. Per la piccola Beth, ognuno di quei cuori battenti, sarebbero stati un pezzo del suo, un grammo di felicità e di riscatto per tutto quello che aveva perso. Seppure amasse prendersi cura dei pazienti e lo facesse con professionalità, mista a un'umanità particolare, in momenti simili a quello, il dolore altrui era solo un vivido ricordo del proprio.
Come se potesse sfuggire a quel dolore iniziò a camminare a passo veloce lungo uno dei corridoi di lunga degenza, consapevole di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato ma senza eccessive preoccupazioni. In quel momento non pensava alle ambulanze del pronto soccorso, ai suoi superiori o alle colleghe brontolone. In quel momento avrebbe solo voluto scappare dal dolore che le opprimeva il petto fino a ridurle il fiato a un sottile fischio, che le faceva venire voglia di mettersi in un angolo buio e stringere i capelli fra le dita fino a farsi male. Avrebbe voluto tanto potersi nascondere agli occhi del mondo, alle parole sprezzanti ma soprattutto ai ricordi che riuscivano a invaderle ancora talmente bene il cuore e la mente da permetterle appena di sopravvivere.
Cercò disperatamente il ripostiglio delle scope in cui erano ammucchiati i materiali di pulizia ma una scena distraè la sua folle ricerca. Passando davanti alla stanza di Andy Bierscak lo intravide oltre il vetro trasparente, seduto nel letto con la fidanzata che parlava quietamente, tenendogli discretamente una mano fra le proprie. 
Non seppe cosa la spinse a rimanere lì a guardare. Non era mai stata una ficcanaso eppure qualcosa la costrinse a fissarli. 
Osservò con la vista un pò appannata Juliet parlare di cose attutite dal vetro, Andy sorridere con malinconia e la loro stretta aumentare leggermente. Poi guardò come lui le sistemò una ciocca bionda dietro l'orecchio per poi ritrarsi con imbarazzo allo sguardo commosso della ragazza che non si permise di fare altro che cambiare argomento. Lo notò dal repentino mutamento di espressione sul viso di entrambi i quali divennero più allegri di quell'allegria di circostanza tipica dei momenti negativi in cui l'unica cosa da fare per non sprofondare in un mare di lacrime inopportune è mettersi a ridere.
Beth li conosceva quegli improvvisi cambiamenti di rotta, conosceva a fondo i propri limiti e quando giungeva il momento di fermarsi anche di fronte alle cose migliori per paura di una prossima sofferenza, di un incomprensione o semplicemente per una timidezza mai del tutto affrontata. 
E così si morse il labbro inferiore e le dita lunghe e magre che aveva appoggiato contro il materiale trasparente si richiusero in un piccolo pugno, lasciando solchi opachi visibili solo in controluce. Perchè a pensarci bene, le sue ferite erano esattamente così: appena visibili in controluce su un vetro perfettamente pulito.
Sospirò con tristezza quando accanto alla sua manina, si affiancò una mano decisamente più grande dal colorito olivastro le dita lunghe e affusolate con le ossa delle falangi che correvano visibili sotto la pelle e le venature un pò in rilievo.
Il volto di Ashley riflesso nello specchio la fece sobbalzare di paura ma anche se i loro occhi si incontrarono in un ombra appena delineata, fu chiaro quanto si fossero cercati in altri riflessi.
Nessuno dei due osò dire una parola ma la pelle scura del bassista scivolò con lentezza sul dorso morbido della ragazza, lievemente arrossato per il guanto infiermeristico che aveva tenuto fino a poco prima.
Poi il musicista le racchiuse il pugno fra le dita e piano piano le voltò il polso, costringendola a seguire la traiettoria con tutto il corpo fino a che i loro volti non si trovarono uno davanti all'alto, con un dislivello di una decina di centimetri.
-Finalmente sta meglio...-sussurrò l'infermiera con le lacrime nello sguardo spalancato su quello magnetico di lui.
-Stanno meglio-le precisò-Cc mi ha avvisato.. sono venuto perchè voglio chiarire con lui... sono stato un vero stupido ma...non è tutto. Io sono qui per te.
Furono poche parole mormorate a bassa voce come se fosse uno strano peccato per entrambi eppure fecero tremare il cuore a tutti e due. 
Ashley si stupì di aver affermato quella frase che si era accorto da tempo significare altro oltre la semplice fisica e Beth rimase interdetta e commossa nel sentire che qualcuno, anzi che proprio Ashley, fosse lì per lei. Qualcuno dopo tanto tempo si era preoccupato di come stesse ed era tornato appositamente da lei per assicurarsi qualcosa di estraneo anche a se stessa perchè la serenità non l'aveva mai davvero conosciuta oltre ai momenti con suo fratello. 
-Ashley... io...
lui le fece appoggiare la testa contro il proprio petto e lasciò che gli stringesse il giubbotto di pelle mentre le carezzava i fluidi capelli rossi e fissava il soffitto. La ragazza si sentì al sicuro, protetta da un abbraccio leggero ma presente, vero come se ne ricevono pochi.
Si abbandonò totalmente alla sua presa e pianse, pianse in silenzio contro di lui col profumo ammaliante degli indumenti scuri nel naso.
-Credo di... di aver bisogno di aiuto, ash...
Lui sbarrò gli occhi mandorlati senza realmente vedere l'immagine di Juliet con la testa appoggiata al petto di Andy e per la prima volta si sentì davvero utile a qualcuno. La strinse maggiormente a sè in modo quasi possessivo e sentì i muscoli delle gambe ammorbidirsi e diventare tanto che a stento riuscirono a sostenere il suo peso.
-Sono qui...-le sussurrò all'orecchio-qui per te.

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Capitolo 13
*** Lost It All ***


Il mattino seguente, poco dopo l'orario di sveglia, Andy si trovò la sua camera occupata dai genitori, il signor Brown e un uomo con una profonda cicatrice trasversale sul viso che dal distintivo lucente attaccato al risvolto della giacca elegante poteva non essere altri che il commissario Gregory.
-Mamma..-mormorò quando diede il permesso di entrare all'ammasso di persone fuori dalla porta e per prima vide entrare sua madre con un piccolo sorriso nervoso.
Lei andò ad abbracciarlo con una discrezione ancora troppo fredda per come avrebbe realmente voluto ma che per Andy andava benissimo. Non era molto incline alle dimostrazioni d'affetto da quando aveva avuto l'incidente anche se in quegli ultimi giorni il suo istinto gli aveva sempre consigliato di accettare di buona grazia abbracci e a volte i baci. Il giorno precedente aveva addirittura lasciato che Juliet appoggiasse la testa sul suo petto, verso la spalla sana ed era rimasto in silenzio in bilico fra sensazioni contrastanti. Non aveva mai vissuto niente di tanto irreale come desiderare di avere accanto una persona e al contempo di volere che se ne andasse. Oppure, si era detto, il motivo era che avrebbe voluto la conferma che anche cacciandola via da sè, lei avrebbe insistito per rimanere.
Aveva sempre avuto una mente contorta il Biersack e nel corso degli anni ne era divenuto consapevole ma adesso con quell'oblio che aveva catturato ogni sua sicurezza, era difficile farsi una vera idea di com'era e spiegarsi i propri pensieri.
La donna si allontanò da lui, lasciandogli un pò del so profumo di lillà addosso, e si sedè sul bordo del materasso per lasciare spazio a suo marito che si limitò ad appoggiare una delle grandi mani dietro la nuca di suo figlio per portare il viso verso di se e scoccargli un bacio un pò frettoloso sulla fronte come se fosse stato un ragazzino di dodici anni.
-Signor Brown, cosa sta succedendo?-si rivolse allo psicologo per ricevere risposte senza giri di parole poichè ancora non si fidava dell'obbiettività dei suoi genitori e prima che il dubbio lo logorasse avrebbe voluto sapere la verità di quella visita così insolita.
-Siamo qui perchè dobbiamo avvisarti sulle ultime indagini. Dobbiamo spiegarti per filo e per segno che cosa potrebbe esserti accaduto anche se ti avevo già accennato qualcosa è il caso di analizzare la situazione col capo commissario della polizia, il signor Gregory. Lui ti spiegherà la parte tecnica di tutta la questione.
Gli occhi ghiacciati del vocalist si spostarono su quelli verdi come l'erba del commissario e vi rimasero fissi dentro. Erano occhi che avevano visto di tutto come se ognuna delle sfumature dorate che alleggiavano nell'iride corrispondessero a un'esperienza e quella terribile cicatrice era una prova concreta di ciò che aveva dovuto passare prima di raggiungere un ruolo come il suo. Andy si sentì piccolo come un gattino bagnato di fronte a quell'omone dall'espressione quasi pietrificata e l'autostima gli venne meno per i secondi che i loro sguardi rimasero intrecciati.
Era da tempo che non si sentiva un uomo forte, deciso e carismatico come doveva essere stato. Si era chiesto spesso, per quanto male gli facesse pensarci, che ne era stato del ragazzo dalla parlantina inesauribile che compariva nelle interviste, di quella espressione furba, dei suoi sorrisi sgargianti per il solo fatto di essere al mondo e anche del suo sguardo che appariva sempre intenso qualsiasi fosse la situazione e che persino nei momenti più divertenti era velato di una leggera malinconia.
Si innervosì ma tentò di controllarsi e per sentirsi un pò più in forma chiese di andare al bar dell'ospedale a parlare e insistè nonostante lo sguardo preoccupato di sua madre.
-Voglio alzarmi!-esclamò a una tentata resistenza da parte di Chris-per favore... fatemi stare seduto su una sedia e non in un letto come un malato. Sto bene e voglio sapere di me come si conviene.
La determinazione nei suoi occhi era molto più che un capriccio come avrebbe potuto sembrare. Era una tentata presa di potere su sè stesso, un modo per dimostrare che sarebbe stato pronto a ricevere le notizie anche peggiori, che avrebbe potuto reggersi tranquillamente in piedi d'ora in avanti.
Chris si commosse un pò e lo prese sotto braccio, aiutandolo a scendere dal letto.
-Andremo dove vuoi, Andy-gli assicurò suo padre con un tremito nella voce mentre che lo aiutava a muoversi senza sedia o supporti al di fuori del proprio possente corpo.
Andy percepì la forza di suo padre sorreggerlo e strinse di più la presa a lui, camminando fianco a fianco.
-Grazie... papà-sussurrò all'orecchio dell'uomo, sentendosi accanto a una vera colonna portante, quella che ogni figlio dovrebbe avere accanto soprattutto nei momenti di sconforto.
Arrivarono al bar con un tempo un pò più lungo del previsto ma nessuno osò passare davanti a padre e figlio che vicini, proseguivano a un ritmo discreto.
Arrivati si lasciarono scappare un sospiro e tentarono di regolare la respirazione: nonostante la stazza Chris aveva avuto qualche problema a sostenere suo figlio che non era poi tanto leggero con tutto il suo metro e ottanta mentre Andy era stanchissimo e sentiva le costole pulsare sotto la garzatura.
Ma non si lamentò e rimase ad ascoltare davanti a un caffè ciò che Gregory aveva da dirgli.
-E quindi le serve una scorta, signor Biersack-terminò l'uomo con le mani incrociate davanti al naso, i penetranti occhi puntati in quelli del suo giovane e spaesato interlocutore.
-Una scorta...-mormorò stordito, massaggiandosi le tempie con la punta delle dita-significa che dovrò vivere sotto protezione per.... per quanto? 
L'idea di dover avere degli uomini armati accanto ovunque andasse, persino sotto casa sua non lo esaltava. Aveva tanto sperato che una volta dimesso dall'ospedale avrebbe potuto ricominciare da zero, stare con i suoi parenti, i suo compagni di band, gli amici e anche con Juliet. Invece si sarebbe ritrovato l'esperienza traumatica che stava vivendo, immischiata il doppio nella sua vita privata, incarnata in quei poliziotti, nei farmaci, nelle medicazioni e in tutti i controlli a cui si sarebbe dovuto sottoporre in futuro. Niente sarebbe tornato come prima anche se quel prima gli era pressochè conosciuto avrebbe voluto riassaporare un pò di passato per la semplice curiosità di sapere come fosse stata la sua vita e così, questo sogno sarebbe scemato come tutte le speranze che con fatica si stava creando.
-Sono spiacente ma purtroppo ci è impossibile stabilire una data. Come le ho detto dovremmo catturare per primo quell'uomo.
Andy si sentì travolto da qualcosa forte come una doccia gelata e un lungo brivido gli percorse la schiena.
-Deve anche firmare queste-aggiunse il commissario, passandogli dei moduli per l'accettazione della scorta.
La mano del signor Brown gli venne in soccorso, poggiandosi sulla sua spalla.
Il vocalist rivolse un'occhiata disperata al volto baffuto dello psicologo che riuscì con il suo sguardo paziente a consolarlo e dargli la forza di firmare.
E...ecco..-sussurrò Andy con un filo di voce quando lasciò rotolare la penna sui fogli in bianco e nero che aveva dovuto leggere, di cui i suoi erano a conoscenza e d'accordo, ai quali mancava solo il consenso del diretto interessato.
-Fa la scelta migliore, signor Biersack-disse il commissario, stringendogli la mano che Andy lasciò frettolosamente in un piccolo scatto d'ira verso ciò che gli stava capitando.
Dopo i convevoli di arrivederci, si alzò in piedi di scatto, convinto di tornare in camera sua ma un forte capogiro lo colse appena si fu allontanato un pò dal tavolo. Si portò una mano alla testa mentre l'altra arrancò nel vuoto alla ricerca di un appiglio che non trovò in tempo.
-Andy!-gridò sua madre quando lo vide barcollare e cascare sul pavimento lucido, stremato dallo sforzo precedente e dallo shock per la notizia traumatica appresa. 
In poco tempo la sala bar si bloccò, tutti gli sguardi compresi quelli del commissario e dello psicologo sulla via dell'uscita, si fermarono preoccupati su di lui, i suoi genitori, un Ashley sbucato da chissà dove e alcuni infermieri fra cui Beth che gli corsero intorno per il primo soccorso.
 
Quando si svegliò accanto a lui c'era niente di meno che Ashley intento e guardarlo in modo apprensivo.
-Hey...-gli sussurrò imbarazzato.
-Hey...-ansimò lui quando si rese conto di essere nella sua stanza con il sondino nuovamente sotto al naso e una flebo nel braccio.
Una voce femminile attirò il suo sguardo a sinistra dove incontrò il volto forzatamente sereno di Beth.
-Come si sente?-gli chiese intanto che si portava un piccolo apparecchio alle orecchie e gli appoggiava una piastrina tonda al petto per sentigli il battito.
-La testa...-borbottò dolorante.
-Certo, la testa..-annuì lei mentre con fare professionale continuava ad ascoltargli il cuore-è svenuto circa tre orette fa. Ha dormito parecchio.
Un piccolo sorriso si dipinse sul volto infantile.
Andy rammentò il volto di Gregory, la camminata con suo padre fino al bare, i fogli e poi quell'inspiegabile capogiro che gli aveva fatto chiudere gli occhi.
-I miei..?
-Sono tornati a casa quando si sono accertati che stessi bene. Ho detto loro di riposarsi, avevano una faccia così stanca... sono rimasto io con te.
Lo sguardo stremato di Biersack analizzò il viso del compagno di band che da più tempo non vedeva, precisamente dal giorno in cui avevano avuto la lite che lo aveva portato più di tutto a ragionare per cambiare il proprio comportamento verso la situazione.
Beth ritirò il suo materiale medico e decise che fosse venuto il momento di lasciarli soli e chiarire. Così si allontanò e prima di uscire con una scusa, carezzò di sfuggita la guancia di Ashley.
Entrambi apparivano estremamente imbarazzati, persino il bassista non riusciva a trattenere il nervoso tamburellare delle dita sul comodino accanto al letto.
-Quando sei caduto... ho rivisto la scena di quando ti hanno...-le parole morirono nella gola di Ashley ma ci pensò Andy a venirgli in aiuto.
-Sparato?
Il bassista deglutì rumorosamente e incrociò le braccia sul petto, contraendo le dita nascoste dai bicipiti in rilievo.
Gli occhi del Purdy si ridussero a due fessure piene di risentimento e qualcosa gli afferrò lo stomaco e lo schiacciò fra tenaglie invisibili, facendogli emettere un piccolo gemito che fece scattare qualcosa in Andy.
Il vocalist non riusciva a spiegarsi il motivo per il quale era sicuro che quell' esprssione era tipica di quando aveva bisogno di parlare ma seguì l'istinto e gli chiese se stesse bene.
-Sei tu quello in un letto-rise il bassista, facendo spuntare un lieve sorriso stanco anche al suo compagno di band.
-Si ma fra i due quello che ha la faccia depressa sei tu.
Ash rimase interdetto tanto che la risata gli si smorzò in gola. Era sempre stato così: fra i due anche se lui aveva i muscoli, la pelle resistente al sole, lo sguardo sexy era sempre Andy quello veramente forte. E lo era anche in un momento così delicato.
-Non so molto di te come di nessun altro ma... non penso che tu sia una persona cattiva e poi tutti cadono a volte.
Un sussulto si levò dalle labbra sottili del ragazzo seduto sulla sedia e qualcosa nella mente di Andy scattò come se le parole che aveva appena pronunciato le avesse sentite e risentite moltissime volte.
Improvvisamente qualcosa gli fece pulsare dolorosamente la testa come se qualcuno stesse martellando il cranio dall'interno con un piccone. Era un dolore acuto e ripetitivo che lo costrinse a portarsi una mano nel punto dolorante e inclinare il busto in avanti con un piccolo grido.
Ashley gli fu immediatamente accanto.
-Andy!-esclamò mentre le possenti mani circondavano le braccia dell'amico.
Due rivoli salati iniziarono a percorrere le guance del cantante che intanto si aggrappava sempre di più alla maglia scura del compagno e respirava con un pò di fatica.
-Andy, Andy! Tranquillo chiamo qualcuno!-la voce del bassista era sempre più in panico.
-N-no.... no resta... r-resta per favore...-Le dita di Andy si serrarono maggiormente alla spalla di Ash mentre che l'altro, preoccupato e imbarazzato, quasi lo abbracciava. Ashley lo tenne accanto a se mentre il corpo tremava e la testa doleva in modo pauroso.
-E' lei... lei...-rantolò Biersack
-Lei chi?
-Lost... lost it all...

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Capitolo 14
*** Demoni ***


Da quel giorno amici e parenti seppero ancora meno come comportarsi con Andy. Il rischio che qualche ricordo intrappolato nella parte più conscia di sè si risvegliasse all'improvviso e gli scatenasse una crisi era ben alto. Nonostante tutti si erano rallegrati quando avevano appreso la notizia il fatto che fosse un procedimento doloroso e che lasciasse il vocalist esausto e spaesato non era di certo positivo.
Probabilmente anche per questo motivo il fenomeno non si ripetè per molto tempo a venire, come se senza rendersene conto Andy reprimesse ogni sensazione che gli potesse risvegliare qualcosa nel profondo, per paura del dolore fisico ma soprattutto di ciò che avrebbe potuto scoprire.
Lui non era pronto a riconoscersi, non era pronto debole com'era a scontrarsi con il ragazzo così sicuro e sorridente delle foto sulle riviste. Lui non si sentiva quel ragazzo famoso e estroverso, la sua immagine di se stesso si limitava a un giovane pallido e impaurito tanto da alzare ancora muri davanti a chiunque, relegato in una camera d'ospedale. 
Non poteva scendere a patti in alcun modo con l'altro Andy. L'altro Andy, era quasi sicuro, lo avrebbe compatito e ne sarebbe stato deluso. Il dualismo che sentiva in fondo al cuore era troppo netto per essere colmato con qualche flashback, era qualcosa di tropo radicato nella sua anima e nel suo passato per poter essere paragonato alla superficie che mostrava come tutto il suo opposto.
Era terribile essere consapevoli di avere all'interno come due anime che non solo erano ben distinte ma che avevano quasi due vite differenti e che stavano intrappolate in uno stesso corpo e in una realtà che avrebbe dovuto essere ridimensionata per far coesistere nuovamente i due caratteri.
L'altro Andy voleva uscire, pensava il suo opposto, molto più di ciò che sembrasse. Ma prima di farlo, avrebbe dovuto affrontare le ombre dell'Andy attuale incatenato in una paura inespressa ma talmente unita al suo passato da essere una tappa fondamentale da attraversare prima di tornare a giungere a quella sicurezza dell'Andy precedente.
Non era possibile, si diceva, vivere in contrasto con se stesso, un contrasto fra presente e passato senza definizione... non era possibile, non era possibile... era lui il suo unico ostacolo era lui l'errore, era lui che si odiava a tal punto da non accettare alcuna forma d'apertura nonostante stesse provando a prendere di buon grado almeno gli altri.
Era lui il problema lui, lui, lui... lui... tu.
"Sei tu il problema" ripeteva quella voce profonda ma con qualche nota ancora bianca "è colpa tua se sei di nuovo così"
Gli faceva tanta paura quel tono maligno e persuadente che si trovò quasi al sicuro nell'angolo di muro fra il quale si rintanò, circondandosi con le braccia tatuate.
"Tu hai paura... tu non sei me... Sei solo un usurpatore..." 
Sentì le lacrime scaturire dagli occhi azzurri e solcare brillanti l'oscurità così come le sue guance pallide.
"Perchè mi hai intrappolato qui...? Sei sempre stato geloso di non essere come me fin dal principio..." Uno scricchiolio simile al rumore di scarpe di ginnastica sul pavimento lucido si unì alla voce e il proseguire veloce di questi piccoli versi pareva correlato al cuore di lui, schiacciato contro l'angolo per la sola sensazione di avere le spalle riparate.
"Chi sei...?" riuscì a sibilare mentre il labbro inferiore tremava senza freno.
"Lo dovresti sapere... alla fine sei tu che mi hai creato perchè eri troppo debole, troppo fragile e stupido... avevi talmente paura che hai preferito farmi affrontare in prima linea la tua vita al posto tuo... e poi mi hai dimenticato... e non solo una volta ma ben due..." la voce si faceva man mano più acida e decisa a pugnalarlo con le sue parole incomprensibili eppure stranamente forti, stranamente vere. 
Senza capire come si ritrovò a credere a quelle frasi forse proprio perchè era la sua stessa voce a dettargliele oppure perchè la loro sicurezza traspariva quanto il rancore che provava tanto da farle risultare ancora più evidenti.
"Vattene..."mormorò con voce strozzata.
"Andarmene?!"questa volta fu un grido, stupito e addolorato e tanto forte da rimbombargli nelle orecchie e procurargli una fitta al petto che fu costretto a coprirsi con una delle mani grandi.
"Si vattene! Vattene, vattene! Ti prego, va via!" gli rispose senza controllare più il suo tono impaurito tanto era il timore che voleva espellere.
"Non andrò mai via! Mai! Noi ci apparteniamo... ricordalo bene"
Terminata la frase, si sentì afferrare il collo da due mani un pò più piccole delle sue ma molto più forti che con le dita premevano forte sulla sua gola, schiacciando il pomo da d'amo verso l'interno fino a farli mancare il respiro.
Annaspò alla ricerca del corpo che certamente gli era di fronte per allontanarlo e riprendere fiato ma la sua sofferenza sembrava provocata solo da quel paio di manine serrate sotto il suo mento. 
Si sentiva sempre più senza respiro ma quando tentò di gridare la sua voce uscì forte e chiara, senza alcun impedimento, talmente disperata da costringerlo ad aprire gli occhi e ritrovarsi sotto la luce giallognola del neon della sua camera d'ospedale, schiacciato contro il petto di una Juliet che tentava di calmarlo, pronunciando il suo nome a voce alta come a chiamarlo.
-Andy, è solo un incubo! E' solo un incubo, calmati!
Solo allora si rese conto di star gridando a squarciagola, agitando le braccia di fronte a se alla ricerca del suo presunto assalitore.
-Era lì! Aiutami, era lì! Voleva uccidermi, mi odia, mi odia!!
Lei tentò di placare le sue urla,dondolandolo contro se stessa mentre con la mano non occupata a reggergli la schiena gli carezzava la fronte e i capelli imperlati di sudore e cercava di sembrare sicura di se anche se dal suo sguardo traspariva una certa perplessità.
-Calmati, Andy... calmati... era solo un sogno-ripetè finchè il delirare del suo ragazzo non si trasformò che in bisbigli confusi e il suo agitarsi divenne un tremore poco più che percepibile.
Andy si zittì solo perchè era una voce confortante a chiederglielo ma dentro di sè si scontravano pensieri di ogni tipo e il suo sguardo perso dagli occhi sbarrati confermava come la sua mente fosse del tutto altrove persino quando il visino angelico della cantante gli si pose davanti.
Riusciva a vedere la sua immagine stravolta nelle iridi smeraldine della ragazza ma non si riconosceva ugualmente in quel volto tanto provato. Non riusciva a collegare le parole che aveva appena sentito neppure al suo aspetto fisico attuale, come se fossero derivate da un altro individuo che comunque faceva parte di lui.
-Lui... lui era lì...-sussurrò quando riuscì a fargli appoggiare la schiena ai cuscini ammassati contro la testiera del letto d'ospedale.
-E' andato via, chiunque fosse...-lo consolò con gli occhi lucidi e pieni di disperazione quanto di lacrime che provava in tutti i modi a trattenere per poter avere un aspetto rassicurante, per poter essere forte per lui.
-Tornerà...-sussurrò con la gola secca intanto che con le dita si toccava la pelle del collo-Juliet...
I suoi occhioni erano tanto sbarrati da lasciare intravedere le venuzze del bulbo oculare, rosse come braccia di nervosismo nel suo sguardo.
Lei gli sorrise nervosamente e si avvicinò di più al corpo teso di Andy, fino a prendergli il volto fra le dita dalle unghie curate e baciargli la fronte.
-Calmati... andrà tutto bene, ti prometto che non tornerà..
Biersack notò lo sforzo disumano che Juliet stava facendo per non piangere e si sentì in colpa quasi quanto la voce di prima gli aveva fatto provare, tanto che in un primo momento fu tentato di allontanarla e dirle di tornare a casa. Poi però, dopo un rapido sguardo all'orologio che segnava le undici di sera, si disse che non avrebbe potuto resistere una intera nottata da solo con il pensiero persistente di quello che aveva sentito e accettò di buon grado l'abbraccio di lei e la sua promessa di restare anche tutta la notte se fosse stato necessario.
-Lo faresti...?
-Mille volte-disse con voce rotta e consapevole che scene del genere avrebbero potuto ripetersi altre volte in futuro e che lei avrebbe dovuto abituarsene. Andy era troppo fragile per essere lasciato in balia dei suoi incubi, di quel vuoto che si riempiva di risentimento verso se stesso e che gli procurava attacchi di panico come quelli.
Andy rimase immobile quando per la seconda volta Juliet osò poggiare la testa sul cuscino accanto alla sua, col naso a propri centimetri dal proprio, e la mano piccola stretta in una delle sue contratta nervosamente. Dopo di che si abbandonò allo sguardo limpido di lei e ai capelli biondi che le ricadevano disordinati sulle spalle e poi fin sulla scollatura della maglia che lasciava intravedere la linea fra i piccoli seni i quali vennero percorsi più volte con un certo imbarazzo dallo sguardo stanco del vocalist.
Le palpebre rimasero aperte e fisse sulle labbra lucide di quella giovane donna che si stava offrendo in tutto per aiutarlo anche se l'aveva maltrattata e non le aveva offerto alcuna sicurezza reale, forse solo molti dubbi sulla sua momentanea sanità mentale. E sentì di dover far qualcosa per ricambiare, per farle sentire che comunque apprezzava quella devozione e che se avesse mai ricordato non gli sarebbe dispiaciuto così tanto rivedere i momenti che avevano passato assieme.
Qualcosa nell'espressione più serena della Simms gli faceva ripetere che non fosse colpa sua e che a differenza della vocina nella sua mente, lei e altri ancora non lo odiavano e non volevano certamente che sparisse. 
Ma di tutti questi pensieri si limitò a un silenzio perpetuo e imbarazzato che terminò con la sua testa, poggiata di traverso su quella biondina di lei, immobile fino al mattino seguente.

Quando Jake e Ella arrivarono mano nella mano davanti alla porta dell'ospedale vennero assaliti da un' inusuale carica di giornalisti locali e fans di ogni età.
-Oh, cazzo..-esclamò sbiancando alla vista di quella quantità di persone che gli uomini della scorta, trattenevano a stento e con minacce fuori dalla porta principale.
Il primo a raggiungerli fu un omino grassoccio che si definiva portavoce di una rivista rock nazionale.
-Signor Pitts, è proprio vero che Andy Biersack si è svegliato ma che ha un grave problema di memoria?? Sarebbe un disastro per la band se ciò fosse confermato! E che ci dice della famiglia di Biersack, come ha preso la notizia?
A quella voce insistente che attendeva risposte da segnare sul quadernino se ne aggiunsero molte altre assieme ai flash delle macchine fotografiche e gli urletti di alcuni fans poco opportuni. In poco tempo i due amanti si trovarono circondati da persone che li bloccarono letteralmente attorno alla ciambella umana che avevano formato, vogliosi di scoop o di inutili attenzioni da parte del loro idolo tanto che Jake fu costretto a stringere bene la mano della sua fidanzata per paura che fosse scansata malamente lontano da lui da qualche elemento in escandescenza.
-Fatemi passare, per favore. Non è il momento delle domande e la famiglia ha chiesto il silenzio stampa, per favore.
Ma il tono del povero chitarrista era sempre fin troppo educato e pacato per riuscire a tenere a bada tutte quelle lingue impertinenti e passare senza gomitate e spintoni fra la folla.
-Per favore, per favore, fateci passare...
-Un pò di rispetto!-esclamò Ella, crucciando le fini sopracciglia color cioccolato come i suoi capelli lunghissimi.
Quando finalmente riuscirono a districarsi dalla folla il braccio sinistro di Jake venne afferrato con forza da una figura femminile ben diversa da tutte quelle che aveva incontrato e che cercava di trattenerlo nonostante la resistenza dei bodygard.
-Tu! Tu mi conosci!-gli gridò con le unghie conficcate nella pelle del musicista-Sono io!
Jake rimase perplesso nell'osservare quel viso tondo, incorniciato dalla chioma ramata che accarezzava il corpo dalle curve morbide e i vestiti di poco prezzo che le rivestivano. Eppure quando incontrò i grandi occhi scuri di quella ragazza qualcosa si accese nella sua mente, qualcosa che gli suggeriva che lei non fosse una delle fans fuori dalla porta.
-Chi sei tu...?-articolò in labbiale mentre Ella cercava di dimostrare ad entrambi la sua irritazione.
-Scout-mormorò con voce piatta la giovane, senza staccare lo sguardo stanco dal volto interdetto del moro.




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Capitolo 15
*** Perdono ***


SPAZIO AUTRICE: Prima di lasciarvi alla lettura di questo capitolo volevo scusarmi per il ritardo, come al solito ewe mi dispiace essere tanto impegnata in questi periodi e aggiornare così raramente :/ chiedo umilmente perdono. Inoltre,ci terrei a ringraziare Saviour_ per il suo interesse verso questa fic e per il fatto che mi ha spronata (anche senza rendersene conto) a scrivere in un momento decisamente poco "ispirevole" XD che sto vivendo e a comporre questo capitolo, facendo si che mi sfogassi attraverso questi personaggi. grazie mille a tutti coloro che leggeranno e recensiranno. Il piccolo appartamento che i coniugi Biersack avevano affittato a pochi isolati dell'ospedale in cui era ricoverato da mesi il loro Andy, profumava della stessa fragranza della loro villetta in Ohio. Un mix di caffè e detersivi delicati che a Scout diedero l'impressione di essere tornata a più di cinque anni prima quando ancora recitava in film di successo ed il centro del suo mondo era diventata quella casetta dal giardino curato in cui viveva il suo “mouse”. Il loro rapporto era stato tenero, uno dei più dolci e dalla fine più malinconica che potesse trovarvisi fra coppiette di ragazzini in carriera. Lei, la giovane attrice prodigio dai capelli color mogano e gli occhi dal taglio deciso, lui il cantante esordiente con il ciuffo nero e il sorriso spontaneo. Insieme loro due avevano fatto la storia amorosa della loro adolescenza, crescendo insieme attraverso i pro e i contro che i riflettori portavano con sé.
Adesso però, pareva tutto diverso. Da anni ormai la storia fiabesca di loro due era finita, precisamente dopo il contratto che Andy aveva firmato con la casa discografica che avrebbe inserito Knives and Pens (la sua canzone di esordio) in un intero album con altre tracce ancora da registrare e che lo avrebbero tenuto lontano dalla sua città per almeno un anno. Allora non ce l'aveva fatta a promettere all'innamoratissima Scout di poter restare con lei, non dopo gli ultimi periodi di crisi e tutti gli impegni che il lavoro dava ad entrambi. Così, un pomeriggio luminoso lui l'aveva invitata nel parco in cui si erano conosciuti per discutere della situazione corrente ed arrivare al punto che Scout aveva poi anticipato con un sorriso spento e lo sguardo lucido di malinconia.
“Non dire altro” erano state le sue parole smorzate dalla forza di non piangere “per favore, Andy...”
Lui aveva cercato di non interpretare quel per favore come una supplica e le aveva ceduto il cd vuoto sul quale aveva inciso la loro canzone.
“Qui c'è tutto l'essenziale di noi... perdonami, Scout. Non sono forte abbastanza...”
Scout aveva riflettuto per anni su quelle parole ma non aveva mai più ascoltato la canzone che lui le aveva dedicato il loro secondo anniversario sebbene le parole dolci e la melodia idilliaca come un giovane amore spensierato, il primo per entrambi, non si sarebbero mai cancellate dalla sua mente.
Ora, nella casa dei signori Biersack, le sembrava di essere tornata ad una delle tante domeniche in cui l'avevano invitata a pranzo e se non fosse stato per Jacke ed Ella seduti sul divanetto della cucina, un po' in disparte, avrebbe creduto di veder arrivare di corsa l'Andy ragazzino che l'avrebbe salutata con un bacio e un sorriso allegro. D'altronde non si sarebbe stupita se la sua mente le avesse fatto uno scherzo del genere anche in simili circostanze visti gli anni di psicofarmaci che aveva assunto a seguito di una carriera prima fruttuosa ma che, a seguito della carrellata di eventi negativi che l'avevano coinvolta, iniziati con la separazione dal vocalist, non era divenuta che un peso troppo elevato per una ragazzina.
Invece, fortunatamente, nessuna visione inesistente offuscò la sua vista concentrata sulla tazza di the caldo che la madre di Andy le aveva preparato per metterla a suo agio e farle spiegare al meglio il motivo della sua improvvisa comparsa. 
Lo sguardo dei due coniugi sembrava molto più accogliente rispetto a quello indagatore di Ella e attento di Jacke ma non più ingenuo. Negli occhi della signora Biersack si leggeva la solita dolcezza ma anche un pizzico d'impazienza. Infatti, dopo l'incontro con Jacke ed Ella, il trio si era imbattuto in Chris il quale, appena vista Scout l'aveva riconosciuta e le aveva offerto qualche ora di compagnia in onore dei vecchi tempi.
Allora il discorso un po' imbarazzante era caduto sul motivo della sua visita.
-Siamo semplicemente stupiti che tu sia qui, cara. Stupiti e felici... era così tanto che non avevamo tue notizie e non ci saremmo aspettati di riceverle in un momento come questo- disse la signora Biersack, posando delicatamente la sua mano su quella un po' tremante di Scout.
La ragazza sorrise con un sorriso un po' stanco, uno di quelli traducibili in dopoguerra. Ripensò a come avesse percepito la famiglia di Andy come una seconda famiglia per anni, rispetto alla sua che non desiderava altro che il successo e la fama della propria perfetta figliola. A casa dei Biersack si era sempre sentita al sicuro più di quanto non lo fosse nel suo villone di Cincinnati con una madre ossessionata dal desiderio di vederla sul grande schermo ed un padre assente dai quali si era volentieri allontanata per quasi un anno, dopo il compimento della maggiore età, senza neanche una chiamata telefonica o un vero arrivederci. Non la stupì, dunque, di sentirsi più in colpa per essersi volatilizzata anche dalla vita di Chris e la sua compagna che le avevano chiesto di scrivergli anche se le cose con loro figlio erano finite, proprio per mantenere l'affetto che da ambedue le parti si era sviluppato.
-Mi dispiace...-riuscì solo a dire prima di bere un sorso di the per mandar giù il nodo di sensi di colpa che le si era formato in gola.
Chris le sorrise come un padre semplicemente sollevato di aver ritrovato una figlia e quello le fece capire che i due non nutrivano alcun sentimento di rimprovero nei suoi confronti ma semplice dispiacere per il suo comportamento sfuggente degli ultimi tre anni.
-Forse sembrerà strano ma vedete... sono tornata per fare ammenda a tutti voi. Anche io ho sofferto nel non vedervi, dovete credermi... mi siete mancati tanto-la sua voce ebbe un tremito nell'emettere quelle flebili frasi, ricordandole quanto spesso durante i mesi di vagabondaggio quando era stata cercata da mezzo Ohio e anche dopo, durante la terapia che aveva seguito per riprendersi dalla depressione e dallo stress latente a quel periodo e al suo passato ricco di carenze affettive e piccole delusioni, li aveva cercati nei ricordi.
-Ma non potevo tornare, non nella situazione in cui ero... non con Andy accanto a voi nel pieno della sua carriera e della sua nuova vita-calcò con una punta di malinconia quelle ultime due parole, quasi rendersi conto di non fare effettivamente più parte della vita di quella famiglia l'avesse provata più che tutto. Ed effettivamente, la scintilla che aveva fatto crollare la sua maschera, era stata proprio perdere l'affetto delle uniche persone che realmente le avevano voluto un bene incondizionato dalla sua posizione o da ciò che il futuro le riservava.
-Cara...-mormorò la signora Biersack con un'espressione commossa-Potevi tornare, ti avremmo riaccolta in qualsiasi momento, lo sai. Andy non ne sarebbe stato contrario, ti ha voluto molto bene.
Scout strinse talmente forte la tazza che aveva fra le mani unite che pensò di poter spezzare la porcellana: Andy non l'aveva amata abbastanza, si era detta, non abbastanza altrimenti non l'avrebbe abbandonata in quel modo. 
Preferì non sottolineare quel fatto proprio allora, soprattutto dopo aver superato gradualmente i suoi problemi ed aver riacquistato una certa serenità nella sua fattoria in Ohio in cui aveva speso tutti i suoi risparmi in onore di una vita semplice e tranquilla al di fuori dei riflettori e dei paparazzi che tanto avevano alimentato le sue fragilità. Ora, l'unica cosa che desiderava era farsi perdonare per tutta quell'assenza, rendendosi utile per Andy. Non si sarebbe mai scordata la notizia che aveva sentito tramite la radio il mattino del Novembre passato,mentre lavava pigramente i bicchieri della colazione, di come il suo cuore aveva preso a battere velocemente quando aveva scoperto la gravità dello stato di Andy e di quanto si fosse data da fare per ottenere tutte le notizie possibili da giornali e tg locali. Si era tenuta informata per mesi sullo stato di salute del suo ex ma non si era mai fatta avanti durante i momenti più critici... era consapevole di non poter tornare dai signori Biersack in un momento simile, accatastando al loro dolore altra malinconia né poteva permettere ai suoi nervi di reggere ad un momento così tragico in cui sarebbe stata totalmente inutile. Quindi aveva monitorato tutta la situazione attraverso le poche conoscenze che ancora aveva fra i giornalisti che tanto spesso l'avevano intervistata da ragazzina ed era riuscita a carpire particolari preziosi che neppure la stampa aveva il permesso di diffondere. Quando si era assicurata che il massimo pericolo fosse passato, qualcosa nella sua testa le aveva confermato che fosse arrivato il momento di risarcire i Biersack di tutto l'affetto che le avevano donato in quattro anni di frequentazione e compiere anche un opera buona per quel ragazzo che aveva tanto amato e che ora, avrebbe potuto necessitare di lei. Sarebbe stato un ottimo modo per mettere a tacere le voci che, insistenti, le sussurravano di non essere stata abbastanza per lui, di non avergli promesso di resistere anche alla lontananza e alle difficoltà, le stesse che anni prima, l'avevano convinta a chiudersi in un tono un po' vittimista e sottomesso alle decisioni altrui, com'era sempre stato prima con sua madre, poi con i suoi direttori e registi, poi con i paparazzi ed infine con il suo fidanzato.
-Vorrei fare qualcosa per aiutare Andy... so tutto ciò che sta passando. Io vorrei essere utile... forse la mia presenza potrebbe dare qualche svolta alla situazione... in fondo, sono un pezzo del suo passato, no?
I due coniugi rimasero spiazzati sia dal racconto più o meno dettagliato che Scout fornì sugli ultimi tre-quattro tormentatissimi anni della sua vita e sulla sua volontà di risanare, anche se in minima parte, i vuoti che aveva lasciato cercando di essere fonte di ispirazione per la memoria di Andy. 

Jacke era rimasto in silenzio per tutta la riunione familiare, sentendosi più che in imbarazzo a parteciparvi. Non era nel suo carattere impicciarsi degli affari altrui, si sentiva scorretto nel profondo, ficcanaso, e torvarcisi in mezzo gli aveva portato molto disagio, cosa che invece non aveva minimamente toccato i signori Biersack e neanche compromesso particolarmente la sua fidanzata.
Ella, infatti, aveva prestato molta attenzione ai racconti di Scout ed era rimasta palesemente a guardare le reazioni di tutti i presenti nella piccola cucina, perchè in fondo non le dispiaceva gustarsi a fondo le verità delle situazioni. 
Jacke ed Ella erano caratterizzati da quella differenza nei loro caratteri che, paradossalmente, era stata la loro forza ogni volta che giungevano, nonostante questo, ad un compromesso o ad un punto di accordo. Parevano riuscire a fare delle loro fragilità le colonne portanti del loro rapporto ed era questo reciproco, silenzioso patto a renderli tanto forti.
Lei era bellissima, sveglia e calcolatrice, lui intelligente, gentile e timido e le unioni di questi attributi, bilanciati al punto giusto fra loro, facevano si che trovassero un equilibrio in qualsivoglia situazione.
Anche adesso, ognuno dei due era assorto nei propri pensieri e l'unico rumore udibile era quello molto basso del motore e della 45esima strada, affollata come al solito con tutto il suo inquinamento acustico. 
Jacke sapeva che presto Ella avrebbe parlato, lo percepiva da come i suoi sensuali occhi da gatta osservavano la strada senza vederla realmente, persi nella miriade di immagini e parole ascoltate, alla ricerca di un particolare che potesse giustificare il commento che aveva in mente. Lui, dal canto suo, aveva già quasi risolto le sue perplessità ma sentiva di aver bisogno delle parole di Ella per trarre le conclusioni finali, come se i loro fili di pensiero fossero uniti e complementari.
-Sinceramente, Jacke, non riesco a fidarmi-sbottò alla fine, rivolgendogli una piccola smorfia imbronciata che lui colse appena con la coda dell'occhio prima di tornare a fissare le auto in coda davanti a sé.
-Perchè questa sensazione?
-Avanti amore... non fare il retorico con me. L'ho capito che non ha convinto nemmeno te del tutto la storia di quella specie di martire risorta...
-Ella!-esclamò lui, corrucciando le sopracciglia scure come i capelli che a tratti gli coprivano la fronte aggrottata-Come puoi dire una cosa simile?
Lei sbuffò e scoppiò in una breve risata mentre abbandonava la schiena contro il sedile e rovesciava la testa mora all'indietro-scusa scusa, tesoro! 
-Sai che non mi piace quando giudichi la gente senza sapere la realtà pura dei fatti...-sbuffò lui con una punta di acidità nella voce.
L'espressione di lei divenne subito seria e le sue braccia si incrociarono sul petto come faceva quando era offesa.
Le rivolse un secondo sguardo e quando la vide realmente provata addolcì lo sguardo.
-Scusami.-sussurrò.
-Jacke, fermati per favore
-Ma perchè.. noi..
-Fermati.
Il chitarrista accostò l'auto in uno dei miracolati parcheggi liberi al bordo di un mariciapiede affollato e senza slacciarsi la cintura di sicurezza, si voltò sospirando verso di lei che mantenne per pochi secondi la posa indignata per poi prendergli il viso fra le mani dalle lunghe unghie curate.
-Guardami-lo invitò e sorrise quando incontrò gli occhi verdi del suo ragazzo-sei stanco, Jacke. Lo leggo nei tuoi occhi. Puoi mentire a tutti ma non a me.
Le iridi chiare di Jacke rimasero fisse in quelle nocciola di Ella senza sfuggirle: aveva ragione lei, era stanco. Era talmente stanco e combattuto da tutti quei problemi professionali e affettivi che la sua calma lungimirante non serviva più a molto. Desiderava perdersi nella profondità degli occhi della sua amata in cui poteva permettersi di essere fragile proprio lui che aveva subito un lutto da meno di sei mesi e aveva dovuto farsi carico delle sofferenze della sua amata madre e poi della mancanza che aveva investito tutta la sua famiglia, cercando di essere il più riflessivo possibile, rimproverandosi ogni minimo crollo.
-Tu mi devi capire, amore, se dico delle cose stupide alle volte è solo per alleggerire la tensione che porti dentro. A volte vorrei poter raggiungere quel tuo sguardo addolorato e liberarlo ma sai come sono fatta, non sono così dolce... 
Gli occhi di Jacke divennero lucidi e non potè far altro che abbandonare il capo fra le braccia di lei e annuire ad ogni sua parola, sicurissimo di ciò che gli veniva detto dalla voce suadente ma sincera della donna che amava.
-Ti ho osservato dai Biersack-aggiunse-eri così concentrato sulla questione da non esserti accorto che nella mia concentrazione osservavo più te che loro tre... e cercavo di lanciarti delle occhiate rassicuranti che tu non vedevi. Questa storia ti sta consumando come quella di Carolyn e io non voglio rivederti in quelle condizioni, tesoro. 
Jacke sollevò il capo dopo aver represso un singhiozzo commosso e con lo sguardo le chiese cosa mai potesse fare per impedirsi di star tanto male, come potesse lui, con la sua indole iper sensibile e troppo intelligente per crogiolarsi nella beata ignoranza, a non provare tanto dolore per quello dei suoi amici, per il suo brother che neanche ricordava tutti i momenti che avevano passato, come poteva avere ancora fiducia che il destino concedesse delle svolte positive dopo che si era portato via sua madre.
Lei gli resitituì un sorriso comprensivo e una carezza.
-Sono quasi sicura che quella ragazza fosse sincera e sai perchè? Perchè ha amato Andy come io amo te e quando si prova un simile sentimento si può tornare sui propri passi molto facilmente, si è disposti a far di tutto pur di riconquistare l'antico sentimento o almeno quel poco che di intatto può rimanerne dopo una rottura e si ha il coraggio di essere forti per due, come io voglio essere forte per te. Lasciati andare, Jacke, rilassati. Vorrei vederti più sereno d'ora in poi, okay? Ci sono io accanto a te.
Jacke le sorrise teneramente e le diede un lungo bacio sulle labbra, abbracciandola forte senza curarsi della cintura di sicurezza che gli bloccava i movimenti come se le sue parole e la sua presenza fossero una calamita per il suo spirito.

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Capitolo 16
*** Parole gelate ***


A dire la verità, Andy non era tranquillo e neanche minimamente felice di poter tornare a casa fra qualche settimana. Era terrorizzato. 
Durante quel mese e mezzo dal suo risveglio era già stata abbastanza dura dover sopportare ciò che stava passando ed ora che iniziava ad abituarsi alla sua condizione, che stava cercando di prenderne consapevolezza, come diceva il signor Brown, adesso che i ritmi scanditi dell’ospedale incominciavano ad essergli quasi famigliari, proprio ora stava per abbandonare quel luogo. 
Da quando il capo reparto era entrato qualche mattina prima nella sua camera e glielo aveva detto, Andy aveva pensato che se chiunque avesse potuto entrare nella sua testa in quel momento, avrebbe pensato che oltre alla memoria doveva aver perso anche la furbizia. Eppure per lui quel posto era ormai una casa e la sola cosa che conoscesse. 
Dopo aver inizialmente odiato l’ospedale e il fatto di dover essere trattato come un infermo, aveva lentamente imparato a riconoscerlo come la propria casa visto anche che i suoi primi ricordi risalivano ormai al solo letto di quella stanzetta spoglia.
La sua vita aveva preso una piega talmente incomprensibile da aver ottenuto una normalità nuova e ora per lui sarebbe stato come riutuffarsi nel vuoto, in una nuova realtà e rompere quell’ equilibrio che tanto duramente aveva cercato di costruire.
D’altro canto, anche i suoi genitori e tutti gli amici non erano così sicuri del suo ritorno a casa. Infatti, lì all’ ospedale potevano contare sull' aiuto di medici valenti e soprattutto su quello di Beth che era sempre attentissima e amorevole con Andy (tanto da irritare Juliet che però per amore del suo ragazzo stava imparando a controllarsi), mentre una volta a casa sarebbero rimasti praticamente soli contro la malattia. Il clima in cui era cresciuto Andy era sempre stato il più sereno possibile, da parte della sua famiglia, ed erano stati suo padre e sua madre a sostenerlo in ogni sua scelta eppure adesso persino la positività dei signori Biersack pareva messa a dura prova. Fin ora era stato tutto incredibilmente difficile da affrontare: la sparatoria, il coma di Andy e poi la sua perdita di memoria con i relativi danni… tutto questo aveva profondamente sconvolto la vita di tutti e soprattutto la loro felicità. 
-Andy-la voce di CC lo scosse violentemente dai suoi pensieri-E’ mezz’ora che sono qui. Sai quante volte ti ho chiamato? A volte sembri in un altro mondo, amico.
Andy sospirò e poi sbuffò, mise il broncio come un ragazzino ma questo non parve impressionare il compagno di band. Fra tutti CC probabilmente era quello meno facile da incantare dopo Jinxx. Però a differenza del chitarrista, lui non era un tipo da affrontare le cose con freddezza e distacco, anzi, il più delle volte era il primo a tirare fuori dai momenti di imbarazzo o tensione con qualche battuta divertente o escamotage di altro tipo. 
La verità era che a CC non piaceva la tristezza, non era nella sua indole essere particolarmente riflessivo o quieto. Preferiva affrontare le cose in modo diretto e con ottimismo ed allegria per questo motivo, non aveva mai badato troppo alle lagne superflue del suo Bro, cercando invece di distrarlo con altro, come quella volta.
-So che sei pensieroso, Andy. Tutti lo siamo, ma non devi certo preoccuparti! Lo sai, la California è piena di cose troppo belle per non volerci andare subito. 
L’occhiolino che gli fece con aria complice parve bastare appena per suscitare nell’amico un vago sorrisetto forzato.
-Hey!-esclamò-Non farmi quel muso lungo. Se io avessi una casa come la tua sulle colline di Los Angeles, non terrei certo il broncio. Sei ricco, fratello! Devo ricordartelo? Ti aspettano solo grandi cose una volta a casa, vedrai!
Andy gli sorrise questa volta in modo più sincero e riconoscente. Era bello avere accanto una persona come CC: lui non lasciava mai che nessuno si annoiasse o rattristasse ed era in grado di rendere ogni cosa più leggera. Era una di quelle persone capaci di affievolire qualsiasi dolore con il loro spontaneo modo di fare. Per dire il vero, inizialmente Andy sopportava appena le risate e la voce vivace ma adesso che stava cercando di affrontare le cose in maniera diversa, non poteva che ringraziarlo.
-Non sono sicuro di ciò che troverò una volta lì…-si lasciò sfuggire dalle labbra spesse mentre abbracciava le ginocchia, trascinando la coperta verso di sé come uno scudo.
-Anno nuovo, vita nuova, come si suol dire! Non essere così pessimista! Te l’ho detto, stai per andare in un posto da sogno. Vedrai che là non scenderà la neve e le spiagge saranno sempre a disposizione. Ash sa anche surfare, potresti imparare… rende gli uomini più sexy.
Andy scoppiò letteralmente a ridere davanti allo sguardo complice e un po’ ambiguo che gli lanciò l’amico e fu costretto a tenersi le costole ancora un po’ doloranti mentre singhiozzava di risate.
-Smettila con quelle espressioni, dai!- ridacchiò, tirandogli un cuscinetto che l’altro acchiappò prima che potesse colpirlo in fronte.
-Sembriamo una coppietta gay-ammise poi CC con le lacrime agli occhi mentre che la stanza si riempiva ancor più di risate.
-Ahahah… ah…-le risa si calmarono pian piano ed il biondo si lasciò cadere sui cuscini con le mani dietro la testa, respirando quell’aria viziata come se fosse in un campo di grano: si sentiva sollevato. Qualcosa nella testa gli sussurrava che con quelle persone al suo fianco non avrebbe dovuto avere paura e quando il disagio si ripresentò, lui cercò di scacciarlo via con altre risate e qualche battutina squallida nello stile del batterista.

Scout si mise a sedere alla piccola scrivania della camera degli ospiti che i signori Biersack gli avevano fornito come se fosse figlia loro e non un’estranea che per anni era uscita dalle loro vite appena avevano capito il suo enorme sforzo per tornare e la grande volontà d’animo che aveva dimostrato, volendo aiutare loro figlio. Non le avevano permesso di tornare al motel in cui aveva deciso di risiedere per quei giorni di sosta a New York, se non per permetterle di ritirare le sue cose e venire a stare da loro per tutta la durata della permanenza nella grande mela. 
Adesso, dopo giorni di racconti ai Biersack di quanto le era accaduto, senza censurare le crisi depressive né i piccoli furti e il suo ingaggio in una gang di strada durante i tempi più bui, si sentiva più leggera e anche più fiera di se stessa per essere riuscita a confessare a qualcuno tutto il marcio che aveva visto e di cui era stata partecipe. 
Ancora una volta Chris e sua moglie erano riusciti ad aiutarla prima che fosse lei a fare qualcosa di concreto per loro, semplicemente ascoltando le sue parole, sopportando le lacrime che qualche volta ancora le appannavano la vista, proprio come un padre ed una madre. Si sentiva al sicuro anche se si trovava in una appartamento con quelli che avrebbero dovuto essere due estranei e che forse avrebbero potuto provare risentimento nei suoi confronti. In fondo lei si sentiva come a casa e questo le bastava per eliminare ogni dubbio sul bene che i coniugi le avessero sempre voluto.
Aprì il cassettino sulla destra e alla luce della bajioure sollevò verso il viso una pagina ingiallita e odorosa di fragola, il suo profumo di quando era ragazzina. Si era ricordata di mettere nello zaino anche quel pezzo di carta prima di partire dall’Ohio e quando aveva disfatto la valigia, la prima cosa che aveva sistemato nel posto più sicuro che pensasse era stato quel foglio di molti anni prima, chiuso in una bustina da lettera.
Per la prima volta dopo anni vide la sua stessa calligrafia, tondeggiante e fine, ordinata e pulita come le avevano insegnato i suoi insegnanti privati e, fra quelle letterine precise d’inchiostro nero, anche tracce di vecchie gocce di lacrime.
Accarezzò la carta che allora le era apparsa di così tanto conforto a quelle parole che non poteva confessare a nessuno e iniziò a leggere sebbene non avesse mai dimenticato quello che c’era scritto.
“Ricorderò questo giorno, Giovedì 18 Settembre, come il giorno più triste della mia vita di diciottenne, Andy… Le parole che volevo dirti al parchetto sono rimaste congelate nella mia gola, pietrificate dalle tue, così inesorabili… ma spero che un giorno ci sarà l’occasione che tu sappia ciò che avrei voluto dirti.
Voglio che tu sappia che ogni istante passato in tua compagnia per me è stato come una boccata d’ossigeno dopo una nuotata in apnea in un mare troppo gelido in cui non ho mai imparato a nuotare… Voglio che un giorno tu capisca quanto ti ho amato e capisca che io avrei resistito a qualunque cosa pur di averti al mio fianco. A volte ho fantasticato di poterti sposare. Desideravo e desidero una vita al tuo fianco. 
Non sai quante notti, stringendomi contro di te in quei letti d’hotel ho pregato in silenzio che tu restassi per sempre così come in quel momento e che mi tenessi serrata fra le tue braccia, al caldo sotto le coperte tiepide del nostro calore dove mi sembrava che non potesse raggiungerci nessun dolore. 
Sappi che ho sempre cercato di fare di tutto per vederti sorridere e tu non puoi neanche immaginare la gioia che sentivo scoppiarmi dentro quando mi venivi in contro e mi baciavi, quando mi abbracciavi da dietro senza motivo. Non sai quante volte ti ho scansato solo perché desideravo sentire che tu non mi avresti lasciato scappare. Ho sempre amato tutto di te, anche quel silenzio in cui qualche volta cadevi e la malinconia che a volte ti attraversava lo sguardo è sempre stata la mia più grande nemica ma per te l’avrei combattuta all’infinito anche se avesse significato piangere credendo di non fare abbastanza.
Ho adorato questi tre anni e mezzo al tuo fianco, i nostri piccoli litigi e quei brevi allontanamenti che duravano troppo poco perché separati non abbiamo mai saputo stare… e adesso non so come sarà possibile prendere una strada diversa dalla tua e non camminare più mano nella mano. Non ho idea di come farò a tornare nella luce finta che circonda la mia vita senza i tuoi occhi che hanno illuminato il mio viso di dolcezza, senza quelle parole che sapevi dirmi e farmi accettare solo tu.
Non so come andranno a finire le nostre vite né quando ci rivedremo dopo oggi… voglio solo che tu sappia che ovunque sarai io ti sarò accanto. Una volta, un’anziana mi ha confessato che se qualcuno pensa intensamente e ogni giorno ad una persona e desidera il meglio per lei, quella persona sarà protetta da qualsiasi male ed è ciò che io farò per te: sarò il tuo angelo invisibile nei momenti di silenzio. Terrò il sentimento per te sempre in caldo nel mio cuore in cui ci sarà sempre uno spazietto per te, anche se adesso è a pezzi proprio per colpa tua e della tua paura di perdermi più avanti.
Ovunque andrai io ti troverò e ti difenderò dal male del mondo… e un giorno, Andy, ti salverò come tu hai salvato me.”

Beth osservava la neve cadere lentamente dal cielo e la sentiva osarsi sulle sue esili spalle, sul cappello di lana da cui uscivano i boccoli ramati  e fin sulla pelle lattea. Il gelo dell’inverno le era sempre piaciuto molto, fin da quando era bambina: le faceva prevedere serate al  caldo nel lettone di suo fratello maggiore a mangiare caramelle e guardare film comici.
Anche se negli ultimi anni i suoi inverni erano stati terribili, passati da sola in quella soffitta fredda di un palazzo di periferia di New York, con la compagnia di una radiolina balbuziente e il riscaldamento al minimo, non aveva mai smesso di adorare il freddo sulla pelle che le donava, paradossalmente, l’idea del calore.
I fiocchi danzavano leggeri giù dal cielo scuro, evidenziati dalla luce giallognola dei lampioni del lungo viale che portava fuori dalla recinsione ospedaliera, così inesorabili… 



Era quasi giunto il momento di separarsi e Ashley lo sapeva bene.
Quando gli avevano confermato che fra poco meno di qualche settimana Andy sarebbe uscito dall’ospedale l’aveva investito un senso di sollievo subito susseguito dalla consapevolezza che tutti loro sarebbero tornati a casa, a Los Angeles, la quale distava miglia e miglia dall’enorme New York e quindi da Beth. Dalla sua rossa, come gli era sfuggito di chiamarla davanti a Jinxx un giorno alle macchinette nel corridoio della lungo degenza appena il compagno l’aveva nominata.
Lì per lì si era dato dello sciocco, specialmente di fronte al piccolo sbuffo divertito del chitarrista ma poi si era accorto di quanto gli fosse spontaneo definirla semplicemente così: la rossa. La rossa che con il suo fare timido, talmente diverso dallo stile provocante delle ragazze che aveva sempre frequentato, con quei suoi occhi innocenti e pieni di coraggio seppur fragili era riuscita ad abbattere la corazza che il perfetto e sexyssimo Ash si portava addosso.
Ora il pensiero di allontanarsi da lei gli provocava una sorta di vuoto nel petto e sentiva il bisogno di stringerla a sé con delicatezza e affetto perché presto gli sarebbero mancate la voce tenera di lei al suo orecchio, i caffè durante le pause pranzo. il  piccolo cd di alluminio e acciaio che gli aveva regalato per Natale da tenere appeso come un ciondolo alla catenina che portava al collo. Tutto di lei gli sarebbe venuto meno e la distanza non gli era mai piaciuta. Ashley aveva da sempre avuto il bisogno del contatto, degli odori e degli sguardi, aveva un bisogno fisiologico di sentire le persone accanto a sé, era quasi un’ ossessione. Come se il contatto fisico potesse colmare quel distacco affettivo in cui era un po’ cresciuto.
Quella sera sentiva di essere di pessimo umore e aveva declinato l’invito di CC di andare a prendere qualcosa da bere in un locale non troppo distante dal proprio appartamento: desiderava stare da solo, camminare un po’ sotto la neve che cascava placidamente da ore e tornare nella sua stanza d’hotel il prima possibile. Per questo quando, scendendo dalle scale dell’entrata principale, avvistò il giubbotto lungo e rosso acceso di Beth. Il suo cappello grigio topo e le calze troppo fini sopra gli stivali di gomma, desiderò sparire prima che lo vedesse.
Purtroppo per lui, nell’esatto istante in cui tentò di fare retro front la  testina ricciuta della ragazza si voltò indietro, quasi attirata da una forza invisibile verso di lui, e i loro sguardi si incrociarono.
Un sorriso tenero si dipinse sulle labbra fini dell’infermiera e Ashley si dimenticò per qualche secondo il motivo per il quale avrebbe preferito non incontrarla ed  accennò ad un saluto con la testa incappucciata.
La raggiunse anche se avrebbe voluto far finta di essere di fretta e quando le fu davanti e provò a parlare, lei gli poggiò la mano guantata sulla bocca e lo fissò con le profonde iridi scure. Aveva certamente saputo della notizia di Andy e anche se dentro di sé era felice per lui, il pensiero di Ashley l’aveva attraversata come una lama.
-Ti prego, Ash… non anticipiamo gli addii.
Il ragazzo si sentì colto di sorpresa e non seppe subito cosa rispondere se non deglutire e distogliere lo sguardo da lei.
-Hey…
Beth capì che doveva essere forte e gli voltò lentamente il capo verso di sé. Gli sorrise con dolcezza ed in modo rassicurante tanto che lui si sciolse e si lasciò quasi cadere fra le braccia della ragazza, la quale lo accolse e lo premè contro il suo scarso petto.
Lo tenne stretto mentre lui, con le braccia a ciondoloni, affondava il viso fra i soffici capelli della ragazza e inspirava profondamente il profumo di lampone che emanavano.
-Voglio farti conoscere qualcuno-gli sussurrò all’orecchio, scoccandogli un veloce bacio sulla mascella.
-Andiamo dove vuoi-le mormorò per la prima volta rosso in viso. Così, mano nella mano, si incamminarono verso l’uscita per chiamare un taxi.
L’auto seguì le indicazioni di Beth fino a fermarsi davanti ad un’alta e lugubre cancellata in ferro battuto il cui aspetto faceva pensare in tutto e per tutto ad un cimitero. La conferma Ash la ebbe una volta sceso dall’auto e viste fra le sbarre i rettangoli e le croci di pietra.
Beth pagò mentre lui era distratto e nonostante le sue insistenze non volle che la risarcisse almeno della propria parte.
-Ti ho trascinato io fin qui… pagare il conto mi sembra il minimo.
Per l’ennesima volta il bassista rimase sorpreso dell’onestà di quella timida ragazza. Beth doveva essere una di quelle persone dall’anima troppo pura e buona, troppo giusta per poter essere infangata persino da anni di difficoltà. Non aveva nulla di una ventitrèenne a parte il vago aspetto da adolescente e la nota di timore che le si scorgeva, a tratti, nelle espressioni pulite.
Quando varcarono il cancello, la neve aveva smesso di cadere da un po’, lasciando un manto candido su tutta la città e ovviamente su quel luogo che, essendo immerso nel silenzio e nelle luci soffuse di canele e lampioncini, aveva un’aria magicamente tetra.
Una folata di vento lo fece rabbrividire e stringere maggiormente la mano di lei che però non appariva affatto intimorita dal luogo insolito in cui si trovava anzi, iniziò a percorrere i vialetti ghiaiosi con estrema sicurezza, svoltando ora a destra di un angelo di pietra, ora a sinistra dopo due piccoli cespugli spogli e poi di nuovo a destra, appena prima di giungere ad un incrocio e ritrovarsi al bordo di uno dei tanti campi santi.
Sembrava un dannato labirinto e Ash iniziava a provare una sorta di soggezione a camminare in mezzo alle lapidi mentre rompeva il silenzio con gli anfibi scricchiolanti fra la neve. Lo stupì che Beth non si fosse mai girata a controllare come stesse o per lo meno la sua espressione e capì solo quando giunsero alla meta che probabilmente per lei doveva essere stata dura portarlo lì e mostrargli ciò che doveva essere parte integrante delle sue emozioni, parte del suo dolore.
-Lui è Dennis-sussurrò e una nuvola bianca le si formò davanti alle labbra per poi disperdersi verso l’alto come qualcosa di irraggiungibile-Mio fratello maggiore.
Come accadeva ogni volta in cui si trovava in una situazione emotiva troppo forte, Ash riuscì appena ad emettere un piccolo sospiro di sorpresa e malinconia ed a odiarsi subito dopo per quel suo assurdo blocco interiore.
Beth non parve farci molto caso e si piegò sui talloni per spolverare via la neve che si era depositata sulla foto incastonata nel marmo bianco.
-Dennis Jonson…-sussurrò fra sé e sé, percorrendo con l’indice le lettere dorate che indicavano il nome del bel ragazzo nella foto.
-Assomiglia ad Andy…-disse più a se stesso che a lei mentre si accovacciava accanto alla ragazza.
-E’ vero. A parte i capelli rossi si potrebbe dire che abbiano quasi lo stesso viso…
Ashley non riusciva a crede alla combinazione che gli era capitata: quel ragazzo di 20 anni era quasi identico ad Andy tolta la capigliatura e le labbra, lievemente più fini di quelle del suo Bro.
-Quando Andy è arrivato… ho subito notato questa somiglianza incredibile… per questo ho sempre visto Andy come qualcosa in più che un paziente… non avrei mai voluto suscitare la gelosia o i sospetti della sua fidanzata…
La voce le tremò in gola e Ashley non poté fare a meno che portare quella testina rossa contro la sua spalla larga e lasciare che lei si accoccolasse al suo fianco.
-Ora è tutto chiaro ma tu non devi giustificarti di nulla, Beth. Hai agito in buona fede, tu lo fai sempre…
Puntò nuovamente i suoi occhi verso di lui che aggiunse:
-Siamo noi altri che pensiamo in modo cattivo… ma solo perché non siamo come te.
Aveva pronunciato quelle frasi in modo veloce ma estremamente sincero, per la prima volta in vita sua, aveva sputato i suoi reali pensieri senza timore che potesse essere giudicato. Accanto a Beth percepiva di essere al sicuro ma soprattutto compreso. Uno spirito delicato e discreto come quello di lei non avrebbe mai potuto ferirlo e non avrebbe mai deriso nessuno dei suoi pensieri.
-Saresti piaciuto a Dennis…-gli disse con la guancia premuta contro il giubbotto di lui-Era un ragazzo speciale, sai? Riconosceva la bontà negli altri e vedeva sempre il lato buono delle persone. L’ho sempre ammirato per questo oltre al fatto che fosse il mio fratellone, lui è sempre stato un esempio per me… 
Si chiuse la bocca per evitare che un singhiozzo le scappasse e fu Ash ad allontanargliela piano piano dal viso.
-Io credo che sarebbe fiero di te… per come sei, intendo.
-No, non credo… non sono rimasta accanto a mia madre quando era il momento, ho sempre pianto senza saperle dare una vera consolazione… non sono mai stata alla sua altezza, Ash, mai!
-Ora basta-le intimò, facendosi scuro per un attimo-basta dire sciocchezze…
La prese per le braccia e la costrinse a girare il busto verso di lui e a guardarlo in viso.
-Ascoltami Rossa… io non so perfettamente cosa sia accaduto, non so molto della tua vita a dire la verità ma.., so di come sei ora e credimi, sei l’unica ragazza che mi abbia davvero sorpreso e colpito in questi ultimi anni. Se tu ammiravi Dennis per come si comportava, beh, sappi che ora sono io a farlo con te. Sono io ad ammirare tutto di te e ad ascoltare con attenzione ogni cosa che dici. E da ciò che ricordo io… non ho mai ascoltato o badato a nessuno.
Beth sentì il cuore riempirsi di qualcosa di dolce ed estremamente delicato, un’emozione indescrivibile che, contemporaneamente, le fece perdere il fiato e la fece respirare come mai aveva fatto. Percepì di aver raggiunto il massimo che qualsiasi persona potesse raggiungere: l’essere accettata e capita, veder riconosciuti i propri sforzi. 
In un impeto che non riuscì a controllare, prese il viso di Ash fra le mani e portò le proprie labbra contro quelle del giovane ancora frastornato dalle sue stesse parole.
Il bacio fu breve ma intenso. Ash la prese per la piccola vita e la appiccicò a sé e si sentì come rinato. Fu diverso da qualsiasi altro bacio che avesse mai dato in vita sua… questo era spontaneo e sentito, pieno di parole troppo potenti per essere dette.

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